ANNO LXVIII - N. 4 
OTTOBRE - DICEMBRE 2016 


RASSEGNA 
AV 
V 
O 
C 
AT 
U 
R 
A 
DELLO 
STATO 


PUBBLICAZIONE 
TRIMESTRALE DI SERVIZIO 



COMITATO 
SCIENTIfICO: 
Presidente: Michele 
Dipace. Componenti: Franco Coppi 
- Giuseppe 
Guarino Natalino 
Irti - Eugenio Picozza - Franco Gaetano Scoca. 


DIRETTORE 
RESPONSABILE: 
Giuseppe 
Fiengo 
-CONDIRETTORI: 
Maurizio 
Borgo, 
Danilo 
Del 
Gaizo 
e 
Stefano Varone. 


COMITATO 
DI 
REDAZIONE: 
Giacomo Aiello -Lorenzo 
D�Ascia 
-Gianni 
De 
Bellis 
-Francesco 
De 
Luca 
-
Wally 
Ferrante 
-Sergio 
Fiorentino 
-Paolo 
Gentili 
-Maria 
Vittoria 
Lumetti 
-Francesco 
Meloncelli 
Marina 
Russo. 


CORRISPONDENTI 
DELLE 
AVVOCATURE 
DISTRETTUALI: 
Andrea 
Michele 
Caridi 
-Stefano 
Maria 
Cerillo 
Pierfrancesco 
La 
Spina 
-Marco 
Meloni 
-Maria 
Assunta 
Mercati 
-Alfonso 
Mezzotero 
-Riccardo 
Montagnoli 
-Domenico 
Mutino 
-Nicola 
Parri 
-Adele 
Quattrone 
-Pietro 
Vitullo. 


HANNO 
COLLABORATO 
INOLTRE 
AL 
PRESENTE 
fASCICOLO: 
Giuseppe 
Albenzio, 
Giuseppe 
Arpaia, 
Carlo 
Bellesini, 
Guglielmo 
Bernabei, 
Chiara 
Bianco, 
Antonio 
Blandini, 
Emanuela 
Brugiotti, 
Federico 
Casu, 
Nicol� 
Cocci, 
Alfonso 
Contaldo, 
Gianna 
Maria 
De 
Socio, 
Paolo 
Del 
Vecchio, 
Marinella 
Di 
Cave, 
Ruggero 
Di 
Martino, 
Giulia 
Fabrizi, 
Michele 
Gorga, 
Andrea 
Lepore, 
Umberto 
Maiello, 
Lucia 
Marzialetti, 
Massimo 
Massella 
Ducci 
Teri, 
Flaviano 
Peluso, 
Gabrile 
Pepe, 
Ida 
Perna, 
Francesco 
Radicetti, 
Martina 
Strazzeri, 
Ivan 
Michele 
Triolo, 
Sabrina 
Trivelloni, 
Nicola 
Usai. 


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GENERALE 
DELLO 
STATO 
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Autorizzazione 
Tribunale di Roma - Decreto n. 11089 del 13 luglio 1966 



indice 
-sommario 


TEMI 
ISTITUZIONALI 
Intervento 
dell�Avvocato 
Generale 
dello 
Stato, 
avv. 
Massimo 
Massella 
Ducci 
Teri, 
in 
occasione 
della 
cerimonia 
di 
inaugurazione 
dell�Anno 
Giudiziario 
2017 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 
1 
Intervento del 
Vice 
Avvocato Generale, avv. Giuseppe 
Albenzio, in occasione 
della 
cerimonia 
di 
inaugurazione 
dell�Anno 
Giudiziario 
2017, 
Corte 
di appello di Roma 
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . �� 
4 
Diritto di 
accesso a dati 
e 
documenti 
- Art. 5 d.lgs. n. 33/2013, come 
modificato 
dall�art. 6 del 
d.lgs. n. 97/2016. Regime 
provvisorio ai 
fini 
delle 
esclusioni 
e 
dei 
limiti 
all�accesso 
generalizzato, 
Circolare 
S.G. 
prot. 
607158 del 23 dicembre 2016 n. 61 
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . �� 
8 
Decreto del 
Presidente 
del 
Consiglio di 
Stato concernente 
disciplina dei 
criteri 
di 
redazione 
e 
limiti 
dimensionali 
dei 
ricorsi 
e 
degli 
altri 
atti 
difensivi 
nel 
processo 
amministrativo, 
Circolare 
S.G. 
prot. 
11857 
del 
11 
gennaio 2017 n. 1 
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . �� 
10 
CONTENZIOSO 
NAZIONALE 
Ivan 
Michele 
Triolo, 
Canoni 
del 
demanio 
marittimo: 
il 
secondo 
atto 
della 
Consulta 
sulla 
rideterminazione 
in 
forza 
della 
Legge 
finanziaria 
2007 
(C. 
Cost., sent. 27 gennaio 2017 n. 29) 
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . �� 
15 
Nicola 
Usai, I mobili 
confini 
applicativi 
dell�Irap alla luce 
delle 
recenti 
statuizioni 
delle 
Sezioni 
Unite 
(Cass. civ., Sez. Un., sentt. 14 aprile 
2016 
n. 7371 e 10 maggio 2016 n. 9451) 
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . �� 
23 
Lucia 
Marzialetti, 
Il 
regime 
di 
esenzione 
I.V.A. 
delle 
operazioni 
in 
coassicurazione: 
l�interpretezione 
restrittiva 
entra 
dalla 
porta 
ed 
esce 
dalla 
finestra. 
La 
ricondicibilit� 
nell�alveo 
delle 
�operazioni 
di 
assicurazione� 
delle 
prestazioni 
svolte 
in 
esecuzione 
di 
clausola 
di 
delega 
nell�ambito 
di 
un 
contratto 
di 
coassicurazione 
(Cass. 
civ., 
Sez. 
V, 
sent. 
4 
novembre 
2016 
n. 
22429) 
�� 
34 
federico Casu, Ancora sull�associazione 
con finalit� di 
terrorismo o di 
eversione 
dell�ordine 
democratico. 
Brevi 
considerazioni 
(Cass. 
pen., 
Sez. 
V, sent. 14 novembre 2016 n. 48001) 
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . �� 
58 
Marinella 
Di 
Cave, 
In 
tema 
di 
demanialit� 
marittima 
(Le 
Valli 
da 
pesca 
della 
laguna 
di 
Venezia) 
(Cass. 
civ., 
Sez. 
II, 
sent. 
21 
dicembre 
2016 
n. 
6616) 
�� 
66 
Giulia 
fabrizi, 
Scissione 
ope 
legis 
del 
rapporto 
organico 
e 
responsabilit� 
del 
funzionario 
per 
il 
contratto 
stipulato 
in 
violazione 
delle 
norme 
di 
contabilit� 
pubblica dell�Ente. Improponibilit� dell�azione 
ex 
art. 2041 cod. 
civ. nei 
confornti 
della P.A. 
(Cass. civ., Sez. I, sent. 4 gennaio 2017 n. 80) 
�� 
79 
Emanuela 
Brugiotti, 
La 
Procura 
Generale 
presso 
la 
Corte 
di 
appello 
non 
� 
legittimata ad impugnare 
le 
sentenze 
di 
primo grado in materia di 
adozione, 
n� 
quelle 
di 
adozione 
in casi 
particolari 
(C. app. Roma, Sez. Minorenni, 
sent. 23 novembre 2016) 
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . �� 
90 



Giuseppe 
Arpaia, 
Il 
danno ricevuto dai 
medici 
specializzandi 
ante 
d.lgs 
257/1991 
ed 
il 
relativo 
onere 
della 
prova 
(C. 
app. 
Napoli, 
I 
Sez. 
civ., 
sent. 
2 dicembre 2016 n. 4282). . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 

Martina 
Strazzeri, 
Incremento 
dell�importo 
delle 
borse 
di 
studio 
percepite 
dai 
medici 
specializzandi 
iscritti 
anteriormente 
all�anno 
accademico 
2006/2007: inquadrameno sistematico alla luce 
di 
una recente 
sentenza 
del 
Giudice 
del 
lavoro di 
Catania 
(Trib. Catania, Sez. lav., sent. 26 aprile 
2016 n. 1793) 
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 

Chiara 
Bianco, 
francesco 
Radicetti, 
Profili 
normativi 
e 
problematici 
dell�Accesso civico (Cons. St., Sez. IV, sent. 14 luglio 2016 n. 3631). . . 

LEGISLAZIONE 
ED 
ATTUALIT� 


Alfonso 
Contaldo, 
flaviano 
Peluso, 
La 
Posta 
Elettronica 
Certificata 
nella 
pratica amministrativa 
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 

Alfonso 
Contaldo, 
Michele 
Gorga, 
Le 
novit� 
della 
disciplina 
del 
Processo 
Civile 
Telematico (PTC) anche 
con riguardo alla recente 
disciplina del 
Codice dell�Amministrazione Digitale (CAD) 
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 

Nicol� Cocci, Il 
risarcimento del 
danno da fumo di 
sigarette 
nel 
diritto 
vivente. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 

CONTRIBUTI 
DI 
DOTTRINA 


Gianna 
Maria 
De 
Socio, Le 
conseguenze 
dell�inosservanza del 
contraddittorio 
alla 
luce 
del 
raffronto 
fra 
i 
valori 
costituzionali 
sottesi 
all�istituto 
del contraddittorio e quelli sottesi all�esercizio dell�azione impositiva. . 

Carlo Bellesini, L�articolo 21 bis 
della legge 
n. 287 del 
1990 e 
la legittimazione 
ad 
agire 
nel 
processo 
amministrativo 
dell�Autorit� 
Garante 
della 
Concorrenza e del Mercato 
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 

Gabrile 
Pepe, Brevi 
considerazioni 
sulla natura giuridica delle 
Federazioni 
sportive nazionali. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 

Ida 
Perna, L�annullamento �atipico� 
del 
provvedimento tipico e 
le 
interferenze 
con la regolazione 
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 

Sabrina 
Trivelloni, 
Attivit� 
di 
protezione 
civile 
tra 
contratti 
di 
appalto, 
affidamenti 
in house 
ed accordi 
fra pubbliche 
amministrazioni 
ex 
art. 15 
legge 
7 agosto 1990, n. 241 ed art. 6 legge 
24 febbraio 1992, n. 225, alla 
luce dell�entrata in vigore del D.Lgs. 18 aprile 2016, n. 50 
. . . . . . . . . . 

RECENSIONI 


�Codice 
di 
giustizia sportiva F.I.G.C. annotato con la dottrina e 
la giurisprudenza� 
a 
cura 
di 
Antonio Blandini, Paolo Del 
Vecchio, Andrea 
Lepore 
e Umberto Maiello 
-Edizioni Scientifiche Italiane, 2016 
. . . . . . . . 

Guglielmo 
Bernabei, 
Carattere 
provvedimentale 
della 
decretazione 
d�urgenza. 
L�amministrazione 
con forza di 
legge, Wolters 
Kluwer / 
Cedam, 
2017 
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 

pag. 
99 
�� 
110 
�� 
129 
�� 
147 
�� 
166 
�� 
195 
�� 
219 
�� 
239 
�� 
264 
�� 
274 
�� 
290 
�� 
307 
�� 
312 



TEMIISTITUZIONALI
CERIMONIA DI INAUGURAZIONE DELL�ANNO GIUDIZIARIO 2017 


Intervento dell�Avvocato Generale dello Stato 
Avv. Massimo Massella Ducci Teri 


Signor Presidente della Repubblica, Autorit�, 

Signor Primo Presidente della Corte di Cassazione, 

Signor Procuratore Generale, 

Signore e Signori 


� 
con vivo piacere 
che, anche 
quest�anno, prendo la 
parola 
in questa 
solenne 
Cerimonia 
di 
inaugurazione 
per 
porgere 
il 
saluto 
dell�Istituto 
che 
ho 
l�onore di dirigere. 

Nella 
sua 
approfondita 
ed ampia 
relazione 
il 
Primo Presidente 
ha 
riferito 
in modo analitico sui 
risultati 
raggiunti 
dalla 
Suprema 
Corte 
nell�anno 2016 e 
non pu� che 
esprimersi 
vivo apprezzamento e 
gratitudine 
per il 
grandissimo 
impegno 
profuso 
dai 
magistrati 
e 
dal 
personale 
amministrativo 
che 
vi 
operano. 

1. 
Questi 
risultati 
confermano, 
inoltre, 
l�efficacia 
del 
disegno 
riformistico 
che 
si 
� 
avviato 
nel 
corso 
della 
presente 
legislatura, 
e 
che 
ha 
sicuramente 
prodotto 
i 
suoi 
frutti 
in 
termini 
di 
una 
notevole 
riduzione 
dei 
tempi 
dei 
processi 
civili 
e, 
conseguentemente, 
delle 
pendenze 
civili, 
come 
evidenziato 
anche 
dal 
Ministro 
Orlando 
nella 
relazione 
alle 
Camere 
sullo 
stato 
della 
Giustizia 
in 
Italia. 
In questa 
direzione 
va 
anche 
la 
recentissima 
riforma 
del 
giudizio di 
legittimit� 
introdotta 
dall�art. 
1-bis 
del 
decreto 
legge 
n. 
168 
del 
2016, 
cui 
ha 
fatto immediatamente 
seguito la 
firma 
del 
Protocollo d�Intesa 
tra 
la 
Corte 
di 
Cassazione, il Consiglio Nazionale Forense e l�Avvocatura dello Stato. 


In sostanza, i 
tre 
principali 
protagonisti 
del 
processo davanti 
alla 
Corte 
hanno 
concordato 
sulle 
modalit� 
di 
gestione 
delle 
udienze, 
interpretando 
in 
modo condiviso le 
nuove 
regole 
che 
il 
legislatore 
ha 
introdotto per cercare 
di 
ridurre il gravoso peso dell�arretrato civile davanti alla Suprema Corte. 



rASSEGNA 
AvvOCAturA 
DELLO 
StAtO - N. 4/2016 


La 
lodevole 
iniziativa 
del 
Primo 
Presidente 
non 
poteva 
essere 
pi� 
opportuna. 


Ed invero l�accurata 
scelta 
di 
opzioni 
interpretative 
intelligenti 
e 
costituzionalmente 
orientate, consente 
di 
delineare 
un quadro di 
certezze 
da 
cui 
non 
potr� che derivare giovamento allo sforzo che la Corte sta affrontando. 


Pu� 
sembrare 
forse 
solo 
un 
piccolo 
passo, 
ma 
il 
nuovo 
Protocollo 
si 
aggiunge 
a 
quello 
tra 
la 
Corte 
e 
la 
Procura 
Generale 
sul 
medesimo 
oggetto 
del 
18 
novembre 
2016, 
ma 
soprattutto 
al 
precedente 
Protocollo 
d�intesa 
sulla 
redazione 
dei 
motivi 
di 
ricorso 
sottoscritto 
un 
anno 
prima 
tra 
la 
Corte 
ed 
il 
Consiglio 
Nazionale 
Forense, 
al 
quale 
l�Avvocatura 
conta 
di 
dare, 
quanto 
prima, 
la 
propria 
adesione. 


Si 
tratta 
in 
realt� 
di 
passi 
importanti 
per 
ridurre 
i 
tempi 
della 
giustizia 
e 
per 
consentire 
alla 
Corte 
di 
poter 
esercitare 
con 
sempre 
maggiore 
efficacia 
la 
sua 
indispensabile 
funzione 
di 
nomofilachia. 
Funzione 
essenziale 
per 
garantire 
la 
prevedibilit� 
delle 
decisioni 
e, 
conseguentemente, 
la 
certezza 
del 
diritto. 
Quella 
certezza 
che 
sempre 
pi� 
deve 
diventare 
l�obiettivo 
della 
nostra 
giustizia; 
e 
ci� 
sia 
per 
una 
evidente 
esigenza 
di 
parit� 
di 
trattamento 
tra 
tutti 
i 
cittadini, 
sia 
per 
contribuire 
-anche 
per 
tale 
via 
-alla 
deflazione 
del 
contenzioso 
in 
atto. 


Di 
ci� credo che 
dovremmo essere 
grati 
alla 
Corte, per avere 
coraggiosamente 
intrapreso questa 
strada, che 
speriamo possa 
essere 
percorsa 
anche 
in 
altre 
successive 
occasioni, nelle 
quali 
l�Avvocatura 
dello Stato non far� 
mai 
mancare il suo contributo. 


2. 
D�altro 
canto 
l�esigenza 
di 
una 
costante 
e 
proficua 
collaborazione 
del-
l�Avvocatura 
dello 
Stato 
con 
la 
Suprema 
Corte 
� 
resa 
viepi� 
necessaria 
dal 
numero 
dei 
contenziosi 
che 
vedono 
le 
Amministrazioni 
patrocinate 
quali 
parti: 
solo 
nel 
2016 
tale 
numero 
ha 
superato 
i 
9.000 
affari. 
Il 
contenzioso 
dello 
Stato 
rappresenta 
oltre 
un 
terzo 
di 
tutto 
quello 
all�esame 
della 
Suprema 
Corte 
in 
sede 
civile 
e, 
di 
questo 
terzo, 
circa 
il 
90% 
� 
costituito 
dal 
contenzioso 
tributario. 
3. 
Sempre 
in chiave 
di 
accelerazione 
dei 
processi 
ricordo, inoltre, il 
lavoro 
svolto 
dall�Avvocatura 
dello 
Stato 
nell�avvio 
e 
nell�implementazione 
del 
processo 
civile 
telematico, 
fornendo 
il 
proprio 
contributo 
nei 
tavoli 
istituiti 
presso il 
Ministero della 
giustizia 
per la 
elaborazione 
di 
proposte 
normative, 
regolamentari 
ed 
organizzative, 
sia 
sul 
piano 
generale 
che 
in 
relazione 
alle 
peculiarit� 
del contenzioso erariale. 
Si 
tratta 
del 
resto 
di 
attivit� 
assolutamente 
necessarie 
per 
il 
nostro 
Istituto 
che deve confrontarsi con una considerevole mole di lavoro. 


Non intendo, certo, tediare 
l�uditorio con tabelle 
e 
dati 
statistici: 
tuttavia, 
alcuni 
numeri 
� 
opportuno che 
vengano conosciuti, perch� 
sono sempre 
particolarmente 
significativi. 


Nel 
2016 l�impegno dell�Avvocatura 
dello Stato nella 
sua 
attivit� 
di 
patrocinio 
e 
consulenza 
in favore 
delle 
Amministrazioni, delle 
Autorit� 
indipendenti 
e 
degli 
altri 
Enti 
pubblici, 
ha 
registrato 
un 
incremento, 
a 
livello 
nazionale, 
del 
7,5%, passando ad oltre 
165.000 affari 
nuovi. Essi 
si 
aggiungono a 
quelli 
pendenti, per un totale di circa un milione di affari. 


tEMI 
IStItuzIONALI 


Si 
tratta 
di 
una 
mole 
di 
lavoro imponente, destinata, peraltro, ad aumentare 
nell�anno in corso in ragione 
dell�attribuzione 
all�Avvocatura 
dello Stato 
del 
patrocinio della 
neo istituita 
Agenzia 
delle 
Entrate-riscossione, chiamata 
a esercitare i compiti fin�ora svolti dalla soppressa Equitalia. 


L�Avvocatura 
dello Stato subentrer� 
solo in una 
parte 
di 
tale 
contenzioso 
(che 
raggiunge 
anch�esso la 
considerevole 
cifra 
di 
circa 
150.000 affari 
nuovi 
l�anno), ma esso si aggiunger� a quello sopra richiamato. 


�, 
quindi, 
evidente 
la 
gravosit� 
del 
lavoro 
per 
tutti 
i 
componenti 
della 
Avvocatura 
dello Stato, che lo affrontano con impegno e dedizione. 


In questa 
prospettiva 
non posso non ricordare, ed esprimere 
il 
mio personale 
riconoscimento 
al 
Governo, 
per 
averci 
consentito 
l�assunzione 
di 
17 
nuovi 
avvocati 
dello Stato e 
di 
24 procuratori 
e 
di 
aver autorizzato l�indizione 
di 
un 
ulteriore concorso per procuratori dello Stato. 


4. 
Concludo osservando che 
il 
particolare 
momento che 
il 
Paese 
sta 
attraversando 
richiede 
a 
tutte 
le 
Istituzioni 
ed a 
tutti 
noi 
di 
continuare 
a 
profondere 
il 
massimo impegno nell�esercizio dei 
compiti 
che 
ci 
sono affidati. Sono 
certo di 
poterLe 
assicurare, Signor Presidente 
della 
repubblica, che 
l�Avvocatura 
dello 
Stato 
e 
i 
suoi 
componenti 
continueranno 
a 
fare 
ogni 
possibile 
sforzo per essere 
all�altezza 
delle 
rilevanti 
funzioni 
assegnate, e 
di 
non deludere 
la fiducia che quotidianamente viene in noi riposta. 
Grazie, 
Signor 
Presidente 
della 
repubblica, 
grazie 
a 
tutti 
per 
l�attenzione 
che avete prestato alle mie parole. 


Roma, 26 gennaio 2017 
Palazzo di Giustizia, Aula Magna 



rASSEGNA 
AvvOCAturA 
DELLO 
StAtO - N. 4/2016 


CORTE 
DI 
APPELLO 
DI 
ROMA, CERIMONIA 
DI INAUGURAZIONE DELL�ANNO GIUDIZIARIO 2017 


Intervento del Vice 
Avvocato Generale 
Avv. Giuseppe 
Albenzio 


Signor Presidente della Corte d�Appello di Roma, 

Signor Procuratore Generale, 

Autorit�, Giudici e Colleghi, 


porto il 
saluto dell'Avvocatura 
dello Stato e 
mio personale 
in questa 
solenne 
cerimonia. 


L'Avvocatura 
dello Stato � 
impegnata 
su tutti 
i 
fronti 
del 
diritto e 
dell'interesse 
pubblico, il 
suo coinvolgimento nella 
trattazione 
degli 
affari 
che 
interessano 
l'attivit� 
riconducibile 
alla 
Pubblica 
Amministrazione 
� 
totale 
e 
si 
esercita 
dinanzi 
a 
tutte 
le 
Autorit� 
Giudiziarie 
nazionali 
ed internazionali, nei 
giudizi 
sulla 
costituzionalit� 
delle 
leggi, 
nei 
processi 
dinanzi 
alla 
Corte 
di 
Giustizia 
dell'unione 
europea 
e 
in 
quelli 
dinanzi 
alla 
Corte 
europea 
dei 
diritti 
del-
l'uomo di Strasburgo. 


In particolare, l'Avvocatura 
dello Stato � 
presente 
nei 
settori 
di 
contenzioso 
pi� 
critici 
che 
sono 
stati 
menzionati 
dal 
Presidente 
e 
dal 
Procuratore 
Generale 
nelle loro relazioni: mafia, migranti, carceri... 


tutto viene 
affrontato con soli 
355 avvocati 
e 
procuratori 
in servizio, distribuiti 
fra 
25 sedi 
in Italia 
e 
con 165.000 affari 
nuovi 
arrivati 
nel 
solo 2016, 
che 
si 
aggiungono a 
quelli 
pendenti, che 
sono circa 
un milione! A 
questi 
affari 
si 
aggiungeranno, 
nel 
corso 
del 
2017, 
quelli 
della 
nuova 
Agenzia 
delle 
Entrate-
riscossione, cio� altre 150.000 cause! 


Peraltro, 
ci 
dobbiamo 
occupare 
anche 
della 
gestione 
degli 
impiegati 
e 
della 
struttura 
amministrativa 
di 
supporto, mancando nei 
ruoli 
del 
personale 
dell'Avvocatura il livello dirigenziale. 


Ma 
non 
sono 
venuto 
qui 
a 
lamentarmi 
bens� 
a 
portare 
la 
testimonianza 
di 
un 
metodo 
di 
lavoro, 
di 
buon 
lavoro, 
che 
l'Avvocatura 
cerca 
di 
attuare 
nel-
l'espletamento 
dei 
suoi 
compiti 
istituzionali, 
ponendosi 
non 
come 
mera 
"controparte" 
nei 
contenziosi 
dove 
� 
chiamata 
ad 
intervenire 
ma 
come 
"parte 
rappresentativa 
della 
collettivit� 
e 
dei 
suoi 
interessi", 
a 
fianco 
delle 
altre 
Autorit�, 
giudiziarie 
e 
amministrative, 
che 
perseguono 
la 
tutela 
di 
quegli 
interessi. 


Porto ad esempio due 
settori 
che 
sono di 
grande 
impatto nelle 
cronache 
quotidiane e di positivo riscontro per i risultati ottenuti. 


Mi 
riferisco, in primo luogo, all'attivit� 
di 
recupero dei 
beni 
culturali 
illegittimamente 
trafugati ed esportati dal territorio italiano. 


L'Avvocatura 
interviene 
in ambito civile, penale 
ed amministrativo, oltre 
che 
assistere 
il 
Ministero anche 
nelle 
operazioni 
internazionali 
di 
diplomazia 



tEMI 
IStItuzIONALI 


culturale 
con musei 
ed istituti 
culturali 
stranieri, operazioni 
che 
hanno portato 
al rientro in Italia di numerosi reperti. 


Ad esempio, da 
ultimo, nel 
mese 
di 
dicembre 
il 
museo archeologico di 
Copenaghen ha 
restituito, a 
conclusione 
di 
un lungo e 
complesso negoziato, 
il preziosissimo corredo etrusco del "Carro sabino". 


L'Avvocatura, come 
si 
diceva, patrocina 
le 
amministrazioni 
competenti 
sia 
in campo civile 
che 
in campo penale. In ambito penale 
l'Avvocatura 
interviene 
al 
fianco 
del 
Pubblico 
Ministero 
per 
richiedere 
sistematicamente 
la 
confisca 
dei 
reperti 
esportati 
illecitamente, 
anche 
quando 
il 
reato 
-come 
purtroppo 
avviene nella stragrande maggioranza dei casi - si � orami prescritto. 


La 
prescrizione 
� 
spesso fisiologica 
per quei 
reperti 
archeologici 
scavati 
illecitamente 
e 
pervenuti 
presso musei 
stranieri, reperti 
che 
proprio in quanto 
frutto 
di 
scavo 
clandestino, 
sono 
sconosciuti 
alle 
autorit� 
competenti 
e 
alla 
comunit� 
scientifica se non quando appaiono nei musei. 


L'attivit� 
di 
localizzazione 
di 
reperti 
mai 
conosciuti 
� 
particolarmente 
ardua 
e 
dispersiva 
e, 
nel 
momento 
in 
cui 
si 
realizza, 
il 
reato 
� 
ormai 
prescritto. 


Ma 
la 
prescrizione 
non � 
ostativa 
e 
non pu� essere 
ostativa 
alla 
confisca 
e 
quindi 
al 
recupero 
di 
una 
res 
extra 
commercium 
che 
era 
e 
sar� 
sempre 
di 
propriet� dello Stato italiano. 


In 
questo 
l'Avvocatura 
sta 
svolgendo 
una 
intensa 
attivit� 
difensiva 
per 
far 
affermare 
in tutte 
le 
sedi 
la 
intangibilit� 
della 
confisca, forte 
del 
principio ribadito 
dalla 
Corte 
Costituzionale 
nella 
sentenza 
n. 49/2015, ove 
� 
precisato 
che 
nel 
nostro ordinamento non vi 
� 
alcuna 
limitazione 
allo strumento della 
confisca anche in caso di prescrizione del reato. 


La 
confisca 
ha 
un valore 
strategico perch� 
� 
spesso lo strumento pi� efficace 
per tentare 
un'attivit� 
di 
recupero quando i 
beni 
si 
trovino illecitamente 
all'estero 
e 
l'unico 
modo 
per 
farli 
rientrare 
� 
portare 
ad 
esecuzione 
una 
sentenza 
che, in forza 
delle 
convenzioni 
internazionali 
in materia, pu� essere 
richiesta 
pi� agevolmente 
alle 
autorit� 
dello Stato in cui 
il 
bene 
� 
stato abusivamente 
esportato. 


Questa 
iniziativa 
processuale, 
portata 
avanti 
in proficua 
collaborazione 
con gli 
uffici 
della 
Procura 
della 
repubblica 
presso i 
tribunali, si 
affianca 
all'altra 
del 
negoziato 
con 
le 
istituzioni 
culturali 
estere 
ed 
i 
soggetti 
stranieri 
che 
detengono 
il 
bene, 
al 
quale 
partecipa 
attivamente 
l'Avvocatura 
dello 
Stato, 
conducendo le 
complesse 
trattative 
che 
portano alla 
sottoscrizione 
degli 
accordi 
conclusivi. 


I 
risultati 
positivi 
che 
si 
raggiungono 
(e 
dei 
quali 
leggiamo 
spesso 
sui 
giornali) 
sono 
il 
frutto 
del 
rapporto 
di 
collaborazione 
che 
� 
stato 
promosso 
dall'Avvocatura 
dello 
Stato, 
da 
un 
lato, 
con 
le 
Autorit� 
Giudiziarie 
competenti 
(come 
sopra 
abbiamo detto a 
proposito della 
confisca 
dei 
beni 
artistici 
e 
archeologici) 
e, dall'altro lato, con il 
Nucleo per la 
tutela 
del 
Patrimonio Culturale 
dei 
Carabinieri 
e 
con 
la 
Direzione 
generale 
Archeologia 
Belle 
Arti 
e 



rASSEGNA 
AvvOCAturA 
DELLO 
StAtO - N. 4/2016 


Paesaggio 
del 
Ministero 
dei 
Beni 
e 
Attivit� 
Culturali, 
con 
i 
quali 
� 
stato 
creato 
un apposito comitato di coordinamento. 


Il 
secondo 
settore 
di 
intervento 
dell'Avvocatura 
dello 
Stato 
che 
voglio 
qui 
portare 
a 
testimonianza 
della 
complessit� 
e 
rilevanza 
del 
nostro 
lavoro 
� 
quello 
della gestione del vasto contenzioso connesso all'immigrazione. 


Solo 
alcuni 
numeri 
per 
dare 
la 
misura 
dell'impegno 
che 
le 
istituzioni 
coinvolte 
affrontano: 
le 
domande 
di 
protezione 
internazionale 
presentate 
nel 
primo 
semestre 
2016 sono state 
pi� di 
50.000 (soltanto a 
roma 
pi� di 
10.000), con 
una 
percentuale 
di 
diniego 
del 
60% 
circa; 
le 
previsioni 
danno 
questi 
dati 
in 
aumento, 
nel 
2017, 
di 
circa 
il 
32%, 
con 
esponenziale 
aumento 
del 
contenzioso, 
anche 
perch� 
i 
ricorrenti 
non affrontano spese 
legali, essendo ammessi 
al 
gratuito 
patrocinio 
a 
spese 
dello 
Stato 
(istituto 
legittimo 
ma 
ampiamente 
abusato, 
con la 
proposizione 
di 
azioni 
nulle, inammissibili, basate 
su dati 
falsi 
o, comunque, 
infondate). 


In 
quest'ultimo 
campo, 
l'impegno 
dell'Avvocatura 
dello 
Stato 
� 
anche 
nel 
senso di 
opporsi 
alla 
concessione 
di 
patrocini 
gratuiti 
per attivit� 
processuali 
che non li giustificano. 


Sempre 
nel 
campo dell'immigrazione, un posto rilevante 
per l'impegno 
che 
richiedono all'Avvocatura 
dello Stato, oltre 
che 
agli 
uffici 
amministrativi 
competenti 
e 
alla 
Magistratura, sono le 
richieste 
di 
permesso di 
soggiorno per 
coesione 
familiare 
e 
di 
cittadinanza: 
negli 
ultimi 
anni 
le 
istanze 
sono passate 
dalle 
30.000 dell'anno 2006 alle 
oltre 
130.000 del 
2016 e 
sono in costante 
aumento, 
parallelamente all'incremento del fenomeno dell'immigrazione. 


Anche 
in questi 
settori 
il 
nostro impegno � 
al 
massimo delle 
nostre 
forze, 
consapevoli 
che 
� 
in 
gioco 
la 
sicurezza 
nazionale 
e 
la 
tranquillit� 
sociale 
degli 
italiani. 


Dobbiamo dare 
atto che 
i 
positivi 
risultati 
che 
raggiungiamo sono possibili 
anche 
per il 
metodo di 
lavoro in collaborazione 
con le 
altre 
pubbliche 
istituzioni 
coinvolte, 
in 
particolare 
con 
la 
Procura 
Generale 
della 
repubblica 
presso 
la 
Corte 
d'Appello 
di 
roma, 
con 
la 
quale 
abbiamo 
concordato 
uno 
scambio costante 
e 
tempestivo di 
informazioni 
e 
documentazione 
per la 
migliore 
gestione 
del 
contenzioso, 
e 
con 
le 
altre 
Procure 
della 
repubblica 
presso 
i 
tribunali 
di 
tutta 
l'Italia, con le 
quali 
lavoriamo in stretto contatto per la 
gestione 
del 
contenzioso 
conseguente 
alla 
tenuta 
dei 
registri 
di 
stato 
civile 
ed 
alle 
trascrizioni 
degli 
atti 
di 
matrimonio 
e 
adozione, 
anche 
in 
relazione 
a 
provvedimenti 
acquisiti all'estero. 


Il 
messaggio che 
intendo lasciare 
a 
conclusione 
di 
questo mio intervento 
� 
sulla 
utilit� 
di 
una 
collaborazione 
fra 
le 
istituzioni 
pubbliche 
per il 
pi� efficace 
e 
tempestivo adempimento delle 
funzioni 
a 
ciascuno affidate 
e, in particolare, 
per rendere 
giustizia 
nel 
rispetto dei 
diritti 
di 
tutti 
i 
soggetti 
coinvolti, 
pubblici e privati. 



tEMI 
IStItuzIONALI 


Grazie 
per l'attenzione 
e 
buon lavoro a 
tutti 
nel 
nuovo anno giudiziario 
che oggi si apre. 


Roma, 28 gennaio 2017 



rASSEGNA 
AvvOCAturA 
DELLO 
StAtO - N. 4/2016 


Avvocatura 
Generaledello 
Stato 


CIrColAre 
n. 61/2016 
oggetto: Diritto di 
accesso a dati 
e 
documenti 
- Art. 5 d.lgs. 33/2013, come 
modificato dall'art. 6 del 
d.lgs. n. 97/2016. regime 
provvisorio ai 
fini 
delle 
esclusioni e dei limiti all'accesso generalizzato. 


A 
decorrere 
dalla 
data 
del 
23 
dicembre 
2016 
entra 
in 
vigore, 
per 
effetto 
delle 
disposizioni 
transitorie 
di 
cui 
all'art. 42 del 
d.lgs. n. 97/2016, la 
nuova 
disciplina 
del 
"Diritto di 
accesso a 
dati e documenti" (Capo I-bis, artt. 5, 5-bis e 5-ter del novellato d.lgs. n. 33/2013). 


La 
pi� rilevante 
innovazione 
� 
costituita 
dalla 
nuova 
tipologia 
di 
accesso delineata 
dal-
l'art. 5, comma 
2, ai 
sensi 
della 
quale 
"chiunque 
ha diritto di 
accedere 
ai 
dati 
e 
ai 
documenti 
detenuti 
dalle 
pubbliche 
amministrazioni, ulteriori 
rispetto a quelli 
oggetto di 
pubblicazione 
ai 
sensi 
del 
presente 
decreto, nel 
rispetto dei 
limiti 
relativi 
alla tutela di 
interessi 
pubblici 
e 
privati giuridicamente rilevanti, secondo quanto previsto dall'art. 5-bis". 


L'ANAC ha 
recentemente 
definito uno schema 
di 
Linee 
Guida, di 
prossima 
adozione, 
che 
si 
allega 
[omissis], nelle 
quali 
tale 
istituto viene 
denominato "accesso generalizzato", distinguendosi 
dall'"accesso 
civico", 
che 
riguarda 
le 
informazioni 
e 
i 
documenti 
per 
i 
quali 
vige 
l'obbligo di 
pubblicazione, e 
dall'"accesso documentale", gi� 
conosciuto come 
"diritto di 
accesso" 
ai sensi della Legge n. 241/1990. 


L'accesso generalizzato realizza 
il 
principio della 
trasparenza 
e 
del 
diritto all'informazione 
non sottoposti 
ad alcuna 
limitazione 
quanto alla 
legittimazione 
soggettiva 
del 
richiedente, 
"allo 
scopo 
di 
favorire 
forme 
diffuse 
di 
controllo 
sul 
perseguimento 
delle 
funzioni 
istituzionali 
e 
sull�utilizzo 
delle 
risorse 
pubbliche 
e 
di 
promuovere 
la 
partecipazione 
al 
dibattito 
pubblico". 


La 
norma 
pone, peraltro, esclusioni 
e 
limiti 
a 
tale 
diritto, indicati 
nell'art. 5-bis. A 
tale 
proposito 
1'ANAC 
definisce 
le 
esclusioni 
"eccezioni 
assolute", 
che 
ricorrono 
in 
caso 
di 
segreto 
di 
Stato 
e 
negli 
altri 
casi 
di 
divieto 
di 
accesso 
o 
divulgazione 
previsti 
dalla 
legge, 
ivi 
compresi 
i 
casi 
in cui 
l'accesso � 
subordinato dalla 
disciplina 
vigente 
al 
rispetto di 
specifiche 
modalit� 


o limiti, inclusi quelli di cui all'art. 24, comma 1, della legge n. 241 del 1990. 
Con 
riferimento 
a 
quest'ultima 
indicazione 
normativa, 
l'Autorit� 
richiama 
alcune 
disposizioni, 
tra 
le 
quali 
il 
D.P.C.M. 26 novembre 
1996, n. 200 (regolamento recante 
norme 
per la 
disciplina 
di 
categorie 
di 
documenti 
formati 
o comunque 
rientranti 
nell'ambito delle 
attribuzioni 
dell'Avvocatura 
dello Stato sottratti 
al 
diritto di 
accesso), confermando l'esclusione 
per 
segreto 
professionale 
e 
sui 
"pareri 
legali" 
che 
attengono 
al 
diritto 
di 
difesa 
in 
un 
procedimento 
contenzioso. 


Al 
di 
fuori 
dei 
casi 
sopra 
indicati, 
possono 
ricorrere, 
invece, 
limiti, 
che 
I'ANAC 
definisce 
"eccezioni 
relative 
o qualificate", posti 
a 
tutela 
di 
interessi 
pubblici 
e 
privati 
di 
particolare 
rilievo 
giuridico elencati 
ai 
commi 
1 e 
2 dell'art. 5-bis 
del 
decreto trasparenza, sui 
quali 
il 
legislatore 
non 
opera, 
come 
nel 
caso 
delle 
eccezioni 
assolute, 
una 
generale 
e 
preventiva 
individuazione 
di 
esclusioni 
all�accesso generalizzato, ma 
rinvia 
a 
una 
attivit� 
valutativa 
che 
deve 
essere 
effettuata 
dalle 
amministrazioni 
con la 
tecnica 
del 
bilanciamento, caso per caso, 
tra 
l'interesse 
pubblico alla 
disclosure 
generalizzata 
e 
la 
tutela 
di 
altrettanto validi 
interessi 
considerati dall'ordinamento. 


L'amministrazione, cio�, � 
tenuta 
a 
verificare, una 
volta 
accertata 
l'assenza 
di 
eccezioni 



tEMI 
IStItuzIONALI 


assolute, se 
l'ostensione 
degli 
atti 
possa 
determinare 
un pregiudizio concreto e 
probabile 
agli 
interessi indicati dal legislatore. 


Sotto il 
profilo dell'ambito oggettivo, l'accesso civico generalizzato � 
esercitabile 
relativamente 
"ai 
dati 
e 
ai 
documenti 
detenuti 
dalle 
pubbliche 
amministrazioni, ulteriori 
rispetto 
a 
quelli 
oggetto 
di 
pubblicazione 
", 
ossia 
per 
i 
quali 
non 
sussista 
uno 
specifico 
obbligo 
di 
pubblicazione; 
"l'istanza di 
accesso civico identifica i 
dati, le 
informazioni 
o i 
documenti 
richiesti"; 
pertanto non � 
ammissibile 
una 
richiesta 
meramente 
esplorativa, volta 
semplicemente 
a 
"scoprire" 
di 
quali 
informazioni 
l'amministrazione 
dispone. Le 
richieste, inoltre, non devono 
essere 
generiche, 
ma 
consentire 
l'individuazione 
del 
dato, 
del 
documento 
o 
dell'informazione. 


Poich� 
la 
richiesta 
di 
accesso civico generalizzato riguarda 
i 
dati 
e 
i 
documenti 
detenuti 
dalle 
pubbliche 
amministrazioni 
(art. 5, comma 
2 del 
decreto trasparenza), resta 
escluso che 


-per rispondere 
a 
tale 
richiesta 
- l'amministrazione 
sia 
tenuta 
a 
formare 
o raccogliere 
o altrimenti 
procurarsi 
informazioni 
che 
non siano gi� 
in suo possesso. Pertanto, l'amministrazione 
non ha 
l'obbligo di 
rielaborare 
i 
dati 
ai 
fini 
dell'accesso generalizzato, ma 
solo a 
consentire 
l'accesso 
ai 
documenti 
nei 
quali 
siano 
contenute 
le 
informazioni 
gi� 
detenute 
e 
gestite 
dal-
l'amministrazione stessa. 
Se 
l'accesso civico ha 
ad oggetto dati, informazioni 
o documenti 
oggetto di 
pubblicazione 
obbligatoria 
ai 
sensi 
del 
d.lgs. 
n. 
33/2013, 
l'istanza 
deve 
essere 
presentata 
al 
responsabile 
della 
prevenzione 
della 
corruzione 
e 
della 
trasparenza, 
i 
cui 
riferimenti 
sono 
indicati 
nella 
Sezione 
"Amministrazione trasparente" del sito web istituzionale. 


Negli 
altri 
casi, l'istanza 
di 
accesso civico pu� essere 
indirizzata 
direttamente 
all'ufficio 
che detiene i dati, le informazioni o i documenti. 
Si 
vorr� 
informare 
la 
Segreteria 
Generale 
delle 
richieste 
pervenute 
e 
delle 
determinazioni 
assunte in proposito. 


IL SEGrEtArIO GENErALE 
avv. ruggero Di Martino 



rASSEGNA 
AvvOCAturA 
DELLO 
StAtO - N. 4/2016 


Avvocatura 
Generaledello 
Stato 


CIrColAre 
n. 1/2017 
oggetto: Disciplina dei 
criteri 
di 
redazione 
e 
limiti 
dimensionali 
dei 
ricorsi 
e degli altri atti difensivi nel processo amministrativo. 


Si 
comunica 
che, nella 
Gazzetta 
ufficiale 
del 
3 gennaio 2017, n. 2, � 
stato pubblicato 
l�allegato decreto del 
Presidente 
del 
Consiglio di 
Stato, che 
disciplina 
i 
criteri 
di 
redazione 
e 
i limiti dimensionali dei ricorsi e degli altri atti difensivi nel processo amministrativo. 


Il 
decreto 
trova 
applicazione 
per 
le 
controversie 
il 
cui 
termine 
di 
proposizione 
del 
ricorso 
di 
primo grado o di 
impugnazione 
inizi 
a 
decorrere 
trascorsi 
trenta 
giorni 
dalla 
pubblicazione 
del decreto medesimo in Gazzetta ufficiale. 


IL SEGrEtArIO GENErALE 
avv. ruggero Di Martino 


DeCReto 
n. 167 


ConSIGlIo DI STATo 
Il PreSIDenTe 


visto 
l'articolo 
13-ter 
dell'allegato 
II 
al 
decreto 
legislativo 
2 
luglio 
2010, 
n. 
104, 
secondo 
cui 
al 
fine 
di 
consentire 
lo spedito svolgimento del 
giudizio in coerenza 
con i 
principi 
di 
sinteticit� 
e 
chiarezza 
di 
cui 
all'articolo 3, comma 
2, del 
codice 
del 
processo amministrativo, le 
parti 
redigono il 
ricorso e 
gli 
altri 
atti 
difensivi 
secondo i 
criteri 
e 
nei 
limiti 
dimensionali 
stabiliti 
con decreto del 
Presidente 
del 
Consiglio di 
Stato, da 
adottare 
entro il 
31 dicembre 
2016; 


Sentito il Consiglio nazionale forense in data 24 novembre 2016; 


Sentito l'Avvocato generale dello Stato in data 24 novembre 2016; 


Sentite 
le 
associazioni 
degli 
avvocati 
amministrativisti 
in via 
preliminare 
in data 
24 novembre 
2016; 


viste le osservazioni del CNF in data 25 novembre 2016; 


viste le osservazioni dell'Avvocato dello Stato in data 29 novembre 2016; 


viste 
le 
osservazioni 
dell'uNAEP 
(unione 
nazionale 
avvocati 
enti 
pubblici) in data 
28 


novembre 2016 e in data 12 dicembre 2016; 
viste 
le 
osservazioni 
dell'uNAA 
(unione 
nazionale 
degli 
avvocati 
amministrativisti) in 
data 29 novembre 2016 e in data 12 dicembre 2016; 
viste 
le 
osservazioni 
della 
SIAA 
(societ� 
italiana 
degli 
avvocati 
amministrativisti) 
in 
data 12 dicembre 2016; 
visto il 
parere 
del 
Consiglio di 
Presidenza 
della 
giustizia 
amministrativa 
espresso nella 
seduta del 16 dicembre 2016; 
Decreta: 
Articolo 1 


(oggetto) 


I. Il 
presente 
decreto disciplina 
i 
criteri 
di 
redazione 
e 
i 
limiti 
dimensionali 
dei 
ricorsi 
e 
degli 
altri atti difensivi nel processo amministrativo. 
Articolo 2 



tEMI 
IStItuzIONALI 


(Criteri di redazione degli atti processuali di parte) 


1. Fermo quanto disposto dagli 
articoli 
40 e 
101 del 
codice 
del 
processo amministrativo, gli 
atti 
introduttivi 
del 
giudizio, in primo grado o in sede 
di 
impugnazione, i 
ricorsi 
e 
le 
impugnazioni 
incidentali, i motivi aggiunti, l'atto di intervento volontario: 
a) recano distintamente 
la 
esposizione 
dei 
fatti 
e 
dei 
motivi, in parti 
specificamente 
rubricate 
(si 
raccomanda 
la 
ripartizione 
in: 
Fatto/Diritto; 
Fatto/Motivi; 
Fatto 
e 
svolgimento 
dei 
pregressi 
gradi di giudizio/Motivi); 
b) recano in distinti 
paragrafi, specificamente 
titolati, le 
eccezioni 
di 
rito e 
di 
merito, le 
richieste 
di 
rinvio pregiudiziale 
alla 
Corte 
di 
giustizia 
uE, le 
richieste 
di 
rinvio alla 
Corte 
costituzionale, 
le istanze istruttorie e processuali (es. di sospensione, interruzione, riunione); 
c) recano i 
motivi 
e 
le 
specifiche 
domande 
formulate 
in paragrafi 
numerati 
e 
muniti 
di 
titolo; 
d) 
evitano, 
se 
non 
� 
strettamente 
necessario, 
la 
riproduzione 
pedissequa 
di 
parti 
del 
provvedimento 
amministrativo 
o 
giurisdizionale 
impugnato, 
di 
documenti 
e 
di 
atti 
di 
precedenti 
gradi 
di 
giudizio 
mediante 
"copia 
e 
incolta"; 
in 
caso 
di 
riproduzione, 
riportano 
la 
parte 
riprodotta 
tra 
virgolette, 
e/o 
in 
corsivo, 
o 
con 
altra 
modalit� 
atta 
ad 
evidenziarla 
e 
differenziarla 
dall'atto 
difensivo; 
e) 
recano 
in 
modo 
chiaro, 
in 
calce 
alle 
conclusioni 
dell'atto 
processuale 
o 
in 
atto 
allegato 
evidenziato 
nell'indice 
della 
produzione 
documentale, 
l'eventuale 
istanza 
di 
oscuramento 
dei 
dati 
personali 
ai 
sensi 
dell'articolo 
52, 
d.lgs. 
n. 
196/2003 
e 
altre 
istanze 
su 
cui 
il 
giudice 
sia 
tenuto 
a 
pronunciarsi; 
f) ai 
fini 
di 
cui 
all'articolo 4 del 
presente 
decreto, recano, ove 
possibile, una 
impaginazione 
dell'atto che 
consenta 
di 
inserire 
la 
parte 
di 
atto rilevante 
ai 
fini 
dei 
limiti 
dimensionali 
in pagine 
distinte rispetto a quelle contenenti le parti non rilevanti; 
g) 
se 
soggetti 
al 
regime 
del 
processo 
amministrativo 
telematico, 
quando 
menzionano 
documenti 
o 
altri 
atti 
processuali, 
possono 
contenere 
collegamenti 
ipertestuali 
a 
detti 
documenti 
e 
atti; 
h) quando eccedono i 
limiti 
dimensionali 
ordinari 
di 
cui 
all'articolo 3, recano, dopo l'intestazione 
e l'epigrafe, una sintesi e, ove possibile, un sommario. 
2. Gli 
atti 
di 
intervento per ordine 
del 
giudice, le 
memorie, le 
repliche, indicano il 
numero di 
ruolo del 
processo a 
cui 
si 
riferiscono, e 
recano in modo chiaro e 
separato gli 
argomenti 
giuridici, 
nonch�, in appositi 
e 
distinti 
paragrafi, specificamente 
titolati, le 
eccezioni 
di 
rito e 
di 
merito, le 
richieste 
di 
rinvio pregiudiziale 
alla 
Corte 
di 
giustizia 
uE, le 
richieste 
di 
rinvio alla 
Corte 
costituzionale, le 
istanze 
di 
oscuramento dei 
dati 
personali 
e 
le 
altre 
richieste 
su cui 
il 
giudice 
debba 
pronunciarsi. Le 
memorie 
uniche 
relative 
a 
pi� ricorsi 
e 
impugnazioni 
contro 
atti 
plurimi 
recano distintamente 
le 
questioni 
comuni 
e 
le 
questioni 
specifiche 
relative 
ai 
singoli 
ricorsi o impugnazioni. 
Articolo 3 


(Limiti dimensionali degli atti processuali di parte) 


1. Salvo quanto previsto agli 
articoli 
4 e 
5, le 
dimensioni 
dell'atto introduttivo del 
giudizio, 
del 
ricorso 
incidentale, 
dei 
motivi 
aggiunti, 
degli 
atti 
di 
impugnazione 
principale 
ed 
incidentale 
della 
pronuncia 
di 
primo 
grado, 
della 
revocazione 
e 
dell'opposizione 
di 
terzo 
proposti 
avverso 
la 
sentenza 
di 
secondo grado, dell'atto di 
costituzione, dell'atto di 
intervento, del 
regolamento 
di 
competenza, delle 
memorie 
e 
di 
ogni 
altro atto difensivo non espressamente 
disciplinato 
dai 
commi 
seguenti, 
sono 
contenute, 
per 
ciascuno 
di 
tali 
atti, 
nel 
numero 
massimo 
di 
caratteri, 
in conformit� 
alle 
specifiche 
tecniche 
di 
cui 
all'articolo 8, indicati 
di 
seguito per ciascun rito: 
a) nei 
riti 
dell'accesso, del 
silenzio, del 
decreto ingiuntivo (sia 
ricorso che 
opposizione), elettorale 
di 
cui 
all'articolo 
129 
del 
codice 
del 
processo 
amministrativo, 
dell'ottemperanza 
per 
decisioni 
rese 
nell'ambito dei 
suddetti 
riti, dell'ottemperanza 
a 
decisioni 
del 
giudice 
ordinario, e 

rASSEGNA 
AvvOCAturA 
DELLO 
StAtO - N. 4/2016 


in 
ogni 
altro 
rito 
speciale 
non 
espressamente 
menzionato 
nel 
presente 
comma, 
30.000 
caratteri 
(corrispondenti a circa 15 pagine nel formato di cui all'articolo 8); 
b) 
nel 
rito 
ordinario, 
nel 
rito 
abbreviato 
comune 
di 
cui 
all'art. 
119, 
nel 
rito 
appalti, 
nel 
rito 
elettorale 
di 
cui 
all'articolo 
130 
e 
seguenti 
del 
codice 
del 
processo 
amministrativo, 
e 
nei 
giudizi 
di 
ottemperanza 
a 
decisioni 
rese 
nell'ambito 
di 
tali 
riti, 
70.000 
caratteri 
(corrispondenti 
a 
circa 
35 pagine nel formato di cui all'articolo 8); 
c) la 
memoria 
di 
costituzione 
unica 
relativa 
a 
un numero di 
ricorsi 
o impugnazioni 
superiori 
a 
due, 
proposti 
contro 
un 
atto 
plurimo, 
non 
pu� 
eccedere 
le 
dimensioni 
della 
somma 
delle 
singole memorie diviso due. 


2. 
La 
domanda 
di 
misure 
cautelari 
autonomamente 
proposta 
successivamente 
al 
ricorso 
e 
quella 
di 
cui 
all'articolo 111 del 
codice 
del 
processo amministrativo sono contenute, per ciascuno 
di 
tali 
atti, nel 
numero massimo di 
caratteri 
10.000 (corrispondenti 
a 
circa 
5 pagine 
nel 
formato di 
cui 
all'articolo 8) e 
20.000 (corrispondenti 
a 
circa 
10 pagine 
nel 
formato di 
cui 
all'articolo 
8), rispettivamente nei riti di cui al comma 1, lett. a) e b). 
3. Le 
memorie 
di 
replica 
sono contenute, ciascuna, nel 
numero massimo di 
caratteri 
10.000 
(corrispondenti 
a 
circa 
5 pagine 
nel 
formato di 
cui 
all'articolo 8) e 
20.000 (corrispondenti 
a 
circa 
10 pagine 
nel 
formato di 
cui 
all'articolo 8), rispettivamente 
nei 
riti 
di 
cui 
al 
comma 
1, 
lett. a) e b). 
Articolo 4 


(esclusioni dai limiti dimensionali) 


1. Dai 
limiti 
di 
cui 
all'articolo 3, sono escluse 
le 
intestazioni 
e 
le 
altre 
indicazioni 
formali 
del-
l'atto, comprendenti, in particolare: 
- l'epigrafe dell'atto; 
- l'indicazione delle parti e dei difensori e relative formalit�; 
- l'individuazione dell'atto impugnato; 
-il 
riassunto preliminare, di 
lunghezza 
non eccedente 
4.000 caratteri 
(corrispondenti 
a 
circa 
2 pagine nel formato di cui all'articolo 8), che sintetizza i motivi dell'atto processuale; 
- l'indice dei motivi e delle questioni; 
-le 
ragioni, indicate 
in non oltre 
4.000 caratteri 
(corrispondenti 
a 
circa 
2 pagine 
nel 
formato 
di 
cui 
all'articolo 8), per le 
quali 
l'atto processuale 
rientri 
nelle 
ipotesi 
di 
cui 
all'articolo 5 e 
la relativa istanza ai fini di quanto previsto dall'articolo 6; 
- le conclusioni dell'atto; 
-le 
dichiarazioni 
concernenti 
il 
contributo unificato e 
le 
altre 
dichiarazioni 
richieste 
o consentite 
dalla 
legge, 
ivi 
compresa 
l'eventuale 
istanza 
di 
oscuramento 
dei 
dati 
personali 
ai 
sensi 
dell'articolo 52, d.lgs. n. 196/2003; 
- la data e luogo e le sottoscrizioni delle parti e dei difensori; 
- l'indice degli allegati; 
- le procure a rappresentare le parti in giudizio; 
- le relazioni di notifica e le relative richieste e dichiarazioni. 
Articolo 5 


(Deroghe ai limiti dimensionali) 


1. Con il 
decreto di 
cui 
all'articolo 6 possono essere 
autorizzati 
limiti 
dimensionali 
non superiori, 
nel 
massimo, a 
caratteri 
50.000 (corrispondenti 
a 
circa 
25 pagine 
nel 
formato di 
cui 
all'articolo 
8), e 
100.000 (corrispondenti 
a 
circa 
50 pagine 
nel 
formato di 
cui 
all'articolo 8), per 

tEMI 
IStItuzIONALI 


gli 
atti 
indicati 
all'articolo 
3, 
comma 
1, 
e 
rispettivamente 
nei 
riti 
di 
cui 
al 
all'articolo 
3, 
comma 
1, 
lett. 
a) 
e 
b) 
e 
a 
caratteri 
16.000 
(corrispondenti 
a 
circa 
8 
pagine 
nel 
formato 
di 
cui 
all'articolo 
8) e 
30.000 (corrispondenti 
a 
circa 
15 pagine 
nel 
formato di 
cui 
all'articolo 8), per gli 
atti 
indicati 
all'articolo 3, commi 
2 e 
3, e 
rispettivamente 
nei 
riti 
di 
cui 
all'articolo 3, comma 
1, lett. 
a) 
e 
b), 
qualora 
la 
controversia 
presenti 
questioni 
tecniche, 
giuridiche 
o 
di 
fatto 
particolarmente 
complesse 
ovvero attenga 
ad interessi 
sostanziali 
perseguiti 
di 
particolare 
rilievo anche 
economico, 
politico e 
sociale, o alla 
tutela 
di 
diritti 
civili, sociali 
e 
politici; 
a 
tal 
fine 
vengono valutati, 
esemplificativamente, il 
valore 
della 
causa, ove 
comunque 
non inferiore 
a 
50 milioni 
di 
euro 
nel 
rito 
appalti, 
determinato 
secondo 
i 
criteri 
relativi 
al 
contributo 
unificato; 
il 
numero 
e 
l'ampiezza 
degli 
atti 
e 
provvedimenti 
effettivamente 
impugnati, 
la 
dimensione 
della 
sentenza 
gravata, l'esigenza 
di 
riproposizione 
di 
motivi 
dichiarati 
assorbiti 
ovvero di 
domande 
od eccezioni 
non esaminate, la 
necessit� 
di 
dedurre 
distintamente 
motivi 
rescindenti 
e 
motivi 
rescissori, 
l'avvenuto riconoscimento della 
presenza 
dei 
presupposti 
di 
cui 
al 
presente 
articolo 
nel 
precedente 
grado del 
giudizio, la 
rilevanza 
della 
controversia 
in relazione 
allo stato economico 
dell'impresa; 
l'attinenza 
della 
causa, nel 
rito appalti, a 
taluna 
delle 
opere 
di 
cui 
all'articolo 
125 del codice del processo amministrativo. 


2. Con il 
decreto di 
cui 
all'articolo 6 pu� essere 
consentito un numero di 
caratteri 
superiore 
a 
quelli 
indicati 
al 
comma 
1, qualora 
i 
presupposti 
di 
cui 
al 
medesimo comma 
1 siano di 
straordinario 
rilievo, 
tale 
da 
non 
permettere 
una 
adeguata 
tutela 
nel 
rispetto 
dei 
limiti 
dimensionali 
da esso previsti. 
3. 
Nei 
casi 
di 
cui 
ai 
commi 
1 
e 
2, 
� 
sempre 
redatto 
il 
riassunto 
preliminare 
dei 
motivi 
proposti. 
Articolo 6 


(Procedimento di autorizzazione al superamento dei limiti dimensionali) 


1. La 
valutazione 
in ordine 
alla 
sussistenza 
dei 
presupposti 
di 
cui 
all'articolo 5 � 
effettuata 
dal 
Presidente, rispettivamente, del 
Consiglio di 
Stato, del 
Consiglio di 
giustizia 
amministrativa 
per la 
regione 
Siciliana, del 
tribunale 
amministrativo regionale, del 
tribunale 
regionale 
di 
giustizia 
amministrativa 
- sezione 
autonoma 
di 
trento o di 
Bolzano adito, o dal 
magistrato a 
ci� delegato. 
2. 
A 
tal 
fine 
il 
ricorrente, 
principale 
o 
incidentale, 
formula 
in 
calce 
allo 
schema 
di 
ricorso, 
istanza 
motivata, sulla 
quale 
il 
Presidente 
o il 
magistrato delegato si 
pronuncia 
con decreto 
entro 
i 
tre 
giorni 
successivi. 
Nell'ambito 
del 
processo 
amministrativo 
telematico 
detto 
decreto 
� 
automaticamente 
indirizzato, dopo la 
firma 
elettronica 
del 
magistrato e 
del 
segretario, all'indirizzo 
PEC della parte istante. 
3. In caso di 
mancanza 
o di 
tardivit� 
della 
pronuncia 
l'istanza 
si 
intende 
accolta 
nei 
limiti 
di 
cui all'articolo 5 comma 1. 
4. Il 
decreto favorevole 
ovvero l'attestazione 
di 
segreteria 
o l'autodichiarazione 
del 
difensore 
circa 
l'avvenuto decorso del 
termine 
in assenza 
dell'adozione 
del 
decreto sono notificati 
alle 
controparti unitamente al ricorso. 
5. 
I 
successivi 
atti 
difensivi 
di 
tutte 
le 
parti 
seguono, 
nel 
relativo 
grado 
di 
giudizio, 
il 
medesimo 
regime dimensionale. 
6. Analoga 
istanza 
pu� essere 
formulata 
da 
una 
parte 
diversa 
dal 
ricorrente 
principale, limitatamente 
alla 
memoria 
di 
costituzione, 
in 
calce 
allo 
schema 
di 
atto 
processuale, 
su 
cui 
si 
provvede 
con il 
procedimento del 
presente 
comma. In tal 
caso il 
decreto favorevole, ovvero 
l'attestazione 
di 
segreteria 
o 
l'autodichiarazione 
dei 
difensore 
circa 
l'avvenuto 
decorso 
del 
termine 
in assenza 
dell'adozione 
del 
decreto, sono depositati 
unitamente 
alla 
memoria 
di 
costi

rASSEGNA 
AvvOCAturA 
DELLO 
StAtO - N. 4/2016 


tuzione, 
e 
di 
essi 
si 
fa 
menzione 
espressa 
in 
calce 
alla 
memoria 
di 
costituzione; 
gli 
atti 
difensivi 
successivi 
alla 
memoria 
di 
costituzione, di 
tutte 
le 
parti, seguono il 
medesimo regime 
dimensionale 
nel relativo grado di giudizio. 


Articolo 7 


(Autorizzazione successiva del superamento dei limiti dimensionali) 


1. In caso di 
superamento dei 
limiti 
dimensionali 
non autorizzato preventivamente 
ai 
sensi 
dell'articolo 6, per gravi 
e 
giustificati 
motivi 
il 
giudice, su istanza 
della 
parte 
interessata, pu� 
successivamente 
autorizzare, in tutto o in parte, l'avvenuto superamento dei 
limiti 
dimensionali; 
� 
in ogni 
caso fatta 
salva 
la 
facolt� 
della 
parte 
di 
indicare 
gli 
argomenti 
o i 
motivi 
cui 
intende 
rinunciare. 
Articolo 8 


(Specifiche tecniche) 


1. Ai fini delle disposizioni precedenti; 
a) nel conteggio del numero massimo di caratteri non si computano gli spazi; 
b) 
fermo 
restando 
il 
numero 
massimo 
di 
caratteri, 
gli 
atti 
sono 
ordinariamente 
redatti 
sull'equivalente 
digitale 
di 
foglio 
A4 
nonch� 
su 
foglio 
A4 
per 
le 
copie 
o 
gli 
originali 
cartacei 
prescritti 
dalle 
disposizioni 
vigenti, mediante 
caratteri 
di 
tipo corrente 
e 
di 
agevole 
lettura 
(ad es. 
times 
New 
roman, Courier, Garamond) e 
preferibilmente 
di 
dimensioni 
di 
14 pt, con un'interlinea 
di 
1,5 e 
margini 
orizzontali 
e 
verticali 
di 
cm. 2,5 (in alto, in basso, a 
sinistra 
e 
a 
destra 
della pagina). Non sono consentite note a pi� di pagina. 
2. In caso di 
utilizzo di 
caratteri, spaziature 
e 
formati 
diversi 
da 
quelli 
indicati 
al 
comma 
1, ne 
deve 
essere 
possibile 
la 
conversione 
in conformit� 
alle 
specifiche 
tecniche 
sopra 
indicate, e 
resta fermo il limite massimo di caratteri calcolato con i criteri di cui al comma 1. 
Articolo 9 


(Disciplina transitoria) 


1. Il 
presente 
decreto si 
applica 
alle 
controversie 
il 
cui 
termine 
di 
proposizione 
del 
ricorso di 
primo grado o di 
impugnazione 
inizi 
a 
decorrere 
trascorsi 
trenta 
giorni 
dalla 
pubblicazione 
del decreto medesimo sulla Gazzetta ufficiale. 
Articolo 10 


(Monitoraggio) 


1. 
Ai 
sensi 
dell'articolo 
13-ter, 
comma 
4, 
dell'allegato 
II 
al 
codice 
del 
processo 
amministrativo, 
il 
presente 
decreto sar� 
aggiornato periodicamente 
in relazione 
agli 
esiti 
del 
monitoraggio disposto 
dal Consiglio di presidenza della giustizia amministrativa. 
2. In prima 
applicazione, l'aggiornamento del 
presente 
decreto sar� 
comunque 
disposto entro 
un anno dalla sua pubblicazione in Gazzetta ufficiale. 
Il presente decreto sar� pubblicato nella Gazzetta ufficiale della repubblica italiana. 
roma, 22/12/2016 


Alessandro Pajno 



ContenziosonazionaLe
Canoni del demanio marittimo: il secondo atto della Consulta 
sulla rideterminazione in forza della Legge finanziaria 2007 


Nota 
a 
Corte 
CostituzioNale, seNteNza 
27 geNNaio 
2017 N. 29 


Ivan Michele Triolo* 


La 
Corte 
costituzionale, 
con 
sentenza 
n. 
29 
del 
27 
gennaio 
2017, 
� 
tornata 
a 
pronunciarsi 
sull�ormai 
annosa 
questione 
della 
rideterminazione 
dei 
canoni 
del 
demanio 
marittimo 
per 
effetto 
della 
legge 
27 
dicembre 
2006, 
n. 
296 
(legge 
finanziaria 
2007). 
Trattasi, 
comՏ 
noto, 
della 
previsione 
legislativa 
(art. 
1, 
commi 
251-252, legge 
cit.) che 
ha 
modificato i 
criteri 
di 
calcolo dei 
canoni 
dovuti 
dai 
concessionari 
di 
beni 
demaniali, 
al 
fine 
di 
garantire 
maggiori 
entrate 
allo Stato e 
- soprattutto - di 
allineare 
la 
posizione 
dei 
concessionari 
a 
quelle 
dei 
locatari 
privati, 
ridimensionando 
l�indebita 
posizione 
di 
vantaggio 
che 
per 
anni ha contraddistinto i primi sul piano economico. 

Il 
nuovo 
meccanismo 
di 
quantificazione 
dei 
canoni, 
basato 
sui 
valori 
indicati 
dall�Osservatorio 
del 
Mercato 
Immobiliare, 
si 
� 
ben 
presto 
rivelato 
fonte 
di 
un 
cospicuo 
contenzioso 
che 
ha 
visto 
contrapporsi 
-da 
un 
lato 
-i 
concessionari 
e 
-dall�altro 
-l�Agenzia 
del 
Demanio, 
i 
Comuni 
costieri 
e, 
in 
alcuni 
casi, 
le 
Regioni 
(1). 


(*) Dottore 
in Giurisprudenza, ammesso alla 
pratica 
forense 
presso l�Avvocatura 
dello Stato di 
Bologna. 


(1) L�art. 105 del 
d.lgs. 31 marzo 1998, n. 112, ha 
conferito alle 
Regioni 
la 
competenza 
al 
rilascio 
delle 
concessioni 
di 
beni 
del 
demanio marittimo e 
di 
zone 
del 
mare 
territoriale 
per finalit� 
diverse 
da 
quelle 
di 
approvvigionamento di 
fonti 
di 
energia, esclusi 
i 
porti 
finalizzati 
alla 
difesa 
militare 
e 
alla 
sicurezza 
dello Stato, i 
porti 
di 
rilevanza 
economica 
nazionale 
ed internazionale, nonch� 
le 
aree 
di 
preminente 
interesse 
nazionale 
individuate 
con decreto del 
Presidente 
del 
Consiglio dei 
Ministri. Sulla 
base 
di 
tale 
conferimento, 
diverse 
Regioni 
hanno 
poi 
provveduto 
a 
delegare 
le 
relative 
funzioni 
amministrative 
ai 
Comuni, che 
risultano quindi 
competenti 
in materia 
di 
gestione 
dei 
beni 
demaniali, ivi 
compresi 
il 
rilascio 
delle concessioni e la quantificazione dei canoni. 

RASSeGnA 
AVVOCATuRA 
DeLLO 
STATO - n. 4/2016 


In 
tale 
contesto, 
la 
Corte 
costituzionale 
si 
� 
pronunciata, 
per 
la 
prima 
volta, con la 
nota 
sentenza 
n. 302 del 
22 ottobre 
2010, la 
quale 
- rigettando le 
questioni 
di 
costituzionalit� 
sollevate 
dai 
rimettenti 
- ha 
sancito la 
legittimit�, 
in riferimento agli 
artt. 3, 53 e 
97 Cost., dei 
nuovi 
criteri 
di 
calcolo previsti 
dall�art. 1, comma 
251, della 
legge 
27 dicembre 
2006, n. 296, anche 
relativamente 
ai 
rapporti 
concessori 
in corso. La 
disposizione 
in esame 
- secondo la 
Corte 
- �[...] 
lungi 
dal 
ledere 
i 
principi 
dell'affidamento dei 
cittadini 
nella sicurezza 
dei 
rapporti 
giuridici, si 
inserisce 
in una precisa linea evolutiva della 
disciplina dell'utilizzazione 
dei 
beni 
demaniali, volta, in conformit� degli 
art. 
3 e 
97 Cost., ad avvicinare 
i 
valori 
di 
tali 
beni 
a quelli 
di 
mercato, sulla base 
cio� 
delle 
potenzialit� 
degli 
stessi 
di 
produrre 
reddito 
in 
un 
contesto 
specifico, 
in 
modo 
da 
consentire 
allo 
stato 
una 
maggiorazione 
delle 
entrate 
e 
di 
rendere 
i 
canoni 
pi� equilibrati 
rispetto a quelli 
pagati 
in favore 
di 
locatori 
privati, 
nell'interesse 
della generalit� dei 
cittadini, diminuendo proporzionalmente 
i 
vantaggi 
dei 
soggetti 
particolari 
che 
assumono 
la 
veste 
di 
concessionari�. 
Inoltre 
- concludeva 
la 
Consulta 
-�[...] 
deve 
escludersi 
la denunciata lesione 
dell'affidamento dei 
cittadini 
nella sicurezza dei 
rapporti 
giuridici, che 
deriverebbe 
dall'incidenza 
sui 
rapporti 
in 
corso 
dei 
nuovi 
criteri 
di 
determinazione 
dei 
canoni 
concessori, 
cos� 
come 
non 
sussiste 
n� 
la 
lamentata 
discriminazione 
tra utilizzatori 
di 
pertinenze 
demaniali 
marittime 
e 
soggetti 
locatari 
di 
aree 
di 
propriet� privata, giacch� 
l'intervenuto aumento dei 
canoni 
riduce 
l'ingiustificata 
posizione 
di 
vantaggio di 
chi 
possa, nel 
medesimo contesto territoriale, 
usufruire 
di 
concessioni 
demaniali 
rispetto a chi, invece, sia costretto a 
rivolgersi al mercato immobiliare�. 


Con la 
sentenza 
n. 29 del 
27 gennaio 2017, la 
Corte 
costituzionale 
� 
tornata 
nuovamente 
a 
pronunciarsi 
sulla 
questione 
controversa 
della 
rideterminazione 
dei 
canoni 
con riferimento ai 
rapporti 
in essere 
alla 
data 
di 
entrata 
in 
vigore 
della 
Legge 
finanziaria 
2007, 
vagliando 
questa 
volta 
la 
legittimit� 
della 
disposizione 
di 
cui 
all�art. 
1, 
comma 
252, 
della 
legge 
cit., 
riguardo 
alle 
strutture 
dedicate alla nautica da diporto (2). 

La 
Consulta 
ha 
rigettato le 
questioni 
di 
costituzionalit� 
rimesse, con riferimento 
agli 
artt. 3 e 
41 Cost., dal 
Consiglio di 
Stato e 
dal 
T.A.R. Toscana. In 
particolare, 
i 
rimettenti 
censuravano 
la 
disposizione 
sopra 
indicata 
ravvisando 


-in relazione 
all�art. 3 Cost. - la 
lesione 
dell�affidamento ingenerato rispetto 
ai 
rapporti 
in corso e 
l�irragionevole 
equiparazione 
di 
questi 
ultimi 
alle 
nuove 
concessioni, nonch� 
- sotto il 
profilo dell�art. 41 Cost. - l�irragionevole 
frustrazione 
delle 
scelte 
imprenditoriali 
programmate 
precedentemente 
all�entrata 
in vigore 
dei 
nuovi 
criteri 
di 
calcolo. Sul 
primo punto, invero, la 
Corte 
costituzionale 
ha 
pi� volte 
affermato che 
il 
Legislatore, qualora 
interessi 
pubblici 
(2) Trattasi 
dei 
c.d. porti 
turistici. Sula 
classificazione 
dei 
porti, si 
veda 
G. TeLLARInI, i porti 
e 
le 
classificazioni, in riv. dir. econ. trasp. ambiente 
(rivista 
online), VI, 2008. 

COnTenzIOSO 
nAzIOnALe 


sopravvenuti 
lo richiedano, pu� emanare 
disposizioni 
che 
incidano finanche 
in 
senso 
sfavorevole 
sulla 
disciplina 
dei 
rapporti 
di 
durata, 
essendo 
unicamente 
necessario che 
tali 
disposizioni 
non trasmodino in un regolamento irragionevole 
che 
frusti 
l'affidamento del 
cittadino nella 
sicurezza 
giuridica, e 
che 
sia 
rispettato l�ovvio limite 
della 
proporzionalit� 
di 
siffatta 
incisione 
rispetto agli 
obiettivi 
di 
interesse 
pubblico 
perseguiti 
(ex 
multis, 
in 
materia 
di 
canoni, 
si 
veda Corte cost., 7 luglio 2005, n. 264). 


Ferma 
restando 
la 
perdurante 
validit� 
dei 
principi 
espressi 
con 
la 
sentenza 


n. 
302 
del 
22 
ottobre 
2010 
(a 
cui 
si 
rinvia 
per 
brevit�), 
la 
Corte 
ha 
tuttavia 
fornito 
un�interpretazione 
costituzionalmente 
conforme 
del 
comma 
252 dell�art. 
1 della 
legge 
27 dicembre 
2006, n. 296, che 
�[...] 
porta ad escludere 
l�applicabilit�, 
generale 
ed indifferenziata, dei 
canoni 
commisurati 
ai 
valori 
di 
mercato 
a 
tutte 
le 
concessioni 
di 
strutture 
dedicate 
alla 
nautica 
da 
diporto, 
rilasciate 
prima 
della 
entrata 
in 
vigore 
della 
disposizione 
in 
esame�. 
nello 
specifico, la 
Consulta 
muove 
dal 
disposto dell�art. 3 del 
d.l. 5 ottobre 
1993, n. 
400 (come 
modificato dall�art. 1, comma 
251, della 
legge 
27 dicembre 
2006, 
n. 296), secondo cui 
i 
nuovi 
criteri 
di 
calcolo si 
applicano alle 
concessioni 
demaniali 
marittime 
comprensive 
di 
strutture 
permanenti, costituenti 
pertinenze 
demaniali, destinate 
ad attivit� 
commerciali, terziario-direzionali 
e 
di 
produzione 
di 
beni 
e 
servizi. Il 
tenore 
letterale 
della 
norma, ad avviso dei 
Giudici 
costituzionali, 
fa 
dunque 
espresso 
riferimento 
alle 
opere 
che 
gi� 
appartengono 
allo Stato. ComՏ 
noto, la 
propriet� 
statale 
sui 
beni 
di 
difficile 
rimozione 
edificati 
su 
suolo 
demaniale 
marittimo 
dato 
in 
concessione 
si 
costituisce 
solo 
alla 
scadenza 
della 
concessione 
stessa, con il 
c.d. incameramento dei 
beni 
de 
qui-
bus 
ai 
sensi 
dell�art. 49, comma 
1 (3), cod. nav. Pertanto, conclude 
la 
Corte, 
�[...] 
nelle 
concessioni 
che 
prevedono 
la 
realizzazione 
di 
infrastrutture 
da 
parte 
del 
concessionario, 
il 
pagamento 
del 
canone 
riguarda 
soltanto 
l�utilizzo 
del 
suolo 
e 
non 
anche 
i 
manufatti, 
sui 
quali 
medio 
tempore 
insiste 
la 
propriet� 
superficiaria dei 
concessionari 
e 
lo stato non vanta alcun diritto di 
superficie
�. 
Ci�, 
in 
definitiva, 
comporta 
l�applicabilit� 
della 
rideterminazione 
dei 
canoni 
solo con riferimento al 
suolo ed alle 
pertinenze 
gi� 
esistenti 
alla 
data 
del 
rilascio 
della 
concessione, 
con 
esclusione 
delle 
strutture 
permanenti 
realizzate 
dai concessionari in forza degli stessi atti concessori. 
(3) 
�salvo 
che 
sia 
diversamente 
stabilito 
nell'atto 
di 
concessione, 
quando 
venga 
a 
cessare 
la 
concessione, 
le 
opere 
non 
amovibili, 
costruite 
sulla 
zona 
demaniale, 
restano 
acquisite 
allo 
stato, 
senza 
alcun compenso o rimborso, salva la facolt� dell'autorit� concedente 
di 
ordinarne 
la demolizione 
con 
la restituzione del bene demaniale nel pristino stato�. 

RASSeGnA 
AVVOCATuRA 
DeLLO 
STATO - n. 4/2016 


Corte 
costituzionale, 
sentenza 
27 
gennaio 
2017, 
n. 
29 
-Pres. 
Grossi, 
red. 
Amato 
-Giudizio 
di 
legittimit� 
costituzionale 
dell�art. 1, comma 
252, della 
legge 
27 dicembre 
2006, n. 296, recante 
�Disposizioni 
per la 
formazione 
del 
bilancio annuale 
e 
pluriennale 
dello Stato (legge 
finanziaria 
2007)�, promosso dal 
Consiglio di 
Stato con ordinanza 
del 
30 gennaio 2015 e 
dal 
Tribunale 
amministrativo regionale 
per la 
Toscana 
con ordinanze 
dell'8 maggio 2015 e 
del 
30 giugno 2015. 


Considerato in diritto 


1.� 
Il 
Consiglio 
di 
Stato 
ed 
il 
Tribunale 
amministrativo 
regionale 
per 
la 
Toscana 
hanno 
sollevato 
- in riferimento agli 
artt. 3 e 
41 Cost. - questione 
di 
legittimit� 
costituzionale 
dell�art. 
1, 
comma 
252, 
della 
legge 
27 
dicembre 
2006, 
n. 
296, 
recante 
�Disposizioni 
per 
la 
formazione 
del 
bilancio annuale 
e 
pluriennale 
dello Stato (legge 
finanziaria 
2007)�, nella 
parte 
in cui 
determina 
- anche 
con riferimento ai 
rapporti 
concessori 
in corso - la 
misura 
dei 
canoni 
per le 
concessioni 
di 
beni 
del 
demanio marittimo per la 
realizzazione 
e 
la 
gestione 
di 
strutture 
dedicate 
alla nautica da diporto. 


2.� 
Le 
tre 
ordinanze 
di 
rimessione 
pongono 
questioni 
identiche, 
o 
tra 
loro 
strettamente 
connesse, 
in relazione alla normativa censurata. 


ed 
invero, 
tutti 
i 
giudici 
rimettenti 
-ravvisando 
la 
violazione 
dei 
medesimi 
parametri 
costituzionali 
-censurano 
la 
disposizione 
sopra 
indicata, 
che 
disciplina 
la 
misura 
dei 
canoni 
per 
le 
concessioni 
di 
beni 
del 
demanio 
marittimo, 
nella 
parte 
in 
cui 
essa 
si 
applica 
anche 
ai 
rapporti 
in 
corso. 


I giudizi, pertanto, vanno riuniti 
per essere 
congiuntamente 
esaminati 
e 
decisi 
con unica 
pronuncia. 


(...) 
4.� 
Va, 
inoltre, 
rilevata 
l�inammissibilit� 
delle 
deduzioni 
svolte 
dalla 
difesa 
della 
Pro.Mo.Mar. spa, in riferimento alla 
violazione 
dell�art. 97 Cost., e 
dalla 
difesa 
della 
Marina 
di 
Punta 
Ala 
spa, in riferimento al 
contrasto con il 
principio di 
non discriminazione 
stabilito 
dall�art. 21 della 
Carta 
dei 
diritti 
fondamentali 
dell�unione 
europea 
- proclamata 
a 
nizza 
il 
7 
dicembre 
2000, e 
con i 
principi 
stabiliti 
dal 
Trattato sul 
funzionamento dell�unione 
europea 
(TFue), sottoscritto a 
Roma 
il 
25 marzo 1957, ed in particolare 
con l�art. 18 (non discriminazione), 
l�art. 49 (libert� di stabilimento) e l�art. 56 (libert� di prestazione dei servizi). 


Tali 
censure 
sono inammissibili, in quanto volte 
ad estendere 
il 
thema 
decidendum, quale 
definito nelle ordinanze di rimessione. 


Infatti, 
per 
costante 
giurisprudenza 
di 
questa 
Corte, 
l�oggetto 
del 
giudizio 
di 
legittimit� 
costituzionale 
in 
via 
incidentale 
� 
limitato 
alle 
disposizioni 
e 
ai 
parametri 
indicati 
nelle 
ordinanze 
di 
rimessione; 
non possono, pertanto, essere 
presi 
in considerazione, oltre 
i 
limiti 
in queste 
fissati, ulteriori 
questioni 
o profili 
di 
costituzionalit� 
dedotti 
dalle 
parti, sia 
eccepiti, ma 
non 
fatti 
propri 
dal 
giudice 
a 
quo, sia 
volti 
ad ampliare 
o modificare 
successivamente 
il 
contenuto 
delle stesse ordinanze (ex plurimis, sentenze n. 96 del 2016; n. 231 e n. 83 del 2015). 


5.� La questione sollevata in riferimento agli artt. 3 e 41 Cost. non � fondata. 


5.1.� 
La 
disposizione 
censurata 
sostituisce 
il 
previgente 
comma 
3 
dell�art. 
3 
del 
decreto-
legge 
5 
ottobre 
1993, 
n. 
400 
(Disposizioni 
per 
la 
determinazione 
dei 
canoni 
relativi 
a 
concessioni 
demaniali 
marittime), 
convertito, 
con 
modificazioni, 
dalla 
legge 
4 
dicembre 
1993, 
n. 
494. 


essa 
prevede 
che: 
�3. Le 
misure 
dei 
canoni 
di 
cui 
al 
comma 
1, lettera 
b), si 
applicano, a 
decorrere 
dal 
1� 
gennaio 2007, anche 
alle 
concessioni 
dei 
beni 
del 
demanio marittimo e 
di 
zone 
del 
mare 
territoriale 
aventi 
ad oggetto la 
realizzazione 
e 
la 
gestione 
di 
strutture 
dedicate 
alla 
nautica 
da 
diporto�. Vengono, quindi, estesi 
alle 
concessioni 
di 
strutture 
per la 
nautica 
da 



COnTenzIOSO 
nAzIOnALe 


diporto 
i 
medesimi 
criteri 
di 
determinazione 
dei 
canoni 
dettati 
per 
le 
concessioni 
aventi 
finalit� 
turistico-ricreative. 


5.2.� 
I 
giudici 
a 
quibus 
dubitano 
della 
legittimit� 
costituzionale 
di 
siffatta 
estensione, 
ravvisando 
il 
contrasto 
con 
l�art. 
3 
Cost., 
sotto 
il 
profilo 
della 
lesione 
dell�affidamento 
ingenerato 
rispetto 
ai 
rapporti 
concessori 
in 
corso, 
per 
l�incremento 
rilevante 
e 
repentino 
della 
misura 
dei 
canoni 
delle 
concessioni 
per 
la 
realizzazione 
e 
la 
gestione 
di 
infrastrutture 
per 
la 
nautica. 
�, 
inoltre, 
denunciata 
l�irragionevole 
equiparazione 
delle 
concessioni 
gi� 
rilasciate 
a 
quelle 
nuove, 
nonch� 
delle 
concessioni 
di 
strutture 
per 
la 
nautica 
da 
diporto 
a 
quelle 
per 
finalit� 
turistico-ricreative. 


Ad avviso dei 
giudici 
rimettenti, la 
disposizione 
in esame 
si 
porrebbe, altres�, in contrasto 
con l�art. 41 Cost., poich� 
determinerebbe 
�l�effetto irragionevole 
di 
frustrare 
le 
scelte 
imprenditoriali 
modificando gli elementi costitutivi dei relativi rapporti contrattuali in essere�. 


5.3.� Va, innanzitutto, rilevato che 
la 
nuova 
disciplina 
dettata 
dalla 
legge 
finanziaria 
2007 
modifica 
il 
precedente 
impianto normativo, contenuto nell�art. 3 del 
decreto-legge 
5 ottobre 
1993, n. 400 (Disposizioni 
per la 
determinazione 
dei 
canoni 
relativi 
a 
concessioni 
demaniali 
marittime), prevedendo una 
nuova 
modulazione 
dei 
criteri 
di 
quantificazione 
dei 
canoni. Accanto 
al 
canone 
cosiddetto 
tabellare, 
che 
continua 
ad 
applicarsi 
per 
le 
concessioni 
previste 
dall�art. 
03, 
comma 
1, 
lettera 
b), 
n. 
1, 
� 
introdotto 
un 
canone 
commisurato 
al 
valore 
di 
mercato, 
sia pure mitigato da alcuni accorgimenti e abbattimenti (art. 03, comma 1, lettera b, n. 2.1). 


La 
previsione 
del 
canone 
commisurato al 
valore 
di 
mercato costituisce 
un elemento di 
novit�, 
particolarmente 
significativo, 
introdotto 
dai 
commi 
251 
e 
252 
della 
legge 
n. 
296 
del 
2006. Come 
gi� 
osservato nella 
sentenza 
n. 302 del 
2010, la 
ratio di 
tale 
innovazione 
consiste 
nel 
perseguimento 
di 
obiettivi 
di 
equit� 
e 
razionalizzazione 
dell�uso 
dei 
beni 
demaniali, 
senza 
trascurare 
determinate 
categorie 
di 
utilizzatori, per le 
quali 
sono previste 
specifiche 
misure 
agevolative (art. 3, comma l, lettera c, del d.l. n. 400 del 1993). 


In 
particolare, 
sono 
soggette 
all�applicazione 
del 
canone 
commisurato 
al 
valore 
di 
mercato 
le 
concessioni 
comprensive 
di 
strutture 
costituenti 
�pertinenze 
demaniali 
marittime 
destinate 
ad 
attivit� 
commerciali, 
terziario-direzionali 
e 
di 
produzione 
di 
beni 
e 
servizi� 
(art. 
3, 
comma 
1, 
lettera 
b, 
n. 
2.1, 
del 
d.l. 
n. 
400 
del 
1993). 
Il 
riferimento 
testuale 
�, 
pertanto, 
alle 
opere 
costituenti 
pertinenze 
demaniali 
marittime, 
come 
qualificate 
dall�art. 
29 
del 
codice 
della 
navigazione. 


5.4.. 
nel 
sostenere 
la 
censura 
di 
irragionevolezza 
dell�estensione 
di 
tale 
disciplina 
alle 
concessioni 
per 
la 
nautica 
da 
diporto, 
le 
tre 
ordinanze 
di 
rimessione 
si 
fondano 
su 
comuni 
presupposti ermeneutici, i quali debbono essere sottoposti a verifica. 


In primo luogo, i 
rimettenti 
ritengono che 
i 
nuovi 
canoni 
commisurati 
ai 
valori 
di 
mercato 
debbano essere 
applicati 
anche 
ai 
rapporti 
concessori 
in corso alla 
data 
di 
entrata 
in vigore 
della legge n. 296 del 2006. 


L�impostazione 
dei 
giudici 
rimettenti 
fa 
leva, inoltre, su un ulteriore 
assunto, relativo al-
l�applicabilit� 
dei 
medesimi 
canoni 
anche 
alle 
opere 
realizzate 
dal 
concessionario in esecuzione 
del 
rapporto concessorio, prima 
che 
le 
stesse 
siano acquisite 
in propriet� 
da 
parte 
dello 
Stato e 
abbiano, quindi, formalmente 
assunto la 
qualit� 
di 
pertinenze 
del 
demanio marittimo. 


Tuttavia, nella 
loro assolutezza, gli 
assunti 
sui 
quali 
si 
fondano l�interpretazione 
dei 
rimettenti 
e la denunciata illegittimit� costituzionale non possono essere condivisi. 


5.5.� Va 
preliminarmente 
evidenziato che 
- con riferimento alle 
concessioni 
demaniali 
per 
attivit� 
turistico-ricreative 
- la 
legittimit� 
dei 
nuovi 
criteri 
di 
calcolo dei 
canoni 
� 
gi� 
stata 
riconosciuta 
da questa Corte nella sentenza n. 302 del 2010. 


In 
questa 
pronuncia 
� 
stato 
rilevato, 
in 
particolare, 
che 
�gli 
interventi 
legislativi, 
volti 
ad 
adeguare 
i 
canoni 
di 
godimento 
dei 
beni 
pubblici, 
hanno 
lo 
scopo, 
conforme 
agli 
artt. 
3 
e 
97 



RASSeGnA 
AVVOCATuRA 
DeLLO 
STATO - n. 4/2016 


Cost., 
di 
consentire 
allo 
Stato 
una 
maggiorazione 
delle 
entrate 
e 
di 
rendere 
i 
canoni 
pi� 
equilibrati 
rispetto 
a 
quelli 
pagati 
in 
favore 
di 
locatori 
privati 
(sentenza 
n. 
88 
del 
1997). 
Del 
resto, 
un 
consistente 
aumento 
dei 
canoni 
in 
questione 
era 
gi� 
stato 
disposto 
dall�art. 
32, 
commi 
21, 
22 
e 
23, 
del 
decreto-legge 
30 
settembre 
2003, 
n. 
269 
(Disposizioni 
urgenti 
per 
favorire 
lo 
sviluppo 
e 
per 
la 
correzione 
dell�andamento 
dei 
conti 
pubblici), 
convertito 
in 
legge, 
con 
modificazioni, 
dall�art. 
1 
della 
legge 
24 
novembre 
2003, 
n. 
326. 
La 
concreta 
applicazione 
degli 
aumenti 
disposti 
dalle 
norme 
citate 
� 
stata 
successivamente 
rinviata 
sino 
a 
quando 
la 
legge 
finanziaria 
del 
2007 
(art. 
1, 
comma 
256) 
ha 
disposto 
la 
loro 
abrogazione, 
mentre 
contestualmente 
introduceva 
i 
nuovi 
criteri 
di 
calcolo. 
Questi 
ultimi 
hanno 
sostituito 
gli 
aumenti 
generalizzati 
dei 
canoni 
annui 
per 
concessioni 
demaniali 
marittime, 
disposti 
con 
il 
citato 
d.l. 
n. 
269 
del 
2003, 
con 
un 
nuovo 
meccanismo, 
che 
incide 
soprattutto 
sulle 
aree 
maggiormente 
produttive 
di 
reddito, 
cio� 
quelle 
su 
cui 
insistono 
pertinenze 
destinate 
ad 
attivit� 
commerciali, 
terziario-
direzionali 
e 
di 
produzione 
di 
beni 
e 
servizi. 
non 
si 
pu� 
dire 
pertanto 
che 
l�aumento 
dei 
canoni, 
disposto 
dalla 
previsione 
legislativa 
censurata, 
sia 
giunto 
inaspettato, 
giacch� 
esso 
si 
� 
sostituito 
ad 
un 
precedente 
aumento, 
di 
notevole 
entit�, 
non 
applicato 
per 
effetto 
di 
successive 
proroghe, 
ma 
rimasto 
tuttavia 
in 
vigore 
sino 
ad 
essere 
rimosso, 
a 
favore 
di 
quello 
vigente, 
dalla 
norma 
oggetto 
di 
censura. 
n� 
l�incremento 
pu� 
essere 
considerato 
frutto 
di 
irragionevole 
arbitrio 
del 
legislatore, 
tale 
da 
indurre 
questa 
Corte 
a 
sindacare 
una 
scelta 
di 
indirizzo 
politico-economico, 
che 
sfugge, 
in 
via 
generale, 
ad 
una 
valutazione 
di 
legittimit� 
costituzionale�. 


La 
possibilit� 
di 
trasferire 
tali 
principi, la 
cui 
perdurante 
validit� 
non � 
neppure 
in discussione, 
alle 
concessioni 
per la 
nautica 
da 
diporto � 
esclusa 
dai 
rimettenti, i 
quali 
evidenziano 
l��ontologica 
differenza� 
delle 
stesse, 
rispetto 
a 
quelle 
per 
attivit� 
turistico-ricreative, 
gi� 
esaminate 
dalla sentenza ora richiamata. 


Gli 
elementi 
differenziali 
delle 
prime 
sarebbero costituiti 
dalla 
maggiore 
durata 
di 
tali 
rapporti, 
dalla 
loro 
consistenza 
numericamente 
limitata 
e 
-soprattutto 
-dalla 
notevole 
entit� 
degli 
investimenti 
sostenuti 
dal 
concessionario 
per 
la 
realizzazione 
delle 
opere 
che 
ne 
costituiscono 
l�oggetto. Tali 
elementi 
varrebbero ad escludere 
la 
ragionevolezza 
dell�equiparazione, introdotta 
dalla 
disposizione 
censurata, 
delle 
due 
tipologie 
concessorie 
ai 
fini 
dell�applicabilit� 
dei 
nuovi criteri di determinazione dei canoni. 


5.6.. 
Al 
riguardo, 
va 
osservato 
che 
i 
primi 
due 
elementi 
(maggiore 
durata 
e 
numero 
limitato 
di 
tali 
concessioni) 
appaiono 
ininfluenti 
ai 
fini 
della 
valutazione 
della 
censurata 
irragionevolezza. 


Da 
un 
lato, 
la 
maggiore 
durata 
del 
rapporto 
concessorio, 
in 
quanto 
volta 
a 
consentire 
di 
ammortizzare 
l�investimento 
del 
concessionario 
su 
un 
orizzonte 
temporale 
pi� 
ampio, 
vale 
a 
bilanciare, 
diluendoli 
nel 
tempo, 
gli 
effetti 
dell�incremento 
degli 
oneri 
a 
carico 
dei 
concessionari. 


Dall�altro lato, il 
numero relativamente 
esiguo delle 
concessioni 
per la 
nautica 
da 
diporto 
appare 
circostanza 
in 
s� 
estranea 
alla 
valutazione 
in 
ordine 
alla 
ragionevolezza 
dell�incremento 
dei canoni, in quanto incidente sull�equilibrio economico finanziario del rapporto. 


Pertanto, 
seguendo 
la 
prospettazione 
dei 
giudici 
a 
quibus, 
l�unico 
tratto 
distintivo 
rilevante 
delle 
due 
tipologie 
di 
concessioni 
interessate 
dagli 
aumenti 
introdotti 
dalla 
legge 
n. 
296 
del 
2006 
� 
rappresentato 
dall�entit� 
degli 
investimenti 
richiesti 
(soprattutto, 
ma 
non 
in 
via 
esclusiva) 
ai 
titolari 
di 
concessioni 
per 
la 
nautica 
da 
diporto, 
laddove 
queste 
abbiano 
ad 
oggetto 
opere 
che 
debbano 
essere 
realizzate 
a 
cura 
del 
concessionario. 
Gli 
effetti 
discriminatori 
ed 
irragionevoli 
censurati 
attengono, 
infatti, 
alla 
modifica 
del 
calcolo 
di 
convenienza 
economica 
derivante 
dall�incremento 
dei 
canoni, 
in 
quanto 
applicati 
a 
quelle 
opere 
che 
il 
concessionario 
si 
sia 
impegnato 
a 
realizzare 
in 
epoca 
antecedente 
all�entrata 
in 
vigore 
della 
nuova 
disciplina. 



COnTenzIOSO 
nAzIOnALe 


5.7.. 
Tuttavia, 
con 
riferimento 
a 
tale 
specifica 
categoria 
di 
rapporti 
concessori, 
risulta 
possibile 
e 
doverosa 
un�interpretazione 
della 
disposizione 
del 
comma 
252 
che 
porta 
ad 
escludere 
l�applicabilit�, 
generale 
ed 
indifferenziata, 
dei 
canoni 
commisurati 
ai 
valori 
di 
mercato 
a 
tutte 
le 
concessioni 
di 
strutture 
dedicate 
alla 
nautica 
da 
diporto, rilasciate 
prima 
della 
entrata 
in vigore 
della disposizione in esame. 


Si 
lamenta, infatti, che, per effetto dell�applicazione 
dei 
canoni 
indicati 
anche 
ai 
rapporti 
concessori 
in corso, verrebbe 
onerato del 
medesimo canone, sia 
chi 
abbia 
ricevuto un bene 
demaniale, sul 
quale 
realizzi 
a 
proprie 
spese 
un�infrastruttura 
o un impianto di 
difficile 
rimozione, 
sia 
chi, invece, abbia 
ricevuto in concessione 
un bene 
su cui 
insista 
una 
struttura 
gi� 
realizzata da terzi. 


Tuttavia, l�irragionevolezza 
insita 
in tale 
prospettazione 
� 
esclusa 
laddove 
la 
commisurazione 
del 
canone 
venga 
parametrata 
alle 
concrete 
caratteristiche 
dei 
rapporti 
concessori, nonch� 
dei beni demaniali che ne formano l�oggetto. 


Invero, l�art. 3 del 
d.l. n. 400, nel 
testo sostituito dall�art. 1, comma 
251, della 
legge 
n. 296 
del 
2006, prevede 
che 
il 
criterio della 
media 
dei 
valori 
indicati 
dall�Osservatorio del 
mercato 
immobiliare 
si 
applica 
alle 
concessioni 
demaniali 
marittime 
comprensive 
di 
strutture 
permanenti 
costituenti 
�pertinenze 
demaniali 
marittime 
destinate 
ad attivit� 
commerciali, terziario-
direzionali e di produzione di beni e servizi�. 


nel 
delimitare 
l�ambito applicativo dei 
nuovi 
canoni 
commisurati 
ai 
valori 
di 
mercato, il 
tenore 
letterale 
della 
disposizione 
in esame 
fa 
espresso riferimento, dunque, ad opere 
costituenti 
pertinenze demaniali marittime che, pertanto, gi� appartengono allo Stato. 


Al 
fine 
di 
stabilire 
la 
propriet� 
statale 
dei 
beni 
di 
difficile 
rimozione 
edificati 
su suolo demaniale 
marittimo 
in 
concessione, 
� 
determinante 
la 
scadenza 
della 
concessione, 
essendo 
questo 
il momento in cui il bene realizzato dal concessionario acquista la qualit� demaniale. 


I criteri 
di 
calcolo dei 
canoni 
commisurati 
ai 
valori 
di 
mercato, in quanto riferiti 
alle 
opere 
realizzate 
sul 
bene 
e 
non 
solo 
alla 
sua 
superficie, 
risultano 
applicabili, 
quindi, 
soltanto 
a 
quelle 
che 
gi� 
appartengano allo Stato e 
che 
gi� 
possiedano la 
qualit� 
di 
beni 
demaniali. nelle 
concessioni 
di 
opere 
da 
realizzare 
a 
cura 
del 
concessionario, 
ci� 
pu� 
avvenire 
solo 
al 
termine 
della concessione, e non gi� nel corso della medesima. 


La 
stessa 
giurisprudenza 
del 
Consiglio di 
Stato ha 
riconosciuto che 
�non tutti 
i 
manufatti 
insistenti 
su aree 
demaniali 
partecipano della 
natura 
pubblica 
- e 
dell�inerente 
qualificazione 
demaniale 
- della 
titolarit� 
del 
sedime, poich� 
solo ad alcuni, nella 
stessa 
dizione 
della 
legge, 
appartiene 
la 
natura 
pertinenziale. Per gli 
altri 
(che 
la 
legge 
indica 
come 
impianti 
di 
difficile 


o non difficile 
rimozione: 
definizione 
che 
appare 
inadatta 
a 
stabilire 
una 
differenza 
di 
categoria, 
dato che 
anche 
gli 
immobili 
pertinenziali 
sono o possono essere, di 
per s�, rimovibili 
con 
facilit� 
o con difficolt�) si 
deve 
allora 
riconoscere, per esclusione, la 
qualificazione 
di 
cose 
immobili 
di 
propriet� 
privata 
fino a 
tutta 
la 
durata 
della 
concessione, evidentemente 
in forza 
di 
un implicito diritto di 
superficie� (Consiglio di 
Stato, sez. VI, 13 giugno 2013, n. 3308; 
nello stesso senso, Consiglio di 
Stato, sez. VI, 13 giugno 2013, n. 3307 e 
Consiglio di 
Stato, 
sez. VI, 10 giugno 2013, n. 3196). 
Come 
osservato 
anche 
dalla 
difesa 
statale, 
nelle 
concessioni 
che 
prevedono 
la 
realizzazione 
di 
infrastrutture 
da 
parte 
del 
concessionario, il 
pagamento del 
canone 
riguarda 
soltanto l�utilizzo 
del 
suolo e 
non anche 
i 
manufatti, sui 
quali 
medio tempore 
insiste 
la 
propriet� 
superficiaria 
dei concessionari e lo Stato non vanta alcun diritto di propriet�. 


un�interpretazione 
costituzionalmente 
corretta 
della 
disposizione 
in 
esame 
impone, 
quindi, 
la 
necessit� 
di 
considerare 
la 
natura 
e 
le 
caratteristiche 
dei 
beni 
oggetto 
di 
concessione, 
quali 



RASSeGnA 
AVVOCATuRA 
DeLLO 
STATO - n. 4/2016 


erano 
all�avvio 
del 
rapporto 
concessorio, 
nonch� 
delle 
modifiche 
successivamente 
intervenute 
a 
cura 
e 
spese 
dell�amministrazione 
concedente. 
Mentre 
con 
riferimento 
agli 
aumenti 
dei 
canoni 
tabellari 
(art. 
3, 
comma 
1, 
lettera 
b, 
n. 
1, 
del 
d.l. 
n. 
400 
del 
1993) 
valgono 
i 
principi 
affermati 
nella 
sentenza 
n. 
302 
del 
2010, 
viceversa 
va 
esclusa 
l�applicabilit� 
dei 
nuovi 
criteri 
commisurati 
al 
valore 
di 
mercato 
alle 
concessioni 
non 
ancora 
scadute 
che 
prevedano 
la 
realizzazione 
di 
impianti 
ed 
infrastrutture 
da 
parte 
del 
concessionario, 
ivi 
incluse 
quelle 
rilasciate 
prima 
del 
2007. 


In definitiva, la 
non adeguata 
utilizzazione 
dei 
poteri 
interpretativi 
che 
la 
legge 
riconosce 
al 
giudice 
rimettente 
porta 
a 
ritenere 
la 
non fondatezza 
della 
presente 
questione 
di 
legittimit� 
costituzionale (sentenze n. 219, n. 95 e n. 45 del 2016; n. 262 e n. 221 del 2015). 


PeR 
QueSTI 
MOTIVI 


LA CORTe COSTITuzIOnALe 


riuniti i giudizi, 


1) dichiara 
non fondata, nei 
sensi 
di 
cui 
in motivazione, la 
questione 
di 
legittimit� 
costituzionale 
dell�art. 1, comma 
252, della 
legge 
27 dicembre 
2006, n. 296, recante 
�Disposizioni 
per 
la 
formazione 
del 
bilancio 
annuale 
e 
pluriennale 
dello 
Stato 
(legge 
finanziaria 
2007)�, 
promossa 
dal 
Consiglio di 
Stato e 
dal 
Tribunale 
amministrativo regionale 
per la 
Toscana 
con 
le ordinanze indicate in epigrafe. 


Cos� 
deciso in Roma, nella 
sede 
della 
Corte 
costituzionale, Palazzo della 
Consulta, il 
10 
gennaio 2017. 



COnTenzIOSO 
nAzIOnALe 


i mobili confini applicativi dell�irap alla luce 
delle recenti statuizioni delle sezioni Unite 


Nota 
a 
CassazioNe 
Civile, sezioNi 
uNite, seNteNze 
14 aPrile 
2016 N. 7371 e 
10 maggio 
2016 N. 9451 


Nicola Usai* 


L�Imposta 
regionale 
sulle 
attivit� 
produttive 
� 
un�imposta 
c.d. reale 
che 
individua 
quale 
indice 
di 
capacit� 
contributiva 
un 
fatto 
economico 
diverso 
dal 
reddito, consistente 
nel 
valore 
aggiunto prodotto dalle 
attivit� 
imprenditoriali 


o professionali autonomamente organizzate (1). 
nell�introdurre 
la 
nuova 
norma 
impositiva, l�obiettivo dichiarato dal 
legislatore 
consisteva 
nella 
semplificazione 
del 
sistema 
fiscale 
mediante 
la 
soppressione 
di 
diversi 
tributi 
e 
contributi 
(tra 
gli 
altri, 
i 
contributi 
per 
il 
SSn, 
l�Ilor, l�imposta 
comunale 
per l�esercizio di 
imprese 
e 
di 
arti 
e 
professioni, la 
tassa 
sulla 
concessione 
governativa 
per l�attribuzione 
del 
numero di 
partita, 
l�imposta sul patrimonio netto delle imprese). 

nonostante 
questo, 
l�Irap 
� 
stata 
accolta 
con 
diffidenza 
dagli 
operatori 
economici 
e 
dai 
commentatori, soprattutto in relazione 
alla 
sua 
caratteristica 
di 
essere 
suscettibile 
di 
applicazione 
anche 
nei 
confronti 
di 
soggetti 
in perdita 
nel periodo d�imposta. 


non solo, da 
pi� parti 
sono stati 
sollevati 
dubbi 
di 
costituzionalit� 
in relazione 
all�inclusione 
dei 
liberi 
professionisti 
tra 
i 
soggetti 
passivi 
di 
cui 
all�art. 
3 del D.Lgs. 446/1997 (2). 


(*) 
Dottore 
in 
Giurisprudenza, 
gi� 
praticante 
forense 
presso 
l�Avvocatura 
dello 
Stato 
di 
Bologna; 
diploma 
di 
specializzazione 
presso 
la 
Scuola 
di 
Specializzazione 
in 
Studi 
sull�Amministrazione 
Pubblica 
�SP.I.S.A.�. 


(1) 
L�originaria 
formulazione 
della 
prima 
parte 
dell�art. 
2 
del 
D.Lgs. 
446/1997 
individuava 
il 
presupposto 
dell�imposta 
nell��esercizio abituale 
di 
una 
attivit� 
diretta 
alla 
produzione 
o allo scambio di 
beni 
ovvero 
alla 
prestazione 
di 
servizi�. 
A 
pochi 
mesi 
dell�entrata 
in 
vigore 
della 
disposizione, 
il 
D.Lgs. 
137/1998 ha 
riformulato la 
norma 
precisando che 
l�attivit� 
di 
scambio di 
beni 
o prestazione 
di 
servizi 
esercitata abitualmente dovesse essere �autonomamente organizzata�. 
(2) Si 
� 
pure 
posto il 
problema 
se 
l�Irap, andando a 
colpire 
�il 
valore 
aggiunto prodotto dalle 
attivit� 
autonomamente 
organizzate�, 
non 
rappresentasse 
una 
duplicazione 
dell�Iva, 
incompatibile 
con 
l�art. 33 della 
VI Direttiva 
Cee 
del 
10 maggio 1977, n. 77/388 (poi 
abrogata 
e 
sostituita 
dalla 
Direttiva 
Ce 
del 
28 novembre 
2006, n. 112). Investita 
della 
questione, la 
Corte 
di 
Giustizia 
europea, 3 ottobre 
2006, 
n. 
475/03, 
ha 
affermato 
che 
un�imposta 
con 
le 
caratteristiche 
dell�Irap 
si 
distingue 
dall�Iva 
in 
modo 
tale 
non 
poter 
essere 
considerata 
un�imposta 
sulla 
cifra 
d�affari 
ai 
sensi 
dell�art. 
33 
citato. 
La 
Corte 
ha 
dunque 
posto in rilievo le 
differenze 
tra 
le 
due 
imposte: 
�Mentre 
l�Iva, attraverso il 
sistema 
della 
detrazione 
dell�imposta 
previsto dagli 
artt. 17-20 della 
VI Direttiva, grava 
unicamente 
sul 
consumatore 
finale 
ed 
� 
perfettamente 
neutrale 
nei 
confronti 
dei 
soggetti 
passivi 
che 
intervengono 
nel 
processo 
di 
produzione 
e 
di 
distribuzione 
che 
precede 
la 
fase 
di 
imposizione 
finale, 
indipendentemente 
dal 
numero 
di 
operazioni 
avvenute, 
lo 
stesso 
non 
vale 
per 
quanto 
riguarda 
l�Irap. 
Da 
un 
lato, 
infatti, 
un 
soggetto 
passivo non pu� determinare 
con precisione 
l�importo dell�Irap gi� 
compreso nel 
prezzo di 
acquisto dei 

RASSeGnA 
AVVOCATuRA 
DeLLO 
STATO - n. 4/2016 


La 
Corte 
Costituzionale 
(10 maggio 2001, n. 156), rigettando tutte 
le 
eccezioni 
sollevate, 
ha 
anzitutto 
riaffermato 
la 
discrezionalit� 
del 
legislatore 
nella 
determinazione 
e 
qualificazione 
di 
quei 
fatti 
espressivi 
di 
capacit� 
contributiva, 
desumibili 
da 
qualsiasi 
indice 
rilevatore 
di 
ricchezza 
e 
non solo dal 
reddito, 
cui 
l�art. 
53 
della 
Costituzione 
collega 
l�insorgere 
dell�obbligo 
di 
concorso 
alle spese pubbliche. 

nella 
stessa 
pronuncia 
ha 
riconosciuto 
la 
legittimit� 
dell�inclusione 
degli 
esercenti 
arti 
e 
professioni 
tra 
i 
soggetti 
passivi, 
pur 
ribadendo 
che 
solo 
il 
�valore 
aggiunto 
prodotto 
dalle 
singole 
unit� 
organizzative� 
costituisse 
�un 
indice 
di 
capacit� 
contributiva 
capace 
di 
giustificare 
l�imposizione 
sia 
nei 
confronti 
delle imprese che dei lavoratori autonomi�. 

La 
Consulta, in particolare, osservava 
che 
mentre 
l�elemento organizzativo 
� 
connaturato 
all�esercizio 
di 
un�attivit� 
d�impresa, 
non 
altrettanto 
pu� 
dirsi 
per le 
attivit� 
professionali, ancorch� 
svolte 
con carattere 
di 
abitualit�, 
che 
debbono considerarsi 
escluse 
dall�ambito di 
applicazione 
dell�Irap in assenza 
di 
elementi 
idonei 
a 
rivelare 
una 
autonomia 
organizzativa, il 
cui 
accertamento 
- secondo quanto affermato dal 
Giudice 
delle 
leggi 
- va 
operato sul 
piano fattuale caso per caso. 


Il 
presupposto applicativo dell�Irap, si 
� 
detto, � 
rappresentato dall�esercizio 
abituale 
di 
una 
attivit� 
autonomamente 
organizzata 
diretta 
alla 
produzione 
o 
allo 
scambio 
di 
beni 
ovvero 
alla 
prestazione 
di 
servizi, 
fermo 
che 
l�attivit� 
esercitata 
da 
societ�, enti 
e 
amministrazioni 
pubbliche, costituisce 
in 
ogni caso presupposto di imposta 
ex lege. 


Sulla 
portata del 
concetto di 
�autonoma organizzazione�, stante 
la 
sua 
non immediata 
definibilit�, � 
tuttavia 
emerso pi� di 
un dubbio interpretativo, 
non avendo la 
pronuncia 
del 
2001 indicato in concreto quali 
fossero gli 
elementi 
idonei 
ad individuare 
la 
presenza 
o l�assenza 
di 
quell�organizzazione 
di 
capitali e di lavoro necessari per far scattare il presupposto impositivo. 

La 
giurisprudenza 
di 
merito, 
prima, 
e 
quella 
di 
legittimit�, 
poi, 
si 
� 
di 
conseguenza 
trovata 
ad 
affrontare 
una 
serie 
di 
questioni 
ermeneutiche 
di 
rilevante 
portata. A 
partire 
dalle 
pronunce 
dell�Irap-day della 
Sezione 
Tributaria 
della 
Corte 
di 
Cassazione 
(nn. 
3672-3682 
del 
16 
febbraio 
2007), 
il 
ruolo 
dei 
giudici 
si 
� 
fatto sempre 
pi� evidente 
nel 
disegnare 
gli 
esatti 
confini 
dell�ambito applicativo 
dell�imposta. 

beni 
e 
dei 
servizi. Dall�altro, se 
un soggetto passivo potesse 
includere 
tale 
costo nel 
prezzo di 
vendita, 
al 
fine 
di 
ripercuotere 
l�importo 
dell�imposta 
dovuta 
per 
le 
sue 
attivit� 
sulla 
fase 
successiva 
del 
processo 
di 
distribuzione 
o di 
consumo, la 
base 
imponibile 
dell�Irap comprenderebbe 
di 
conseguenza 
non solo il 
valore 
aggiunto, 
ma 
anche 
l�imposta 
stessa, 
cosicch� 
l�Irap 
sarebbe 
calcolata 
su 
un 
importo 
determinato 
a 
partire 
da 
un prezzo di 
vendita 
comprendente, in anticipo, l�imposta 
da 
pagare. non tutti 
i 
soggetti 
passivi 
si 
trovano nella 
condizione 
di 
poter cos� 
ripercuotere 
il 
carico dell�imposta, o di 
poterlo ripercuotere 
nella 
sua 
interezza. In base 
alla 
disciplina 
dell�Irap, tale 
imposta 
non � 
stata 
concepita 
per ripercuotersi 
sul consumatore finale nel modo tipico dell�Iva�. 


COnTenzIOSO 
nAzIOnALe 


Precisato 
che 
in 
presenza 
di 
un�attivit� 
di 
lavoro 
autonomo 
l�Irap 
� 
dovuta 
solo quando sussista 
un apparato organizzativo autonomo rispetto alla 
figura 
e 
al 
lavoro del 
professionista, le 
sentenze 
del 
febbraio 2007 hanno affermato 
che 
tale 
condizione 
si 
verifica 
quando ricorrano i 
seguenti 
presupposti 
da 
accertate 
in concreto: 
i) il 
contribuente 
sia, sotto qualsiasi 
forma, il 
responsabile 
dell�organizzazione 
e 
non sia, quindi, inserito in strutture 
organizzative 
riferibili 
ad altrui 
responsabilit� 
ed interesse; 
ii) il 
contribuente 
utilizzi 
beni 
strumentali 
eccedenti, 
per 
quantit� 
o 
valore, 
le 
risorse 
minime 
necessarie 
(id 
quod 
plerumque 
accidit) allo svolgimento dell�attivit�, ovvero impieghi, in modo 
non occasionale lavoro altrui. 


Successivamente, 
le 
Sezioni 
unite 
(26 
maggio 
2009, 
n. 
12108) 
hanno 
fornito 
una 
definizione 
generale 
del 
�fondamentale 
requisito 
della 
�autonoma 
organizzazione�
�, 
qualificabile 
�come 
insieme 
di 
risorse, 
mezzi, 
capitali 
e 
lavoro 
altrui, 
di 
carattere 
abituale, 
organizzati 
dal 
soggetto 
passivo 
con 
modalit� 
suscettibili 
di 
conferire 
il 
quid 
pluris 
di 
capacit� 
contributiva 
oggetto 
dell�Irap�. 


Dovendosi 
applicare 
tali 
generali 
criteri 
interpretativi, negli 
anni 
si 
sono 
registrate 
vistose 
discordanze 
tra 
Amministrazione 
finanziaria 
e 
contribuenti, 
in 
primis, 
nonch� 
tra 
gli 
stessi 
organi 
di 
giustizia 
tributaria, 
investiti 
dei 
relativi 
contenziosi. 

Ancora 
una 
volta 
si 
� 
reso 
necessario 
il 
fondamentale 
apporto 
della 
-seppur 
spesso 
disarmonica 
-giurisprudenza 
di 
legittimit� 
(3). 
Da 
un 
lato, 
� 
stato 
definitivamente 
statuito 
che 
elementi 
quali 
il 
possesso 
di 
un 
reddito 
elevato, 
la 
sussistenza 
di 
una 
vasta 
clientela, 
l�ottenimento 
di 
linee 
di 
credito 
da 
istituti 
bancari 
non 
costituiscono 
condizione 
sufficiente 
per 
l�assoggettamento 
ad 
imposta 
(Cass., 
10 
settembre 
2009, 
n. 
19515; 
Cass., 
10 
marzo 
2009, 
n. 
6371) 
(4); 
dall�altro, 
diverse 
pronunce 
hanno 
sancito 
che 
l�esercizio 
di 
professioni 
in 
forma 
societaria 
o 
associata 
costituisce 
ex 
lege 
presupposto 
impositivo, 
senza 
necessit� 
di 
valutare 
in 
concreto 
la 
sussistenza 
di 
un�autonoma 
organizzazione, 
e 
senza 
che 
assuma 
alcun 
rilievo 
la 
diversit� 
delle 
competenze 
e 
professioni 
esercitate 
dagli 
associati, 
cos� 
come 
la 
diversit� 
e 
autonomia 
della 
fonte 
dei 
rispettivi 
redditi 
degli 
associati 
(ex 
multis, 
Cass., 
Sez. 
V, 
16 
luglio 
2010, 
n. 
16784, 
in 
relazione 
all�esercizio 
in 
forma 
associata 
della 
professione 
di 
commercialista; 
Cass., 
Sez. 
V, 
28 
novembre 
2014, 
n. 
25313, 
in 
relazione 
all�esercizio 
in 
forma 


(3) 
Sul 
ruolo 
decisivo 
assunto 
dalla 
giurisprudenza 
di 
legittimit� 
e 
sugli 
ondivaghi 
pronunciamenti, 
cfr. G. FeRRAnTI, irap dei 
piccoli, l�intervento non � 
pi� rinviabile, in Quotidiano del 
Fisco, n. 7/2015; 
M. GRISInI, sull�organizzazione giudici disallineati, in guida al diritto, n. 3/2015, pp. 64 ss. 
(4) Si 
� 
dunque 
�sancito che 
la 
rilevazione 
della 
pura 
e 
semplice 
�componente 
capitalistica�, desunta 
dal 
costo 
elevato 
delle 
attrezzature 
tecniche 
e 
delle 
locazioni 
finanziarie, 
senza 
opportuno 
raffronto 
con i 
compensi 
dichiarati 
e 
senza 
analisi 
del 
valore 
minimo di 
ci� che 
� 
normalmente 
ritenuto indispensabile 
per l�esercizio della 
specifica 
attivit� 
presa 
in considerazione, non � 
di 
per s� 
idonea 
a 
provare 
l�esistenza 
della 
autonoma 
organizzazione� (S. CASTeneTTI, irap e 
professionisti, in la settimana Fiscale, 
n. 12/2016, p. 44). 

RASSeGnA 
AVVOCATuRA 
DeLLO 
STATO - n. 4/2016 


associata 
della 
professione 
forense; 
orientamento 
definitivamente 
consacrato 
dalla 
pronuncia 
delle 
Sezioni 
unite 
del 
14 
aprile 
2016, 
n. 
7371) 
(5). 


Pure 
il 
requisito attinente 
l�impiego in modo non occasionale 
di 
lavoro 
altrui, ai 
fini 
della configurabilit� della autonoma organizzazione, � 
stato oggetto 
di 
non 
trascurabili 
divergenze, 
sia 
nelle 
pronunce 
di 
merito 
che 
in 
quelle 
di legittimit�. 


In primo luogo va 
ricordato come 
sia 
stato pi� volte 
affermato l�assoggettamento 
ad Irap del 
professionista 
che 
eroghi 
elevati 
compensi 
a 
terzi 
per 
attivit� 
inerenti 
la 
propria 
professione, e 
ci� anche 
a 
prescindere 
dall�impiego 
di 
lavoratori 
dipendenti 
(Cass., Sez. V, 24 ottobre 
2014, n. 22674; 
Cass., Sez. 
V, 12 giugno 2015, n. 12287). 

Tuttavia, 
in 
numerose 
sentenze 
si 
� 
sancita 
l�assoggettabilit� 
ad 
imposta 
del 
lavoratore 
autonomo 
allorquando 
questi 
si 
serva 
di 
un 
collaboratore 
stabile, 
anche 
uno 
solo 
e 
anche 
part 
time, 
sul 
presupposto 
che 
la 
presenza 
di 
un 
dipendente 
configuri 
comunque 
organizzazione 
di 
lavoro 
altrui, 
e 
ci� 
a 
prescindere 
dalla 
funzione 
svolta 
nell�ambito 
dell�attivit� 
libero 
professionale 
e 
dalla 
retribuzione 
a 
lui 
riconosciuta 
(ex 
multis, 
Cass., 
Sez. 
V, 
10 
settembre 
2014, 
n. 
19072). 


Altre 
pronunce 
hanno 
invece 
mostrato 
una 
posizione 
pi� 
rigorosa, 
richiedendo 
una 
verifica 
delle 
mansioni 
effettivamente 
svolte 
dal 
dipendente 
ed 
escludendo 
che 
il 
ricorso 
a 
un 
collaboratore 
con 
funzioni 
meramente 
esecutive 


o accessorie 
(quali, ad esempio, le 
attivit� 
di 
segreteria) potesse 
configurare 
automaticamente 
la 
presenza 
di 
una 
autonoma 
organizzazione 
(tra 
le 
altre, 
Cass., Sez. VI, 25 settembre 2013, n. 22019). 
La 
questione 
� 
stata 
di 
recente 
demandata 
alle 
Sezioni 
unite, 
le 
quali 
hanno avvallato il secondo degli orientamenti citati. 

I giudici 
(Cass., Sez. unite, 10 maggio 2016, n. 9451) hanno affermato 
che, rispetto alla presenza di un collaboratore la cui opera concorre e si combina 
�con 
quel 
che 
� 
il 
proprium 
della 
specifica 
(professionalit� 
espressa 
nella) 
�attivit� 
diretta 
allo 
scambio 
di 
beni 
e 
servizi��, 
assume 
diversa 
incidenza 
�l�avvalersi 
in 
modo 
non 
occasionale 
di 
lavoro 
altrui 
quando 
questo 
si 
concreti 
nell�espletamento di 
mansioni 
di 
segreteria 
o generiche 
o meramente 
esecutive, 
che 
rechino all�attivit� 
svolta 
dal 
contribuente 
un apporto del 
tutto mediato 
o, appunto generico�. 

(5) La 
tesi 
delle 
Sezioni 
unite 
7371/2016 non � 
unanimemente 
condivisa, si 
� 
infatti 
osservato 
come 
si 
tratti 
di 
una 
presunzione 
�che 
il 
professionista 
dovrebbe 
poter superare 
dimostrando che, pur 
svolgendo la 
professione 
nell�ambito dello studio associato, il 
tipo di 
struttura 
non � 
sinonimo di 
un incremento 
del 
valore 
della 
produzione. e 
il 
giudice 
di 
merito dovrebbe 
poter accertare 
- quanto meno nel 
caso 
di 
professionisti 
con 
competenze 
diverse 
-l�entit� 
e 
l�incidenza 
ai 
fini 
reddituali 
della 
condivisione 
con altri 
professionisti 
dello svolgimento di 
parte 
dell�attivit� 
professionale 
dello studio e 
dichiarare 
la 
debenza 
o meno dell�imposta� (M. COnIGLIARO, studio associato ed irap: partita chiusa a favore 
del 
Fisco?, in guida ai controlli fiscali, n. 11/2016, p. 39). 

COnTenzIOSO 
nAzIOnALe 


Il 
risvolto pratico della 
pronuncia, consiste 
nel 
fatto che 
l�Amministrazione 
finanziaria 
non potr� 
accertare 
come 
dovuta 
l�imposta 
in capo al 
libero 
professionista, 
prescindendo 
dalla 
verifica 
della 
mansione 
effettivamente 
svolta 
dal 
dipendente. Il 
contribuente, per canto suo, �avr� 
pi� margine 
di 
difesa 
in caso di 
accertamento, tramite 
la 
produzione 
di 
documentazione 
attestante 
il 
suo 
ruolo 
di 
responsabile 
dell�organizzazione 
e, 
di 
contro, 
il 
ruolo 
meramente 
marginale 
ed 
esecutivo 
svolto 
dal 
proprio 
dipendente 
oltre 
a 
fornire 
tutti 
i 
documenti 
contabili 
necessari 
al 
fine 
di 
giustificare 
l�impiego 
di 
beni 
strumentali non eccedenti il minimo indispensabile� (6). 

In definitiva, ad avviso della 
Suprema 
Corte 
�lo stesso limite 
segnato in 
relazione 
ai 
beni 
strumentali 
- �eccedenti, secondo l�id quod plerumque 
accidit, 
il 
minimo 
indispensabile 
per 
l�esercizio 
dell�attivit� 
in 
assenza 
di 
organizzazione� 
-non 
pu� 
che 
valere, 
armonicamente, 
per 
il 
fattore 
lavoro, 
la 
cui 
soglia 
minimale 
si 
arresta 
all�impiego di 
un collaboratore� che 
esplichi 
mansioni 
meramente esecutive. 


Cassazione 
civile, sezioni 
Unite, sentenza 14 aprile 
2016 n. 7371 -Pres. 
M. Cicala, rel. A. 
Greco, 
P.m. 
u. 
Apice 
(difforme) 
-Agenzia 
delle 
entrate 
(avv. 
gen. 
Sato) 
c. 
Studio 
P. 
S.S. 
(avv. 


A. Buccico). 
SVOLGIMenTO 
DeL 
PROCeSSO 


L'Agenzia 
delle 
entrate 
propone 
ricorso per cassazione, con due 
motivi, nei 
confronti 
della 
sentenza 
della 
Commissione 
tributaria 
regionale 
dell'emilia 
Romagna 
che, accogliendone 
solo parzialmente 
l'appello, ha 
riconosciuto il 
diritto della 
societ� 
semplice 
Studio P., 
svolgente 
attivit� 
di 
amministratore 
condominiale, 
al 
rimborso 
dell'imposta 
regionale 
sulle 
attivit� 
produttive 
versata 
per 
gli 
anni 
dal 
1998 
al 
2002, 
e 
non 
anche 
per 
il 
2003, 
il 
cui 
importo 
di euro 609 era stato portato in compensazione l'anno successivo. 


Il 
giudice 
d'appello, infatti, premesso che 
l' 
art. 2 del 
d.lgs. 15 dicembre 
1997, n. 446, 
stabilisce 
al 
primo periodo che 
"presupposto dell'imposta 
� 
l'esercizio abituale 
di 
un'attivit� 
autonomamente 
organizzata 
diretta 
alla 
produzione 
e 
allo scambio di 
beni, ovvero alla 
prestazione 
di 
servizi", 
e 
rilevato 
che 
ai 
sensi 
del 
secondo 
periodo 
"l'attivit� 
esercitata 
dalle 
societ� 
e 
dagli 
enti 
� 
da 
considerare 
in ogni 
caso presupposto d'imposta", ha 
ritenuto che 
nella 
specie 
"la 
sussistenza 
delle 
circostanze 
che 
legittimano l'applicazione 
del 
tributo deve 
essere 
riscontrata 
attraverso un'analisi 
economica 
e 
qualitativa 
dell'attivit� 
esercitata, potendo esistere 
attivit� 
autonome 
svolte 
in assenza 
di 
organizzazione 
di 
capitali 
e 
lavoro altrui, che 
a 
parere 
di 
questa 
Commissione 
sussiste 
in 
questo 
caso, 
in 
quanto 
il 
contribuente 
ha 
sufficientemente 
provato e 
documentato nel 
ricorso introduttivo tale 
assenza, avendo esercitato la 
propria 
attivit� 
autonoma 
in via 
quasi 
esclusivamente 
personale, senza 
l'ausilio di 
personale 
dipendente 
e/o di 
ingenti 
cespiti", sicch� 
"manca 
il 
presupposto impositivo previsto dal 
D.Lgs. n. 446 del 
1997, art. 2". 


(6) 
Cfr. 
G. 
ACCIARO 
-P. 
CORReDDu, 
imponibilit� 
irap: 
novit� 
in 
tema 
di 
autonoma 
organizzazione, 
in guida ai Controlli Fiscali, n. 6/2016, p. 5. 

RASSeGnA 
AVVOCATuRA 
DeLLO 
STATO - n. 4/2016 


La societ� contribuente resiste con controricorso. 


Con il 
primo motivo, denunciando violazione 
e 
falsa 
applicazione 
del 
D.Lgs. n. 446 del 
1997, art. 2, in relazione 
all'art. 360 c.p.c., n. 3, l'amministrazione 
ricorrente 
censura 
la 
decisione 
per 
aver 
ravvisato 
l'insussistenza 
dell'autonoma 
organizzazione 
in 
presenza 
di 
un'attivit� 
svolta 
in 
forma 
associata/societaria, 
come 
ammesso 
dalla 
stessa 
contribuente, 
laddove 
non 
solo l'attivit� 
svolta 
in forma 
associata 
rientrerebbe 
nella 
fattispecie 
impositiva, ma 
in ogni 
caso 
la 
struttura 
tipica 
degli 
studi 
associati 
renderebbe 
evidente 
l'esistenza 
di 
un'organizzazione 
di 
mezzi 
e 
persone 
volta 
al 
raggiungimento di 
uno scopo, e 
quindi 
la 
piena 
assoggettabilit� 
alla 
norma; 
con 
il 
secondo 
motivo, 
formulato 
in 
via 
subordinata, 
denuncia 
insufficiente 
e 
contraddittoria 
motivazione, in relazione 
all'art. 360 cod. proc. civ., per avere 
la 
sentenza 
impugnata 
omesso 
di 
considerare, 
e 
non 
aver 
motivato 
la 
ragione 
di 
tale 
omissione, 
il 
fatto 
decisivo 
che la contribuente svolgesse attivit� in forma societaria/associata. 


Fissato 
per 
la 
discussione, 
a 
seguito 
di 
ordinanza 
interlocutoria 
della 
sesta 
sezione 
civile, 
nell'articolazione 
della 
quinta 
sezione 
- tributaria 
(ord. 3870/2015), il 
ricorso � 
stato rimesso 
a queste Sezioni unite per l'esame di questione di massima di particolare importanza. 


MOTIVI 
DeLLA 
DeCISIOne 
Viene 
rimessa 
alle 
Sezioni 
unite 
di 
questa 
Corte 
la 
questione 
"se, 
in 
applicazione 
del 
combinato disposto del 
D.Lgs. n. 446 del 
1997, artt. 2 e 
3, debba 
essere 
sottoposto ad IRAP 
il 
"valore 
aggiunto prodotto nel 
territorio regionale" 
da 
attivit� 
di 
tipo professionale 
espletate 
nella 
veste 
giuridica 
societaria, ed in particolare 
di 
societ� 
semplice, anche 
quando il 
giudice 
valuti non sussistente una "autonoma organizzazione" dei fattori produttivi. 
Osserva 
il 
Collegio che 
il 
D.Lgs. 15 dicembre 
1997, n. 446, istitutivo dell'imposta 
regionale 
sulle 
attivit� 
produttive, stabilisce 
all'art. 2, primo periodo, che 
presupposto dell'imposta 
� 
l'esercizio abituale 
di 
una 
attivit� 
autonomamente 
organizzata 
diretta 
alla 
produzione 


o allo scambio di beni ovvero alla prestazione di servizi. 
A 
tenore 
del 
secondo 
periodo 
dell'art. 
2, 
"costituisce 
in 
ogni 
caso 
presupposto 
d'imposta 
l'attivit� 
esercitata 
dalle 
societ� 
e 
dagli 
enti, compresi 
gli 
organi 
e 
le 
amministrazioni 
dello 
Stato". 


Il 
requisito 
della 
autonoma 
organizzazione 
dell'attivit� 
non 
� 
quindi 
richiesto 
in 
relazione 
all'attivit� 
delle 
societ� 
e 
degli 
enti, compresi 
gli 
organi 
e 
le 
amministrazioni 
dello Stato, in 
quanto l'attivit� 
esercitata 
da 
tali 
soggetti, a 
mente 
del 
secondo periodo dello stesso art. 2, costituisce 
in ogni caso presupposto d'imposta. 


Il 
successivo art. 3, rendendo esplicito il 
catalogo dei 
soggetti 
passivi 
dell'imposta 
- che 
"sono coloro che 
esercitano una 
o pi� delle 
attivit� 
di 
cui 
all'art. 2" 
-, in particolare 
individua 
espressamente, al 
comma 
1, lett. c), le 
societ� 
semplici 
esercenti 
arti 
e 
professioni 
e 
quelle 
ad 
esse 
equiparate 
a 
norma 
("ai 
fini 
delle 
imposte 
sui 
redditi") del 
D.P.R. 22 dicembre 
1986, n. 
917, 
art. 
5, 
comma 
3, 
vale 
a 
dire 
"le 
associazioni 
senza 
personalit� 
giuridica 
costituite 
fra 
persone 
fisiche 
per l'esercizio in forma 
associata 
di 
arti 
e 
professioni" 
di 
cui 
al 
successivo art. 49 
(redditi 
di 
lavoro 
autonomo), 
nella 
vecchia 
numerazione, 
dello 
stesso 
D.P.R. 
n. 
917 
del 
1996. 


In questo senso la 
sezione 
tributaria 
si 
� 
espressa 
con Cass. n. 16784 del 
2010, in relazione 
all'esercizio 
in 
forma 
associata 
della 
professione 
di 
dottore 
commercialista, 
individuando 
la 
ratio 
della 
previsione 
in esame 
nel 
fatto che 
"l'attivit� 
esercitata 
da 
tali 
soggetti, strutturalmente 
organizzati 
per la 
forma 
nella 
quale 
l'attivit� 
� 
svolta, costituisce 
pertanto ex 
lege 
presupposto 
d'imposta"; 
con 
Cass. 
n 
25313 
del 
2014, 
in 
relazione 
all'esercizio 
in 
forma 
associata 
della 
professione 
forense; 
con 
Cass. 
n. 
25315 
del 
2014, 
che 
chiaramente 
afferma 
che 
l'esercizio 



COnTenzIOSO 
nAzIOnALe 


in forma 
associata, per il 
tramite 
di 
una 
societ� 
in nome 
collettivo, dell'attivit� 
di 
agente 
di 
commercio "esclude 
la 
necessit� 
di 
accertare 
la 
sussistenza 
di 
un'autonoma 
organizzazione". 


Ad analoghe 
conclusioni 
giungeva 
la 
sezione 
con il 
pi� risalente 
orientamento rappresentato 
da 
Cass. n. 13570 del 
2007, n. 17136 del 
2008, n. 24058 del 
2009 e 
n. 1575 del 
2014 
che, pur a 
fronte 
della 
drastica 
formula 
impiegata 
dal 
legislatore 
- "costituisce 
in ogni 
caso 
presupposto d'imposta" 
-, tuttavia 
� 
andata 
pronunciandosi 
nel 
senso che 
l'esercizio in forma 
associata 
di 
una 
professione 
liberale 
era 
"circostanza 
di 
per s� 
idonea 
a 
far presumere 
l'esistenza 
di 
una 
autonoma 
organizzazione 
di 
struttura 
e 
mezzi..". 
un 
siffatto 
indirizzo 
non 
sembra 
dare 
adeguato rilievo al 
fatto che 
la 
"prova 
contraria" 
pu� avere 
qui 
ad oggetto non l'insussistenza 
dell'autonoma 
organizzazione 
nell'esercizio 
in 
forma 
associata 
dell'attivit�, 
ma 
piuttosto 
l'insussistenza dell'esercizio in forma associata dell'attivit� stessa. 


Dall'accertamento 
in 
concreto 
dell'autonoma 
organizzazione 
non 
si 
� 
ritenuta 
dispensata 
Cass. 
n. 
21326 
del 
2013 
-richiamata 
nell'ordinanza 
interlocutoria 
-, 
che, 
pur 
consapevole 
che 
"solo 
l'attivit� 
esercitata 
dalle 
societ� 
e 
dagli 
enti, 
compresi 
gli 
organi 
e 
le 
amministrazioni 
dello 
Stato, 
costituisce 
in 
ogni 
caso 
presupposto 
di 
imposta, 
in 
base 
alla 
seconda 
parte" 
del 
detto 
art. 
2, 
ha 
nondimeno 
ritenuto 
applicabile 
l'imposta 
a 
numerosi 
tassisti 
"organizzati 
in 
societ� 
cooperativa, 
in 
ragione 
delle 
specifiche 
modalit� 
di 
esercizio 
dell'attivit�, 
integrata 
dall'apporto 
qualificante 
della 
predetta 
stabile 
struttura 
societaria, 
che 
assicura 
al 
singolo 
tassista, 
in 
via 
tipica 
e 
costante, 
continuit� 
di 
lavoro, 
migliori 
condizioni 
economico-professionali, 
centralizzazione 
della 
raccolta 
pubblicitaria, 
assistenza 
amministrativa 
e 
fiscale": 
ma 
ci�, 
sembra 
di 
capire, 
in 
ragione 
della 
formulazione 
dei 
motivi 
del 
ricorso, 
uno 
dei 
quali 
"non 
aveva 
dato 
conto 
della 
descritta 
sussistenza, 
in 
capo 
ai 
tassisti, 
di 
una 
posizione 
contrattuale 
ed 
organizzativa 
collegata 
in 
modo 
essenziale 
-gi� 
ai 
fini 
di 
censirne 
l'intrinseca 
modalit� 
di 
effettuazione 
-con 
i 
plurimi 
servizi 
della 
cooperativa 
di 
cui 
essi 
sono 
soci, 
dunque 
in 
una 
funzione 
collaborativa 
ben 
censita 
come 
contributo 
determinante 
per 
la 
produzione 
globale 
lorda 
del 
reddito 
dei 
contribuenti". 


Alla 
luce 
delle 
considerazioni 
che 
precedono, pu� affermarsi 
pertanto il 
seguente 
principio 
di diritto: 


"presupposto 
dell'imposta 
regionale 
sulle 
attivit� 
produttive 
� 
l'esercizio 
abituale 
di 
un'attivit� 
autonomamente 
organizzata 
diretta 
alla 
produzione 
e 
allo scambio ovvero alla 
prestazione 
di 
servizi; 
ma 
quando l'attivit� 
� 
esercitata 
dalle 
societ� 
e 
dagli 
enti, che 
siano soggetti 
passivi 
dell'imposta 
a 
norma 
del 
D.Lgs. 15 dicembre 
1997, n. 446, art. 3, comprese 
quindi 
le 
societ� 
semplici 
e 
le 
associazioni 
senza 
personalit� 
giuridica 
costituite 
fra 
persone 
fisiche 
per 
l'esercizio in forma 
associata 
di 
arti 
e 
professioni 
- essa, in quanto esercitata 
da 
tali 
soggetti, 
strutturalmente 
organizzati 
per la 
forma 
nella 
quale 
l'attivit� 
� 
svolta, costituisce 
ex 
lege, in 
ogni 
caso, 
presupposto 
d'imposta, 
dovendosi 
perci� 
escludere 
la 
necessit� 
di 
ogni 
accertamento 
in ordine alla sussistenza dell'autonoma organizzazione". 


La decisione impugnata si pone in contrasto con il principio di diritto enunciato. 


Il 
primo motivo del 
ricorso deve 
essere 
perci� accolto, assorbito l'esame 
del 
secondo 
motivo, la 
sentenza 
impugnata 
deve 
essere 
cassata 
e, non essendo necessari 
ulteriori 
accertamenti 
di 
fatto, 
la 
causa 
pu� 
essere 
decisa 
nel 
merito, 
con 
il 
rigetto 
del 
ricorso 
introduttivo 
della contribuente. 


La 
non 
univocit� 
dei 
precedenti 
giurisprudenziali 
sul 
punto 
giustifica 
la 
compensazione 
delle spese dell'intero giudizio. 


non sussistono i 
presupposti, ai 
sensi 
del 
D.P.R. n. 115 del 
2002, art. 13, comma 
1 quater, 
per 
il 
versamento, 
da 
parte 
della 
ricorrente, 
dell'ulteriore 
importo 
a 
titolo 
di 
contributo 
unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis. 



RASSeGnA 
AVVOCATuRA 
DeLLO 
STATO - n. 4/2016 


P.Q.M. 
La 
Corte 
di 
cassazione, a 
sezioni 
unite, accoglie 
il 
ricorso, cassa 
la 
sentenza 
impugnata 
e, decidendo nel merito, rigetta il ricorso introduttivo della contribuente. 


Dichiara compensate fra le parti le spese dell'intero giudizio. 


non sussistono i 
presupposti, ai 
sensi 
del 
D.P.R. n. 115 del 
2002, art. 13, comma 
1 quater, 
per il 
versamento, da 
parte 
del 
ricorrente, dell'ulteriore 
importo a 
titolo di 
contributo unificato 
pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis. 


Cos� deciso in Roma, il 6 ottobre 2015. 


Cassazione 
civile, sezioni 
Unite, sentenza 10 maggio 2016 n. 9451 -Pres. M. Cicala, rel. 


A. Greco, P.m. 
u. Apice 
(difforme) - Ricorso Agenzia 
delle 
entrate 
(avv. gen. Stato) c. C.n. 
(avv. M. Chianese). 
SVOLGIMenTO 
DeL 
PROCeSSO 
L'Agenzia 
delle 
entrate 
propone 
ricorso 
per 
cassazione 
con 
un 
motivo, 
illustrato 
con 
successiva 
memoria, 
nei 
confronti 
della 
sentenza 
della 
Commissione 
tributaria 
regionale 
della 
Campania 
che, rigettandone 
l'appello, ha 
riconosciuto a 
C.n., avvocato, il 
diritto al 
rimborso 
dell'IRAP versata per gli anni dal 2000 al 2004. 
Il 
giudice 
d'appello, rilevato che 
nello svolgimento dell'attivit� 
professionale 
il 
contribuente 
si 
avvaleva 
"solo 
di 
un 
lavoratore 
dipendente 
con 
mansioni 
di 
segretario 
e 
di 
beni 
strumentali 
minimi", ha 
ritenuto che 
"la 
presenza 
minimale 
di 
strumenti 
e 
di 
collaborazione 
non 
costituiva autonoma organizzazione" ai sensi del D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 446, art. 2. 


C.n. resiste con controricorso, illustrato con successiva memoria. 
Con l'unico motivo, denunciando "violazione 
e 
falsa 
applicazione 
del 
D.Lgs. 15 dicembre 
1997, n. 447, art. 2, comma 
1, e 
art. 3, lettera 
c)", l'amministrazione 
ricorrente 
critica 
la 
sentenza 
impugnata 
perch�, pur avendo riconosciuto la 
presenza 
di 
un dipendente 
e 
di 
beni 
strumentali 
ha 
escluso il 
requisito dell'autonoma 
organizzazione 
ai 
fini 
dell'IRAP, laddove, 
secondo 
le 
disposizioni 
in 
rubrica, 
tale 
requisito 
ricorrerebbe 
allorch� 
il 
contribuente 
sia, 
sotto 
qualsiasi 
forma 
il 
responsabile 
dell'organizzazione 
e 
si 
avvalga 
del 
lavoro anche 
di 
un solo 
dipendente. 


Il contribuente resiste con controricorso, illustrato con successiva memoria. 


Fissato per la 
discussione, a 
seguito di 
ordinanza 
interlocutoria 
della 
sezione 
tributaria 
(ord. 5040/15), il 
ricorso � 
stato rimesso a 
queste 
Sezioni 
unite 
per l'esame 
di 
questione 
di 
massima di particolare importanza. 


L'Agenzia delle entrate ha depositato memoria. 


MOTIVI 
DeLLA 
DeCISIOne 
1.- Con l'ordinanza 
del 
gennaio 2015 la 
sezione 
tributaria 
ha 
ravvisato nella 
giurisprudenza 
della 
Corte 
di 
cassazione, con riguardo al 
presupposto dell'imposta 
regionale 
sulle 
attivit� 
produttive, 
fissato 
dal 
D.Lgs. 
15 
dicembre 
1997, 
n. 
446, 
art. 
2, 
e 
segnatamente 
al 
concetto di 
"autonoma 
organizzazione", un contrasto fra 
un orientamento pi� radicato - di 
cui 
costituisce 
espressione 
Cass. n. 3676 del 
2007 -, secondo cui 
la 
presenza 
anche 
di 
un solo dipendente, 
anche 
se 
part 
time 
ovvero addetto a 
mansioni 
generiche, determinerebbe 
di 
per s� 
l'assoggettamento 
all'imposta, 
ed 
un 
orientamento 
pi� 
recente, 
secondo 
cui 
sarebbe 
invece 



COnTenzIOSO 
nAzIOnALe 


necessario 
accertare 
in 
punto 
di 
fatto 
l'attitudine 
del 
lavoro 
svolto 
dal 
dipendente 
a 
potenziare 
l'attivit� produttiva al fine di verificare la ricorrenza del presupposto stesso. 


Osserva 
il 
Collegio 
che 
la 
sentenza 
n. 
3676 
del 
2007, 
menzionata 
come 
significativa 
dell'indirizzo 
pi� 
risalente, 
e 
decisamente 
maggioritario, 
rappresenta, 
con 
alcune 
pronunce 
coeve, 
il 
punto 
di 
approdo 
di 
una 
prima 
fase 
dell'elaborazione 
giurisprudenziale 
di 
questa 
Corte 
sull'IRAP, 
incentrata 
sul 
presupposto 
dell'imposta, 
regolato 
dal 
D.Lgs. 
15 
dicembre 
1997, n. 446, artt. 2 e 
1, istitutivo del 
tributo, mentre 
la 
seconda 
fase 
� 
stata 
piuttosto caratterizzata 
dalla definizione dei contorni della platea dei soggetti passivi. 


2.-Con 
la 
sentenza 
16 
febbraio 
2007, 
n. 
3676, 
dunque, 
la 
sezione 
tributaria 
aveva 
in 
primo luogo posto in luce 
che 
il 
D.Lgs. n. 446 del 
1997, aveva 
stabilito all'art. 2 che 
il 
presupposto 
del 
tributo 
� 
costituito 
dall'esercizio 
di 
un'attivit� 
"autonomamente 
organizzata" 
(cosi 
dopo 
la 
novella 
recata 
dal 
D.Lgs. 
10 
aprile 
1998, 
n. 
137) 
diretta 
alla 
produzione 
o 
allo 
scambio 
di 
beni 
o servizi, ribadendo al 
successivo art. 3, che 
i 
soggetti 
passivi 
dell'IRAP 
sono quelli 
che 
svolgono 
una 
delle 
attivit� 
di 
cui 
all'art. 
2 
e, 
"pertanto", 
anche 
le 
persone 
fisiche 
e 
le 
societ� 
semplici 
(od equiparate) che 
esercitano un'arte 
o una 
professione 
ai 
sensi 
dell'art. 49, 
comma 
1 
(nella 
vecchia 
numerazione) 
del 
D.P.R. 
22 
dicembre 
1986, 
n. 
917, 
che, 
come 
chiarito 
dalla 
lettera 
a) del 
comma 
2 all'epoca 
vigente, ricomprendeva 
nella 
categoria 
tutti 
coloro che, 
per professione 
abituale, svolgevano un'attivit� 
di 
lavoro autonomo non classificabile 
come 
impresa 
o come 
collaborazione 
coordinata 
o continuativa 
e, cio�, come 
prestazione 
di 
servizi 
senza impiego di organizzazione propria. 


Aveva 
quindi 
rilevato 
come 
la 
Corte 
costituzionale, 
con 
la 
sentenza 
n. 
156 
del 
2001 
avesse 
puntualizzato 
che 
l'IRAP 
non 
operava 
nessuna 
indebita 
equiparazione 
dei 
redditi 
di 
lavoro 
autonomo 
a 
quelli 
d'impresa, 
essendo 
un'imposta 
volta 
ad 
incidere 
su 
di 
un 
fatto 
economico 
diverso 
dal 
reddito, 
ossia 
sul 
valore 
aggiunto 
prodotto 
dalle 
singole 
unit� 
organizzative, 
che 
ove 
sussistente, 
costituiva 
un 
indice 
di 
capacit� 
contributiva 
capace 
di 
giustificare 
l'imposizione 
sia 
nei 
confronti 
delle 
imprese 
che 
dei 
lavoratori 
autonomi: 
ci� 
non 
voleva 
certamente 
dire 
che 
questi 
ultimi 
rientravano 
sempre 
tra 
i 
soggetti 
passivi 
dell'imposta 
perch� 
se 
quello 
organizzativo 
costituiva 
un 
elemento 
connaturato 
alla 
nozione 
stessa 
d'impresa, 
non 
altrettanto 
poteva 
dirsi 
per 
le 
arti 
e 
le 
professioni, 
riguardo 
alle 
quali 
non 
era 
impossibile 
escludere 
in 
assoluto 
che 
l'attivit� 
potesse 
essere 
svolta 
anche 
in 
assenza 
di 
un'organizzazione 
di 
capitali 
e/o 
lavoro 
altrui. 
Ma 
la 
ipotizzabilit� 
di 
un'evenienza 
del 
genere, 
il 
cui 
accertamento 
costituiva 
una 
questione 
di 
mnero 
fatto, 
non 
valeva 
a 
dimostrare 
la 
denunciata 
illegittimit� 
dell'IRAP, 
ma 
soltanto 
la 
sua 
inapplicabilit� 
per 
quei 
lavoratori 
autonomi 
che 
non 
si 
fossero 
giovati 
di 
alcun 
supporto 
organizzativo. 
In 
tal 
modo, 
la 
Corte 
costituzionale 
"aveva 
in 
definitiva 
affermato 
che 
l'IRAP 
pu� 
ed, 
anzi, 
deve 
essere 
applicata 
pure 
ai 
lavoratori 
autonomi, 
tenendo 
per� 
presente 
che 
non 
si 
tratta 
di 
una 
regola 
assoluta, 
ma 
solo 
dell'ipotesi 
ordinaria, 
nel 
senso 
che 
l'assoggettamento 
all'imposta 
costituisce 
la 
norma 
per 
ogni 
tipo 
di 
professionista, 
mentre 
l'esenzione 
rappresenta 
l'eccezione 
valevole 
soltanto 
per 
quelli 
privi 
di 
qualunque 
apparato 
produttivo. 
Vero 
� 
che 
l'interpretazione 
che 
di 
una 
norma 
sottoposta 
a 
scrutinio 
di 
costituzionalit� 
offre 
la 
Corte 
costituzionale 
in 
una 
sentenza 
di 
non 
fondatezza 
non 
costituisce 
un 
vincolo 
per 
il 
giudice 
chiamato 
successivamente 
ad 
applicarla, 
ma 
� 
altrettanto 
vero 
che 
quella 
interpretazione, 
se 
non 
altro 
per 
l'autorevolezza 
della 
fonte 
da 
cui 
proviene, 
rappresenta 
un 
fondamentale 
contributo 
ermeneutico 
che 
non 
pu� 
essere 
disconosciuto 
senza 
l'esistenza 
di 
una 
valida 
ragione". 


Secondo la 
sezione 
tributaria, "il 
D.Lgs. n. 446 del 
1997, art. 2, richiede 
unicamente 
la 
presenza 
di 
un'organizzazione 
autonoma 
senza 
fissare 
alcun 
limite 
quantitativo 
diverso 
da 
quello 
insito 
nel 
concetto 
stesso 
evocato 
dalle 
parole 
usate 
che, 
a 
loro 
volta, 
postulano 
soltanto 



RASSeGnA 
AVVOCATuRA 
DeLLO 
STATO - n. 4/2016 


l'esistenza 
di 
uno o pi� elementi 
suscettibili 
di 
combinarsi 
con il 
lavoro dell'interessato, potenziandone 
le 
possibilit�. non occorre, quindi, che 
si 
tratti 
di 
una 
struttura 
d'importanza 
prevalente 
rispetto al 
lavoro del 
titolare 
o addirittura 
in grado di 
generare 
profitti 
anche 
senza 
di 
lui, ma 
� 
sufficiente 
che 
vi 
sia 
un insieme 
tale 
da 
porre 
il 
professionista 
in una 
condizione 
pi� 
favorevole 
di 
quella 
in 
cui 
si 
sarebbe 
trovato 
senza 
di 
esso. 
La 
maggiore 
o 
minore 
consistenza 
di 
tale 
insieme 
non 
� 
dunque 
importante 
purch�, 
ben 
s'intende, 
si 
tratti 
di 
fattori 
che 
non 
siano 
tutto sommato trascurabili, bens� 
capaci 
di 
fornire 
un effettivo qualcosa 
in pi� al 
lavoratore 
autonomo. L'indagine 
sull'esistenza 
di 
tale 
qualcosa 
in pi� costituisce 
senza 
dubbio un accertamento 
di 
fatto che 
il 
giudice 
di 
merito dovr� 
compiere 
caso per caso sulla 
base 
di 
una 
valutazione 
di 
natura 
non 
soltanto 
logica, 
ma 
anche 
socio-economica 
perch� 
l'assenza 
di 
un 
struttura 
produttiva 
non pu� essere 
intesa 
nel 
senso radicale 
di 
totale 
mancanza 
di 
qualsiasi 
supporto, ma 
neppure 
in quello di 
particolare 
rilevanza 
o, peggio, di 
prevalenza 
dei 
beni 
e/o 
del 
lavoro altrui 
su quello del 
titolare. Per far sorgere 
l'obbligo di 
pagamento del 
tributo basta 
infatti, 
l'esistenza 
di 
un 
apparato 
che 
non 
sia 
sostanzialmente 
ininfluente, 
ovverosia 
di 
un 
quid 
pluris 
che 
secondo il 
comune 
sentire, del 
quale 
il 
giudice 
di 
merito � 
portatore 
ed interprete, 
sia 
in grado di 
fornire 
un apprezzabile 
apporto al 
professionista. Si 
deve 
cio� 
trattare 
di 
un 
qualcosa 
in pi� la 
cui 
disponibilit� 
non sia, in definitiva, irrilevante 
perch� 
capace, come 
lo 
studio 
o 
i 
collaboratori, 
di 
rendere 
pi� 
efficace 
o 
produttiva 
l'attivit�. 
non 
varrebbe 
in 
contrario 
replicare 
che 
cos� 
ragionando 
si 
giunge 
a 
fare 
dei 
professionisti 
una 
categoria 
indefettitalnente 
assoggettata 
all'IRAP 
perch�, nell'attuale 
realt�, � 
quasi 
impossibile 
esercitare 
l'attivit� 
senza 
l'ausilio di 
uno studio e/o di 
uno o pi� collaboratori 
o dipendenti. � 
infatti 
proprio per questo 
che 
il 
D.Lgs. n. 446 del 
1997, ha 
inserito gli 
autonomi 
fra 
i 
soggetti 
passivi 
dell'imposta, in 
quanto anch'essi 
s� 
avvalgono normalmente 
di 
quella 
struttura 
organizzativa 
che 
costituisce 
il 
presupposto dell'imposta. ed � 
sempre 
per lo stesso motivo che... il 
D.Lgs. n. 446 del 
1997, 
ha, fra 
l'altro, abrogato l'ICIAP, essendo l'IRAP 
destinata 
normalmente 
a 
colpire 
coloro che 
in 
precedenza 
pagavano 
l'ICIAP 
che, 
a 
sua 
volta, 
gravava 
sui 
professionisti 
indipendentemente 
dalla consistenza della organizzazione da essi predisposta". 


In considerazione 
di 
quanto sopra, va 
pertanto enunciato il 
seguente 
principio di 
diritto: 
"A 
norma 
del 
combinato disposto del 
D.Lgs. 15 dicembre 
1997, n. 446, art. 2, primo periodo, 
e 
art. 
3, 
comma 
1, 
lett. 
c), 
l'esercizio 
delle 
attivit� 
di 
lavoro 
autonomo 
di 
cui 
all'art. 
49, 
comma 
1 (nella 
versione 
vigente 
fino al 
31/12/2003), ovvero al 
D.P.R. 22 dicembre 
1986, n. 917, art. 
53, comma 
1, (nella 
versione 
vigente 
dal 
1/1/2004), � 
escluso dall'applicazione 
dell'imposta 
regionale 
sulle 
attivit� 
produttive 
(IRAP) solo qualora 
si 
tratti 
di 
attivit� 
non autonomamente 
organizzata. I1 requisito dell'autonoma 
organizzazione, il 
cui 
accertamento spetta 
al 
giudice 
di 
merito ed � 
insindacabile 
in sede 
di 
legittimit� 
se 
congruamente 
motivato, ricorre 
quando 
il 
contribuente: 
a) 
sia, 
sotto 
qualsiasi 
forma, 
il 
responsabile 
dell'organizzazione 
e 
non 
sia, 
quindi, inserito in strutture 
organizzative 
riferibili 
ad altrui 
responsabilit� 
ed interesse; 
b) impieghi 
beni 
strumentali 
eccedenti, secondo l'id quod plerumque 
accidit, il 
minimo indispensabile 
per l'esercizio dell'attivit� 
in assenza 
di 
organizzazione, oppure 
si 
avvalga 
in modo non 
occasionale 
di 
lavoro 
altrui. 
Costituisce 
onere 
del 
contribuente 
che 
chieda 
il 
rimborso 
del-
l'imposta 
asseritamente 
non dovuta 
dare 
la 
prova 
dell'assenza 
delle 
condizioni 
sopraelencate. 


3.-Queste 
Sezioni 
unite, 
con 
riguardo 
al 
requisito 
dell'autonoma 
organizzazione 
nel 
presupposto 
dell'IRAP, condividono i 
principi 
e, pi� complessivamente, l'impianto ricostruttivo 
fornito allora 
con la 
sentenza 
capofila 
dell'orientamento maturato nel 
2007 nella 
sezione 
tributaria, 
della 
quale 
si 
� 
dato conto sopra, e 
tuttavia 
ritengono che 
essi 
meritino, pi� che 
una 
rivalutazione, delle precisazioni concernenti il fattore lavoro. 



COnTenzIOSO 
nAzIOnALe 


Se 
fra 
"gli 
elementi 
suscettibili 
di 
combinarsi 
con il 
lavoro dell'interessato, potenziandone 
le 
possibilit� 
necessarie", accanto ai 
beni 
strumentali 
vi 
sono i 
mezzi 
"personali" 
di 
cui 
egli 
pu� avvalersi 
per lo svolgimento dell'attivit�, perch� 
questi 
davvero rechino ad essa 
un 
apporto significativo occorre 
che 
le 
mansioni 
svolte 
dal 
collaboratore 
non occasionale 
concorrano 
o si 
combinino con quel 
che 
� 
il 
proprium 
della 
specifica 
(professionalit� 
espressa 
nella) "attivit� 
diretta 
allo scambio di 
beni 
o di 
servizi", di 
cui 
fa 
discorso il 
D.Lgs. n. 946 del 
1997, art. 2, e 
ci� vale 
tanto per il 
professionista 
che 
per l'esercente 
l'arte, come, pi� in generale, 
per il 
lavoratore 
autonomo ovvero per le 
figure 
"di 
confine" 
individuate 
nel 
corso degli 
anni 
dalla 
giurisprudenza 
di 
questa 
Corte. 
� 
infatti 
in 
tali 
casi 
che 
pu� 
parlarsi, 
per 
usare 
l'espressione 
del 
giudice 
delle 
leggi, di 
"valore 
aggiunto" 
o, per dirla 
con le 
pronunce 
della 
sezione tributaria del 2007, di "quel qualcosa in pi�". 


Diversa 
incidenza 
assume 
perci� 
l'avvalersi 
in 
modo 
non 
occasionale 
di 
lavoro 
altrui 
quando 
questo 
si 
concreti 
nell'espletamento 
di 
mansioni 
di 
segreteria 
o 
generiche 
o 
meramente 
esecutive, che 
rechino all'attivit� 
svolta 
dal 
contribuente 
un apporto del 
tutto mediato o, appunto, 
generico. 


Lo stesso limite 
segnato in relazione 
ai 
beni 
strumentali 
"eccedenti, secondo l'id quod 
plerumque 
accidit, il 
minimo indispensabile 
per l'esercizio dell'attivit� 
in assenza 
di 
organizzazione" 
- non pu� che 
valere, armonicamente, per il 
fattore 
lavoro, la 
cui 
soglia 
minimale 
si 
arresta all'impiego di un collaboratore. 


Va 
pertanto enunciato il 
seguente 
principio di 
diritto: 
"con riguardo al 
presupposto del-
l'IRAP, il 
requisito dell'autonoma 
organizzazione 
- previsto dal 
D.Lgs. 15 settembre 
1997, n. 
496, art. 2, -, il 
cui 
accertamento spetta 
al 
giudice 
di 
merito ed � 
insindacabile 
in sede 
di 
legittimit� 
se 
congruamente 
motivato, 
ricorre 
quando 
il 
contribuente: 
a) 
sia, 
sotto 
qualsiasi 
forma, il 
responsabile 
dell'organizzazione 
e 
non sia, quindi, inserito in strutture 
organizzative 
riferibili 
ad 
altrui 
responsabilit� 
ed 
interesse; 
b) 
impieghi 
beni 
strumentali 
eccedenti, 
secondo 
l'id quod plerumque 
accidit, il 
minimo indispensabile 
per l'esercizio dell'attivit� 
in assenza 
di 
organizzazione, 
oppure 
si 
avvalga 
in 
modo 
non 
occasionale 
di 
lavoro 
altrui 
che 
superi 
la 
soglia 
dell'impiego di 
un collaboratore 
che 
esplichi 
mansioni 
di 
segreteria 
ovvero meramente 
esecutive". 


Il ricorso dell'Agenzia delle entrate deve essere rigettato. 


Le 
spese 
del 
giudizio 
vanno 
compensate 
fra 
le 
parti, 
in 
considerazione 
del 
carattere 
controverso 
della questione in sede di legittimit�. 


P.Q.M. 
La Corte di cassazione, a sezioni unite, rigetta il ricorso. 
Dichiara compensate fra le parti le spese del giudizio. 
Cos� deciso in Roma, il 6 ottobre 2015. 

RASSeGnA 
AVVOCATuRA 
DeLLO 
STATO - n. 4/2016 


il 
regime 
di 
esenzione 
iVa 
delle 
operazioni 
in 
coassicurazione: 
l�interpretazione 
restrittiva 
entra 
dalla 
porta 
ed 
esce 
dalla 
finestra. 
La 
riconducibilit� 
nell�alveo 
delle 
�operazioni 
di 
assicurazione� 
delle 
prestazioni 
svolte 
in 
esecuzione 
di 
clausola 
di delega nell�ambito di un contratto di coassicurazione 


Nota 
a 
CassazioNe 
Civile, sezioNe 
v, seNteNza 
4 Novembre 
2016 N. 22429 


Lucia Marzialetti * 


sommario: 
1. 
Premessa. 
i 
termini 
della 
questione 
-2. 
l�iter 
logico 
seguito 
dalla 
suprema 
Corte - 3. Critica. i profili problematici - 4. Considerazioni conclusive. 

1. Premessa. i termini della questione. 
La 
Suprema 
Corte 
di 
cassazione 
con 
la 
sentenza 
in 
commento, 
per 
la 
prima 
volta 
si 
trova 
a 
dover esaminare 
e 
(tentare 
di) risolvere 
l�annosa 
questione 
in ordine 
ai 
profili 
problematici 
che 
presenta 
l�applicabilit� 
della 
disciplina 
di 
esenzione 
Iva 
ai 
�costi 
di 
liquidazione� 
o �costi 
di 
delega� 
corrisposti 
dalla 
delegante 
alla 
delegataria 
nell�ambito di 
un rapporto di 
coassicurazione 
in presenza di una clausola di delega. 


nel 
caso in esame 
la 
controversia 
traeva 
origine 
dall�impugnazione 
del-
l�avviso 
di 
accertamento 
emesso 
dall�Amministrazione 
finanziaria 
a 
carico 
della 
societ� 
resistente, 
operante 
nel 
settore 
assicurativo 
del 
ramo 
danni, 
e 
con 
il 
quale 
veniva 
recuperata 
a 
tassazione 
l�omessa 
fatturazione 
di 
operazioni 
imponibili 
IVA 
(1) 
in 
riferimento 
ai 
contratti 
di 
coassicurazione 
stipulati 
con 
altri 
soggetti assicuratori. 


Tramite 
l�avviso 
di 
accertamento 
l�ufficio 
recuperava 
a 
tassazione 
gli 
addebiti, 
sia 
delle 
spese 
esterne 
sia 
delle 
spese 
interne, 
�affermando 
che 
questi 
costi 
-quantificati 
nei 
cd. 
diritti 
di 
liquidazione 
-venivano 
conseguiti 
dalla 
delegataria 
a 
titolo 
di 
compenso 
per 
la 
autonoma 
attivit� 
svolta 
nel-
l'interesse 
delle 
altre 
coassicuratrici 
e, 
quindi, 
dovevano 
essere 
assoggettate 
ad 
iva. 
tale 
contestazione 
era 
fondata 
anche 
sulla 
considerazione 
che 
il 


(*) Dottore 
in giurisprudenza, ammessa 
alla 
pratica 
forense 
presso l�Avvocatura 
Generale 
dello Stato e 
tirocinante presso l�Istituto per la 
Vigilanza sulle 
Assicurazioni (IVASS). 


(1) 
In 
particolare 
le 
violazioni 
riscontrate 
dall�agenzia 
si 
riferivano 
all'omessa 
fatturazione 
di 
prestazioni 
imponibili 
ai 
fini 
Iva, inerenti 
le 
commissioni 
di 
delega 
(o diritti 
di 
liquidazione 
per le 
spese 
sostenute) che, nei 
contratti 
di 
coassicurazione, rappresenterebbero il 
corrispettivo per le 
prestazioni 
di 
servizio effettuate 
dall'impresa 
coassicuratrice 
delegataria 
nei 
confronti 
delle 
altre 
coassicuratrici 
deleganti, 
per la 
gestione 
di 
un contratto assicurativo unitario. Dalla 
stessa 
ricostruzione 
dei 
fatti, pacifica 
fra 
le 
parti, 
i 
�diritti 
di 
liquidazione� 
consisterebbero 
in 
�importi 
calcolati 
in 
percentuale 
dell�indennizzo 
complessivo, conformemente 
ad apposite 
tabelle 
pubblicate 
dall�associazione 
di 
categoria 
AnIA�. La 
modalit� 
di 
corresponsione 
dell�addebito attraverso un meccanismo di 
forfetizzazione 
avvalora, a 
bene 
vedere, la natura di compensi delle somme s� percepite. 

COnTenzIOSO 
nAzIOnALe 


rapporto 
tra 
le 
assicuratrici 
era 
costituito 
da 
un 
�mandato 
senza 
rappresentanza�
� 
(� 
2). 


La 
societ� 
si 
difendeva, sia 
in primo sia 
in secondo grado, contestando la 
ricostruzione 
operata 
dall�Amministrazione 
e 
sostenendo 
che 
le 
prestazioni 
de 
quibus 
dovevano piuttosto inserirsi 
�nell'esecuzione 
del 
contratto principale 
di 
assicurazione, dal 
quale 
non sono oggettivamente 
scindibili�, sicch� 
�i 
relativi 
compensi 
rientrano 
nell'esenzione 
delle 
operazioni 
di 
assicurazione 
prevista dal D.P.r. n. 633 del 1972, art. 10, comma 1, n. 2� 
(� 1.3). 


I giudici 
dei 
precedenti 
gradi 
di 
giudizio accoglievano interamente 
le 
ricostruzioni 
proposte dalla societ� di assicurazione. 


L�Amministrazione 
finanziaria 
ricorreva, 
quindi, 
alla 
Suprema 
Corte 
di 
cassazione 
lamentando 
in 
primo 
luogo 
la 
violazione 
e 
falsa 
applicazione 
dell'art. 
1911 
c.c. 
e 
del 
D.P.R. 
n. 
633 
del 
1972, 
art. 
3, 
commi 
1 
e 
3, 
art. 
10, 
comma 
1, 
n. 
2, 
art. 
12, 
art. 
15, 
comma 
1, 
n. 
3, 
art. 
19, 
comma 
5, 
art. 
36 
bis 
(art. 
360 
c.p.c., 
comma 
1, 
n. 
3) 
(2); 
in 
secondo 
luogo 
la 
omessa 
o 
insufficiente 
motivazione 
su 
punti 
di 
fatto 
decisivi 
per 
il 
giudizio 
(art. 
360 
c.p.c., 
comma 
1, 
n. 
5). 


Con 
la 
sentenza 
che 
si 
offre 
in 
commento 
la 
Suprema 
Corte 
di 
cassazione 
� 
stata, dunque, chiamata 
ad occuparsi, per la 
prima 
volta, del 
problema 
del-
l�inquadramento fiscale 
delle 
operazioni 
poste 
in essere 
dalle 
imprese 
delegatarie 
in esecuzione delle obbligazioni nascenti dalle clausole di delega. 


Se 
inizialmente 
le 
osservazioni 
e 
le 
argomentazioni 
svolte 
in limine 
litis 
dalla 
Corte, anche 
attraverso numerosi 
richiami 
alla 
giurisprudenza 
comunitaria, 
sembrano avvalorare 
le 
tesi 
erariali, successivamente, si 
avverte 
un inaspettato 
cambio di rotta. 


Infatti, 
con 
un 
iter 
logico 
non 
univoco, 
la 
Suprema 
Corte 
conclude 
respingendo 
il 
primo 
motivo 
di 
ricorso, 
accogliendo 
il 
secondo 
e 
cassando 
la 
sentenza con rinvio. 


La 
Suprema 
Corte 
invita, 
dunque, 
il 
giudice 
del 
rinvio 
ad 
attenersi 
ai 
principi 
di 
diritto 
statuiti 
nella 
pronuncia 
in 
commento, 
chiedendo 
altres� 
di 
accertare 
se 
nel 
presente 
caso 
ricorra 
�l�unicit� 
economica 
dell�operazione 
di 
assicurazione� 
ovvero 
�prestazioni 
indipendenti� 
o 
�prestazioni 
accessorie� 
a 
quella 
assicurativa 
sotto il 
profilo della 
�idoneit� delle 
diverse 
prestazioni 
o 
attivit� ad integrare 
il 
servizio assicurativo sotto il 
profilo economico� 
e 
dell� 
�esistenza di 
un vincolo contrattuale 
tra il 
prestatore 
del 
servizio e 
l�assicurato, 
che ricorre nel rapporto con l�assicuratore�. 


(2) Le 
doglianze 
dell�Amministrazione 
finanziaria 
ricorrente 
si 
rivolgevano in particolare 
contro 
quattro punti 
della 
impugnata 
sentenza 
della 
CTR di 
Genova 
(n. 11/2010), contestando le 
ricostruzioni 
operate 
dai 
giudici 
tributari 
in 
punto 
di: 
Ricostruzione 
del 
rapporto 
tra 
delegante 
e 
delegataria 
come 
mandato con rappresentanza; 
Riconduzione 
delle 
prestazioni 
svolte 
fra 
le 
operazioni 
di 
assicurazione 
esentate 
iva 
ai 
sensi 
dell�art. 10 comma 
1 n. 2; 
Illegittimit� 
della 
doppia 
imposizione 
generata 
dalla 
tassazione 
del 
ribaltamento dei 
costi 
pro quota 
sulle 
deleganti; 
Accessoriet� 
delle 
prestazioni 
svolte 
dalla 
delegataria rispetto alle principali operazioni di assicurazione. 

RASSeGnA 
AVVOCATuRA 
DeLLO 
STATO - n. 4/2016 


2. l�iter logico seguito dalla suprema Corte. 
La 
Suprema 
Corte 
di 
cassazione, dopo aver brevemente 
ricostruito i 
fatti 
di causa dai quali origina la controversia, esamina nel merito la questione. 


Preliminarmente 
ripercorre 
la 
normativa 
applicabile; 
successivamente 
analizza 
il 
ragionamento svolto dalla 
CTR di 
Genova, e, ritenendolo corretto, 
riporta 
a 
tal 
fine 
la 
giurisprudenza 
comunitaria 
in 
materia; 
infine 
risolve 
la 
questione, 
procedendo 
all�inquadramento 
sistematico 
dell�istituto 
giuridico 
ai 
fini sia del diritto civile sia, pi� specificamente, ai fini del diritto tributario. 


In 
merito 
al 
primo 
motivo 
di 
illegittimit� 
sollevato 
dall�Amministrazione 
ricorrente, la 
Suprema 
Corte 
di 
cassazione 
si 
� 
espressa 
in termini 
di 
rigetto, 
reputando il motivo di ricorso infondato ed inammissibile. 


La 
Suprema 
Corte 
osserva 
che, 
contrariamente 
a 
quanto 
sostenuto 
dal-
l�Agenzia, la 
CTR non ha 
invocato a 
fondamento della 
propria 
decisione 
n� 
l�art. 15 comma 1, n. 3, n� l�art. 12, ma unicamente l�art. 10 DPR 633/1972. 


La 
Corte 
mostra 
di 
condividere 
il 
ragionamento 
svolto 
dalla 
CTR 
secondo 
cui 
le 
prestazioni 
svolte 
dalla 
delegataria, pur ponendosi 
in rapporto di 
accessoriet� 
rispetto alle 
principali 
prestazioni 
di 
assicurazione 
svolte 
a 
favore 
del 
soggetto assicurato, devono considerarsi 
sul 
piano fiscale 
�un unicum 
identificato 
nella pi� ampia nozione di operazione di assicurazione� 
(� 4.2.7). 


Osserva 
la 
Corte 
che 
proprio per tale 
motivo la 
CTR, in linea 
con la 
giurisprudenza 
della 
Corte 
di 
Giustizia 
dell�ue, 
�volutamente 
non 
ha 
valutato 
separatamente 
le 
singole 
operazioni 
messe 
in 
atto 
per 
l'espletamento 
della 
delega, 
ma 
si 
� 
soffermata 
sul 
complesso 
dell'attivit� 
svolta 
dalla 
delegataria 
per 
conto delle 
deleganti 
ed ha ritenuto, in ragione 
di 
ci�, che 
tutte 
le 
operazioni 
relative 
alla gestione 
ed all'esecuzione 
del 
rapporto assicurativo rientrassero 
nella nozione di "operazioni di assicurazione"� 
(� 4.2.3). 


Ci� 
posto 
la 
Suprema 
Corte, 
a 
sostegno 
delle 
proprie 
argomentazioni, 
richiama 
una 
copiosa 
giurisprudenza 
eurocomunitaria 
che 
ritiene 
a 
tal 
fine 
�dirimente�. 


Ad avviso dei 
giudici 
di 
legittimit�, infatti, nella 
materia 
delle 
assicurazioni, 
le 
nozioni 
proprie 
del 
diritto comunitario devono prevalere 
sulle 
discipline 
civilistiche nazionali. 


Con 
siffatte 
premesse, 
a 
partire 
dal 
� 
4.3 
e 
fino 
al 
� 
4.5.7 
vengono, 
pertanto, 
riportati 
i 
passi 
di 
una 
serie 
di 
pronunce 
della 
CGue 
(3), 
pi� 
o 
meno 
recenti, 
aventi 
ad 
oggetto, 
ad 
avviso 
della 
Corte, 
la 
materia 
di 
cui 
si 
discute 
e 
che 
potrebbero, 
quindi, 
(ma 
di 
questo 
si 
dubita) 
essere 
estese 
al 
caso 
di 
specie. 


Si 
osserva, 
infatti, 
che 
le 
pronunce 
cos� 
richiamate, 
se 
da 
un 
lato 
sembrano 
indiscutibilmente 
corroborare 
le 
tesi 
dell�Amministrazione 
in ordine 
all�autonomia 
negoziale delle prestazioni della delegataria e alla natura di compenso 


(3) 
In 
particolare 
la 
Corte 
riferisce 
alcuni 
passi 
rilevanti 
delle 
seguenti 
cause: 
C-349/96 
Card 
Protection 
Plan ltd; 
C-42/14 Wojskowa agencja mieszkaniowa w Warszawie; 
C-472/03 arthur 
andersen; 
C-224/11 bg2 leasing; C-8/01 taksatorringen; C-44/11 Deutsche bank; C-124/07 J.C.m. beheer. 

COnTenzIOSO 
nAzIOnALe 


imponibile 
IVA 
degli 
addebiti 
(cfr. �� 4.4.2, 4.4.3, 4.5.4), dall�altro sono del 
tutto inconferenti rispetto al caso di specie. 


Pur, 
infatti, 
statuendo 
principi 
di 
diritto 
che 
possono 
ritenersi 
latamente 
estensibili 
al 
caso 
di 
specie 
(4), 
queste 
risolvevano 
questioni 
alla 
cui 
base 
vi 
erano 
rapporti 
negoziali 
ben 
diversi 
da 
quello 
di 
coassicurazione 
al-
l�esame 
della 
Corte. 


Si 
trattava, 
infatti, 
di 
rapporti 
di 
riassicurazione, 
intermediazione, 
mediazione, 
tutte 
figure 
negoziali 
ed istituti 
giuridici 
ben diversi 
dall�istituto della 
coassicurazione di cui all�art. 1911 c.c. 


La 
Corte, 
in 
particolare, 
considera 
di 
speciale 
rilevanza 
per 
la 
risoluzione 
della fattispecie la recente sentenza resa nella causa C-40/15 aspiro sa. 


Sul 
punto, 
infatti, 
dopo 
aver 
ripercorso 
il 
ragionamento 
svolto 
dalla 
CGue, 
nonch� 
i 
principali 
profili 
giuridici 
e 
di 
diritto 
in 
essa 
contenuti, 
la 
Corte, 
inaspettatamente, 
dichiara 
che 
il 
caso 
ivi 
esaminato 
(e 
da 
essa 
stessa 
posta 
a 
fondamento 
delle 
proprie 
tesi) 
� 
�significativamente 
diverso 
da 
quello 
oggetto del presente giudizio� 
(� 4.5.2). 


A 
ben vedere 
la 
Corte 
di 
legittimit� 
estrapola 
la 
sola 
parte 
della 
sentenza 
de 
qua 
- le 
definizioni 
date 
dalla 
CGue 
in punto di 
�operazioni 
di 
assicurazioni� 
e 
di 
�Prestazioni 
di 
servizi 
relative 
a 
dette 
operazioni, 
effettuate 
dai 
mediatori 
e 
dagli 
intermediari 
di 
assicurazione" 
-utile 
al 
fine 
di 
risolvere 
la 
controversia in linea con il proprio convincimento. 


La 
Corte, 
erroneamente, 
considera, 
quindi, 
applicabile 
al 
caso 
di 
specie 
la 
fattispecie 
della 
Prestazione 
di 
servizi 
effettuata 
da 
mediatori 
e 
intermediari 
di 
assicurazione, 
la 
quale, 
tuttavia, 
esula 
sia 
giuridicamente 
sia 
logicamente 
dalla 
figura 
oggetto 
della 
controversia. 
Si 
tratta, 
infatti, 
con 
tutta 
evidenza 
dell�istituto 
della 
coassicurazione 
ulteriormente 
qualificato 
dalla 
clausola 
di 
delega. 


Le 
conclusioni 
alle 
quali 
perviene 
il 
Supremo 
Collegio 
appaiono, 
pertanto, 
non coerenti. 


In maniera 
ingiustificata 
e 
non del 
tutto chiara, infatti, la 
Cassazione 
ritiene 
che 
sia 
inutile 
entrare 
nel 
merito dei 
rapporti 
interni 
intercorrenti 
tra 
le 
imprese 
in coassicurazione, reputando la 
questione 
irrilevante 
ai 
fini 
della 
risoluzione 
del 
caso 
di 
specie, 
�in 
quanto 
non 
si 
riverberano 
sul 
tema 
della 
uni


(4) La 
Cassazione 
sembra, infatti, inizialmente 
aderire 
integralmente 
alle 
tesi 
erariali 
circa: 
l�impossibilit� 
di 
considerare 
le 
prestazioni 
di 
delega 
quali 
operazioni 
di 
assicurazione 
in senso proprio (essendo 
quindi 
inapplicabile 
l�esenzione 
prevista 
dall�art. 
10 
comma 
1 
n. 
2) 
d.P.R. 
633/72), 
e 
altres� 
l�inapplicabilit� 
dell�esenzione 
di 
cui 
all�art. 10 comma 
1 n. 9 d.P.R. 633/72 relativa 
alle 
operazioni 
di 
�mandato, 
mediazione 
e 
intermediazione 
relative 
alle 
operazioni 
di 
assicurazione, 
convenendo 
con 
l�amministrazione 
circa 
il 
difetto, in capo alla 
compagnia 
assicuratrice 
della 
necessaria 
qualifica 
soggettiva 
di intermediario di assicurazione�. 
Successivamente, per�, la 
sentenza 
ritiene 
decisivi 
alcuni 
concetti 
quali 
�esistenza 
di 
un rapporto contrattuale 
tra 
il 
prestatore 
del 
servizio 
di 
assicurazione 
e 
l�assicurato�, 
�unicit� 
del 
servizio 
sotto 
il 
profilo 
economico� 
e 
�accessoriet��, 
i 
quali 
(lo 
si 
evidenzier� 
meglio 
in 
prosieguo) 
non 
sembrerebbero 
propriamente 
applicabili al caso in esame. 

RASSeGnA 
AVVOCATuRA 
DeLLO 
STATO - n. 4/2016 


cit� 
della 
prestazione 
sul 
piano 
economico 
e 
funzionale, 
come 
elaborato 
dalla 
Cgue, e 
come 
sostanzialmente 
applicato dalla Commissione 
territoriale, n� 
sul quello del rapporto contrattuale con l'assicurato� (� 4.5.9). 


Cos� 
ragionando la 
Corte 
ritiene 
di 
condividere 
la 
pronuncia 
dell�impugnata 
sentenza, che, avendo valorizzato �l�unicit� della funzione 
economica 
che 
accomuna le 
diverse 
attivit� e 
la esistenza del 
rapporto contrattuale 
tra 
la coassicuratrice 
e 
l'assicurato� 
(� 4.6.2), qualificava 
conseguentemente 
le 
prestazioni 
come 
�operazioni 
di 
assicurazione� 
e 
per l�effetto affermava 
che 
i 
compensi 
percepiti 
per le 
stesse 
non dovevano essere 
assoggettati 
ad IVA, in 
quanto esenti ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 10, comma 1, n. 2. 


Il 
ragionamento della 
Corte, incentrato unicamente 
sul 
concetto di 
unitariet� 
economica 
delle 
operazioni 
di 
cui 
si 
discute, suscita 
indubbiamente 
numerose 
perplessit�. 


A 
chiusura 
di 
siffatte 
argomentazioni 
la 
Corte 
esprime, 
quindi, 
il 
seguente 
principio di 
diritto: 
�in tema di 
iva, il 
regime 
di 
esenzione 
previsto dal 
D.P.r. 


n. 633 del 
1972, art. 10, comma 1, n. 2, per 
le 
"operazioni 
di 
assicurazione", 
da interpretare 
restrittivamente 
in quanto derogatorio al 
regime 
ordinario di 
imponibilit�, si 
estende 
- in considerazione 
di 
quanto stabilito dalla Corte 
di 
giustizia, 
tra 
le 
altre, 
con 
le 
sentenze 
emesse 
nelle 
cause 
C-349/96, 
C-472/03 
e 
C- 40/15 - alla pluralit� di 
prestazioni 
idonee 
ad integrare 
il 
servizio assicurativo 
sotto il 
profilo economico, per 
cui 
occorre 
individuare 
gli 
elementi 
caratteristici 
dell'operazione 
di 
cui 
trattasi 
per 
stabilire, 
se 
il 
soggetto 
passivo 
fornisca 
all'assicurato, 
considerato 
come 
consumatore 
medio, 
attraverso 
la 
pluralit� 
di 
attivit� 
poste 
in 
essere, 
pi� 
prestazioni 
principali 
distinte 
o 
un'unica prestazione, sempre 
che 
il 
prestatore 
di 
servizi 
si 
sia impegnato esso 
stesso nei 
confronti 
dell'assicurato a garantire 
a quest'ultimo la copertura di 
un rischio e 
sia vincolato all'assicurato da un rapporto contrattuale. spetta 
al 
giudice 
della 
controversia 
accertare, 
alla 
luce 
di 
questi 
elementi 
d'interpretazione, 
se 
l'operazione 
controversa debba essere 
considerata ai 
fini 
del-
l'iva, 
unitariamente 
come 
"operazione 
di 
assicurazione", 
ovvero 
come 
costituita da prestazioni 
indipendenti, ovvero se 
ricorrano prestazioni 
accessorie. 
tale 
principio 
si 
applica 
anche 
quando 
il 
contratto 
assicurativo 
sia 
stato 
concluso 
in 
coassicurazione 
con 
una 
pluralit� 
dei 
soggetti 
obbligati 
pro 
quota 
alla 
copertura 
del 
rischio 
dell'assicurato 
e 
uno 
dei 
coassicuratori 
sia 
stato 
delegato dagli 
altri 
alla gestione 
ed all'esecuzione 
del 
rapporto assicurativo. 
la regolamentazione 
dei 
rapporti 
interni 
tra coassicuratori, mediante 
la cd. 
clausola di 
delega, e 
le 
concrete 
modalit� di 
esecuzione 
dei 
compiti 
delegati, 
con 
o 
senza 
la 
spendita 
del 
nome 
dei 
coassicuratori, 
non 
ha, 
infatti, 
incidenza 
sulla nozione 
di 
"operazione 
di 
assicurazione", cos� 
come 
definita sul 
piano 
fiscale 
dalla 
normativa 
comunitaria 
e 
dalla 
elaborazione 
giurisprudenziale 
della Cgeu, che 
risulta radicata su due 
specifici 
elementi: la idoneit� delle 
diverse 
prestazioni 
o 
attivit� 
ad 
integrare 
il 
servizio 
assicurativo 
sotto 
il 
profilo 

COnTenzIOSO 
nAzIOnALe 


economico; l'esistenza di 
un vincolo contrattuale 
tra il 
prestatore 
del 
servizio 
e l'assicurato, che ricorre nel rapporto con il coassicuratore�. 


In ordine 
poi 
al 
secondo motivo di 
ricorso, la 
Corte 
accoglie 
la 
doglianza 
sollevata 
dall�Amministrazione 
ricorrente, 
non 
avendo 
la 
CTR 
motivato 
ed 
illustrato 
�con 
adeguata 
puntualit� 
e 
completezza 
gli 
elementi 
di 
fatto 
ed 
il 
percorso 
logico/giuridico seguito per 
ricondurre 
tutte 
le 
attivit� in discussione 
ad unitariet� economica e 
per 
valutare 
la idoneit� delle 
stesse 
ad integrare 
delle componenti essenziali dell'operazione di assicurazione� 
(� 5.3). 


Conseguentemente 
rinvia 
la 
causa 
nel 
merito, mandando al 
giudice 
del 
rinvio 
di 
accertare 
se 
nel 
presente 
caso 
ricorra 
�l�unicit� 
economica 
dell�operazione 
di 
assicurazione� 
ovvero 
�prestazioni 
indipendenti� 
o �prestazioni 
accessorie� 
a 
quella 
assicurativa 
sotto il 
profilo della 
�idoneit� delle 
diverse 
prestazioni 
o attivit� ad integrare 
il 
servizio assicurativo sotto il 
profilo economico� 
e 
dell��esistenza di 
un vincolo contrattuale 
tra il 
prestatore 
del 
servizio 
e l�assicurato, che ricorre nel rapporto con l�assicuratore�. 


3. Critica. i profili problematici. 
A 
parere 
di 
chi 
scrive, 
le 
considerazioni 
espresse 
dalla 
Suprema 
Corte 
con 
la 
sentenza 
che 
ivi 
si 
commenta 
ed 
in 
particolare 
con 
il 
principio 
di 
diritto 
(� 
4.6.1) 
presentano 
alcuni 
profili 
di 
criticit� 
e 
non 
appaiono 
immuni 
da 
critiche. 


La 
questione, 
pacifica 
fra 
le 
parti 
in 
punto 
di 
fatto, 
verte 
solamente 
su 
profili 
di 
diritto, ed in particolare 
- ad avviso del 
giudice 
di 
legittimit� 
- esclusivamente 
sulla 
riconducibilit� 
delle 
attivit� 
oggetto di 
contestazione 
nel 
novero 
delle operazioni di assicurazione. 


La 
Suprema 
Corte, in ragione 
delle 
argomentazioni 
suesposte, perviene 
a 
stabilire 
in primo luogo la 
natura 
di 
operazioni 
di 
assicurazione 
delle 
prestazioni 
poste 
in essere 
dalla 
delegataria; 
in secondo luogo e 
per l�effetto che 
le 
commissioni 
di 
delega 
corrisposte 
dalle 
deleganti 
alla 
delegataria 
siano esenti 
alla 
luce 
dell��unicit� 
economica 
dell�operazione 
di 
assicurazione� 
e 
sotto il 
profilo della �accessoriet� delle prestazioni di delega�. 


La pronuncia appare censurabile sotto diversi profili. 


Si 
rileva 
anzitutto l�erronea 
commistione 
operata 
dalla 
Corte 
tra 
le 
cause 
e 
gli 
oggetti 
del 
rapporto assicurativo alla 
base 
della 
fattispecie, e 
che 
di 
fatto 
condiziona, inficiandolo, il ragionamento complessivo. 


La 
fattispecie 
all�esame 
della 
Suprema 
Corte 
di 
Cassazione 
�, infatti, sistematicamente 
inquadrabile 
nell�alveo 
del 
contratto 
di 
coassicurazione 
(5) 


(5) Il 
contratto di 
coassicurazione 
� 
disciplinato dall�art. 1911 c.c. secondo cui 
�qualora la medesima 
assicurazione 
o 
l�assicurazione 
di 
rischi 
relativi 
alle 
stesse 
cose 
sia 
ripartita 
tra 
gli 
assicuratori 
per 
quote 
determinate, ciascun assicuratore 
� 
tenuto al 
pagamento dell�indennit� assicurata soltanto 
in 
proporzione 
della 
rispettiva 
quota, 
anche 
se 
unico 
� 
il 
contratto 
sottoscritto 
da 
tutti 
gli 
assicuratori�. 
Col 
contratto di 
coassicurazione, l�assicurato instaura, quindi, con ciascuna 
impresa, rapporti 
giuridici 



RASSeGnA 
AVVOCATuRA 
DeLLO 
STATO - n. 4/2016 


ulteriormente 
qualificato dalla 
presenza 
di 
una 
clausola 
di 
delega 
(6). (Si 
rimanda 
alle note per un breve 
excursus 
sulla disciplina giuridica). 

Appaiono, quindi, inconferenti 
rispetto alla 
soluzione 
della 
fattispecie 
in 
esame 
le 
sentenze 
eurocomunitarie 
richiamate 
dalla 
Suprema 
Corte, 
in 
quanto 
disciplinanti 
casi 
(mediazione, riassicurazione, intermediazione 
assicurativa) 
diversi 
da 
quello 
oggetto 
della 
controversia 
in 
esame 
(coassicurazione 
con 
delega). 


diversi, in base 
ai 
quali 
ogni 
compagnia 
� 
titolare 
di 
distinte 
posizioni 
soggettive 
sia 
sostanziali 
sia 
processuali 
ed assume 
obbligazioni 
autonome 
(ex 
multis 
Cass. n. 2709/2012, n. 1754/2005, n. 4799/2001, 


n. 1712/2000, n. 1830/1999, n. 667/1988, nonch� 
SS.uu. n. 5119/2002). Le 
modalit� 
di 
conclusione 
del contratto di coassicurazione possono essere essenzialmente due: 
1. 
mediante 
pi� 
contratti, 
uno 
per 
ciascun 
assicuratore, 
ad 
ognuno 
dei 
quali 
corrisponde 
il 
rilascio 
di 
una 
specifica 
polizza. 
� 
il 
caso 
della 
cd. 
�coassicurazione 
indiretta� 
di 
cui 
all�art. 
1910 
c.c. 
ove 
� 
lo 
stesso assicurato che 
contratta 
e 
stipula 
separatamente 
pi� rapporti 
assicurativi 
presso diverse 
imprese. 
2. Attraverso un unico contratto, al 
quale 
intervengono tutti 
gli 
assicuratori 
interessati, con rilascio di 
un�unica 
polizza, ove 
la 
somma 
complessivamente 
assicurata 
viene 
divisa 
pro quota. 
� 
il 
caso della 
cd. 
�coassicurazione 
diretta� 
di 
cui 
all�art. 1911 c.c. ove 
l�attivit� 
assicurativa 
viene 
realizzata 
da 
una 
pluralit� 
di 
compagnie, le 
quali 
sono tenute 
al 
pagamento dell�indennit� 
assicurata 
soltanto in proporzione 
della 
rispettiva 
quota, anche 
se 
il 
contratto � 
unico. L�emissione 
di 
un�unica 
polizza 
comporta 
la 
stipula 
di 
un contratto solo formalmente 
unico, ma 
che 
contempla 
una 
molteplicit� 
di 
vincoli 
obbligatori 
e 
di 
autonomi 
rapporti 
giuridici. 
In 
ogni 
caso, 
il 
rapporto 
coassicurativo 
non 
ha 
natura 
unitaria: 
anche 
quando 
viene 
stipulato 
con 
un 
unico 
contratto, 
per 
definizione, 
comprende 
diverse 
obbligazioni 
parziarie, 
facenti 
capo ai 
singoli 
coassicuratori. nella 
generalit� 
dei 
casi, gli 
assicuratori, attraverso convenzioni 
interne, 
conferiscono mandato ad un solo coassicuratore, il 
quale 
intrattiene, in nome 
e 
per conto degli 
altri, il 
rapporto col contraente. 
(6) 
nella 
prassi 
di 
settore 
accade 
spesso 
che, 
con 
la 
cd. 
�clausola 
di 
delega�, 
la 
massa 
delle 
imprese 
coassicuratrici 
ceda, 
dietro 
compenso, 
ad 
una 
di 
esse, 
la 
gestione 
del 
contratto 
di 
coassicurazione, 
al 
fine 
di 
semplificare 
i 
rapporti 
tra 
i 
vari 
soggetti, evitando una 
duplicazione 
di 
attivit� 
gestorie 
e 
consentendo 
un risparmio di 
costi. All�evidenza, si 
tratta 
di 
un comune 
mandato con rappresentanza, in forza 
del 
quale 
il 
soggetto designato come 
delegatario diventa 
l�unico interlocutore 
dell�assicurato e, nei 
confronti 
di 
quest�ultimo, pu� agire 
per conto ed in nome 
dei 
deleganti, gestendo ogni 
fase 
negoziale 
del 
contratto di 
coassicurazione, tra 
cui 
l�esazione 
del 
premio, la 
ricezione 
delle 
comunicazioni 
dell�assicurato 
inerenti 
il 
contratto di 
coassicurazione, la 
gestione 
del 
sinistro. Da 
quanto dedotto emerge 
come 
la 
clausola 
di 
delega 
sia 
un elemento accidentale 
ed autonomo, non solo della 
coassicurazione, ma 
anche 
di 
qualsiasi 
altro contratto a 
parti 
plurime, nel 
senso che 
essa 
pu� essere 
prevista, ma 
ben pu� anche 
non essere 
prevista, senza 
alcun pregiudizio n� 
dello schema 
n� 
della 
causa 
del 
negozio e 
neppure 
del 
normale 
svolgimento del 
rapporto giuridico, il 
quale, in assenza, verr� 
gestito da 
ciascuno dei 
soggetti 
contraenti, pro quota. 
Si 
sottolinea 
che, in questi 
casi, l�assicurato rimane 
terzo rispetto alla 
clausola 
di 
delega, 
pattuita 
dai 
coassicuratori, 
beneficiari 
delle 
prestazioni 
delegate: 
non 
�, 
infatti, 
l�assicurato 
a 
conferire 
la 
delega. Quando l�assicurato sottoscrive 
la 
polizza 
contenente 
la 
clausola 
di 
delega, si 
limita 
a 
prendere 
atto del 
mandato conferito dalle 
altre 
coassicuratrice, non certo ad attribuire 
lui 
stesso l�incarico 
-che, 
peraltro, 
tenuto 
conto 
della 
funzione 
della 
delega, 
non 
avrebbe 
il 
potere 
di 
conferire 
-. 
Dunque, 
la 
delega 
ad una 
compagnia 
� 
giustificata 
dalla 
necessit� 
di 
semplificare 
i 
rapporti 
fra 
l�assicurato 
e 
le 
societ� 
di 
assicurazione, 
ma 
non 
influisce 
sulla 
natura 
del 
contratto 
di 
coassicurazione 
(Cass. 
n. 
12610/1997). Se 
� 
vero che, attraverso la 
clausola 
di 
delega, la 
delegataria 
gestisce 
il 
rapporto assicurativo, 
non � 
altrettanto vero che 
la 
clausola 
di 
delega 
costituisce 
un tutt�uno col 
contratto di 
coassicurazione. 
Ci� 
che 
distingue 
il 
rapporto 
di 
coassicurazione 
dalla 
clausola 
di 
delega 
� 
il 
consenso 
dell�assicurato: 
per 
stipulare 
un 
contratto 
di 
coassicurazione 
� 
necessario, 
difatti, 
che 
l�assicurato, 
in 
qualit� 
di 
parte 
contrattuale, esprima 
il 
proprio assenso alla 
suddivisione 
del 
rischio tra 
pi� imprese. La 
clausola 
di 
delega, invece, non necessita 
del 
consenso dell�assicurato. Da 
quanto esposto si 
deduce 
che 
la clausola di delega non � parte integrante del rapporto di coassicurazione. 

COnTenzIOSO 
nAzIOnALe 


L�istituto di 
cui 
si 
tratta 
costituisce 
una 
species 
del 
genus 
contratto di 
assicurazione 
e 
viene 
adottato allorch� 
vi 
sia 
l�esigenza 
di 
coprire 
rischi 
di 
cui 
sia 
sconosciuta 
la 
probabilit� 
di 
accadimento o per i 
quali 
il 
rischio sia 
molto 
elevato 
o 
che 
richiedano 
un 
impegno 
economico 
di 
copertura 
difficilmente 
sostenibile 
da parte di un unico assicuratore. 


Il 
fine 
specifico della 
coassicurazione 
�, quindi, la 
ripartizione 
e 
l'omogeneizzazione 
del 
rischio 
attraverso 
il 
preventivo 
accordo 
tra 
le 
parti 
e 
l'esclusione 
della 
sovrapposizione 
delle 
garanzie 
assicurative. 
Ciascuna 
societ� 
risponde, infatti, solo della 
sua 
quota, (indipendentemente 
dal 
fatto che 
venga 
sottoscritta 
un�unica 
polizza), �, pertanto, assente 
il 
vincolo solidale 
tra 
i 
coassicuratori: 
l�obbligazione ha sempre natura parziaria ex art. 1314 c.c. 


In 
ragione 
della 
complessit� 
della 
gestione 
assicurativa 
dell�obbligazione 
all�interno 
della 
compagine 
delle 
imprese 
coassicuratrici, 
sovente 
gli 
assicuratori 
preferiscono 
regolare 
i 
rapporti 
tra 
di 
loro 
attraverso 
la 
cosiddetta 
�clausola 
di 
delega". 


In particolare 
affidano ad una 
di 
loro - che 
assume 
in tal 
caso la 
qualifica 
di 
delegataria 
- alcuni 
compiti 
di 
gestione 
del 
contratto, dietro la 
corresponsione 
di un compenso (7). 


L�esigenza 
cui 
risponde 
una 
tale 
rete 
di 
rapporti 
� 
pertanto di 
semplificazione, 
al 
fine 
di 
evitare 
una 
duplicazione 
di 
attivit� 
gestorie 
e 
consentire 
un 
risparmio di costi. 


Le 
peculiarit� 
dei 
rapporti 
che 
intercorrono tra 
le 
imprese, in ragione 
soprattutto 
della 
presenza 
della 
clausola 
di 
delega, hanno portato la 
giurisprudenza 
e 
la 
dottrina 
ad 
interrogarsi 
sulla 
natura 
giuridica 
del 
contratto 
di 
coassicurazione (8). 


(7) 
L�apposita 
�convenzione 
di 
delega� 
solitamente 
prevede 
che, 
alla 
delegataria, 
sia 
riconosciuto 
un corrispettivo comunemente 
denominato �commissione 
di 
delega�. Tale 
compenso �, normalmente, 
commisurato - come 
anche 
nel 
caso di 
specie 
(cfr. �1.2) - all�importo dell�indennizzo corrisposto all�assicurato 
ed 
alle 
spese 
sostenute 
dalla 
delegataria. 
Le 
commissioni 
di 
delega 
corrispondono, 
pertanto, 
alla 
remunerazione 
dovuta, alla 
delegataria, per la 
gestione 
del 
contratto di 
coassicurazione 
e 
sono erogate 
dalle 
altre 
imprese. 
Dunque, 
i 
servizi 
di 
gestione 
dei 
rapporti 
di 
coassicurazione 
procurano, 
alla 
de-
legataria, 
ricavi 
ulteriori 
e 
diversi 
rispetto 
a 
quelli 
derivanti 
dalle 
prestazioni 
assicurative 
svolte. 
Specularmente, ai 
suddetti 
ricavi 
della 
delegataria, conseguenti 
alla 
gestione 
del 
contratto di 
coassicurazione, 
corrispondono costi di gestione indiretta, a carico delle deleganti. 
(8) In merito si 
legga 
in dottrina 
POSAReLLI-RISTuCCIA-TReMATeRRA, �il 
riaddebito dei 
costi 
nel-
l�ambito del 
mandato e 
l�iva: le 
problematiche 
del 
riaddebito di 
spese 
effettuato dalle 
compagnie 
di 
assicurazione 
del 
ramo 
trasporti�, 
in 
�il 
fisco� 
n. 
40/2005, 
dove 
si 
afferma 
che 
�l�attivit� 
oggetto 
di 
delega, in particolare 
quella di 
gestione 
del 
sinistro - sia pure 
funzionale 
al 
rapporto assicuratore/assicurato, 
in 
quanto 
evita 
una 
duplicazione 
di 
attivit� 
gestorie 
e 
consente 
un 
risparmio 
di 
costi 
-non 
possa 
considerarsi 
attratta 
e 
inglobata 
nel 
rapporto 
principale 
ed 
assuma 
invece 
una 
natura 
autonoma. 
tale 
posizione 
si 
fonda sulle 
considerazioni 
di 
seguito esposte. � 
evidente 
che 
l�essenza della coassicurazione 
� 
quella 
espressa 
dal 
codice 
civile 
ovvero 
la 
mancanza 
di 
un 
vincolo 
solidale 
tra 
gli 
assicuratori, 
indipendentemente 
dal 
fatto 
che 
la 
copertura 
assicurativa 
sia 
realizzata 
con 
un�unica 
polizza. 
sostenere 
che 
la 
coassicurazione 
comporti 
necessariamente 
il 
mandato 
alla 
gestione 
unitaria 
del 
contratto 
nei 
confronti 
della delegataria, in assenza del 
quale 
altrimenti 
la stessa coassicurazione 
(che, ricordiamo, 
significa assenza di 
vincolo solidale) non potrebbe 
realizzarsi 
sarebbe, a parere 
degli 
scriventi, l�esasperazione 
di un�interpretazione che non trova riscontro normativo�. 

RASSeGnA 
AVVOCATuRA 
DeLLO 
STATO - n. 4/2016 


Il 
dato dirimente 
ai 
fini 
dell�inquadramento sistematico dell�istituto di 
cui 
si 
discute 
sembra, pertanto, ruotare 
intorno al 
concetto di 
�diritto di 
liquidazione� 
o �costo di 
delega�, che 
a 
sua 
volta 
poggia 
sul 
concetto di 
�operazioni 
di 
assicurazione� 
e 
sull�ampiezza 
che 
si 
ritiene 
di 
dover attribuire 
a 
detta nozione. 


La 
questione 
della 
portata 
applicativa 
di 
una 
operazione 
fiscalmente 
rilevante 
riveste, infatti, una 
particolare 
importanza, sotto il 
profilo dell'IVA, sia 
per individuare 
il 
luogo delle 
prestazioni 
di 
servizi, sia, soprattutto, per l'applicazione 
dell'aliquota 
d'imposta 
o, come 
nella 
fattispecie, delle 
disposizioni 
relative all'esenzione. 


Sul 
punto 
la 
Corte 
di 
Cassazione, 
statuisce 
che: 
�in 
tema 
di 
iva, 
il 
regime 
di 
esenzione 
previsto dal 
D.P.r. n. 633 del 
1972, art. 10, comma 1, n. 2, per 
le 
"operazioni 
di 
assicurazione", 
da 
interpretare 
restrittivamente 
in 
quanto 
derogatorio 
al 
regime 
ordinario 
di 
imponibilit�, 
si 
estende 
-in 
considerazione 
di 
quanto 
stabilito 
dalla 
Corte 
di 
giustizia, 
tra 
le 
altre, 
con 
le 
sentenze 
emesse 
nelle 
cause 
C-349/96, 
C-472/03 
e 
C-40/15 
-alla 
pluralit� 
di 
prestazioni 
idonee 
ad 
integrare 
il 
servizio 
assicurativo 
sotto 
il 
profilo 
economico, 
per 
cui 
occorre 
individuare 
gli 
elementi 
caratteristici 
dell'operazione 
di 
cui 
trattasi 
per 
stabilire, 
se 
il 
soggetto 
passivo 
fornisca 
all'assicurato, 
considerato 
come 
consumatore 
medio, attraverso la pluralit� di 
attivit� poste 
in essere, pi� prestazioni 
principali 
distinte 
o 
un'unica 
prestazione, 
sempre 
che 
il 
prestatore 
di 
servizi 
si 
sia impegnato esso stesso nei 
confronti 
dell'assicurato a garantire 
a 
quest'ultimo 
la 
copertura 
di 
un 
rischio 
e 
sia 
vincolato 
all'assicurato 
da 
un 
rapporto 
contrattuale. 
spetta 
al 
giudice 
della 
controversia 
accertare, 
alla 
luce 
di 
questi 
elementi 
d'interpretazione, se 
l'operazione 
controversa debba essere 
considerata 
ai 
fini 
dell'iva, 
unitariamente 
come 
"operazione 
di 
assicurazione", 
ovvero 
come 
costituita 
da 
prestazioni 
indipendenti, 
ovvero 
se 
ricorrano 
prestazioni accessorie. 


tale 
principio si 
applica anche 
quando il 
contratto assicurativo sia stato 
concluso 
in 
coassicurazione 
con 
una 
pluralit� 
dei 
soggetti 
obbligati 
pro 
quota 
alla 
copertura 
del 
rischio 
dell'assicurato 
e 
uno 
dei 
coassicuratori 
sia 
stato 
delegato 
dagli 
altri 
alla 
gestione 
ed 
all'esecuzione 
del 
rapporto 
assicurativo� 


A 
ben vedere, pur preliminarmente 
sostenendo che 
in materia 
di 
operazioni 
di 
assicurazione 
esenti 
debba 
necessariamente 
proporsi 
una 
interpretazione 
restrittiva, successivamente 
la 
Suprema 
Corte 
opera 
un�estensione 
del 
novero di operazioni che possono essere ricondotte entro tale concetto. 


Ritenendo, infatti, �dirimente� 
ai 
fini 
della 
ricostruzione 
della 
fattispecie 
il 
solo profilo economico, di 
fatto apre 
la 
porta 
ad una 
serie 
di 
operazioni 
che, 
pur non essendo giuridicamente 
collegate 
e 
qualificabili 
come 
operazioni 
di 
assicurazione, tuttavia, in ragione 
di 
quel 
vincolo di 
unitariet� 
economica, finiscono 
per esservi ricomprese. 


Sembra 
che 
la 
Corte 
voglia 
dire, con una 
ovviet� 
ingannevole, che 
ove 



COnTenzIOSO 
nAzIOnALe 


l�operazione 
posta 
in 
essere 
da 
un 
prestatore 
di 
servizio, 
legato 
con 
l�assicurato 
da 
un contratto di 
assicurazione, sia 
in qualche 
modo economicamente 
orientata 
all�esecuzione 
di 
detto contratto, allora 
la 
prestazione, in qualsiasi 
modo 
� 
posta 
in 
essere, 
dovr� 
ascriversi 
nel 
novero 
delle 
operazioni 
di 
assicurazione, 
e, quindi, beneficiare della esenzione. 


una siffatta ricostruzione appare illogica ed infondata. 


Infatti, 
se 
� 
indubbio 
che 
tutte 
le 
prestazioni 
che 
la 
delegataria 
svolge 
siano effettuate 
nel 
pi� generale 
disegno del 
contratto di 
assicurazione 
principale, 
tuttavia, ci� di 
cui 
la 
Corte 
non tiene 
conto � 
il 
diverso titolo, la 
diversa 
fonte giuridica, in ragione della quale le attivit� sono poste in essere. 


Le 
prestazioni 
sono, 
infatti, 
svolte 
dalle 
delegatarie 
in 
esecuzione 
della 
clausola 
accessoria 
di 
delega 
contenuta 
nel 
contratto 
di 
coassicurazione 
e 
non 
quale 
obbligazione 
derivante 
dal 
contratto 
di 
assicurazione 
stipulato 
con 
l�assicurato. 


Tuttavia, il 
fatto che 
le 
operazioni 
poste 
in essere 
dalle 
compagnie 
in coassicurazione 
(inevitabilmente) 
siano 
funzionalmente 
ed 
economicamente 
collegate 
all�esecuzione 
del 
contratto 
di 
assicurazione, 
ci� 
non 
pu� 
elidere 
l�autonoma 
rilevanza 
che 
i 
rapporti 
tra 
le 
imprese 
necessariamente 
conservano, 
nonch� 
l�autonoma 
qualificazione 
delle 
prestazioni 
che 
effettivamente 
sono 
poste in essere dalle imprese. 


L�attivit� 
svolta 
dalla 
delegataria, in forza 
del 
mandato (9) ricevuto dalle 


(9) La 
riconducibilit� 
della 
delega 
in parola 
ad un contratto di 
mandato � 
confermata 
dall�art. 162 
comma 
2 del 
Codice 
delle 
Assicurazioni 
Private 
di 
cui 
al 
D.Lgs. 209/2005 che, in attuazione 
della 
Direttiva 
n. 
78/473/Cee, 
si 
riferisce, 
specificamente, 
alla 
cd. 
�coassicurazione 
comunitaria� 
(intercorrente 
tra 
compagnie 
che 
hanno 
la 
sede 
legale 
non 
solo 
in 
Italia, 
ma 
anche 
in 
altri 
Stati 
membri, 
quando 
i 
rischi 
da 
coprire 
siano quelli 
rientranti 
tra 
i 
c.d. �grandi 
rischi�) nonch� 
dall�art. 2 comma 
1 lett. b) del 
provvedimento 
del 
6 
febbraio 
2008 
dell�Istituto 
per 
la 
vigilanza 
sulle 
assicurazioni 
private 
e 
di 
interesse 
collettivo 
- ISVAP. In particolare, si 
tratta 
di 
un mandato con rappresentanza 
collettivo, conferito da 
pi� 
soggetti, anche 
in rem 
propriam, ossia 
per la 
realizzazione 
di 
un affare 
di 
comune 
interesse 
del 
mandatario 
o di 
un terzo (art. 1723 comma 
2 c.c.). La 
delegataria, infatti, nel 
gestire 
il 
rapporto assicurativo, 
produce 
effetti 
diretti 
tanto 
sulla 
situazione 
giuridica 
delle 
coassicuratrici 
(mandanti) 
quanto 
su 
se 
stessa 
(mandataria) e 
sull�assicurato (soggetto terzo). nel 
contratto di 
mandato il 
mandatario pone 
in essere 
gli 
atti 
�per conto altrui�, nel 
senso che 
altri 
(e 
non il 
mandatario stesso) � 
il 
destinatario finale 
dei 
vantaggi 
e 
degli 
svantaggi 
economici 
dell�attivit� 
esercitata 
(cd. �attivit� 
gestoria�). ComՏ 
noto, l�atto o 
gli 
atti 
giuridici 
compiuti 
dal 
mandatario, nei 
limiti 
dei 
poteri 
attribuitigli 
dal 
mandante, sono immediatamente 
riferibili 
a 
quest�ultimo e 
producono direttamente 
i 
loro effetti 
nei 
confronti 
del 
mandante 
medesimo. 
L�elemento 
che 
caratterizza 
il 
mandato 
con 
rappresentanza 
� 
poi 
la 
spendita 
del 
nome 
del 
mandante, debitamente 
autorizzata 
(cd. �contemplatio domini�). Ci� posto, dal 
punto di 
vista 
fiscale, 
l�art. 
3 
comma 
1 
D.P.R. 
633/1972 
statuisce 
che 
�costituiscono 
prestazioni 
di 
servizi 
le 
prestazioni 
verso 
corrispettivo 
dipendenti 
da 
contratti 
d�opera, 
appalto, 
trasporto, 
mandato, 
spedizione, 
agenzia, 
mediazione, 
deposito e 
in genere 
da obbligazioni 
di 
fare, di 
non fare 
e 
di 
permettere 
quale 
ne 
sia la fonte�. In 
base 
all�art. 
15 
comma 
1 
n. 
3 
D.P.R. 
633/1972, 
�non 
concorrono 
a 
formare 
la 
base 
imponibile 
� 
le 
somme 
dovute 
a 
titolo 
di 
rimborso 
delle 
anticipazioni 
fatte 
in 
nome 
e 
per 
conto 
della 
controparte, 
purch� 
regolarmente 
documentate�. 
In base 
alla 
normativa 
citata, i 
servizi 
resi 
verso compenso, dipendenti 
da 
rapporti 
di 
mandato con rappresentanza, sono prestazioni 
di 
servizi 
a 
titolo oneroso e, come 
tali, sono 
imponibili 
ai 
fini 
dell�IVA. 
Il 
mandatario 
�, 
quindi, 
tenuto 
ad 
emettere 
fattura 
nei 
confronti 
del 
mandante 
relativamente 
al 
corrispettivo 
percepito, 
che 
va 
assoggettato 
ad 
IVA. 
In 
conclusione, 
la 
clausola 
di 
delega, 

RASSeGnA 
AVVOCATuRA 
DeLLO 
STATO - n. 4/2016 


coassicuratrici, 
non 
pu� 
essere 
confusa 
con 
l�attivit� 
che 
la 
stessa 
societ� 
svolge, in prima persona, come societ� assicuratrice. 


Correttamente, 
pertanto, 
� 
necessario 
distinguere, 
all�interno 
del 
generale 
rapporto assicurativo, da 
un lato il 
regime 
di 
coassicurazione 
fra 
le 
imprese 
arricchito 
dalla 
presenza 
di 
una 
clausola 
di 
delega 
-, dall�altro il 
rapporto intercorrente 
tra 
le 
imprese 
assicuratrici 
e 
il 
privato, 
che 
� 
regolato 
dal 
solo 
contratto 
di assicurazione (danni, nel caso di specie). 


Laddove, 
pertanto, 
i 
giudici 
di 
legittimit� 
hanno 
rinvenuto 
un 
rapporto 
�unitario�, 
sussistono, 
invece, 
due 
rapporti 
autonomi 
e 
due 
piani 
giuridici 
(quello assicurativo e 
quello scaturente 
dalla 
clausola 
di 
delega) distinti 
per 
soggetti, oggetto e causa. 

Da 
un lato il 
piano giuridico-assicurativo, che 
obbliga 
sia 
l�assicurato sia 
ogni 
coassicuratrice 
limitatamente 
alla 
propria 
quota, 
e 
che 
ha 
ad 
oggetto 
l�assicurazione 
di 
un rischio. Per esso l�assicurato ha 
gi� 
pagato un premio assicurativo, 
della cui esenzione non si discute. 


Dall�altro 
il 
piano 
giuridico 
scaturente 
dalla 
clausola 
di 
delega, 
che 
obbliga 
impresa 
assicuratrice 
delegataria 
e 
imprese 
assicuratrici 
deleganti, 
e 
ha 
ad 
oggetto 
l�accollo 
da 
parte 
della 
delegataria 
di 
prestazioni 
operative 
dietro 
un 
corrispettivo 
chiamato 
�commissione 
di 
delega�, 
che 
non 
ha 
causa 
assicurativa 
(il 
corrispettivo 
non 
� 
pagato 
per 
l�assicurazione 
di 
un 
rischio) 
e 
non 
� 
esente 
in 
quanto 
non 
� 
assicurativo, 
non 
riguarda 
soggetti 
mediatori 
e 
non 
� 
accessorio. 


La 
Corte 
sembra, 
indubbiamente, 
confondere 
questi 
due 
piani 
quando, 
ritenendo 
irrilevante 
la 
natura 
dei 
rapporti 
intercorrenti 
tra 
le 
imprese, 
valorizza 
la 
sola 
unicit� 
della 
funzione 
economica 
che 
accomuna 
le 
attivit� 
e 
che 
ricondurrebbe 
ad unit� 
l�insieme 
delle 
prestazioni 
svolte 
sotto la 
dizione 
di 
�operazioni 
assicurative�. 


Il 
fatto che 
tra 
le 
prestazioni 
possano essere 
previste 
quelle 
da 
compiere 
nei 
confronti 
dell�assicurato, non conferisce 
affatto natura 
assicurativa 
o accessoria 
a tali prestazioni! 


�, pertanto, fuorviante 
l�enfasi 
posta 
dalla 
Corte 
sul 
dato secondo cui 
le 
prestazioni 
vengono effettuate 
�verso il 
cliente� 
e/o �nei 
confronti 
e 
nell�interesse 
dell�assicurato�. 

nel 
caso che 
qui 
ci 
occupa 
destinatario delle 
prestazioni 
de 
quibus 
non � 
l'assicurato, ma 
le 
societ� 
di 
assicurazione 
che 
hanno delegato alla 
societ� 
de-
legataria la gestione del rapporto assicurativo con l'assicurato. 

ne 
discende 
che 
le 
operazioni 
delegate 
non possono essere 
considerate 


che 
si 
distingue 
nettamente, dal 
contratto di 
coassicurazione, va 
qualificata 
come 
mandato con rappresentanza. 
I 
compensi 
che 
ne 
derivano 
non 
sono 
esenti 
dall�IVA, 
in 
quanto 
non 
scaturiscono, 
direttamente, 
dal 
rapporto 
di 
coassicurazione, 
ma 
dal 
distinto 
contratto 
di 
mandato 
con 
rappresentanza, 
concluso 
dalle 
altre societ� di assicurazione. 



COnTenzIOSO 
nAzIOnALe 


esenti 
dall�IVA 
per il 
solo fatto di 
essere 
dipendenti 
dal 
rapporto di 
coassicurazione 
(10). 


La 
clausola 
di 
delega, infatti, non rappresenta 
un servizio con causa 
assicurativa, 
perch� 
nessuna 
societ� 
di 
assicurazione 
�riassicura 
l�altra�. essa 
interviene, 
invece, 
a 
regolare 
un 
rapporto 
contrattuale 
autonomo 
e 
distinto 
rispetto a 
quello di 
assicurazione, permanendo in una 
sfera 
separata 
rispetto 
alla gestione dei rapporti con l�assicurato. 


Peraltro, 
l'art. 
135 
della 
Direttiva 
del 
Consiglio 
europeo 
n. 
112/2006, 
che 
ha 
sostituito 
l'art. 
13 
parte 
B 
lett. 
a), 
della 
VI 
Direttiva 
n. 
77/388/Cee, 
si 
limita, 
infatti 
a 
citare 
fra 
le 
prestazioni 
relative 
ad 
operazioni 
assicurative 
che 
godono 
dell'esenzione 
IVA 
solo le 
prestazioni 
dei 
mediatori 
e 
degli 
intermediari 
di 
assicurazioni 
escludendo il mandato. 

Le 
�operazioni 
di 
assicurazione� 
esenti 
sono, 
dunque, 
soltanto 
quelle 
aventi 
ad 
oggetto 
le 
prestazioni 
tipiche 
ed 
essenziali 
del 
contratto 
di 
assicurazione, 
vale 
a 
dire 
la 
prestazione 
della 
copertura 
indennitaria 
verso 
il 
pagamento 
di 
un 
premio. 


Conseguentemente, 
i 
costi 
di 
delega 
o 
diritti 
di 
liquidazio 
ne, 
inerente 
alle 
prestazioni 
di 
servizi 
in questione 
ed ultronee 
rispetto alle 
operazioni 
propriamente 
assicurative, 
devono 
pi� 
propriamente 
essere 
inquadrati 
come 
compensi 
corrisposti 
alla 
compagnia 
(co)assicuratrice 
delegataria 
per l�attivit� 
ad essa 
demandata, 
e 
sono 
quindi 
imponibili 
IVA, 
in 
quanto 
le 
prestazioni 
rese 
non 
rientrano tra quelle di cui all�art. 10, 1� co., n. 2) del DPR 633/1972 (11). 

Diversamente 
ragionando, 
a 
ben 
vedere, 
si 
opererebbe 
una 
illegittima 
esenzione. 


Infatti, mentre 
per i 
costi 
di 
servizio dell�operazione 
propriamente 
di 
assicurazione, 
il 
regime 
di 
esenzione 
IVA 
si 
giustifica 
in ragione 
dell�autonoma 
assoggettabilit� 
alla 
specifica 
imposta 
prevista 
dalla 
legge 
n. 1216/1961; 
nel 
caso di 
specie, trattandosi 
di 
costi 
derivanti 
da 
prestazioni 
di 
servizi 
- autonomamente 
rilevanti 
nei 
rapporti 
interni 
tra 
le 
imprese 
-, una 
siffatta 
esenzione 
non troverebbe alcuna giustificazione e sarebbe, invero, illegittima. 


La 
legge 
de 
qua, 
infatti, 
non 
annovera 
il 
compenso 
in 
esame 
nella 
base 
imponibile, 
con 
la 
conseguenza 
che 
vi 
sarebbe 
una 
esenzione 
totale 
del 
compenso. 


Le 
norme 
di 
esenzione, 
del 
resto, 
come 
ribadito 
dalla 
stessa 
Suprema 
Corte nella sentenza in commento, sono di interpretazione stretta. 


Pertanto, allorch� 
l�art. 10 c. 1 n. 2 cit. esenta 
�le 
operazioni 
di 
assicura


(10) 
L�attivit� 
di 
gestione 
e 
liquidazione 
dei 
sinistri 
ben 
potrebbe 
essere 
eseguita 
anche 
da 
un 
soggetto 
privo della 
qualifica 
di 
assicuratore 
(ad esempio, dai 
cd. �centri 
di 
liquidazione 
danni�). In questo 
caso, 
non 
vi 
sarebbero 
dubbi 
nell�assoggettare 
ad 
IVA 
le 
operazioni 
in 
parola. 
non 
si 
comprende, 
allora, 
il 
motivo, in base 
al 
quale 
non si 
dovrebbe 
pervenire 
alla 
stessa 
soluzione 
nel 
caso in esame, ove 
i 
medesimi 
servizi sono resi da una compagnia di assicurazione. 
(11) In tal 
senso cfr. PROCOPIO, in �rapporti 
tra coassicuratori 
ed imposta sul 
valore 
aggiunto�, 
in rassegna tributaria 
n. 3/2004 e, recentemente, VATTOVAnI, in �Coassicurazioni: imponibilit� i.v.a. 
versus esenzione dal tributo delle commissioni di delega� 
pubblicato su www.diritto.it. 

RASSeGnA 
AVVOCATuRA 
DeLLO 
STATO - n. 4/2016 


zione�, in questa 
definizione 
si 
debbono includere 
soltanto le 
prestazioni 
tipiche 
del 
contratto di 
assicurazione, e 
non anche 
- come 
invece, vorrebbe 
la 
Suprema 
Corte 
-tutte 
quelle 
prestazioni 
che 
presentino un mero collegamento 
economico o strumentale con l�obbligazione principale. 


4. Considerazioni conclusive. 
In 
conclusione 
pu� 
affermarsi 
che 
la 
delegataria 
non 
compie 
alcuna 
prestazione 
ascrivibile 
alla 
definizione 
di 
�operazione 
di 
assicurazione� 
nei 
termini 
delineati 
dalla 
menzionata 
giurisprudenza 
comunitaria, 
in 
quanto 
fornisce 
servizi 
a 
beneficio 
delle 
altre 
coassicuratrici 
(servizi 
che 
possono 
consistere 
anche 
nell�accollo 
di 
operazioni 
da 
compiere 
nei 
confronti 
dell�assicurato), 
senza 
assumere 
alcun 
ulteriore 
rischio 
assicurativo 
nei 
confronti 
dell�assicurato. 


Le 
attivit� 
effettuate 
dalla 
delegataria 
sono, 
pertanto, 
prestazioni 
distinte 
dalle 
operazioni 
assicurative 
vere 
e 
proprie, 
come 
disciplinate 
agli 
artt. 
1882 
ss. 
c.c. 


Inoltre, dal 
momento che 
le 
parti 
della 
convenzione 
di 
delega 
sono le 
diverse 
imprese 
di 
assicurazione 
e 
non l�assicurato, i 
servizi 
delegati 
non possono 
essere 
qualificati 
quali 
operazioni 
assicurative, 
n� 
quali 
prestazione 
di 
servizi relative a dette operazioni eseguite dai mediatori ed intermediari. 


In definitiva, la 
clausola 
di 
delega 
contenuta 
in un contratto di 
coassicurazione, 
non incidendo sulla 
struttura 
del 
rapporto tra 
assicuratori 
ed assicurato, 
non 
costituisce 
un�attivit� 
assicurativa 
ai 
sensi 
della 
normativa 
sia 
nazionale 
sia 
europea; 
di 
conseguenza, non gode 
del 
regime 
di 
esenzione 
previsto 
dall�art. 10 comma 1 n. 2 D.P.R. 633/1972. 


Ci� posto, a 
parere 
di 
scrive, non appare, quindi, condivisibile 
il 
ragionamento 
della 
Corte 
secondo 
cui 
� 
... 
la 
regolamentazione 
dei 
rapporti 
interni 
tra coassicuratori, mediante 
la cd. clausola di 
delega, e 
le 
concrete 
modalit� 
di 
esecuzione 
dei 
compiti 
delegati, con o senza la spendita del 
nome 
dei 
coassicuratori, 
non ha, infatti, incidenza sulla nozione 
di 
"operazione 
di 
assicurazione", 
cos� 
come 
definita sul 
piano fiscale 
dalla normativa comunitaria 
e 
dalla elaborazione 
giurisprudenziale 
della Cgeu, che 
risulta radicata su 
due 
specifici 
elementi: la idoneit� delle 
diverse 
prestazioni 
o attivit� ad integrare 
il 
servizio assicurativo sotto il 
profilo economico; l'esistenza di 
un vincolo 
contrattuale 
tra il 
prestatore 
del 
servizio e 
l'assicurato, che 
ricorre 
nel 
rapporto con il coassicuratore�. 


In tal 
modo, infatti, i 
giudici 
di 
legittimit�, pur statuendo che 
l�interpretazione 
del 
concetto di 
operazioni 
di 
assicurazione 
deve 
essere 
restrittiva, di 
fatto comportano un indebito ed indiretto ampliamento nei 
confronti 
di 
tutte 
le 
prestazioni 
a 
qualsiasi 
titolo poste 
in essere 
che 
abbiano quel 
collegamento 
economico con il contratto assicurativo principale. 

Inoltre, cos� 
stabilendo, si 
opera 
una 
indebita 
confusione 
tra 
i 
servizi 
che 
la 
delegataria 
rende 
all'assicurato in virt� del 
contratto di 
coassicurazione 
e 
le 
prestazioni 
rese 
dalla 
delegataria 
alle 
deleganti 
che, 
configurandosi 
quali 
ope



COnTenzIOSO 
nAzIOnALe 


razioni 
di 
mandato imponibili 
ai 
sensi 
dell'art. 3 del 
DPR 633/1972, esulano 
dall'ambito assicurativo. 


Pertanto e 
in conclusione, � 
imprescindibile 
la 
valutazione 
in ordine 
alla 
natura 
del 
rapporto 
interno 
che 
lega 
le 
coassicuratrici 
per 
mezzo 
della 
clausola 
di 
delega, 
nonch� 
la 
sua 
incidenza 
sulla 
qualificazione 
come 
operazione 
di 
assicurazione 
oppure 
come 
prestazione 
di 
servizi 
delle 
attivit� 
di 
volta 
in volta 
poste in essere dalla delegataria. 


Il 
quadro 
sul 
punto 
appare 
ancora 
avvolto 
nella 
nebbia 
generata 
dalla 
commistione 
di 
pi� 
istituti 
e 
dalla 
sempre 
pi� 
massiccia 
spinta 
all�elusione 
fiscale. 


non essendovi 
chiarezza 
n� 
a 
livello nazionale 
n� 
a 
livello eurocomunitario, 
il contenzioso in materia appare fitto e seriale. 


Si 
auspica, alla 
luce 
delle 
considerazioni 
svolte, che 
la 
individuazione 
di 
una 
soluzione 
chiara 
e 
univoca 
in materia 
passi 
preliminarmente 
attraverso il 
superamento 
della 
confusione 
tra 
i 
piani 
giuridici 
che 
caratterizzano 
il 
rapporto 
di 
coassicurazione 
da 
un lato e 
il 
rapporto scaturente 
dalla 
clausola 
di 
delega, 
dall�altro, 
cos� 
da 
rispettare 
quell�interpretazione 
restrittiva 
delle 
norme 
di 
esenzione dall� IVA in conformit� con la giurisprudenza comunitaria. 


Cassazione 
civile, sez. V, sentenza 4 novembre 
2016 n. 22429 
-Pres. F. Tirelli, rel. L. Tricomi, 
P.m. 
F. Sorrentino (conforme) - Agenzia 
delle 
entrate 
(Avv. gen. Stato) c. uMS 
Immobiliare 
Genova S.p.A. (avv.ti R. Allegrucci, C. Carano, G. escalar). 

RITenuTO In FATTO 


1. Con la 
sentenza 
n. 11/01/2010, depositata 
il 
22.02.2010 e 
non notificata, la 
CTR della 
Liguria, 
confermava 
la 
sentenza 
di 
primo grado che 
aveva 
accolto il 
ricorso proposto dalla 
societ� 
uMS 
Immobiliare 
Genova 
SPA 
(di 
seguito uMS), operante 
nel 
settore 
assicurativo del 
ramo danni, in parte 
gestiti 
in coassicurazione 
attraverso il 
frazionamento del 
rischio tra 
pi� 
imprese 
assicuratrici 
(art. 1191 c.c. ), avverso l'avviso di 
accertamento n. R4C060101643 per 
IVA relativa all'anno di imposta 2003. 
2. 
L'accertamento 
aveva 
riguardato 
proprio 
i 
rapporti 
in 
coassicurazione. 
La 
societ� 
contribuente, 
coassicuratrice, 
con 
la 
cd. 
"clausola 
di 
delega" 
era 
stata 
autorizzata 
a 
effettuare 
attivit� 
nell'interesse 
comune 
delle 
altre 
societ� 
coassicuratrici, 
attivit� 
consistenti, 
tra 
l'altro, 
nella 
stipula 
del 
contratto, 
nella 
riscossione 
del 
premio 
e 
nella 
determinazione 
ed 
eventuale 
liquidazione 
del 
danno, 
in 
ragione 
delle 
quali 
venivano 
riaddebitati 
pro 
quota 
alle 
altre 
coassicuratrici, 
sia 
i 
costi 
sostenuti 
dalla 
delegataria, 
relativi 
alle 
attivit� 
propedeutiche 
al 
rapporto 
di 
assicurazione, 
sia 
quelli 
per 
la 
gestione 
interna 
del 
contratto, 
in 
dipendenza 
del 
mandato 
ricevuto. 
nel 
caso 
di 
specie 
la 
societ� 
contribuente 
aveva 
sostenuto 
spese 
esterne 
(spese 
per 
professionisti, 
periti, 
legali, 
liquidatori, 
etc.), 
spese 
interne 
(costi 
del 
personale, 
ammortamenti, 
spese 
telefoniche, 
postali, 
cancelleria, 
etc.) 
e 
la 
quota 
parte 
dell'indennizzo 
spettante 
all'assicurato 
ed 
aveva 
riaddebitato 
pro 
quota 
alle 
coassicuratrici 
le 
spese 
esterne 
e 
le 
spese 
interne. 
L'ufficio aveva 
contestato la 
mancata 
applicazione 
dell'IVA 
sugli 
addebiti, sia 
delle 
"spese 
esterne", sia 
delle 
"spese 
interne", affermando che 
questi 
costi 
- quantificati 
nei 
cd. "diritti 
di 

RASSeGnA 
AVVOCATuRA 
DeLLO 
STATO - n. 4/2016 


liquidazione" 
-venivano conseguiti 
dalla 
delegataria 
a 
titolo di 
compenso per la 
autonoma 
attivit� 
svolta 
nell'interesse 
delle 
altre 
coassicuratrici 
e, quindi, dovevano essere 
assoggettate 
ad IVA. Tale 
contestazione 
era fondata anche sulla considerazione che il rapporto tra le assicuratrici 
era costituito da un "mandato senza rappresentanza". 
Con il 
conseguente 
avviso di 
accertamento erano stati, pertanto, accertati 
maggiori 
ricavi 
ed 
una 
maggiore 
IVA 
sulla 
scorta 
delle 
seguenti 
contestazioni: 
omessa 
fatturazione 
di 
corrispettivi 
relativi 
a 
"spese 
esterne" 
per euro 3.200.177,29; 
omessa 
fatturazione 
di 
corrispettivi 
relativi 
a "diritti di liquidazione" per euro 521.851,03. 


3. 
nel 
respingere 
l'appello, 
la 
CTR 
affermava 
che, 
contrariamente 
a 
quanto 
sostenuto 
dall'ufficio, 
il 
rapporto tra 
l'impresa 
delegataria 
e 
l'impresa 
coassicuratrice 
si 
configurava 
come 
un 
"mandato con rappresentanza", sia 
per effetto dell'indicazione 
del 
nome 
delle 
altre 
imprese 
coassicuratrici 
nel 
contratto di 
coassicurazione, che 
prevedeva 
la 
ripartizione 
del 
rischio e 
teneva 
luogo 
della 
spendita 
del 
nome, 
sia 
perch� 
l'attivit� 
svolta 
dalla 
delegataria 
per 
conto 
altrui 
si 
configurava 
come 
rappresentanza 
diretta; 
evidenziava 
quindi 
che 
i 
corrispettivi 
percepiti 
per 
le 
prestazioni 
rese 
in 
qualit� 
di 
delegataria 
non 
dovevano 
essere 
assoggettate 
ad 
IVA, in quanto esenti 
ai 
sensi 
del 
D.P.R. n. 633 del 
1972, art. 10, comma 
1, n. 2), relativo al 
complesso 
delle 
operazioni 
di 
assicurazione, 
ed 
osservava 
che 
una 
differente 
opzione 
avrebbe 
comportato 
una 
illegittima 
doppia 
imposizione; 
sosteneva 
che 
si 
ravvisava 
nelle 
attivit� 
svolte 
un unicum 
con il 
contratto di 
assicurazione, quali 
prestazioni 
accessorie 
dello stesso, agendo 
la 
delegataria 
in virt� di 
un mandato con rappresentanza, e 
non gi� 
come 
una 
prestazione 
resa 
da 
mandatario senza 
rappresentanza 
e 
rientrante 
- secondo la 
prospettazione 
dell'ufficio - nel 
campo di applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 3, comma 3, ultima parte. 
4. La 
Agenzia 
delle 
entrate 
ricorre 
su due 
motivi, ai 
quali 
replica 
la 
contribuente 
con contro-
ricorso, corredato da memoria ex art. 378 c.p.c. 
MOTIVI DeLLA DeCISIOne 


1.1. � 
necessario premettere 
che 
i 
fatti 
di 
causa, come 
riconosciuto dalle 
parti, sono pacifici. 
Le posizioni divergono in diritto. 
1.2. I fatti. 
La 
societ� 
assicuratrice 
uMS 
ha 
sostenuto spese 
"esterne" 
per l'acquisizione 
di 
consulenze 
tecniche, assistenza 
legale 
ed altri 
servizi 
professionali 
connessi 
alla 
liquidazione 
dei 
sinistri 
dalla 
stessa 
assicurati 
in regime 
di 
coassicurazione 
con altre 
compagnie; 
le 
prestazioni 
sono 
state 
fatturate 
dai 
professionisti 
incaricati, con addebito dell'IVA, al 
nome 
della 
sola 
uMS, 
che 
ha 
ribaltato i 
costi 
sulle 
altre 
compagnie 
assicuratrici 
in proporzione 
alla 
percentuale 
del 
rischio complessivo da ciascuna di esse assunta a proprio carico. 
La 
uMS 
inoltre 
ha 
utilizzato le 
proprie 
strutture 
interne 
di 
personale 
e 
mezzi 
per gestire 
le 
polizze 
in coassicurazione 
ed i 
relativi 
sinistri: 
in particolare 
per acquisire 
l'assicurato, per riscuotere 
premi, per corrispondere 
l'indennizzo (v. ricorso fol. 31), e 
ci� ha 
fatto sostenendo 
spese 
non solo nel 
proprio interesse, ma 
anche 
delle 
coassicuratrici, sempre 
basandosi 
sulla 
clausola 
di 
delega 
del 
contratto 
di 
coassicurazione. 
L'adibizione 
delle 
proprie 
strutture 
alla 
gestione 
del 
contratto nell'interesse 
anche 
delle 
coassicuratrici, � 
stato addebitato dalla 
uMS 
a 
queste, in occasione 
della 
liquidazione 
di 
ciascun sinistro, nella 
forma 
dei 
cd. diritti 
di 
liquidazione, 
vale 
a 
dire 
degli 
importi 
calcolati 
in 
percentuale 
dell'indennizzo 
complessivo, 
conformemente ad apposite tabelle pubblicate dall'associazione di categoria 
AnIA. 
1.3. Le posizioni delle parti sul piano del diritto. 
Secondo 
l'ufficio 
le 
prestazioni 
di 
esecuzione 
della 
clausola 
di 
delega, 
tanto 
"esterne", 
quanto 

COnTenzIOSO 
nAzIOnALe 


"interne", sono da 
considerare 
come 
prestazioni 
di 
un mandatario senza 
rappresentanza, che 
ha 
agito 
in 
nome 
proprio, 
ma 
per 
conto 
anche 
delle 
altre 
coassicuratrici 
nel 
gestire 
il 
contratto 
e 
la 
liquidazione 
dei 
sinistri; 
ne 
consegue 
che 
il 
compenso corrisposto dalle 
coassicuratrici 
per queste 
prestazioni 
(cd. riaddebito) va 
assoggettato ad IVA, ai 
sensi 
del 
D.P.R. n. 633 del 
1972, art. 3, comma 3. 
Secondo 
la 
societ� 
queste 
prestazioni 
si 
inseriscono 
a 
pieno 
titolo 
nell'esecuzione 
del 
contratto 
principale 
di 
assicurazione, dal 
quale 
non sono oggettivamente 
scindibili, ed i 
relativi 
compensi 
rientrano nell'esenzione 
delle 
operazioni 
di 
assicurazione 
prevista 
dal 
D.P.R. n. 633 del 
1972, art. 10, comma 1, n. 2. 


2.1. Con il 
primo motivo si 
denuncia 
la 
violazione 
e 
falsa 
applicazione 
dell'art. 1911 c.c. e 
del 
D.P.R. n. 633 del 
1972, art. 3, commi 
1 e 
3, art. 10, comma 
1, n. 2, art. 12, art. 15, comma 
1, n. 3, art. 19, comma 5, art. 36 bis (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3). 
2.2. La 
doglianza 
� 
rivolta 
avverso i 
seguenti 
quattro punti 
della 
sentenza 
impugnata, sostanzialmente 
trattati 
dalla 
ricorrente 
come 
autonome 
rationes 
decidendi: 
a) 
la 
societ� 
contribuente 
ha 
agito, in virt� della 
clausola 
di 
delega, in regime 
di 
mandato con rappresentanza; 
b) le 
prestazioni 
rese 
dalla 
delegata 
rientrano nel 
novero delle 
"operazioni 
di 
assicurazione" 
esentate 
D.P.R. n. 633 del 
1972 , ex art. 10, comma 
1, n. 2; 
c) il 
ribaltamento dei 
costi 
sulle 
deleganti 
pro quota, qualora 
venisse 
assoggettato ad IVA, comporterebbe 
una 
illegittima 
doppia 
imposizione; 
d) le 
operazioni 
svolte 
in qualit� 
di 
delegata 
sono accessorie 
D.P.R. n. 633 del 
1972, 
ex art. 12 rispetto alle operazioni principali di assicurazione e, quindi, anch'esse esenti. 
2.3.1. Quanto alla 
affermazione 
contenuta 
in sentenza 
secondo la 
quale 
la 
coassicuratrice 
che 
agisce 
in 
virt� 
della 
clausola 
di 
delega, 
opera 
sempre 
in 
regime 
di 
mandato 
con 
rappresentanza 
delle 
imprese 
delegatarie 
(a), 
la 
Agenzia 
ritiene 
che 
consegua 
ad 
una 
falsa 
applicazione 
dell'art. 
1191 c.c. e D.P.R. n. 633 del 1972, art. 15, comma 1, n. 3. 
La 
Agenzia 
sostiene 
che 
la 
clausola 
di 
delega 
comporta 
la 
rappresentanza 
in 
nome 
e 
per 
conto 
degli 
altri 
assicuratori 
solo 
nei 
confronti 
dell'assicurato 
e 
che 
la 
CTR 
ha 
applicato 
falsamente 
le 
norme 
laddove 
ha 
ritenuto 
che 
l'inserimento 
della 
clausola 
di 
delega 
comportasse 
necessariamente 
che 
l'impresa 
delegata 
avesse 
operato 
come 
mandatario 
con 
rappresentanza 
in 
tutte 
le 
distinte 
relazioni 
negoziali 
che 
si 
radunano 
sotto 
il 
nome 
della 
coassicurazione 
e, 
quindi, 
non 
solo 
nelle 
relazioni 
con 
l'assicurato, 
ma 
anche 
nelle 
varie 
attivit� 
strumentali 
alla 
determinazione 
dell'indennizzo, 
come 
quelle 
volte 
ad 
ottenere 
da 
terzi 
professionisti 
servizi 
di 
tipo 
tecnico 
o 
per 
le 
prestazioni 
che 
avevano 
dato 
luogo 
alle 
spese 
interne 
compensate 
con 
i 
"diritti 
di 
liquidazione". 
2.3.2. 
Di 
seguito 
la 
Agenzia 
denuncia 
la 
violazione 
del 
D.P.R. 
n. 
633 
del 
1972, 
art. 
10, 
comma 
1, 
n. 
2, 
nella 
parte 
in 
cui 
esenta 
da 
IVA 
"le 
operazioni 
di 
assicurazione", 
sostenendo 
che 
la 
CTR 
ha 
errato 
nel 
ritenere 
che 
vi 
sarebbe 
unicit� 
tra 
le 
attivit� 
negoziali 
e 
materiali 
generatrici 
delle 
spese, 
tanto 
interne 
che 
esterne, 
e 
l'oggetto 
tipico 
del 
contratto 
di 
assicurazione 
(b), 
da 
individuare, 
invece 
nel 
solo 
servizio 
di 
copertura 
del 
rischio 
fornito 
dall'impresa 
all'assicurato. 
A 
parere 
della 
ricorrente, 
trattandosi 
di 
norma 
di 
stretta 
interpretazione, 
nella 
nozione 
di 
"operazioni 
di 
assicurazione" 
si 
debbono includere 
soltanto le 
prestazioni 
tipiche 
del 
contratto di 
assicurazione, vale 
a 
direi 
il 
servizio di 
copertura 
dei 
rischi 
fornito all'assicurato, mentre 
le 
prestazioni 
in 
questione 
vanno 
considerate 
estranee 
a 
quest'ambito 
ben 
circoscritto, 
attenendo 
a prestazioni tecniche ed amministrative collaterali alla liquidazione dell'indennizzo. 
2.3.3. Quanto al 
rischio di 
incorrere 
in una 
doppia 
imposizione 
(c), in ragione 
della 
possibile 
difficolt� 
a 
portare 
in detrazione 
l'IVA, l'Agenzia 
fa 
osservare 
che 
tale 
eventualit� 
sarebbe 
da 
ascrivere 
ad 
una 
scelta 
operativa 
della 
contribuente 
e 
che 
le 
difficolt� 
ad 
operare 
la 
detrazione 

RASSeGnA 
AVVOCATuRA 
DeLLO 
STATO - n. 4/2016 


non possono assurgere 
a 
causa 
di 
non imponibilit�, in violazione 
del 
D.P.R. n. 633 del 
1972, 
art. 36 bis e art. 19, comma 5. 


2.3.4. 
In 
merito 
al 
quarto 
punto 
(d) 
la 
Agenzia 
sostiene 
che 
le 
operazioni 
come 
quelle 
in 
esame 
non 
possono 
essere 
considerate 
accessorie 
alle 
operazioni 
di 
assicurazione, 
poich� 
-a 
suo 
dire 
-"le 
prestazioni 
in 
questione, 
tanto 
"esterne" 
quanto 
"interne" 
non 
costituivano 
un 
mezzo 
perseguito 
dall'assicurato 
per 
fruire 
nelle 
migliori 
condizioni 
del 
servizio 
principale 
offerto 
dal 
prestatore 
(...) 
al 
contrario 
rilevavano 
esclusivamente 
nei 
rapporti 
tra 
l'assicuratore 
delegato 
e 
gli 
altri 
coassicuratori, 
mentre 
erano 
del 
tutto 
indifferenti, 
e 
forse 
anche 
ignorate, 
dall'assicurato" 
(fol. 
43 
del 
ricorso). 
L'Agenzia 
prospetta 
la 
autonomia 
del 
rapporto 
di 
prestazione 
di 
servizi 
in 
esame 
e 
la 
imponibilit� 
dello 
stesso 
ai 
sensi 
del 
D.P.R. 
n. 
633 
del 
1972, 
art. 
3, 
commi 
1 
e 
3. 
3.1. 
Con 
il 
secondo 
motivo 
si 
denuncia 
la 
omessa 
o 
insufficiente 
motivazione 
su 
punti 
di 
fatto 
decisivi 
per 
il 
giudizio 
(art. 
360 
c.p.c., 
comma 
1, 
n. 
5) 
per 
la 
parte 
in 
cui 
la 
sentenza 
ha 
stabilito 
che 
le 
prestazioni 
rese 
dalla 
uMS 
costituivano 
un 
unicum 
rispetto 
alle 
prestazioni 
principali 
di 
assicurazione, 
senza 
considerare 
come 
invece 
rimarcato 
dall'ufficio 
-che 
la 
spendita 
del 
nome 
delle 
coassicuratrici 
avveniva 
solo 
nei 
confronti 
degli 
assicurati, 
ai 
fini 
della 
stipula 
del 
contratto, 
mentre 
non 
risultava 
alcuna 
spendita 
del 
nome 
delle 
coassicuratrici 
nei 
confronti 
dei 
terzi 
incaricati 
delle 
prestazioni 
esterne, 
n� 
nella 
fatturazione 
delle 
loro 
prestazioni 
fatta 
a 
nome 
della 
sola 
uMS. 
4.1. Le principali norme richiamate sono le seguenti: 
L'art. 1911 c.c. detta 
"Qualora la medesima assicurazione 
o l'assicurazione 
di 
rischi 
relativi 
alle 
stesse 
cose 
sia ripartita tra pi� assicuratori 
per 
quote 
determinate, ciascun assicuratore 
� 
tenuto 
al 
pagamento 
dell'indennit� 
assicurata 
soltanto 
in 
proporzione 
della 
rispettiva 
quota, 
anche se unico � il contratto sottoscritto da tutti gli assicuratori". 
Il 
D.P.R. 
n. 
633 
del 
1972, 
art. 
3, 
commi 
1 
e 
3, 
stabilisce 
"1. 
Costituiscono 
prestazioni 
di 
servizi 
le 
prestazioni 
verso 
corrispettivo 
dipendenti 
da 
contratti 
d'opera, 
appalto, 
trasporto, 
mandato, 
spedizione, agenzia, mediazione, deposito e 
in genere 
da obbligazioni 
di 
fare, di 
non fare 
e 
di 
permettere 
quale 
ne 
sia la fonte. (...) 3. (...) le 
prestazioni 
di 
servizi 
rese 
o ricevute 
dai 
mandatari 
senza rappresentanza sono considerate 
prestazioni 
di 
servizi 
anche 
nei 
rapporti 
tra il 
mandante e il mandatario". 
Il 
D.P.R. n. 633 del 
1972, art. 10, comma 
1, n. 2, stabilisce 
"sono esenti 
dall'imposta: (...) 2) 
le 
operazioni 
di 
assicurazione, di 
riassicurazione 
e 
di 
vitalizio; (...) 9) le 
prestazioni 
di 
mandato, 
mediazione 
e 
intermediazione 
relative 
alle 
operazioni 
di 
cui 
ai 
numeri 
da 
1) 
a 
7), 
nonch� 
quelle 
relative 
all'oro e 
alle 
valute 
estere, compresi 
i 
depositi 
anche 
in conto corrente, effettuate 
in 
relazione 
ad 
operazioni 
poste 
in 
essere 
dalla 
banca 
d'italia 
e 
dall'ufficio 
italiano 
dei 
cambi, ai sensi dell'articolo 4, quinto comma, del presente decreto". 
Il 
D.P.R. 
n. 
633 
del 
1972, 
art. 
12 
prevede 
"il 
trasporto, 
la 
posa 
in 
opera, 
l'imballaggio, 
il 
confezionamento, 
la 
fornitura 
di 
recipienti 
o 
contenitori 
e 
le 
altre 
cessioni 
o 
prestazioni 
accessorie 
ad una cessione 
di 
beni 
o ad una prestazione 
di 
servizi, effettuati 
direttamente 
dal 
cedente 
o 
prestatore 
ovvero per 
suo conto e 
a sue 
spese, non sono soggetti 
autonomamente 
all'imposta 
nei 
rapporti 
fra le 
parti 
dell'operazione 
principale. 2. se 
la cessione 
o prestazione 
principale 
� 
soggetta all'imposta, i 
corrispettivi 
delle 
cessioni 
o prestazioni 
accessorie 
imponibili 
concorrono 
a formarne la base imponibile". 
Il 
D.P.R. n. 633 del 
1972, art. 15, comma 
1, n. 3, prevede 
"Non concorrono a formare 
la base 
imponibile: (...) 3) le 
somme 
dovute 
a titolo di 
rimborso delle 
anticipazioni 
fatte 
in nome 
e 
per conto della controparte, purch� regolarmente documentate". 
Il 
D.P.R. n. 633 del 
1972, art. 19, comma 
5, prevede 
"5. ai 
contribuenti 
che 
esercitano sia attivit� 
che 
danno luogo ad operazioni 
che 
conferiscono il 
diritto alla detrazione 
sia attivit� 

COnTenzIOSO 
nAzIOnALe 


che 
danno 
luogo 
ad 
operazioni 
esenti 
ai 
sensi 
dell'art. 
10, 
il 
diritto 
alla 
detrazione 
dell'imposta 
spetta in misura proporzionale 
alla prima categoria di 
operazioni 
e 
il 
relativo ammontare 
� 
determinato 
applicando 
la 
percentuale 
di 
detrazione 
di 
cui 
all'art. 
19-bis. 
Nel 
corso 
dell'anno 
la 
detrazione 
provvisoriamente 
operata 
con 
l'applicazione 
della 
percentuale 
di 
detrazione 
dell'anno 
precedente, 
salvo 
conguaglio 
alla 
fine 
dell'anno. 
i 
soggetti 
che 
iniziano 
l'attivit� 
operano 
la 
detrazione 
in 
base 
ad 
una 
percentuale 
di 
detrazione 
determinata 
presuntivamente, 
salvo conguaglio alla fine dell'anno". 
Il 
D.P.R. 
n. 
633 
del 
1972, 
art. 
36 
bis 
prevede 
"il 
contribuente 
che 
ne 
abbia 
data 
preventiva 
comunicazione 
all'ufficio 
� 
dispensato 
dagli 
obblighi 
di 
fatturazione 
e 
di 
registrazione 
relativamente 
alle 
operazioni 
esenti 
da 
imposta 
ai 
sensi 
dell'art. 
10, 
tranne 
quelle 
indicate 
ai 
numeri 
11), 
18) 
e 
19) 
dello 
stesso 
articolo, 
fermi 
restando 
l'obbligo 
di 
fatturazione 
e 
registrazione 
delle 
altre 
operazioni 
eventualmente 
effettuate, 
l'obbligo 
di 
registrazione 
degli 
acquisti 
e 
gli 
altri 
obblighi 
stabiliti 
dal 
presente 
decreto, 
ivi 
compreso 
l'obbligo 
di 
rilasciare 
la 
fattura 
quando 
sia 
richiesta 
dal 
cliente. 
2. 
Nell'ipotesi 
di 
cui 
al 
precedente 
comma 
il 
contribuente 
non 
� 
ammesso 
a 
detrarre 
dall'imposta 
eventualmente 
dovuta 
quella 
relativa 
agli 
acquisti 
e 
alle 
importazioni 
e 
deve 
presentare 
la 
dichiarazione 
annuale, 
compilando 
l'elenco 
dei 
fornitori, 
ancorch� 
non 
abbia 
effettuato 
operazioni 
imponibili. 
3. 
la 
comunicazione 
di 
avvalersi 
della 
dispensa 
dagli 
adempimenti 
relativi 
alle 
operazioni 
esenti 
deve 
essere 
fatta 
nella 
dichiarazione 
annuale 
relativa 
all'anno 
precedente 
o 
nella 
dichiarazione 
di 
inizio 
dell'attivit� 
ed 
ha 
effetto 
fino 
a 
quando 
non 
sia 
revocata 
e 
in 
ogni 
caso 
per 
almeno 
un 
triennio. 
la 
revoca 
deve 
essere 
comunicata 
all'ufficio 
nella 
dichiarazione 
annuale 
ed 
ha 
effetto 
dall'anno 
in 
corso". 


4.2.1. Tanto premesso, il 
primo motivo va 
respinto perch� 
infondato, oltre 
che 
inammissibile 
nei termini di seguito precisati. 
4.2.2. La 
doglianza 
� 
inammissibile, quanto al 
primo, al 
terzo ed al 
quarto profilo (v. 2.3.1., 
2.3.3. 
e 
2.3.4.), 
perch� 
non 
coglie 
nel 
segno 
ed 
estrapola 
dei 
passaggi 
della 
sentenza 
di 
appello 
che costituiscono snodi argomentativi privi di autonoma rilevanza motivazionale. 
4.2.3. 
Invero 
la 
CTR, 
nel 
ricostruire 
la 
clausola 
di 
delega 
come 
un 
mandato 
con 
rappresentanza 
diretta, 
volutamente 
non 
ha 
valutato 
separatamente 
le 
singole 
operazioni 
messe 
in 
atto 
per 
l'espletamento della 
delega, ma 
si 
� 
soffermata 
sul 
complesso dell'attivit� 
svolta 
dalla 
delegataria 
per conto delle 
deleganti 
ed ha 
ritenuto, in ragione 
di 
ci�, che 
tutte 
le 
operazioni 
relative 
alla 
gestione 
ed all'esecuzione 
del 
rapporto assicurativo rientrassero nella 
nozione 
di 
"operazioni 
di assicurazione". 
4.2.4. Ci� � 
evidenziato proprio dal 
successivo passaggio argomentativo - ove 
� 
collocata 
la 
vera 
ratio decidendi 
-: 
la 
CTR, infatti, dopo avere 
qualificato le 
prestazioni 
rese 
in qualit� 
di 
delegata 
per la 
gestione 
e 
la 
esecuzione 
del 
rapporto assicurativo come 
"operazioni 
di 
assicurazione", 
ha 
affermato che 
i 
compensi 
percepiti 
per le 
stesse 
non devono essere 
assoggettati 
ad IVA in quanto esenti ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 10, comma 1, n. 2. 
4.2.5. 
Tale 
ricostruzione 
trova 
diretta 
conferma 
nella 
circostanza 
che, 
contrariamente 
a 
quanto 
sostenuto 
dall'Agenzia, 
la 
sentenza 
impugnata 
non 
invoca 
a 
fondamento 
della 
decisione 
il 
D.P.R. n. 633 del 
1972, art. 15, comma 
1, n. 3, ma 
solo il 
cit. art. 10, riservando alla 
questione 
del 
mandato con rappresentanza 
la 
funzione 
di 
argomento a 
sostegno, privo di 
autonoma 
rilevanza, 
cos� 
come 
ne 
� 
privo l'argomento ad adiuvandum 
relativo al 
rischio di 
pervenire 
ad 
una 
ingiusta 
doppia 
tassazione, inferente 
la 
possibile 
violazione 
del 
principio di 
neutralit� 
fiscale, 
censurato con il terzo profilo (v. 2.3.3.). 
4.2.6. Anche 
il 
quarto profilo della 
doglianza 
confonde 
con una 
autonoma 
ratio 
un ulteriore 
argomento svolto dalla 
CTR a 
conforto di 
quanto statuito nel 
passaggio motivazionale 
cen

RASSeGnA 
AVVOCATuRA 
DeLLO 
STATO - n. 4/2016 


trale, secondo il 
quale 
le 
prestazioni 
rese 
in qualit� 
di 
delegata 
per la 
gestione 
e 
l'esecuzione 
del rapporto assicurativo sono "operazioni di assicurazione" e sono, perci�, esenti. 


4.2.7. Invero, la 
CTR, lungi 
da 
ricorrere 
all'applicazione 
del 
D.P.R. n. 633 del 
1972, art. 12, 
che 
disciplina 
la 
applicazione 
dell'IVA 
alle 
prestazioni 
accessorie, come 
sostenuto nella 
censura 
dalla 
ricorrente, valorizza 
- questa 
volta 
sul 
piano civilistico ed a 
valenza 
interpretativa 
-il 
rapporto di 
accessoriet� 
tra 
le 
prestazioni 
di 
cui 
si 
tratta 
ed il 
"contratto di 
assicurazione", 
ribadendo per� nuovamente 
che 
tutte 
le 
prestazioni 
sul 
piano fiscale 
costituiscono un unicum 
identificato 
nella 
pi� 
ampia 
nozione 
di 
"operazione 
di 
assicurazione", 
alla 
stregua 
di 
un 
criterio 
interpretativo che, come 
meglio di 
seguito illustrato, appare 
conforme 
al 
dettato della 
Corte 
di Giustizia dell'unione europea (v. sub 4.4.1. e ss). 
4.3. Dichiarata 
l'inammissibilit� 
della 
censura 
svolta 
nei 
profili 
primo, terzo e 
quarto, � 
necessario 
procedere all'esame del secondo profilo, che risulta infondato. 
In materia 
sono dirimenti 
le 
pronunce 
della 
CGue 
culminate 
nelle 
statuizioni 
della 
recente 
sentenza emessa in data 17.03.2016 nella causa C-40/15 (Aspiro SA). 
4.4.1. Innanzi 
tutto si 
deve 
ricordare 
che 
- come 
chiarito dalla 
CGue 
anche 
nella 
sentenza 
citata 
dalla 
ricorrente, 
emessa 
in 
data 
25.02.1999, 
C-349/96 
(Card 
Protection 
Plan 
Ltd) 
-le 
esenzioni 
previste 
dall'art. 13 della 
Sesta 
direttiva 
costituiscono nozioni 
autonome 
del 
diritto 
comunitario, 
che 
mirano 
ad 
evitare 
divergenze 
nell'applicazione 
da 
uno 
Stato 
membro 
all'altro 
del 
sistema 
dell'IVA 
(punto 
15) 
e 
pertanto 
vanno 
ricostruite 
alla 
luce 
del 
sistema 
comunitario: 
ne 
discende 
che 
la 
disciplina 
civilistica 
ex art. 1911 c.c. in tema 
di 
coassicurazione, invocata 
dalla 
ricorrente 
col 
primo profilo di 
doglianza 
(2.2.1.), non pu� prevalere 
o condizionare 
la 
nozione comunitaria di "operazioni di assicurazione" ai fini fiscali. 
4.4.2. Va 
altres� 
rammentato che, sul 
fronte 
della 
pluralit� 
delle 
attivit� 
e 
delle 
spese 
esterne 
ed interne 
svolte 
dalla 
delegata, sempre 
la 
citata 
sentenza 
C-349/96 (punti 
29 e 
ss.), indica 
i 
giusti 
criteri 
per decidere, ai 
fini 
dell'IVA, se 
un'operazione 
composta 
da 
pi� elementi 
debba 
essere 
considerata 
come 
una 
prestazione 
unica 
o come 
due 
o pi� prestazioni 
autonome, che 
devono essere 
valutate 
separatamente 
e, quindi, in questa 
seconda 
ipotesi, se 
tra 
le 
stesse 
ricorra 
un rapporto di accessoriet� o meno. 
4.4.3. Invero la 
questione 
relativa 
alla 
portata 
di 
un'operazione 
riveste 
una 
particolare 
importanza, 
sotto 
il 
profilo 
dell'IVA, 
tanto 
per 
individuare 
il 
luogo 
delle 
prestazioni 
di 
servizi, 
quanto 
per l'applicazione 
dell'aliquota 
d'imposta 
o, come 
nella 
fattispecie, delle 
disposizioni 
relative 
all'esenzione contenute nella sesta direttiva e del DPR IVA. 
4.4.4. La 
CGue, sul 
punto, ha 
rimarcato la 
duplice 
circostanza 
che, da 
un lato, dall'art. 2, n. 
1, della 
sesta 
direttiva, discende 
che 
ciascuna 
prestazione 
di 
servizio dev'essere 
considerata 
di 
regola 
come 
autonoma 
e 
indipendente 
e 
che, 
dall'altro, 
la 
prestazione 
costituita 
da 
un 
unico 
servizio sotto il 
profilo economico non dev'essere 
artificialmente 
divisa 
in pi� parti 
per non 
alterare 
la 
funzionalit� 
del 
sistema 
dell'IVA, per cui 
occorre 
individuare 
gli 
elementi 
caratteristici 
dell'operazione 
di 
cui 
trattasi 
per stabilire, in concreto, se 
il 
soggetto passivo fornisca 
al 
consumatore, 
considerato 
come 
consumatore 
medio, 
pi� 
prestazioni 
principali 
distinte 
o 
un'unica prestazione. 
Sul 
piano 
interpretativo 
ha, 
quindi, 
sottolineato 
che 
si 
configura 
una 
prestazione 
unica, 
in 
particolare, 
nel 
caso in cui 
uno o pi� elementi 
confluiscono nella 
prestazione 
principale, mentre 
una 
prestazione 
dev'essere 
considerata 
accessoria 
ad una 
prestazione 
principale 
quando essa 
non costituisce 
per la 
clientela 
un fine 
a 
s� 
stante, bens� 
il 
mezzo per fruire 
nelle 
migliori 
condizioni 
del 
servizio principale 
offerto dal 
prestatore, di 
guisa 
che 
anche 
la 
fatturazione 
di 
un 
unico prezzo non potrebbe escludere la autonomia delle prestazioni (punto 30). 

COnTenzIOSO 
nAzIOnALe 


ed ha 
concluso che 
spetta 
al 
giudice 
della 
controversia 
accertare, alla 
luce 
di 
questi 
elementi 
d'interpretazione, se 
l'operazione 
controversa 
debba 
essere 
considerata 
ai 
fini 
dell'IVA, come 
un'unica 
prestazione, ovvero come 
costituita 
da 
prestazioni 
indipendenti, vale 
a 
dire 
una 
prestazione 
assicurativa 
esente 
da 
imposta 
e 
una 
prestazione 
imponibile 
che 
integra 
un diverso 
servizio sotto il 
profilo economico, o se 
una 
di 
dette 
due 
prestazioni 
sia 
la 
prestazione 
principale 
della 
quale 
l'altra 
� 
accessoria, di 
modo che 
a 
questa 
si 
applica 
la 
stessa 
disciplina 
tributaria 
della prestazione principale. 


4.4.5. 
Questi 
principi 
sono 
stati 
di 
recente 
confermati 
dalla 
CGue 
nella 
sentenza 
emessa 
in 
data 
16.04.2015 
nella 
causa 
C-42/14 
(Wojskowa 
Agencja 
Mieszkaniowa 
w 
Warszawie) 
(punti 
31 
e 
32), 
anche 
se 
in 
campo 
non 
assicurativo, 
ove 
� 
ribadito, 
che 
per 
giurisprudenza 
costante 
della 
Corte, 
in 
taluni 
casi, 
pi� 
prestazioni 
formalmente 
distinte, 
che 
potrebbero 
essere 
fornite 
separatamente 
e 
dar 
cos� 
luogo, 
separatamente, 
a 
imposizione 
o 
a 
esenzione, 
devono 
essere 
considerate 
come 
un'unica 
operazione 
quando 
non 
sono 
indipendenti: 
"Si 
tratta 
di 
un'operazione 
unica, 
in 
particolare, 
quando 
due 
o 
pi� 
elementi 
o 
atti 
forniti 
dal 
soggetto 
passivo 
sono 
strettamente 
connessi 
a 
tal 
punto 
da 
formare, 
oggettivamente, 
una 
sola 
prestazione 
economica 
indissociabile, 
la 
cui 
scomposizione 
avrebbe 
carattere 
artificioso. 
Ci� 
accade 
anche 
nel 
caso 
in 
cui 
una 
o 
pi� 
prestazioni 
costituiscano 
una 
prestazione 
principale, 
mentre 
la 
o 
le 
altre 
prestazioni 
costituiscono 
una 
o 
pi� 
prestazioni 
accessorie 
cui 
si 
applica 
la 
stessa 
disciplina 
tributaria 
della 
prestazione 
principale. 
In 
particolare, 
una 
prestazione 
dev'essere 
considerata 
accessoria 
e 
non 
principale 
quando 
non 
costituisce 
per 
la 
clientela 
un 
fine 
a 
s� 
stante, 
bens� 
il 
mezzo 
per 
fruire 
al 
meglio 
del 
servizio 
principale 
offerto 
dal 
prestatore". 
� 
stato 
quindi 
rimarcato 
che, 
al 
fine 
di 
stabilire 
se 
le 
prestazioni 
fornite 
costituiscano 
pi� 
prestazioni 
indipendenti 
o 
una 
prestazione 
unica, 
occorre 
individuare 
gli 
elementi 
caratteristici 
dell'operazione 
di 
cui 
trattasi. 
4.4.6. Orbene, la 
CTR nel 
pervenire 
alle 
sue 
conclusioni, ha 
sostanzialmente 
seguito i 
criteri 
interpretativi 
indicati 
dalla 
CGue 
- salvo a 
verificarne 
la 
sufficienza 
motivazionale 
alla 
luce 
della 
seconda 
censura 
- volti 
a 
considerare 
non solo il 
contenuto delle 
singole 
prestazioni, ma 
la 
loro 
idoneit� 
ad 
integrare 
un 
unico 
servizio 
sotto 
il 
profilo 
economico, 
ed 
ha 
ricondotto 
nel-
l'ambito delle 
"operazioni 
di 
assicurazione" 
tutte 
le 
prestazioni 
ed attivit� 
considerandole 
relative 
alla 
gestione 
ed all'esecuzione 
del 
rapporto assicurativo, anche 
se 
poste 
in essere 
con 
terzi 
ed 
in 
nome 
proprio, 
e 
le 
ha 
riconnesse 
all'esercizio 
della 
clausola 
di 
delega, 
qualificandole 
sul piano fiscale come un unicum. 
4.5.1. 
La 
decisione 
impugnata 
risulta 
immune 
da 
vizi 
sul 
piano 
del 
diritto 
anche 
alla 
luce 
della 
pi� 
recente 
sentenza 
della 
CGeu, 
emessa 
in 
data 
17.03.2016 
nella 
causa 
C-40/15 
(Aspiro 
SA), 
in 
tema 
di 
"esenzione 
in 
materia 
di 
assicurazioni, 
nozioni 
di 
operazioni 
di 
"assicurazione" 
e 
di 
"prestazioni 
di 
servizi 
relative 
a 
dette 
operazioni, 
effettuate 
dai 
mediatori 
e 
dagli 
intermediari 
di 
assicurazione" 
-servizi 
di 
liquidazione 
dei 
sinistri 
forniti 
in 
nome 
e 
per 
conto 
di 
un 
assicuratore", 
che 
ha 
ribadito 
alcuni 
principi 
gi� 
affermati, 
principalmente 
nel 
solco 
della 
sentenza 
emessa 
in 
data 
03.03.2005 
nella 
causa 
C-472/03 
(Arthur 
Andersen), 
e 
che 
ha 
illustrato 
con 
maggiore 
dovizia 
gli 
elementi 
in 
concreto 
necessari 
a 
qualificare 
delle 
prestazioni 
come 
"operazioni 
di 
assicurazione" 
ovvero 
come 
"prestazioni 
accessorie 
di 
operazioni 
di 
assicurazione", 
elementi 
che 
appaiono 
di 
rilievo 
per 
la 
soluzione 
della 
controversia 
in 
esame. 
4.5.2. 
Il 
caso 
esaminato 
dalla 
CGue, 
significativamente 
diverso 
da 
quello 
oggetto 
del 
presente 
giudizio, ha 
visto coinvolta 
la 
societ� 
Aspiro che, senza 
essere 
impresa 
assicuratrice, n� 
mediatore 
n� 
intermediario di 
assicurazione, e 
senza 
essere 
responsabile 
nei 
confronti 
degli 
assicurati, 
effettuava 
l'insieme 
dei 
servizi 
relativi 
alla 
liquidazione 
dei 
sinistri 
in 
nome 
e 
per 

RASSeGnA 
AVVOCATuRA 
DeLLO 
STATO - n. 4/2016 


conto di 
un'impresa 
assicuratrice 
(sulla 
base 
di 
un mandato con rappresentanza) e 
riceveva 
un corrispettivo forfettario, in funzione dello specifico tipo di sinistro. 
La 
Corte 
unionale, 
chiamata 
a 
stabilire 
se 
tale 
attivit� 
ricadesse 
nell'esenzione 
prevista 
dall'art. 
135, par. 1, lett. a) della 
direttiva 
Iva 
per le 
"operazioni 
di 
assicurazione 
e 
di 
riassicurazione, 
comprese 
le 
prestazioni 
di 
servizi 
relative 
a 
dette 
operazioni, effettuate 
dai 
mediatori 
e 
dagli 
intermediari 
di 
assicurazione" 
� 
pervenuta 
alla 
conclusione 
che 
detta 
norma 
deve 
essere 
interpretata 
"nel 
senso che 
servizi 
di 
liquidazione 
di 
sinistri, come 
quelli 
di 
cui 
al 
procedimento 
principale, 
forniti 
da 
un 
terzo 
in 
nome 
e 
per 
conto 
di 
un'impresa 
di 
assicurazione, 
non 
rientrano 
nell'esenzione prevista da tale disposizione". 


4.5.3. La 
disposizione 
esaminata 
trova 
corrispondenza 
nel 
diritto interno al 
D.P.R. n. 633 del 
1972, art. 10, comma 
1, n. 2, che 
stabilisce 
"Sono esenti 
dall'imposta: 
(...) 2) le 
operazioni 
di 
assicurazione, di 
riassicurazione 
e 
di 
vitalizio; 
(...) 9) le 
prestazioni 
di 
mandato, mediazione 
e intermediazione relative alle operazioni di cui ai numeri da 1) a 7), (...)". 
4.5.4. nello sviluppare 
il 
suo articolato percorso logico giuridico, la 
CGue 
innanzi 
tutto ha 
riaffermato che 
le 
esenzioni 
dall'IVA 
vanno interpretate 
restrittivamente 
poich� 
derogano al 
principio generale 
secondo il 
quale 
l'IVA 
� 
riscossa 
per ogni 
prestazione 
di 
servizi 
effettuata 
a 
titolo oneroso da 
un soggetto passivo (v. sentenza 
BGz 
Leasing, C-224/11, eu:C:2013:15, 
punto 56) (punto 20, 26). 
4.5.5. � 
passata 
quindi 
a 
meglio definire 
le 
nozioni 
di 
"operazioni 
di 
assicurazione" 
e 
di 
"prestazioni 
di 
servizi 
relative 
a 
dette 
operazioni, effettuate 
dai 
mediatori 
e 
dagli 
intermediari 
di 
assicurazione", 
che 
costituiscono 
il 
perimetro 
entro 
il 
quale 
trova 
applicazione 
l'esenzione, 
nei 
termini 
che 
� 
opportuno di 
seguito riepilogare, anche 
se 
nel 
caso in esame 
la 
questione 
controversa 
riguarda 
esclusivamente 
la 
riconducibilit� 
delle 
attivit� 
oggetto di 
contestazione 
nelle operazioni di assicurazione: 
A) "Operazioni di assicurazione". 
-le 
"operazioni 
di 
assicurazione" 
implicano, 
per 
loro 
natura, 
che 
esista 
un 
rapporto 
contrattuale 
tra 
il 
prestatore 
del 
servizio di 
assicurazione 
e 
il 
soggetto i 
cui 
rischi 
sono coperti 
dall'assicurazione, 
ossia 
l'assicurato (v. sentenza 
Taksatorringen, C-8/01, punti 
40 e 
41) (punti 
22/23), 
anche 
se 
il 
novero pu� essere 
esteso anche 
alla 
copertura 
assicurativa 
fornita 
da 
un soggetto 
passivo che 
non sia 
direttamente 
assicuratore, ma 
che, nell'ambito di 
un'assicurazione 
collettiva, 
procuri 
ai 
suoi 
clienti 
siffatta 
copertura 
avvalendosi 
delle 
prestazioni 
di 
un assicuratore 
che si assume l'onere del rischio assicurato; 
-la 
liquidazione 
dei 
sinistri 
bench� 
costituisca 
una 
componente 
essenziale 
dell'operazione 
di 
assicurazione 
non 
pu� 
configurare 
un'operazione 
di 
assicurazione 
ai 
sensi 
della 
direttiva 
IVA, 
nel 
caso in cui 
il 
prestatore 
di 
servizi 
non si 
� 
impegnato esso stesso nei 
confronti 
dell'assicurato 
a 
garantire 
a 
quest'ultimo la 
copertura 
di 
un rischio e 
non � 
in alcun modo vincolato all'assicurato 
da un rapporto contrattuale (punto 24/25); 
-l'esenzione 
IVA 
� 
riservata 
solo 
alle 
operazioni 
assicurative 
propriamente 
dette, 
senza 
che 
possa 
essere 
invocata 
una 
analogia 
con 
la 
disciplina 
in 
tema 
di 
servizi 
finanziari 
(punto 
29, 
30); 
-il 
principio 
di 
neutralit� 
fiscale 
non 
consente 
di 
ampliare 
l'ambito 
di 
applicazione 
di 
un'esenzione 
in assenza 
di 
una 
disposizione 
non inequivoca, poich� 
non � 
una 
regola 
di 
diritto primario 
che 
pu� incidere 
sulla 
validit� 
di 
un'esenzione, ma 
un principio di 
interpretazione 
che 
deve 
essere 
applicato unitamente 
al 
principio di 
interpretazione 
restrittiva 
delle 
esenzioni 
(v., 
in tal senso, sentenza Deutsche Bank, C-44/11, eu:C:2012:484, punto 45) (punto 31). 
B) "Prestazioni 
di 
servizi 
relative 
a 
dette 
operazioni, effettuate 
dai 
mediatori 
e 
dagli 
intermediari 
di assicurazione". 

COnTenzIOSO 
nAzIOnALe 


-in 
proposito 
la 
Corte 
scinde 
la 
definizione 
e 
osserva 
che 
le 
"prestazioni 
di 
servizi 
relative 
a 
operazioni 
di 
assicurazione", 
costituiscono 
una 
nozione 
sufficientemente 
ampia 
da 
ricomprendere 
diverse 
prestazioni 
che 
concorrono 
alla 
realizzazione 
di 
operazioni 
di 
assicurazione 
e, 
segnatamente, 
anche 
la 
liquidazione 
di 
sinistri, 
la 
quale 
costituisce 
una 
delle 
parti 
essenziali 
di 
tali 
operazioni. 


-quanto al 
requisito che 
le 
prestazioni 
in questione 
debbano essere 
"effettuate 
dai 
mediatori 
e 
dagli 
intermediari 
di 
assicurazione", 
la 
CGue 
sottolinea 
la 
necessit� 
di 
esaminare 
in 
concreto 
il 
contenuto dell'attivit� 
di 
cui 
trattasi, per determinare 
se 
la 
stessa 
rientri 
o meno nell'ambito 
di 
applicazione 
dell'esenzione, a 
prescindere 
dal 
possesso o meno della 
qualifica 
formale 
di 
mediatore o di intermediario di assicurazione (punto 35). 
-le 
condizioni 
in 
concreto 
richieste 
sono 
due 
(punto 
37): 
1) 
"il 
prestatore 
dev'essere 
in 
rapporto 
con 
l'assicuratore 
e 
con 
l'assicurato 
(sentenza 
Taksatorringen, 
C-8/01, 
punto 
44). 
Tale 
rapporto 
pu� essere 
unicamente 
indiretto, se 
il 
prestatore 
� 
un subappaltatore 
del 
mediatore 
o dell'intermediario"; 
2) "la 
sua 
attivit� 
deve 
ricomprendere 
aspetti 
essenziali 
della 
funzione 
di 
intermediario 
di 
assicurazione, 
come 
ricercare 
i 
potenziali 
clienti 
e 
metterli 
in 
relazione 
con 
l'assicuratore". 
4.5.6. Applicando tali 
principi 
ed indici 
rivelatori, la 
CGue 
giunge 
alla 
conclusione 
che 
un 
prestatore 
come 
l'Aspiro 
soddisfa 
la 
prima 
di 
tali 
condizioni, 
perch� 
intrattiene 
rapporti 
diretti 
con l'impresa 
di 
assicurazione, giacch� 
esercita 
la 
propria 
attivit� 
in nome 
e 
per conto di 
quest'ultima, 
e 
rapporti 
indiretti 
con 
l'assicurato, 
nell'ambito 
dell'esame 
e 
della 
gestione 
dei 
sinistri; 
non soddisfa 
invece 
la 
seconda 
di 
dette 
condizioni, relativa 
alle 
prestazioni 
effettuate 
dai 
mediatori 
e 
dagli 
intermediari 
di 
assicurazione 
o dai 
loro subappaltatori, poich� 
queste 
ultime 
devono essere 
connesse 
alla 
natura 
stessa 
del 
mestiere 
di 
mediatore 
o di 
intermediario di 
assicurazione, 
il 
quale 
consiste 
nella 
ricerca 
di 
clienti 
e 
nel 
mettere 
questi 
ultimi 
in relazione 
con l'assicuratore, in vista 
della 
conclusione 
di 
contratti 
di 
assicurazione 
(v., in particolare, le 
sentenze 
richiamate 
al 
punto 
37: 
Taksatorringen, 
C-8/01, 
punto 
45; 
Arthur 
Andersen, 
C472/
03, punto 36, e 
J.C.M. Beheer, C-124/07, punto 18), di 
guisa 
che 
una 
siffatta 
attivit� 
non 
rientra 
tra 
le 
prestazioni 
"effettuate 
dai 
mediatori 
e 
dagli 
intermediari 
di 
assicurazione", 
ai 
sensi 
dell'art. 135, paragrafo 1, lett. a), della 
direttiva 
IVA, poich� 
non � 
in alcun modo connessa 
al 
fatto di 
ricercare 
potenziali 
clienti 
e 
metterli 
in relazione 
con l'assicuratore 
in vista 
della conclusione di contratti di assicurazione. 
4.5.7. Tale 
approdo costituisce 
la 
coerente 
evoluzione 
di 
quanto gi� 
affermato nella 
sentenza 
emessa 
in data 
03.03.2005 in causa 
C-472/03, Arthur Andersen, ove 
era 
stato escluso che 
le 
attivit� 
di 
back 
offices, consistenti 
"nel 
trattare 
domande 
di 
assicurazione, valutare 
i 
rischi 
da 
assicurare, 
valutare 
la 
necessit� 
di 
un 
accertamento 
medico, 
decidere 
l'accettazione 
del 
rischio 
qualora 
un 
siffatto 
esame 
non 
si 
renda 
necessario, 
procedere 
all'emissione, 
alla 
gestione 
e 
alla 
cessazione 
delle 
polizze 
assicurative 
nonch� 
a 
modifiche 
tariffarie 
e 
contrattuali, incassare 
i 
premi, gestire 
i 
sinistri, fissare 
e 
pagare 
le 
commissioni 
degli 
intermediari 
di 
assicurazione 
e 
assicurare 
il 
seguito dei 
contatti 
con questi 
ultimi, trattare 
aspetti 
relativi 
alla 
riassicurazione 
e 
fornire 
informazioni 
ai 
contraenti 
come 
pure 
agli 
intermediari 
di 
assicurazione 
nonch� 
ad 
altri 
soggetti 
interessati 
come 
le 
autorit� 
tributarie" 
(punto 33), svolte 
dalla 
societ� 
ACMC in 
base 
ad 
un 
contratto 
di 
collaborazione 
con 
la 
societ� 
assicuratrice 
uL, 
potessero 
costituire 
operazioni 
di 
assicurazione 
perch�, pur contribuendo al 
contenuto essenziale 
delle 
attivit� 
di 
una 
impresa 
di 
assicurazioni, 
non 
costituivano 
operazioni 
di 
assicurazione 
in 
quanto 
la 
ACMC 
non intratteneva 
alcun rapporto contrattuale 
con gli 
assicurati, poich� 
i 
contratti 
di 
assicurazione 
venivano sottoscritti a nome della uL (punti 33, 34). 
4.5.8. 
In 
sintesi, 
quindi, 
alla 
luce 
della 
giurisprudenza 
comunitaria 
richiamata, 
si 
deve 
affermare 

RASSeGnA 
AVVOCATuRA 
DeLLO 
STATO - n. 4/2016 


-sul 
piano 
oggettivo 
-che 
un'operazione 
� 
unica 
sul 
piano 
fiscale 
quando 
due 
o 
pi� 
elementi 


o 
atti 
forniti 
dal 
soggetto 
passivo 
sono 
strettamente 
connessi 
a 
tal 
punto 
da 
formare 
una 
sola 
prestazione 
economica 
indissociabile 
la 
cui 
scomposizione 
avrebbe 
carattere 
artificioso, 
e 
ci� 
anche 
quando 
la 
pluralit� 
degli 
atti 
necessari 
a 
completare 
la 
prestazione 
possa 
coinvolgere 
anche 
soggetti 
estranei 
al 
rapporto 
contrattuale; 
per 
le 
"operazioni 
di 
assicurazione" 
�, 
inoltre, 
necessario 
-sul 
piano 
soggettivo 
-che 
vi 
sia 
un 
rapporto 
contrattuale 
tra 
il 
prestatore 
del 
servizio 
di 
assicurazione 
e 
il 
soggetto 
i 
cui 
rischi 
sono 
coperti 
dall'assicurazione, 
ossia 
l'assicurato. 
Invero, in via 
esemplificativa 
- sul 
piano oggettivo - come 
riconosciuto dalla 
stessa 
CGue, 
la 
liquidazione 
dei 
sinistri 
costituisce 
una 
componente 
essenziale 
dell'operazione 
di 
assicurazione, 
cos� 
come 
le 
attivit� 
di 
back 
office 
contribuiscono al 
contenuto essenziale 
delle 
attivit� 
di 
una 
impresa 
di 
assicurazioni, ma 
non possono tuttavia 
configurare 
un' 
"operazione 
di 
assicurazione" 
esente 
ai 
sensi 
della 
direttiva 
IVA 
nel 
caso in cui 
- sul 
piano soggettivo - il 
prestatore 
di 
servizi 
non 
si 
� 
impegnato 
esso 
stesso 
nei 
confronti 
dell'assicurato 
a 
garantire 
a 
quest'ultimo la 
copertura 
di 
un rischio e 
non � 
in alcun modo vincolato all'assicurato da 
un 
rapporto contrattuale (C-40/15, punto 24/25). 
4.5.9. 
ne 
consegue 
la 
non 
decisivit� 
delle 
questioni 
introdotte 
in 
merito 
alla 
ricorrenza 
di 
prestazioni 
eseguite 
in ragione 
di 
un mandato con rappresentanza 
(stipula 
del 
contratto assicurativo, 
etc.) 
ovvero 
di 
prestazioni 
eseguite 
senza 
la 
spendita 
del 
nome 
(incarichi 
a 
terzi 
professionisti 
per 
la 
attivit� 
connesse 
alla 
liquidazione 
di 
sinistri) 
in 
quanto 
non 
si 
riverberano 
sul 
tema 
della 
unicit� 
della 
prestazione 
sul 
piano 
economico 
e 
funzionale, 
come 
elaborato 
dalla CGue, e come sostanzialmente applicato dalla Commissione territoriale, n� sul quello 
del rapporto contrattuale con l'assicurato. 
4.6.1. nel 
caso in esame 
si 
deve 
osservare 
che 
- come 
gi� 
chiarito (v. sub 4.2.6. e 
4.2.7.) - la 
fattispecie 
concreta 
di 
cui 
si 
discute 
� 
stata 
ricondotta 
dalla 
CTR alle 
"operazioni 
di 
assicurazione" 
e, 
quindi, 
la 
correttezza 
dell'applicazione 
normativa 
dell'esenzione 
va 
vagliata 
alla 
luce 
dei 
pertinenti 
parametri 
come 
ricostruiti 
dalla 
CGue, 
che 
possono 
essere 
trasfusi 
nel 
seguente 
principio di diritto: 
"In tema 
di 
IVA, il 
regime 
di 
esenzione 
previsto dal 
D.P.R. n. 633 del 
1972, art. 10, comma 
1, n. 2, per le 
"operazioni 
di 
assicurazione", da 
interpretare 
restrittivamente 
in quanto derogatorio 
al 
regime 
ordinario di 
imponibilit�, si 
estende 
- in considerazione 
di 
quanto stabilito 
dalla 
Corte 
di 
giustizia, tra 
le 
altre, con le 
sentenze emesse nelle 
cause 
C- 349/96, C- 472/03 
e 
C-40/15 
-alla 
pluralit� 
di 
prestazioni 
idonee 
ad 
integrare 
il 
servizio 
assicurativo 
sotto 
il 
profilo 
economico, 
per 
cui 
occorre 
individuare 
gli 
elementi 
caratteristici 
dell'operazione 
di 
cui 
trattasi 
per stabilire, se 
il 
soggetto passivo fornisca 
all'assicurato, considerato come 
consumatore 
medio, 
attraverso 
la 
pluralit� 
di 
attivit� 
poste 
in 
essere, 
pi� 
prestazioni 
principali 
distinte 
o 
un'unica 
prestazione, 
sempre 
che 
il 
prestatore 
di 
servizi 
si 
sia 
impegnato 
esso 
stesso 
nei 
confronti 
dell'assicurato 
a 
garantire 
a 
quest'ultimo 
la 
copertura 
di 
un 
rischio 
e 
sia 
vincolato 
all'assicurato da 
un rapporto contrattuale. Spetta 
al 
giudice 
della 
controversia 
accertare, alla 
luce 
di 
questi 
elementi 
d'interpretazione, 
se 
l'operazione 
controversa 
debba 
essere 
considerata 
ai 
fini 
dell'IVA, 
unitariamente 
come 
"operazione 
di 
assicurazione", 
ovvero 
come 
costituita 
da 
prestazioni indipendenti, ovvero se ricorrano prestazioni accessorie. 
Tale 
principio si 
applica 
anche 
quando il 
contratto assicurativo sia 
stato concluso in coassicurazione 
con una 
pluralit� 
dei 
soggetti 
obbligati 
pro quota 
alla 
copertura 
del 
rischio dell'assicurato 
e 
uno dei 
coassicuratori 
sia 
stato delegato dagli 
altri 
alla 
gestione 
ed all'esecuzione 
del 
rapporto 
assicurativo. 
La 
regolamentazione 
dei 
rapporti 
interni 
tra 
coassicuratori, 
mediante 
la 
cd. 
clausola 
di 
delega, 
e 
le 
concrete 
modalit� 
di 
esecuzione 
dei 
compiti 
delegati, 
con 
o 
senza 

COnTenzIOSO 
nAzIOnALe 


la 
spendita 
del 
nome 
dei 
coassicuratori, 
non 
ha, 
infatti, 
incidenza 
sulla 
nozione 
di 
"operazione 
di 
assicurazione", 
cos� 
come 
definita 
sul 
piano 
fiscale 
dalla 
normativa 
comunitaria 
e 
dalla 
elaborazione 
giurisprudenziale 
della 
CGeu, 
che 
risulta 
radicata 
su 
due 
specifici 
elementi: 
la 
idoneit� 
delle 
diverse 
prestazioni 
o 
attivit� 
ad 
integrare 
il 
servizio 
assicurativo 
sotto 
il 
profilo 
economico; 
l'esistenza 
di 
un vincolo contrattuale 
tra 
il 
prestatore 
del 
servizio e 
l'assicurato, 
che ricorre nel rapporto con il coassicuratore". 


4.6.2. 
La 
decisione 
impugnata, 
nella 
quale 
� 
stata 
valorizzata 
l'unicit� 
della 
funzione 
economica 
che 
accomuna 
le 
diverse 
attivit� 
e 
la 
esistenza 
del 
rapporto 
contrattuale 
tra 
la 
coassicuratrice 
e 
l'assicurato, 
appare 
pertanto 
immune 
dai 
vizi 
denunciati 
con 
il 
primo 
motivo 
sul 
piano 
del 
diritto. 
5.1. Il 
secondo motivo � 
fondato e 
va 
accolto per quanto di 
ragione, considerata 
anche 
la 
rilevabilit� 
ex 
officio 
delle 
questioni 
che 
involgono 
l'applicazione 
del 
diritto 
ue 
al 
fine 
di 
evitare 
possibili 
contrasti 
fra 
diritto 
interno 
e 
diritto 
sovranazionale 
(Cass. 
nn. 
13065/2006, 
16130/2007; Cass. SSuu n. 26984/2006). 
5.2. Ricorda 
la 
Corte 
che 
la 
motivazione 
omessa 
o insufficiente 
� 
configurabile 
soltanto qualora 
dal 
ragionamento 
del 
giudice 
di 
merito, 
come 
risultante 
dalla 
sentenza 
impugnata, 
emerga 
la 
totale 
obliterazione 
di 
elementi 
che 
potrebbero condurre 
ad una 
diversa 
decisione, ovvero 
quando sia 
evincibile 
l'obiettiva 
carenza, nel 
complesso della 
medesima 
sentenza, del 
procedimento 
logico 
che 
lo 
ha 
indotto, 
sulla 
base 
degli 
elementi 
acquisiti, 
al 
suo 
convincimento 
(cfr. Cass. Su n. 24148/2013). 
5.3. nel 
caso in esame, esclusa 
la 
decisivit� 
della 
questione 
del 
mandato con o senza 
rappresentanza 
per le 
ragioni 
gi� 
illustrate 
(v. sub 4.5.8 - 4.5.9.), la 
doglianza 
appare 
fondata, alla 
luce 
delle 
sentenze 
della 
CGue 
in campo assicurativo prima 
esaminate, per la 
parte 
in cui 
la 
CTR ha 
mancato di 
illustrare 
con adeguata 
puntualit� 
e 
completezza 
gli 
elementi 
di 
fatto ed 
il 
percorso logico/giuridico seguito per ricondurre 
tutte 
le 
attivit� 
in discussione 
ad unitariet� 
economica 
e 
per 
valutare 
la 
idoneit� 
delle 
stesse 
ad 
integrare 
delle 
componenti 
essenziali 
del-
l'operazione 
di 
assicurazione, attesa 
la 
estrema 
sinteticit� 
della 
motivazione 
che 
avrebbe 
meglio 
dovuto 
illustrare 
tali 
elementi, 
posto 
che 
l'esistenza 
del 
rapporto 
contrattuale 
tra 
coassicuratrice ed assicurato � indiscussa. 
5.4. Il 
secondo motivo va 
accolto in questi 
termini 
e 
la 
causa, non potendo essere 
decisa 
nel 
merito, va 
rinviata 
alla 
CTR della 
Liguria, in altra 
composizione, che, dovr� 
provvedere 
ad 
una 
compiuta 
motivazione 
tenendo conto degli 
elementi 
di 
fatto e 
di 
diritto forniti 
in giudizio 
dall'Agenzia 
delle 
entrate 
a 
sostegno della 
supposta 
non essenzialit� 
delle 
differenti 
attivit�, 
e 
dalla 
societ� 
contribuente 
a 
sostegno della 
unicit� 
economica 
dell'operazione 
di 
assicurazione, 
attenendosi al principio di diritto esposto sub 4.6.1. 
6.1. 
In 
conclusione 
il 
ricorso 
va 
accolto 
sul 
secondo 
motivo 
nei 
termini 
di 
cui 
sopra, 
infondato 
il 
primo; 
la 
sentenza 
impugnata 
va 
cassata 
e 
la 
causa 
va 
rinviata 
alla 
CTR 
della 
Liguria 
in 
altra 
composizione 
per 
l'applicazione 
del 
principio 
di 
diritto 
illustrato 
nell'esame 
degli 
elementi 
sottoposti 
alla 
sua 
valutazione 
dalle 
parti, oltre 
che 
per la 
statuizione 
sulle 
spese 
del 
giudizio 
di legittimit�. 
P.Q.M. 
La Corte Suprema di cassazione: 
- accoglie il ricorso sul secondo motivo, infondato il primo; 
-cassa 
l'impugnata 
sentenza 
e 
rinvia 
alla 
CTR della 
Liguria 
in altra 
composizione 
per il 
riesame 
alla 
luce 
dei 
principi 
espressi 
e 
la 
statuizione 
anche 
sulle 
spese 
del 
giudizio di 
legittimit�. 
Cos� deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 12 settembre 2016. 

RASSeGnA 
AVVOCATuRA 
DeLLO 
STATO - n. 4/2016 


ancora sull�associazione con finalit� di terrorismo 

o di eversione dell�ordine democratico 
brevi 
CoNsiDerazioNi 
a 
CassazioNe 
PeNale, sez. v, seNteNza 
14 Novembre 
2016 N. 48001 


Federico Casu* 


una 
recente 
sentenza 
della 
V 
Sezione 
penale 
della 
Corte 
di 
Cassazione 


(1) � 
tornata 
sull�analisi 
dell�art. 270 bis 
c.p. (2) e 
lo ha 
fatto in relazione 
ad 
una 
vicenda 
che 
ha 
visto condannati 
in appello dei 
soggetti 
accusati 
di 
condividere 
�..un comune 
programma criminoso, avente 
ad oggetto l�avviamento 
di 
correligionari 
islamici 
verso una radicalizzazione 
tendente 
a renderli 
dei 
combattenti 
disponibili 
al 
martirio, 
inteso 
come 
esaltazione 
e 
ricerca 
della 
morte insieme al maggior numero possibile di infedeli..� 
(3). 
Dalle 
conversazioni 
intercettate, la 
Corte 
territoriale 
aveva 
ricavato il 
riferimento 
ad un �gruppo�, l�utilizzo di 
una 
moschea 
come 
luogo di 
indottrinamento 
e 
le 
condotte 
riscontrate 
all�interno di 
un call 
center, gestito da 
uno 
degli 
imputati, 
e 
consistenti 
nell�utilizzo 
dei 
computer 
ivi 
installati 
per 
la 
connessione 
a 
siti 
riconducibili 
all�area 
jihadista 
e 
lo 
scaricamento 
�..di 
filmati 
su 
attentati 
e 
scene 
di 
guerra 
e 
documenti 
illustrativi 
della 
preparazione 
di 
armi 
ed esplosivi 
e 
delle 
modalit� per 
raggiungere 
luoghi 
di 
combattimento e 
trasmettere in rete messaggi criptati..� 
(4). 


La 
pronuncia 
� 
interessante 
perch� 
prosegue 
nel 
lavoro 
della 
giurisprudenza 
teso 
a 
delineare 
i 
confini 
applicativi 
dell�art. 
270 
bis 
con 
particolare 
riferimento 
all�elemento 
oggettivo 
analizzato 
sotto 
il 
profilo 
della 
tassativit�offensivit� 
della 
relativa 
fattispecie 
incriminatrice. 
Pi� 
nello 
specifico, 
per 
i 


(*) Viceprefetto Aggiunto. 


(1) n. 48001, ud. del 
14 luglio 2016, dep. il 
14 novembre 
2916. La 
pronuncia 
� 
reperibile 
sul 
sito 
della Corte di Cassazione: 
www.cortedicassazione.it. 
(2) Che 
comՏ 
noto disciplina 
il 
reato di 
�associazione 
con finalit� di 
terrorismo anche 
internazionale 
o di 
eversione 
dell�ordine 
democratico�. Senza 
pretesa 
di 
esaustivit� 
cfr. ALBAneSe 
D., Partecipazione 
all�associazione 
con finalit� di 
terrorismo islamico: una pronuncia di 
condanna della Corte 
d�assise 
di 
milano. 
Corte 
d�Assise 
di 
Milano, sent. 25 maggio 2016 (dep. 28 luglio 2016), Pres. Ilio 
Mannucci 
Pacini, Giud. est. Ilaria 
Simi 
de 
Burgis, in Rivista 
on line 
Diritto Penale 
Contemporaneo; 
BeRTOLeSI 
R., il 
�Caso Fathima� 
e 
le 
condotte 
di 
supporto ad un�organizzazione 
terroristica. nota 
a 
GuP 
Milano, 23 febbraio 2016, n. 598, in Rivista 
on line 
Diritto Penale 
Contemporaneo; 
FALCIneLLI 
D., PenALe 
- terrorismo (profili 
sostanziali), in Digesto disc. pen. 
Aggiornamento (***), t. II, uTeT, 
Torino, 2005, p. 1604 ss.; 
ROSI 
e., PenALe 
- terrorismo internazionale, in Digesto disc. pen., Terza 
appendice, Tomo II, uTeT, Torino, 2005, pp. 1628 ss. Pi� in generale 
si 
veda, altres�, CReSPI 
A., FORTI 
G., zuCCAL� 
G., Commentario breve 
al 
Codice 
Penale, breviaria iuris 
fondati 
da 
CIAn 
G. - TRABuCChI 
A., Cedam, Padova, 2012, pp. 1194-1200; 
PeLISSeRO 
M. (a 
cura 
di), reati 
contro la personalit� dello 
stato 
e 
contro 
l�ordine 
pubblico, 
trattato 
teorico/pratico 
di 
diritto 
penale 
diretto 
da 
FRAnCeSCO 
PALAzzO 
e 
Carlo Paliero, Giappichelli, Torino, 2010, pp. 159-212. 
(3) Cass. pen., Sez. V, sent. 14 novembre 2016 n. 48001. 
(4) Cass. pen., Sez. V, sent. 14 novembre 2016 n. 48001. 

COnTenzIOSO 
nAzIOnALe 


giudici 
di 
Piazza 
Cavour, 
detto 
articolo 
configura 
un 
reato 
di 
pericolo 
presunto 
che 
fa 
perno 
su 
due 
elementi 
necessari, 
ovvero 
sull�individuazione 
di 
atti 
terroristici 
e 
sulla 
capacit� 
della 
struttura 
associativa 
di 
dare 
agli 
stessi 
effettiva 
realizzazione. 


Di 
qui 
il 
problema 
se 
l�attivit� 
di 
mero indottrinamento �..finalizzata ad 
indurre 
nei 
destinatari 
una 
generica 
disponibilit� 
ad 
unirsi 
ai 
combattenti 
per 
la 
causa 
islamica 
e 
ad 
immolarsi 
per 
la 
stessa�� 
(5) 
dia 
o 
meno 
la 
necessaria 
consistenza 
ai 
suddetti 
elementi, ovvero alla 
capacit�, da 
configurarsi 
in termini 
di 
concreta 
possibilit�, 
dell�associazione 
di 
compiere 
atti 
di 
violenza 
terroristica; 
dunque 
di 
costituire 
un concreto pericolo �..di 
un grave 
danno per 
uno 
stato 
nei 
termini 
di 
un 
reale 
impatto 
intimidatorio 
sulla 
popolazione 
dello 
stesso, 
tale 
da 
ripercuotersi 
sulle 
condizioni 
di 
vita 
e 
sulla 
sicurezza 
dell�intera 
collettivit��, ovvero di 
un determinante 
esito costrittivo o destabilizzante 
nei 
confronti dei pubblici poteri�� 
(6). 


ebbene, la 
risposta 
dei 
giudici 
� 
negativa 
(7) e 
si 
fonda 
proprio sulla 
motivazione 
che 
l�attivit� 
di 
proselitismo e 
di 
indottrinamento � 
�..una precondizione, 
quale 
base 
ideologica, 
per 
la 
costituzione 
di 
un�associazione 
effettivamente 
funzionale 
al 
compimento 
di 
atti 
terroristici, 
ma 
che 
non 
integra 
gli 
estremi 
perch� 
tale 
risultato 
possa 
dirsi 
conseguito; 
al 
pi� 
realizzando 
presupposti 
di 
pericolosit� dei 
soggetti 
interessati 
valutabili 
ai 
fini 
dell�applicazione 
di misure di prevenzione�� 
(8). 


Se 
in 
quest�ultime 
righe 
sembra 
riecheggiare 
quella 
giurisprudenza, 
senz�altro garantista, che, nel 
tentativo di 
operare 
un recupero di 
una 
reale 
offensivit� 
dei 
reti 
di 
istigazione 
o di 
apologia, ha 
valorizzato il 
diritto costituzionale 
alla 
libera 
manifestazione 
del 
pensiero 
(art. 
21 
Cost.) 
(9), 
la 
pronuncia, 
tuttavia, 
si 
mostra 
ancorata 
ad 
un 
percorso 
argomentativo 
che 
potrebbe 
non 
essere 
pi� 
adeguato 
alle 
nuove 
sfide 
che 
l�organizzazione 
terroristica 
denominata 
Daesh 
o IS (10) ha imposto al mondo intero. 


un�organizzazione, per struttura 
e 
metodologia 
operativa, diversa 
da 
al 
Qaeda 
e, ancor pi�, da 
sodalizi 
nostrani 
che 
invece 
i 
giudici 
della 
V 
Sezione 
richiamano indirettamente 
attraverso la 
citazione 
di 
quella 
giurisprudenza 
di 
legittimit� 
che 
sull�art. 270 bis 
e, pi� in generale, sui 
reati 
di 
terrorismo, si 
� 
andata 
delineando proprio sulla 
formazione 
di 
Osama 
bin Laden (11) o su vi


(5) Cass. pen., Sez. V, sent. 14 novembre 2016 n. 48001. 
(6) Cass. pen., Sez. V, sent. 14 novembre 2016 n. 48001. 
(7) 
TantՏ 
che, 
limitatamente 
all�art. 
270 
bis, 
si 
opta 
per 
l�annullamento 
senza 
rinvio 
della 
sentenza 
d�appello per insussistenza del fatto. 
(8) Cass. pen., Sez. V, sent. 14 novembre 2016 n. 48001. 
(9) Si pensi, ad esempio, a Corte cost., n. 108/1974 o a Cassazione penale, Sez. I, 3 luglio 2001. 
(10) Acronimo dell�autoproclamatosi Stato Islamico. 
(11) � 
il 
caso della 
sentenza 
VI, n. 46308/2012 (citata 
dalla 
pronuncia 
in commento) o della 
sentenza 
II, n. 669/2005 (citata dalla pronuncia in commento). 

RASSeGnA 
AVVOCATuRA 
DeLLO 
STATO - n. 4/2016 


cende 
tutte 
italiane 
quali 
i 
movimenti 
di 
protesta 
violenta 
contro il 
progetto 
dell�alta 
velocit� 
ferroviaria 
(TAV) (12). Detto in altro modo, la 
sentenza 
ha 
avallato una 
ricostruzione 
dell�articolo in questione 
che 
si 
� 
andata 
evolvendosi, 
quasi 
per un processo di 
stratificazione, con riferimento a 
realt� 
associative 
diverse 
l�una 
dall�altra 
e 
che 
ha 
prodotto 
il 
risultato, 
per 
certi 
versi 
paradossale, di irrigidire eccessivamente i suoi presupposti applicativi. 

Ora, 
e 
senza 
entrare 
nei 
dettagli 
di 
un�analisi 
storico-giuridica 
relativa 
alle 
dinamiche 
terroristiche 
nazionali 
e 
internazionali, 
che 
condurrebbe 
lontano 
rispetto 
al 
limitato 
campo 
d�indagine 
di 
questo 
scritto, 
pu� 
essere, 
comunque, 
interessante 
evidenziare 
come 
Daesh, 
rispetto 
ad 
al 
Qaeda, 
abbia 
particolarmente 
sfruttato 
i 
canali 
che 
oggi 
la 
tecnologia 
mediatica 
mette 
a 
disposizione 
per 
-usando 
la 
terminologia 
della 
pronuncia 
in 
commento 
-condurre 
opera 
di 
proselitismo 
e 
di 
indottrinamento 
e 
ci� 
non 
gi� 
solo, 
come 
nel 
passato, 
per 
creare 
una 
base 
di 
consenso 
e 
sostegno 
anche 
finanziario 
o 
per 
arruolare 
nelle 
proprie 
fila 
mujaheddin 
disposti 
alla 
jihad 
(13), 
ma 
per 
spingere 
chiunque 
voglia 
aderire 
alla 
causa, 
in 
qualunque 
parte 
del 
mondo 
esso 
si 
trovi 
e 
di 
qualunque 
cittadinanza 
egli 
sia, 
ad 
auto-radicalizzarsi 
e 
a 
divenire 
un 
c.d. 
�lupo 
solitario�. 


un�opera 
che 
va 
oltre 
la 
pubblica 
istigazione 
e 
apologia 
(14), 
essendo 
connaturata 
alla 
mission 
associativa 
di 
Daesh 
e 
delle 
cellule 
sue 
affiliate; 
un�opera 
che 
� 
uno strumento privilegiato per creare 
proprio quella 
concreta 
possibilit� 
di 
un danno grave, per giunta 
non prevedibile, a 
quei 
beni 
giuridici 
che l�art. 270 bis 
� volto a tutelare. 


e 
che 
il 
proselitismo 
e 
l�indottrinamento 
non 
siano, 
come 
invece 
sostiene 
la 
Cassazione, 
una 
�..precondizione, 
quale 
base 
ideologica, 
per 
la 
costituzione 
di 
un�associazione 
effettivamente 
funzionale 
al 
compimento 
di 
atti 
terroristici..�, 
ma 
viceversa 
una 
precisa 
condizione 
attraverso cui 
Daesh 
opera 
per 
favorire 
concreti 
atti 
di 
violenza 
con 
finalit� 
di 
terrorismo, 
lo 
dimostrano 
i 
numerosi 
appelli 
ai 
lupi 
solitari 
rilanciati 
anche 
di 
recente 
dagli 
organi 
di 
informazione 
e 
facilmente 
rinvenibili 
attraverso 
qualsiasi 
motore 
di 
ricerca; 
appelli 
che 
un 
call 
center 
o una 
predicazione 
perseguita 
in forme 
violente 
contribuiscono 
a 
rendere 
pi� insidiosi 
e 
che 
chiunque, come 
� 
gi� 
accaduto, pu� raccogliere 
e mettere in pratica (15). 


Davvero, 
dunque, 
ricondurre 
il 
proselitismo 
e 
l�indottrinamento 
all�art. 
270 
bis 
rischierebbe 
di 
posizionare 
tale 
fattispecie 
oltre 
il 
crinale 
della 
legittimit� 
costituzionale 
per 
violazione, 
quanto 
meno, 
degli 
artt. 
25 
e 
21 
della 
Costituzione? 
ed 


(12) Il 
riferimento � 
alle 
sentenze 
I, n. 47479/2015 (citata 
dalla 
sentenza 
in commento) e 
VI, n. 
28009/2014 (citata sempre dalla sentenza in commento). 
(13) Per usare 
un frasario caro ai 
terroristi 
cui 
gli 
stessi 
ricorrono impropriamente, se 
si 
pensa 
che 
la parola 
jihad 
pu� avere connotazioni non violente e limitate al solo ambito religioso. 
(14) Cfr. art. 303 c.p. 
(15) Si 
pensi 
all�aggressione 
operata, a 
luglio del 
2016, da 
un ragazzo di 
origine 
afgana 
ai 
danni 
dei passeggeri di un treno locale diretto a 
Wurzburg, nella Germania del sud. 

COnTenzIOSO 
nAzIOnALe 


ancora, 
saremmo 
nel 
campo 
dell�interpretazione 
estensiva 
o 
di 
quella 
analogica? 


In attesa 
di 
eventuali 
nuovi 
sviluppi 
giurisprudenziali 
e/o normativi 
sul-
l�argomento, 
restano 
gli 
utilissimi 
strumenti 
preventivi, 
cui 
la 
sentenza 
in 
commento 
fa 
peraltro 
cenno, 
e 
che 
di 
fatto 
valorizzano 
tutta 
quell�attivit� 
info-investigativa 
che, quand�anche 
non abbia 
la 
forza 
di 
sostenere 
un valido 
impianto 
accusatorio, 
� 
tuttavia 
in 
grado 
di 
giustificare, 
ad 
esempio, 
un 
decreto 
di 
espulsione 
del 
Ministro dell�interno per motivi 
di 
ordine 
pubblico o di 
sicurezza 
dello Stato (16) o, tutt�al pi�, del prefetto (17). 


e 
in 
tale 
contesto 
si 
conferma 
essenziale 
la 
collaborazione 
tra 
la 
magistratura 
inquirente 
e 
i 
prefetti 
ed il 
ruolo svolto dalle 
Forze 
di 
polizia 
che 
sono 
un 
vero 
e 
proprio 
collante 
che 
tiene 
unita 
la 
sfera 
preventiva 
con 
quella 
repressiva 
poste a presidio della pubblica sicurezza. 


Cassazione 
penale, sezione 
V, sentenza 14 novembre 
2016 n. 48001 
-Pres. G. Lapalorcia, 
rel. 
C. 
zaza, 
P.m. 
S. 
Tocci 
(difforme) 
-Ricorsi 
proposti 
da 
h.h.B.h., 
ha.Mo., 
I.n., 
C.h., 
(avv. V. Plati) avverso la 
sentenza 
del 
27 ottobre 
2015 della 
Corte 
d'Assise 
d'Appello di 
Bari. 


RITenuTO 
In 
FATTO 


Con la 
sentenza 
impugnata, in parziale 
riforma 
della 
sentenza 
del 
Giudice 
dell'udienza 
preliminare 
del 
Tribunale 
di 
Bari 
del 
24 settembre 
2014, veniva 
confermata 
l'affermazione 
di 
responsabilit� 
di 
h.B.h.h., 
M.h., 
n.I. 
e 
h.C. 
per 
il 
reato 
di 
cui 
all'art. 
270-bis 
c.p., 
commesso 
dall' 
h. 
dirigendo 
ed 
organizzando 
e 
dagli 
altri 
partecipando 
ad 
un'associazione 
di 
matrice 
islamica, operante 
dal 
2008 in Andria 
e 
altrove, e 
finalizzata 
al 
compimento di 
atti 
di 
terrorismo 
in Italia 
e 
all'estero, e 
dell' 
h. inoltre 
per il 
reato di 
cui 
alla 
L. 13 ottobre 
1975, n. 654, 
art. 
3, 
lett. 
B, 
commesso 
fino 
al 
marzo 
del 
2009 
istigando 
all'odio 
ed 
alla 
violenza 
nei 
confronti 
del 
popolo ebraico. La 
sentenza 
di 
primo grado era 
riformata 
con la 
rideterminazione 
della 
pena nei confronti del C. 


Gli 
imputati 
ricorrenti 
deducono 
violazione 
di 
legge 
e 
vizio 
motivazionale 
sull'affermazione 
di 
responsabilit� 
per 
il 
reato 
di 
cui 
all'art. 
270-bis 
c.p.; 
il 
ricorrente 
C. 
lamenta 
che, 
escludendo 
la 
rilevanza 
delle 
circostanze 
per 
le 
quali 
le 
intercettazioni 
risalivano 
a 
cinque 
anni 
prima 
dell'arresto, 
da 
quella 
data 
non 
risultavano 
ulteriori 
contatti 
fra 
gli 
imputati, 
il 


C. 
conosceva 
solo 
un 
tale 
Al� 
che 
lo 
tempestava 
di 
telefonate 
deliranti 
e, 
essendo 
cittadino 
italiano, 
si 
recava 
pi� 
volte 
nel 
Paese 
di 
origine 
nei 
menzionati 
cinque 
anni 
senza 
commettere 
alcun 
fatto 
illecito, 
la 
Corte 
territoriale 
avrebbe 
di 
fatto 
affermato 
il 
principio, 
contrario 
a 
quelli 
stabiliti 
dalla 
giurisprudenza, 
per 
il 
quale 
un 
legame 
associativo 
di 
matrice 
islamica 
non 
verrebbe 
mai 
a 
cessare 
e 
non 
necessiterebbe 
di 
concretezza 
ed 
effettivit�; 
secondo 
quanto 
dedotto 
dagli 
altri 
ricorrenti, 
la 
configurabilit� 
del 
reato 
richiederebbe 
l'esistenza 
di 
una 
struttura 
organizzata 
la 
cui 
effettivit� 
renda 
quanto 
meno 
possibile 
l'attuazione 
del 
pro(
16) 
Art. 
13, 
comma 
1, 
del 
d.lgs 
25 
luglio 
1998 
n. 
286 
(Testo 
unico 
delle 
disposizioni 
concernenti 
la disciplina dell�immigrazione e norme sulla condizione giuridica dello straniero). 
(17) Art. 13, comma 2, d.lgs. 286/1998. 

RASSeGnA 
AVVOCATuRA 
DeLLO 
STATO - n. 4/2016 


getto 
criminoso, 
e 
una 
partecipazione 
all'associazione 
che 
non 
si 
limiti 
a 
un'adesione 
ideale 
al 
programma 
criminoso, 
ma 
si 
traduca 
nell'assunzione 
di 
un 
ruolo 
concreto 
nel 
sodalizio; 
la 
ricorrenza 
di 
questi 
elementi 
non 
emergerebbe 
dalla 
motivazione 
della 
sentenza 
impugnata, 
non 
risultando 
in 
particolare 
la 
condivisione 
di 
programmi 
di 
associazioni 
terroristiche 
riconosciute 
a 
livello 
internazionale, 
un'organizzazione 
con 
un 
grado 
di 
effettivit� 
tale 
da 
attuare 
il 
programma, 
identificato 
nell'avviamento 
alla 
radicalizzazione 
di 
persone 
destinate 
a 
divenire 
aspiranti 
combattenti, 
l'idoneit� 
di 
tale 
radicalizzazione 
al 
compimento 
di 
atti 
terroristici 
e 
la 
predisposizione 
di 
mezzi 
idonei; 
neppure 
vi 
sarebbe 
motivazione 
sul 
contributo 
concreto 
degli 
imputati 
e 
sul 
tempo 
trascorso 
fra 
le 
conversazioni 
intercettate, 
risalenti 
al 
2009, 
e 
l'arresto 
degli 
imputati 
nel 
2013; 
non 
sarebbe 
stata 
valutata 
l'esistenza 
di 
alcuna 
delle 
condizioni 
previste 
dalla 
norma 
incriminatrice 
per 
la 
ravvisabilit� 
della 
finalit� 
di 
terrorismo, 
ossia 
l'idoneit� 
della 
condotta 
a 
cagionare 
un 
grave 
danno 
ad 
uno 
Stato 


o 
ad 
una 
organizzazione 
internazionale, 
l'intimidazione 
delle 
popolazioni, 
la 
costrizione 
dei 
poteri 
o 
delle 
organizzazioni 
pubbliche 
a 
compiere 
determinati 
atti 
e 
la 
destabilizzazione 
o 
la 
distruzione 
di 
strutture 
politiche. 
COnSIDeRATO 
In 
DIRITTO 
I ricorsi sono fondati. 
I 
reati 
previsti 
dall'art. 
270-bis 
c.p., 
lo 
si 
rammenta, 
si 
configurano 
nelle 
condotte 
di 
promozione, 
costituzione, 
organizzazione, 
direzione, 
finanziamento 
o 
partecipazione 
ad 
associazioni 
che 
si 
propongono 
il 
compimento 
di 
atti 
di 
violenza 
con 
finalit� 
di 
terrorismo 
o 
di 
eversione 
dell'ordine 
democratico; 
finalit� 
di 
terrorismo, 
in 
particolare 
e 
per 
quanto 
qui 
specificamente 
interessa, 
che 
il 
terzo 
comma 
dell'articolo 
identifica 
anche 
nelle 
condotte 
dirette 
contro 
Stati 
esteri 
ovvero 
istituzioni 
o 
organismi 
internazionali. 
Tenuto 
conto 
di 
questa 
disposizione 
estensiva, 
i 
criteri 
dettati 
dal 
successivo 
art. 
270-sexies 
per 
la 
riconducibilit� 
di 
una 
condotta 
alla 
finalit� 
terroristica 
sono 
riferiti 
anche 
a 
Stati 
esteri 
o 
organizzazioni 
internazionali. 
Criteri 
indicati 
nella 
potenzialit� 
della 
condotta, 
per 
la 
natura 
o 
il 
contesto 
della 
stessa, 
ad 
arrecare 
grave 
danno 
ad 
uno 
Stato 
o 
ad 
un'organizzazione 
internazionale; 
nella 
riconducibilit� 
della 
condotta 
a 
taluno 
degli 
scopi 
indicati 
dalla 
norma 
in 
termini 
di 
intimidazione 
della 
popolazione 
di 
quello 
Stato, 
di 
costrizione 
dei 
poteri 
pubblici 
dello 
stesso 
o 
dell'organizzazione 
a 
compiere 
o 
ad 
astenersi 
dal 
compiere 
determinati 
atti 
e 
di 
distruzione 


o 
destabilizzazione 
delle 
strutture 
costituzionali, 
politiche, 
economiche 
e 
sociali 
dello 
Stato 
o 
dell'organizzazione; 
e, 
in 
alternativa 
alle 
condizioni 
appena 
indicate, 
nell'espressa 
definizione 
della 
condotta 
come 
terroristica 
in 
convenzioni 
o 
altre 
norme 
di 
diritto 
internazionali 
vincolanti 
per 
lo 
Stato 
italiano. 
I dati 
descritti 
connotano indubbiamente 
i 
delitti 
in esame 
come 
reati 
di 
pericolo presunto. 
Questa 
Corte 
Suprema 
ha 
avuto tuttavia 
modo di 
precisare 
che 
la 
ravvisabilit� 
della 
condotta 
associativa, se 
non richiede 
la 
predisposizione 
di 
un programma 
di 
azioni 
terroristiche, 
necessita 
tuttavia 
della 
costituzione 
di 
una 
struttura 
organizzativa 
con un livello di 
effettivit� 
che 
renda 
possibile 
la 
realizzazione 
del 
progetto 
criminoso 
(Sez. 
5, 
n. 
2651 
del 
08/10/2015, 
dep. 
2016, 
nasr 
Osama, 
Rv. 
265924; 
Sez. 
6, 
n. 
46308 
del 
12/07/2012, 
Chabchoub, 
Rv. 253943). � 
determinante 
in tal 
senso il 
fatto che, nella 
previsione 
normativa, la 
rilevanza 
penale 
dell'associazione 
sia 
legata 
non alla 
generica 
tensione 
della 
stessa 
verso la 
finalit� 
terroristica 
o eversiva, ma 
al 
proporsi 
il 
sodalizio la 
realizzazione 
di 
atti 
violenti 
qualificati 
da 
detta 
finalit�. 
Costituiscono 
pertanto 
elementi 
necessari, 
per 
l'esistenza 
del 
reato, 
in 
primo 
luogo l'individuazione 
di 
atti 
terroristici 
posti 
come 
obiettivo dell'associazione, quanto meno 



COnTenzIOSO 
nAzIOnALe 


nella 
loro tipologia; 
e, in secondo luogo, la 
capacit� 
della 
struttura 
associativa 
di 
dare 
agli 
atti 
stessi effettiva realizzazione. 


Tanto 
premesso, 
dalla 
lettura 
della 
sentenza 
impugnata 
risulta 
che 
la 
Corte 
territoriale 
traeva, 
dall'esame 
delle 
conversazioni 
intercettate, 
la 
conclusione 
del 
coinvolgimento 
degli 
imputati 
in 
un 
comune 
programma 
criminoso, 
avente 
ad 
oggetto 
l'avviamento 
di 
correligionari 
islamici 
verso 
una 
radicalizzazione 
tendente 
a 
renderli 
dei 
combattenti 
disponibili 
al 
martirio, 
inteso 
come 
esaltazione 
e 
ricerca 
della 
morte 
insieme 
al 
maggior 
numero 
possibile 
di 
infedeli. 
Del 
contenuto 
di 
tali 
conversazioni, 
dettagliatamente 
riportato, 
si 
evidenziavano 
in 
particolare 
i 
riferimenti 
ad 
un 
"gruppo"; 
la 
destinazione 
all'indottrinamento, 
nei 
termini 
appena 
descritti, 
di 
luoghi 
nella 
disponibilit� 
dell'imputato 
h., 
segnatamente 
la 
moschea 
di 
Andria 
ove 
il 
predetto 
svolgeva 
la 
propria 
predicazione 
ed 
il 
call 
center 
dello 
stesso 
gestito; 
l'utilizzazione 
dei 
computers 
installati 
in 
quest'ultimo 
esercizio 
commerciale, 
allorch� 
nello 
stesso 
si 
trovavano 
i 
componenti 
del 
gruppo, 
per 
la 
connessione 
con 
siti 
riconducibili 
all'area 
jihadista 
e 
lo 
scaricamento 
dagli 
stessi 
di 
filmati 
su 
attentati 
e 
scene 
di 
guerra 
e 
documenti 
illustrativi 
della 
preparazione 
di 
armi 
ed 
esplosivi 
e 
delle 
modalit� 
per 
raggiungere 
luoghi 
di 
combattimento 
e 
trasmettere 
in 
rete messaggi criptati; la disponibilit� di documenti falsi destinati a consentire la permanenza 
illegale 
di 
immigrati 
clandestini 
in 
Italia; 
la 
manifestazione 
di 
odio 
verso 
la 
popolazione 
ebraica, 
l'ambiente 
di 
vita 
in 
Italia 
e 
l'attivit� 
ivi 
svolta 
dagli 
immigrati 
di 
fede 
islamica; 
e 
le 
cautele 
manifestate 
dall' 
h. 
nell'invio 
ad 
un 
conoscente 
milanese 
di 
documentazione 
di 
apparente 
natura 
religiosa. 
A 
questo 
proposito, 
i 
giudici 
di 
merito 
richiamavano 
anche 
le 
dichiarazioni 
del 
collaboratore 
R.J., 
a 
suo 
tempo 
militante 
in 
contesti 
radicali 
gravitanti 
intorno 
alla 
mosche 
milanese 
di 
Viale 
(OMISSIS), 
in 
quanto 
interpretative 
del 
lessico 
consueto 
a 
tali 
ambienti 
con 
riguardo 
sia 
all'uso 
del 
termine 
"gruppo" 
per 
denotare 
le 
cellule 
delle 
organizzazioni 
terroristiche 
islamiche, 
sia 
all'esaltazione 
della 
morte, 
come 
inevitabile 
conclusione 
di 
una 
vita 
terrena 
da 
ripudiarsi 
per 
tale 
ragione, 
e 
del 
martirio 
in 
quanto 
funzionale 
alla 
causa 
jihadista. 


Posto che 
tali 
conclusioni 
si 
fondano essenzialmente 
sui 
contenuti 
delle 
intercettazioni 
testualmente 
trascritti 
nella 
sentenza 
impugnata, e 
che 
la 
valutazione 
della 
coerenza 
logica 
di 
tale 
procedimento argomentativo non pu� prescindere 
da 
un confronto fra 
tali 
contenuti 
e 
i 
risultati 
esposti, risulta 
innanzitutto non privo di 
peso il 
rilievo proposto dal 
ricorrente 
C., ma 
valido anche 
per le 
altre 
posizioni, per il 
quale 
buona 
parte 
dei 
dialoghi 
intercettati 
vede 
non 
solo come 
interlocutore, ma 
come 
protagonista 
maggiormente 
attivo delle 
conversazioni 
un 
personaggio non identificato, indicato solo come 
Al�, il 
quale 
si 
distingueva 
per il 
tenore 
particolarmente 
cruento delle 
proprie 
espressioni, non sempre 
immediatamente 
comprese 
dagli 
altri 
soggetti 
dialoganti. La 
Corte 
territoriale, per il 
vero, si 
faceva 
carico di 
tale 
critica, osservando 
che, a 
prescindere 
dal 
ruolo svolto nella 
vicenda 
dal 
tale 
Al�, i 
contenuti 
centrali 
del 
programma 
criminoso, ovvero l'esaltazione 
del 
martirio per la 
causa 
islamica 
e 
l'aspirazione 
a 
raggiungere 
i 
luoghi 
di 
combattimento per conseguire 
tale 
obiettivo, emergevano negli 
interventi 
di 
tutti 
gli 
imputati. La 
fonte 
della 
prova 
della 
sussistenza 
del 
vincolo associativo ne 
veniva 
tuttavia 
traslata 
dalla 
diretta 
rappresentazione, nelle 
intercettazioni, di 
comportamenti 
materiali 
in tal 
senso concludenti, alla 
impervia 
metodologia 
indiziaria 
della 
desunzione 
di 
tale 
vincolo dall'esistenza 
di 
una 
visione 
ideale 
comune 
agli 
imputati 
e 
dalla 
frequentazione, 
da 
parte 
degli 
stessi, di 
luoghi 
nei 
quali 
avveniva 
la 
consultazione 
del 
materiale 
informativo 
sopra 
specificato. 
Ma, 
a 
voler 
ritenere 
che 
tale 
problematicit� 
non 
integri 
un 
vizio 
di 
illogicit� 
motivazionale 
rilevabile 
in questa 
sede, da 
tanto risulta 
in ogni 
caso confermato che 
la 
qualificazione 
criminosa 
della 
ritenuta 
associazione 
veniva 
fatta 
dipendere 
unicamente 
da 
un progetto 
di 
avviamento dei 
soggetti 
coinvolti 
alla 
ricerca 
del 
combattimento e 
del 
martirio per la 



RASSeGnA 
AVVOCATuRA 
DeLLO 
STATO - n. 4/2016 


causa 
islamica; 
aspetto, questo, peraltro gi� 
chiaramente 
lumeggiato dalla 
precedente 
esposizione 
degli elementi considerati nella sentenza impugnata come significativi. 


Orbene, se 
tali 
sono le 
connotazioni 
del 
programma 
criminoso individuato dalla 
Corte 
territoriale, le 
stesse 
non corrispondono ai 
requisiti 
indicati 
in premessa 
come 
indispensabili 
per la 
configurabilit� 
di 
una 
struttura 
associativa 
riconducibile 
alla 
fattispecie 
di 
cui 
all'art. 
270-bis 
c.p. 

L'attivit� 
di 
indottrinamento, finalizzata 
ad indurre 
nei 
destinatari 
una 
generica 
disponibilit� 
ad unirsi 
ai 
combattenti 
per la 
causa 
islamica 
e 
ad immolarsi 
per la 
stessa, non d� 
in 
primo 
luogo 
la 
necessaria 
consistenza 
a 
quegli 
atti 
di 
violenza 
terroristica 
o 
eversiva 
il 
cui 
compimento, per quanto detto, deve 
costituire 
specifico oggetto dell'associazione 
in esame. 
Alla 
vocazione 
al 
martirio � 
stata 
invero attribuita 
significativit� 
ai 
fini 
della 
ravvisabilit� 
del 
reato; 
ci�, tuttavia, ai 
limitati 
fini 
della 
valutazione 
sulla 
sussistenza 
di 
gravi 
indizi 
per l'adozione 
di 
misure 
cautelari 
nei 
confronti 
del 
singolo 
partecipante 
ad 
una 
cellula 
terroristica, 
della 
quale 
sia 
stata 
aliunde 
riconosciuta 
l'effettiva 
operativit� 
(Sez. 2, n. 669 del 
21/12/2004, 
dep. 2005, Ragoubi, Rv. 230431), e, comunque, laddove 
alle 
attivit� 
di 
indottrinamento e 
reclutamento 
sia 
affiancata 
quella 
di 
addestramento al 
martirio di 
adepti 
da 
inviare 
nei 
luoghi 
di 
combattimento (Sez. 6, n. 46308 del 
12/07/2012, Chabchoub, Rv. 253944), che 
attribuisca 
all'esaltazione 
della 
morte, 
in 
nome 
della 
guerra 
santa 
contro 
gli 
infedeli, 
caratteristiche 
di 
materialit� 
che 
realizzino la 
condizione 
per la 
quale 
possa 
dirsi 
che 
l'associazione, secondo il 
dettato normativo gi� 
ricordato, "si 
propone 
il 
compimento di 
atti 
di 
violenza 
con finalit� 
di 
terrorismo". n� 
atti 
del 
genere 
sono ravvisabili 
negli 
ulteriori 
riferimenti 
della 
sentenza 
impugnata 
ai 
contenuti 
delle 
intercettazioni; 
essendo il 
procacciamento e 
la 
visione 
di 
filmati 
e 
documenti 
propagandistici 
attivit� 
strumentali 
all'indottrinamento, 
e 
non 
diversamente 
potendo 
concludersi in ordine alle accennate condotte di falsificazione di documenti. 


In secondo luogo, e 
comunque, non emerge 
dalle 
conversazioni 
riportate 
nella 
sentenza 
impugnata, n� 
� 
peraltro evidenziato nella 
stessa 
alcun elemento indicativo della 
effettiva 
capacit� 
del 
gruppo di 
realizzare 
atti 
anche 
astrattamente 
definibili 
come 
terroristici 
secondo la 
previsione 
dell'art. 
270-sexies 
c.p.; 
atti, 
cio�, 
che 
creino 
la 
concreta 
possibilit� 
di 
un 
grave 
danno 
per 
uno 
Stato, 
nei 
termini 
di 
un 
reale 
impatto 
intimidatorio 
sulla 
popolazione 
dello 
stesso, 
tale 
da 
ripercuotersi 
sulle 
condizioni 
di 
vita 
e 
sulla 
sicurezza 
dell'intera 
collettivit� 
(Sez. 1, n. 47479 del 
16/07/2015, Alberti, Rv. 265405), ovvero di 
un determinante 
esito costrittivo 
o destabilizzante 
nei 
confronti 
dei 
pubblici 
poteri 
(Sez. 6, n. 28009 del 
15/05/2014, 
Alberto, Rv. 260076). La 
Corte 
territoriale, viceversa, non poteva 
che 
dare 
atto della 
circostanza 
di 
segno 
evidentemente 
contrario, 
indicata 
dalla 
difesa 
e 
riproposta 
nei 
ricorsi, 
costituita 
dal 
decorso del 
tempo dall'epoca 
delle 
intercettazioni, risalenti 
al 
2009, senza 
che 
risultasse 
il 
compimento 
di 
alcun 
atto 
terroristico 
attribuibile 
all'associazione, 
anche 
nella 
forma 
minima, 
e 
forse 
neppure 
sufficiente, 
della 
partenza 
di 
taluno 
degli 
adepti 
per 
le 
zone 
interessate 
da 
combattimenti 
riferibili 
alla 
guerra 
santa 
di 
matrice 
islamica; 
e 
la 
spiegazione 
fornita 
in proposito 
dai 
giudici 
di 
merito era 
affidata 
a 
considerazioni 
sulla 
possibilit� 
che 
ci� fosse 
dovuto 
ad eventi 
indipendenti 
dalla 
volont� 
degli 
imputati, meramente 
congetturali 
e 
comunque 
tali 
semmai 
da 
ulteriormente 
confermare 
l'incapacit� 
del 
gruppo di 
raggiungere 
un livello organizzativo 
tale 
da 
affrontare 
le 
contingenti 
e 
non 
certo 
imprevedibili 
difficolt� 
di 
un'attivit� 
terroristica di carattere internazionale. 


Gli 
stessi 
elementi 
considerati 
dai 
giudici 
di 
merito, in altre 
parole, danno conto della 
limitazione 
dell'operativit� 
del 
gruppo, del 
quale 
gli 
imputati 
erano ritenuti 
componenti, ad 
un'attivit� 
di 
proselitismo e 
indottrinamento, finalizzata 
ad inculcare 
una 
visione 
positiva 
del 



COnTenzIOSO 
nAzIOnALe 


combattimento 
per 
l'affermazione 
dell'islamismo 
e 
della 
morte 
per 
tale 
causa. 
Attivit� 
che 
pu� 
costituire 
senza 
dubbio 
una 
precondizione, 
quale 
base 
ideologica, 
per 
la 
costituzione 
di 
un'associazione 
effettivamente 
funzionale 
al 
compimento 
di 
atti 
terroristici, 
ma 
che 
non 
integra 
gli 
estremi 
perch� 
tale 
risultato possa 
dirsi 
conseguito; 
al 
pi� realizzando presupposti 
di 
pericolosit� 
dei soggetti interessati valutabili ai fini dell'applicazione di misure di prevenzione. 


La 
completezza 
della 
sentenza 
impugnata 
nel 
riportare 
le 
risultanze 
acquisite 
esclude 
che 
un nuovo esame 
degli 
atti 
possa 
portare 
all'individuazione 
di 
elementi 
ulteriori 
ed al 
conseguimento 
di 
risultati 
diversi. La 
sentenza 
deve 
pertanto essere 
annullata 
senza 
rinvio limitatamente 
al 
reato 
associativo, 
ascritto 
a 
tutti 
gli 
imputati 
ricorrenti, 
perch� 
il 
fatto 
non 
sussiste, 
con effetto estensivo nei 
confronti 
del 
coimputato non ricorrente 
R.B.C.K.; 
e 
con rinvio per 
la 
rideterminazione 
della 
pena 
nei 
confronti 
dell'imputato h. in ordine 
al 
residuo reato di 
cui 
alla 
L. 
n. 
654 
del 
1975, 
art. 
3, 
comma 
3, 
lett. 
B, 
non 
oggetto 
del 
ricorso. 
ne 
segue 
l'immediata 
liberazione dei predetti imputati se non detenuti per altra causa. 


P.Q.M. 
Annulla 
senza 
rinvio la 
sentenza 
impugnata 
relativamente 
al 
reato di 
cui 
all'art. 270-bis 
c.p. 
nei 
confronti 
degli 
imputati 
ricorrenti 
e, 
per 
l'effetto 
estensivo, 
nei 
confronti 
di 
K.R.B.C., 
perch� 
il 
fatto non sussiste 
e 
rinvia 
ad altra 
Sezione 
della 
Corte 
d'Assise 
d'Appello di 
Bari 
per la 
rideterminazione 
della 
pena 
nei 
confronti 
di 
h.h.B.h. per il 
residuo reato di 
cui 
alla 
L. n. 654 
del 
1975, art. 3, comma 
3, lett. B. Ordina 
l'immediata 
liberazione 
del 
predetto h., di 
ha.Mo., 
di I.n. e di K.R.B.C. se non detenuti per altra causa. 
Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all'art. 626 c.p.p. 
Cos� deciso in Roma, il 14 luglio 2016. 

RASSeGnA 
AVVOCATuRA 
DeLLO 
STATO - n. 4/2016 


in tema di demanialit� marittima 
(Le 
Valli da pesca della laguna di 
Venezia) 


CassazioNe 
Civile, sezioNe 
seCoNDa, seNteNza 
21 DiCembre 
2016 N. 26616 
(*) 


La 
delicata 
questione 
(analoga 
a 
quella 
che 
si 
� 
posta 
in analoghi 
contenziosi) 
� 
quella 
della 
natura 
privata 
o 
di 
demanio 
marittimo 
degli 
specchi 
acquei 
salmastri facenti parte della laguna di 
Venezia denominati 
Valli da pesca. 


In allegato una 
delle 
12 sentenze 
(le 
altre 
per altre 
Valli 
sono dello stesso 
tenore) con cui 
la 
Corte 
di 
Cassazione 
Sez. II civile, in esito alle 
discussioni 
all�udienza 
del 
7 dicembre 
2016, ha 
rigettato il 
ricorso delle 
parti 
private 
e 
ribadito 
la 
demanialit� 
marittima 
della 
Valli 
da 
pesca 
(e 
quindi, 
in 
totale, 
di 
circa 
un sesto della Laguna di 
Venezia). 


L�Avvocatura 
ha 
evidenziato, 
nella 
discussione, 
l�irrilevanza 
ai 
fini 
del 
decidere 
dell�intervento, 
medio 
tempore, 
della 
sentenza 
del 
23 
settembre 
2014 
resa 
dalla 
CeDu, 
Sezione 
Seconda, 
che 
ha 
accolto 
parzialmente 
il 
ricorso 
della societ� 
Valle Pierimpi�. 


Infatti, la CeDu ha motivato la propria decisione evidenziando: 


1) 
che 
la 
ricorrente 
era 
titolare, 
se 
non 
di 
un 
diritto 
di 
propriet� 
sulla 
valle 
da 
pesca 
(non ritenendo la 
Corte 
di 
sostituire 
una 
propria 
valutazione 
a 
quella 
che 
il 
giudice 
nazionale, in tre 
gradi 
di 
giudizio, ha 
definitivamente 
assunto), 
di 
un interesse 
sostanziale 
protetto dalla 
Convenzione 
(vista 
la 
nozione 
ampia 
di 
�bene� 
ai 
fini 
dell�art. 
1, 
Protocollo 
n. 
1), 
ossia 
un�aspettativa 
legittima, 
connessa ad interessi patrimoniali, sufficientemente importante (v. � 46); 


2) 
che 
la 
statuizione 
(confermata 
in 
Cassazione) 
di 
demanialit� 
della 
valle 
da pesca ha trovato nel diritto italiano una base legale sufficiente (� 65); 


3) che 
la 
declaratoria 
di 
demanialit� 
ha 
perseguito una 
legittima 
finalit� 
d�interesse generale (� 67); 


4) che 
tuttavia 
non � 
stato assicurato un giusto equilibrio tra 
gli 
interessi 
pubblici 
e 
l�interesse 
privato di 
parte 
ricorrente, gravato di 
un peso eccessivo 
ed 
esorbitante 
costituito 
non 
solo 
dalla 
privazione 
del 
godimento 
del 
bene, 
ma 
anche 
dalla 
condanna 
al 
pagamento di 
una 
considerevole 
somma 
di 
denaro a 
titolo d�indennizzo per occupazione abusiva. 


Per 
quanto 
concerne 
la 
richiesta 
di 
risarcimento 
del 
danno 
patrimoniale 
avanzata 
dalla 
ricorrente, 
la 
Corte 
si 
� 
riservata 
di 
decidere, 
invitando 
il 
Governo 
e 
la 
parte 
ricorrente 
a 
raggiungere 
entro 
sei 
mesi 
un 
accordo 
su 
una 
forma 
di 
riparazione 
equa 
del 
danno 
conseguito 
all�ingerenza 
dello 
Stato 
sul 
�bene� 
del 
ricorrente, 
costituito 
dal 
suo 
interesse 
a 
proseguire 
nel 
godimento 
del 
bene, 
accordo 
-per 
quanto 
consta 
alla 
Scrivente 
-in 
corso 
di 
perfezionamento. 


(*) Segnalazione 
e 
annotazione 
della 
sentenza 
dell�avvocato dello Stato Marinella 
Di 
Cave 
- inviata 
per 
email ai colleghi. 



COnTenzIOSO 
nAzIOnALe 


La 
Corte 
ha 
precisato 
che 
nel 
caso 
in 
esame 
un 
ristoro 
non 
integrale 
non 
renderebbe 
illegittimo 
l�intervento 
dello 
Stato 
sul 
�bene� 
della 
ricorrente 
(� 
74), 
rilevando 
per� 
che 
allo 
stato 
non 
� 
stato 
offerto 
alcun 
indennizzo 
alla 
ricorrente, 
condannata, 
anzi, 
al 
pagamento 
di 
un 
indennizzo 
per 
l�abusiva 
occupazione. 


Tanto premesso, la 
Sezione 
II della 
Corte 
di 
Cassazione 
non ha 
ritenuto 
di 
discostarsi 
dalle 
pronunce 
delle 
Sezioni 
unite 
del 
2011 
(tra 
tutte 
n. 
3665/2011; 
n. 
3811/2011; 
n. 
3813/2011) 
e 
da 
alcune 
successive 
a 
Sezioni 
semplici 
(n. 13519/15; 
n. 7564/12), ritenendo - contrariamente 
a 
quanto assunto 
da 
parte 
ricorrente 
- che 
la 
pronuncia 
medio tempore 
della 
CeDu 
non abbia 
affatto 
smentito 
ma 
anzi 
confermato 
la 
legittimit� 
della 
qualificazione 
da 
parte 
della 
magistratura 
italiana 
della 
porzione 
di 
laguna 
di 
Venezia 
in 
questione 
come 
demanio 
marittimo 
(unica 
questione 
all�esame 
della 
Corte 
di 
Cassazione 
nel 
presente 
giudizio), anche 
se 
ha 
invitato lo Stato italiano ad assicurare 
un 
pi� equo equilibrio tra 
interessi 
pubblici 
e 
interessi 
privati 
quanto alla 
possibilit� 
di 
godimento del 
bene 
a 
fini 
imprenditoriali 
per il 
futuro (che 
si 
pu� assicurare 
ad esempio mediante 
concessione) e 
quanto alle 
pretese 
patrimoniali 
per l�abusiva occupazione negli anni passati. 


In proposito la 
Cassazione, con la 
decisione 
che 
si 
allega, mentre 
ha 
confermato 
anche 
nel 
presente 
caso la 
natura 
di 
demanio marittimo della 
Valle, 
ha 
chiarito 
che 
il 
presente 
giudizio 
� 
stato 
�essenzialmente 
incentrato 
sulla 
sola 
questione 
della 
demanialit� 
del 
compendio 
vallivo, 
demanialit� 
che, 
come 
si 
� 
detto, 
non 
� 
stata 
smentita 
dalla 
Corte 
di 
strasburgo 
e 
che 
non 
pregiudica 
la questione 
di 
cui 
si 
� 
invece 
occupata la sentenza della CeDu, relativa alla 
spettanza di 
un indennizzo/risarcimento per 
la misura di 
ingerenza adottata 
dall�amministrazione: costituendone anzi l�indispensabile presupposto�. 


Verosimilmente 
si 
proceder� 
a 
breve 
con 
transazioni 
con 
i 
proprietari 
privati 
delle 
Valli, 
come 
� 
avvenuto 
con 
i 
proprietari 
della 
Valle 
Perimpi� 
che 
hanno adito la CeDu. 


marinella Di Cave 


Cassazione 
civile, seconda sezione, sentenza 21 dicembre 
2016 n. 26616 -Pres. e. Bucciante, 
Cons. rel. 
A. Giusti, P.m. 
A. Pepe 
(rimessione 
alle 
Sez. un. e 
rigetto ricorso) - eredi 


u.A. (avv.ti 
u. Ruffolo, G. Orsoni, L.M. Benvenuti) c. Ministero economia 
e 
finanze, Ministero 
infrastrutture e trasporti, Agenzia del Demanio (avv. gen. Stato). 
Fatti di causa 


1. 
-Con 
atto 
di 
citazione 
notificato 
il 
14 
luglio 
1994, 
u.A. 
conveniva 
in 
giudizio 
dinanzi 
al 
Tribunale 
di 
Venezia 
il 
Ministero 
delle 
finanze, 
il 
Ministero 
dei 
lavori 
pubblici 
e 
il 
Ministero 
dei 
trasporti 
e 
della 
navigazione 
per sentire 
accertare 
la 
sua 
propriet� 
del 
complesso vallivo 
denominato 
"valle 
Musestre", 
costituito 
da 
terreni 
emersi 
e 
barene, 
nell'ambito 
della 
parte 
nord orientale 
della 
Laguna 
di 
Venezia, contraddistinto nel 
nuovo catasto terreni 
nel 
Comune 

RASSeGnA 
AVVOCATuRA 
DeLLO 
STATO - n. 4/2016 


di 
Venezia 
-Burano, 
particella 
2734, 
acquistato 
con 
atto 
notarile 
16 
settembre 
1964 
e 
26 
aprile 
1973, e 
per sentire 
accertare 
l'invalidit� 
degli 
atti 
di 
diffida 
e 
di 
intimazione 
inviati 
dalle 
Amministrazioni 
convenute 
nonch� 
l'illecito 
comportamento 
tenuto 
dalle 
stesse, 
e 
dunque 
per 
sentirle 
condannare 
al 
risarcimento 
dei 
danni 
derivati 
dalle 
infondate 
richieste 
delle 
stesse, 
ancorate alla pretesa natura demaniale della valle. 


Le 
predette 
Amministrazioni 
si 
costituivano 
chiedendo 
il 
rigetto 
delle 
domande 
nonch�, 
in via 
riconvenzionale, l'accertamento della 
demanialit� 
della 
valle, con condanna 
dell'attore 
al 
rilascio 
del 
bene 
ed 
al 
pagamento 
dell'indennit� 
per 
l'occupazione 
senza 
titolo, 
da 
liquidarsi 
in separato giudizio. 


espletata 
la 
disposta 
c.t.u. ed intervenuta 
in giudizio l'Agenzia 
del 
demanio (divenuta 
titolare 
dei 
rapporti 
gi� 
facenti 
capo al 
Ministero delle 
finanze), il 
Tribunale 
di 
Venezia, con 
sentenza 
in data 
2 agosto 2004, dichiarato il 
difetto di 
legittimazione 
passiva 
del 
Ministero 
delle 
infrastrutture 
e 
dei 
trasporti, 
dichiarava 
la 
piena 
propriet� 
in 
capo 
all'attore 
del 
complesso 
immobiliare 
di 
cui 
alla 
partita 
catastale 
2734 sita 
in Venezia 
- Burano, dichiarando pertanto 
infondate 
le 
intimazioni 
di 
pagamento 
di 
pretese, 
e 
condannava 
le 
Amministrazioni 
statali 
alla 
rifusioni 
delle 
spese 
di 
lite. 
Il 
Tribunale 
rigettava 
invece 
la 
domanda 
di 
risarcimento 
del 
danno 
avanzata contro le 
Amministrazioni, le quali avevano solo esercitato un atto dovuto. 


2. 
Avverso 
detta 
pronuncia 
l'Amministrazione 
dell'economia 
e 
delle 
finanze, 
il 
Ministero 
delle 
infrastrutture 
e 
dei 
trasporti 
e 
l'Agenzia 
del 
demanio proponevano appello. A.u. si 
costituiva, 
insistendo per il 
rigetto del 
gravame 
ed in via 
di 
appello incidentale 
instando per la 
parziale 
riforma 
dell'impugnata 
sentenza 
relativamente 
al 
mancato riconoscimento del 
risarcimento 
del 
danno 
correlato 
all'illecito 
comportamento 
tenuto 
dalle 
Amministrazioni 
nella 
vicenda 
de qua e alla carenza di legittimazione passiva del Ministero dei trasporti. 
Il 
processo, dichiarato interrotto per il 
decesso di 
A.u., veniva 
riassunto nei 
confronti 
dei di lui eredi, M.A. ed altri, che si costituivano in giudizio. 


Con sentenza 
resa 
pubblica 
mediante 
deposito in cancelleria 
il 
27 novembre 
2008, la 
Corte 
d'appello 
di 
Venezia, 
in 
parziale 
riforma 
della 
pronuncia 
appellata, 
ha 
accertato 
la 
natura 
demaniale 
necessaria 
degli 
spazi 
acquei 
presenti 
nella 
valle 
Musestre, cos� 
come 
individuati 
nella 
relazione 
del 
c.t.u. ing. Luigi 
D�Alpaos 
del 
18 settembre 
2002; 
ha 
condannato gli 
eredi 
di 
A.u. a 
rilasciare 
detti 
bacini 
acquei; 
li 
ha 
condannati 
inoltre, in via 
generica, a 
rifondere 
il 
danno a 
favore 
dell'Amministrazione 
dell'economia 
e 
delle 
finanze 
e 
dell'Agenzia 
del 
demanio, 
nella 
misura 
da 
liquidare 
in separato giudizio; 
ha 
rigettato l'appello incidentale; 
ha 
compensato 
per intero tra 
le 
parti 
le 
spese 
dei 
due 
gradi, mentre 
ha 
posto definitivamente 
a 
carico 
degli appellati le competenze di c.t.u., nella misura gi� liquidata dal primo giudice. 


La 
Corte 
territoriale 
ha 
evidenziato che 
le 
valli 
da 
pesca, costituenti 
parte 
del 
sistema 
lagunare 
a 
carattere 
unitario, 
erano 
di 
natura 
demaniale 
gi� 
in 
base 
alla 
normativa 
preunitaria, 
ed in specie 
al 
regolamento di 
polizia 
lagunare 
del 
1841, rimasto in vigore 
fino al 
R.D.L. n. 
1853 del 
1936 , natura 
confermata 
dalla 
L. n. 366 del 
1963, ed ha 
affermato che 
l'area 
in contesa 
fa 
parte 
del 
demanio marittimo necessario, ex art. 28 cod .nav., lett. b), sia 
per la 
sua 
conformazione 
-trattandosi 
di 
bacini 
di 
acqua 
salsa 
o 
salmastra, 
comunicanti 
con 
il 
mare 
seppure 
con l'ausilio di 
meccanismi 
idraulici 
- sia 
perch� 
idonea 
ad essere 
utilizzata 
per la 
pesca 
e 
per 
la navigazione, con piccoli natanti. 


3. - Per la 
cassazione 
della 
sentenza 
della 
Corte 
d'appello A.e. e 
gli 
altri 
litisconsorti 
indicati 
in 
epigrafe, 
eredi 
di 
A.u., 
hanno 
proposto 
ricorso, 
con 
atto 
notificato 
l'11 
gennaio 
2010, 
sulla 
base 
di 
tredici 
motivi 
e 
di 
un ulteriore 
mezzo con cui 
si 
prospetta 
un'eccezione 
di 
illegittimit� 
costituzionale. 

COnTenzIOSO 
nAzIOnALe 


Il 
Ministero 
dell'economia 
e 
delle 
finanze, 
il 
Ministero 
delle 
infrastrutture 
e 
dei 
trasporti 
e l'Agenzia del demanio hanno resistito con controricorso. 


In prossimit� 
dell'udienza 
la 
parte 
ricorrente 
ha 
depositato una 
istanza 
di 
differimento 
di 
udienza 
e 
di 
assegnazione 
del 
giudizio alle 
Sezioni 
unite; 
ha 
depositato, altres�, una 
memoria 
illustrativa. 


ragioni della decisione 


1. 
-Con 
il 
primo 
motivo 
la 
parte 
ricorrente 
denuncia 
violazione 
e 
falsa 
applicazione 
degli 
artt. 11 e 
12 preleggi, nonch� 
dell'art. 822 c.c. e 
ss. e 
art. 28 cod. nav. e 
ss., anche 
in 
quanto applicati 
in collegamento con il 
regolamento austriaco del 
20 dicembre 
1841 ("regolamento 
per 
impedire 
i 
danni 
che 
vengono 
recati 
alla 
laguna 
di 
Venezia"), 
con 
i 
paragrafi 
285, 
287, 
290, 
311, 
355, 
1455, 
1454, 
1456 
e 
1472 
c.c. 
austriaco 
all'epoca 
vigente, 
con 
la 
L. 
n. 
3706 
del 
1877, artt. 1 e 
16 con gli 
artt. 76 e 
80 del 
regolamento per la 
pesca 
marittima, approvato 
con R.D. 13 novembre 
1882, n. 1090, con il 
R.D. 22 settembre 
1905, n. 546, con il 
R.D.L. 18 
giugno 
1936, 
n. 
1853, 
artt. 
6 
e 
41 
con 
la 
L. 
31 
ottobre 
1942, 
n. 
1471, 
con 
la 
L. 
n. 
366 
del 
1963, art. 9. Secondo i 
ricorrenti, la 
demanialit� 
del 
bene 
non pu� essere 
desunta 
dall'asserita 
demanialit� 
alla 
stregua 
di 
altro 
ordinamento 
precedentemente 
vigente; 
in 
ogni 
caso, 
nel 
diritto 
austriaco vigente 
nel 
Veneto preunitario, i 
beni 
oggetto di 
propriet� 
pubblica 
potevano essere 
suscettibili 
di 
legittima 
acquisizione 
da 
parte 
dei 
privati, non vigendo un regime 
dei 
beni 
demaniali 
equivalente 
a 
quello del 
nostro ordinamento positivo; 
il 
regolamento austriaco del 
20 
dicembre 
1841 deve 
essere 
interpretato nel 
senso che 
lo stesso non stabilisce 
la 
demanialit� 
della laguna di 
Venezia, limitandosi a dettare una mera disciplina di polizia lagunare. 
1.1. - Il motivo � infondato. 
La 
Corte 
di 
Venezia 
ha 
rilevato 
"come 
gi� 
all'epoca 
del 
regolamento 
approvato 
dal 
competente 
organo dell'Impero (giusta 
dispaccio 8 ottobre 
1841 della 
cancelleria 
aulica 
e 
pubblicato 
con notificazione 
20 dicembre 
1841), la 
laguna 
era 
considerata 
demanio pubblico, nel 
senso 
attuale 
di 
bene 
appartenente 
al 
demanio 
marittimo 
necessario 
che 
l'art. 
28 
c.n. 
individua 
in beni 
di 
origine 
naturale, la 
cui 
propriet� 
non pu� che 
essere 
pubblica, e 
quindi 
distinti 
da 
quelli 
per i 
quali 
la 
demanialit� 
� 
condizionata 
dalla 
loro appartenenza 
allo Stato". In detto 
regolamento -precisa 
la 
Corte 
territoriale 
- "risulta, invero, espressamente 
affermata 
la 
demanialit� 
della 
laguna, concepita 
quale 
sistema 
comprendente 
anche 
le 
valli 
da 
pesca; 
la 
laguna 
difatti 
� 
descritta 
quale 
"seno di 
acqua 
salsa 
che 
si 
estende 
dalla 
foce 
del 
Sile 
alla 
Conca 
di 
Brondolo, 
che 
� 
compreso 
tra 
il 
mare 
e 
la 
terraferm� 
e 
presenta, 
quindi, 
quelle 
caratteristiche 
di 
unitariet� 
che 
non consentono di 
enucleare 
singoli 
beni 
acquei 
in esso ricadenti, al 
fine 
di 
farne risultare caratteristiche differenti". 


Tanto 
premesso, 
la 
doglianza 
con 
cui 
si 
deduce 
il 
vizio 
di 
violazione 
e 
falsa 
applicazione 
di 
legge 
in riferimento a 
normativa 
preunitaria, e 
comunque 
non pi� in vigore, non coglie 
la 
ratio decidendi, perch� 
la 
Corte 
d'appello non � 
affatto venuta 
meno al 
dovere 
di 
compiere 
l'indagine 
in ordine 
al 
carattere 
demaniale 
della 
valle 
Musestre 
in riferimento all'art. 28 cod. 
nav., lett. b). 


L'impugnata 
sentenza 
ha 
affermato la 
natura 
demaniale 
della 
laguna 
di 
Venezia 
anche 
muovendo dalle 
disposizioni 
del 
regolamento di 
polizia 
adottato dal 
competente 
organo del-
l'Impero austroungarico nel 
1841, in conformit� 
dei 
p.p. 287 e 
1455 c.c. austriaco, e 
questa 
affermazione 
ha 
gi� 
superato il 
vaglio delle 
Sezioni 
unite 
di 
questa 
Corte 
(Cass., Sez. u., 18 
febbraio 2011, n. 3937); 
a 
ci� aggiungasi 
che 
a 
tale 
riferimento deve 
attribuirsi 
un valore 
meramente 
storico-ricostruttivo - essendo il 
regolamento rimasto in vigore 
fino all'emanazione 
della 
L. n. 191 del 
1937 - nel 
senso di 
avere 
evidenziato come, gi� 
in base 
alla 
normativa 
pre



RASSeGnA 
AVVOCATuRA 
DeLLO 
STATO - n. 4/2016 


vigente, la 
laguna, e 
le 
valli 
da 
pesca 
in essa 
ricadenti, erano considerate 
demanio pubblico 
nel 
senso attuale 
di 
bene 
appartenente 
al 
demanio marittimo necessario, che 
l'art. 28 c.n. individua 
in beni 
di 
origine 
naturale, la 
cui 
propriet� 
non pu� che 
essere 
pubblica, e 
perci� distinti 
da quelli per i quali la demanialit� � condizionata dalla loro appartenenza allo Stato. 


La 
notazione 
della 
Corte 
di 
Venezia 
rileva, 
invero, 
sul 
piano 
fattuale, 
nel 
senso 
che 
dalla 
stessa 
si 
desume 
che, anche 
nel 
diciannovesimo secolo, le 
valli 
da 
pesca 
appartenevano, sotto 
il 
profilo geofisico, al 
sistema 
lagunare 
di 
carattere 
unitario, sistema 
che, nel 
preambolo del 
citato regolamento, veniva 
appunto descritto quale 
"seno di 
acqua 
salsa 
che 
si 
estende 
dalla 
foce del Sile alla Conca di Brondolo, che � compreso tra il mare e la terraferma". 


La 
sentenza 
impugnata 
afferma 
infatti, 
in 
particolare, 
che, 
in 
detto 
regolamento, 
la 
laguna 
presenta 
"quelle 
caratteristiche 
di 
unitariet� 
che 
non consentono di 
enucleare 
singoli 
beni 
acquei 
in esso ricadenti, al fine di farne risultare caratteristiche differenti". 


Come 
gi� 
osservato 
da 
questa 
Corte 
in 
vicenda 
similare 
(Cass., 
Sez. 
1, 
28 
gennaio 
2016, 
n. 
1619), 
la 
ricostruzione 
di 
natura 
storico-giuridica 
appare 
funzionale 
all'affermazione 
della 
nullit�, 
derivante 
dall'accertata 
natura 
demaniale, 
degli 
atti 
di 
disposizione 
relativi 
ai 
beni 
in 
questione, 
nonch� 
all'esclusione 
di 
un 
eventuale 
carattere 
espropriativo 
dell'art. 
28 
cod. 
nav., 
lett. 
b). 


In ogni 
caso, anche 
le 
specifiche 
previsioni 
del 
regolamento richiamate 
in ricorso non 
appaiono in grado di 
confutare 
la 
natura 
pubblica 
demaniale 
delle 
valli 
da 
pesca, in quanto 
deve 
ritenersi 
che, l� 
dove 
si 
fa 
riferimento alla 
qualit� 
del 
proprietario, si 
abbia 
riguardo a 
quelle 
porzioni 
della 
laguna 
non 
costituite 
da 
spazi 
acquei, 
e 
che, 
l� 
dove 
si 
richiamano 
i 
diritti 


o titoli 
legittimi, lungi 
dal 
sottintendere 
il 
rinvio al 
diritto di 
propriet�, si 
intenda 
in realt� 
riferirsi 
all'attribuzione 
di 
un diritto di 
sfruttamento esclusivo, che 
ben pu� derivare 
da 
provvedimenti 
aventi 
carattere 
concessorio, 
come 
tali 
presupponenti, 
a 
monte, 
la 
natura 
pubblica 
del 
bene suscettibile di fornire particolari utilit�. 
2. - Il 
secondo mezzo (ulteriore 
violazione 
e 
falsa 
applicazione 
dell'art. 822 c.c. e 
ss. e 
art. 28 c.n. e 
ss., anche 
in relazione 
alla 
pregressa 
condizione 
giuridica 
dei 
luoghi 
quale 
risultante 
dal 
regolamento austriaco del 
20 dicembre 
1841, nonch� 
omessa, insufficiente 
o contraddittoria 
motivazione 
con 
riferimento 
all'accertamento 
in 
concreto 
delle 
caratteristiche 
fisiche 
della 
valle 
da 
pesca 
oggetto 
del 
giudizio 
che 
avrebbero 
determinato 
la 
demanialit� 
degli 
specchi 
acquei 
della 
medesima) contesta 
la 
legittimit� 
dell'interpretazione 
seguita 
dalla 
Corte 
d'appello, comportante, di 
fatto, la 
perdita 
della 
privata 
propriet� 
di 
un bene 
da 
parte 
di 
chi 
� 
stato sempre 
considerato (in forza 
dei 
titoli 
di 
acquisto risalenti 
nei 
secoli, del 
possesso 
pacifico ed incontestato nel 
tempo, dei 
conformi 
dati 
catastali 
- di 
catasti 
aventi 
anche 
valore 
reale 
-, con atti 
e 
provvedimenti 
della 
P.A. e 
mediante 
l'esazione 
di 
tasse 
sulla 
propriet�) legittimo 
proprietario; 
deduce, altres�, la 
contraddittoriet� 
della 
motivazione 
della 
sentenza 
impugnata, 
che 
da 
una 
parte 
afferma 
la 
necessit� 
di 
un 
accertamento 
in 
concreto 
delle 
caratteristiche 
fisiche 
dello specifico bene 
ai 
fini 
della 
sua 
qualificazione 
come 
demaniale 
e, 
dall'altra, 
con 
riferimento 
all'accertamento 
della 
demanialit� 
degli 
specchi 
acquei 
di 
cui 
ai 
fossi 
e 
al 
canale 
di 
causa, omette 
del 
tutto tale 
accertamento, affermandone 
la 
demanialit� 
in 
quanto 
facenti 
parte 
"normativamente" 
della 
laguna 
di 
Venezia, 
per 
di 
pi� 
contraddittoriamente 
indentificandoli come "valle da pesca". 
Con 
il 
terzo 
motivo 
i 
ricorrenti 
denunciano 
la 
violazione 
e 
falsa 
applicazione 
dei 
principi 
attinenti 
all'operativit�, 
nel 
caso 
di 
specie, 
dell'istituto 
dell'immemorabile, 
e 
la 
nullit� 
della 
sentenza per omessa pronuncia con riferimento alla medesima questione. 


Il 
quarto motivo lamenta 
violazione 
e 
falsa 
applicazione 
dell'art. 28 c.n. in relazione 
all'appartenenza 
dei 
beni 
in questione 
alle 
categorie 
di 
beni 
elencati 
in detta 
disposizione. Pre



COnTenzIOSO 
nAzIOnALe 


messo che 
la 
valutazione 
sull'esistenza 
dei 
caratteri 
della 
demanialit� 
andava 
effettuata 
con 
riguardo alla 
situazione 
di 
fatto attuale, e 
non con riguardo a 
situazioni 
passate 
e 
non pi� corrispondenti 
alla 
realt� 
al 
momento dell'operare 
delle 
norme 
costitutive 
della 
demanialit�, e 
rilevato 
che 
le 
norme 
sulla 
conterminazione 
della 
laguna 
non 
attengono 
alla 
delimitazione 
della 
demanialit�, 
ma 
determinano 
unicamente 
l'area 
entro 
la 
quale 
si 
applicano 
le 
norme 
di 
polizia 
idraulica 
dettate 
per la 
laguna 
di 
Venezia, i 
ricorrenti 
ritengono violato l'art. 28 c.n., perch� 
la 
sentenza: 
(a) ha 
interpretato il 
requisito della 
libera 
comunicazione 
con il 
mare 
nel 
senso che 
la 
stessa 
possa 
riscontrarsi 
in presenza 
di 
una 
mera 
permeabilit� 
delle 
strutture 
di 
conterminazione 
degli 
specchi 
acquei 
la 
cui 
demanialit� 
� 
contestata, pur se 
questi 
sono caratterizzati 
da 
requisiti 
fisici 
- quali 
la 
salinit�, profondit� 
e 
temperatura 
- che 
ne 
differenziano sostanzialmente 
l'ambiente 
da 
quello 
della 
laguna 
aperta; 
(b) 
ha 
affermato 
l'indispensabile 
elemento 
fisico-morfologico della 
comunicazione 
con il 
mare 
di 
un bene 
di 
cui 
� 
contestata 
la 
demanialit�, 
separatamente 
e 
non 
in 
connessione 
alla 
sua 
attitudine 
ai 
pubblici 
usi 
del 
mare, 
ovvero, 
senza 
accertare 
il 
requisito 
fisico-morfologico 
della 
libera 
comunicazione 
con 
il 
mare 
in 
senso 
finalistico-funzionale, e, cio�, nel 
senso che 
la 
comunicazione 
con il 
mare 
determini 
la 
sua 
attitudine ai pubblici usi del mare. 


Con il 
quinto motivo si 
lamenta 
violazione 
e 
falsa 
applicazione 
degli 
artt. 28 c.n. e 
ss. 
con riferimento all'accertamento della 
idoneit� 
degli 
specchi 
acquei 
del 
compendio immobiliare 
oggetto 
di 
causa 
agli 
usi 
pubblici 
del 
mare, 
nonch� 
omessa, 
insufficiente 
o 
contraddittoria 
motivazione 
sul 
punto 
decisivo 
della 
controversia 
attinente 
sempre 
all'accertamento 
della 
pretesa 
attitudine 
degli 
specchi 
acquei 
del 
richiamato compendio immobiliare 
ai 
pubblici 
usi 
del 
mare. erroneamente 
la 
Corte 
d'appello avrebbe 
accertato la 
demanialit� 
dei 
beni 
in contestazione, 
bench� 
essi 
siano estraniati 
dalle 
acque 
lagunari 
da 
prima 
della 
entrata 
in vigore 
delle 
norme 
sulla 
demanialit� 
e 
alimentati 
da 
acqua 
dolce 
e 
non vi 
sia 
in atto neppure 
una 
attivit� 
di 
vallicultura, 
comunque 
diversa 
dalla 
pesca 
vagantiva. 
erroneamente, 
inoltre, 
la 
demanialit� 
sarebbe 
stata 
accertata 
sulla 
scorta 
della 
loro pretesa 
attitudine 
alla 
navigazione, intesa 
quale 
pubblico uso del 
mare, considerando tale 
anche 
quella 
praticata 
in acque 
poco profonde 
di 
un 
canale 
completamente 
chiuso ed arginato. Ad avviso dei 
ricorrenti, l'accertamento della 
demanialit� 
sarebbe in aperto contrasto con gli esiti della c.t.u. 


Con il 
sesto motivo si 
denuncia 
la 
nullit� 
della 
sentenza 
della 
Corte 
d'appello per indeterminatezza 
dell'oggetto nella 
parte 
in cui 
genericamente 
dichiara 
la 
demanialit� 
degli 
spazi 
acquei della valle Musestre, omettendo di individuarne le singole particelle catastali. 


Il 
settimo motivo � 
rubricato violazione 
e 
falsa 
applicazione 
di 
norme 
di 
diritto con riferimento 
all'art. 2697 c.c., art. 115 c.p.c. e 
art. 28 cod. nav. In assenza 
di 
alcun elemento probatorio 
circa 
la 
effettiva 
comunicazione 
con il 
mare 
degli 
specchi 
acquei 
della 
valle 
e 
la 
loro 
attitudine 
agli 
usi 
pubblici 
del 
mare, 
la 
Corte 
di 
Venezia 
avrebbe 
fondato 
la 
propria 
pronuncia 
su 
una 
asserzione 
(la 
possibile 
comunicazione 
degli 
specchi 
acquei 
con 
la 
laguna) 
in 
contrasto 
con 
gli 
stessi 
esiti 
della 
espletata 
c.t.u., 
senza 
motivare 
le 
ragioni 
in 
forza 
delle 
quali 
ha 
ritenuto 
di 
doversi 
discostare 
dagli 
stessi. 
Ad 
avviso 
della 
parte 
ricorrente, 
inoltre, 
nel 
decidere 
la 
controversia, 
i 
giudici 
del 
merito avrebbero omesso di 
valutare 
le 
prove 
addotte 
a 
sostegno della 
privata 
propriet� 
dei 
beni 
controversi 
in ragione 
della 
pretesa 
demanialit� 
degli 
stessi 
fondata 
non su un concreto esame 
delle 
caratteristiche 
fisiche, bens� 
sulla 
sola 
contestata 
interpretazione 
del regolamento austriaco del 20 dicembre 1841. 


Con 
l'ottavo 
motivo 
ci 
si 
duole 
della 
violazione 
e 
falsa 
applicazione 
dell'art. 
112 
c.p.c. 
e 
art. 
28 
c.n. 
nella 
parte 
in 
cui 
la 
sentenza 
impugnata 
ha 
deciso 
sulla 
base 
di 
una 
causa 
petendi 
non 
prospettata 
da 
alcuna 
delle 
parti 
con 
riguardo 
alla 
pretesa 
demanialit� 
della 
valle 
perch� 
"in 



RASSeGnA 
AVVOCATuRA 
DeLLO 
STATO - n. 4/2016 


collegamento 
con 
la 
laguna 
aperta" 
e 
perch� 
idonea 
alla 
pesca 
ed 
alla 
navigazione 
(trattandosi 
di 
causa 
petendi 
mai 
prospettata, 
ed 
ancor 
meno 
provata, 
dalla 
P.A. 
agente 
in 
riconvenzionale). 


Il 
nono motivo denuncia 
violazione 
e 
falsa 
applicazione 
degli 
artt. 822, 823 e 
948 c.c 
, 
art. 28 c.n., lett. b), artt. 32 e 
35 c.n., della 
L. n. 191 del 
1937 e 
della 
L. n. 1471 del 
1942, in 
particolare 
agli 
artt. 66 e 
67, errata 
interpretazione 
e 
violazione 
della 
L. n. 366 del 
1963, artt. 
2 e 
24 e 
violazione 
dell'art. 42 Cost. in relazione 
alle 
normative 
sopra 
richiamate 
con riferimento 
al 
regime 
speciale 
per 
la 
Laguna 
di 
Venezia. 
I 
ricorrenti 
si 
dolgono 
che 
la 
Corte 
distrettuale 
abbia 
affermato 
la 
demanialit� 
degli 
specchi 
acquei 
interni 
ad 
un 
compendio 
legittimamente 
chiuso, malgrado le 
richiamate 
norme 
ne 
presuppongano la 
propriet� 
privata. 


2.1. - I motivi 
dal 
secondo al 
nono - da 
esaminare 
congiuntamente, stante 
la 
stretta 
connessione 
- sono infondati. 
L'impugnata 
sentenza 
ha 
accertato - con congruo e 
motivato apprezzamento delle 
risultanze 
di 
causa 
- la 
natura 
demaniale 
della 
Valle 
Musestre 
alla 
stregua 
dell'art. 28 c.n., lett. b), 
secondo cui 
fanno parte 
del 
demanio marittimo "le 
lagune, le 
foci 
dei 
fiumi 
che 
sboccano in 
mare, i 
bacini 
di 
acqua 
salsa 
o salmastra 
che 
almeno durante 
una 
parte 
dell'anno comunicano 
liberamente col mare". 


Gli 
specchi 
acquei 
in 
contesa 
-ha 
rilevato 
la 
Corte 
d'appello 
-sono 
bacini 
di 
acqua 
salsa 


o salmastra 
che 
almeno durante 
una 
parte 
dell'anno ben possono comunicare 
liberamente 
con 
il 
mare, 
seppure 
con 
l'azionamento 
dei 
meccanismi 
idraulici 
approntati 
dai 
privati, 
e 
per 
i 
quali 
permane 
anche 
l'idoneit� 
a 
soddisfare 
gli 
usi 
marittimi, in particolare 
la 
pesca 
e 
la 
navigazione 
(sia pure solo con modeste imbarcazioni). 
nello 
specifico 
la 
Corte 
territoriale 
ha 
accertato 
che 
si 
tratta 
di 
un 
bacino 
acqueo 
rimasto 
pur sempre 
in collegamento con la 
restante 
laguna 
e 
quindi 
con il 
mare, nonostante 
la 
realizzazione 
di 
sbarramenti 
pi� efficienti 
rispetto agli 
antichi 
argini, e 
ha 
precisato che 
i 
terreni 
sono situati 
sul 
litorale 
del 
Cavallino in adiacenza 
al 
canale 
Pordelio e 
ricadono in parte 
in laguna 
e 
sono 
sommersi 
dalle 
maree 
ordinarie, 
in 
parte 
sono 
marginati 
rispetto 
alla 
laguna 
aperta 
da 
un 
muro 
perimetrale 
continuo 
in 
calcestruzzo 
la 
cui 
sommit� 
si 
colloca 
ovunque 
al 
di 
sopra 
delle 
maree 
ordinarie 
ma 
anche 
delle 
massime 
maree 
di 
acqua 
alta 
registrate 
a 
Punta 
della 
Salute. 
Lo stato dei 
luoghi 
- ha 
aggiunto la 
Corte 
di 
Venezia 
- si 
presenta 
diverso dal 
punto di 
vista 
morfologico 
rispetto 
al 
passato, 
cio� 
caratterizzato 
"da 
un 
complesso 
reticolo 
di 
fossi 
scavato 
dall'uomo 
che 
� 
ben 
evidenziato 
nella 
Carta 
Laguna 
del 
1932, 
fossi 
che 
sono 
stati 
solo 
successivamente 
sottratti 
alla 
loro 
originale 
funzione 
(stagni 
da 
pesca)... 
e 
tuttora 
con 
valore 
di 
salinit� 
che 
porta 
a 
classificare 
la 
loro acqua 
come 
salata 
e 
comunque 
costruiti 
per 
praticarvi 
la 
pesca". All'interno della 
perimetrazione 
- ha 
sottolineato la 
Corte 
distrettuale 
permane 
ancora 
oggi, cos� 
come 
si 
evince 
dallo stesso elaborato tecnico, una 
comunicazione 
con la 
laguna: 
sull'area 
contrassegnata 
dalla 
partita 
catastale 
2734 sono infatti 
attualmente 
riscontrabili 
il 
canale 
presidiato verso la 
laguna 
ed alcuni 
relitti 
degli 
originari 
fossati 
non destinati 
pi� 
alla 
originaria 
funzione 
di 
stagni 
da 
pesca 
e 
che 
invece 
hanno 
ora 
il 
compito 
di 
raccogliere 
le 
acque 
meteoriche 
per immetterle 
nel 
canale 
al 
quale 
� 
affidato lo scolo delle 
acque stesse in laguna. 


La 
Corte 
d'appello ha 
quindi 
accertato la 
demanialit� 
dei 
menzionati 
beni 
acquei 
tanto 
in relazione 
alle 
caratteristiche 
fisiche 
dell'area 
quanto in funzione 
della 
loro attitudine 
a 
realizzare 
gli 
interessi 
che 
attengono ai 
pubblici 
usi 
del 
mare, in particolare 
la 
pesca 
(che 
allo 
stato non � 
radicalmente 
esclusa, ma 
� 
resa 
problematica 
per effetto degli 
interventi 
umani 
di 
abusiva 
perimetrazione 
con la 
finalit� 
di 
sottrarli 
alle 
maree) e 
la 
navigazione 
(quest'ultima, 
ovviamente, solo con modeste imbarcazioni). 



COnTenzIOSO 
nAzIOnALe 


Tale 
accertamento 
di 
fatto, 
riservato 
al 
giudice 
del 
merito, 
resiste 
alle 
critiche 
che 
ad 
esso 
sono 
state 
rivolte 
dalla 
ricorrente, 
avendo 
la 
Corte 
distrettuale 
reso 
ampia 
e 
adeguata 
motivazione 
sui 
punti 
rilevanti 
ai 
fini 
dell'accertamento 
della 
demanialit� 
(cfr., 
in 
vicenda 
analoga, 
Cass., Sez. 1^, 1 luglio 2015, n. 13519), avendo accertato che 
si 
� 
di 
fronte 
a 
bacini 
acquei 
che 
sarebbero rimasti, in assenza 
dell'intervento dell'uomo, pur sempre 
in collegamento con 
la 
laguna 
aperta 
e 
quindi 
con il 
mare, e 
per i 
quali 
permane 
l'idoneit� 
a 
soddisfare 
gli 
usi 
marittimi, 
in particolare la pesca e, nei termini suindicati, la navigazione. 


e 
si 
tratta 
di 
un 
accertamento 
che 
la 
Corte 
di 
Venezia 
ha 
compiuto 
avendo 
riguardo 
anche 
all'attuale 
situazione: 
nel 
pieno rispetto dell'insegnamento secondo cui 
la 
sussistenza 
delle 
caratteristiche 
in 
concreto 
previste 
dal 
legislatore 
deve 
essere 
verificata 
all'"attualit�" 
(Cass., Sez. u., 18 febbraio 2011, n. 3937, cit.). 


Deve, al 
riguardo, condividersi 
la 
considerazione 
secondo cui 
la 
natura 
demaniale 
di 
un 
bene 
non pu� cessare 
per effetto di 
mere 
attivit� 
materiali 
eseguite 
da 
soggetti 
privati. e 
le 
Sezioni 
unite 
di 
questa 
Corte, nella 
citata 
sentenza 
n. 3937 del 
2011, hanno gi� 
convalidato 
l'affermazione 
del 
giudice 
del 
merito, resa 
in una 
vicenda 
similare, secondo cui 
la 
chiusura 
della valle con la costruzione di argini con chiaviche non � idonea a determinare un'effettiva 
separazione 
dal 
resto della 
laguna, in quanto la 
demanialit� 
naturalmente 
acquisita 
da 
tempo 
immemorabile 
con 
l'espandersi 
delle 
acque 
lagunari 
non 
pu� 
cessare 
per 
effetto 
di 
mere 
attivit� 
materiali 
eseguite 
da 
soggetti 
privati, 
sia 
pure 
nell'inerzia 
o 
con 
la 
tolleranza 
degli 
organi 
pubblici. 
In sostanza, gli 
ostacoli 
non naturali 
frapposti 
alla 
libera 
espansione 
del 
mare 
non sono 
idonei, ex se, a trasformare il demanio in allodio. 


D'altra 
parte, 
non 
sono 
decisivi 
in 
senso 
contrario 
la 
presenza 
di 
titoli 
di 
acquisto 
dei 
beni 
acquei 
in 
questione, 
l'esercizio, 
su 
di 
essi, 
del 
"possesso" 
da 
parte 
di 
privati, 
il 
fatto 
che 
tali 
beni 
siano 
stati 
riportati 
nei 
registri 
catastali 
e 
che 
per 
essi 
la 
P.A. 
abbia 
esatto 
tasse 
sulla 
propriet�. 
Infatti 
-a 
differenza 
di 
quanto 
previsto 
dall'art. 
829 
c.c., 
che 
attribuisce 
natura 
dichiarativa 
al 
passaggio 
di 
un 
bene 
dal 
demanio 
al 
patrimonio 
-per 
i 
beni 
appartenenti 
al 
demanio 
marittimo 
non 
� 
possibile 
che 
si 
realizzi 
la 
sdemanializzazione 
in 
forma 
tacita, 
essendo 
necessaria, 
ai 
sensi 
dell'art. 
35 
c.n., 
l'adozione 
di 
un 
espresso 
e 
formale 
provvedimento 
della 
competente 
autorit� 
amministrativa, 
avente 
carattere 
costitutivo: 
di 
talch� 
nella 
specie 
non 
pu� 
neppure 
giovare 
l'invocato 
istituto 
dell'immemorabile 
o 
l'inerzia 
dell'ente 
proprietario 
(Cass., 
Sez. 
2, 
11 
maggio 
2009, 
n. 
10817). 
I 
titoli 
di 
propriet� 
e 
le 
ragioni 
di 
possesso, 
nonch� 
le 
iscrizioni 
e 
le 
descrizioni 
catastali, 
cedono 
rispetto 
al 
fatto 
della 
demanialit� 
naturale 
marittima. 


Sotto 
altro 
profilo, 
il 
Collegio 
deve 
senz'altro 
ribadire 
il 
principio 
secondo 
cui 
l'indispensabile 
elemento fisico morfologico della 
comunicazione 
con il 
mare 
non costituisce 
di 
per s� 
solo il 
fattore 
decisivo e 
qualificante 
della 
demanialit�, ma 
deve 
essere 
accertato e 
valutato 
in senso finalistico-funzionale, in quanto, cio�, si 
presenti 
tale 
da 
estendere 
al 
bacino 
di 
acqua 
salmastra 
le 
stesse 
utilizzazioni 
cui 
pu� adempiere 
il 
mare, rilevando la 
complessiva 
idoneit� 
del 
bene, secondo la 
sua 
oggettiva 
conformazione 
fisica, a 
servire 
ai 
pubblici 
usi 
del 
mare (Cass., Sez. 1, 28 gennaio 2016, n. 1619; Cass., Sez. 1, 19 maggio 2016, n. 10337). 


Se, 
dunque, 
� 
l'attitudine 
a 
servire 
agli 
usi 
del 
mare 
a 
costituire 
il 
criterio 
delimitativo 
del-
l'estensione 
dei 
beni 
demaniali 
marittimi 
e 
tale 
funzione 
costituisce 
la 
ratio 
e 
il 
limite 
per 
l'affermazione 
del 
loro 
carattere 
demaniale, 
tale 
carattere 
� 
rimasto 
in 
conclusione 
accertato. 
Si 
� 
infatti 
in 
presenza 
di 
bacini 
di 
acqua 
salsa 
o 
salmastra 
che 
almeno 
durante 
una 
parte 
dell'anno 
ben 
possono 
comunicare 
liberamente 
con 
il 
mare 
(seppure 
con 
l'azionamento 
dei 
meccanismi 
idraulici 
approntati 
dai 
privati), 
dove 
permane 
l'idoneit� 
a 
soddisfare 
gli 
usi 
marittimi, 
in 
particolare 
la 
pesca 
e 
la 
navigazione 
(v., 
in 
fattispecie 
similare, 
Cass., 
Sez. 
u., 
18 
febbraio 
2011, 
n. 
3936). 



RASSeGnA 
AVVOCATuRA 
DeLLO 
STATO - n. 4/2016 


Le 
valutazioni 
espresse 
dal 
giudice 
del 
merito, 
con 
congruo 
e 
motivato 
apprezzamento 
e 
tenendo 
conto 
della 
situazione 
dei 
luoghi 
emergente 
dalle 
risultanze 
probatorie, 
circa 
l'utilizzabilit� 
degli 
specchi 
d'acqua 
vallivi 
in 
questione 
per 
l'attivit� 
della 
pesca 
e 
per 
la 
navigazione 
con 
piccoli 
natanti 
si 
risolvono 
in 
accertamenti 
di 
fatto 
qui 
non 
ulteriormente 
sindacabili. 
La 
parte 
ricorrente, 
pur 
lamentando 
formalmente 
una 
plurima 
violazione 
di 
legge 
e 
un 
decisivo 
difetto 
di 
motivazione, 
tende, 
in 
realt�, 
ad 
una 
(non 
ammissibile 
in 
sede 
di 
legittimit�) 
richiesta 
di 
rivisitazione 
di 
fatti 
e 
circostanze 
ormai 
definitivamente 
accertati 
in 
sede 
di 
merito. 
Sotto 
questo 
profilo 
la 
parte 
ricorrente, 
lungi 
dal 
prospettare 
a 
questa 
Corte 
vizi 
della 
sentenza 
rilevanti 
ai 
sensi 
dell'art. 
360 
c.p.c., 
nn. 
3 
e 
5, 
invoca, 
piuttosto, 
una 
diversa 
lettura 
delle 
risultanze 
procedimentali 
cos� 
come 
accertate 
e 
ricostruite 
dalla 
Corte 
territoriale, 
muovendo 
cos� 
all'impugnata 
sentenza 
censure 
che 
non 
possono 
trovare 
ingresso 
in 
questa 
sede, 
perch� 
la 
valutazione 
delle 
risultanze 
probatorie, 
al 
pari 
della 
scelta 
di 
quelle 
fra 
esse 
ritenute 
pi� 
idonee 
a 
sorreggere 
la 
motivazione, 
involge 
apprezzamenti 
di 
fatti 
riservati 
in 
via 
esclusiva 
al 
giudice 
del 
merito. 


non 
sussiste 
neppure 
la 
lamentata 
nullit� 
della 
sentenza 
per 
indeterminatezza 
dell'oggetto 
della 
demanialit�. 
La 
sentenza 
impugnata 
si 
d� 
infatti 
cura 
di 
precisare 
che 
l'accertata 
demanialit� 
della 
valle 
da 
pesca 
riguarda 
i 
beni 
vallivi 
da 
intendersi 
in 
senso 
stretto, 
ossia 
tutti 
gli 
spazi 
occupati 
dalle 
acque, 
con 
esclusione 
delle 
terre 
emerse 
(e 
di 
quanto 
sulle 
stesse 
edificato), 
le 
quali 
all'evidenza 
non 
costituiscono 
bacini 
lagunari 
di 
acqua 
salsa 
o 
salmastra 
in 
senso 
stretto. 


n� 
sussiste 
il 
lamentato vizio di 
extrapetizione, prospettato dai 
ricorrenti 
sulla 
base 
di 
una presunta diversit� tra demanialit� lagunare e demanialit� marittima. 


Va 
poi 
rilevato, conclusivamente, che, proprio in relazione 
alle 
valli 
da 
pesca 
della 
laguna 
di 
Venezia, 
le 
Sezioni 
unite 
di 
questa 
Corte, 
in 
fattispecie 
sovrapponibili 
a 
quella 
oggetto 
del 
presente 
giudizio, 
hanno 
respinto 
censure 
corrispondenti 
a 
quelle 
qui 
riproposte 
(sentenza 
14 febbraio 2011, n. 3665; 
sentenza 
16 febbraio 2011, n. 3811; 
sentenza 
18 febbraio 2011, n. 
3936; 
sentenza 
18 
febbraio 
2011, 
n. 
3937), 
con 
argomentazioni 
fondate 
anche 
sui 
principi 
costituzionali 
relativi alla tutela del paesaggio e dell'ambiente. 


3. - Con il 
decimo motivo si 
censura 
violazione 
e 
falsa 
applicazione 
di 
norme 
di 
diritto, 
l� 
dove 
la 
Corte 
di 
Venezia 
ha 
condannato i 
ricorrenti 
al 
pagamento dell'indennit� 
di 
occupazione 
del 
suolo richiesta 
in via 
riconvenzionale. Vi 
sarebbe 
violazione 
degli 
artt. 112 e 
167 
c.p.c. e 
art. 24 Cost. perch� 
la 
Corte 
d'appello, pronunciando una 
condanna 
generica, avrebbe 
omesso di 
decidere 
sulla 
eccepita 
nullit� 
ed inammissibilit� 
della 
relativa 
domanda 
riconvenzionale 
per assoluta 
indeterminatezza 
della 
stessa, ritenendo sufficiente, per la 
pronuncia 
di 
condanna 
generica, non un effettivo accertamento dei 
presupposti 
di 
fatto e 
di 
diritto per l'accoglimento 
della 
relativa 
domanda, ma, semplicemente, il 
mero accertamento di 
una 
potenziale 
idoneit� 
di 
produrre 
un 
danno. 
La 
Corte 
di 
Venezia 
avrebbe 
omesso 
di 
pronunciarsi 
sulla 
eccepita 
assenza 
dei 
requisiti 
essenziali 
della 
condanna 
generica, 
ivi 
compreso 
l'elemento 
soggettivo, 
rinviando alla 
successiva 
fase 
di 
liquidazione 
gli 
accertamenti 
relativi 
alla 
esistenza 
concreta del danno, della sua reale entit� e del rapporto di causalit�. 
3.1. - Il motivo non � fondato. 
non 
sussiste 
la 
denunciata 
inammissibilit� 
o 
nullit� 
della 
domanda 
riconvenzionale, 
giacch� 
questa 
� 
stata 
formulata 
con una 
precisa 
causa petendi, essendo stata 
la 
domanda 
di 
condanna 
al 
pagamento di 
una 
indennit� 
risarcitoria 
per l'occupazione 
senza 
titolo della 
valle 
prospettata in ragione della natura demaniale del compendio. 


e 
non v'� 
dubbio, d'altra 
parte, che 
la 
privazione 
del 
possesso conseguente 
all'occupazione 
senza 
titolo 
degli 
specchi 
acquei 
appartenenti 
al 
demanio 
necessario 
costituisce 
un 
fatto 
potenzialmente causativo di effetti pregiudizievoli. 



COnTenzIOSO 
nAzIOnALe 


Inoltre, 
ai 
fini 
della 
pronuncia 
di 
condanna 
generica 
al 
pagamento 
della 
chiesta 
indennit� 
� 
sufficiente 
l'accertamento 
della 
potenzialit� 
lesiva 
derivante 
dalla 
concreta 
totale 
sottrazione 
da 
parte 
del 
privato degli 
spazi 
acquei 
del 
compendio vallivo (cfr. Cass., Sez. 2, 13 settembre 
2012, 
n. 
15335), 
mentre 
la 
prova 
dell'esistenza 
concreta 
del 
danno 
(in 
riferimento 
a 
tutti 
i 
suoi 
presupposti, compresa 
la 
ricorrenza 
dell'elemento psicologico), della 
reale 
entit� 
di 
esso e 
del 
rapporto di 
causalit� 
� 
riservata 
alla 
successiva 
fase 
di 
liquidazione 
(Cass., Sez. 1, 12 ottobre 
2007, n. 21428; Cass., Sez. 1, 19 maggio 2016, n. 10337, cit.). 


4. - Con l'undicesimo motivo la 
parte 
ricorrente 
lamenta 
violazione 
e 
falsa 
applicazione 
dell'art. 
112 
c.p.c., 
in 
relazione 
ad 
atti 
di 
diffida 
al 
pagamento 
di 
somme 
di 
denaro 
e 
contestativi 
della 
altrui 
propriet�, illegittimi, e 
comunque, in relazione 
alla 
L. n. 1034 del 
1971, art. 3 per 
violazione 
della 
L. n. 241 del 
1990, artt. 7, 8 e 
10 per eccesso di 
potere, per assoluto difetto 
di 
istruttoria 
ed insufficiente 
motivazione, oltre 
che 
con riferimento al 
principio di 
buona 
ed 
efficiente 
azione 
amministrativa 
e 
a 
quello generale 
del 
divieto di 
venire 
contra factum 
proprium. 
Il 
quesito che 
correda 
il 
motivo � 
se 
violi 
l'art. 112 c.p.c. la 
sentenza 
impugnata 
nella 
parte 
in 
cui 
ha 
preso 
in 
esame 
gli 
atti 
di 
diffida 
al 
pagamento 
di 
somme 
di 
denaro 
e 
contestativi 
dell'altrui 
propriet�, apoditticamente 
giudicandoli 
leciti 
e 
omettendo di 
giudicare 
su una 
presentata 
domanda 
di 
accertamento della 
loro illegittimit� 
in relazione 
alla 
L. n. 1034 del 
1971, 
art. 3 per violazione 
della 
L. n. 241 del 
1990, artt. 7, 8 e 
10 per eccesso di 
potere, per assoluto 
difetto 
di 
istruttoria 
e 
di 
insufficiente 
motivazione 
oltre 
che 
per 
violazione 
del 
principio 
di 
buona 
ed 
efficiente 
azione 
amministrativa 
e 
di 
quello 
generale 
del 
divieto 
di 
venire 
contra 
factum proprium. 
4.1. - Il motivo � infondato. 
non 
sussiste 
la 
lamentata 
omessa 
pronuncia, 
perch� 
la 
Corte 
d'appello 
ha 
correttamente 
affermato 
che 
la 
condotta 
della 
P.A. 
per 
l'invio 
di 
diffide 
dirette 
ad 
ottenere 
il 
rilascio 
dell'area 
e 
il 
relativo risarcimento del 
danno � 
legittima, essendo fondata 
sul 
presupposto della 
demanialit� 
del 
terreno. D'altra 
parte, ogni 
questione 
sulla 
effettivit� 
del 
danno � 
definibile 
in sede 
civilistica solo nel separato giudizio avente ad oggetto la quantificazione del danno. 


5. 
-Il 
dodicesimo 
motivo 
denuncia 
violazione 
dell'art. 
112 
c.p.c. 
e 
nullit� 
della 
sentenza 
per omessa 
motivazione 
in relazione 
alla 
omessa 
pronuncia 
su una 
domanda 
degli 
odierni 
ricorrenti, 
nonch� 
violazione 
degli 
artt. 822, 948 e 
2043 c.c., artt. 28 e 
32 c.n., della 
L. n. 191 
del 
1937, artt. 4, 66 e 
67, della 
L. n. 366 del 
1963, artt. 2, 9 e 
24 chiedendosi 
se 
sia 
meritevole 
di 
tutela, 
anche 
risarcitoria, 
la 
lamentata 
lesione 
dell'affidamento 
ingenerato 
dalla 
condotta 
della 
P.A. resistente, mediante 
fatti, atti 
e 
provvedimenti 
amministrativi, sulla 
legittimit� 
del 
titolo e possesso della ricorrente sui beni dichiarati demaniali dalla Corte d'appello. 
5.1. - Il motivo � infondato. 
Il 
rigetto dell'appello incidentale 
si 
sottrae 
alle 
censure 
formulate, stante 
l'insussistenza 
di 
alcun 
illecito 
nell'attivit� 
delle 
Amministrazioni 
volta 
a 
far 
valere, 
ed 
in 
ogni 
tempo, 
il 
diritto dello Stato sugli 
specchi 
acquei 
del 
compendio vallivo, costituenti 
bene 
demaniale, ed 
essendo privo di 
effetto, nei 
confronti 
dell'Amministrazione, il 
possesso di 
beni 
appartenenti 
al 
demanio marittimo. Il 
rigetto della 
domanda 
degli 
A. � 
conseguente 
all'accertamento della 
natura demaniale della valle e alla esclusione della sua natura privata. 


6. 
-Con 
il 
tredicesimo 
motivo 
si 
prospetta 
violazione 
di 
legge 
per 
omessa 
pronuncia 
con 
riferimento 
al 
proposto 
appello 
incidentale 
avverso 
la 
sentenza 
di 
primo 
grado 
nella 
parte 
in 
cui 
ha 
dichiarato 
la 
carenza 
di 
legittimazione 
passiva 
dell'Amministrazione 
delle 
infrastrutture 
e 
dei 
trasporti, gi� 
Amministrazione 
dei 
lavori 
pubblici, dei 
trasporti 
e 
della 
navigazione. 
6.1. - Il 
motivo � 
inammissibile 
per difetto di 
interesse. Poich� 
tanto la 
domanda 
di 
ac

RASSeGnA 
AVVOCATuRA 
DeLLO 
STATO - n. 4/2016 


certamento della 
propriet� 
privata 
quanto quella 
di 
risarcimento del 
danno nei 
confronti 
della 


P.A. sono state 
dichiarate 
infondate 
dal 
giudice 
del 
merito con statuizioni 
che 
resistono alle 
censure 
articolate 
con il 
ricorso per cassazione, i 
ricorrenti 
non hanno un interesse 
concreto 
ed 
attuale 
a 
che 
il 
contraddittorio 
sia 
instaurato 
anche 
nei 
confronti 
dell'Amministrazione 
delle 
infrastrutture e dei trasporti. 
7. - Infine, la 
parte 
ricorrente 
eccepisce, in riferimento agli 
artt. 3, 42, 43 e 
97 Cost., l'illegittimit� 
costituzionale 
dell'art. 28 c.n. nonch� 
della 
L. n. 366 del 
1963, nella 
parte 
in cui 
non 
prevedono 
la 
corresponsione 
di 
alcun 
indennizzo nell'ipotesi 
di 
sdemanializzazione 
di 
beni 
gi� 
in propriet� 
dei 
privati 
e 
nella 
parte 
in cui 
"espropriano" 
pur in carenza 
di 
un corrispondente 
adeguato interesse pubblico e sociale. 
7.1. 
-All'esame 
del 
motivo 
occorre 
premettere 
che 
l'accertamento 
della 
natura 
demaniale 
della 
valle 
non si 
pone 
in contrasto con la 
decisione 
della 
Corte 
europea 
dei 
diritti 
dell'uomo, 
resa il 23 settembre 2014 nella controversia 
Valle Pierimpi� Societ� 
Agricola S.p.a. c. Italia. 
ed, infatti, la 
Corte 
eDu 
non smentisce 
affatto la 
demanialit� 
della 
valle 
da 
pesca, affermata 
dalle Sezioni unite, nella citata sentenza 18 febbraio 2011, n. 3937. 


Al 
contrario, la 
CeDu 
espressamente 
afferma 
(par. 65) che 
"nel 
caso di 
specie, dopo 
aver 
studiato, 
alla 
luce 
delle 
relazioni 
peritali, 
le 
caratteristiche 
morfologiche 
e 
funzionali 
della 
Valle 
Pierimpi�, i 
giudici 
interni 
hanno concluso che 
quest'ultima 
era 
un bacino d'acqua 
che 
comunicava 
con il 
mare 
ed era 
idoneo agli 
usi 
pubblici 
di 
quest'ultimo, e 
che 
faceva 
dunque 
parte 
del 
demanio pubblico marittimo in virt� dell'art. 28 c.n. (par. 9, 10, 14, 15 e 
21). La 
dichiarazione 
di 
demanialit� 
del 
bene 
della 
ricorrente 
aveva 
dunque 
una 
base 
legale 
sufficiente 
nel 
diritto italiano"; 
ed aggiunge 
(par. 45) di 
non poter sostituire, in assenza 
di 
una 
manifesta 
arbitrariet�, la propria valutazione a quella dei tribunali interni. 


Semplicemente, 
la 
Corte 
di 
Strasburgo 
ne 
prescinde: 
muovendo 
dal 
presupposto 
(par. 
37) 
che 
"la 
nozione 
di 
"beni" 
evocata 
nella 
prima 
parte 
dell'art. 
1 
del 
Protocollo 
n. 
1 
ha 
una 
portata 
autonoma 
che 
non 
si 
limita 
alla 
propriet� 
di 
beni 
materiali 
ed 
� 
indipendente 
dalle 
qualificazioni 
formali 
del 
diritto 
interno", 
ritiene 
(par. 
46) 
che 
la 
questione 
della 
demanialit� 
della 
valle 
da 
pesca 
"non 
sia 
determinante 
ai 
fini 
dell'applicabilit� 
dell'art. 
1 
del 
Protocollo 
n. 
1", 
per 
esser 
"possibile 
avere 
un 
"bene" 
nel 
senso 
di 
questa 
stessa 
disposizione 
in 
caso 
di 
revoca 
di 
un 
titolo 
di 
propriet�, 
a 
condizione 
che 
la 
situazione 
di 
fatto 
e 
di 
diritto 
precedente 
a 
questa 
revoca 
abbia 
conferito 
al 
ricorrente 
un'aspettativa 
legittima, 
collegata 
a 
interessi 
patrimoniali, 
sufficientemente 
importante 
per 
costituire 
un 
interesse 
sostanziale 
tutelato 
dalla 
Convenzione". 
Quindi, 
dopo 
aver 
evidenziato 
che 
l'ingerenza 
effettuata 
dall'amministrazione 
pubblica 
"soddisfaceva 
la 
condizione 
di 
legalit� 
e 
non 
era 
arbitraria", 
la 
Corte 
ha 
affermato, 
in 
relazione 
a 
parecchi 
elementi 
non 
contestati 
dal 
Governo 
(indicati 
al 
par. 
46), 
la 
sussistenza 
della 
titolarit� 
in 
capo 
alla 
parte 
ricorrente 
di 
un 
interesse 
del 
tipo 
enunciato, 
e 
ha, 
quindi, 
stabilito 
esservi 
stata 
violazione 
dell'art. 
1 
del 
Protocollo 
n. 
1 
alla 
Convenzione, 
evidenziando 
esser 
dovuto 
un 
risarcimento 
per 
la 
misura 
di 
ingerenza 
(privazione 
del 
bene 
-nell'accezione 
anzidetta 
-in 
assenza 
di 
alcun 
indennizzo), 
onde 
mantenere 
un 
"giusto 
equilibrio" 
tra 
le 
esigenze 
dell'interesse 
generale 
della 
comunit� 
e 
gli 
imperativi 
della 
salvaguardia 
dei 
diritti 
fondamentali 
dell'individuo. 


La 
misura 
risarcitoria 
per il 
conseguimento di 
detto giusto equilibrio - la 
cui 
richiesta 
nella 
fattispecie 
dovrebbe 
ricavarsi 
implicitamente 
dal 
dedotto diritto di 
propriet� 
privata 
sui 
beni 
in contestazione 
da 
parte 
degli 
A., comportante 
il 
diritto alla 
gestione 
economica 
delle 
valli da pesca - non pu�, tuttavia, esser oggetto di dibattito in questa sede. 


Il 
Collegio rileva 
che 
il 
riconoscimento di 
detta 
misura 
presuppone, in base 
alla 
menzionata 
sentenza, 
anzitutto, 
lo 
svolgimento, 
in 
contraddittorio 
con 
le 
Amministrazioni 
con



COnTenzIOSO 
nAzIOnALe 


tro-ricorrenti 
(art. 111 Cost. e 
art. 6 Convenzione 
eDu), di 
indagini 
di 
fatto inerenti 
l'accertamento 
della 
titolarit� 
in capo alla 
parte 
ricorrente 
"di 
un'aspettativa 
legittima 
collegata 
ad 
interessi 
patrimoniali" 
tutelata 
dalla 
Convenzione, 
indagini 
che 
i 
paragrafi 
46 
e 
segg. 
della 
sentenza 
indicano: 
a) nell'esistenza 
di 
un titolo formale 
di 
propriet�, ricevuto da 
un notaio e 
registrato nei 
registri 
immobiliari; 
b) nella 
prassi 
esistente 
da 
lunga 
data, che 
consiste 
nel 
riconoscere 
ai 
privati 
dei 
titoli 
di 
propriet� 
sulle 
valli 
da 
pesca 
e 
nel 
tollerare 
da 
parte 
loro un 
possesso e 
un utilizzo continui 
di 
questi 
beni; 
c) nel 
pagamento delle 
imposte 
fondiarie; 
d) 
nell'attivit� di impresa svolta nel sito dalla ricorrente. 


Queste 
indagini 
non sono state 
compiute 
nei 
pregressi 
gradi 
di 
merito; 
e 
soprattutto involgono 
la 
deduzione 
di 
una 
diversa 
causa 
petendi: 
fondata 
non 
gi�, 
come 
avvenuto 
nella 
presente 
controversia, 
sulla 
responsabilit� 
da 
fatto 
illecito 
in 
ragione 
della 
illegittima 
affermazione 
della 
demanialit� 
di 
un compendio di 
propriet� 
privata, ma, piuttosto, sulla 
dannosit� 
della 
legittima 
ingerenza 
dell'Amministrazione, per avere 
questa, nel 
quadro di 
una 
lecita 
richiesta 
di 
accertamento e 
rivendicazione 
della 
demanialit� 
del 
bene 
pubblico, tuttavia 
imposto al 
privato 
un onere 
sproporzionato ed eccessivo, non riconoscendo in favore 
dello stesso alcun indennizzo 
per 
la 
privazione 
della 
legittima 
aspettativa 
radicatasi 
nel 
tempo 
e 
non 
adottando 
alcuna misura per ridurre l'impatto economico dell'ingerenza. 


Resta 
fermo ed impregiudicato il 
diritto della 
parte 
ricorrente 
di 
chiedere 
nelle 
competenti 
sedi 
il 
riconoscimento 
di 
una 
prestazione 
economica 
per 
il 
conseguimento 
di 
detto 
giusto 
equilibrio, e 
di 
documentarne 
tutti 
i 
presupposti 
richiesti 
dalla 
Corte 
europea 
al 
fine 
di 
averne 
riconosciuta 
la 
spettanza: 
e 
ci� 
sia 
con 
un 
giudizio 
autonomo, 
avente 
appunto 
una 
diversa 
causa 
petendi, 
sia 
in 
quello, 
eventuale, 
conseguente 
alle 
statuizioni 
adottate 
in 
questo, 
con 
cui 
le 
Amministrazioni 
chiedano la 
concreta 
liquidazione 
dei 
danni 
sofferti 
per avere 
avuto 
sottratta la disponibilit� delle valli da pesca in oggetto. 


A 
tale 
stregua, il 
dubbio di 
costituzionalit� 
dell'art. 28 c.n. e 
delle 
norme 
collegate, in 
riferimento agli artt. 3, 42, 43 e 97 Cost., risulta privo di rilevanza nel presente giudizio. 


Questo 
giudizio 
� 
infatti 
essenzialmente 
incentrato 
sulla 
questione 
della 
demanialit� 
del 
compendio vallivo, demanialit� 
che, come 
si 
� 
detto, non � 
stata 
affatto smentita 
dalla 
Corte 
di 
Strasburgo e 
che 
non pregiudica 
la 
questione 
di 
cui 
si 
� 
invece 
occupata 
la 
sentenza 
della 
CeDu, relativa 
alla 
spettanza 
di 
un indennizzo per la 
misura 
di 
ingerenza 
adottata 
dall'Amministrazione: 
costituendone 
anzi 
l'indispensabile 
presupposto, 
individuato 
dalla 
stessa 
Corte 
europea 
proprio nella 
circostanza 
che 
"la 
dichiarazione 
di 
demanialit� 
del 
"bene 
della 
ricorrente 
aveva 
dunque 
una 
base 
legale 
sufficiente 
nel 
diritto italiano" 
(par. 65 cit.) e 
conseguentemente 
nel 
rilievo che 
"l'ingerenza 
in questione 
soddisfaceva 
la 
condizione 
di 
legalit� 
e 
non 
era 
arbitraria" 
(par. 
74) 
(in 
questi 
stessi 
termini, 
Cass., 
Sez. 
I, 
19 
maggio 
2016, 
n. 
10337, 
cit.). 


non 
� 
pertanto 
condivisibile 
quanto 
sostenuto 
dalla 
difesa 
dei 
ricorrenti 
nella 
memoria 
in 
prossimit� 
dell'udienza 
e 
in 
sede 
di 
discussione, 
che 
cio� 
la 
sentenza 
della 
Corte 
di 
Strasburgo 
investirebbe 
e 
condizionerebbe 
il 
momento 
attributivo 
della 
demanialit�, 
la 
quale 
non 
sarebbe 
pi� 
tale 
naturalmente 
e 
automaticamente, 
ma 
abbisognerebbe 
-attraverso 
un 
adeguamento 
del-
l'art. 
28 
c.n. 
e 
delle 
norme 
collegate 
per 
mezzo 
di 
una 
pronuncia 
di 
illegittimit� 
costituzionale 
per 
contrasto 
con 
l'art. 
117 
Cost. 
-di 
una 
dichiarazione 
costituiva 
ed 
ablativa 
quanto 
meno 
nelle 
situazioni 
nelle 
quali 
si 
� 
creato 
un 
legittimo, 
ed 
opposto, 
affidamento 
del 
privato. 


Va 
infatti 
al 
riguardo 
ribadito 
che 
il 
giusto 
equilibrio 
richiesto 
dalla 
pronuncia 
della 
Corte 
eDu 
si 
colloca 
per cos� 
dire 
a 
valle 
della 
demanialit� 
accertata 
e 
dichiarata 
secondo la 
disciplina 
interna 
(art. 28 c.n., in relazione 
all'art. 822 c.c.), la 
quale 
in s� 
soddisfa 
la 
condizione 
di legalit� e di non arbitrariet� dell'ingerenza. 



RASSeGnA 
AVVOCATuRA 
DeLLO 
STATO - n. 4/2016 


8. - Resta 
da 
aggiungere 
che, essendo la 
statuizione 
sulla 
natura 
demaniale 
della 
valle 
da 
pesca 
coerente 
con 
i 
principi 
posti 
dalla 
giurisprudenza 
delle 
Sezioni 
unite 
di 
questa 
Corte, 
sopra 
menzionata, giurisprudenza 
in s� 
non superata, per gli 
aspetti 
che 
vengono in rilievo 
nel 
presente 
giudizio, dalla 
pronuncia 
della 
CeDu 
nel 
caso Valle 
Pierimpi� 
(Cass., Sez. 1, 19 
maggio 2016, n. 10337, cit.), la 
richiesta 
di 
rimessione 
a 
detto consesso - inoltrata 
al 
Primo 
Presidente 
della 
Corte 
e 
reiterata, 
da 
ultimo, 
in 
sede 
di 
memoria 
ex 
art. 
378 
c.p.c., 
e 
nel-
l'udienza di discussione - deve essere disattesa. 
Parimenti 
non 
pu� 
essere 
accolta 
la 
richiesta 
avanzata 
dal 
pubblico 
ministero 
di 
investire 
le 
Sezioni 
unite 
perch� 
forniscano un chiarimento sul 
requisito dell'accertamento all'"attualit�" 
delle 
caratteristiche 
che 
gli 
specchi 
acquei 
devono 
presentare 
per 
poter 
essere 
ricompresi 
nel 
demanio pubblico marittimo: 
si 
tratta 
infatti 
di 
un profilo in ordine 
al 
quale 
non � 
ravvisabile 
contrasto nella giurisprudenza di questa Corte. 


egualmente 
- stante 
la 
pendenza 
del 
ricorso in cassazione 
da 
quasi 
sette 
anni 
- non pu� 
essere 
accolta 
l'istanza 
di 
differimento per facilitare 
una 
chiusura 
conciliativa 
della 
vertenza, 
chiusura che allo stato neppure � data per imminente. 


9. - Il ricorso � rigettato. 
La 
complessit� 
delle 
questioni 
trattate 
giustifica 
l'integrale 
compensazione 
delle 
spese 
di legittimit�. 
PeR QueSTI MOTIVI 
La 
Corte 
rigetta 
il 
ricorso e 
dichiara 
compensate 
tra 
le 
parti 
le 
spese 
del 
giudizio di 
cassazione. 
Cos� 
deciso in Roma, nella 
Camera 
di 
consiglio della 
Sezione 
Seconda 
civile, il 
7 dicembre 
2016. 



CoNTENzIoSo 
NAzIoNALE 


Scissione 
ope legis 
del rapporto organico e responsabilit� del 
funzionario per il contratto stipulato in violazione delle 
norme di contabilit� pubblica dell�Ente. Improponibilit� 
dell�azione ex art. 2041 cod. civ. nei confronti della P.A. 


Nota 
a 
CassazioNe 
Civile, sez. i, seNteNza 
4 geNNaio 
2017 N. 80 


Giulia Fabrizi* 


Relativamente 
all'attivit� 
contrattuale 
condotta 
dall'amministratore 
o 
funzionario 
in 
violazione 
delle 
regole 
di 
contabilit� 
in merito alla 
gestione 
degli 
enti 
locali, si 
applica 
l�art. 23 
del 
d.lgs. n. 66/1989 (oggi 
confluito nell�art. 191 del 
TUEL, d.lgs. n. 267/2000) che 
prevede 
l�imputazione 
dei 
relativi 
effetti 
alla 
sfera 
giuridica 
del 
funzionario 
e 
non 
dell�Ente 
comunale. 
Si 
realizza 
una 
vera 
e 
propria 
frattura 
o scissione 
ope 
legis 
del 
rapporto di 
immedesimazione 
organica 
tra 
i 
suddetti 
agenti 
e 
la 
Pubblica 
Amministrazione, 
con 
conseguente 
esclusione 
della 
riferibilit� 
a 
quest'ultima 
delle 
iniziative 
adottate 
al 
di 
fuori 
delle 
norme 
di 
contabilit� 
pubblica. 
Da 
ci� deriva 
l�improponibilit� 
dell�azione 
di 
ingiustificato arricchimento ex art. 2041 cod. 


civ. nei confronti del Comune. 
Con la 
sentenza 
in commento, la 
prima 
sezione 
della 
Corte 
� 
intervenuta 
sul 
tema 
dell�imputazione 
degli 
effetti 
dell�attivit� 
contrattuale 
condotta 
da 
dipendente 
pubblico 
in 
violazione 
delle 
regole 
di 
contabilit� 
pubblica 
preposte 
alla gestione dell�Ente. 

la vicenda giudiziaria. 

Nel 
caso 
di 
specie, 
l�attore 
-R.G., 
quale 
titolare 
della 
ditta 
FEP 
-aveva 
inviato 
al 
Comune 
di 
Venezia, 
in 
forza 
di 
una 
delibera 
della 
Giunta 
comunale, 
successivamente 
non 
ratificata, 
materiale 
informatico 
utilizzato 
nell'ambito 
del-
l'informatizzazione 
dei 
servizi 
cimiteriali, 
la 
cui 
gestione 
era 
stata 
affidata, 
anche 
mediante 
consegna 
di 
detti 
beni, 
ad 
un�azienda 
comunale. 
Chiedeva, 
pertanto, 
che 
il 
Comune 
e 
l'Azienda 
fossero 
condannati 
al 
pagamento 
delle 
somme 
corrispondenti 
all'indebito 
arricchimento 
conseguito 
da 
detta 
utilizzazione. 


Il 
Tribunale 
respingeva 
la 
domanda 
attorea 
e 
argomentava 
che, alla 
stregua 
della 
natura 
sussidiaria 
dell�azione 
di 
ingiustificato arricchimento, qualificata 
dal 
Legislatore 
come 
extrema 
ratio, 
il 
danneggiato 
avrebbe 
potuto 
avvalersene 
unicamente 
in 
caso 
di 
assenza 
di 
rimedi 
alternativi. 
Invero, 
ad 
avviso 
dei 
giudici 
di 
prime 
cure, 
l�attore 
avrebbe 
potuto 
agire 
in 
rivendica 
al 
fine 
di ottenere la consegna dei materiali forniti. 


Per contro, la 
Corte 
d�Appello accoglieva 
la 
domanda 
de 
qua, rilevando 
che, pur in assenza 
di 
un valido contratto, l'amministrazione 
comunale 
- che 


(*) 
Dottoressa 
in 
Giurisprudenza, 
ammessa 
alla 
pratica 
forense 
presso 
l�Avvocatura 
Generale 
dello 
Stato. 


RASSEGNA 
AVVoCATURA 
DELLo 
STATo - N. 4/2016 


aveva 
per altro pagato la 
fornitura 
solo di 
parte 
del 
materiale 
inviato - si 
era 
indebitamente 
arricchita 
grazie 
all�utilizzazione 
dei 
materiali 
forniti. 
Affermava 
inoltre l�estraneit� dell�Azienda alla 
res 
controversa. 

Il 
Comune 
ricorreva 
alla 
Suprema 
Corte 
dolendosi 
della 
violazione 
degli 
artt. 2041 e 
2042 cod. civ., argomentando in base 
all�assenza, nel 
caso di 
specie, 
del 
requisito di 
sussidiariet�, idoneo a 
giustificare 
il 
rimedio dell�indebito 
arricchimento. 


Il 
ricorso del 
Comune 
� 
stato accolto con la 
sentenza 
de 
qua, esplicando, 
tuttavia, la 
quaestio juris 
con motivazioni 
affatto diverse 
rispetto a 
quelle 
addotte 
dal 
ricorrente, operando una 
sintesi 
dei 
principi 
espressi 
a 
riguardo e 
offrendo 
una valida, seppur sintetica, ricomposizione della fattispecie. 


Brevi cenni in tema di indebito arricchimento della P.a. 


La 
dottrina 
(1) � 
concorde 
nel 
qualificare 
l�azione 
de 
qua come 
espressione 
di 
un principio generale 
di 
equit�, tale 
per cui, chi 
si 
sia 
arricchito senza 
giusta 
causa 
a 
danno di 
un terzo, sia 
tenuto a 
corrispondere 
a 
quest�ultimo un 
indennizzo, teso a 
ristabilire 
l�equilibrio tra 
le 
sfere 
patrimoniali 
dei 
soggetti 
coinvolti. L�ordinamento giuridico � 
informato al 
principio di 
necessaria 
causalit� 
delle 
attribuzioni 
patrimoniali, per cui 
non tollera 
trasferimenti 
di 
ricchezza 
da un soggetto ad un altro, in assenza di valida giustificazione. 

Non pu� essere 
questa 
l�occasione 
per dar conto compiutamente 
di 
ogni 
elemento costitutivo della 
fattispecie, tuttavia 
giova 
trattare 
concisamente 
del 
requisito di 
cui 
si 
fa 
menzione 
nella 
sentenza 
in commento, vale 
a 
dire 
la 
sussidiariet�, 
di 
cui, tra 
l�altro, la 
Suprema 
Corte 
non sembra 
avvalersi 
per dirimere 
la 
quaestio juris 
di cui 
supra. 

La 
dottrina 
� 
divisa 
in ordine 
alla 
interpretazione 
del 
requisito della 
sussidiariet�. 
L�orientamento tradizionale, dottrinale 
e 
giurisprudenziale 
(2), per 


(1) TRAbUCChI, arricchimento (diritto civile), in ED., 1958, 64 ss.; 
SChLESINGER, arricchimento 
(azione 
di) (diritto civile), in Noviss. Di, Torino, 1958, 1004 ss; 
bRECCIA, l�arricchimento senza causa, 
in trattato di 
di. Priv., dietto da 
P. RESCIGNo 
IX, obbligazioni 
e 
contratti, Torino, 1984, 811 ss; 
GALLo, 
arricchimento senza causa e 
quasi 
contratti 
(i 
rimedi 
restitutori), in trattato di 
dir. Civ., Torino, 1996, 
28 ss. 
(2) bIANCA, l�azione 
generale 
di 
arricchimento, in Diritto Civile, Giuffr�, 834 ss.; 
TRAbUCChI, 
arricchimento (diritto civile), in ED., 1958, 64 ss.; 
PRUSSIANI, l'azione 
di 
arricchimento senza causa 
nei 
rapporti 
tra la pubblica amministrazione 
ed il 
professionista: Riconoscimento dell'utilitas 
e 
criteri 
di 
quantificazione 
dell'indennizzo, in Corr. giur., 2012, 1219 ss.; 
ALbANESE, le 
prestazioni 
compiute 
in 
favore 
della 
pubblica 
amministrazione 
in 
esecuzione 
di 
contratti 
irregolari, 
in 
Corr. 
giur., 
2007, 
265 
ss.; 
VIoLA, 
l'arricchimento 
senza 
causa 
della 
pubblica 
amministrazione, 
Cedam, 
2002; 
TomEI, 
l'ingiustificato 
arricchimento dei confronti della pubblica amministrazione, Giappichelli, 2000. 
In giurisprudenza, Cass. civ. 5 marzo 1991, n. 2283, �l'azione 
di 
arricchimento senza causa � 
proponibile 
soltanto nel 
caso in cui 
non sia prevista altra azione 
a tutela di 
colui 
che 
lamenta il 
depauperamento, 
ovvero quando la domanda sia stata respinta sotto il 
profilo della carenza ad origine 
dell'azione 
proposta, e 
non anche 
nel 
caso in cui 
sia stata infruttuosamente 
sperimentata nel 
merito la domanda 
volta al soddisfacimento della pretesa�. 

CoNTENzIoSo 
NAzIoNALE 


esigenze 
di 
certezza 
dei 
rapporti 
giuridici, 
propende 
per 
l�astrattezza 
della 
stessa, 
nel 
senso 
di 
escludere 
la 
proponibilit� 
dell�azione 
ex 
art. 
2041 
cod. 
civ. 
qualora 
sia 
astrattamente 
previsto un rimedio alternativo, a 
prescindere 
dalla 
sua concreta proponibilit�. 

Per contro, parte 
della 
giurisprudenza 
(3), incline 
ad una 
maggior tutela 
del 
depauperato, consente 
l�esperibilit� 
dell�actio de 
in rem 
verso 
anche 
nella 
denegata 
ipotesi 
di 
azionabilit� 
concreta 
di 
rimedi 
equipollenti, pur previsti 
in 
astratto, ma privi di un qualche requisito fondamentale. 


Solo in tempi 
recenti 
la 
giurisprudenza 
(4) � 
giunta 
ad attribuire 
pacificamente 
all�azione 
di 
arricchimento senza 
causa 
nei 
confronti 
della 
P.A., una 
connotazione analoga a quella ordinaria tra privati. 


Superando l�orientamento a 
lungo dominante 
(5) che 
esigeva 
nel 
caso di 
specie 
sia 
l�elemento oggettivo della 
prestazione 
vantaggiosa 
per l�ente 
pubblico, 
sia 
il 
c.d. riconoscimento - esplicito o implicito - dell�utilitas 
percepita 
da 
parte 
dell�amministrazione 
stessa, - la 
configurabilit� 
di 
un arricchimento 


(3) Cass. civ. 24 febbraio 2010, n. 4492, �il 
carattere 
sussidiario dell'azione 
generale 
di 
arricchimento 
e 
la conseguente 
non proponibilit� di 
essa da parte 
del 
danneggiato che 
abbia altro rimedio 
per 
farsi 
indennizzare 
del 
pregiudizio subito, non precludono la possibilit� di 
introdurre 
l'azione 
stessa 
in via subordinata, per 
il 
caso in cui 
l'azione 
tipica proposta in via principale 
abbia esito negativo per 
carenza del titolo posto a suo fondamento�. 
(4) 
Cass. 
S.U., 
26 
maggio 
2015, 
n. 
10798, 
�il 
riconoscimento 
dell'utilit� 
non 
costituisce 
requisito 
dell'azione 
di 
indebito 
arricchimento, 
anche 
quando 
la 
stessa 
viene 
esperita 
nei 
confronti 
della 
p.a., 
che, ove 
il 
suo oggettivo arricchimento sia provato dal 
depauperato, sfugge 
alla condanna soltanto se 
dimostra di non averlo voluto o di non esserne stata consapevole�. 
(5) 
Cass. 
civ. 
14 
ottobe 
2008, 
n. 
25156, 
secondo 
cui 
il 
riconoscimento 
dell�utilitas 
da 
parte 
della 
P.A. 
pu� 
sia 
avvenire 
sia 
con 
atto 
formale 
che 
essere 
desunto 
implicitamente 
da 
atti 
o 
comportamenti 
della 
P.A., 
�l'azione 
di 
indebito 
arricchimento 
nei 
confronti 
della 
P.a. 
differisce 
da 
quella 
ordinaria, 
in 
quanto 
presuppone 
non 
solo 
il 
fatto 
materiale 
dell'esecuzione 
di 
un'opera 
o 
di 
una 
prestazione 
vantaggiosa 
per 
l'amministrazione 
stessa, 
ma 
anche 
il 
riconoscimento, 
da 
parte 
di 
questa, 
dell'utilit� 
dell'opera 
o 
della 
prestazione. 
tale 
riconoscimento, 
che 
sostituisce 
il 
requisito 
dell'arricchimento 
previsto 
dall'art. 
2041 
c.c. 
nei 
rapporti 
tra 
privati, 
pu� 
avvenire 
in 
maniera 
esplicita, 
cio� 
con 
un 
atto 
formale, 
oppure 
pu� 
risultare 
in 
modo 
implicito 
da 
atti 
o 
comportamenti 
della 
P.a. 
dai 
quali 
si 
desuma 
inequivocabilmente 
un 
effettuato 
giudizio 
positivo 
circa 
il 
vantaggio 
o 
l'utilit� 
della 
prestazione 
promanante 
da 
organi 
rappresentativi 
dell'amministrazione 
interessata, 
mentre 
non 
pu� 
essere 
desunta 
dalla 
mera 
acquisizione 
e 
successiva 
utilizzazione 
della 
prestazione 
stessa; 
siffatto 
giudizio 
positivo, 
in 
ragione 
dei 
limiti 
posti 
dall'art. 
4 
della 
legge 
n. 
2248 
all. 
e 
del 
1865, 
� 
riservato 
esclusivamente 
alla 
P.a. 
e 
non 
pu� 
essere 
effettuato 
dal 
giudice 
ordinario, 
che 
pu� 
solo 
accertare 
se 
e 
in 
quale 
misura 
l'opera 
o 
la 
prestazione 
del 
terzo 
siano 
state 
effettivamente 
utilizzate�; 
per 
un 
riconoscimento 
implicito, 
Cass. 
Civ. 
12 
febbraio 
2010, 
n. 
3992, 
secondo 
cui 
il 
riconoscimento 
pu� 
avvenire 
anche 
mediante 
la 
sola 
utilizzazione 
dell�opera 
da 
parte 
della 
PA, 
�l'azione 
generale 
di 
arricchimento 
senza 
causa 
nei 
confronti 
della 
P.a. 
presuppone, 
oltre 
al 
fatto 
materiale 
dell'esecuzione 
di 
una 
prestazione 
economicamente 
vantaggiosa 
per 
l'ente 
pubblico, 
anche 
il 
riconoscimento 
dell'utilit� 
della 
stessa 
da 
parte 
dell'ente, 
il 
quale 
pu� 
avvenire 
anche 
in 
modo 
implicito, 
cio� 
mediante 
l'utilizzazione 
dell'opera 
o 
della 
prestazione 
secondo 
una 
destinazione 
oggettivamente 
rilevabile 
ed 
equivalente 
nel 
risultato 
ad 
un 
esplicito 
riconoscimento 
di 
utilit�, 
posta 
in 
essere 
senza 
il 
rispetto 
delle 
prescritte 
formalit� 
da 
parte 
di 
detto 
organo, 
ovvero 
in 
comportamenti 
di 
quest'ultimo 
dai 
quali 
si 
desuma 
inequivocabilmente 
un 
giudizio 
positivo 
circa 
il 
vantaggio 
dell'opera 
o 
della 
prestazione 
ricevuta 
dall'ente 
rappresentato�. 

RASSEGNA 
AVVoCATURA 
DELLo 
STATo - N. 4/2016 


senza 
causa 
era 
condizionata 
alla 
valutazione 
discrezionale 
della 
sola 
amministrazione, 
preclusa 
al 
G.o. ai 
sensi 
dell�art. 4 della 
L. 2248/1865 all. E 
-, le 
Sezioni 
Unite 
della 
Cassazione 
(6) sono recentemente 
intervenute 
operando 
una 
lettura 
dell�istituto pi� aderente 
ai 
principi 
specifici 
della 
materia 
meno 
gravosa per il depauperato e meno vantaggiosa per l�ente pubblico. 


L�arricchimento 
� 
attualmente 
considerato 
un 
fatto 
patrimonialmente 
oggettivo 
(7), 
sottratto 
alla 
sfera 
discrezionale 
dell�amministrazione 
e 
sindacabile 
dal 
G.o., 
senza 
incorrere 
nelle 
preclusioni 
fissate 
dall�art. 
4 
della 
L. 
2248/1865 
all. 
E. 
L�attore 
ex 
art. 
2041 
cod. 
civ. 
dovr�, 
dunque, 
provare 
unicamente 
il 
fatto 
dell�arricchimento, 
non 
essendo 
ad 
oggi 
pi� 
consentito 
alla 
PA 
opporre 
il 
mancato 
riconoscimento dello stesso. 

l�analisi della suprema Corte. 

orbene, nella 
sentenza 
in esame, la 
Suprema 
Corte 
non mostra 
di 
far applicazione 
dei 
principi 
generali 
in 
tema 
di 
indebito 
arricchimento 
per 
dirimere 
la 
quaestio juris, ma piuttosto si avvale di una 
lex specialis. 

occorre 
fare 
applicazione 
dell'art. 23 d.l. n. 66/1989 applicabile 
ratione 
temporis, convertito nella 
L. n. 144 del 
1989, ed oggi 
confluito nel 
d.lgs. n. 
267 del 
2000, art. 191, secondo cui 
tutte 
le 
amministrazioni 
provinciali, i 
Comuni 
e 
le 
comunit� 
montane 
non possono effettuare 
spese 
se 
non esclusivamente 
laddove 
�sussistano la 
deliberazione 
autorizzativa 
nelle 
forme 
previste 
dalla 
legge 
e 
divenuta 
o dichiarata 
esecutiva, nonch� 
l'impegno contabile 
registrato 
dal 
ragioniere 
o dal 
segretario, ove 
non esista 
il 
ragioniere, sul 
competente 
capitolo 
del 
bilancio 
di 
previsione, 
da 
comunicare 
ai 
terzi 
interessati�. 
Qualora 
le 
norme 
di 
contabilit� 
pubblica 
non vengano rispettate, il 
comma 
4 
dell�articolo, 
che 
la 
Corte 
applica 
nel 
caso 
di 
specie, 
�nel 
caso 
in 
cui 
vi 
sia 
stata 
l'acquisizione 
di 
beni 
o 
servizi 
in 
violazione 
dell'obbligo 
indicato 
nel 
comma 
3, il 
rapporto obbligatorio intercorre, ai 
fini 
della 
controprestazione 
e 
per 
ogni 
altro 
effetto 
di 
legge 
tra 
il 
privato 
fornitore 
e 
l'amministratore 
o 
il 
funzionario che 
abbiano consentita 
la 
fornitura. Detto effetto si 
estende 
per le 
esecuzioni 
reiterate 
o continuative 
a 
tutti 
coloro che 
abbiano reso possibili 
le 
singole prestazioni�. 


Nel 
caso di 
specie, i 
beni 
posti 
a 
fondamento della 
pretesa 
attorea 
erano 
stati 
consegnati 
in assenza 
di 
un valido rapporto contrattuale 
al 
di 
fuori 
della 
previsione 
della 
delibera 
della 
Giunta 
in 
data 
30 
aprile 
1990, 
con 
la 
quale, 
venne 
stanziata 
la 
spesa 
di 
Lire 
71.400.000, e 
che, bench� 
inidonea, di 
per s�, 
alla 
costituzione 
di 
un 
rapporto 
obbligatorio, 
comport�, 
previa 
ratifica 
da 
parte 
del 
Consiglio comunale, il 
successivo pagamento di 
tale 
somma 
da 
parte 
del-
l'ente territoriale nell'anno 2000. 


(6) Cass. S.U., 26 maggio 2015, n. 10798, cit. 
(7) 
GALLo, 
arricchimento 
senza 
causa, 
nel 
Commentario 
schlesinger, 
Giuffr�, 
2003, 
sub 
artt. 
2041-2042. 

CoNTENzIoSo 
NAzIoNALE 


Richiamandosi 
a 
pregresse 
recenti 
pronunce 
(8), la 
sezione 
ravvisa 
nella 
normativa 
di 
cui 
supra 
un principio volto a 
limitare 
le 
ipotesi 
di 
ascrizione 
di 
responsabilit� 
alla 
P.A 
per illecita 
attivit� 
contrattuale 
condotta 
dal 
suo dipendente 
in violazione 
delle 
regole 
contabili 
stabilite 
in seno all�Ente 
stesso. Da 
ci�, l�imputazione 
alla 
sfera 
giuridica 
diretta 
e 
personale 
dell'amministratore 


o funzionario degli 
effetti 
dell'attivit� 
contrattuale 
relativamente 
ai 
beni 
ed ai 
servizi acquisiti. 
Si 
realizza 
cos� 
una 
vera 
e 
propria 
frattura 
o scissione 
ope 
legis 
del 
rapporto 
di 
immedesimazione 
organica 
tra 
i 
suddetti 
agenti 
e 
la 
Pubblica 
Amministrazione, 
con conseguente 
esclusione 
della 
riferibilit� 
a 
quest'ultima 
delle 
iniziative 
adottate 
al 
di 
fuori 
dello 
schema 
procedimentale 
previsto 
dalle 
norme 


c.d. ad evidenza pubblica. 
Non 
essendo, 
dunque, 
alla 
stregua 
della 
lex 
specialis 
richiamata, 
l�attivit� 
contrattuale 
riferibile 
all�Ente, la 
Corte 
esclude 
che 
il 
depauperato - nel 
caso 
di 
specie 
la 
societ� 
attrice 
- possa 
avvalersi 
dell�azione 
di 
ingiustificato arricchimento 
ex art. 2041 cod. civ. 

In ordine 
alla 
sorte 
del 
vincolo contrattuale 
sorto in ragione 
dell�attivit� 
predetta, 
il 
pregresso 
regime 
di 
nullit� 
(9), 
viene 
sostituito 
con 
quello 
della 
piena 
efficacia 
tra 
agente 
in 
proprio 
e 
fornitore, 
alla 
stregua 
di 
una 
sorta 
di 
novazione 
soggettiva 
ex 
lege 
dell'originario rapporto obbligatorio che 
avrebbe 
dovuto 
intercorrere 
con 
l'ente 
pubblico 
di 
cui 
l'agente 
� 
organo. 
La 
Corte, 
quindi, valorizza 
il 
reale 
incontro di 
volont� 
tra 
il 
privato contraente, che 
accetta 
di 
eseguire 
l'incarico 
conferitogli 
contra 
legem 
e 
che 
verosimilmente 
non 
pu� 
ignorare 
che 
il 
rapporto 
contrattuale 
debba 
intendersi 
intercorso 
con 
il 
funzionario o l'amministratore, e 
quest�ultimo, che, nell'attribuirlo o nel 
consentirlo, 
si 
assume 
un obbligo personale 
diretto verso il 
terzo contraente 
per 
gli 
impegni 
assunti 
al 
di 
fuori 
od 
in 
violazione 
del 
procedimento 
contabile 
previsto 
dalla legge. 

Si 
precisa, inoltre, che 
la 
condotta 
del 
funzionario, idonea 
a 
giustificare 
tale 
scissione 
ex 
lege 
del 
rapporto organico con la 
PA, non debba 
necessariamente 
qualificarsi 
come 
attiva, ma 
possa 
piuttosto consistere 
anche 
nel 
mero 
consenso all�acquisizione 
della 
prestazione 
o della 
fornitura. Il 
legislatore 
� 
chiaro 
nell�utilizzare 
il 
verbo 
�consentire� 
per 
descrivere 
l�attivit� 
dell�agente, 


(8) Cass. civ. sez. I, 21 settembre 
2015, n. 18567, secondo cui 
�il 
funzionario pubblico che 
abbia 
attivato un impegno di 
spesa per 
l'ente 
locale 
senza l'osservanza dei 
controlli 
contabili 
relativi 
alla gestione 
degli 
enti 
medesimi, risponde 
- ai 
sensi 
dell'art. 23, commi 
3 e 
4, del 
d.l. n. 66 del 
1989, conv., 
con modif., dalla l. n. 144 del 
1989, applicabile 
"ratione 
temporis" 
- degli 
effetti 
di 
tale 
attivit� di 
spesa 
verso 
il 
terzo 
contraente, 
il 
quale 
�, 
pertanto, 
tenuto 
ad 
agire 
direttamente 
e 
personalmente 
nei 
suoi 
confronti 
e 
non gi� in danno dell'ente, rispetto al 
quale 
� 
preclusa anche 
l'azione 
di 
ingiustificato arricchimento 
per 
carenza del 
necessario requisito della sussidiariet�, che 
� 
esclusa quando esista altra 
azione esperibile non solo contro l'arricchito, ma anche verso persona diversa�. 
(9) Cass. civ., 23 gennaio 2014, n. 1391. 

RASSEGNA 
AVVoCATURA 
DELLo 
STATo - N. 4/2016 


escludendo la 
necessit� 
di 
un ruolo attivo in capo al 
funzionario e 
delineando 
estensivamente 
il 
comportamento di 
chi, pur privo di 
un effettivo potere 
decisionale, 
ometta 
di 
manifestare 
il 
proprio dissenso e 
presti 
invece 
la 
sua 
opera 
come in presenza di una valida ed impegnativa obbligazione dell'ente locale. 


La 
ratio 
della 
norma 
non 
� 
da 
ricercare 
nella 
volont� 
del 
legislatore 
di 
introdurre 
una 
tutela 
supplementare 
a 
favore 
del 
privato 
contraente, 
quanto 
nella 
necessit� 
di 
sanzionare 
le 
azioni 
anomale 
e 
le 
omissioni 
poste 
in essere 
dagli 
amministratori e dai funzionari in violazione delle disposizioni in materia. 

In 
altre 
parole, 
lo 
scopo 
della 
disposizione 
� 
essenzialmente 
quello 
di 
impedire 
un'irregolare 
attivit� 
negoziale, realizzata 
da 
un soggetto astrattamente 
idoneo ad impegnare 
l'Ente 
in virt� del 
rapporto di 
servizio e/o di 
rappresentanza, 
evitando quindi 
che 
detto anomalo comportamento possa 
determinare 
l'insorgenza di un'obbligazione giuridica a carico dell'Ente stesso. 


Si 
precisa 
che 
gi� 
l�articolo 252 del 
Testo Unico, R.D. n. 383 del 
1934, 
prevedeva 
una 
disposizione 
non 
dissimile, 
che 
sanzionava 
la 
condotta 
del-
l�amministratore, ma 
che 
prevedeva, tuttavia, una 
sua 
responsabilit� 
solidale 
con 
quella 
dell�ente. 
(�gli 
amministratori 
che 
ordinano 
spese 
non 
autorizzate 
in bilancio, o non deliberate 
nei 
modi 
e 
nelle 
forme 
di 
legge, oppure 
ne 
contraggono 
l'impegno 
o 
danno 
esecuzione 
a 
provvedimenti 
non 
deliberati 
ed 
approvati 
nei 
modi 
di 
legge, ne 
rispondono in proprio ed in solido. Nello stesso 
modo rispondono gli 
amministratori 
che, avendo adottate 
ed eseguite 
deliberazioni 
da essi 
dichiarate 
d'urgenza o immediatamente 
esecutive, non ne 
abbiano 
poi ottenuto la ratifica o l'approvazione nei modi di legge�). 

Da 
un 
lato 
la 
disciplina 
del 
1934 
gi� 
anticipava 
la 
successiva 
del 
1989 
prevedendo, 
agli 
artt. 
284 
e 
288, 
la 
nullit� 
del 
contratto 
concluso 
dall�amministratore/
funzionario 
nel 
caso 
di 
nullit� 
(10) 
(art. 
284, 
secondo 
cui 
�le 
deliberazioni 
dei 
comuni, 
delle 
province 
e 
dei 
consorzi, 
che 
importino 
spese, 
devono 
indicare 
l'ammontare 
di 
esse 
e 
i 
mezzi 
per 
farvi 
fronte� 
e 
art. 
288 
secondo 
cui 
�sono 
nulle 
le 
deliberazioni 
prese 
in 
adunanze 
illegali, 
o 
adottate 
sopra 
oggetti 
estranei 
alle 
attribuzioni 
degli 
organi 
deliberanti, 
o 
che 
contengano 
violazioni 
di 
legge�) 
della 
delibera 
comunale 
o 
provinciale 
per 
mancata 
previsione 
del 
compenso 
dovuto 
al 
professionista; 
dall�altro 
l�art. 
252 
non 
conteneva 
analoga 
disciplina 
in 
relazione 
alla 
responsabilit� 
del-
l�amministratore. 
Sotto 
la 
sua 
vigenza, 
invero, 
nella 
ipotesi 
di 
nullit� 
della 


(10) Cass. civ. S.U., 10 giugno 2005, n. 12195, �Nel 
vigore 
del 
combinato disposto degli 
art. 284 
e 
288 
r.d. 
383/34 
(testo 
unico 
della 
legge 
comunale 
e 
provinciale), 
la 
delibera 
con 
la 
quale 
i 
competenti 
organi 
comunali 
o provinciali 
affidano ad un professionista privato l'incarico per 
la progettazione 
di 
un'opera 
pubblica, 
� 
valida 
e 
vincolante 
nei 
confronti 
dell'ente 
locale 
soltanto 
se 
contenga 
la 
previsione 
dell'ammontare 
del 
compenso dovuto al 
professionista e 
dei 
mezzi 
per 
farvi 
fronte. l'inosservanza di 
tali 
prescrizioni 
determina 
la 
nullit� 
della 
delibera, 
nullit� 
che 
si 
estende 
al 
contratto 
di 
prestazione 
d'opera professionale 
poi 
stipulato con il 
professionista, escludendone 
l'idoneit� a costituire 
titolo per 
il compenso�. 

CoNTENzIoSo 
NAzIoNALE 


delibera 
e 
del 
successivo 
contratto 
per 
mancanza 
della 
copertura 
finanziaria, 
il 
soggetto 
che 
avesse 
effettuato 
la 
prestazione 
avrebbe 
potuto 
esperire 
nei 
confronti 
della 
P.A., 
che 
ne 
avesse 
riconosciuto 
l'utilitas, 
l'azione 
di 
indebito 
arricchimento 
di 
cui 
all'art. 
2041 
c.c. 
La 
proponibilit� 
dell�actio 
de 
in 
rem 
verso 
�, 
invece, 
attualmente 
esclusa 
dall�art. 
23 
-applicabile 
al 
caso 
in 
esame 
ratione 
temporis, 
ma 
oggi 
trasfuso 
nell�art. 
191 
del 
TUEL 
-atteso 
che, 
essendo 
un'azione 
di 
carattere 
sussidiario 
che, 
come 
tale, 
presuppone 
l�impossibilit� 
di 
esperire 
altro 
mezzo 
di 
tutela, 
la 
sua 
azionabilit� 
deve 
escludersi 
in 
ragione 
della 
nuovo 
sistema 
di 
imputazione 
giuridica 
previsto 
dalla 
norma 
di 
cui 
supra. 


Conclusioni. 

Se 
i 
Giudici 
di 
primo e 
secondo grado avevano desunto le 
rispettive 
pronunzie 
dai 
principi 
generali 
in tema 
di 
azione 
di 
ingiustificato arricchimento 
-il 
Tribunale 
ne 
aveva 
escluso 
l�azionabilit� 
sulla 
base 
dell�assenza 
del 
requisito 
di 
sussidiariet�, 
la 
Corte 
d�Appello 
aveva 
invece 
ammesso 
il 
rimedio 
sulla 
base 
del 
vantaggio 
ingiustificatamente 
percepito 
dall�Ente 
-, 
la 
Suprema 
Corte, 
nella 
sentenza 
in commento, pur operando una 
lettura 
completa 
della 
fattispecie, 
ha 
taciuto riguardo la 
lex 
generalis 
e 
la 
sua 
operativit� 
nel 
caso di 
specie, 
disattendendo le 
motivazioni 
addotte 
dalle 
parti, ma 
avvalendosi 
piuttosto di 
un�operazione 
ermeneutica 
della 
disciplina 
normativa 
di 
dettaglio 
a 
tutela 
dell�integrit� della finanza pubblica. 


La 
Corte 
dirime 
compiutamente 
la 
quaestio juris 
affidatale, tralasciando, 
tuttavia, 
di 
affrontare 
compiutamente 
i 
profili 
attinenti 
il 
titolo 
di 
responsabilit� 
gravante 
sul 
funzionario, ad esempio sulla 
sua 
responsabilit� 
amministrativa 
per il 
pagamento dell�acconto, le 
eventuali 
ripercussioni 
sul 
rapporto funzionario-
ente, 
le 
concrete 
possibilit� 
di 
tutela 
offerte 
al 
creditore 
insoddisfatto, 
lo spazio di 
intervento della 
giurisdizione 
contabile 
(11). Si 
auspica, dunque, 


(11) 
Chiarimenti 
si 
rinvengono 
nella 
giurisprudenza 
contabile. 
Corte 
dei 
Conti, 
reg., 
(Lombardia), 
sez. giurisd., 6 marzo 2003, n. 323, �la giurisprudenza contabile 
in materia di 
spese 
irregolari 
ruota, 
relativamente 
agli 
enti 
locali, intorno alla norma di 
cui 
all'art. 23 del 
d.lgs. n. 66/89, conv. con modificazioni 
nella legge 
n. 144/89 (la disposizione 
� 
stata riprodotta nell'art. 35 del 
d.lgs. n. 77/95 che 
disciplina 
l'ordinamento contabile 
degli 
enti 
locali 
e, in seguito, negli 
artt. 191 e 
ss. del 
t.U. approvato 
con 
d.lgs. 
n. 
267/2000). 
la 
norma 
prevede 
che 
l'effettuazione 
di 
qualsiasi 
spesa 
� 
consentita 
se 
sussistano 
la deliberazione 
autorizzata nelle 
forme 
previste 
dalla legge 
e 
l'impegno contabile 
registrato dal 
ragioniere 
o 
dal 
segretario 
sul 
competente 
capitolo 
di 
bilancio 
di 
previsione. 
la 
procedura 
contabile 
di 
spesa 
delineata dalla suddetta norma � 
dunque 
la seguente: le 
spese 
dei 
Comuni 
debbono necessariamente 
essere 
precedute 
da 
delibera 
di 
autorizzazione, 
che 
deve 
essere 
adottata 
prima 
della 
nascita 
del 
vincolo, 
deve 
avere 
superato i 
controlli 
previsti 
e 
le 
procedure 
di 
pubblicazione 
e 
infine 
deve 
essere 
corredata 
dell'impegno contabile 
relativo sia all'attestazione 
della capienza dello specifico capitolo di 
bilancio, 
sia 
all'apprezzamento 
della 
copertura 
finanziaria 
consistente 
nella 
valutazione 
dell'incidenza 
della 
spesa 
sull'equilibrio 
generale 
di 
bilancio. 
Ci� 
non 
di 
meno, 
il 
pagamento 
dei 
c.d. 
"debiti 
fuori 
bilancio" 
non � 
impedito quando dalla controprestazione 
sia derivata un'utilit� (utiliter 
coeptum) per 
l'ente, in 
ragione 
dell'ingiustificato arricchimento che 
altrimenti 
ne 
deriverebbe, ancorch� 
tale 
pagamento non 

RASSEGNA 
AVVoCATURA 
DELLo 
STATo - N. 4/2016 


un 
intervento 
che 
chiarisca 
e 
meglio 
argomenti 
i 
vari 
profili 
ancora 
poco 
chiari 
della fattispecie. 


Cassazione 
civile, 
Sezione 
I, 
sentenza 
4 
gennaio 
2017 
n. 
80 
-Pres. 
S. 
Salvago, 
Rel. 
P. 
Campanile, 
P.g. I. zeno (inammissibilit� 
e/o rigetto del 
ricorso) - Comune 
di 
Venezia 
(avv.ti 
N. 
Paoletti, G. Guidoni, A. Iannotta, m. ballarin, N. ongaro e 
G. Venezian) c. R.G. (avv.ti 
m.T. 
barbantini Fedeli, G. Altieri). 


svolgimento del processo 


1. 
Con 
sentenza 
depositata 
in 
data 
1 
agosto 
2002 
il 
Tribunale 
di 
Venezia 
rigettava 
la 
domanda 
avanzata 
da 
R.G., 
contitolare 
dell'impresa 
FEP, 
gi� 
dichiarata 
fallita 
e 
poi 
tornata 
in 
bonis, 
con la 
quale, premesso di 
aver inviato al 
Comune 
di 
Venezia 
in forza 
di 
una 
delibera 
della 
Giunta 
comunale, 
successivamente 
non 
ratificata, 
del 
materiale 
informatico, 
che 
era 
stato 
utilizzato, 
unitamente 
al 
software, nell'ambito dell'informatizzazione 
dei 
servizi 
cimiteriali, la 
cui 
gestione 
era 
stata 
affidata, 
anche 
mediante 
consegna 
di 
detti 
beni, 
all'AmAV, 
aveva 
chiesto 
che 
il 
Comune 
e 
l'Amav fossero condannati 
al 
pagamento delle 
somme 
corrispondenti 
all'indebito 
arricchimento conseguito da detta utilizzazione. 
1.1. Il 
Tribunale 
fondava 
il 
rigetto della 
domanda 
sul 
rilievo della 
carenza 
del 
requisito della 
sussidiariet�, 
in 
quanto 
la 
R. 
avrebbe 
potuto 
esercitare 
l'azione 
di 
rivendicazione 
dei 
materiali 
consegnati. 
1.2. Con la 
sentenza 
indicata 
in epigrafe 
la 
Corte 
di 
appello di 
Venezia, affermata 
l'estraneit� 
al 
rapporto dell'Azienda 
Amav Vesta, in parziale 
accoglimento del 
gravame 
della 
R., ha 
condannato 
l'ente 
territoriale 
al 
pagamento della 
somma 
di 
Euro 57.833,77, oltre 
interessi, rilevando 
che, pur in assenza 
di 
un valido contratto, l'amministrazione 
comunale 
- che 
aveva 
per 
altro pagato la 
fornitura 
di 
parte 
del 
materiale 
inviato - aveva 
tratto un vantaggio dall'utilizzazione 
dei 
materiali 
e 
programmi 
ricevuti, traendo un arricchimento, da 
farsi 
valere 
con una 
domanda che non trovava corrispondenza in alcuna altra azione esperibile. 
interrompa il 
nesso di 
causalit� nell'azione 
di 
responsabilit� nei 
confronti 
di 
chi 
abbia deliberato l'acquisizione 
del 
servizio (cfr. sez. Campania, n. 30 del 
28 aprile 
2000 che, in questi 
casi, ritiene 
che 
il 
danno vada individuato nella quota dell'importo erogato al 
terzo che 
ecceda l'indebito arricchimento, 
ovvero, come 
nel 
caso di 
specie, nell'onere 
finanziario sostenuto dall'ente 
per 
interessi 
e 
spese 
giudiziali). 
su tali 
esborsi 
aggiuntivi 
si 
� 
pronunciata di 
recente 
la ii sezione 
Centrale, con la sentenza n. 
85/a 
avanti 
richiamata, 
dalla 
quale 
si 
evince 
che 
l'ordinazione 
irregolare 
di 
spese 
prive 
di 
impegno 
contabile, 
che 
comporti 
l'impossibilit� 
di 
un 
tempestivo 
pagamento 
in 
ragione 
della 
necessit� 
di 
seguire 
una procedura di 
riconoscimento di 
debiti 
fuori 
bilancio, costituisce 
per 
un amministratore 
comunale 
una violazione 
di 
cos� 
elementari 
doveri 
di 
servizio, da doversi 
ritenere 
in re 
ipsa la connotazione 
di 
una colpa di 
rilevante 
gravit�. Ne 
consegue, a mente 
della citata sentenza, l'emersione, a seguito di 
vittorioso 
giudizio 
monitorio 
avviato 
dal 
creditore 
insoddisfatto, 
di 
danni 
pubblici 
corrispondenti 
alle 
spese 
aggiuntive 
per 
oneri 
accessori 
del 
credito e 
per 
la rifusione 
delle 
spese 
legali, che 
non possono, 
quindi, non fare 
carico all'irregolare 
ordinatore 
di 
spesa e 
che 
sono, d'altra parte, prive 
di 
una qualche 
utilit� per 
l'ente 
locale 
e 
per 
la stessa comunit� amministrata� 
Corte 
Conti 
reg., (Emilia-Romagna), 
sez. giurisd., 27 gennaio 2000, n. 166, 
�sussiste 
danno erariale 
per 
il 
Comune 
in relazione 
alle 
somme 
eccedenti 
l'utilit� 
conseguita 
dall'ente 
e 
corrispondenti 
all'utile 
di 
impresa, 
ove 
talune 
prestazioni 
siano 
state 
effettuate 
da 
una 
ditta 
a 
favore 
dell'amministrazione, 
senza 
la 
preventiva 
deliberazione 
ed 
il 
relativo 
impegno contabile, in violazione dell'art. 23 d.l. n. 66 del 1989 conv. in l. n. 144 del 1989�. 



CoNTENzIoSo 
NAzIoNALE 


1.3. Per la 
cassazione 
di 
tale 
decisione 
il 
Comune 
di 
Venezia 
propone 
ricorso, affidato a 
tre 
motivi, cui la R. resiste con controricorso. 
Le parti hanno depositato memorie ai sensi dell'art. 378 c.p.c. 
Motivi della decisione 


2. Con il 
primo motivo, si 
deduce 
violazione 
degli 
artt. 2041 e 
2042 c.c., in relazione 
all'art. 
360 
c.p.c., 
comma 
1, 
n. 
3. 
Si 
sostiene 
che 
i 
beni 
inviati 
al 
Comune, 
e 
solo 
per 
errore 
dallo 
stesso trasmessi 
ad Amav, erano rimasti 
nella 
mera 
detenzione 
dell'ente 
ricorrente, ragion per 
cui, indipendentemente 
dall'inerzia 
della 
Fep e 
della 
curatela 
fallimentare, la 
possibilit� 
di 
rivendicarli 
escludeva l'esperibilit� dell'azione di indebito arricchimento. 
2.1. Con il 
secondo si 
denuncia 
motivazione 
insufficiente 
e 
contraddittoria 
in relazione 
agli 
aspetti sopra evidenziati. 
2.2. La 
terza 
censura 
attiene 
alla 
violazione 
dell'art. 2041 c.c., comma 
2, in quanto, avendo 
l'arricchimento 
ad 
oggetto 
cose 
determinate, 
il 
Comune 
era 
eventualmente 
tenuto 
soltanto 
alla 
restituzione dei beni mai ordinati, e consegnati soltanto "a titolo di visione e prova". 
3 
-Il 
ricorso 
� 
fondato, 
per 
le 
ragioni, 
non 
del 
tutto 
coincidenti 
con 
quelle 
addotte 
dal 
Comune 
di 
Venezia, di seguito esposte. 
3.1. 
Vale 
bene 
ribadire, 
in 
proposito, 
il 
principio 
secondo 
cui, 
in 
ragione 
della 
funzione 
del 
giudizio 
di 
legittimit� 
di 
garantire 
l'osservanza 
e 
l'uniforme 
interpretazione 
della 
legge, 
nonch� 
per 
omologia 
con 
quanto 
prevede 
la 
norma 
di 
cui 
all'art. 
384 
c.p.c., 
comma 
2, 
deve 
ritenersi 
che, 
nell'esercizio 
del 
potere 
di 
qualificazione 
in 
diritto 
dei 
fatti, 
la 
Corte 
di 
cassazione 
pu� 
ritenere 
fondata 
la 
questione, 
sollevata 
dal 
ricorso, 
per 
una 
ragione 
giuridica 
diversa 
da 
quella 
specificamente 
indicata 
dalla 
parte 
e 
individuata 
d'ufficio, 
con 
il 
solo 
limite 
che 
tale 
individuazione 
deve 
avvenire 
sulla 
base 
dei 
fatti 
per 
come 
accertalinelle 
fasi 
di 
merito 
ed 
esposti 
nel 
ricorso 
per 
cassazione 
e 
nella 
stessa 
sentenza 
impugnata, 
senza 
cio� 
che 
sia 
necessario 
l'esperimento 
di 
ulteriori 
indagini 
di 
fatto, 
fermo 
restando, 
peraltro, 
che 
l'esercizio 
del 
potere 
di 
qualificazione 
non 
deve 
inoltre 
confliggere 
con 
il 
principio 
del 
monopolio 
della 
parte 
nell'esercizio 
della 
domanda 
e 
delle 
eccezioni 
in 
senso 
stretto, 
con 
la 
conseguenza 
che 
resta 
escluso 
che 
la 
Corte 
possa 
rilevare 
l'efficacia 
giuridica 
di 
un 
fatto 
se 
ci� 
comporta 
la 
modifica 
della 
domanda 
per 
come 
definita 
nelle 
fasi 
di 
merito 
o 
l'integrazione 
di 
una 
eccezione 
in 
senso 
stretto 
(Cass., 
14 
febbraio 
2014, 
n. 
3437; 
Cass., 
17 
maggio 
2011, 
n. 
10841; 
Cass., 
22 
marzo 
2007, 
n. 
6935). 
3.2. Il 
tema 
della 
sussidiariet� 
dell'azione 
di 
indebito arricchimento, proposto dell'ente 
ricorrente 
sotto 
il 
profilo 
della 
possibilit� 
di 
rivendicare 
i 
beni 
mobili 
a 
suo 
tempo 
consegnati 
non 
priva 
di 
aspetti 
problematici, in relazione, a 
tacer d'altro, alla 
gi� 
avvenuta 
assegnazione 
degli 
stessi 
da 
parte 
del 
Comune 
all'Amav 
-deve 
essere 
esaminato 
alla 
stregua 
della 
normativa, 
applicabile 
ratione 
temporis, di 
cui 
al 
D.L. n. 66 del 
1989, art. 23, convertito nella 
L. n. 144 
del 1989 , ed oggi rifluito nel D.Lgs. n. 267 del 2000, art. 191. 
3.3. 
Come 
risulta 
pacificamente, 
i 
beni 
posti 
a 
fondamento 
della 
pretesa 
della 
R. 
vennero 
consegnati 
in assenza 
di 
un valido rapporto contratioe 
al 
di 
fuori 
della 
previsione 
della 
delibera 
della 
Giunta 
in data 
30 aprile 
1990, con la 
quale, venne 
stanziata 
la 
spesa 
di 
Lire 
71.400.000, 
e 
che, 
bench� 
inidonea, 
di 
per 
s�, 
alla 
costituzione 
di 
un 
rapporto 
obbligatorio, 
comport�, 
previa 
ratifica 
da 
parte 
del 
Consiglio comunale, il 
successivo pagamento di 
tale 
somma 
da 
parte 
dell'ente territoriale nell'anno 2000. 
Come 
si 
d� 
atto nell'impugnata 
decisione, il 
materiale 
in questione 
"tra 
cui 
mobili 
di 
ufficio 
e 
stampanti, mai 
ordinato e 
inviato solo a 
titolo di 
visione 
e 
prova", venne 
consegnato tra 
il 
26 novembre 1990 ed il 26 giugno 1991. 

RASSEGNA 
AVVoCATURA 
DELLo 
STATo - N. 4/2016 


4. Deve 
quindi 
ribadirsi 
il 
contenuto e 
la 
finalit� 
della 
normativa 
sopra 
richiamata, la 
quale, 
secondo 
la 
giurisprudenza 
di 
questa 
Corte 
(Cass., 
21 
settembre 
2015, 
n. 
18567, 
Cass., 
30 
gennaio 
2013, n. 24478; 
Cass., 27 marzo 2008, n. 7966), ha 
previsto un innovativo sistema 
di 
imputazione 
alla 
sfera 
giuridica 
diretta 
e 
personale 
dell'amministratore 
o 
funzionario 
degli 
effetti 
dell'attivit� 
contrattuale 
dallo 
stesso 
condotta 
in 
violazione 
delle 
regole 
contabili 
in 
merito 
alla 
gestione 
degli 
enti 
locali, comportante 
relativamente 
ai 
beni 
ed ai 
servizi 
acquisiti, una 
vera 
e 
propria 
frattura 
o scissione 
ope 
legis 
del 
rapporto di 
immedesimazione 
organica 
tra 
i 
suddetti 
agenti 
e 
la 
Pubblica 
Amministrazione, con conseguente 
esclusione 
della 
riferibilit� 
a 
quest'ultima 
delle 
iniziative 
adottate 
al 
di 
fuori 
dello schema 
procedimentale 
previsto dalle 
norme c.d. ad evidenza pubblica. 
4.1. 
La 
normativa 
in 
esame 
ha 
poi 
comportato 
la 
sostituzione 
del 
pregresso 
regime 
di 
nullit� 
del 
contratto 
per 
effetto 
delle 
norme 
regolataci 
della 
sua 
formazione 
con 
quello 
della 
sua 
piena 
validit� 
ed 
efficacia 
tra 
agente 
in 
proprio 
e 
fornitore 
(del 
quale 
sotto 
questo 
profilo 
viene 
incrementata 
la 
tutela) 
per 
via 
di 
una 
sorta 
di 
novazione 
soggettiva 
(di 
fonte 
normativa) 
dell'originario 
rapporto 
obbligatorio 
che 
avrebbe 
dovuto 
intercorrere 
con 
l'ente 
pubblico 
di 
cui 
l'agente 
� 
organo, 
con 
l'introduzione 
di 
una 
nuova 
disciplina 
del 
rapporto 
tra 
gli 
enti 
medesimi 
e 
i 
soggetti 
agenti, 
nonch� 
tra 
questi 
ultimi 
e 
i 
privati 
contraenti 
improntata 
a 
schemi 
privatistici. 
� 
stato 
quindi 
valorizzato, 
sia 
ai 
fini 
della 
controprestazione, 
che 
per 
ogni 
altro 
effetto 
di 
legge, 
il 
reale 
incontro 
di 
volont� 
tra 
il 
privato 
contraente 
(che 
nell'accettare 
di 
eseguire 
l'incarico 
conferitogli 
contra 
legem 
non 
possa 
ignorare 
che 
il 
rapporto 
contrattuale 
deve 
intendersi 
intercorso 
con 
il 
funzionario 
o 
l'amministratore 
ed 
assumere, 
quindi, 
volontariamente 
il 
rischio 
conseguente 
alla 
definitiva 
individuazione 
della 
parte 
contraente 
e 
patrimonialmente 
responsabile) 
e 
quest'ultimo, 
che, 
nell'attribuirlo 
o 
nel 
consentirlo, 
accetta, 
per 
converso, 
la 
propria 
responsabilit� 
personale 
diretta 
verso 
il 
terzo 
contraente 
per 
gli 
impegni 
assunti 
al 
di 
fuori 
od 
in 
violazione 
del 
procedimento 
contabile 
previsto 
dalla 
legge. 
4.2. 
A 
entrambi 
i 
contraenti, 
infine, 
non 
� 
consentito 
invocare 
la 
disposizione 
contenuta 
nell'art. 
28 Cost. , che, nel 
contemplare 
la 
responsabilit� 
dell'amministrazione 
accanto a 
quella 
degli 
agenti 
pubblici 
presuppone, in via 
di 
principio, che 
si 
tratti 
di 
attivit� 
riferibile 
all'ente 
stesso 
(Cass., 31 maggio 2005, n. 11597). 
4.3. L' 
art. 23, comma 
4, del 
citato D.L. n. 66 del 
1989, poi 
riprodotto nel 
D.Lgs. n. 77 del 
1995, art. 35, cos� 
dispone: 
"Nel 
caso in cui 
vi 
sia stata l'acquisizione 
di 
beni 
o servizi 
in violazione 
dell'obbligo indicato nel 
comma 3, il 
rapporto obbligatorio intercorre, ai 
fini 
della 
controprestazione 
e 
per 
ogni 
altro effetto di 
legge 
tra il 
privato fornitore 
e 
l'amministratore 
o il 
funzionario che 
abbiano consentita la fornitura. Detto effetto si 
estende 
per 
le 
esecuzioni 
reiterate o continuative a tutti coloro che abbiano reso possibili le singole prestazioni". 
L'interpretazione 
di 
tale 
disposizione, 
in 
relazione 
al 
senso 
fatto 
palese 
dal 
significato 
proprio 
delle 
parole 
secondo la 
connessione 
di 
esse 
( art. 12 preleggi 
) e 
alla 
finalit� 
della 
normativa, 
indiscutibilmente 
volta 
a 
prevenire 
il 
formarsi 
di 
debiti 
fuori 
bilancio a 
carico delle 
amministrazioni, 
esclude 
la 
necessit� 
di 
un ruolo attivo in capo al 
funzionario. Infatti, l'uso del 
verbo 
"consentire" 
descrive 
il 
comportamento 
di 
chi, 
trovandosi 
privo 
del 
potere 
decisionale 
sul 
conferimento 
dell'incarico 
o 
l'acquisizione 
del 
bene, 
nell'esercizio 
delle 
sue 
funzioni 
permetta 
che 
avvenga 
l'acquisizione 
della 
prestazione 
o della 
fornitura, senza 
opporvisi 
per quanto dovuto 
nei 
limiti 
delle 
sue 
attribuzioni. 
Il 
disposto 
normativo 
� 
volto 
a 
far 
s� 
che 
un 
contrationon 
perfezionatosi secondo legge non pervenga alla fase esecutiva. 
A 
questo fine 
viene 
responsabilizzato l'amministratore 
o il 
funzionario che, chiamato ad ope



CoNTENzIoSo 
NAzIoNALE 


rare, a 
cagione 
del 
suo ufficio, per la 
conclusione 
e 
l'attuazione 
del 
contratto, cooperi, lasci 
che la prestazione venga eseguita (cos� Cass., 9 ottobre 2014, n. 21340). 


5. L'assenza 
di 
qualsiasi 
vincolo contrattuale 
e 
di 
una 
previsione 
di 
spesa 
rende 
la 
prestazione 
comunque 
resa 
dalla 
FEP 
assolutamente 
avulsa 
dal 
paradigma 
sopra 
evidenziato, e 
non pu� 
in alcun modo, essendo prevista 
la 
responsabilit� 
del 
funzionario o dell'amministratore 
che 
la 
consent�, 
rendere 
predicabile 
l'esperimento 
dell'azione 
di 
indebito 
arricchimento 
nei 
confronti 
del Comune. 
6. L'impugnata 
decisione, pertanto, deve 
essere 
cassata, ricorrendo, per altro, i 
presupposti, 
non 
essendo 
necessarie 
ulteriori 
acquisizioni, 
per 
la 
decisione 
nel 
merito, 
nel 
senso 
del 
rigetto 
della pretesa attorea. 
7 - L'alternanza 
delle 
decisioni 
e 
il 
rilievo, indipendentemente 
dalle 
ragioni 
sostenute 
nel 
ricorso, 
dell'infondatezza 
della 
domanda, 
consigliano 
la 
compensazione 
delle 
spese 
processuali 
relative all'intero procedimento. 
P.Q.M. 
La 
Corte 
accoglie 
il 
ricorso. Cassa 
la 
sentenza 
impugnata 
e, decidendo nel 
merito, rigetta 
la 
domanda 
proposta 
da 
R.G., nella 
qualit� 
di 
titolare 
della 
ditta 
FEP, nei 
confronti 
del 
Comune 
di 
Venezia e di 
VESTA S.p.a., ora 
Veritas. 
Compensa interamente fra le parti le spese dell'intero giudizio. 
Cos� 
deciso 
in 
Roma, 
nella 
Camera 
di 
Consiglio 
della 
Sezione 
Prima 
Civile, 
il 
8 
giugno 
2016. 



RASSEGNA 
AVVoCATURA 
DELLo 
STATo - N. 4/2016 


La Procura Generale presso la Corte di 
Appello non � 
legittimata ad impugnare le sentenze di primo grado in 
materia di adozione, n� quelle di adozione in casi particolari 


Nota 
a 
CoRte 
D�aPPello 
Di 
RoMa, sezioNe 
MiNoReNNi, seNteNza 
23 NoveMBRe 
2016 


Emanuela Brugiotti* 


Con 
sentenza 
depositata 
il 
23 
novembre 
2016 
la 
Corte 
d�Appello 
di 
Roma, sezione 
minorenni, ha 
dichiarato inammissibile 
l�appello proposto dal 
Procuratore 
generale 
della 
Repubblica 
presso la 
Corte 
d�Appello di 
Roma 
avverso 
la 
sentenza 
del 
Tribunale 
per i 
minorenni 
di 
Roma, n. 366 del 
14 dicembre 
2015, 
depositata 
in 
data 
23 
dicembre 
2015, 
con 
visto 
del 
Pubblico 
ministero minorile in data 19 gennaio 2016. 

La 
vicenda 
giudiziaria 
trae 
origine 
dalla 
richiesta 
presentata 
ai 
sensi 
del-
l�art. 44 lett. d) della 
l. n. 183/84 da 
parte 
di 
un cittadino italiano di 
adottare 
il 
figlio minore 
del 
proprio compagno. A 
seguito di 
un�approfondita 
analisi 
da 
parte 
dei 
Servizi 
Sociali, il 
Tribunale 
per i 
minorenni 
di 
Roma 
ha 
accolto la 
domanda, 
ritenendo 
nell�interesse 
del 
minore 
l�adozione, 
ed 
ha 
ordinato 
la 
comunicazione 
per esteso al 
Pubblico ministero minorile 
in sede. Questo non 
ha 
impugnato la 
sentenza, che 
pertanto ai 
sensi 
di 
legge 
� 
divenuta 
definitiva 
ed esecutiva, con conseguente trascrizione nel registro dello Stato Civile. 


Il 
21 marzo 2016 la 
notizia 
� 
stata 
divulgata 
dai 
media 
nazionali 
ed � 
divenuta 
di 
dominio pubblico, in un periodo in cui 
la 
tematica 
dell�adozione 
da 
parte 
delle 
coppie 
omosessuali 
era 
al 
centro di 
un acceso dibattito politico e 
sociale, 
anche 
per 
la 
concomitanza 
della 
discussione 
in 
Parlamento 
della 
legge 
sulle unioni omosessuali (approvata poi con la legge 20 maggio 2016 n. 76). 


Avverso 
tale 
sentenza 
e 
ben 
oltre 
i 
termini 
di 
legge 
ha 
fatto 
ricorso 
il 
Procuratore 
Generale 
presso 
la 
Corte 
d�Appello 
di 
Roma, 
chiedendo 
di 
dichiarare 
nulla 
l�adozione 
speciale. 
A 
sostegno 
dell�impugnazione 
ed 
in 
particolare 
della 
legittimazione 
a 
proporre 
appello 
concorrente 
o 
in 
luogo 
di 
quella 
del 
Pubblico 
ministero presso il 
giudice 
a quo 
� 
stato argomentato che 
la 
denominazione 
di 


P.m. 
indicata 
nella 
normativa 
di 
riferimento 
sarebbe 
dovuta 
essere 
interpretata 
come 
riferita 
sia 
al 
Procuratore 
della 
Repubblica 
presso 
il 
Tribunale 
sia 
al 
Procuratore 
Generale 
presso 
la 
Corte 
d�Appello 
sia 
al 
Procuratore 
Generale 
presso 
la 
Corte 
di 
Cassazione. Secondo la 
Procura, infatti, le 
regole 
generali 
relative 
al 
ruolo ed ai 
poteri 
del 
P.m. nei 
giudizi 
civili 
sono da 
rinvenire 
negli 
artt. 69 
e 
ss. del 
c.p.c. e 
segnatamente 
nell�art. 72 c.p.c., in cui 
per le 
cause 
matrimoniali 
diverse 
dalle 
cause 
di 
separazione 
personale 
sarebbe 
prevista 
la 
legitti(*) 
Avv., 
Dottore 
di 
ricerca 
in 
Giustizia 
costituzionale 
e 
tutela 
dei 
diritti 
fondamentali 
(Universit� 
di 
Pisa), gi� praticante presso l�Avvocatura Generale dello Stato. 



CoNTENzIoSo 
NAzIoNALE 


mazione 
a 
proporre 
appello 
sia 
per 
il 
P.m. 
presso 
il 
giudice 
a 
quo 
sia 
per 
quello 
presso il 
giudice 
ad quem. La 
legge 
sulle 
adozioni 
non conterrebbe 
alcuna 
limitazione 
in tal senso. 


La 
Procura 
non ha 
taciuto l�esistenza 
di 
una 
giurisprudenza 
della 
Corte 
di 
Cassazione 
che 
esplicitamente 
ha 
ricondotto 
la 
competenza 
esclusivamente 
in capo al 
pubblico ministero presso il 
giudice 
che 
adottato il 
provvedimento 
impugnabile 
(Corte 
di 
Cassazione 
n. 6856 del 
17 giugno 1995), tuttavia 
ha 
ritenuto 
che 
questa 
fosse 
superabile 
perch� 
- a 
suo dire 
- datata 
e 
non suffragata 
da una motivazione sufficiente. 


Quanto 
al 
tempo 
dell�impugnazione, 
l�appellante 
ha 
eccepito 
che 
nei 
suoi 
confronti 
non era 
decorso il 
termine 
per impugnare, avendo avuto comunicazione 
della sentenza solo il 30 marzo 2016. 


Nel 
merito, 
invece, 
� 
stato 
eccepito: 
�1-carente 
e 
apparente 
motivazione, 
nullit� del 
procedimento per 
difetto di 
istruttoria e 
indagine 
della situazione 
e 
composizione 
familiare; 2- nullit� per 
omessa nomina di 
un curatore 
speciale 
del 
minore 
ai 
sensi 
dell�art. 
78 
c.p.c; 
3-errore 
nell�applicazione 
dell�art. 
44 lett. d) della l. 184/83; 4- mancata valutazione 
della sussistenza dell�interesse 
del minore�. 


In 
questa 
nota 
ci 
si 
soffermer� 
sull�eccezione 
processuale, 
relativa 
alla 
legittimit� 
in 
capo 
al 
Procuratore 
Generale, 
perch� 
� 
quella 
su 
cui 
ha 
deciso 
la 
Corte 
d�Appello 
con 
la 
sentenza 
in 
oggetto. 
Tuttavia, 
incidenter 
tantum, 
non 
pu� 
esser 
taciuto 
che 
con 
ogni 
probabilit� 
anche 
le 
motivazioni 
di 
merito 
non 
avrebbero 
avuto 
sorte 
migliore, 
in 
considerazione 
della 
giurisprudenza 
sul 
punto 
(ci 
si 
riferisce, 
fra 
le 
tante, 
segnatamente 
alle 
sentenze 
della 
Corte 
d�Appello 
di 
Roma 
23 
dicembre 
2015 
e 
della 
Cass. 
n. 
12962 
del 
26 
maggio 
2016, 
ma 
si 
vedano 
anche 
Corte 
di 
Cassazione 
n. 
13525 
del 
5 
aprile 
2016, 
Corte 
di 
Cassazione 


n. 
19599 
del 
30 
settembre 
2016 
e 
Corte 
Costituzionale 
n. 
225 
del 
5 
ottobre 
2016 
-quest�ultima 
sul 
diritto 
del 
�genitore 
sociale� 
a 
mantenere 
rapporti 
con 
il 
minore) 
e 
le 
numerose 
pronunce 
della 
Corte 
europea 
dei 
diritti 
dell�uomo 
(v. 
infra). 
Venendo, quindi, all�eccezione 
pregiudiziale, questa 
appare 
per la 
verit� 
nel 
complesso 
un 
tentativo 
tardivo, 
(ci 
sia 
consentito) 
piuttosto 
maldestro 
giuridicamente, 
di 
porre 
rimedio ad una 
decisione 
evidentemente 
non condivisa 


-di 
non impugnare 
- fatta 
dal 
Pubblico ministero minorile 
presso il 
Tribunale 
per i minorenni di Roma. 
Infatti, 
diversamente 
dal 
processo 
penale 
-in 
cui 
al 
P.m. 
� 
attribuita 
la 
titolarit� 
della 
correlativa 
azione 
nell'interesse 
dello 
Stato 
-nel 
processo 
civile, 
che 
� 
processo 
privato 
di 
parti, 
la 
presenza 
del 
P.m. 
ha 
carattere 
eccezionale, 
perch� 
derogatoria 
del 
potere 
dispositivo 
delle 
parti 
stesse, 
risultando 
normativamente 
prevista 
solo 
in 
ipotesi 
peculiari 
di 
controversie 
coinvolgenti 
anche 
un 
"interesse 
pubblico". 


Proprio in correlazione 
al 
rilievo che 
in determinate 
tipologie 
di 
giudizi 
� 
attribuito "pubblico interesse", le 
funzioni 
del 
P.m. in sede 
civile 
sono graduate 
dal 
legislatore 
nelle 
forme 
dell'intervento 
volontario 
(art. 
70, 
comma 



RASSEGNA 
AVVoCATURA 
DELLo 
STATo - N. 4/2016 


terzo, c.p.c.), dell'intervento necessario (nelle 
cause 
davanti 
alla 
Corte 
di 
Cassazione 
e 
nelle 
cause, tra 
l'altro, relative 
allo "stato e 
capacit� 
delle 
persone", 
di 
cui, 
rispettivamente, 
ai 
commi 
secondo 
e 
primo, 
n. 
3, 
del 
citato 
art. 
70 
c.p.c.) 
oppure 
anche 
del 
potere 
di 
azione, ove 
questo, ai 
sensi 
del 
precedente 
art. 69 
del 
codice 
di 
procedura 
civile, sia 
espressamente 
previsto dalla 
legge 
(come 
nei 
casi, ad esempio, delle 
azioni 
per la 
nomina 
di 
un curatore 
speciale 
all'incapace, 
per la 
sostituzione 
dell'amministratore 
del 
patrimonio familiare, per 
l'apposizione 
di 
sigilli 
relativamente 
a 
beni 
ereditari, di 
cui 
agli 
artt. 79, 735, 
754 c.p.c., oppure 
in relazione 
alle 
azioni 
per l'annullamento di 
deliberazioni 
sociali 
illegittime, per la 
nomina 
di 
un curatore 
allo scomparso, per la 
dichiarazione 
di 
assenza 
e 
di 
morte 
presunta, per la 
dichiarazione 
di 
interdizione, di 
cui, rispettivamente, agli artt. 23, 48, 50, 58, 85 cod. civ., ecc.). 

Il 
potere 
di 
impugnazione 
del 
P.m. 
� 
poi 
specificamente 
disciplinato 
(come 
ancor 
pi� 
penetrante 
in 
forma 
di 
suo 
coinvolgimento 
nel 
processo 
civile) 
dal-
l'art. 
72 
c.p.c. 
che, 
testualmente, 
lo 
limita 
alle 
"sentenze 
relative 
a 
cause 
matrimoniali" 
(escluse 
quelle 
di 
separazione) 
ed 
alle 
"sentenze 
che 
dichiarino 
l'efficacia 
o 
l'inefficacia 
di 
sentenze 
straniere 
relative 
a 
cause 
matrimoniali". 


Per esegesi 
giurisprudenziale 
la 
facolt� 
di 
impugnazione 
� 
stata 
per altro 
riconosciuta 
al 
P.m. anche 
in relazione 
alle 
cause 
che 
(ex art. 69 c.p.c.) egli 
avrebbe 
potuto 
proporre, 
sul 
rilievo 
che 
il 
potere 
di 
azione 
trovi 
il 
suo 
naturale 
complemento in quello, appunto, di 
appello della 
sentenza 
che 
abbia 
deciso 
in senso difforme alla prospettazione dell'attore. 

� 
altrettanto fermo, per�, nella 
stessa 
giurisprudenza 
il 
principio per cui, 
fuori 
di 
tali 
ipotesi, - e 
quindi 
anche 
nelle 
cause 
in cui 
il 
P.m. pur deve 
intervenire 
a 
pena 
di 
nullit� 
- egli 
non �, comunque, legittimato all�impugnazione 
(cfr. 
Corte 
di 
Cassazione, 
Sezioni 
Unite 
Civili, 
n. 
27145 
del 
13 
novembre 
2008, Pres. Carbone, Rel. morelli). 


Pertanto, nel 
processo civile 
il 
potere 
di 
impugnazione 
del 
pubblico ministero 
riveste 
carattere 
eccezionale 
ed 
� 
esercitabile 
solo 
nei 
casi 
espressamente 
previsti 
dalla 
legge 
(cfr. 
Corte 
di 
Cassazione 
n. 
487 
del 
13 
gennaio 
2014; 
Corte di Cassazione n. 13281 del 7 giugno 2006). 


Il 
quinto 
comma 
dell�art. 
72 
c.p.c. 
stabilisce, 
inoltre, 
che 
il 
potere 
di 
proporre 
appello 
spetta 
in 
concreto 
-nelle 
cause 
di 
cui 
ai 
commi 
terzo 
e 
quarto 
e 
soltanto 
in 
quelle 
-�sia 
al 
pubblico 
ministero 
presso 
il 
giudice 
che 
ha 
pronunciato 
la 
sentenza 
e 
sia 
a 
quello 
presso 
il 
giudice 
competente 
a 
decidere 
sull�impugnazione�. 


Nelle 
altre 
cause, invece, il 
potere 
spetta 
solo al 
P.m. presso il 
Giudice 
che 
ha 
pronunciato 
la 
sentenza, 
spettando 
invece 
al 
P.m. 
presso 
il 
Giudice 
dell�impugnazione il potere di compiere gli atti del giudizio impugnatorio. 


Inoltre, 
ai 
sensi 
dell'articolo 
70 
primo 
comma 
dell�ordinamento 
giudiziario 
(R.D. 30 gennaio 1941, n. 12): 
�le 
funzioni 
del 
pubblico ministero sono 
esercitate 
dal 
procuratore 
generale 
presso la corte 
di 
cassazione, dai 
procuratori 
generali 
della 
Repubblica 
presso 
le 
corti 
di 
appello, 
dai 
procuratori 



CoNTENzIoSo 
NAzIoNALE 


della 
Repubblica 
presso 
i 
tribunali 
per 
i 
minorenni 
e 
dai 
procuratori 
della 
Repubblica 
presso i tribunali ordinari�. 


La 
disposizione 
riconduce 
espressamente 
i 
poteri 
e 
le 
facolt� 
inerenti 
le 
funzioni 
di 
pubblico ministero all�ufficio funzionante 
presso il 
giudice 
procedente, 
salva diversa indicazione fornita dalla legge. 

Pertanto, in applicazione 
di 
quanto disposto dal 
sistema 
normativo e 
con 
motivazione 
chiara 
ed 
esauriente 
la 
Corte 
di 
Cassazione, 
con 
la 
sentenza 
n. 
6856 del 
17 giugno 1995, ha 
statuito che: 
�Dal 
disposto dell'art. 70 dell'ordinamento 
giudiziario, approvato con R.D. 30 gennaio 1941, n. 12 - a norma 
del 
quale 
le 
funzioni 
del 
pubblico ministero presso la Corte 
suprema di 
Cassazione 
e 
presso 
le 
corti 
d'appello 
sono 
esercitate 
da 
procuratori 
generali 
della 
Repubblica 
e 
presso 
i 
tribunali 
da 
procuratori 
della 
Repubblica 
-deriva 
che 
la legittimazione 
dell'ufficio del 
pubblico ministero si 
determina con riferimento 
al 
giudice 
competente 
a conoscere 
della domanda e 
spetta a quello 
funzionante 
presso 
tale 
giudice, 
e 
che 
la 
legittimazione 
ad 
operare 
nel 
singolo 
processo si 
trasferisce, nelle 
fasi 
d'impugnazione, all'ufficio del 
pubblico ministero 
funzionante 
presso 
il 
giudice 
del 
gravame. 
Pertanto, 
salvo 
deroghe 
espressamente 
previste 
(il 
ricorso nell'interesse 
della legge 
e 
le 
impugnazioni 
nei 
casi 
previsti 
dai 
commi 
terzo 
e 
quarto 
dell'art. 
72 
c.p.c.), 
legittimato 
a 
proporre 
l'impugnazione 
� 
l'ufficio funzionante 
presso il 
giudice 
che 
ha pronunciato 
la sentenza, anche 
se, proposta l'impugnazione, chi 
deve 
poi 
compiere 
i 
relativi 
atti 
nella fase 
di 
gravame 
� 
l'ufficio funzionante 
presso il 
giudice 
del-
l'impugnazione� 
(Nella 
specie, la 
S.C., in applicazione 
dell'enunciato principio, 
ha 
dichiarato 
inammissibile 
il 
ricorso 
per 
cassazione 
proposto 
dal 
procuratore 
della 
Repubblica 
presso 
il 
tribunale 
avverso 
una 
sentenza 
della 
corte d'appello in tema di atti dello stato civile). 


Il 
principio � 
stato poi 
ribadito anche 
dalla 
sentenza 
Cass. n. 7416 del 
5 
luglio 1995, secondo la 
quale 
il 
Procuratore 
della 
Repubblica 
presso il 
Tribunale 
che 
ha 
emesso la 
sentenza 
impugnata 
� 
il 
solo pubblico ministero titolare 
del potere di impugnare la decisione di primo grado. 


Non solo, ma 
il 
fatto che 
non sia 
possibile 
interpretare 
l'indicazione 
del 


P.m. come 
facente 
riferimento indifferentemente 
sia 
a 
quello presso il 
giudice 
a 
quo 
che 
a 
quello 
presso 
il 
giudice 
ad 
quem 
� 
confermato 
anche 
dalla 
costante 
giurisprudenza di legittimit� che mantiene distinti i rispettivi uffici. 
Si 
veda, ad esempio, la 
sentenza 
della 
Corte 
di 
Cassazione 
n. 23379 del 
9 novembre 
2007, la 
quale 
ha 
affermato che 
nel 
procedimento di 
divorzio con 
figli 
minori 
o incapaci 
ai 
sensi 
della 
legge 
898/70 il 
P.m. � 
litisconsorte 
necessario 
insieme 
alle 
parti 
private 
ed � 
titolare 
di 
un autonomo potere 
di 
impugnazione 
in 
relazione 
agli 
interessi 
patrimoniali 
degli 
stessi 
figli. 
Conseguentemente 
secondo la 
Corte, se 
uno dei 
coniugi 
ha 
proposto appello 
avverso 
un 
capo 
della 
sentenza 
di 
primo 
grado, 
riguardante 
i 
predetti 
interessi, 
il 
relativo atto di 
appello deve 
essere 
notificato anche 
al 
P.m. presso il 
Tribu



RASSEGNA 
AVVoCATURA 
DELLo 
STATo - N. 4/2016 


nale 
e, in difetto di 
notifica, il 
giudice 
di 
secondo grado deve 
disporre 
l'integrazione 
del 
contraddittorio 
nei 
suoi 
confronti 
a 
norma 
dell'art. 
331 
c.p.c.; 
tale 
integrazione 
� 
necessaria 
anche 
quando nel 
giudizio sia 
ritualmente 
intervenuto 
il 
P.G. presso la 
Corte 
d'Appello, atteso che 
il 
P.m. presso il 
giudice 
ad 
quem 
non ha 
il 
potere 
di 
impugnare 
la 
sentenza 
di 
primo grado, e, pertanto, 
dal 
suo 
intervento 
non 
possono 
conseguire 
gli 
effetti 
cui 
� 
intesa 
l'integrazione 
del contraddittorio, ai sensi dell'articolo del c.p.c. suddetto. 


Nella 
sentenza 
della 
Corte 
d�Appello 
di 
Roma 
del 
23 
novembre 
2016, 
qui 
in commento, il 
Collegio ha 
prima 
individuato le 
norme 
applicabili 
alla 
fattispecie 
e 
cio� 
l�art. 56 della 
legge 
sulle 
adozioni 
(L. n. 184/1983), che 
a 
sua 
volta 
rinvia 
alla 
disciplina 
prevista 
dagli 
artt. 313 e 
314 del 
c.c. sull�adozione 
dei 
maggiorenni. 
Successivamente, 
in 
perfetta 
sintonia 
con 
il 
quadro 
giuridico sopra 
delineato, ha 
interpretato la 
legittimazione 
all�impugnazione 
del 
pubblico 
ministero 
ai 
sensi 
dell�art. 
313 
c.c. 
come 
riferibile 
esclusivamente 
a quello presso il giudice 
a quo. 

La 
cd 
doppia 
impugnazione, 
precisa 
la 
Corte, 
� 
infatti 
una 
scelta 
fatta 
dal 
legislatore 
solo 
in 
determinate 
materie, 
�ma 
in 
presenza 
di 
una 
disposizione 
che 
attribuisca 
la 
facolt� 
di 
impugnazione 
al 
�pubblico 
ministero� 
senza 
altro 
aggiungere 
o 
precisare 
deve 
trovare 
applicazione 
il 
principio 
generale 
desumibile 
dall�art. 
72, 
1 
comma 
c.p.c. 
(�) 
secondo 
il 
quale 
il 
diritto 
di 
impugnazione 
spetta 
esclusivamente 
al 
pubblico 
ministero 
presso 
il 
giudice 
a 
quo, 
perch� 
egli 
soltanto 
si 
pone 
nella 
veste 
di 
attore 
o 
di 
interventore 
nella 
fase 
processuale 
che 
si 
� 
conclusa 
con 
la 
pronuncia 
impugnata 
ed 
� 
conseguenzialmente 
equiparabile 
alle 
parti 
private. 
Dunque, 
in 
linea 
generale 
nel 
processo 
civile 
il 
Pg 
pu� 
impugnare 
solo 
ed 
esclusivamente 
le 
sentenze 
di 
primo 
grado 
in 
materia 
matrimoniale 
ai 
sensi 
dell�art. 
72, 
v 
comma 
c.p.c, 
con 
esclusione 
di 
tutte 
le 
altre�. 


Quindi, in materia 
di 
adozione 
e 
a 
maggior ragione 
nei 
procedimenti 
di 
adozione 
in casi 
particolari, in cui 
non � 
neanche 
previsto un potere 
di 
iniziativa 
processuale 
del 
pubblico 
ministero 
minorile 
di 
primo 
grado, 
il 
Procuratore 
Generale non � legittimato a proporre impugnazione. 


D�altronde 
questo principio di 
diritto � 
stato sempre 
applicato sul 
territorio 
nazionale, in primis 
dalla 
stessa 
Procura 
Generale 
presso la 
Corte 
d�Appello 
di 
Roma. 
Sarebbe 
abbastanza 
contraddittorio 
che 
il 
Procuratore, 
pur 
ritenendo tale interpretazione 
contra legem, l�abbia esso stesso �tollerata�. 


Infatti, 
l�interesse 
pubblico 
alla 
verifica 
della 
sussistenza 
dell�interesse 
del 
minore 
al 
riconoscimento 
giuridico 
di 
un 
rapporto 
di 
fatto 
gi� 
esistente 
con 
il 
richiedente 
l�adozione 
� 
presente 
in tutti 
i 
procedimenti 
di 
adozione 
in casi 
particolari. Ci� nonostante, solo in questa 
specifica 
fattispecie 
la 
Procura 
Generale 
ha 
ritenuto dovesse 
essere 
applicata 
un�interpretazione 
differente 
della 
normativa. In tal 
modo, sostanzialmente 
identificando nell�orientamento sessuale 
dell�adottante 
e 
del 
padre 
biologico del 
minore 
l�elemento differenziale 
rispetto gli altri casi, tale da giustificare la sua proposizione del gravame. 



CoNTENzIoSo 
NAzIoNALE 


Tuttavia, 
tale 
ricostruzione, 
non 
solo 
si 
discosta 
come 
indicato 
dal 
quadro 
normativo 
disciplinante 
il 
potere 
di 
impugnazione 
del 
P.G., 
ma 
viola 
altres� 
l�art. 2 Cost. che 
tutela 
i 
diritti 
fondamentali 
della 
persona 
sia 
come 
singolo 
sia 
nelle 
formazioni 
sociali 
(e 
in 
queste 
rientrano 
anche 
le 
unioni 
omosessuali, 
si 
vedano le 
sentenze 
della 
Corte 
Costituzionale 
n. 138 del 
14 aprile 
2010 e 
n. 
170 dell�11 giugno 2014 e 
l�art. 1, comma 
1 Legge 
71 del 
20 maggio 2016 
sulle 
Unioni 
civili), il 
principio di 
uguaglianza 
ed il 
principio del 
giusto processo 
sanciti dalla Costituzione (artt. 3 e 111). 


In 
particolare, 
al 
primo 
comma 
dell�art. 
3 
della 
Costituzione 
sono 
indicate 
una 
serie 
di 
discriminazioni 
tipiche 
vietate 
dalla 
Costituzione. 
Si 
tratta 
di 
un 
elenco 
che, 
seppur 
non 
tassativo, 
indica 
il 
cd 
�nucleo 
forte� 
del 
principio 
di 
uguaglianza, 
cio� 
una 
serie 
di 
qualit� 
(sesso, 
razza, 
lingua, 
religione 
ecc.) 
che 
il 
legislatore 
e 
l�interprete 
del 
diritto 
sono 
tenuti 
a 
non 
considerare 
come 
eventuali 
presupposti 
giustificativi 
per 
operare 
scelte 
legislative/interpretative 
differenziate. 


Si 
crea 
dunque 
una 
�presunzione 
di 
incostituzionalit�� 
della 
legge 
o 
delle 
interpretazioni 
di 
questa 
che 
introducessero 
un 
trattamento 
normativo 
differenziato 
in 
ragione 
di 
uno 
di 
detti 
profili, 
con 
onere 
-sindacabile 
-del 
legislatore 
o 
dell�interprete 
di 
provarne 
la 
legittimit� 
dimostrandone 
la 
non 
arbitrariet�, 
razionalit� 
e 
congruenza 
con 
il 
sistema 
normativo 
nell�ambito 
del 
bilanciamento 
tra 
i 
diversi 
principi 
costituzionali 
coinvolti. 
Tale 
scrutinio 
di 
ragionevolezza 
�deve 
essere 
tanto 
pi� 
intenso 
e 
pi� 
rigoroso 
quanto 
� 
pi� 
rilevante, 
come 
nella 
specie, 
il 
diritto 
su 
cui 
incide� 
(Corte 
costituzionale 
n. 
519 
del 
1995). 


In questo caso, in mancanza 
di 
adeguata 
motivazione 
si 
incorrerebbe 
in 
un�inammissibile 
valutazione 
negativa 
fondata 
esclusivamente 
sull�orientamento 
sessuale 
(cfr. 
Cassazione, 
sent. 
n. 
12926 
del 
26 
maggio 
2016), 
violando 
non 
solo, 
il 
testo 
costituzionale, 
ma 
anche 
la 
Carta 
dei 
diritti 
fondamentali 
dell�Unione 
europea 
(art. 21) e 
la 
Convezione 
europea 
per la 
salvaguardia 
dei 
diritti dell�uomo e delle libert� fondamentali (artt. 6, 8 e14). 


Il 
principio di 
non discriminazione, sancito dall�art. 3 Cost., � 
ormai 
inserito, 
infatti, 
in 
un 
�sistema 
multilivello� 
di 
garanzia 
(cfr. 
Corte 
costituzionale 


n. 317 del 2009). 
La 
Carta 
dei 
diritti 
fondamentali 
dell�Unione 
europea, i 
cui 
principi 
sono 
stati 
recepiti 
dall�art. 6 del 
Trattato sull�Unione 
europea 
che 
le 
attribuisce 
lo 
stesso valore 
giuridico dei 
Trattati, ha 
cancellato la 
diversit� 
di 
sesso dai 
requisiti 
per la 
legittima 
costituzione 
di 
una 
famiglia 
(art. 9) e 
ha 
vietato ogni 
discriminazione basata su �l�orientamento sessuale� (art. 21). 


� 
poi 
giurisprudenza 
consolidata 
della 
Corte 
Edu 
quella 
secondo 
cui 
una 
disparit� 
di 
trattamento 
fondata 
sull�orientamento 
sessuale 
degli 
interessati, 
per 
risultare 
ammissibile, 
richiede 
giustificazioni 
particolarmente 
chiare 
e 
circostanziate 
(si 
vedano 
fra 
le 
altre 
vallianatos 
e 
altri 
contro 
grecia, 
Grande 
Camera, 
del 
7 novembre 
2013 -Ricorsi 
n. 29381/09 e 
n. 32684/09, � 77; 
e.B. 
contro 
Francia, 
Grande 
camera, 
del 
22 
gennaio 
2008, 
ricorso 
n. 
43546/02 
� 
9). 



RASSEGNA 
AVVoCATURA 
DELLo 
STATo - N. 4/2016 


Le 
medesime 
considerazioni 
sono 
svolte 
dalla 
Corte 
EDU 
per 
quanto 
riguarda 
il 
combinato 
disposto 
dell�art. 
14 
e 
dell�art. 
6, 
comma 
1 
CEDU. 
Come 
ribadito, 
ad 
esempio, 
nel 
caso 
Paraskeva 
todorova 
c. 
Bulgaria, 
sentenza 
del 
26 
marzo 
2010, 
ricorso 
n. 
37193/07, 
pur 
non 
rientrando 
fra 
i 
compiti 
della 
Corte 
sostituirsi 
alle 
giurisdizioni 
interne 
nella 
valutazione 
dei 
fatti 
di 
causa 
e 
nel-
l�interpretazione 
del 
diritto 
interno, 
questa 
� 
tenuta 
comunque 
a 
garantire 
che 
la 
procedura 
seguita 
nella 
trattazione 
del 
caso 
sia 
stata 
equa, 
anche 
sotto 
il 
punto 
di 
vista 
del 
divieto 
di 
discriminazione 
previsto 
dall�art. 
14 
CEDU. 
Questo, 
infatti, 
come 
gi� 
indicato, 
vieta 
qualsiasi 
differenza 
ingiustificata 
nel 
godimento 
dei 
diritti 
e 
delle 
libert� 
garantiti 
dalla 
Convenzione 
sulla 
base 
dei 
criteri, 
non 
esaustivi, 
indicati 
nello 
stesso 
articolo, 
fra 
cui 
rientra 
l�orientamento 
sessuale. 


Per 
quanto 
riguarda 
l�art. 
8 
della 
CEDU 
� 
sufficiente 
in 
questa 
sede 
indicare 
la 
recente 
sentenza 
oliari 
e 
altri 
c. 
italia 
del 
21 
luglio 
2015, 
ricorsi 
nn. 
18766/11 
e 
36030/11, 
nella 
quale 
la 
Corte 
EDU 
richiama 
la 
propria 
recente 
giurisprudenza 
in 
tema 
di 
diritti 
delle 
coppie 
same 
sex 
(schalk 
and 
Kopf 
e 
vallianatos) 
e 
ribadisce 
che 
le 
coppie 
formate 
da 
persone 
dello 
stesso 
sesso 
hanno 
la 
medesima 
capacit� 
di 
dare 
vita 
ad 
una 
relazione 
stabile 
tutelata 
dall�art. 
8 
della 
Convenzione. 


Nella 
fattispecie 
oggetto 
della 
presente 
nota, 
quindi, 
l�interpretazione 
della 
normativa 
che 
rispetti 
la 
disciplina 
prevista 
dalla 
legge 
sui 
poteri 
del 
P.G., 
la 
Costituzione 
e 
le 
norme 
sovranazionali 
non pu� che 
essere 
quella 
stabilita 
dalla Corte d�Appello con la sentenza del 23 novembre 2016. 


Non sussiste 
alcun ragionevole 
motivo, per cui 
in questo caso ci 
si 
debba 
discostare 
dal 
quadro giuridico vigente, introducendo di 
fatto una 
discriminazione 
illegittima, oltre che un�evidente violazione di legge. 


Corte 
di 
appello 
di 
Roma, 
Sezione 
Minorenni, 
sentenza 
23 
novembre 
2016 
-Pres. 
est. 
Rosaria 
Ricciardi 
-Procuratore 
Generale 
della 
Repubblica 
presso 
la 
Corte 
d'Appello 
di 
Roma 


c. (...) (avv.ti Figone e menichetti). 
in fatto e in diritto 


Con sentenza 
... il 
Tribunale 
per i 
minorenni 
di 
Roma, previo parere 
sfavorevole 
del 
P.m.m., 
su ricorso di 
..., visto l'art. 44 lett. d) della 
legge 
n. 184/1983 come 
modificato dalla 
Legge 
149/2001 ha 
dichiarato farsi 
luogo all'adozione 
di 
... da 
parte 
di 
... disponendo che 
il 
minore 
aggiunga 
il 
cognome 
dell'adottante 
al 
proprio e 
si 
denomini 
..., ha 
ordinato la 
comunicazione 
per 
esteso 
al 
ricorrente, 
a1 
padre 
del 
minore, 
al 
municipio 
Roma, 
una 
volta 
divenuta 
esecutiva 
all'Ufficiale dello Stato civile del Comune di Roma per la trascrizione di rito. 
Avverso 
tale 
sentenza 
con 
ricorso 
ha 
proposto 
appello 
il 
Procuratore 
Generale 
presso 
la 
Corte 
di 
Appello di 
Roma 
ed ha 
chiesto dichiarare 
nulla 
l'adozione 
speciale 
di 
.... nei 
confronti 
del 
minore non ricorrendone i presupposti di legge. 
L'appellante 
ha 
dedotto a 
sostegno dell'appello, quanto alla 
legittimazione 
attiva 
del 
Procuratore 
Generale 
presso la 
Corte 
d'Appello a 
proporre 
appello concorrente 
o in luogo di 
quella 
del 
Pmm 
di 
primo grado, che 
con la 
denominazione 
di 
Pm 
devono identificarsi 
sia 
il 
Procuratore 
della 
Repubblica 
presso 
il 
Tribunale 
-Pmm 
-sia 
il 
Procuratore 
Generale 
presso 
la 



CoNTENzIoSo 
NAzIoNALE 


Corte 
d' 
Appello, sia 
il 
Procuratore 
Generale 
presso la 
Corte 
di 
Cassazione 
e 
che 
le 
regole 
generali 
del 
ruolo 
del 
Pm 
nel 
processo 
civile 
sono 
dettate 
dagli 
artt. 
69 
e 
segg. 
c.p.c. 
ed 
in 
specie 
prevedendo l'art. 72 c.p.c. per le 
cause 
matrimoniali 
diverse 
dalla 
separazione 
personale 
che 
possa 
presentare 
appello sia 
il 
Pm 
del 
giudice 
a 
quo, sia 
il 
Pm 
del 
giudice 
ad quem, laddove 
nella 
legge 
sulle 
adozioni 
non era 
contenuta 
alcuna 
limitazione 
della 
facolt� 
di 
impugnare 
in 
appello al 
solo Pm 
di 
primo grado e 
la 
contraria 
sentenza 
della 
S.C. n. 6856/1995 che 
indica 
invece 
una 
competenza 
riservata 
al 
solo ufficio del 
Pm 
presso il 
giudice 
a 
quo, oltre 
ad esser 
alquanto datata non era sorretta da esauriente motivazione. 
L'appellante 
ha 
dedotto, altresi, quanto al 
tempo dell'impugnazione 
che 
la 
cancelleria 
del 
Tm 
aveva 
apposto 
la 
dicitura 
dell'irrevocabilit� 
per 
il 
decorso 
dei 
termini 
per 
impugnare 
dalla 
notifica 
per esteso alle 
parti, tuttavia 
per l'ufficio del 
PG 
presso la 
Corte 
d'Appello il 
termine 
per impugnare 
non era 
decorso non essendo stata 
effettuata 
la 
notifica 
della 
sentenza 
se 
non 
all'esito di 
espressa 
richiesta 
inoltrata 
dallo stesso ufficio del 
PG 
alla 
cancelleria 
la 
quale 
vi 
aveva 
provveduto 
in 
data 
30 
marzo 
2016 
con 
la 
trasmisione 
di 
copia 
della 
sentenza. 
N� 
in 
proposito valeva 
al 
riguardo la 
circostanza 
che 
le 
prassi 
degli 
uffici, Tm 
e 
Procura 
Generale, 
erano state finora di non notificare le sentenze di adozione, prassi tollerata dal secondo. 
L'appellante 
ha 
dedotto 
nel 
merito: 
1-carente 
e 
apparente 
motivazione, 
nullit� 
del 
procedimento 
per difetto di 
istruttoria, e 
indagine 
non approfondita 
della 
situazione 
e 
composizione 
familiare; 
2-nullit� 
per omessa 
nomina 
di 
un curatore 
speciale 
del 
minore 
ai 
sensi 
dell'art. 78 
c.p.c.; 
3-errore 
nell'applicazione 
dell'art. 44 lett. d) L. 184/1983; 
4-mancata 
valutazione 
della 
sussistenza dell'interesse del minore. 
Si 
sono costituiti 
... con separate 
comparse 
ed hanno eccepito in via 
preliminare 
l'inammissibilit� 
dell'appello per difetto di 
legittimazione 
attiva 
del 
Procuratore 
Generale 
presso la 
Corte 
d'Appello, inammissibilit� 
dell'appello per inosservanza 
dei 
termini 
per impugnare 
scaduti 
il 
18 febbraio 2016, inammissibilit� 
dell'appello per il 
passaggio in giudicato della 
sentenza 
e 
conseguente 
gi� 
intervenuta 
annotazione 
allo 
Stato 
civile. 
In 
subordine 
nel 
merito 
hanno 
chiesto 
il 
rigetto per infondatezza 
dei 
motivi 
sia 
in fatto, sia 
in diritto con vittoria 
di 
spese 
competenze 
ed onorari. 
All'udienza 
dell'8 
novembre 
2016, 
presenti 
le 
parti 
personalmente, 
sulle 
conclusioni 
delle 
parti la Corte ha riservato la decisione. 


osserva la Corte. 


� 
preliminare 
ed assorbente 
su ogni 
altra 
questione 
prospettata 
dalle 
parti 
l'esame 
della 
eccezione 
di 
difetto 
di 
legittimazione 
attiva 
ad 
impugnare 
del 
Procuratore 
Generale 
presso 
la 
Corte 
d'Appello. 
L'eccezione � fondata. 
La 
sentenza 
impugnata 
ha 
ad 
oggetto 
la 
dichiarazione 
di 
farsi 
luogo 
all'adozione 
nei 
casi 
particolari 
... 
da 
parte 
di 
... 
disciplinata 
nel 
titolo 
IV 
della 
legge 
183/1984 
dagli 
art. 
44 
lett. 
D 
e 
seg. 
Dunque, la 
norma 
che 
regola 
l'impugnazione 
avverso la 
sentenza 
� 
l'art. 56 della 
legge 
citata 
che richiama gli art. 313 e 314 cod.civ. 
L'art. 313 cod. civ. al 
secondo comma 
indica 
i 
soggetti 
legittimati 
ad impugnare 
la 
sentenza 
entro 30 giorni dalla comunicazione: l'adottante, il pubblico ministero, l'adottando. 
L'art. 314 cod. civ. attiene 
alla 
pubblicit� 
della 
sentenza 
di 
adozione 
e 
alla 
sua 
trascrizione 
e 
annotazione a cura dell'ufficiale di stato civile. 
La 
tesi 
del 
PG 
appellante 
il 
quale 
sostiene 
che 
il 
Pm 
deve 
identificarsi 
sia 
nel 
Pm 
presso il 
giudice a quo - Pmm - sia nel Pm presso la Corte di appello - PG - non � condivisibile. 
Come 
ha 
chiarito 
la 
giurisprudenza 
di 
legittimit� 
la 
c.d. 
doppia 
impugnazione 
� 
una 
scelta 



RASSEGNA 
AVVoCATURA 
DELLo 
STATo - N. 4/2016 


normativa 
fatta 
dal 
legislatore 
in 
determinate 
materie 
(ad 
es. 
nelle 
cause 
matrimoniali 
ai 
sensi 
dell'art. 72 5 comma 
c.p.c., ove 
si 
statuisce 
che 
"nelle 
ipotesi 
prevedute 
nei 
commi 
terzo e 
quarto la 
facolt� 
di 
impugnazione 
spetta 
tanto al 
pubblico ministero presso il 
giudice 
che 
ha 
pronunciato la 
sentenza 
quanto a 
quello presso il 
giudice 
competente 
a 
decidere 
sull'impugnazione"), 
ma 
in presenza 
di 
una 
disposizione 
che 
attribuisca 
la 
facolt� 
di 
impugnazione 
al 
"pubblico 
ministero" 
senza 
altro 
aggiungere 
o 
precisare, 
deve 
trovare 
applicazione 
il 
principio 
generale 
desumibile 
dall'art. 72 1 comma 
c.p.c. ("il 
pubblico ministero che 
interviene 
nelle 
cause 
che 
avrebbe 
potuto proporre 
ha 
gli 
stessi 
poteri 
che 
competono alle 
parti 
e 
li 
esercita 
nelle 
forme 
che 
la 
legge 
stabilisce 
per 
queste 
ultime"), 
secondo 
il 
quale 
diritto 
di 
impugnazione 
spetta 
esclusivamente 
al 
pubblico 
ministero 
presso 
il 
giudice 
a 
quo, 
poich� 
egli 
soltanto 
si 
pone 
nella 
veste 
di 
attore 
o di 
interventore 
nella 
fase 
processuale 
che 
si 
� 
conclusa 
con la 
pronuncia 
impugnata ed � conseguezialmente equiparabile alle parti private. 
Dunque 
in linea 
generate 
nel 
processo civile 
il 
PG 
pu� impugnare 
solo ed esclusivamente 
le 
sentenze 
di 
primo 
grado 
in 
materia 
matrimoniale 
ai 
sensi 
dell'art. 
72 
V 
comma 
c.pc., 
con 
esclusione di tutte le altre. 
Tali 
principi 
sono 
stati 
pi� 
volte 
affermati 
dalla 
giurisprudenza 
della 
SC, 
vuoi 
nella 
sentenza 
indicata 
dal 
PG 
(Cass. 
6856/1995), 
vuoi 
con 
sentenza 
successiva: 
"la 
legittimazione 
a 
proporre 
impugnazione 
da 
parte 
dell'ufficio 
del 
Pubblico 
Ministero 
si 
determina 
avendo 
riguardo 
all�ufficio 
funzionante 
presso 
il 
giudice 
che 
ha 
pronunciato 
la 
sentenza, 
salvo 
deroghe 
espresse: 
anche 
se, 
proposta 
l'impugnazione 
stessa, 
legittimato 
a 
compiere 
i 
relativi 
atti 
nella 
fase 
di 
gravame 
� 
l�ufficio 
funzionante 
presso 
il 
giudice 
dell'impugnazione" 
(cos�: 
Cass. 
i 
2236/2003). 


A 
nulla 
giova 
che 
nel 
processo 
penale 
sia 
prevista 
la 
titolarit� 
della 
correlativa 
azione 
nell'interesse 
dello 
Stato, 
con 
legittimazione 
concorrente 
del 
Pm 
presso 
il 
giudice 
a 
quo 
e 
del 
PG 
presso 
il 
giudice 
ad 
quem 
e 
autonoma 
del 
PG 
ex 
art. 
570 
c.p.p. 
in 
quanto 
nel 
processo 
civile, 
che 
� 
processo 
privato 
delle 
parti, 
la 
presenza 
del 
Pm 
ha 
carattere 
eccezionale 
perch� 
derogatoria 
del 
potere 
dispositivo 
delle 
parti 
stesse, 
risultando 
normativamente 
prevista 
solo 
in 
ipotesi 
peculiari 
di 
controversie 
coinvolgenti 
anche 
un 
�interesse 
pubblico" 
(cosi 
Cass. 
Sez. 
Un. 
27145/2008). 
Da 
tanto 
consegue 
come 
in 
mancanza 
di 
una 
previsione 
contraria 
che 
abiliti 
anche 
il 
PG 
presso 
la 
Corte 
di 
Appelto 
all�impugnazione 
delle 
sentenze 
in 
materia 
adozionale 
pronunciate 
in 
primo grado non potr� 
che 
trovare 
applicazione 
la 
regola 
generale 
precedentemente 
esposta 
di 
cui 
al 
quinto comma 
dell'art. 72 cpc, ovvero il 
PG 
ha 
la 
legittimazione 
concorrente 
con il 
Pm 
all'impugnazione 
delle 
sentenze 
di 
primo 
grado 
solo 
ed 
esclusivamente 
rese 
nella 
materia 
matrimoniale. 
Ne 
discende 
che 
il 
PG 
dunque 
non 
� 
legittimato 
ad 
impugnare 
sentenze 
in 
materia 
di 
adozione, 
n� 
a 
fortiori 
quelle 
di 
adozione 
nei 
casi 
particolari 
(per 
le 
quali 
tra 
l'altro 
non 
� 
neppure 
previsto 
il potere del Pmm di iniziativa processuale in primo grado). 
L'appello va dichiarato inammissibile. 
Nulla 
sulle 
spese, 
stante 
la 
qualit� 
di 
parte 
in 
senso 
solo 
formale 
del 
Procuratore 
Generale 
(cos� Cass. gi� citata 27145/2008 e Cass. 12962/2016). 


P.Q.m. 
La 
Corte 
pronunciando sull'appello proposto dal 
Procuratore 
Generale 
presso la 
Corte 
d'Appello 
avverso la 
sentenza 
n. 366/2015 del 
Tribunale 
per i 
minorenni 
di 
Roma, cos� 
provvede: 
- dichiara l�inammiss�bilit� dell�appello. 
- nulla sulle spese. 
Cos� deciso nella camera di consiglio dell�8.11.2016. 

CoNTENzIoSo 
NAzIoNALE 


Il danno ricevuto dai medici specializzandi 
ante 
d.lgs. 257/1991 ed il relativo onere della prova 


Nota 
a 
CoRte 
Di 
aPPello 
Di 
NaPoli, 
PRiMa 
sezioNe 
Civile, 
seNteNza 
2 
DiCeMBRe 
2016 
N. 
4282 


Giuseppe 
Arpaia* 


il 
danno ricevuto da un medico specializzato ante 
1991 per 
non avere 
percepito la borsa di 
studio 
a 
causa 
del 
ritardo 
da 
parte 
del 
legislatore 
italiano 
nella 
attuazione 
delle 
Direttive 
comunitarie 
non pu� presumersi, per 
avere 
lo stesso seguito un corso di 
specializzazione 
rientrante 
tra 
quelli 
previsti 
dalla 
direttiva 
75/362/Cee, 
nonch� 
in 
base 
all'indizio 
presuntivo 
che 
lo 
specializzando 
lo 
avrebbe 
ragionevolmente 
frequentato 
anche 
nel 
diverso 
regime 
conforme 
alle 
prescrizioni 
comunitarie, 
ma 
va, 
al 
contrario, 
provato; 
tale 
danno, 
considerato 
che 
la 
partecipazione 
al 
corso di 
specializzazione 
ante 
1991 era compatibile 
con lo svolgimento di 
altre 
attivit� 
professionali, 
da 
cui 
lo 
specializzando 
poteva 
ricavare 
lucro, 
pu� 
essere 
costituito 
dal 
mancato svolgimento di 
queste 
ultime 
per 
avere 
il 
predetto frequentato a tempo pieno la 
specializzazione 
e 
la prova su tale 
modalit� di 
frequenza, costituente 
il 
danno, grava sullo 
specializzato, diversamente 
da quanto affermato dal 
giudice 
di 
primo grado, che 
aveva ritenuto 
fosse 
onere 
dell'amministrazione, quale 
soggetto inadempiente, provare 
che 
lo specializzando 
avesse 
percepito 
altri 
introiti 
(cd. 
aliunde 
perceptum). 
la 
prova 
del 
tempo 
pieno 
deve 
risultare 
da documentazione 
di 
provenienza dall'Universit� attestante 
la frequenza del 
corso 
da parte dello specializzando e le modalit� orarie con cui il corso era organizzato. 


La 
sentenza 
della 
Corte 
di 
Appello 
di 
Napoli, 
che 
si 
commenta, 
ha 
accolto 
l�impugnazione 
proposta 
dall�Avvocatura 
di 
Stato 
avverso 
la 
sentenza 
n. 
1072/13 del 
24 gennaio 2013, resa 
dal 
Tribunale 
di 
Napoli, che 
aveva 
ritenuto 
meritevole 
di 
accoglimento 
la 
domanda 
risarcitoria 
avanzata 
da 
un 
medico, 
che 
aveva 
frequentato dal 
1983 al 
1987 la 
scuola 
di 
specializzazione 
in Pediatria, 
per inadempienza 
dello Stato Italiano nell'attuazione 
tempestiva 
delle 
direttive 
comunitarie, 
consistente 
nella 
mancata 
remunerazione 
dell'attivit� 
professionale 
espletata 
dal 
predetto 
durante 
il 
corso 
di 
specializzazione, 
quantificando 
il 
danno 
in 
via 
equitativa 
secondo 
i 
criteri 
desumibili 
dall'art. 
11 
della 


l. n. 370/99. 
la sentenza di primo grado. 


Il 
Tribunale 
di 
Napoli 
con 
la 
sentenza 
n. 
1072 
del 
24 
gennaio 
2013 
aveva 
affermato, in sintesi, che 
dal 
mancato tempestivo adeguamento della 
legislazione 
interna 
alle 
direttive 
comunitarie 
n. 362 del 
1975 e 
n. 76 del 
1982 discendeva, 
in conformit� 
al 
principio affermato dalla 
Corte 
di 
Giustizia 
con la 
sentenza 
del 
25 
febbario 
1999 
(secondo 
il 
quale 
"il 
diritto 
comunitario 
impone 
agli 
stati 
membri 
di 
risarcire 
i 
danni 
causati 
ai 
singoli 
dalla mancata attua


(*) Avvocato dello Stato. 



RASSEGNA 
AVVoCATURA 
DELLo 
STATo - N. 4/2016 


zione 
di 
una direttiva purch� 
siano soddisfatte 
tre 
condizioni, vale 
a dire 
la 
norma 
violata 
abbia 
lo 
scopo 
di 
attribuire 
diritti 
a 
favore 
dei 
singoli 
il 
cui 
contenuto 
possa 
essere 
identificato, 
che 
la 
violazione 
sia 
sufficientemente 
grave 
e 
che 
esista un nesso di 
causalit� diretta tra la violazione 
dell'obbligo 
imposto allo stato e 
il 
danno subito dal 
soggetto leso�), che 
unico rimedio 
concesso 
agli 
interessati 
era 
l'azione 
di 
risarcimento 
del 
danno, 
consistente 
nella 
perdita 
di 
chance 
di 
ottenere 
i 
benefici 
resi 
possibili 
dalla 
tempestiva 
attuazione 
delle 
predette 
direttive 
e 
ci� 
in 
linea 
con 
quanto 
affermato 
dalla 
Corte 
di 
Cassazione 
(Cass. 10 marzo 2010, n. 5842; 
Cass. SS.UU. 17 aprile 
2009, 


n. 
9147) 
secondo 
cui 
le 
direttive 
in 
questione 
erano 
idonee 
a 
conferire 
alla 
pretesa 
del 
medico 
specializzando 
la 
consistenza 
di 
diritto 
soggettivo 
dalla 
cui 
lesione 
sorge 
l'obbligo di 
risarcire 
tutti 
i 
danni 
che 
ne 
sono conseguiti, tra 
cui 
quello della 
mancata 
percezione 
della 
retribuzione. Tuttavia, aveva 
rilevato il 
Tribunale, l'obbligazione 
in parola 
si 
distingueva 
da 
quella 
risarcitoria 
ex art. 
2043 
c.c. 
per 
la 
peculiarit� 
della 
sua 
fonte, 
essendo 
il 
contenuto 
solo 
lato 
sensu 
risarcitorio: 
al 
danneggiato doveva 
riconoscersi 
un credito di 
natura 
indennitaria 
alla 
riparazione 
del 
pregiudizio subito per effetto del 
cd. fatto illecito del 
legislatore 
rivolto 
a 
compensare, 
senza 
che 
operino 
i 
criteri 
di 
imputabilit� 
per 
dolo 
o 
colpa, 
l'avente 
diritto 
della 
perdita 
subita 
in 
conseguenza 
del 
ritardo 
oggettivamente 
apprezzabile. 
Nella 
fattispecie, 
la 
domanda 
risarcitoria 
poteva 
essere 
accolta, in quanto la 
specializzazione 
frequentata 
dall'attore 
rientrava 
tra 
quelle 
menzionate 
nella 
Direttiva 
75/362/CEE 
e 
tale 
frequenza 
costituiva 
indizio presuntivo che 
lo stesso avrebbe 
frequentato anche 
una 
scuola 
sottoposta 
al 
regime 
conforme 
alle 
prescrizioni 
comunitarie: 
requisito 
quest'ultimo 
che 
integrava 
l'esistenza 
della 
prova 
di 
un danno effettivo subito dall'attore, 
non potendo il 
medico essere 
gravato della 
prova 
di 
non avere 
percepito, durante 
la 
formazione, altre 
remunerazioni 
o borse 
di 
studio, trattandosi 
di 
circostanze 
eventualmente 
rilevanti 
a 
titolo 
di 
aliunde 
perceptum 
il 
cui 
onere 
della 
prova 
andava 
posto 
a 
carico 
del 
soggetto 
inadempiente 
(cfr. 
Cass. 
27 
gennaio 2012, n. 1182). 
Pertanto, 
il 
Giudice 
di 
prime 
cure 
aveva 
condannato 
la 
Presidenza 
del 
Consiglio dei ministri alla liquidazione del danno. 


i motivi di impugnazione. 


La 
predetta 
pronuncia 
� 
stata 
oggetto 
di 
impugnazione, 
in 
quanto 
dal-
l'inadempienza 
dello 
Stato 
italiano 
nell'attuazione 
tempestiva 
delle 
direttive 
riguardanti 
le 
scuole 
di 
specializzazione 
medica 
essa 
ha 
tratto la 
conclusione 
che 
sia 
derivato 
un 
danno 
all'attore 
solo 
per 
avere 
lo 
stesso 
frequentato 
una 
specializzazione 
nominalisticamente 
rientrante 
tra 
quelle 
menzionate 
agli 
articoli 
5 e 
7 della 
direttiva 
75/362/CEE, mentre 
da 
un comportamento inadempiente 
non 
discende 
necessariamente 
l'esistenza 
di 
un 
danno 
e 
se 
questo 
in 
concreto esiste deve essere provato. 



CoNTENzIoSo 
NAzIoNALE 


La 
sentenza 
� 
stata 
censurata 
in quanto si 
� 
posta 
in contraddizione 
con 
le 
norme 
di 
legge 
in materia 
di 
responsabilit� 
civile, che 
richiedono tanto in 
caso di 
responsabilit� 
contrattuale 
che 
aquiliana 
non solo la 
prova 
del 
fatto illecito, 
bens� anche del danno effettivo che si lamenta esserne derivato. 


E 
tale 
danno non poteva 
essere 
desunto dalla 
frequentazione 
ad un corso 
di 
specializzazione 
nominalisticamente 
rientrante 
tra 
quelle 
elencate 
nella 
sopra 
citata 
direttiva, in quanto queste 
ultime, a 
seguito della 
attuazione 
della 
normativa 
comunitaria, erano state 
integralmente 
riorganizzate 
con la 
previsione 
di 
un 
tempo 
pieno 
e 
l'esclusione 
di 
possibili 
impegni 
ulteriori 
nell'ambito 
privato e/o del Servizio Sanitario Nazionale. 

Pertanto, doveva 
ritenersi 
del 
tutto inutile 
la 
prova 
per presunzione 
del-
l'esistenza 
del 
danno 
che 
l'attore 
avrebbe 
frequentato, 
se 
fosse 
esistita, 
una 
scuola 
con obbligo del 
tempo pieno. Infatti, ci� che 
rileva 
ai 
fini 
della 
prova 
del 
danno 
subito 
non 
era 
ci� 
che 
il 
medico 
avrebbe 
scelto 
di 
fare 
se 
nel 
periodo 
di 
frequenza 
alla 
specializzazione 
vi 
fossero 
state 
scuole 
con 
l'obbligo 
del 
tempo 
pieno, 
bens� 
se 
l'attore 
avesse 
subito 
un 
danno 
effettivo 
in 
ragione 
delle 
scelte 
che 
aveva 
compiuto 
(o 
era 
stato 
costretto 
a 
compiere) 
in 
presenza 
di 
una 
legislazione 
che 
non 
imponeva 
alle 
scuole 
di 
specializzazione 
l'obbligo 
del 
tempo pieno e 
del 
conseguente 
regime 
di 
incompatibilit� 
con lo svolgimento 
di altre attivit� professionali. 


Ne 
discende 
che 
il 
danno nascente 
per l'attore 
da 
una 
situazione 
di 
inadempimento 
del 
legislatore 
italiano 
alle 
direttive 
comunitarie 
poteva 
essere 
costituito 
dalla 
prova 
di 
avere 
dovuto 
frequentare 
a 
tempo 
pieno 
il 
corso 
di 
specializzazione, perch� 
tale 
prova 
costituiva 
circostanza 
che 
rendeva 
incompatibile 
di 
fatto la 
possibilit� 
di 
svolgimento di 
altra 
attivit� 
remunerativa. In 
tal 
modo 
dalla 
situazione 
di 
inadempimento 
del 
legislatore 
italiano 
nell'attuare 
le 
direttive 
poteva 
discendere 
un danno per l'attore, che 
oltre 
a 
non avere 
percepito 
un'adeguata 
remunerazione 
in termini 
di 
borsa 
di 
studio, non aveva 
potuto 
neppure fruire di introiti sostitutivi. 


Pertanto, oggetto di 
prova 
era 
costituito non gi� 
dall'aliunde 
perceptum, 
il 
cui 
onere 
era 
ritenuto a 
carico dell'Amministrazione 
inadempiente 
alle 
direttive 
(vera 
probatio 
diabolica), 
bens� 
dalla 
avvenuta 
frequentazione 
della 
specializzazione 
ante 
1991 
a 
tempo 
pieno, 
il 
cui 
onere 
della 
prova 
era 
a 
carico 
dell'attore 
sia 
per il 
principio della 
vicinanza 
della 
prova, trattandosi 
di 
fatti 
molto risalenti 
nel 
tempo, sia 
per i 
principi 
generali 
in tema 
di 
risarcimento 
del danno. 


la sentenza della Corte di 
appello di Napoli. 


La 
Corte 
di 
Appello con la 
sentenza 
che 
si 
commenta 
ha 
accolto l'impugnazione 
riformando 
radicalmente 
la 
pronuncia 
di 
primo 
grado, 
condividendo 
la 
necessit� 
di 
una 
prova 
rigorosa 
del 
danno 
costituito 
dalla 
frequenza 
a 
tempo 
pieno del corso di specializzazione. 



RASSEGNA 
AVVoCATURA 
DELLo 
STATo - N. 4/2016 


Essa 
ha 
richiamato 
le 
sentenze 
della 
Corte 
di 
Cassazione, 
secondo 
le 
quali 
"la frequenza a tali 
corsi 
(ossia quelli 
ante 
1991), in mancanza dell'adeguamento 
alle 
direttive, 
si 
concretava 
nella 
impossibilit� 
di 
conseguire 
l'adeguata 
remunerazione, per cui 
il 
medico, nell'individuare 
e 
provare 
la pretesa risarcitoria 
conseguente 
all'inadempimento statuale 
non aveva altro onere 
che 
dimostrare 
detta 
frequenza. 
essa, 
congiunta 
all'inadempimento 
statuale 
per 
come 
sopra 
indicato, 
integrava 
i 
fatti 
costitutivi 
dell'obbligo 
risarcitorio 
dello 
stato nei 
termini 
indicati 
dalla sentenza n. 9147 del 
2009 e, quindi 
della relativa 
domanda" 
(cfr. Cass. 2357/11); 
al 
riguardo la 
Corte 
Partenopea 
ha 
ritenuto 
idonea 
documentazione 
ai 
fini 
della 
prova 
il 
certificato 
del 
direttore 
della 
scuola 
attestante 
la 
frequenza 
del 
medico al 
corso di 
specializzazione 
e 
delle 
modalit� 
orarie 
con 
cui 
il 
corso 
era 
organizzato, 
richiamando 
sul 
punto 
la 
sentenza 
della Suprema Corte n. 1182/2012. 


La 
Corte 
di 
Appello di 
Napoli 
ha 
affermato la 
necessit� 
della 
prova 
del 
danno da 
parte 
del 
medico che 
frequent� la 
specializzazione, senza 
affrontare 
la 
questione 
della 
natura 
giuridica 
dell'obbligazione 
dello 
Stato 
italiano 
nascente 
dalla ritardata attuazione delle direttive comunitarie. 


Come 
� 
noto, 
le 
Sezioni 
Unite 
della 
Corte 
di 
Cassazione 
con 
la 
sentenza 
del 
17 
aprile 
2009, 
n. 
9147 
hanno 
affermato 
il 
principio, 
poi 
ribadito 
dalla 
successiva 
giurisprudenza, 
secondo 
il 
quale, 
in 
caso 
di 
omessa 
o 
tardiva 
trasposizione 
da 
parte 
del 
legislatore 
italiano 
delle 
direttive 
comunitarie 
(nella 
specie, 
le 
direttive 
n. 
75/362/CEE 
e 
n. 
82/76/CEE 
non 
autoesecutive), 
sorge, 
conformemente 
ai 
principi 
affermati 
dalla 
Corte 
di 
Giustizia, 
il 
diritto 
degli 
interessati 
al 
risarcimento 
dei 
danni, 
che 
va 
ricondotto 
allo 
schema 
della 
responsabilit� 
per 
inadempimento 
dell'obbligazione 
ex 
lege 
dello 
Stato, 
di 
natura 
indennitaria, 
per 
attivit� 
non 
antigiuridica, 
ritenendosi 
che 
la 
condotta 
dello 
Stato 
inadempiente 
sia 
suscettibile 
di 
essere 
qualificata 
come 
antigiuridica 
nell'ordinamento 
comunitario, 
ma 
non 
anche 
alla 
stregua 
dell'ordinamento 
interno. 


La 
qualificazione 
dell'obbligazione 
come 
indennitaria 
deriva 
dalla 
considerazione 
che 
la 
giurisprudenza 
della 
Corte 
di 
Giustizia 
esige 
che 
l'obbligazione 
risarcitoria 
dello Stato non sia 
condizionata 
al 
requisito della 
colpa, per 
cui 
le 
Sezioni 
Unite 
hanno collocato la 
responsabilit� 
dello Stato nell'ambito 
della 
norma 
generale 
dell'art. 
1173 
c.c., 
svincolandola 
dai 
presupposti 
soggettivi 
dell'art. 2043 c.c. 


Dalla 
natura 
indennitaria 
e 
non risarcitoria 
dell'obbligazione 
dello Stato 
la 
giurisprudenza 
ha 
ritenuto 
che 
ai 
fini 
della 
relativa 
quantificazione 
vada 
scelto 
un 
parametro 
equitativo, 
quale 
quello 
desumibile 
dalla 
legge 
19 
ottobre 
1999, n. 370, in quanto fondato sul 
criterio di 
parit� 
di 
trattamento per situazioni 
analoghe (cfr. Corte di Cassazione 18 ottobre 2011, n. 21498). 


Ritenere 
sussistente 
una 
responsabilit� 
contrattuale 
dello Stato per ritardata 
attuazione 
delle 
direttive 
comunitarie 
finisce, tuttavia, con agevolare 
la 
prova 
del 
danno da 
parte 
dei 
medici, che 
diviene 
quasi 
presunto, potendosi 
li



CoNTENzIoSo 
NAzIoNALE 


mitare 
gli 
interessati 
a 
dover provare 
di 
avere 
frequentato genericamente 
nel 
periodo 
1983-1991 
una 
scuola 
di 
specializzazione 
solo 
nominalisticamente 
corrispondente 
ad 
una 
di 
quelle 
elencate 
agli 
articoli 
5 
e 
7 
della 
direttiva 
75/362/CEE, per sentirsi 
riconoscere 
l'indennizzo, senza 
che 
gli 
stessi 
siano 
gravati 
dalla 
prova 
di 
avere 
in concreto subito un danno per non avere 
percepito 
altre remunerazioni, durante il periodo di formazione. 


La 
pronuncia 
della 
Corte 
di 
Appello, che 
si 
commenta, nell'affermare 
la 
sussistenza 
dell'onere 
di 
una 
rigorosa 
prova 
del 
danno subito da 
parte 
del 
medico 
attore, costituito dalla 
frequenza 
a 
tempo pieno, ad avviso di 
chi 
scrive, 
viene 
a 
superare 
le 
conseguenze 
che 
scaturiscono dalla 
ritenuta 
natura 
indennitaria 
dell�obbligazione dello Stato. 


Il 
tempo 
dir� 
se 
vi 
sar� 
un 
ripensamento 
da 
parte 
della 
giurisprudenza 
sulla 
ritenuta 
natura 
contrattuale 
dell'obbligazione 
dello 
Stato 
nei 
confronti 
dei 
medici 
specializzati 
in 
questione, 
che, 
se 
approfondita, 
potrebbe 
condurre 
a 
qualificare 
la 
responsabilit� 
dello 
Stato 
per 
mancato 
recepimento 
delle 
direttive 
in 
materia 
di 
specializzazioni 
mediche 
in 
termini 
extracontrattuali, 
cos� 
come 
prevede 
in 
via 
generale 
l'art. 
4, 
co. 
43, 
della 
legge 
12 
novembre 
2011, 
n. 
183. 


Come 
� 
noto, la 
previsione 
di 
legge 
ultima 
citata 
� 
ritenuta 
inapplicabile 
dalla 
giurisprudenza 
al 
contenzioso dei 
medici 
specializzati 
in questione, trattandosi 
di 
fattispecie 
realizzatasi 
anteriormente 
alla 
entrata 
in 
vigore 
della 
predetta 
legge, 
che 
� 
stata 
qualificata 
dalla 
Corte 
di 
Cassazione, 
come 
norma 
innovativa 
e 
non 
interpretativa 
(cfr. 
e 
pluribus, 
sentenze 
29 
marzo 
2012, 
n. 
5065, 26 marzo 2012, n. 4785, 9 febbraio 2012, n. 1917). 

Corte 
di 
appello 
di 
Napoli, 
Prima 
Sezione 
Civile, 
sentenza 
2 
dicembre 
2016 
n. 
4282 
-
Pres. m.R. Cultrera, Cons. rel. 
A. Tabarro - Presidenza 
del 
Consiglio dei 
ministri, ministero 
dell�Istruzione, della 
Universit� 
e 
della 
Ricerca, Universit� 
degli 
Studi 
di 
Napoli 
�Federico 
II� (avv. Stato G. Arpaia) c. m.T. (avv. m. Villa). 


RAGIoNI DI FATTo E DI DIRITTo DELLA DECISIoNE 


Con atto di 
citazione 
ritualmente 
notificato m.T. conveniva 
in giudizio innanzi 
al 
Tribunale 
di 
Napoli 
la 
Presidenza 
del 
Consiglio 
dei 
ministri, 
il 
ministero 
dell'Istruzione, 
dell'Universit� 
e 
della 
Ricerca, nonch� 
l'Universit� 
degli 
Studi 
di 
Napoli 
"Federico II" 
per sentir condannare 
il 
mIUR 
e/o 
la 
Federico 
II 
al 
pagamento 
in 
suo 
favore 
della 
somma 
di 
� 
11.000,00 
per 
ciascun 
anno di 
frequenza 
della 
scuola 
di 
specializzazione 
in Pediatria 
istituita 
presso la 
Facolt� 
di 
medicina 
e 
Chirurgia 
della 
predetta 
Universit� 
a 
far data 
dall'anno 1983 sino a 
tutto il 
1987 
per un importo complessivo di 
� 44.000,00, oltre 
accessori 
di 
legge; 
in via 
subordinata 
condannarsi 
la 
PCDm 
al 
risarcimento 
dei 
danni 
subiti 
da 
esso 
istante 
per 
la 
violazione 
delle 
norme 
comunitarie 
da 
parte 
del 
legislatore 
italiano a 
causa 
della 
mancata 
attuazione 
delle 
direttive 
CEE 
75/632 
e 
82/76 
da 
liquidarsi 
nell'importo 
di 
� 
11.000,00 
per 
ogni 
anno 
di 
frequenza 
della 
scuola 
di 
specializzazione 
in oggetto per un totale 
di 
� 44.000,00 oltre 
accessori; 
in via 
ancor 



RASSEGNA 
AVVoCATURA 
DELLo 
STATo - N. 4/2016 


pi� gradata 
condannarsi 
le 
parti 
convenute, singolarmente 
o con vincolo di 
solidariet� 
al 
pagamento 
in 
favore 
di 
esso 
istante, 
a 
titolo 
di 
indebito 
arricchimento, 
della 
somma 
di 
� 
30.000,00 ovvero del diverso importo ritenuto di giustizia, con vittoria di spese. 
Si 
costituivano in giudizio i 
convenuti 
eccependo che 
unico soggetto legittimato passivo era 
la 
PCDm, 
nonch� 
la 
prescrizione 
del 
diritto 
azionato 
e 
nel 
merito 
l'infondatezza 
della 
domanda 
chiedendone il rigetto, il tutto con vittoria di spese ed onorari di giudizio. 
Il 
Tribunale 
di 
Napoli, con sentenza 
emessa 
in data 
24 gennaio 2013, condannava 
la 
Presidenza 
del 
Consiglio dei 
ministri, al 
pagamento della 
somma 
di 
� 34.147,82, oltre 
interessi 
al 
tasso 
legale 
dalla 
data 
della 
presente 
decisione 
sino 
all'effettivo 
soddisfo 
nonch� 
della 
somma 
di 
� 9.982,17, senza 
ulteriori 
interessi; 
rigettava 
la 
domanda 
proposta 
nei 
confronti 
del 
ministero 
dell'Istruzione, 
dell'Universit� 
e 
Ricerca 
nonch� 
dell'Universit� 
degli 
studi 
di 
Napoli 
Federico 
II, 
condannando 
la 
PCDm 
al 
pagamento 
delle 
spese 
processuali 
sostenute 
dal 
m. 
e 
dichiarandole compensate tra l'attore e gli altri convenuti. 
Avverso detta 
sentenza 
hanno proposto appello la 
PCDm, il 
ministero delle 
Universit� 
della 
Ricerca 
e 
l'universit� 
degli 
Studi 
di 
Napoli 
"Federico II" 
fondandolo sui 
motivi 
di 
seguito indicati 
chiedendo, 
in 
riforma 
della 
sentenza 
impugnata, 
il 
rigetto 
delle 
domande 
del 
m. 
in 
quanto prescritte 
o infondate, il 
tutto con vittoria 
di 
spese 
e 
competenze 
del 
doppio grado di 
giudizio. 
Si 
� 
costituito in giudizio m.T. contestando la 
fondatezza 
dell'appello chiedendone 
il 
rigetto 
con vittoria di spese anche del giudizio di secondo grado, con attribuzione. 
All'esito di 
alcuni 
rinvii, all'udienza 
del 
22 giugno 2016 la 
causa 
� 
stata 
riservata 
in decisione 
con il 
termine 
di 
gg. 50 per lo scambio delle 
comparse 
conclusionali 
e 
successivo termine 
di 
gg. 20 per il deposito delle memorie di replica. 


Il 
Tribunale 
di 
Napoli, nella 
sentenza 
impugnata, ha 
preliminarmente 
disatteso l'eccezione 
di 
prescrizione 
ritenendo non applicabile 
l'art. 4 comma 
43 legge 
183/11 in quanto norma 
che 
spiega 
i 
propri 
effetti 
solo 
rispetto 
ai 
fatti 
verificatisi 
successivamente 
alla 
sua 
entrata 
in 
vigore 
(1 
gennaio 
2012), 
ritenendo 
decorrente 
il 
dies 
a 
quo 
del 
termine 
di 
prescrizione 
dalla 
data 
del-
l'entrata 
in vigore, 27 ottobre 
1999, dell'art. 11 legge 
370/99, in quanto, a 
seguito del 
tardivo 
recepimento 
nell'ordinamento 
interno 
delle 
direttive 
comunitarie 
75/362/CEE 
e 
n. 
82/76/CEE, 
relative 
al 
compenso in favore 
dei 
medici 
ammessi 
ai 
corsi 
di 
specializzazione 
universitari, 
realizzata 
solo con il 
D.lgs. 257/91, era 
rimasta 
inalterata 
la 
situazione 
di 
inadempienza 
dello 
stato italiano per i 
soggetti 
che 
avessero maturato i 
necessari 
requisiti 
per il 
periodo in questione, 
mentre 
la 
lacuna 
era 
stata 
parzialmente 
colmata 
dell'art.11 legge 
370/99 che 
aveva 
riconosciuto 
il 
diritto ad una 
borsa 
di 
studio solo per coloro che 
fossero stati 
beneficiari 
di 
un 
giudicato amministrativo. 
ha 
ritenuto, quindi, fondata 
l'eccezione 
di 
difetto di 
legittimazione 
sollevata 
dalle 
amministrazioni 
convenute 
affermando che 
lo Sato italiano era 
unico soggetto legittimato in ordine 
alla domanda del m. 
Dopo aver, poi, proceduto alla 
qualificazione 
della 
domanda 
de 
qua 
come 
risarcitoria 
avente 
fonte 
legale 
e 
quindi, 
non 
riconducibile 
alla 
norma 
di 
cui 
all'art. 
2043 
c.c. 
e 
della 
responsabilit� 
dello 
stato 
italiano 
come 
responsabilit� 
operante 
senza 
i 
criteri 
di 
imputabilit� 
del 
fatto 
illecito 
per dolo o colpa, ha 
accolto la 
domanda 
nel 
quantum 
indicato in applicazione 
dell'art. 11 L. 


n. 370/99, a 
partire 
dall'anno accademico 1983-1984, ritenendo provato il 
danno sul 
rilievo 
che 
la 
frequentazione 
dei 
corsi 
di 
specializzazione 
nelle 
modalit� 
con 
le 
quali 
erano 
organizzati 
precedentemente 
al 
1991 costituiva 
indizio presuntivo che 
esso li 
avrebbe 
ragionevolmente 

CoNTENzIoSo 
NAzIoNALE 


frequentati 
anche 
nel 
diverso 
regime 
conforme 
alle 
prescrizioni 
comunitarie, 
nonch� 
sul 
rilievo 
della 
prova 
fornita 
dal 
m. di 
aver seguito il 
corso di 
specializzazione 
in Pediatria, superando 
l'esame 
di 
diploma 
in 
data 
23 
luglio 
1987 
aggiungendo 
che 
essa 
rientrava, 
senz'altro, 
in 
quelle 
previste dall'art. 5 della direttiva 75/362/CEE. 
Con il 
primo motivo di 
appello gli 
appellanti 
lamentano l'erroneit� 
della 
sentenza 
impugnata 
laddove 
ha 
disatteso 
l'eccezione 
di 
prescrizione, 
previa 
affermazione 
della 
natura 
contrattuale 
della 
responsabilit� 
dello 
Stato 
italiano 
per 
l'inadempimento 
dell'obbligo 
di 
recepimento 
delle 
direttive 
comunitarie 
de 
quibus, 
deducendo 
la 
violazione 
dell'art. 
4 
comma 
43 
della 
legge 
183/11, erroneamente 
ritenuta 
non applicabile 
dal 
primo giudice 
perch� 
avente 
contenuto di 
portata 
meramente 
innovativa 
e 
non interpretativa, come 
affermato da 
una 
parte 
della 
giurisprudenza 
di merito. 
hanno, quindi, dedotto che, a 
differenza 
di 
quanto affermato da 
Cass. 10813/11, il 
dies 
a quo 
del 
termine 
prescrizionale 
non 
poteva 
essere 
posticipato 
oltre 
il 
31 
agosto 
1991, 
data 
di 
entrata 
in vigore 
del 
d.lgs. 257/91, non potendosi 
interpretare 
il 
d.lgs. n. 257/91 come 
adempimento 
parziale 
da 
parte 
dello stato italiano, dovendosi 
ritenere 
che 
gi� 
dal 
1991 lo stato poteva 
ritenersi 
definitivamente inadempiente. 
hanno aggiunto che 
l'orientamento espresso dalla 
Cassazione 
n. 10813/11, seguito dal 
primo 
giudice, 
violava 
il 
principio 
di 
certezza 
del 
diritto 
per 
cui 
esso 
poteva 
avere 
rilevanza 
solo 
per 
i 
giudizi 
introdotti 
successivamente 
alla 
sua 
pronuncia 
in ossequio a 
quegli 
orientamenti 
giurisprudenziali 
che, in caso di 
ovverruling, tutelano il 
principio di 
certezza 
del 
diritto, essendo 
pacifico, prima 
di 
tale 
sentenza 
che 
il 
dies 
a quo 
della 
prescrizione 
di 
crediti 
risarcitori 
quali 
quelli per cui � causa, fosse coincidente con il 31 agosto 1991. 
Ragionare 
altrimenti, e, quindi, aderendo al 
nuovo orientamento giurisprudenziale 
della 
Suprema 
Corte 
del 
2011, 
avrebbe 
comportato 
la 
rimessione 
in 
termini 
di 
13 
anni 
dei 
medici 
specializzandi, 
conclusione 
inaccettabile 
posto 
che 
i 
predetti, 
immatricolatisi 
prima 
del 
1991-1992, avrebbero dovuto avere 
contezza 
del 
diritto vivente 
ratione 
temporis 
applicabile 
ed in base 
al 
principio di 
correttezza, compiere 
atti 
giudiziali 
o stragiudiziali 
di 
interruzione 
della prescrizione entro 5 anni dal 31 agosto 1991. 
D'altro 
canto, 
hanno 
aggiunto 
gli 
appellanti, 
doveva 
ritenersi 
legittimo 
il 
comportamento 
dello 
Stato 
italiano 
che 
del 
tutto 
legittimamente 
aveva 
confidato 
nella 
prescrizione 
del 
proprio 
debito 
che 
non poteva 
essere 
vanificato da 
una 
rimessione 
in termini 
di 
quei 
medici 
specializzandi 
che non erano stati diligenti nell'azionare tempestivamente le proprie pretese. 
Il motivo � infondato. 
Deve 
premettersi 
che 
le 
Direttive 
comunitarie 
richiamate 
in 
atto 
di 
citazione 
sono 
state 
recepite 
nell'ordinamento italiano con il 
d.lgs.n. 257/91 (poi 
abrogato per effetto dell'art. 46 del 
d.lgs. 


n. 
368/99), 
applicabile 
a 
decorrere 
dall'anno 
accademico 
1991-1992, 
che 
-sul 
presupposto 
che 
la 
formazione 
specialistica 
dei 
medici 
ammessi 
alle 
scuole 
universitarie 
di 
specializzazione 
in medicina 
e 
chirurgia, di 
tipologia 
e 
durata 
conformi 
alle 
norme 
della 
comunit� 
europea 
e 
comuni 
a 
due 
o pi� Stati 
membri, si 
svolgesse 
a 
tempo pieno - prevedeva 
che 
agli 
ammessi 
alle 
scuole 
di 
specializzazione 
dovesse 
essere 
corrisposta 
una 
borsa 
di 
studio determinata 
per 
l'anno 1991 in L. 21.500.000, da 
corrispondersi 
in sei 
rate 
bimestrali 
posticipate 
dalle 
Universit� 
di appartenenza delle scuole di specializzazione. 
Prevedeva, 
inoltre, 
che 
la 
formazione 
del 
medico 
specialista 
a 
tempo 
pieno 
implicasse 
la 
partecipazione 
alla 
totalit� 
delle 
attivit� 
mediche 
del 
servizio 
di 
cui 
facevano 
parte 
le 
strutture 
nelle 
quali 
essa 
si 
effettuava, 
ivi 
comprese 
le 
guardie 
e 
l'attivit� 
operatoria 
per 
le 
discipline 
chirurgiche, 
nonch� 
la 
graduale 
assunzione 
dei 
compiti 
assistenziali 
in 
modo 
che 
lo 
specializzando 

RASSEGNA 
AVVoCATURA 
DELLo 
STATo - N. 4/2016 


dedicasse 
alla 
formazione 
pratica 
e 
teorica 
tutta 
la 
sua 
attivit� 
professionale 
per 
l'intero 
anno 
(art. 
4); 
che 
gli 
specializzandi 
dovessero 
essere 
utilizzati 
in 
attivit� 
di 
assistenza 
per 
il 
tirocinio 
pratico 
connesso 
alla 
specializzazione 
(art. 
4, 
2� 
comma); 
che 
l'ammissione 
e 
la 
frequenza 
alla 
scuola 
non 
determinassero 
la 
costituzione 
di 
alcun 
rapporto 
di 
impiego 
(art. 
4, 
3� 
comma); 
che 
l'impegno 
richiesto 
per 
la 
formazione 
specialista 
dovesse 
essere 
almeno 
pari 
a 
quello 
previsto 
per 
il 
personale 
medico 
del 
Servizio 
Sanitario 
Nazionale 
a 
tempo 
pieno; 
che 
le 
modalit� 
di 
svolgimento 
delle 
attivit� 
teoriche 
e 
pratiche 
degli 
specializzandi, 
nonch� 
il 
numero 
e 
la 
tipologia 
degli 
interventi 
pratici 
erano 
determinate 
nei 
regolamenti 
didattici 
di 
cui 
all'art. 
11 
della 


L. 
19 
novembre 
1990 
n. 
341; 
che 
per 
la 
durata 
della 
formazione 
fosse 
inibito 
l'esercizio 
di 
attivit� 
professionali 
esterne 
alle 
strutture 
assistenziali 
in 
cui 
si 
effettuava 
la 
specializzazione 
ed 
ogni 
rapporto 
anche 
convenzionale 
o 
precario 
con 
il 
Servizio 
Sanitario 
Nazionale. 
Nulla 
era 
previsto per i 
laureati 
ammessi 
ai 
corsi 
di 
specializzazione 
anteriormente 
all'anno 
accademico 
1991-1992, 
venendosi 
a 
creare 
un 
vuoto 
normativo 
tra 
l'epoca 
della 
formulazione 
delle 
direttive 
europee 
e 
la 
data 
di 
recepimento delle 
stesse 
da 
parte 
dello Stato italiano, precisamente 
dall'anno 1983 all'anno 1991. 
Successivamente, a 
seguito delle 
sentenze 
della 
Corte 
di 
Giustizia 
Europea 
del 
25 febbraio 
1999 
n. 
131 
e 
del 
3 
ottobre 
2000 
n. 
371, 
che 
affermavano 
che 
le 
direttive 
comunitarie 
andavano 
interpretate 
nel 
senso che 
l'obbligo di 
retribuzione 
era 
incondizionato anche 
se 
il 
giudice 
nazionale 
non potesse 
identificare 
l'organo debitore 
e 
l'importo della 
retribuzione, il 
legislatore 
italiano emetteva 
la 
legge 
n. 370 del 
19 ottobre 
1999 con cui 
all'art. 11 espressamente 
riconosceva 
il 
diritto alla 
remunerazione 
dei 
medici 
specializzandi 
iscritti 
ai 
corsi 
tenutisi 
dall'anno 
1983 all'anno 1991, determinandone 
la 
misura 
con l'importo di 
L. 13.000.000 annue 
(e 
non 
L. 21.500.000), semprech� 
essi 
avessero svolto l'attivit� 
a 
tempo pieno, avessero conseguito 
il 
diploma 
di 
specializzazione 
senza 
sospensioni 
e 
senza 
aver 
usufruito 
di 
altre 
borse 
di 
studio; 
limitava 
per� l'applicabilit� 
di 
tale 
disciplina 
ai 
soggetti 
che 
avessero ottenuto sentenze 
favorevoli 
dal 
TAR, 
cos� 
creando 
una 
discriminazione 
contraria 
al 
carattere 
di 
generalit� 
della 
legge nazionale. 
Per 
i 
soggetti 
non 
appartenenti 
a 
tale 
categoria, 
occorre, 
quindi, 
far 
diretto 
riferimento 
alle 
direttive 
europee 
contenenti 
precetti 
incondizionati 
e 
sufficientemente 
precisi 
(cosiddetta 
disciplina 
autoesecutiva), 
che 
il 
giudice 
italiano 
deve 
applicare 
direttamente, 
disapplicando 
la 
legge 
nazionale, 
senza 
bisogno 
di 
ricorrere 
alla 
Corte 
Costituzionale; 
nel 
caso 
in 
cui 
le 
direttive 
comunitarie, 
pur 
non 
essendo 
self-executing, 
riconoscano 
in 
modo 
sufficientemente 
specifico 
un 
diritto 
all'attuazione 
nell'ordinamento 
interno, 
non 
pu� 
negarsi 
in 
favore 
dei 
medici 
specializzati 
(nella 
specie 
in 
un 
periodo 
compreso 
tra 
il 
1983 
e 
il 
1991) 
-che 
a 
causa 
della 
tardiva 
trasposizione 
nell'ordinamento 
interno 
delle 
direttive 
comunitarie 
nn. 
363/75 
e 
76/82 
(trasposizione 
intervenuta 
solo 
nel 
1991 
col 
decreto 
legislativo 
n. 
257) 
non 
hanno 
potuto 
godere 
del 
diritto 
ad 
una 
adeguata 
remunerazione 
per 
il 
periodo 
di 
frequenza 
della 
scuola 
di 
specializzazione, 
quale 
beneficio 
previsto 
dalle 
puntuali 
e 
precise 
disposizioni 
sovrannazionali 
(nei 
termini 
precisati 
dalla 
sentenza 
25 
febbraio 
1999 
della 
Corte 
Europea 
di 
Giustizia) 
-il 
diritto 
al 
risarcimento 
del 
danno 
immediatamente 
e 
direttamente 
correlato 
alla 
predetta 
mancata 
tempestiva 
attuazione 
delle 
citate 
direttive 
nell'ordinamento 
interno 
(vedi 
Cass. 
12 
febbraio 
2008 
n. 
3283). 
Sul 
punto � 
intervenuta 
inoltre 
la 
Cassazione 
a 
Sezioni 
Unite 
(Cass. S.U. 17 aprile 
2009 n. 
9147) che 
ha 
precisato che 
il 
diritto al 
risarcimento del 
danno subito dal 
medico specializzato 
deve 
essere 
ricondotto -anche 
a 
prescindere 
dall'esistenza 
di 
uno specifico intervento legislativo 
accompagnato 
da 
una 
previsione 
risarcitoria 
-allo 
schema 
della 
responsabilit� 
per 
ina

CoNTENzIoSo 
NAzIoNALE 


dempimento di 
una 
obbligazione 
"ex 
lege" 
dello Stato, di 
natura 
indennitaria 
per attivit� 
che, 
sebbene 
da 
considerare 
antigiuridica 
per l'ordinamento comunitario, non lo sia 
per l'ordinamento 
interno; 
che 
pertanto il 
risarcimento dovuto non � 
subordinato n� 
alla 
sussistenza 
del 
dolo o della 
colpa 
e 
deve 
essere 
determinato con i 
mezzi 
offerti 
dall'ordinamento interno in 
modo da 
assicurare 
al 
danneggiato un'idonea 
compensazione 
della 
perdita 
subita 
in ragione 
del 
ritardo 
oggettivamente 
apprezzabile; 
che, 
stante 
la 
natura 
dell'obbligazione 
"ex 
lege" 
dello 
Stato 
Italiano 
di 
adeguarsi 
e 
di 
dare 
attuazione 
alla 
direttive 
CEE 
e 
la 
conseguente 
natura 
della 
sua 
responsabilit� 
in caso di 
inadempimento o ritardato adempimento, la 
pretesa 
risarcitoria 
in tali 
fattispecie 
� 
assoggettata 
all'ordinario termine 
decennale 
di 
prescrizione, in quanto la 
detta 
pretesa 
� 
diretta 
all'adempimento 
di 
una 
obbligazione 
"ex 
lege" 
riconducibile 
all'area 
della responsabilit� contrattuale. 
Tali 
principi 
sono stati, da 
ultimo, precisati 
e 
confermati 
dalla 
medesima 
Corte 
di 
Cassazione 
che, 
con 
la 
recente 
sentenza 
17 
maggio 
2011 
n. 
10813 
(ed 
altre 
tre 
pronunce 
coeve 
nn. 
10814, 
10815 e 
n. 10816), che 
questa 
Corte 
ritiene 
di 
condividere, ha 
ribadito che 
l'inadempimento 
statuale 
alla 
direttiva 
determina 
una 
condotta 
idonea 
a 
cagionare 
in modo permanente 
un obbligo 
di 
risarcimento danni 
a 
favore 
dei 
soggetti 
che 
successivamente 
si 
vengono a 
trovare 
in 
condizioni 
di 
fatto tali 
che, se 
la 
direttiva 
fosse 
stata 
adempiuta, avrebbero acquisito il 
diritto 


o i 
diritti 
da 
essa 
riconosciuti, con la 
conseguenza 
che 
la 
prescrizione 
decennale 
del 
relativo 
diritto risarcitorio non corre 
perch� 
la 
condotta 
di 
inadempimento statuale 
cagiona 
l'obbligo 
risarcitorio de die in die. 
In particolare 
in ordine 
al 
termine 
di 
prescrizione 
entro cui 
far valere 
la 
pretesa 
risarcitoria 
ha 
precisato che 
il 
termine 
di 
prescrizione 
dell'azione 
risarcitoria 
nei 
confronti 
dello Stato, conseguente 
alla 
carente 
trasposizione 
di 
una 
direttiva, comincia 
a 
decorrere 
dalla 
data 
in cui 
i 
primi 
effetti 
lesivi 
di 
detta 
mancata 
trasposizione 
si 
siano 
verificati 
e 
ne 
siano 
prevedibili 
altri. 
Pertanto, gli 
specializzati 
che 
non s� 
trovano nelle 
condizioni 
previste 
dall'art. 11 della 
legge 
n. 370 dei 
1999 (per non essere 
beneficiari 
di 
sentenze 
irrevocabili 
emesse 
dal 
giudice 
amministrativo) 
e 
che 
non possono invocare 
l'applicazione 
di 
tale 
normativa 
ma 
che 
hanno comunque 
titolo 
e 
diritto 
ad 
ottenere 
il 
compenso 
sotto 
forma 
di 
risarcimento 
del 
pregiudizio 
economico subito per effetto della 
tardiva 
ed incompleta 
trasposizione 
nell'ordinamento interno 
delle 
cennate 
direttive 
comunitarie, hanno avuto - dal 
momento dell'emanazione 
della 
legge 
nazionale 
n. 370/1999 - la 
ragionevole 
certezza 
che 
lo Stato non avrebbe 
pi� emanato 
altri 
atti 
di 
adempimento alla 
normativa 
europea. Pertanto, nei 
confronti 
di 
costoro, la 
prescrizione 
decennale 
della 
pretesa 
risarcitoria 
comincia 
a 
decorrere 
dal 
27 ottobre 
1999, data 
di entrata in vigore del menzionato art. 11 (vedi pure Cass. 18 agosto 2011 n. 17350 conf.). 
Con il 
secondo motivo si 
contesta 
l'affermata 
fondatezza 
della 
domanda 
del 
m. deducendosi 
che 
il 
primo giudice 
avrebbe 
trascurato di 
valutare 
che 
il 
diritto alla 
borsa 
di 
specializzazione 
previsto 
dalle 
direttive 
comunitarie 
aveva 
come 
condizione 
che 
la 
formazione 
specialistica 
dei 
medici 
avesse 
determinate 
caratteristiche, 
ossia 
la 
partecipazione 
del 
medico 
specializzando 
alla 
totalit� 
delle 
attivit� 
mediche 
per l'intera 
durata 
della 
normale 
settimana 
lavorativa 
e per tutta la durata dell'anno, dovendosi conformare ai criteri del tempo pieno. 
Per l'attivit� 
degli 
specializzandi, anteriore 
al 
1991, invece, non era 
richiesto il 
tempo pieno, 
per cui 
in maniera 
del 
tutto contraddittoria 
il 
primo giudice 
aveva 
da 
un lato affermato la 
responsabilit� 
dello stato italiano per non aver corrisposto la 
borsa 
di 
studio all'appellato e 
dal-
l'altro che il diritto alla borsa di studio spettava solo per una formazione a tempo pieno. 
Pertanto la 
sentenza 
impugnata 
andava 
censurata 
non essendovi 
la 
prova 
del 
danno effettivo 
subito dal 
m., per la 
considerazione 
che 
il 
corso di 
specializzazione 
ante 
1991, per le 
caratte

RASSEGNA 
AVVoCATURA 
DELLo 
STATo - N. 4/2016 


ristiche 
che 
presentava 
era 
compatibile 
con lo svolgimento di 
altre 
attivit� 
professionali 
dalle 
quali lo specializzando avrebbe potuto ricavare un lucro. 
A 
ci� 
doveva 
aggiungersi, 
hanno 
continuato 
gli 
appellanti, 
l'assenza 
di 
prova 
da 
parte 
del 
m. 
che 
la 
frequentazione 
alla 
scuola 
di 
specializzazione 
era 
stata 
conforme 
a 
quanto 
previsto 
dalle 
norme 
comunitarie, 
prova 
che 
doveva 
essere 
fornita 
dall'attore 
in 
primo 
grado, 
aggiungendo 
che 
del 
tutto 
erroneamente 
il 
primo 
giudice 
aveva 
ritenuto 
che 
la 
frequentazione 
del 
corso 
di 
specializzazione 
costituisse 
indizio 
presuntivo 
che 
esso 
(lo 
specializzando) 
lo 
avrebbe 
ragionevolmente 
frequentato 
anche 
nel 
diverso 
regime 
conforme 
alle 
prescrizioni 
comunitarie. 
Lamentano, quindi, la 
mancata 
prova 
della 
frequentazione 
a 
tempo pieno da 
parte 
dell'appellato 
e, quindi, di 
non aver percepito altri 
introiti, cd. 
aliunde 
perceptum, ritenendo che 
tale 
prova non spettasse alla PCDm come affermato dal primo giudice. 
Il motivo � fondato. 
Si 
evince 
dalla 
sentenza 
impugnata 
che 
�il 
M. ha allegato e 
provato di 
aver 
seguito il 
corso 
quadriennale 
di 
specializzazione 
in 
Pediatria, 
superando 
l'esame 
di 
diploma 
in 
data 
23 
luglio 
1987 
occorrendo, 
peraltro 
notare 
che 
detta 
specializzazione 
rientra 
fra 
quelle 
previste 
dall'art. 
5 della direttiva 75/362/Cee del Consiglio, ossia quelle comuni a tutti gli stati membri". 


Sulla 
base 
di 
tale 
materiale 
probatorio, quindi, il 
primo giudice, ha 
quindi 
ritenuto provata 
la 
frequentazione 
ed 
in 
via 
meramente 
presuntiva 
che 
il 
m. 
la 
avrebbe 
ragionevolmente 
frequentata 
anche 
nel 
diverso regime 
conforme 
alle 
prescrizioni 
comunitarie, ritenendo che 
lo stesso 
non fosse 
onerato della 
prova 
di 
non aver percepito durante 
il 
periodo di 
formazione, altre 
remunerazioni 
o borse 
di 
studio, trattandosi 
di 
circostanze 
rilevanti 
sotto il 
profilo dell'aliunde 
perceptum, come affermato dalla Suprema Corte nella sent. 1182/12. 
Ci� posto osserva 
la 
Corte 
che 
erroneamente 
il 
primo giudice 
ha 
fatto discendere 
dalla 
documentazione 
prodotta dal m. la prova del danno da esso subito. 
Risulta 
dagli 
atti 
che 
il 
m., nel 
corso del 
giudizio di 
primo grado, produceva 
a 
sostegno della 
propria 
domanda: 
1) la 
certificazione 
attestante 
il 
superamento dell'esame 
di 
diploma 
di 
specialista 
in 
pediatria, 
certificato 
attestante 
il 
superamento 
degli 
esami 
annuali, 
certificato 
di 
immatricolazione 
all'anno accademico 1983/1984 e 
l'iscrizione 
agli 
anni 
successivi, nonch� 
certificazione 
attestante 
la 
durata 
legale 
del 
corso di 
studi 
ed infine, un'autocertificazione 
attestante 
il 
mancato svolgimento di 
attivit� 
libero professionale 
privata 
e 
l'assenza 
di 
qualsiasi 
rapporto anche 
precario, con strutture 
pubbliche 
o convenzionate 
con il 
S.S.N. durante 
il 
periodo 
1983/1988 di 
frequenza 
continuativa 
della 
scuola 
di 
specializzazione 
e 
relativa 
documentazione 
fiscale. 
manca, 
invece, 
osserva 
la 
Corte 
una 
documentazione 
di 
provenienza 
dall'Universit� 
attestante 
la 
frequenza 
del 
corso di 
specializzazione 
da 
parte 
del 
m. e 
delle 
modalit� 
orarie 
con cui 
il 
corso era 
organizzato, poich� 
come 
anche 
recentemente 
affermato dalla 
Suprema 
Corte:"la 
frequenza di 
tali 
corsi 
(ossia quelli 
ante 
1991), in mancanza dell'adeguamento alle 
direttive, 
si 
concretava nella impossibilit� di 
conseguire 
l'adeguata remunerazione, per 
cui 
il 
medico, 
nell'individuare 
e 
provare 
la 
pretesa 
risarcitoria 
conseguente 
all'inadempimento 
statuale 
non 
aveva 
altro 
onere 
che 
dimostrare 
detta 
frequenza. 
essa, 
congiunta 
all'inadempimento 
statuale 
per 
come 
sopra indicato, integrava i 
fatti 
costituivi 
dell'obbligo risarcitorio dello stato nei 
termini 
indicati 
dalla 
sentenza 
n. 
9147 
del 
2009 
e, 
quindi, 
della 
relativa 
domanda" 
(cfr. 
Cass. 
2357/11), e 
documentazione 
idonea 
deve 
ritenersi 
il 
certificato del 
direttore 
della 
scuola 
attestante 
la 
sua 
ottemperanza 
a 
tutti 
gli 
obblighi 
di 
frequenza 
per le 
attivit� 
teoriche 
e 
pratiche 
dello statuto all'epoca 
vigente 
secondo il 
regolamento didattico predisposto dall'istituto universitario 
(cfr. Cass. 1182/12). 



CoNTENzIoSo 
NAzIoNALE 


In 
conclusione 
in 
accoglimento 
del 
motivo 
di 
appello 
in 
esame, 
assorbito 
l'ulteriore 
motivo 
di 
gravame 
-con 
il 
quale 
si 
� 
censurata 
la 
misura 
del 
quantum 
debeatur 
affermato 
in 
sentenza 
in 
quanto 
non 
poteva 
essere 
ragguagliato 
all'importo 
previsto 
per 
gli 
specializzandi 
dall'art. 
6 
del 
D.lgs 
257/91 
perch� 
la 
formazione 
svolta 
dai 
medici 
specializzandi 
ante 
1991 
non 
rispettava 
necessariamente 
i 
requisiti 
in 
esso 
previsti 
in 
mancanza 
all'epoca 
di 
una 
normativa 
che 
precludeva 
agli 
specializzandi 
lo 
svolgimento 
a 
titolo 
privato 
di 
un'attivit� 
professionale 
retribuita 
-la 
sentenza 
impugnata 
va 
riformata 
e 
conseguentemente 
la 
domanda 
del 
m. 
va 
disattesa. 
Per 
rigore 
di 
soccombenza 
l'appellato 
va 
condannato 
al 
pagamento 
delle 
spese 
processuali 
del doppio grado di giudizio che si liquidano in dispositivo. 


PQm 
La 
Corte, 
definitivamente 
pronunciando 
sull'appello 
proposto 
dagli 
enti 
epigrafati 
nei 
confronti 
di m.T., cos� provvede: 
1) accoglie 
l'appello ed in riforma 
della 
sentenza 
impugnata, rigetta 
la 
domanda 
proposta 
da 


m.T.; 


2) Condanna 
l'appellato al 
pagamento delle 
spese 
processuali 
sostenute 
dagli 
appellanti 
che 
liquida 
in 
complessivi 
� 
3.000,00, 
oltre 
rimborso 
forfettario 
nella 
misura 
del 
15% 
del 
compenso 
totale, IVA 
e 
CPA 
come 
per legge, per il 
primo grado, ed in complessivi 
� 4.500,00, 
oltre 
rimborso forfettario nella 
misura 
del 
15% del 
compenso totale, IVA 
e 
CPA 
come 
per 
legge per il presente grado di giudizio. 


Cos� deciso in Napoli nella camera di consiglio del 26 ottobre 2016. 



RASSEGNA 
AVVoCATURA 
DELLo 
STATo - N. 4/2016 


Incremento 
dell'importo 
delle 
borse 
di 
studio 
percepite 
dai 
medici 
specializzandi 
iscritti 
anteriormente 
all�anno 
accademico 
2006/2007: 
inquadramento 
sistematico 
alla 
luce 
di 
una 
recente 
sentenza 
del 
Giudice 
del 
lavoro 
di 
Catania 


Nota 
a 
tRiBUNale 
Di 
CataNia, sezioNe 
lavoRo, seNteNza 
26 aPRile 
2016 N. 1793 


Martina Strazzeri* 


In tema 
di 
incrementi 
delle 
borse 
di 
studio percepite 
dai 
medici 
specializzandi 
iscritti 
anteriormente 
all�anno accademico 2006/2007, il 
Tribunale 
di 
Catania, 
Sezione 
Lavoro, 
con 
la 
sentenza 
in 
rassegna, 
ha 
proceduto 
ad 
una 
puntuale 
ricostruzione 
della 
normativa 
di 
riferimento, all�esito della 
quale 
ha 
stabilito la 
spettanza 
della 
rideterminazione 
triennale 
della 
borsa 
di 
studio in 
funzione 
dei 
miglioramenti 
stipendiali 
tabellari 
minimi 
previsti 
dal 
CCNL 
del 
Servizio Sanitario Nazionale 
per i 
medici, limitatamente 
al 
periodo 1 gennaio 
1994 - 31 dicembre 1997 (1). 

La 
pronuncia 
opera 
una 
corretta 
analisi 
degli 
istituti 
in 
trattazione, 
in 
piena 
adesione 
ai 
principi 
ermeneutici 
espressi 
dalla 
giurisprudenza 
di 
legittimit�, 
ed � 
interessante 
poich� 
si 
discosta 
dai 
pi� recenti 
approdi 
di 
pur autorevole 
giurisprudenza 
di 
merito, 
viceversa 
incline 
a 
riconoscere 
l�esistenza 
di 
una 
responsabilit� 
indennitaria 
dello Stato per inesatto recepimento della 
Direttiva 
93/16 per il periodo anteriore all�anno accademico 2006/2007. 


Nell�esaminare 
la 
questione, 
appare 
opportuno, 
in 
primo 
luogo, 
ripercorrere 
gli 
sviluppi 
evolutivi 
della 
normativa 
di 
riferimento. 
La 
prima 
disposizione 
che 
viene 
in 
rilievo 
� 
l�art. 
6, 
comma 
1, 
del 
D.Lgs. 
257/1991, 
che 
stabilisce: 
�agli 
ammessi 
alle 
scuole 
di 
specializzazione 
nei 
limiti 
definiti 
dalla 
programmazione 
di 
cui 
all'art. 2, comma 2 in relazione 
all'attuazione 
dell'impegno 
a tempo pieno la loro formazione, � 
corrisposta, per 
tutta la durata del 
corso, 
ad 
esclusione 
dei 
periodi 
di 
sospensione 
della 
formazione 
specialistica, 
una borsa di 
studio determinata per 
l'anno 1991 in l. 21.500.000. tale 
importo 
viene 
annualmente, 
a 
partire 
dal 
1� 
gennaio 
1992, 
incrementato 
del 
tasso 
programmato 
d'inflazione 
ed 
� 
rideterminato, 
ogni 
triennio, 
con 
decreto 
del 
Ministro della sanit�, di 
concerto con i 
Ministri 
dell'universit� e 
della ricerca 
scientifica e 
tecnologica e 
del 
tesoro, in funzione 
del 
miglioramento sti


(*) Dottoressa 
in giurisprudenza, ammessa 
alla 
pratica 
forense 
presso l�Avvocatura 
dello Stato, sede 
distrettuale 
di Catania. 


(1) Ed ha 
conseguentemente 
condannato il 
ministero della 
Salute, il 
ministero dell�Economia 
e 
delle 
Finanze, il 
ministero dell�Istruzione, dell�Universit� 
e 
della 
Ricerca 
e 
l�Universit� 
degli 
Studi 
di 
Catania, 
in 
solido 
tra 
loro, 
a 
pagare, 
in 
favore 
del 
ricorrente, 
esclusivamente 
le 
differenze 
maturate, 
negli 
anni 
di 
frequenza 
del 
corso 
di 
specializzazione 
(2004/2005 
e 
2005/2006), 
in 
conseguenza 
della 
mancata 
rideterminazione triennale della borsa di studio. 

CoNTENzIoSo 
NAzIoNALE 


pendiale 
tabellare 
minimo previsto dalla contrattazione 
relativa al 
personale 
medico dipendente del servizio sanitario nazionale�. 


La 
norma 
prevede 
due 
forme 
di 
adeguamento delle 
borse 
di 
studio: 
l�incremento 
annuale 
sulla 
base 
del 
tasso programmato di 
inflazione 
e 
la 
rideterminazione 
triennale 
in 
funzione 
del 
miglioramento 
stipendiale 
tabellare 
previsto dalla contrattazione collettiva del personale medico. 


Quanto al 
primo meccanismo di 
adeguamento, a 
partire 
dall�istituzione 
delle 
borse 
di 
studio e 
per gli 
anni 
successivi 
(fino a 
quando, a 
decorrere 
dal 
2007, 
� 
divenuto 
operativo 
il 
nuovo 
contratto 
di 
specializzazione 
di 
cui 
all�art. 
37 del 
D.Lgs. 368/89), sono intervenute 
disposizioni, contenute 
nelle 
Leggi 
Finanziarie 
(2), che, nell�ambito di 
una 
pi� ampia 
manovra 
volta 
a 
contenere 
la 
spesa 
pubblica, hanno bloccato l�incremento annuale 
in relazione 
alla 
variazione 
del costo della vita previsto dall�art. 6, comma 1. 

Al 
riguardo, 
la 
Corte 
Costituzionale, 
chiamata 
a 
pronunciarsi 
circa 
la 
legittimit� 
costituzionale 
di 
tale 
blocco, 
ha 
affermato 
l�infondatezza 
della 
questione, 
ritenendo 
che 
�in 
una 
logica 
di 
bilanciamento 
con 
le 
fondamentali 
scelte 
di 
politica 
economica, 
(�) 
la 
difesa 
dell�aumento 
del 
costo 
della 
vita 
� 
da 
affidarsi 
precipuamente 
alle 
dinamiche 
contrattuali, 
in 
particolar 
modo 
alla 
contrattazione 
collettiva, 
piuttosto 
che 
a 
strumenti 
legislativi 
di 
adeguamento 
automatico. 
sotto 
questo 
profilo, 
va 
rilevato 
che 
la 
legislazione 
vigente 
prevede 
per 
i 
medici 
specializzandi, 
pur 
nella 
peculiarit� 
della 
loro 
posizione, 
un 
meccanismo 
di 
collegamento 
dell'importo 
delle 
borse 
di 
studio 
ai 
miglioramenti 
stipendiali 
del 
personale 
medico 
dipendente 
dal 
servizio 
sanitario 
nazionale 
(art. 
6 
del 
D.P.R. 
8 
agosto 
1991, 
n. 
257). 
Pertanto 
la 
disposizione 
censurata, 
escludendo 
per 
le 
predette 
borse 
di 
studio, 
in 
via 
eccezionale 
e 
per 
un 
ristretto 
arco 
temporale, 
l'incremento 
automatico 
del 
tasso 
di 
inflazione, 
non 
appare 
affatto 
irragionevole 


o 
discriminatoria, 
ma 
invece 
si 
inserisce 
in 
un 
ampio 
complesso 
di 
norme 
che 
perseguono, 
anche 
nel 
settore 
della 
sanit�, 
il 
fine 
di 
impedire, 
per 
lo 
stesso 
periodo 
di 
tempo, 
tutti 
gli 
incrementi 
retributivi 
consequenziali 
ad 
automatismi 
stipendiali� 
(Corte 
Costituzionale, 
sentenza 
n. 
432 
del 
23 
dicembre 
1997) 
(3). 
Riguardo, invece, la 
seconda 
modalit� 
di 
adeguamento prevista 
dall�art. 
6, comma 
1, del 
D.Lgs. 257/1991 e 
consistente 
nella 
rideterminazione 
triennale 
in 
funzione 
del 
miglioramento 
stipendiale 
tabellare 
previsto 
dalla 
con


(2) Tra 
le 
altre, la 
Legge 
n. 549/1995, recante 
misure 
di 
razionalizzazione 
della 
finanza 
pubblica, 
il 
cui 
art. 1, comma 
33, ha 
esteso le 
disposizioni 
dell'art. 7, commi 
5 e 
6, del 
D.L. 384/1992 (misure 
urgenti 
in materia 
di 
previdenza, di 
sanit� 
e 
di 
pubblico impiego, nonch� 
disposizioni 
fiscali) - convertito 
nella Legge n. 438/1992 - alle borse di studio di cui all'art. 6 del D.Lgs. 257/1991. 
(3) 
Per 
altro 
verso, 
la 
Corte 
di 
Cassazione, 
sempre 
con 
riferimento 
a 
tale 
sospensione, 
ha 
affermato 
che 
essa 
non contrasta 
con la 
Direttiva 
82/76/CEE 
in quanto in detta 
disciplina 
comunitaria 
non � 
rinvenibile 
una 
definizione 
di 
retribuzione 
adeguata, 
n� 
sono 
posti 
i 
criteri 
per 
la 
determinazione 
della 
stessa 
(Cass. S.U., n. 29345 del 
16 dicembre 
2008; 
Cass. Civ. Sez. Lav., n. 11565 del 
26 maggio 2011; 
Cass. Civ. Sez. Lav., n. 1536 del 24 luglio 2014). 

RASSEGNA 
AVVoCATURA 
DELLo 
STATo - N. 4/2016 


trattazione 
collettiva 
del 
personale 
medico, premesso che 
essa 
deve 
essere 
tenuta 
distinta 
da 
quella 
indicata 
nella 
prima 
parte 
dell�art. 
6, 
comma 
1 
(cos� 
Cass. n. 18562/2012 e 
n. 16385/2008), deve 
procedersi 
ad un�autonoma 
verifica 
in ordine 
ai 
periodi 
di 
tempo per i 
quali 
siano eventualmente 
intervenuti 
provvedimenti che abbiano bloccato tale meccanismo di incremento. 

orbene, dalla 
disamina 
della 
normativa 
in materia, emerge 
che 
l�art. 7, 
comma 
1, 
del 
D.L. 
384/1992, 
recante 
�misure 
urgenti 
in 
materia 
di 
previdenza, 
di 
sanit� 
e 
di 
pubblico impiego, nonch� 
disposizioni 
fiscali�, convertito con 


L. 
438/1992, 
ha 
previsto 
che 
�resta 
ferma 
sino 
al 
31 
dicembre 
1993 
la 
vigente 
disciplina emanata sulla base 
degli 
accordi 
di 
comparto di 
cui 
alla legge 
29 
marzo 1983, n. 93 (4), e 
successive 
modificazioni 
e 
integrazioni. i nuovi 
accordi 
avranno effetto dal 1� gennaio 1994�. 
Ne 
deriva 
che, non essendo efficaci 
i 
nuovi 
accordi 
contrattuali 
relativi 
al 
personale 
medico 
dipendente 
del 
Servizio 
Sanitario 
Nazionale 
fino 
al 
31 
dicembre 
1993, per l�anno 1993 nessuna 
rideterminazione 
triennale 
del 
compenso 
� dovuta ai medici specializzandi. 

Per 
gli 
anni 
successivi, 
invece, 
nessun 
provvedimento 
di 
blocco 
� 
riscontrabile 
per 
il 
periodo 
1 
gennaio 
1994 
-31 
dicembre 
1997, 
mentre, 
dall�1 
gennaio 
1998 
e 
fino 
al 
2007 
(momento 
in 
cui 
� 
stato 
reso 
operativo 
il 
contratto 
di 
specializzazione 
di 
cui 
al 
D.Lgs. 
n. 
368/1999), 
il 
blocco 
della 
rideterminazione 
triennale 
� 
avvenuto 
ad 
opera 
dell�art. 
32, 
comma 
12, 
della 
L. 
n. 
449 
del 
27 
dicembre 
1997 
(5) 
e 
dell�art. 
36, 
comma 
1, 
della 
L. 
n. 
289 
del 
27 
dicembre 
2002 
(6). 


In particolare, la 
prima 
disposizione 
ha 
previsto che 
�a partire 
dal 
1998 
resta consolidata in lire 
315 miliardi 
la quota del 
Fondo sanitario nazionale 
destinata al 
finanziamento delle 
borse 
di 
studio per 
la formazione 
dei 
medici 
specialisti 
di 
cui 
al 
decreto 
legislativo 
8 
agosto 
1991, 
n. 
257; 
conseguentemente 
non si 
applicano per 
il 
triennio 1998-2000 gli 
aggiornamenti 
di 
cui 
all'articolo 
6, comma 1, del 
predetto decreto legislativo n. 257 del 
1991�, con 
riferimento, pertanto, ad entrambi 
i 
meccanismi 
di 
adeguamento di 
cui 
all�art. 
6, comma 1, del D.Lgs. n. 275/1991. 

Tale 
blocco 
� 
poi 
stato 
confermato 
per 
effetto 
dell�art. 
36, 
comma 
1, 
della 


L. n. 289/2002 che, nella 
prima 
parte, ha 
confermato il 
blocco degli 
adeguamenti 
connessi 
alle 
variazioni 
del 
costo della 
vita 
e, nella 
seconda 
parte, ha 
stabilito che 
�tale 
divieto si 
applica anche 
agli 
emolumenti, indennit�, compensi 
e 
rimborsi 
spese 
erogati, anche 
ad estranei, per 
l'espletamento di 
particolari 
incarichi 
e 
per 
l'esercizio 
di 
specifiche 
funzioni 
per 
i 
quali 
� 
comunque 
previsto il 
periodico aggiornamento dei 
relativi 
importi 
nonch�, fino alla sti(
4) Legge quadro sul pubblico impiego. 
(5) misure per la stabilizzazione della finanza pubblica. 
(6) 
Disposizioni 
per 
la 
formazione 
del 
bilancio 
annuale 
e 
pluriennale 
dello 
Stato 
(Legge 
finanziaria 
2003). 

CoNTENzIoSo 
NAzIoNALE 


pula 
del 
contratto 
annuale 
di 
formazione 
e 
lavoro 
previsto 
dall'articolo 
37 
del 
decreto legislativo 17 agosto 1999, n. 368, alle 
borse 
di 
studio corrisposte 
ai 
medici 
in 
formazione 
specialistica 
ai 
sensi 
del 
decreto 
legislativo 
8 
agosto 
1991, 
n. 
257, 
il 
cui 
ammontare 
a 
carico 
del 
Fondo 
sanitario 
nazionale 
rimane 
consolidato nell'importo previsto dall'articolo 32, comma 12, della legge 
27 
dicembre 1997, n. 449, e successive modificazioni�. 


Posta 
tale 
ricostruzione 
della 
normativa 
di 
riferimento e 
rilevato che 
nel 
periodo 1 gennaio 1994 - 31 dicembre 
1997 vi 
sono stati 
interventi 
della 
contrattazione 
collettiva 
sulla 
dinamica 
salariale 
del 
personale 
medico 
del 
Servizio 
Sanitario Nazionale, il 
Giudice 
del 
Lavoro del 
Tribunale 
di 
Catania 
ha 
affermato 
che 
il 
meccanismo di 
adeguamento del 
compenso dei 
medici 
specializzandi, 
consistente 
nella 
rideterminazione 
triennale 
in 
funzione 
del 
miglioramento stipendiale 
tabellare 
previsto dal 
CCNL 
del 
personale 
medico, 
� applicabile limitatamente al periodo 1 gennaio 1994 - 31 dicembre 1997. 

Con la 
specificazione, infine, che 
il 
criterio della 
rideterminazione 
triennale 
non pu� che 
essere 
inteso quale 
aggancio dell�importo della 
borsa 
di 
studio 
alla 
dinamica 
stipendiale 
contrattuale 
prevista 
per il 
personale 
medico del 
SSN, 
nel 
senso 
che, 
accertata 
una 
determinata 
percentuale 
di 
incremento 
dello 
stipendio 
tabellare 
minimo 
del 
personale 
medico 
per 
effetto 
della 
contrattazione 
collettiva, 
la 
medesima 
percentuale 
deve 
essere 
applicata 
-ogni 
triennio 


- all�importo della borsa di studio corrisposta agli specializzandi. 
La 
sentenza 
in rassegna 
si 
segnala 
per una 
corretta 
e 
quindi 
condivisibile 
ricostruzione 
della 
normativa 
di 
riferimento, 
puntualmente 
interpretata 
alla 
luce 
dei 
principi 
ermeneutici 
espressi 
dalla 
giurisprudenza 
di 
legittimit�. La 
statuizione 
appare 
particolarmente 
interessante 
per il 
suo discostarsi 
dai 
pi� 
recenti 
approdi 
di 
pur autorevole 
giurisprudenza 
di 
merito (tra 
gli 
altri, Corte 
d�Appello Roma, sent. n. 1628 del 
18 febbraio 2014; 
Corte 
d�Appello di 
milano, 
sent. n. 4832 del 
24 luglio 2013), viceversa 
tendente 
a 
riconoscere 
l�esistenza 
di 
una 
responsabilit� 
indennitaria 
dello Stato per inesatto recepimento 
della 
Direttiva 
93/16 - con riferimento alla 
misura 
dell� 
�adeguata 
remunerazione� 
prevista 
dalla 
direttiva 
- e 
a 
quantificare 
tale 
l�indennizzo dovuto dallo 
Stato 
in 
misura 
pari 
alla 
differenza 
tra 
il 
trattamento 
economico 
concretamente 
percepito, 
incrementato 
della 
rideterminazione 
triennale, 
e 
quello 
riconosciuto 
in base al D.Lgs. n. 368 del 1999 a partire dal 2007. 


Pronunce 
di 
tal 
sorta 
si 
fondano sull�equivoco che 
solo con la 
Legge 
n. 
368/1999 
e 
con 
i 
relativi 
Decreti 
attuativi 
del 
Presidente 
del 
Consiglio 
dei 
ministri 
del 
2007 
lo 
Stato 
italiano 
abbia 
dato 
compiuta 
e 
completa 
attuazione 
alle 
direttive 
comunitarie 
in 
materia, 
mentre, 
in 
realt�, 
� 
da 
ritenersi 
pacifico 
anche 
alla 
luce 
delle 
statuizioni 
della 
Corte 
di 
Giustizia 
europea 
- che 
lo Stato 
abbia 
dato 
piena 
attuazione 
alle 
direttive 
europee 
gi� 
con 
il 
D.Lgs. 
n. 
257/1991. 

L�equivoco 
si 
fonda, 
in 
particolare, 
sulla 
circostanza 
che 
il 
legislatore 
italiano 
con il 
D.Lgs. n. 368 del 
1999 ha 
disposto un migliore 
trattamento con



RASSEGNA 
AVVoCATURA 
DELLo 
STATo - N. 4/2016 


trattuale, economico e 
previdenziale 
per i 
medici 
specializzandi 
a 
decorrere 
dall�anno accademico 2006/2007. In virt� di 
ci�, gli 
specializzandi 
iscritti 
tra 
il 
1991 
ed 
il 
2006 
hanno 
ritenuto 
di 
rivendicare 
le 
differenze 
retributive 
rispetto 
a 
coloro che 
in epoca 
successiva, beneficiando del 
nuovo regime, hanno percepito 
somme maggiori. 

Tali pretese sono, in realt�, infondate. 

La 
Direttiva 
europea 
del 
26 gennaio 1982 n. 82/76/CEE, infatti, ha 
prescritto 
agli 
Stati 
membri 
di 
corrispondere 
un�adeguata 
remunerazione 
agli 
specializzandi, 
imponendo 
quindi 
l'obbligo 
di 
corrispondere 
un 
compenso, 
senza 
tuttavia 
individuare 
-come 
riconosciuto dalla 
Corte 
di 
Giustizia 
nelle 
sentenze 
Carbonari 
e 
gozza (sentenze 
25 febbraio 1999 causa 
C-131/97 Carbonari/ 
Universit� 
di 
bologna 
e 
3 ottobre 
2000 causa 
C-371/97 Gozza/ 
Universit� 
di Padova) - l'importo dello stesso. 

Pertanto, 
la 
prevalente 
giurisprudenza 
interna 
si 
� 
assestata 
nell�affermare 
che 
il 
principio dell�adeguata 
remunerazione 
previsto dalla 
normativa 
sovranazionale 
� 
da 
ritenersi 
rispettato 
purch� 
l�erogazione 
non 
sia 
meramente 
simbolica 
(cos�, Trib. Civ. Roma, n. 8411/2015; 
Trib. Civ. Roma, n. 5909/2015; 
contra: C. Appello Roma, Sez. Lav., 18 febbraio 2014 n. 1628). 

A 
ci� la 
Suprema 
Corte 
ha 
aggiunto - con sentenza 
n. 27481 del 
19 novembre 
1998 - che 
all�attivit� 
degli 
specializzandi 
presso le 
strutture 
ospedaliere 
non 
� 
applicabile 
l�art. 
36 
Cost. 
e 
il 
principio 
di 
adeguatezza 
della 
retribuzione 
in esso contenuto, in quanto l�attivit� 
svolta 
� 
finalizzata 
precipuamente 
alla 
formazione 
teorica 
e 
pratica 
e 
non � 
inquadrabile 
nell�ambito 
del 
rapporto 
di 
lavoro 
subordinato, 
n� 
tra 
le 
ipotesi 
di 
parasubordinazione, 
non 
essendo 
ravvisabile 
una 
relazione 
sinallagmatica 
di 
scambio 
tra 
l�attivit� 
degli 
stessi e gli emolumenti previsti dalla legge. 

Sulla 
scorta 
di 
tali 
considerazioni, 
� 
evidente 
come 
non 
abbia 
carattere 
simbolico 
la 
borsa 
di 
studio 
prevista 
dall�art. 
6, 
comma 
1, 
del 
D.Lgs. 
257/1991, 
a 
prescindere 
dai 
meccanismi 
di 
adeguamento 
dell�importo 
dalla 
stessa 
disposizione 
previsti. 

Ci� 
posto, 
deve 
in 
secondo 
luogo 
osservarsi 
che 
nessuna 
disparit� 
di 
trattamento 
� 
stata 
posta 
in essere 
dalla 
disciplina 
di 
cui 
al 
D.Lgs. n. 368/1999, 
cos� 
come 
modificato dalla 
L. n. 266/2005, nei 
confronti 
degli 
specializzandi 
medici 
iscritti 
alle 
scuole 
di 
specializzazione 
a 
decorrere 
dall�anno 
accademico 
1991-1992, rispetto a quelli iscritti a decorrere dall�anno 2006-2007. 

Si 
tratta 
infatti, 
di 
una 
disciplina 
successiva 
recante 
trattamenti 
economici 
di 
maggior favore, con riferimento alla 
quale 
la 
giurisprudenza 
di 
legittimit�, 
in via 
generale 
e 
non soltanto con riferimento alla 
fattispecie 
che 
ci 
occupa, 
saldamente 
esclude 
l�illegittimit�, 
affermando 
che 
la 
variazione 
nel 
tempo 
delle 
discipline 
eventualmente 
favorevoli 
ad alcune 
categorie 
di 
soggetti 
appartiene 
alla 
discrezionalit� 
del 
legislatore, 
senza 
che 
ci� 
possa 
rivestire 
aspetti 
discriminatori alla luce dei parametri costituzionali (7) 



CoNTENzIoSo 
NAzIoNALE 


Anche 
la 
Corte 
Costituzionale 
ha 
pi� 
volte 
affermato 
che 
l�elemento 
temporale 
pu� 
essere 
legittimo 
criterio 
di 
discrimine 
se 
intervenga 
a 
delimitare 
l�applicazione 
di 
norme 
nell�ambito del 
riordino complessivo della 
disciplina 
attinente ad una determinata materia (8). 


In adesione 
a 
tali 
orientamenti, i 
Giudici 
di 
merito hanno ritenuto che 
la 
questione 
di 
legittimit� 
costituzionale 
delle 
norme 
in questione 
non sia 
dotata 
di 
quella 
non manifesta 
infondatezza 
necessaria 
affinch� 
di 
essa 
possa 
essere 
investita 
la 
Corte 
Costituzionale 
(Trib. Civ. Roma, sez. 2, sent. n. 4226/2015; 
Trib. Civ. Roma, sez. 2, sent. n. 4644/2015) ed hanno altres� 
escluso che 
sussistano 
i 
presupposti 
per il 
rinvio pregiudiziale 
necessario alla 
Corte 
di 
Giustizia 
europea, avendo quest�ultima 
pi� volte 
evidenziato (cause 
C-131/97 e 
371/97) che 
le 
direttive 
europee 
�non contengono alcuna definizione 
comunitaria 
della remunerazione 
da considerarsi 
adeguata, n� 
dei 
metodi 
di 
fissazione 
di 
tale 
remunerazione�, 
rientrando 
pertanto 
questi 
ultimi 
nella 
competenza 
degli 
Stati 
membri 
(Trib. 
Civ. 
Roma, 
sent. 
n. 
4226/2015; 
Trib. 
Civ. Roma, sent. n. 6710/2015). 


In 
virt� 
di 
ci�, 
la 
circostanza 
che 
il 
D.Lgs. 
n. 
368/1999 
abbia 
riconosciuto 
un 
maggior 
importo 
a 
titolo 
di 
adeguata 
remunerazione 
costituisce 
il 
risultato 
di 
una 
scelta 
discrezionale 
esclusivamente 
riservata 
al 
legislatore 
nazionale 
e 
in 
nessun 
modo 
vincolata 
da 
obblighi 
d�adeguamento 
alla 
normativa 
comunitaria 
(9). 


Il 
Decreto 
delegato 
in 
esame 
non 
costituisce 
quindi 
norma 
che 
ha 
dato 
attuazione 
a 
direttive 
comunitarie 
in 
materia 
di 
medici 
specializzandi, 
nella 
parte 
in 
cui 
queste 
prescrivevano 
specifici 
obblighi 
cui 
il 
legislatore 
nazionale 
avrebbe 
dovuto 
adempiere. 
Deve, 
pertanto, 
escludersi 
che 
lo 
Stato 
Italiano, 
nell�attribuire 
un trattamento pi� favorevole 
soltanto ai 
medici 
che 
hanno iniziato 
la 
frequenza 
del 
corso di 
specializzazione 
nell�anno accademico 20062007, 
abbia 
disciplinato 
la 
materia 
in 
maniera 
non 
conforme 
alle 
direttive 
comunitarie, non ravvisandosi 
perci� alcun inadempimento agli 
obblighi 
imposti 
dalla direttiva europea (10). 


(7) 
Cfr. 
Cass., 
sez. 
I, 
sent. 
n. 
20543 
del 
28 
luglio 
2008, 
in 
materia 
criteri 
di 
liquidazione 
del 
danno 
da 
occupazione 
acquisitiva 
della 
PA; 
Cass., sez. V, sent. n. 11176 del 
26 maggio 2005, in tema 
di 
agevolazioni 
tributarie. 
(8) 
Cfr. 
sent. 
n. 
430 
del 
29 
dicembre 
2004, 
in 
materia 
di 
perequazione 
di 
trattamenti 
pensionistici; 
sent. n. 276 del 
12 maggio 2005, in materia 
di 
diversa 
valutazione 
di 
anzianit� 
pregresse 
ai 
fini 
pensionistici. 
(9) Per analoghe 
motivazioni, si 
� 
ritenuta 
manifestamente 
infondata 
la 
questione 
di 
legittimit� 
costituzionale 
dell�art. 46, comma 
2, del 
D.Lgs. n. 368/1999, come 
sostituito dall�art. 1, comma 
300, 
della 
L. n. 266/2005, per contrasto con artt. 2, 3 e 
36 Cost., nella 
parte 
in cui 
ha 
sospeso fino al 
2007 
l�entrata 
in vigore 
degli 
artt. da 
37 a 
39 del 
Decreto stesso. Non sussiste, infatti, alcuna 
irragionevole 
disparit� 
di 
trattamento tra 
gli 
specializzandi 
iscritti 
ai 
corsi 
di 
specializzazione 
a 
decorrere 
dall�anno 
2006-2007 e 
quelli 
frequentanti 
i 
corsi 
nei 
precedenti 
anni 
accademici, ben potendo il 
legislatore, per 
costante 
giurisprudenza 
costituzionale, differire 
nel 
tempo gli 
effetti 
di 
una 
riforma, senza 
che, per ci� 
solo, ne 
possa 
derivare 
una 
disparit� 
di 
trattamento tra 
soggetti 
che, in ragione 
dell�applicazione 
differente 
nel tempo della normativa in questione, ricevano trattamenti diversi. 

RASSEGNA 
AVVoCATURA 
DELLo 
STATo - N. 4/2016 


Sulla 
scorta 
di 
tali 
considerazioni, deve 
pertanto riconoscersi 
che 
ai 
medici 
specializzandi 
iscritti 
tra 
il 
1991 e 
l�anno accademico 2006/2007, spetti 
esclusivamente 
- come 
correttamente 
statuito dalla 
Sezione 
Lavoro del 
Tribunale 
di 
Catania 
- una 
somma 
pari 
alla 
differenza 
maturata, negli 
anni 
di 
frequenza 
del 
corso 
di 
specializzazione, 
in 
conseguenza 
della 
mancata 
rideterminazione 
triennale 
della 
borsa 
di 
studio, sia 
pur limitatamente 
al 
periodo 
1 
gennaio 
1994 
-31 
dicembre 
1997, 
in 
quanto 
solo 
con 
riferimento 
a 
tale 
periodo di 
tempo, da 
una 
parte, non vi 
sono stati 
blocchi 
ad opera 
di 
fonti 
normative 
e, 
d�altra 
parte, 
vi 
sono 
stati 
interventi 
della 
contrattazione 
collettiva 
sulla 
dinamica 
salariale 
del 
personale 
medico 
del 
Servizio 
Sanitario 
Nazionale, 
cui la rideterminazione triennale � agganciata. 

Con 
la 
precisazione, 
infine, 
che 
il 
termine 
di 
prescrizione 
applicabile 
alla 
domanda 
di 
accertamento del 
diritto alla 
rideterminazione 
triennale 
del 
compenso 
ex 
D.Lgs. n. 257/1991 � 
quello quinquennale 
di 
cui 
all�art. 2948 n. 4 
c.c., decorrente 
da 
ogni 
bimestre, trattandosi 
di 
compenso da 
corrispondersi 
periodicamente (11). 


Tribunale 
di 
Catania, 
Sezione 
Lavoro, 
sentenza 
26 
aprile 
2016 
n. 
1793 
-giud. 
P. 
mirenda 


-F.V. (avv. F. mauceri) c. min. Istruzione 
Universit� 
e 
Ricerca, Presidenza 
del 
Consiglio dei 
ministri, min. Economia 
e 
Finanze, min. Salute, Assessorato Sanit� 
Regione 
Sicilia 
(tutti 
patrocinati 
ex 
lege 
dall�avv. distrett. Stato Catania); 
Universit� 
degli 
Studi 
di 
Catania 
(avv.ti 
V. 
Reina 
e 
D.Impallomeni); 
Azienda 
ospedaliera 
Universitaria 
Policlinico Vittorio Emanuele 
di 
Catania (avv. C. Currao). 
RAGIoNI IN FATTo E IN DIRITTo DELLA DECISIoNE 


Con ricorso depositato in data 
5 novembre 
2010 il 
ricorrente 
in epigrafe 
indicato esponeva 
di 
aver conseguito presso l'Universit� 
degli 
Studi 
di 
Catania 
la 
laurea 
in medicina 
e 
Chirurgia 
e 
di 
essere 
stato ammesso al 
corso di 
specializzazione 
in radiodiagnostica 
presso la 
stessa 
Universit� 
ove 
aveva 
frequentato i 
primi 
due 
anni 
della 
scuola, negli 
anni 
accademici 
2004/2005 
e 
2005/2006, 
completando 
poi 
la 
scuola 
di 
specializzazione 
presso 
l'Universit� 
di 
milano 
ove 
aveva ottenuto il relativo diploma il 3 novembre 2008. 
Assumeva 
la 
sussistenza 
di 
un effettivo rapporto di 
lavoro subordinato per effetto del 
suo inserimento 
nell'organizzazione 
sanitaria 
della 
clinica 
universitaria 
e 
dell'impegno 
lavorativo 
profuso, in tutto analogo, per quantit� 
e 
qualit�, a 
quello dei 
medici 
dipendenti 
strutturati 
a 
tempo pieno presso il servizio sanitario nazionale. 
Si 
doleva 
di 
essere 
stato 
retribuito 
per 
i 
primi 
due 
anni 
della 
scuola 
di 
specializzazione 
mediante 
una 
borsa 
di 
studio 
in 
sei 
rate 
bimestrali 
posticipate 
in 
conformit� 
al 
D.Lgs. 
n. 
257/1991 
di 
� 


(10) In questo senso: 
Cass. Civ., Sez. Lav., 4 luglio 2014 n. 15362; 
C. App. Roma, Sez. Lav., 28 
febbraio 2014 nn. 1628 e 
1629; 
Trib. Roma, n. 4226/2015, n. 6831/2014, n. 21655/2014, n. 9244/2014, 
n. 
18793/2014, 
n. 
12426/2014, 
n. 
17608/2013, 
898/2013, 
n. 
1780/2013, 
n. 
16659/2011 
e 
n. 
10960/2011. 
(11) Trib. Roma, n. 4226/2015, n. 4644/2015 e n. 8411/2015. 

CoNTENzIoSo 
NAzIoNALE 


11.603,50 
annui 
e 
che 
per 
essi 
non 
gli 
era 
stato 
corrisposto 
il 
trattamento 
economico 
determinato 
dal 
D.Lgs. 
n. 
368/1999 
come 
modificato 
dalla 
L. 
n. 
266/2005 
e 
attuato 
dal 
D.P.C.m. 
del 
7 
marzo 
2007 
e 
del 
6 
luglio 
2007, 
giacch� 
soltanto 
a 
partire 
dall'anno 
accademico 
2006/2007 
era 
stato 
applicato 
il 
regime 
patrimoniale 
in 
ossequio 
a 
quanto 
stabilito 
dalla 
Direttiva 
europea. 
Deduceva, 
in 
particolare, 
che 
il 
D.Lgs. 
n. 
368199 
aveva 
previsto 
la 
determinazione 
del 
trattamento 
economico 
sino 
all'emanazione 
dei 
provvedimenti 
attuativi 
e 
che 
tale 
adozione 
era 
avvenuta 
soltanto 
a 
distanza 
di 
13 
anni, 
dapprima 
con 
la 
previsione 
contenuta 
nella 
L. 
n. 
266/2005 
e 
poi 
con 
il 
DPCm 
del 
7/3/2007, 
che 
ne 
avevano 
disposto 
l'applicazione 
soltanto 
a 
partire 
dal-
l'anno 
accademico 
2006/2007 
e 
che 
pertanto, 
a 
causa 
dell'inadempimento 
dello 
Stato 
Italiano, 
per 
omessa, 
tardiva 
ed 
inesatta 
trasposizione 
della 
direttiva 
CEE, 
aveva 
percepito 
un 
trattamento 
economico 
inferiore 
alla 
remunerazione 
adeguata 
per 
tutta 
la 
durata 
del 
corso. 
In 
ogni 
caso 
assumeva 
di 
aver 
diritto 
all'adeguamento 
del 
reddito 
percepito 
sotto 
forma 
di 
borsa 
di 
studio mediante 
la 
rideterminazione 
triennale 
e 
la 
indicizzazione 
annuale 
della 
borsa 
di studio come previsto dall'art. 6 del D.Lgs. 257/1991. 
Ci� posto, adiva 
questo Tribunale 
in funzione 
di 
giudice 
del 
lavoro per sentire 
accogliere 
nei 
confronti 
dei 
convenuti 
le 
seguenti 
conclusioni: 
"in via principale 
accertare 
l'insufficienza e 
l'inadeguatezza, anche 
ai 
sensi 
dell'art. 36 della Costituzione, di 
quanto percepito dal 
ricorrente 
negli 
anni 
di 
frequenza del 
corso di 
specializzazione 
in radiodiagnostica dal 
2004/05 
al 
2005/06 (euro 23.207,00) e, per 
l'effetto condannare 
i 
resistenti, in via alternativa e/o solidale 
o ciascuna per 
la parte 
di 
propria spettanza, alla corresponsione 
in di 
lui 
favore 
delle 
differenze 
retributive 
dovutegli 
ovvero del 
trattamento economico normativo e 
previdenziale 
previsto per 
i 
contratti 
di 
formazione 
lavoro dalle 
norme 
sopra richiamate 
ovvero dalla contrattazione 
collettiva per 
i 
medici 
strutturali 
a tempo pieno dipendenti 
del 
servizio nazionale 
quantificando le 
somme 
dovute 
nei 
termini 
di 
cui 
al 
d.p.c.m. 7 marzo del 
2007- e, cio� 
nella 
somma di 
curo 22.700, 00 per 
anno di 
specializzazione 
ed, in aggiunta, di 
altra retribuzione 
variabile, di 
curo 2.300, 00 per 
ciascuno dei 
primi 
due 
anni 
e 
di 
euro 3.300,00 per 
ogni 
anno 
successivo al 
secondo, decurtando le 
somme 
gi� percepite 
dal 
ricorrente 
a titolo di 
borsa di 
studio 
(curo 
23.207,00) 
o 
nella 
maggiore 
o 
minore 
somma 
ritenuta 
di 
giustizia 
anche 
all'esito 
di apposita consulenza tecnica d'ufficio. 
in 
via 
principale 
o 
subordinata 
in 
applicazione 
(anche 
retroattiva) 
della 
normativa 
nazionale 
e 
comunitaria 
richiamata 
in 
narrativa 
e 
ritenuta 
anche 
l'immediata 
e 
diretta 
applicabilit� 
della 
normativa 
comunitaria 
di 
interesse 
per 
le 
caratteristiche 
evidenziare, 
accertare 
-anche 
disapplicando, ove 
necessario, ogni 
atto o disposizione 
preclusiva di 
quanto richiesto - il 
diritto 
del 
ricorrente 
ad essere 
inquadrato con il 
contratto di 
formazione 
specialistica (formazione-
lavoro) per 
gli 
anni 
accademici 
della di 
lui 
frequenza del 
corso di 
specializzazione 
in 
radiodiagnostica e/o a percepire 
da parte 
delle 
amministrazioni 
resistenti 
in via alternativa 
e/o solidale 
o ciascuna per 
la parte 
di 
propria spettanza per 
il 
detto periodo una adeguata 
remunerazione 
ovvero il 
trattamento economico normativo e 
previdenziale 
per 
le 
somme 
maturate 
e 
non 
percepite 
per 
l'attivit� 
di 
formazione 
specialistica 
espletata: 
per 
l'effetto 
condannare 
gli 
enti 
resistenti 
[.] 
alla 
corresponsione 
dei 
compensi 
retributivi 
dovutigli 
quantificandoli 
nei 
termini 
di 
cui 
al 
d.p.c.m. 7 marzo 2007 previsti 
per 
gli 
specializzandi 
a 
far 
tempo dall�ottobre 
2006 e 
cio� 
nella somma di 
euro 22.7000, 00 per 
anno di 
specializzazione 
e 
in aggiunta di 
altra retribuzione 
variabile 
di 
curo 2.300. 00 per 
ciascuno dei 
primi 
due 
anni 
e 
di 
curo 3.300,00 per 
ogni 
anno successivo al 
secondo decurtando le 
somme 
gi� 
percepite 
dalla 
ricorrente 
a 
titolo 
di 
borsa 
di 
studio 
(euro 
23.207,00) 
o 
nella 
somma 
maggiore 


o minore 
ritenuta di 
giustizia ovvero 
del 
trattamento economico, normativo e 
previdenziale 

RASSEGNA 
AVVoCATURA 
DELLo 
STATo - N. 4/2016 


previsto 
dalle 
norme 
sopra 
richiamate 
e 
dalla 
contrattazione 
collettiva 
per 
i 
medici 
strutturali 
a tempo pieno dipendente del servizio sanitario nazionale [.j. 
in subordine 
accertati 
pur 
sempre 
l'inadempimento delle 
amministrazioni 
resistenti 
[..] 
per 
la mancata e/o ritardata attuazione 
delle 
direttive 
meglio descritte 
in merito e 
segnatamente 
delle 
direttive 
Cee 
362-363/1975 e 
76/1982, ovvero la insufficienza e 
la inadeguatezza della 
retribuzione 
percepita 
dal 
ricorrente 
negli 
anni 
accademici 
di 
frequenza 
della 
specializzazione 
in Catania (anni 
2004/05 e 
2005/06) condannare 
le 
amministrazioni 
resistenti 
[..] 
al 
risarcimento 
dei 
danni 
patiti 
dalla ricorrente 
per 
la responsabilit� dello stato (di 
natura extracontrattuale 
o per 
perdita di 
chance 
ovvero contrattuale 
nel 
senso sopra specficalo), derivante 
dalla mancata o dalla ritardata attuazione delle direttive predette, liquidandolo: 
in via principale 
nell'importo determinato secondo le 
disposizioni 
di 
cui 
al 
d.p.c.m. 7 marzio 
2007 e 
cio� 
nella somma di 
euro 22.7000,00 per 
anno di 
specializzazione 
e 
in aggiunta di 
altra 
retribuzione 
variabile 
di 
euro 
2.300,00 
per 
ciascuno 
dei 
primi 
due 
anni 
e 
di 
euro 
3.300,00 per 
ogni 
anno successivo al 
secondo decurtando le 
somme 
gi� percepite 
dal 
ricorrente 
a 
titolo 
di 
borsa 
di 
studio 
(euro 
23.207.00; 
in 
subordine 
nella 
misura 
maggiore 
o 
minore 
di quella indicata che sar� ritenuta dovuta [.] 
in 
via 
ulteriormente 
subordinata, 
applicata 
la 
disciplina 
dettata 
dal 
d.lgs. 
n. 
257/1991 
condannare 
gli 
enti 
convenuti 
ciascuno 
per 
il 
titolo 
o 
spettanza 
[..] 
al 
pagamento 
in 
favore 
del 
ricorrente 
di 
quanto 
non 
percepito 
negli 
anni 
2004/05 
e 
2005/06 
a 
titolo 
di 
rideterminazione 
triennale 
in 
funzione 
di 
miglioramento 
stipendiale 
tabellare 
minimo 
previsto 
dal 
CCNl 
del 
servizio 
sanitario 
nazionale 
per 
i 
medici 
neoassunhi 
e 
di 
indicizzazione 
annuale 
della 
borsa 
di 
studio 
[..] 
sempre 
ed 
in 
ogni 
caso 
condannare 
gli 
enti 
resistenti 
[.] 
al 
pagamento 
degli 
interessi 
sulle 
somme 
dovute 
e 
debitamente 
rivalutate 
nonch� 
al 
risarcimento 
dei 
danni 
per 
la 
mancata 
fruizione 
da 
parte 
della 
ricorrente 
di 
ferie 
e 
festivit� 
per 
la 
di 
lei 
mancata 
regolarizzazione 
previdenziale 
ed 
assicurativa 
liquidando 
i 
detti 
danni 
nelle 
somme 
che 
saranno 
ritenute 
dovute 
[.] 


Si 
costituivano 
le 
Amministrazioni 
resistenti 
eccependo, 
ciascuna 
per 
quanto 
di 
ragione, 
il 
proprio 
difetto 
di 
legittimazione 
passiva 
e 
deducendo 
l�infondatezza 
delle 
domande 
avversarie. 
Autorizzato 
il 
deposito 
di 
note 
difensive, 
all'udienza 
odierna 
la 
causa 
veniva 
discussa 
e 
decisa 
nelle 
forme 
dell'art. 429, comma 
I, c.p.c., mediante 
lettura 
del 
dispositivo e 
della 
esposizione 
delle ragioni di fatto e di diritto della decisione. 
Ci� 
posto, 
e 
venendo 
alle 
ragioni 
della 
decisione, 
deve, 
preliminarmente, 
essere 
rigettata 
l'eccezione 
di 
incompetenza 
funzionale 
del 
Tribunale 
adito in funzione 
di 
giudice 
del 
lavoro, in 
proposito dovendosi 
osservare 
che 
la 
detta 
eccezione 
non appare 
fondata 
assumendo rilievo, 
alla 
stregua 
della 
prospettazione 
di 
parte 
ricorrente, 
la 
sola 
circostanza 
che 
questa 
abbia 
chiesto 
dichiararsi la sussistenza di un rapporto di lavoro di natura subordinata. 
Parte 
ricorrente 
ha 
infatti, 
chiesto 
di 
accertarsi 
l'esistenza 
di 
un 
rapporto 
di 
lavoro 
subordinato 
con 
condanna 
dei 
convenuti, 
in 
solido 
tra 
loro 
o 
ciascuno 
per 
quanto 
di 
spettanza, 
al 
pagamento 
del 
trattamento retributivo proporzionato e 
sufficiente 
ex 
art. 36 della 
Costituzione 
e 
ci� proprio 
sul 
presupposto della 
natura, oltre 
che 
formativa, anche 
lavorativa 
dell'attivit� 
svolta 
in 
presenza 
degli 
elementi 
tipici 
della 
subordinazione 
(vincoli 
di 
orario, di 
subordinazione 
gerarchica 
e 
stipendio fisso): 
ne 
discende 
la 
competenza 
del 
giudice 
del 
lavoro secondo quanto 
previsto dall'articolo 409 c.p.c. 
In relazione. poi, alla 
domanda 
di 
risarcimento del 
danno e 
alla 
prospettata 
incompetenza 
per 
territorio di 
questo Tribunale 
per essere 
competente 
il 
Tribunale 
di 
Roma, reputa 
il 
decidente 
di 
dover richiamare 
quanto osservato in seno alla 
ordinanza 
del 
13 marzo 2014, le 
ragioni 
ivi 
evidenziate 
e 
alle 
quali 
interamente 
si 
rimanda 
apparendo sufficienti 
anche 
in questa 
sede 
a 



CoNTENzIoSo 
NAzIoNALE 


dar conto dei 
motivi 
per cui 
anche 
in relazione 
alla 
domanda 
subordinata 
competente 
per territorio 
sia 
questo Tribunale. N� 
da 
ci� pu� conseguire 
l'incompetenza 
per materia 
di 
questo 
giudice 
del 
lavoro, restando attratta 
la 
detta 
domanda 
al 
rito speciale 
previsto per le 
controversie 
in materia di lavoro ai sensi dell'art. 40 c.p.c. 
Quanto 
alla 
legittimazione 
passiva 
del 
convenuto, 
deve 
osservarsi 
che 
attiene 
al 
merito 
la 
questione 
con la 
quale 
si 
deduca 
la 
propria 
estraneit� 
ossia 
la 
mancanza 
di 
titolarit�, affermata 
invece 
da 
parte 
ricorrente, 
dal 
lato 
passivo 
dell'obbligazione 
dedotta. 
La 
legittimazione 
passiva 
riguarda, invece, il 
dovere 
del 
convenuto di 
subire 
il 
giudizio instaurato dall'attore 
secondo 
una 
determinata 
prospettazione 
del 
rapporto oggetto della 
controversia, indipendentemente 
dalla effettiva sussistenza o titolarit� del rapporto stesso. 
Da 
ci� 
consegue 
che, 
sempre 
stando 
alla 
prospettazione 
di 
parte 
ricorrente, 
non 
difettano 
di 
legittimazione 
passiva 
l'Universit� 
degli 
Studi 
di 
Catania, 
l'Azienda 
ospedaliera 
convenuta 
o 
la 
Regione 
Sicilia, 
Assessorato 
della 
Sanit�, 
in 
ordine 
alle 
pretese 
discendenti 
dal 
dedotto 
contratto 
di 
formazione 
in 
virt� 
del 
quale 
l'Azienda 
sanitaria 
ha 
ricevuto 
le 
prestazioni 
dello 
specializzando 
e 
non 
ignora 
questo 
giudice 
che 
la 
Suprema 
Corte 
ha 
ritenuto 
che 
"in 
tema 
di 
formazione 
dei 
medici 
specialisti, 
il 
contralto 
di 
specializzazione 
ex 
art. 
37 
del 
D.lgs. 
n.368 
del 
1999 
non 
d� 
luogo 
ad 
un 
rapporto 
plurisoggellivo 
fra 
medico 
specializzando, 
universit� 
ove 
ha 
sede 
la 
scuola 
di 
specializzazione 
e 
regione 
titolare 
delle 
strutture 
sanitarie 
prevalenti 
nella 
rete 
formativa, 
atteso 
che 
la 
gestione, 
organizzativa 
ed 
economica 
del 
rapporto 
� 
rimessa 
dalla 
legge 
unicamente 
all'universit�" 
(cfr. 
Cass., 
sez. 
lav. 
20 
marzo 
2012 
n. 
4412), 
ma 
ci�, 
tuttavia, 
attiene 
alla 
titolarit� 
dal 
lato 
passivo 
della 
obbligazione 
dedotta 
e, 
dunque, 
al 
merito. 
Ancora, 
stando 
sempre 
alla 
prospettazione 
di 
parte 
ricorrente, 
difettano 
di 
legittimazione 
passiva, 
ad 
eccezione 
della 
Presidenza 
del 
Consiglio 
dei 
ministri, 
gli 
altri 
soggetti 
in 
ordine 
alla 
domanda 
di 
risarcimento 
del 
danno 
conseguente 
alla 
mancata 
o 
tardiva 
attuazione 
della 
direttiva; 
infine, 
rispetto 
alla 
pretesa 
avente 
ad 
oggetto 
la 
remunerazione 
adeguata, 
� 
legittimata 
passivamente 
l'Universit�, 
giacch� 
il 
D.Lgs. 
n. 
257 
del 
1991, 
art. 
6. 
comma 
2, 
prevede 
che 
la 
borsa 
di 
studio 
"viene 
corrisposta, 
in 
sei 
rate 
bimestrali 
posticipate, 
dalle 
universit� 
presso 
cui 
operano 
le 
scuole 
di 
specializzazione 
riconosciute" 
e 
lo 
sono, 
altres�, 
i 
ministeri 
convenuti, 
atteso 
che 
l�art. 
6 
comma 
3 
del 
D.Lgs. 
cit. 
pone 
a 
carico 
del 
ministero 
del 
Tesoro, 
su 
proposta 
dei 
ministri 
della 
Sanit� 
e 
dell'Universit�, 
l'assegnazione 
e 
la 
ripartizione 
dei 
fondi 
alle 
Universit� 
alle 
quali 
compete 
la 
concreta 
erogazione 
(sul 
punto 
� 
sufficiente 
richiamare 
Cass. 
16507/12008). 
Tanto premesso, e 
venendo al 
merito, deve 
darsi 
atto che 
questo Tribunale, in fattispecie 
in 
parte 
analoghe 
a 
quella 
qui 
in esame, ha 
avuto modo di 
pronunciarsi 
(cfr. sentenza 
del 
29 novembre 
2012, 
giudice 
dott.ssa 
Cristiana 
Delfa; 
sentenza 
del 
5 
luglio 
2013, 
giudice 
dott.ssa 
Claudia 
Cottini; 
sentenza 
del 
17 aprile 
2014. giudice 
musumeci; 
sentenza 
del 
29 aprile 
2015, 
giudice 
dott.ssa 
Valentina 
maria 
Scardillo) risolvendo le 
questioni 
dibattute 
- ad eccezione 
di 
quella 
avente 
ad oggetto l'adeguamento del 
reddito percepito sotto forma 
d� 
borsa 
di 
studio in 
senso sfavorevole alla tesi prospettata da parte ricorrente. 
Questo 
giudice 
ritiene 
di 
condividere 
l'orientamento 
enunciato 
in 
dette 
pronunce 
e 
di 
richiamare 
le 
argomentazioni 
ivi 
svolte 
alle 
quali 
conviene 
premettere 
il 
quadro 
normativo 
di 
riferimento. 
L'art. 13 della 
direttiva 
CEE 
n. 76 del 
1982 in materia 
di 
formazione 
dei 
medici 
specialisti, 
prevedeva 
che 
la 
formazione 
stessa 
si 
effettuasse 
in posti 
specifici 
riconosciuti 
dalle 
autorit� 
competenti 
e 
che 
implicasse 
la 
partecipazione 
alla 
totalit� 
delle 
attivit� 
mediche 
del 
servizio 
nel 
quale 
si 
effettuava 
la 
formazione, comprese 
le 
guardie, in modo che 
lo specialista 
in via 
di 
formazione 
potesse 
dedicare 
a 
tale 
formazione 
pratica 
e 
teorica 
tutta 
la 
sua 
attivit� 
professionale 
per l'intera 
durata 
della 
normale 
settimana 
lavorativa 
e 
per tutta 
la 
durata 
dell'anno, 



RASSEGNA 
AVVoCATURA 
DELLo 
STATo - N. 4/2016 


secondo le 
modalit� 
fissate 
dalle 
autorit� 
competenti. Inoltre, la 
direttiva 
prevedeva 
che 
tale 
formazione costituisse oggetto di una adeguata remunerazione. 
Recitava 
testualmente 
l'art. 
13, 
che 
inseriva 
l'allegato 
I 
alla 
direttiva 
comunitaria 
75/363: 
"Caratteristiche 
della formazione 
a tempo pieno e 
della formazione 
a tempo ridotto dei 
medici 
specialisti: 
i. 
Formazione 
a 
tempo 
pieno 
dei 
medici 
specialisti. 
essa 
si 
effettua 
in 
posti 
di 
formazione 
specifici 
riconosciuti 
dalle 
autorit� competenti. essa implica la partecipazione 
alla 
totalit� 
delle 
attivit� 
mediche 
del 
servizio 
nel 
quale 
si 
effettua 
la 
formazione, 
comprese 
le 
guardie, in modo che 
lo specialista in via di 
formazione 
dedichi 
a tale 
formazione 
pratica e 
teorica tutta la sua attivit� professionale 
per 
l'intera durata della normale 
settimana lavorativa 
e 
per 
tutta 
la 
durata 
dell'anno, 
secondo 
le 
modalit� 
fissate 
dalle 
autorit� 
competenti. 
tale 
formazione forma pertanto oggetto di una adeguata rimunerazione�. 


Detti 
principi 
sono stati 
ribaditi 
dalla 
successiva 
direttiva 
CEE 
n. 16 del 
1993 che, per quanto 
attiene 
alla 
formazione 
dei 
medici 
specialisti, 
non 
ha 
apportato 
alcuna 
modifica 
di 
significativo 
rilievo, tanto che 
l'allegato I che 
disciplina 
le 
caratteristiche 
della 
formazione 
riproduce 
esattamente 
il 
testo sopra 
trascritto dell'allegato I alla 
direttiva 
75/363, come 
modificato dal 
richiamato 
art. 13. 
Il 
d.lgs. 
8 
agosto 
1991 
n. 
257 
ha 
dato 
attuazione 
alla 
direttiva 
n. 
76 
del 
1982 
prevedendo 
che 
la 
formazione 
del 
medico 
specialista 
a 
tempo 
pieno 
dovesse 
implicare 
la 
partecipazione 
alla 
totalit� 
delle 
attivit� 
mediche 
del 
servizio 
di 
cui 
fanno 
parte 
le 
strutture 
nelle 
quali 
essa 
si 
effettua, 
ivi 
comprese 
le 
guardie 
e 
l'attivit� 
operatoria 
per 
le 
discipline 
chirurgiche, 
nonch� 
la 
graduale 
assunzione 
dei 
compiti 
assistenziali 
in 
modo 
che 
lo 
specializzando 
dedicasse 
alla 
formazione 
pratica 
e 
teorica 
tutta 
la 
sua 
attivit� 
professionale 
per 
l'intero 
anno 
(art. 
4) 
e 
che 
agli 
ammessi 
alle 
scuole 
di 
specializzazione 
nei 
limiti 
definiti 
dalla 
programmazione 
di 
cui 
all'art. 
2, 
comma 
2 
in 
relazione 
all'attuazione 
dell'impegno 
a 
tempo 
pieno 
la 
loro 
formazione, 
venisse 
corrisposta, 
per 
tutta 
la 
durata 
del 
corso, 
ad 
esclusione 
dei 
periodi 
di 
sospensione 
della 
formazione 
specialistica, 
una 
borsa 
di 
studio 
determinata 
per 
l'anno 
1991 
in 
Lire 
21.500.000. 
Successivamente 
la 
materia 
� 
stata 
nuovamente 
disciplinata 
dal 
D.Lgs. 
17 
agosto 
1999 
n. 
368 
che, 
agli 
artt. 
37-39, 
ha 
previsto 
che, 
all�atto 
dell�iscrizione 
alle 
scuole 
universitarie 
di 
specializzazione 
in 
medicina 
e 
chirurgia, 
il 
medico 
stipuli 
uno 
specifico 
contratto 
annuale 
di 
formazione-
lavoro, 
disciplinato 
dal 
detto 
decreto 
legislativo 
e 
dalla 
normativa 
per 
essi 
vigente, 
per 
quanto 
non 
previsto 
o 
comunque 
per 
quanto 
compatibile 
con 
le 
disposizioni 
di 
cui 
al 
decreto 
legislativo. 
Il 
contratto 
� 
finalizzato 
esclusivamente 
all'acquisizione 
delle 
capacit� 
professionali 
inerenti 
al 
titolo 
di 
specialista, 
mediante 
la 
frequenza 
programmata 
delle 
attivit� 
didattiche 
formali 
e 
lo 
svolgimento 
di 
attivit� 
assistenziali 
funzionali 
alla 
progressiva 
acquisizione 
delle 
competenze 
previste 
dall'ordinamento 
didattico 
delle 
singole 
scuole, 
in 
conformit� 
alle 
indicazioni 
dell'Unione 
europea. 
Il 
contratto 
non 
d� 
diritto 
all'accesso 
ai 
ruoli 
del 
Servizio 
sanitario 
nazionale 
e 
dell'universit� 
o 
ad 
alcun 
rapporto 
di 
lavoro 
con 
gli 
enti 
predetti 
(art. 
37). 
Per quanto interessa 
maggiormente 
la 
presente 
controversia, la 
norma 
ha 
ridefinito il 
trattamento 
economico dei 
medici 
specializzandi, prevedendo che 
al 
medico in formazione 
specialistica, 
per tutta 
la 
durata 
legale 
del 
corso, sia 
corrisposto un trattamento economico annuo 
onnicomprensivo. Il 
trattamento economico � 
determinato, ogni 
tre 
anni, con il 
decreto di 
cui 
all'articolo 35. comma 
I. nei 
limiti 
dei 
fondi 
previsti 
dall'articolo 6, comma 
2, della 
legge 
29 
dicembre 
1990, 
n. 
428, 
e 
delle 
quote 
del 
Fondo 
sanitario 
nazionale 
destinate 
al 
finanziamento 
della 
formazione 
dei 
medici 
specialisti. Il 
trattamento stesso � 
costituito da 
una 
parte 
fissa, 
uguale 
per tutte 
le 
specializzazioni 
e 
per tutta 
la 
durata 
del 
corso di 
specializzazione, e 
da 
una 
parte 
variabile, differenziata 
per tipologie 
di 
specializzazioni, per la 
loro durata 
e 
per anno di 



CoNTENzIoSo 
NAzIoNALE 


corso. 
Il 
trattamento 
economico 
� 
corrisposto 
mensilmente 
dalle 
universit� 
presso 
cui 
operano 
le scuole di specializzazione (art. 39). 
Tuttavia, 
tale 
normativa 
non 
ha 
trovato 
immediata 
applicazione 
in 
quanto 
l'ari. 
46 
dello 
stesso 
provvedimento 
ha 
disposto 
"agli 
oneri 
recati 
dai 
titolo 
vi 
del 
presente 
decreto 
legislativo 
si 
provvede 
nei 
limiti 
delle 
risorse 
previste 
dall'art. 
6. 
comma 
2, 
della 
legge 
29 
dicembre 
1990. 
n. 
428, 
delle 
quote 
del 
Fondo 
sanitario 
nazionale 
destinate 
al 
finanziamento 
della 
formazione 
dei 
medici 
specialisti, 
nonch� 
delle 
ulteriori 
risorse 
autorizzate 
da 
apposito 
provvedimento 
legislativo. 
le 
disposizioni 
di 
cui 
agli 
articoli 
39 
e 
41 
si 
applicano 
dall'entrata 
in 
vigore 
del 
provvedimento 
di 
cui 
al 
comma 
1; 
fino 
all'entrata 
in 
vigore 
del 
predetto 
provvedimento 
continuano 
ad 
applicarsi 
le 
disposizioni 
di 
cui 
all'art. 
6 
del 
decreto 
legislativo 
8 
agosto 
1991, 
n. 
257". 


Infine, l'art. 1, comma 
300 della 
legge 
23 dicembre 
2005 n. 266 ha 
apportato ulteriori 
modifiche 
al 
decreto legislativo 17 agosto 1999, n. 368, sostituendo all'articolo 37 le 
parole 
"diformazione-
lavoro" 
con 
le 
parole 
"di 
formazione 
specialistica" 
e 
rideterminando 
i 
profili 
attinenti 
al 
trattamento economico, prevedendo in particolare 
che 
il 
trattamento economico � 
costituito da 
una 
parte 
fissa, uguale 
per tutte 
le 
specializzazioni 
e 
per tutta 
la 
durata 
del 
corso, 
e 
da 
una 
parte 
variabile, ed � 
determinato annualmente 
con decreto del 
Presidente 
del 
Consiglio 
dei 
ministri, 
su 
proposta 
del 
ministro 
dell'istruzione, 
dell'universit� 
e 
della 
ricerca, 
di 
concerto con il 
ministro della 
salute 
e 
con il 
ministro dell'economia 
e 
delle 
finanze, avuto riguardo 
preferibilmente al percorso formativo degli ultimi tre anni. 
La 
norma, inoltre, prevede 
espressamente 
che 
tale 
diverso assetto retributivo si 
applichi 
a 
decorrere 
dall'anno accademico 2006-2007, ribadendo che 
tino all'anno accademico 2005-2006 
rimane operante la disciplina dettata dal decreto legislativo 8 agosto 1991, n. 257. 
ora, � 
incontroverso che, nella 
specie, l'Universit� 
di 
Catania 
abbia, appunto, applicato detta 
ultima 
normativa, 
e 
ci� 
ha 
fatto 
nel 
rispetto 
della 
volont� 
del 
legislatore 
nazionale, 
quale 
emerge dalla ricostruzione degli interventi succedutesi nel tempo. 
Non resta, a 
questo punto, che 
prendere 
in esame 
le 
domande 
spiegate 
in ricorso secondo il 
seguente ordine logico. 
Quanto 
alla 
domanda 
volta 
ad 
ottenere 
l'accertamento 
che 
l'attivit� 
svolta 
dagli 
specializzandi 
possa 
configurarsi 
come 
rapporto di 
lavoro subordinato, reputa 
il 
Tribunale 
che 
la 
tesi 
prospettata 
da parte ricorrente non possa essere condivisa. 
Sul 
punto, infatti, � 
sufficiente 
evidenziare 
che 
la 
Corte 
di 
Cassazione 
ha 
escluso, con orientamento 
ormai 
consolidato e 
reiteratamente 
espresso, che 
l'attivit� 
degli 
specializzandi 
possa 
essere 
ricondotta 
nell'ambito della 
subordinazione 
di 
fatto ed � 
stato evidenziato come 
il 
contratto 
previsto 
dall'art. 
37 
citato 
prevede 
"un 
peculiare 
tipo 
di 
rapporto 
dej�niio, 
appunto, 
"specifico 
contratto 
annuale 
di 
formazione 
lavoro 
disciplinato 
dal 
presente 
decreto 
legislativo 
e 
dalla normativa per 
esso vigente. ": si 
tratta, quindi, di 
uno specifico "contralto di 
formazione-
lavoro" 
regolato da una particolareggiata disciplina che 
sfugge 
alla generale 
distinzione 
tra 
lavoro 
subordinato 
e 
lavoro 
autonomo 
in 
quanto 
le 
prestazioni 
degli 
interessati 
sono 
volte 
soprattutto 
alla 
formazione 
teorica 
e 
pratica 
e 
non 
invece 
a 
procacciare 
utilit� 
alle 
strutture 
sanitarie 
(Cass. 
9789/1995). 
in 
particolare, 
il 
fine 
della 
direttiva 
Cee 
n. 
76 
del 
1982 
contenente 
il 
riferimento 
ad 
un'adeguata 
remunerazione 
era 
ed 
� 
quello 
di 
coordinare 
le 
condizioni 
di 
formazione 
nella Comunit� europea dei 
medici 
specializzandi 
e 
detta direttiva vincolo 
gli 
stati 
membri 
solo 
in 
merito 
al 
risultato 
da 
conseguire. 
le 
prestazioni 
dei 
medici 
interessati 
non sono volte 
a conseguire, come 
detto, un'utilit� per 
l'Universit� parte 
in causa 
e 
cos� 
non vi 
� 
il 
requisito della destinazione 
ad altri 
del 
risultato in relazione 
a cui 
� 
svolta 
la prestazione 
lavorativa, come 
accade 
invece 
nel 
lavoro subordinato; le 
prestazioni 
stesse 



RASSEGNA 
AVVoCATURA 
DELLo 
STATo - N. 4/2016 


mirano in realt� alla formazione 
degli 
aventi 
diritto con il 
conseguimento, al 
fine 
corso, di 
un titolo abilitante 
(Cass. 6089/1998)" 
(cos� 
gi� 
Cass. 20403/2009: 
e 
in seguito in seno conforme 
Cass. Sez. Lav. Sentenza n. 15362/2014). 
Alla 
luce 
di 
quanto osservato rileva 
il 
Tribunale 
come 
l'art. 36 della 
Costituzione, richiamato 
da 
parte 
ricorrente 
al 
fine 
dell'adeguamento 
retributivo, 
non 
pu� 
trovare 
applicazione 
essendo 
del tutto estraneo alla fattispecie in esame. 
Neppure 
possono trovare 
accoglimento la 
domanda 
volta 
ad ottenere 
la 
disapplicazione 
della 
normativa 
interna 
nella 
parte 
in 
cui 
non 
prevede 
l'estensione 
retroattiva 
della 
nuova 
disciplina 
perch� 
in 
contrasto, 
secondo 
la 
prospettazione 
di 
parte 
ricorrente, 
con 
la 
direttiva 
Comunitaria 
self 
executing 
in materia, e 
quella 
di 
risarcimento del 
danno conseguente 
al 
tardivo o inesatto 
recepimento delle direttive comunitarie, 
In 
proposito 
il 
decidente, 
condividendoli, 
reputa 
sufficiente 
richiamare 
gli 
argomenti 
gi� 
espressi da questo Tribunale nelle pronunce sopra citate, evidenziando quanto segue. 
Si 
� 
gi� 
rilevato 
che 
la 
direttiva 
CEE 
82/76 
(poi 
recepita 
con 
L. 
n. 
428/1990 
e 
d.lgs. 
n. 
257/1991) 
prevedeva 
soltanto 
"l'adeguata 
remunerazione" 
per 
la 
partecipazione 
alle 
scuole 
di 
specializzazione 
afferenti 
alle 
Facolt� 
di 
medicina, 
che 
comportasse 
lo 
svolgimento 
delle 
attivit� 
mediche 
del 
servizio 
in 
cui 
si 
effettuava 
la 
specializzazione, 
comprese 
le 
guardie, 
con 
dedizione 
a 
tale 
formazione 
pratica 
e 
teorica 
per 
l'intera 
settimana 
lavorativa 
e 
per 
tutta 
la 
durata 
dell'anno. 
Sebbene 
il 
principio 
dell'adeguata 
remunerazione 
fosse 
incondizionato 
e 
sufficientemente 
dettagliato 
(cfr. 
Cass. 
4/2/2005 
n. 
2203), 
la 
medesima 
direttiva 
lasciava 
testualmente 
alle 
autorit� 
competenti 
di 
ciascuno Stato membro la 
scelta 
politica 
di 
individuare 
le 
disposizioni 
pi� idonee 
ad assicurare questa 
"adeguata remunerazione" 
(Cass. n. 9842/2002 cit.). 
Nessun vincolo, dunque, nasceva 
da 
quella 
direttiva 
per il 
legislatore 
nazionale 
nel 
senso di 
configurare 
necessariamente 
il 
rapporto 
come 
di 
lavoro 
subordinato 
(o 
parasubordinato: 
Cass. 


n. 6089/1998). Pertanto si 
configurava 
come 
conforme 
alle 
direttive 
il 
D.Lgs. n. 257/1991. 
che 
prevedeva 
soltanto una 
borsa 
di 
studio di 
importo determinato, senza 
alcun aggancio a 
prestazioni 
rese 
da 
soggetti 
del 
tutto diversi 
(medici 
del 
servizio sanitario nazionale) nell'ambito 
di 
un rapporto giuridico del 
tutto diverso (pubblico impiego, oppure 
convenizionamento 
con medici cc.dd, parasubordinati). 
La 
situazione 
normativa 
non muta 
- ai 
fini 
in questa 
sede 
rilevanti 
- a 
seguito della 
successiva 
direttiva 
CEE 
93/16, giacch� 
quest'ultima 
prevede 
nuovamente 
la 
partecipazione 
del 
medico 
alla 
totalit� 
delle 
attivit� 
mediche 
del 
servizio nel 
quale 
si 
effettua 
la 
formazione, comprese 
le 
guardie, in modo che 
lo specialista 
in via 
di 
formazione 
dedichi 
a 
tale 
formazione, pratica 
e 
teorica, 
tutta 
la 
sua 
attivit� 
professionale 
per 
l'intera 
durata 
della 
normale 
settimana 
lavorativa 
e per tutta la durata dell'anno. 
Inoltre, anche 
questa 
direttiva 
ribadisce 
il 
principio dell'adeguata 
remunerazione, ma 
rinvia 
nuovamente 
alle 
autorit� 
nazionali 
competenti 
per 
la 
determinazione 
delle 
modalit� 
pi� 
idonee 
ad assicurare la formazione adeguatamente remunerata. 
Di 
talch�. 
anche 
a 
seguito 
della 
direttiva 
del 
1993 
� 
rimasta 
confermata 
la 
discrezionalit� 
politica 
di 
ciascuno 
Stato 
membro 
di 
scegliere 
il 
mezzo 
giuridico 
pi� 
opportuno 
per 
assicurare 
i 
risultati 
dell'idoneit� 
della 
formazione 
medica, 
da 
un 
lato, 
dell'adeguata 
remunerazione, 
dall'altro. 
mette 
conto in proposito rilevare 
che 
la 
Corte 
di 
Cassazione 
ha 
escluso che 
il 
legislatore 
nazionale 
si 
sia 
reso inadempiente 
rispetto agli 
obblighi 
comunitari 
per aver differito l'entrata 
in vigore 
del 
d.lgs 
368/1999, ed ha 
evidenziato che, in realt�, detti 
obblighi 
erano gi� 
stati 
assolti 
attraverso il 
D.Lgs. n. 257/1991 che 
ha 
disciplinato i 
rapporti 
delle 
Universit� 
con gli 
specializzandi (Cass. 22 settembre 2009 n. 20403). 

CoNTENzIoSo 
NAzIoNALE 


Le 
argomentazioni 
espresse 
da 
questo 
Tribunale 
e 
fin 
qui 
richiamate 
sono 
suffragate 
da 
quanto 
statuito dalla 
Corte 
di 
Cassazione 
nella 
sentenza 
n. 15362 del 
2014 con la 
quale 
il 
ricorso � 
stato 
rigettato 
per 
le 
motivazioni 
che 
appare 
opportuno 
riportare: 
"la 
deduzione 
per 
cui 
lo 
stesso 
legislatore 
italiano 
avrebbe 
mutato 
la 
legislazione 
del 
91 
con 
l'introduzione 
di 
una 
nuova 
normativa 
del 
99 
incentrata 
sullo 
schema 
della 
"formazione-lavoro" 
non 
appare 
di 
per 
s� 
decisiva: anche 
ammettendo che 
tale 
schema fosse 
pi� pertinente 
per 
disciplinare 
la specifica 
attivit� 
dei 
medici 
specializzandi 
(comunque 
entrata 
in 
concreto 
in 
vigore 
solo 
nel 
2007) 
questo 
non 
prova 
che 
la 
precedente 
esperienza 
non 
fosse 
idonea 
in 
ordine 
al 
recepimento 
delle 
direttive 
ed a dare 
una tutela al 
diritto ivi 
affermato dell�"adeguata retribuzione". la 
discrezionalit� di 
cui 
disponeva il 
nostro paese 
nel 
dare 
esecuzione 
agli 
obblighi 
europei 
� 
stata esercitata nel 
91 attraverso un meccanismo di 
remunerazione 
incentrato su "borse 
lavoro" 
che 
poi 
� 
stato 
sostituito 
da 
altro 
sistema, 
in 
ipotesi 
pi� 
efficiente 
e 
pi� 
razionale. 
il 
presupposto 
in 
verit� 
di 
tutte 
le 
doglianze 
sviluppate 
nel 
ricorso 
� 
che 
possa 
sussistere 
un'analogia 
tra 
l'attivit� 
dei 
medici 
specializzandi, 
presupposto 
reso 
esplicito 
ed 
evidente 
dal 
richiamo 
in 
entrambi 
i 
motivi 
qui 
in 
esame 
all'art. 
36 
Cosi., 
e 
quella 
tipica 
del 
lavoro 
subordinato 
gi� 
esclusa 
da 
questa 
Corte 
che 
ha 
affermato 
che 
"non 
� 
inquadrabile 
nell'ambito 
del 
rapporto 
di 
lavoro 
subordinato, 
ne' 
del 
lavoro 
autonomo 
l'attivit� 
svolta 
dai 
medici 
iscritti 
alle 
scuole 
di 
specializzazione 
che 
costituisce 
una particolare 
ipotesi 
di 
"contratto di 
formazione-
lavoro", 
oggetto 
di 
specifica 
disciplina, 
rispetto 
alla 
quale 
non 
pu� 
essere 
ravvisala 
una relazione 
sinallagmaiica di 
scambio tra l'attivit� suddetta e 
la remunerazione 
prevista 
dalla legge 
a favore 
degli 
specializzandi 
in quanto tali 
emolumenti 
sono destinati 
a sopperire 
alle 
esigenze 
materiali 
per 
l'impegno a tempo pieno degli 
interessati 
nell'attivit� rivolta alla 
loro 
formazione 
non 
costituiscono, 
quindi, 
il 
corrispettivo 
delle 
prestazioni 
svolte, 
le 
quali 
non sono rivolte 
ad un vantaggio per 
l'Universit�, ma alla formazione 
teorica e 
pratica degli 
stessi 
specializzandi 
ed 
al 
conseguimento, 
alfine 
corso, 
di 
un 
titolo 
abilitante" 
(Cass. 
n. 
20403/09; Cass. n. 27481/2008). Pertanto il 
richiamo al 
rispetto di 
un orario di 
lavoro ed 
alla assimilabilit� tra l'attivit� svolta dai 
ricorrenti 
e 
quella dei 
medici 
a pieno titolo nelle 
strutture 
ospedaliere 
appare 
non pertinente 
ed irrilevante 
e 
svela la pretesa di 
considerare 
lavoro subordinato tout 
court 
un'attivit� che, viceversa, anche 
sotto il 
profilo della responsabilit� 
professionale, 
appare 
invece 
fortemente 
connotata 
da 
preminenti 
esigenze 
di 
ordine 
formativo 
nell'interesse prioritario dell'interessato...". 


In definitiva, deve 
essere 
esclusa 
la 
dedotta 
violazione 
del 
diritto comunitario e 
ci� tanto con 
riguardo alla 
chiesta 
disapplicazione 
della 
normativa 
interna 
sia 
con riguardo alla 
asserita 
responsabilit� 
di 
natura 
indennitaria 
dello Stato italiano per mancata 
o parziale 
trasposizione 
della direttiva. 
Venendo al 
diritto alla 
rideterminazione 
triennale 
e 
alla 
indicizzazione 
annuale 
della 
borsa 
di 
studio, deve osservarsi quanto segue. 
Premesso il 
difetto di 
legittimazione 
passiva 
della 
Presidenza 
del 
Consiglio dei 
ministri, la 
presenza 
in giudizio di 
tale 
soggetto essendo giustificata 
in relazione 
ai 
pretesi 
effetti 
conseguenti 
alla 
mancata 
attuazione, da 
parte 
dello Stato Italiano, della 
direttiva 
comunitaria, ed 
essendo 
del 
tutto 
estranea 
alla 
pretesa 
diretta 
ad 
ottenere 
le 
differenze 
retributive 
derivanti 
dall'applicazione 
dei 
meccanismi 
d� 
adeguamento 
previsti 
dall'art. 
6, 
comma 
1. 
D.Lgs. 
257/91, 
sempre 
in 
via 
preliminare, 
va 
esaminata 
l'eccezione 
di 
prescrizione 
tempestivamente 
proposta 
dall'Universit� degli Studi di Catania e dai ministeri tenuti in solido con la prima. 
L'eccezione non � fondata. 
Innanzitutto, in considerazione 
del 
titolo delle 
pretese, di 
carattere 
retributivo, si 
rende 
appli



RASSEGNA 
AVVoCATURA 
DELLo 
STATo - N. 4/2016 


cabile 
la 
prescrizione 
quinquennale. Si 
discute, infatti, di 
componenti 
di 
un compenso da 
corrispondersi 
periodicamente 
sicch� 
il 
regime 
prescrizionale 
� 
quello 
quinquennale 
di 
cui 
all'art. 
2948 n. 4 c.c. 
Il 
ricorrente 
ha 
chiesto 
la 
rideterminazione 
dei 
compensi 
relativi 
agli 
anni 
accademici 
2004/2005 e 
2005/2006 e 
il 
primo atto interruttivo � 
costituito dalla 
richiesta 
per tentativo di 
conciliazione, datato 29 gennaio 2009 e 
ricevuto dall'Universit� 
e 
dai 
ministeri 
menzionati 
in data 19 febbraio 2009. 
� 
evidente 
che 
il 
termine 
di 
prescrizione 
quinquennale 
non era 
spirato all'atto della 
notificazione 
della richiesta per tentativo di conciliazione. 
L'articolo 6, comma I. D.Lgs. 257/91 prevede quanto segue: 


"agli 
ammessi 
alle 
scuole 
di 
specializzazione 
nei 
limiti 
definiti 
dalla programmazione 
di 
cui 
all 
'art.2, 
comma 
2 
in 
relazione 
all'attuazione 
dell'impegno 
a 
tempo 
pieno 
la 
loro 
formazione, 
� 
corrisposta, 
per 
tutta 
la 
durata 
del 
corso, 
ad 
esclusione 
dei 
periodi 
di 
sospensione 
della 
formazione 
specialistica, una borsa di 
studio determinata per 
l'anno 1991 in l. 21.500.000. 
tale 
importo viene 
annualmente, a partire 
dal 
1 � 
gennaio 1992, incrementato del 
tasso d'inflazione 
ed � 
rideterminato, ogni 
triennio, con decreto del 
Ministro della sanit�, di 
concerto 
con 
i 
Ministri 
dell'Universit� 
e 
della 
ricerca 
scientifica 
e 
tecnologica 
e 
del 
tesoro, 
in 
funzione 
del 
miglioramento stipendiale 
tabellare 
minimo previsto dalla contrattazione 
relativa al 
personale 
medico dipendente del servizio sanitario nazionale". 


Come 
emerge 
dalla 
formulazione 
letterale, la 
disposizione 
contempla 
due 
forme 
di 
adeguamento 
dell'importo 
delle 
borse 
di 
studio: 
un 
incremento 
annuale, 
decorrente 
dall'1 
gennaio 
1992, effettuato sulla 
base 
del 
tasso programmato d'inflazione 
ed una 
rideterminazione 
triennale, 
con 
decreto 
ministeriale, 
in 
funzione 
del 
miglioramento 
stipendiale 
tabellare 
prevista 
dalla contrattazione collettiva del personale medico. 
In 
ordine 
alla 
prima 
forma 
di 
adeguamento, 
considerato 
che 
a 
partire 
dall'anno 
1993 
e 
per 
gli 
anni 
successivi 
erano 
intervenute 
disposizioni 
(contenute 
nelle 
Leggi 
Finanziarie) 
che 
avevano 
disposto 
il 
"blocco" 
dell'incremento 
annuale 
previsto 
dall'art. 
6 
comma 
1 
e 
che, 
in 
assenza 
di 
pronunce 
di 
illegittimit� 
costituzionale, 
non 
poteva 
essere 
accordato 
l'adeguamento 
preteso 
dai 
medici 
specializzandi, 
questo 
giudice 
si 
� 
gi� 
espresso 
in 
senso 
sfavorevole 
(cfr. 
sentenza 
9/7/2015 
resa 
nella 
causa 
iscritta 
al 
n. 
2614/2010 
R.G.), 
in 
particolare 
osservando 
quanto 
segue. 
Come 
evidenziato dalla 
Corte 
Costituzionale 
la 
ratio 
della 
previsione 
del 
blocco della 
stessa 
� 
da 
rinvenirsi 
nella 
esigenza 
di 
evitare 
un automatica 
incremento disposto normativamente, 
inidoneo a 
rispecchiare 
l'effettivo costo della 
vita. Ed infatti, la 
Corte 
costituzionale 
con sentenza 
numero n. 432/1997 ha 
ritenuto infondata 
la 
questione 
di 
legittimit� 
costituzionale 
sollevata 
in relazione 
all'art. 1 comma 
33 della 
Legge 
28 dicembre 
1995, n. 549 affermando che 


"la 
norma 
impugnata, 
invero, 
non 
persegue 
affatto 
l'intento 
di 
discriminare 
irragionevolmente 
i 
medici 
ammessi 
alle 
scuole 
di 
specializzazione, ma, in una logica di 
bilanciamento 
con le 
fondamentali 
scelte 
di 
politica economica (sentenza n. 245 del 
1997) e, inserendosi 
in 
un pi� ampio complesso di 
norme 
ispirate 
alla stessa ratio, adegua la loro situazione 
ad un 
diverso 
principio, 
generalizzatosi 
tanto 
nel 
settore 
privato, 
quanto 
in 
quello 
pubblico. 
si 
tratta 
del 
principio secondo il 
quale 
la difesa dall'aumento del 
costo della vita � 
da affidarsi 
precipuamente 
alle 
dinamiche 
contrattuali, 
in 
particolar 
modo 
alla 
contrattazione 
collettiva, 
piuttosto 
che 
a strumenti 
legislativi 
di 
adeguamento automatico. sotto questo profilo, va rilevato 
che 
la 
legislazione 
vigente 
prevede 
per 
i 
medici 
specializzandi, 
pur 
nella 
peculiarit� 
della 
loro posizione, un meccanismo di 
collegamento dell'importo delle 
borse 
di 
studio ai 
miglioramenti 
stipendiali 
del 
personale 
medico dipendente 
dal 
servizio sanitario nazionale 
(art. 6 



CoNTENzIoSo 
NAzIoNALE 


del 
d.P.R. 8 agosto 1991, n. 257). Pertanto la disposizione 
censurata, escludendo per 
le 
predette 
borse 
di 
studio, in via eccezionale 
e 
per 
un ristretto arco temporale, l'incremento automatico 
del 
tasso di 
inflazione, non appare 
affatto irragionevole 
o discriminatoria, ma invece 
si 
inserisce 
in un ampio complesso di 
norme 
che 
perseguono, anche 
nei 
settore 
della sanit�, 
il 
fine 
di 
impedire, 
per 
lo 
stesso 
periodo 
di 
tempo, 
tutti 
gli 
incrementi 
retributivi 
conseguenziali 
ad automatismi stipendiai". 


Pi� 
precisamente 
deve 
rilevarsi 
che 
la 
mancata 
indicizzazione 
rientrava 
in 
un 
blocco 
generale 
adottato dal legislatore ai fini del contenimento della spesa pubblica. 
In 
proposito 
� 
utile 
riportare 
quanto 
osservato 
dalla 
Corte 
di 
Cassazione 
nella 
sentenza 
n. 
29345/2008 secondo cui 
"la l. 2 dicembre 
1995, n. 549, (Misure 
di 
razionalizzazione 
della 
finanza pubblica), all'art. 1, comma 33, interpretando autenticamente 
le 
disposizioni 
di 
cui 
al 
D.l. 19 settembre 
1992, n 384, art. 7, commi 
5 e 
6, convertito, con modificazioni 
dalla l. 
14 
novembre 
1992, 
n. 
438, 
ha 
stabilito 
che 
le 
suddette 
disposizioni 
debbano 
essere 
interpretate 
nel 
senso 
che 
tra 
le 
indennit�, 
compensi, 
gratifiche 
ed 
emolumenti 
di 
qualsiasi 
genere, 
da 
corrispondere 
nella misura prevista per 
l'anno 1992 siano comprese 
le 
borse 
di 
studio di 
cui 
al D.lgs. 8 agosto 1991, n. 257, art. 6. 
in base 
alla l. 23 dicembre 
1999. n. 488, art. 22, (legge 
Finanziaria 2000), la disposizione 
cos� 
interpretata 
continua 
ad 
applicarsi 
anche 
nel 
triennio 
2000 
-2002. 
11 
divieto 
di 
periodico 
aggiornamento delle 
borse 
di 
studio di 
cui 
si 
tratta � 
stato peraltro ancora confermato dalla 


l. 27 dicembre 
2002, n. 289, art. 36, (legge 
Finanziaria 2003) il 
quale 
ha disposto che 
sino 
alla stipula del 
contratto annuale 
di 
formazione 
lavoro previsto dal 
D.lgs. 17 agosto 1999, 
n. 
368, 
art. 
37, 
la 
misura 
delle 
borse 
di 
studio 
corrisposle 
ai 
medici 
informazione 
specialistica, 
ai 
sensi 
del 
D.lgs. 8 agosto 1991, n. 257, rimane 
consolidata in quella stabilita dalla l. 27 
dicembre 1997, n. 449, art. 32, comma 12". 
Ancora 
la 
suprema 
Corte 
(cfr. Cass. 11565/2011 cos� 
massimata 
"in tema di 
trattamento economico 
dei 
medici 
specializzandi 
e 
con riferimento alla domanda risarcitoria per 
non adeguata 
remunerazione, l'importo della borsa di 
studio prevista dall'art. 6 del 
d.lgs. 8 agosto 
1991, n. 257 non � 
soggetto ad incremento in relazione 
alla variazione 
del 
costo della vita 
per 
l'anno 1992, in applicazione 
di 
quanto disposto dall'art. 1, comma 33, della legge 
2 dicembre 
1955 n. 549, trattandosi 
di 
misura, (v. sentenza Corte 
cost. n. 432 del 
1997) non irragionevole 
n� 
discriminatoria, 
perch� 
riferita 
ad 
un 
arco 
temporale 
limitato 
e 
coerente 
rispetto al 
"corpus" 
normativo, in cui 
� 
stata inserita, volto ad impedire, anche 
nel 
settore 
della sanit�, gli 
incrementi 
retributivi 
consequenziali 
ad automatismi 
stipendiali: la predetta 
sospensione, inoltre, non contrasta con la Direttiva 82/76/Cee 
del 
Consiglio del 
26 gennaio 
1982 (recepita con il 
predetto d.lgs. n. 257 dei 
1991, in attuazione 
della legge 
29 dicembre 
1990, n.428) in quanto in detta disciplina comunitaria non � 
rinvenibile 
una definizione 
di 
retribuzione 
adeguata, n� 
sono posti 
i 
criteri 
per 
la determinazione 
della stessa") ha 
evidenziato 
come 
il 
blocco degli 
incrementi 
della 
borsa 
di 
studio dovuti 
al 
tasso di 
inflazione 
si 
inserisce 
in 
una 
manovra 
di 
politica 
economica 
riguardante 
la 
generalit� 
degli 
emolumenti 
retributivi 
in senso lato erogati 
dallo Stato, come 
riconosciuto dalla 
Corte 
Cost. con la 
sopra 
richiamata sentenza n. 432/1997. 
In 
altri 
termini 
a 
partire 
dall'anno 
1993 
e 
per 
gli 
anni 
successivi 
erano 
intervenute 
disposizioni 
(contenute 
nelle 
Leggi 
Finanziarie) che 
avevano disposto il 
"blocco" 
dell'incremento annuale 
previsto 
dall'art. 
6 
comma 
1 
e, 
in 
assenza 
di 
pronunce 
di 
illegittimit� 
costituzionale, 
non 
poteva 
essere accordato l'adeguamento preteso dai medici specializzandi. 
Questo 
decidente 
ritiene 
di 
dover 
riconfermare 
le 
argomentazioni 
gi� 
espresse 
e, 
per 
esigenze 

RASSEGNA 
AVVoCATURA 
DELLo 
STATo - N. 4/2016 


di 
sintesi, � 
sufficiente 
riportare 
di 
seguito la 
concatenazione 
delle 
norme 
che 
ha 
protratto il 
blocco dell'incremento annuale per tutto il periodo considerato in causa: 


-l'art. 
7, 
comma 
5, 
D.L. 
384/92, 
conv. 
con 
L. 
438/92, 
blocca 
tutte 
"le 
indennit�, 
compensi, 
gratfiche 
ed 
emolumenti 
di 
qualsiasi 
genere, 
comprensivi, 
per 
disposizione 
di 
legge 
o 
atto 
amministrativo 
previsto 
dalla 
legge 
o 
per 
disposizione 
contrattuale, 
di 
una 
quota 
di 
indennit� 
integrativa 
speciale 
di 
cui 
alla 
legge 
27 
maggio 
1959, 
n. 
324 
e 
successive 
modificazioni, 
o 
dell�indennit� 
di 
contingenza 
prevista 
per 
il 
settore 
privato 
o 
che 
siano, 
comunque, 
rivalutabili 
in 
relazione 
alla 
variazione 
del 
costo 
della 
vita", 
prevedend/195, 
con 
norma 
di 
interpretazione, 
ha 
previsto 
che 
fra 
le 
indennit� 
compensi, 
gratifiche 
ed 
emolumenti 
di 
qualsiasi 
genere 
di 
cui 
all'art. 
7, 
comma 
5 
siano 
comprese 
anche 
le 
borse 
di 
studio 
di 
cui 
all'art. 
6 
D. 
Lgs. 
257191; 
-il 
blocco � 
stato confermato per gli 
anni 
1994 - 1996 dall'art. 3 L.537/93, per gli 
anni 
1997 
-1999 dall'art. 1 L. 662/96, per gli 
anni 
2000 - 2002 dall'art. 22, comma 
1, L. 488/99, per gli 
anni 
2003 2005 dall'art.36, comma 
1 L.289/2002, per gli 
anni 
2006 - 2008 dall'art. 1, comma 
212 L. 266/05. 
In sostanza, per effetto della 
concatenazione 
di 
norme 
sopra 
riportate, si 
deve 
ritenere 
che, a 
partire 
dall'istituzione 
delle 
borse 
di 
studio 
di 
cui 
si 
tratta 
e 
fino 
a 
quando, 
a 
decorrere 
dal 
2007, � 
divenuto operativo il 
nuovo contratto di 
specializzazione 
ex 
art. 37 D. Lgs. 368/99, 
non � 
stato consentito, per effetto del 
blocco normativamente 
disposto, l'incremento annuale 
del tasso di inflazione programmato previsto dall'art. 6, comma 1. 
occorre 
ora 
esaminare 
la 
pretesa 
del 
medico 
specializzando 
con 
riferimento 
alla 
forma 
di 
adeguamento 
previsto dalla seconda parte del comma 1 citato. 
Il 
citato precedente 
di 
questo decidente 
non aveva 
rimarcato la 
distinzione 
tra 
le 
due 
forme 
di 
adeguamento, che 
� 
stata 
annotata 
da 
due 
pronunce 
della 
Suprema 
Corte 
(17 giugno 2008 n. 
16385 e 29 ottobre 2012 n. 18562). 
occorre 
subito precisare 
che 
le 
citate 
decisioni 
di 
legittimit� 
non prendono in esame 
l'intera 
fattispecie 
che 
qui 
viene 
esaminata; 
la 
Corte 
di 
Cassazione 
evidenzia 
che 
i 
giudici 
di 
merito 
non 
hanno 
distinto 
fra 
le 
due 
forme 
di 
adeguamento 
previste 
dall'art. 
6, 
comma 
1 
D.Lgs. 
257/91, 
rileva 
che 
la 
rideterminazione/adeguamento 
triennale 
risulta 
anch'essa 
oggetto 
di 
blocco, seppure 
solo per l'anno 1993 (art. 7, comma 
1 D.L. 384/92) e 
rinvia 
alla 
corte 
territoriale 
per una nuova disamina alla luce dei principi espressi. 
Ebbene, 
ritiene 
questo 
giudice 
che 
sia 
configurabile 
il 
diritto 
soggettivo, 
seppure 
condizionato, 
dei 
medici 
specializzandi 
alla 
rideterminazione 
triennale 
dei 
compenso "in funzione 
del 
miglioramento 
stipendiate 
tabellare 
minimo previsto dalla contrattazione 
relativa al 
personale 
medico dipendente del servizio sanitario nazionale". 
Infatti 
il 
citato disposto normativo non pu� che 
essere 
inteso come 
un 'aggancio' 
dell'importo 
della 
borsa 
di 
studio alla 
dinamica 
stipendiale 
contrattuale 
prevista 
per il 
personale 
medico 
del 
SSN, nel 
senso che, accertata 
una 
determinata 
percentuale 
di 
incremento dello stipendio 
tabellare 
minimo 
del 
personale 
medico 
per 
effetto 
della 
contrattazione 
collettiva, 
la 
medesima 
percentuale 
deve 
essere 
applicata 
(ogni 
triennio) all'importo della 
borsa 
di 
studio corrisposta 
agli specializzandi. 
Tanto premesso, occorre 
verificare 
se 
e 
con quali 
scansioni 
temporali 
siano intervenuti 
provvedimenti 
di 'blocco' anche con riferimento all'adeguamento triennale in oggetto. 
Come 
si 
ricava 
dalle 
citate 
pronunce 
della 
Suprema 
Corte, 
sicuramente 
il 
blocco 
� 
intervenuto 
per l'anno 1993, posto che 
l'art. 7, comma 
1 D.L. 384/92, conv. con L. 438/92, prevede 
che 


"Resta 
ferma 
sino 
al 
31 
dicembre 
1993 
la 
vigente 
disciplina 
emanata 
sulla 
base 
degli 
accordi 



CoNTENzIoSo 
NAzIoNALE 


di 
comparlo di 
cui 
alla legge 
29 marzo 1983, n. 93, e 
successive 
modificazioni 
e 
integrazioni. 
i nuovi accordi avranno effetto dal 1� gennaio 1994". 


Per 
gli 
anni 
successivi 
va 
evidenziato 
che, 
mentre 
non 
sembra 
riscontrabile 
alcun 
provvedimento 
di 
blocco 
per 
il 
periodo 
I 
gennaio 
1994 
-31 
dicembre 
1997, 
deve 
ritenersi 
che 
il 
blocco 
intervenga 
nuovamente 
a 
decorrere 
dall'1 
gennaio 
1998 
e 
fino 
al 
2007, 
quando 
viene 
reso 
operativo 
il 
contratto 
di 
specializzazione 
di 
cui 
al 
D.Lgs. 
368/99 
(per 
tale 
posizione 
cfr. 
Corte 
d'Appello 
di 
Torino, 
sentenza 
resa 
nella 
causa 
n. 
594/2014) 
e 
ci� 
alla 
stregua 
delle 
previsioni 
di 
cui 
all'art. 
32, 
comma 
12 
della 
L. 
27 
dicembre 
1997, 
n. 
449 
e 
dall'art. 
36, 
comma 
1 
della 
L 
27 
dicembre 
2002, 
n. 
289. 
La 
prima 
prevede 
che 
"a 
partire 
dal 
1998 resta consolidata in lire 
313 miliardi 
la quota del 
Fondo sanitario nazionale 
destinata al 
finanziamento delle 
borse 
di 
studio per 
la formazione 
dei 
medici 
specialisti 
di 
cui 
al 
decreto legislativo 8 agosto 1991, n. 257: conseguentemente 
non si 
applicano per 
il 
triennio 1998-2000 gli 
aggiornamenti 
di 
cui 
all'articolo 6, comma 1, 
del predetto decreto legislativo n. 257 del 1991". 
Come 
si 
ricava 
dai 
riferimenti 
alla 
quota 
del 
fondo 
sanitario 
nazionale 
ed 
agli 
"aggiornamenti 
di 
cui 
all'articolo 6, comma 1", la 
norma 
ha 
per oggetto l'adeguamento derivante 
dalla 
ride-
terminazione 
triennale, 
anche 
perch� 
l'incremento 
annuale, 
come 
sopra 
evidenziato, 
risulta 
bloccato per effetto di altra normativa. 
In ogni 
caso il 
blocco � 
confermato per effetto dell'art. 36, comma 
1 della 
Legge 
289/2002 
che, 
dopo 
avere, 
nella 
prima 
parte, 
confermato 
il 
blocco 
degli 
aumenti 
connessi 
con 
variazioni 
del costo della vita, nella seconda parte prevede quanto segue: 


"tale 
divieto 
si 
applica 
anche 
agli 
emolumenti, 
indennit�, 
compensi 
e 
rimborsi 
spese 
erogali, 
anche 
ad estranei, per 
l'espletamento di 
particolari 
incarichi 
e 
per 
l'esercizio di 
specifiche 
funzioni 
per 
i 
quali 
� 
comunque 
previsto il 
periodico aggiornamento dei 
relativi 
importi 
nonch�, 
fino alla stipula del 
contratto annuale 
di 
formazione 
e 
lavoro previsto dall�art. 37 del 
decreto legislativo 17 agosto 1999, n. 368, alle 
borse 
di 
studio corrisposte 
ai 
medici 
in formazione 
specialistica ai 
sensi 
del 
decreto legislativo 8 agosto 1991, n. 257, il 
cui 
ammontare 
a carico del 
Fondo sanitario nazionale 
rimane 
consolidato nell'importo previsto dall'art. 32, 
comma 12, della legge 27 dicembre 1997, n. 449, e successive mo4ficazioni". 


Dal 
momento che 
le 
disposizioni 
in tema 
di 
contratto annuale 
di 
formazione 
specialistica 
di 
cui 
al 
D.Lgs. 
368/1999 
sono 
divenute 
operative 
solo 
a 
decorrere 
dall'anno 
accademico 
2006/2007 (cfr. art. 46 D.Lgs. 368/1999), il 
blocco dell'incremento triennale 
si 
� 
protratto a 
decorrere dall'1 gennaio 1997 e per l'intero periodo considerato in causa. 
Per le 
considerazioni 
esposte 
e 
risultando che 
nel 
quadriennio 1994-1997 vi 
sono stati 
interventi 
della 
contrattazione 
collettiva 
sulla 
dinamica 
salariale 
del 
personale 
medico 
del 
servizio 
sanitario nazionale, la 
domanda 
diretta 
ad ottenere 
l'incremento triennale 
di 
cui 
alla 
seconda 
parte 
del 
comma 
1 
art. 
6 
D.Lgs. 
257/1991 
merita 
accoglimento 
limitatamente 
al 
periodo 
I 
gennaio 1994 - 31 dicembre 1997. 
Per 
quanto 
sopra, 
le 
parti 
resistenti, 
esclusi 
l'Assessorato 
alla 
Sanit� 
della 
Regione 
Sicilia, 
l'Azienda 
ospedaliera 
convenuta 
e 
la 
Presidenza 
del 
Consiglio 
dei 
ministri, 
devono 
essere 
condannate 
in solido al 
pagamento in favore 
del 
ricorrente 
delle 
differenze 
con quanto percepito 
oltre 
gli 
interessi 
legali 
dal 
dovuto al 
saldo in ragione 
del 
dichiarato diritto alla 
rideterminazione 
triennale 
della 
borsa 
di 
studio in conseguenza 
degli 
incrementi 
contrattuali 
per il 
personale medico dipendente dal servizio sanitario nazionale. 
Ricorrono eccezionali 
ragioni, avuto riguardo alla 
complessit� 
delle 
questioni 
trattate 
e 
alle 
non 
univoche 
soluzioni 
adottate 
dalla 
giurisprudenza 
di 
merito, 
per 
compensare 
integralmente 
tra le parti le spese di lite. 



RASSEGNA 
AVVoCATURA 
DELLo 
STATo - N. 4/2016 


P.Q.m. 
Il 
Tribunale 
di 
Catania, in persona 
del 
giudice 
unico dott.ssa 
Patrizia 
mirenda, in finzione 
di 
giudice 
del 
lavoro, definitivamente 
decidendo nella 
causa 
iscritta 
al 
n. 9671/2010 R.G., cos� 
statuisce: 
In 
parziale 
accoglimento 
del 
ricorso, 
condanna 
il 
ministero 
della 
Salute, 
il 
ministero 
dell'Economia 
e 
delle 
Finanze, 
il 
ministero 
dell'Istruzione, 
dell'Universit� 
e 
della 
Ricerca 
e 
l'Universit� 
degli 
Studi 
di 
Catania, 
in 
solido 
fra 
loro, 
a 
pagare 
in 
favore 
di 
F.V. 
le 
differenze 
maturate, 
negli 
anni 
2004/2005 e 
2005/2006 di 
frequenza 
del 
corso di 
specializzazione, in conseguenza 
della 
mancata 
rideterminazione 
triennale 
ex 
art. 
6 
D.Lgs. 
257/1991 
della 
borsa 
di 
studio 
fruita 
in funzione 
dei 
miglioramenti 
stipendiali 
tabellari 
minimi 
previsti 
dalla 
contrattazione 
collettiva 
relativa 
al 
personale 
medico dipendente 
del 
SSN 
intervenuti 
nel 
periodo 1 gennaio 1994 


- 3 dicembre 1997, oltre interessi di legge. 
Rigetta nel resto il ricorso. 
Compensa le spese. 
Cosi deciso in Catania all'udienza del 26 aprile 2016. 

CoNTENzIoSo 
NAzIoNALE 


Profili normativi e problematici dell�Accesso civico 

Nota 
a 
CoNs. st., sez. iv, seNteNza 
12 agosto 
2016 N. 3631 


Chiara Bianco, Francesco Radicetti* 


soMMaRio: 1. Cenni 
sull�origine 
dell�istituto e 
sulla sua introduzione 
nell�ordinamento 
italiano - 2. Diritto d�accesso e 
accesso civico: presupposti 
e 
coesistenza dei 
due 
istituti 
- 3. 
Profili 
problematici 
per 
l�individuazione 
dei 
limiti 
all�accesso 
civico 
e 
rinvio 
al 
soft 
law 
quale 
possibile strumento di soluzione - 4. Possibile evoluzione dell�istituto. 

1. 
Cenni 
sull�origine 
dell�istituto 
e 
sulla 
sua 
introduzione 
nell�ordinamento 
italiano. 
� 
possibile 
rinvenire 
una 
prima 
traccia 
di 
disciplina 
in 
materia 
di 
trasparenza 
e 
di 
accessibilit� 
a 
favore 
dei 
cittadini 
rispetto 
ai 
dati 
in 
possesso 
dell�autorit� 
statuale 
gi� 
nel 
1766 
nell�allora 
Regno 
di 
Svezia 
che 
fu 
la 
prima, 
fra 
le 
nazioni 
d�Europa, 
ad 
avere 
una 
legge 
sulla 
libert� 
di 
stampa 
(tryckfrihetsf�rordningen) 
emanata 
dal 
Re 
Adolfo 
Federico 
di 
Svezia, 
la 
quale, 
all�articolo 
10, 
recitava 
che 
�..Deve 
essere 
concesso 
libero 
accesso 
a 
tutti 
gli 
archivi". 
La 
legge 
ebbe 
comunque 
una 
vita 
alquanto 
breve, 
poich� 
il 
ritorno 
della 
monarchia 
assoluta 
ne 
segn� 
la 
sorte 
appena 
sei 
anni 
pi� 
tardi. 
Tuttavia 
il 
dato 
storico 
assume 
una 
particolare 
significativit� 
in 
quanto 
la 
legge 
sulla 
libert� 
di 
stampa, 
oltre 
a 
tornare 
in 
vigore 
nel 
secolo 
successivo 
conseguentemente 
al 
crollo 
della 
monarchia, 
oggi 
� 
tutt�ora 
vigente 
-pur 
se 
ovviamente 
integrata 
e 
modificata 
-ed 
assurge 
a 
rilievo 
di 
carattere 
costituzionale. 
Il 
principio 
che 
viene 
stabilito 
� 
che 
tutte 
le 
informazioni 
o 
i 
documenti 
generati 
e 
custoditi 
presso 
una 
pubblica 
amministrazione 
debbono 
essere 
resi 
accessibili 
a 
chiunque 
e 
che 
tale 
accessibilit� 
sia 
realizzata 
nel 
minor 
tempo 
possibile. 
Il 
principio 
enucleato 
dalla 
tryckfrihetsf�rordningen 
statuiva 
allora, 
e 
conferma 
oggi, 
che 
tutte 
le 
informazioni 
ed 
i 
documenti 
che 
una 
Amministrazione 
produce 
attraverso 
il 
proprio 
agire, 
o 
detenga 
ai 
propri 
fini 
istituzionali, 
siano 
resi 
accessibili 
a 
chiunque. 


ovviamente 
un 
diritto, 
per 
essere 
tale 
e 
non 
sconfinare 
nell�arbitrio, 
deve 
anche 
essere 
necessariamente 
circoscritto e 
in questo ambito, anche 
nell�ordinamento 
svedese, furono codificate 
alcune 
limitazioni, alcune 
delle 
quali 
risalgono 
al 
1980, anno di 
adozione 
della 
�legge 
sul 
segreto� 
(sekretesslag). 
Le 
limitazioni 
all�accesso operano in questo caso su due 
piani: 
quello temporale 
e 
quello oggettivo. Per quanto attiene 
alla 
dimensione 
temporale, le 
limitazioni 
all�accesso 
non 
possono 
superare 
i 
70 
anni; 
sul 
piano 
delle 
materie, 


(*) Chiara 
bianco, Dottore 
in Giurisprudenza, gi� 
praticante 
forense 
presso l�Avvocatura 
dello Stato; 
Francesco Radicetti, Ufficiale superiore dell�Esercito italiano - Ufficio legislativo min. difesa. 



RASSEGNA 
AVVoCATURA 
DELLo 
STATo - N. 4/2016 


invece, limitazioni 
sono previste 
in materia 
di 
sicurezza 
nazionale, di 
prevenzione 
e 
la 
repressione 
criminale, come 
pure 
di 
tutela 
ambientale. Un ulteriore 
specifico 
presidio, 
infine, 
� 
stato 
introdotto 
negli 
anni 
�90 
in 
tema 
di 
tutela 
della riservatezza dei singoli cittadini. 

Dalla 
seconda 
met� 
del 
secolo scorso il 
concetto di 
open government 
si 
� 
ampiamente 
diffuso a 
partire 
dall�area 
scandinava 
(Finlandia 
nel 
1951, Norvegia 
nel 
1970), fino ad estendersi, ma 
non rapidamente, in tutto l�occidente. 


Se 
l�esempio 
pi� 
noto 
e 
originale 
� 
quello 
statunitense 
del 
Freedom 
of 
information 
act 
del 
1966, anche 
in Europa 
si 
sono sviluppati 
dei 
modelli 
di 
diritto 
di 
accesso da 
parte 
dei 
privati, nei 
confronti 
dei 
documenti 
detenuti 
dalle 
pubbliche amministrazioni, pur se con caratteri e modalit� assai differenti. 

Nel 
modello francese, ad esempio, oggetto dell�accesso � 
il 
documento 
amministrativo e 
non la 
mera 
informazione, conseguentemente 
l�amministrazione 
sar� 
tenuta 
(ed autorizzata) alla 
semplice 
esibizione 
del 
documento ed 
all�eventuale 
rilascio di 
copia 
dello stesso. Secondo tale 
modello l�unica 
informazione 
fruibile 
� 
quella 
contenuta 
nel 
documento 
e 
non 
gi� 
quella 
che 
potrebbe 
essere 
desunta, laddove 
richiesto, anche 
attraverso un interpretazione 
analitico-sistematica 
di 
pi� documenti 
o di 
diversi 
dati 
in possesso della 
medesima 
amministrazione. 


Il 
modello 
di 
accesso 
francese, 
analogamente 
a 
quello 
che 
in 
Italia 
� 
stato 
introdotto con la 
legge 
7 agosto 1990, n. 241, non prevede 
un accesso generalizzato 
ai 
documenti 
amministrativi, 
ma 
prevede 
una 
specifica 
qualificazione 
giuridica in capo al richiedente. 

Tale 
impostazione 
risente, a 
ben vedere, da 
quella 
del 
primo modello statunitense 
contenuto 
nell�administrative 
Procedure 
act 
del 
1946 
secondo 
il 
quale 
poteva 
accedere 
ai 
documenti 
e 
alle 
informazioni 
solamente 
colui 
il 
quale 
risultasse 
properly 
and directly 
concerned, ovvero il 
soggetto latore 
di 
un interesse qualificato in ordine all�oggetto della richiesta di accesso. 


La 
riforma 
del 
Governo federale 
USA 
del 
1966, attraverso il 
citato Freedom 
of 
information act 
ribalta 
completamente 
la 
precedente 
impostazione: 
si 
passa 
dalla 
necessit� 
della 
presenza 
di 
un interesse 
qualificato in capo al 
richiedente, 
ad un accesso open to all. 
Fatte 
salve 
alcune 
limitazioni 
introdotte 
da 
taluni 
Stati 
dell�Unione 
con riguardo alle 
qualit� 
dei 
soggetti 
richiedenti 
le 
informazioni 
(reclusi 
o ex detenuti), la 
regola 
generale 
dunque, e 
soprattutto 
quella 
federale, � 
di 
una 
generale 
disclosure, il 
che 
comporta 
che 
l�onere 
di 
motivare 
un 
eventuale 
diniego 
all�accesso 
� 
posto 
in 
capo 
all�Amministrazione, 
atteso che 
il 
cittadino non � 
pi� tenuto a 
dimostrare 
di 
avere 
un particolare 
interesse verso una data informazione o un determinato documento. 

Nel 
nostro 
ordinamento 
si 
arriva 
ad 
ideare 
una 
configurazione 
ordinamentale 
dell�istituto 
dell�accesso 
civico 
solamente 
attraverso 
la 
previsione 
contenuta 
all�articolo 
7 
della 
legge 
7 
agosto 
2015, 
n. 
124, 
recante 
�Deleghe 
al 
governo 
in 
materia 
di 
riorganizzazione 
delle 
amministrazioni 
pubbliche�, 
in 
materia 
di 
pubblicit�, 
tra



CoNTENzIoSo 
NAzIoNALE 


sparenza 
e 
diffusione 
di 
informazioni 
da 
parte 
delle 
pubbliche 
amministrazioni. 


Il 
provvedimento attuativo della 
citata 
delega, concretizzatosi 
con il 
decreto 
legislativo n. 97 del 
2016, � 
finalizzato a 
rafforzare 
la 
trasparenza 
amministrativa, 
favorendo 
forme 
diffuse 
di 
controllo 
da 
parte 
dei 
cittadini, 
avendo 
come modello gli 
standards 
internazionali. 


In particolare, il 
citato provvedimento normativo, che 
nel 
complesso apporta 
significative 
modifiche 
alle 
previgenti 
disposizioni 
in materia 
di 
trasparenza, 
disciplinate 
dal 
decreto 
legislativo 
14 
marzo 
2013, 
n. 
33, 
persegue 
l�obiettivo 
di: 
ridefinire 
l�ambito 
di 
applicazione 
degli 
obblighi 
e 
delle 
misure 
in 
materia 
di 
trasparenza; 
prevedere 
misure 
organizzative 
per 
la 
pubblicazione 
di 
alcune 
informazioni 
e 
per la 
concentrazione 
e 
la 
riduzione 
degli 
oneri 
gravanti 
in 
capo 
alle 
amministrazioni 
pubbliche; 
razionalizzare 
e 
precisare 
gli 
obblighi 
di 
pubblicazione; 
individuare 
i 
soggetti 
competenti 
all�irrogazione 
delle 
sanzioni per la violazione degli obblighi di trasparenza. 


ma 
soprattutto, 
in 
particolare, 
� 
introdotta 
una 
nuova 
forma 
di 
accesso 
civico ai 
dati 
e 
ai 
documenti 
pubblici, equivalente 
a 
quella 
dei 
sistemi 
anglosassoni 
sopra descritta e definita 
Freedom of information act 
(Foia). 

L�accesso 
civico 
consente, 
a 
chiunque, 
indipendentemente 
dalla 
titolarit� 
di 
situazioni 
giuridicamente 
rilevanti, di 
accedere 
a 
tutti 
i 
dati 
e 
ai 
documenti 
detenuti 
dalle 
pubbliche 
amministrazioni, nel 
rispetto di 
alcuni 
limiti 
tassativamente 
indicati 
dalla 
legge. 
Si 
tratta, 
dunque, 
di 
un 
regime 
di 
accesso 
pi� 
ampio 
di 
quello 
gi� 
previsto 
e 
si 
distingue 
dalla 
disciplina 
in 
materia 
di 
accesso 
ai 
documenti 
amministrativi 
di 
cui 
agli 
articoli 
22 
e 
seguenti 
della 
legge 
7 
agosto 
1990, n. 241. 

Sotto 
il 
profilo 
soggettivo, 
infatti, 
la 
richiesta 
di 
accesso 
civico 
non 
richiede 
alcuna 
qualificazione 
e 
motivazione, 
per 
cui 
il 
richiedente 
non 
deve 
dimostrare 
di 
essere 
titolare 
di 
un 
�interesse 
diretto, 
concreto 
e 
attuale, 
corrispondente 
ad una situazione 
giuridicamente 
tutelata e 
collegata al 
documento 
al 
quale 
� 
chiesto 
l'accesso�, 
cos� 
come 
stabilito 
invece 
per 
l'accesso 
ai sensi della legge sul procedimento amministrativo. 

Dal 
punto di 
vista 
oggettivo, invece, i 
limiti 
applicabili 
alla 
nuova 
forma 
di 
accesso civico (di 
cui 
al 
nuovo articolo 5-bis 
del 
decreto legislativo n. 33 
del 
2013) sono pi� ampi 
e 
dettagliati 
rispetto a 
quelli 
indicati 
dall'articolo 24 
della 
legge 
n. 
241 
del 
1990, 
consentendo 
alle 
amministrazioni 
di 
impedire 
l'accesso 
nei 
casi 
in 
cui 
questo 
possa 
compromettere 
alcuni 
rilevanti 
interessi 
pubblici 
generali. 


2. 
Diritto 
d�accesso 
e 
accesso 
civico: 
presupposti 
e 
coesistenza 
dei 
due 
istituti. 
Le 
prime 
tracce 
di 
un "diritto di 
accesso" 
ai 
documenti 
amministrativi 
si 
possono rinvenire, nell'ordinamento italiano, nell'articolo 31, comma 
9, della 
legge 
urbanistica 
del 
1942, cos� 
come 
modificato dalla 
legge 
6 agosto 1967, 


n. 765 (c.d. Legge 
Ponte). La 
novella 
introdotta 
prevedeva, per la 
prima 
volta 

CoNTENzIoSo 
NAzIoNALE 


di 
interessi 
diffusi, che 
abbiano un interesse 
che 
definisce 
diretto concreto ed 
attuale, corrispondente 
ad una 
situazione 
giuridicamente 
tutelata 
e 
collegata 
al documento del quale � richiesto l'accesso. 


Siamo dunque 
in presenza, nell'ambito della 
legge 
241 del 
1990 di 
situazioni 
giuridicamente 
rilevanti 
collegate 
da 
soggetti 
individuati 
o individuabili 
nel 
perimetro di 
una 
fase 
procedimentale; 
si 
tratta, quindi, di 
una 
situazione 
giuridica 
predeterminata 
dalla 
legge, 
in 
cui 
il 
soggetto 
attivo 
legittimato 
si 
muove 
all'interno di 
aspettative 
ed obblighi 
connessi 
al 
corretto esercizio di 
una 
particolare 
attivit� 
dell'Amministrazione, posta 
in essere 
nell'ambito del 
procedimento e 
funzionalmente 
collegata 
ai 
documenti 
per i 
quali 
il 
diritto di 
accesso � 
esercitato, al 
punto da 
costituire 
un�espressione 
di 
una 
rapporto dialettico 
esclusivo tra i due soggetti (pubblico e privato). 

occorre 
preliminarmente 
evidenziare 
che 
i 
principi 
di 
trasparenza 
e 
di 
democraticit� 
che 
la 
legge 
241 
del 
90 
descrive 
sono 
posti 
dal 
Legislatore 
come 
valori 
fondamentali 
da 
salvaguardare, 
costituenti 
l'attuazione 
del 
principio 
costituzionale 
di 
imparzialit�, di 
trasparenza 
e 
di 
democraticit� 
individuati 
nel-
l�articolo 97 Cost. 

In questa 
ottica 
non si 
pu� negare 
come 
la 
costruzione 
della 
partecipazione 
al 
procedimento da 
parte 
del 
Legislatore 
sia 
diventata 
il 
perno attorno 
al 
quale 
l�Amministrazione 
concretizza 
i 
principi 
sottesi 
al 
citato articolo 97 
Cost. 
e 
ci� 
nonostante 
nel 
testo 
costituzionale 
vigente 
manchi 
un 
espresso 
principio 
al diritto di accesso. 


occorre 
evidenziare 
che 
la 
riforma 
del 
procedimento amministrativo, intervenuta 
con il 
decreto legislativo n. 80 del 
2005, ha 
apportato modifiche 
significative 
in ordine alla qualit� dei soggetti titolari del diritto di accesso. 

Seppur non si 
possa 
parlare 
di 
�passo indietro� 
� 
una 
dato oggettivo che 
la 
nuova 
formulazione 
dell�articolo 
22 
della 
legge 
sul 
procedimento 
non 
faccia 
pi� riferimento �a chiunque 
vi 
abbia interesse 
per 
la tutela di 
situazioni 
giuridicamente 
rilevanti�, 
quanto, 
invece, 
a 
�tutti 
i 
soggetti 
privati, 
compresi 
quelli 
portatori 
di 
interessi 
diffusi, che 
abbiano un interesse 
diretto, concreto 
e 
attuale, 
corrispondente 
ad 
una 
situazione 
giuridicamente 
tutelata 
e 
collegato 
al documento del quale � chiesto l�accesso�. 

A 
tal 
riguardo � 
di 
palmare 
evidenza 
che 
la 
prospettiva 
che 
il 
Legislatore 
del 
2005 
ha 
voluto 
introdurre 
� 
sostanzialmente 
di 
natura 
pre-processualistica: 
vale 
a 
dire 
che 
il 
diritto di 
accesso pu� essere 
esercitato solo dal 
soggetto che 
accede 
ad informazioni 
e/o documenti 
al 
fine 
di 
tutelare 
una 
situazione 
giuridica 
(attuale, concreta 
e 
diretta) in un momento antecedente 
rispetto a 
quello 
processuale, che 
attraverso il 
rapporto dialettico tra 
il 
privato e 
l�amministrazione 
si 
cerca 
di 
evitare. 
Quelli 
dati 
al 
privato 
latore 
di 
un 
interesse 
qualificato 
sono strumenti 
funzionali 
al 
raggiungimento di 
un bilanciamento degli 
interessi 
contrapposti 
che 
ben possa 
prevenire 
la 
rimessione 
�dell�affare� 
alla 
cognizione 
del giudice amministrativo. 


RASSEGNA 
AVVoCATURA 
DELLo 
STATo - N. 4/2016 


Con il 
decreto legislativo 97 del 
2016, che 
ha 
novellato il 
decreto legislativo 
33 
del 
2013 
recante 
�Riordino 
della 
disciplina 
riguardante 
gli 
obblighi 
di 
pubblicit�, 
trasparenza 
e 
diffusioni 
di 
informazioni 
da 
parte 
delle 
pubbliche 
amministrazioni� 
novellando 
l�articolo 
5, 
si 
introduce 
dunque 
l�accesso 
civico 
a 
dati 
e 
documenti. 
Il 
Legislatore, 
con 
questo 
strumento, 
ha 
compiuto 
un 
passo 
importante 
in materia 
di 
trasparenza 
amministrativa, prevedendo che 
�chiunque 
ha diritto di 
accedere 
ai 
dati 
e 
ai 
documenti 
detenuti 
dalle 
pubbliche 
amministrazioni�. 
Tale 
forma 
di 
accesso 
� 
dichiaratamente 
finalizzata 
a 
�� 
favorire 
forme 
diffuse 
di 
controllo sul 
perseguimento delle 
funzioni 
istituzionali 
e 
sull�utilizzo delle 
risorse 
pubbliche 
e 
di 
promuovere 
la partecipazione 
al dibattito pubblico��. 


� 
evidente 
che 
la 
disciplina 
dell�accesso 
civico 
non 
si 
sostituisce 
all�accesso 
qualificato 
della 
legge 
sul 
procedimento, 
ma 
supera 
-di 
fatto 
e 
di 
diritto 
-la 
necessaria 
qualificazione 
giuridica 
del 
soggetto 
attivo 
ai 
fini 
dell�accesso 
a 
ogni 
informazione, 
dato 
o 
documento 
di 
cui 
l�Amministrazione 
sia 
detentrice. 
La 
terminologia 
usata 
al 
comma 
2 
dell�articolo 
5, 
ovvero 
l�esclusivo 
riferimento 
a 
forme 
diffuse 
di 
controllo 
dell�operato 
della 
PA 
e 
lo 
stimolo 
alla 
partecipazione 
al 
dibattito 
sembra 
escludere 
che 
le 
informazioni, 
i 
dati 
e 
i 
documenti 
ottenuti 
tramite 
questo 
istituto 
siano 
utilizzabili 
in 
sede 
giurisdizionale. 
D�altro 
canto, 
la 
mancata 
previsione 
di 
un 
onere 
motivazionale 
in 
capo 
al 
richiedente 
induce 
a 
ritenere 
che 
quanto 
assunto 
sia 
spendibile 
in 
qualsiasi 
sede, 
dal 
pubblico 
dibattito 
allo 
scranno 
del 
giudice. 
Peraltro 
non 
si 
pu� 
sostenere 
che 
l�ostensione 
di 
informazioni, 
dati 
e 
documenti 
potrebbe 
essere 
diversa 
a 
seconda 
dell�uso 
che 
il 
soggetto 
richiedente 
dichiari 
eventualmente 
di 
farne. 


A 
dirimere 
ogni 
dubbio, 
o 
forse 
ad 
alimentarne 
altri, 
cՏ 
poi 
la 
previsione 
di 
cui 
al 
comma 
3 
del 
citato 
articolo 
5, 
che 
espressamente 
esclude 
la 
necessit� 
di 
una 
qualsivoglia 
legittimazione 
soggettiva 
del 
richiedente. 
occorre 
dunque 
interrogarsi 
su 
quale 
residuale 
utilit� 
permanga 
in 
capo 
all�istituto 
del 
diritto 
di 
accesso 
di 
cui 
all�articolo 
10 
della 
legge 
241 
del 
1990. 
Sotto 
il 
profilo 
del 
contesto 
giuridico 
nel 
quale 
il 
richiamato 
istituto 
opera 
non 
vՏ 
dubbio 
che 
sia 
quello 
del 
procedimento 
amministrativo, 
in 
ordine 
al 
quale 
la 
partecipazione 
� 
garantita 
ai 
soggetti 
che 
nel 
procedimento 
abbiano 
un 
interesse 
(attivo 
o 
passivo, 
da 
cui 
la 
relativa 
e 
conseguente 
legittimazione). 
Tuttavia 
� 
altrettanto 
evidente 
che 
il 
tenore 
dell�articolo 
5 
del 
decreto 
legislativo 
33 
del 
2013 
� 
tale 
da 
consentire 
a 
chiunque, 
se 
non 
di 
partecipare 
al 
procedimento 
(partecipazione 
intesa 
quale 
capacit� 
di 
presentare 
memorie 
o 
documenti 
che 
potrebbero 
essere 
utilizzati 
dalla 
PA 
per 
definire 
il 
contenuto 
del 
provvedimento 
finale 
del 
procedimento), 
sicuramente 
di 
acquisire 
le 
stesse 
informazioni 
di 
un 
soggetto 
qualificato 
ai 
sensi 
dell�articolo 
10 
della 
legge 
241/90. 


Conseguenziale 
� 
poi 
la 
considerazione 
circa 
la 
maggiore 
utilit� 
che 
il 
ri



CoNTENzIoSo 
NAzIoNALE 


corso all�istituto dell�accesso civico potrebbe 
fornire 
rispetto al 
ricorso al 
diritto 
di accesso. 

Poniamo il 
caso di 
un procedimento amministrativo per il 
rilascio di 
una 
concessione 
edilizia 
o di 
un�attivit� 
di 
impresa 
industriale. E 
poniamo il 
caso 
che 
tale 
attivit� 
sia 
strategica, oltre 
che 
per l�imprenditore, anche 
per la 
collettivit� 
in vista 
delle 
possibili 
ricadute 
positive 
(occupazionali, sociali, economiche 
etc.), 
ma 
che 
sussistano 
interessi 
di 
carattere 
ambientale 
e 
paesaggistico 
che 
collidono 
con 
l�ubicazione 
e 
l�avvio 
dell�attivit� 
industriale. 

Quale 
strategia 
potrebbe 
essere 
la 
pi� utile 
da 
seguire 
per chi 
sostiene 
la 
causa 
economico sociale 
dell�impresa 
e 
per chi, invece, sostiene 
la 
causa 
ambientalistico-
ecologica? 
Partecipare 
al 
procedimento attraverso gli 
strumenti 
dialettici 
previsti 
dalle 
legge 
241/90 o, piuttosto, acquisire 
i 
medesimi 
dati 
e 
informazioni 
per 
sviluppare 
un 
dibattito 
pubblico 
che 
sposti 
il 
baricentro 
della 
questione 
da 
quello 
tecnico-giuridico 
della 
legittimit� 
a 
quello 
dell�opportunit� 
(o della convenienza) politica? 


Quale 
ruolo potranno ricavarsi 
gli 
stakeholders 
attraverso un sagace 
utilizzo 
dell�accesso civico? 


A 
tali 
domande, 
al 
momento, 
non 
cՏ 
alcuna 
risposta. 
Probabilmente 
il 
dubbio 
rimarr� 
tale 
fintanto 
che 
non 
saranno 
pubblicate, 
da 
parte 
dell�ANAC, 
le 
Linee 
guida 
previste 
per 
l�attuazione 
da 
parte 
delle 
Amministrazioni 
interessate 
della 
nuova 
disciplina. 
Certamente 
gli 
ambiti 
operativi 
del 
diritto 
d�accesso 
e 
dell�accesso 
civico 
sono 
diversi, 
e 
tali 
resteranno, 
ma 
la 
nuova 
declinazione 
del 
rapporto 
tra 
PA 
e 
privato 
sono 
tali 
da 
consentire 
a 
quest�ultimo 
di 
spostare 
la 
soluzione 
di 
eventuali 
conflitti 
dal 
piano 
procedimentale, 
e 
quindi 
legale, 
a 
quello 
dell�opportunit� 
politica, 
a 
tutto 
svantaggio 
della 
certezza 
del 
diritto. 


3. 
Profili 
problematici 
per 
l�individuazione 
dei 
limiti 
all�accesso 
civico 
e 
rinvio 
al soft law quale possibile strumento di soluzione. 
La 
disciplina 
dei 
limiti 
all�accesso civico � 
regolata 
all�articolo 5-bis 
del 
decreto legislativo n. 33 del 
2013 e 
rappresenta 
una 
conseguenza 
dell�estensione 
recata 
al 
principio di 
trasparenza 
a 
seguito dell�introduzione 
di 
una 
posizione 
giuridica 
di 
libert� 
totale. 
Ribaltato 
il 
punto 
di 
vista 
sino 
ad 
ora 
adottato, 
il 
nuovo 
istituto 
non 
� 
pi� 
caratterizzato 
dalla 
centralit� 
degli 
obblighi 
dell�Amministrazione 
quanto da 
una 
posizione 
giuridica 
soggettiva 
di 
libert� 
di 
accesso ai 
�dati 
e 
documenti 
detenuti 
dalle 
pubbliche 
amministrazioni�. Il 
meccanismo 
dei 
limiti, 
che 
impone 
un�attivit� 
di 
bilanciamento 
degli 
interessi 
�pubblici 
e 
privati 
giuridicamente 
rilevanti�, da 
una 
parte, pone 
una 
similitudine 
con 
il 
parallelo 
istituto 
del 
diritto 
di 
accesso, 
dall�altra 
si 
differenzia 
dal 
meccanismo 
degli 
obblighi 
di 
pubblicit� 
(1) 
relativi 
ad 
un 
elenco 
tassativo 


(1) In Dottrina 
non si 
� 
mancato di 
dire 
che 
l�introduzione 
dell�accesso civico in base 
alla 
legge 
n. 33/2013 avrebbe 
risolto il 
problema 
interpretativo relativo alla 
relazione 
che 
lega 
la 
nozione 
di 
pub

RASSEGNA 
AVVoCATURA 
DELLo 
STATo - N. 4/2016 


di 
dati 
e 
documenti. Il 
diritto di 
accesso regolato alla 
legge 
n. 241 del 
1990 
presenta 
infatti 
una 
complessa 
disciplina 
delle 
esclusioni 
all�accesso 
a 
supporto 
dell�attivit� 
di 
bilanciamento degli 
interessi 
rilevanti. Anche 
se 
il 
principio di 
trasparenza 
sembra 
aver raggiunto la 
massima 
estensione 
per effetto dell�introduzione 
dell�accesso civico, non risulta 
affatto superata 
la 
considerazione 
secondo la 
quale 
�nell'operazione 
di 
bilanciamento degli 
opposti 
interessi 
la 


P.a. stessa deve 
determinare 
la linea di 
confine 
tra la conoscenza necessaria, 
che 
impone 
la 
possibilit� 
dell'accesso, 
e 
la 
conoscenza 
non 
necessaria, 
rispetto 
alla quale 
l'accesso pu� essere 
legittimamente 
negato� 
(2). Allo stesso modo 
il 
Consiglio 
di 
Stato 
(3) 
ha 
affermato 
che 
l�accesso 
civico 
si 
pone 
�nel 
quadro 
di 
un delicato meccanismo di 
contrappesi 
che 
vede, da un lato, l�imposizione 
di 
limiti 
e 
cause 
di 
esclusione 
pi� 
ampi 
e 
stringenti 
alla 
generale 
accessibilit�, 
dall�altro significative 
misure 
di 
semplificazione 
e 
di 
alleggerimento circa gli 
oneri 
di 
pubblicazione 
che 
gravano sulle 
amministrazioni. Un delicato, e 
sicuramente 
apprezzabile, lavoro di 
bilanciamento di 
interessi 
contrapposti, o 
comunque non sempre collimanti�. 
L'articolo 5-bis 
individua, in base 
alla 
tecnica 
dell�elencazione, gli 
interessi 
pubblici 
e 
privati 
rilevanti 
ai 
fini 
dell�esclusione 
tra 
i 
quali 
figura 
la 
sicurezza 
pubblica, la 
sicurezza 
nazionale, la 
difesa 
e 
le 
questioni 
militari 
(4); 
quanto agli 
interessi 
privati, si 
segnala 
l�interesse 
alla 
protezione 
dei 
dati 
personali 
(5). Uno specifico limite 
� 
stato poi 
individuato nei 
casi 
di 
�segreto di 
stato 
e 
negli 
altri 
casi 
di 
divieti 
di 
accesso 
o 
divulgazione 
previsti 
dalla 
legge�. 
La 
categoria 
dei 
limiti 
risulta 
infine 
ampliata 
per effetto del 
meccanismo del 
rinvio, 
in 
base 
al 
quale 
�l�accesso 
� 
subordinato 
dalla 
disciplina 
vigente 
al 
rispetto di 
specifiche 
condizioni, modalit� o limiti, inclusi 
quelli 
di 
cui 
all�articolo 
24, 
comma 
1, 
della 
legge 
n. 
241 
del 
1990 
�(6). 
L�articolo 
5-bis, 
pertanto, 


blicit� 
al 
principio di 
trasparenza. Ponendo l�obbligo di 
pubblicazione 
informativa 
per garantire 
la 
conoscibilit� 
di 
talune 
categorie 
di 
dati, il 
legislatore 
avrebbe 
infatti 
chiarito che 
il 
principio di 
pubblicit� 
sia 
distinto 
ed 
autonomo 
rispetto 
al 
principio 
di 
trasparenza. 
In 
particolare, 
il 
primo 
sarebbe 
posto 
a 
guarentigia 
della 
conoscibilit� 
di 
un elenco tassativo di 
dati 
rilevanti; 
il 
secondo, che 
si 
concretizza 
nella 
libert� 
di 
accesso 
totale 
dei 
dati 
e 
dei 
documenti, 
di 
fatto 
tutela 
la 
piena 
conoscenza 
anche 
dei 
dati 
rilevanti 
che 
l�Amministrazione 
non 
abbia 
reso 
pubblici. 
Il 
principio 
di 
trasparenza 
peraltro 
avrebbe 
carattere 
generale: 
in caso di 
mancata 
attuazione 
dell�obbligo di 
pubblicit� 
stabilito dalla 
novella, la 
conoscenza 
dei 
dati 
risulterebbe 
comunque 
garantita 
dall�istituto 
dell�accesso 
civico 
che, 
in 
sintesi, 
attuerebbe 
il 
principio di 
trasparenza 
nell�ordinamento italiano. 
A. SImoNATI, la trasparenza amministrativa e 
il 
legislatore: 
un caso di entropia normativa?, Diritto amministrativo, fasc. 4, 2013, pag. 749. 


(2) Sentenza 
del 
Consiglio di 
Stato, del 
15 marzo 2010 n. 1493, che 
ha 
analizzato il 
rapporto tra 
accesso, riservatezza dei terzi e segreto d'ufficio. 
(3) Nell�ambito del parere consultivo n. 343 del 18 febbraio 2016. 
(4) Nonch�: 
�le 
relazioni 
internazionali; la politica e 
la stabilit� finanziaria ed economica dello 
stato; 
la 
conduzione 
di 
indagini 
sui 
reati 
e 
il 
loro 
perseguimento; 
il 
regolare 
svolgimento 
di 
attivit� 
ispettive�. 
(5) 
Figurano 
inoltre 
�la 
libert� 
e 
la 
segretezza 
della 
corrispondenza; 
gli 
interessi 
economici 
e 
commerciali 
di 
una persona fisica o giuridica, ivi 
compresi 
la propriet� intellettuale, il 
diritto d�autore 
e i segreti commerciali�. 

CoNTENzIoSo 
NAzIoNALE 


illustra 
le 
tipologie 
di 
interessi 
rilevanti 
ai 
fini 
dell�esclusione, la 
cui 
puntuale 
definizione 
� 
attribuita 
alla 
competenza 
dell�Autorit� 
nazionale 
anticorruzione 


(7) che adotta 
�linee guida recanti indicazioni operative�. 
Se 
gli 
interessi 
pubblici 
e 
privati 
contrapposti 
sono stati 
tassativamente 
individuati 
dalla 
legge, 
la 
concreta 
definizione 
dei 
casi 
di 
esclusione 
all�accesso 
� 
ora 
demandata 
ad 
un 
provvedimento 
di 
soft 
law; 
le 
esclusioni 
al 
diritto 
di 
accesso, invece, erano state 
invece 
definite 
con il 
D.P.R 27 giugno 1992, n. 


352. Emerge 
una 
differenza, di 
carattere 
formale, che 
attenua 
il 
legame 
tra 
i 
due 
strumenti 
attuativi 
del 
principio di 
trasparenza 
e 
trova 
ragione 
nella 
volont� 
del 
Legislatore 
di 
recare 
una 
tutela 
unitaria 
al 
preminente 
interesse 
del 
contrasto 
ai 
fenomeni 
corruttivi 
e 
della 
trasparenza 
(8). 
L�attribuzione 
della 
competenza 
in 
questione 
al 
potere 
regolamentare 
dell�ANAC 
� 
quindi 
funzionale 
alla 
realizzazione 
di 
una 
missione 
istituzionale, la 
cui 
realizzazione 
impone 
il sacrificio delle questioni formali (9). 
Quanto al 
profilo sostanziale, il 
Consiglio di 
Stato stesso ha 
evidenziato 
che 
�i 
limiti 
applicabili 
alla nuova forma di 
accesso civico (�) risultano pi� 
ampi 
e 
incisivi 
rispetto a quelli 
indicati 
dall'articolo 24 della legge 
n. 241 del 
1990�, quale 
effetto dell�introduzione 
di 
una 
inedita 
posizione 
giuridica 
del 
cittadino configurata 
in termini 
di 
libert� 
totale 
di 
accesso. La 
complessa 
attivit� 
di 
individuazione 
di 
un equilibrio tra 
le 
ragioni 
della 
trasparenza, da 
una 
parte, e 
gli 
interessi 
pubblici 
e 
privati 
non sacrificabili 
ha 
alimentato �le 
perplessit� 
circa la concreta efficacia del 
provvedimento in esame. in mancanza 
di 
criteri 
pi� 
dettagliati 
per 
la 
valutazione 
del 
pregiudizio 
che 
la 
pubblicazione 


(6) In base 
a 
tale 
rinvio, l�accesso civico � 
escluso �per 
i 
documenti 
coperti 
da segreto di 
stato 
ai 
sensi 
della legge 
24 ottobre 
1977, n. 801, e 
successive 
modificazioni, e 
nei 
casi 
di 
segreto o di 
divieto 
di 
divulgazione 
espressamente 
previsti 
dalla legge, dal 
regolamento governativo di 
cui 
al 
comma 6 e 
dalle 
pubbliche 
amministrazioni 
ai 
sensi 
del 
comma 2 del 
presente 
articolo; nei 
procedimenti 
tributari, 
per 
i 
quali 
restano ferme 
le 
particolari 
norme 
che 
li 
regolano; nei 
confronti 
dell'attivit� della pubblica 
amministrazione 
diretta all'emanazione 
di 
atti 
normativi, amministrativi 
generali, di 
pianificazione 
e 
di 
programmazione, per 
i 
quali 
restano ferme 
le 
particolari 
norme 
che 
ne 
regolano la formazione; nei 
procedimenti 
selettivi, nei 
confronti 
dei 
documenti 
amministrativi 
contenenti 
informazioni 
di 
carattere 
psico attitudinale relativi a terzi�. 
(7) 
�D�intesa 
con 
il 
garante 
per 
la 
protezione 
dei 
dati 
personali 
e 
sentita 
la 
Conferenza 
Unificata 
di cui all�articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281�. 
(8) 
�il 
diritto di 
accesso ... � 
collegato a una riforma di 
fondo dell' 
amministrazione, ispirata ai 
principi 
di 
democrazia partecipativa, della pubblicit� e 
trasparenza dell'azione 
amministrativa desumibili 
dall'art. 97 Cost., che 
s'inserisce 
a livello comunitario nel 
pi� generale 
diritto all'informazione 
dei 
cittadini 
rispetto all'organizzazione 
e 
alla attivit�... amministrativa quale 
strumento di 
prevenzione 
e contrasto sociale ad abusi e illegalit�...� 
(Cons. Stato. Sent. n. 14 luglio 2016 n. 3631). 
(9) Tuttavia, in astratto, potrebbe 
porsi 
un problema 
di 
confronto fra 
le 
diverse 
normative 
in materia 
di 
limiti, si 
pensi 
al 
caso in cui, �una volta esercitata la facolt� di 
avvalersi 
esclusivamente 
di 
uno 
degli 
istituti 
sopraindicati 
mediante 
la 
presentazione 
della 
relativa 
specifica 
istanza, 
non 
� 
possibile 
poi 
far 
valere, 
con 
la 
pretesa 
automaticit�, 
le 
prerogative 
di 
tutela 
previste 
per 
l'altro 
procedimento, 
siccome 
giammai 
attivato 
dal 
soggetto 
interessato 
(tuttavia 
possono 
di 
fatto 
verificarsi 
casi 
di 
contrasto 
normativo)� 
T.A.R. Campania Napoli Sez. VI, Sent., 14 gennaio 2016, n. 188. 

RASSEGNA 
AVVoCATURA 
DELLo 
STATo - N. 4/2016 


potrebbe 
arrecare 
agli 
interessi 
tutelati, 
le 
amministrazioni, 
infatti, 
potrebbero 
essere 
indotte 
ad 
utilizzare 
la 
propria 
discrezionalit� 
nella 
maniera 
pi� 
ampia, 
al 
fine 
di 
estendere 
gli 
ambiti 
non aperti 
alla trasparenza, e 
sicuramente 
la 
genericit� di 
alcune 
previsioni, pur 
riferite 
a tematiche 
�sensibili� 
(come, a 
titolo di 
esempio, le 
�questioni 
militari� 
o le 
�relazioni 
internazionali�) potrebbe 
essere motivo dell�insorgenza di ulteriore contenzioso�. 


All�ANAC 
� 
attribuita 
la 
delicata 
attivit� 
di 
elaborazione 
delle 
esclusioni 
alla 
disclosure 
per 
attribuire 
chiarezza 
ad 
una 
materia 
dai 
confini 
incerti. 
Il 
contesto 
applicativo 
sembra 
essere 
il 
punto 
di 
vista 
dal 
quale 
analizzare 
la 
materia: 
le 
Linee 
guida 
dovrebbero 
garantire 
all�operatore 
-pur 
nell�ottica 
della 
maggiore 
trasparenza 
-una 
dinamica 
di 
individuazione 
delle 
esclusioni 
che 
sia 
aperta 
alle 
esigenze 
del 
caso. 
In 
altre 
parole, 
non 
si 
pu� 
prescindere 
dalla 
considerazione 
delle 
difficolt� 
che 
caratterizzano 
l�ambito 
applicativo, 
lo 
spazio 
giuridico 
entro 
il 
quale 
il 
valore 
della 
trasparenza 
esprimer� 
il 
suo 
proprio 
carattere 
relazionale. 


L�accesso civico e 
la 
legge 
241/1990, oltre 
ad essere 
parallelamente 
vigenti, 
sono connessi 
per effetto del 
rinvio contenuto all�articolo 5 bis 
che 
il 
Consiglio 
di 
Stato 
ha 
ritenuto 
�particolarmente 
opportuno�. 
Si 
tratta 
di 
un�indicazione 
metodologica: 
ai 
fini 
della 
redazione 
delle 
Linee 
guida 
risulta 
necessaria 
la 
ricognizione 
e 
la 
conseguente 
catalogazione 
della 
normativa 
preesistente 
composta 
dall'articolo 
8 
del 
D.P.R 
27 
giugno 
1992, 
n. 
352 
nonch� 
dalla 
costellazione 
dei 
relativi 
regolamenti 
ministeriali. L�ANAC � 
chiamata 
pertanto 
ad 
individuare 
la 
pi� 
efficace 
tecnica 
normativa 
di 
attuazione, 
in 
concreto, 
del 
collegamento. L�elencazione 
dei 
casi 
di 
esclusione 
gi� 
previsti 
per 
il 
diritto 
di 
accesso 
sembra 
la 
soluzione 
pi� 
accurata, 
nella 
consapevolezza 
che 
le 
Linee 
guida 
non 
sono 
abilitate 
a 
produrre 
anche 
un 
effetto 
ulteriore, 
quale 
la 
modificazione 
- in termini 
di 
aggiornamento e 
di 
abrogazione 
- delle 
fonti 
secondarie 
preesistenti. La 
tecnica 
del 
mero rinvio oppure 
il 
ricorso al 
procedimento analogico, invece, dilaterebbero non poco lo spazio interpretativo 
della fase applicativa. 

Alla 
scelta 
della 
pi� efficiente 
modalit� 
di 
catalogazione 
delle 
esclusioni 
gi� 
esistenti 
si 
aggiunge 
la 
delicata 
competenza 
relativa 
all�elaborazione 
di 
un 
contenuto 
ulteriore, 
riferibile 
esclusivamente 
all�accesso 
civico. 
La 
definizione 
di 
un ulteriore 
ambito di 
esclusione 
dovrebbe 
essere 
guidata 
dal 
criterio valutativo 
del 
pregiudizio 
concreto 
agli 
interessi 
protetti 
dal 
Legislatore. 
Tale 
contenuto 
potrebbe 
essere 
dedicato 
alla 
catalogazione 
dei 
casi 
di 
"esclusione 
indiretta" 
che, ad esempio, si 
verificano quando il 
documento potrebbe 
essere 
indicatore di fattori ulteriori suscettibili di esclusione. 

L�equiparazione 
della 
disciplina 
relativa 
ai 
limiti 
del 
diritto 
di 
accesso 
non � 
pertanto automatica: 
l�attribuzione 
di 
una 
posizione 
giuridica 
di 
libert� 
totale, per l�effetto, � 
stata 
bilanciata 
dall�elencazione 
di 
limiti 
pi� ampi. Ad 
ogni 
modo, 
dalla 
ratio 
del 
testo 
novellato 
emerge 
il 
criterio 
interpretativo 
della 
sempre 
maggiore 
trasparenza, con la 
funzione 
di 
uniformare 
un sistema 
com



CoNTENzIoSo 
NAzIoNALE 


plesso, costituito dalle 
esclusioni 
vigenti 
(il 
livello minimo di 
tutela 
degli 
interessi 
opponibili) e dal nuovo contenuto ulteriore. 

Il 
sistema 
dell�accesso 
civico 
si 
struttura 
sul 
collegamento 
dei 
limiti 
al 
sistema 
delle 
esclusioni, 
configurando 
un�endiadi. 
Si 
tratterebbe 
pertanto 
di 
un 
complesso 
unitario 
di 
senso 
nell�ambito 
del 
quale 
il 
limite 
avrebbe 
la 
funzione 
di 
delimitare 
il 
contesto 
operativo 
mentre 
l�esclusione, 
rappresentando 
il 
profilo 
dinamico, 
qualificherebbe 
l�effetto 
atteso 
in 
conseguenza 
della 
valutazione 
operativa. 
Da 
una 
tale 
interpretazione 
conseguirebbe 
che 
il 
maggior 
rigore 
mostrato 
dal 
Legislatore 
con 
l'individuazione 
dei 
limiti 
dovrebbe 
essere 
bilanciato 
dalla 
predisposizione 
di 
forme 
di 
esclusione 
elaborate 
in 
termini 
aperti 
per 
abbracciare 
le 
ipotesi 
applicative 
in 
parte 
gi� 
esistenti. 
Se 
il 
criterio 
della 
tassativit� 
sembra 
conferire 
rigidit� 
alla 
materia, 
appare 
invece 
coerente 
la 
pi� 
ampia 
considerazione 
del 
criterio 
della 
determinatezza, 
quale 
limite 
espresso 
all�attivit� 
discrezionale 
dell�Amministrazione. 
Il 
richiamo 
alla 
determinatezza, 
che 
esprime 
del 
resto 
l�esigenza 
di 
chiarezza 
cui 
l�ordinamento 
giuridico 
deve 
generalmente 
tendere, 
appare 
in 
linea 
con 
l�auspicato 
consolidamento 
del 
valore 
della 
trasparenza. 
Quale 
effetto 
esterno, 
la 
determinatezza 
delimiterebbe 
poi 
la 
posizione 
del 
cittadino 
che 
-in 
via 
di 
principio 
-appare 
dilatata 
alla 
massima 
estensione 
mentre, 
di 
fatto, 
non 
pu� 
che 
essere 
compressa. 


Nonostante 
l�affermazione 
programmatica 
di 
una 
libert� 
totale, 
la 
delimitazione 
della 
nozione 
di 
conoscibilit� 
dei 
dati 
e 
dei 
documenti 
non sembra 
completata. Allo stato attuale, soltanto il 
sistema 
dei 
tassativi 
obblighi 
di 
pubblicit� 
pu� ritenersi 
depositario della 
pura 
trasparenza, quale 
completa 
forma 
di 
assimilazione 
dell�ordinamento 
italiano 
al 
F.o.I.A. 
L�attivit� 
di 
convergenza 
dell�ordinamento italiano ai 
sistemi 
anglosassoni 
ha 
in sostanza 
determinato 
la 
separazione, 
semantica 
ed 
operativa, 
del 
principio 
di 
pubblicit� 
dal 
principio 
di 
trasparenza 
ma 
non ha 
sancito la 
piena 
attuazione 
del 
valore 
della 
trasparenza. 


4. Possibile evoluzione dell�istituto. 
In attesa 
della 
piena 
operativit� 
del 
sistema, le 
questioni 
che 
emergono 
dalla 
novit� 
dell�istituto 
possono 
essere 
affrontate 
analizzando, 
in 
un�ottica 
comparatistica, i 
sistemi 
giuridici 
in cui 
il 
valore 
della 
trasparenza 
risulti 
gi� 
radicato. L�interpretazione 
del 
quadro normativo nazionale 
fornita 
dalle 
pronunce 
in materia 
di 
trasparenza 
costituisce 
poi 
uno strumento, nei 
limiti 
che 
di 
seguito 
saranno 
chiariti. 
Il 
sistema 
trasparenza, 
ad 
oggi, 
risulta 
caratterizzato 
dalla 
coesistenza 
di 
istituti 
diversi 
in ordine 
al 
grado di 
apertura 
che 
si 
intende 
garantire. Ai 
fini 
di 
una 
corretta 
estensione 
dei 
principi 
e 
dell�interpretazione 
giurisprudenziale, 
deve 
pertanto 
essere 
considerato 
in 
via 
preliminare 
quale 
sia 
l�ambito del 
sistema 
trasparenza 
in cui 
il 
principio sia 
stato affermato; 
soltanto 
nel 
caso di 
un�affinit� 
in ordine 
all�intensit� 
della 
trasparenza 
cos� 
garantita 
sar� 
possibile 
effettuare 
l�estensione 
del 
principio. 
In 
tale 
senso 



RASSEGNA 
AVVoCATURA 
DELLo 
STATo - N. 4/2016 


risultano estendibili 
all�accesso civico le 
pronunce 
in materia 
di 
accesso ambientale, 
in quanto rappresenta 
un meccanismo di 
accesso, sostanzialmente, 
totale. Una 
specifica 
forma 
di 
accesso totale 
era 
gi� 
stata 
configurata 
inoltre 
nell�ambito 
dell�articolo 
24 
della 
legge 
241/1990; 
in 
particolare 
"deve 
comunque 
essere 
garantito ai 
richiedenti 
l'accesso ai 
documenti 
amministrativi 
la 
cui 
conoscenza 
sia 
necessaria 
per 
curare 
o 
per 
difendere 
i 
propri 
interessi 
giuridici" 
(art. 24, comma 7)� 
(10). L�istituto di 
cui 
al 
d.lgs. n. 33/2013 rappresenta 
invece 
il 
primo tentativo di 
introduzione 
del 
F.o.I.A, concretizzato 
in specifici 
oneri 
di 
pubblicit� 
in relazione 
ad un elenco tassativo di 
informazioni 
rilevanti. Pi� che 
l�attuazione 
del 
principio di 
trasparenza, il 
primo tentativo 
di 
predisposizione 
dell�accesso civico ha 
di 
fatto sancito la 
separazione 
operativa 
degli 
obblighi 
di 
pubblicit� 
dalla 
nozione 
di 
trasparenza. Il 
testo novellato 
ha 
invece 
ribaltato 
il 
punto 
di 
vista 
adottato 
garantendo, 
in 
via 
generale, 
l�accesso a 
qualsiasi 
dato o documento ed ha 
tracciato poi 
il 
confine 
degli 
interessi 
pubblici 
e 
privati 
opponibili. Le 
pronunce 
in materia 
di 
accesso civico 
in 
base 
al 
d.lgs. 
n. 
33/2013 
non 
sembrano 
pertanto 
automaticamente 
estendibili 
al 
nuovo accesso civico, che 
pure 
rappresenta 
lo strumento residuale 
di 
attuazione 
degli 
obblighi 
di 
pubblicit� 
che 
l�Amministrazione 
non abbia 
tempestivamente 
considerato. In ragione 
della 
diversit� 
strutturale 
dei 
due 
istituti, le 
pronunce 
riferibili 
al 
testo del 
2013 non possono essere 
acriticamente 
richiamate 
ma 
rappresentano un elemento interpretativo del 
sistema 
in senso complessivo, 
in 
cui 
il 
principio 
di 
trasparenza 
pu� 
avere 
una 
funzione 
uniformante. 
Tanto sembra 
aver chiarito il 
Consiglio di 
Stato (11) osservando che 
�Diversi 


(10) �in altri 
termini, il 
legislatore 
ha gi� operato all'origine 
un bilanciamento degli 
interessi, 
affermando la cedevolezza delle 
esigenze 
connesse 
alla segretezza a fronte 
di 
quelle 
alla difesa degli 
interessi 
dell'istante, 
quando 
i 
documenti 
richiesti 
risultino 
a 
tal 
fine 
necessari� 
(Consiglio 
di 
Stato, 
sez. IV, 13 aprile 2016, n. 1435). 
(11) 
Sez. 
IV, 
Sent., 
14 
luglio 
2016, 
n. 
3631. 
Il 
Consiglio 
di 
Stato 
ha 
trovato 
l�occasione 
di 
pronunciarsi, 
per 
la 
prima 
volta, 
in 
merito 
all�accesso 
civico 
novellato 
nell�ambito 
di 
un 
contenzioso 
in 
materia 
di 
diritto 
di 
accesso 
qualificato. 
In 
breve, 
l�interessato, 
giornalista 
di 
un 
noto 
periodico, 
presentava 
al 
ministero 
dell�economia 
e 
finanze 
formale 
richiesta 
di 
accesso, 
in 
base 
all�articolo 
22 
della 
legge 
241/1990, 
a 
documenti 
riguardanti 
contratti 
in 
derivati 
conclusi 
con 
istituti 
finanziari 
stranieri. 
Riconduceva 
il 
proprio 
interesse 
qualificato 
al 
diritto 
di 
cronaca 
(art. 
21 
della 
Costituzione). 
L�Amministrazione 
rimaneva 
inerte, 
pertanto 
il 
giornalista 
adiva 
il 
TAR, 
con 
il 
ricorso 
n. 
6692/2015 
RG, 
al 
fine 
d'accedere 
ai 
documenti 
in 
questione 
e 
per 
sentir 
dichiarare 
il 
proprio 
diritto 
ad 
ottenerne 
l'ostensione 
e 
l'esibizione 
ex 
art. 
116, 
c. 
4, 
c.p.a. 
Il 
TAR, 
con 
sentenza 
n. 
13250 
del 
24 
novembre 
2015, 
rigettava 
il 
ricorso, 
non 
riscontrando 
elementi 
sufficienti 
a 
fondare 
una 
legittimazione 
qualificata 
all'accesso 
ed 
in 
quanto 
�l'effetto 
di 
tale 
divulgazione 
� 
pregiudizievole 
sulle 
attivit� 
in 
derivati, 
con 
svantaggio 
competitivo 
di 
stato 
ed 
istituti 
nel 
mercato 
relativo�. 
L�interessato 
proponeva 
appello, 
deducendo 
-tra 
gli 
altri 
motivi 
-l'erroneit� 
dell'impugnata 
sentenza 
per 
non 
aver 
riconosciuto 
un 
interesse 
rilevante 
e 
differenziato 
all�accesso. 
Resisteva 
in 
giudizio 
il 
ministero 
intimato 
che 
insisteva 
per 
il 
difetto 
di 
legittimazione 
all'accesso 
e 
per 
l'infondatezza 
del 
presente 
gravame. 
All'udienza 
camerale 
del 
14 
luglio 
2016, 
su 
conforme 
richiesta 
delle 
parti, 
il 
ricorso 
in 
epigrafe 
veniva 
assunto 
in 
decisione 
dal 
Collegio 
che 
riteneva 
l�appello 
fondato 
limitatamente 
alla 
statuizione 
sulle 
spese 
del 
giudizio, 
�per 
il 
resto 
non 
potendo 
esser 
condiviso, 
anche 
se 
la 
sentenza 
del 
tribunale 
amministrativo 
merita, 
in 
punto 
di 
motivazione,� 
precisazioni. 

CoNTENzIoSo 
NAzIoNALE 


sono i 
presupposti 
che 
connotano i 
casi 
di 
c.d. "accesso civico" 
ex 
art. 5 del 
D.lgs. n. 33 del 
2013 (anche 
nel 
testo previgente 
alla novella del 
2016), che 
tuttavia 
presuppongono 
la 
sussistenza 
di 
un 
obbligo 
di 
pubblicazione 
(cfr. 
funditus 
Cons. st., vi, 20 novembre 
2013 n. 5515). e 
ancora diversi 
sono i 
presupposti 
che 
disciplinano l'accesso ai 
sensi 
del 
decreto legislativo n. 97 del 
2016, 
che 
svincola 
il 
diritto 
di 
accesso 
da 
una 
posizione 
legittimante 
differenziata 
(art. 5 del 
decreto n. 33 del 
2013 nel 
testo novellato)�. La 
materia 
dei 
limiti 
all�accesso civico pone 
un collegamento al 
parallelo istituto del 
diritto di 
accesso: 
non � 
un caso che 
il 
Consiglio di 
Stato abbia 
gi� 
trovato occasione 
(12), nell�ambito di 
un contenzioso relativo al 
diritto di 
accesso, di 
pronunciarsi, 
seppure 
in 
via 
incidentale, 
proprio 
in 
materia 
di 
limiti 
all�accesso 
civico. 
ha 
cos� 
fornito dei 
criteri 
che, data 
la 
novit� 
dell�istituto, sono destinati 
a 
delineare 
i 
tratti 
della 
nuova 
visione 
operativa 
del 
diritto di 
accesso. In materia 
di 
accesso 
civico 
infatti 
�la 
P.a. 
intimata 
dovr� 
in 
concreto 
valutare, 
se 
i 
limiti 
ivi 
enunciati 
siano da ritenere 
in concreto sussistenti, nel 
rispetto dei 
canoni 
di 
proporzionalit� e 
ragionevolezza, a garanzia degli 
interessi 
ivi 
previsti 
e 
non 
potr� 
non 
tener 
conto, 
nella 
suddetta 
valutazione, 
anche 
le 
peculiarit� 
della 
posizione 
legittimante 
del 
richiedente�. 
L�orizzonte 
applicativo 
dell�istituto 
pertanto non pu� prescindere 
dai 
�principi 
architettonici� 
(13) di 
proporzionalit� 
e 
ragionevolezza 
che, 
per 
effetto 
di 
tale 
novit� 
legislativa, 
acquisiscono un ruolo preminente 
nella 
definizione 
di 
un nuovo spazio giuridico 
quale 
� 
l�accesso civico. Tali 
criteri, che 
dovrebbero essere 
orientati 
alla 
delimitazione 
delle 
aree 
di 
esclusione, 
potrebbero 
rappresentare 
uno 
strumento 
ulteriore in funzione della pi� adeguata elaborazione delle Linee guida. 

Consiglio 
di 
Stato, 
Sezione 
Quarta, 
sentenza 
12 
agosto 
2016 
n. 
3631 
-Pres. 
F. 
Patroni 
Griffi, 
est. 
S.m. 
Russo 
-G.R. 
(avv.ti 
E. 
belisaro 
e 
G. 
Scorza) 
c. 
ministero 
economia 
e 
finanze 
(avv. gen. Stato). 


FATTo e DIRITTo 


1. � Il 
dott. G.R. assume 
d�esser giornalista 
e 
data business 
editor 
del 
periodico Wired, per il 
quale cura vari articoli ed inchieste sulla finanza pubblica. 
In tal 
sua 
qualit�, in data 
23 marzo 2015, egli 
ha 
chiesto al 
ministero dell�economia 
e 
delle 
(12) Come 
illustrato, infatti, il 
gravame 
� 
stato accolto limitatamente 
alla 
statuizione 
sulle 
spese 
del 
giudizio ma 
il 
Consiglio di 
Stato ha 
trovato in tale 
caso occasione 
per definire 
la 
relazione 
esistente 
tra 
i 
diversi 
meccanismi 
di 
accesso. In particolare, la 
richiesta 
formulata 
in base 
al 
pi� rigoroso articolo 
22 della 
legge 
241/1990 non pu� essere 
valutata 
in considerazione 
della 
successiva 
evoluzione 
della 
disciplina 
normativa 
in materia 
di 
trasparenza. Evidenziato, in via 
di 
principio, che 
i 
due 
strumenti 
non 
sono osmotici, il 
Consiglio di 
Stato ha 
poi 
esaminato il 
sistema 
trasparenza 
in senso complessivo, valorizzando 
il ruolo uniformante dei principi di ragionevolezza e proporzionalit�. 
(13) D. CANALI, teorie 
dell'interpretazione 
giuridica e 
teorie 
del 
significato, Materiali 
per 
una 
storia della cultura giuridica, n. 1 Giugno 2012. 

RASSEGNA 
AVVoCATURA 
DELLo 
STATo - N. 4/2016 


finanze 
di 
accedere 
ed estrarre 
copia 
di 
�� 
tutti 
i 
contratti 
isDa 
Master 
agreement, Master 
service 
agreement 
e 
Mandate 
agreement, 
� 
�contratti 
in 
derivati�, 
relativi 
term 
sheet 
e 
qualsiasi 
altro documento connesso, attualmente 
in essere�� 
tra 
l�Italia 
e 
diciannove 
istituti 
di 
credito stranieri. In subordine, egli 
ha 
chiesto d�accedere 
ai 
�� 
13 contratti 
in derivati 
attualmente 
in 
vigore 
tra 
lo 
stato 
italiano� 
e 
banche 
e 
istituti 
finanziari�, 
per 
i 
quali 
� 
ancora 
presenta la clausola di 
recesso anticipato��. 
Tanto perch� 
la 
testata 
Wired, tenuto conto sia 
dell�inchiesta 
parlamentare 
in corso e 
dell�attualit� 
di 
esso, ha 
deciso di 
�� 
avviare 
un�inchiesta 
giornalistica� 
sul 
tema��. 
A 
suo dire, sussiste 
l�interesse 
ad accedere 
ai 
documenti 
stessi 
per esercitare 
il 
diritto di 
cronaca 
ex art. 21 Cost., mentre 
questi 
�� 
sono necessari 
al 
fine 
di 
divulgare 
informazioni 
di 
utilit� sociale� 
(e) � 
non sono tra quelli 
considerati 
riservati�
� 
da tal P.A. 


2. � Il ministero � rimasto inerte sull�istanza attorea. 
Sicch� 
il 
dott. R. ha 
adito il 
TAR Lazio, a 
seguito del 
silenzio cos� 
serbato e 
con il 
ricorso n. 
6692/2015 RG, al 
fine 
d�accedere 
ai 
citati 
documenti 
e 
di 
accertare 
e 
dichiarare 
il 
proprio diritto 
ad ottenerne 
l�ostensione 
e 
l�esibizione 
ex art. 116, c. 4, c.p.a. Il 
dott. R., premettendo 
cenni 
su tali 
contratti 
in derivati 
tra 
Stato e 
istituti 
finanziari 
e 
sulla 
trasparenza 
dei 
dati 
sulla 
spesa 
pubblica, 
deduce 
l�assenza 
di 
divieti, 
nella 
fonte 
primaria 
e 
nel 
combinato 
disposto 
del-
l�art. 7 del 
Dm 
5 gennaio 2012 e 
dell�art. 3 del 
Dm 
13 ottobre 
1995 n. 561, all�accesso di 
tali 
atti o alla loro divulgazione. 
L�adito 
TAR, 
con 
sentenza 
n. 
13250 
del 
24 
novembre 
2015, 
ha 
respinto 
la 
pretesa 
attorea, 
con 
la 
condanna 
alle 
spese 
di 
lite. In particolare, il 
TAR ha 
ritenuto che: 
a) la 
posizione 
di 
giornalista 
del 
dott. R. e 
l�interesse 
dei 
potenziali 
lettori 
ad una 
maggior informazione 
sui 
contratti 
in derivati 
non sono elementi 
sufficienti 
a 
fondare 
una 
legittimazione 
qualificata 
all�accesso; 
b) 
l�effetto 
di 
tale 
divulgazione 
� 
pregiudizievole 
sulle 
attivit� 
in 
derivati, 
con 
svantaggio 
competitivo di Stato ed istituti nel mercato relativo. 
3. 
� 
Appella 
quindi 
il 
dott. 
R., 
con 
il 
ricorso 
in 
epigrafe, 
deducendo 
l�erroneit� 
dell�impugnata 
sentenza 
per: 
A) non aver riconosciuto, in capo a 
lui, un interesse 
rilevante 
e 
differenziato a 
tal 
accesso 
(strumentale 
alla 
libert� 
d�informazione 
garantita 
e 
riconosciuta 
agli 
organi 
di 
stampa) 
nonch� 
in 
considerazione 
degli 
obblighi 
di 
buona 
fede 
e 
di 
collaborazione 
cui 
� 
tenuta 
la 
P.A. verso il 
privato; 
b) la 
falsa 
rappresentazione 
dei 
fatti 
di 
causa, essendo stato chiesto 
un numero delimitato di 
atti 
(individuati 
in modo specifico secondo quanto gi� 
reso pubblico 
in esito a 
detta 
indagine 
parlamentare), non preordinato ad un controllo generalizzato dell�attivit� 
amministrativa; 
C) 
l�illegittimit� 
del 
diniego 
tacito 
circa 
taluni 
affermati 
e 
non 
dimostrati 
effetti 
pregiudizievoli 
sulle 
attivit� 
in 
derivati; 
D) 
l�illegittima 
condanna 
alle 
spese 
di 
lite. 
Resiste 
in 
giudizio 
il 
ministero 
intimato, 
che 
insiste 
per 
il 
difetto 
di 
legittimazione 
dell�appellante 
all�accesso e per l�infondatezza del presente gravame. 
All�udienza 
camerale 
del 
14 
luglio 
2016, 
su 
conforme 
richiesta 
delle 
parti, 
il 
ricorso 
in 
epigrafe 
� assunto in decisione dal Collegio. 
4. 
� 
L�appello 
� 
fondato 
limitatamente 
alla 
statuizione 
sulle 
spese 
del 
giudizio, 
per 
il 
resto 
non 
potendo 
esser 
condiviso, 
anche 
se 
la 
sentenza 
del 
Tribunale 
amministrativo 
merita, 
in 
punto di motivazione, le precisazioni che si esporranno. 
4.1 In primo luogo, occorre 
sgomberare 
il 
campo da 
argomentazioni 
che, ad avviso del 
Collegio, 
non riguardano in maniera decisiva il 
thema decidendum. 
Per quanto riguarda 
le 
controdeduzioni 
dell�Amministrazione 
appellata, si 
rammenti 
che, nel 
caso in esame, l�odierno appellante 
ha 
agito a 
seguito del 
silenzio serbato dalla 
P.A. sulla 
sua 
istanza 
d�accesso. Sicch� 
non dura 
fatica 
il 
Collegio a 
reputare 
l�assunto della 
difesa 
erariale, 

CoNTENzIoSo 
NAzIoNALE 


sullo scopo dell�accesso per svolgere 
un controllo generalizzato dell�azione 
amministrativa 
e 
sull�effetto 
pregiudizievole 
dell�eventuale 
ostensione 
dei 
richiesti 
contratti 
in 
derivati 
sul 
mercato 
relativo, nulla 
pi� che 
un argomento difensionale. ma 
ci� si 
risolve 
nella 
inammissibile 


-secondo ricevuti 
princ�pi 
- sostituzione 
d�un concreto provvedimento di 
diniego, mai 
emanato, 
con uno scritto difensivo che, volto a 
surrogare 
una 
inespressa 
volont� 
della 
P.A., che 
potrebbe pure avere opinioni pi� articolate al riguardo. 
Per altro verso, con riguardo a 
quanto deduce 
l�appellante, � 
ben noto al 
Collegio, ma 
altrettanto 
non pertinente 
ai 
presenti 
fini, l�arresto di 
questo Consiglio (cfr. Cons. St., V, 17 marzo 
2015 
n. 
1370), 
secondo 
cui 
�� 
il 
diritto 
di 
accesso 
� 
� 
collegato 
a 
una 
riforma 
di 
fondo 
dell� 
amministrazione, ispirata ai 
principi 
di 
democrazia partecipativa, della pubblicit� e 
trasparenza 
dell�azione 
amministrativa desumibili 
dall�art. 97 Cost., che 
s�inserisce 
a livello comunitario 
nel 
pi� generale 
diritto all�informazione 
dei 
cittadini 
rispetto all�organizzazione 
e 
alla attivit�� 
amministrativa quale 
strumento di 
prevenzione 
e 
contrasto sociale 
ad abusi 
e 
illegalit���, 
poich� 
nella 
specie 
si 
controverte 
non 
sulla 
ratio 
generale 
dell�accesso, 
ma 
della 
sua 
utilizzabilit� 
da 
parte 
dell�appellante 
nella 
concreta 
situazione 
per cui 
� 
causa 
e 
nel 
contesto 
normativo della legge n. 241, invocato dall�appellante medesimo. 
Invero, il 
punto centrale 
della 
presente 
controversia 
� 
e 
resta, avendo voluto l�appellante 
adoperare 
proprio lo strumento ex artt. 22 e 
ss. della 
l. 7 agosto 1990 n. 241 deducendo la 
propria 
libert� 
di 
informarsi 
per informare, la 
soggezione 
del 
diritto di 
accesso, come 
ivi 
delineato, 
alle 
stringenti 
regole 
col� 
previste 
e, quindi, la 
legittimazione 
dell�appellante 
al 
loro uso e, di 
conseguenza, ai rimedi che l�ordinamento appresta a garanzia di questo. 
Di 
ci� 
il 
TAR 
ha 
dato 
buona 
contezza, 
laddove 
ha 
precisato 
che, 
se 
fosse 
�� 
sufficiente 
l�esercizio 
dell�attivit� giornalistica ed il 
fine 
di 
svolgere 
un�inchiesta� 
su una determinata tematica 
per 
ritenere, 
per 
ci� 
solo, 
il 
richiedente 
autorizzato 
ad 
accedere 
a 
documenti 
in 
possesso� 
(della 
P.A.) �, sol 
perch� 
genericamente 
riconducibili 
all�oggetto di 
detta �inchiesta�, si 
finirebbe 
per 
introdurre 
una 
sorta 
di 
inammissibile 
azione 
popolare 
sulla 
trasparenza 
del-
l�azione amministrativa che la normativa sull�accesso non conosce��. 
4.2 
In 
altri 
termini, 
l�istanza 
di 
accesso 
proposta 
in 
via 
amministrativa 
dall�appellante 
e 
la 
conseguente 
domanda 
giudiziale 
vanno valutate, per saggiare 
la 
legittimit� 
del 
diniego (rectius: 
silenzio) 
opposto 
dall�Amministrazione 
alla 
luce 
dell�invocato 
disposto 
normativo, 
senza 
poter 
prendere 
in 
considerazione 
la 
successiva 
evoluzione 
della 
disciplina 
normativa 
in 
materia 
di trasparenza delle pubbliche amministrazioni e di conoscenza dei relativi atti. 
Non sfugge 
al 
Collegio come 
dottrina 
e 
giurisprudenza 
abbiano svolto un'opera 
di 
ridefinizione 
della 
formula 
dell'art. 21 Cost., giungendo a 
configurare 
una 
libert� 
di 
cronaca 
ed una 
pi� ampia 
libert� 
d�informare. Ci� ha 
comportato da 
tempo il 
consolidamento dell'autonomia 
della 
libert� 
di 
informazione, 
in 
s� 
e 
rispetto 
alla 
libert� 
di 
opinione 
e 
di 
stampa, 
ma 
soprattutto 
la 
maturazione 
della 
differenza 
tra 
profilo attivo e 
profilo passivo della 
libert� 
stessa. In particolare, 
per 
quel 
che 
qui 
concerne, 
il 
primo 
profilo 
si 
sostanzia 
nella 
libert� 
d�informare 
(cio� 
di 
comunicare 
e 
diffondere 
idee 
e 
notizie), il 
secondo, che 
attiene 
ai 
destinatari 
dell�informazione, 
si 
specifica 
nella 
libert� 
di 
esser 
informati, 
ma, 
si 
badi, 
come 
mero 
risvolto 
passivo 
della libert� d�informare, oltre che nella libert� di accedere alle informazioni. 
L'elaborazione 
pi� 
significativa, 
cui 
ha 
dato 
luogo 
l'interpretazione 
evolutiva 
dell'art. 
21 
Cost., 
si rinviene senz'altro sul profilo passivo della libert� d�informazione. 
Al 
riguardo, 
l�attenzione 
sՏ 
incentrata 
anzitutto 
sulle 
posizioni 
soggettive 
inerenti 
alla 
libert� 
di 
informarsi, con particolare 
riguardo sia 
all'interesse 
a 
ricevere 
le 
notizie 
in circolazione 
e 
non 
coperte 
da 
segreto o da riservatezza, sia 
all'interesse 
a 
ricercare 
le 
notizie. Tralasciando 

RASSEGNA 
AVVoCATURA 
DELLo 
STATo - N. 4/2016 


il 
primo interesse, poich� 
esula 
dall�oggetto del 
presente 
giudizio, pi� complessa 
� 
la 
fisionomia 
dell'interesse 
a 
ricercare 
le 
notizie, 
che 
l�appellante 
in 
sostanza 
ha 
azionato 
in 
questa 
sede. 
VՏ, per vero, una 
stretta 
interdipendenza 
tra 
quell'interesse 
e 
l'attivit� 
di 
chi 
divulga 
le 
informazioni, 
tantՏ 
che 
la 
giurisprudenza, 
anche 
antica, 
di 
questa 
Sezione 
si 
� 
espressa 
(cfr. 
Cons. 
St., IV, 6 maggio 1996 n. 570; 
cfr., pi� di 
recente, id., 22 settembre 
2014 n. 4748) sulla 
posizione 
qualificata 
e 
differenziata 
degli 
organi 
di 
stampa 
(e, quindi, dei 
giornalisti) circa 
la 
conoscenza 
(del 
contenuto) degli 
atti 
detenuti 
dalla 
P.A. Si 
richiama, da 
ultimo, anche 
il 
nuovo 
approdo 
�� 
dell�ordinamento 
comunitario 
in 
subjecta 
materia 
circa 
una 
compiuta 
evoluzione 
verso una societ� dell� informazione e della conoscenza (cfr. Direttiva 2003/98/Ce)�. 

4.3 Tuttavia, se 
� 
vera 
la 
relazione 
giuridica 
tra 
chi 
informa 
e 
chi 
viene 
informato, non solo 
non si 
pu� legittimamente 
predicare 
l�esistenza 
d�un diritto soggettivo in capo ai 
destinatari 
tale 
addirittura 
da 
condizionare 
la 
posizione 
di 
chi 
informa 
pure 
nei 
contenuti 
e 
nel 
risultato, 
ma 
non si 
ravvisa, nel 
corpo dello stesso art. 21 Cost., il 
fondamento di 
un generale 
diritto di 
accesso alle 
fonti 
notiziali, al 
di 
l� 
del 
concreto regime 
normativo che, di 
volta 
in volta 
e 
nel-
l�equilibrio dei molteplici e talvolta non conciliabili interessi in gioco, regolano tal accesso. 
In 
altre 
parole, 
occorre 
evitare 
ogni 
generalizzazione 
sul 
rapporto 
tra 
diritto 
d�accesso 
e 
libert� 
di 
informare. Il 
nesso di 
strumentalit� 
tra 
le 
due 
figure, che 
pure 
esiste, si 
sostanzia 
non gi� 
reputando, come 
fa 
l�appellante, il 
diritto di 
accesso qual 
presupposto necessario della 
libert� 
d�informare, ma 
nel 
suo esatto opposto. � 
il 
riconoscimento giuridico di 
questa 
che, in base 
alla 
concreta 
regolazione 
del 
primo, 
diviene 
il 
presupposto 
di 
fatto 
affinch� 
si 
realizzi 
la 
libert� 
d�informarsi. 
Sicch�, come 
ha 
a 
suo tempo detto la 
Sezione, � 
pur vero che 
�� 
in linea di 
principio non si 
pu� 
equiparare 
la 
posizione 
di 
una 
testata 
giornalistica 
o 
di 
un 
operatore 
della 
stampa 
a 
quella 
di 
un 
qualunque 
soggetto 
giuridico 
per 
quanto 
attiene 
al 
diritto 
di 
accesso 
ai 
documenti 
amministrativi��. Tuttavia, �� 
occorre� 
pur 
sempre 
tener 
presente 
l�ambito soggettivo e 
quello oggettivo prescritti 
dalla legge 
entro i 
quali 
va riconosciuta la tutela sottesa all�accesso, 
presupponendo� 
un interesse 
personale 
e 
concreto, strumentale 
all�accesso��. Pertanto 
�� 
non � 
consentito dilatare 
l�ambito applicativo della normativa garantista di 
cui 
al 
citato art. 22 della legge n. 241��. 
Ci� 
non 
significa 
che 
vՏ 
un 
diniego 
generale 
al 
diritto 
di 
accesso 
alle 
fonti 
per 
l�informazione, 
n� 
che 
il 
diritto ad essere 
informati 
si 
esaurisca 
nella 
libert� 
d�informarsi 
come 
mero risvolto 
fattuale della libert� d�informare. 
Vuol 
dire 
piuttosto che 
va 
condotta 
un'indagine 
circa 
la 
consistenza 
della 
situazione 
legittimante 
all�accesso e 
che 
la 
relativa 
valutazione 
va 
articolata 
a 
seconda 
della 
disciplina 
normativa 
di 
riferimento, che 
varia 
in significative 
parti 
sia 
con riguardo ai 
caratteri 
della 
posizione 
legittimante 
(l�interesse 
�diretto, concreto e 
attuale, corrispondente 
ad una 
situazione 
giuridicamente 
tutelata� 
di 
cui 
alla 
legge 
n. 
241), 
sia 
dei 
vari 
presidi 
che 
la 
legge 
pone 
verso 
l�accesso 
generalizzato 
(non 
collegato, 
cio�, 
ad 
un 
interesse 
qualificato 
e 
differenziato 
o 
comunque 
volto 
a 
un 
controllo 
diffuso 
sull�attivit� 
dei 
pubblici 
poteri). 
In 
particolare 
sul 
versante 
dei 
rapporti 
con i 
pubblici 
poteri, il 
legislatore 
non sconta 
limiti 
generali 
nel 
prevedere 
in favore 
dei 
cittadini 
una 
serie 
pi� 
o 
meno 
ampia 
di 
diritti 
ad 
essere 
informati, 
come 
avviene, 
per 
esempio, 
con le regole di pubblicit� ex art. 29 del Dlg 14 marzo 2013 n. 33. 
� 
fondamentale 
sottolineare, al 
riguardo, che 
l'evoluzione 
della 
legislazione 
in materia, che 
pure 
� 
via 
via 
sempre 
pi� aperta 
alle 
esigenze 
di 
trasparenza 
dell'azione 
pubblica, ha 
portato 
a 
configurare 
le 
diverse 
forme 
di 
accesso pi� che 
a 
guisa 
di 
un unico e 
globale 
diritto soggettivo 
di 
accesso 
agli 
atti 
e 
documenti 
in 
possesso 
dei 
pubblici 
poteri, 
come 
un 
insieme 
di 
sistemi 



CoNTENzIoSo 
NAzIoNALE 


di 
garanzia 
per 
la 
trasparenza, 
tra 
loro 
diversificati 
pur 
con 
inevitabili 
sovrapposizioni. 
Sicch� 
s�avr� 
una 
maggiore 
o minore 
estensione 
della 
legittimazione 
soggettiva, a 
seconda 
della 
pi� 


o 
meno 
diretta 
strumentalit� 
della 
conoscenza, 
incorporata 
negli 
atti 
e 
documenti 
oggetto 
d�accesso, 
rispetto ad un interesse 
protetto e 
differenziato, diverso dalla 
mera 
curiosit� 
del 
dato, 
di 
colui 
che 
esprime 
s� 
il 
bisogno di 
accedere, ma 
con le 
modalit� 
previste 
dalla 
specifica 
disciplina 
normativa invocata. 
In 
altri 
termini, 
� 
da 
considerare 
che 
il 
sistema 
nel 
suo 
complesso 
d� 
luogo 
a 
vari 
tipi 
d�accesso, 
con 
diverse 
finalit� 
e 
metodi 
d�approccio 
alla 
conoscenza 
ed 
altrettanti 
livelli 
soggettivi 
di 
pretesa 
alla 
trasparenza 
dei 
pubblici 
poteri. Tali 
livelli, nel 
sistema 
della 
legge 
n. 241 -che 
costituisce 
il 
parametro 
normativo 
di 
riferimento 
nel 
presente 
giudizio 
-saranno 
pi� 
ampi 
quando riguardano la 
partecipazione 
di 
un soggetto ad un procedimento amministrativo (art. 
7, c. 1; 
art. 8, c. 2, lett. b; 
art. 10, lett. a) della 
l. 241/1990) o ad un processo amministrativo 
gi� 
in 
atto 
(art. 
116, 
c. 
2, 
c.p.a.: 
cfr., 
p. 
es., 
Cons. 
St., 
III, 
14 
marzo 
2013 
n. 
1533), 
oppure 
quando 
l�accesso 
riguardi 
�� 
documenti 
amministrativi 
la 
cui 
conoscenza 
sia 
necessaria 
per 
curare 
o per 
difendere 
i 
propri 
interessi 
giuridici�� 
(art. 24, c. 7 della 
legge 
n. 241); 
ma 
richiederanno 
pur 
sempre, 
nel 
sistema 
della 
legge 
n. 
241, 
una 
posizione 
legittimante 
nei 
termini 
richiesti 
da 
quella 
disciplina. � 
allora 
ben chiaro che 
il 
diritto d�accesso ex legge 
n. 241 agli 
atti 
amministrativi 
non � 
connotato da 
caratteri 
di 
assolutezza 
e 
soggiace, oltre 
che 
ai 
limiti 
di 
cui 
all�art. 24 della 
l. 241/1990, alla 
rigorosa 
disamina 
della 
posizione 
legittimante 
del 
richiedente, 
il 
quale 
deve 
dimostrare 
un proprio e 
personale 
interesse 
(non di 
terzi, non della 
collettivit� 
indifferenziata) a 
conoscere 
gli 
atti 
e 
i 
documenti 
richiesti. Come 
si 
� 
detto, il 
diritto 
di 
cronaca 
� 
presupposto fattuale 
del 
diritto ad esser informati 
ma 
non � 
di 
per s� 
solo la 
posizione 
che legittima l�appellante all�accesso invocato ai sensi della legge n. 241. 
N� 
sembri 
tutto ci� in contrasto con la 
c.d. �societ� 
dell�informazione� 
cui 
a 
livello europeo 
tende 
(cfr. 
considerando 
n. 
2) 
la 
dir. 
n. 
2003/98/CE, 
poich�, 
al 
di 
l� 
dell�enfasi 
cos� 
manifestata, 
tale 
fonte 
comunque 
non esclude, nei 
ben noti 
ed ovvi 
limiti 
di 
ragionevolezza 
e 
proporzionalit�, 
regimi 
nazionali 
che 
possano delimitare 
l�accesso anche 
con riferimento alla 
titolarit� 
di una posizione legittimante). 
Diversi 
sono 
i 
presupposti 
che 
connotano 
i 
casi 
di 
c.d. 
�accesso 
civico� 
ex 
art. 
5 
del 
Dlg 
33/2013 
(anche 
nel 
testo 
previgente 
alla 
novella 
del 
2016), 
che 
tuttavia 
presuppongono 
la 
sussistenza 
di 
un 
obbligo 
di 
pubblicazione 
(cfr. 
funditus 
Cons. 
St., 
VI, 
20 
novembre 
2013 
n. 
5515). 
E 
ancora 
diversi 
sono 
i 
presupposti 
che 
disciplinano 
l�accesso 
ai 
sensi 
del 
decreto 
legislativo 
n. 
97 
del 
2016, 
che 
svincola 
il 
diritto 
di 
accesso 
da 
una 
posizione 
legittimante 
differenziata 
(art. 
5 
del 
decreto 
n. 
33 
del 
2013 
nel 
testo 
novellato) 
e, 
al 
contempo, 
sottopone 
l�accesso 
ai 
limiti 
previsti 
dall�articolo 
5 
bis. 
In 
tal 
caso, 
la 
P.A. 
intimata 
dovr� 
in 
concreto 
valutare, 
se 
i 
limiti 
ivi 
enunciati 
siano 
da 
ritenere 
in 
concreto 
sussistenti, 
nel 
rispetto 
dei 
canoni 
di 
proporzionalit� 
e 
ragionevolezza, 
a 
garanzia 
degli 
interessi 
ivi 
previsti 
e 
non 
potr� 
non 
tener 
conto, 
nella 
suddetta 
valutazione, 
anche 
le 
peculiairt� 
della 
posizione 
legittimante 
del 
richiedente. 
In 
conclusione, 
l�appello 
� 
da 
respingere 
per 
la 
non 
dimostrata 
sussistenza, 
nel 
caso 
di 
specie, 
da 
parte 
dell�appellante 
di 
una 
posizione 
legittimante 
ai 
sensi 
e 
nei 
termini 
di 
cui 
alla 
legge 
n. 
241. 
5. � Viceversa, l�appello � 
da 
condividere, laddove 
� 
diretto contro la 
condanna 
alle 
spese 
di 
giudizio di primo grado. 
Infatti, sul 
punto la 
statuizione 
del 
TAR non pu� essere 
condivisa, e 
ci� per due 
ordini 
di 
ra

RASSEGNA 
AVVoCATURA 
DELLo 
STATo - N. 4/2016 


gioni. 
Il 
primo: 
� 
stata 
l�inerzia 
del 
ministero 
intimato 
a 
provocare 
la 
lite, 
su 
un�iniziativa 
d�accesso che 
lo stesso TAR ha 
definito �� 
ispirata all�apprezzabile 
fine 
di 
svolgere 
attivit� 
di 
informazione 
a 
vantaggio 
della 
pubblica 
opinione��, 
dunque 
non 
pretestuosa. 
Il 
secondo: 
l�infondatezza 
della 
pretesa 
azionata 
discende 
non ictu oculi, ma 
da 
una 
vicenda 
in s� 
normativamente 
complessa 
e 
connotata 
da 
arresti 
di 
giurisprudenza 
e 
da 
avvisi 
della 
dottrina 
non 
univoci 
e 
tuttora 
in divenire, inerenti 
ad aspetti 
seri 
e 
delicati 
a 
rilevanza 
costituzionale. Per 
l�una 
ragione 
e 
per l�altra, quindi, sussistevano fin dall�inizio i 
giustificati 
motivi 
per compensare 
integralmente dette spese, donde la riforma della sentenza appellata sul punto. 

6. 
� 
L�appello 
va 
accolto 
in 
tali 
limiti, 
ma 
la 
complessit� 
della 
questione 
e 
la 
parziale 
soccombenza 
suggeriscono l�integrale 
compensazione, tra 
le 
parti, pure 
delle 
spese 
del 
presente 
giudizio. 
P.Q.m. 
Il 
Consiglio di 
Stato in sede 
giurisdizionale 
(sez. IV), definitivamente 
pronunciando sull'appello 
(ricorso n. 52/2016 RG 
in epigrafe), lo accoglie 
limitatamene 
al 
capo della 
sentenza 
di 
primo grado relativo alla 
condanna 
alle 
spese, che 
sul 
punto va 
riformata, e 
lo respinge 
per il 
resto con la 
conferma 
della 
sentenza 
di 
primo grado e 
con le 
precisazioni 
di 
cui 
alla 
presente 
sentenza. 
Spese del doppio grado compensate. 
ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'Autorit� amministrativa. 
Cos� deciso in Roma, nella Camera di consiglio del 14 luglio 2016. 

LEgisLazionEEdattuaLit�
La Posta Elettronica Certificata nella pratica amministrativa 

Alfonso Contaldo* 
Flaviano Peluso** 


Sommario: 
1. 
introduzione 
-2. 
La 
Pec 
nell�ordinamento 
giuridico 
-2.1. 
Cenni 
sulla 
PEC nell�evoluzione 
della digitalizzazione 
della P.a. - 2.2. alcune 
problematiche 
giuridiche 
della PEC - 3. La Posta Elettronica Certificata nell�ambito internazionale 
- 4. il 
funzionamento 
del 
sitema 
di 
Posta 
Elettronica 
Certificata 
-5. 
i 
vantaggi 
derivanti 
dall�uso 
della 
PEC. 


1. introduzione. 
Negli 
ultimi 
anni 
si 
� 
andato 
affermando 
un 
nuovo 
modello 
di 
societ� 
che, 
oramai, 
poggia 
sull�uso 
massivo 
di 
strumenti 
elettronici 
per 
l�espletamento 
di ogni attivit� umana. 

In questo contesto di 
progressiva 
ed inarrestabile 
informatizzazione 
del 
quotidiano, si 
� 
assistito alla 
introduzione, nel 
lessico e 
nelle 
procedure 
giuridico-
amministrative, 
di 
terminologie 
e 
soprattutto 
metodologie 
tecnocentriche. 
Tutto 
ci� 
� 
chiaramente 
frutto 
del 
processo 
di 
rivoluzione 
delle 
normative 
nella 
direzione di semplificazione e sviluppo del c.d. smart working 
(1). 

Uno degli 
strumenti, figlio della 
innovazione 
tecnologica 
della 
pubblica 
amministrazione, � 
la 
posta 
elettronica 
certificata 
legittimata 
nel 
nostro ordi


(*) 
Docente 
di 
Diritto 
dell�informazione 
e 
della 
comunicazione 
digitale 
nella 
Accademia 
delle 
Belle 
Arti di Roma. 
(**) Docente a contratto di Informatica giuridica nell�Universit� degli studi di Perugia. 


(1) 
Lo 
smart 
working 
pu� 
essere 
definito 
come 
la 
modalit� 
di 
lavoro 
che, 
sedimentandosi 
sull�adozione 
di 
strumenti 
tecnologicamente 
avanzati, permette 
l�efficientamento delle 
prestazioni 
lavorative 
modificando il 
concetto di 
organizzazione 
di 
spazi 
ed orari 
di 
lavoro. In sostanza 
diventerebbero 
indispensabili 
tre 
pilastri: 
a) la 
flessibilit� 
di 
orari 
lavorativi; 
b) l�adozione 
di 
strumenti 
ICT 
(tecnologie 
dell�informazione 
e 
della 
comunicazione); 
c) rimodulazione 
degli 
spazi 
lavorativi 
permettendo di 
lavorare 
anche da casa riducendo in maniera cospicua il costo strutturale. 

RASSEgNA 
AvvOCATURA 
DELLO 
STATO - N. 4/2016 


namento 
con 
il 
D.P.R. 
68/2005 
ossia 
il 
�regolamento 
recante 
disposizioni 
per 
l'utilizzo 
della 
posta 
elettronica 
certificata, 
a 
norma 
dell'articolo 
27 
della 
legge 16 gennaio 2003, n. 3�. 


Oramai 
la 
posta 
elettronica 
(2) � 
divenuta 
de 
facto 
lo strumento di 
maggiore 
uso per le 
comunicazioni, riuscendo a 
scalzare 
il 
primato detenuto per 
secoli 
della 
corrispondenza 
cartacea. Sicch� 
la 
posta 
elettronica 
� 
divenuto il 
mezzo di comunicazione per i rapporti commerciali. 


Infatti 
grazie 
alle 
precipue 
caratteristiche 
di 
semplicit�, 
immediatezza 
ed 
efficacia, 
nonch� 
alla 
possibilit� 
di 
includere 
nei 
messaggi 
immagini, 
audio, 
video 
o 
qualsiasi 
altro 
tipo 
di 
file, 
la 
posta 
elettronica, 
ha 
avuto 
una 
enorme 
e 
rapida 
diffusione 
in 
tutti 
gli 
ambiti 
anche 
quelli 
applicati 
alle 
questioni 
di 
diritto. 


La 
posta 
elettronica 
(la 
c.d. 
e-mail) 
ha 
per� 
delle 
intrinseche 
debolezze 
che 
ne 
pregiudicherebbero 
l�utilizzo 
nell�ambito 
delle 
dinamiche 
dello 
scambio 
documentale, 
cos� 
come 
dei 
rapporti 
fra 
e 
con 
la 
pubblica 
Amministrazione, 
quali 
ad 
esempio, 
la 
possibilit� 
di 
falsificare 
il 
mittente 
o 
l'orario 
di 
invio. 


Queste 
motivazioni 
hanno 
portato 
il 
legislatore 
alla 
definizione 
di 
regole, 
nel 
nostro ordinamento come 
di 
seguito dettagliato, che 
rendono la 
�comune� 
posta elettronica, �certificata�. 


L�aggettivo 
�certificata� 
si 
traduce 
quindi 
nella 
possibilit� 
di 
garantire 
l�invio, 
l�integrit� 
e 
l�avvenuta 
consegna 
del 
messaggio 
scambiato 
fra 
il 
gestore 
di 
PEC 
(posta 
elettronica 
certificata) 
del 
mittente 
e 
quello 
del 
destinatario, 
fornendo 
agli 
utenti 
la 
certezza, 
a 
pieno 
valore 
legale, 
dell�avvenuto 
recapito 
dei 
messaggi. 
La 
PEC, 
tuttavia, 
ha 
un 
quid 
in 
pi� 
rispetto 
alle 
normali 
comunicazioni 
a 
mezzo 
raccomandata 
con 
avviso 
di 
ricevimento. 
Infatti 
la 
raccomandata 
� 
garanzia 
di 
ricezione 
ma 
non 
pu� 
certificare 
il 
contenuto 
del 
testo 
scritto 
o 
la 
genuinit� 
degli 
eventuali 
allegati. 
Inoltre, 
la 
raccomandata 
normale 
non 
permette 
neppure 
di 
avere 
certezza 
assoluta 
che 
il 
mittente 
sia 
la 
persona 
indicata 
nella 
busta. 
Tutti 
questi 
problemi 
possono 
essere 
agevolmente 
risolti 
con 
l�utilizzo 
di 
un 
altro 
strumento 
che 
vedremo 
a 
breve: 
la 
firma 
digitale. 


2. La PEC nell�ordinamento giuridico. 
L�alveo legislativo che 
costituisce 
la 
legittimazione 
giuridica 
del 
sistema 
di 
posta 
elettronica 
certificata 
si 
compone, oltre 
che 
dal 
gi� 
citato D.P.R. 11 
febbraio 
2005, 
n. 
68, 
�regolamento 
recante 
disposizioni 
per 
l'utilizzo 
della 


(2) 
La 
nascita 
della 
posta 
elettronica 
si 
fa 
risalire 
al 
1971, 
con 
la 
realizzazione 
del 
primo 
programma 
ad 
opera 
dell�ingegnere 
informatico 
Ray 
Tomlinson, 
il 
quale 
� 
anche 
colui 
che 
l�anno 
successivo 
sceglie 
quello che 
� 
divenuto poi 
il 
simbolo della 
posta 
elettronica 
ovvero la 
famosa 
chiocciola 
"@". Il 
simbolo @, seppure 
scelto quasi 
a 
caso, aveva 
anche 
il 
vantaggio di 
essere 
utilizzato per indicare 
�at� 
(cio� 
presso) 
in 
inglese. 
Per 
molti 
anni 
ci 
sono 
stati 
separatori 
diversi 
per 
gli 
indirizzi 
di 
posta 
elettronica: 
la chiocciola � diventata lo standard mondiale alla fine degli anni '80. 

LEgISLAzIONE 
ED 
ATTUALIT� 


posta elettronica certificata, a norma dell'articolo 27 della legge 
16 gennaio 
2003, n. 3� 
(3), anche di altre disposizioni quali: 


� 
Decreto Legislativo 7 marzo 2005, n. 82 (4); 
� 
Decreto Ministeriale 
2 novembre 
2005, �regole 
tecniche 
per 
la formazione, 
la trasmissione 
e 
la validazione, anche 
temporale, della posta elettronica 
certificata� 
(5); 
� 
Circolare 
CNIPA 
(6) CR/49 24 novembre 
2005, �Modalit� 
per la 
presentazione 
delle 
domande 
di 
iscrizione 
all�elenco 
pubblico 
dei 
gestori 
di 
posta 
elettronica certificata� (7); 
� 
Circolare 
7 dicembre 
2006, n. 51, �Espletamento della vigilanza e 
del 
controllo sulle 
attivit� esercitate 
dagli 
iscritti 
nell'elenco dei 
gestori 
di 
posta 
elettronica certificata (PEC), di 
cui 
all'articolo 14 del 
decreto del 
Presidente 
della repubblica 11 febbraio 2005, n. 68, �regolamento recante 
disposizioni 
per 
l'utilizzo della posta elettronica certificata, a norma dell'articolo 27 della 
legge 16 gennaio 2003, n. 3��. 
� 
Decreto Legge 
29 novembre 
2008, n. 185 (8) recante 
�misure 
urgenti 
per 
il 
sostegno a famiglie, lavoro, occupazione 
ed impresa e 
per 
ridisegnare 
in funzione 
anti-crisi 
il 
quadro strategico nazionale� 
convertito nella 
Legge 
28 
gennaio 
2009, 
n. 
2, 
pi� 
noto 
come 
�decreto 
anticrisi�, 
ha 
reso 
obbligatoria 
per imprese e professionisti la PEC. 
� 
Decreto del 
Presidente 
del 
Consiglio dei 
ministri 
del 
6 maggio 2009 
(9), 
�Disposizioni 
in materia di 
rilascio e 
di 
uso della casella di 
posta elettronica 
certificata assegnata ai cittadini�. 
� 
Legge 
18 
giugno 
2009, 
n. 
69 
�Disposizioni 
per 
lo 
sviluppo 
economico, 
la 
semplificazione, 
la 
competitivit� 
nonch� 
in 
materia 
di 
processo 
civile� 
(10). 
� 
Decreto legislativo 30 dicembre 2010, n. 235 (11). 
(3) Pubblicato in g.U. del 28 aprile 2005, n. 97. 
(4) Pubblicato in g.U. del 16 maggio 2005, n. 93. 
(5) Pubblicato in g.U. del 14 novembre 2005, n. 265. 
(6) Con il 
D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196, fu istituito il 
Centro Nazionale 
per l�Informatica 
nella 
Pubblica 
Amministrazione, 
CNIPA, 
che 
sostitu� 
l�AIPA. 
In 
seguito, 
ai 
sensi 
del 
D.Lgs. 
1� 
dicembre 
2009, n. 177 derubricato �riorganizzazione 
del 
Centro nazionale 
per 
l'informatica nella pubblica amministrazione, 
a norma dell'articolo 24 della legge 
18 giugno 2009, n. 69� 
� 
stato modificato il 
nome 
dell�ente in DigitPA. 
Successivamente, 
intervenne 
una 
nuova 
trasformazione 
prevista 
dal 
D.L. 
22 
giugno 
2012, 
n. 
83 
�misure 
urgenti 
per 
la crescita del 
Paese� 
(convertito con Legge 
7 agosto 2012, n. 134) con cui, l�ente 
DigitPA, 
venne 
soppresso 
unitamente 
all�Agenzia 
per 
la 
diffusione 
delle 
tecnologie 
per 
l'innovazione 
tecnologica. 
In sostituzione 
fu istituito l�AgID, l'Agenzia 
per l'Italia 
digitale 
a 
cui 
furono trasferite 
le 
funzioni 
di 
tali 
enti. Tuttavia 
la 
funzione 
di 
Centrale 
di 
committenza 
svolta 
da 
DigitPA 
per conto delle 
Pubbliche 
Amministrazioni, 
fu affidata all�ente CONSIP, acronimo di Concessionaria Servizi Informativi Pubblici. 
(7) Pubblicata in g.U. 5 dicembre 2005, n. 283 
(8) Pubblicato in g.U. del 29 novembre 2008, n. 280, supplemento ordinario 263/L. 
(9) Pubblicato in g.U. del 25 maggio 2009, n. 119. 
(10) Pubblicata in g.U. del 19 giugno 2009 n. 140, Supplemento ordinario n. 95. 
(11) Pubblicato in g.U. Serie gen. del 10 gennaio 2011, n. 6 - Supplemento ordinario n. 8/L. 

RASSEgNA 
AvvOCATURA 
DELLO 
STATO - N. 4/2016 


� 
Legge 
17 dicembre 
2012, n. 221. Conversione 
in legge, con modificazioni, 
del 
D.L. 18 ottobre 
2012, n. 179, recante 
ulteriori 
misure 
urgenti 
per la 
crescita del Paese (12). 
� 
D.L. 
21 
giugno 
2013 
n. 
69 
convertito 
con 
modificazioni 
dalla 
L. 
9 
agosto 
2013, n. 98 �Disposizioni urgenti per il rilancio dell'economia� 
(13). 
� 
Decreto 
legislativo 
26 
agosto 
2016, 
n. 
179 
che 
ha 
aggiornato 
il 
Codice 
dell�amministrazione digitale (14). 
Quanto 
riportato 
alle 
righe 
precedenti, 
costituisce 
il 
quadro 
asettico 
di 
una 
attivit� 
di 
legiferazione 
in 
realt� 
sostanzialmente 
corposa 
anche 
se 
confusa, 
che affonda le radici dai primi anni 90 dello scorso secolo. 

volendone 
tracciare 
una 
breve 
digressione 
storica, che 
non ha 
la 
pretesa 
di 
essere 
esaustiva, si 
pu� indicare 
con il 
D.Lgs. 12 febbraio 1993, n. 39 (15) 
il momento del 
�big bang� 
giuridico-legislativo. 


In esso, recependo le 
primi 
autorevoli 
teorizzazioni 
in materia 
di 
attivit� 
amministrativa 
in 
forma 
elettronica, 
si 
statu�, 
che 
le 
amministrazioni 
pubbliche 
dovessero svolgere 
la 
loro attivit� 
di 
diritto pubblico per mezzo di 
sistemi 
informativi 
automatizzati 
(art. 3), ed inoltre 
si 
chiar�, in particolare, che 
il 
governo 
avrebbe 
dovuto 
individuare, 
per 
mezzo 
della 
sua 
potest� 
regolamentare, 
ex 
art. 
17 
della 
L. 
400/88, 
specifiche 
modalit� 
di 
applicazione 
nel 
processo 
dei principi in esso affermati (art. 16). 

Saltando di 
qualche 
anno si 
annovera 
la 
L. 15 marzo 1997 n. 59 �Delega 
al 
Governo 
per 
il 
conferimento 
di 
funzioni 
e 
compiti 
alle 
regioni 
ed 
enti 
locali, 
per 
la riforma della Pubblica amministrazione 
e 
per 
la semplificazione 
amministrativa� 
(16) la quale all'art. 15, comma 2, disponeva: 


�Gli 
atti, dati 
e 
documenti 
formati 
dalla pubblica amministrazione 
e 
dai 
privati 
con strumenti 
informatici 
o telematici, i 
contratti 
stipulati 
nelle 
medesime 
forme, nonch� 
la loro archiviazione 
e 
trasmissione 
con strumenti 
informatici, 
sono validi e rilevanti a tutti gli effetti di legge�. 

In 
questa 
norma 
si 
conferm� 
la 
tendenza 
alla 
azione 
di 
de-materializzazione 
dei 
documenti 
cartacei, 
un 
passo 
epocale 
in 
un 
ambito 
culturalmente 
poco 
avvezzo 
a 
considerare 
valido 
qualcosa 
che 
non 
sia 
in 
forma 
scritta 
e/o 
cartacea. 


Nel 
1999 
l�Unione 
Europea 
eman� 
la 
direttiva 
nr. 
93, 
il 
cui 
art. 
2 
esplicava 
le 
definizioni 
di 
firma 
elettronica 
e 
di 
firma 
elettronica 
avanzata, quest�ultima 
ha 
particolare 
rilevanza 
nel 
contesto della 
legittimazione 
giuridica 
della 
posta 
elettronica 
certificata, come 
si 
vedr� 
meglio nel 
proseguo della 
presente 
trattazione. 


(12) Pubblicata in g.U. Serie gen. del 18 dicembre 2012, n. 294. 
(13) Pubblicato in g.U. Serie gen. del 21 giugno 2013, n. 144 - Suppl. Ordinario n. 50. 
(14) Pubblicato in g.U. Serie gen. Del 13 settembre 2016, n. 214. 
(15) Recante 
�Norme 
in materia di 
sistemi 
informativi 
automatizzati 
delle 
amministrazioni 
pubbliche�, 
pubblicato in g.U. del 20 febbraio 1993, n. 42. 
(16) Pubblicata in g.U. del 17 marzo 1997, n. 63. 

LEgISLAzIONE 
ED 
ATTUALIT� 


Nel 
2000 
venne 
emanato 
il 
D.P.R 
n. 
445 
recante 
la 
disciplina 
del 
�testo 
unico 
delle 
disposizioni 
legislative 
e 
regolamentari 
in 
materia 
di 
documentazione 
amministrativa�, 
con 
questa 
norma 
fu 
previsto 
che, 
a 
partire 
dal 
primo 
gennaio 
2004, 
le 
pubbliche 
amministrazioni, 
richiamate 
nell�art.1 
comma 
1 
del 
D.Lgs. 
165/01 
�Norme 
generali 
sull'ordinamento 
del 
lavoro 
alle 
dipendenze 
delle 
amministrazioni 
pubbliche�, 
avrebbero 
dovuto 
revisionare 
i 
propri 
sistemi 
informativi 
automatizzati 
finalizzati 
alla 
gestione 
dei 
procedimenti 
amministrativi. 


L�intento del 
legislatore 
era 
quello di 
dare 
disciplina 
all�intero ciclo di 
vita del documento, dalla sua formazione alla archiviazione. 


Per quello che 
riguarda 
l�aspetto precipuo della 
trattazione 
di 
questo elaborato, 
sembra 
utile 
richiamare 
l�art. 
14 
(17), 
articolo 
poi 
abrogato 
dal 
Decreto 
Legislativo 7 marzo 2005, n. 82. 


Nell�articolo 
in 
parola, 
si 
rinvengono 
molti 
dei 
concetti 
che 
saranno 
poi 
ripresi 
nella 
stesura 
del 
D.P.R. 
68/2005, 
anche 
se 
non 
� 
in 
alcun 
punto 
menzionato. 


Nel 
processo di 
avvicinamento al 
D.P.R. 68/2005, un ruolo di 
primaria 
importanza 
lo 
riveste 
anche 
l�articolo 
27 
della 
legge 
16 
gennaio 
2003 
n. 
3, 
�Disposizioni 
ordinamentali 
in 
materia 
di 
pubblica 
amministrazione�. 
Quest�ultimo oltre 
a 
varie 
disposizioni 
relative 
alla 
innovazione 
tecnologica 
nella 
P.A., ed alla 
previsione 
di 
soppressione 
dell�AIPA 
(18) e 
della 
Agenzia 
Nazionale 
per l�innovazione 
tecnologica 
(19), costituisce 
il 
viatico alla 
legiferazione 
introdotta con D.P.R. 68/2005. 


Continuando in questa 
ipotetica 
cavalcata 
negli 
anni, si 
arriva 
all�atto di 
nascita 
della 
posta 
elettronica 
certifica, ovvero del 
D.P.R. 68/2005 datato 11 
febbraio 2005. 


Continuando 
la 
rassegna 
normativa 
fino 
alla 
data 
odierna, 
non 
pu� 
essere 
omesso il 
Decreto Legislativo 7 marzo 2005, n. 82 (20), ossia 
il 
�Codice 
del-
l�amministrazione digitale� 
(21). 


(17) Il 
quale 
prevede 
che 
�il 
documento informatico trasmesso per 
via telematica si 
intende 
spedito 
dal 
mittente 
se 
inviato 
al 
proprio 
gestore, 
e 
si 
intende 
consegnato 
al 
destinatario 
se 
reso 
disponibile 
all'indirizzo elettronico da questi 
dichiarato, nella casella di 
posta elettronica del 
destinatario messa a 
disposizione dal gestore. 
La data e 
l'ora di 
formazione, di 
trasmissione 
o di 
ricezione 
di 
un documento informatico, redatto in 
conformit� alle 
disposizioni 
del 
presente 
testo unico e 
alle 
regole 
tecniche 
di 
cui 
agli 
articoli 
8, comma 
2 e 9, comma 4, sono opponibili ai terzi. 
La trasmissione 
del 
documento informatico per 
via telematica, con modalit� che 
assicurino l'avvenuta 
consegna, equivale alla notificazione per mezzo della posta nei casi consentiti dalla legge�. 
(18) 
L'Autorit� 
per 
l'informatica 
nella 
Pubblica 
Amministrazione, 
� 
stata 
una 
autorit� 
indipendente 
istituita 
dal 
decreto legislativo n. 39 del 
12 febbraio 1993 e 
successivamente 
soppressa 
con la 
creazione 
dell�AgID nel 2012. 
(19) Anch�essa soppressa nel 2012 con la nascita dell�AgID. 
(20) Pubblicato in g.U. del 16 maggio 2005, n. 93. 
(21) Nel proseguo della trattazione CAD. 

RASSEgNA 
AvvOCATURA 
DELLO 
STATO - N. 4/2016 


Nel 
CAD 
troviamo riferimenti 
a 
strumenti 
fondanti 
per il 
processo di 
innovazione 
della 
P.A. 
quali, 
ad 
esempio, 
il 
documento 
informatico 
(art. 
17 
e 
segg.; 
art. 37; 
art. 42 e 
segg.; 
art. 46), oppure 
i 
siti 
per le 
pubbliche 
amministrazioni 
(artt. 
56-57) 
nonch� 
richiami 
alla 
firma 
digitale 
(vedasi 
tabella 
1) 
vera 
protagonista 
del 
processo di 
innovazione, in specie 
per quanto concerne 
l�attivit� notarile. 

tabella 1 - La Firma digitale 


La 
Firma 
Digitale 
� 
il 
risultato finale 
di 
un complesso algoritmo matematico 
che 
permette 
di 
firmare 
un documento informatico con la 
stessa 
validit� 
di 
una 
firma 
autografa. Il 
processo di 
Firma 
Digitale 
si 
basa 
sulla 
crittografia 
asimmetrica: 
ogni 
titolare 
dispone 
di 
una 
coppia 
di 
chiavi, 
una 
privata 
- segreta 
e 
custodita 
sulla 
Smart 
Card e 
protetta 
da 
un codice 
di 
accesso (PIN) - l'altra 
pubblica 
- custodita 
e 
pubblicata 
dall'Ente 
Certificatore 
- che 
viene 
usata 
per la 
verifica 
della 
firma. Le 
due 
chiavi 
sono 
correlate 
in 
maniera 
univoca, 
tuttavia 
dalla 
chiave 
pubblica 
� 
impossibile 
risalire 
a 
quella 
privata. 
Il 
funzionamento 
del 
sistema 
� 
garantito 
dalla 
presenza 
della 
terza 
parte 
fidata 
- l'Ente 
Certificatore 
che 
assicura 
l'associazione 
univoca 
tra 
la 
chiave 
pubblica 
da 
usare 
per 
la 
verifica 
e 
il 
titolare 
della 
corrispondente 
chiave 
privata. Tale 
associazione 
si 
basa 
sull'emissione 
di 
un certificato digitale, che 
avviene 
solo dopo l'identificazione 
e 
registrazione 
certa 
del 
richiedente. 
L�Ente 
certificatore 
gestisce 
l'intero 
ciclo 
di 
vita 
del 
certificato 
compresa 
la 
sospensione 
temporanea 
della 
sua 
validit� o la sua revoca definitiva. 


Con il 
CAD 
si 
ribadisce 
il 
principio del 
�diritto all�uso delle 
tecnologie�, 
come 
si 
evince 
subito da 
una 
delle 
norme, l�art. 3, che 
forse 
pi� di 
tutte 
manifesta 
l�intento programmatico del nuovo codice: 


�i 
cittadini 
e 
le 
imprese 
hanno 
diritto 
a 
richiedere 
ed 
ottenere 
l�uso 
delle 
tecnologie 
dell�informazione 
e 
della comunicazione 
nei 
rapporti 
con le 
pubbliche 
amministrazioni 
centrali 
e 
con i 
gestori 
di 
pubblici 
servizi 
statali 
nei 
limiti di quanto previsto nel presente decreto�. 


Per quanto riguarda 
la 
posta 
elettronica 
certificata 
il 
CAD 
vi 
si 
riferisce 
con gli artt. 6 (22), 47 (23) e 48 (24). 


(22) 
Il 
testo 
del 
1� 
co., 
novellato 
dalla 
lettera 
a) 
del 
comma 
1 
dell'art. 
5, 
D.Lgs. 
30 
dicembre 
2010, 
n. 235, prevede 
che 
�per 
le 
comunicazioni 
di 
cui 
all' 
articolo 48, comma 1 
[ovvero comunicazioni 
che 
necessitano di 
una 
ricevuta 
di 
invio e 
di 
una 
ricevuta 
di 
consegna], con i 
soggetti 
che 
hanno preventivamente 
dichiarato il 
proprio indirizzo ai 
sensi 
della vigente 
normativa tecnica, le 
pubbliche 
amministrazioni 
utilizzano 
la 
posta 
elettronica 
certificata. 
La 
dichiarazione 
dell'indirizzo 
vincola 
solo 
il 
dichiarante 
e 
rappresenta espressa accettazione 
dell'invio, tramite 
posta elettronica certificata, da parte 
delle 
pubbliche 
amministrazioni, degli atti e dei provvedimenti che lo riguardano�. 
(23) Il 
cui 
testo, modificato da 
ultimo dal 
D.L. 21 giugno 2013 n 69 convertito con modificazioni 

LEgISLAzIONE 
ED 
ATTUALIT� 


� 
giusto il 
caso di 
ricordare 
che, alla 
luce 
di 
quanto stabilito dalla 
corte 
di 
cassazione 
con 
la 
sentenza 
nr. 
10021 
del 
12 
maggio 
2005 
(25), 
la 
raccomandata 
postale, garantisce 
la 
corretta 
consegna 
del 
documento ma 
non certifica 
il contenuto al contrario della PEC. 


Nel 
2005 fu emanato il 
D.P.R. 11 febbraio 2005, il 
cui 
art. 14 (vedasi 
tabella 
2) stabilisce i requisiti per i gestori di PEC. 


tabella 2 - requisiti specifici richiesti al gestore di PEC 


a) 
dimostrare 
l'affidabilit� 
organizzativa 
e 
tecnica 
necessaria 
per 
svolgere 
il servizio di posta elettronica certificata; 
b) 
impiegare 
personale 
dotato 
delle 
conoscenze 
specifiche, 
dell'esperienza 
e 
delle 
competenze 
necessarie 
per 
i 
servizi 
forniti, 
in 
particolare 
della 
competenza 
a 
livello 
gestionale, 
della 
conoscenza 
specifica 
nel 
settore 
della 
tecnologia 
della 
posta 
elettronica 
e 
della 
dimestichezza 
con procedure 
di sicurezza appropriate; 


dalla 
L. 9 agosto 2013, n. 98, prevede 
che 
�le 
comunicazioni 
di 
documenti 
tra le 
pubbliche 
amministrazioni 
avvengono mediante 
l'utilizzo della posta elettronica o in cooperazione 
applicativa; esse 
sono valide 
ai fini del procedimento amministrativo una volta che ne sia verificata la provenienza. 
1-bis. L'inosservanza della disposizione 
di 
cui 
al 
comma 1, ferma restando l'eventuale 
responsabilit� 
per danno erariale, comporta responsabilit� dirigenziale e responsabilit� disciplinare. 


2. ai fini della verifica della provenienza le comunicazioni sono valide se: 
a) sono sottoscritte con firma digitale o altro tipo di firma elettronica qualificata; 
b) ovvero sono dotate 
di 
segnatura di 
protocollo di 
cui 
all'articolo 55 del 
decreto del 
Presidente 
della 
repubblica 28 dicembre 2000, n. 445; 
c) 
ovvero 
� 
comunque 
possibile 
accertarne 
altrimenti 
la 
provenienza, 
secondo 
quanto 
previsto 
dalla 
normativa vigente 
o dalle 
regole 
tecniche 
di 
cui 
all'articolo 71. � 
in ogni 
caso esclusa la trasmissione 
di documenti a mezzo fax; 
d) ovvero trasmesse 
attraverso sistemi 
di 
posta elettronica certificata di 
cui 
al 
decreto del 
Presidente 
della repubblica 11 febbraio 2005, n. 68. 
Le 
pubbliche 
amministrazioni 
e 
gli 
altri 
soggetti 
di 
cui 
all' 
articolo 2, comma 2, provvedono ad istituire 
e 
pubblicare 
nell'indice 
Pa 
almeno una casella di 
posta elettronica certificata per 
ciascun registro di 
protocollo. 
Le 
pubbliche 
amministrazioni 
utilizzano 
per 
le 
comunicazioni 
tra 
l'amministrazione 
ed 
i 
propri 
dipendenti 
la posta elettronica o altri 
strumenti 
informatici 
di 
comunicazione 
nel 
rispetto delle 
norme 
in 
materia 
di 
protezione 
dei 
dati 
personali 
e 
previa 
informativa 
agli 
interessati 
in 
merito 
al 
grado 
di riservatezza degli strumenti utilizzati�. 
(24) 
Il 
cui 
testo 
prevede 
che 
�La 
trasmissione 
telematica 
di 
comunicazioni 
che 
necessitano 
di 
una ricevuta di 
invio e 
di 
una ricevuta di 
consegna avviene 
mediante 
la posta elettronica certificata ai 
sensi 
del 
decreto del 
Presidente 
della repubblica 11 febbraio 2005, n. 68, o mediante 
altre 
soluzioni 
tecnologiche 
individuate 
con decreto del 
Presidente 
del 
Consiglio dei 
ministri, sentito DigitPa 
[comma 
2 dell'art. 3, D.P.C.M. 2 marzo 2011]. 
La 
trasmissione 
del 
documento 
informatico 
per 
via 
telematica, 
effettuata 
ai 
sensi 
del 
comma 
1, 
equivale, 
salvo che la legge disponga diversamente, alla notificazione per mezzo della posta. 
La 
data 
e 
l'ora 
di 
trasmissione 
e 
di 
ricezione 
di 
un 
documento 
informatico 
trasmesso 
ai 
sensi 
del 
comma 
1 sono opponibili 
ai 
terzi 
se 
conformi 
alle 
disposizioni 
di 
cui 
al 
decreto del 
Presidente 
della repubblica 
11 febbraio 2005, n. 68, ed alle 
relative 
regole 
tecniche, ovvero conformi 
al 
decreto del 
Presidente 
del 
Consiglio dei ministri di cui al comma 1�. 


(25) 
La 
sentenza 
numero 
10021 
del 
12 
maggio 
2005 
della 
S.C. 
ha 
stabilito 
che 
la 
ricezione 
della 
busta 
raccomandata, 
da 
parte 
del 
destinatario, 
non 
costituisce 
prova 
del 
recapito 
del 
suo 
contenuto 
della 
medesima. 

RASSEgNA 
AvvOCATURA 
DELLO 
STATO - N. 4/2016 


c) 
rispettare 
le 
norme 
del 
presente 
regolamento 
e 
le 
regole 
tecniche 
di 
cui 
all'articolo 17; 
d) applicare 
procedure 
e 
metodi 
amministrativi 
e 
di 
gestione 
adeguati 
e 
tecniche consolidate; 
e) utilizzare 
per la 
firma 
elettronica, di 
cui 
all'articolo 9, dispositivi 
che 
garantiscono 
la 
sicurezza 
delle 
informazioni 
gestite 
in 
conformit� 
a 
criteri 
riconosciuti in ambito europeo o internazionale; 
f) adottare 
adeguate 
misure 
per garantire 
l'integrit� 
e 
la 
sicurezza 
del 
servizio 
di posta elettronica certificata; 
g) prevedere 
servizi 
di 
emergenza 
che 
assicurano in ogni 
caso il 
completamento 
della trasmissione; 
h) fornire, entro i 
dodici 
mesi 
successivi 
all'iscrizione 
nell'elenco dei 
gestori 
di 
posta 
elettronica 
certificata, dichiarazione 
di 
conformit� 
del 
proprio 
sistema 
di 
qualit� 
alle 
norme 
ISO 
9000, 
successive 
evoluzioni 
o 
a 
norme 
equivalenti, relative 
al 
processo di 
erogazione 
di 
posta 
elettronica 
certificata; 
i) fornire 
copia 
di 
una 
polizza 
assicurativa 
di 
copertura 
dei 
rischi 
dell'attivit� 
e dei danni causati a terzi. 


Nel 
2008 con la 
legge 
finanziaria, si 
pose 
l�obiettivo di 
un rafforzamento 
dell�impiego della 
posta 
elettronica, stabilendo che 
il 
mancato adeguamento 
alle 
predette 
disposizioni 
in 
misura 
superiore 
al 
50% 
del 
totale 
della 
corrispondenza 
inviata, certificato dall�allora 
ente 
CNIPA, avrebbe 
comportato, per le 
pubbliche 
amministrazioni 
dello Stato inadempienti, la 
decurtazione 
del 
30% 
delle risorse stanziate per spese di invio della corrispondenza cartacea. 


Nello stesso anno vene 
emanato il 
D.L. 29 novembre 
2008, n. 185 c.d. 
�decreto 
anticrisi� 
poi 
convertito 
in 
Legge 
28 
gennaio 
2009, 
n. 
2. 
Codesto 
testo normativo prevedeva 
che, le 
imprese 
costituite 
in forma 
societaria, devono 
indicare 
nella 
domanda 
di 
iscrizione 
al 
registro delle 
imprese, il 
proprio 
indirizzo PEC. Analogamente 
i 
professionisti 
iscritti 
in albi 
ed elenchi 
istituiti 
dalla 
legge 
dello Stato comunicano ai 
rispettivi 
Ordini 
o Collegi 
il 
proprio indirizzo 
di PEC. 


Tuttavia 
la 
novit� 
di 
maggiore 
portata 
innovativa 
riguardava 
l�attivit� 
notarile. 
Infatti 
gi� 
l'art. 21 del 
Codice 
dell'amministrazione 
digitale, prevedeva 
che 
il 
documento 
informatico, 
sottoscritto 
con 
firma 
digitale 
o 
con 
un 
altro 
tipo di 
firma 
elettronica 
qualificata, ha 
l'efficacia 
prevista 
dall'articolo 2702 
c.c., vale cio� come una normale scrittura privata. 

Nel 
2010 
venne 
emanato 
il 
D.Lgs. 
30 
dicembre 
2010, 
n. 
235 
con 
cui 
vennero 
apportate 
modifiche 
e 
correzioni 
all�impianto preesistente 
senza 
particolari 
stravolgimenti 
ma, al 
contrario, modifiche 
mirate 
a 
rendere 
pi� efficiente 
e funzionale il processo di digitalizzazione. 


LEgISLAzIONE 
ED 
ATTUALIT� 


2.1 Cenni sulla PEC nell�evoluzione della digitalizzazione della P.a. 
Il 
passaggio successivo fu il 
D.L. 18 ottobre 
2012, n. 179 convertito con 
modificazioni 
in L. 17 dicembre 
2012, n. 221 noto come 
decreto crescita 2.0. 
Questo 
corpo 
normativo 
si 
� 
prefigurato 
l�intento 
di 
dare 
attuazione 
all�Agenda 
Digitale (26). 


Analizzando 
gli 
aspetti 
pi� 
rilevanti 
del 
decreto 
crescita 
2.0 
(27) 
possiamo 
vedere 
che 
l�art. 
2 
introduce 
meccanismi 
pi� 
efficienti 
per 
le 
comunicazioni 
anagrafiche 
di 
morte 
fra 
i 
medici 
accertatori 
ed 
i 
comuni, 
infatti 
queste 
trasmissioni 
di 
informazioni 
ora 
devono 
essere 
effettuate 
solo 
a 
mezzo 
telematico. 


Altre 
importanti 
innovazioni 
sono previste 
dall�art. 4 che 
introduce, nel 
Codice 
dell�Amministrazione 
Digitale 
(28), 
il 
riconoscimento 
del 
domicilio 
digitale 
(29). L�art. 5 ha 
esteso anche 
alle 
imprese 
individuali 
l�obbligo, gi� 
vigente 
per le 
imprese 
societarie 
ed i 
professionisti 
in forza 
del 
co. 6 dell�art. 
16 del 
D.L. 29 novembre 
2008, n. 185, di 
dotarsi 
di 
un indirizzo di 
posta 
elettronica 
certificata. 


La 
sezione 
II 
della 
norma 
in 
commento 
ha 
esteso 
l�ambito 
di 
applicabilit� 
delle 
comunicazioni, 
a 
valenza 
legale, 
effettuate 
a 
mezzo 
PEC. 
Cos� 
oggi 
� 
possibile 
una 
molteplicit� 
di 
attivit� 
tramite 
PEC: 
per 
la 
PA, 
effettuare 
contratti 


(26) La 
stessa 
nasce 
da 
iniziativa 
dell�Unione 
Europea 
che 
mira 
a 
incentivare 
l�innovazione 
tecnologica 
come 
strumento 
per 
rilanciare 
la 
crescita 
e 
lo 
sviluppo 
grazie 
all�individuazione 
di 
sette 
pilastri: 
a) Il 
Mercato unico digitale. Infatti 
l�Europa 
� 
un mosaico di 
mercati 
online 
nazionali 
frammentati 
dove 
spesso servizi 
commerciali 
e 
culturali 
faticano a 
superare 
i 
confini 
nazionali. Queste 
barriere 
possono 
essere 
superate 
agevolando le 
fatturazioni 
e 
i 
pagamenti 
elettronici, nonch� 
rafforzare 
la 
tutela 
del 
cyberberspazio 
disseminati 
in vari 
documenti 
giuridici 
complessi; 
b) Interoperabilit� 
e 
standard comuni. 
In tal 
modo sar� 
possibile 
permettere 
l�offerta 
di 
prodotti 
e 
servizi 
accessibili 
grazie 
a 
differenti 
dispositivi 
ed applicazioni 
delle 
tecnologie 
dell'informazione; 
c) Fiducia 
e 
sicurezza. Aumentare 
la 
sicurezza 
dei 
cittadini 
europei 
contro i 
computer 
crimes 
ed i 
cyber 
crimes 
grazie 
a 
tecnologie 
di 
protezione 
crittografica 
dei 
dati, certificati 
di 
sicurezza 
e 
protezione 
dall�incontrollata 
diffusione 
dei 
dati 
personali; 
d) 
Accesso ad internet 
veloce 
e 
superveloce. La 
realizzazione 
di 
infrastrutture 
quali 
la 
banda larga 
e 
l�abbattimento 
dei 
costi 
delle 
connessioni 
che 
permettano, entro il 
2020, di 
avere 
almeno met� 
della 
popolazione 
europea 
con 
connessioni 
internet 
sopra 
i 
100 
Mbps; 
e) 
Ricerca 
e 
innovazione. 
La 
tecnologia 
dell�informazione 
e 
della 
comunicazione 
contribuiscono 
al 
valore 
aggiunto 
totale 
nei 
comparti 
industriali 
europei 
pi� 
rilevanti, 
fra 
cui 
quello 
automobilistico 
(25%), 
quello 
dei 
dispositivi 
di 
largo 
consumo 
(41%) 
o il 
settore 
medico-sanitario (33%); 
f) Competenze 
informatiche, alfabetizzazione 
digitale 
ed �e-inclusione�. 
Sviluppare 
le 
conoscenze 
informatiche 
pu� 
favorire 
i 
processi 
di 
inserimento 
sociale, 
aumentare 
le 
possibilit� 
lavorative 
in particolar modo per le 
persone 
diversamente 
abili; 
g) vantaggi 
delle 
TIC per 
la 
societ�. L'uso intelligente 
della 
tecnologia 
e 
lo sfruttamento delle 
informazioni 
ci 
aiuteranno ad affrontare 
le 
sfide 
che 
attendono 
la 
nostra 
societ�, 
fra 
cui 
i 
cambiamenti 
climatici 
e 
l'invecchiamento 
della 
popolazione 
grazie 
alla 
diminuzione 
di 
inquinamento derivante 
dal 
trasporto privato e 
una 
migliore 
assistenza 
sanitaria ai cittadini. 
(27) 
Si 
informa 
il 
lettore 
che 
la 
disposizione 
in 
commento, 
per 
mantenere 
la 
continuit� 
espositiva, 
verr� trattata unicamente per quel che riguarda la PEC e settori strettamente connessi. 
(28) D.Lgs. 7 marzo 2005, n. 82. 
(29) Pertanto nel 
Codice 
� 
stato inserito l�art. 3 bis 
che 
al 
1� 
co. prevede 
�al 
fine 
di 
facilitare 
la 
comunicazione 
tra 
pubbliche 
amministrazioni 
e 
cittadini, 
� 
facolt� 
di 
ogni 
persona 
fisica 
indicare 
al 
comune di residenza un proprio domicilio digitale�. 

RASSEgNA 
AvvOCATURA 
DELLO 
STATO - N. 4/2016 


stipulati 
telematicamente; 
i 
dipendenti 
pubblici 
e 
privati 
ora 
devono 
effettuare 
le 
trasmissioni 
di 
certificazioni 
di 
malattia 
con 
strumenti 
telematici 
(art. 
7); 
l�adozione 
di 
biglietti 
elettronici 
e 
servizi 
informativi 
per 
i 
sistemi 
di 
trasporto 
(art. 8); utilizzare dati in formato aperto (art. 9). 


La 
sezione 
III 
introduce 
elementi 
per 
l�istruzione 
e 
la 
cultura 
digitale 
con 
interventi 
mirati 
a 
livello 
scolastico 
quali: 
il 
fascicolo 
elettronico 
dello 
studente 
(1� 
co. 
art. 
10); 
l�adozione 
di 
modalit� 
informatiche 
per 
i 
procedimenti 
relativi 
allo 
stato 
giuridico 
ed 
economico 
dei 
rapporti 
di 
lavoro 
del 
personale 
del 
comparto 
scuola 
(9� 
co. 
art. 
10); 
la 
previsione 
di 
libri 
digitali 
per 
le 
scuole 
(art. 
11). 


La 
sezione 
Iv 
d� 
vita 
al 
fascicolo sanitario elettronico (art. 12), alle 
prescrizioni 
mediche ed alle cartelle cliniche digitali (art. 13). 


La 
sezione 
v, 
oltre 
ad 
aver 
previsto 
lo 
stanziamento 
di 
150 
milioni 
di 
euro 
per 
il 
2013 
per 
la 
banda 
larga 
ed 
altre 
disposizioni 
per 
la 
sua 
applicazione 
concreta, 
ha 
permesso la 
pubblicit� 
dei 
lavori 
parlamentari 
attraverso sistemi 
digitali 
(art. 
14-bis). 
Ulteriormente 
si 
� 
ampliata 
la 
possibilit� 
di 
pagamento 
con 
moneta 
elettronica 
anche 
verso la 
PA 
(art. 15), sono stati 
introdotti 
aspetti 
importanti 
per il 
processo civile 
telematico come 
il 
pieno riconoscimento delle 
comunicazioni di cancelleria e le notifiche telematiche (artt. 16 e 16-bis). 


Infine 
la 
sezione 
vI � 
interamente 
dedicata 
alla 
giustizia 
digitale, specificando 
le 
modalit� 
di 
applicazione 
della 
stessa 
nel 
processo civile 
telematico 
e nel processo esecutivo telematico. 


Il 
passaggio successivo si 
� 
avuto con la 
L. 9 agosto 2013, n. 98 che 
dedica 
il 
capo II alle 
misure 
per il 
potenziamento dell�Agenda 
digitale 
italiana. 
In questo caso sono state 
introdotte 
misure 
per rafforzare 
la 
governance 
del-
l�Agenda 
digitale 
italiana 
con 
la 
predisposizione 
di 
una 
cabina 
di 
regia 
dedicata 
a 
proporre 
innovazioni 
(art. 
13). 
Sono 
state 
anche 
previste 
disposizioni 
per 
favorire 
la 
concorrenza, 
anche 
a 
mezzo 
piattaforme 
open 
source, 
per 
gli 
acquisti 
di 
beni 
e 
servizi 
per 
la 
PA 
(art. 
13-bis); 
oltre 
a 
misure 
per 
favorire 
la 
diffusione 
del 
domicilio 
digitale 
quale 
l�assegnazione 
di 
una 
casella 
PEC 
al 
cittadino 
che 
fa 
richiesta 
di 
cambio 
di 
residenza 
(art. 
14). 
Sono 
state 
rafforzate 
le 
possibilit� 
di 
accesso 
alle 
banche 
dati 
pubbliche 
(art. 
16-bis) 
oltre 
a 
favorire 
l�utilizzo 
dei 
fascicoli 
sanitari 
elettronici. 
Tuttavia 
la 
pi� 
importante 
innovazione 
� 
certamente 
quella 
del 
sistema 
pubblico di 
identit� 
digitale 
SPID 
(art. 17-ter) che 
consente 
di 
accedere 
a 
tutti 
i 
servizi 
on-line 
con la 
medesima 
identit� 
digitale. 
In 
questo 
modo 
diventa 
possibile 
prenotare 
prestazioni 
sanitarie, 
iscrizioni 
scolastiche, 
controllare 
la 
situazione 
contributiva, 
pratiche 
commerciali. 
Quindi qualunque servizio pubblico o privato che necessiti autenticazione. 


Da 
ultimo 
� 
stato 
approvato 
il 
recentissimo 
D.Lgs. 
26 
agosto 
2016, 
n. 
179 
recante 
�modifiche 
ed 
integrazioni 
al 
Codice 
dell�amministrazione 
digitale, 
in 
materia 
di 
riorganizzazione 
delle 
amministrazioni 
pubbliche�. 
Il 
quale 
introduce 
l�art. 
3-bis 
dedicato 
al 
domicilio 
digitale 
quale 
strumento 
preferenziale 
per 
le 
comunicazioni 
fra 
cittadino 
e 
PA. 
Altra 
significativa 
innovazione 
� 
stata 
la 
crea



LEgISLAzIONE 
ED 
ATTUALIT� 


zione 
dell�indice 
nazionale 
degli 
indirizzi 
di 
posta 
elettronica 
INI-PEC 
(art. 
6bis) 
che 
� 
liberamente 
consultabile. 
Inoltre 
ora 
� 
previsto 
esplicitamente 
che 
i 
dati 
ed 
i 
documenti 
pubblicati 
dalla 
PA 
sono 
rilasciati 
come 
dati 
aperti 
(art. 
52). 
Degne 
di 
nota 
sono 
le 
introduzioni 
dell�Anagrafe 
nazionale 
della 
popolazione 
residente 
ANPR 
e 
dell�anagrafe 
della 
popolazione 
italiana 
residente 
all'estero 
AIRE 
(art. 
62) 
che 
consentono 
la 
possibilit� 
di 
fornire 
nuovi 
servizi. 
Innovativo 
� 
anche 
il 
servizio 
dell�Anagrafe 
nazionale 
degli 
assistiti 
ANA 
che 
permette 
sia 
ai 
cittadini 
oggetto 
di 
assistenza 
che 
alla 
PA 
di 
monitorare 
i 
servizi 
(art. 
62-ter). 


2.2 alcune problematiche giuridiche della PEC. 
� 
importante 
ricordare 
che 
l�art. 6 del 
D.P.R. 68/2005 comma 
5, il 
quale 
disciplina 
il 
momento del 
rilascio della 
ricevuta 
di 
avvenuta 
consegna 
della 
PEC, 
prevede 
che 
la 
stessa 
� 
rilasciata 
contestualmente 
alla 
consegna 
del 
messaggio 
nella 
casella 
di 
posta 
elettronica 
del 
destinatario 
indipendentemente 
dall'avvenuta lettura da parte del destinatario medesimo. 

Il 
destinatario, 
pertanto, 
ha 
l'onere 
di 
consultare 
la 
propria 
casella 
di 
posta 
per 
prendere 
effettiva 
conoscenza 
di 
ci� 
che 
legalmente 
gli 
risulta 
trasmesso, 
visto 
che 
la 
presunzione 
di 
conoscenza 
si 
forma 
gi� 
al 
momento 
della 
messa 
a 
disposizione 
del 
plico 
informatico 
presso 
la 
casella 
di 
posta 
certificata 
del 
destinatario 
prescindendo 
dall'effettiva 
lettura 
(Motivo 
per 
cui, 
a 
giudizio 
di 
chi 
scrive, 
saranno 
pochi 
i 
privati 
cittadini 
che 
richiederanno 
un 
indirizzo 
PEC). 


Ultimo 
aspetto 
da 
tenere 
in 
conto 
riguardo, 
al 
Decreto 
in 
argomento, 
� 
l�obbligo per le 
Pubbliche 
Amministrazioni 
ad utilizzare 
unicamente 
la 
PEC 
per 
le 
comunicazioni 
e 
le 
notificazioni 
che 
hanno 
come 
destinatari 
i 
dipendenti 
della 
stessa 
o di 
un�altra 
Amministrazione 
Pubblica. Si 
ribadisce 
e 
si 
amplia, 
in tal 
modo, a 
tutti 
i 
dipendenti 
pubblici 
l�obbligo gi� 
previsto per le 
Amministrazioni 
dalla lett. b del comma 3, dell�art. 47 del D.Lgs. n. 82/2005. 


L�introduzione 
di 
quanto 
previsto 
dal 
D.L. 
185/2008 
ha 
fatto 
nascere 
delle 
singolarit� 
ad 
esempio: 
fra 
i 
professionisti 
che 
devono 
fare 
uso 
della 
PEC 
ci 
sono 
anche 
gli 
avvocati 
che 
devono 
comunicarla 
al 
proprio 
Consiglio 
dell�Ordine. 


Il 
D.P.R. 13 febbraio 2001, n. 123 ha 
individuato alcuni 
aspetti 
di 
rilievo 
nell�uso della 
PEC nel 
Processo Civile 
Telematico PCT. In particolare 
si 
segnala: 


� 
1� 
co. art. 6 �Le 
comunicazioni 
con biglietto di 
cancelleria, nonch� 
la 
notificazione 
degli 
atti, effettuata quest'ultima come 
documento informatico 
sottoscritto con firma digitale, possono essere eseguite per via telematica�. 
� 
1� 
co. art. 9 �La parte 
che 
procede 
all'iscrizione 
a ruolo o alla costituzione 
in giudizio per 
via telematica trasmette 
con il 
medesimo mezzo i 
documenti 
probatori 
come 
documenti 
informatici 
o 
le 
copie 
informatiche 
dei 
documenti probatori su supporto cartaceo�. 

RASSEgNA 
AvvOCATURA 
DELLO 
STATO - N. 4/2016 


� 
Art. 10 �Se 
la procura alle 
liti 
� 
stata conferita su supporto cartaceo, 
il 
difensore, che 
si 
costituisce 
per 
via telematica, trasmette 
la copia informatica 
della 
procura 
medesima, 
asseverata 
come 
conforme 
all'originale 
mediante 
sottoscrizione con firma digitale�. 
� 
Artt. 12 e 13 riguardanti il fascicolo informatico. 
� 
Artt. 14 e 
15 sulla 
produzione 
degli 
atti 
e 
dei 
documenti 
probatori 
su 
supporto informatico ed il deposito della relazione del CTU. 
� 
Art. 
17 
riguardante 
la 
trasmissione 
della 
sentenza 
in 
formato 
informatico. 
Riguardo 
la 
valenza 
legale 
della 
PEC 
sono 
necessarie 
alcune 
delucidazioni 
di 
rilievo. Come 
noto, all�interno del 
processo civile 
le 
prove 
precostituite 
(30) hanno la 
caratteristica 
di 
crearsi 
prima 
dell�esperienza 
processuale. 
Nel 
novero delle 
stesse 
vi 
sono, ovviamente 
gli 
atti 
pubblici 
(31), la 
scrittura 
privata 
(32), le 
riproduzioni 
meccaniche 
(33). Tuttavia 
le 
PEC si 
configurano 
con 
la 
valenza 
della 
scrittura 
privata 
ma, 
laddove 
fossero 
accompagnate 
da 
firma digitale (vedi tabella 3), assurgono ad una valenza ben pi� alta (34). 

tabella 3 - Firma elettronica e firma digitale 


Non esiste 
un singolo tipo di 
�firma 
elettronica� 
in realt� 
si 
pu� dire 
che 
si possono individuare varie tipologie di firma. 
1) 
La 
firma 
elettronica: 
� 
l�insieme 
di 
dati 
in forma 
elettronica, allegati 
o 


(30) Per approfondimenti 
vedi: 
LEANzA 
P., Le 
prove 
civili, Torino, giappichelli, 2012; 
COMOgLIO 
L., Le prove civili, UTET giuridica, 2010. 
(31) L�art. 2699 c. c. prevede 
che 
�l'atto pubblico � 
il 
documento redatto, con le 
richieste 
formalit�, 
da un notaio o da altro pubblico ufficiale 
autorizzato ad attribuirgli 
pubblica fede 
nel 
luogo dove 
l'atto � 
formato�. Dunque 
sul 
piano probatorio l�atto pubblico fa 
piena 
prova 
salvo il 
caso di 
querela 
di 
falso. 
La 
cui 
proposizione 
introduce 
un 
procedimento 
previsto 
dagli 
artt. 
221 
-227 
c.p.c. 
dove, 
in 
nuovo 
giudizio �consiste 
nell�accertare 
la genuinit� di 
un documento, la sua effettiva provenienza o attribuzione 
alla persona che 
se 
ne 
dichiara autore, al 
fine 
di 
predisporre 
uno strumento probatorio irrefutabile� 
cit. Cass. Civ. sent. 28 luglio 1972, n. 2591. 
(32) L�art. 2702 c.c. stabilisce 
che 
�La scrittura privata fa piena prova, fino a querela di 
falso, 
della provenienza delle 
dichiarazioni 
da chi 
l'ha sottoscritta, se 
colui 
contro il 
quale 
la scrittura � 
prodotta 
ne 
riconosce 
la sottoscrizione, ovvero se 
questa � 
legalmente 
considerata come 
riconosciuta�. � 
giusto il 
caso di 
ricordare 
che 
l�efficacia 
probatoria 
della 
scrittura 
privata 
non disconosciuta 
si 
limita 
alla 
provenienza 
della 
dichiarazione 
e 
non 
al 
contenuto 
della 
stessa, 
vedi 
Cass. 
Civ. 
sent. 
14 
luglio 
1988, 
n. 4611. 
(33) 
L�art. 
2712 
c.c. 
chiarisce 
che 
�Le 
riproduzioni 
fotografiche, 
informatiche 
o 
cinematografiche, 
le 
registrazioni 
fonografiche 
e, in genere, ogni 
altra rappresentazione 
meccanica di 
fatti 
e 
di 
cose 
formano 
piena prova dei 
fatti 
e 
delle 
cose 
rappresentate, se 
colui 
contro il 
quale 
sono prodotte 
non ne 
disconosce 
la conformit� ai 
fatti 
o alle 
cose 
medesime�. Tuttavia 
la 
S.C. ha 
avuto modo di 
chiarire 
che 
in 
ordine 
all�assunta contestazione 
dei 
dati 
del 
sistema informatico, � 
da osservare 
preliminarmente 
che, 
per 
l�art. 2712, la contestazione 
esclude 
il 
pieno valore 
probatorio della riproduzione 
meccanica, ove 
abbia per 
oggetto il 
rapporto di 
corrispondenza tra la realt� e 
la riproduzione 
meccanica. ove 
la contestazione 
vi 
sia stata, la riproduzione, pur 
perdendo il 
suo pieno valore 
probatorio, conserva tuttavia 
il 
minor 
valore 
di 
un semplice 
elemento di 
prova che 
pu� essere 
integrato da ulteriori 
elementi� 
cos� 
Cass. Civ. sent. 11 maggio 2005, n. 9884. 
(34) Per approfondimenti 
vedi: 
ghIRARDINI 
A., FAggIOLI 
g., Digital 
Forensics, Milano, Apogeo, 
2013 pag. 17 e ss. 

LEgISLAzIONE 
ED 
ATTUALIT� 


connessi 
attraverso una 
associazione 
logica 
ad altri 
dati 
elettronici, utilizzati 
quale metodo di identificazione. 
2) 
La 
firma 
elettronica 
avanzata: 
� 
l�insieme 
di 
dati 
in forma 
elettronica, 
allegati 
o connessi 
ad un documento informatico che 
permettono l�identificazione 
e la connessione univoca fra firmatario e documento. 
3) 
La 
firma 
elettronica 
qualificata: 
� 
una 
tipologia 
di 
firma 
elettronica 
avanzata 
che, ulteriormente 
alla 
precedente, prevede 
l�utilizzo di 
un dispositivo 
di sicurezza nella creazione della firma. 
4) 
La 
firma 
digitale: 
� 
una 
tipologia 
di 
firma 
elettronica 
avanzata 
che 
� 
stata 
implementata 
con 
sistemi 
di 
certificazione 
sia 
della 
provenienza 
che 
dell�integrit� 
del 
contenuto 
del 
documento 
e 
dei 
metadati 
connessi 
ad 
esso. Inoltre 
prevede 
un sistema 
di 
protezione 
con doppia 
chiave 
asimmetrica, 
dove 
quella 
pubblica 
� 
libera 
e 
disponibile 
per tutti 
e 
quella 
privata 
� univocamente riconducibile al titolare. 

3. La Posta Elettronica Certificata nell�ambito internazionale. 
Non 
molti 
sanno 
che, 
nonostante 
ci 
sia 
l�insana 
usanza 
di 
bistrattare 
le 
innovazioni 
italiane 
in 
favore 
di 
una 
idolatrazione 
assoluta 
di 
ci� 
che 
viene 
importato da 
altri 
stati, nel 
caso della 
PEC, l�esperienza 
italiana 
� 
stata 
assolutamente 
all�avanguardia. Anzi 
l�Italia 
� 
stato il 
primo paese 
al 
mondo a 
dare 
piena 
valenza 
legale 
al 
sistema 
di 
comunicazioni 
telematiche. 
Cos� 
negli 
ultimi 
anni 
abbiamo 
assistito 
alla 
comparsa 
di 
molteplici 
soluzioni 
analoghe 
al 
sistema 
di 
Posta 
Elettronica 
Certificata, ad opera 
di 
governi, operatori 
postali 
o 
privati. 
Queste 
soluzioni 
vengono 
tipicamente 
classificate 
con 
il 
generico 
nome 
�Certified 
Electronic 
Email� 
CEM. 
Ogni 
CEM 
ha 
cercato 
autonome 
soluzioni 
tecniche 
e 
giuridiche 
per lo sviluppo dello stesso. L�indipendenza 
di 
ciascuna 
cellula 
organizzativa 
nazionale, 
di 
contro 
altare, 
ha 
impedito 
la 
strutturazione 
di 
sistemi 
standard 
comuni 
e 
condivisi 
a 
livello 
internazionale. 
�Un 
sistema CEm � 
definito sulla base 
di 
specifiche 
tecniche 
(regole 
Tecniche), 
documenti 
che 
descrivono con sufficiente 
chiarezza (senza ambiguit�) le 
funzioni 
del 
sistema tali 
da permettere 
lo sviluppo di 
software 
conforme 
a dette 
regole 
da parte 
degli 
interessati. Quando queste 
regole 
Tecniche 
sono emanate 
da 
un 
governo 
rappresentano 
uno 
�standard 
nazionale�. 
a 
titolo 
di 
esempio 
questo 
� 
il 
caso 
dell�italia 
(PEC) 
o 
della 
Germania 
(Demail), 
dove 
la 
definizione e l�uso del sistema sono regolate per legge� 
(35). 


L�Universal 
Postal 
Union 
UPU 
(36) 
ha 
individuato 
la 
necessit� 
che 
la 
co


(35) 
Cit. 
gENNAI 
F., 
L�evoluzione 
della 
PEC 
e 
prospettive 
in 
ambito 
internazionale 
in 
Atti 
del 
convegno 
PEC 
2012 
�La 
posta 
Elettronica 
Certificata: 
opportunit� 
e 
sfide 
nell�internet 
del 
futuro� 
ISTI - CNR Pisa, 8 maggio 2012. 
(36) Si 
tratta 
di 
una 
agenzia 
specializzata 
dell�Organizzazione 
delle 
Nazioni 
Unite 
che 
svolge 
il 
ruolo di 
coordinamento delle 
politiche 
postali 
dei 
paesi 
membri. In realt� 
l�UPU 
� 
pi� antica 
rispetto 
alle 
stesse 
Nazioni 
Unite. 
� 
bene 
ricordare 
che 
nel 
1874 
a 
Berna 
si 
stipul� 
un 
trattato 
che 
riusc� 
a 
unificare 

RASSEgNA 
AvvOCATURA 
DELLO 
STATO - N. 4/2016 


munit� 
internazionale 
indirizzi 
anche 
i 
sistemi 
di 
comunicazione 
elettronica 
verso protocolli 
condivisi 
che 
permettano interoperabilit�. �Particolarmente 
importante 
� 
il 
ciclo continuo di 
test 
a cui 
sono sottoposti 
i 
Provider 
PEC per 
assicurare 
la loro interoperabilit�. Un sistema sviluppato all�iSTi, che 
fa uso 
della piattaforma iSTi-PEC, gestisce 
in modo semiautomatico i 
226 test 
di 
un 
ciclo. attraverso questa collaborazione 
DigitPa 
sostiene 
anche 
la partecipazione 
di 
giovani 
e 
motivati 
ricercatori, ai 
gruppi 
di 
lavoro di 
uno dei 
pi� importanti 
e 
fondamentali 
organismi 
di 
standardizzazione 
internazionale: 
internet 
Engineering 
Task 
Force 
iETF. 
Nell�ambito 
delle 
attivit� 
iETF, 
il 
gruppo 
di 
lavoro 
DigitPa-CNr, 
ha 
pubblicato 
un 
documento 
che 
descrive 
l�architettura 
del sistema italiano di Posta Elettronica Certificata� 
(37) (38). 

Si 
segnala 
che 
neppure 
in 
ambito 
Europeo, 
almeno 
ad 
oggi, 
non 
sono 
presenti 
standard 
condivisi 
fra 
gli 
stati 
membri 
in 
tema 
di 
strumenti 
di 
comunicazione 
elettronica 
con 
valenza 
legale. 
Il 
panorama 
europeo 
appare 
frammentato 
in 
una 
dozzina 
di 
sistemi, 
tecnicamente 
basati 
su 
metodologie 
applicative 
diverse 
fra 
loro 
ma 
che, 
nella 
sostanza, 
prendono 
spunto 
dalla 
PEC 
italiana. 


Nel 
2014 un Regolamento europeo 910/2014 (39) in materia di 
identificazione 
elettronica e 
servizi 
fiduciari 
per 
le 
transazioni 
elettroniche 
nel 
mercato 
interno 
e 
che 
abroga 
la 
direttiva 
1999/93/CE 
ha 
introdotto 
i 
servizi 
elettronici 
di 
recapito 
certificato 
mediante 
il 
c.d. 
eIDAS 
(40) 
che 
si 
prefiggono 
di portare alla interoperabilit� a livello comunitario. 


L�art. 43 della 
stessa 
prevede 
che 
�ai 
dati 
inviati 
e 
ricevuti 
mediante 
un 
servizio elettronico di 
recapito certificato non sono negati 
gli 
effetti 
giuridici 
e 
l�ammissibilit� 
come 
prova 
in 
procedimenti 
giudiziali 
per 
il 
solo 
motivo 
della 
loro forma elettronica o perch� 
non soddisfano i 
requisiti 
del 
servizio elettronico 
di 
recapito 
certificato 
qualificato. 
2. 
i 
dati 
inviati 
e 
ricevuti 
mediante 
servizio 
elettronico di 
recapito certificato qualificato godono della presunzione 
di 
integrit� dei 
dati, dell�invio di 
tali 
dati 
da parte 
del 
mittente 
identificato, 
della 
loro 
ricezione 
da 
parte 
del 
destinatario 
identificato 
e 
di 
accuratezza 


un intricato e 
contraddittorio sistema 
di 
servizi 
postali 
e 
regolamentazioni 
nazionali 
in un solo territorio 
postale 
di 
scambio 
reciproco 
di 
oggetti 
postali. 
I 
paesi 
che 
parteciparono 
alla 
conferenza 
ridussero 
il 
numero di tariffe postali da 1200 a una tariffa per tutti. 


(37) Cit. gENNAI 
F., op. cit. 
(38) 
Per 
approfondimenti 
sull�evoluzione 
della 
Posta 
Certificata 
Italiana 
vedi: 
http://datatracker.ietf.org/doc/rfc6109/ 


(39) 
Pubblicato 
in 
g. 
U. 
dell�Unione 
Europea 
del 
28 
agosto 
2014 
Fonte: 
http://eur-lex.europa.eu/legal-content/iT/TXT/PDF/?uri=CELEX:32014r0910&from=iT 


(40) 
L�Ectronic 
IDentification 
Authentication 
and 
Signature 
� 
un 
processo 
di 
identificazione 
elettronica 
in base 
al 
quale 
i 
dati 
di 
autenticazione 
personale 
sono in forma 
elettronica. Laddove, ai 
sensi 
dell�art. 3 del 
Regolamento UE 
n. 910/2014 per ��identificazione 
elettronica�, 
[si 
intende] il 
processo 
per 
cui 
si 
fa uso di 
dati 
di 
identificazione 
personale 
in forma elettronica che 
rappresentano un�unica 
persona fisica o giuridica, o un�unica persona fisica che 
rappresenta una persona giuridica; [mentre 
per] �mezzi 
di 
identificazione 
elettronica�, un�unit� materiale 
e/o immateriale 
contenente 
dati 
di 
identificazione 
personale e utilizzata per l�autenticazione per un servizio online�. 

LEgISLAzIONE 
ED 
ATTUALIT� 


della data e 
dell�ora dell�invio e 
della ricezione 
indicate 
dal 
servizio elettronico 
di 
recapito certificato qualificato�. Mentre 
l�art. 44 individua 
i 
requisiti 
per i 
servizi 
elettronici 
di 
recapito certificato qualificato �i servizi 
elettronici 
di recapito certificato qualificati soddisfano i requisiti seguenti: 


a) sono forniti da uno o pi� prestatori di servizi fiduciari qualificati; 

b) garantiscono con un elevato livello di 
sicurezza l�identificazione 
del 
mittente; 


c) 
garantiscono 
l�identificazione 
del 
destinatario 
prima 
della 
trasmissione 
dei dati; 

d) 
l�invio 
e 
la 
ricezione 
dei 
dati 
sono 
garantiti 
da 
una 
firma 
elettronica 
avanzata 
o 
da 
un 
sigillo 
elettronico 
avanzato 
di 
un 
prestatore 
di 
servizi 
fiduciari 
qualificato 
in 
modo 
da 
escludere 
la 
possibilit� 
di 
modifiche 
non 
rilevabili 
dei 
dati; 


e) 
qualsiasi 
modifica 
ai 
dati 
necessaria 
al 
fine 
di 
inviarli 
o 
riceverli 
� 
chiaramente indicata al mittente e al destinatario dei dati stessi; 

f) la data e 
l�ora di 
invio e 
di 
ricezione 
e 
qualsiasi 
modifica dei 
dati 
sono 
indicate da una validazione temporale elettronica qualificata. 

Qualora i 
dati 
siano trasferiti 
fra due 
o pi� prestatori 
di 
servizi 
fiduciari 
qualificati, 
i 
requisiti 
di 
cui 
alle 
lettere 
da 
a) 
a 
f) 
si 
applicano 
a 
tutti 
i 
prestatori 
di servizi fiduciari qualificati�. 


4. il funzionamento del sistema di Posta Elettronica Certificata. 
Il 
funzionamento del 
servizio di 
PEC non si 
differenzia 
dal 
normale 
funzionamento 
della 
posta 
elettronica 
cui 
comunemente 
utilizziamo, se 
non per 
la 
gestione 
delle 
ricevute 
collegate 
al 
messaggio originale 
ed ai 
dati 
di 
certificazione, 
che nello specifico consistono nella: 


� 
Firma 
elettronica 
certificata 
dai 
gestori 
come, 
disposto 
dell�art. 
1, 
D.P.R. del n. 445/2000; 
� 
Indicazione temporale di riferimento opponibile ai terzi. 
Il 
documento informatico trasmesso per via 
telematica 
si 
intende 
spedito 
dal 
mittente 
se 
inviato 
al 
proprio 
gestore, 
e 
si 
intende 
consegnato 
al 
destinatario 
se 
reso disponibile 
all�indirizzo elettronico da 
questi 
dichiarato, nella 
casella 
di posta elettronica del destinatario messa a disposizione dal gestore. 

I sistemi 
di 
gestione 
di 
PEC, durante 
i 
passaggi 
intermedi 
dal 
mittente 
al 
destinatario finale, anche 
nel 
caso in cui 
il 
mittente 
ed il 
destinatario appartengono 
allo 
stesso 
dominio 
di 
posta 
elettronica 
certificata, 
generano 
dei 
messaggi 
specifici 
(conformi 
allo standard internazionale 
S/MINE) (41) elaborati 
in base 
alla 
tipologia 
di 
messaggio e 
distinti 
in tre 
categorie: 
le 
ricevute, gli 
avvisi e le buste. 


(41) 
S/MIME 
� 
basato 
sullo 
standard 
MIME, 
il 
cui 
scopo 
� 
di 
permettere 
di 
includere 
nei 
messaggi 
elettronici 
dei 
file 
allegati 
diversi 
dai 
file 
di 
testo. � 
cosi 
grazie 
allo standard MIME 
che 
� 
possibile 
aggiungere 
degli allegati di ogni tipo ai messaggi elettronici. 

RASSEgNA 
AvvOCATURA 
DELLO 
STATO - N. 4/2016 


Con la 
certificazione 
delle 
fasi 
del 
servizio di 
PEC il 
mittente 
riceve 
dal 
gestore 
di 
posta 
una 
ricevuta, che 
costituisce 
prova 
legale 
dell�avvenuta 
spedizione 
del messaggio e dell�eventuale documentazione allegata. 


Ai 
fini 
della 
validit� 
della 
trasmissione 
e 
della 
ricezione 
del 
messaggio 
di 
Posta 
Elettronica 
Certificata 
vengono 
rilasciate, 
rispettivamente: 
a) 
ricevuta 
di 
accettazione, 
proveniente 
dal 
proprio 
gestore 
di 
posta, 
che 
attesta 
l�avvenuto 
invio 
della 
mail 
(l�attestazione 
riguarda 
anche 
la 
presenza 
di 
eventuali 
allegati 
inoltrati 
insieme 
alla 
mail 
certificata); 
b) 
ricevuta 
di 
presa 
in 
carico 
che 
attesta 
il 
passaggio 
di 
responsabilit� 
dall�utente 
al 
gestore; 
c) 
ricevuta 
di 
avvenuta 
consegna 
completa, breve, sintetica 
proveniente 
dal 
gestore 
di 
posta 
del 
destinatario, 
che 
certifica 
che 
quest�ultimo 
abbia 
ricevuto 
la 
comunicazione. 
Tale 
certificazione 
sar� 
resa 
nel 
momento in cui 
il 
destinatario avr� 
disponibilit� 
del 
messaggio 
(ossia 
al 
momento 
del 
ricevimento), 
indipendentemente 
dal 
fatto che egli lo abbia letto o meno. 


gli 
avvisi 
generati 
dal 
sistema 
di 
posta 
elettronica 
certificata 
possono essere: 
a) 
avviso 
di 
non 
accettazione 
(per 
eccezioni 
formali 
o 
virus 
informatici); 
b) avviso di 
mancata 
consegna 
in caso di 
un�eventuale 
mancata 
ricezione 
da 
parte 
del 
destinatario, il 
gestore 
di 
posta 
del 
destinatario informer� 
il 
mittente 
qualora 
entro 
24 
ore 
non 
sar� 
riuscito 
ad 
effettuare 
la 
consegna 
del 
messaggio. 
Ad esempio (per il 
superamento dei 
tempi 
massimi 
previsti 
o per virus 
informatici; 
c) avviso di rilevazione di virus. 


Le 
tipologie 
di 
buste 
create 
dal 
sistema 
possono essere: 
a) busta 
di 
trasporto 
(contenente 
il 
messaggio originario, i 
dati 
di 
certificazione 
e 
la 
firma 
del 
gestore); 
b) busta 
di 
anomalia 
(contenente 
il 
messaggio errato e 
la 
firma 
del gestore). 


Tutte 
le 
tipologie 
di 
messaggi 
generati 
dal 
sistema 
PEC sono sottoscritti 
dai 
gestori 
di 
posta 
elettronica 
certificata 
mediante 
la 
firma. 
I 
certificati 
di 
firma 
di 
cui 
il 
gestore 
deve 
disporre 
ai 
fini 
della 
validit� 
della 
certificazione 
del 
messaggio 
�sono 
rilasciati 
da 
DiGiTpa 
(gi� 
CNiPa) 
al 
momento 
del-
l�iscrizione 
nell�elenco pubblico dei 
gestori 
di 
posta elettronica certificata e 
sino 
ad 
un 
numero 
massimo 
di 
dieci 
firme 
per 
ciascun 
gestore. 
Sempre 
il 


D.P.r. 
n. 
68/2005 
detta 
norme 
per 
il 
caso 
di 
smarrimento 
delle 
ricevute 
in 
questo 
caso 
un 
apposito 
archivio 
informatico 
custodito 
dai 
gestori 
di 
posta 
elettronica 
certificata 
ha 
il 
compito 
di 
conservare, 
per 
un 
periodo 
di 
trenta 
mesi, le tracce informatiche caratterizzate dallo stesso valore giuridico. 
Nel 
caso in cui 
ci 
siano problemi 
nella consultazione 
dei 
messaggi 
notificati, 
potr� essere richiesta una copia al gestore di posta� 
(42). 


S/MIME 
� 
stato messo a 
punto all'origine 
dalla 
societ� 
RSA 
Data 
Security. Ratificato nel 
luglio 1999 
dall'IETF, S/MIME 
� 
diventato uno standard, le 
cui 
specificazioni 
sono contenute 
nei 
RFC 3369, 3370, 
3850 e 3851. 


(42) Cit. CONTALDO 
A., gORgA 
M., il processo telematico, Torino, giappichelli, 2012, pag. 195. 

LEgISLAzIONE 
ED 
ATTUALIT� 


Il 
percorso dal 
mittente 
al 
destinatario finale 
del 
messaggio di 
PEC � 
di 
seguito 
schematizzato 
attraverso 
una 
sequenza 
che 
illustra 
le 
fasi 
del 
passaggio 
dal 
mittente 
al 
rispettivo gestore 
e 
dal 
gestore 
del 
destinatario al 
destinatario 
stesso: 


dominio di PostaCertificata Mittentedominio di PostaCertificata DestinatarioBusta diTrasporto(firmata)
gestore di PECdel Mittentegestore di PECdel Destinatariomailricevutamboxmboxpunto di accessopunto di consegna12345Mittentedestinatariopunto di ricezione
In caso di 
un�eventuale 
mancata 
ricezione 
da 
parte 
del 
destinatario il 
gestore 
di 
posta 
del 
destinatario informer� 
il 
mittente 
qualora 
entro 24 ore 
non 
sia 
riuscito ad effettuare 
la 
consegna 
del 
messaggio. Inoltre, i 
gestori 
sono tenuti 
(non obbligati) a 
verificare 
che 
il 
messaggio di 
posta 
elettronica 
non sia 
contagiato da 
virus 
e 
ad adottare 
i 
comportamenti 
disciplinati 
all�art. 12 del 


D.P.R. 68/2005. 
5. i vantaggi derivanti dall�uso della PEC. 
L�uso 
della 
PEC 
introduce 
vantaggi 
che 
sono 
di 
carattere 
economico 
principalmente, 
ma 
anche 
in ordine 
alla 
sicurezza 
della 
trasmissione: 
a) invio dei 
messaggi 
ha 
costi 
di 
gran lunga 
inferiori 
quello delle 
raccomandate; 
b) confidenzialit� 
ed integrit� 
dei 
dati; 
c) possibilit� 
di 
invio multiplo, cio� 
a 
pi� destinatari 
contemporaneamente, 
con 
conseguente 
vantaggio 
in 
termini 
economici; 
d) tracciabilit� 
della 
casella 
mittente 
e 
quindi 
del 
suo titolare; 
e) 
possibilit� 
di 
consultazione 
ed uso anche 
da 
postazioni 
diverse 
da 
quella 
del 
proprio 
ufficio 
o 
abitazione 
(grazie 
alla 
persistenza 
del 
messaggio 
nella 
casella 
postale 
assicurata 
dal 
gestore 
di 
PEC, basta 
un qualsiasi 
dispositivo, non solo 
PC, 
connesso 
ad 
Internet 
e 
un 
normale 
browser 
web); 
f) 
certificazione 
del



RASSEgNA 
AvvOCATURA 
DELLO 
STATO - N. 4/2016 


l�avvenuta 
consegna 
del 
messaggio nella 
casella 
di 
posta 
del 
destinatario del 
messaggio e 
dei 
suoi 
contenuti, quindi 
di 
quanto allegato (43); 
g) l�obbligo da 
parte 
del 
gestore 
di 
archiviare 
sia 
i 
Log dei 
messaggi 
PEC che 
gli 
allegati, per 
un periodo di 
trenta 
mesi 
conservando traccia 
di 
ogni 
singola 
operazione, in 
modo tale 
che 
il 
mittente 
che 
abbia 
smarrito le 
ricevute, possa 
comunque 
ricostruire 
le 
operazioni 
effettuate 
(secondo 
quanto 
stabilito 
dagli 
artt. 
6, 
comma 
7 e 11 del D.P.R. 68). 


Nel 
lavoro 
di 
ricerca, 
di 
lettura 
ed 
analisi 
dell�ordinamento 
relativo 
alla 
posta 
elettronica 
certificata, 
si 
sono 
evidenziate 
problematiche 
che 
mettono 
in 
dubbio 
la 
legittimazione 
giuridica 
del 
sistema 
di 
posta 
e/o 
la 
sua 
usabilit�, 
problematiche 
derivanti 
da 
un 
confuso 
e 
disorganico 
processo 
di 
produzione 
normativa, 
con 
l�obiettivo 
solo 
di 
ottenere 
risparmi 
economici 
e 
non 
volto 
alla 
evoluzione 
tecnologica, 
fatto 
di 
abrogazioni 
e 
rinvii 
-del 
quale 
sembra 
rimasto 
vittima 
lo 
stesso 
legislatore. 
Un 
esempio 
emblematico 
� 
rappresentato 
dalla 
applicazione 
di 
quanto 
previsto 
dalla 
direttiva 
comunitaria 
n. 
93/99/CE 
che 
disciplina 
tra 
l�altro 
la 
firma 
elettronica. 
Essa 
prevede 
soltanto 
due 
tipi 
di 
firma 
elettronica: 
a) 
la 
firma 
elettronica 
(art. 
2, 
n. 
1) 
e 
b) 
la 
firma 
elettronica 
avanzata 
(art. 
2, 
n. 
2). 
Detta 
direttiva 
� 
stata 
recepita 
nel 
nostro 
ordinamento 
con 
il 
D.Lgs. 
n. 
10/2002 
ma 
quest'ultimo 
provvedimento 
� 
stato 
abrogato 
con 
l'avvento 
del 
codice 
dell'amministrazione 
digitale. 
Nel 
processo 
di 
evoluzione 
normativa 
sono 
cambiate 
le 
firme 
elettroniche: 
il 
CAD 
(D.Lgs. 
n. 
82/2005) 
ha 
aggiunto 
alla 
sola 
firma 
elettronica 
la 
firma 
elettronica 
qualificata 
e 
la 
firma 
digitale. 
Attualmente, 
quindi, 
secondo 
le 
disposizioni 
vigenti 
(solo 
il 
CAD) 
esistono 
tre 
firme 
tra 
cui 
non 
� 
contemplata 
quella 
elettronica 
avanzata. 
Tuttavia, 
l�art. 
9 
comma 
1 
d.P.R. 
n. 
68 
del 
2005, 
dispone 
che: 
�le 
ricevute 
rilasciate 
dai 
gestori 
di 
posta 
elettronica 
certificata 
sono 
sottoscritte 
dai 
medesimi 
mediante 
una 
firma 
elettronica 
avanzata� 
ed 
al 
comma 
2 
che 
�la 
busta 
di 
trasporto 
� 
sottoscritta 
con 
una 
firma 
elettronica 
di 
cui 
al 
comma 
1�. 
In 
sostanza, 
per 
la 
validit� 
della 
posta 
elettronica 
certificata 
-ai 
sensi 
dell'art. 
4, 
ultimo 
comma, 
� 
necessario 
che 
i 
gestori 
firmino 
le 
ricevute 
(di 
invio 
e 
di 
consegna) 
con 
la 
firma 
elettronica 
avanzata 
che 
non 
� 
presente 
nel 
nostro 
ordinamento. 
Altra 
problematica 
� 
in 
relazione 
alla 
interoperabilit� 
della 
PEC 
in 
ambito 
internazionale. 
Ed 
infatti 
l�art. 
16 
decreto 
legge 
n. 
185 
del 
2009 
prevede 
che 
vi 
sia 
un 
analogo 
indirizzo 
di 
posta 
elettronica 
basato 
su 
tecnologie 
che 
certifichino 
data 
e 
ora 
dell�invio 
e 
della 
ricezione 
delle 
comunicazioni 
e 
l�integrit� 
del 
contenuto 
delle 
stesse, 
garantendo 
l�interoperabilit� 
con 
analoghi 
sistemi 
internazionali. 


(43) Le 
caselle 
PEC in commercio hanno una 
dimensione 
non inferiore 
ad 1 giga 
per cui 
consentono 
di 
mantenere 
in 
giacenza 
quasi 
5.000 
mail 
in 
questo 
modo 
diventa 
possibile 
ricevere 
allegati 
di 
grandi 
dimensioni 
o gestire 
una 
quantit� 
superiore 
di 
messaggi 
rispetto alle 
normali 
caselle. Inoltre 
pu� 
permettere l�invio ad un gran numero di destinatari contemporaneamente (fino a 250). 

LEgISLAzIONE 
ED 
ATTUALIT� 


Si 
denota 
come 
il 
contenuto prescrittivo dell�art. 16 sembri 
scisso in due 
parti 
molto 
diverse 
sotto 
il 
profilo 
tecnologico, 
da 
una 
parte 
si 
obbliga 
di 
adottare 
la 
PEC 
(quindi 
un 
sistema 
di 
posta 
molto 
preciso 
e 
regolamentato 
a 
livello 
nazionale) dall�altra 
un altro indirizzo di 
posta 
con alcune 
caratteristiche 
indicate 
abbastanza 
genericamente 
(�basato su tecnologie 
che 
certifichino data 
e 
ora 
dell�invio 
e 
della 
ricezione 
delle 
comunicazioni 
e 
l�integrit� 
del 
contenuto 
delle 
stesse, 
garantendo 
l�interoperabilit� 
con 
analoghi 
sistemi 
internazionali�), 
ma senza che si faccia riferimento a standard o requisiti tecnici specifici. 


Il 
motivo di 
tale 
previsione 
pare 
si 
debba 
ricercare 
nel 
fatto che 
l�introduzione 
e 
la 
regolamentazione 
della 
PEC 
in 
Italia 
� 
apparsa 
gravata 
da 
un 
serio 
limite: 
il 
non 
tenere 
in 
debito 
conto 
il 
requisito 
della 
neutralit� 
tecnologica 
delle 
prescrizioni 
normative, 
applicazione 
del 
principio 
del 
libero 
mercato, 
che 
� 
come 
noto principio fondante 
dell�Unione 
europea. A 
seguito quindi 
del 
coro 
di 
polemiche 
e 
forse, 
del 
gi� 
citato 
ricorso 
alla 
commissione 
europea, 
con 
l�obiettivo di 
evitare 
ogni 
possibile 
irrigidimento verso soluzioni 
monopolistiche 
o di 
ostacolo alla 
libera 
concorrenza, viene 
introdotta 
dal 
comma 
6 una 
clausola 
"di 
apertura" 
del 
legislatore 
verso altre 
soluzioni 
di 
posta 
elettronica 
con caratteristiche analoghe ma non cos� rigorosamente predeterminate. 

Questo 
tipo 
di 
previsione 
normativa 
� 
dunque 
una 
sorta 
di 
riconoscimento 
tributato 
ai 
principi 
del 
libero 
mercato 
europeo. 
Una 
norma 
cos� 
concepita, 
pur rispettosa 
del 
criterio di 
neutralit� 
tecnologica, potrebbe 
per� determinare 
una 
situazione 
per 
un 
certo 
periodo 
molto 
confusa, 
in 
attesa 
di 
un 
regolamento 
tecnico chiarificatore 
da 
cui 
potrebbe 
discendere 
una 
lettura 
della 
norma, da 
parte 
dei 
soggetti 
indicati 
dal 
decreto come 
programmatica 
piuttosto che 
prescrittiva. 



RASSEgNA 
AvvOCATURA 
DELLO 
STATO - N. 4/2016 


Le novit� della disciplina del Processo Civile 
telematico 
(PCt) anche con riguardo alla recente disciplina 
del Codice dell�amministrazione digitale (Cad) 


Alfonso Contaldo* 
Michele Gorga** 


Sommario: 1. Sistema Pubblico di 
identit� Digitale 
- 2. il 
deposito telematico degli 
atti 
nel 
processo civile 
- 3. La nuova disciplina delle 
copie 
informatiche 
dei 
documenti 
analogici 


-4. Le 
fonti 
normative 
del 
Processo Civile 
Telematico - 5. il 
punto di 
accesso, funzioni 
ed 
abilitazioni, i 
delegati 
dell�avvocato e 
gli 
ausiliari 
del 
giudice 
- 6. il 
deposito degli 
atti 
alla 
luce 
del 
d.m.g. 21 febbraio 2011, n. 44 e 
del 
CaD 
- 6.1. registro generale 
degli 
indirizzi 
elettronici 
nel 
previgente 
sistema 
e 
nel 
nuovo 
decreto 
-7. 
La 
rilevanza 
del 
documento 
informatico 
nel 
processo civile 
telematico - 8. il 
valore 
probatorio della firma digitale 
e 
di 
quella elettronica 
nel processo civile telematico. 
1. Sistema Pubblico di identit� Digitale. 
Con 
l�inserimento 
della 
previsione 
dell�adeguamento 
alle 
modalit� 
di 
identificazione 
ed autenticazione 
degli 
utenti 
tramite 
SPID 
- previsione 
che 
si 
� 
materializzata 
nell�art. 2 comma 
6 decreto legislativo 26 agosto 2016 n. 179 
dove 
� 
stato 
previsto 
che 
il 
CAD 
si 
applichi 
anche 
al 
processo 
telematico 
civile 


(1) se 
non diversamente 
disposto e 
all�art. 50, sempre 
del 
decreto in esame, 
dove 
� 
stato 
previsto 
che 
un 
atto 
giuridico 
pu� 
essere 
posto 
in 
essere 
da 
un 
soggetto 
identificato 
mediante 
SPID, 
nell'ambito 
di 
un 
sistema 
informatico 
avente 
i 
requisiti 
fissati 
nelle 
regole 
tecniche 
adottate 
ai 
sensi 
dell'articolo 71, 
attraverso 
processi 
idonei 
a 
garantire, 
in 
maniera 
manifesta 
e 
inequivoca, 
l'acquisizione 
della 
sua 
volont� 
-anche 
con 
l�identit� 
digitale 
� 
diventato 
oggi 
possibile accedere ai servizi del PCT tramite la metodologia SPID. 
Nell�ambito 
delle 
fonti 
normative 
italiane, 
il 
primo 
diretto 
riferimento 
al-
l�Identit� 
Digitale, 
e 
nello 
specifico 
al 
Sistema 
Pubblico 
di 
Identit� 
Digitale, 
si 
ha 
con 
il 
comma 
2-sexies 
dell'art. 
64 
del 
D.Lgs. 
7 
marzo 
2005, 
n. 
82 
recante 
le 


(*) Alfonso Contaldo, docente 
a 
contratto di 
Diritto dell�informazione 
e 
della 
comunicazione 
digitale 
nell�Accademia delle Belle 
Arti di Roma. 
(**) Michele gorga, avvocato cassazionista, giudice ausiliare della Corte di 
Appello di Roma. 


(1) vedi 
al 
riguardo BUFFA 
F., il 
processo civile 
telematico: la giustizia informatizzata, Milano, 
2002, 42 ss.; 
BRESCIA 
S.,LICCARDO 
P., voce 
Processo telematico, in 
Enc. giur., XXIv, Roma, 2005; 
IN-
TRAvIA 
P., 
il 
Processo 
Telematico: 
disciplina 
normativa 
e 
infrastruttura 
tecnologica, 
in 
AA.vv., 
Elementi 
di 
informatica giuridica, a 
cura 
di 
JORI 
M.,Torino, 2006, 213 ss.; 
CONTALDO 
A., gORgA 
M., E-law. Le 
professioni 
legali, 
la 
digitalizzazione 
delle 
informazioni 
giuridiche 
e 
il 
processo 
telematico, 
Soveria 
Mannelli 
(Cz), 2006; 
CONTALDO 
A., gORgA 
M., 
il 
processo civile 
telematico, Torino, 2012, 62 ss.; 
vIL-
LECCO 
A., il 
processo civile 
telematico, Torino, 2011; 
vILLECCO 
A., AgASSI 
E., BONINI 
M., 
il 
processo 
telematico, Milano, 2013, 23 ss. 

LEgISLAzIONE 
ED 
ATTUALIT� 


disposizioni 
sul 
Codice 
dell'Amministrazione 
Digitale, 
cos� 
come 
modificato 
dal 
co. 
2 
dell'art.17-ter 
del 
D.L. 
21 
giugno 
2013 
n. 
69 
convertito 
con 
modificazioni 
dalla 
L. 
9 
agosto 
2013, 
n. 
98. 
Analizzando 
detta 
norma 
vi 
si 
possono 
individuare 
le 
caratteristiche 
necessarie 
a 
garanzia 
dei 
modelli 
di 
protezione 
di 
SPID 
individuandole 
in 
riferimento: 
�a) 
al 
modello 
architetturale 
e 
organizzativo 
del 
sistema; 
b) 
alle 
modalit� 
e 
ai 
requisiti 
necessari 
per 
l'accreditamento 
dei 
gestori 
dell'identit� 
digitale; 
c) 
agli 
standard 
tecnologici 
e 
alle 
soluzioni 
tecniche 
e 
organizzative 
da 
adottare 
anche 
al 
fine 
di 
garantire 
l'interoperabilit� 
delle 
credenziali 
e 
degli 
strumenti 
di 
accesso 
resi 
disponibili 
dai 
gestori 
del-
l'identit� 
digitale 
nei 
riguardi 
di 
cittadini 
e 
imprese; 
d) 
alle 
modalit� 
di 
adesione 
da 
parte 
di 
cittadini 
e 
imprese 
in 
qualit� 
di 
utenti 
di 
servizi 
in 
rete; 
e) 
ai 
tempi 
e 
alle 
modalit� 
di 
adozione 
da 
parte 
delle 
pubbliche 
amministrazioni 
-ed 
imprese 
interessate 
-in 
qualit� 
di 
erogatori 
di 
servizi 
in 
rete�. 
Dunque, 
si 
pu� 
dire 
che, 
la 
funzione 
dell�Identit� 
Digitale 
dettata 
dalla 
normativa 
italiana, 
pu� 
essere 
inquadrata 
nel 
costrutto 
identificato 
dal 
comma 
2-bis 
dell�art. 
64 
del 
CAD 
che 
prevede, 
per 
favorire 
la 
diffusione 
di 
servizi 
in 
rete 
e 
agevolare 
l'accesso 
agli 
stessi 
ai 
cittadini 
e 
alle 
imprese, 
anche 
in 
mobilit�, 
che 
il 
sistema 
pubblico 
per 
la 
gestione 
dell'identit� 
digitale 
� 
a 
cura 
dell'Agenzia 
per 
l'Italia 
digitale. 


Cos� 
definito, 
il 
Sistema 
Pubblico 
di 
Identit� 
Digitale, 
appare 
come 
un 
sistema 
di 
login 
che, grazie 
al 
riconoscimento dell�utente 
sullo schema 
di 
differenti 
livelli 
di 
sicurezza, consente 
l�accesso ad una 
vasta 
gamma 
di 
servizi 
on-line 
della pubblica amministrazione o di privati aderenti. 

La 
normativa 
europea 
di 
riferimento 
in 
materia 
di 
identificazione 
elettronica 
e 
servizi 
fiduciari 
per 
le 
transazioni 
elettroniche 
� 
il 
Regolamento 
910/2014 
del 
Parlamento 
Europeo 
del 
Consiglio 
del 
23 
luglio 
2014 
che 
ha 
esplicitamente 
abrogato la 
preesistente 
direttiva 
1999/93/CE. Il 
regolamento 
in 
commento, 
� 
conosciuto 
con 
l�acronimo 
di 
eIDAS 
(electronic 
iDentification 
authentication 
and 
Signature) 
e 
si 
� 
posto 
l�obbiettivo 
di 
fornire 
una 
base 
normativa 
europea 
che 
possa 
garantire 
strumenti 
per 
rafforzare 
la 
fiducia 
nelle 
transazioni 
elettroniche 
e 
favorire 
l�interazione 
fra 
cittadini, imprese 
e 
la 
pubblica 
amministrazione. 


In 
particolare 
si 
deve 
segnalare 
che 
l�art. 
1 
del 
Regolamento 
chiarisce 
che, 
ai 
fini 
del 
raggiungimento 
degli 
scopi 
�a) 
fissa 
le 
condizioni 
a 
cui 
gli 
Stati 
membri 
riconoscono 
i 
mezzi 
di 
identificazione 
elettronica 
delle 
persone 
fisiche 
e 
giuridiche 
che 
rientrano 
in 
un 
regime 
notificato 
di 
identificazione 
elettronica 
di 
un altro Stato membro, b) stabilisce 
le 
norme 
relative 
ai 
servizi 
fiduciari, in 
particolare 
per le 
transazioni 
elettroniche; 
e 
c) istituisce 
un quadro giuridico 
per le 
firme 
elettroniche, i 
sigilli 
elettronici, le 
validazioni 
temporali 
elettroniche, 
i 
documenti 
elettronici, 
i 
servizi 
elettronici 
di 
recapito 
certificato 
e 
i 
servizi relativi ai certificati di autenticazione di siti web�. 


Per supportare 
codesta 
finalit�, acquisisce 
vitale 
importanza 
la 
piena 
interoperabilit� 
a 
livello 
comunitario 
di 
particolari 
tipologie 
di 
firme 
elettroniche 



RASSEgNA 
AvvOCATURA 
DELLO 
STATO - N. 4/2016 


e 
dei 
sistemi 
di 
validazione 
temporale. 
Elementi 
noti 
in 
Italia 
con 
le 
definizioni 
di firma digitale e marca temporale. 


Il 
regolamento eIDAS, visto nel 
suo complesso, non si 
discosta 
in modo 
significativo 
dalla 
disciplina 
giuridica 
introdotta 
nell�ordinamento 
italiano 
dal 
D.Lgs. 
7 
marzo 
2005, 
n. 
82 
recante 
la 
disciplina 
del 
�Codice 
dell�Amministrazione 
Digitale�. Regolamento, infatti, che 
conferma 
a 
livello comunitario 
il 
principio di 
neutralit� 
tecnologica 
e 
garantisce 
un adeguato livello di 
sicurezza 
dei mezzi di identificazione elettronica e dei servizi fiduciari. 

Il 
n. 
1 
dell�art. 
3 
del 
Regolamento 
eIDAS 
definisce 
��identificazione 
elettronica
� 
il 
processo 
per 
cui 
si 
fa 
uso 
di 
dati 
di 
identificazione 
personale 
in 
forma 
elettronica 
che 
rappresentano 
un�unica 
persona 
fisica 
o 
giuridica, 
o 
un�unica persona fisica che rappresenta una persona giuridica�. 

Risulta 
rilevante 
anche 
il 
testo dell�art. 6 il 
quale 
stabilisce 
che 
�Ove 
il 
diritto o la 
prassi 
amministrativa 
nazionale 
richiedano l�impiego di 
un�identificazione 
elettronica 
mediante 
mezzi 
di 
identificazione 
e 
autenticazione 
elettroniche 
per 
accedere 
a 
un 
servizio 
prestato 
da 
un 
organismo 
del 
settore 
pubblico 
online 
in 
uno 
Stato 
membro, 
i 
mezzi 
di 
identificazione 
elettronica 
rilasciati 
in un altro Stato membro sono riconosciuti 
nel 
primo Stato membro 
ai 
fini 
dell�autenticazione 
transfrontaliera 
di 
tale 
servizio online, purch� 
soddisfino 
le seguenti condizioni: 


a) i 
mezzi 
di 
identificazione 
elettronica 
sono rilasciati 
nell�ambito di 
un 
regime 
di 
identificazione 
elettronica 
compreso 
nell�elenco 
pubblicato 
dalla 
Commissione a norma dell�articolo 9; 


b) 
il 
livello 
di 
garanzia 
dei 
mezzi 
di 
identificazione 
elettronica 
corrisponde 
a 
un livello di 
garanzia 
pari 
o superiore 
al 
livello di 
garanzia 
richiesto 
dall�organismo 
del 
settore 
pubblico 
competente 
per 
accedere 
al 
servizio 
online 
in questione 
nel 
primo Stato membro, sempre 
che 
il 
livello di 
garanzia 
di 
tali 
mezzi 
di 
identificazione 
elettronica 
corrisponda 
al 
livello di 
garanzia 
significativo 
o elevato; 


c) l�organismo del 
settore 
pubblico competente 
usa 
il 
livello di 
garanzia 
significativo o elevato in relazione all�accesso a tale servizio online�. 


Dunque, 
i 
cittadini 
possono 
avvalersi 
della 
loro 
identificazione 
elettronica 
anche 
in un altro Stato membro, purch� 
i 
regimi 
nazionali 
di 
identificazione 
elettronica 
del 
loro paese 
siano riconosciuti 
nello Stato membro, e 
che 
il 
procedimento 
di 
identificazione 
sia 
effettuato 
nel 
rispetto 
dei 
principi 
relativi 
alla 
protezione dei dati personali ai sensi della direttiva 95/46/CE. 

Si 
segnala 
che 
dallo scorso 1� 
luglio 2016, con l�entrata 
in vigore 
del 
Regolamento 
910/2014, 
tutte 
le 
pubbliche 
amministrazioni 
hanno 
l�obbligo 
di 
accettare 
firme 
digitali 
o qualificate 
cos� 
come 
definite 
dal 
3� 
co. dell�art. 25 
del 
Regolamento 
medesimo 
�Una 
firma 
elettronica 
qualificata 
basata 
su 
un 
certificato 
qualificato 
rilasciato 
in 
uno 
Stato 
membro 
� 
riconosciuta 
quale 
firma elettronica qualificata in tutti gli altri Stati membri�. 



LEgISLAzIONE 
ED 
ATTUALIT� 


L�Italia, oltre 
ad esser stata 
il 
primo stato europeo ad adottare 
un sistema 
di 
autenticazione 
legalmente 
riconosciuto per le 
comunicazioni 
telematiche, 
grazie 
all�adozione 
della 
firma 
digitale, ha 
intrapreso un cammino di 
modernizzazione 
della 
macchina 
burocratica. 
� 
chiaro 
che 
il 
percorso 
� 
molto 
lungo, 
complesso 
e 
necessiter� 
di 
molti 
interventi 
che 
verranno 
dilazionati 
nel 
tempo. 
Tuttavia 
un 
passo 
importante 
verso 
la 
realizzazione 
di 
un 
meccanismo 
efficiente 
di 
e-government 
(2) 
passa, 
indubbiamente, 
attraverso 
l�adozione 
del 
Sistema 
Pubblico di Identit� Digitale. 


Come 
si 
� 
detto in precedenza, i 
servizi 
offerti 
attraverso l�uso di 
SPID 
possono 
essere 
innumerevoli 
e 
di 
variegata 
natura 
dalle 
prenotazione 
sanitarie, 
alle 
iscrizioni 
scolastiche 
ovvero dall�accesso alla 
rete 
wi-fi 
pubblica 
fino alle 
pratiche 
anagrafiche. 
In 
realt�, 
per�, 
i 
servizi 
collegati 
sono 
decisamente 
molto 
pi� 
numerosi 
e 
riguardano 
anche 
la 
possibilit� 
di 
effettuare 
pagamenti 
di 
tasse 
e 
tributi, l�accesso ai 
servizi 
INAIL 
ed INPS, l�accesso al 
fascicolo sanitario 
elettronico, l�accesso allo sportello unico delle 
attivit� 
produttive 
ecc. Questa 
vasta 
gamma 
non esaustiva 
di 
servizi 
che, comunque, sar� 
implementata 
nel 
prossimo futuro, comporta 
una 
importante 
differenziazione 
in ambito di 
esigenze 
di sicurezza e di trattamento dei dati personali. 


Sicch� 
l�impostazione 
voluta 
� 
stata 
quella 
di 
graduare 
i 
livelli 
di 
protezione 
richiesti 
per 
l�erogazione 
dei 
singoli 
servizi 
e, 
congiuntamente, 
di 
fornire 
all�utente 
quanto 
necessario 
per 
avere 
il 
controllo 
dei 
propri 
dati, 
fermo 
restando 
che, in ogni caso, non vi sar� alcuna attivit� di profilazione. 


Alla 
luce 
di 
quanto test� 
chiarito, il 
Sistema 
Pubblico per l�Identit� 
Digitale 
definisce 
tre 
livelli 
di 
sicurezza, 
corrispondenti 
ad 
altrettante 
categorie 
previste 
nella 
norma 
internazionale 
ISO-IEC 
29115 
e 
dall�art. 
6 
del 
DPCM 
24 
ottobre 
2014 
recante 
�Definizione 
delle 
caratteristiche 
del 
sistema 
pubblico 
per la 
gestione 
dell'identit� 
digitale 
di 
cittadini 
e 
imprese 
(SPID), nonch� 
dei 
tempi 
e 
delle 
modalit� 
di 
adozione 
del 
sistema 
SPID 
da 
parte 
delle 
pubbliche 
amministrazioni e delle imprese�: 


a) 
Il 
primo 
livello 
garantisce, 
con 
un 
buon 
grado 
di 
affidabilit�, 
l�identit� 
accertata 
nel 
corso dell�attivit� 
di 
autenticazione. A 
tale 
livello � 
associato un 
rischio moderato e 
compatibile 
con l�impiego di 
un sistema 
autenticazione 
a 
singolo 
fattore 
(password 
associata 
alla 
digitazione 
di 
una 
UseriD). 
Questo 
livello � 
tipicamente 
associato ad attivit� 
che, comunque, non siano particolarmente 
pericolose 
ed il 
danno causato, da 
un utilizzo indebito dell�identit� 
digitale, 
possa 
avere 
un 
basso 
impatto 
per 
le 
attivit� 
del 
cittadino, 
dell�impresa 


o 
della 
pubblica 
amministrazione. 
Per 
il 
livello 
1 
la 
credenziale 
di 
accesso 
sar�, 
dunque, 
una 
password 
di 
almeno 
8 
caratteri, 
da 
rinnovarsi 
ogni 
180 
giorni, formulata secondo i consueti criteri di sicurezza. 
(2) vedi 
al 
riguardo CARLONI 
E., L�amministrazione 
aperta. regole 
strumenti 
limiti 
dell�open government, 
Rimini, 2014, 82 ss. ed alla bibliografia col� citata. 

RASSEgNA 
AvvOCATURA 
DELLO 
STATO - N. 4/2016 


b) Il 
secondo livello garantisce 
con un alto grado di 
affidabilit� 
l�identit� 
accertata 
nel 
corso dell�attivit� 
di 
autenticazione 
attraverso l�adozione 
di 
un 
duplice 
sistema 
di 
autenticazione. 
Infatti, 
tale 
livello 
� 
associato 
ad 
operazioni 
con 
un 
rischio 
maggiore 
e, 
pertanto, 
� 
compatibile 
con 
l�impiego 
di 
un 
sistema 
di 
autenticazione 
informatica 
a 
due 
fattori, 
non 
necessariamente 
basato 
su 
certificati 
digitali 
(password 
e 
one 
Time 
Password 
associati 
alla 
digitazione 
di 
una 
UseriD). 


c) 
Il 
terzo 
livello 
garantisce 
con 
un 
altissimo 
grado 
di 
affidabilit� 
l�identit� 
accertata 
nel 
corso dell�attivit� 
di 
autenticazione. In questo caso vi 
� 
un altissimo 
rischio e, pertanto, � 
richiesto un sistema 
di 
autenticazione 
informatica 
a 
due 
fattori 
basato 
su 
certificati 
digitali 
e 
criteri 
di 
custodia 
delle 
chiavi 
private 
su 
dispositivi 
che 
soddisfano 
i 
requisiti 
dell�Allegato 
3 
della 
Direttiva 
1999/93/CE. Quindi 
richiede 
l�utilizzo della 
firma 
digitale 
come 
strumento di 
ulteriore garanzia. 


Occorre 
anche 
dire 
che 
codesti 
tre 
distinti 
livelli 
di 
sicurezza, a 
ben vedere, 
trovano spunto nel 
Regolamento eIDAS. Il 
cui 
2� 
co. dell�art. 8 prevede 
tre 
livelli: 
�il 
livello di 
garanzia 
basso si 
riferisce 
a 
mezzi 
di 
identificazione 
elettronica 
nel 
contesto 
di 
un 
regime 
di 
identificazione 
elettronica 
che 
fornisce 
un grado di 
sicurezza 
limitato riguardo all�identit� 
pretesa 
o dichiarata 
di 
una 
persona 
ed 
� 
caratterizzato 
in 
riferimento 
a 
specifiche, 
norme 
e 
procedure 
tecniche 
a 
esso pertinenti, compresi 
controlli 
tecnici, il 
cui 
scopo � 
quello di 
ridurre 
il 
rischio 
di 
uso 
abusivo 
o 
alterazione 
dell�identit�; 
b) 
il 
livello 
di 
garanzia 
significativo 
si 
riferisce 
a 
mezzi 
di 
identificazione 
elettronica 
nel 
contesto 
di 
un regime 
di 
identificazione 
elettronica 
che 
fornisce 
un grado di 
sicurezza 
significativo riguardo all�identit� 
pretesa 
o dichiarata 
di 
una 
persona 
ed 
� 
caratterizzato in riferimento a 
specifiche, norme 
e 
procedure 
tecniche 
a 
esso 
pertinenti, compresi 
controlli 
tecnici, il 
cui 
scopo � 
quello di 
ridurre 
significativamente 
il 
rischio di 
uso abusivo o alterazione 
dell�identit�; 
c) il 
livello di 
garanzia 
elevato si 
riferisce 
a 
un mezzo di 
identificazione 
elettronica 
nel 
contesto 
di 
un 
regime 
di 
identificazione 
elettronica 
che 
fornisce 
riguardo 
all�identit� 
pretesa 
o dichiarata 
di 
una 
persona 
un grado di 
sicurezza 
pi� elevato dei 
mezzi 
di 
identificazione 
elettronica 
aventi 
un livello di 
garanzia 
significativo 
ed � 
caratterizzato in riferimento a 
specifiche, norme 
e 
procedure 
tecniche 
a 
esso 
pertinenti, 
compresi 
controlli 
tecnici, 
il 
cui 
scopo 
� 
quello 
di 
impedire 
l�uso abusivo o l�alterazione dell�identit��. 

A 
quanto fin qui 
detto occorre 
aggiungere 
il 
disposto del 
successivo 3� 
co. dell�art. 8 del 
Regolamento eIDAS 
che, coerentemente 
con le 
esigenze 
di 
garanzia 
di 
procedure 
tecniche 
di 
sicurezza, 
specifica 
�procedure 
tecniche 
minime 
sono 
fissate 
facendo 
riferimento 
all�affidabilit� 
e 
alla 
qualit� 
dei 
seguenti 
elementi: a) della procedura di controllo e verifica dell�identit� delle persone 
fisiche 
o giuridiche 
che 
chiedono il 
rilascio dei 
mezzi 
di 
identificazione 
elettronica; 
b) della 
procedura 
di 
rilascio dei 
mezzi 
di 
identificazione 
elettronica 



LEgISLAzIONE 
ED 
ATTUALIT� 


richiesti; 
c) del 
meccanismo di 
autenticazione 
mediante 
il 
quale 
la 
persona 
fisica 
o 
giuridica 
usa 
i 
mezzi 
di 
identificazione 
elettronica 
per 
confermare 
la 
propria 
identit� 
a 
una 
parte 
facente 
affidamento 
sulla 
certificazione; 
d) 
del-
l�entit� 
che 
rilascia 
i 
mezzi 
di 
identificazione 
elettronica; 
e) di 
qualsiasi 
altro 
organismo 
implicato 
nella 
domanda 
di 
rilascio 
dei 
mezzi 
di 
identificazione 
elettronica; 
e 
f) delle 
specifiche 
tecniche 
e 
di 
sicurezza 
dei 
mezzi 
di 
identificazione 
elettronica rilasciati�. 


Il 
Decreto 
del 
Presidente 
del 
Consiglio 
dei 
Ministri 
24 
ottobre 
2014 
� 
venuto 
a 
delineare 
l�impianto generale 
e 
le 
modalit� 
di 
funzionamento di 
SPID. 
L�art. 3 della 
norma 
citata 
individua 
in modo preciso i 
soggetti, che 
come 
vedremo, 
possono essere 
sia 
pubblici 
che 
privati. Dalla 
lettura 
dell�art. 3 emergono 
i 
seguenti 
soggetti 
coinvolti 
nel 
funzionamento 
di 
SPID 
�i 
gestori 
dell'identit� 
digitale; 
b) i 
gestori 
degli 
attributi 
qualificati; 
c) i 
fornitori 
di 
servizi; 
d) l'Agenzia [per l�Italia Digitale]; e) gli utenti�. 

Seguendo 
la 
struttura 
del 
decreto, 
l�art. 
4 
individua 
le 
funzioni 
svolte 
dall�AgID 
che 
� 
chiamata 
a 
tre 
attivit� 
distinte: 
a) 
gestire 
l�accreditamento 
delle 
imprese 
o delle 
Pubbliche 
Amministrazioni 
che 
opereranno come 
fornitori 
dei 
servizi 
on-line; 
b) curare 
l�aggiornamento del 
registro SPID 
con possibilit� 
di 
verificare, attraverso il 
gestore, i 
dati 
identificativi 
dell�utente 
e 
le 
modalit� 
di 
rilascio 
delle 
identit� 
digitali; 
c) 
stipula 
di 
convenzioni 
con 
soggetti 
che attestino la validit� degli attributi identificativi. 


La 
definizione 
di 
gestori 
dell�identit� 
digitale 
� 
fornita 
dalla 
lettera 
L) 
dell�art. 
1 
del 
medesimo 
DPCM 
e 
stabilisce 
che 
siano 
le 
�persone 
giuridiche 
accreditate 
allo 
SPID 
che, 
in 
qualit� 
di 
gestori 
di 
servizio 
pubblico, 
previa 
identificazione 
certa 
dell'utente, 
assegnano, 
rendono 
disponibili 
e 
gestiscono 
gli 
attributi 
utilizzati 
dal 
medesimo 
utente 
al 
fine 
della 
sua 
identificazione 
informatica�. 


Quanto ai 
gestori 
degli 
attributi 
qualificati 
si 
pu� dire 
che, ai 
sensi 
della 
lettera 
M) dell�art. 1 sono �i 
soggetti 
accreditati 
ai 
sensi 
dell'art. 16 che 
hanno 
il 
potere 
di 
attestare 
il 
possesso e 
la 
validit� 
di 
attributi 
qualificati, su richiesta 
dei 
fornitori 
di 
servizi�. In altre 
parole 
sono gli 
identity 
provider 
che, previo 
un pregresso accreditamento e 
la 
successiva 
richiesta 
di 
iscrizione 
a 
SPID 
da 
parte 
dell�utente 
richiedente, 
provvedono 
a 
verificare 
l'identit� 
ed 
il 
tipo 
di 
afferenza 
senza 
interagire 
direttamente 
con l'utente. La 
risorsa 
infatti 
reindirizzer� 
la 
richiesta 
di 
autenticazione 
all'identity 
provider 
di 
riferimento 
dell'utente. 
In 
questo 
modo 
sar� 
possibile 
gestire 
tutte 
le 
informazioni 
sensibili 
direttamente 
sui 
sistemi 
del 
servizio richiesto, evitandone 
il 
transito in rete 
o 
verso servizi di ignota affidabilit�. 


I 
fornitori 
di 
servizi, 
invece, 
non 
vengono 
identificati 
in 
modo 
particolarmente 
preciso dalla 
DPCM 
24 ottobre 
2014 che, infatti, si 
limita 
a 
porre 
in essere 
richiami 
ad 
altre 
disposizioni 
di 
legge. 
In 
particolare 
si 
fa 
riferimento 
alla 
lettera 
A) del 
1� 
co. dell�art. 2 del 
D.Lgs. 9 aprile 
2003, n. 70 e, quest�ultimo, 
a 
sua 
volta, 
rimanda 
alla 
lettera 
B) 
del 
1� 
co. 
dell�art. 
1 
della 
L. 
21 
giugno 



RASSEgNA 
AvvOCATURA 
DELLO 
STATO - N. 4/2016 


1986, 
n. 
317 
che 
stabilisce 
come 
servizio 
della 
societ� 
dell�informazione 
�qualsiasi 
servizio 
della 
societ� 
dell'informazione, 
vale 
a 
dire 
qualsiasi 
servizio 
prestato 
normalmente 
dietro 
retribuzione, 
a 
distanza, 
per 
via 
elettronica 
e 
a 
richiesta 
individuale 
di 
un destinatario di 
servizi. Ai 
fini 
della 
presente 
definizione 
si 
intende: 
per 
�servizio 
a 
distanza� 
un 
servizio 
fornito 
senza 
la 
presenza 
simultanea 
delle 
parti; 
per 
�servizio 
per 
via 
elettronica� 
un 
servizio 
inviato 
all'origine 
e 
ricevuto a 
destinazione 
mediante 
attrezzature 
elettroniche 
di 
trattamento, 
compresa 
la 
compressione 
digitale 
e 
di 
memorizzazione 
di 
dati 
e 
che 
� 
interamente 
trasmesso, inoltrato e 
ricevuto mediante 
fili, radio, mezzi 
ottici 
od altri 
mezzi 
elettromagnetici; 
per �servizio a 
richiesta 
individuale 
di 
un destinatario 
di 
servizi� un servizio fornito mediante 
trasmissione 
di 
dati 
su richiesta 
individuale�. 


Il 
DPCM 
24 
ottobre 
2014 
si 
occupa, 
inoltre, 
di 
indicare 
le 
modalit� 
di 
gestione 
e di rilascio delle Identit� Digitali. 


Sempre 
nell�ottica 
di 
garantire 
la 
sicurezza 
nel 
trattamento 
dei 
dati, 
� 
stato 
anche 
previsto 
che 
le 
informazioni 
che 
sono 
state 
autorizzate 
in 
sede 
di 
registrazione, 
non 
siano 
conservate 
dal 
sistema 
dal 
Provider 
fornitore 
del 
servizio. 
Pertanto, 
i 
dati 
identificativi 
di 
ogni 
singola 
ID 
saranno, 
detenuti 
unicamente 
in 
via 
provvisoria 
per 
il 
tempo 
strettamente 
necessario 
alla 
gestione 
del 
servizio. 


Bench� 
apparentemente 
sembrerebbe 
poca 
cosa, ci� consente 
di 
evitare 
la stratificazione di imponenti quantit� di dati in grado di generare 
big 
data. 


Resta 
ora 
da 
espungere 
l�annoso problema 
della 
tutela 
dell�identit� 
digitale 
e le modalit� di applicazione del 
data protection. 


Come 
noto 
l'identit� 
personale 
� 
costituita 
da 
quel 
complesso 
di 
risultanze 
anagrafiche 
che 
servono a 
identificare 
univocamente 
il 
soggetto nei 
suoi 
rapporti 
con i 
poteri 
pubblici 
e 
a 
distinguerlo dagli 
altri 
consociati. Dunque, secondo 
un 
principio 
ormai 
consolidato, 
appartiene 
al 
novero 
di 
quei 
diritti, 
definiti 
�inviolabili�, 
protetti 
dall'art. 
2 
della 
Costituzione. 
�, 
quindi, 
deducibili 
per 
analogia, 
dalla 
disciplina 
prevista 
per 
il 
diritto 
al 
nome, 
il 
diritto 
all�identit� 
personale, quale interesse, giuridicamente meritevole di tutele. 

Il 
diritto 
all�identit� 
personale 
ha 
ricevuto 
molti 
riconoscimenti 
giurisprudenziali, 
la 
Corte 
Costituzionale, ad esempio, configura 
il 
diritto all'identit� 
personale 
come 
�il 
diritto ad essere 
se 
stesso, inteso come 
rispetto dell'immagine 
di 
partecipe 
alla 
vita 
associata, con le 
acquisizioni 
di 
idee 
ed esperienze, 
con le 
convinzioni 
ideologiche, religiose, morali 
e 
sociali 
che 
differenziano, 
ed al tempo stesso qualificano, l'individuo� . 


Maggiori 
punti 
di 
contatto si 
evidenziano tra 
il 
diritto all�identit� 
personale 
e 
il 
diritto al 
nome 
(si 
veda 
Corte 
cost., sent. n. 297/1996), riconosciuto 
e 
tutelato dal 
codice 
civile 
(artt. 6 e 
7), in cui 
si 
dispone 
che 
la 
persona 
a 
cui 
viene 
contestato 
il 
diritto 
all�uso 
del 
proprio 
nome, 
o 
che 
possa 
subire 
un 
danno 
dal 
suo 
impiego 
indebito 
da 
parte 
di 
altri, 
�pu� 
chiedere 
giudizialmente 
la 
cessazione 
del fatto lesivo, salvo il risarcimento del danno� . 



LEgISLAzIONE 
ED 
ATTUALIT� 


Tuttavia, parlando di 
tutela 
dell�identit� 
personale, la 
norma 
cardine 
� 
la 


L. 675/1996 �Tutela 
delle 
persone 
e 
di 
altri 
soggetti 
rispetto al 
trattamento dei 
dati 
personali� 
seguita 
dal 
D.Lgs. n. 196/2003, recante 
�il 
Codice 
in materia 
di protezione dei dati personali�. 
La 
nozione 
di 
Identit� 
Digitale, 
fino 
all�entrata 
in 
vigore 
del 
Regolamento 
eIDAS, 
non 
aveva 
precisi 
e 
specifici 
riscontri 
normativi, 
tuttavia 
era 
comunque 
entrata 
a 
far parte 
dell'ambiente 
giuridico anche 
se 
declinata 
in diversi 
modi. 
In una 
prima, e 
pi� ampia 
accezione, l'espressione 
era 
utilizzata 
come 
sinonimo 
d�identit� 
virtuale, essendo impiegata 
per spiegare 
la 
possibilit� 
di 
assumere 
diverse 
identit� 
personali 
in 
rete. 
Tuttavia 
la 
corretta 
accezione 
dovrebbe 
essere 
di 
�identit� 
informatica� 
impiegata 
per 
designare, 
quindi, 
l'insieme 
delle 
informazioni 
e 
delle 
risorse 
concesse 
da 
un sistema 
informatico ad un particolare 
utilizzatore dello stesso e protette da un sistema di autenticazione. 

Infatti, 
non 
si 
pu� 
parlare 
di 
identit� 
digitale 
se 
non 
collegandola 
alla 
presenza 
di 
tecniche 
d�identificazione 
ovvero 
autenticazione 
del 
soggetto 
che 
utilizza 
gli strumenti informatici. 


2. il deposito telematico degli atti nel processo civile. 
Il 
deposito telematico degli 
atti 
nel 
processo civile 
� 
stato previsto dall' 
art. 16-bis 
del 
decreto legge 
18 ottobre 
2012 n. 179, convertito con modificazioni 
dalla 
legge 
17 dicembre 
2012 n. 221, norma 
che 
ha 
sancito l'obbligatoriet� 
del 
deposito 
telematico 
degli 
atti 
processuali 
e 
dei 
documenti, 
a 
decorrere 
dal 
30 giugno 2014, nei 
procedimenti 
civili, contenziosi 
o di 
volontaria 
giurisdizione, 
innanzi 
al 
tribunale, 
da 
parte 
dei 
difensori 
delle 
parti 
precedentemente 
costituite (3) e dei loro consulenti. 

Questa 
norma 
ha 
subito varie 
modifiche 
e 
integrazioni 
che 
spaziano dal-
l�introduzione 
dell�obbligatoriet� 
del 
deposito 
telematico, 
a 
far 
data 
dal 
30 
giugno 
2015, 
di 
tutti 
gli 
atti 
del 
processo 
civile 
presso 
le 
Corti 
di 
Appello 
della 
Repubblica, 
a 
quello 
dell�obbligatoriet� 
delle 
notifiche 
a 
mezzo 
PEC. 
Per 
quanto riguarda 
il 
deposito telematico degli 
atti 
questo nella 
sua 
prima 
fase 
di 
applicazione, 
ha 
posto 
non 
pochi 
problemi 
alla 
dottrina 
e 
si 
� 
posta 
il 
problema 
di 
verificare 
se, alla 
stregua 
del 
diritto vigente, il 
deposito telematico in giu


(3) Per poter depositare 
atti 
nel 
processo telematico � 
necessario che 
si 
sia 
procuratori 
costituiti 
ci� � 
possibile 
solo se 
si 
accede 
al 
PolisWeb 
del 
Tribunale 
di 
riferimento. Il 
deposito telematico degli 
atti 
nel 
processo pu� avvenire 
tramite 
due 
modalit� 
distinte 
e 
separate. La 
prima 
� 
quella 
che 
consente 
il 
deposito 
degli 
atti 
senza 
utilizzare 
la 
relativa 
funzione 
del 
software 
redattore 
ma 
tramite 
invio 
con 
PEC 
alla 
PEC 
del 
Tribunale. 
Se 
il 
Tribunale 
destinatario 
ha 
attivato 
i 
servizi 
della 
piattaforma 
per 
il 
PCT 
occorre 
verificare 
se 
il 
tribunale 
� 
stato autorizzato, con il 
decreto ministeriale, a 
consentire 
e 
ricevere 
la 
tipologia 
dell�atto da 
depositare. Diversamente 
in assenza 
dei 
decreti 
autorizzativi 
si 
proceder� 
come 
sempre 
fatto. Sul 
portale 
dei 
servizi 
telematici 
(PST) occorre 
rintracciare 
la 
PEC tribunale 
da 
copiare 
nel 
software 
della 
PEC dell�avvocato e 
allegare 
la 
busta 
(es. memoria) al 
messaggio. Si 
invia 
e 
dopo l�invio si attende il messaggio accettazione per il buon fine della spedizione. 

RASSEgNA 
AvvOCATURA 
DELLO 
STATO - N. 4/2016 


dizio 
della 
comparsa, 
e 
dei 
documenti 
ad 
essa 
allegati, 
potesse 
ritenersi 
valido 
anche 
in 
mancanza 
del 
decreto 
abilitativo 
emesso 
dalla 
DgSIA 
ex 
art. 
35 
d.m. 
21 febbraio 2011, n. 44 posto che 
nessuna 
norma 
processuale 
ricollega 
la 
sanzione 
dell�inammissibilit� 
all�ipotesi 
d�irregolarit� 
nel 
deposito telematico di 
atti 
giudiziari. Si 
�, altres�, evidenziato che 
la 
DgSIA 
� 
priva 
del 
potere 
di 
individuare 
il 
novero 
degli 
atti 
che 
comportano 
la 
possibilit� 
di 
essere 
depositati 
telematicamente, nonch� 
la 
tipologia 
dei 
procedimenti 
rispetto ai 
quali 
� 
esercitabile 
la 
facolt� 
di 
deposito digitale, ed in merito � 
stato ritenuto, anche 
in 
giurisprudenza, 
che 
sarebbe 
comunque 
sempre 
rimessa 
unicamente 
al 
giudice, 
sulla 
base 
della 
normativa 
processuale 
vigente, la 
possibilit� 
di 
verificare 
se 
nello specifico il 
deposito telematico dell�atto ha 
raggiunto o meno lo scopo 
al quale era finalizzato (4). 

Tra 
questi 
contrasti 
interpretativi 
e 
necessit� 
di 
raccordo, tra 
norme 
primarie 
e 
regolamentari, una 
risposta 
chiara 
� 
intervenuta 
con il 
d.l. 27 giugno 
2015 
n. 
83, 
con 
il 
quale 
� 
stato 
introdotto 
il 
comma 
1-bis 
all�art. 
16-bis 
del 


d.l. 18 ottobre 
2012, n. 179, con il 
quale 
si 
� 
estesa 
la 
possibilit� 
di 
deposito 
telematico - gi� 
previsto per gli 
atti 
delle 
parti 
precedentemente 
costituite 
in 
giudizio -, anche 
all�atto introduttivo, al 
primo atto difensivo e 
a 
tutti 
i 
documenti 
offerti 
in 
comunicazione 
specificandosi 
che 
in 
questi 
casi 
il 
deposito 
degli atti si perfeziona esclusivamente con la modalit� telematica. 
A 
tale 
obbligo sono tenuti 
non solo le 
parti 
ma 
anche 
i 
soggetti 
nominati 


o delegati 
dall�autorit� 
giudiziaria 
e 
il 
deposito � 
previsto anche 
per i 
procedimenti 
esecutivi 
ma 
solo per gli 
atti 
successivi 
al 
pignoramento, per le 
procedure 
concorsuali 
nonch� 
per 
tutti 
gli 
atti 
del 
curatore, 
del 
commissario 
giudiziale, 
del 
liquidatore, 
del 
commissario 
liquidatore 
e 
del 
commissario 
straordinario. 
La 
novella, quindi, riconosce 
la 
facolt� 
di 
depositare 
in via 
telematica 
gli 
atti 
introduttivi 
in 
tutti 
i 
Tribunali 
e 
Corti 
d'Appello, 
e 
chiarisce 
la 
portata 
delle 
precedenti 
integrazioni 
alla 
normativa 
quando l�obbligatorio era 
stato limitato solo ad alcuni 
atti 
endoprocessuali. Nessun obbligo, invece, introduce 
per i procedimenti avanti ai giudici di Pace. 
Altra 
novit� 
che 
va 
segnalata, che 
si 
aggiunge 
a 
quelle 
dell�art. 16, � 
che 
� 
stato 
generalizzato 
il 
regime 
delle 
comunicazioni 
e 
delle 
notificazioni 
di 
cancelleria, 
gi� 
previsto 
dall'art. 
51 
d.l. 
n. 
112/2008, 
reso 
possibile 
anche 
per 
i 
soggetti 
privati 
diversi, quindi, dalle 
imprese 
e 
dai 
professionisti 
con la 
possibilit� 
di 
notificare 
personalmente 
alla 
parte, che 
si 
vuole 
portare 
in giudizio, 


(4) In tal 
senso si 
� 
espresso il 
Tribunale 
di 
Roma, laddove 
invece 
il 
Tribunale 
di 
Milano aveva 
ritenuto che 
la 
memoria 
depositata 
solo in forma 
telematica, senza 
il 
deposito cartaceo della 
copia 
di 
"cortesia", giustificava 
la 
condanna 
e 
il 
pagamento di 
una 
penale. Il 
Tribunale 
di 
genova 
ha 
ritenuto valido 
il 
deposito 
telematico 
del 
ricorso 
introduttivo 
e 
ci� 
anche 
in 
mancanza 
del 
decreto 
abilitativo 
emesso 
dalla 
DgSIA 
ex art. 35 d. m. 21 febbraio 2011, n. 44, i 
Tribunali 
di 
Lodi 
e 
di 
Torino hanno ritenuto invece 
che 
il 
PCT 
non consente 
il 
deposito dell�atto introduttivo e 
che 
non sarebbero neppure 
applicabili 
i principi di libert� delle forme e di salvezza dell�atto per il raggiungimento dello scopo. 

LEgISLAzIONE 
ED 
ATTUALIT� 


se 
questa 
� 
dotata 
di 
casella 
di 
posta 
elettronica 
certificata. 
Queste 
innovazioni 
si 
aggiungono a 
quelle 
esistenti 
che 
gi� 
consentivano a 
tutte 
le 
parti 
del 
processo 
di 
eleggere 
domicilio digitale, e 
dell�obbligo della 
comunicazione 
"integrale" 
del 
provvedimento e 
per le 
pubbliche 
amministrazioni, di 
indicare 
un 
unico indirizzo di 
Posta 
Elettronica 
Certificata 
per ricevere 
le 
comunicazioni 
e 
notificazioni 
di 
cancelleria. 
L'art.16-quater 
ha, 
poi, 
modificato 
la 
legge 
n. 
53/1994, rendendo 
sostanzialmente 
possibili 
le 
notificazioni 
via 
PEC 
da 
parte 
degli 
avvocati. 
L' 
art. 
17 
ha 
apportato 
significativi 
cambiamenti 
alla 
legge 
fallimentare 
prevedendo: 
a) 
un 
nuovo 
regime 
di 
instaurazione 
del 
contraddittorio 
in 
sede 
prefallimentare 
basato 
sulla 
notificazione 
(a 
cura 
della 
Cancelleria) 
all'indirizzo 
PEC 
dell'imprenditore 
risultante 
dal 
registro 
delle 
imprese 
o 
dal-
l'Indice 
generale 
degli 
indirizzi; 
b) 
un 
nuovo 
regime 
di 
comunicazioni 
endoprocedimentali 
basato sulla 
posta 
elettronica 
certificata; 
c) un nuovo regime 
di 
insinuazione 
allo 
stato 
passivo 
basato 
esclusivamente 
sull'uso 
della 
PEC e non pi� gestito dalle cancellerie. 

L�art. 
52 
del 
decreto 
legge 
n. 
90/2014 
ha 
aggiunto 
anche 
l�art. 
16-sexies 
al 


D.L. 
n. 
179/2012 
per 
cui, 
salvo 
quanto 
previsto 
dall�art. 
366 
c.p.c., 
la 
legge 
prevede 
che 
le 
notifiche 
di 
atti 
in materia 
civile 
siano eseguite 
al 
difensore, ad 
istanza 
di 
parte, 
presso 
la 
cancelleria 
dell�ufficio 
giudiziario 
-alla 
notifica 
in 
cancelleria 
pu� 
procedersi 
quando 
non 
sia 
possibile, 
per 
causa 
imputabile 
al 
destinatario, 
la 
notifica 
presso 
l�indirizzo 
PEC, 
risultante 
da 
INIPEC 
e 
REgINDE. 
3. La nuova disciplina delle copie informatiche dei documenti analogici. 
La 
disciplina 
delle 
copie 
informatiche 
e 
dei 
documenti 
analogici 
risulta 
essere 
stata 
ampiamente 
modificata 
con 
l�entrata 
in 
vigore 
dell�art. 
15 
del 
d.lgs. 
30 
dicembre 
2010, 
n. 
235, 
di 
modifica 
dell�art. 
22 
del 
d.lgs. 
7 
marzo 
2005, 
n. 
82 
in 
tema 
di 
copie 
informatiche 
di 
documenti 
analogici. 
Prevede 
la 
novella 
che 
i 
documenti 
informatici 
contenenti 
copie 
di 
atti 
pubblici, 
di 
scritture 
private 
e 
di 
documenti 
in 
genere 
-compresi 
gli 
atti 
e 
documenti 
amministrativi 
di 
ogni 
tipo 
formati 
in 
origine 
su 
supporto 
analogico 
-, 
spediti 
o 
rilasciati 
dai 
depositari 
pubblici 
autorizzati 
-e 
dai 
pubblici 
ufficiali, 
hanno 
piena 
efficacia, 
ai 
sensi 
degli 
artt. 
2714 
e 
2715 
c.c., 
se 
ad 
essi 
� 
apposta 
o 
associata, 
da 
parte 
di 
colui 
che 
li 
spedisce 
o 
rilascia, 
una 
firma 
digitale 
o 
altra 
firma 
elettronica 
qualificata. 
In 
questi 
casi, 
per 
le 
predette 
copie 
di 
documenti, 
la 
loro 
esibizione 
e 
la 
loro 
produzione 
sostituisce 
quella 
dei 
relativi 
originali. 
Per 
quanto 
attiene, 
invece, 
le 
copie 
per 
immagine 
su 
supporto 
informatico 
di 
documenti 
originali 
formati 
in 
origine 
su 
supporto 
analogico, 
si 
� 
stabilito 
che 
le 
stesse 
copie 
hanno 
la 
medesima 
efficacia 
probatoria 
degli 
originali 
da 
cui 
esse 
sono 
estratte, 
se 
la 
loro 
conformit� 
� 
attestata 
da 
un 
notaio 
o 
da 
altro 
pubblico 
ufficiale 
a 
ci� 
autorizzato, 
con 
dichiarazione 
allegata 
al 
documento 
informatico 
e 
asseverata 
secondo 
le 
regole 
tecniche 
stabilite 
ai 
sensi 
dell'art. 
71. 
Inoltre 
� 
stato 
espressamente 
previsto 
che 
le 
copie 
per 



RASSEgNA 
AvvOCATURA 
DELLO 
STATO - N. 4/2016 


immagine 
su 
supporto 
informatico 
dei 
documenti 
originali 
formati 
in 
origine 
su 
supporto 
analogico, 
sempre 
nel 
rispetto 
delle 
regole 
tecniche 
di 
cui 
all'art. 
71, 
hanno, 
invece, 
la 
stessa 
efficacia 
probatoria 
degli 
originali 
da 
cui 
sono 
tratte 
se 
la 
loro 
conformit� 
all'originale, 
per�, 
non 
� 
espressamente 
disconosciuta. 
Tutte 
le 
copie 
formate 
secondo 
i 
modi 
anzi 
descritti 
sostituiscono, 
quindi, 
ad 
ogni 
effetto 
di 
legge 
gli 
originali 
formati 
in 
origine 
su 
supporto 
analogico, 
e 
sono 
idonee 
ad 
assolvere 
gli 
obblighi 
di 
conservazione 
previsti 
dalla 
legge, 
fatte 
salve 
quelle 
particolari 
categorie 
di 
documenti 
-da 
individuarsi 
con 
decreto 
del 
Presidente 
del 
Consiglio 
dei 
Ministri 
-che 
quali 
particolari 
tipologie 
di 
documenti 
analogici 
originali 
unici, 
in 
ragione 
di 
esigenze 
di 
natura 
pubblicistica, 
permane 
l'obbligo 
della 
conservazione 
del-
l'originale 
analogico 
oppure, 
in 
caso 
di 
conservazione 
sostitutiva, 
la 
loro 
conformit� 
all'originale 
sia 
autenticata 
da 
un 
notaio 
o 
da 
altro 
pubblico 
ufficiale 
a 
ci� 
autorizzato 
con 
dichiarazione 
firmata 
digitalmente 
da 
allegare 
al 
documento 
informatico. 
In 
ogni 
caso 
si 
tenga 
presente 
che 
sia 
per 
i 
documenti 
da 
conservare 
in 
originale 
o 
con 
le 
modalit� 
determinate 
nell�apposito 
DPCM, 
sia 
per 
i 
documenti 
analogici 
originali 
unici 
permane 
l'obbligo 
della 
conservazione 
dell'originale 
analogico 
oppure, 
per 
i 
casi 
di 
conservazione 
sostitutiva, 
la 
loro 
conformit� 
all'originale 
dovr� 
essere 
autenticata 
da 
un 
notaio 
o 
da 
altro 
pubblico 
ufficiale 
a 
ci� 
autorizzato 
con 
dichiarazione 
da 
questi 
firmata 
digitalmente 
ed 
allegata 
al 
documento 
informatico. 
Per 
le 
copie 
analogiche 
di 
documenti 
informatici, 
l�art. 
16 
della 
medesima 
novella 
legislativa 
ha 
modificato 
l�art. 
23 
d.lgs. 
7 
marzo 
2005 
n. 
82, 
prevedendo 
che 
le 
copie 
su 
supporto 
analogico 
di 
documento 
informatico, 
anche 
sottoscritto 
con 
firma 
elettronica 
avanzata, 
qualificata 
o 
digitale, 
hanno 
la 
stessa 
efficacia 
probatoria 
dell'originale 
da 
cui 
sono 
tratte 
se 
la 
loro 
conformit� 
all'originale 
in 
tutte 
le 
sue 
componenti 
� 
attestata 
da 
un 
pubblico 
ufficiale 
a 
ci� 
autorizzato. 
Le 
copie 
e 
gli 
estratti 
su 
supporto 
analogico 
del 
documento 
informatico, 
conformi 
alle 
vigenti 
regole 
tecniche, 
hanno, 
perci�, 
la 
stessa 
efficacia 
probatoria 
dell'originale 
se 
la 
loro 
conformit� 
non 
� 
espressamente 
disconosciuta. 
Resta 
fermo, 
ove 
previsto 
l'obbligo 
di 
conservazione 
dell'originale 
informatico. 
Dopo 
l'art. 
23 
� 
stato, 
infine, 
inserito 
l�art. 
23-bis 
in 
tema 
di 
duplicati 
e 
copie 
informatiche 
di 
documenti 
informatici 
e 
si 
� 
stabilito 
che 
i 
duplicati 
informatici 
hanno 
il 
medesimo 
valore 
giuridico, 
a 
ogni 
effetto 
di 
legge, 
del 
documento 
informatico 
da 
cui 
sono 
tratti, 
sempre 
se 
prodotti 
in 
conformit� 
alle 
regole 
tecniche 
di 
cui 
all'art. 
71. 
Inoltre 
che 
le 
copie 
e 
gli 
estratti 
informatici 
del 
documento 
informatico, 
se 
prodotti 
in 
conformit� 
alle 
regole 
tecniche 
ex 
art. 
71, 
hanno 
la 
stessa 
efficacia 
probatoria 
dell'originale 
da 
cui 
sono 
tratte 
se 
la 
loro 
conformit� 
all�originale, 
in 
tutti 
le 
sue 
componenti, 
� 
attestata 
da 
un 
pubblico 
ufficiale 
a 
ci� 
autorizzato 
o 
se 
la 
conformit� 
non 
� 
espressamente 
disconosciuta, 
ma 
che 
resta 
sempre 
fermo, 
ove 
previsto, 
l'obbligo 
di 
conservazione 
dell'originale 
informatico. 
In 
merito 
alle 



LEgISLAzIONE 
ED 
ATTUALIT� 


copie 
informatiche 
l�art. 
52, 
d.l. 
n. 
90/2014, 
innovando 
in 
modo 
significativo, 
ha 
attribuito 
importanti 
poteri 
di 
autentica 
sia 
ai 
difensori 
che 
al 
consulente 
tecnico 
nonch� 
al 
professionista 
delegato, 
al 
curatore 
e 
commissario 
giudiziale 
prevedendo 
che 
questi 
possano 
estrarre, 
con 
modalit� 
telematiche, 
copie 
analogiche 
o 
informatiche 
degli 
atti 
e 
dei 
provvedimenti, 
in 
cui 
sono 
costituiti, 
e 
attestarne 
la 
conformit� 
ai 
corrispondenti 
atti 
contenuti 
nel 
fascicolo 
informatico. 


Queste 
previsioni, di 
ordine 
generale, hanno subito modifiche, in tema 
di 
atti 
processuali, 
in 
quanto 
con 
il 
d.l. 
27 
giugno 
2015 
n. 
83 
sono 
state 
introdotte, 
in ordine 
alle 
modalit� 
di 
attestazione 
di 
conformit� 
degli 
atti 
processuali 
notificati 
da parte del difensore, rilevanti novit�. 


Il 
potere 
di 
autentica 
ai 
difensori 
e 
agli 
ausiliari 
del 
giudice 
era 
gi� 
stato 
introdotto 
con 
il 
comma 
9-bis 
dell�articolo 
16-bis 
del 
d.l. 
n. 
179/2012, 
con 
il 
quale 
si 
stabiliva 
innanzitutto 
che 
le 
copie 
informatiche, 
anche 
per 
immagine, 
di 
atti 
processuali 
di 
parte 
e 
degli 
ausiliari 
del 
giudice, 
nonch� 
dei 
provvedimenti 
di 
quest�ultimo 
(quindi, 
decreti, 
ordinanze 
e 
sentenze), 
presenti 
nei 
fascicoli 
informatici 
dei 
procedimenti 
civili, 
contenziosi 
o 
di 
volontaria 
giurisdizione, 
equivalgono 
all�originale 
anche 
se 
prive 
della 
firma 
digitale 
del 
cancelliere. 
Inoltre, 
che 
il 
difensore, 
il 
consulente 
tecnico, 
il 
professionista 
delegato, 
il 
curatore 
e 
il 
commissario 
giudiziale 
possono 
autonomamente 
estrarre, 
con 
modalit� 
telematiche 
duplicati, 
copie 
analogiche 
o 
informatiche 
di 
tali 
atti 
e 
provvedimenti, 
attestandone 
la 
conformit� 
delle 
copie 
estratte 
ai 
corrispondenti 
atti 
contenuti 
nel 
fascicolo 
informatico. 
Pertanto, 
tali 
copie 
-analogiche 
e 
informatiche, 
anche 
per 
immagine 
-estratte 
dal 
fascicolo 
informatico 
e 
munite 
dell'attestazione 
di 
conformit� 
da 
parte 
degli 
avvocati 
e 
degli 
altri 
soggetti 
menzionati, 
equivalgono 
all'originale. 
Per 
i 
duplicati, 
rimaneva, 
invece, 
fermo 
quanto 
previsto 
dall'art. 
23-bis, 
comma 
1, 
d.lgs. 
7 
marzo 
2005, 
n. 
82. 


Con 
i 
nuovi 
articoli 
16-decies 
e 
16-undecies 
introdotti 
con 
il 
d.l. 
27 
giugno 
2015 
n. 
83 
� 
stato 
previsto 
che 
il 
difensore, 
o 
uno 
degli 
altri 
soggetti 
autorizzati, 
pu� 
attestare, 
ai 
fini 
del 
deposito, 
la 
conformit� 
della 
copia 
informatica, 
anche 
per 
immagine, 
di 
un 
atto 
formato 
su 
supporto 
analogico 
e 
notificato 
�con 
modalit� 
non 
telematiche�. 
La 
norma 
non 
richiama, 
in 
merito 
il 
CAD 
n� 
le 
Regole 
tecniche 
sulla 
formazione 
del 
documento 
informatico 
-di 
cui 
al 
DPCM 
13 
novembre 
2014 
-che 
contemplano 
disposizioni 
dedicate 
proprio 
alla 
corretta 
attestazione 
di 
conformit� 
delle 
copie 
informatiche 
di 
documento 
informatico 
o 
analogico 
e 
delle 
copie 
analogiche 
di 
documento 
informatico. 
� 
quindi 
da 
ritenere 
che 
quest�ultima 
norma, 
quale 
lex 
specialis, 
attribuisce 
uno 
speciale 
potere 
certificativo 
agli 
gli 
avvocati 
limitatamente 
agli 
atti 
da 
essi 
stessi 
prodotti, 
potere 
non 
molto 
dissimile 
da 
quello 
tradizionalmente 
riconosciuto 
ed 
esercitato 
dagli 
avvocati 
per 
le 
copie 
cartacee 
da 
notificare 
quando 
la 
conformit� 
� 
data 
formalmente 
dall�ufficiale 
giudiziario 
o 
dall�Ufficio 
postale. 



RASSEgNA 
AvvOCATURA 
DELLO 
STATO - N. 4/2016 


4. Le fonti normative del Processo Civile Telematico. 
Pietre 
miliari 
del 
�processo telematico� 
sono la 
legge 
15 marzo 1997 n. 
59 
e 
il 
d.P.R. 
10 
novembre 
1997 
n. 
513, 
con 
i 
quali 
sono 
state 
introdotte 
le 
norme 
relative 
al 
documento informatico sottoscritto con firma 
digitale. Nel-
l�ambito 
delle 
fonti 
merita 
una 
citazione 
a 
parte, 
perch� 
ne 
ha 
rappresento 
un�accelerazione 
decisiva 
a 
proposito della 
sua 
concreta 
possibilit� 
di 
realizzazione, 
il 
d.lgs. 7 maggio 2005 n. 82, meglio conosciuto come 
Codice 
del-
l�Amministrazione 
Digitale 
(CAD). 
Ma 
nell�ambito 
delle 
fonti 
quella 
che 
dobbiamo 
ritenere 
normativa 
fondante 
nel 
senso 
che 
ne 
ha 
costituito, 
sino 
alla 
sua 
abrogazione, 
l�ossatura 
portante 
in 
ordine 
alle 
modalit� 
di 
svolgimento 
per via 
telematica 
di 
alcuni 
atti 
e 
passaggi 
processuali, � 
sicuramente 
il 
d.P.R. 


n. 123 del 
2001 al 
quale 
si 
associavano le 
regole 
tecniche-operative 
del 
d.m. 
17 luglio 2008. Con il 
primo provvedimento erano state 
dettate 
le 
regole 
per 
l�uso degli 
strumenti 
informatici 
e 
telematici 
nel 
processo civile, nel 
processo 
amministrativo e 
nei 
processi 
innanzi 
alle 
sezioni 
giurisdizionali 
della 
Corte 
dei 
Conti 
e 
ben possiamo dire 
che 
detta 
normativa 
aveva 
attuato, in concreto, 
il 
fascicolo 
informatico 
e 
gli 
altri 
atti 
redatti 
in 
forma 
informatica 
in 
tanto 
possibili 
in quanto siglati con la firma digitale. 
Con le 
stesse 
norme 
sono state 
possibili, poi, anche 
le 
notifiche 
e 
le 
comunicazioni 
alle 
parti 
via 
e-mail. 
Il 
regolamento che 
aveva 
dettato norme 
per 
il 
processo 
civile 
e 
quindi 
in 
una 
materia 
non 
pi� 
coperta 
da 
�riserva 
di 
legge�, 
ha 
rappresentato anche 
una 
vera 
novit� 
occasionata 
dalla 
delegificazione 
introdotta 
dal 
2 co. dell�art. 15 legge 
15 marzo 1997, n. 59 (cosiddetta 
"Bassanini-
uno") 
e 
dal 
successivo 
regolamento 
approvato 
con 
d.P.R. 
n. 
513 
del 
1997. 
Con il 
d.m.g. 14 ottobre 
2004 furono poi 
stabilite 
le 
regole 
tecnico-operative 
relative 
alla 
conservazione 
e 
all�archiviazione 
dei 
documenti 
informatici, 
conformemente 
alle 
prescrizioni 
di 
cui 
all�articolo 2, comma 
15, della 
legge 
24 
dicembre 
1993, n. 537, e 
all�articolo 18 del 
D.P.R. 10 novembre 
1997, n. 513. 
Questo decreto � 
stato abrogato dal 
decreto 17 luglio 2008, a 
sua 
volta, abrogato 
dal 
decreto del 
Ministero della 
giustizia 
21 febbraio 2011 n. 44, che 
all�art. 
37 prevede 
la 
sua 
vigenza 
per il 
trentesimo giorno successivo dalla 
sua 
pubblicazione 
nella 
gazzetta 
Ufficiale 
facendo cessare 
da 
tale 
data 
l�efficacia 
nel processo civile le disposizioni del d.P.R. 13 febbraio 2001, n. 123. 


vediamo quali 
sono le 
innovazioni 
che 
il 
decreto introduce 
rispetto al 
sistema 
previgente. 
Il 
primo 
elemento 
� 
il 
superamento 
dello 
schema 
dell�architettura 
del 
Processo Civile 
Telematico con la 
diversa 
regolamentazione 
del 
�Punto d�accesso� 
che 
� 
l�unico canale 
di 
interazione 
con l�amministrazione 
giudiziaria. Il 
�Punto d�accesso� 
� 
stato integrato con altri 
strumenti 
di 
larga 
diffusione 
e 
di 
facile 
accesso individuati 
nella 
posta 
elettronica 
certificata 
e 
nel 
portale 
Web. 
Con 
quest�ultimo 
si 
supera 
la 
progettazione 
del 
�sito 
vetrina� 
per 
passare 
al 
�portale 
interattivo� 
con 
accesso 
ai 
servizi 
in 
modo 
on 
line. 
Tramite 
il 
�Portale 
dei 
servizi 
telematici,� 
sono disponibili 
nuovi 
servizi 
centra



LEgISLAzIONE 
ED 
ATTUALIT� 


lizzati 
che 
si 
affiancano a 
quelli 
erogati 
dal 
Punto di 
accesso (5) disponibili 
anche 
per 
i 
cittadini 
che 
in 
forma 
anonima 
raccolgono 
informazioni 
essenziali 
sullo 
stato 
dei 
procedimenti 
pendenti. 
Sullo 
stesso 
postale 
Web 
sono 
pubblicate 
sia 
le 
specifiche 
tecniche, stabilite 
dal 
responsabile 
per i 
sistemi 
informativi 
automatizzati 
del 
Ministero 
della 
giustizia, 
utili 
per 
l�utilizzazione 
dei 
modelli 
da 
usare 
per interagire 
con il 
sistema 
del 
PCT, sia 
le 
regole 
tecnico-operative 
aggiornate 
ogni 
due 
anni 
in 
base 
all�evoluzione 
scientifica 
e 
tecnologica. 
L�aspetto che, pi� degli 
altri, ha 
rivoluzionato l�originario progetto e 
architettura 
del 
processo telematico � 
quello relativo alle 
modalit� 
di 
accesso, rappresentato 
dall�introduzione 
della 
posta 
elettronica 
certificata 
(PEC) 
quale 
strumento 
�ordinario� 
deputato 
alla 
comunicazione 
tra 
l�amministrazione 
giudiziaria 
e 
i 
soggetti 
abilitati, 
la 
quale 
subentra 
a 
quella 
che 
era 
la 
casella 
di 
posta 
elettronica 
certificata 
per il 
processo civile 
telematico (CPECPCT). La 
PEC � 
attribuita 
alla 
generalit� 
dei 
cittadini 
come 
strumento che 
ha 
fatto venir 
meno, in radice, tutta 
la 
precedente 
architettura 
del 
processo telematico. Altra 
novit� 
di 
grande 
rilievo � 
quella 
relativa 
al 
fascicolo informatico. �, infatti, a 
carico dell�amministrazione 
della 
giustizia, e 
quindi 
con onere 
per le 
cancellerie, 
la 
tenuta 
e 
la 
conservazione 
del 
fascicolo in modalit� 
informatica, con 
esonero di 
quello cartaceo. Inoltre 
i 
documenti 
probatori 
e 
gli 
allegati 
devono 
essere 
depositati, 
in 
formato 
non 
elettronico, 
e 
devono 
essere 
scansionati 
dalla 
cancelleria 
o dalla 
segreteria 
dell�ufficio giudiziario, senza 
limitazioni 
in ordine 
alla 
consistenza 
o 
costo 
di 
trasformazione. 
L�architettura 
del 
sistema 
viene 
semplificata 
con l�eliminazione 
della 
componente 
denominata 
�gestore 
centrale� 
e 
con la 
rimozione 
del 
requisito di 
cifratura 
degli 
atti 
allegati 
alle 
comunicazioni 
di 
cancelleria 
inviate 
telematicamente 
dagli 
uffici 
giudiziari 
ai 
destinatari. In merito � 
stato previsto che 
si 
considerano sufficienti 
le 
protezioni 
standard della 
PEC, fatta 
eccezione 
per quei 
documenti 
contenenti 
dati 
sensibili, in relazione 
agli 
atti 
giudiziari, specie 
in materia 
penale, si 
pone 
il 
problema 
della 
loro 
identificazione, 
e 
per 
i 
quali 
� 
previsto 
il 
download 
previa 
autenticazione forte. 

Con la 
gazzetta 
Ufficiale 
n. 175 del 
29 luglio 2011 � 
stato pubblicato poi 
per estratto il 
Provvedimento del 
Responsabile 
per i 
Sistemi 
Informativi 
Automatizzati 
del 
Ministero della 
giustizia 
recante 
le 
specifiche 
tecniche 
visionabili 
integralmente 
sul 
sito 
istituzionale 
del 
Ministero 
della 
giustizia. 
Queste 
in 
uno 
al 
decreto 
legislativo 
n. 
44 
del 
2011, 
al 
decreto 
legislativo 
7 
marzo 
2005, n. 82, al 
decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, in materia 
di 
protezione 
dei 
dati 
personali, 
al 
decreto 
del 
Presidente 
della 
Repubblica 
11 
febbraio 


(5) 
Il 
punto 
di 
accesso 
� 
la 
struttura 
tecnologica-organizzativa 
che 
fornisce 
ai 
soggetti 
abilitati 
esterni 
al 
dominio giustizia 
i 
servizi 
di 
connessione 
al 
portale 
dei 
servizi 
telematici, secondo le 
regole 
tecnico-operative 
riportate 
nella 
normativa 
di 
riferimento. 
Il 
punto 
di 
accesso 
pubblico 
del 
Ministero 
della giustizia: pst.giustizia.it. 

RASSEgNA 
AvvOCATURA 
DELLO 
STATO - N. 4/2016 


2005, 
n. 
68, 
relativamente 
all'utilizzo 
della 
posta 
elettronica 
certificata 
e 
al 
decreto 
ministeriale 
(Ministro 
della 
giustizia) 
27 
aprile 
2009, 
in 
materia 
di 
tenuta 
dei 
registri 
informatizzati 
dell'amministrazione 
della 
giustizia, 
e 
al 
decreto 
Presidente 
Consiglio dei 
Ministri 
6 maggio 2009, in ordine 
al 
rilascio e 
di 
uso 
della 
casella 
di 
posta 
elettronica 
certificata, rappresentano l�architettura 
normativa 
del PCT e le sue fonti di riferimento. 

Con Provvedimento del 
16 aprile 
2014 il 
Responsabile 
per i 
sistemi 
informativi 
automatizzati, 
della 
Direzione 
generale 
del 
Ministero 
della 
giustizia 
in ossequio a 
quanto previsto dall`art. 34 D.M. n. 44 del 
2011, ha 
emanato le 
nuove 
specifiche 
tecniche 
per 
il 
processo 
civile 
che 
dal 
15 
maggio 
2014 
-data 
di 
entrata 
in vigore 
del 
nuovo provvedimento - sostituiscono quelle 
emanate 
il 18 luglio 2011. 

Le 
nuove 
specifiche 
tecniche, 
art. 
2 
a 
6, 
prevedono 
nuove 
modalit� 
di 
autenticazione 
ossia 
l�"autenticazione 
a 
due 
fattori", il 
quale 
� 
un metodo che 
si 
basa 
sull`utilizzo 
congiunto 
di 
due 
metodi 
di 
autenticazione 
individuale, 
combinando 
un`informazione 
nota, ad esempio un nome 
utente 
e 
una 
password, 
con un oggetto a 
disposizione 
quale 
potrebbe 
essere 
una 
carta 
di 
credito o telefono 
cellulare. Ai 
sensi 
dell�art. 9-bis 
poi 
le 
Pubbliche 
amministrazioni 
devono 
comunicare 
il 
proprio 
indirizzo 
PEC, 
ai 
fini 
della 
ricezione 
delle 
comunicazioni 
e 
notificazioni, inserendo tale 
indirizzo sul 
portale 
dei 
servizi 
telematici 
del 
Ministero della 
giustizia. � 
previsto al 
n. 2 dell�art. 12 l�introduzione 
di 
una 
nuova 
modalit� 
di 
firma 
denominata 
PAdES-BES 
(o PAdES 
Part 
3) 
oltre 
a 
quella 
gi� 
prevista 
dalle 
precedenti 
specifiche 
tecniche 
del 
2011. 
Inoltre 
le 
specifiche 
prevedono anche 
i 
formati 
dei 
documenti 
informatici 
allegati 
consentiti 
nonch� 
che 
il 
gestore 
dei 
servizi 
telematici 
provvede 
ad inviare 
le 
comunicazioni 
o 
le 
notificazioni 
per 
via 
telematica, 
provenienti 
dall�ufficio 
giudiziario, 
alla 
casella 
di 
PEC 
del 
soggetto 
abilitato 
esterno 
o 
dell�utente 
privato 
destinatario. 
viene 
precisato 
che 
l`atto 
da 
notificarsi 
tramite 
PEC dovr� 
avere, come 
unico formato consentito, quello PDF; 
� 
consentito 
l`accesso a 
soggetti 
delegati, purch� 
il 
soggetto delegante 
abbia 
predisposto 
un atto di delega, sottoscritto con firma digitale. 

5. il 
punto di 
accesso, funzioni 
ed abilitazioni, i 
delegati 
dell�avvocato e 
gli 
ausiliari del giudice. 
Il 
Processo 
Civile 
Telematico 
era 
disciplinato, 
come 
detto, 
dalla 
specifica 
normativa 
ora 
sostituita 
con 
quella 
del 
d.m. 
n. 
44/2011 
e 
relative 
specifiche 
tecniche. 
Con 
la 
precedente 
normativa 
era 
stata 
realizzata 
l�interoperabilit� 
tra 
utenti 
esterni 
quali: 
avvocati, 
ausiliari 
del 
giudice, 
altre 
pubbliche 
amministrazioni 
e 
utenti 
interni 
quali: 
magistrati, 
cancellieri, 
personale 
di 
cancelleria 
e 
dell�UNEP. 
L�architettura 
prevedeva 
che 
gli 
utenti 
esterni 
interagissero 
con 
il 
sistema 
previa 
autenticazione 
con 
un 
punto 
di 
accesso 
esterno, 
autorizzato 
dal 
Ministero 
della 
giustizia. 
I 
punti 
di 
accesso 



LEgISLAzIONE 
ED 
ATTUALIT� 


erano 
collegati 
al 
gestore 
centrale, 
attualmente 
non 
previsto 
dalla 
nuova 
normativa. 
Il 
punto 
di 
accesso, 
quindi, 
come 
per 
la 
vecchia 
architettura, 
anche 
per 
la 
nuova 
� 
l�unica 
porta 
di 
accesso 
al 
sistema 
del 
dominio 
giustizia 
ossia 
al 
sistema 
informatico 
della 
giustizia 
civile. 
I 
principali 
punti 
di 
forza 
del-
l�architettura 
sono, 
nella 
nuova 
normativa, 
da 
individuare 
nella 
esternalizzazione 
della 
responsabilit� 
di 
autenticare 
l�utente, 
e 
nella 
certificazione 
dello 
status 
del 
difensore. 
Il 
�punto 
di 
accesso� 
� 
definito 
nel 
nuovo 
d.m. 
n. 
44/2011, 
come 
la 
struttura 
tecnologica-organizzativa 
che 
fornisce 
ai 
soggetti 
abilitati 
esterni 
al 
dominio 
giustizia 
i 
servizi 
di 
connessione 
al 
portale 
dei 
servizi 
telematici, 
secondo 
le 
regole 
tecnico-operative 
riportate 
nel 
decreto 
stesso. 
Esso 
fornisce 
un�adeguata 
qualit� 
dei 
servizi, 
dei 
processi 
informatici 
e 
dei 
relativi 
prodotti, 
idonea 
a 
garantire 
la 
sicurezza 
del 
sistema, 
nel 
rispetto 
dei 
requisiti 
tecnici 
previsti. 
L�accesso, 
infatti, 
ai 
servizi 
di 
consultazione 
delle 
informazioni 
rese 
disponibili 
dal 
Dominio 
giustizia 
avviene 
mediante 
autenticazione 
sul 
punto 
di 
accesso 
o 
sul 
portale 
dei 
servizi 
telematici. 
Il 
punto 
stabilisce 
la 
connessione 
con 
il 
portale 
dei 
servizi 
telematici 
mediante 
un 
collegamento 
sicuro 
con 
mutua 
autenticazione, 
il 
tutto 
secondo 
le 
specifiche 
tecniche 
stabilite 
dal 
responsabile 
per 
i 
sistemi 
informativi 
automatizzati 
del 
Ministero 
della 
giustizia. 
A 
seguito 
dell�autenticazione 
viene 
in 
ogni 
caso 
trasmesso 
al 
gestore 
dei 
servizi 
telematici 
il 
codice 
fiscale 
del 
soggetto 
che 
effettua 
l�accesso. 
Il 
�punto 
di 
accesso� 
garantisce, 
inoltre, 
un�adeguata 
sicurezza 
del 
sistema 
secondo 
le 
modalit� 
tecniche 
specificate 
in 
un 
apposito 
piano 
depositato 
unitamente 
al 
modello 
dal 
richiedente, 
a 
pena 
di 
inammissibilit�, 
e 
con 
le 
modalit� 
stabilite 
dal 
responsabile 
per 
i 
sistemi 
informativi 
automatizzati 
del 
Ministero 
della 
giustizia 
con 
apposito 
decreto. 
Anche 
nel 
nuovo 
sistema 
il 
�punto 
di 
accesso� 
fornisce 
adeguati 
servizi 
di 
formazione 
e 
assistenza 
ai 
propri 
utenti, 
anche 
relativamente 
ai 
profili 
tecnici. 
La 
violazione 
da 
parte 
del 
gestore 
di 
un 
punto 
di 
accesso 
dei 
livelli 
di 
sicurezza 
e 
di 
servizio 
comporta 
la 
sospensione 
dell�autorizzazione 
ad 
erogare 
i 
servizi 
fino 
al 
ripristino 
degli 
stessi 
livelli 
ed 
all�uopo 
sono 
disposte 
ispezioni 
tecniche, 
anche 
a 
campione, 
per 
verificare 
l�attuazione 
delle 
prescrizioni 
di 
sicurezza. 
Il 
punto 
di 
accesso 
pu� 
essere 
attivato 
e 
gestito 
esclusivamente 
da 
soggetti 
determinati. 
Questi 
possono 
essere: 
i 
consigli 
degli 
ordini 
professionali, 
limitatamente 
ai 
propri 
iscritti; 
il 
Consiglio 
nazionale 
forense, 
ove 
delegato 
da 
uno 
o 
pi� 
consigli 
degli 
ordini 
degli 
avvocati 
e 
sempre 
limitatamente 
agli 
iscritti 
del 
consiglio 
delegante; 
il 
Consiglio 
nazionale 
del 
notariato, 
limitatamente 
ai 
propri 
iscritti; 
l�Avvocatura 
dello 
Stato. 
Possono 
attivare, 
altres�, 
punti 
di 
accesso: 
le 
amministrazioni 
statali 
o 
equiparate 
e 
gli 
enti 
pubblici, 
limitatamente 
ai 
loro 
iscritti 
e 
dipendenti; 
le 
Regioni; 
le 
citt� 
metropolitane; 
le 
provincie 
ed 
i 
Comuni, 
o 
enti 
consorziati 
allo 
scopo. 
Sempre 
le 
Camere 
di 
Commercio, 
per 
le 
imprese 
costituite 
in 
forma 
societaria 
iscritte 
nel 
relativo 
registro. 
Tutti 
questi 
soggetti 
si 
noti 
bene 
possono 



RASSEgNA 
AvvOCATURA 
DELLO 
STATO - N. 4/2016 


gestire 
uno 
o 
pi� 
punti, 
cos� 
come 
punti 
di 
accesso 
possono 
essere 
gestiti 
da 
societ� 
per 
azioni 
in 
possesso 
di 
un 
capitale 
sociale 
e 
dei 
requisiti 
di 
onorabilit� 
di 
cui 
all�art. 
25, 
comma 
1, 
d.lgs. 
1� 
settembre 
1993, 
n. 
385. 
L�elenco 
pubblico 
dei 
punti 
attivi 
presso 
il 
Ministero 
della 
giustizia 
contiene 
le 
informazioni 
relative 
all�identificativo 
del 
punto 
di 
accesso. 
Il 
soggetto 
che 
intende 
costituire 
un 
punto 
di 
accesso 
deve 
inoltrare 
la 
domanda 
di 
iscrizione 
nell�elenco 
pubblico 
dei 
punti 
di 
accesso 
secondo 
il 
modello 
e 
con 
le 
modalit� 
stabilite, 
con 
apposito 
decreto, 
dal 
responsabile 
per 
i 
sistemi 
informativi 
automatizzati 
del 
Ministero 
della 
giustizia. 
Ad 
eccezione 
della 
fase 
che 
disciplina 
l�aspetto 
del 
processo 
telematico 
penale, 
relativamente 
alla 
fase 
delle 
indagini 
preliminari, 
il 
dominio 
giustizia 
consente, 
quindi 
solo 
per 
il 
processo 
civile 
telematico, 
al 
soggetto 
abilitato 
esterno, 
l�accesso 
alle 
informazioni 
contenute 
nei 
fascicoli 
dei 
procedimenti 
in 
cui 
� 
costituito 
o 
svolge 
attivit� 
di 
esperto 
o 
ausiliario. 
L�utente 
privato, 
invece, 
pu� 
accedere 
alle 
informazioni 
contenute 
nei 
fascicoli 
dei 
procedimenti 
in 
cui 
� 
parte 
mediante 
il 
portale 
dei 
servizi 
telematici 
e 
mediante 
i 
punti 
di 
accesso 
attivati 
dalle 
Regioni, 
oppure 
dalle 
citt� 
metropolitane, 
provincie, 
Comuni 
o 
loro 
consorzi, 
ovvero 
tramite 
le 
Camere 
di 
Commercio. 
� 
sempre 
consentito 
l�accesso 
alle 
informazioni 
necessarie 
per 
la 
costituzione 
o 
l�intervento 
in 
giudizio 
in 
modo 
tale 
da 
garantire 
la 
riservatezza 
dei 
nomi 
delle 
parti 
e 
limitatamente 
ai 
dati 
identificativi 
del 
procedimento. 
ComՏ 
noto, 
con 
atto 
ricevuto 
dal 
cancelliere 
del 
tribunale 
o 
della 
Corte 
d�appello, 
da 
comunicarsi 
in 
copia 
al 
Consiglio 
dell�Ordine, 
il 
procuratore 
legale 
(avvocato) 
pu�, 
sotto 
la 
sua 
responsabilit�, 
procedere 
alla 
nomina 
di 
sostituti, 
in 
numero 
non 
superiore 
a 
tre, 
fra 
i 
procuratori 
compresi 
nell�albo 
in 
cui 
egli 
� 
iscritto. 
In 
questo 
caso 
il 
Dominio 
giustizia 
consente 
l�accesso 
alle 
informazioni 
contenute 
nei 
fascicoli 
dei 
procedimenti 
patrocinati 
dal 
delegante, 
previa 
comunicazione, 
a 
cura 
di 
parte, 
di 
copia 
della 
delega 
stessa 
al 
responsabile 
dell�ufficio 
giudiziario, 
che 
provvede 
ai 
conseguenti 
adempimenti. 
L�accesso 
� 
consentito 
fino 
alla 
comunicazione 
della 
revoca 
della 
delega. 
La 
delega, 
sottoscritta 
con 
firma 
digitale, 
� 
rilasciata 
in 
conformit� 
alle 
specifiche 
di 
strutturazione 
dei 
modelli 
informatici 
definite 
con 
decreto 
del 
responsabile 
per 
i 
sistemi 
informativi 
automatizzati 
del 
Ministero 
della 
giustizia 
e 
pubblicate 
nell�area 
pubblica 
del 
portale 
dei 
servizi 
telematici. 
gli 
esperti 
e 
gli 
ausiliari 
del 
giudice 
accedono 
ai 
servizi 
di 
consultazione 
nel 
limite 
dell�incarico 
ricevuto 
e 
dell�autorizzazione 
concessa 
dal 
giudice. 
� 
sempre 
consentito 
l�accesso 
alle 
informazioni 
necessarie 
per 
la 
costituzione 
o 
l�intervento 
in 
giudizio 
in 
modo 
tale 
da 
garantire 
la 
riservatezza 
dei 
nomi 
delle 
parti 
e 
limitatamente 
ai 
dati 
identificativi 
del 
procedimento. 
gli 
avvocati 
ed 
i 
procuratori 
dello 
Stato 
accedono 
alle 
informazioni 
contenute 
nei 
fascicoli 
dei 
procedimenti 
in 
cui 
� 
parte 
una 
pubblica 
amministrazione 
per 
la 
quale 
si 
sono 
costituiti. 
L�accesso 
ai 
servizi 
di 
consultazione 
resi 
disponibili 
dal 
dominio 
giustizia 
si 
ottiene 



LEgISLAzIONE 
ED 
ATTUALIT� 


previa 
registrazione 
presso 
il 
punto 
di 
accesso 
(6) 
autorizzato 
o 
presso 
il 
portale 
dei 
servizi 
telematici, secondo le 
specifiche 
tecniche 
stabilite 
dal 
responsabile 
per i 
sistemi 
informativi 
del 
Ministro della 
giustizia, sentito Agid e 
il 
garante 
per 
la 
protezione 
dei 
dati 
personali. 
Il 
punto 
di 
accesso 
si 
occupa, 
oltre 
che 
della 
sua 
completa 
gestione, di 
realizzare 
una 
connessione 
direttamente 
al 
sito PolisWeb, la 
mutua 
autenticazione 
(SSL3), basata 
su certificato server 
e certificato cliente. 


6. il 
deposito degli 
atti 
alla luce 
del 
d.m.g. 21 febbraio 2011, n. 44 e 
del 
CaD. 
Relativamente 
al 
deposito degli 
atti, il 
d.lgs 
n. 179 del 
2016 prevede 
interventi 
finalizzati 
a: 
a) individuare 
le 
modalit� 
di 
deposito telematico degli 
atti 
processuali 
e 
dei 
documenti; 
b) rilasciare 
l�attestazione 
di 
avvenuto deposito 
in via 
automatica 
da 
parte 
del 
sistema 
informatico al 
momento del 
caricamento 
degli 
atti 
processuali 
e 
dei 
documenti; 
c) 
individuare 
i 
casi 
in 
cui 
il 
giudice 
assicura 
il 
deposito 
telematico 
dei 
propri 
provvedimenti, 
in 
particolare 
al 
fine 
di 
consentire 
le 
rilevazioni 
statistiche 
o per evitare 
il 
pericolo di 
falsificazione 
dei 
provvedimenti 
di 
autorizzazione 
al 
prelievo di 
somme 
di 
denaro 
vincolate all'ordine del giudice. 


Il 
sistema 
del 
Processo Civile 
Telematico prevedeva, del 
resto, tre 
nodi: 
il 
punto di 
accesso (PdA), il 
gestore 
Centrale 
(gC) e 
il 
gestore 
Locale 
(gL). 
I singoli 
legali 
- nella 
posizione 
di 
attore 
o di 
convenuto - dopo aver compiuto 
l�attivit� 
di 
redazione 
dell�atto, 
della 
sua 
segnatura 
e 
cifratura 
ed 
imbustamento 
-attivit� 
certificata 
mediante 
smart-card 
-accedevano, 
tramite 
internet, 
al 
punto di 
accesso del 
sistema. Dal 
punto di 
accesso che 
faceva 
parte 
della 
rete 
privata 
del 
sistema, la 
cartella 
dei 
documenti 
firmati 
arrivava 
al 
gestore 
centrale 
che 
le 
inviava 
al 
gestore 
locale 
del 
singolo tribunale 
della 
cancelleria 
interessata. 
Qui 
il 
gestore 
locale 
della 
rete 
provvedeva 
ad autenticare 
i 
soggetti 
interni 
che 
potevano 
accedere 
alla 
rete 
ed 
il 
contesto 
applicativo 
prevedeva 
l�interazione 
tra 
i 
Soggetti 
Abilitati 
Esterni 
(7), vale 
a 
dire 
avvocati 
e 
ausiliari 


(6) Il 
Punto d�Accesso al 
Processo Civile 
Telematico � 
il 
servizio che 
consente 
agli 
avvocati 
di 
depositare 
gli 
atti 
presso gli 
Uffici 
giudiziari, di 
ricevere 
Biglietti 
di 
Cancelleria, di 
inviare 
e 
ricevere 
Notifiche 
e 
di 
consultare 
i 
dati 
(eventi 
in agenda, Fascicoli, ecc.) presso gli 
U.g. Inoltre 
� 
possibile 
accedere 
alle funzionalit� del redattore per il confezionamento delle buste telematiche utili al deposito. 
(7) Soggetto abilitato esterno che 
poteva: 
redigere 
e 
firmare 
l�atto di 
parte; 
a 
tal 
fine 
si 
avvaleva 
di 
uno o pi� strumenti 
per la 
redazione, la 
firma, la 
cifratura 
e 
l�imbustamento; 
poteva 
depositare 
l�atto 
di 
parte, 
ricevendo 
in 
risposta 
la 
relativa 
attestazione 
temporale 
e 
successivamente 
le 
ricevute 
elettroniche 
di 
avvenuta 
presa 
in carico da 
parte 
dell�Ufficio giudiziario e 
di 
inserimento nel 
fascicolo informatico; 
poteva 
ricevere 
comunicazioni 
da 
parte 
dell�Ufficio giudiziario nella 
propria 
�Casella 
di 
Posta 
Elettronica 
Certificata 
del 
Processo 
Telematico� 
CPECPT; 
effettuare 
consultazioni 
dei 
fascicoli 
di 
propria 
pertinenza 
tramite 
i 
servizi 
di 
consultazione 
esposti 
dai 
gestori 
Locali 
presso 
gli 
Uffici 
giudiziari. 
L�avvocato interagiva 
con il 
SICI necessariamente 
per il 
tramite 
di 
un Punto di 
Accesso Esterno (PdA), 
presso 
cui 
era 
registrato 
come 
utente. 
Il 
PdA 
che 
era, 
ed 
�, 
l�unico 
fornitore 
dei 
servizi 
di 
interfacciamento 
del 
dominio giustizia 
per gli 
avvocati, autorizzato in quanto offriva, ed offre, ai 
propri 
Utenti 
una 
schermatura 
dei 
protocolli 
e 
dei 
formati 
di 
interfaccia 
previsti 
dal 
PCT 
per 
il 
colloquio 
con 
gli 
Uffici 
giudiziari 

RASSEgNA 
AvvOCATURA 
DELLO 
STATO - N. 4/2016 


del 
giudice, ed i 
Sistemi 
di 
gestione 
dei 
Registri 
(SgR) installati 
presso gli 
uffici 
giudiziari 
civili 
di 
primo 
e 
secondo 
grado. 
Il 
nuovo 
d.m. 
n. 
44/2011 
detta 
norme 
specifiche 
anche 
in relazione 
al 
deposito degli 
atti 
sul 
presupposto di 
quelle 
che 
abbiamo gi� 
enunciato come 
modifiche 
sostanziali 
all�architettura 
del 
PCT 
e 
ci� sia 
grazie 
alle 
modifiche 
apportate 
al 
CAD 
in materia 
di 
documento 
informatico, 
sia 
in 
ordine 
al 
deposito 
dell�atto 
del 
processo 
da 
parte 
dei 
magistrati, del 
personale 
interno alle 
cancellerie 
e 
degli 
uffici 
UNEP. Per tutti 
detti 
soggetti 
� 
stato previsto che 
l�atto del 
processo, redatto in formato elettronico 
e 
sottoscritto con firma 
digitale, sia 
depositato nel 
fascicolo informatico, 
previa 
attestazione 
del 
deposito 
da 
parte 
dell�ausiliario 
mediante 
apposizione della data e della propria firma digitale. 

Il 
provvedimento del 
Ministero della 
giustizia 
del 
16 febbraio 2014 all�art. 
34 del 
D.M. 44 del 
21 febbraio 2011, reca 
le 
specifiche 
tecniche 
del 
Processo 
Civile 
Telematico 
(PCT) 
ed 
in 
particolare, 
all�art. 
12, 
comma 
2, 
stabilisce, 
riguardo 
alla 
trasmissione 
di 
atti 
e 
documenti 
informatici, 
il 
formato 
da utilizzare per la firma digitale. 


gli 
utenti, sia 
esterni 
(avvocati 
ed ausiliari 
del 
giudice) che 
interni 
(magistrati 
e 
cancellieri), possono utilizzare 
per la 
sottoscrizione 
digitale 
dei 
documenti 
informatici lo standard PAdES oppure in alternativa il CAdES. 


� 
tuttavia 
evidente 
che, potendo il 
PAdES 
essere 
utilizzato unicamente 
per firmare 
digitalmente 
file 
PDF, solo il 
CAdES 
potr� 
essere 
usato per la 
sottoscrizione 
di 
tutti 
i 
restanti 
tipi 
di 
file 
previsti 
dall�art. 13 del 
Provvedimento 
(rtf, txt, jgp, gif, tiff, xml, eml, msg, zip, rar, arj). 


I medesimi 
formati 
di 
firma 
sono previsti 
per le 
notificazione 
in proprio 
degli 
avvocati 
a 
mezzo PEC con legge 
n. 53/1994 e 
successive 
modifiche, rimandando 
l�art. 
19 
bis 
delle 
menzionate 
specifiche 
tecniche 
al 
gi� 
menzionato 
art. 12, comma 2. 


La 
maggior parte 
dei 
software 
PCT 
dedicati 
ad avvocati 
ed ausiliari 
del 
giudice, cos� 
come 
allo stesso modo i 
pi� diffusi 
programmi 
per la 
firma 
digitale 
(es. ArubaSign, Dike, Firma 
Certa) consentono di 
scegliere 
alternativamente 
tra 
PAdES 
e 
CAdES 
per 
la 
sottoscrizione 
di 
documenti 
informatici, 
producendo 
come 
gi� 
specificato 
documenti 
altrettanto 
validi 
giuridicamente. 
Esistono tuttavia 
diversi 
casi 
in cui 
per motivi 
pratici 
un formato pu� essere 


(Ug), 
salvaguardando 
i 
principi 
di 
sicurezza 
e 
di 
riservatezza, 
tramite 
autenticazione 
forte. 
Presso 
il 
PdA 
� 
attiva 
un�apposita 
anagrafica 
alla 
quale 
si 
accede 
in fase 
di 
autenticazione, in fase 
di 
prelievo o 
consultazione 
dei 
messaggi 
provenienti 
dal 
SIC ed in fase 
di 
deposito degli 
atti, per eseguire, se 
in possesso 
dell�albo 
elettronico 
del 
Consiglio 
dell�Ordine 
di 
appartenenza 
dell�avvocato, 
la 
certificazione 
dello status 
del 
professionista 
e 
relativamente 
alla 
ricezione 
di 
comunicazioni 
di 
cancelleria, il 
PdA 
forniva 
all�avvocato 
una 
casella 
di 
posta 
elettronica 
certificata 
del 
Processo 
Telematico 
(CPECPT). 
Opposto 
il 
processo inverso ad esempio di 
comunicazione 
del 
provvedimento per mezzo del 
biglietto di 
cancelleria 
che 
dal 
gestore 
locale 
era 
trasmesso 
al 
centrale 
e 
quindi 
al 
punto 
di 
accesso 
locale 
da 
dove 
mediante 
la rete 
internet 
perveniva allo studio legale. 



LEgISLAzIONE 
ED 
ATTUALIT� 


preferibile 
all�altro. Si 
riportano due 
casi 
concreti 
in cui, a 
parere 
dello scrivente, 
l�uso 
del 
formato 
PAdES 
� 
preferibile: 
a) 
notificazione 
in 
proprio 
a 
mezzo PEC (ex Legge 
53/1994): 
l�atto ed i 
documenti 
notificati 
se 
firmati 
in 
PAdES, 
sono 
immediatamente 
visualizzabili 
dal 
destinatario 
utilizzando 
qualsiasi 
software 
per la 
lettura 
dei 
file 
PDF; 
b) procura 
alle 
liti 
speciale 
nativa 
digitale 
ex 
art. 
83 
c.p.c. 
3� 
comma: 
il 
cliente, 
pu� 
sottoscriverla 
con 
la 
sua 
firma 
digitale, senza 
necessit� 
di 
programmi 
specifici, utilizzando una 
versione 
recente 
di 
Adobe 
Reader, 
che 
integra 
al 
suo 
interno 
le 
funzioni 
di 
firma, 
aggiungendovi 
la rappresentazione grafica della stessa. 


Quando 
a 
depositare 
� 
un 
organo 
collegiale, 
l�originale 
del 
provvedimento 
� 
sottoscritto 
con 
firma 
digitale 
anche 
dal 
Presidente. 
Con 
la 
sentenza 
n. 
22871 
del 
10 novembre 
2015 la 
Corte 
di 
Cassazione, Sez. I, si 
� 
pronunciata 
per la 
prima 
volta 
su un tema 
fondamentale 
per il 
processo civile 
telematico, ovvero 
se 
sia 
affetta 
da 
inesistenza 
giuridica 
la 
sentenza 
contenente 
la 
sola 
firma 
digitale 
del 
giudice 
e 
non la 
sottoscrizione 
di 
costui 
ai 
sensi 
dell�art. 132 n. 5 


c.p.c. Il 
caso posto all�esame 
della 
Suprema 
Corte 
parte 
dalla 
considerazione 
che 
la 
firma 
digitale 
non � 
una 
sottoscrizione, come 
si 
pu� (e 
ancor prima: 
si 
pu�?) conciliare 
la 
stessa 
con il 
disposto di 
cui 
all�art. 132 c.p.c., che 
presuppone 
invece 
come 
obbligatoria 
la 
sottoscrizione 
da 
parte 
dell�autore 
della 
sentenza. 
La 
Corte 
esplicita 
che 
�la 
sottoscrizione 
della 
sentenza... 
deve 
essere 
costituita 
da 
un 
segno 
grafico 
che 
abbia 
caratteristiche 
di 
specificit� 
sufficienti 
e 
possa 
quindi 
svolgere 
funzioni 
identitarie 
e 
di 
riferibilit� 
soggettiva, 
pur 
nella 
sua 
eventuale 
illegibilit�... 
se 
sussistono 
adeguati 
elementi 
per 
il 
collegamento 
del 
segno 
grafico 
con 
un�indicazione 
nominativa 
contenuta 
nell�atto. 
Si 
desume 
da 
quest�ultimo 
indirizzo... 
che 
la 
sottoscrizione 
della 
sentenza 
� 
elemento 
essenziale 
perch� 
la 
sentenza 
sia 
riconoscibile 
come 
tale 
e 
ne 
sia 
resa 
palese 
la 
provenienza 
dal 
giudice 
che 
l�ha 
deliberata�. Tale 
premessa 
� 
di 
importanza 
fondamentale 
innanzitutto in chiave 
evolutiva; 
il 
Supremo Collegio 
ci 
dice 
infatti 
una 
cosa 
molto 
chiara 
e 
cio� 
che 
la 
funzione 
della 
sottoscrizione 
prevista 
dall�art. 
132 
c.p.c. 
�, 
in 
sostanza, 
quella 
di 
far 
comprendere 
chi 
sia 
l�autore 
di 
quella 
determinata 
sentenza. Bene, a 
fronte 
di 
tale 
condivisibile 
affermazione 
non 
� 
difficile 
fare 
un 
passo 
in 
avanti 
e 
ipotizzare 
la 
possibilit� 
che 
addirittura, 
in 
futuro, 
si 
possa 
fare 
a 
meno 
anche 
della 
stessa 
firma 
digitale, 
laddove 
la 
sentenza 
(o altro provvedimento giudiziale) sia 
resa 
all�interno di 
un sistema 
informatico che 
assicuri 
l�esistenza 
di 
un�area 
alla 
quale 
pu� accedere 
solo il giudice. 
Tutti 
questi 
soggetti 
abilitati 
interni 
utilizzano appositi 
strumenti 
per la 
redazione 
degli 
atti 
del 
processo in forma 
di 
documento informatico e 
per la 
loro 
trasmissione 
alla 
cancelleria 
od 
alla 
segreteria 
dell�ufficio 
giudiziario. 
L�atto 
� 
inserito 
nella 
medesima 
busta 
telematica 
ossia 
un 
file 
in 
formato 
MIME 
che 
riporta 
tutti 
i 
dati 
necessari 
per l�elaborazione 
da 
parte 
del 
sistema 
ricevente 
(gestore 
dei 
servizi 
telematici). Per l�accesso ai 
sistemi 
dall�interno 



RASSEgNA 
AvvOCATURA 
DELLO 
STATO - N. 4/2016 


degli 
uffici 
giudiziari, 
l�identificazione 
� 
effettuata 
mediante 
coppia 
di 
credenziali 
�nome 
utente/password 
� 
ovvero 
mediante 
identificazione 
informatica 
sul 
portale 
dei 
servizi 
telematici 
mediante 
carta 
d�identit� 
elettronica 
o carta 
nazionale 
dei 
servizi 
e 
sul 
punto 
di 
accesso 
mediante 
token 
crittografico, 
smart 
card, 
chiavetta 
USB 
o 
altro 
dispositivo 
sicuro. 
Sempre 
il 
magistrato 
avr� 
sulla 
�console� 
il 
ruolo 
laddove 
va 
ad 
aprire 
il 
programma 
per 
la 
relativa 
attivit� 
della 
lista 
dei 
fascicoli 
per 
il 
periodo 
selezionato 
dello 
stato 
della 
causa 
e 
delle 
attivit� 
da 
compiersi. viene 
consentita 
al 
magistrato la 
visione 
di 
tutti 
i 
fascicoli 
da 
trattare 
all�udienza 
selezionata, in modo tale 
da 
poterli 
disciplinare 
in 
base 
all�agenda 
immediatamente 
consultabile. Potr�, quindi, visionare 
il 
contenuto 
dei 
fascicoli, fare 
ricerche, scrivere 
il 
relativo provvedimento ed inserirlo 
immediatamente 
nel 
fascicolo. 
All�interno 
del 
fascicolo 
il 
magistrato 
potr� 
avere 
una 
visione 
completa 
ed unitaria 
dello stesso e 
non solo dei 
dati 
delle 
parti 
e 
dell�oggetto, ma 
anche 
della 
nota 
di 
iscrizione 
a 
ruolo, della 
procura, 
degli 
allegati 
e 
dei 
provvedimenti 
adottati. 
Mediante 
poi 
la 
funzione 
dell�agenda 
il 
magistrato avr� 
un quadro completo dello scadenzario giornaliero 
dei 
termini 
assegnati 
dei 
provvedimenti 
in 
minuta. 
Potr� 
navigare 
in 
tutti 
i 
fascicoli, vederne 
le 
statistiche 
ed esaminare 
le 
cartelle 
condivise. Il 
d.m. n. 
44/2011 prevede, poi, per la 
trasmissione 
dei 
documenti 
da 
parte 
dei 
difensori 
delle 
parti 
private, degli 
avvocati 
iscritti 
negli 
elenchi 
speciali, degli 
esperti 
e 
gli 
ausiliari 
del 
giudice 
e 
per 
l�impresa 
e 
il 
cittadino, 
quando 
non 
operano 
come 
soggetti 
abilitati 
esterni, che 
i 
documenti 
informatici, come 
atti 
del 
processo 


o 
allegati 
agli 
atti 
del 
processo, 
siano 
trasmessi 
da 
parte 
di 
questi 
mediante 
l�indirizzo di 
posta 
elettronica 
certificata 
risultante 
dal 
registro generale 
degli 
indirizzi 
elettronici, 
all�indirizzo 
di 
posta 
elettronica 
certificata 
dell�ufficio 
destinatario. 
In questi 
casi 
i 
documenti 
informatici 
come 
atti 
del 
processo, o allegati 
agli 
atti 
del 
processo, 
si 
intendono 
ricevuti 
dal 
dominio 
giustizia 
nel 
momento in cui 
viene 
generata 
la 
ricevuta 
di 
avvenuta 
consegna 
da 
parte 
del 
gestore 
di 
posta 
elettronica 
certificata 
del 
Ministero della 
giustizia. Si 
intendono 
ricevuti 
dal 
dominio giustizia 
quando la 
ricevuta 
di 
avvenuta 
consegna 
attesta, altres�, l�avvenuto deposito dell�atto o del 
documento presso l�ufficio 
giudiziario competente. Quando la 
ricevuta 
� 
rilasciata 
dopo le 
ore 
14, il 
deposito 
si 
considera 
effettuato 
il 
giorno 
feriale 
immediatamente 
successivo. 
L�atto del 
processo in forma 
di 
documento informatico, la 
nota 
di 
iscrizione 
a 
ruolo ed i 
documenti 
informatici 
allegati 
all�atto del 
processo sono trasmessi, 
quindi, anche 
da 
parte 
dei 
soggetti 
abilitati 
esterni 
e 
degli 
utenti 
privati 
mediante 
l�utilizzo dell�indirizzo di 
posta 
elettronica 
certificata 
risultante 
dal 
registro 
generale 
degli 
indirizzi 
elettronici, 
all�indirizzo 
di 
posta 
elettronica 
certificata 
dell�ufficio destinatario, nella 
cosiddetta 
�busta 
telematica�, ossia 
in 
quel 
file 
in 
formato 
MIME 
che 
riporta 
tutti 
i 
dati 
necessari 
per 
l�elaborazione 
da 
parte 
del 
sistema 
ricevente 
ossia 
dal 
gestore 
dei 
servizi 
telematici. In particolare 
la 
busta 
contiene 
il 
file 
�Atto.enc�, 
ottenuto 
dalla 
cifratura 
del 
file 

LEgISLAzIONE 
ED 
ATTUALIT� 


�Atto.msg�, il 
quale 
contiene 
a 
sua 
volta 
altre 
indicazioni. Ai 
fini 
dello scambio 
previsto dall�art. 170 c.p.c., quarto comma, il 
quale 
consente 
che 
le 
comparse 
e 
le 
memorie 
annesse 
dal 
giudice 
si 
comunicano mediante 
deposito in 
cancelleria 
oppure 
mediante 
notificazione 
o scambio documentato con l�apposizione 
sull�originale, in calce 
o a 
margine 
del 
visto della 
parte 
o del 
procuratore, 
ed inoltre 
che 
il 
giudice 
pu� autorizzare 
per singoli 
atti, in qualunque 
stato e 
grado del 
giudizio, che 
lo scambio o la 
comunicazione 
possa 
avvenire 
anche 
a 
mezzo telefax o posta 
elettronica 
nel 
rispetto della 
normativa, anche 
regolamentare, 
concernente 
la 
sottoscrizione, 
la 
trasmissione 
e 
la 
ricezione 
dei 
documenti 
informatici 
e 
teletrasmessi, si 
� 
stabilito che 
la 
parte 
che 
procede 
al 
deposito deve 
inviare 
ai 
procuratori 
delle 
parti 
costituite 
copia 
informatica 
dell�atto 
e 
dei 
documenti 
allegati 
con 
le 
modalit� 
previste 
per 
la 
notifica 
di 
atti 
tra 
avvocati 
nel 
rispetto 
della 
disciplina 
di 
cui 
all�art. 
4 
della 
legge 
21 
gennaio 
1994, n. 53. Fuori 
del 
caso di 
rifiuto per omessa 
sottoscrizione, il 
rigetto 
del 
deposito, della 
�Busta 
telematica� 
da 
parte 
dell�ufficio non impedisce 
il 
successivo 
deposito 
entro 
i 
termini 
assegnati 
o 
previsti 
dal 
codice 
di 
procedura 
civile. 
La 
certificazione 
dei 
professionisti 
abilitati 
e 
dei 
soggetti 
abilitati 
esterni 
pubblici 
� 
effettuata 
dal 
gestore 
dei 
servizi 
telematici 
sulla 
base 
dei 
dati 
presenti 
nel 
registro 
generale 
degli 
indirizzi 
elettronici, 
secondo 
le 
specifiche 
tecniche 
stabilite 
dal 
responsabile 
per 
i 
sistemi 
informativi 
automatizzati 
del 
Ministero della 
giustizia, sentito DigitPa 
(oggi 
AgID) e 
il 
garante 
per la 
protezione 
dei 
dati 
personali. Al 
fine 
di 
garantire 
la 
riservatezza 
dei 
documenti 
da 
trasmettere, il 
soggetto abilitato esterno utilizza 
un meccanismo di 
crittografia. 
Il 
gestore 
dei 
servizi 
telematici 
restituisce 
al 
mittente 
l�esito 
dei 
controlli 
effettuati 
dal 
dominio 
giustizia 
nonch� 
dagli 
operatori 
della 
cancelleria 
o 
della 
segreteria. 

6.1 
registro 
generale 
degli 
indirizzi 
elettronici 
nel 
previgente 
sistema 
e 
nel 
nuovo decreto. 
Ai 
sensi 
dell�art. 
7 
d.P.R. 
n. 
123/2001, 
le 
comunicazioni 
e 
le 
notificazioni 
con biglietto di 
cancelleria, nonch� 
le 
notificazione 
degli 
atti, effettuata 
come 
documento informatico, sottoscritto con firma 
digitale, potevano essere 
eseguite 
per 
via 
telematica, 
oltre 
che 
attraverso 
il 
sistema 
informatico 
civile, 
anche 
all�indirizzo 
elettronico 
dichiarato, 
ossia 
all�indirizzo 
elettronico 
del 
difensore 
comunicato al 
Consiglio dell�ordine 
e 
da 
quest�ultimo reso disponibile 
al 
Ministero 
della 
giustizia. 
Per 
gli 
esperti 
e 
gli 
ausiliari 
del 
giudice, 
l�indirizzo 
elettronico 
era 
quello comunicato dai 
medesimi 
ai 
propri 
ordini 
professionali 
od 
all�albo dei 
consulenti 
presso il 
tribunale. Per tutti 
i 
soggetti 
diversi 
da 
questi 
ultimi, l�indirizzo elettronico era quello dichiarato al certificatore della firma 
digitale 
al 
momento della 
richiesta 
di 
attivazione 
della 
procedura 
informatica 
di 
certificazione 
della 
firma, ove 
reso disponibile 
nel 
certificato. gli 
indirizzi 
elettronici 
dovevano, poi, nel 
previgente 
sistema 
essere 
comunicati 
tempesti



RASSEgNA 
AvvOCATURA 
DELLO 
STATO - N. 4/2016 


vamente 
dagli 
ordini 
professionali 
al 
Ministero 
della 
giustizia. 
Il 
d.m. 
n. 
44/2011 
in 
materia 
prevede, 
sempre 
all�art. 
7, 
che 
il 
registro 
generale 
degli 
indirizzi 
elettronici 
(RegIndE), gestito dal 
Ministero della 
giustizia, contiene 
i 
dati 
identificativi 
e 
l�indirizzo di 
posta 
elettronica 
certificata 
dei 
soggetti 
abilitati 
esterni 
non iscritti 
negli 
albi 
ed elenchi 
istituiti 
con legge 
dello Stato e 
cos� 
parimenti 
per 
le 
persone 
fisiche, 
quali 
utenti 
privati, 
che 
non 
operano 
nelle 
qualit� 
di 
liberi 
professionisti. 
Per 
i 
professionisti, 
invece, 
iscritti 
in 
albi 
ed 
elenchi 
istituiti 
con legge 
dello Stato, il 
registro generale 
degli 
indirizzi 
elettronici 
� 
costituito per mezzo dei 
dati 
contenuti 
negli 
elenchi 
riservati 
di 
cui 
all�art. 16, comma 
7, d.l. 29 novembre 
2008, n. 185, convertito nella 
legge 
28 
gennaio 2009, n. 2, inviati 
al 
Ministero della 
giustizia 
secondo le 
specifiche 
tecniche 
che 
qui 
adesso analizziamo. Per i 
soggetti 
abilitati 
esterni 
non iscritti 
negli 
albi 
od 
elenchi 
riconosciuti, 
il 
registro 
generale 
degli 
indirizzi 
� 
conforme 
alle 
stesse 
specifiche 
tecniche. Per le 
persone 
fisiche, quali 
utenti 
privati, che 
non operano nelle 
qualit� 
di 
liberi 
professionisti 
o come 
abilitati 
esterni 
non 
iscritti 
negli 
albi 
dei 
professionisti, gli 
indirizzi 
sono consultabili, invece, ai 
sensi 
dell�art. 
7 
d.P.C.M. 
6 
maggio 
2009. 
Per 
le 
imprese, 
gli 
indirizzi 
sono 
consultabili, 
senza 
oneri, 
ai 
sensi 
dell�art. 
16, 
comma 
6, 
d.l. 
29 
novembre 
2008, 


n. 185, convertito nella 
legge 
28 gennaio 2009, n. 2, con le 
modalit� 
di 
cui 
al 
comma 
10 del 
medesimo. Il 
Registro generale 
degli 
Indirizzi 
Elettronici 
(RegIndE) 
contiene 
altres� 
gli 
indirizzi 
di 
PEC dei 
soggetti 
abilitati 
esterni 
che 
intendono 
fruire 
dei 
servizi 
telematici. 
Lo 
stesso, 
naturalmente, 
interagisce 
con la 
gestione 
informatizzata 
dei 
registri 
di 
cancelleria 
e 
ci� al 
fine 
di 
evitare 
ogni 
possibilit� 
di 
inserimento manuale 
dei 
dati, rigidit� 
che 
pone 
non pochi 
problemi 
pratici 
agli 
operatori 
delle 
cancellerie 
e 
del 
diritto. Il 
RegIndE 
� 
alimentato 
dal 
profilo anagrafico dei 
soggetti 
e 
degli 
enti 
che 
possiamo distinguere 
per categoria 
secondo che 
i 
soggetti 
appartenenti 
ad un ente 
pubblico 
svolgano anche 
uno specifico ruolo nell�ambito di 
procedimenti: 
ad esempio 
avvocati 
e 
funzionari 
dell�INPS 
e 
dell�Avvocatura 
dello 
Stato; 
avvocati 
e 
funzionari 
delle 
PP.AA.; 
professionisti 
iscritti 
in 
albi 
ed 
elenchi 
istituiti 
con 
legge: 
ad esempio consiglio dell�ordine 
degli 
avvocati 
o consiglio nazionale 
del 
Notariato; 
professionisti 
non iscritti 
ad alcun albo, ad esempio tutti 
quei 
soggetti 
nominati 
dal 
giudice 
come 
consulenti 
tecnici 
d�ufficio, o pi� in generale 
ausiliari 
del 
giudice 
non 
appartenenti 
ad 
un 
ordine 
di 
categoria 
o 
che 
appartengono 
ad ente/ordine 
professionale 
che 
non abbia 
ancora 
inviato l�albo al 
Ministero 
della 
giustizia. 
Il 
RegIndE 
� 
direttamente 
accessibile 
dai 
sistemi 
interni 
al 
dominio 
giustizia, attraverso un apposito web service, ed � 
consultabile 
dai 
soggetti 
abilitati 
esterni 
tramite 
il 
proprio 
punto 
di 
accesso 
o 
tramite 
l�area 
riservata 
del 
Portale 
dei 
Servizi 
Telematici. L�alimentazione 
del 
RegIndE 
avviene 
previo 
invio 
al 
responsabile 
per 
i 
sistemi 
informativi 
automatizzati 
di 
un documento di 
censimento, contenente 
le 
informazioni 
necessarie 
ad identificare 
l�ente 
attraverso il 
codice 
ente 
e 
la 
sua 
descrizione. Terminate 
le 
ope

LEgISLAzIONE 
ED 
ATTUALIT� 


razioni 
di 
censimento da 
parte 
del 
responsabile 
per i 
sistemi 
informativi 
automatizzati, 
l�ente 
mittente 
del 
documento di 
censimento riceve 
una 
risposta; 
in 
caso di 
esito positivo, l�ente 
pu� procedere 
all�invio dell�albo secondo le 
vigenti 
specifiche. Il 
mancato rispetto di 
uno o pi� dei 
vincoli 
di 
cui 
alle 
prescrizioni 
delle 
specifiche 
tecniche 
comporta 
la 
generazione 
di 
un messaggio 
automatico 
di 
esito 
negativo 
e 
pertanto 
ad 
ogni 
inoltro 
di 
messaggi 
corrisponde, 
da 
parte 
del 
sistema, una 
risposta 
tramite 
PEC. Ad ogni 
nuovo indirizzo 
di 
PEC 
registrato 
nelle 
anagrafiche 
a 
seguito 
dell�inserimento 
di 
un 
nuovo soggetto o di 
modifica 
di 
uno esistente, viene 
inviato un messaggio di 
PEC di 
cortesia 
in cui 
si 
attesta 
l�avvenuta 
registrazione. I professionisti 
non 
iscritti 
all�albo, oppure 
per i 
quali 
il 
proprio ordine 
di 
appartenenza 
non abbia 
provveduto all�invio di 
copia 
dell�albo (ad eccezione 
degli 
avvocati), si 
possono 
registrare 
al 
RegIndE 
attraverso un punto di 
accesso (PdA) o attraverso 
il 
Portale 
dei 
Servizi 
Telematici, previa 
loro identificazione, inserendo il 
file 
che 
contiene 
copia 
informatica, 
in 
formato 
PDF, 
dell�incarico 
di 
nomina 
da 
parte 
del 
giudice. Quest�ultimo file 
deve 
essere 
sottoscritto con firma 
digitale 


o 
firma 
elettronica 
qualificata 
dal 
soggetto 
che 
intende 
iscriversi. 
Il 
PdA 
provvede 
a 
trasmettere 
l�avvenuta 
registrazione 
con le 
medesime 
modalit� 
di 
cui 
abbiamo 
innanzi 
detto 
con 
la 
differenza 
che 
il 
file 
ComunicazioniSoggetti.xml 
� 
digitalmente 
sottoscritto 
con 
firma 
digitale 
o 
firma 
elettronica 
qualificata 
dal 
PdA. 
Qualora 
il 
professionista 
s�iscriva 
ad 
un 
albo, 
oppure 
pervenga 
copia 
dell�albo 
da 
parte 
dell�ordine 
di 
appartenenza, 
prevalgono 
i 
dati 
trasmessi 
dall�ordine stesso. 
7. La rilevanza del documento informatico nel processo civile telematico. 
Con 
il 
d.P.R. 
28 
dicembre 
2000 
n. 
445, 
all�art. 
1 
lett. 
a) 
il 
�documento 
amministrativo� 
� 
stato 
definito, 
invece, 
come 
�ogni 
rappresentazione, 
comunque 
formata, del 
contenuto di 
atti, anche 
interni, delle 
pubbliche 
amministrazioni 
o, comunque, utilizzati 
ai 
fini 
dell'attivit� amministrativa� 
quindi 
con un�eccezione 
molto pi� ampia 
rispetto a 
quella 
precedente 
e 
con la 
possibilit� 
di 
ricomprendervi 
anche 
le 
rappresentazioni 
sonore 
o 
visive 
di 
atti 
interni 


o 
utilizzati 
dalla 
P.A., 
e 
con 
la 
sola 
restrizione 
in 
ordine 
al 
soggetto 
che 
produce 
il 
documento amministrativo. Identica 
� 
poi 
la 
definizione 
data 
sia 
all�art. 1 
lettera 
a) d.P.R. 13 febbraio 2001 n. 123, dove, il 
documento informatico, � 
definito come 
la 
�la rappresentazione 
informatica del 
contenuto di 
atti, fatti 
o dati 
giuridicamente 
rilevanti 
ai 
sensi 
del 
decreto del 
Presidente 
della repubblica 
10 novembre 
1997, n. 513� 
sia 
all�art. 1 lettera 
p) d.lgs 
n. 85/2005 
dove 
pure 
� 
definito come 
�la 
rappresentazione 
informatica 
di 
atti, fatti 
o dati 
giuridicamente 
rilevanti� 
e 
al 
successivo 
art. 
20 
co. 
1, 
come 
modificato 
dall'art. 
8, d.lgs. 4 aprile 
2006, n. 159, viene 
definito come 
documento 
�da chiunque 
formato�, quindi 
sia 
essa 
autorit� 
pubblica 
o mero privato, registrato su supporto 
informatico 
trasmesso 
con 
strumenti 
telematici 
conformi 
alle 
regole 
tec

RASSEgNA 
AvvOCATURA 
DELLO 
STATO - N. 4/2016 


niche 
previste 
nello stesso CAD. Orbene 
con questa 
previsione 
di 
documento 
informatico come 
documento da 
�chiunque 
formato� 
� 
da 
ritenere 
che 
il 
legislatore 
non abbia 
inteso limitare 
la 
definizione 
alla 
sola 
natura 
pubblica 
o privata 
del 
soggetto 
agente 
ma 
che 
abbia 
aperto 
alla 
piena, 
e 
gi� 
quindi 
riconosciuta, giuridicit� 
dei 
�documenti 
cibernetici�, ossia 
alla 
creazione 
cibernetica 
di 
uno 
scritto 
originale, 
cio� 
non 
copiato, 
ma 
prodotto 
�ex 
novo� 
dal 
computer 
e 
di 
cui, 
quindi 
non 
esiste 
un 
originale 
formato 
dall�uomo. 
E 
proprio 
la 
creazione 
�cibernetica� 
degli 
scritti 
�originali�, 
possibile 
solo 
a 
proposito 
della 
scrittura 
informatica, 
� 
la 
pi� 
grande 
rivoluzione 
nella 
scrittura 
perch�, 
prima 
dell�avvento 
del 
computer 
solo 
all�uomo 
� 
stato 
possibile 
creare 
uno scritto, espressione 
del 
suo pensiero e 
della 
sua 
cosciente 
volont�, mentre 
con 
lo 
�scritto 
cibernetico� 
ci� 
sar� 
possibile 
anche 
al 
computer. 
Proprio 
in 
relazione 
a 
ci� 
deve 
essere 
letta 
un'altra 
fondamentale 
norma 
qual 
� 
quella 
dell�art. 
40, 
co. 
1, 
Codice 
dell�Amministrazione 
Digitale 
che 
prevede: 
�Le 
P.A., che 
dispongono di 
idonee 
risorse 
tecnologiche, �formano gli 
originali� 
dei 
propri 
documenti 
con mezzi 
informatici 
secondo le 
disposizioni 
del 
presente 
codice 
e 
le 
regole 
tecniche 
di 
cui 
all�art. 71�, norma 
modificata 
dall�art. 
27 
d.lgs. 
30 
dicembre 
2010 
n. 
235, 
che 
ha 
soppresso 
l�inciso 
�che 
dispongono 
di 
idonee 
risorse 
tecnologiche� 
e 
abrogato 
il 
2 
co., 
dello 
stesso 
articolo, 
sicch� 
la 
nuova 
formulazione 
della 
norma 
� 
nel 
senso che 
�Le 
P.A. �formano gli 
originali� 
dei 
propri 
documenti 
con 
mezzi 
informatici 
secondo 
le 
disposizioni 
del 
presente 
codice 
e 
le 
regole 
tecniche 
di 
cui 
all�art. 71�. � 
quindi 
legittimo 
e 
corretto ritenere 
che 
il 
CAD 
con l�art. 40 detta 
le 
linee 
d�azione 
per la 
P.A. 
nella 
formazione 
dei 
documenti 
amministrativi 
informatici, 
ordinariamente, 
attraverso atti 
cibernetici. Non diversa 
dalla 
nozione 
in esame 
e 
la 
nozione 
di 
documento 
amministrativo 
informatico 
che 
il 
legislatore 
ha 
specificato 
con 
una 
dizione 
molto 
ampia 
ed 
estesa 
e 
che 
� 
restrittiva 
solo 
in 
ordine 
al 
requisito 
soggettivo 
della 
P.A., 
indipendentemente 
dal 
contenuto 
della 
disciplina 
sostanziale 
e 
per il 
quale 
dobbiamo intendere, in forza 
della 
legge 
11 febbraio 
2005 
n. 
15, 
di 
modifica 
dell�art. 
22 
legge 
n. 
241 
del 
1990 
e 
della 
relativa 
lettera 
d), 
come 
�ogni 
rappresentazione 
grafica, 
fotocinematografica, 
elettromagnetica 
o di 
qualunque 
altra specie 
del 
contenuto di 
atti, anche 
interni 
o non relativi 
ad 
uno 
specifico 
procedimento, 
detenuti 
da 
una 
pubblica 
amministrazione 
e 
concernenti 
attivit� 
di 
pubblico 
interesse, 
indipendentemente 
dalla 
natura 
pubblicistica 
o 
privatistica 
della 
loro 
disciplina 
sostanziale�. 
A 
tale 
nozione, 
poi, 
precede 
l�art. 
3-bis, 
in 
ordine 
alla 
necessit� 
dell�uso 
della 
telematica 
nei 
rapporti 
interni, 
tra 
pubbliche 
amministrazioni 
e 
tra 
queste 
e 
i 
privati, 
e 
ci� 
al 
fine 
di 
conseguire 
una 
maggiore 
efficienza 
dell�attivit�. 
Previsione 
quest�ultima 
ulteriormente 
sviluppata 
con 
la 
disposta 
eliminazione 
dei 
documenti 
cartacei, 
con 
la 
prevista 
obbligatoriet� 
della 
pubblicazione 
sui 
siti 
informatici 
dal 
1 
gennaio 
2010 
e 
con 
la 
perdita, 
ex 
art. 
32 
legge 
18 
giugno 
2009 
n. 
69, 
di 
ogni 
valore 
legale 
per 
la 
pubblicazione 
cartacea 
dal 
1 
gennaio 



LEgISLAzIONE 
ED 
ATTUALIT� 


2013. 
Inoltre, 
l�art. 
16 
d.lgs. 
30 
dicembre 
2010 
n. 
235 
ha 
introdotto 
il 
nuovo 
articolo 
il 
23-ter 
in 
forza 
del 
quale 
gli 
atti 
formati 
dalle 
pubbliche 
amministrazioni 
con 
strumenti 
informatici, 
nonch� 
i 
dati 
e 
i 
documenti 
informatici 
detenuti 
dalle 
stesse, 
costituiscono 
informazione 
primaria 
ed 
originale 
da 
cui 
� 
possibile 
effettuare, 
su 
diversi 
o 
identici 
tipi 
di 
supporto, 
duplicazioni 
e 
copie 
per 
gli 
usi 
consentiti 
dalla 
legge. 
Inoltre 
� 
stabilito 
che 
idocumenti 
costituenti 
atti 
amministrativi 
con 
rilevanza 
interna 
al 
procedimento 
amministrativo 
sottoscritti 
con 
firma 
elettronica 
avanzata 
hanno 
l'efficacia 
prevista 
dall'art. 
2702 
c.c. 
Disciplina 
particolare 
� 
poi 
riservata 
alle 
copie 
su 
supporto 
informatico 
dei 
documenti 
formati 
dalla 
pubblica 
amministrazione 
in 
origine 
su 
supporto 
analogico 
ovvero 
dalla 
stessa 
detenuti. 
Qui 
si 
� 
stabilito 
che 
essi 
hanno 
il 
medesimo 
valore 
giuridico, 
ad 
ogni 
effetto 
di 
legge, 
degli 
originali 
da 
cui 
sono 
tratte, 
se, 
per�, 
la 
loro 
conformit�, 
all'originale, 
� 
assicurata 
dal 
funzionario 
a 
ci� 
delegato 
nell'ambito 
dell'ordinamento 
proprio 
dell'amministrazione 
di 
appartenenza, 
mediante 
l'utilizzo 
della 
firma 
digitale 
o 
di 
altra 
firma 
elettronica 
qualificata, 
purch� 
nel 
rispetto 
delle 
regole 
tecniche 
stabilite 
ex 
art. 
71. 
Per 
quest�ultima 
ipotesi 
si 
� 
stabilito 
che 
l'obbligo 
di 
conservazione 
dell'originale 
del 
documento 
� 
soddisfatto 
con 
la 
conservazione 
della 
copia 
su 
supporto 
informatico 
(8). 
Per 
quanto 
attiene 
poi 
alle 
regole 
tecniche 
in 
materia 
di 
formazione 
e 
conservazione 
dei 
documenti 
informatici 
delle 
pubbliche 
amministrazioni 
si 
� 
stabilito 
che 
queste 
saranno 
definite 
con 
decreto 
del 
Presidente 
del 
Consiglio 
dei 
Ministri 
o 
del 
Ministro 
delegato 
per 
la 
pubblica 
amministrazione 
e 
l'innovazione, 
di 
concerto 
con 
il 
Ministro 
per 
i 
beni 
e 
le 
attivit� 
culturali, 
nonch� 
d'intesa 
con 
la 
Conferenza 
unificata 
di 
cui 
all'art. 
8 
d.lgs. 
28 
agosto 
1997, 
n. 
281, 
e 
sentiti 
AgID 
(gi� 
DigitPA) 
e 
il 
garante 
per 
la 
protezione 
dei 
dati 
personali. 
Esigenza 
particolare, 
meritevole 
di 
tutela, 
� 
apparsa 
poi 
quella 
di 
garantire, 
in 
modo 
obiettivo 
ed 
automatico, 
la 
conformit� 
del 
documento 
analogico 
a 
quello 
informatico 
(9) 
sia 
in 
ordine 
alla 
sua 
provenienza 
che 
in 
ordine 
alla 
sua 
conformit� 
all'originale 
dei 
predetti 
documenti 
informatici 
sicch� 
in 
vista 
di 
questa 
necessit� 
si 
� 
stabilito 
che 
sulle 
copie 
analogiche 
dei 
documenti 
informatici 
� 
apposto, 
a 
stampa, 
sulla 
base 
dei 
criteri 
definiti 
con 
linee 
guida 
emanate 
da 
AgID 
(ex 
DigitPA), 
un 
contrassegno 
generato 
elettronicamente, 
formato 
nel 
rispetto 
delle 
regole 
tecniche 
stabilite 
ai 
sensi 
dell'art. 
71. 


L�art. 19-ter 
del 
Provvedimento DgSIA 
del 
Ministero della 
giustizia 
del 


(8) 
Copia 
informatica 
di 
documento 
informatico. 
La 
copia 
informatica 
di 
documento 
informatico, 
come 
stabilito dal 
Decreto Legislativo 7 marzo 2005, n. 82 Codice 
dell'amministrazione 
digitale, � 
il 
documento informatico avente 
contenuto identico a 
quello del 
documento da 
cui 
� 
tratto su supporto informatico 
con diversa sequenza di valori binari. 
(9) 
Copia 
informatica 
di 
documento 
analogico. 
La 
copia 
informatica 
di 
documento 
analogico, 
come 
precisato dal 
Decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82 Codice 
dell'amministrazione 
digitale, � 
il 
documento informatico avente contenuto identico a quello del documento analogico da cui � tratto. 

RASSEgNA 
AvvOCATURA 
DELLO 
STATO - N. 4/2016 


28 dicembre 
prevede 
che 
quando si 
deve 
procedere 
ad attestare 
la 
conformit� 
di 
una 
copia 
informatica, anche 
per immagine, ai 
sensi 
del 
terzo comma 
del-
l'art. 
16-undecies 
del 
decreto-legge 
18 
ottobre 
2012, 
n. 
179, 
convertito 
con 
modificazioni 
dalla 
legge 
17 dicembre 
2012, n. 212, l'attestazione 
� 
inserita 
in un documento informatico in formato PDF 
e 
contiene 
una 
sintetica 
descrizione 
del 
documento di 
cui 
si 
sta 
attestando la 
conformit� 
nonch� 
il 
relativo 
nome 
del 
file. 
Il 
documento 
informatico 
contenente 
l'attestazione 
� 
sottoscritto 
dal 
soggetto che 
compie 
l'attestazione 
con firma 
digitale 
o firma 
elettronica 
qualificata. Se 
la 
copia 
informatica 
� 
destinata 
ad essere 
depositata 
secondo 
le 
regole 
tecniche 
previste 
dall'art. 4 del 
decreto-legge 
29 dicembre 
2009, n. 
193, convertito con modificazioni 
dalla 
legge 
22 febbraio 2010, n. 24, il 
documento 
informatico contenente 
l'attestazione 
� 
inserito come 
allegato nella 
"busta 
telematica" 
di 
cui 
all'art. 14; 
i 
dati 
identificativi 
del 
documento informatico 
contenente 
l'attestazione, nonch� 
del 
documento cui 
essa 
si 
riferisce, 
sono anche 
inseriti 
nel 
file 
DatiAtto.xml 
di 
cui 
all'art. 12, comma 
1, lett. e). 
Se 
la 
copia 
informatica 
� 
destinata 
ad essere 
notificata 
ai 
sensi 
dell'art. 3-bis 
della 
legge 
21 
gennaio 
1994, 
n. 
53, 
gli 
elementi 
indicati 
al 
primo 
comma, 
sono 
inseriti nella relazione di notificazione. 


In merito alle 
copie 
informatiche 
l�art. 52 d.l. n. 90/2014, innovando in 
modo significativo, come 
detto, ha 
attribuito importanti 
poteri 
di 
autentica 
sia 
ai 
difensori 
che 
al 
consulente 
tecnico nonch� 
al 
professionista 
delegato, al 
curatore 
e 
commissario giudiziale 
prevedendo che 
questi 
possano estrarre, con 
modalit� 
telematiche, copie 
analogiche 
o informatiche 
degli 
atti 
e 
dei 
provvedimenti, 
in cui 
sono costituiti, e 
attestarne 
la 
conformit� 
ai 
corrispondenti 
atti 
contenuti nel fascicolo informatico. 

Quest�ultimo 
potere 
di 
attestazione 
non 
� 
soggetto 
al 
pagamento 
di 
diritti 
di 
copia, ma 
la 
norma 
in esame 
non si 
applica 
agli 
atti 
processuali 
che 
contengono 
provvedimenti 
giudiziali 
che 
autorizzano 
il 
prelievo 
di 
somme 
di 
denaro 
vincolate all�ordine del giudice. 

8. il 
valore 
probatorio della firma digitale 
e 
di 
quella elettronica nel 
processo 
civile telematico. 
L�art. 20 co. 2 CAD, - attualmente 
abrogato - prevedeva 
in ordine 
al 
valore 
probatorio del 
documento informatico sottoscritto con firma 
elettronica 
la 
libera 
valutazione 
del 
giudice, 
fattispecie 
molto 
diversa 
da 
quella 
introdotta 
con 
l�inserimento 
del 
comma 
1-bis 
allo 
stesso 
art. 
20, 
che 
ora 
prevede, 
invece, 
l'idoneit� 
del 
documento 
informatico 
a 
soddisfare 
il 
requisito 
della 
forma 
scritta 
ed il 
valore 
probatorio che 
va 
valutato liberamente 
in giudizio, tenuto 
conto delle 
caratteristiche 
oggettive 
di 
qualit�, sicurezza, integrit� 
e 
non modificabilit�, 
fermo restando quanto disposto dall�art. 21. In sede 
di 
valore 
probatorio, 
quindi, 
il 
documento 
informatico 
ex 
art. 
21, 
come 
modificato 
dall�art. 
9 del 
d.lgs. 4 aprile 
2006 n. 159, e 
come 
risulta 
dall�art. 14 co. 2 del 
decreto 



LEgISLAzIONE 
ED 
ATTUALIT� 


legislativo n. 235 del 
30 dicembre 
2010, cui 
� 
apposta 
una 
firma 
elettronica 
qualificata, 
avanzata 
o 
digitale 
non 
pu� 
essere 
liberamente 
valutato 
in 
giudizio 
come 
avveniva 
nella 
versione 
ante 
riforma, ma 
ha, per legge, l�efficacia 
prevista 
dall�articolo 2702 c.c. e 
si 
presume 
riconducibile 
al 
titolare 
del 
dispositivo 
di 
firma, salvo che 
questi 
dia 
prova 
contraria. Orbene 
in relazione 
al 
fatto 
che 
gli 
atti 
formati 
con strumenti 
informatici, i 
dati 
e 
i 
documenti 
informatici 
delle 
pubbliche 
amministrazioni, costituiscono informazione 
primaria 
ed originale 
da 
cui 
� 
possibile 
effettuare, su diversi 
tipi 
di 
supporto, riproduzioni 
e 
copie 
per gli 
usi 
consentiti 
dalla 
legge, e 
che 
le 
copie 
su supporto informatico 
di 
documenti 
formati 
in origine 
su altro tipo di 
supporto sostituiscono, ed in 
seguito 
alla 
riforma 
hanno 
�valenza�, 
agli 
effetti 
di 
legge, 
degli 
stessi 
originali 
da 
cui 
sono tratti, appare 
evidente 
che 
la 
parificazione 
degli 
originali 
e 
delle 
copie 
degli 
atti 
su supporto informatico (sia 
esso elettronico, magnetico o ottico) 
corrispondono 
esattamente 
a 
quelle 
sul 
tradizionale 
supporto 
cartaceo. 
Tuttavia 
prevedeva 
l�art. 
23 
CAD, 
cos� 
come 
modificato 
dal 
d.lgs. 
4 
aprile 
2006 n. 159 e 
dal 
d.l. 29 novembre 
2008 n. 185, che 
i 
duplicati, le 
copie, gli 
estratti 
del 
documento informatico, anche 
se 
riprodotti 
su diversi 
tipi 
di 
supporto, 
erano validi 
a 
tutti 
gli 
effetti 
di 
legge, se 
conformi 
alle 
regole 
tecniche. 
Inoltre 
che 
quelli 
contenenti 
copia 
o 
riproduzione 
di 
atti 
pubblici, 
scritture 
private 
e 
documenti 
in genere, compresi 
gli 
atti 
ed i 
documenti 
amministrativi 
di 
ogni 
tipo, spediti 
o rilasciati 
dai 
depositari 
pubblici 
autorizzati 
e 
dai 
pubblici 
ufficiali, avevano piena 
efficacia, ai 
sensi 
degli 
artt. 2714 e 
2715 c.c., se 
ad 
essi 
era 
apposta 
o associata, da 
parte 
di 
colui 
che 
li 
spediva 
o rilasciava, una 
firma 
digitale 
o altra 
firma 
elettronica 
qualificata 
(10). Con l�art. 16 d.lgs. 30 


(10) La 
giurisprudenza 
della 
Corte 
di 
Cassazione 
e 
del 
Consiglio di 
Stato al 
riguardo � 
nutrita. 
vedasi 
Corte 
Cass. Sez. lav. sentenza, 12 dicembre 
1997 n. 12949; 
Corte 
Cass, Sez. lav. sentenza 
20 
gennaio 1998, n. 476; 
Corte 
Cass, Sez. lav. sentenza 
6 settembre 
2001 n. 11445; 
Corte 
Cass. Sez. lav., 
sentenza 
24 marzo 2003, n. 4297; 
Corte 
Cass, sez. III civ., sentenza 
10 settembre 
1997 n. 8901. Cons. 
Stato, sez. cons. atti 
amministrativi, parere 
7 febbraio 2005, n. 11995, per il 
quale 
i 
tipi 
di 
firma 
sono 
solo 
due, 
la 
firma 
elettronica 
pura 
e 
semplice 
e 
quella 
qualificata, 
di 
cui 
la 
firma 
digitale 
e 
un 
tipo; 
Cons. Stato, Iv 
sez., decisione 
11 aprile 
2007, n. 1653 per tale 
decisione 
la 
firma 
digitale 
costituisce 
soltanto una 
modalit� 
diversa 
rispetto alla 
sottoscrizione 
tradizionale 
per iscritto e 
quindi 
essa 
non va 
ad alterare 
la 
struttura 
dei 
documenti 
generati 
in via 
telematica. In tal 
senso vedi 
Corte 
Cass., 1 sez., 
sentenza 
24 settembre 
1997 n. 9394; 
Corte 
Cass., I sez., sentenza 
14 novembre 
2003 n. 17186; 
Corte 
Cass. sez., sentenza 
31 maggio 2005 n. 11499. Corte 
Cass. Sez. II civ, - ord. 19 giugno 2009 n. 14520. 
Cons. Stato, Sez. v 
decisione 
del 
9 marzo 2009 n. 1361. Cassazione 
SS.UU., sentenza 
22 novembre 
1994 n. 9968, con la 
quale 
la 
Corte 
ha 
dichiarato inammissibile 
un ricorso perch� 
la 
procura 
era 
apposta 
su un foglio aggiunto e 
non su una 
pagina 
occupata 
dal 
testo dell�atto. In seguito Le 
Sezioni 
Unite 
con 
sentenza 
del 
30 
marzo 
1999 
n. 
3034 
hanno 
ritenuto 
valida 
il 
rilascio 
della 
procura 
su 
un 
foglio 
aggiunto, 
purch� 
il 
foglio 
aggiunto 
fosse 
materialmente 
unito 
e 
numerato 
all�atto 
al 
quale 
si 
riferiva, 
e 
con 
sentenza 
del 
24 
gennaio 
1997 
n. 
571 
ne 
ha 
stabilito 
la 
regolarit� 
purch� 
non 
vi 
fossero 
tra 
la 
stessa 
ed 
il 
testo 
spazi 
vuoti 
intermedi. La 
Corte 
di 
Cassazione 
SS.UU. con sentenza 
del 
10 marzo 1998 n. 2642 ha 
affermato 
la 
validit� 
del 
mandato su foglio spillato anche 
se 
redatto in termini 
generici. La 
Corte 
di 
Cassazione 
sez. I, sentenza 
4 gennaio 2000 n. 11, ha 
affermato che 
la 
procura 
rilasciata 
su foglio congiunto 
� 
equiparabile 
a 
quella 
apposta 
subito 
dopo 
l�ultimo 
rigo 
dell�ultima 
pagina 
dell�atto, 
mentre 
Corte 
Cass., 

RASSEgNA 
AvvOCATURA 
DELLO 
STATO - N. 4/2016 


dicembre 
2010 
n. 
235, 
modificando 
l�art. 
23 
CAD, 
prevede 
che 
le 
copie 
su 
supporto 
analogico 
di 
documento 
informatico, 
anche 
sottoscritto 
con 
firma 
elettronica 
avanzata, qualificata 
o digitale, abbiano la 
stessa 
efficacia 
probatoria 
dell'originale 
da 
cui 
sono tratte 
se 
la 
loro conformit� 
all'originale 
in tutte 
le 
sue 
componenti 
� 
attestata 
da 
un 
pubblico 
ufficiale 
a 
ci� 
autorizzato. 
Le 
copie 
e 
gli 
estratti 
su 
supporto 
analogico 
del 
documento 
informatico, 
conformi 
alle 
vigenti 
regole 
tecniche, hanno la 
stessa 
efficacia 
probatoria 
dell'originale 
se 
la 
loro 
conformit� 
non 
� 
espressamente 
disconosciuta 
e 
resta 
fermo, 
ove 
previsto, l'obbligo di 
conservazione 
dell'originale 
informatico. L�art. 17 d.lgs. 
30 dicembre 
2010 n. 235, che 
modifica 
l�art. 25 d.lgs. 7 marzo 2005, n. 82, in 
materia 
di 
firma 
autentica, 
prevede 
inoltre 
che 
si 
abbia 
per 
riconosciuta, 
ai 
sensi 
dell'art. 
2703 
c.c., 
la 
firma 
elettronica 
o 
qualsiasi 
altro 
tipo 
di 
firma 
avanzata 
autenticata 
dal 
notaio 
o 
da 
altro 
pubblico 
ufficiale 
a 
ci� 
autorizzato. 
Inoltre 
� 
stato 
previsto 
che 
l'autenticazione 
della 
firma 
elettronica, 
anche 
mediante 
l'acquisizione 
digitale 
della 
sottoscrizione 
autografa, o di 
qualsiasi 
altro tipo 
di 
firma 
elettronica 
avanzata, si 
sostanzia 
nell'attestato, da 
parte 
del 
pubblico 
ufficiale, 
che 
la 
firma 
sia 
stata 
apposta 
in 
sua 
presenza 
dal 
titolare, 
e 
che 
la 
sottoscrizione 
sia 
avvenuta 
previo accertamento della 
sua 
identit� 
personale, 
della 
validit� 
dell'eventuale 
certificato elettronico utilizzato e 
del 
fatto che 
il 
documento sottoscritto non � 
in contrasto con l'ordinamento giuridico. In merito 
si 
tenga 
poi 
conto che 
l'apposizione 
della 
firma 
digitale 
da 
parte 
del 
pubblico 
ufficiale 
abbia 
l'efficacia 
e 
sostituisca 
l'apposizione 
di 
sigilli, punzoni, 
timbri, contrassegni 
e 
marchi 
di 
qualsiasi 
genere 
ad ogni 
fine 
previsto dalla 
normativa 
vigente. Se 
al 
documento informatico autenticato deve 
essere 
allegato 
altro 
documento 
formato 
in 
originale 
su 
altro 
tipo 
di 
supporto, 
il 
pubblico 
ufficiale 
pu� 
allegare 
copia 
informatica 
autenticata 
dell'originale, 
secondo 
quanto 
sar� 
previsto 
con 
apposito 
decreto 
del 
Presidente 
del 
Consiglio 
dei 
Ministri. 
Con quest�ultimo provvedimento saranno anche 
individuate 
le 
particolari 
tipologie 
di 
documenti 
analogici 
originali 
unici 
per i 
quali, in ragione 
di 
esigenze 
di 
natura 
pubblicistica, permane 
l'obbligo della 
conservazione 
del-
l'originale 
analogico 
oppure, 
in 
caso 
di 
conservazione 
ottica 
sostitutiva, 
la 
conformit� 
all'originale 
dovr� 
essere 
autenticata 
da 
un notaio o da 
altro pubblico 
ufficiale 
a 
ci� autorizzato con dichiarazione 
da 
questi 
firmata 
digitalmente 
ed 
allegata al documento informatico. 

I sez. civ. 30 agosto 2002 n. 12709, pi� acutamente, ha 
ritenuto sufficiente 
ogni 
forma 
di 
congiunzione 
a patto che la procura fosse collocata nell�atto prima della relazione di notifica. 


LEgISLAzIONE 
ED 
ATTUALIT� 


il risarcimento del danno da fumo 
di sigarette nel diritto vivente 


Nicol� Cocci* 

Sommario: introduzione 
- 1. oltre 
il 
prodotto difettoso: il 
danno da prodotto conforme 


-2. Produzione, commercializzazione 
e 
distribuzione 
delle 
sigarette 
tra norme 
comunitarie 
e 
responsabilit� oggettiva - 3. il 
caso Stalteri 
- 4. La riapertura in italia della questione 
della 
�tobacco litigation� - 5. Brevi considerazioni di analisi economica del diritto. 
introduzione. 


Il 
presente 
articolo si 
propone 
di 
trattare 
in modo sistematico il 
risarcimento 
del 
danno da 
fumo di 
sigarette, prendendo in considerazione 
sia 
i 
riferimenti 
normativi 
positivi 
che 
la 
dottrina 
e 
giurisprudenza 
pi� 
innovative, 
indagando quelle 
che, a 
parere 
di 
chi 
scrive, sono le 
migliori 
soluzioni 
applicate 
e 
pensate 
da 
giudici 
e 
giuristi. Si 
vedr�, infatti, che 
le 
posizioni 
prese 
da 
questi 
non percorrono una 
strada 
unitaria, bens� 
prestano il 
fianco ad una 
pluralit� 
di 
possibili 
rilievi 
critici, essendo ben lontani 
ancora 
da 
una 
soluzione 
giuridica della questione. 


Il 
d.lgs. n. 6 del 
16 gennaio 2016, in tema 
di 
lavorazione, presentazione 
e 
vendita 
dei 
prodotti 
del 
tabacco 
e 
correlati 
in 
attuazione 
della 
direttiva 
2014/40/UE 
ha 
nuovamente 
riaperto la 
discussione 
inerente 
alle 
warnings, le 
oramai 
celebri 
avvertenze 
sulla 
disassuefazione 
da 
fumo contenute 
sulla 
superficie 
dei 
pacchetti 
di 
sigarette; 
il 
Capo 
II 
del 
Titolo 
I 
rubricato 
�Etichettatura 
e 
confezionamento� 
adegua 
a 
riguardo la 
normativa 
italiana 
a 
quella 
europea. 


L�attuazione 
del 
decreto, raggiunta 
a 
maggio scorso, ha 
permesso al 
nostro 
ordinamento di 
eguagliare 
lo standard 
comunitario (1) che 
consisteva 
in 
avvertenze combinate con scritte e fotografie sulla nocivit� del fumo. 


Per 
comprendere 
l�impatto 
che 
ci� 
potrebbe 
avere 
sulla 
cosiddetta 
�tobacco 
litigation� 
� 
necessario 
affrontare 
l�argomento 
da 
un 
punto 
di 
vista 
giuridico 
e 
storico. 


Problema 
di 
non 
poco 
momento 
� 
la 
collocazione 
dell�attivit� 
di 
produzione 
e 
distribuzione 
di 
sigarette 
all�interno 
del 
novero 
delle 
attivit� 
pericolose 
di 
cui 
all�art. 
2050 
c.c. 
ovvero 
al 
di 
fuori 
di 
questo, 
con 
notevoli 
conseguenze 
dal 
punto 
di 
vista 
pratico; 
la 
soluzione 
� 
tutt�altro 
che 
scontata, 


(*) 
Dottore 
in 
giurisprudenza, 
ammesso 
alla 
pratica 
forense 
presso 
l�Avvocatura 
dello 
Stato 
di 
Bologna. 

(1) In specie 
al 
punto 4 dell�art. 9 del 
d.lgs. n. 6/2016 si 
legge 
�Le 
avvertenze 
relative 
alla 
salute 
rimangono intatte 
all�apertura 
della 
confezione 
unitaria, eccetto per le 
confezioni 
con chiusura 
di 
tipo 
flip-top, ove 
le 
avvertenze 
possano essere 
separate 
all�apertura 
della 
confezione, ma 
solo in modo da 
garantire 
l�integrit� 
e 
la 
visibilit� 
del 
testo, delle 
fotografie 
e 
delle 
informazioni 
sulla 
disassuefazione 
da fumo�. 

RASSEgNA 
AvvOCATURA 
DELLO 
STATO - N. 4/2016 


se 
non 
si 
vuole 
prescindere 
da 
una 
nutrita 
fetta 
di 
dottrina 
e 
giurisprudenza 


(2) 
che 
vede 
la 
pericolosit� 
come 
carattere 
inerente 
all�attivit� 
di 
produzione 
e 
non 
del 
prodotto 
finale. 
A 
seguito 
dell�industrializzazione 
della 
societ�, 
con 
conseguente 
aumento 
di 
pericoli 
e 
sinistri, 
il 
criterio 
di 
imputazione 
oggettiva 
del 
danno 
� 
diventato 
da 
eccezione 
al 
2043 
c.c. 
a 
fattispecie 
maggiormente 
utilizzata, 
trasformando 
l�eccezione 
al 
brocardo 
giusnaturalista 
nulla 
poena 
sine 
culpa 
in 
lex 
generalis, 
in 
regola. 


L�etichetta 
di 
�pericolosa� 
attribuita 
all�attivit� 
di 
produzione 
e 
distribuzione 
di 
sigarette 
concederebbe 
un 
notevole 
vantaggio 
ai 
danneggiati 
che, 
una 
volta 
provata 
la 
correlazione 
causale 
fra 
evento 
e 
danno, 
non 
si 
vedrebbero 
altres� 
gravati 
dell�onere 
di 
provare 
la 
colpa 
del 
danneggiante, essendo proprio 
quest�ultimo a 
dover invece 
dar prova 
dell�utilizzo di 
tutte 
le 
misure 
idonee 
ad evitare il danno. 

L�ingresso nella 
scena 
giuridica 
delle 
warnings, risalenti 
al 
1991 (3), fu 
un 
punto 
di 
svolta 
per 
le 
controversie 
attinenti 
alle 
attivit� 
connesse 
al 
tabacco, 
ponendo da 
una 
parte 
legittimi 
interrogativi 
sulla 
condotta 
del 
danneggiato in 
merito al 
concorso del 
fatto colposo del 
creditore 
ex 
art. 1227 c.c., dall�altro 
mitigando la 
responsabilit� 
del 
danneggiante, produttore 
e 
distributore 
di 
tabacco 
in merito all�utilizzo di tutte le misure idonee ad evitare il danno. 

Se 
per i 
casi 
di 
assuefazione 
da 
fumo emersi 
prima 
della 
l. n. 428/1990 si 
poteva 
parlare 
di 
un�inconsapevolezza 
del 
consumatore 
circa 
gli 
effetti 
nocivi 
del 
prodotto 
(e 
prescindendo 
dalla 
seppur 
nota 
consapevolezza 
sociale 
relativa 
ai 
danni) 
in 
ragione 
della 
circostanza 
per 
cui 
tali 
informazioni 
non 
provenivano 
direttamente 
dal 
produttore, ci� non fu pi� possibile 
in seguito: 
con la 
celebre 
etichettatura 
�il 
fumo 
uccide�, 
il 
creditore 
pot� 
essere 
considerato 
danneggiante 
esso stesso, con una 
conseguente 
diminuzione 
o esclusione 
del 
risarcimento. 
E 
ci� 
viene 
precisato 
dalla 
recente 
giurisprudenza 
milanese 
che 
ha 
posto l�accento su tale 
data 
giudicando �venti 
volte� 
pi� grave 
la 
condotta 
del 
danneggiante antecedente alle 
warnings 
(4). 


(2) Trib. Roma, 4 aprile 
1997, in Danno e 
resp., 1997, p. 750, con nota 
di 
CAFAggI, secondo cui 
�non � 
configurabile 
una 
responsabilit� 
per esercizio di 
attivit� 
pericolosa 
del 
produttore 
di 
sigarette, 
dal 
momento 
che 
l�ambito 
della 
norma 
di 
cui 
all�art. 
2050 
c.c. 
� 
limitato 
ai 
danni 
ricollegabili 
ad 
attivit� 
che, nel 
loro svolgimento, creino situazioni 
di 
pericolo o rendano possibile 
il 
verificarsi 
di 
incidenti�; 
Trib. Roma, 11 febbraio 2000, in Giur. it, 2001, p. 1643, con nota 
di 
gIACChERO 
secondo cui: 
�l�attivit� 
di 
produzione 
di 
sigarette 
non configura 
un�attivit� 
pericolosa 
ai 
sensi 
dell�articolo 2050 c.c., in quanto 
la 
potenzialit� 
dannosa 
non deriva 
in maniera 
immediata 
dalle 
modalit� 
del 
processo produttivo n� 
da 
una 
intrinseca 
potenzialit� 
lesiva 
del 
prodotto stesso bens� 
dall�uso reiterato nel 
tempo da 
parte 
del 
consumatore�; 
Trib. 
Roma, 
4 
aprile 
2005, 
in 
De 
Jure, 
www.iusexplorer.it, 
con 
conferma 
dei 
propri 
precedenti 
reiettivi 
delle 
pretese 
attoree 
nonostante 
il 
contrario 
orientamento 
della 
Corte 
d�Appello, 
Sezione 
I, 
sentenza 
7 marzo 2005, in De Jure, www.iusexplorer.it. 
(3) 
Obblighi 
di 
avvertenza 
circa 
i 
rischi, 
mediante 
scritte 
stampate 
sulla 
etichettatura 
del 
prodotto, 
sono stati introdotti con l�art. 46 della l. n. 428/1990 e poi dall�art. 6 del d.lgs. n. 184/2003. 

LEgISLAzIONE 
ED 
ATTUALIT� 


Lo 
comprova 
il 
dato 
che 
la 
pressoch� 
totale 
giurisprudenza 
inerente 
al 
risarcimento 
del 
danno da 
fumo di 
sigarette 
riguardi 
casi 
di 
assuefazione 
precedenti 
al 
1991, con l�evidente 
difficolt� 
per gli 
attori 
di 
dimostrare 
l�obbligo 
giuridico 
di 
produttori 
e 
distributori 
di 
adottare 
standard 
tecnici 
volti 
ad 
evitare 
il 
danno. Di 
fatto, la 
responsabilit� 
per condotta 
omissiva 
imputabile 
al 
produttore 
trova 
forza 
giuridica 
nel 
principio dell�art. 40 del 
codice 
penale, a 
tenore 
del 
quale 
non 
impedire 
un 
evento, 
che 
si 
ha 
l�obbligo 
giuridico 
di 
evitare, 
equivale 
a 
cagionarlo. Si 
vedr�, nelle 
parti 
del 
presente 
articolo dedicate 
alla 
giurisprudenza, 
come 
nel 
noto 
caso 
Stalteri 
i 
giudici 
abbiano 
trovato 
nella 
Costituzione 
la fonte degli obblighi gravanti sui produttori (5). 

Una 
volta 
ammesso 
che 
il 
carattere 
pericoloso 
possa 
trasmigrare 
dall�attivit� 
al 
prodotto, 
rendendo 
dunque 
possibile 
l�applicazione 
dell�art. 
2050 
c.c., 
diviene 
ardua 
la 
delimitazione 
dei 
confini 
tra 
la 
disciplina 
contenuta 
in 
detta 
norma 
e 
quella 
introdotta 
dalla 
Direttiva 
sui 
prodotti 
difettosi 
(6), 
attuata 
con 
d.P.R. 
n. 
224/1988 
e 
poi 
trasfuso 
negli 
artt. 
114 
e 
seguenti 
del 
codice 
del 
consumo. 


La 
dottrina 
non ha 
mancato di 
chiedersi 
se 
l�omissione 
delle 
avvertenze 
potesse 
essere 
valutata 
alla 
stregua 
di 
difetto 
del 
prodotto, 
con 
conseguente 
applicazione 
della 
direttiva, ovvero se, ritenuta 
impercorribile 
tale 
strada, la 
questione 
sia 
da 
ricomprendere 
nell�area 
del 
danno da 
prodotto conforme 
(7). 
I giudici 
milanesi 
hanno osservato che 
le 
sigarette 
sono prodotti 
pericolosi 
in 
relazione 
all�uso 
normale 
che 
se 
ne 
fa, 
ma 
non 
costituiscono 
prodotti 
pericolosi 
in quanto difettosi; 
quindi 
non verrebbe 
in gioco la 
disciplina 
consumeristica. 


Come 
� 
stato 
sostenuto 
in 
dottrina 
(8), 
il 
problema 
deve 
essere 
affrontato 
con 
estrema 
cura 
dal 
momento 
che 
l�art. 
2050 
c.c. 
regola 
una 
forma 
di 
responsabilit� 
che 
non 
� 
stata 
concepita 
per 
dare 
risposta 
al 
problema 
dei 
danni 
correlati 
alla 
produzione 
di 
massa, 
ma 
che 
� 
stata 
ad 
esso 
adattata 
in 
un 
momento 
in 
cui 
occorreva 
colmare 
la 
lacuna 
dipesa 
dall�assenza 
di 
una 
specifica 
regolamentazione. 


D�altra 
parte 
l�affermazione 
della 
conformit� 
del 
prodotto 
apre 
nuovi 
scenari, 
il 
cui 
esame 
deve 
essere 
condotto 
anche 
facendo 
riferimento 
alla 
pi� 
esperta 
e 
pronta 
scuola 
americana. 
In 
tale 
prospettiva, 
si 
pu� 
rilevare 
come 
uno 
standard 
di 
sicurezza, 
anche 
se 
espressamente 
previsto, 
come 
nel 
caso 
delle 
avvertenze 
del 
1991, 
non 
sia 
identificabile 
come 
rimedio 
massimo, 
bens� 


(4) Trib. di Milano, 11 luglio 2014, n. 9235, in De Jure, www.iusexplorer.it. 
(5) Corte 
d�Appello di 
Roma, 7 marzo 2005, n. 1015, in De 
Jure, www.iusexplorer.it: 
�E 
poich� 
quella 
insidia 
aveva 
come 
bersaglio 
la 
salute, 
ossia 
un 
bene 
primario 
dell�uomo, 
tutelato 
dalla 
Carta 
Costituzionale 
come 
diritto 
fondamentale 
del 
cittadino, 
l�Ente 
era 
obbligato 
ad 
usare 
ogni 
cautela 
per 
evitare 
che il rischio si tramutasse in danno completo�. 
(6) Ci si riferisce alla direttiva 85/374/CEE. 
(7) In tale 
senso MONTINARO 
R., �il 
tormentato percorso della giurisprudenza sul 
tema dei 
danni 
da fumo attivo�, in resp. civ. e prev., 2015, p. 588. 
(8) MONTINARO 
R., ibidem. 

RASSEgNA 
AvvOCATURA 
DELLO 
STATO - N. 4/2016 


come 
standard 
minimo, 
condizione 
necessaria 
ma 
non 
sufficiente 
ad 
escludere 
la 
responsabilit� 
del 
danneggiante 
(9): 
in 
tale 
senso 
si 
suole 
parlare 
di 
prodotti 
conformi agli 
standard 
tecnici ma ad ogni modo idonei a cagionare danni. 


Sulla 
base 
di 
tali 
premesse, a 
parere 
di 
chi 
scrive, sono notevoli 
le 
conseguenze 
del 
d.lgs. 
n. 
6/2016 
che, 
innovando 
le 
avvertenze 
con 
la 
combinazione 
di 
scritte 
e 
fotografie, implicitamente 
sancisce 
l�inadeguatezza 
di 
quelle 
precedenti, 
legittimando il dubbio sul loro livello di sicurezza. 

Anche 
per i 
casi 
di 
assuefazione 
da 
fumo successivi 
al 
1991 si 
potrebbe, 
in astratto, configurare una responsabilit� del produttore-distributore. 

Nel 
celebre 
caso 
Stalteri, 
giurisprudenza 
da 
cui 
non 
si 
pu� 
prescindere 
stante 
la 
portata 
pioneristica 
della 
fattispecie, i 
congiunti 
della 
vittima 
fumatrice 
chiesero il 
risarcimento del 
danno per la 
morte 
causata 
dalla 
neoplasia. 
In occasione 
della 
morte, infatti, da 
una 
parte 
si 
trasmettono iure 
successionis 
le 
pretese 
risarcitorie 
gi� 
entrate 
nel 
patrimonio del 
de 
cuius, e 
quindi, con riferimento 
all�evento morte, il 
danno alla 
salute 
che 
sia 
sorto quando vi 
sia 
un 
�apprezzabile 
lasso di 
tempo tra le 
lesioni 
subite 
dalla vittima del 
danno e 
la 
morte 
causata dalle 
stesse� 
(10). Dall�altra, in capo ai 
congiunti 
si 
crea 
un insieme 
di 
diritti 
soggettivi 
al 
risarcimento 
del 
danno 
patrimoniale 
e 
non, 
vantati 
iure 
proprio, quale 
conseguenza 
della 
diminuzione 
patrimoniale 
o morale 
subita 
per effetto dell�illecito. 


In conclusione 
si 
vorr� 
analizzare 
il 
fenomeno della 
responsabilit� 
civile 
nella 
sua 
accezione 
pi� 
ampia 
ovvero 
nella 
sua 
dimensione 
sociale, 
ricercando 
quali 
siano le 
possibili 
soluzioni 
economicamente 
pi� efficienti 
in tema 
di 
distribuzione 
di 
rischi, appartenenti 
anche 
ad altri 
settori. L�inadeguatezza 
della 
responsabilit� 
oggettiva 
ha 
indotto la 
dottrina 
a 
chiedersi 
se 
non fossero pi� 
efficaci 
sistemi 
stragiudiziali 
di 
indennizzo garantiti, come 
quello di 
Blum 
e 
Kalven 
di 
cui 
parla 
guido Calabresi 
gi� 
nel 
1975, che 
avrebbe 
tutelato tutte 
le 
vittime 
di 
sinistri 
stradali, offrendo un risarcimento anche 
a 
coloro che 
non vi 
avrebbero avuto diritto, purch� 
il 
costo addizionale 
di 
tale 
estensione 
venisse 
posto a carico delle entrate tributarie dello Stato (11). 

Si 
tratterebbe 
di 
dare 
positivit� 
e 
certezza 
a 
tutti 
i 
casi 
di 
danno da 
fumo 
di 
sigarette, superando le 
incertezze 
che 
ancora 
caratterizzano giurisprudenza 
e 
dottrina 
nella 
ricerca 
di 
un criterio normativo per il 
risarcimento in favore, 
ad 
esempio, 
di 
una 
distribuzione 
del 
costo 
degli 
incidenti 
a 
carico 
di 
tutti 
i 
consumatori 
e 
produttori, da 
cui 
trarre 
un sicuro indennizzo per i 
danneggiati. 

(9) In tale 
senso vedi 
AL 
MUREDEN 
E., �il 
danno da prodotto conforme. Le 
soluzioni 
europee 
e 
statunitensi nella prospettiva del T.T.i.P.�, in Contratto e impresa, 2015, p. 388. 
(10) Cass. civ., 26 settembre 
1997, n. 9470, in De 
Jure, www.iusexplorer.it, che 
aveva 
giudicato 
insufficiente 
un�agonia 
rispettivamente 
di 
tre 
giorni 
e 
di 
alcune 
ore; 
v. anche 
Cass. Civ., 2 aprile 
2001, 
n. 4783, in De Jure, www.iusexplorer.it. 
(11) CALABRESI 
g., il costo degli incidenti, Milano, 1975 (rist. 2015), p. 29. 

LEgISLAzIONE 
ED 
ATTUALIT� 


1. oltre il prodotto difettoso: il danno da prodotto conforme. 
Il 
fenomeno 
del 
risarcimento 
del 
danno 
da 
fumo 
di 
sigarette 
� 
una 
questione 
dalle 
numerose 
sfaccettature: 
da 
un 
lato, 
come 
gi� 
accennato, 
esiste 
un 
orientamento 
giurisprudenziale 
che 
lo 
colloca 
nella 
fattispecie 
prevista 
dall�art. 
2050 
c.c.; 
dall�altro, 
parte 
della 
dottrina 
ne 
ha 
ravvisato 
la 
difformit� 
dagli 
standard 
inserendolo 
nel 
grande 
capitolo 
dei 
danni 
da 
prodotti 
difettosi; 
da 
altro 
punto 
di 
vista, 
alcuni 
Autori 
ne 
hanno 
tentato 
l�accostamento 
al 
danno 
da 
prodotto 
conforme 
elaborato 
dalla 
scuola 
americana. 
Risulta 
dunque 
evidente 
che 
la 
collocazione 
giuridica 
del 
danno 
da 
fumo 
di 
sigarette 
� 
tutt�altro 
che 
scontata: 
la 
produzione 
di 
sigarette 
costituisce 
del 
resto 
uno 
degli 
esempi 
di 
massificazione 
dei 
danni, 
ossia 
di 
quel 
fenomeno 
generato 
dalla 
dannosit� 
dei 
prodotti 
che 
� 
conseguenza 
di 
una 
loro 
non 
conformit� 
ad 
uno 
stato 
dell�arte 
ideale, 
ovvero 
quale 
dannosit� 
insita 
in 
re 
ipsa, 
seppure 
non 
etichettabile 
quale 
difettosa. 


gi� 
dagli 
anni 
Sessanta 
la 
dottrina 
aveva 
evidenziato la 
necessit� 
di 
leggere 
la 
responsabilit� 
civile 
facente 
riferimento 
alla 
grande 
produzione 
sia 
con 
la 
lente 
della 
responsabilit� 
oggettiva, 
sia 
facendone 
derivare 
un 
ragionamento 
di 
costi 
da 
suddividere 
tra 
produttore 
e 
consumatore: 
�ove 
il 
sistema 
giuridico 
non 
attribuisca 
all�imprenditore 
il 
costo 
del 
rischio 
che 
egli 
crea, 
pu� 
accadere 
che 
imprese 
marginali 
o settori 
marginali 
di 
impresa siano attivi 
dal 
punto di 
vista 
del 
singolo 
imprenditore, 
laddove 
dal 
punto 
di 
vista 
sociale 
siano 
passivi, 
distruggendo un valore 
maggiore 
di 
quello che 
producono, e 
si 
mantengano 
in vita solo in quanto una parte 
del 
loro passivo sociale, e 
cio� 
il 
costo del 
rischio 
di esse introdotto nella societ�, venga pagato dal pubblico� 
(12). 

Negli 
anni 
Settanta 
la 
Commissione 
europea 
propose 
l�approvazione 
di 
una 
direttiva 
sul 
danno 
da 
prodotti 
difettosi, 
non 
gi� 
innovando 
le 
prassi 
dottrinali 
e 
giurisprudenziali 
dell�epoca, 
ma 
attenendosi 
a 
quella 
che 
era 
una 
oramai 
comune 
visione 
degli 
Stati 
membri 
di 
intendere 
la 
responsabilit� 
del 
produttore 
quale 
oggettiva 
(13). 
gli 
imprenditori 
mostrarono 
una 
forte 
pre


(12) TRIMARChI 
P., rischio e 
responsabilit� oggettiva, Milano, 1961, p. 35; 
PACChIONI 
g., 
Delitti 
e 
quasi-delitti, Padova, 1940, p. 214, nella 
quale 
si 
legge: 
�Nel 
campo economico l�attivit� 
individuale 
ha 
per effetto di 
modificare 
continuamente 
i 
patrimoni 
dei 
singoli, diminuendoli 
o aumentandoli, ma 
il 
senso 
dell�interesse 
comune 
decide 
se 
la 
diminuzione 
di 
un 
patrimonio 
causata 
da 
unito 
individuale 
altrui, debba 
essere 
definitiva 
(cio� 
non risarcita), o temporanea 
soltanto (cio� 
risarcita). Ove 
l�attivit� 
che 
ha 
causato il 
danno sia 
pura 
attivit� 
biologica, il 
danno sar� 
definitivo, cio� 
irrisarcibile, purch� 
al-
l�agente 
non si 
possa 
addebitare 
negligenza 
nei 
rapporti 
dei 
consociati; 
ove 
invece 
l�attivit� 
sia 
intesa 
a 
procurare 
un 
aumento 
del 
patrimonio 
dell�agente 
e, 
per 
raggiungere 
questo 
fine, 
debba 
anche, 
senza 
colpa 
dell�agente, recare 
danni 
a 
terzi, questi 
danni 
vanno risarciti 
perch� 
rappresentano il 
passivo dei 
vantaggi 
che 
vanno 
esclusivamente 
all�agente. 
Costui 
non 
potr� 
invocare 
la 
sua 
assenza 
di 
colpa 
per 
non risarcire i danni arrecati con la sua attivit��. 
(13) In tale 
senso, CASTRONOvO 
C., Problema e 
sistema del 
danno da prodotti, Milano, 1979, p. 
523, nella 
quale 
si 
legge: 
�L�analisi 
di 
quest�ultimo aspetto � 
stata 
condotta 
utilmente 
da 
Trimarchi, che 
ha 
utilizzato sul 
punto procedimenti 
ermeneutici 
da 
lui 
stesso gi� 
sperimentati 
in tema 
di 
illecito civile. 

RASSEgNA 
AvvOCATURA 
DELLO 
STATO - N. 4/2016 


occupazione, 
temendo 
l�addivenire 
di 
un 
sistema 
pressoch� 
simile 
a 
quello 
americano, 
a 
tal 
punto 
da 
spingere 
la 
Commissione 
negli 
anni 
Ottanta 
a 
�rassicurare� 
l�industria 
sulle 
differenze 
tra 
il 
sistema 
americano 
e 
quello 
�europeo�, 
che 
gi� 
vedeva 
un�improvvisa 
impennata 
dei 
costi 
alla 
voce 
responsabilit� 
civile; 
si 
riporta 
una 
delle 
rassicurazioni 
ai 
fini 
di 
una 
migliore 
comprensione: 
�La 
preoccupazione 
dell�industria 
nei 
confronti 
della 
Direttiva 
� 
in 
parte 
dovuta 
all�esistenza 
di 
storie 
scoraggianti 
provenienti 
dagli 
Stati 
Uniti, 
dove 
la 
responsabilit� 
oggettiva 
esiste 
gi�. 
molte 
di 
queste 
storie 
erano 
apocrife. 
inoltre, 
il 
sistema 
legale 
negli 
Stati 
Uniti 
� 
molto 
differente 
da 
quello 
della 
Comunit� 
e 
dei 
suoi 
Stati 
membri. 
Negli 
Stati 
Uniti, 
i 
giuristi 
operano 
sulla 
base 
di 
contingency 
fees, 
spesso 
in 
azioni 
di 
classe, 
in 
maniera 
tale 
che 
l�attore 
possa 
adire 
le 
corti 
senza 
pensare 
troppo 
al 
costo 
del 
contenzioso 
[...] 
in 
aggiunta, 
negli 
Stati 
Uniti 
i 
danni 
sono 
attribuiti 
dalle 
giurie 
[... 
e] 
talvolta 
vengono 
accordati 
danni 
punitivi. 
L�esperienza 
americana 
� 
una 
guida 
poco 
affidabile 
sul 
problema 
delle 
conseguenze 
sulla 
direttiva 
CEE 
per 
l�industria� 
(14). 


Parallelamente 
ad 
una 
diffusa 
commercializzazione 
in 
tutti 
gli 
Stati 
membri 
di 
taluni 
prodotti, l�intenzione 
del 
legislatore 
europeo fu quella 
di 
armonizzare 
il 
diritto 
privato 
degli 
Stati 
membri 
in 
modo 
da 
garantire 
una 
tutela 
pressoch� 
comune 
su tutto il 
suolo europeo. Proprio la 
recentissima 
direttiva 


(15) in materia 
di 
produzione 
di 
sigarette, che 
disciplina 
altres� 
le 
novelle 
avvertenze 
combinate 
(immagini 
e 
testo), 
conferma 
non 
solo 
quanto 
fosse 
giusto 
raggiungere 
l�uniformit� 
di 
tutela 
ma 
anche 
l�utilit� 
dello strumento della 
direttiva 
per diffondere 
a 
macchia 
d�olio i 
nuovi 
obiettivi 
in tema 
di 
danno da 
prodotti. 
Nota 
questo autore 
che 
il 
concetto stesso di 
colpa, quando si 
tratta di 
prestazioni 
di 
impresa, � 
inteso 
dalla 
giurisprudenza 
con 
particolare 
rigore; 
il 
che 
significa 
che 
ogni 
disfunzione, 
che 
sia 
oggettivamente 
evitabile 
attraverso particolari 
misure 
tecniche 
ed organizzative, viene 
considerata colpevole 
e 
fonte 
di 
responsabilit�. 
In 
ultima 
analisi 
la 
responsabilit� 
finisce 
per 
essere 
esclusa 
solo 
quando 
l�inadempimento 
sia dovuto a cause 
estranee 
alla sfera di 
controllo e 
di 
pianificazione 
dell�imprenditore. L�implicazione 
teorica 
� 
in re 
ipsa: 
una 
sedicente 
responsabilit� 
per colpa 
affermata 
in questi 
termini 
cambia sostanzialmente 
natura e diventa responsabilit� oggettiva�; 
TRIMARChI 
P., ibidem. 


(14) 
Il 
passo 
� 
cos� 
riportato 
da 
PARSOLESI 
R. 
e 
CARUSO 
D., 
Per 
una 
storia 
della 
direttiva 
1985/374/CEE, 
in 
ENRICO 
AL 
MUREDEN 
(a 
cura 
di), 
La 
sicurezza 
dei 
prodotti 
e 
la 
responsabilit� 
del 
produttore, Torino, 2015, p. 40; 
per uno sguardo generale 
sulla 
direttiva 
e 
la 
sua 
nascita 
cfr. vILLANI 
L., 
il 
danno da prodotto tra la direttiva CEE 
n. 374/1985, il 
d.P.r. n. 224/1988 ed il 
Codice 
del 
Consumo, 
in resp. civile 
e 
prev., pp. 1238-1248, nel 
quale 
si 
legge: 
�Prima 
della 
direttiva 
85/374/CEE 
mancava 
una 
normativa 
speciale 
che 
disciplinasse 
la 
responsabilit� 
del 
produttore 
per 
il 
danno 
derivante 
dalla 
circolazione 
di 
prodotti 
difettosi. 
La 
tutela 
del 
consumatore 
era 
affidata 
alla 
disciplina 
comune 
della 
vendita 
e 
della 
responsabilit� 
civile. La 
Direttiva 
(trasposta 
in Italia 
nel 
d.P.R. 22471988) ha 
profondamente 
innovato nella 
materia 
e 
ci� si 
coglie 
fin dall�art. 1 Codice 
del 
Consumo (nel 
quale 
a 
sua 
volta 
� 
stato trasposto il 
d.P.R. 224/1988) il 
quale 
prevede 
che 
il 
produttore 
sia 
responsabile 
per i 
danni 
causati 
da 
difetti 
del 
suo prodotto attraverso il 
criterio della 
responsabilit� 
oggettiva�; 
cfr. anche 
gALgANO 
F., 
responsabilit� del produttore, in Contratto e impresa, 1986, pp. 995-1012. 
(15) Ci si riferisce alla direttiva 2014/40/UE. 

LEgISLAzIONE 
ED 
ATTUALIT� 


L�approvazione 
con 
voto 
unanime 
degli 
Stati 
membri 
della 
direttiva 
1984/374/CEE, 
come 
da 
previsione, 
non 
port� 
a 
cambiamenti 
notevoli, 
proprio 
per la 
sua 
funzione 
di 
cristallizzazione 
dei 
gi� 
consolidati 
orientamenti 
degli 
Stati 
Membri 
confinando la 
responsabilit� 
in capo ai 
produttori 
e 
rimanendo 
distante 
dal 
modello americano, soprattuto in riferimento alle 
class 
action. A 
distanza 
di 
tre 
anni, il 
nostro ordinamento recep� 
la 
direttiva 
con il 
d.P.R. n. 
224/1988, 
ora 
confluito 
nel 
Codice 
del 
consumo. 
L�articolo 
114 
del 
cod. 
cons. 
prevede 
che 
�il 
produttore 
� 
responsabile 
del 
danno cagionato da difetti 
del 
suo 
prodotto�: 
si 
tratta 
dunque 
di 
strict 
liability 
proprio 
in 
ragione 
della 
scelta 
del 
legislatore 
di 
prescindere 
dall�inserimento 
della 
colpa 
quale 
criterio 
di 
imputazione, 
sia 
in 
tale 
sede 
che 
nelle 
cause 
di 
esclusione 
della 
responsabilit� 
disciplinate all�art. 118. 

Un prodotto � 
considerato difettoso quando non offre 
la 
sicurezza 
che 
ci 
si 
pu� 
legittimamente 
attendere 
tenuto 
conto 
delle 
circostanze, 
tra 
cui 
vengono 
annoverati 
�il 
modo 
in 
cui 
� 
stato 
messo 
in 
circolazione, 
la 
sua 
presentazione, 
le 
sue 
caratteristiche 
palesi, le 
istruzioni 
e 
le 
avvertenze 
fornite�, �l�uso al 
quale 
il 
prodotto 
pu� 
essere 
ragionevolmente 
destinato 
e 
i 
comportamenti 
che, 
in relazione 
ad esso, si 
possono legittimamente 
prevedere� 
e 
�il 
tempo in cui 
il 
prodotto � 
stato messo in circolazione� 
(16). La 
direttiva 
ha 
dunque 
sancito 
la 
regola 
secondo cui 
la 
responsabilit� 
del 
produttore 
si 
fonda 
sulla 
prova 
del-
l�esistenza del nesso causale tra il danno subito e l�utilizzo del prodotto. 

Una 
variazione 
testuale 
si 
riscontra 
tra 
la 
direttiva 
e 
il 
d.P.R. 
n. 
224/1988: 
la 
prima 
parla 
di 
�difetto� 
mentre 
il 
nostro legislatore 
ha 
utilizzato il 
termine 
al 
plurale, 
con 
l�intenzione 
di 
rimandare 
alle 
varie 
tipologie 
di 
difetti 
quali 
quelli 
di 
costruzione, fabbricazione 
e 
quelli 
che 
tali 
risultano in seguito allo 
sviluppo scientifico e 
tecnico successivo alla 
messa 
in circolazione 
del 
prodotto; 
un quarto tipo si 
trova 
accostato ai 
precedenti 
ed � 
quello dei 
prodotti 
non accompagnati 
da 
adeguate 
istruzioni 
per l�uso e 
dalle 
avvertenze 
necessarie 
a prevenire inconvenienti che dall�uso possano derivare (17). 

La 
prima 
legge 
sulle 
warnings 
nel 
nostro ordinamento risale 
al 
1990, la 


n. 428 del 
29 dicembre, risultando prima 
di 
allora 
inesistente 
qualsiasi 
comunicazione 
da 
parte 
del 
produttore-distributore 
circa 
la 
nocivit� 
del 
fumo; 
tuttavia 
gi� 
allora, 
come 
sottolineato 
a 
pi� 
riprese 
dai 
convenuti 
nelle 
controversie 
di 
tobacco litigation, era 
fatto notorio che 
�il 
fumo uccide�. Prima 
di 
tale 
data 
� 
dunque 
configurabile 
il 
prodotto come 
non difettoso, in ragione 
della 
mancanza 
di 
un 
norma 
positiva 
che 
obbligasse 
il 
produttore-distributore 
ad 
inserire 
le avvertenze; successivamente la questione divenne invece pi� complicata. 
(16) Si tratta dell�articolo 117 del cod. cons.: lettere a), b) e c). 
(17) 
CASTRONOvO 
C., 
La 
nuova 
responsabilit� 
civile, 
op. 
cit., 
p. 
689; 
per 
gli 
ultimi 
aggiornamenti 
in materia 
di 
prodotto difettoso cfr. BITETTO 
A., �Product 
lability�: la prova del 
difetto nella sicurezza 
disattesa, in Danno e resp., 2016, pp. 17-21. 

RASSEgNA 
AvvOCATURA 
DELLO 
STATO - N. 4/2016 


L�ordinamento europeo, cos� 
come 
quello statunitense, ha 
visto una 
sempre 
maggiore 
diffusione 
di 
normazione 
tecnica 
che 
definisce 
gli 
standards 
di 
sicurezza 
dei 
prodotti 
sui 
quali 
circostanziare 
la 
�sicurezza 
che 
il 
consumatore 
si 
pu� 
legittimamente 
attendere�: 
ci� 
non 
ha 
interessato 
tutti 
i 
prodotti 
e 
di 
fatto per alcuni 
rimane 
sic 
et 
simpliciter 
il 
principio per cui 
il 
livello di 
sicurezza 
richiesto 
� 
quello 
che 
il 
consumatore 
pu� 
legittimamente 
attendersi, 
mentre 
per 
altri, 
come 
le 
sigarette, 
il 
legislatore 
europeo 
ha 
provveduto 
a 
introdurre 
norme 
giuridiche 
riferite 
a 
standards 
tecnici 
obbligatori; 
proprio l�ultimo d.l. 


n. 
6/2016, 
recependo 
la 
direttiva 
2014/40/UE 
sul 
riavvicinamento 
delle 
disposizioni 
legislative, 
regolamentari 
e 
amministrative 
relative 
alla 
lavorazione, 
presentazione 
e 
vendita 
del 
tabacco e 
correlati, presenta 
al 
Titolo II, Capo I e 
II, standards 
tecnici 
riguardanti 
rispettivamente 
�ingredienti 
ed emissioni� 
e 
�Etichettatura e confezionamento�. 
Oggi 
non solo sono presenti 
warnings 
scritte, bens� 
cՏ 
la 
necessaria 
correlazione 
di 
queste 
ad immagini, proprio al 
fine 
di 
evitare 
dubbi 
circa 
la 
consapevolezza 
di 
dannosit� 
nel 
consumatore 
di 
tabacco: 
ogni 
pacchetto 
di 
sigarette 
messo in commercio nel 
rispetto del 
decreto legge 
sopra 
citato potr� 
a rigor di logica essere etichettato quale �conforme�. 

Nonostante 
la 
conformit� 
alle 
prescrizioni 
legali 
tecniche, numerosi 
prodotti, 
tra 
i 
quali 
di 
certo le 
sigarette, mantengono il 
loro grado di 
dannosit� 
e 
sotto tale 
profilo assume 
un importante 
ruolo la 
distinzione 
tra 
prodotto difettoso 
e 
prodotto dannoso: 
le 
due 
categorie 
non solo non sempre 
coincidono ma 
non 
cՏ 
stato 
nel 
nostro 
ordinamento 
uno 
studio 
appurato 
di 
tali 
casi 
n� 
a 
livello 
giurisprudenziale 
n� 
a 
livello 
interpretativo 
(18). 
La 
dottrina 
(19) 
ha 
suggerito 
perci� di 
fare 
riferimento, quale 
possibile 
modello, alla 
disciplina 
contenuta 
nel 
restatement 
Second e 
restatement 
third 
statunitense: 
in tale 
ambito se 
da 
un lato, come 
accade 
nel 
nostro ordinamento, il 
prodotto che 
non rispetta 
gli 
standards 
� 
difettoso, 
dall�altro 
non 
si 
pu� 
affermare 
che 
il 
prodotto 
conforme 
a 
leggi 
e 
regolamenti 
sia 
senz�altro sicuro; 
le 
norme 
sulla 
sicurezza 
dei 
prodotti, 
statali 
o 
federali, 
devono 
essere 
in 
linea 
di 
massima 
intese 
cio� 
come 
minimum standards. 


Se 
dovessimo 
applicare 
tali 
assunti 
alla 
produzione 
e 
distribuzione 
di 
sigarette 
si 
potrebbe 
arrivare 
ad 
affermare, 
a 
parere 
di 
chi 
scrive, 
che 
le 
warnings 
della 
legge 
del 
1991, 
proprio 
per 
la 
loro 
susseguente 
modificazione 
(20) 
ovvero 
per 
la 
presenza 
di 
avvertenze 
combinate 
negli 
altri 
Paesi 
gi� 
da 
prima 
dell�ultimo 
d.l., 
assurgano 
a 
rango 
di 
minimum 
standards, 
il 
rispetto 
dei 
quali 
� 
condizione 
necessaria 
ma 
non 
sufficiente 
ad 
escludere 
l�ipotesi 
di 
risarcimento 
del 
danno. 


(18) Cos� 
AL 
MUREDEN 
E., La responsabilit� del 
fabbricante 
nella prospettiva della standardizzazione 
delle regole sulla sicurezza dei prodotti, in op. cit. 
(19) ibidem. 
(20) Il 
riferimento � 
sempre 
alla 
direttiva 
2014/40/UE 
attuata 
con il 
decreto legislativo n. 6 del 
16 
gennaio 2016. 

LEgISLAzIONE 
ED 
ATTUALIT� 


Nell�analisi 
giurisprudenziale 
italiana 
il 
problema 
del 
�danno 
da 
prodotto 
conforme� 
non viene 
delineato con chiarezza, soprattutto per quanto riguarda 
la 
considerazione 
dei 
cosiddetti 
standards 
armonizzati, rendendo difficile 
individuare 
regole 
generali 
che 
consentano di 
affermare 
se 
sussista 
o meno una 
responsabilit� 
del 
produttore 
anche 
qualora 
i 
danni 
cagionati 
provengano da 
oggetto conforme alla normativa tecnica. 

In materia 
di 
danno da 
prodotti 
possono individuarsi 
tre 
categorie 
di 
decisioni: 
una 
prima 
raccolta 
parametra 
il 
carattere 
difettoso del 
prodotto sulla 
base 
della 
�sicurezza 
che 
il 
consumatore 
pu� legittimamente 
attendere�, una 
seconda 
ha 
applicato 
la 
disciplina 
della 
responsabilit� 
oggettiva 
per 
attivit� 
pericolosa 
di 
cui 
all�art. 
2050 
c.c. 
in 
luogo 
del 
Codice 
del 
consumo 
(suscitando 
perplessit� 
in dottrina 
anche 
con riferimento alla 
preemption 
del 
diritto europeo), 
mentre 
solo in un ristrettissimo numero di 
casi 
� 
stata 
ravvisata 
la 
necessit� 
di 
risolvere 
il 
problema 
della 
responsabilit� 
del 
produttore 
basando il 
giudizio di difettosit� del prodotto sugli 
standards 
(21). 

La 
responsabilit� 
del 
produttore 
per 
i 
danni 
cagionati 
da 
un 
prodotto 
conforme 
alla 
normativa 
tecnica 
� 
stata 
affermata 
in una 
sentenza 
riguardante 
i 
danni 
cagionati 
da 
un 
motoveicolo 
conforme 
sia 
agli 
standards 
europei 
(ECE) 
che 
americani 
(FMvSS), conformit� 
che 
era 
condizione 
necessaria 
per ottenere 
l�omologazione 
del 
veicolo, ma 
ritenuta 
non sufficiente 
ad escludere 
la 
responsabilit� 
del 
fabbricante 
(22). 
Del 
resto, 
il 
comma 
4 
dell�art. 
105 
cod. 
cons. prevede 
la 
possibilit� 
che 
le 
Autorit� 
Competenti 
ordinino il 
ritiro dal 
mercato 
del 
prodotto 
nonostante 
la 
sua 
conformit� 
a 
standards 
tecnici, 
se 
questo 
si 
rivela 
comunque 
pericoloso per la 
sicurezza 
del 
consumatore: 
la 
nostra 
disciplina 
positiva 
prevede 
quindi 
la 
possibilit� 
di 
un prodotto conforme 
agli 
standards 
tecnici e tuttavia dannoso. 


Altre 
decisioni 
relative 
a 
danni 
da 
cosmetici 
o 
apparecchiature 
mediche 
conformi 
agli 
standards 
legislativi, 
e 
tuttavia 
fonti 
di 
danni, 
porterebbero 
invece 
ad 
escludere 
la 
responsabilit� 
del 
produttore 
per 
i 
danni 
provocati 
da 


(21) AL 
MUREDEN 
E., La responsabilit� del 
fabbricante 
nella prospettiva della standardizzazione 
delle regole sulla sicurezza dei prodotti, in op. cit. 
(22) Trib. di 
Pisa, 16 marzo 2011, con commento di 
BITETTO 
A., Dal 
biscotto al 
pan carr�: il 
tortuoso 
percorso della responsabilit� da prodotto, in Danno e 
resp., 2011, p. 67 e 
ss.: 
il 
caso riguard� il 
ciclomotore 
Piaggio 
gilera 
Runner 
FXR 
che, 
divampato 
a 
seguito 
della 
collisione 
del 
veicolo 
con 
il 
muro di 
protezione 
della 
strada 
statale 
Aurelia, provoc� gravissime 
lesioni 
al 
conducente: 
le 
pretese 
attoree 
si 
basarono sulla 
difettosit� 
del 
prodotto circostanziata 
ad uso �normale� 
della 
cosa, tenuto conto 
dei 
criteri 
specificati 
dall�articolo 117 cod. cons. con riferimento specifico ai 
difetti 
di 
progettazione. In 
particolare 
il 
difetto di 
progettazione 
consisterebbe 
nel 
posizionamento del 
serbatoio, incastrato tra 
i 
tubolari 
del 
telaio, con la 
conseguenza 
che 
ogni 
deformazione 
del 
telaio si 
trasmette 
al 
serbatoio; 
inoltre 
dal 
momento che 
i 
sinistri 
stradali 
costituiscono eventi 
non eccezionali, tanto che 
i 
crash test 
sono obbligatori 
per la 
messa 
in circolazione 
dei 
ciclomotori, non pu� dirsi 
interrotto il 
nesso di 
causalit� 
tra 
il 
difetto 
di 
progettazione 
e 
l�evento 
lesivo. 
Nonostante 
l�omologazione 
del 
ciclomotore 
agli 
standards 
europei 
ed 
americani, 
il 
giudice 
dichiar� 
sussistente 
il 
nesso 
di 
causalit� 
tra 
difetto 
di 
progettazione 
ed 
evento lesivo accogliendo le pretese risarcitorie attoree. 

RASSEgNA 
AvvOCATURA 
DELLO 
STATO - N. 4/2016 


prodotti 
non 
difettosi. 
L�eterogeneit� 
delle 
soluzioni 
non 
consente 
quindi 
di 
individuare 
un 
principio 
univoco 
in 
base 
al 
quale 
venga 
affermata 
o 
meno 
la 
responsabilit� 
del 
produttore: 
� 
in 
tale 
contesto 
che 
si 
insinuano 
le 
sentenze 
in 
materia 
di 
risarcimento 
del 
danno 
da 
fumo 
di 
sigarette 
basata 
sul-
l�art. 
2050 
del 
c.c. 


Tali 
pronunce, 
oltre 
a 
complicare 
notevolmente 
l�assetto 
sino 
ad 
ora 
delineato, 
hanno 
anche 
posto 
dubbi 
in 
dottrina 
circa 
la 
corretta 
applicazione 
delle 
norme 
di 
diritto 
interno 
sulla 
responsabilit� 
civile 
a 
scapito 
di 
quelle 
comunitarie, 
in 
particolare 
della 
direttiva 
sul 
danno 
da 
prodotti 
difettosi: 
un 
Autore 
(23) 
infatti, 
in 
commento 
al 
noto 
obiter 
del 
2009 
(24) 
della 
Cassazione 
in 
materia 
di 
pubblicit� 
ingannevole 
relativo 
alla 
dicitura 
light 
sui 
pacchetti 
di 
sigarette, 
ha 
sottolineato 
che 
la 
preemption 
del 
diritto 
comunitario 
vorrebbe 
che 
la 
fattispecie 
fosse 
disciplinata 
unicamente 
dalle 
direttive 
comunitarie 
in 
materia. 


2. Produzione, commercializzazione 
e 
distribuzione 
delle 
sigarette 
tra norme 
comunitarie e responsabilit� oggettiva. 
A 
seguito 
delle 
considerazioni 
sopra 
effettuate 
� 
pacifico 
affermare 
che 
produrre 
o 
distribuire 
sigarette 
vuole 
dire 
mettere 
in 
circolazione 
un 
prodotto 
che, 
nonostante 
la 
possibile 
conformit� 
agli 
standards 
tecnici 
di 
volta 
in 
volta 
introdotti, 
mantiene 
comunque 
un�elevata 
dannosit�, 
rimanendo 
un 
costo 
per 
la 
societ�. 


La 
giurisprudenza, 
nei 
casi 
in 
cui 
ha 
deciso 
di 
accogliere 
le 
pretese 
attoree 
di 
riparazione 
verso 
il 
danneggiato 
o 
i 
familiari 
di 
questo 
per 
i 
danni 
da 
fumo 
di 
sigarette, 
ha 
catalogato 
la 
produzione-distribuzione 
di 
sigarette 
quale 
attivit� 
pericolosa 
alla 
stregua 
dell�art. 
2050 
c.c. 
grazie 
al 
suo 
carattere 
oggettivo: 
cos� 
il 
danneggiato 
non 
deve 
provare 
la 
presenza 
dell�intentio 
ov


(23) MONATERI 
P.g., La cassazione 
e 
i 
danni 
da fumo: evitare 
un ennesimo caso di 
isolamento, in 
op. cit., p. 57 e ss. 
(24) 
Converr� 
prendere 
le 
mosse 
dalla 
sentenza 
del 
giudice 
di 
Pace 
di 
Napoli 
sulla 
quale 
nel 
2009 
poi 
la 
Suprema 
Corte 
ha 
esercitato il 
giudizio di 
legittimit�: 
il 
giudice 
di 
pace 
condann� la 
British American 
Tobacco Italia 
al 
pagamento di 
una 
somma 
di 
denaro a 
titolo di 
risarcimento del 
danno, per aver 
colpevolmente 
prodotto e 
commercializzato pacchetti 
di 
sigarette 
con l�utilizzo della 
dicitura 
�light�, 
idonea 
ad indurre 
il 
consumatore 
a 
credere 
che 
il 
tabacco contenutovi 
fosse 
meno dannoso di 
quello dei 
pacchetti 
�normali�; 
errore 
nel 
quale, a 
parere 
del 
giudice, incorse 
l�attore, il 
quale 
sub� 
il 
danno da 
perdita 
di 
chance 
di 
scegliere 
una 
soluzione 
alternativa 
e 
il 
conseguente 
danno esistenziale 
per peggioramento 
della 
qualit� 
della 
vita 
a 
causa 
dello stress 
e 
del 
turbamento provocati 
dal 
possibile 
verificarsi 
di 
gravi 
danni 
all�apparato cardiovascolare 
o respiratorio. va 
inoltre 
specificato, in quanto di 
grande 
inerenza 
a 
ci� che 
verr� 
poi 
detto in merito all�obiter 
della 
Cassazione 
del 
2009, che 
gli 
attori 
lamentarono 
il 
risarcimento del 
danno sulla 
base 
dell�art. 2043 c.c. mentre 
il 
giudice 
di 
pace 
lo concesse 
a 
titolo del-
l�art. 
2050 
c.c. 
disciplinante 
responsabilit� 
per 
esercizio 
di 
attivit� 
pericolosa. 
La 
BAT 
(British 
American 
Tobacco) propose 
ricorso in Cassazione 
che 
ribalt� l�esito della 
sentenza 
cassandola 
con rinvio tuttavia 
esprimendosi 
in obiter 
dictum 
a 
favore 
dell�applicabilit� 
dell�art. 2050 c.c. al 
risarcimento di 
danno da 
fumo riprese 
quella 
voce 
di 
pensiero che, dal 
caso Stalteri 
nel 
2005, era 
rimasta 
sopita 
rischiando di 
rimanere 
un caso isolato. 

LEgISLAzIONE 
ED 
ATTUALIT� 


vero 
di 
negligenza, 
imprudenza 
e 
imperizia 
del 
danneggiante 
(25). 
L�affermazione 
dei 
giudici 
porta 
con 
s� 
qualche 
dubbio, 
in 
quanto 
abbraccia 
una 
tesi 
seguita 
s� 
da 
autorevole 
dottrina 
ma 
anche 
da 
una 
frazione 
minoritaria 
della 
giurisprudenza: 
secondo 
tale 
teoria 
infatti 
il 
carattere 
pericoloso 
non 
riguarderebbe 
solo 
l�attivit� 
di 
produzione, 
bens� 
anche 
il 
prodotto 
stesso 
e 
la 
�pericolosit�� 
trasmigrerebbe 
quindi 
nei 
beni 
che 
ne 
sono 
risultato 
(26); 
in 
altre 
parole 
l�aggettivo 
�pericolo� 
in 
tal 
frangente 
riguarda 
non 
l�attivit� 
di 
produzione 
delle 
sigarette 
ma 
la 
sigaretta 
stessa. 


Il 
primo 
quesito 
sorge 
spontaneo: 
pu� 
tale 
carattere 
trasmigrare 
dall�attivit� 
di 
fabbricazione 
al 
risultato 
di 
questa? 
� 
pacifico 
affermare 
che 
l�art. 
2050 
c.c. 


(27) 
riguarda 
l�attivit� 
pericolosa 
svolta 
nell�organizzazione 
imprenditoriale: 
dalle 
parole 
della 
norma, 
intesa 
come 
rubrica 
e 
testo, 
si 
evince 
che 
il 
legislatore 
voglia 
intendere 
quale 
contesto 
della 
�attivit� 
pericolosa� 
una 
situazione 
dinamica 
e 
non 
anche 
il 
momento 
statico 
del 
danno 
derivante 
da 
cosa 
pericolosa; 
sorge 
quindi 
una 
necessaria 
correlazione 
con 
l�art. 
2051 
c.c. 
rubricato 
�Danno 
da 
cose 
in 
custodia� 
nel 
quale 
si 
legge: 
�Ciascuno 
� 
responsabile 
del 
danno 
cagionato 
dalle 
cose 
che 
ha 
in 
custodia, 
salvo 
che 
provi 
il 
caso 
fortuito�. 
Autorevole 
dottrina 
(28) 
sostiene 
che 
sia 
doveroso 
limitare 
l�applicazione 
dell�art. 
2050 
c.c. 
al 
momento 
dinamico 
dell�esercizio 
effettivo 
dell�attivit� 
pericolosa, 
applicando 
invece 
l�articolo 
2051 
c.c. 
alle 
ipotesi 
di 
danni 
causati 
direttamente 
da 
cose, 
macchine 
et 
cetera; 
a 
conferma 
di 
tale 
necessit� 
� 
il 
riscontrato 
difetto 
di 
una 
visione 
unitaria 
di 
dottrina 
e 
giurisprudenza 
dominante. 
Affinch� 
l�aggettivo 
�pericoloso� 
assuma 
il 
significato 
proprio 
di 
cui 
all�art. 
2050 
c.c., 
occorre 
che 
l�attivit� 
che 
lo 
riguardi 
sia 
suscettibile 
di 
produrre 
frequenti 
danni 
a 
terzi 
sulla 
base 
di 
rilievi 
statistici: 
non 
una 
mera 
possibilit� 
bens� 
una 
grave 
probabilit�; 
in 
base 
alla 
dicitura 
dell�articolo 
in 
questione 
l�attivit� 
� 
da 
giudicarsi 
come 
pericolosa 
�per 
la 
sua 
natura� 
o 
per 
�la 
natura 
dei 
mezzi 
adoperati�. 
La 
giurisprudenza 
ha 
tuttavia 
compreso 
nella 
fattispecie 
dell�art. 
2050 
c.c. 
anche 
il 
pericolo 
riguardante 
direttamente 
il 
prodotto 
o 
l�oggetto 
dell�attivit�, 
purch� 
il 
danno 
si 
ricolleghi 
all�attivit� 
stessa 
(29): 
la 
Suprema 
Corte 
ha 
infatti 
precisato 
che 
l�esercizio 
di 
attivit� 
pericolosa 
ex 
art. 
2050 


c.c. 
ben 
pu� 
prescindere 
dall�attivit� 
in 
s� 
allorquando 
il 
pericolo 
si 
sia 
mate(
25) 
Due 
esempi 
sono: 
Corte 
D�app. 
Roma, 
7 
marzo 
2005, 
n. 
1015, 
in 
De 
Jure, 
www.iusexplorer.it; 
cfr. 
in 
dottrina 
gLIATTA 
g., 
il 
danno 
da 
fumo, 
in 
La 
resp. 
civile, 
2007, 
pp. 
556-560; 
Trib. 
Milano, 
11 
luglio 2014, n. 9235, in De 
Jure, www.iuexplorer.it; 
DI 
DONNA 
L., La responsabilit� del 
produttore 
per 
i danni provocati dal fumo, in Contratto e impresa, 2012, pp. 1526-1548. 
(26) Cos� 
MONTANARO 
R., il 
tormentato percorso della giurisprudenza sui 
danni 
da fumo attivo, 
cit., p. 588. 
(27) 
Per 
un 
ulteriore 
approfondimento 
dell�art. 
2050 
c.c. 
si 
veda 
ROSSETTI 
M., 
responsabilit� 
per 
l�esercizio 
di 
attivit� 
pericolosa, 
in 
Commentario 
del 
codice 
civile, 
Fatti 
illeciti, 
Torino, 
2011, 
p. 
198 
e 
ss. 
(28) 
Cos� 
COMPORTI 
M., 
Fatti 
illeciti: 
le 
responsabilit� 
oggettive, 
in 
il 
codice 
civile, 
Commentario, 
Milano, 2009, p. 167 e ss.; BIANCA 
M., Trattato di diritto civile, vol. v, op. cit., p. 707 e ss. 
(29) ibidem. 

RASSEgNA 
AvvOCATURA 
DELLO 
STATO - N. 4/2016 


rializzato 
e 
trasfuso 
negli 
oggetti 
dell�attivit� 
pericolosa 
medesima 
con 
la 
condizione 
tuttavia 
che 
il 
pericolo 
si 
materializzi, 
seppure 
in 
una 
fase 
successiva, 
ma 
in 
dipendenza 
sufficientemente 
mediata 
all�attivit� 
di 
produzione 
(30). 


Ad 
una 
prima 
lettura 
potrebbe 
apparire 
che 
la 
pronuncia 
sopra 
menzionata 
legittimi 
le 
sentenze 
in 
materia 
di 
danno 
da 
fumo 
di 
sigarette 
che 
hanno 
trovato 
nell�articolo riguardante 
l�esercizio di 
attivit� 
pericolosa 
il 
fondamento normativo 
per condannare 
il 
produttore-distributore 
di 
sigarette 
alla 
riparazione 
dei 
danni: 
tuttavia, si 
sottolinea 
che 
per la 
Corte 
di 
Cassazione 
� 
necessario 
che 
il 
pericolo, 
seppure 
materializzato 
in 
una 
fase 
successiva 
a 
quella 
della 
produzione, sia 
comunque 
in stretta 
connessione 
con questa: 
ci� pu� apparire 
vero per ci� che 
concerne 
le 
�bombole 
di 
gas� 
che 
non sono state 
fabbricate 
per esplodere, ma 
tale 
considerazione 
non � 
altrettanto vera 
per le 
sigarette. 
Infatti, a essere dannoso � l�uso normale 
delle sigarette. 


In 
secondo 
luogo 
le 
sentenze 
in 
materia 
di 
risarcimento 
del 
danno 
da 
fumo 
riguardano non la 
produzione 
bens� 
l�etichettatura 
ed il 
confezionamento, ritenute 
non 
adeguate 
ad 
avvertire 
sulla 
nocivit� 
del 
consumo 
di 
tabacco 
in 
quanto non includevano sulla 
loro superficie 
le 
warnings: 
esaminando il 
noto 
caso 
Stalteri 
emerge 
che 
i 
giudici 
della 
Corte 
d�Appello 
di 
Roma 
addebitarono 
all�Ente 
Tabacchi 
Italiani, ora 
BAT, l�esercizio di 
attivit� 
pericolosa 
�per 
la 
ragione 
che 
i 
tabacchi, avendo quale 
unica destinazione 
il 
consumo mediante 
il 
fumo, 
contenevano 
in 
s�, 
per 
loro 
stessa 
natura 
e 
per 
loro 
composizione 
biochimica, 
una potenziale 
carica di 
nocivit�, potendo dal 
fumo derivare 
danno 
alla 
salute 
e, 
in 
molti 
casi, 
il 
peggiore 
dei 
mali, 
il 
cancro 
ai 
polmoni�. 
Tuttavia, 
non 
si 
pu� 
fare 
a 
meno 
di 
rilevare 
che 
il 
fatto 
che 
le 
sigarette 
siano 
nocive, 
dato incontrovertibile, non � 
in stretta 
connessione 
alla 
pericolosit� 
della 
loro 
produzione alla stregua dell�art. 2050 c.c. 

A 
sostegno di 
questo assunto ci 
sono i 
commenti 
della 
dottrina, come 
gi� 
riportati 
nella 
premessa 
a 
tale 
articolo, alle 
sentenze 
che 
hanno invece 
qualificato 
come 
non pericolosa 
l�attivit� 
di 
produzione 
di 
sigarette: 
in particolare 
un 
Autore 
(31) 
ha 
affermato 
la 
non 
configurabilit� 
di 
responsabilit� 
per 
l�esercizio 
di 
attivit� 
pericolosa 
dal 
momento che 
l�art. 2050 c.c. � 
limitato ai 
danni 
ricollegabili 
ad 
attivit� 
che, 
nel 
loro 
svolgimento, 
creino 
situazioni 
di 
pericolo 
mentre 
nella 
produzione 
di 
sigarette 
la 
potenzialit� 
dannosa 
non 
deriva 
in 
maniera 
immediata 
dal 
processo produttivo n� 
da 
una 
intrinseca 
potenzialit� 
lesiva 
bens� dall�uso reiterato nel tempo del tabacco. 


La 
sentenza 
del 
Tribunale 
di 
Roma 
che 
decise 
il 
primo 
grado 
(32) 
di 
giudizio 
del 
noto 
caso 
Stalteri, 
oltre 
ad 
aver 
negato 
la 
sussistenza 
del 
nesso 
causale 
tra 
consumo 
di 
sigarette 
e 
malattia 
tumorale, 
ha 
affermato 
che 
non 
fosse 
ravvisabile 
una 


(30) Cass. civ., 30 agosto 2004, n. 17369, in 
Foro it., 2004. 
(31) Trib. Roma, 11 febbraio 2000, in Giur. it., 2000, c. 1643, con nota di gIACChERO 
R. 
(32) Trib. Roma, 4 aprile 1997, n., in Danno e resp., con nota di CAFAggI 
F. 

LEgISLAzIONE 
ED 
ATTUALIT� 


responsabilit� 
ex 
art. 
2050 
c.c. 
in 
quanto 
il 
danno 
previsto 
dalla 
norma 
� 
quello 
causato 
dall�esercizio 
di 
attivit�; 
nella 
fattispecie, 
sostengono 
i 
giudici, 
il 
danno 
non 
� 
collegato 
alla 
produzione 
di 
sigarette 
ma 
al 
consumo 
successivo 
del 
prodotto 
ed 
inoltre 
non 
si 
pu� 
affermare 
che 
le 
sigarette 
contengano 
una 
potenzialit� 
lesiva 
collegata 
allo 
svolgimento 
dell�attivit� 
di 
cui 
costituiscono 
il 
risultato. 


La 
dottrina 
(33) che 
commenta 
la 
sentenza 
da 
una 
parte 
muove 
una 
forte 
critica 
alla 
presa 
di 
posizione 
dei 
giudici 
in merito al 
nesso di 
causalit�, affermando 
che 
l�accertata 
correlazione 
tra 
fumo di 
sigarette 
e 
neoplasia 
risale 
a 
studi 
americani 
degli 
anni 
Sessanta, dall�altra 
opera 
due 
considerazioni 
in ordine 
all�applicazione 
dell�art. 
2050 
c.c.: 
in 
primo 
luogo 
sostiene 
che 
la 
mancata 
applicazione 
del 
d.P.R. n. 224/1988 a 
favore 
della 
disciplina 
del 
codice 
� 
dovuta 
al 
fatto 
che 
l�assuefazione 
da 
fumo 
in 
questione 
risale 
ad 
anni 
antecedenti 
l�uscita 
della 
direttiva 
sul 
difetto 
da 
prodotti; 
in 
secondo 
luogo 
muove 
una 
critica 
alla 
scelta 
dei 
giudici 
di 
non ritenere 
applicabile 
l�articolo 2050 c.c., dal 
momento che 
ci� contraddice 
una 
giurisprudenza 
consolidata 
della 
Suprema 
Corte 
che 
ha 
ritenuto 
applicabile 
al 
produttore 
tale 
disciplina 
(34); 
si 
sottolinea 
che, ancora 
una 
volta, la 
giurisprudenza 
(35) a 
cui 
l�Autore 
fa 
riferimento riguarda 
la 
fattispecie 
delle 
bombole 
di 
gas, con le 
riflessioni 
gi� 
esposte 
che 
da 
ci� derivano. Di 
notevole 
importanza 
� 
invece 
la 
considerazione 
secondo 
la 
quale 
il 
d.P.R. n. 224/1998 in materia 
di 
prodotti 
difettosi 
non � 
stato utilizzato 
in quanto la 
fattispecie 
oggetto della 
sentenza 
risale 
ad un�epoca 
antecedente 
alla 
positivizzazione 
della 
direttiva 
sul 
danno da 
prodotti: 
ad oggi 
ogni 
caso 
simile 
dovrebbe 
quindi 
essere 
invece 
letto 
altres� 
alla 
luce 
della 
normativa 
europea 
sul 
danno da 
prodotti, in ossequio alla 
preemption 
del 
diritto comunitario; 
comprensibili 
sono le 
parole 
del 
giurista 
che, in commento all�obiter 
dictum 
(36) della 
Cassazione 
del 
2009, afferma 
che 
la 
Suprema 
Corte 
non affronta 
il 
punto decisivo, ovvero l�inserimento del 
danno da 
fumo di 
sigarette 
nel danno da prodotti attraverso l�applicazione della direttiva europea. 


(33) CAFAggI 
F., nota a sent., cit. 
(34) ibidem. 
(35) 
Cass., 
1 
gennaio 
1995, 
n. 
567, 
in 
Foro 
it. 
rep., 
1996, 
voce 
resp. 
civile, 
nn. 
173-174, 
nella 
quale 
si 
legge 
che 
la 
norma 
(2050 
c.c.) 
� 
stata 
ritenuta 
applicabile 
al 
produttore-distributore 
di 
bombole 
di 
gas 
anche 
nella 
ipotesi 
in 
cui 
il 
danno 
sia 
occorso 
successivamente 
alla 
perdita 
di 
disponibilit� 
della 
cosa: 
�La 
presunzione, 
prevista 
dall�art. 
2050 
c.c. 
di 
responsabilit� 
per 
i 
danni 
cagionati 
nello 
svolgimento 
di 
un�attivit� 
pericolosa, 
opera 
a 
carico 
di 
chi 
esercita 
l�attivit� 
di 
raccolta 
e 
distribuzione 
di 
gas 
in 
bombole, 
anche 
allorch� 
la 
bombola, 
essendo 
stata 
consegnata 
all�utente 
� 
passata 
nella 
disponibilit� 
di 
costui�. 
(36) MONATERI 
P.g., La cassazione 
e 
i 
danni 
da fumo: evitare 
un ennesimo isolamento italiano, 
in op. cit., p. 57 e 
ss., nel 
quale 
l�autore 
ricorda 
che 
le 
considerazioni 
svolte 
dalla 
S.C. in tale 
modo non 
costituiscono un precedente 
tecnico: 
�In senso tecnico abbiamo quindi 
una 
sorta 
di 
creazione 
pretoria 
al 
quadrato: 
una 
opinion 
resa 
obiter 
dall�estensore 
su una 
questione 
diversa 
da 
quella 
del 
giudizio di 
primo grado, che 
si 
trasfonde 
in un principio di 
diritto vincolante 
per il 
giudice 
del 
rinvio, laddove 
il 
primo giudizio diviene 
mera 
�occasione� della 
Juris 
dictio. In senso tecnico, quindi, le 
considerazioni 
svolte 
nella 
sentenza 
della 
Cassazione 
costituiscono 
un 
obiter 
dictum, 
e 
come 
tali 
non 
possono 
costituire 
un precedente in senso tecnico�. 

RASSEgNA 
AvvOCATURA 
DELLO 
STATO - N. 4/2016 


Da 
quanto 
sopra 
esposto 
deduciamo 
che 
per 
le 
fattispecie 
nelle 
quali 
l�assuefazione 
si 
� 
maturata 
prima 
dell�entrata 
in 
vigore 
della 
direttiva 
85/374/CEE 
la 
soluzione 
normativa 
deve 
essere 
ricercata 
all�interno 
delle 
norme 
in materia 
di 
responsabilit� 
civile 
dettate 
dal 
nostro Codice 
Civile, con 
le 
opportune 
valutazioni 
sopra 
effettuate 
in 
merito 
alla 
catalogazione 
della 
produzione 
di 
sigaretta 
quale 
attivit� 
pericolosa 
o 
meno, 
mentre 
per 
i 
casi 
di 
danno 
da 
fumo la 
cui 
assuefazione 
risulta 
successiva 
all�ingresso in vigore 
della 
direttiva, 
questi 
devono essere 
regolati, a 
causa 
della 
preemption 
europea, secondo 
le norme del Codice del Consumo. 

Tuttavia 
non 
si 
pu� 
non 
tenere 
conto 
del 
fatto 
che 
una 
volta 
ammesso 
(37), 
anche 
se 
non 
condiviso 
dalla 
maggior 
parte 
della 
dottrina, 
che 
il 
carattere 
pericoloso pu� trasmigrare 
dalla 
�attivit� 
al 
prodotto�, complessa 
� 
la 
delimitazione 
dell�applicazione 
dell�art. 
2050 
c.c. 
e 
della 
direttiva 
85/374/CEE; 
a 
riguardo 
cՏ 
chi 
(38) 
ne 
fa 
derivare 
una 
diversa 
qualificazione 
giuridica 
del 
prodotto: 
la 
risposta 
fornita 
andrebbe 
quindi 
ricercata 
nella 
pericolosit� 
della 
sigaretta 
in base 
all�uso normale 
che 
se 
ne 
fa, con conseguente 
mancata 
qualificazione 
del 
prodotto 
quale 
difettoso 
e 
non 
venendo 
quindi 
in 
considerazione 
la 
disciplina 
consumeristica. 
La 
constatazione 
della 
pericolosit� 
della 
sigaretta 
per 
il 
suo 
uso 
normale 
conduce 
quindi 
a 
considerarla 
prodotto 
conforme: 
oggi 
la 
vera 
domanda 
che 
il 
giurista 
deve 
porsi 
� 
se 
sia 
corretto o meno qualificare 
la sigaretta alla stregua di un prodotto difettoso. 

Occorre 
ricordare 
un dato di 
carattere 
temporale 
prima 
di 
procedere 
all�analisi 
del 
Codice 
del 
Consumo: 
i 
casi 
di 
assuefazione 
assoggettabili 
a 
tale 
tipo di 
disciplina 
sono quelli 
successivi 
all�anno 1988, data 
di 
ingresso in vigore 
del 
decreto di 
attuazione 
della 
direttiva 
in materia 
di 
danno da 
prodotti, 
mentre l�obbligo di apporre le 
warnings 
� risalente alla l. n. 428 del 1990. 

Il 
primo articolo del 
d.P.R. n. 224/1988 (ora 
art. 114 cod. cons., d.lgs. n. 
206/2005) prevede 
che 
�il 
produttore 
� 
responsabile 
del 
danno cagionato da 
difetti 
del 
suo prodotto�. La 
prima 
definizione 
utile 
che 
ci 
viene 
offerta 
dal 
Codice 
in questione 
� 
quella 
di 
�prodotto� 
ove 
per certo, risultandone 
addirittura 
superflua 
anche 
la 
specificazione, 
rientra 
la 
sigaretta 
in 
quanto 
all�art. 
115 
si 
legge 
che 
prodotto 
ҏ 
ogni 
bene 
mobile, anche 
se 
incorporato in altro bene 
mobile 
o 
immobile�. 
Le 
parole 
sembrano 
coincidere 
con 
la 
definizione 
di 
bene 
mobile 
offerta 
dal 
nostro Codice 
Civile, tuttavia 
il 
comma 
va 
letto alla 
luce 
delle 
precisazioni 
che 
seguono 
immediatamente, 
con 
l�aggiunta 
sottintesa: 
�che sia il risultato di un�attivit� professionale� 
(39). 


Centrale 
per l�oggetto della 
presente 
ricerca 
� 
l�art. 117 cod. cons. (40) 
che 
disciplina 
quale 
difettoso il 
prodotto che 
non offre 
al 
consumatore 
la 
si


(37) Cass., 30 agosto 2004, n. 17369, in op. cit. 
(38) MONTINARO 
R., il 
tormentato percorso della giurisprudenza sul 
tema dei 
danni 
da fumo attivo, 
in op.cit.; BIANCA 
M., Trattato di diritto civile, vol. v, op. cit., p. 745 e ss. 

LEgISLAzIONE 
ED 
ATTUALIT� 


curezza 
che 
ci 
si 
pu� legittimamente 
attendere: 
tra 
le 
circostanze 
di 
cui 
� 
doveroso 
tenere 
conto vi 
� 
il 
modo in cui 
il 
prodotto viene 
presentato, le 
sue 
caratteristiche 
palesi, le istruzioni e le avvertenze fornite (41). 

Tra 
le 
legittime 
aspettative 
che 
un 
consumatore 
pu� 
attendersi 
vi 
� 
certamente 
quella 
del 
rispetto 
degli 
standards 
di 
sicurezza; 
senza 
addentrarci 
nel 
merito 
delle 
normative 
tecniche 
risulta 
utile 
ricordare 
che 
cosa 
sono 
gli 
standards: 
il 
contenuto 
di 
una 
legislazione 
di 
settore, 
riferita 
cio� 
a 
prodotti 
specifici, 
che 
enumera 
i 
requisiti 
di 
sicurezza 
che 
deve 
avere 
il 
prodotto, 
spingendo 
il 
consumatore 
a 
fare 
legittimo 
affidamento 
sul 
fatto 
che 
ci� 
che 
ha 
acquistato 
presenti 
tutte 
le 
caratteristiche 
necessarie 
(42). 
Esempio 
di 
normativa 
tecnica 
riferita 
ad 
un 
prodotto 
specifico 
� 
la 
direttiva 
2014/40/UE 
che 
disciplina 
i 
prodotti 
da 
tabacco 
sia 
nelle 
loro 
caratteristiche 
chimiche 
che 
nell�etichettatura 
e 
confezionamento, 
inserendo 
le 
cosiddette 
avvertenze 
combinate: 
saranno 
quindi 
certamente 
prodotti 
difettosi 
i 
pacchetti 
di 
sigarette 
che 
non 
contengano 
insieme 
al 
testo 
le 
immagini 
sulle 
nocivit� 
causate 
dal 
consumo 
di 
tabacco. 


Come 
gi� 
accennato, prima 
di 
tale 
novella 
vi 
era 
il 
solo obbligo di 
warnings 
consistenti 
in messaggi 
testuali, mentre 
prima 
del 
1990 non vi 
era 
alcun 
tipo di 
normazione 
positiva 
che 
obbligasse 
i 
produttori 
alle 
avvertenze, tanto 
che, seppure 
nel 
contesto del 
2050 c.c., i 
giudici 
che 
hanno voluto concedere 
il 
risarcimento 
del 
danno 
da 
fumo 
di 
sigarette 
hanno 
dovuto 
far 
discendere 
l�obbligo di 
adottare 
tutte 
le 
misure 
idonee 
ad evitare 
il 
danno dalla 
Costituzione: 
in particolare dall�articolo 32 Cost., tutelante il diritto alla salute (43). 

Con la 
positivizzazione 
dell�obbligo per il 
produttore 
di 
apporre 
avvertenze 
sui 
pacchetti, 
occorre 
chiedersi 
se 
le 
normative 
tecniche 
di 
settore, 
in 
particolare 
con riferimento alla 
l. n. 428/1990, siano qualificabili 
come 
standards 
minimi 
ovvero come 
standards 
massimi: 
per tali 
considerazioni 
si 
rimanda 
alla 
prima 
parte 
in merito a 
quanto si 
� 
detto in materia 
di 
danno da 
prodotto conforme. 


(39) CASTRONOvO 
C., La nuova responsabilit� civile, op. cit., p. 688; 
BIANCA 
M., ibidem; 
gALgANO 
F., Trattato di diritto civile, vol. III, op. cit., p. 239 e ss. 
(40) 
BUSONI 
F., 
Commento 
all�art. 
117 
cod. 
cons., 
in 
Codice 
del 
Consumo 
Commentario, 
Padova, 
2007, 
p. 
835 
e 
ss., 
nel 
quale 
si 
legge: 
�L�articolo 
riferisce, 
dunque, 
la 
difettosit� 
alla 
legittima 
aspettativa 
di 
sicurezza, nozione 
quest�utlima 
che 
per quanto omessa 
dal 
d.P.R. 224/88, pu� oggi 
evincersi 
in via 
di 
interpretazione 
dall�attuale 
art. 103 C.d.C., comma 
1 lett. a) - giacch� 
riproduttivo dell�art. 2 D.L.vo 
115/1995 in un medesimo corpo normativo - dal 
quale 
emerge 
il 
livello di 
rischio esigibile 
in raffronto 
al parametro dell�elevato livello di sicurezza per la salute�. 
(41) gALgANO 
F., Trattato di 
diritto civile, vol. III, op. cit., p. 248; 
BIANCA 
M., Trattato di 
diritto 
civile, vol. v, op. cit., p. 745-753. 
(42) CARNEvALI 
U., La norma tecnica da regola di 
esperienza a norma giuridicamente 
rilevante 
ricognizione 
storica e 
sistemazione 
teorica ruolo dell�UNi e 
del 
CEi, in ENRICO 
AL 
MUREDEN, (a 
cura 
di), La sicurezza dei prodotti e la responsabilit� del produttore, op. cit., p. 62 e ss. 
(43) Cos� si sono espressi i giudici della Corte d�Appello di Roma nel noto caso Stalteri. 

RASSEgNA 
AvvOCATURA 
DELLO 
STATO - N. 4/2016 


3. il caso Stalteri. 
Nel 
giudizio 
di 
primo 
grado 
del 
caso 
Stalteri 
il 
Tribunale 
aveva, 
come 
visto, negato l�applicabilit� 
dell�art. 2050 c.c. alla 
produzione-commercializzazione 
delle 
sigarette: 
il 
secondo grado di 
giudizio ha 
invece 
ribaltato completamente 
la 
prima 
pronuncia, 
rendendo 
nota 
la 
fattispecie 
anche 
ai 
non 
addetti 
ai 
lavori 
e 
dando clamore 
mediatico al 
tema. gli 
eredi 
del 
signor Stalteri 
infatti 
proposero appello avverso la 
sentenza 
di 
primo grado deducendo 
che 
dovesse 
ritenersi 
provato il 
rapporto tra 
il 
cancro ai 
polmoni 
e 
la 
pratica 
del 
fumo 
e 
che 
l�obbligo 
di 
apporre 
le 
avvertenze 
sulla 
nocivit� 
del 
fumo, 
seppure 
in assenza 
di 
legge, traesse 
forza 
giuridica 
dalla 
tutela 
del 
diritto alla 
salute 
da 
parte 
della 
nostra 
Costituzione 
ed 
insistendo 
infine 
sulla 
catalogazione 
della 
fattispecie 
nell�ambito della 
responsabilit� 
per esercizio di 
attivit� 
pericolosa 
alla 
stregua 
dell�art. 2050 c.c. (44). Con comparsa 
di 
risposta 
si 
costituiva 
in 
luogo 
del 
Monopolio 
l�Ente 
Tabacchi 
Italiani, 
successore 
a 
titolo 
particolare 
e 
subentrato 
nella 
produzione 
e 
commercio 
di 
tabacchi, 
facendo 
proprie le precedenti difese. 

Superata 
la 
questione 
pregiudiziale 
sollevata 
dall�E.T.I., 
in 
merito 
alla 
di 
questa 
sedicente 
mancata 
legittimazione 
passiva 
della 
causa 
e 
risoltasi 
a 
favore 
degli 
attori, 
i 
giudici 
si 
sono 
in 
ordine 
occupati 
della 
sussistenza 
del 
nesso 
di 
causalit�, 
dell�applicabilit� 
dell�art. 
2050 
c.c. 
ed 
infine 
del 
capitolo 
riguardante 
le 
warnings. 
in 
primis, 
la 
Corte 
d�appello 
di 
Roma 
ha 
dovuto 
analizzare 
la 
sequenza 
causale, 
ossia 
se 
la 
neoplasia 
polmonare 
potesse 
essere 
configurata 
quale 
effetto 
normale 
del 
fumo 
di 
sigaretta, 
ponendosi 
questa 
nelle 
normali 
linee 
di 
sviluppo 
della 
serie 
causale, 
secondo 
il 
criterio 
della 
probabilit� 
scientifica; 
al 
fine 
di 
fare 
chiarezza 
sulla 
sussistenza 
o 
meno 
del 
nesso 
� 
stata 
espletata 
una 
consulenza 
medico-legale 
collegiale 
che 
ha 
concluso 
per 
la 
presenza 
della 
correlazione 
causale, 
scelta 
fortemente 
contestata 
dai 
consulenti 
tecnici 
dell�E.T.I. 


Successivamente 
la 
Corte 
si 
occupa, 
in 
poche 
righe, 
dell�applicabilit� 
del-
l�art. 2050 c.c. alla 
fattispecie, nelle 
quali 
viene 
sostenuta 
la 
pericolosit� 
del-
l�attivit� 
di 
produzione-commercializzazione 
di 
tabacchi 
da 
parte 
dell�E.T.I. 
per la 
ragione 
che 
i 
tabacchi, essendo destinati 
unicamente 
al 
fumo, contenevano 
in s� 
per loro natura 
e 
composizione 
bio-chimica 
una 
potenziale 
carica 
di 
nocivit�. Risulta 
utile 
nella 
valutazione 
delle 
parole 
della 
Corte 
ricordare 
la 
teoria 
generale 
sopra 
esposta 
sull�art. 2050 c.c.: 
la 
valutazione 
effettuata 
dalla 
dottrina 
in 
merito 
alla 
semantica 
dell�articolo 
vuole 
che 
l�utilizzo 
nella 
rubrica 
del 
termine 
�esercizio�, di 
certo contenente 
eco dell�articolo 2082 c.c., sia 
da 
leggere 
come 
riferimento 
della 
�pericolosit��, 
relativa 
dunque 
alle 
tecniche 
di 
produzione 
utilizzate 
dall�imprenditore 
e 
risultando 
di 
conseguenza 
marginale 
la nocivit� in s� del prodotto (45). 

(44) Corte d�Appello di Roma, 7 marzo 2005, cit. 

LEgISLAzIONE 
ED 
ATTUALIT� 


La 
dottrina 
in 
commento 
alla 
sentenza 
ha 
specificato 
poi 
che 
si 
rivengono 
solo due 
sentenze 
che 
rinvengono nell�attivit� 
di 
produzione 
di 
sigarette 
il 
carattere 
della 
pericolosit� 
richiesto 
dall�art. 
2050 
c.c.: 
la 
pronuncia 
sul 
caso 
Stalteri 
oggetto d�esame, appunto, e 
il 
noto obiter 
della 
Cassazione 
del 
2009; 
unitamente 
a 
queste 
� 
doverosa 
l�aggiunta 
della 
sentenza 
del 
Tribunale 
di 
Milano 
del 
2014 che 
ha 
concesso il 
risarcimento del 
danno da 
fumo di 
sigarette, 
seppure 
con una 
riduzione 
del 
20% in ragione 
del 
concorso colposo del 
danneggiato 
alla stregua dell�art. 1227 c.c. (46). 

Infine, in merito alle 
warnings 
la 
Corte 
d�Appello di 
Roma 
afferma 
che 
gi� 
molti 
anni 
prima 
dell�entrata 
in vigore 
della 
l. n. 428/1990 si 
avvertiva 
la 
necessit� 
di 
informare 
i 
consumatori 
sul 
carattere 
altamente 
nocivo delle 
sigarette 
ed esercitando l�E.T.I., in virt� proprio di 
tale 
nocivit�, attivit� 
pericolosa 
alla 
stregua 
dell�art. 
2050 
c.c., 
questa 
avesse 
a 
tenore 
della 
norma 
l�obbligo di 
utilizzare 
tutte 
le 
misure 
idonee 
ad evitare 
il 
danno: 
obbligo che 
sicuramene 
all�epoca 
del 
fatto 
non 
era 
rintracciabile 
in 
una 
norma 
di 
rango 
ordinario 
ma, poich� 
la 
produzione 
di 
tabacco aveva 
come 
insidia 
proprio la 
salute, 
andava 
ricercato 
proprio 
nella 
tutela 
alla 
salute 
da 
parte 
della 
nostra 
Costituzione (47). 

Un autore 
(48) che 
sovente 
e 
a 
pi� riprese 
si 
� 
occupato di 
risarcimento 
del 
danno da 
fumo di 
sigarette, in sede 
di 
commento all�obiter 
della 
Suprema 
Corte 
del 
2009, ha 
dedicato poche 
parole 
anche 
al 
caso Stalteri: 
questo, criticando 
dapprima 
la 
qualificazione 
dell�attivit� 
di 
produzione 
di 
sigarette 
quale 
pericolosa, ha 
poi 
affermato che 
far discendere 
l�obbligo di 
apporre 
le 
warnings 
dalla 
tutela 
alla 
salute 
dell�art. 
32 
Cost. 
dovrebbe 
di 
fatto 
comportare 
un 
divieto assoluto di 
commercializzazione 
delle 
sigarette 
e 
non una 
responsabilit� 
del 
produttore: 
a 
parere 
dell�Autore 
quindi 
non saremmo all�interno delle 
categorie Calabresiane della 
Lability 
ma della 
inalienability. 


Il 
caso in esame 
non vide 
mai 
una 
pronuncia 
della 
Corte 
di 
Cassazione 
che, interpellata, non fece 
altro che 
constatare 
l�intervenuta 
cessazione 
della 
materia 
del 
contendere: 
la 
mancata 
revisione 
della 
Suprema 
Corte 
non 
permise 
dunque il formarsi di alcun tipo di precedente. 

(45) 
COMPORTI 
M., 
Fatti 
illeciti: 
le 
responsabilit� 
oggettive, 
in 
op. 
cit., 
p. 
173, 
nella 
quale 
si 
legge: 
�Si 
dice 
che 
la 
rubrica 
della 
norma 
corrisponderebbe 
maggiormente 
all�effettiva 
intenzione 
del 
legislatore, 
in quanto avrebbe 
riferimento all�attivit� 
esercitata 
nell�ambito dell�impresa, ossia 
ad una 
successione 
continuata e ripetuta di atti che si sviluppa nel tempo e coordinata nei fini�. 
(46) 
BULCANI 
E., 
Danni 
da 
fumo 
attivo: 
la 
responsabilit� 
dei 
produttori 
di 
sigarette, 
in 
resp. 
civile e prev., 2013, p. 757 e ss. 
(47) Corte d�App. di Roma, 7 marzo 2005, cit., p. 476 e ss. 
(48) MONATERI 
P.g., La Cassazione 
e 
i 
danni 
da fumo: evitare 
un ennesimo caso di 
�isolamento 
italiano�, in op. cit., pp. 59-60. 

RASSEgNA 
AvvOCATURA 
DELLO 
STATO - N. 4/2016 


4. La riapertura in italia della questione della �tobacco litigation�. 
L�ultimo paragrafo del 
presente 
elaborato � 
dedicato ad una 
recente 
sentenza 
(49) che, dopo nove 
anni 
dal 
caso Stalteri, ha 
riaperto nel 
nostro ordinamento 
la questione della 
tobacco litigation. 


La 
fattispecie 
vede 
quali 
attori 
i 
prossimi 
congiunti 
di 
An. Sc., deceduto 
il 
23 novembre 
2014, lamentare 
il 
risarcimento del 
danno per la 
morte 
del 
de 
cuius 
a 
causa 
di 
una 
neoplasia 
polmonare 
riconducibile 
al 
�consistente� 
consumo 
di 
sigarette 
operato 
dalla 
vittima 
sin 
dall�et� 
di 
15 
anni 
ossia 
a 
decorrere 
dal 
1965. I convenuti 
della 
domanda 
sono la 
British American Tobacco Italia 
(gi� Ente 
Tabacchi Italiani s.p.a.) e la Philip Morris Italia s.r.l. 

L�assuefazione 
risult� maturata 
in tempi 
ampiamente 
antecedenti 
sia 
al 
1991, anno di 
ingresso in vigore 
delle 
warnings, sia 
al 
1988, anno di 
entrata 
in 
vigore 
della 
direttiva 
85/374/CEE 
sul 
danno 
da 
prodotti, 
con 
le 
relative 
conseguenze. 


Come 
per il 
caso Stalteri 
il 
Collegio ha 
affrontato, in ordine, il 
problema 
del 
nesso di 
causalit�, della 
qualificazione 
della 
produzione-commercializzazione 
di 
sigarette 
alla 
stregua 
dell�art. 
2050 
c.c., 
del 
concorso 
di 
colpa 
del 
danneggiato 
e ha infine stabilito il 
quantum 
del risarcimento. 

Per quanto riguarda 
il 
nesso di 
causalit� 
tra 
fumo di 
sigaretta 
e 
neoplasia 
polmonare, altrimenti 
detto tumore 
ai 
polmoni, i 
CTU 
hanno considerato da 
una 
parte 
i 
rilievi 
scientifici 
riguardanti 
la 
primitivit� 
del 
cancro, dall�altra 
le 
testimonianze 
dei 
familiari 
nonch� 
del 
medico 
di 
famiglia 
della 
vittima 
a 
conferma 
dell�ingente 
numero (due 
pacchetti 
all�incirca) di 
sigarette 
fumate 
quotidianamente 
dal 
1965 al 
2004, anno della 
morte: 
di 
fatto i 
CTU 
affrontando 
il 
primo punto in discussione 
confermarono in virt� di 
�considerazioni 
insuperabili� 
la 
diagnosi 
del 
carcinoma 
primitivamente 
polmonare, 
che 
confermava 
la 
possibile 
correlazione, cos� 
come 
per il 
caso Stalteri, tra 
il 
fumo di 
sigarette 
e 
la 
patologia. I CTU 
aggiunsero inoltre 
che 
non risultavano altri 
potenziali 
elementi 
di 
rischio 
cancerogeno 
idonei 
alla 
stregua 
dell�art. 
41 
c.p. 
sufficienti a causare, da soli, la neoplasia polmonare. 

Quanto alla 
collocazione 
temporale 
del 
danno, e 
dunque 
dell�inquadramento 
giuridico, i 
giudici 
hanno affermato che 
i 
26-27 anni 
in cui 
la 
vittima 
ebbe 
a 
fumare 
prima 
dell�entrata 
in vigore 
della 
l. n. 428/1990 sono per ci� 
molto pi� rilevanti 
dei 
13-14 anni 
del 
periodo successivo: 
ci� ha 
rilevato primariamente 
nell�applicazione 
del 
primo 
comma 
dell�art. 
1227 
c.c. 
sul 
concorso 
colposo del danneggiato. 

La 
sentenza 
in esame 
ha 
collocato nuovamente 
l�attivit� 
di 
produzione-
distribuzione 
di 
sigarette 
nell�alveo 
della 
responsabilit� 
per 
esercizio 
di 
attivit� 
pericolose, a 
conferma 
della 
pronuncia 
sul 
caso Stalteri 
e 
dell�obiter 
dictum 


(49) Trib. Milano, 11 luglio 2014, in De Jure, 
www.iusexplorer.it 

LEgISLAzIONE 
ED 
ATTUALIT� 


della 
Cassazione 
del 
2009, creando tra 
i 
tre 
casi 
giurisprudenziali 
un 
fil 
rouge 
tale 
da 
poter 
essere 
identificato 
quale 
filone 
giurisprudenziale 
giudicante 
la 
produzione-distribuzione 
di 
sigarette 
attivit� 
pericolosa. 
Del 
resto 
i 
giudici 
del 
Tribunale 
di 
Milano innanzitutto hanno citato le 
due 
sentenze 
sopra 
menzionate, 
per poi 
affermare 
di 
ritenere 
quale 
attivit� 
pericolosa 
anche 
quella 
finalizzata 
al 
commercio e 
volta 
all�uso da 
parte 
del 
consumatore 
di 
un prodotto 
idoneo 
a 
cagionare 
un 
danno, 
in 
quanto 
l�attivit� 
che 
diffonde 
pericolo 
nel 
pubblico deve 
per sua 
natura 
definirsi 
pericolosa, ancor pi� se 
il 
pericolo deriva 
dall�uso 
normale 
che 
se 
ne 
fa 
del 
prodotto. 
Sulla 
qualificazione 
della 
produzione 
di 
sigarette 
quale 
attivit� 
pericolosa 
si 
ripropongono 
le 
perplessit� 
fatte 
presenti 
in tutta 
la 
ricerca, dato che 
neppure 
l�ennesima 
stringente 
motivazione 
in 
materia, 
quale 
quella 
del 
Tribunale 
meneghino, 
� 
riuscita 
a 
convincere 
fino in fondo. 

La 
Corte 
ha 
ulteriormente 
argomentato 
che 
la 
scelta 
di 
applicare 
l�art. 
2050 
c.c. 
� 
oggettiva, 
non 
rilevando 
la 
conoscenza 
in 
quanto 
fatto 
notorio 
della 
nocivit� 
del 
fumo: 
a 
essere 
dirimente 
� 
la 
scelta 
da 
parte 
dell�ordinamento di 
imputare 
il 
costo del 
danno al 
soggetto che 
si 
trova 
nella 
migliore 
posizione 
per evitarlo, oltre 
che 
a 
chi 
ne 
pu� sopportare 
il 
peso economico nel 
migliore 
dei 
modi; 
si 
tratta, per lo meno in via 
parziale, dell�utilizzo dell�analisi 
economica 
del 
diritto, area 
in cui 
vengono meno le 
regole 
della 
responsabilit� 
civile 
in 
favore 
di 
una 
distribuzione 
dei 
costi 
che 
riposa 
su 
altri 
criteri. 
Ovviamente 
non si 
vuole 
con questo affermare 
che 
i 
giudici 
hanno preso una 
decisione 
prescindendo dalle 
norme 
provenienti 
dal 
nostro codice 
civile 
del 
1942, 
bens� 
che 
certamente 
si 
siano 
resi 
conto 
che 
a 
causa 
dell�evoluzione 
della 
nostra 
societ� 
� 
necessaria 
un�indagine 
diversa 
per 
certi 
tipi 
di 
fattispecie. 

Infine, 
in 
applicazione 
dell�art. 
1227 
c.c., 
il 
Tribunale 
ha 
poi 
ridotto 
il 
quantum 
debeatur 
dei 
convenuti 
dalla 
somma 
di 
Euro 
970.000 
a 
Euro 
776.000, 
proprio 
perch� 
� 
stata 
ritenuta 
decisiva 
in 
tale 
�gradino� 
successivo 
la 
condotta 
del 
fumatore 
che, anche 
a 
seguito delle 
warnings 
della 
l. n. 428/1990, ha 
continuato 
a 
fumare 
contribuendo a 
danneggiare 
se 
stesso; 
la 
sua 
condotta 
rileva 
alla 
stregua 
del 
comma 
1 dell�art. 1227 c.c. come 
concorso colposo del 
danneggiato 
idoneo 
ad 
una 
mera 
riduzione 
del 
quantum 
in 
suo 
favore, 
in 
base 
alla 
gravit� della colpa, non comportando l�esclusione del risarcimento nell�an. 


Quanto alla 
domanda 
rivolta 
nei 
confronti 
di 
Philip Morris 
Italia 
s.r.l., � 
risultata 
decisiva 
la 
circostanza 
per cui 
l�odierna 
societ� 
fu costituita 
nel 
2001 
e 
pertanto nessun significativo apporto causale 
della 
neoplasia 
pu� essere 
imputato 
alla 
societ�: 
l�unica 
responsabilit� 
a 
venire 
in rilievo � 
quella 
della 
British 
American Tobacco Italia, gi� Ente 
Tabacchi italiani. 

Nel 
commentare 
la 
sentenza 
in 
esame, 
autorevole 
dottrina 
(50) 
ricorda 


(50) PONzANELLI 
g., i danni 
da fumo: la nuova giurisprudenza milanese, in Corr. giur., 2014, p. 
1361 e ss. 

RASSEgNA 
AvvOCATURA 
DELLO 
STATO - N. 4/2016 


che 
molte 
pronunce 
hanno escluso invece 
la 
responsabilit� 
del 
produttore-distributore 
in virt� della 
giuridicizzazione 
del 
principio di 
buon senso �chi 
� 
causa 
del 
suo 
mal 
pianga 
se 
stesso�, 
valorizzando 
quella 
forma 
di 
auto-responsabilit� 
di 
cui 
non si 
pu� escludere 
l�influenza 
per lo meno dal 
1991 in poi; 
avverte 
tuttavia 
che 
� 
doveroso considerare 
il 
lungo spazio temporale 
antecedente 
al 
1991, in cui 
i 
fabbricanti 
o distributori, pur consapevoli 
dell�alta 
dannosit� 
del 
prodotto che 
immettevano nel 
commercio, non avevano informato 
in 
modo 
adeguato, 
ovvero 
in 
alcun 
modo, 
i 
consumatori. 
Relativamente 
al-
l�applicazione 
della 
responsabilit� 
per esercizio di 
attivit� 
pericolose 
ai 
sensi 
dell�art. 2050 c.c. alla 
nostra 
fattispecie, afferma 
l�Autore 
che 
per riconoscere 
l�applicabilit� 
del 
menzionato articolo alla 
produzione-distribuzione 
di 
sigarette 
� 
antecedentemente 
doveroso ritenere 
possibile 
il 
fenomeno della 
�trasmigrazione 
della 
pericolosit�� 
dall�attivit� 
al 
prodotto, 
che 
si 
rinviene 
nei 
riscontri 
giurisprudenziali 
sulla 
distribuzione 
di 
gas 
in 
bombola 
ma 
la 
cui 
estensione 
analogica 
alla 
fattispecie 
dei 
danni 
da 
fumo 
desta, 
a 
parere 
dell�Autore 
e come pi� volte ripetuto, alcune perplessit� (51). 

La 
pronuncia 
del 
tribunale 
meneghino enuncia 
nuovamente 
il 
principio 
della 
responsabilit� 
del 
convenuto produttore-distributore 
di 
sigarette 
per non 
avere 
avvertito 
i 
consumatori 
dei 
rischi 
collegati 
all�uso 
di 
sigarette 
alla 
stregua 
dell�art. 
2050 
c.c.: 
il 
Tribunale 
di 
Milano, 
assieme 
alla 
Corte 
d�Appello 
di 
Roma, ha 
preso una 
posizione 
netta 
ma, alla 
luce 
degli 
elementi 
analizzati 
in 
tutto 
l�elaborato, 
risulta 
assai 
difficile, 
se 
non 
impossibile, 
cercare 
di 
capire 
cosa accadr� in futuro nelle fattispecie di danno da fumo di sigarette. 


5. Brevi considerazioni di analisi economica del diritto. 
Spostando l�attenzione 
sugli 
standards, emerge 
che 
il 
costo marginale 
di 
un prodotto, ovvero il 
prezzo per ogni 
unit� 
aggiuntiva, � 
formato altres� 
dal 
rispetto della 
normativa 
tecnica; 
questo sia 
che 
ci� avvenga 
in modo diretto 
che 
indiretto: 
per costo diretto si 
intende 
il 
prezzo che 
ciascun imprenditore 
affronta 
per 
adeguarsi 
di 
volta 
in 
volta 
ai 
nuovi 
standards 
che 
vengono 
imposti 
a 
livello federale 
nel 
caso americano e 
comunitario nel 
caso europeo, mentre 
per costo indiretto si 
intende 
quel 
prezzo che 
l�imprenditore 
affronta 
a 
causa 
degli 
standards, quali 
il 
calo delle 
vendite 
a 
seguito delle 
avvertenze 
obbligatorie 
per determinati prodotti. 

Prendendo 
in 
considerazione 
il 
fumo 
di 
sigarette, 
la 
novella 
di 
gennaio 
2016 
che 
obbliga 
alle 
avvertenze 
combinate 
ha 
certamente 
comportato 
un 
aumento 
dei 
costi 
diretti 
relativi 
al 
prezzo 
della 
stampa 
delle 
immagini 
e 
soprattutto 
un 
costo 
indiretto 
consistente 
nella 
diminuzione 
degli 
utili 
derivante 
dal 
calo 
delle 
vendite 
in 
ragione 
dell�effetto 
deterrente 
delle 
nuove 
avvertenze 
combinate 
(52). 


(51) FUSARO 
A., attivit� pericolose 
e 
dintorni. Nuove 
applicazioni 
dell�art. 2050 c.c., in riv. dir. 
civ., 2013, p. 1337 e ss. 

LEgISLAzIONE 
ED 
ATTUALIT� 


Del 
resto 
pi� 
il 
costo 
di 
investimento 
in 
sicurezza 
e 
prevenzione 
sostenuto 
da 
parte 
dell�imprenditore 
sale, pi� il 
costo per la 
societ� 
in termini 
di 
danni 
da 
prodotto tende 
a 
diminuire, sancendo un rapporto inversamente 
proporzionale 
dei 
costs 
tra 
produttore-distributore 
e 
consumatore 
conducente 
inevitabilmente 
a 
un 
�conflitto� 
che 
vede 
come 
attore 
principale 
il 
prezzo, 
e 
che 
pertanto non � 
risolvibile 
nel 
modo economicamente 
pi� efficiente 
con i 
soli 
strumenti 
offerti 
dal 
diritto. 
Un 
approccio 
di 
diverso 
tipo 
� 
quello 
offerto 
dalla 
scuola 
dell�analisi 
economica 
del 
diritto (53), che 
si 
propone 
quale 
obiettivo 
la 
risoluzione 
dei 
problemi 
giuridici 
mediante 
una 
comparazione 
tra 
i 
diversi 
gradi 
di 
efficienza 
economica 
delle 
soluzioni 
ipotizzabili: 
il 
massimo 
esponente 
di 
tale 
scuola 
� 
guido Calabresi 
(54), autore 
nei 
primi 
anni 
Settanta 
di 
un�opera 
intitolata 
�The 
cost 
of 
accidents� 
scaturita 
dalla 
necessit� 
di 
studiare 
il 
tema 
dell�allocazione 
dei 
costi 
in occasione 
della 
diffusione 
dei 
veicoli, che 
tosto si 
allarg� a 
quella 
della 
responsabilit� 
del 
fabbricante 
di 
automobili 
ed 
alla 
standardizzazione 
delle 
regole 
in tema 
di 
sicurezza 
dei 
veicoli; 
a 
rendere 
attuale 
il 
presente 
manuale, 
tanto 
da 
comportarne 
una 
recente 
ristampa, 
�, 
come 
sostenuto 
in 
dottrina 
(55), 
una 
�dimensione 
nuova� 
del 
sistema 
giuridico 
nazionale, nella 
prospettiva 
dell�armonizzazione 
di 
importanti 
settori 
del 
diritto 
dei 
Paesi 
dell�Unione 
Europea, 
in 
particolare 
dei 
rapporti 
di 
diritto 
privato 
inerenti alla produzione all�interno del mercato comune. 

Negli 
anni 
della 
pubblicazione 
dell�opera 
di 
Calabresi, il 
nostro ordinamento 
(seppure 
non vanno taciuti 
alcuni 
contributi 
in tal 
senso, come 
quello 
di 
Trimarchi 
(56) che, nell�analisi 
dell�articolo 2050 c.c., interpreta 
la 
scelta 


(52) In tale 
senso anche 
la 
previsione 
del 
legislatore, come 
si 
evince 
dalla 
lettura 
della 
Relazione 
al 
decreto di 
attuazione 
alla 
direttiva 
2014/40/UE, ove 
si 
legge: 
�Secondo stime 
della 
Commissione, la 
direttiva 
2014/40/UE 
potrebbe 
determinare 
un calo del 
2% dei 
consumi, in un periodo di 
5 anni. Ci� 
equivale 
a 
circa 
2,4 milioni 
di 
fumatori 
in meno nell�UE, con un risparmio annuale 
sul 
piano dell'assistenza 
sanitaria 
pari 
a 
506 milioni 
di 
euro. Il 
tabacco, infatti, � 
la 
pi� grande 
minaccia, evitabile, per la 
salute e responsabile di quasi 700.000 morti ogni anno�, in 
http://www.governo.it/sites/governo.it/files/rELaZioNE_iLLUSTraTiVa_11.pdf. 


(53) 
CALABRESI 
g., 
CosՏ 
l�analisi 
economica 
del 
diritto?, 
in 
rivista 
del 
diritto 
finanziario 
e 
scienza delle 
finanze, 2007, pp. 343-347, nelle 
quali 
in merito all�importanza 
della 
scuola 
dell�analisi 
economica 
del 
diritto si 
legge: 
�E 
dopo tanti 
anni 
i 
fatti 
mi 
hanno dato ragione: 
quello che 
negli 
anni 
sessanta 
a 
certi 
non sembrava 
studio serio del 
diritto lo � 
diventato ai 
nostri 
giorni, a 
tal 
punto che 
negli 
Stati Uniti alcuni pensano che l�approccio economico sia il solo metodo serio di studio del diritto�. 
(54) PERRONE 
A., SEMEghINI 
D., intervista a Guido Calabresi, in Europa e 
diritto privato, 2013, 
pp. 747-760. 
(55) AL 
MUREDEN 
E., Presentazione, in Costo degli 
incidenti 
e 
responsabilit� civile, CALABRESI 
g., Milano, 1975 (ed. rist. 2015). 
(56) 
TRIMARChI 
P., 
rischio 
e 
responsabilit� 
oggettiva, 
op. 
cit., 
pp. 
35 
e 
277; 
proprio 
in 
riferimento 
ai 
contributi 
innovatori 
di 
Trimarchi 
risulta 
opportuno ricordare 
le 
parole 
spese 
in merito da 
guido Calabresi 
in 
PERRONE 
A., 
SEMEghINI 
D., 
intervista 
a 
Guido 
Calabresi, 
cit., 
p. 
749, 
nella 
quale 
si 
legge: 
�Invece 
Trimarchi 
- proprio perch� 
era 
uno che 
non poteva 
non fare 
bene 
in tutto - ha 
voluto studiare 
l�economia 
che 
il 
piano degli 
studi 
gli 
diceva 
di 
affrontare 
insieme 
al 
diritto. E 
cos�, per una 
ragione 
molto diversa, si � trovato ad avere la stessa visione di Coase e mia�. 

RASSEgNA 
AvvOCATURA 
DELLO 
STATO - N. 4/2016 


dell�ordinamento 
di 
addossare 
all�imprenditore 
il 
costo 
del 
rischio 
che 
egli 
crea 
come 
un sistema 
per non rendere 
alcuni 
settori 
d�impresa 
attivi 
dal 
punto 
di 
vista 
economico 
e 
passivi 
dal 
lato 
sociale, 
sulla 
base 
del 
brocardo 
latino 
ubi 
commoda, 
ibi 
incommoda; 
in 
seguito 
precisa 
inoltre 
che 
le 
misure 
di 
sicurezza, 
doverose 
a 
norma 
dell�art. 2050 c.c., trovano il 
loro limite 
proprio nei 
costi, 
escludendo 
la 
responsabilit� 
dell�imprenditore 
per 
quelle 
che 
risultino 
a 
tal 
punto 
costose 
da 
paralizzare 
l�attivit� 
economica 
dell�esercente 
attivit�) 
era 
ben lontano da 
una 
prospettiva 
sistematica 
di 
tal 
genere: 
senza 
enumerare 
le 
tendenze 
innovative 
in tema 
di 
responsabilit� 
civile 
affrontate 
nel 
primo capitolo 
del 
manuale 
di 
Calabresi, 
inerenti 
soprattutto 
alla 
RC 
Auto, 
sar� 
opportuno 
cercare 
di 
comprendere, per quanto risulti 
possibile 
per il 
presente 
articolo, il 
sistema 
di 
analisi 
della 
responsabilit� 
civile 
che 
l�Autore 
prospetta 
nel 
corso 
della 
trattazione. gi� 
nella 
prefazione 
l�Autore 
avverte 
dell�intenzione 
di 
indagare 
quali 
siano le 
mire 
di 
formule 
come 
�distribuzione 
del 
rischio� 
e 
�distribuzione 
delle 
risorse�, della 
loro coerenza 
e 
fino a 
che 
punto un sistema 
di 
negligence 
sia 
in 
grado 
di 
idare 
risposte: 
il 
risultato 
dell�analisi, 
continua 
l�Autore, 
non � 
di 
certo un progetto di 
riforma 
valido per tutti 
i 
tipi 
di 
sinistri, ci� 
che 
rimane 
� 
un metodo di 
analisi 
avanguardista 
per una 
migliore 
lettura 
della 
responsabilit� 
civile 
(57). 
L�Autore 
intende 
sgomberare 
il 
terreno 
da 
alcuni 
errori 
frequenti: 
in primo luogo, la 
societ� 
non vuole 
evitare 
i 
sinistri 
a 
tutti 
i 
costi; 
le 
leggi 
economiche 
non forniscono risposte 
assolute; 
prosegue 
poi 
con 
la 
disambiguazione 
della 
perifrasi 
distribuzione 
del 
rischio 
riconducendola 
a 
tre 
significati, 
rectius 
metodi, 
tra 
loro 
differenti, 
quali 
il 
frazionamento 
dei 
danni, l�imputazione 
dei 
danni 
in capo ai 
soggetti 
che 
sono in grado di 
sostenerli 
e 
l�imputazione 
del 
danno a 
quelle 
attivit� 
che 
li 
causano, che 
� 
sistema 
per rimuovere 
i 
costi 
primari 
dei 
sinistri; 
in ultimo afferma 
che 
si 
tratti 
di 
un 
�mito� 
il 
postulato per cui 
vi 
debba 
essere 
una 
connessione 
finanziaria 
tra 
chi 
subisce 
il 
danno e 
chi 
lo arreca, criticando il 
sistema 
della 
colpa 
quale 
identificata 
dal 
2043 
c.c.: 
la 
scelta 
di 
chi 
deve 
pagare 
i 
costi 
dovrebbe 
essere 
rimessa 
ad 
una 
ponderazione 
pi� 
�alta�, 
sulla 
base 
della 
funzione 
che 
si 
vuole 
attribuire 
alla responsabilit� civile. 

A 
conferma 
del 
�primo 
errore� 
si 
pu� 
citare 
proprio 
la 
produzione 
e 
commercializzazione 
di 
sigarette, attivit� 
causante 
di 
certo numerosi 
sinistri, ma 
altres� 
attivit� 
che 
di 
sicuro l�ordinamento non intende 
proibire 
per il 
suo notevole 
apporto economico e 
risultando quindi 
decisivo, data 
la 
mancata 
intenzione 
di 
eliminare 
i 
sinistri, 
il 
metodo 
che 
adotter� 
per 
alleggerirne 
il 
costo 
gravante 
sulla 
societ�. Le 
funzioni 
della 
responsabilit� 
civile, chiamate 
goals, 
sono in primo luogo il 
suo tendere 
sempre 
alla 
giustizia 
ed in secondo luogo 
l�obiettivo della 
riduzione 
del 
costo degli 
incidenti; 
i 
fini 
di 
tale 
seconda 
funzione, 
chiamati 
sub-goals, sono costituiti 
dalla 
riduzione 
del 
numero e 
della 


(57) CALABRESI 
g., Costo degli incidenti e responsabilit� civile, op. cit., p. 33. 

LEgISLAzIONE 
ED 
ATTUALIT� 


gravit� dei 
sinistri 
e 
la riduzione 
che 
il 
costo degli 
incidenti 
causano alla societ� 
rispettivamente etichettati quali costo primario e secondario. 

I metodi 
per la 
riduzione 
della 
gravit� 
e 
del 
numero dei 
sinistri, ovvero 
del 
costo 
primario, 
possono 
consistere 
nella 
proibizione 
di 
certe 
attivit� 
ovvero 
nel 
renderle 
pi� costose, mentre 
per alleviare 
la 
societ� 
dal 
costo che 
gli 
incidenti 
causano a 
questa, l�Autore 
propone 
quello del 
�deep pocket� 
e 
del 
�frazionamento 
dei 
danni�: 
in base 
al 
metodo della 
�tasca 
profonda�, il 
sistema 
migliore 
per ridurre 
i 
costi 
secondari 
� 
quello di 
trasferirli 
su categorie 
di 
persone 
la 
cui 
posizione 
economica 
meno 
ne 
risentirebbe: 
ci� 
poggia 
le 
basi 
sulla 
teoria 
dell�utilit� 
marginale 
del 
denaro 
secondo 
la 
quale 
togliere 
la 
stessa 
quantit� 
di 
denaro ad un �povero� 
o ad un �ricco� 
non ha 
eguali 
effetti, avendo un 
riscontro 
minore 
per 
quest�ultimo. 
Tecniche 
invece 
di 
frazionamento 
dei 
danni 
sono l�assicurazione 
sociale, l�assicurazione 
privata 
volontaria 
e 
quella 
della 
responsabilit� 
aziendale 
che 
si 
snoda 
nell�imporre 
il 
carico delle 
perdite 
a 
chi 
� 
in grado di 
sostenerle 
nel 
tempo, ovvero imputare 
i 
danni 
a 
chi 
� 
in grado di 
trasferirli, 
almeno 
in 
parte, 
sugli 
acquirenti 
dei 
propri 
prodotti; 
l�assicurazione 
sociale 
� 
un 
tipo 
di 
assicurazione 
generalizzata 
per 
tutti 
i 
tipi 
di 
sinistri 
a 
carico 
dello Stato, la 
cui 
ripartizione 
dei 
premi 
per il 
mantenimento del 
fondo assicurativo 
sarebbe 
diversa 
a 
seconda 
che 
si 
tendesse 
al 
frazionamento 
totale 
ovvero 
al criterio della �tasca profonda�. 

In 
conclusione, 
l�Autore 
afferma 
di 
non 
aver 
cercato 
di 
suggerire 
un 
sistema 
alternativo 
a 
quello 
della 
colpa, 
in 
quanto 
qualunque 
degli 
approcci 
prospettati 
si 
preferisca 
potrebbe 
fornire 
risposte 
ancora 
pi� 
negative 
di 
quello 
fondato 
sulla 
negligence, 
bens� 
di 
voler 
dimostrare 
la 
�premessa 
pi� 
generale� 
ossia 
che 
� 
possibile 
sviluppare 
un 
sistema 
misto 
che 
sotto 
ogni 
profilo 
sia 
migliore 
(58). 


La 
nuova 
direttiva 
in 
materia 
di 
tabacco, 
la 
2014/40/UE, 
aumentando 
il 
livello 
di 
standards 
richiesto 
ai 
produttori-distributori 
di 
sigarette, 
ha 
di 
certo 
agito 
in 
materia 
di 
costo 
primario, 
proprio 
perch� 
riducendosi 
grazie 
a 
questi 
il 
consumo 
di 
tabacco, 
si 
dovrebbe 
avere 
una 
riduzione 
del 
numero 
e 
della 
gravit� 
dei 
sinistri; 
la 
direttiva 
europea 
sul 
danno 
da 
prodotti 
invece, 
che 
presenta 
un 
sistema 
di 
responsabilit� 
oggettiva, 
ha 
imputato 
il 
costo 
degli 
incidenti 
a 
quella 
categoria, 
i 
produttori, 
che 
possono 
evitare 
gli 
incidenti 
nel 
modo 
pi� 
economico 
possibile, 
come 
del 
resto 
gi� 
la 
giurisprudenza 
italiana 
aveva 
tentato 
di 
fare 
qualificando 
l�attivit� 
di 
sigarette 
come 
�pericolosa� 
alla 
stregua 
dell�art. 
2050 
c.c. 


Nel 
sistema 
vigente, 
il 
rispetto 
da 
parte 
dell�imprenditore 
della 
normativa 
tecnica 
garantisce 
la 
qualificazione 
del 
prodotto 
come 
non 
difettoso, 
escludendo 
la 
risarcibilit� 
del 
danno 
prodotto; 
ma 
se 
gli 
standards 
antecedenti 
a 
questi 
ultimi, 
le 
prime 
warnings 
del 
1991, 
fossero 
considerate 
alla 
stregua 


(58) CALABRESI 
g., 
Costo degli incidenti e responsabilit� civile, op. cit., passim. 

RASSEgNA 
AvvOCATURA 
DELLO 
STATO - N. 4/2016 


dell�ordinamento 
statunitense, 
ossia 
unicamente 
quali 
elementi 
di 
prova 
non 
idonei 
ad 
escludere 
certamente 
la 
risarcibilit� 
a 
causa 
della 
loro 
qualificazione 
quali 
minimum 
standards, 
risulterebbero 
risarciti 
i 
costi 
alla 
societ� 
per 
la 
contrazione 
delle 
neoplasie? 
Sono 
necessari 
due 
ordini 
di 
considerazioni: 
la 
prima 
di 
ordine 
procedurale, 
in 
quanto 
per 
i 
consumatori 
si 
paventerebbe 
la 
difficolt� 
di 
non 
poter 
agire 
collettivamente 
a 
causa 
di 
un�inadeguata 
introduzione 
della 
class-action; 
la 
seconda 
di 
ordine 
concettuale, 
per 
cui 
nonostante 
il 
progressivo 
miglioramento 
degli 
standards 
risulterebbe 
impossibile 
eliminare 
i 
costi 
per 
la 
societ�, 
ci� 
perch� 
l�ordinamento 
stesso, 
come 
ci 
avverte 
Calabresi 
nella 
sezione 
dedicata 
agli 
�Errori 
pi� 
frequenti�, 
non 
vuole 
evitare 
i 
sinistri 
a 
tutti 
i 
costi. 


Ci� vuole 
dire 
che 
la 
societ�, o meglio i 
consumatori, dovranno sempre 
sostenere 
dei 
costi 
non paragonabili 
a 
quelli 
dei 
produttori, essendo quelli 
dei 
secondi 
relegati 
alla 
mera 
sfera 
economica: 
tutto 
questo 
potrebbe 
suggerire 
l�adozione 
di 
un 
approccio 
diverso, 
quale 
quello 
dell�assicurazione 
sociale 
letta 
attraverso la 
lente 
della 
cosiddetta 
�deep pocket�: 
l�attuazione 
consiste 
nella 
formazione 
di 
un fondo assicurativo, che 
venga 
alimentato attraverso il 
pagamento dei 
premi 
sotto forma 
di 
contributi 
erariali 
allo Stato da 
parte 
di 
consumatori 
e 
produttori 
di 
sigarette, 
con 
la 
maggiore 
partecipazione 
di 
questi 
ultimi, che 
permetterebbe 
di 
indennizzare 
le 
vittime 
dell�assuefazione 
e 
i 
rispettivi 
familiari. 

La 
visione 
sopra 
prospettata 
riposa 
nella 
convinzione 
che 
un approccio 
prettamente 
giuridico al 
problema 
consistente 
nell�addossare 
i 
costi 
all�uno o 
all�altro attore 
non condurrebbe 
comunque 
ad una 
soddisfacente 
risoluzione 
della 
questione 
per le 
motivazioni 
sopra 
delineate; 
prescindendo poi 
dalla 
responsabilit� 
e 
scivolando nello stragiudiziale, si 
passerebbe 
da 
un incerto risarcimento 
a 
favore 
di 
qualche 
vittima 
ad 
un 
sicuro 
indennizzo 
a 
favore 
di 
tutte (59). 


(59) Sulla 
possibilit� 
di 
ricercare 
soluzioni 
alternative 
STALTERI 
M.D., il 
problema della responsabilit� 
del 
produttore 
di 
sigarette 
e 
il 
caso Cipollone: l��assalto alla cittadella� 
� 
realmente 
cominciato?, 
in riv. dir. civile, 1994, pp. 231-232, nel 
quale 
si 
legge: 
�I noti 
meccanismi 
di 
loss-spreading 
potrebbero addirittura 
operare, in tali 
casi, mediante 
la 
tassazione 
del 
prodotto (o della 
materia 
prima) 
che 
ha 
provocato quegli 
incidenti; 
le 
somme 
cos� 
raccolte 
confluirebbero tutte 
in un fondo monetario, 
dal 
quale 
le 
future 
vittime 
potrebbero 
attingere 
per 
un 
risarcimento. 
Questi 
ultimi 
sviluppi 
sono 
ben 
noti 
all�ordinamento statunitense: 
si 
pensi 
al 
National 
Childhood Vaccine 
injury 
act, approvato nel 
1986, il 
quale 
prevede 
un sistema 
di 
risarcimento 
no-fault 
(cio� 
a 
prescindere 
da 
qualsiasi 
colpa 
del 
produttore), 
finanziato 
tassando 
il 
prodotto. 
Il 
risarcimento 
verr� 
destinato 
a 
tutti 
coloro 
che, 
anche 
a 
distanza 
di 
tempo, 
contraggano 
una 
delle 
malattie 
eziologicamente 
ricollegabili, 
a 
rigor 
di 
scienza, 
all�uso 
di 
un 
vaccino�. 

Contributididottrina
Le conseguenze dell�inosservanza del contraddittorio 
alla luce del raffronto fra i valori costituzionali sottesi 
all�istituto del contraddittorio e quelli sottesi 
all�esercizio dell�azione impositiva 


(Primo 
ciclo 
di 
seminari 
di 
aPProfondimento 
di 
temi 
tributari. Quarto 
incontro: 

�le 
deduzioni 
difensive 
nel 
Procedimento 
e 
la 
conformazione 
degli 
obblighi 


dell�amministrazione�, corte 
di 
cassazione, aula 
magna, 20 ottobre 
2016) 


Gianna Maria De Socio* 


sommario: 1. le 
varie 
forme 
di 
tutela del 
contraddittorio nel 
diritto positivo e 
conseguenze 
della 
loro 
violazione. 
a) 
Partecipazione 
obbligatoria 
del 
contribuente 
al 
procedimento 
con 
obbligo 
dell'amministrazione 
di 
motivare 
sulle 
ragioni 
addotte 
dal 
contribuente 
(c.d. 
motivazione 
rafforzata). b) Partecipazione 
obbligatoria del 
contribuente 
al 
procedimento di 
verifica, 
ma 
senza 
obbligo 
di 
motivazione 
rafforzata 
da 
parte 
dell'amministrazione 
(accertamenti 
sintetici 
ex 
art. 38 co. 7 d.P.r. 600/1973). c) Partecipazione 
�eventuale� 
al 
procedimento (rimessa alla discrezionalit� dei 
verificatori). d) Partecipazione 
�extra procedimentale�, 
ossia 
dopo 
la 
chiusura 
della 
verifica, 
ma 
prima 
dell'atto 
impositivo. 
e) 
la 
partecipazione 
dopo l'adozione 
dell�atto (ma prima della sua definitivit�): l'accertamento con 
adesione. f) interpello preventivo: partecipazione 
anticipata rispetto alla stessa operazione 
economica 
-2. 
contraddittorio 
endoprocedimentale. 
duplice 
regime 
giuridico. 
Possibili 
spunti per il superamento della dicotomia - 3. conclusione. 


1. 
le 
varie 
forme 
di 
tutela 
del 
contraddittorio 
nel 
diritto 
positivo 
e 
conseguenze 
della loro violazione. 
Il 
coinvolgimento del 
contribuente 
nelle 
varie 
fasi 
del 
procedimento tri


(*) Avvocato dello Stato. 


Le 
opinioni 
espresse 
nel 
presente 
intervento 
rappresentano 
il 
pensiero 
dell�Autrice 
e 
non 
necessariamente 
quello della Istituzione presso la quale presta servizio. 



RASSegnA 
AvvoCATuRA 
DeLLo 
STATo - n. 4/2016 


butario, sempre 
pi� utilizzato dal 
legislatore 
negli 
ultimi 
anni, ha 
portato alla 
progressiva 
trasformazione 
del 
modello 
tradizionale, 
tipicamente 
autoritativo, 
in 
forme 
nuove 
caratterizzate 
dal 
contraddittorio 
(talvolta 
necessario) 
con 
l'Amministrazione. 


In alcuni 
casi 
la 
partecipazione 
del 
contribuente 
� 
indispensabile 
per la 
valida 
utilizzazione 
di 
alcuni 
strumenti 
accertativi 
previsti 
dalla 
legge 
(soprattutto 
quelli fondati su dati statistici o valori di mercato). 


La 
rilevanza 
che 
il 
legislatore 
attribuisce 
alla 
partecipazione 
� 
espressa 
dalla 
gravit� 
delle 
conseguenze 
connesse 
alla 
mancata 
attivazione 
del 
contraddittorio, 
che possono arrivare in alcuni casi anche alla nullit� dell'atto. 


Tuttavia 
la 
partecipazione 
al 
contraddittorio non genera 
solo diritti, ma 
in alcuni 
casi 
anche 
oneri, essendo previste 
dalla 
legge 
conseguenze 
pregiudizievoli 
a 
carico del 
contribuente 
che, invitato a 
fornire 
notizie 
o documenti, 
non vi ottemperi (1). 


Tale 
aspetto non pu� essere 
trascurato, laddove 
l'interprete 
sia 
chiamato 
a 
valutare 
l'estensione 
di 
particolari 
forme 
di 
contraddittorio al 
fuori 
dai 
casi 
espressamente previsti. 

Il 
diritto 
positivo 
pone 
in 
luce 
l'esistenza 
di 
una 
pluralit� 
di 
modi 
di 
partecipazione 
del 
contribuente 
al 
procedimento 
volto 
alla 
adozione 
dell'atto 
tributario. 


Passando 
in 
rapida 
rassegna 
le 
principali 
forme 
di 
�partecipazione� 
si 
pu� delineare 
un sistema 
a 
tutele 
decrescenti, che 
possono essere 
ricondotte 
ai seguenti tipi essenziali: 


a) 
Partecipazione 
obbligatoria 
del 
contribuente 
al 
procedimento 
con 
obbligo 
dell'amministrazione 
di 
motivare 
sulle 
ragioni 
addotte 
dal 
contribuente 
(c.d. 
motivazione rafforzata). 

Tale 
tipo di 
partecipazione 
(obbligatoria) si 
riscontra 
nel 
caso degli 
accertamenti 
fondati 
sugli 
studi 
di 
settore 
e 
su accertamenti 
parametrici, in relazione 
ai 
quali 
la 
Corte 
di 
legittimit� 
(2) ha 
affermato che 
lo studio di 
settore 
o 
l'accertamento 
parametrico 
-�essendo 
un'estrapolazione 
statistica 
a 
campione 
di 
una platea omogenea di 
contribuenti� 
-�soffre 
delle 
incertezze 
da approssimazione 
dei 
risultati 
proprie 
di 
ogni 
strumento statistico�, sicch� 
richiede 
un adattamento alla 
concreta 
realt� 
reddituale 
del 
contribuente. Il 
contraddittorio 
� 
�l'elemento 
determinante 
per 
adeguare 
alla 
concreta 
realt� 
economica 
del singolo contribuente l'ipotesi dello studio di settore�. 


(1) � 
il 
caso della 
disposizione 
contenuta 
nell'art. 32 co. 7 D.P.R. 600/1973, secondo cui 
�le 
notizie 
ed 
i 
dati 
non 
addotti 
e 
gli 
atti, 
i 
documenti, 
i 
libri 
ed 
i 
registri 
non 
esibiti 
o 
non 
trasmessi 
in 
risposta 
agli 
inviti 
dell'ufficio non possono essere 
presi 
in considerazione 
a favore 
del 
contribuente, ai 
fini 
del-
l'accertamento 
in 
sede 
amministrativa 
e 
contenziosa. 
di 
ci� 
l'ufficio 
deve 
informare 
il 
contribuente 
contestualmente 
alla richiesta�. 

ConTRIbuTI 
DI 
DoTTRInA 


L�invito al 
contraddittorio � 
finalizzato, dunque, ad acquisire 
le 
ragioni 
del 
contribuente, 
in 
ordine 
alle 
quali 
l�Amministrazione 
� 
tenuta 
a 
pronunciarsi 
specificamente (3). 


In tutti 
questi 
casi 
la 
partecipazione 
necessaria 
del 
contribuente 
(a 
pena 
di 
nullit� 
dell'atto) si 
giustifica 
in funzione 
della 
�labilit�� 
degli 
elementi 
che 
fondano l'avviso (presunzioni semplici). 


L'omesso 
invito 
al 
contraddittorio 
o 
la 
mancata 
motivazione 
delle 
ragioni 
specifiche 
per 
le 
quali 
l'Amministrazione 
ritiene 
di 
non 
accogliere 
le 
difese 
del 
contribuente 
comporta, per costante 
giurisprudenza 
della 
Corte 
di 
legittimit�, 
la 
nullit� 
dell'avviso (4). ove 
ci� si 
verifichi 
il 
contribuente 
� 
esonerato 
dal 
provare 
l'infondatezza 
della 
pretesa, assorbita 
dalla 
questione 
della 
invalidit� 
dell'atto impositivo. 


Analoga 
modalit� 
partecipativa 
� 
prevista 
con riferimento alla 
contestazione 
di abuso del diritto. 

Tanto 
nella 
vecchia 
formulazione 
prevista 
dall'art. 
37 
bis 
del 
D.P.R. 
600/1973 (5), quanto nella 
attuale 
formulazione 
prevista 
ora 
dall'art. 10-bis, 


(2) L'orientamento trae 
origina 
da 
Cass. SS.uu. 26635/2009, emessa 
sulla 
scia 
dei 
principi 
affermati 
dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 105/03. 
(3) 
In 
un 
procedimento 
accertativo, 
come 
quello 
degli 
studi 
di 
settore, 
la 
motivazione 
dell'atto 
non 
� 
pi� 
solo 
lo 
strumento 
con 
cui 
l'Amministrazione 
si 
limita 
a 
�manifestare 
all'esterno� 
le 
ragioni 
per 
le 
quali 
ritiene 
di 
esercitare 
il 
suo 
potere 
autoritativo 
tradizionale 
(svolgendo 
la 
classica 
funzione 
di 
provocatio 
ad 
opponendum), 
come 
potrebbe 
essere 
per 
un 
accertamento 
a 
tavolino, 
ma 
esprime 
in 
una 
valutazione 
di 
sintesi 
l'esito 
della 
partecipazione 
del 
contribuente 
al 
procedimento, 
dando 
conto 
delle 
ragioni 
per 
le 
quali 
-proprio 
in 
accoglimento 
delle 
osservazioni 
del 
contribuente 
-l'accertamento 
viene 
ridotto 
o 
rettificato. 
(4) viceversa 
se 
� 
il 
contribuente 
a 
non sfruttare 
l'opportunit� 
di 
contraddittorio che 
gli 
viene 
offerta 
dalla 
legge 
in 
fase 
procedimentale, 
la 
giurisprudenza 
della 
Cassazione 
ritiene 
che 
non 
vi 
sia 
un 
pregiudizio in termini 
di 
esercizio della 
successiva 
difesa 
giurisdizionale 
(Cass. civ. Sez. v, Sent., 30 
settembre 
2016, 
n. 
19518), 
in 
quanto 
il 
giudice 
tributario 
pu� 
�liberamente 
valutare 
tanto 
l'applicabilit� 
degli 
standard al 
caso concreto, da dimostrarsi 
dall'ente 
impositore, quanto la controprova offerta dal 
contribuente 
che, al 
riguardo, non � 
vincolato alle 
eccezioni 
sollevate 
nella fase 
del 
procedimento amministrativo 
e 
dispone 
della pi� ampia facolt�, incluso il 
ricorso a presunzioni 
semplici, anche 
se 
non 
abbia risposto all'invito al contraddittorio in sede amministrativa�. 
(5) In relazione 
all'art. 37 bis 
(che 
regolava 
la 
figura 
dell'abuso del 
diritto prima 
della 
riforma) la 
problematica 
posta 
era 
quella 
della 
distinzione 
tra 
ipotesi 
tipizzate 
(quelle 
previste 
nel 
terzo 
comma 
del-
l'art. 37 bis, per le 
quali 
era 
prevista 
l'adozione 
dell'avviso dopo 60 giorni 
dalla 
segnalazione 
al 
contribuente 
della 
verifica 
a 
suo 
carico 
e 
la 
motivazione 
�rafforzata� 
) 
e 
le 
ipotesi 
innominate, 
di 
matrice 
giurisprudenziale 
sulla 
sicia 
della 
sentenza 
halifax 
della 
Corte 
di 
giustizia 
causa 
C-255/2002 
per 
le 
quali - a stretto rigore - non era previsto il rispetto dell'iter previsto dal 4� comma. 
Com'� 
noto, la 
questione 
era 
stata 
rimessa 
alla 
Corte 
Cost. proprio dalla 
v 
sezione 
della 
Cassazione 
che 
aveva 
valorizzato la 
natura 
sovranazionale 
dell'istituto e 
la 
sua 
preminenza 
nell'ordinamento anche 
interno 
il 
che 
ne 
giustificava 
la 
rilevabilit� 
anche 
d'ufficio, il 
che 
sembrava 
contrastante 
con articolate 
garanzie 
procedimentali prescritte dal 4� comma dell'art. 37 bis. 
La 
Corte 
Costituzionale 
(sentenza 
n. 132/2015) per� ha 
deciso la 
controversia 
solo dopo che 
la 
Cassazione 
(con 25759/2014 e 
406/15,) si 
era 
gi� 
pronunciata 
nel 
senso di 
ritenere 
applicabile 
alle 
ipotesi 
di 
abuso 
innominate 
le 
garanzie 
di 
cui 
all'art. 
12 
co. 
7 
L. 
212/2012, 
sicch� 
la 
Corte 
costituzionale 
ha 
ritenuto 
che 
la 
parit� 
di 
trattamento, di 
cui 
dubitava 
il 
giudice 
remittente, fosse 
salvata 
non gi� 
in virt� della 
eliminazione 
della 
regola 
del 
contraddittorio 
per 
le 
ipotesi 
nominate, 
ma 
ritenendo 
estesa 
la 
regola 
del 
contraddittorio 
prevista dall'art. 12 co. 7 L. 212/2000 alle ipotesi innominate. 

RASSegnA 
AvvoCATuRA 
DeLLo 
STATo - n. 4/2016 


L. 
27 
luglio 
2000, 
n. 
212, 
(disciplina 
dell'abuso 
del 
diritto 
o 
elusione 
fiscale), 
in vigore 
dal 
1 gennaio 2016, si 
prevede 
il 
contraddittorio necessario e 
la 
motivazione 
�rafforzata� (6). 
In queste 
ipotesi 
la 
necessit� 
del 
contraddittorio e 
della 
motivazione 
rafforzata 
si 
spiega 
in considerazione 
dell'esigenza 
di 
�limitare 
il 
rischio di 
una 
indiscriminata applicazione 
della figura dell'abuso del 
diritto a qualsiasi 
fattispecie 
negoziale, in modo da evitare 
la insorgenza di 
controversie 
tributarie 
su accertamenti 
fiscali 
che 
potrebbero presentare 
elevati 
rischi 
di 
aleatoriet� 
per l'ufficio finanziario� 
(7). 


b) Partecipazione 
obbligatoria del 
contribuente 
al 
procedimento di 
verifica, 
ma 
senza 
obbligo 
di 
motivazione 
rafforzata 
da 
parte 
dell'amministrazione 
(accertamenti sintetici ex art. 38 co. 7 d.P.r. 600/1973). 


In base 
al 
comma 
7 dell'art. 38 D.P.R. 600/1973 l'ufficio che 
procede 
alla 
determinazione 
sintetica 
del 
reddito 
complessivo 
ha 
l'obbligo 
di 
invitare 
il 
contribuente 
a 
comparire 
di 
persona 
o per mezzo di 
rappresentanti 
per fornire 
dati 
e 
notizie 
rilevanti 
ai 
fini 
dell'accertamento (oltre 
che 
di 
avviare 
il 
procedimento 
di 
accertamento con adesione 
ai 
sensi 
dell'articolo 5 del 
decreto legislativo 
19 giugno 1997, n. 218). 


In 
questi 
casi 
il 
contraddittorio 
� 
dunque 
obbligatorio 
(a 
pena 
di 
nullit�), 
ma 
non 
vi 
� 
un 
onere 
specifico 
di 
motivare 
sulle 
ragioni 
dedotte, 
dunque 
le 
censure 
attinenti 
la 
motivazione 
recedono 
da 
vizio 
di 
legittimit� 
a 
vizio 
di 
merito. 


c) Partecipazione 
�eventuale� 
al 
procedimento (rimessa alla discrezionalit� 
dei verificatori). 

Si 
tratta 
di 
una 
partecipazione 
eventuale 
e 
non 
obbligatoria. 
Le 
ipotesi 
sono 
quelle 
previste 
dalle 
varie 
fattispecie 
dall'art. 
32 
D.P.R. 
600/1973, 
che 
prevede 
- su impulso dell'ufficio - varie 
forme 
di 
coinvolgimento del 
contribuente 
nella 
fase 
di 
verifica 
(dall'invito a 
comparire 
di 
persona 
o a 
mezzo rappresentanti, 
all'invito 
ad 
esibire 
o 
trasmettere 
atti 
o 
documenti, 
o 
ancora 
a 
rispondere 
a 
questionari). Si 
tratta 
di 
un coinvolgimento del 
contribuente 
previsto 
solo quale 
facolt� 
rimessa 
agli 
uffici, i 
quali 
�possono� 
avvalersi 
di 
tale 
partecipazione (8). 


(6) 
In 
particolare 
il 
comma 
8 
del 
richiamato 
art. 
10 
bis, 
che 
�l'atto 
impositivo 
� 
specificamente 
motivato, 
a 
pena 
di 
nullit�, 
in 
relazione 
alla 
condotta 
abusiva, 
alle 
norme 
o 
ai 
principi 
elusi, 
agli 
indebiti 
vantaggi 
fiscali 
realizzati, 
nonch� 
ai 
chiarimenti 
forniti 
dal 
contribuente 
nel 
termine 
di 
cui 
al 
comma 
6�. 
(7) Cosi Cass. civ. Sez. v, Sent., 5 settembre 2014, n. 25759. 
(8) 
In 
base 
all'art. 
32 
co. 
1 
D.P.R. 
600/1973 
(Poteri 
degli 
uffici) 
�Per 
l'adempimento 
dei 
loro 
compiti 
gli 
uffici 
delle 
imposte 
possono: � 
2) invitare 
i 
contribuenti, indicandone 
il 
motivo, a comparire 
di 
persona o per 
mezzo di 
rappresentanti 
per 
fornire 
dati 
e 
notizie 
rilevanti 
ai 
fini 
dell'accertamento nei 
loro 
confronti, 
... 
3) 
invitare 
i 
contribuenti, 
indicandone 
il 
motivo, 
a 
esibire 
o 
trasmettere 
atti 
e 
documenti 
rilevanti 
ai 
fini 
dell'accertamento nei 
loro confronti, ... 4) inviare 
ai 
contribuenti 
questionari 
relativi 
a 
dati e notizie di carattere specifico ...�. 

ConTRIbuTI 
DI 
DoTTRInA 


In 
base 
all'art. 
32 
n. 
2) 
D.P.R. 
600/1973, 
il 
peso 
dato 
al 
contraddittorio 
pu� rilevare 
in modo anche 
decisivo ai 
fini 
della 
concreta 
formulazione 
della 
contestazione 
(9), la 
quale 
potrebbe 
essere 
ridimensionata 
o del 
tutto abbandonata 
se 
la 
parte 
fornisce 
giustificazioni 
ritenute 
adeguate 
a 
confutare 
gli 
elementi 
presuntivi addotti dall'ufficio. 


Ma 
il 
coinvolgimento 
del 
contribuente 
non 
� 
previsto 
quale 
necessario 
(salvo che 
non vi 
siano stati 
accessi, ispezioni 
o verifiche, nel 
qual 
caso opererebbe 
la 
diversa 
norma 
di 
cui 
all'art. 12 co. 7 L. 212/2000, su cui 
v. infra), 
costituendo 
l'invito 
a 
comparire 
una 
mera 
facolt� 
dell'ufficio 
e 
non 
un 
obbligo. 


L'eventuale 
difetto 
di 
questo 
tipo 
di 
contraddittorio 
(non 
obbligatorio) 
provoca conseguenze asimmetriche. 

Se 
� 
l'ufficio che 
trascura 
di 
avvalersi 
di 
questo tipo di 
contraddittorio, 
la 
legittimit� 
della 
rettifica 
non � 
compromessa 
(10) (si 
ritiene, ad esempio, 
che 
l'utilizzazione 
a 
fini 
fiscali 
della 
documentazione 
bancaria 
non imponga 
la 
convocazione 
del 
contribuente 
affinch� 
giustifichi 
le 
operazioni 
verificate, 
in quanto �nessuna norma impone 
tale 
contestazione 
in sede 
amministrativa 
prima dell'accertamento� 
(11)). 


Se 
� 
invece 
il 
contribuente 
a 
non avvalersi 
della 
facolt� 
di 
partecipazione 
proposta 
dall'ufficio, vi 
sono a 
suo carico conseguenze 
onerose 
delineate 
dal 
comma 
4 del 
medesimo art. 32 (12), in base 
alla 
quale 
le 
notizie 
non addotte 
e 
gli 
atti 
e 
documenti 
non 
esibiti 
in 
risposta 
agli 
inviti 
dell'ufficio 
�non 
possono 
essere 
presi 
in considerazione 
a favore 
del 
contribuente, ai 
fini 
dell'accertamento 
in sede amministrativa e contenziosa�. 


L'interpretazione 
che 
di 
tale 
norma 
ha 
fornito la 
giurisprudenza 
di 
legittimit� 
� 
stata 
(ed � 
tuttora) oscillante, passandosi 
da 
letture 
di 
maggior rigore 
(secondo cui 
l'inutilizzabilit� 
dei 
documenti 
non forniti 
tempestivamente 
va 
affermata 
�a prescindere 
dalle 
ragioni 
determinanti 
l'omissione� 
(13)), a 
let


(9) Infatti, in base 
al 
n. 2) del 
richiamato art. 32 D.P.R. 600/1973, se 
il 
contribuente 
riesce 
a 
dimostrare 
che 
i 
dati 
e 
degli 
elementi 
acquisiti 
dall'ufficio, anche 
in sede 
di 
accertamenti 
bancari, sono 
stati 
tenuti 
presenti 
nella 
determinazione 
del 
reddito o che 
non hanno rilevanza, l'ufficio non pu� porre 
i 
predetti 
dati 
ed elementi 
alla 
base 
delle 
rettifiche 
e 
degli 
accertamenti 
presuntivi 
(di 
cui 
agli 
artt. 38, 
39, 40 e 41 del medesimo D.P.R. 600). 
(10) Dunque, diversamente 
da 
quanto avviene 
nel 
caso degli 
accertamenti 
fondati 
su studi 
di 
settore 
ed indici 
parametrici, la 
mancata 
instaurazione 
del 
contraddittorio non degrada 
gli 
elementi 
rilevati 
(ad 
esempio 
dati 
bancari) 
a 
presunzioni 
semplice, 
ma 
ne 
mantiene 
fermo 
il 
valore 
presuntivo 
rimanendo 
a carico del contribuente l'onere della prova contraria da fornire in giudizio. 
(11) Cosi Cass. 6094/2009 che richiama Cass. n. 267/2001. 
(12) 
In 
base 
a 
tale 
norma: 
�le 
notizie 
ed 
i 
dati 
non 
addotti 
e 
gli 
atti, 
i 
documenti, 
i 
libri 
ed 
i 
registri 
non esibiti 
o non trasmessi 
in risposta agli 
inviti 
dell'ufficio non possono essere 
presi 
in considerazione 
a favore del contribuente, ai fini dell'accertamento in sede amministrativa e contenziosa�. 
(13) In tal 
senso Cass. Sez. v 
Sent., 30 dicembre 
2009, n. 28049, ma 
pi� recentemente 
v. anche 
Cass. 
civ. 
Sez. 
v, 
14 
maggio 
2014, 
n. 
10489, 
secondo 
cui 
l'inutilizzabilit� 
consegue 
solo 
alla 
intenzionale 
volont� 
del 
contribuente 
di 
sottrarre 
alla 
verifica 
documenti 
rilevanti, il 
che 
postula 
che 
l'Amministrazione 
abbia 
fissato 
un 
termine 
minimo 
per 
l'adempimento 
delle 
richieste 
e 
che 
abbia 
avvertito 
delle 
conseguenze 
pregiudizievoli che derivano dall'inottemperanza alle stesse. 

RASSegnA 
AvvoCATuRA 
DeLLo 
STATo - n. 4/2016 


ture 
pi� morbide 
(14); 
in ogni 
caso, comunque, il 
contraddittorio costituisce 
per 
il 
contribuente, 
un 
onere, 
la 
cui 
mancata 
ottemperanza 
pu� 
determinare 
conseguenze 
pregiudizievoli 
che 
possono 
riverberarsi 
irrimediabilmente 
anche 
nel seguito giudiziale della controversia. 


Le 
conseguenze 
dell'omissione 
del 
contraddittorio (a 
seconda 
che 
sia 
riferibile 
al 
mancato 
invito 
dell'Amministrazione 
ovvero 
alla 
mancata 
ottemperanza 
del 
contribuente) 
presentano 
simmetrie 
rovesciate 
rispetto 
a 
quelle 
previste nei casi di accertamenti parametrici o fondati su studi di settore. 


negli 
accertamenti 
d cui 
all�art. 32, infatti, �l'onere� 
di 
utilizzare 
proficuamente 
il 
contraddittorio 
avviato 
dall'ufficio 
grava 
sul 
contribuente, 
il 
quale 
se 
rimane 
inerte 
rischia 
di 
subire 
(con la 
sanzione 
dell'inutilizzabilit� 
dei 
documenti 
di 
cui 
all'art. 
32 
co. 
4 
del 
D.P.R. 
600/1973) 
le 
conseguenze 
della 
eventuale 
sua inottemperanza all'invito. 


La 
situazione 
dunque 
appare 
invertita 
rispetto 
al 
caso 
di 
accertamenti 
parametrici 
o fondati 
su studi 
di 
settore, dove 
il 
contribuente, secondo la 
giurisprudenza 
di 
legittimit�, �non � 
vincolato alle 
eccezioni 
sollevate 
nella fase 
del 
procedimento amministrativo e 
dispone 
della pi� ampia facolt�, incluso il 
ricorso a presunzioni 
semplici, anche 
se 
non abbia risposto all'invito al 
contraddittorio 
in sede amministrativa� 
(15). 

Questo 
diverso 
regime 
di 
contrappesi 
non 
� 
irrazionale 
e 
si 
spiega 
alla 
luce 
della 
diversa 
natura 
degli 
elementi 
posti 
alla 
base 
delle 
rettifiche, 
elementi 
che, in caso di 
accertamenti 
parametrici, consistono in dati 
di 
natura 
statistica 
(integranti, dunque, mere 
presunzioni 
semplici), mentre 
nei 
casi 
previsti 
dal-
l'art. 
32, 
sono 
elementi 
comunque 
idonei 
a 
fondare 
un 
accertamento 
presuntivo 
ai sensi degli artt. 38, 39, 40 e 41 D.P.R. 600/1973. 


Per 
la 
stessa 
ragione 
si 
spiega 
il 
perch� 
negli 
accertamenti 
di 
cui 
all�art. 
32 


n. 
2) 
D.P.R. 
600/1973 
non 
sia 
prevista 
la 
necessit� 
di 
inserire 
nell�avviso 
di 
accertamento 
una 
motivazione 
specifica 
delle 
ragioni 
per 
le 
quali 
non 
siano 
ritenuti 
condivisibili 
o 
sufficienti 
gli 
elementi 
eventualmente 
addotti 
dal 
contribuente 
che 
abbia 
risposto al 
contraddittorio (16). L�eventuale 
lacuna 
motivazionale 
dell�avviso 
sulle 
ragioni 
della 
parte, 
non 
determina 
l�illegittimit� 
dell�avviso 
(diversamente 
dai 
casi 
in 
cui 
� 
previsto 
l�obbligo 
di 
motivazione 
rafforzata) 
ma 
� 
evidente 
che 
tali 
ragioni 
saranno 
verosimilmente 
riproposte 
in 
sede 
giudiziale 
divenendo 
oggetto 
dell�apprezzamento 
di 
merito 
del 
giudice 
tributario. 
(14) In tal senso Cass. Sez. v, 27 settembre 2013, n. 22126. 
(15) 
La 
giurisprudenza 
di 
legittimit� 
ritiene, 
inoltre 
che 
l'esito 
del 
contraddittorio 
non 
comprometta 
l'esercizio della 
difesa 
giurisdizionale, e 
non condiziona 
l'impugnabilit� 
dell'accertamento, potendo il 
giudice 
tributario 
liberamente 
valutare 
tanto 
l'applicabilit� 
degli 
standard 
al 
caso 
concreto, 
da 
dimostrarsi 
dall'ente 
impositore, 
quanto 
la 
controprova 
offerta 
dal 
contribuente 
(Cass. 
civ. 
Sez. 
v, 
Sent., 
30 
setttembre 
2016, n. 19518). 
(16) Ancorch�, infatti, le 
richieste 
fatte 
e 
le 
risposte 
ricevute 
ex art. 32 n. 2) D.P.R. 600/1973 debbano 
risultare 
da 
verbale 
sottoscritto 
anche 
dal 
contribuente 
o 
dal 
suo 
rappresentante, 
non 
vi 
� 
un 
obbligo 
espresso di motivare in ordine a tali risposte, sanzionato dalla illegittimit� dell'atto. 

ConTRIbuTI 
DI 
DoTTRInA 


d) Partecipazione 
�extra procedimentale�, ossia dopo la chiusura della verifica, 
ma prima dell'atto impositivo. 


Si 
tratta 
dell'ipotesi 
prevista 
dall'art. 12 co. 7 della 
L. 212/2000 (17), che 
prevede 
il 
decorso 
di 
un 
termine 
dilatorio 
di 
60 
giorni 
tra 
il 
rilascio 
della 
copia 
del 
processo verbale 
di 
constatazione 
e 
la 
notifica 
dell'avviso, al 
fine 
di 
consentire 
al contribuente di formulare le proprie osservazioni. 


Analoga 
forma 
di 
contraddittorio 
anticipato 
� 
stata 
poi 
prevista, 
per 
effetto 
del 
d.lgs. 32/2001, anche 
con riferimento alle 
cartelle 
emesse 
sulla 
base 
dei 
controlli 
formali 
ai 
sensi 
dell'art. 36 bis 
e 
36 ter 
D.P.R. 600/1973, nonch� 
alle 
liquidazioni 
ex 
art. 
54 
bis 
D.P.R. 
633/1973, 
come 
disposto 
anche 
dall'art. 
6 
co. 
5 
della 
L. 
212/2000, 
che 
prevede 
l'avviso 
bonario 
prima 
dell'emanazione 
delle 
cartelle, a pena espressa di nullit� (18). 


� 
da 
notare 
che, 
mentre 
in 
relazione 
all�avviso 
bonario 
prodromico 
all�emanazione 
delle 
cartelle 
esattoriali, 
la 
giurisprudenza 
si 
� 
attestata, 
senza 
particolari 
incertezze 
interpretative, 
su 
una 
lettura 
�sostanzialista� 
delle 
norme 
(ravvisando 
la 
necessit� 
dell�avviso 
bonario 
soltanto 
"qualora 
sussistano 
incertezze 
su 
aspetti 
rilevanti 
della 
dichiarazione", 
ma 
non 
in 
caso 
di 
controlli 
di 
dati 
contabili 
direttamente 
riportati 
in 
dichiarazione), 
non 
altrettanto 
� 
avvenuto 
con 
riferimento 
all�art. 
12 
co. 
7 
L. 
212/2000, 
la 
cui 
applicazione 
ha 
dato 
luogo 
ad 
una 
elaborazione 
ermeneutica 
lunga 
e 
faticosa 
da 
parte 
della 
Corte 
di 
legittimit�. 


Le 
principali 
questioni 
sorte 
intorno 
alla 
norma 
suddetta 
sono 
state 
affrontate 
in 
modo 
spesso 
divergente 
dalle 
Sezioni 
Semplici 
della 
Corte 
di 
Cassazione 
e 
hanno 
dato 
luogo 
a 
pi� 
rimessioni 
alle 
Sezioni 
unite, 
le 
quali 
hanno 
sciolto 
i 
principali 
nodi 
ermeneutici 
assumendo 
soluzioni 
interpretative 
sofferte, 
ma 
non 
sempre 
risolutive, 
comunque 
non 
tali 
da 
evitare 
la 
ripetuta 
sottoposizione 
della 
norma 
anche 
al 
vaglio 
della 
Corte 
Costituzionale 
sotto 
vari 
profili. 


(17) La 
disposizione 
predetta 
prevede 
che: 
�nel 
rispetto del 
principio di 
cooperazione 
tra amministrazione 
e 
contribuente, 
dopo 
il 
rilascio 
della 
copia 
del 
processo 
verbale 
di 
chiusura 
delle 
operazioni 
da parte 
degli 
organi 
di 
controllo, il 
contribuente 
pu� comunicare 
entro sessanta giorni 
osservazioni 
e 
richieste 
che 
sono 
valutate 
dagli 
uffici 
impositori. 
l'avviso 
di 
accertamento 
non 
pu� 
essere 
emanato 
prima della scadenza del predetto termine, salvo casi di particolare e motivata urgenza�. 
(18) La 
giurisprudenza 
della 
Cassazione 
ha 
dato una 
lettura 
sostanzialista 
delle 
norme 
suddette 
rilevando che 
il 
mancato invio dell�avviso bonario non genera 
nullit� 
quando l� 
iscrizione 
a 
ruolo sia 
volta 
semplicemente 
a 
recuperate 
gli 
importi 
dichiarati 
dal 
contribuente 
e 
non versati, senza 
che 
nella 
dichiarazione 
n� 
ricorrano incertezze 
(L. n. 212 del 
2000, art. 6, comma 
5) n� 
siano stati 
rilevati 
errori 
(D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36 bis 
e D.P.R. n. 333 del 1972, art. 54 bis). 
� 
stato infatti 
precisato che 
l�art. 6, comma 
5, non impone 
l'obbligo del 
contraddittorio preventivo in 
tutti 
i 
casi 
in cui 
si 
debba 
procedere 
ad iscrizione 
a 
ruolo, ai 
sensi 
dell�art. 36 
bis 
D.P.R. 600/1973, ma 
soltanto 
"qualora 
sussistano 
incertezze 
su 
aspetti 
rilevanti 
della 
dichiarazione", 
situazione, 
quest'ultima, 
che 
non ricorre 
necessariamente 
nei 
casi 
soggetti 
al 
controllo automatizzato, che 
implica 
un controllo 
di 
tipo documentale 
sui 
dati 
contabili 
direttamente 
riportati 
in dichiarazione, senza 
margini 
di 
tipo interpretativo. 
Sulla 
base 
di 
tali 
principi 
dunque 
la 
Corte 
esclude 
la 
necessit� 
dell�invio 
dell�invito 
bonario 
nei 
casi 
di 
omesso o insufficiente 
versamento di 
imposte 
dirette 
e 
indirette 
dovute 
in base 
alla 
dichiarazione 
presentata (tra tante Cass. 18 marzo 2015, n. 5334, che richiama Cass. 26361/10). 

RASSegnA 
AvvoCATuRA 
DeLLo 
STATo - n. 4/2016 


I principali 
aspetti 
trattati 
dalla 
Suprema 
Corte 
sono i 
seguenti: 
a) la 
definizione 
delle 
conseguenze 
della 
mancata 
osservanza 
del 
termine; 
b) la 
delimitazione 
dei 
casi 
di 
�particolare 
e 
motivata 
urgenza� 
che 
giustificano 
il 
mancato 
rispetto 
del 
termine 
dilatorio; 
c) 
l�estensione 
della 
norma 
anche 
ai 
casi 
di 
verifiche 
effettuate 
senza 
�rilascio 
di 
copia 
del 
processo 
verbale�, 
dunque 
nei 
casi 
di 
accertamento 
c.d. 
�a 
tavolino� 
eseguiti 
senza 
accessi, 
ispezioni 


o verifiche nei luoghi del contribuente. 
La 
prima 
delle 
questioni 
rimesse 
alle 
Sezioni 
unite 
della 
Corte 
concerne 
le conseguenze della mancata osservanza del termine dilatorio di 60 giorni. 
In 
proposito 
la 
Corte 
-valorizzando 
le 
finalit� 
perseguite 
dalla 
norma 
(rispetto 
del 
principio 
di 
cooperazione 
e 
buona 
fede 
tra 
amministrazione 
e 
contribuente), 
e 
dando 
risalto 
al 
contraddittorio 
procedimentale, 
quale 
�strumento 
... 
diretto 
non 
solo 
a 
garantire 
il 
contribuente, 
ma 
anche 
ad 
assicurare 
il 
migliore 
esercizio 
della 
potest� 
impositiva 
� 
nell'interesse 
anche 
dell'ente 
impositore, 
� 
anche 
in 
termini 
di 
deflazione 
del 
contenzioso 
se 
non, 
ancor 
prima, 
nel 
senso 
di 
indurre 
l'amministrazione 
ad 
astenersi 
da 
pretese 
tributarie 
ritenute 
alfine 
infondate� 
(19) 
-ha 
optato 
per 
la 
soluzione 
della 
invalidit�, 
ritenendo 
che 
il 
mancato 
rispetto 
della 
norma 
determini 
�di 
per 
s�� 
l�illegittimit� 
dell'atto 
impositivo 
(20). 


La 
Cassazione, tuttavia, consapevole 
che 
si 
tratta 
di 
una 
�invalidit� introdotta 
per 
via ermeneutica�, ha 
ritenuto di 
dare 
una 
connotazione 
�sostanzialista� 
(e 
non 
formale) 
ai 
motivi 
esonerativi 
(�casi 
di 
particolare 
e 
motivata 
urgenza�), stabilendo che 
l�invalidit� 
non consiste 
nella 
mera 
omessa 
enunciazione 
nell'atto dei 
motivi 
di 
urgenza 
che 
ne 
hanno determinato l'emissione 
anticipata, 
bens� 
�nell'effettiva 
assenza 
di 
detto 
requisito 
(esonerativo 
dall'osservanza 
del 
termine), la cui 
ricorrenza, nella concreta fattispecie 
e 
all'epoca 
di tale emissione, deve essere provata dall'ufficio" 
(21). 


(19) Cosi Cass. unite, Sent., 29 luglio 2013, n. 18184. 
(20) � 
stato infatti 
affermato nella 
richiamata 
sentenza 
n. 18184/2013 che 
il 
mancato rispetto del 
termine 
�determina 
di 
per 
s�, 
salvo 
che 
ricorrano 
specifiche 
ragioni 
di 
urgenza, 
la 
illegittimit� 
dell'atto 
impositivo emesso ante 
tempus, poich� 
detto termine 
� 
posto a garanzia del 
pieno dispiegarsi 
del 
contraddittorio 
procedimentale, il 
quale 
costituisce 
primaria espressione 
dei 
principi, di 
derivazione 
costituzionale, 
di 
collaborazione 
e 
buona fede 
tra amministrazione 
e 
contribuente 
ed � 
diretto al 
migliore 
e 
pi� efficace esercizio della potest� impositiva�. 
(21) Cosi 
Cass. unite, Sent., 29 luglio 2013, n. 18184. Al 
proposito � 
stato affermato che 
l�approssimarsi 
del 
termine 
non 
possa 
giovare 
di 
per 
s� 
dovendo 
essere 
invece 
verificate 
la 
particolari 
ragioni 
(sostanziali) 
per 
le 
quali 
l�Amministrazione 
si 
� 
trovata 
in 
tale 
situazione, 
ragioni 
che 
devono 
consistere 
in fatti 
oggettivi 
esterni 
all'Amministrazione. � 
stato dunque 
affermato che 
l�imminente 
approssimarsi 
del 
termine 
non possa 
giovare 
di 
per s� 
ove 
�sia dovuta esclusivamente 
ad ingiustificata inerzia o negligenza 
dell'ufficio� 
(Cass. n. 9424 del 
2014), ovvero �sia dipesa da fatti 
o condotte 
ad essa ... imputabili 
a 
titolo 
di 
incuria, 
negligenza 
od 
inefficienza� 
(Cass. 
n. 
3142 
del 
2014). 
La 
circostanza 
che 
il 
PvC 
sia 
pervenuto dalla 
guardia 
di 
Finanza 
solo a 
ridosso della 
scadenza 
del 
termine 
di 
accertamento � 
stata 
ritenuta, del 
pari, inidonea 
a 
giustificare 
il 
mancato rispetto del 
termine 
dilatorio, in base 
alla 
ritenuta 
appartenenza 
della 
guardia 
di 
Finanza 
e 
dell�Agenzia 
delle 
entrate 
ad un medesimo apparato amministrativo, 
sicch� 
le 
eventuali 
vicende 
afferenti 
a 
problematiche 
organizzative 
meramente 
interne 
non 
sono 
idonee a giustificare il mancato rispetto del termine (Cass. Sez. v, 20 aprile 2016, n. 7914). 

ConTRIbuTI 
DI 
DoTTRInA 


In tale 
contesto giurisprudenziale 
si 
� 
innestata 
l�ulteriore 
delicata 
questione 
concernente 
la 
possibilit� 
di 
estendere 
il 
disposto 
dell�art. 
12 
co. 
7 
a 
casi 
ivi 
non espressamente 
previsti, segnatamente 
ai 
casi 
di 
accertamenti 
c.d. 
�a tavolino�, ossia 
non preceduti 
da 
accessi, ispezioni 
e 
verifiche 
(i 
soli 
per i 
quali � prevista l�adozione di un processo verbale di constatazione (22)). 


Sul 
punto occorre 
segnalare 
che 
un primo pronunciamento delle 
Sezioni 
unite 
� 
stato nel 
senso di 
configurare 
il 
contraddittorio endoprocedimentale 
quale 
principio 
generale 
immanente 
all'ordinamento 
operante 
in 
rapporto 
a 
qualsiasi 
atto 
dell'Amministrazione 
fiscale 
lesivo 
dei 
diritti 
e 
degli 
interessi 
del 
contribuente, indipendentemente 
dal 
fatto che 
la 
necessit� 
del 
contraddittorio 
sia specificamente sancita da norma positiva (23). 


Tale 
pronuncia, per�, vista 
la 
spiccata 
peculiarit� 
dell�atto oggetto della 
fattispecie 
esaminata 
(iscrizione 
ipotecaria 
regolata 
dall�art. 77 D.P.R. n. 602 
del 
1973), 
non 
ha 
impedito 
alle 
sezioni 
semplici 
di 
assumere 
un 
diverso 
orientamento, 
ampiamente 
condiviso, 
secondo 
cui 
l'ambito 
di 
applicazione 
dell�art. 
12 
co. 
7 
L. 
212 
del 
2000 
deve 
essere 
circoscritto 
agli 
accertamenti 
conseguenti 
ad "accessi", "ispezioni" 
e 
"verifiche" 
fiscali nei locali del contribuente. 

Le 
Sezioni 
unite 
della 
Corte 
di 
Cassazione 
-chiamate 
nuovamente 
ad 
intervenire 
sulla 
questione 
-hanno 
concluso 
nel 
senso 
della 
non 
applicabilit� 
della 
disposizione 
di 
cui 
all�art. 
12 
co. 
7 
L. 
212/2000 
a 
casi 
non 
espressamente 
previsti. 


ed 
� 
in 
tale 
contesto 
che 
� 
stata 
affermato 
dalla 
Corte 
il 
principio 
secondo 
cui 
nell�ordinamento 
positivo 
il 
contraddittorio 
endoprocedimentale 
non 
esiste 
quale 
principio 
generale 
immanente 
sganciato 
da 
espresse 
previsione 
di 
legge 
(24). 


(22) le 
ipotesi 
di 
emanazione 
del 
processo 
verbale 
sono 
previste 
nell�art. 
12 
co. 
4 
in 
combinato 
disposto 
con 
il 
co. 
1 
dell'art. 
12 
l. 
212/2000 
(dunque 
non 
nel 
comma 
7 
che 
prevede 
il 
termine 
dilatorio); 
si 
tratta 
di 
disposizioni 
confermative 
di 
quanto 
gi� 
disposto 
dall'art. 
52 
co. 
6 
del 
d.P.r. 
633/1972, 
richiamato 
dall'art. 
33 
del 
d.P.r. 
600/1973, 
(secondo 
cui 
�di 
ogni 
accesso 
deve 
essere 
redatto 
processo 
verbale 
da 
cui 
risultino 
le 
ispezioni 
e 
le 
rilevazioni 
eseguite, 
le 
richieste 
fatte 
al 
contribuente 
o 
a 
chi 
lo 
rappresenta 
e 
le 
risposte 
ricevute 
nei 
casi 
di 
accessi, 
ispezioni 
o 
verifiche 
nei 
luoghi 
di 
attivit� 
dell'imprenditore�) 
e, 
in 
materia 
di 
imposta 
di 
registro, 
dal 
d.P.r. 
n. 
131 
del 
1986, 
art. 
53 
bis. 
(23) Si 
tratta 
della 
sentenza 
Cass. SS.uu. 19667/14 (e 
della 
gemella 
19668/14); 
la 
controversia 
riguardava una iscrizione ipotecaria adottata ai sensi dell�art. 77 D.P.R. n. 602 del 1973. 
(24) Si 
tratta 
della 
sentenza 
Cass. civ. Sez. unite 
del 
9 dicembre 
2015, n. 24823. La 
predetta 
pronuncia 
ha 
affermato che 
l�ordinamento interno �allo stato della legislazione, non pone 
in capo all'amministrazione 
fiscale 
che 
si 
accinga ad adottare 
un provvedimento lesivo dei 
diritti 
del 
contribuente, in 
assenza 
di 
specifica 
prescrizione, 
un 
generalizzato 
obbligo 
di 
contraddittorio 
endoprocedimentale, 
comportante, 
in 
caso 
di 
violazione, 
l'invalidit� 
dell'atto�. 
ne 
consegue 
che 
�l'obbligo 
dell'amministrazione 
di 
attivare 
il 
contraddittorio endoprocedimentale, pena l'invalidit� dell'atto, sussiste 
esclusivamente 
in 
relazione 
alle 
ipotesi, per 
le 
quali 
siffatto obbligo risulti 
specificamente 
sancito�. 
Dunque 
l'art. 12 co. 
7 non pu� essere 
esteso al 
di 
fuori 
dei 
casi 
ivi 
previsti, in particolare 
non pu� essere 
esteso al 
di 
fuori 
dei casi di accessi ispezioni e verifiche nei locali del contribuente. 
D�altro 
lato 
le 
Sezioni 
unite 
si 
sono 
preoccupate 
di 
effettuare 
una 
attenta 
ricognizione 
dei 
vari 
orientamenti 
della 
giurisprudenza 
di 
legittimit� 
e 
costituzionale 
intervenuti 
in 
materia, 
ricognizione 
al 
cui 
esito 
sono 
pervenute 
a 
ridimensionare 
il 
valore 
e 
la 
portata 
di 
alcuni 
precedenti 
giurisprudenziali 
spesso 
ritenuti 
espressivi 
della 
tesi 
opposta, 
evidenziando 
che 
si 
trattava 
di 
principi 
affermati 
in 
riferimento 
a 
fattispecie 
peculiari 
ovvero 
nelle 
quali 
il 
contraddittorio 
trovava 
fondamento 
in 
disposizioni 
di 
legge 
positive. 

RASSegnA 
AvvoCATuRA 
DeLLo 
STATo - n. 4/2016 


Considerata 
da 
alcuni 
commentatori 
come 
�occasione 
mancata� 
per favorire 
l'adesione 
del 
diritto 
interno 
ai 
principi 
europei 
e 
agli 
stessi 
principi 
costituzionali 
(e 
ci� 
spiega 
le 
numerose 
ordinanze 
di 
rimessione 
alla 
Corte 
Costituzionale 
che 
si 
sono recentemente 
susseguite 
in relazione 
all�art. 12 co. 
7 L. 212/2000 (25)), si 
pu� invece 
ritenere 
che 
la 
posizione 
assunta 
dalle 
Sezioni 
unite 
della 
Cassazione 
rispecchia 
e 
rispetta 
la 
logica 
di 
un sistema 
normativo 
incentrato sulla complessit�. 


Tale 
scelta 
ermeneutica, 
a 
ben 
vedere, 
lungi 
dal 
costituire 
un 
�sacrificio� 
del 
principio del 
contraddittorio, si 
traduce 
in un riconoscimento della 
complessit� 
del 
vigente 
sistema 
normativo che 
che, come 
si 
� 
visto, attua 
la 
partecipazione 
del 
contribuente 
al 
procedimento 
tributario 
secondo 
modalit� 
differenziate in funzione degli interessi coinvolti. 


In effetti 
una 
applicazione 
generalizzata 
della 
disciplina 
prevista 
dall'art. 
12 co. 7 L. 212/2000 a 
casi 
ivi 
non previsti, esclusa 
dalle 
Sezioni 
unite 
Cassazione, 
avrebbe 
tradito 
la 
logica 
polimorfa 
sottesa 
al 
diritto 
positivo, 
comportando 
il 
possibile 
scompenso 
di 
un 
complesso 
sistema 
normativo 
incentrato 
su 
forme 
modulari 
di 
partecipazione 
del 
contribuente 
al 
procedimento 
gradate 
in funzione degli interessi in gioco. 

D'altra 
parte 
il 
contraddittorio, 
come 
sopra 
si 
� 
visto, 
non 
� 
solo 
oggetto 
di 
diritti 
per 
il 
contribuente, 
ma 
pone 
anche 
degli 
oneri 
(tra 
cui 
quello 
posto 
dal 
quarto 
comma 
dell'art. 
32 
D.P.R. 
600/1973), 
la 
cui 
mancata 
ottemperanza 
pu� 
determinare 
conseguenze 
pregiudizievoli 
che 
possono 
riverberarsi 
irrimediabilmente 
anche 
nel 
seguito 
giudiziale 
della 
controversia 
(infatti 
i 
documenti 
non 
prodotti 
�non 
possono 
essere 
presi 
in 
considerazione 
a 
favore 
del 
contribuente, 
ai 
fini 
dell'accertamento 
in 
sede 
amministrativa 
e 
contenziosa�). 


Questi 
profili 
non 
possono 
essere 
trascurati 
dall'interprete 
laddove 
sia 
chiamato a 
valutare 
l'estensione 
di 
particolari 
forme 
di 
contraddittorio fuori 
dai casi espressamente previsti. 

(25) Si 
segnala, ad esempio, l�ordinanza 
di 
rimessione 
della 
Commissione 
tributaria 
Regionale 
di 
Firenze 
n. 
736/1/2015, 
l�ordinanza 
della 
Commissione 
Tributaria 
di 
Siracusa 
n. 
565/16, 
o 
ancora 
l�ordinanza 
della 
Commissione 
Tributaria 
Regionale 
di 
napoli 
n. 950/2016: 
le 
questioni 
rimesse 
alla 
Corte 
costituzionale 
attengono non tanto alla 
diversit� 
di 
regime 
giuridico che 
si 
� 
venuto a 
creare 
tra 
tributi 
�armonizzati� 
e 
tributi 
�non armonizzati�, ma 
piuttosto - nell�ambito dei 
tributi 
�non armonizzati� 
tra 
accertamenti 
�a 
tavolino�, 
per 
i 
quali 
non 
opera 
la 
garanzia 
del 
contraddittorio 
endoprocedimentale, 
e 
accertamenti 
su 
�accessi, 
ispezioni 
e 
verifiche� 
per 
i 
quali 
opera 
invece 
il 
predetto 
contraddittorio 
giusta 
disposto dell�art. 12 co. 7 L. 212/2000. 
Si 
aggiunge, 
tra 
le 
questione 
prospettate, 
un 
profilo 
di 
asserita 
incompatibilit� 
con 
i 
principi 
costituzionali 
(segnatamente 
con gli 
artt. 111 e 
24 Cost.) di 
un sistema 
quale 
quello incentrato sulla 
attuale 
formulazione 
dell�art. 
12 
co. 
7 
l. 
212/2000 
che, 
negando 
il 
contraddittorio 
nel 
caso 
di 
accertamenti 
c.d. 
a 
tavolino, 
priverebbe 
il 
contribuente 
della 
possibilit� 
di 
raccogliere 
e 
far verbalizzare 
le 
dichiarazioni 
(a 
lui 
eventualmente 
favorevoli) 
di 
persone 
informate 
dei 
fatti 
raccolte 
sicch� 
-visti 
i 
limiti 
probatori 
tipici 
del 
processo 
tributario 
-si 
verificherebbe 
una 
sostanziale 
violazione 
del 
principio 
di 
parit� 
delle 
armi 
e 
della 
stessa effettivit� della tutela giudiziale del contribuente. 

ConTRIbuTI 
DI 
DoTTRInA 


e) la partecipazione 
dopo l'adozione 
dell�atto (ma prima della sua definitivit�): 
l'accertamento con adesione. 


La 
norma 
di 
riferimento � 
l'art. 6 del 
D.Lgs. 19 giugno 1997, n. 218 (disposizioni 
in materia di 
accertamento con adesione 
e 
di 
conciliazione 
giudiziale) 
(26), 
che 
prevede 
la 
possibilit� 
per 
il 
contribuente 
di 
formulare 
una 
propria proposta di accertamento ai fini della eventuale definizione. 


Si 
tratta, 
in 
sostanza, 
di 
un 
accertamento 
concordato 
tra 
le 
parti 
con 
valenza 
transattiva, 
in 
quanto 
l�accertamento 
da 
un 
lato 
non 
� 
impugnabile 
dal 
contribuente, 
e 
dall�altro 
non 
� 
integrabile 
o 
modificabile 
da 
parte 
dell'ufficio 
(anche 
se 
la 
definizione 
non 
esclude 
l'esercizio 
dell'ulteriore 
azione 
accertatrice). 


L�attivazione 
della 
procedura 
sospende 
tutti 
i 
termini, non solo quello di 
impugnazione, ma 
anche 
quello per il 
pagamento dell�IvA 
e 
per l�iscrizione 
a 
ruolo provvisoria ai sensi dell�art. 15 D.P.R. 600/1973. 


Proprio tali 
aspetti 
della 
disciplina 
conferiscono all�istituto un ruolo significativo 
nel 
quadro delle 
forme 
di 
partecipazione 
del 
contribuente 
al 
procedimento 
fiscale. 

� 
interessante 
rilevare 
che, anche 
nel 
quadro della 
giurisprudenza 
comunitaria 
in 
cui 
il 
contraddittorio 
� 
configurato 
come 
principio 
generale, 
la 
Corte 
di 
giustizia 
ammette 
che 
il 
contraddittorio 
possa 
essere 
validamente 
esercitato 
anche 
dopo 
l�emanazione 
dell�atto 
(non 
dunque 
necessariamente 
prima 
di 
esso), se 
la 
normativa 
nazionale 
consente 
ai 
destinatari 
di 
siffatte 
intimazioni, 
anche 
in 
eventuale 
sede 
di 
reclamo 
amministrativo, 
�di 
ottenere 
la 
sospensione 
della loro esecuzione fino alla loro eventuale riforma� 
(27). 

L�istituto in esame, dunque, avrebbe 
potuto essere 
meglio indagato quale 
strumento idoneo a 
realizzare 
un possibile 
�ravvicinamento� 
nella 
dicotomia 
di 
regimi 
giuridici 
(quello proprio dei 
tributi 
armonizzati 
e 
quello relativo ai 
tributi non armonizzati) di cui prima si � detto. 


occorre 
comunque 
tener presente 
che, secondo la 
giurisprudenza 
di 
legittimit�, 
le 
conseguenze 
della 
mancata 
attivazione 
della 
procedura 
non sono 
invalidanti; 
infatti 
la 
mancata 
convocazione 
del 
contribuente, a 
seguito della 
presentazione 
ex art. 6 del 
D.Lgs. 16 giugno 1997, n. 218, non comporta 
la 


(26) In base 
al 
richiamato art. 6 D.lgs. 218/1997 �il 
contribuente 
nei 
cui 
confronti 
sono stati 
effettuati 
accessi, ispezioni 
o verifiche 
� 
pu� chiedere 
all'ufficio, con apposita istanza in carta libera, la 
formulazione 
della 
proposta 
di 
accertamento 
ai 
fini 
dell'eventuale 
definizione�. 
In 
tal 
caso 
sono 
sospesi 
sia 
il 
termine 
per 
l�impugnazione 
e 
sia 
quello 
per 
il 
pagamento 
dell�imposta. 
All'atto 
del 
perfezionamento 
della 
definizione, l'avviso originario perde 
efficacia, ma 
la 
definizione 
non esclude 
l'esercizio dell'ulteriore 
azione accertatrice. 
(27) 
In 
tal 
senso 
v. 
Kamino 
international 
logistics 
(cause 
C129/13 
e 
C130/13). 
ed 
infatti 
la 
Corte 
di 
Cassazione, in una 
vertenza 
concernente 
tributi 
doganali 
(armonizzati), ha 
sintetizzato i 
principi 
comunitari 
espressi 
dalla 
richiamata 
sentenza 
Kamino 
precisando 
che 
il 
contraddittorio 
� 
validamente 
esercitabile 
anche 
post 
actum 
in 
eventuale 
sede 
di 
reclamo 
amministrativo, 
purch� 
per� 
la 
sospensione 
dell'atto 
intervenga 
come 
�conseguenza 
normale� 
dell'impugnazione, 
e 
proprio 
su 
tale 
punto 
ha 
rimesso 
la questione alla Corte di giustizia (Cass, ord. n. 9278 del 6 maggio 2016). 

RASSegnA 
AvvoCATuRA 
DeLLo 
STATo - n. 4/2016 


nullit� 
del 
procedimento 
di 
accertamento 
adottato 
dagli 
uffici, 
non 
essendo 
tale sanzione prevista dalla legge (28). 

f) 
interpello 
preventivo: 
partecipazione 
anticipata 
rispetto 
alla 
stessa 
operazione 
economica. 

L�ultima 
forma 
di 
partecipazione 
del 
contribuente 
al 
procedimento volto 
all�adozione 
di 
un 
atto 
tributario 
� 
rappresentato 
dall�interpello 
preventivo, 
che 
comporta 
una 
forma 
(facoltativa) di 
partecipazione 
al 
procedimento tributario, 
prima 
ancora 
della 
adozione 
della 
condotta 
che 
costituisce 
il 
presupposto 
impositivo. 


La 
disciplina 
� 
contenuta 
nell'art. 
11 
L. 
27 
luglio 
2000, 
n. 
212, 
che 
nel 
testo 
in 
vigore 
dal 
1 
gennaio 
2016, 
consente 
al 
contribuente 
di 
interpellare 
l'amministrazione 
per 
ottenere 
una 
risposta 
riguardante 
fattispecie 
concrete 
e 
personali, 
con 
riferimento, 
tra 
l'altro 
all'applicazione 
delle 
disposizioni 
tributarie, 
�quando 
vi 
sono 
condizioni 
di 
obiettiva 
incertezza 
sulla 
corretta 
interpretazione 
di 
tali 
disposizioni� 
(art. 
11 
co. 
1 
lett. 
a), 
ovvero 
all'applicazione 
della 
disciplina 
sull'abuso 
del 
diritto 
ad 
una 
specifica 
fattispecie 
(art. 
11 
co. 
1 
lett. 
c). 


Analoga 
disposizione 
� 
prevista 
con riferimento alle 
societ� 
di 
comodo 
dall'art. 30 della L. 724/1994. 


Trattandosi 
di 
una 
forma 
procedimentale 
che 
precede 
qualsiasi 
azione 
accertativa 
del 
fisco, la 
questione 
che 
si 
pone 
non riguarda 
tanto le 
conseguenze 
della 
mancata 
attivazione 
di 
tale 
partecipazione 
(che 
� 
facoltativa), ma 
piuttosto 
le 
conseguenze 
della 
risposta 
all�interpello, ove 
attivato, e, in particolare, 
la natura vincolante o meno della posizione assunta dall�Amministrazione. 


Al 
proposito la 
giurisprudenza 
di 
legittimit� 
non � 
concorde, affermando 
talvolta 
che 
la 
risposta 
negativa 
ad un interpello (in specie 
nel 
caso di 
diniego 
di 
disapplicazione 
di 
norme 
antielusive), non � 
atto rientrante 
nelle 
tipologie 
elencate 
dal 
D.Lgs. n. 546 del 
1992, art. 19, sicch� 
non sussiste 
l�obbligo di 
impugnativa 
(29); 
talaltra 
che 
costituisce 
atto 
impugnabile 
configurandosi 


(28) Analogamente, in tema 
di 
sanzioni 
amministrative 
per violazioni 
di 
norme 
tributarie, � 
stato 
ritenuto che 
l'omessa 
comunicazione 
dell'invito al 
pagamento prima 
dell'iscrizione 
a 
ruolo, con la 
riduzione 
e 
per gli 
effetti 
previsti 
dal 
D.Lgs. n. 472 del 
1997, art. 2, comma 
2 non determina 
la 
nullit� 
di 
tale 
iscrizione 
e 
degli 
atti 
successivi, ma 
una 
mera 
irregolarit�, inidonea 
ad incidere 
sull'efficacia 
dell'atto, 
sia 
perch� 
non 
si 
tratta 
di 
condizione 
di 
validit�, 
stante 
la 
mancata 
espressa 
sanzione 
della 
nullit�, 
avendo 
il 
previo invito al 
pagamento l'unica 
funzione 
di 
dare 
al 
contribuente 
la 
possibilit� 
di 
attenuare 
le 
conseguenze 
sanzionatorie 
dell'omissione 
di 
versamento, 
sia 
perch� 
l'interessato 
pu� 
comunque 
pagare, 
per 
estinguere 
la 
pretesa 
fiscale, con riduzione 
della 
sanzione, una 
volta 
ricevuta 
la 
notifica 
della 
cartella 
(tra altre, v. Cass. 1 giugno 2016, n. 11438, Cass. n. 5334/2015, Cass. 3366/13). 
(29) Cass. civ. Sez. v, 28 maggio 2014, n. 11929, in cui 
si 
afferma 
la 
risposta 
ad interpello � 
solo 
provvedimento con cui 
l'Amministrazione 
porta 
a 
conoscenza 
del 
contribuente, pur senza 
efficacia 
vincolante 
per questi, il 
proprio convincimento in ordine 
ad un determinato rapporto tributario, ci� escludendo 
che rientri nel novero degli atti di cui all�art. 19 D.lgs. 546/1992. 

ConTRIbuTI 
DI 
DoTTRInA 


quale 
diniego 
di 
agevolazione, 
sicch� 
la 
mancata 
impugnativa 
pregiudica 
il 
contribuente che non potr� pi� contestare la situazione accertata (30). 

In definitiva, anche 
in questo caso, si 
pu� osservare 
in via 
generale 
che 
(come 
rilevato 
in 
relazione 
all�art. 
32 
co. 
4 
del 
D.P.R. 
600/1973) 
l�applicazione 
del 
principio del 
contraddittorio pu� comportare 
non solo vantaggi, ma 
anche 
oneri per il contribuente. 

2. 
contraddittorio 
endoprocedimentale. 
duplice 
regime 
giuridico. 
Possibili 
spunti per il superamento della dicotomia. 
Come 
si 
� 
visto 
la 
Corte 
di 
Cassazione, 
dopo 
lungo 
e 
travagliato 
percorso, 
� 
giunta 
alla 
affermazione 
che 
nell�ordinamento 
positivo 
il 
contraddittorio 
endoprocedimentale 
non 
esiste 
quale 
principio 
generale 
immanente 
sganciato 
da 
espresse previsioni di legge (31). 


Tale 
scelta 
(normativa 
prima 
e 
giurisprudenziale 
poi) si 
pone 
in linea 
di 
discontinuit� 
rispetto all�ordinamento comunitario, in cui 
invece 
la 
partecipazione 
al 
contraddittorio da 
parte 
del 
cittadino viene 
affermata 
quale 
principio 
generale 
immanente 
sganciato da 
espresse 
previsione 
di 
legge 
in relazione 
a 
qualsiasi procedimento amministrativo (32). 


A 
livello 
di 
sistema 
la 
divergenza 
potrebbe 
apparire 
sfumata, 
infatti 
anche 
nel 
diritto 
interno 
il 
principio 
si 
ritrova 
bench� 
attuato 
in 
forme 
�eterogenee�. 


(30) Cass. civ. Sez. v, 15 aprile 
2011, n. 8663, in cui 
si 
arriva 
ad affermare 
che 
�la mancata impugnazione 
del 
diniego da parte 
del 
contribuente 
rende 
incontestabile 
la situazione, per 
cui 
la natura 
non elusiva dell'operazione 
non potr� pi� essere 
censurata mediante 
l'impugnazione 
di 
atti 
successivi� 
(Cass. civ. Sez. v, 15 aprile 2011, n. 8663). 

(31) Si 
tratta 
della 
sentenza 
Cass. civ. Sez. unite 
del 
9 dicembre 
2015, n. 24823, sopra 
richiamata 
in nota 24. 
(32) 
Corte 
giust. 
18 
dicembre 
2008 
(soprop�, 
C-349/07) 
ha 
riconosciuto 
al 
diritto 
di 
essere 
ascoltasti 
il 
valore 
di 
principio 
fondamentale 
del 
diritto 
dell'unione 
europea 
in 
"qualsiasi 
procedimento" 
anche 
in assenza 
di 
norme 
specifiche 
(sent., soprop�, cit., punto 38; 
nonch� 
Corte 
giust., C-383/13, g. 
e 
r., PPu, punto 32) individuandone 
lo specifico fondamento non solo negli 
artt. 47 e 
48 della 
Carta 
dei 
diritti 
fondamentali 
dell'unione 
europea 
che 
garantiscono il 
rispetto dei 
diritti 
della 
difesa 
nonch� 
il 
diritto ad un processo equo in qualsiasi 
procedimento giurisdizionale, ma 
anche 
nell'art. 41 di 
quest'ultima, 
il 
quale 
garantisce 
il 
diritto 
ad 
una 
buona 
amministrazione 
(cfr. 
Corte 
giust. 
21 
dicembre 
2011, 
C-27/09 P, repubblica francese, p. 65) che 
tuttavia 
non si 
applica 
agli 
Stati 
membri, ma 
soltanto alle 
istituzioni, agli 
organi 
e 
agli 
organismi 
dell'unione 
(v. in tal 
senso, Corte 
giust., 21 dicembre 
2011, cicala, 
C-482/10, 
punto 
28; 
Corte 
giust., 
17 
luglio 
2014, 
Ys 
e 
altri, 
C-141/12 
e 
C-372/12, 
punto 
67, 
nonch� 
Corte 
giust., 5 novembre 
2014, mukarubega, C-166/13, punto 44; 
Corte 
di 
giustizia, 11 dicembre 
2014, 
boudjlida, C-249/13, p. 32). 
Secondo 
la 
Corte 
europea, 
il 
diritto 
al 
contraddittorio 
si 
applica 
a 
qualsiasi 
procedimento 
che 
possa 
sfociare 
in un atto lesivo (v., in particolare, Corte 
giust. 23 ottobre 
1974, transocean marine 
Paint 
association/
commissione, causa 
C-17/74, punto 15; 
Corte 
giust., Krombach, cit., punto 42, e 
soprop�, cit., 
punto 36, sent. m.m., cit., p. 85) e 
garantisce 
a 
chiunque 
la 
possibilit� 
di 
manifestare, utilmente 
ed efficacemente, 
il 
suo 
punto 
di 
vista 
durante 
il 
procedimento 
amministrativo 
prima 
dell'adozione 
di 
qualsiasi 
decisione 
che 
possa 
incidere 
in modo negativo sui 
suoi 
interessi 
(v., in particolare, Corte 
giust. 9 giugno 
2005, spagna/commissione, C-287/02, punto 37; 
soprop�, cit., punto 37; 
Corte 
giust. 1 ottobre 
2009, 
foshan shunde 
Yongjian housewares 
& 
hardware/consiglio, C-141/08 P, punto 83; 
Corte 
giust. 
21 dicembre 2011, francia/Peopl�s mojahedin organization of iran, C-27/09 P punti 64 e 65). 

RASSegnA 
AvvoCATuRA 
DeLLo 
STATo - n. 4/2016 


� 
sul 
piano 
pratico 
per� 
che 
tale 
�duplicit� 
di 
regime 
giuridico� 
pu� 
comportare 
le pi� vistose criticit� applicative. 


basti 
pensare 
al 
comune 
caso in cui, con unico avviso di 
accertamento 
emanato all�esito di 
un unico procedimento amministrativo, sono recuperati 
a 
tassazione 
sia 
tributi 
diretti 
(�non armonizzati�) e 
sia 
l�IvA 
(�tributo armonizzato�), 
sicch� 
l'atto potrebbe 
essere 
considerato invalido quanto ai 
tributi 
�armonizzati� 
e valido quanto ai tributi 
�non armonizzati� 
(33). 


La 
divaricazione 
dei 
due 
regimi 
appare 
ancora 
pi� accentuata 
laddove 
si 
passi 
a 
considerare 
il 
�tipo� 
di 
invalidit� 
che 
consegue 
al 
mancato 
rispetto 
del 
contraddittorio. 


nella 
giurisprudenza 
della 
Corte 
di 
giustizia 
l'invalidit� 
� 
tradizionalmente 
intesa 
in senso �sostanziale� 
e 
non assoluto, infatti 
si 
applica 
il 
principio 
secondo 
cui 
�una 
violazione 
dei 
diritti 
della 
difesa, 
in 
particolare 
del 
diritto di 
essere 
sentiti, determina l'annullamento del 
provvedimento adottato 
al 
termine 
del 
procedimento 
amministrativo 
di 
cui 
trattasi 
soltanto 
se, 
in 
mancanza 
di 
tale 
irregolarit�, 
tale 
procedimento 
avrebbe 
potuto 
comportare 
un 
risultato diverso� 
(34) (c.d. temperamento Kamino). 


nel 
diritto interno le 
Sezioni 
unite 
della 
Cassazione 
sembrano inclini 
a 
ritenere 
che 
i 
principi 
comunitari 
(compresi 
quelli 
affermati 
nella 
sentenza 
Kamino) 
non si applichino ai tributi non armonizzati (35). 


(33) 
Le 
difficolt� 
applicative 
connesse 
a 
tali 
circostanze 
fattuali 
erano, 
del 
resto, 
ben 
note 
alla 
Corte 
di 
Cassazione, la 
quale 
(nella 
sentenza 
Cass. civ. Sez. v, Sent., 5 dicembre 
2014, n. 25759) ha 
avuto modo di 
sottolineare 
che 
�� 
considerata, pertanto, la necessaria unicit� dell'accertamento del 
vizio 
di 
invalidit� 
in 
questione, 
in 
quanto 
afferente 
ad 
una 
identica 
fase 
del 
procedimento 
amministrativo 
definito 
con 
la 
emissione 
dell'avviso 
(non 
essendo 
logicamente 
predicabile 
che 
il 
medesimo 
unitario 
procedimento risulti 
viziato da illegittimit� o meno in relazione 
alla mera natura del 
tributo richiesto 
con 
l'atto 
impositivo 
contestato), 
le 
censure 
formulate 
dalla 
parte 
ricorrente 
vengono 
a 
coinvolgere 
l'atto impositivo nella sua interezza, comprensivo sia della pretesa concernente 
le 
imposte 
dirette 
(in 
ordine 
alle 
quali 
la commissione 
tributaria ha ritenuto sussistere 
l'abuso del 
diritto), quanto della pretesa 
concernente 
l'iva 
(in relazione 
alla quale, invece 
la commissione 
tributaria ha annullato l'avviso 
non ravvisando la configurabilit� di un indebito vantaggio fiscale)�. 
(34) 
v., 
in 
tal 
senso, 
sentenze 
francia/commissione, 
C-301/87, 
punto 
31; 
germania/commissione, 
C-288/96, punto 101; 
foshan shunde 
Yongjian housewares 
& 
hardware/consiglio, C-141/08 P, punto 
94; 
storck/uami, 
C-96/11 
P, 
punto 
80, 
nonch� 
C-129 
e 
C-130/13, 
Kamino 
international 
logistics, 
punti 
78-82). 
(35) Le 
Sezioni 
unite 
della 
Cassazione 
(SS.uu. 24823/2015) escludono la 
diretta 
rilevanza 
nel-
l�ordinamento dei 
principi 
comunitari 
rilevando che, da 
un lato, ai 
tributi 
non armonizzati, estranei 
alle 
competenze 
dell'unione, non si 
applica 
il 
diritto europeo (v. Corte 
giust. 3 luglio 2014, in causa 
C-129 
e 
C-130/13, 
Kamino 
international 
logistics; 
22 
ottobre 
2013, 
in 
causa 
C-276/12, 
Jiri 
sabou; 
26 
febbraio 
2013, in causa 
617/10, akeberg fransson; 
26 settembre 
13, in causa 
C-418/11, texdata software; 
18 dicembre 
2008, in causa 
C-349/07, soprop�); 
d�altro lato l'art. 41 della 
Carta 
dei 
diritti 
fondamentali 
del-
l'unione 
europea, (che 
garantisce 
il 
principio del 
contraddittorio) avendo assunto il 
medesimo valore 
giuridico dei 
Trattati, solo con l'entrata 
in vigore 
del 
Trattato di 
Lisbona 
avvenuta 
l'1 dicembre 
2009, �, 
di 
per 
s�, 
ratione 
temporis, 
applicabile 
solo 
ai 
procedimenti 
amministrativi 
conclusisi 
con 
provvedimenti 
successivi alla data suddetta. 
Si 
afferma 
infatti 
nella 
citata 
sentenza 
24823/2015 
che 
�ai 
suddetti 
tributi, 
estranei 
alle 
competenze 
dell'unione, non si 
applica, invero, il 
diritto europeo (v. corte 
giust. 3 luglio 2014, in causa c-129 e 

ConTRIbuTI 
DI 
DoTTRInA 


Questa 
conclusione 
pu� comportare 
conseguenze 
paradossali, ancor pi� 
della 
constatazione 
della 
diversa 
latitudine 
(generale 
o tipizzata) che 
i 
due 
ordinamenti 
attribuiscono al principio del contraddittorio. 


Si 
pensi 
al 
caso di 
un avviso di 
accertamento emesso in seguito ad �accessi, 
ispezioni 
o 
verifiche�, 
per 
il 
quale, 
dunque, 
si 
applica 
il 
principio 
del 
contraddittorio endoprocedimentale ai sensi dell�art. 12 co. 7 L. 212/2000. 


Qualora 
non 
sia 
stato 
rispettato 
il 
termine 
dilatorio 
nell�emanazione 
dell�avviso 
di 
accertamento, 
l�applicazione 
del 
c.d. 
temperamento 
Kamino 
alla 
sola 
pretesa 
concernente 
il 
tributo 
�armonizzato�, 
potrebbe 
comportare 
la 
conservazione 
dell�atto 
quanto 
all�IvA 
e 
la 
sua 
invalidazione 
quanto 
alle 
imposte 
dirette 
(36). 


Tale 
situazione 
potrebbe 
avere 
effetti 
tanto pi� perversi 
nei 
casi 
di 
evasione 
conclamata. 

Le 
Sezioni 
unite 
della 
Cassazione, pur consapevoli 
di 
tali 
criticit� 
(37), 
hanno per� ritenuto insuperabile 
tale 
�duplicit� del 
regime 
giuridico�, affermando 
che 
l'appianamento 
di 
detto 
contrasto 
�non 
pu� 
essere 
realizzato 
in 
via 
interpretativa� 
(38), e 
hanno rimesso al 
legislatore 
�l'assorbimento della dicotomia� 
(Cass. SS.uu. n. 24823/2015). 


un 
intervento 
del 
legislatore 
(39) 
potrebbe 
essere 
di 
certo 
una 
auspicabile 
occasione 
di 
chiarificazione 
della 
portata 
degli 
istituti 
in analisi; 
nondimeno 


c-130/13, 
Kamino 
international 
logistics; 
22 
ottobre 
2013, 
in 
causa 
c-276/12, 
Jiri 
sabou; 
26 
febbraio 
2013, in causa 617/10, akeberg fransson; 26 settembre 
2013, in causa c-418/11, texdata software; 18 
dicembre 2008, in causa c-349/07, soprop�)�. 


(36) Analoga 
discrasia 
(ma 
in termini 
di 
forse 
minore 
gravit�) potrebbe 
verificarsi 
nel 
caso in un 
accertamento c.d. a 
tavolino avente 
ad oggetto sia 
IvA 
che 
imposte 
dirette. Per queste 
ultime 
non si 
potrebbe 
profilare 
un 
vizio 
di 
legittimit� 
in 
quanto 
l�art. 
12 
co. 
7 
L. 
212/2000 
non 
opera 
per 
gli 
accertamenti 
c.d. a 
tavolino; 
per l�IvA 
invece 
il 
mancato rispetto del 
contraddittorio potrebbe 
portare 
il 
contribuente 
a 
sollevare 
una 
censura 
di 
nullit� 
dell�atto. In un simile 
caso peraltro il 
c.d. temperamento Kamino 
applicabile 
all�IvA 
potrebbe 
consentire 
al 
giudice 
tributario 
di 
valorizzare 
gli 
aspetti 
sostanziali 
della 
controversia, 
il 
che 
potrebbe 
limitare 
i 
casi 
di 
invalidazione 
parziale 
della 
pretesa 
tributaria 
in funzione 
del 
tipo di tributo. 
(37) v. riferimenti riportati in nota 33. 
(38) Le 
Sezioni 
unite 
della 
Cassazione 
(SS.uu. 24823/2015) hanno infatti 
escluso la 
diretta 
rilevanza 
nell�ordinamento dei 
principi 
comunitari 
rilevando che, da 
un lato, ai 
tributi 
non armonizzati, 
estranei 
alle 
competenze 
dell'unione, non si 
applica 
il 
diritto europeo (v. Corte 
giust. 3 luglio 2014, in 
causa 
C-129 
e 
C/130/13, 
Kamino 
international 
logistics; 
22 
ottobre 
2013, 
in 
causa 
C-276/12, 
Jiri 
sabou; 
26 febbraio 2013, in causa 
617/10, akeberg fransson; 
26 settembre 
2013, in causa 
C-418/11, texdata 
software; 
18 
dicembre 
2008, 
in 
causa 
C-349/07, 
soprop�); 
d�altro 
lato 
l'art. 
41 
della 
Carta 
dei 
diritti 
fondamentali 
dell'unione 
europea, (che 
garantisce 
il 
principio del 
contraddittorio) avendo assunto il 
medesimo 
valore 
giuridico 
dei 
Trattati, 
solo 
con 
l'entrata 
in 
vigore 
del 
Trattato 
di 
Lisbona 
avvenuta 
l'1 
dicembre 
2009, 
�, 
di 
per 
s�, 
ratione 
temporis, 
applicabile 
solo 
ai 
procedimenti 
amministrativi 
conclusisi 
con provvedimenti successivi alla data suddetta). 
(39) L�intervento del 
legislatore 
potrebbe 
essere 
agevolato dal 
fatto che 
la 
L. 11 marzo 2014 n. 
23, di 
delega 
al 
governo per la 
riforma 
del 
sistema 
fiscale, inserisce 
tra 
i 
principi 
e 
criteri 
direttivi 
della 
delega 
la 
"previsione 
di 
forme 
di 
contraddittorio 
propedeutiche 
alla 
adozione 
degli 
atti 
di 
accertamento 
dei 
tributi" 
(cfr. l'art. 1, comma 
1, lett. b), nonch� 
il 
rafforzamento del 
"contraddittorio nella fase 
di 
indagine 
e 
la 
subordinazione 
dei 
successivi 
atti 
di 
accertamento 
e 
di 
liquidazione 
all'esaurimento 
del 
contraddittorio 
procedimentale" 
(v. l'art. 9, comma 1, lett. b). 

RASSegnA 
AvvoCATuRA 
DeLLo 
STATo - n. 4/2016 


vale 
la 
pena 
di 
considerare 
e 
valorizzare 
gli 
spunti 
ermeneutici 
che 
de 
jure 
condito 
il diritto positivo gi� offre. 


A 
parere 
di 
chi 
scrive, 
gli 
elementi 
interpretativi 
presenti 
nell'ordinamento 
interno, pur se 
inidonei 
ad attribuire 
latitudine 
generalizzata 
al 
principio del 
contraddittorio nel 
diritto interno, consentirebbero quanto meno di 
dare 
una 
lettura 
�sostanzialista� 
all�art. 12 co. 7 L. 212/2000, coerente 
con i 
principi 
affermati nel diritto comunitario per effetto del c.d. temperamento Kamino. 


A 
tale 
risultato si 
pu� pervenire 
in base 
a 
ragioni 
non comunitarie 
ma 
endogene 
al sistema nazionale. 


gli 
spunti 
esegetici 
che 
possono essere 
utilizzati 
in favore 
di 
questa 
tesi 
sono molteplici. 


Il 
pi� 
forte 
� 
quello 
che 
si 
fonda 
su 
una 
interpretazione 
costituzionalmente 
orientata dell'art. 12 co. 7. 


Come 
precisato 
dalla 
Corte 
di 
Cassazione 
il 
contraddittorio 
costituisce 
applicazione 
dei 
principi 
costituzionali 
di 
collaborazione 
e 
buona 
fede, a 
loro 
volta 
afferenti 
ai 
principi 
di 
buon andamento e 
imparzialit� 
dell'Amministrazione 
(artt. 97 e 3 Cost.) non del diritto di difesa di cui all�art. 24 Cost. (40) 


L�esatta 
identificazione 
dei 
principi 
costituzionali 
di 
riferimento 
non 
� 
senza rilievo sul piano ermeneutico. 


Come 
ha 
ben 
spiegato 
la 
Corte 
d 
Cassazione 
occorre 
�distinguere 
il 
principio 
del 
contraddittorio inteso come 
espressione 
del 
diritto di 
difesa nel 
processo 
� 
dall'intervento del 
privato nel 
procedimento amministrativo, inteso 
invece 
come 
facolt� 
di 
introduzione 
di 
ulteriori 
elementi 
in 
fatto 
e 
diritto 
a 
completamento 
della 
fattispecie 
concreta 
sulla 
quale 
la 
P.a. 
� 
chiamata 
a 
provvedere 
in 
funzione 
dell'attuazione 
dell'interesse 
pubblico, 
e 
dunque 
come 
"collaborazione" 
del 
privato 
-nella 
fase 
istruttoria 
-diretta 
all'acquisizione 
di 
tutti 
gli 
elementi 
conoscitivi 
e 
valutativi 
indispensabili 
all'esercizio della potest� 
autoritativa� 
(41). 


ora, nell�art. 12 co. 7, ci� che 
viene 
in rilievo non � 
il 
�diritto di 
difesa� 
ma 
il 
principio 
di 
buona 
amministrazione, 
principio 
che 
rispecchia 
un 
interesse, 
seppur costituzionalmente 
rilevante, certamente 
non preminente 
- nella 
gerarchia 
dei 
valori 
costituzionali 
- rispetto al 
principio della 
capacit� 
contributiva 
che 
verrebbe 
violato da 
una 
interpretazione 
eccessivamente 
formalista 
della necessit� del contraddittorio anticipato. 


(40) La 
Corte 
di 
Cassazione 
ha 
gi� 
avuto modo di 
sottolineare 
�l'inconferenza degli 
artt. 24 e 
111 
cost., 
quali 
evocati 
parametri 
di 
costituzionalit�... 
infatti, 
la 
norma 
censurata, 
essendo 
diretta 
a 
regolare 
il 
procedimento 
di 
accertamento 
tributario, 
non 
ha 
natura 
processuale 
ed 
�, 
quindi, 
estranea 
all'ambito 
di 
applicazione 
dei 
suddetti 
parametri 
costituzionali 
(ex 
plurimis, sentenza n. 20 del 
2009; ordinanze 
n. 
211 e 
n. 13 del 
2008, n. 180 del 
2007; nonch�, con particolare 
riferimento all'art. 24 cost., ordinanze 
n. 
940 
e 
n. 
21 
del 
1988, 
n. 
324 
del 
1987)� 
(ordinanza, 
24 
luglio 
2009, 
n. 
244). 
Il 
parametro 
costituzionale 
di riferimento � stato invece rinvenuto nell�art. 97 della Costituzione. 
(41) Cass. 3 agosto 2012 n. 14026, Cass. n. 3142 del 2014. 

ConTRIbuTI 
DI 
DoTTRInA 


Annullare 
l�atto 
impositivo 
nei 
casi 
in 
cui 
il 
contribuente 
non 
avrebbe 
avuto 
alcun 
valido 
argomento 
per 
indurre 
l'amministrazione 
ad 
emettere 
un 
atto con un contenuto �differente", porterebbe 
alla 
aberrante 
conseguenza 
che 


-anche 
nei 
casi 
di 
evasione 
conclamata 
- sarebbero posti 
nel 
nulla 
avvisi 
di 
accertamento 
(peraltro 
rispettosi 
del 
termine 
di 
cui 
all�art. 
43 
D.P.R. 
600/1973) 
per 
il 
solo 
fatto 
che 
non 
sono 
decorsi 
60 
giorni 
tra 
la 
conclusione 
della 
verifica 
e l'emanazione dell'avviso. 
una 
lettura 
in 
senso 
�formalista� 
dell'art. 
12 
co. 
7 
L. 
212/2000 
da 
un 
lato 
non sarebbe 
giustificata 
dal 
richiamo al 
diritto di 
difesa 
di 
cui 
all'art. 24 Cost. 
(che, come 
detto, non viene 
in rilievo in materia 
di 
contraddittorio endoprocedimentale), 
e 
dall'altro sarebbe 
in contrasto con il 
principio di 
capacit� 
contributiva 
di cui all�art. 53 Cost. 

una 
interpretazione 
costituzionalmente 
orientata 
dell�art. 
12 
co. 
7 
impone 
invece 
di 
ritenere 
che 
non 
ogni 
atto 
emesso 
ante 
tempus 
possa 
essere 
sanzionato 
con 
la 
nullit�, 
ma 
solo 
quelli 
in 
relazione 
ai 
quali 
effettivamente 
un 
contraddittorio 
�anticipato� 
avrebbe 
portato 
a 
prevenire 
una 
pretesa 
fiscale 
che 
sarebbe 
stata 
evitabile 
o 
diversa 
in 
base 
ad 
elementi 
non 
conosciuti 
dall�Amministrazione. 


D'altra 
parte 
una 
lettura 
�sostanzialista� 
dell'art. 
12 
co. 
7 
L. 
212/2000 
sembra 
quella 
pi� coerente 
con vari 
principi 
gi� 
affermati 
non solo dalla 
Cassazione, 
ma 
anche 
dalla 
stessa 
Corte 
Costituzionale 
in materia 
di 
contraddittorio 
endoprecedimentale. 


Appare 
rilevante 
considerare 
che 
la 
sentenza 
n. 
132/2015 
della 
Corte 
Costituzionale 
ha 
ricostruito 
l�istituto 
del 
contraddittorio 
in 
termini 
di 
�effettivit�� 
in tal 
modo introducendo una 
valenza 
fattuale 
e 
sostanziale, e 
non meramente 
formale dell'istituto. 

Ad analoghe 
conclusioni 
si 
perviene 
tenendo conto della 
lettura 
�sostanzialista� 
che 
la 
Corte 
di 
Cassazione 
ha 
formulato con riferimento alla 
deroga 
al 
principio 
del 
contraddittorio 
(�casi 
di 
particolare 
e 
motivata 
urgenza� 
), 
prevista 
dal 
medesimo art. 12 co. 7 quale 
situazione 
esonerativa 
dal 
rispetto 
del termine. 


La 
Cassazione 
ha 
escluso 
che 
possano 
rilevare 
(quale 
valida 
ragione 
esonerativa) 
gli 
eventuali 
comportamenti 
dell'Amministrazione 
dilatori 
o 
�pretestuosi� 
tali 
da 
ridurre 
il 
termine 
avvalendosi 
in 
modo 
indebito 
della 
deroga 
(42). 


Ma 
allora 
un 
certo 
principio 
di 
simmetria 
imporrebbe 
di 
applicare 
lo 
stesso parametro ermeneutico �sostanzialista� 
anche 
con riferimento ai 
comportamenti 
del 
contribuente, escludendo che 
egli 
possa 
avvantaggiarsi 
di 
una 
violazione 
formale 
del 
termine 
dilatorio, 
il 
cui 
eventuale 
rispetto 
da 
parte 
dell�Amministrazione non avrebbe portato ad un risultato diverso. 


Ci� sarebbe 
in perfetta 
linea 
con il 
dovere 
reciproco di 
buona 
fede 
di 
cui 
all'art. 10 dello Statuto del Contribuente. 


(42) Cass. civ. Sez. v, 05 dicembre 2014, n. 25759. 

RASSegnA 
AvvoCATuRA 
DeLLo 
STATo - n. 4/2016 


Al 
fine 
di 
una 
interpretazione 
�sostanzialista�, 
e 
non 
�formalista�, 
dell'art. 
12 co. 7 militano anche altre disposizioni esistenti nell'ordinamento. 


Tra queste l'art. 21 octies 
l. 241/1990 (43). 


Ancorch� 
sul 
punto sia 
stato registrato un contrasto nella 
giurisprudenza 
di 
legittimit� 
(44), 
occorre 
sottolineare 
che 
a 
partire 
dal 
2013 
un 
durevole 
orientamento della 
Corte 
di 
Cassazione 
ha, pi� volte, affermato che 
l'art. 21 
octies 
della L. 241/1990 si applica anche al procedimento tributario (45). 


D'altra 
parte 
la 
sanzione 
della 
nullit� 
non � 
mai 
stata 
considerata 
quale 
precetto assoluto nell'ordinamento. 


In 
effetti 
non 
sono 
rare 
le 
ipotesi 
di 
nullit� 
�disapplicate� 
in 
funzione 
del 
raggiungimento dello scopo. 


Il 
principale 
campo 
di 
applicazione 
di 
tale 
principio 
� 
il 
diritto 
processuale, 
ma 
anche 
con 
specifico 
riferimento 
al 
campo 
tributario 
� 
stato 
affermato 
che 
la 
regola 
della 
tassativit� 
delle 
nullit� 
non 
ha 
valore 
assoluto, 
ma 
il 
giudice 
� 
tenuto ad effettuare 
la 
c.d. "prova di 
non resistenza" 
e 
cio� 
a 
�verificare 
se 
senza 
quella 
irregolarit� 
il 
procedimento 
avrebbe 
potuto 
avere 
un 
esito 
diverso, 
sulla base 
delle 
allegazioni 
del 
contribuente 
che 
nel 
caso di 
specie 
non 
sono neppure graficamente prospettate nel ricorso� 
(46). 


(43) In base 
all�art. 21-octies 
L. 241/1990 (annullabilit� del 
provvedimento) : 
�1. � 
annullabile 
il 
provvedimento amministrativo adottato in violazione 
di 
legge 
o viziato da eccesso di 
potere 
o da incompetenza. 
2. 
Non 
� 
annullabile 
il 
provvedimento adottato in 
violazione 
di 
norme 
sul 
procedimento 
o sulla forma degli 
atti 
qualora, per 
la natura vincolata del 
provvedimento, sia palese 
che 
il 
suo contenuto 
dispositivo non 
avrebbe 
potuto essere 
diverso da quello in 
concreto adottato. 
il 
provvedimento 
amministrativo non � 
comunque 
annullabile 
per 
mancata comunicazione 
dell'avvio del 
procedimento 
qualora 
l'amministrazione 
dimostri 
in 
giudizio 
che 
il 
contenuto 
del 
provvedimento 
non 
avrebbe 
potuto 
essere diverso da quello in concreto adottato�. 


(44) Infatti 
in senso contrario all'applicabilit� 
dell'art. 21 co. octies 
L. 241 in ambito tributario si 
sono 
pronunciate 
Cass. 
civ. 
Sez. 
v, 
Sent., 
9 
novembre 
2015, 
n. 
22800 
e 
Cass. 
civ. 
Sez. 
vI 
-5 
ordinanza, 
12 maggio 2016, n. 9736. 
(45) Cass. 12 luglio 2013, n. 17251 negli 
stessi 
termini 
anche 
Cass. civ. Sez. v, 19 marzo 2014, 
n. 6395 Cass. civ. Sez. v, Sent., 24 giugno 2015, n. 13024. 
(46) In ordine 
alla 
nullit� 
prevista 
in difetto di 
motivazione 
della 
cartella 
esattoriale 
la 
Corte 
ha 
affermato (Cass. civ. 25 febbraio 2016, n. 3707) che 
il 
difetto di 
motivazione 
della 
cartella 
esattoriale, 
che 
faccia 
rinvio 
ad 
altro 
atto 
costituente 
il 
presupposto 
dell'imposizione 
senza 
indicarne 
i 
relativi 
estremi 
di 
notificazione 
o di 
pubblicazione, non pu� condurre 
alla 
dichiarazione 
di 
nullit�, allorch� 
la 
cartella 
sia 
stata 
impugnata 
dal 
contribuente 
che 
abbia 
dimostrato 
in 
tal 
modo 
di 
avere 
piena 
conoscenza 
dei 
presupposti. 
una 
applicazione 
�sostanzialista� 
della 
norma 
� 
stata 
gi� 
operata 
dalla 
Corte 
di 
Cassazione 
in almeno 
due fattispecie. 
La 
prima 
riguardava 
il 
recupero di 
agevolazioni 
fiscali, eseguita 
dal 
centro operativo di 
Pescara 
(Cass. 
civ. Sez. v, Sent., 21 settembre 2016, n. 18450). 
Si 
trattava 
di 
revoca 
del 
credito 
di 
imposta 
per 
incrementi 
occupazionali 
riconosciuto 
alle 
piccole 
e 
medie 
imprese 
in 
una 
fattispecie 
in 
cui 
il 
Centro 
di 
servizio 
di 
Pescara, 
non 
aveva 
comunicato 
all'impresa 
l'avvio del procedimento di revoca. In tale causa � stato affermato quanto segue: 
�... 
con 
riferimento 
al 
caso 
in 
esame, 
il 
rilievo 
che 
l'obbligo 
informativo 
di 
cui 
al 
D.M. 
n. 
331 
del 
1998, 
art. 
8, 
non 
sia 
previsto 
a 
pena 
di 
nullit�, 
non 
esime 
di 
certo 
il 
giudice 
dal 
verificare 
-non 
avendo 
valore 
assoluto, in 
ambito tributario, la regola della tassativit� delle 
nullit� (Cass. n. 5518 del 
2013) 



ConTRIbuTI 
DI 
DoTTRInA 


Tali 
considerazioni 
appaiono 
tanto 
pi� 
rilevanti 
nel 
caso 
in 
esame, 
tenendo 
conto che 
quella 
di 
cui 
all�art. 12 co. 7 � 
una 
�invalidit� introdotta per 
via ermeneutica� 
(47), e non introdotta esplicitamente dal legislatore. 


3. conclusione. 
Alla 
luce 
delle 
esposte 
considerazioni 
si 
pu� dunque 
pervenire 
ad affermare 
la 
piena 
legittimit�, gi� 
a 
diritto vigente, di 
una 
interpretazione 
�sostanzialista� 
dell�art. 12 co. 7 L. 212/2000 in forza 
della 
quale 
(analogamente 
a 
quanto avviene 
per i 
tributi 
�armonizzati� 
in applicazione 
del 
c.d. temperamento 
Kamino), anche 
per i 
tributi 
�non armonizzati� 
la 
violazione 
del 
con


-se 
la 
violazione 
di 
legge 
abbia 
comportato 
soltanto 
una 
mera 
irregolarit� 
dell'atto 
(o 
della 
procedura) 
ovvero se 
abbia determinato l'invalidit� dello stesso (cass. n. 992 citata). 
Verifica da effettuarsi 
applicando 
il 
criterio della strumentalit� delle 
forme, sulla base 
del 
quale 
la trasgressione 
di 
una prescrizione 
che 
si 
riferisca ad una formalit� o circostanza essenziale 
per 
il 
raggiungimento dello scopo 
cui 
l'atto � 
teso, comporta la nullit� dell'atto, ancorch� 
tale 
sanzione 
non sia espressamente 
prevista da 
una specifica disposizione di legge (cass. n. 5518 citata). 


Da ci� deriva che 
il 
giudice 
� 
tenuto ad effettuare 
la c.d. "prova di 
non 
resistenza" 
(arg. da Cass. n. 
23050 del 
2015), e 
cio� 
a verificare 
se 
senza quella irregolarit� il 
procedimento avrebbe 
potuto avere 
un 
esito 
diverso, 
sulla 
base 
delle 
allegazioni 
del 
contribuente 
che 
nel 
caso 
di 
specie 
non 
sono 
neppure 
graficamente 
prospettate 
nel 
ricorso 
(conf. cass. n. 16036 del 
2015 e 
n. 6232 del 
2015), non essendo 
consentito a questa corte, in ragione 
del 
tipo di 
vizio dedotto, esaminare 
gli 
atti 
processuali 
dei 
giudizi 
di 
merito per 
verificare 
se 
il 
contribuente 
vi 
avesse 
provveduto in quelle 
fasi. Pertanto, dovendosi 
concludere 
nel 
senso della ineludibile 
emissione 
dell'atto di 
revoca del 
credito d'imposta anche 
a seguito 
di preventiva informativa datane alla contribuente, il primo motivo di ricorso va rigettato�. 
La 
tesi 
�sostanzialista� 
si 
trova 
significativamente 
affermata 
anche 
nella 
sentenza 
della 
Cassazione 
del 
28 settembre 
2016 n. 19219 che, in materia 
di 
sanzioni 
comminate 
dalla 
banca 
d'Italia, ha 
affermato il 
principio 
secondo 
cui 
�la 
rilevanza 
della 
doglianza 
(concernente 
la 
violazione 
del 
diritto 
al 
contraddittorio 
n.d.r.) 
presuppone 
la deduzione 
di 
una lesione 
concreta ed effettiva del 
diritto di 
difesa specificamente 
conculcato 
o 
compresso 
nel 
procedimento 
sanzionatorio. 
detto 
principio, 
... 
si 
colloca 
nella medesima prospettiva ermeneutica ancora di 
recente 
indicata dalle 
medesime 
sezioni 
unite 
con 
la sentenza n. 24823/15, ove, in tema di 
contraddittorio nel 
procedimento tributario, si 
� 
affermato che 
"la violazione 
del 
diritto al 
contraddittorio comporta l'invalidit� dell'atto purch� 
il 
contribuente 
abbia 
assolto all'onere di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere". 
Tale 
affermazione, 
sostenuta 
in 
particolare 
da 
cass. 
n. 
4725/16 
cit., 
correttamente 
privilegia 
una 
lettura 
sostanzialistica 
(della 
tutela 
del) 
del 
diritto 
al 
contraddittorio, 
ed 
appare 
in 
linea 
con 
gli 
approdi 
della 
giurisprudenza 
elaborata 
dalla 
Corte 
di 
giustizia 
sull'art. 
41 
della 
Carta 
dei 
diritti 
fondamentali 


(cfr. cgeu 
senti. 3.7.2014, Kamino international 
logistics, ove 
si 
afferma che 
la violazione 
dei 
diritti 
di 
difesa, in particolare 
del 
diritto ad essere 
sentiti 
prima dell'adozione 
di 
provvedimento lesivo, determina 
l'annullamento dell'atto adottato al 
termine 
del 
procedimento amministrativo soltanto se, in mancanza 
di 
tale 
irregolarit�, detto procedimento "avrebbe 
potuto comportare 
un risultato diverso"; nello 
stesso senso, si veda anche la sentenza 26 settembre 2013, texdata software). 
sicch� 
non avendo i 
ricorrenti 
specificato quale 
concreto vulnus 
la lesione 
del 
contraddittorio avrebbe 
arrecato alla possibilit� di 
far 
valere 
le 
proprie 
ragioni 
nel 
procedimento sanzionatorio a loro carico 
apparendo del 
tutto generiche 
le 
indicazioni 
in tal 
senso offerte 
dagli 
interessati, si 
conferma l'infondatezza 
della censura proposta�. 


(47) 
Cosi 
espressamente 
Cass. 
SS.uu. 
24823/2015. 
Alla 
tesi 
secondo 
cui 
la 
violazione 
del 
termine 
dilatoria 
� 
sanzionta 
con la 
nullit� 
dell�atto, si 
� 
arrivati 
infatti 
per via 
interpretativa, dopo un faticoso 
contrasto 
interno 
alla 
Corte, 
sciolto 
da 
SS.uu. 
18184 
/2013. 
Quindi 
questa 
genesi 
dell'istituto, 
di 
matrice 
giurisprudenziale, non � priva di valore nella determinazione del criterio ermeneutico da adottare. 

RASSegnA 
AvvoCATuRA 
DeLLo 
STATo - n. 4/2016 


traddittorio endoprocedimentale 
di 
cui 
all�art. 12 co. 7 L. 212/2000 pu� comportare 
la 
sanzione 
demolitoria 
solo se, laddove 
il 
contraddittorio fosse 
stato 
rispettato, il 
procedimento avrebbe 
potuto avere 
un esito diverso, sulla 
base 
delle allegazioni del contribuente (48). 

In mancanza 
di 
tale 
condizione, l�avviso di 
accertamento non merita 
di 
essere annullato. 


Detta 
lettura 
�sostanzialista� 
consente 
di 
superare 
(almeno 
parzialmente) 
la 
�distonia� 
del 
regime 
di 
accertamento 
dei 
tributi 
�non 
armonizzati�, 
rispetto 
a 
quelli 
�armonizzati�, favorendo - almeno tendenzialmente 
- una 
soluzione 
unitaria 
del 
contenzioso ed evitando il 
paradosso che 
un unico avviso 
di 
accertamento 
eseguito 
in 
violazione 
del 
contraddittorio 
necessario 
possa 
essere 
confermato 
con 
riferimento 
all�IvA 
(in 
virt� 
del 
c.d. 
temperamento 
Kamino) 
ed annullato con riferimento alle imposte dirette. 

. 

(48) una 
sanzione 
non demolitoria 
per la 
violazione 
dell'art. 12 co. 7 potrebbe 
consistere 
nella 
condanna alle spese per responsabilit� aggravata. 

ConTRIbuTI 
DI 
DoTTRInA 


L�articolo 21 bis 
della legge n. 287 del 1990 e la 
legittimazione ad agire nel processo amministrativo della 
autorit� Garante della Concorrenza e del Mercato 


Carlo Bellesini* 


L�articolo 21 bis 
della 
legge 
n. 287 del 
1990 introduce 
nell�ordinamento giuridico italiano 
la 
legittimazione 
ad agire 
dinanzi 
al 
giudice 
amministrativo dell�Autorit� 
garante 
della 
Concorrenza 
e 
del 
Mercato per l�annullamento di 
un provvedimento della 
P.A. che 
si 
assume 
lesivo 
della 
concorrenza. 
Con 
il 
presente 
articolo 
s�intendono 
ripercorrere 
i 
plurimi 
contributi 
dottrinari 
ed 
i 
recenti 
interventi 
giurisprudenziali 
sorti 
sullo 
specifico 
tema 
rilevandone 
le 
problematicit� 
tanto di ordine pratico quanto di carattere sistematico. 


sommario: i. la natura della legittimazione 
ad agire 
dell�agcm nelle 
recenti 
elaborazioni 
dottrinarie 
e 
giurisprudenziali 
- ii. le 
peculiarit� del 
ricorso - iii. Profili 
procedurali 
e 
processuali 
- iv. (segue) il 
rilascio del 
parere 
motivato quale 
condizione 
di 
ammissibilit� del 
ricorso dell�agcm - v. (segue) il 
dies 
a quo per 
l�emissione 
del 
parere 
interlocutorio e 
la 
sua rilevanza - vi. (segue) 
la decorrenza del termine di proposizione del ricorso. 


i. la natura della legittimazione 
ad agire 
dell�agcm nelle 
recenti 
elaborazioni 
dottrinarie e giurisprudenziali. 
L�art. 
35 
del 
D.L. 
6 
dicembre 
2011, 
n. 
201, 
cd. 
decreto 
�salva 
italia�, 
come 
modificato dalla 
legge 
di 
conversione 
22 dicembre 
2011, n. 214, ha 
introdotto 
nella 
legge 
n. 287 del 
1990 l�articolo 21 bis 
il 
quale 
al 
I comma 
pone 
in capo all�AgCM 
�la legittimazione 
ad agire 
in giudizio contro gli 
atti 
amministrativi 
generali, i 
regolamenti 
ed i 
provvedimenti 
di 
qualsiasi 
amministrazione 
pubblica in contrasto con le 
norme 
a tutela della concorrenza e 
del 
mercato�. Con il 
presente 
articolo, si 
intendono affrontare 
i 
molteplici 
temi 
di 
natura 
pratica 
e 
sistematica 
sollevati 
dall�introduzione 
del 
potere 
di 
impugnare 
gli 
atti 
amministrativi 
(presunti) anticoncorrenziali 
da 
parte 
dell�Antitrust. 
Dottrina 
e 
giurisprudenza 
(1) si 
sono cimentate 
nel 
difficile 
compito di 


(*) Avvocato e 
dottore 
di 
ricerca 
in diritto amministrativo presso la 
facolt� 
di 
giurisprudenza 
dell�universit� 
La Sapienza di Roma, gi� praticante forense presso l�Avvocatura dello Stato. 

(1) Per una 
ricostruzione 
di 
carattere 
sistematico della 
legittimazione 
ad agire 
nel 
processo amministrativo 
si 
consiglia 
R. gIovAgnoLI, atti 
amministrativi 
e 
tutela della concorrenza. il 
potere 
di 
legittimazione 
a ricorrere 
dell�agcm nell�art. 21-bis 
legge 
n. 287/1990 
- relazione 
al 
convegno tenutosi 
presso 
l�universit� 
degli 
studi 
di 
Milano 
il 
27 
settembre 
2012 
in 
www 
giustizia-amministrativa.it; 
v. 
CeRuLLI 
IReLLI, legittimazione 
�soggettiva� 
e 
legittimazione 
�oggettiva� 
ad agire 
nel 
processo amministrativo 
in diritto processuale 
amministrativo, 2014. Peraltro, si 
segnalano F. CInTIoLI, osservazioni 
sul 
ricorso giurisdizionale 
dell�autorit� garante 
della concorrenza e 
del 
mercato (art. 21 bis 
l. n. 287 
del 
1990) 
in giust. amm.it, 
2013; 
M.A.SAnDuLLI, introduzione 
a un dibattito sul 
nuovo potere 
di 
legittimazione 
al 
ricorso dell�agcm nell�art. 21 bis 
l. n. 287 del 
1990, in www.federalismi.it, 2012 e 
R. CI-
FAReLLI, 
verso 
un 
nuovo 
protagonismo 
delle 
autorit� 
indipendenti? 
spunti 
di 
riflessione 
intorno 
all�art. 

ConTRIbuTI 
DI 
DoTTRInA 


curare 
la 
piena 
tutela 
giurisdizionale 
di 
tutte 
le 
situazioni 
protette 
nei 
rapporti 
tra 
cives 
e 
Pubblica 
Amministrazione. 
Dimostrazione 
di 
tale 
evoluzione 
risulta 
dal 
codice 
del 
processo amministrativo (d.lvo n. 104/2010), il 
quale 
con pi� 
disposizioni 
fornisce 
al 
ricorrente 
una 
gamma 
di 
strumenti 
(azioni 
di 
annullamento, 
condanna, 
accertamento, 
cautelare), 
idonei 
ad 
assicurare 
una 
tutela 
effettiva 
dinanzi 
ad 
ogni 
manifestazione 
della 
P.A. 
(si 
veda 
l�art. 
7 
del 
c.p.a., 
che 
contempla 
�l�esercizio o il 
mancato esercizio del 
potere 
amministrativo, 
riguardanti provvedimenti, atti, accordi, comportamenti�) (3). 

Con riferimento all�articolo 21 bis 
della 
legge 
n. 287 del 
1990, � 
apparsa 
tra 
gli 
interpreti 
la 
preoccupazione 
che 
un�ipotesi 
di 
legittimazione 
ad agire 
a 
tutela 
di 
interessi 
generali 
potesse 
violare 
un 
limite 
implicito 
della 
Costituzione, 
secondo 
cui 
il 
legislatore 
non 
potrebbe 
prevedere 
che 
azioni 
processuali 


- e relative legittimazioni - volte a garantire diritti ed interessi legittimi. 
Secondo l�orientamento maggioritario in dottrina 
(4), tuttavia, l�articolo 
(3) Sul 
punto, v. CeRuLLI 
IReLLI, giurisdizione 
amministrativa e 
pluralit� delle 
azioni 
(dalla costituzione 
al 
codice 
del 
processo amministrativo), in 
dir. Proc. amm., 2012, il 
quale 
ricostruisce 
l�evoluzione 
della 
giustizia 
amministrativa 
dalla 
Costituzione 
sino all�emanazione 
del 
codice 
del 
processo 
amministrativo. In generale, alcuni 
commentari 
del 
codice, A. QuARAnTA, v. LoPILATo 
(a 
cura 
di), il 
processo 
amministrativo, 
Milano, 
2011; 
M. 
SAnIno 
(a 
cura 
di), 
codice 
del 
processo 
amministrativo, 
Torino, 2011; 
b. SASSAnI, R. vILLATA 
(a 
cura 
di), il 
codice 
del 
processo amministrativo, Torino, 2012; 
F. MeRuSI, il 
codice 
del 
giusto processo amministrativo, in dir. proc. amm., 2011, pp. 1 ss.; 
A. PAjno, 
la giustizia amministrativa all�appuntamento con la codificazione, in dir. proc. amm., 2010, pp. 119 
ss.; 
M. LIPARI, l'effettivit� della decisione 
tra cognizione 
e 
ottemperanza, in Atti 
del 
56� 
Convegno di 
varenna, Milano, 2011, pp. 95 ss.; 
F. LuCIAnI, Processo amministrativo e 
disciplina delle 
azioni: nuove 
opportunit�, vecchi 
problemi 
e 
qualche 
lacuna nella tutela dell�interesse 
legittimo, in dir. proc. amm. 
2012. 
(4) Si 
vd.no ex 
multis 
R. gIovAgnoLI, atti 
amministrativi 
e 
tutela della concorrenza. il 
potere 
di 
legittimazione 
a 
ricorrere 
dell�agcm 
nell�art. 
21-bis 
legge 
n. 
287/1990 
-relazione 
al 
convegno 
tenutosi 
presso 
l�universit� 
degli 
studi 
di 
Milano 
il 
27 
settembre 
2012 
in 
www 
giustizia-amministrativa.it 
; 
M.A. 
SAnDuLLI, 
introduzione 
a 
un 
dibattito 
sul 
nuovo 
potere 
di 
legittimazione 
al 
ricorso 
dell�agcm 
nell�art. 
21 
bis 
l. 
n. 
287 
del 
1990, 
in 
www.federalismi.it, 
2012 
e 
R. 
CIFAReLLI, 
verso 
un 
nuovo 
protagonismo 
delle 
autorit� 
indipendenti? 
spunti 
di 
riflessione 
intorno 
all�art. 
21-bis 
della 
legge 
n. 
287 
del 
1990, 
in 
www.amministrazioneincammino.luiss.it, 2012. Per completezza, ex 
adverso 
� 
emersa 
in dottrina 
una 
lettura 
dell�articolo 
21 
bis 
che 
qualifica 
la 
legittimazione 
dell�AgCM 
in 
senso 
�oggettivo�, 
dimostrando 
come 
tale 
ricostruzione 
trovi 
evidenti 
conferme 
nel 
quadro 
costituzionale 
ed 
ordinamentale 
italiano. 
Come 
noto, 
la 
Costituzione 
assicura 
la 
tutela 
delle 
situazioni 
giuridiche 
protette 
dinanzi 
all�esercizio 
dell�autorit� 
pubblica, cos� 
plasmando la 
natura 
�soggettiva� 
della 
giurisdizione 
amministrativa, in ossequio 
ad 
uno 
dei 
capisaldi 
dello 
Stato 
di 
diritto 
moderno. 
La 
garanzia 
costituzionale 
del 
cittadino 
dinanzi 
agli 
abusi 
del 
potere 
pubblico non pu� sfociare 
�in un divieto posto al 
legislatore 
di 
prevedere 
casi 
di 
legittimazione 
�oggettiva� 
(cio� 
a 
tutela 
di 
interessi 
generali 
piuttosto 
che 
a 
tutela 
di 
situazioni 
soggettive 
protette)�, poich� 
�in materia 
di 
giurisdizione 
sussiste 
riserva 
di 
legge, non riserva 
di 
Costituzione�. Si 
vd.no 
i 
casi 
di 
azione 
popolare 
di 
cui 
al 
decreto 
legislativo 
18 
agosto 
del 
2000, 
n. 
267, 
contenente 
il 
Testo 
unico 
delle 
Leggi 
sull�ordinamento 
degli 
enti 
Locali 
(cd. 
TueL). 
In 
particolare, 
l'art. 
9 
del 
TueL 
prevede 
che 
ciascun elettore 
pu� far valere 
in giudizio le 
azioni 
e 
i 
ricorsi 
che 
spettano al 
comune 
e 
alla 
provincia. L�articolo 70 del 
TueL 
dispone, altres�, che 
la 
decadenza 
dalla 
carica 
di 
sindaco, presidente 
della 
provincia, 
consigliere 
comunale, 
provinciale 
o 
circoscrizionale 
pu� 
essere 
promossa 
in 
prima 
istanza 
da 
qualsiasi 
cittadino elettore 
del 
comune, o da 
chiunque 
altro vi 
abbia 
interesse 
davanti 
al 
tribunale 
civile. L�art. 6, comma 
10, della 
l. 9 maggio 1989 n. 168 prevede 
un�ipotesi 
di 
giurisdizione 
og

RASSegnA 
AvvoCATuRA 
DeLLo 
STATo - n. 4/2016 


21 bis 
della 
legge 
n. 287 del 
1990 non pu� leggersi 
se 
non qualificando la 
legittimazione 
ad 
agire 
in 
giudizio 
dell�AgCM 
quale 
espressione 
della 
titolarit� 
in capo a 
quest�ultima 
di 
una 
situazione 
giuridica 
soggettiva, personale 
e 
differenziata, 
che 
si 
assume 
lesa. In particolare, la 
concorrenza 
deve 
intendersi 
quale 
bene 
della 
vita 
giuridicamente 
rilevante, 
normalmente 
adespota 
che, 
tuttavia, 
ai 
sensi 
dell�articolo 21 bis 
della 
lg. n. 287/1990, il 
legislatore 
soggetti-
vizza 
in 
capo 
all�AgCM, 
seguendo 
uno 
schema 
simile 
a 
quanto 
accade 
per 
gli 
interessi 
diffusi 
(5). Diversamente 
argomentando si 
approderebbe 
ad una 
lettura 
della 
norma 
contraria 
alla 
Costituzione, 
delineante 
il 
carattere 
�soggettivo� 
della 
giurisdizione 
amministrativa, 
chiamata 
alla 
tutela 
degli 
interessi 
legittimi 
e, nei 
casi 
di 
giurisdizione 
esclusiva, dei 
diritti 
soggettivi 
(artt. 24 e 
103 Cost.). Tale 
tesi 
s�ispira 
a 
quella 
giurisprudenza 
(6) che 
riconosce 
nella 


gettiva 
conferendo al 
Ministero dell�Istruzione, dell�universit� 
e 
della 
Ricerca 
la 
legittimazione 
ex 
lege 
a 
ricorrere 
al 
giudice 
amministrativo per vizi 
di 
legittimit� 
degli 
statuti 
adottati 
dalle 
universit� 
oltre 
i 
limiti 
della 
propria 
autonomia 
in contrapposizione 
ai 
rilievi 
del 
Ministero stesso. e 
l�art. 52, comma 
4, 
del 
d.lgs. 15 dicembre 
1997 n. 446 e 
ss. mm. pone 
in capo al 
Ministero dell�economia 
e 
delle 
Finanze 
la 
legittimazione 
ad 
impugnare 
dinanzi 
alla 
giustizia 
amministrativa 
per 
vizi 
di 
illegittimit� 
i 
regolamenti 
con 
cui 
le 
Province 
ed 
i 
Comuni 
hanno 
provveduto 
a 
disciplinare 
le 
entrate 
locali 
nei 
limiti 
delle 
proprie 
competenze. 
Da 
ultimo, 
l�art. 
36, 
2� 
co., 
lett. 
n), 
d.l. 
n. 
1/12, 
conv. 
in 
l. 
n. 
27/12 
attribuisce 
espressamente 
all�Autorit� 
di 
regolazione 
dei 
trasporti 
una 
legittimazione 
a 
ricorrere 
(quanto 
alla 
materia: 
servizio 
taxi) 
al 
TAR 
del 
Lazio, 
a 
tutela 
del 
diritto 
di 
mobilit� 
degli 
utenti, 
in 
ordine 
ad 
atti 
generali 
e 
particolari 
adottati 
da 
enti 
locali 
sulla 
gestione 
di 
detto 
servizio. 
ulteriori 
ipotesi 
di 
legittimazione 
oggettiva 
si 
hanno con le 
azioni 
a 
tutela 
ambientale 
di 
cui 
al 
decreto legislativo n. 152 del 
2006 (cd. codice 
dell�ambiente). 
In particolare, dal 
combinato disposto degli 
artt. 309 e 
310 del 
codice 
dell�ambiente 
le 
regioni, 
le 
province 
autonome 
e 
gli 
enti 
locali, anche 
associati, e 
le 
organizzazioni 
non governative 
che 
promuovono 
la 
protezione 
dell'ambiente, di 
cui 
all'articolo 13 della 
legge 
8 luglio 1986, n. 349 sono legittimati 
ad 
agire 
per 
l'annullamento 
degli 
atti 
e 
dei 
provvedimenti 
adottati 
in 
violazione 
delle 
norme 
a 
tutela 
ambientale 
nonch� 
avverso 
il 
silenzio 
inadempimento 
del 
Ministro 
dell'ambiente 
e 
della 
tutela 
del 
territorio 
e 
per 
il 
risarcimento 
del 
danno 
subito 
a 
causa 
del 
ritardo 
nell'attivazione, 
da 
parte 
del 
medesimo 
Ministro, 
delle 
misure 
di 
precauzione, di 
prevenzione 
o di 
contenimento del 
danno ambientale. Pertanto, la 
legittimazione 
ad agire 
dell�AgCM 
si 
ascrive 
dunque 
a 
tali 
ipotesi 
di 
legittimazione 
�oggettiva� 
e, pi� precisamente, 
di 
legittimazione 
ex 
lege 
a 
tutela 
di 
un 
interesse 
pubblico: 
ci� 
in 
piena 
conformit� 
ai 
dati 
offerti 
dall�ordinamento 
sia 
a 
livello 
costituzionale 
che 
sistematico. 
L�Autorit� 
tutela 
l�interesse 
generale 
della 
collettivit� 
al 
corretto andamento del 
mercato, difficilmente 
riducibile 
ad una 
situazione 
giuridica 
autonoma 
e 
differenziata, pena 
lo svuotamento della 
sua 
stessa 
essenza. v. CeRuLLI 
IReLLI, legittimazione 
�soggettiva� 
e 
legittimazione 
�oggettiva� 
ad agire 
nel 
processo amministrativo 
in diritto processuale 
amministrativo, 2014; 
P. DuReT, la legittimazione 
ex 
lege 
nel 
processo amministrativo 
in dir. 
proc. amm. n. 1/1999. 


(5) In particolare, si 
vd. R. gIovAgnoLI, op. cit., il 
quale 
ritiene 
che 
il 
corretto funzionamento del 
mercato ed il 
libero esplicarsi 
in esso della 
libert� 
di 
iniziativa 
economica 
debbano identificarsi 
quale 
bene 
della 
vita, distinto dall�interesse 
di 
mero fatto al 
ripristino della 
legalit� 
violata 
e 
protetto a 
livello 
costituzionale 
e 
comunitario nonch� 
riconosciuto dalla 
giurisprudenza. Si 
tratta, prosegue 
la 
suddetta 
dottrina, di 
un interesse 
certamente 
�giuridicizzato�, tuttavia difficilmente 
�soggettivizzabile� 
in tutti 
quei 
casi 
in cui 
la lesione 
del 
mercato non si 
traduce 
anche 
in una lesione 
particolare 
della sfera giuridica 
del 
privato (impresa, consumatore, associazione 
di 
categoria). 
In altre 
parole, la 
soluzione 
prospettata 
� 
l�assimilazione 
dell�interesse 
alla 
concorrenza 
e 
al 
mercato ad un interesse 
diffuso e 
la 
sua 
trasformazione 
in interesse 
collettivo di 
cui 
diventa 
titolare 
l�Autorit� 
garante 
della 
Concorrenza 
e 
del 
Mercato, quale ente esponenziale del gruppo, dotato dei necessari requisiti di rappresentativit�. 
(6) Cfr. ex multis, Cass. Sez. un. 4 febbraio 2005 n. 2207. 

ConTRIbuTI 
DI 
DoTTRInA 


concorrenza 
un 
�bene 
della 
vita� 
da 
salvaguardare 
al 
fine 
di 
assicurare 
la 
piena 
esplicazione 
della 
libert� 
di 
iniziativa 
economica 
privata, 
quale 
�pretesa 
di 
autoaffermazione 
economica 
della 
persona 
attraverso 
l'esercizio 
dell�impresa�. 
Secondo questa 
tesi, le 
norme 
anticoncorrenziali 
si 
muovono a 
tutela 
di 
interessi 
individuali, concreti 
e 
qualificati, e 
fondano situazioni 
giuridiche 
soggettive 
in capo a 
tutti 
coloro che 
agiscono sul 
mercato, imprese 
e 
consumatori, 
la 
cui 
violazione 
consente 
l'attivazione 
dei 
rimedi 
giurisdizionali. La 
tutela 
della 
concorrenza 
e 
del 
mercato 
rispecchia 
un 
interesse 
meritevole 
di 
tutela 
da 
parte 
dell�ordinamento giuridico, in quanto proprio della 
generalit� 
dei 
consociati. L�AgCM 
risulta 
cos� 
l�ente 
per legge 
affidatario della 
cura 
di 
tale 
interesse 
(sostanziale, 
differenziato 
e 
qualificato), 
legittimato 
ad 
adire 
l�autorit� 
giurisdizionale 
per ottenere 
tutela 
in caso di 
lesione 
(7). In altre 
parole, 
tale 
orientamento ricollega 
il 
potere 
di 
impugnare 
provvedimenti 
lesivi 
della 
concorrenza 
alla 
tutela 
di 
un interesse 
proprio dell�Autorit� 
rapportandola 
ad 
un interesse legittimo. 

Si 
� 
rilevato come 
tale 
modello sarebbe 
simile 
a 
quello della 
legittimazione 
della 
Commissione 
ue 
ad impugnare 
atti 
amministrativi 
nazionali 
davanti 
alla 
Corte 
di 
giustizia 
per illegittimit� 
comunitaria 
ex 
art. 108 TFue 
(8). 
La 
legittimazione 
ad 
agire 
dell�AgCM 
rappresenterebbe 
uno 
strumento 
di 
sindacato 
sulla 
legittimit� 
dell�azione 
amministrativa 
analogo al 
modello comunitario 
della 
procedura 
di 
infrazione. Pi� in generale, si 
sostiene 
che 
ciascun 
soggetto istituito per la 
tutela 
di 
un determinato interesse 
pubblico sarebbe 
a 
sua 
volta 
titolare 
di 
una 
situazione 
giuridica 
personale, specifica 
e 
qualificata 
nell�ipotesi 
di 
violazione 
delle 
regole 
poste 
a 
tutela 
del 
medesimo 
interesse 
(interesse legittimo). 


(7) Cfr. TAR Lazio, III ter, 15 marzo 2013, n. 2720, che 
aderendo a 
tali 
ricostruzioni, rileva 
che: 
�l'interesse 
di 
cui 
l'autorit� 
� 
portatrice 
� 
interesse 
pubblico, 
bench� 
individuale 
e 
differenziato 
rispetto 
all'interesse 
generale 
o all'interesse 
diffuso in maniera indistinta sulla collettivit�: e 
si 
specifica come 
interesse 
pubblico alla promozione 
della concorrenza e 
alla garanzia del 
corretto esplicarsi 
delle 
dinamiche 
competitive, come 
condizione 
e 
strumento per 
il 
benessere 
sociale�. In altre 
parole, secondo il 
TAR, 
�la 
creazione 
di 
un�autorit� 
amministrativa 
indipendente 
rimane 
comunque 
il 
frutto 
di 
una 
scelta 
politica discrezionale 
che 
conferisce 
a tale 
organismo non gi� diritti, bens� 
potest� amministrative, sia 
pure 
non consistenti 
nella tutela di 
un interesse 
pubblico tradizionale 
quanto nella garanzia di 
un bene 
comune, perseguito attraverso la regolazione 
neutrale 
degli 
interessi 
di 
imprese, consumatori, utenti�. 
(8) Sul 
punto, M.A. SAnDuLLI, op. cit., la 
quale 
in particolare 
riprende 
le 
tesi 
di 
g. gReCo 
ne 
il 
modello 
comunitario 
della 
procedura 
di 
infrazione 
e 
il 
deficit 
di 
sindacato 
di 
legittimit� 
dell�azione 
amministrativa 
in italia, in riv. it. dir. pubbl. comun., 2010 secondo cui 
�cos� 
come 
la commissione 
ue 
� 
legittimata a proporre 
ricorso per 
far 
accertare 
la violazione 
da parte 
degli 
stati 
degli 
obblighi 
comunitari, 
cos� 
dovrebbe 
ritenersi 
che 
anche 
nell�ordinamento nazionale 
ciascuna autorit� pubblica possa 
attivare 
il 
controllo giurisdizionale, anche 
nei 
confronti 
di 
altri 
enti 
pubblici, per 
far 
accertare 
la violazione 
delle 
norme 
che 
ne 
delimitano 
prerogative 
e 
sfere 
di 
competenza 
in 
ossequio 
all�obbligo 
di 
leale 
cooperazione 
di 
cui 
all�art. 
120, 
comma 
2, 
cost.: 
l�adozione 
di 
un 
atto 
illegittimo 
comporterebbe 
la 
violazione 
dell�obbligo di 
leale 
collaborazione 
nei 
confronti 
dell�ente 
la cui 
normativa � 
stata violata, 
potendo allora individuarsi 
in capo a questo ente 
la lesione 
di 
un interesse 
personale, specifico e 
qualificato, 
con conseguente legittimazione all�impugnazione dell�atto che quell�obbligo ha violato�. 

RASSegnA 
AvvoCATuRA 
DeLLo 
STATo - n. 4/2016 


Tale 
dottrina 
evidenzia 
come 
la 
novit� 
legislativa 
in 
esame 
si 
innesti 
in 
un 
solco 
pi� 
volte 
arato 
a 
livello 
comunitario 
che 
vede 
l�AgCM 
quale 
�amicus 
curiae� 
(9). 
Ci 
si 
riferisce 
al 
potere 
riconosciuto 
all'agcm 
dall'art. 
15 
del 
reg. 
ce 
n. 
3/2001 
secondo 
cui 
�le 
autorit� 
degli 
stati 
membri 
possono 
intervenire 
in 
un 
giudizio 
pendente 
dinanzi 
alle 
giurisdizioni 
nazionali, 
presentando 
osservazioni 
scritte 
o, 
previa 
autorizzazione 
del 
giudice, 
anche 
orali, 
in 
applicazione 
degli 
art. 
101 
e 
102 
tfue�. 
Pertanto, 
con 
la 
legittimazione 
ad 
agire 
del-
l�AgCM 
l�Autorit� 
si 
trasformerebbe 
da 
mera 
�interveniente� 
a 
�parte 
processuale 
che 
agisce 
in 
giudizio�, 
con 
evidente 
potenziamento 
della 
tutela 
al 
corretto 
funzionamento 
del 
Mercato. 
Secondo 
tale 
interpretazione, 
l'art. 
21 
bis 
presenta 
forti 
�analogie� 
con 
la 
procedura 
d'infrazione 
disciplinata 
dagli 
artt. 
258-259 
TFue, 
rappresentando 
�la 
trasposizione 
interna 
di 
un 
procedimento 
previsto 
dalla 
normativa 
dell'unione 
quale 
il 
ricorso 
per 
inadempimento 
promosso 
dalla 
commissione 
europea 
dinanzi 
alla 
corte 
di 
giustizia 
contro 
lo 
stato 
che 
violi 
gli 
obblighi 
derivanti 
dal 
diritto 
dell'unione 
(art. 
258 
tfue)� 
(10). 


Si 
profilano due 
facce 
della 
tutela 
dell�interesse 
ad un mercato in libera 
concorrenza, rappresentate 
da 
un lato dalle 
garanzie 
giurisdizionali 
assicurate 
per i 
singoli 
soggetti 
economici 
e 
dall�altro dal 
potere 
dell'AgCM 
di 
agire 
in 
giudizio per l'annullamento di 
provvedimenti 
amministrativi 
ritenuti 
anticoncorrenziali. 


e 
la 
giurisprudenza 
ad 
oggi 
prevalente 
sembra 
aver 
condiviso 
tale 
tesi 
(11). 


Il 
nuovo potere 
dell'AgCM, pi� che 
come 
potere 
di 
azione 
nell'interesse 
generale 
della 
legge 
in uno specifico settore, effettivamente 
di 
difficile 
riconduzione 
all'interesse 
legittimo, 
� 
per 
scelta 
del 
legislatore, 
uno 
degli 
strumenti 
volti 
a garantire 
l'attuazione 
dell'interesse 
pubblico, quest�ultimo pur 
sempre 
particolare 
e 
differenziato, 
alla 
migliore 
attuazione 
del 
valore 
�concorrenza�, 
di 
cui 
� 
specifica affidataria l'autorit�. e 
ci� anche 
in possibile 
contrasto con 
gli 
ulteriori 
interessi, pubblici 
o privati, di 
altri 
soggetti 
che 
operano sul 
mercato, 
come 
situazione 
giuridica 
comunque 
lesa 
dalla 
violazione 
delle 
norme 
a 
tutela 
della 
libert� 
di 
concorrenza, 
e 
dunque 
direttamente 
soddisfatta 
dal 
ripristino 
della legalit� violata. 

Pertanto, 
si 
ritiene 
l�istituto 
de 
quo 
come 
volto 
al 
"potenziamento" 
del 
ruolo 
del 
soggetto 
affidatario 
della 
tutela 
di 
un 
interesse 
pubblico 
particolare, 
fino al 
punto di 
essere 
legittimato ad agire 
direttamente 
in giudizio contro gli 
atti 
e 
i 
comportamenti 
che, violando la legge, ne 
integrino una lesione, in aggiunta 
a quella dei 
diritti 
e 
degli 
interessi 
degli 
operatori, pubblici 
o privati, 
specificamente coinvolti 
(12). 


(9) Il rilievo � mutuato da M.A. SAnDuLLI, introduzione a un dibattito 
cit. 
(10) Il rilievo � mutuato da M.A. SAnDuLLI, introduzione a un dibattito 
cit. 
(11) TAR LAZIo 
sentenza 
n. 2720/2013, T.A.R. Lazio Roma 
Sez. II, sent., 6 maggio 2013, n. 
4451, Consiglio di 
Stato - sez. v 
- sentenza 
30 aprile 
2014 n. 2246 e, da 
ultimo, Cons. Stato Sez. Iv, 28 
gennaio 2016, n. 323. 

ConTRIbuTI 
DI 
DoTTRInA 


Secondo tale 
posizione 
il 
nuovo potere 
dell'Autorit� 
andrebbe 
quindi 
inquadrato 
come 
azione 
a 
tutela 
di 
una 
situazione 
giuridica 
differenziata 
e 
qualificata. 
Assumerebbe 
specifico peso a 
tale 
riguardo, l'interesse 
alla 
migliore 
attuazione 
del 
valore 
"concorrenza", che 
secondo detta 
ricostruzione 
non andrebbe 
ricondotto ad una declinazione 
del 
mero interesse 
generale 
al 
rispetto 
della legge, quanto piuttosto ad un interesse 
particolare 
e 
differenziato di 
cui 
l'autorit� sarebbe 
diretta portatrice; 
una 
declinazione 
di 
interesse 
legittimo 
soggettivizzato in capo all'Autorit� 
e 
per la 
cui 
tutela 
essa 
risulterebbe 
legittimata 
ex lege 
a rivolgersi al giudice amministrativo (13). 


Sarebbe 
infatti 
"proprio 
la 
natura 
indipendente 
dell'autorit� 
e 
la 
specifica 
missione 
ad essa affidata (tutela dello specifico interesse 
pubblico, sotteso ad 
un 
mercato 
concorrenziale, 
che, 
per 
le 
forti 
implicazioni 
economiche 
e 
sovranazionali, 
si 
vuole 
sottratta all'apparato governativo)" 
a 
giustificare 
la 
scelta 
legislativa 
di 
attribuire 
in primis 
a 
tale 
soggetto, la 
legittimazione 
processuale 
ad agire per assicurarne la tutela (14). 

ii. le peculiarit� del ricorso. 
Sul 
tema 
dell�oggetto del 
ricorso dell�Antitrust 
per l�annullamento del-
l�atto anticoncorrenziale 
si 
rinvengono interessanti 
orientamenti 
in dottrina 
e 
giurisprudenza 
(15). gli 
interpreti 
si 
sono in particolare 
mossi 
nel 
cercare 
di 


(12) T.A.R. Lazio Roma Sez. II, sent., 6 maggio 2013, n. 4451. 
(13) 
Sul 
punto, 
anche 
la 
Corte 
cost. 
(sentenza 
n. 
20 
del 
14 
febbraio 
2013). 
In 
particolare, 
a 
fronte 
dell�impugnativa 
della 
Regione 
veneto 
-la 
quale 
lamentava, 
tra 
l'altro, 
la 
circostanza 
secondo 
cui 
l'art. 
21 
bis 
finirebbe 
"col 
sottoporre 
gli 
atti 
regolamentari 
ed 
amministrativi 
regionali 
ad 
un 
nuovo 
e 
generalizzato 
controllo 
di 
legittimit�, 
su 
iniziativa 
di 
un'autorit� 
statale", 
cos� 
travalicando 
i 
limiti 
desumibili 
dalla 
sentenza 
della 
Corte 
Costituzionale 
n. 
64 
del 
2005 
e 
violando 
altres� 
gli 
artt. 
117, 
sesto 
comma, 
e 
118, 
primo 
e 
secondo 
comma, 
Cost., 
-la 
Corte 
ha 
osservato 
che 
� 
inesatto 
parlare 
di 
"nuovo 
e 
generalizzato 
controllo 
di 
legittimit�", 
l� 
dove 
la 
norma 
-integrando 
i 
poteri 
conoscitivi 
e 
consultivi 
gi� 
attribuiti 
all'Autorit� 
garante 
dagli 
artt. 
21 
e 
seguenti 
della 
L. 
n. 
287 
del 
1990 
-prevede 
un 
potere 
di 
iniziativa 
finalizzato 
a 
contribuire 
ad 
una 
pi� 
completa 
tutela 
della 
concorrenza 
e 
del 
corretto 
funzionamento 
del 
mercato 
(art. 
21, 
comma 
1, 
della 
legge 
citata) 
e, 
comunque, 
certamente 
non 
generalizzato, 
perch� 
operante 
soltanto 
in 
ordine 
agli 
atti 
amministrativi 
"che 
violino 
le 
norme 
a 
tutela 
della 
concorrenza 
e 
del 
mercato". 
(14) Consiglio di Stato - sez. v - sentenza 30 aprile 2014 n. 2246. 
(15) Sul 
tema 
si 
consiglia 
la 
lettura 
di 
F. CInTIoLI, osservazioni 
sul 
ricorso giurisdizionale 
del-
l�autorit� garante 
della concorrenza e 
del 
mercato (art. 21 bis 
l. n. 287 del 
1990) 
in giust. amm.it, 
2013; 
R. gIovAgnoLI, atti 
amministrativi 
e 
tutela della concorrenza. il 
potere 
di 
legittimazione 
a ricorrere 
dell�agcm nell�art. 21-bis 
legge 
n. 287/1990 - relazione 
al 
convegno tenutosi 
presso l�universit� 
degli 
studi 
di 
Milano 
il 
27 
settembre 
2012 
in 
www 
giustizia-amministrativa.it; 
g. 
uRbAno, 
i 
nuovi 
poteri 
processuali 
delle 
autorit� 
indipendenti, 
in 
giorn. 
dir. 
amm., 
n. 
10/2012, 
1022-1031; 
R. 
CIFAReLLI, 
verso 
un nuovo protagonismo delle 
autorit� indipendenti? spunti 
di 
riflessione 
intorno all'art. 21-bis 
della 
legge 
n. 287 del 
1990, in www.amministrazioneincammino.luiss.it, del 
12 luglio 2012; 
M. LIbeRTInI, i 
nuovi 
poteri 
dell'autorit� antitrust 
(art. 35 d.l. 201/2011), in www.federalismi.it, del 
14 dicembre 
2011, 
2; 
R. PoLITI, ricadute 
processuali 
a fronte 
dell'esercizio dei 
nuovi 
poteri 
rimessi 
all'agcm ex 
art. 21bis 
della l. 287/1990. legittimazione 
al 
ricorso ed individuazione 
dell'interesse 
alla sollecitazione 
del 
sindacato. ovvero: prime 
riflessioni 
sul 
nuovo protagonismo processuale 
dell'autorit� antitrust, tra il 
minosse 
di 
dante 
ed il 
giudice 
di 
de 
andr�, in www.federalismi.it, del 
5 giugno 2012; 
F. ARenA, atti 
amministrativi 
e 
restrizioni 
della concorrenza: i 
nuovi 
poteri 
dell'autorit� antitrust 
italiana, contributo 

RASSegnA 
AvvoCATuRA 
DeLLo 
STATo - n. 4/2016 


individuare 
tanto 
l�esatto 
provvedimento 
nei 
cui 
confronti 
l�impugnativa 
deve 
rivolgersi 
quanto il 
contenuto di 
quest�ultima, ossia 
la 
gamma 
di 
vizi 
sollevabili. 
Le 
ricostruzioni 
restrittive 
vengono preferite 
da 
quanti 
ritengono la 
legittimazione 
ad 
agire 
dell�AgCM 
un 
ipotesi 
di 
giurisdizione 
di 
diritto 
oggettivo, 
cos� 
limitando 
l�applicabilit� 
della 
norma 
entro 
indicazioni 
normative 
puntuali 
e 
precise 
nel 
tentativo di 
recuperarne 
la 
tenuta 
costituzionale. Posizione 
che 
risulterebbe 
tuttavia 
superata 
guardando 
all�orientamento 
(si 
vd. 
prima 
par. 
III) 
che 
riconduce 
la 
legittimazione 
�oggettiva� 
dell�Antitrust 
nell�alveo 
di 
una giurisdizione �soggettiva� (16). 


gli 
interpreti 
si 
sono 
cimentati 
nell�individuare 
l�oggetto 
del 
ricorso 
chiedendosi 
se 
esso debba 
rivolgersi 
verso il 
provvedimento amministrativo che 
si 
assume 
originariamente 
lesivo 
della 
concorrenza 
e 
del 
buon 
funzionamento 
del 
mercato o, viceversa, nei 
confronti 
della 
determinazione 
(o dell�eventuale 
silenzio-inadempimento) assunta 
dalla 
P.A. interessata 
a 
seguito della 
fase 
interlocutoria 
introdotta 
dal 
parere 
dell�AgCM 
ai 
sensi 
del 
II comma 
dell�art. 
21 bis 
- secondo cui: 
�l'autorit� garante 
della concorrenza e 
del 
mercato, se 
ritiene 
che 
una 
pubblica 
amministrazione 
abbia 
emanato 
un 
atto 
in 
violazione 
delle 
norme 
a tutela della concorrenza e 
del 
mercato, emette, entro sessanta 
giorni, 
un 
parere 
motivato, 
nel 
quale 
indica 
gli 
specifici 
profili 
delle 
violazioni 
riscontrate. 
se 
la 
pubblica 
amministrazione 
non 
si 
conforma 
nei 
sessanta 
giorni 
successivi 
alla 
comunicazione 
del 
parere, 
l'autorit� 
pu� 
presentare, 
tramite 
l'avvocatura dello stato, il 
ricorso, entro i 
successivi 
trenta giorni�-. 
nella 
risoluzione 
del 
quesito riposa 
la 
conseguenza 
pratica 
dell'ammissibilit� 


o meno (per carenza 
di 
interesse) del 
ricorso principale 
in caso di 
eventuale 
mancata impugnazione da parte dell�Antitrust dell�uno o dell�altro atto. 
un primo filone 
dottrinario (17) ritiene 
il 
parere 
dell�Autorit� 
come 
un 
invito rivolto all�Amministrazione 
interessata 
ad agire 
in autotutela 
per ottenere 
l�annullamento 
d�ufficio 
del 
provvedimento 
lesivo 
della 
concorrenza 
e 


per 
la 
X 
edizione 
del 
Convegno 
�antitrust 
fra 
diritto 
nazionale 
e 
diritto 
dell'unione 
europea 
�, 
Treviso 
17-18 maggio 2012; 
M.A.SAnDuLLI, introduzione 
a un dibattito sul 
nuovo potere 
di 
legittimazione 
al 
ricorso dell�agcm nell�art. 21 bis 
l. n. 287 del 
1990, in www.federalismi.it, 2012; 
M. CAPPAI, 
il 
problema 
della 
legittimazione 
a 
ricorrere 
dell�autorit� 
garante 
della 
concorrenza 
e 
del 
mercato 
nella 
prima giurisprudenza amministrativa 
in foro amm. tar, 2013, 5, 1607. In giurisprudenza, per le 
complesse 
ricadute 
processuali 
dell�articolo 21 bis 
della 
legge 
n. 287 del 
1990, si 
veda 
TAR Lazio, III ter, 
15 marzo 2013, n. 2720; 
TAR Lazio, II, 6 maggio 2013 n. 4451 in www.giustizia-amministrativa.it. 


(16) Per la 
legittimazione 
oggettiva 
dell�AgCM, si 
vd. v. CeRuLLI 
IReLLI, legittimazione 
�soggettiva� 
e 
legittimazione 
�oggettiva� 
ad agire 
nel 
processo amministrativo in diritto processuale 
amministrativo, 
2014. Sulla 
stessa 
falsariga 
sembrerebbero TAR Lazio, II, 6 maggio 2013 n. 4451, Corte 
cost. n. 20/2013. 
(17) Cfr. F. CInTIoLI, osservazioni 
sul 
ricorso giurisdizionale 
cit., 11-14; 
g. uRbAno, 
i nuovi 
poteri 
processuali 
cit., p. 1028; 
M. LIbeRTInI, i nuovi 
poteri 
dell'autorit� cit., 2; 
F. ARenA, atti 
amministrativi 
e 
restrizioni 
cit.; 
n. 
PeCChIoLI, 
�teologia 
della 
concorrenza� 
cit., 
2, 
nt. 
1. 
In 
particolare, 
g. 
uRbAno, i nuovi 
poteri 
processuali 
cit., 1028, rileva 
�come 
un atto di 
indirizzo volto a sollecitare 
al-
l'amministrazione l'esercizio del potere in autotutela�. 

ConTRIbuTI 
DI 
DoTTRInA 


del 
mercato ai 
sensi 
dell�articolo 21 nonies, l. n. 241 del 
1990. Pertanto, l�oggetto 
del 
ricorso consisterebbe 
nell'atto di 
diniego motivato o di 
silenzio-inadempimento 
dell�Amministrazione 
invitata 
con il 
parere 
ad esercitare 
i 
poteri 
di 
autotutela 
decisoria 
(18). Si 
sostiene 
l�importanza 
di 
assoggettare 
il 
contenuto 
del 
ricorso dell�AgCM 
ai 
presupposti 
dell�annullamento d�ufficio, per 
ragioni 
sistematiche 
e 
di 
principio. In particolare, in tal 
modo l�Autorit� 
dovrebbe 
in ogni 
caso vagliare 
il 
legittimo esercizio del 
potere 
di 
autotutela 
da 
parte 
dell�Amministrazione 
intimata, con riferimento non solo ai 
vizi 
d'illegittimit� 
del 
provvedimento 
ex 
art. 
21 
octies 
lg. 
n. 
241/90 
(violazione 
di 
legge, 
eccesso di 
potere, incompetenza), ma 
anche 
alla 
sussistenza 
di 
ragioni 
d'interesse 
pubblico, della 
ragionevolezza 
del 
termine 
entro il 
quale 
interviene 
l'annullamento 
e 
dell�eventuale 
pregiudizio subito da 
terzi. Si 
tratta, come 
noto, 
della 
�necessaria ponderazione 
dell'interesse 
pubblico attuale 
e 
concreto ad 
annullare 
� 
(19). 
Secondo 
tale 
tesi, 
in 
questo 
modo 
il 
potere 
di 
impugnare 
dell�AgCM 
sarebbe 
assoggettato a 
pi� stringenti 
presupposti, con maggiore 
garanzia 
del 
principio 
costituzionale 
di 
separazione 
dei 
poteri 
(legislativo, 
esecutivo 
e 
giudiziario) e 
diminuzione 
del 
rischio d�invasioni 
nel 
merito amministrativo 
(20). 
Alla 
circostanza 
per 
cui 
la 
P.A. 
valuter� 
quale 
interesse 
concreto 
ed attuale 
alla 
conservazione 
o meno del 
provvedimento impugnato un bene 
presumibilmente 
diverso 
da 
quello 
della 
concorrenza, 
l�orientamento 
in 
esame 
replica 
che 
diversamente 
si 
dovrebbe 
accettare 
�l'originale 
idea che 
l'ordinamento 
voglia dare 
alla concorrenza una sorta di 
inedito primato su tutti 
gli 
altri 
interessi 
generali 
del 
sistema� 
(21). Tutto ci� troverebbe 
conferme 
nella 
facoltativit� 
(e 
non 
doverosit�) 
dell�esercizio 
del 
potere 
di 
impugnare 
a 
seguito 
della 
conclusione 
della 
fase 
consultiva 
(l�AgCM 
non 
impugnerebbe 
l�atto 
qualora 
ritenesse 
fondate 
le 
ragioni 
addotte 
dalla 
P.A. 
per 
il 
mancato 
esercizio 
del 
potere 
di 
autotutela 
o si 
verificassero sopravvenienze 
- di 
fatto o di 
diritto 
-tali 
da 
garantire 
la 
legittimit� 
del 
provvedimento 
in 
relazione 
alle 
norme 
poste 
a tutela della concorrenza e del mercato). 

D�altro 
canto, 
un 
secondo 
orientamento 
(22) 
sostiene 
che 
l�oggetto 
del 
ri


(18) 
Questa 
ricostruzione, 
si 
� 
affermato, 
dovrebbe 
essere 
preferita 
�per 
necessit� 
di 
ordine 
sistematico 
e 
di 
coerenza 
con 
i 
principi 
generali�, 
si 
vd. 
F. 
CInTIoLI, 
osservazioni 
sul 
ricorso 
giurisdizionale 
cit., 
11. 
(19) Cit. F. CInTIoLI, osservazioni sul ricorso giurisdizionale 
cit., 11. 
(20) 
Cit. 
F. 
CInTIoLI, 
osservazioni 
sul 
ricorso 
giurisdizionale 
cit., 
11. 
�se 
riteniamo 
il 
conformarsi 
dell'amministrazione 
destinataria del 
parere 
come 
fenomeno di 
autotutela decisoria avremo che, una 
volta accertato che 
non esistono i 
presupposti 
di 
legge 
per 
il 
suo esercizio, anche 
il 
potere 
di 
ricorso 
agcm 
dovr� 
arrestarsi 
di 
fronte 
a 
questo 
dato� 
(�) 
�anche 
se 
vi 
sia 
stata, 
a 
suo 
tempo, 
una 
violazione 
delle 
predette 
norme... altrimenti 
avremmo riconosciuto alla speciale 
legittimazione 
dell'autorit� una 
forza che 
nessun'altra forma di 
ricorso possiede 
e 
che 
oltretutto sarebbe 
in evidente 
distonia con irrinunciabili 
esigenze d'interpretazione sistematica�. 
(21) Cit. F. CInTIoLI, osservazioni sul ricorso giurisdizionale 
cit., 11. 
(22) 
Cfr. 
R. 
PoLITI, 
ricadute 
processuali 
cit., 
26-29; 
R. 
gIovAgnoLI, 
ricadute 
processuali 
a 
fronte 
dell'esercizio dei nuovi poteri 
cit., 16-17; g. uRbAno, 
i nuovi poteri processuali 
cit., 1029. 

RASSegnA 
AvvoCATuRA 
DeLLo 
STATo - n. 4/2016 


corso 
sia 
esclusivamente 
l�atto 
originario 
ritenuto 
illegittimo, 
mentre 
la 
determinazione 
dell�Amministrazione 
interessata 
a 
seguito 
del 
parere 
interlocutorio 
avrebbe 
valore 
endoprocedimentale. 
Tale 
argomento 
si 
muove 
dal 
dato 
testuale 
e 
dalla 
chiarezza 
del 
dispositivo 
di 
cui 
all�articolo 
21 
bis 
secondo 
comma, 
che 
�non 
individuerebbe 
l'oggetto 
del 
giudizio 
ma 
si 
limiterebbe 
a 
fissare 
le 
modalit� 
procedimentali 
per 
l'esercizio 
del 
descritto 
potere 
d'azione� 
(23). 
In 
tal 
modo, 
l�autorit� 
giurisdizionale 
si 
troverebbe 
nelle 
condizioni 
di 
esercitare 
il 
solo 
scrutinio 
di 
legittimit� 
alla 
luce 
dei 
vizi 
sollevati 
dall�AgCM 
con 
esclusivo 
riferimento 
alla 
violazione 
delle 
norme 
a 
tutela 
di 
concorrenza 
e 
buon 
funzionamento 
del 
mercato 
ed 
in 
ossequio 
al 
principio 
della 
domanda 
(24). 


La 
giurisprudenza 
(25) 
sembra 
aver 
accolto 
tale 
orientamento, 
rilevando 
come 
�l'atto 
impugnabile 
� 
l'atto 
ritenuto 
lesivo 
della 
concorrenza, 
e 
non 
l'atto 
successivo 
con 
il 
quale 
l'amministrazione 
decida 
di 
non 
conformarsi 
al 
parere 
interlocutorio 
dell'autorit�. 
(�) 
il 
secondo 
comma 
... 
non 
individua 
l'oggetto 
del 
giudizio, 
limitandosi 
... 
a 
dettare 
le 
regole 
procedimentali 
per 
l'esercizio 
del 
potere 
di 
azione 
in 
sede 
giurisdizionale�. 
La 
Corte 
costituzionale 
ha 
sulla 
stessa 
falsariga 
osservato 
come 
l�introduzione 
della 
legittimazione 
ad 
agire 
dell�AgCM 
veda 
la 
realizzazione 
nell�ordinamento 
di 
�un 
momento 
di 
interlocuzione 
preventiva 
dell'autorit� 
con 
l'amministrazione 
emanante 
l'atto 
ritenuto 
anticoncorrenziale, 
allo 
scopo 
di 
stimolare 
uno 
spontaneo 
adeguamento 
della 
fattispecie 
ai 
principi 
in 
materia 
di 
libert� 
di 
con


(23) 
Cit. 
R. 
gIovAgnoLI, 
ricadute 
processuali 
a 
fronte 
dell'esercizio 
dei 
nuovi 
poteri 
cit. 
Tuttavia, 
un opposto orientamento ritiene 
che 
�in mancanza di 
alcuna espressa manifestazione 
di 
volont� (completamente) 
adesiva rispetto al 
parere, l'impugnazione 
prevista dalla norma debba rivolgersi 
avverso 
l'originario atto dell'amministrazione� 
cit. R. PoLITI, ricadute processuali 
cit., 26. 
(24) 
Sul 
principio 
della 
domanda 
e 
le 
ipotesi 
di 
legittimazione 
oggettiva 
nel 
processo 
amministativo 
si 
vd. 
ampliamente 
v. 
CeRuLLI 
IReLLI, 
legittimazione 
�soggettiva� 
e 
legittimazione 
�oggettiva� 
ad 
agire 
nel 
processo 
amministrativo 
in 
diritto 
processuale 
amministrativo, 
2014; 
in 
tal 
modo 
si 
assicura 
una 
maggiore 
ampiezza 
del 
sindacato 
del 
g.a. 
nel 
verificare 
la 
liceit� 
del 
provvedimento 
impugnato 
rispetto 
alle 
norme 
della 
concorrenza, 
il 
tutto 
nei 
limiti 
del 
principio 
dispositivo. 
Peraltro, 
se 
oggetto 
� 
l�atto 
originario, 
ci 
si 
chiede 
se 
in 
concreto 
il 
contenuto 
del 
ricorso 
debba 
essere 
limitato 
dai 
vizi 
segnalati 
nel 
parere 
o 
se 
l'AgCM, 
in 
sede 
di 
ricorso 
�non 
soffra 
alcun 
limite, 
con 
pienezza 
devolutiva 
involgente 
anche 
aspetti 
diversi 
rispetto 
a 
quelli 
gi� 
rappresentati�. 
Secondo 
un 
orientamento 
consolidato 
delle 
Corti 
amministrative 
in 
materia 
di 
impugnativa 
di 
decisioni 
gerarchiche, 
sembrerebbe 
preferibile 
una 
limitazione 
delle 
censure 
a 
quelle 
originariamente 
rilevate 
in 
sede 
amministrativa 
(si 
vd. 
Cons. 
di 
St., 
sez. 
Iv, 
5 
settembre 
2008 
n. 
4231), 
per 
evitare 
l�elusione 
del 
termine 
di 
decadenza 
dell�azione 
d�annullamento 
in 
sede 
giurisdizionale 
(Cfr., 
ex 
plurimis, 
Cons. 
St., 
sez. 
Iv, 
11 
aprile 
2007 
n. 
1603; 
Tar 
Lazio, 
sez. 
III-bis, 
22 
maggio 
2008 
n. 
4804; 
Tar 
Lazio, 
Latina, 
26 
luglio 
2005 
n. 
629). 
Sul 
punto, 
si 
rimanda 
a 
R. 
PoLITI, 
ricadute 
processuali 
cit., 
26-27. 
Per 
ci�, 
la 
determinazione 
dell�AgCM 
in 
seguito 
alla 
fase 
interlocutoria 
risulterebbe 
esercizio 
di 
uno 
�speciale 
potere 
di 
ritornare 
sui 
propri 
atti, 
ove 
dall'agcm 
ritenuti 
lesivi 
di 
norme 
a 
tutela 
della 
concorrenza 
e 
del 
mercato, 
anche 
a 
prescindere 
dai 
presupposti 
dell'autotutela 
decisoria� 
cit. 
R. 
gIovAgnoLI, 
ricadute 
processuali 
a 
fronte 
dell'esercizio 
dei 
nuovi 
poteri 
cit. 
(25) Cfr. Tar Lazio, Sez. III bis, n. 2720 del 
2013, il 
quale 
peraltro rileva 
come 
�l'atto attraverso 
il 
quale 
la 
P.a. 
decide 
di 
non 
conformarsi 
al 
parere 
emesso 
dall'autorit� 
ha 
natura 
endoprocedimentale, 
pertanto l'oggetto del 
ricorso instaurato per 
iniziativa dell'agcm � 
costituito dall'atto originario, ritenuto 
dalla stessa anticoncorrenziale e in quanto tale colpito dal parere�. 

ConTRIbuTI 
DI 
DoTTRInA 


iv. (segue) 
il 
rilascio del 
parere 
motivato quale 
condizione 
di 
ammissibilit� 
del ricorso dell�agcm. la struttura bifasica del procedimento. 
in primis, ci 
si 
� 
interrogati 
sul 
rapporto intercorrente 
tra 
il 
parere 
motivato 
rilasciato 
dall�AgCM 
e 
la 
legittimazione 
ad 
agire 
nell�iter 
procedimentale 
delineato dalla 
norma. In particolare, l'art. 21-bis, l. n. 287 del 
1990, comma 
secondo, prevede 
che 
�l'autorit� emette 
entro sessanta giorni 
un parere 
motivato, 
nel 
quale 
indica gli 
specifici 
profili 
delle 
violazioni 
riscontrate. se 
la 
pubblica amministrazione 
non si 
conforma nei 
sessanta giorni 
successivi 
alla 
comunicazione 
del 
parere, 
l'autorit� 
pu� 
presentare, 
tramite 
l'avvocatura 
dello 
stato, 
il 
ricorso, 
entro 
i 
successivi 
trenta 
giorni�. 
Si 
rileva 
come 
il 
primo 
comma 
dell�articolo 21 bis 
preveda 
il 
generale 
potere 
di 
impugnare 
atti 
amministrativi 
che 
si 
assumono lesivi 
della 
concorrenza. Pertanto, � 
sorto un dibattito 
tra 
gli 
interpreti 
in 
relazione 
alla 
corretta 
lettura 
dei 
due 
commi 
per 
superare 
possibili 
incongruenze 
(50). Da 
un lato, si 
� 
profilata 
la 
tesi 
della 
lettura 
combinata 
dei 
due 
disposti, 
dall�altra 
quella 
dell�autonomia 
precettiva 
del 
primo 
comma 
e 
dell�alternativit� 
tra 
i 
due 
procedimenti. 
In 
altre 
parole, 
alcuni 
predicano 
la 
previa 
emissione 
del 
parere 
ai 
sensi 
del 
secondo 
comma 
quale 
presupposto di 
ammissibilit� 
o procedibilit� 
del 
ricorso (51), mentre 
altri 
sostengono 
l�alternativit� 
tra 
l�instaurazione 
di 
una 
fase 
interlocutoria 
tra 
P.A. 
interessata 
e 
AgCM 
e 
il 
ricorso diretto al 
TAR avverso l�atto che 
si 
assume 
lesivo della concorrenza (52). 

I 
fautori 
della 
tesi 
dell�alternativit� 
pongono 
l�accento 
su 
due 
ordini 
di 
considerazioni. 
La 
prima, 
attiene 
alla 
configurabilit� 
di 
una 
tutela 
cautelare 
giudiziale 
ante/sine 
parere 
a 
favore 
dell'Autorit�, che 
sarebbe 
possibile 
solo 
in caso di 
ricorso immediato e 
rimanendo esclusa 
la 
tutela 
cautelare 
amministrativa 
di 
cui 
all'art. 14 bis 
l. 287/1990 e 
stante 
l�inefficacia 
sospensiva 
del 
parere 
(53). Pertanto, il 
ricorso diretto al 
Tar consentirebbe 
una 
maggior fles


(50) Si vd. relazione annuale 
AgCM sull'attivit� svolta, del 31 marzo 2012, 22. 
(51) 
Cfr. 
A. 
ARgenTATI, 
concorrenza 
e 
liberalizzazioni: 
i 
nuovi 
poteri 
dell'autorit� 
garante 
della 
concorrenza e 
del 
mercato, in riv. trim. dir. ec., n. 1/2012, 37-38; 
F. CInTIoLI, osservazioni 
sul 
ricorso 
giurisdizionale 
cit., 
11 
e 
14; 
F. 
ARenA, 
atti 
amministrativi 
e 
restrizioni 
cit; 
n. 
PeCChIoLI 
�teologia 
della 
concorrenza� 
cit., 20. 
(52) 
Si 
vd. 
M. 
LIbeRTInI, 
i 
nuovi 
poteri 
dell'autorit� 
antitrust 
(Art. 
35 
d.l. 
201/2011), 
in 
www.federalismi.it, del 
14 dicembre 
2011, 2; 
M.A. SAnDuLLI, introduzione 
a un dibattito cit., 17-18; 
R. 
gIovAgnoLI, 
ricadute 
processuali 
a 
fronte 
dell'esercizio 
dei 
nuovi 
poteri 
cit.; 
g. 
uRbAno, 
i 
nuovi 
poteri 
processuali 
cit., 1029. 
(53) Cfr. M. LIbeRTInI, i nuovi 
poteri 
dell'autorit� cit., 2; 
g. uRbAno, i nuovi 
poteri 
processuali 
cit., 1029. Secondo M. CLARICh, op. cit., un potere 
cautelare 
di 
tipo sostanziale 
in capo all�Autorit� 
potrebbe 
dedursi 
estendendo in via 
interpretativa 
il 
campo di 
applicazione 
dell�art. 14-bis 
della 
legge 
n. 
287/1990, inserito nel 
capo II relativo ai 
poteri 
dell�Autorit� 
in materia 
di 
intese 
restrittive 
della 
concorrenza 
e 
di 
abuso 
di 
posizione 
dominante, 
che 
attribuisce 
appunto 
un 
siffatto 
potere 
nei 
confronti 
delle 
imprese. visto che 
il 
primo comma 
dell�art. 14-bis 
si 
riferisce 
all�ipotesi 
che 
l�Autorit� 
constati 
ad un 
primo 
sommario 
esame 
�la 
sussistenza 
di 
un�infrazione�, 
senza 
richiamare 
specificamente 
i 
divieti 
stabiliti 
negli 
artt. 2 e 
3 della 
legge 
n. 287 (riferiti 
appunto alle 
intese 
restrittive 
e 
agli 
abusi), come 
fanno 

RASSegnA 
AvvoCATuRA 
DeLLo 
STATo - n. 4/2016 


sibilit� 
garantendo all�AgCM 
di 
ottenere 
tutela 
cautelare 
immediata 
nei 
casi 
pi� gravi 
ed eviterebbe 
una 
disparit� 
di 
trattamento con gli 
enti 
esponenziali 
di 
interessi 
diffusi 
di 
natura 
privatistica, 
la 
cui 
azione 
non 
� 
sottoposta 
ad 
alcun 
presupposto di ammissibilit� o procedibilit�. 


Secondo altro orientamento, da 
ritenersi 
ad oggi 
prevalente, la 
tesi 
del-
l�alternativit� non sembra coerente con l'effettiva intenzione del legislatore. 


In 
particolare, 
come 
sostenuto 
dalla 
giurisprudenza, 
dal 
dato 
letterale 
espresso 
dal 
complessivo 
disposto 
dell�articolo 
21 
bis, 
emerge 
come 
la 
volont� 
del 
legislatore 
sia 
favorire 
attraverso il 
parere 
�un momento di 
interlocuzione 
preventiva dell'autorit� con l'amministrazione 
emanante 
l'atto ritenuto anticoncorrenziale, 
allo 
scopo 
di 
stimolare 
uno 
spontaneo 
adeguamento 
della 
fattispecie 
ai 
principi 
in 
materia 
di 
libert� 
di 
concorrenza� 
(54). 
Pertanto, 
il 
rimedio 
giurisdizionale 
sembra 
essere 
l�estrema 
ratio, 
percorribile 
solo 
in 
caso 
di crisi di cooperazione tra 
AgCM e P.A. interessata. 

La 
Corte 
costituzionale, nella 
sentenza 
n. 20 del 
2013, ha 
per l�appunto 
rilevato 
come 
la 
legittimazione 
ad 
agire 
dell�antitrust 
�si 
esterna 
in 
una 
prima 
fase 
a 
carattere 
consultivo 
(parere 
motivato 
nel 
quale 
sono 
indicati 
gli 
specifici 
profili 
delle 
violazioni 
riscontrate), e 
in una seconda (eventuale) fase 
di 
impugnativa 
in sede 
giurisdizionale, qualora la pubblica amministrazione 
non 
si conformi al parere stesso� 
(55). 

Del 
resto, il 
TAR ha 
evidenziato: 
�la previsione 
di 
un termine 
speciale 
dimezzato, di 
trenta giorni, per 
la proposizione 
del 
ricorso - come 
anche 
l'applicazione 
di 
un rito processuale 
speciale 
accelerato (Il 
comma 
3 dell'art. 21 
bis 
rinvia 
alla 
disciplina 
contenuta 
nel 
Libro Iv, Titolo v 
del 
c.p.a., che 
regola 
lo speciale 
rito di 
cui 
all'art. 119 - controversie 
insorte 
in determinate 
materie 


-e 
lo specialissimo rito di 
cui 
all'art. 120 - controversie 
insorte 
in materia 
di 
appalti 
-) si 
giustifica proprio in considerazione 
del 
fatto che 
l'iniziativa giurisdizionale 
� 
preceduta 
dalla 
fase 
procedimentale 
di 
interlocuzione 
con 
l'amministrazione 
emanante l'atto oggetto di contestazione� 
(56). 
Peraltro, la 
�collocazione 
sistematica� 
dell�articolo 21 bis 
nel 
Titolo III 


invece 
tutte 
le 
altre 
disposizioni 
contenute 
nel 
Capo II (art. 12, comma 
1, art. 14, comma 
1, art. 14-ter, 
art. 
15, 
comma 
1). 
Il 
primo 
comma 
dell�art. 
14-bis 
potrebbe 
cos� 
essere 
letto 
come 
una 
disposizione 
avente carattere generale applicabile anche al di l� del contesto specifico del Capo II. 

(54) 
In 
giurisprudenza 
si 
� 
affermato 
che 
la 
previa 
espressione 
del 
parere 
costituisce 
un 
presupposto 
per 
l'ammissibilit� 
o 
la 
procedibilit� 
del 
ricorso 
principale 
dell'agcm� 
(Tar 
Lazio, 
Sez. 
III 
bis, 
n. 
2720 
del 
2013; 
Tar 
Lazio, 
Sez. 
II, 
n. 
4451 
del 
2013), 
�ma 
non 
anche 
per 
la 
formulazione 
di 
motivi 
aggiunti� 
(Tar 
Lazio, 
Sez. 
III 
bis, 
n. 
2720 
del 
2013). 
Il 
TAR 
sembra 
aver 
aderito 
alle 
indicazioni 
della 
dottrina. 
Si 
vd. 
M. 
LIbeRTInI, 
i 
nuovi 
poteri 
dell'autorit� 
antitrust 
(Art. 
35 
d.l. 
201/2011), 
in 
www.federalismi.it, 
del 
14 dicembre 
2011, 2; 
M.A. SAnDuLLI, introduzione 
a un dibattito 
cit., 17-18; 
R. 
gIovAgnoLI, 
ricadute 
processuali 
a 
fronte 
dell'esercizio 
dei 
nuovi 
poteri 
cit.; 
g. 
uRbAno, 
i 
nuovi 
poteri 
processuali 
cit., 1029. 
(55) Cfr. Corte cost. n. 20/2013. 
(56) Cfr. Tar Lazio, Sez. III 
bis, n. 2720 del 2013. 

ConTRIbuTI 
DI 
DoTTRInA 


della 
leg. n. 287 del 
1990, relativo ai 
poteri 
conoscitivi 
e 
consultivi 
dell�Antitrust, 
ovvero 
della 
cd. 
competition 
advocacy, 
consentirebbe 
all'Autorit� 
di 
agire 
con �veri 
e 
propri 
effetti 
costitutivi, sia pure 
conseguibili 
in via mediata 
attraverso lo scrutinio giurisdizionale� 
per concorrere 
alla 
�formazione, e 
al 
mantenimento, di 
un complessivo quadro legale 
atto a favorire 
le 
dinamiche 
della 
concorrenza, 
promuovendo 
il 
sindacato 
del 
g.a., 
indipendentemente 
dal-
l'esistenza (o dall'iniziativa) di 
soggetti 
portatori 
di 
interessi, individuali 
e/o 
collettivi, 
lesi 
dall'attivit� 
amministrativa� 
(57). 
La 
pervasivit� 
degli 
effetti 
prodotti 
dall�esercizio del 
nuovo potere 
di 
impugnativa 
necessita 
dunque 
una 
forte 
procedimentalizzazione, cos� 
come 
nei 
settori 
delle 
intese 
e 
degli 
abusi 
di 
posizione 
dominante 
i 
poteri 
decisori 
e 
sanzionatori 
dell'Autorit� 
sono preceduti 
da 
un contraddittorio con le 
imprese, al 
fine 
di 
contestualizzare 
e 
procedimentalizzare 
la 
propria 
valutazione 
circa 
la 
regola 
giuridica 
da 
applicare 
al 
caso 
concreto. 
La 
necessariet� 
del 
previo 
parere 
motivato 
di 
cui 
al 
II 
comma 
dell�articolo 21 bis, non creerebbe 
problemi 
in punto di 
impraticabilit� 
del 
rimedio 
cautelare, in quanto, nelle 
ipotesi 
de 
quibus 
difficilmente 
si 
potrebbe 
individuare 
il 
periculum 
in 
mora 
con 
riferimento 
al 
pregiudizio 
concorrenziale 
che 
non 
si 
manifesta 
in 
termini 
soggettivi 
ma 
come 
�danno 
alla 
struttura 
concorrenziale 
in 
senso 
oggettivo� 
(come 
precedentemente 
rilevato 
con 
riferimento 
all�interesse 
ad agire 
in tali 
circostanze 
in par. III), e 
senza 
contare 
che 


�a 
differenza 
delle 
parti 
private, 
l'autorit�, 
attraverso 
l'espressione 
del 
parere, 
pu� esercitare 
una forma di 
moral 
suasion che, se 
tempestivamente 
attivata, 
� 
potenzialmente 
in 
grado 
di 
condurre 
all'eliminazione 
della 
situazione 
distorsiva 
negli 
stessi 
tempi 
di 
un giudizio cautelare� 
(58). Infine, si 
� 
evidenziato 
come 
nessuna 
disparit� 
di 
trattamento 
potrebbe 
profilarsi 
tra 
la 
disciplina 
dell�art. 
21 
bis 
e 
quella 
dei 
ricorsi 
degli 
enti 
esponenziali, 
in 
quanto 
non 
si 
tratterebbe 
di 
situazioni 
omogenee, poich� 
mentre 
le 
associazioni 
portatrici 
di 
interessi 
diffusi 
�preesistono 
al 
diritto 
positivo 
e 
non 
sono 
conformati 
da 
esso�, 
le 
Autorit� 
Amministrative 
Indipendenti 
rappresentano 
�il 
frutto 
di 
una 
scelta politica discrezionale 
che 
conferisce 
a tale 
organismo non gi� diritti, 
bens� 
potest� amministrative, sia pure 
non consistenti 
nella tutela di 
un interesse 
pubblico tradizionale 
quanto nella garanzia di un bene comune, perseguito 
attraverso 
la 
regolazione 
neutrale 
degli 
interessi 
di 
imprese, 
consumatori, utenti� 
(59). 


Allo 
stesso 
modo, 
il 
Consiglio 
di 
Stato 
-sez. 
v 
-sentenza 
30 
aprile 
2014 


n. 
2246, 
ha 
evidenziato 
come 
dall�esame 
della 
norma 
si 
evinca 
il 
fondamentale 
e 
innovativo 
ruolo 
attribuito 
all�Autorit� 
circa 
il 
controllo 
sull�effettivo 
ed 
efficace 
dispiegarsi 
della 
libert� 
della 
concorrenza 
e 
del 
mercato 
impone 
(57) Cfr. Tar Lazio, Sez. II, n. 4451 del 2013. 
(58) Cfr. Tar Lazio, Sez. II, n. 4451 del 2013. 
(59) Cfr. Tar Lazio, Sez. II, n. 4451 del 2013. 

RASSegnA 
AvvoCATuRA 
DeLLo 
STATo - n. 4/2016 


che 
il 
potere 
di 
agire 
in 
giudizio 
contro 
gli 
atti 
lesivi 
di 
tali 
principi 
sia 
preceduto 
da 
una 
fase 
precontenziosa, 
caratterizzata 
dall�emissione, 
da 
parte 
dell�Autorit�, 
di 
un 
parere 
motivato 
rivolto 
alla 
pubblica 
amministrazione, 
parere 
in 
cui 
ragionevolmente 
sono 
segnalate 
le 
violazioni 
riscontrate 
e 
sono 
indicati 
i 
rimedi 
per 
eliminarle 
e 
ripristinare 
il 
corretto 
funzionamento 
della 
concorrenza 
e 
del 
mercato. 


Prosegue 
la 
succitata 
pronuncia 
rilevando 
come 
lo 
scopo 
del 
predetto 
parere 
motivato 
sia 
plurimo. 
in 
primis, 
esso 
mira 
a 
sollecitare 
la 
pubblica 
amministrazione 
a 
rivedere 
le 
proprie 
determinazioni 
e 
a 
conformarsi 
agli 
indirizzi 
dell�Autorit�, 
attraverso 
uno 
speciale 
esercizio 
del 
potere 
di 
autotutela 
giustificato 
proprio 
dalla 
particolare 
rilevanza 
dell�interesse 
pubblico 
in 
gioco, 
in 
tal 
modo 
auspicando 
che 
la 
tutela 
di 
quest�ultimo 
sia 
assicurata 
innanzitutto 
all�interno 
della 
stessa 
pubblica 
amministrazione 
e 
restando 
pertanto 
il 
ricorso 
all�autorit� 
giudiziaria 
amministrativa 
l�extrema 
ratio 
(non 
essendo 
stata 
d�altra 
parte 
dotata 
l�Autorit� 
di 
poteri 
coercitivi 
nei 
confronti 
dell�amministrazione 
pubblica 
che 
non 
intenda 
conformarsi 
al 
predetto 
parere 
motivato); 
in 
secundis, 
la 
fase 
precontenziosa 
e 
il 
relativo 
parere, 
in 
coerenza 
con 
i 
principi 
comunitari, 
sono 
stati 
ragionevolmente 
concepiti 
anche 
come 
significativo 
strumento 
di 
deflazione 
del 
contenzioso, 
potendo 
ammettersi 
che 
il 
legislatore 
guardi 
con 
disfavore 
le 
situazioni 
in 
cui 
due 
soggetti 
pubblici 
si 
rivolgano 
direttamente 
(ed 
esclusivamente) 
al 
giudice 
per 
la 
tutela 
di 
un 
interesse 
pubblico. 


Recentemente, il 
Cons. Stato Sez. Iv, 28 gennaio 2016, n. 323 ha 
infatti 
definitivamente 
affermato come 
ai 
sensi 
dell'art. 21-bis 
della l. n. 287/90, il 
ricorso dell'autorit� garante 
della concorrenza e 
del 
mercato al 
giudice 
amministrativo, 
contro atti 
che 
violino le 
norme 
a tutela della concorrenza e 
del 
mercato, deve 
essere 
preceduto, a pena d'inammissibilit�, da un parere 
motivato 
diretto all'amministrazione interessata. 


Per completezza, � 
altres� 
emersa 
la 
problematicit� 
circa 
l�ammissibilit� 
dei 
motivi 
aggiunti 
presentati 
dall�AgCM 
senza 
previa 
riedizione 
della 
fase 
interlocutoria, ossia 
senza 
prima 
emanare 
un nuovo parere 
avente 
ad oggetto 
il 
secondo 
atto 
consequenziale 
impugnato 
ai 
sensi 
dell�art. 
42 
c.p.a. 
A 
riguardo, 
la 
soluzione 
sembra 
pacifica 
in giurisprudenza, laddove 
non si 
richiede 
la 
riedizione 
della 
fase 
consultiva, 
in 
quanto 
l�oggetto 
dei 
motivi 
aggiunti 
� 
per 
espressa 
previsione 
normativa 
un 
atto 
strettamente 
collegato 
(connessione 
oggettiva 
e 
soggettiva) e 
consequenziale 
a 
quello gi� 
impugnato. In altre 
parole, 
la 
riproposizione 
della 
fase 
interlocutoria 
comporterebbe 
l�introduzione 
di 
una 
fase 
inutile 
ed 
antieconomica 
in 
contrasto 
con 
la 
ratio 
dei 
motivi 
aggiunti, 
ispirata 
a 
principi 
di 
celerit� 
ed 
immediatezza, 
volti 
ad 
instaurare 
il 
simultaneus 
processus 
su cause comuni (60). 

(60) Cfr. Tar Lazio 4451/2013 e C. di St., sez. v, 21 novembre 2003. 

ConTRIbuTI 
DI 
DoTTRInA 


v. (segue) 
il dies a quo per l�emissione del parere interlocutorio. 
un 
altro 
degli 
aspetti 
procedimentali 
su 
cui 
si 
� 
discusso 
risulta 
essere 
il 
dies 
a 
quo 
da 
cui 
decorre 
il 
termine 
di 
sessanta 
giorni 
per 
l�emanazione 
del 
parere 
interlocutorio 
previsto 
dal 
II 
comma 
dell�articolo 
21 
bis. 
Secondo 
la 
tesi 
maggioritaria, 
� 
opportuno 
guardare 
alla 
disciplina 
ordinaria 
dei 
termini 
di 
decadenza 
delle 
azioni 
proponibili 
dinanzi 
al 
TAR: 
in 
particolare, 
a 
quanto 
previsto 
nell'art. 
41 
comma 
2 
c.p.a. 
Pertanto, 
si 
ritiene 
che 
il 
termine 
debba 
decorrere, 
ogniqualvolta 
la 
legge 
sottoponga 
a 
pubblicazione 
la 
determinata 
categoria 
cui 
� 
ascrivibile 
l'atto 
amministrativo 
censurato, 
dalla 
data 
di 
pubblicazione 
dell'atto 
stesso 
e, 
nei 
restanti 
casi, 
dalla 
data 
della 
notificazione, 
della 
comunicazione 
o 
di 
piena 
conoscenza 
dell'atto 
(61). 
Tuttavia, 
una 
tesi 
minoritaria 
propone 
di 
sganciare 
il 
termine 
in 
esame 
dalla 
pubblicazione 
dell�atto 
da 
impugnare, 
per 
evitare 
che 
l�AgCM 
debba 
svolgere 
un 
controllo 
continuo 
ed 
�a 
tappeto� 
degli 
atti 
anticoncorrenziali 
adottati 
da 
ogni 
Amministrazione 
(62). 
Il 
rischio 
� 
che 
l�AgCM 
possa 
rilasciare 
il 
parere 
in 
ogni 
momento, 
cos� 
rischiando 
di 
introdurre 
uno 
strumento 
per 
contestare 
l�attivit� 
amministrativa 
sganciato 
da 
qualsiasi 
limite 
temporale 
e 
legato 
alla 
sola 
presenza 
di 
un 
interesse 
attuale, 
con 
inevitabile 
pregiudizio 
ai 
principi 
di 
ragionevolezza, 
di 
certezza 
dei 
rapporti 
giuridici 
e, 
finanche, 
di 
buon 
andamento 
dell'azione 
amministrativa 
(63). 
Secondo 
un�altra 
tesi, 
le 
problematicit� 
anzidette 
sarebbero 
tuttavia 
superate 
interpretando 
il 
parere 
ex 
art. 
21 
bis 
come 
invito 
ad 
agire 
in 
autotutela 
decisoria 
rivolto 
dall�AgCM 
alla 
Amministrazione 
interessata, 
cos� 
consentendo 
l�applicazione 
del 
criterio 
della 
�ragionevolezza 
� 
del 
termine 
entro 
il 
quale 
l'annullamento 
stesso 
dovr� 
intervenire 
ai 
sensi 
dell�art. 
21 
novies 
della 
lg. 
n. 
241/90 
(64). 
La 
giurisprudenza 
sembra 
comunque 
aver 
concluso 
la 
questione 
rilevando 
come 
il 
decorso 
del 
termine 
di 
sessanta 
giorni 
per 
l�emissione 
del 
parere 
debba 
decorrere 
dal 
momento 
della 
conoscenza 
effettiva 
dell�atto 
impugnato, 
che 
deve 
essere 
esclusivamente 
l�atto 
originario 
che 
si 
assume 
lesivo 
della 
concorrenza, 
come 
rilevato 
nei 
precedenti 
paragrafi 
(65). 


(61) 
Cfr. 
R. 
gIovAgnoLI, 
ricadute 
processuali 
a 
fronte 
dell'esercizio 
dei 
nuovi 
poteri 
cit.; 
n. 
PeC-
ChoLI, �teologia della concorrenza� 
cit., 2, nt. 1. 
(62) F. ARenA, atti amministrativi e restrizioni 
cit. 
(63) 
La 
Regione 
veneto 
nel 
sollevare 
questione 
di 
legittimit� 
costituzionale 
in 
via 
principale 
dell�art. 
21 
bis 
(risolta 
negativamente 
dalla 
Corte 
cost. 
n. 
20/2013) 
aveva 
rilevato 
come 
in 
tal 
modo 
�sembrerebbe 
che 
l'autorit� 
possa 
emettere 
il 
parere 
in 
ogni 
momento, 
purch� 
ci 
sia 
ancora 
un 
interesse 
attuale 
a 
correggere 
... 
l'atto 
contestato�. 
idem, 
M. 
LIbeRTInI, 
i 
nuovi 
poteri 
dell'autorit� 
cit., 
che 
ritiene 
come 
tale 
facolt� 
di 
impugnare 
per 
l�AgCM 
potrebbe 
comunque 
considerarsi 
preclusa 
laddove 
l'Autorit� 
abbia 
fatto 
inutilmente 
decorrere 
il 
termine 
ordinario 
di 
sessanta 
giorni 
per 
presentare 
ricorso 
in 
via 
immediata. 
(64) F. CInTIoLI, osservazioni 
sul 
ricorso giurisdizionale 
cit., secondo cui 
�il 
ricorso al 
regime 
dell'annullamento d'ufficio consentirebbe 
di 
sostituire 
il 
predetto termine 
ragionevole 
al 
termine 
di 
decadenza 
processuale 
e 
per 
questa 
via 
si 
troverebbe 
una 
comunque 
indispensabile 
armonia 
sistematica�. 
(65) Si 
vd. Tar Lazio, Sez. III bis, n. 2720 del 
2013, per cui 
�dalla formulazione 
letterale 
della 

RASSegnA 
AvvoCATuRA 
DeLLo 
STATo - n. 4/2016 


vi. (segue) 
la decorrenza del termine di proposizione del ricorso. 
ulteriore 
questione 
� 
sorta 
circa 
l�individuazione 
del 
dies 
a 
quo 
per 
il 
decorso 
del 
termine 
di 
trenta 
giorni 
per 
la 
proposizione 
del 
ricorso 
con 
precipuo 
riferimento 
al 
caso 
in 
cui 
la 
determinazione 
negativa 
dell�Amministrazione 
a 
seguito 
del 
parere 
interlocutorio 
dell�AgCM 
intervenga 
prima 
del 
termine 
di 
sessanta 
giorni 
previsto 
dal 
II 
comma 
dell�articolo 
21 
bis. 
e 
la 
risoluzione 
del 
caso 
comporta 
evidente 
ricadute 
in 
punto 
di 
ricevibilit� 
o 
meno 
dell�azione 
stessa. 


Secondo 
un 
primo 
orientamento 
giurisprudenziale, 
partendo 
dall�assunto 
che 
oggetto del 
ricorso rimane 
l�atto originariamente 
considerato lesivo della 
concorrenza, 
si 
rileva 
come 
non 
si 
possa 
far 
decorrere 
il 
termine 
di 
trenta 
giorni 
che 
dal 
momento 
in 
cui 
scadono 
i 
sessanta 
giorni 
entro 
i 
quali 
si 
deve 
svolgere 
la 
fase 
partecipativa 
(il 
cui 
esito 
ha 
valore 
esclusivamente 
interno) 
(66). 
In 
altre 
parole, 
non 
pu� 
calcolarsi 
il 
termine 
di 
decadenza 
dell�azione 
caducatoria 
dalla 
conoscenza 
di 
un 
atto 
con 
valore 
endoprocedimentale 
(la 
determinazione 
negativa 
dell�Amministrazione 
interessata 
a 
seguito 
del 
parere 
interlocutorio), 
diverso da 
quello con efficacia 
esterna 
che 
si 
andr� 
ad impugnare. Peraltro, il 
procedimento previsto dal 
II comma 
dell'art. 21 bis 
vuole 
instaurare 
un momento 
di 
confronto 
costruttivo 
tra 
AgCM 
ed 
Amministrazione 
interessata, 
relegando 
il 
rimedio 
giurisdizionale 
ad 
extrema 
ratio 
(67). 
Altrimenti, 
evidenzia 
la 
giurisprudenza 
come 
si 
rischierebbe 
di 
mortificare 
tale 
logica 
cooperativa 
risultando �ben possibile 
che, anche 
a seguito dell'adozione 
di 
una determinazione 
negativa, nel 
termine 
di 
sessanta giorni 
possano intervenire 
ulteriori 


norma di 
cui 
al 
secondo comma dell�art. 21 bis 
emerge 
... con chiarezza che 
il 
decorso del 
termine 
di 
sessanta giorni 
per 
l'emissione 
del 
parere 
� 
riferito alla conoscenza dello specifico atto, ritenuto anticoncorrenziale, 
e 
che 
sar� oggetto dell'eventuale 
ricorso giurisdizionale 
all'esito della fase 
precontenziosa 
(�) 
pur 
costituendo 
l'espletamento 
della 
fase 
precontenziosa 
condizione 
per 
l'esercizio 
dell'azione 
giurisdizionale, 
non 
sembra 
potersi 
ritenere, 
in 
mancanza 
di 
espressa 
previsione 
normativa 
in 
tal 
senso, 
che 
l'eventuale 
tardivit� del 
parere 
rispetto alla scadenza del 
termine 
di 
sessanta giorni 
previsto possa 
implicare 
la 
decadenza 
del 
potere 
di 
azione 
e 
la 
conseguente 
inammissibilit� 
del 
ricorso 
giurisdizionale 
proposto direttamente 
avverso l'atto anticoncorrenziale. ci� anche 
in quanto oggetto del 
giudizio... � 
in 
maniera 
diretta 
l'atto 
ritenuto 
anticoncorrenziale. 
il 
decorso 
del 
termine 
di 
sessanta 
giorni 
per 
l'emissione 
del 
parere 
� 
riferito 
alla 
conoscenza 
dello 
specifico 
atto 
ritenuto 
anticoncorrenziale 
e, 
in 
mancanza 
di 
espressa previsione 
normativa in tal 
senso, l'eventuale 
tardivit� del 
parere 
rispetto alla scadenza di 
tale 
termine 
non implica la decadenza dal 
potere 
di 
azione 
e 
la conseguente 
inammissibilit� del 
ricorso 
proposto�. 
In tal 
senso si 
erano espressi 
R. gIovAgnoLI, ricadute 
processuali 
a fronte 
dell'esercizio dei 
nuovi poteri 
cit.; n. PeCChIoLI, �teologia della concorrenza� 
cit., 2, nt. 1. 


(66) Cfr. Tar Lazio, Sez. III bis, n. 2720 del 
2013, secondo cui 
�la tempestivit� del 
ricorso principale 
rispetto alla scadenza del 
termine 
di 
trenta giorni 
� 
valutata con decorrenza dalla data in cui 
spira il 
termine 
di 
sessanta giorni 
entro il 
quale 
la P.a. pu� presentare 
le 
proprie 
osservazioni, anche 
se 
la 
determinazione 
a 
tal 
fine 
assunta 
dall'amministrazione 
sia 
stata 
comunicata 
all'autorit� 
in 
un 
momento 
precedente�. 
(67) Al 
fine 
di 
realizzare 
quella 
�leale 
collaborazione� 
che 
trova 
un fondamento normativo sia 
comunitario 
che 
costituzionale 
(art. 
4, 
III 
Tue; 
art. 
120 
comma 
2 
Cost.), 
osserva 
il 
TAR 
come 
�la 
scansione 
temporale 
di 
detto procedimento risponde, nel 
suo complesso, al 
fine 
di 
garantire 
una sollecita 
conformazione 
dell'azione 
amministrativa 
alla 
preminente 
esigenza 
di 
garanzia 
e 
tutela 
dei 
principi 
concorrenziali 
�, cfr. Tar Lazio, Sez. III bis, n. 2720 del 2013. 

ConTRIbuTI 
DI 
DoTTRInA 


diverse 
determinazioni 
della 
stessa 
amministrazione, 
all'interno 
di 
un 
processo 
di confronto dialettico con l'autorit�� 
(68). 


Recentemente, 
tuttavia, 
tale 
orientamento 
� 
stato 
superato 
da 
una 
recente 
sentenza 
del 
Cons. 
di 
Stato 
(Sez. 
Iv, 
28 
gennaio 
2016, 
n. 
323), 
secondo 
cui 
il 
termine 
di 
trenta 
giorni 
per 
l'impugnazione 
del 
provvedimento 
ritenuto 
anticoncorrenziale 
da 
parte 
dell'autorit� 
garante 
della 
concorrenza 
e 
del 
mercato 
ai 
sensi 
dell'art. 
21-bis 
della 
l. 
n. 
287/90 
decorre 
o 
dalla 
comunicazione 
del-
l'atto 
definitivo 
di 
non 
conformazione 
o, 
in 
caso 
di 
inerzia 
dell'amministrazione 
interessata, 
dal 
sessantesimo 
giorno 
dalla 
comunicazione 
del 
parere 
motivato. 


Il 
suesposto art. 21-bis, c. 2, prevede 
infatti 
che 
"...se 
la pubblica amministrazione 
non 
si 
conforma 
nei 
sessanta 
giorni 
successivi 
alla 
comunicazione 
del 
parere, l'autorit� pu� presentare, tramite 
l'avvocatura dello stato, il 
ricorso, 
entro i successivi trenta giorni...". 


ebbene, per il 
Consiglio di 
Stato, da 
una 
pacifica 
lettura 
della 
norma 
de 
qua 
si 
evincerebbe 
come 
l�adizione 
del 
g.A., da 
parte 
dell�AgCM 
debba 
essere 
necessariamente 
preceduta, 
a 
pena 
d'inammissibilit�, 
da 
una 
fase 
precontenziosa 
caratterizzata 
dall'emanazione, 
da 
parte 
sua, 
di 
un 
parere 
motivato rivolto alla P.a. i cui atti sono sospettati di tal lesione. 

nel 
parere 
sono 
infatti 
segnalate 
le 
violazioni 
riscontrate 
e 
sono 
indicati 
i 
rimedi 
per 
eliminarli 
e 
ripristinare 
il 
corretto 
funzionamento 
della 
concorrenza 
e 
del 
mercato, 
donde 
la 
duplice 
funzione 
di 
esso: 
a) 
da 
un 
lato 
serve 
a 
sollecitare 
la 
P.a. 
a 
rivedere 
quanto 
statuito, 
merc� 
la 
conformazione 
di 
questa 
agli 
indirizzi 
dell'autorit�, 
se 
del 
caso 
con 
uno 
speciale 
esercizio 
della 
funzione 
d'autotutela 
giustificato 
dalla 
particolare 
rilevanza 
dell'interesse 
pubblico 
cos� 
coinvolto; 
b) 
dall'altro, 
mira 
a 
tutelare 
quest'ultimo 
anzitutto 
all'interno 
della 
stessa 
P.a., 
s� 
da 
concepire 
il 
ricorso 
a 
questo 
giudice 
quale 
extrema 
ratio 
nella 
risoluzione 
del 
conflitto 
tra 
due 
soggetti 
pubblici. 
sicch� 
la 
fase 
precontenziosa 
costituisce 
un 
significativo 
strumento 
di 
deflazione 
del 
contenzioso, 
essendo 
ragionevole 
ritenere 
che 
il 
legislatore 
guardi 
con 
disfavore 
le 
situazioni 
in 
cui 
due 
soggetti 
pubblici 
si 
rivolgano 
direttamente 
e 
solo 
al 
giudice 
per 
la 
tutela 
di 
un 
interesse 
pubblico 
primario, 
comune 
ad 
entrambi. 


Tuttavia, 
conclude 
condivisibilmente 
il 
Consiglio 
di 
Stato, 
�n� 
il 
dato 
testuale, 
n� 
la ratio test� 
evidenziata autorizzano a concludere 
che 
solo lo spirare 
del 
termine 
di 
sessanta giorni 
assurga, sempre 
e 
di 
per 
s� 
solo, a dies 
a 
quo affinch� 
l'agcm possa adire 
questo giudice. infatti, tale 
termine 
inizia 
a decorrere, come 
in qualunque 
altro caso in cui 
alla P.a. ne 
sia assegnato 
uno per 
statuire 
in modo espresso, o dall'atto definitivo di 
non conformazione 
(dunque 
in 
s� 
lesivo, 
quand'anche 
immotivato 
o 
pretestuoso), 
o 
dal 
silenzio 
della P.a. stessa in caso di sua inerzia a fronte del parere negativo�. 


(68) vd. Tar Lazio, Sez. III bis, n. 2720 del 2013. 

RASSegnA 
AvvoCATuRA 
DeLLo 
STATo - n. 4/2016 


brevi considerazioni sulla natura giuridica 
delle Federazioni sportive nazionali 


Gabriele Pepe* 


Il 
tema 
della 
natura 
giuridica 
delle 
Federazioni 
sportive 
nazionali 
si 
inquadra 
nel 
pi� 
ampio 
fenomeno 
della 
organizzazione 
giuridica 
dello 
sport 
nell�ambito 
dell�ordinamento 
italiano 
(1); 
una 
organizzazione 
che 
nel 
corso 
dei 
decenni 
ha 
subito 
trasformazioni 
in 
ragione 
dei 
plurimi 
interventi 
di 
riforma 
che 
hanno interessato il 
Comitato olimpico nazionale 
italiano (ConI) 
e le Federazioni sportive. 


nella 
originaria 
previsione 
della 
legge 
16 febbraio 1942, n. 426, il 
ConI 
veniva 
prefigurato quale 
ente 
a 
struttura 
associativa 
con personalit� 
di 
diritto 
pubblico 
(2), 
costituito 
appunto 
dalle 
Federazioni 
e 
dalle 
associazioni 
e 
societ� 
sportive 
ad esso affiliate. In particolare, la 
legge 
del 
�42 denominava 
espressamente 
le 
Federazioni 
organi 
del 
ConI (3), a 
sua 
volta 
definito Confederazione 
delle 
Federazioni 
nazionali 
e 
delle 
discipline 
sportive 
associate 
(4). Il 
ConI rappresentava, pertanto, un ente esponenziale di un gruppo sociale. 


La 
configurazione 
del 
ConI in termini 
di 
ente 
pubblico a 
struttura 
associativa 
ha, inevitabilmente, determinato una 
�pubblicizzazione� 
delle 
Federazioni 
sportive 
nazionali 
con l�attribuzione 
ad esse 
di 
compiti 
amministrativi 
da 
espletarsi 
sotto 
la 
vigilanza, 
l�indirizzo 
ed 
il 
controllo 
proprio 
del 
Comitato 
olimpico (5). La 
natura 
pubblica 
del 
ConI veniva, altres�, desunta 
da 
alcuni 


(*) Avv., Ricercatore di Diritto Amministrativo presso l�universit� degli Studi guglielmo Marconi. 


(1) esemplare 
in tal 
senso Corte 
cost., 25 marzo 1976, n. 57, in www.cortecostituzionale.it: 
�lo 
sport 
� 
un�attivit� umana cui 
si 
riconosce 
un interesse 
pubblico tale 
da richiederne 
la protezione 
e 
l�incoraggiamento 
da parte dello stato�. 
(2) g. RoSSI, enti 
pubblici 
associativi: aspetti 
del 
rapporto fra gruppi 
sociali 
e 
pubblico potere, 
napoli, 1979, pp. 114 ss.; 
g. ALPA, l�ordinamento sportivo 
in nuoviss. giur. civ. comm., 1986, II, pp. 
321 ss. 
(3) C. ALvISI, autonomia privata e 
autodisciplina sportiva. il 
coni e 
la regolamentazione 
dello 
sport, 
Milano, 
2000, 
p. 
5. 
Secondo 
l�Autrice 
�con 
la 
stessa 
legge 
le 
federazioni 
sportive 
nazionali 
vennero 
definite 
organi 
del 
coni e 
vennero assoggettati 
all�approvazione 
del 
coni sia gli 
statuti 
delle 
federazioni 
di 
nuova 
costituzione, 
sia 
i 
regolamenti 
interni 
contenenti 
le 
norme 
tecniche 
ed 
amministrative 
per 
il 
loro funzionamento, sia i 
regolamenti 
federali 
contenenti 
le 
norme 
sportive 
per 
l�esercizio dello 
sport 
controllato�. 
La 
qualificazione 
delle 
Federazioni 
sportive 
quali 
organi 
del 
ConI 
ha 
rappresentato 
per molto tempo l�argumentum 
principis 
per il 
riconoscimento della 
natura 
giuridica 
pubblica 
delle 
Federazioni. 
In giurisprudenza, esemplare, Tar Lazio, sez. III, 13 ottobre 
1980, n. 882, in riv. dir. sport. 
1981, p. 57, secondo cui 
�le 
federazioni 
sportive 
nazionali 
sono organi 
del 
coni ed in tale 
qualit� 
partecipano della natura pubblica di quest�ultimo�. 
(4) 
In 
proposito 
g. 
MoRbIDeLLI, 
gli 
enti 
dell�ordinamento 
sportivo, 
in 
dir. 
amm. 
1993, 
pp. 
321 
ss. 
(5) 
La 
pubblicizzazione 
del 
ConI 
ha, 
a 
sua 
volta, 
determinato 
una 
estensione 
dei 
poteri 
pubblicistici 
delle 
Federazioni 
sportive. 
In 
giurisprudenza 
la 
natura 
pubblica 
delle 
Federazioni 
sportive 
� 
stata 
tradizionalmente 
riconosciuta 
da 
Cass. 
civ. 
Sez. 
un., 
19 
giugno 
1968, 
n. 
2028, 
in 
www.cortedicassazione.it. 

ConTRIbuTI 
DI 
DoTTRInA 


indici 
rivelatori 
tra 
cui 
la 
vigilanza 
dell�autorit� 
ministeriale, 
la 
generalit� 
degli 
interessi 
perseguiti, la 
percezione 
di 
finanziamenti 
statali, il 
peculiare 
regime 
fiscale 
e 
contabile 
(6); 
inoltre, riceveva 
conferma 
sul 
piano normativo dalla 
legge 
20 marzo 1975, n. 70 che 
etichettava 
espressamente 
il 
ConI ente 
pubblico 
necessario 
(7), 
assimilandolo 
agli 
enti 
strumentali 
ed 
ausiliari 
dello 
Stato. 
Di 
tale 
natura 
pubblica 
partecipavano, 
altres�, 
le 
Federazioni 
sportive 
nazionali, 
in qualit� di suoi organi. 


Il 
problema 
della 
qualificazione 
giuridica 
delle 
Federazioni 
sportive 
� 
riemerso 
a 
partire 
dalla 
legge 
23 marzo 1981, n. 91 che 
se, da 
un lato, elimina 
ogni 
riferimento al 
concetto di 
organo, dall�altro, riconosce 
alle 
Federazioni 
un�autonomia 
tecnica, organizzativa 
e 
di 
gestione 
sia 
pure 
sotto la 
vigilanza 
del ConI (art. 14 II co.). 


L�intervento legislativo introduce, cos�, �un nuovo indice 
positivo destinato 
ad influenzare 
il 
dibattito in ordine 
alla natura giuridica delle 
federazioni� 
(8), attraverso il 
rafforzamento dalla 
c.d. tesi 
privatistica 
(9). Del 
resto, 
l�attribuzione 
di 
peculiari 
forme 
di 
autonomia 
viene 
a 
rappresentare 
un argomento 
decisivo per il 
riconoscimento alle 
Federazioni 
sportive 
di 
una 
soggettivit� 
di 
diritto privato, separata 
da 
quella 
del 
ConI, e 
regolata 
dalle 
norme 
del codice civile. 


La 
dialettica 
tra 
i 
sostenitori 
rispettivamente 
della 
tesi 
privatistica 
e 
della 
tesi 
pubblicistica 
conduce, successivamente, alla 
elaborazione 
di 
una 
tesi 
intermedia 
costruita 
sulla 
natura 
ibrida 
o mista 
delle 
Federazioni 
sportive. Secondo 
tale 
tesi, 
infatti, 
le 
Federazioni 
assumerebbero 
una 
duplice 
veste 
giuridica, 
l�una 
privatistica, 
quali 
associazioni 
private 
che 
svolgono 
attivit� 
di 
tipo tecnico, organizzativo e 
gestionale; 
l�altra 
pubblicistica 
in quanto organi 
del 
ConI 
che 
operano 
nell�esercizio 
di 
attivit� 
funzionalizzate 
al 
perseguimento 
degli 
interessi 
sportivi 
(10). Del 
resto, come 
sostenuto dalla 
giurispru-

Tar Lazio, sez. III, 13 ottobre 
1980, n. 882, op. cit., p. 57. Cass. civ. Sez. un., 16 giugno 1983, n. 4108, 
in giust. civ. 
1983, p. 2931. Tar Lazio, sez. III, 15 novembre 
1983, n. 878, in foro amm. 
1984, p. 732. 
Tar Lazio, sez. III, 16 gennaio 1984, n. 4, in 
foro amm. 
1984, p. 1274. 


(6) 
S.n. 
CALZone, 
il 
coni 
ente 
pubblico 
nella 
legislazione 
vigente, 
in 
riv. 
dir. 
sport. 
1997, 
p. 
439. 
(7) M. SAnIno, voce 
sport, in enc. giur. treccani, vol. XXX, Roma, 1993, pp. 1-6. 
(8) C. ALvISI, autonomia privata e 
autodisciplina sportiva. il 
coni e 
la regolamentazione 
dello 
sport, op. cit., p. 16. 
(9) La 
tesi 
veniva 
sostenuta 
in dottrina 
da 
S. CASSeSe, sulla natura giuridica delle 
federazioni 
sportive 
e 
sull�applicazione 
ad esse 
della disciplina del 
parastato, in riv. dir. sport., 1979, pp. 117 ss. 
A. CLARIZIA, la natura giuridica delle 
federazioni 
sportive 
anche 
alla luce 
della legge 
del 
23 marzo 
1981 
n. 
91, 
in 
riv. 
dir. 
sport., 
1983, 
spec. 
p. 
208. 
M. 
SenSALe, 
la 
legge 
23 
marzo 
1981, 
n. 
91 
e 
la 
natura 
giuridica 
delle 
federazioni 
sportive, 
in 
riv. 
dir. 
sport., 
1984, 
pp. 
490 
ss. 
A. 
QuARAnTA, 
sulla 
natura 
giuridica 
delle federazioni sportive nazionali, in riv. dir. sport, 1986, pp. 174 ss. 
(10) In giurisprudenza, di 
significativo rilievo, Cass. civ. Sez. un., 9 maggio 1991, n. 5181, in 
rep. 
foro 
it. 
1991. 
In 
dottrina, 
per 
la 
natura 
giuridica 
ibrida 
o 
mista 
delle 
Federazioni 
sportive 
nazionali, 
R. 
CAPRIoLI, 
le 
federazioni 
sportive 
nazionali 
fra 
diritto 
pubblico 
e 
diritto 
privato, 
in 
dir. 
e 
giur., 
1989, 
p. 10. R. FRASCARoLI, voce 
sport, (dir. pubbl. e 
priv.), vol. XLIII, in enc. dir., Milano, 1990, p. 519. g. 
MoRbIDeLLI, gli 
enti 
dell�ordinamento sportivo, in dir. amm., op. cit., p. 334. F. FRACChIA, voce 
sport, 

RASSegnA 
AvvoCATuRA 
DeLLo 
STATo - n. 4/2016 


denza, l�agire 
in qualit� 
di 
organi 
del 
ConI non esclude 
affatto la 
natura 
privata 
delle Federazioni sportive (11). 

La 
tesi 
intermedia 
sembra 
svelare, 
forse 
meglio 
delle 
altre, 
la 
complessit� 
del 
fenomeno investigato anche 
nella 
prospettiva 
di 
analizzare 
la 
tipologia 
di 
atti 
adottati 
dalle 
Federazioni 
nonch� 
la 
natura 
delle 
situazioni 
soggettive 
in 
rilievo e per individuare, da ultimo, il giudice competente. 


Il 
dibattito sulla 
natura 
giuridica 
delle 
Federazioni 
�, poi, ravvivato dal 
d.lgs. 23 luglio 1999, n. 242 che, nel 
ridefinire 
l�assetto organizzativo dello 
sport 
italiano, interviene 
a 
riformare 
la 
normativa 
vigente 
(12). Il 
decreto, per 
un verso, conferma 
la 
personalit� 
giuridica 
di 
diritto pubblico del 
ConI (13), 
e 
per 
altro 
verso, 
attribuisce 
alle 
Federazioni 
sportive 
personalit� 
di 
diritto 
privato, 
munendole 
di 
autonomia 
(statutaria, tecnica, organizzativa, gestionale) 
ed assoggettandole, salvo deroghe, alla 
disciplina 
del 
codice 
civile 
(14). ne 
discende, di 
conseguenza, un quadro composito e 
variegato che 
pone 
all�interprete 
il 
problema 
della 
ricostruzione 
dei 
differenti 
profili 
di 
un 
simile 
giano 
bifronte 
(15). 
non 
pu� 
sottacersi, 
infatti, 
come 
le 
Federazioni 
sportive, 
pur 
es-

in dig. disc. pubbl., vol. XIv, Torino, 1999, pp. 470-471. M. SAnIno 
- F. veRDe, il 
diritto sportivo, Iv 
ed., Padova, 2015, p. 119. Per gli 
Autori 
�si 
era formato un orientamento qualificabile 
come 
unanime 
e 
secondo il 
quale 
le 
federazioni 
sportive 
presentano un duplice 
aspetto, l�uno di 
natura pubblicistica, 
riconducibile 
all�esercizio in senso lato di 
funzioni 
pubbliche 
proprie 
del 
coni, l�altro di 
natura privatistica 
collegato alle 
specifiche 
attivit� delle 
federazioni 
medesime, attivit� che 
in quanto autonome 
sono separate dalle attivit� di natura pubblica e fanno capo soltanto alle dette federazioni�. 


(11) Cass. civ. Sez. un., 9 maggio 1986, n. 3092, in foro. it. 1986, p. 1257. 
(12) 
L�art. 
19 
del 
d.lgs. 
23 
luglio 
1999, 
n. 
242 
ha 
abrogato 
l�intera 
legge 
426/1942 
e 
l�art. 
14 
della 
legge 91/1981. 
(13) 
L�art. 
1 
del 
d.lgs. 
23 
luglio 
1999, 
n. 
242, 
cos� 
recita: 
�il 
comitato 
olimpico 
nazionale 
italiano, 
di 
seguito denominato coni, ha personalit� giuridica di 
diritto pubblico, ha sede 
in roma ed � 
posto 
sotto la vigilanza del 
ministero per 
i 
beni 
culturali 
ed ambientali�. 
In dottrina 
si 
rinvia 
ai 
commenti 
di 
g. 
nAPoLITAno, 
la 
nuova 
disciplina 
dell�organizzazione 
sportiva 
italiana: 
prime 
considerazioni 
sul 
decreto 
legislativo 23 luglio 1999, n. 242, di 
�riordino� 
del 
c.o.n.i., in riv. dir. sport. 1999, pp. 617 ss. 
C. FRAnChInI, il 
riordino del 
coni, in gior. dir. amm. 
2003, pp. 1209 ss. b. MARCheTTI, voce 
lo sport 
(agg.), in trattato di 
diritto amministrativo. diritto amministrativo speciale, a 
cura 
di 
S. CASSeSe, Milano, 
2003, pp. 937 ss. 
(14) L�art. 15 del 
d.lgs. 23 luglio 1999, n. 242 in proposito statuisce: 
�le 
federazioni 
sportive 
nazionali 
svolgono l'attivit� sportiva in armonia con le 
deliberazioni 
e 
gli 
indirizzi 
del 
cio 
e 
del 
coni, 
anche 
in 
considerazione 
della 
valenza 
pubblicistica 
di 
specifici 
aspetti 
di 
tale 
attivit�. 
(�). 
le 
federazioni 
sportive 
nazionali 
hanno natura di 
associazione 
con personalit� giuridica di 
diritto privato. esse 
non 
perseguono 
fini 
di 
lucro 
e 
sono 
disciplinate, 
per 
quanto 
non 
espressamente 
previsto 
nel 
presente 
decreto, 
dal 
codice 
civile 
e 
dalle 
disposizioni 
di 
attuazione 
del 
medesimo�. La 
disposizione 
sembra 
costruire 
le 
Federazioni 
sportive 
alla 
stregua 
di 
un giano bifronte: 
da 
un lato persone 
giuridiche 
di 
diritto privato, 
sottoposte 
al 
diritto comune, dall�altro, soggetti 
con funzioni 
pubbliche, incardinati 
nell�ordinamento 
sportivo e sottoposti ai poteri di vigilanza e controllo del ConI. 
(15) Per una 
ricostruzione 
del 
dibattito sulla 
natura 
giuridica 
delle 
Federazioni 
sportive 
F. LuISo, 
la giustizia sportiva, Milano, 1975, pp. 90, 125 e 
198 ss. S. CASSeSe, sulla natura giuridica delle 
federazioni 
sportive 
e 
sull�applicazione 
ad esse 
della disciplina del 
parastato, 
in riv. dir. sport., op. cit., pp. 
117 ss. g. RoSSI, enti 
pubblici 
associativi: aspetti 
del 
rapporto fra gruppi 
sociali 
e 
pubblico potere, op. 
cit., p. 120 ss. A. CLARIZIA, la natura giuridica delle 
federazioni 
sportive 
anche 
alla luce 
della legge 
del 
23 marzo 1981 n. 91, in riv. dir. sport., op. cit., spec. p. 208. M. SenSALe, la legge 
23 marzo 1981, 

ConTRIbuTI 
DI 
DoTTRInA 


sendo 
associazioni 
di 
diritto 
privato, 
siano 
inserite 
nell�ambito 
dell�ordinamento 
sportivo che 
conferisce 
ad esse 
poteri 
autoritativi 
per il 
perseguimento 
di 
finalit� 
pubblicistiche 
(16). 
Se 
per 
certi 
atti 
e 
per 
taluni 
effetti 
le 
Federazioni 
operano come 
organi 
del 
ConI con imputazione 
ad esso delle 
relative 
fattispecie, 
per altre 
attivit� 
agiscono come 
soggetti 
privati 
nell�esercizio di 
poteri 
di autonomia negoziale (17). 


Ci� detto, la 
difficile 
convivenza 
tra 
natura 
privatistica 
e 
funzioni 
pubblicistiche 
solleva 
problemi 
applicativi 
in ordine 
alla 
individuazione, caso per 
caso, del 
tipo di 
atto compiuto (e 
del 
regime 
giuridico), delle 
situazioni 
soggettive 
in 
rilievo 
e 
del 
giudice 
competente 
a 
conoscere 
le 
relative 
controversie. 
� 
chiaro, dunque, che 
�alla diversa qualificazione 
giuridica degli 
atti 
e 
delle 
attivit� delle 
autorit� sportive 
corrisponde 
una diversificata incidenza su situazioni 
soggettive 
che 
si 
conformano 
nell�ordinamento 
statale 
come 
diritti 
soggettivi, come interessi legittimi� 
(18). 


Con particolare 
riferimento al 
problema 
del 
riparto di 
giurisdizione 
occorre 
far ricorso ad un criterio funzionale 
che 
si 
fondi, a 
monte, sulla 
natura 
(paritetica 
od autoritativa) (19) dell�atto posto in essere 
e, a 
valle, sulla 
correlata 
situazione soggettiva incisa (interesse legittimo o diritto soggettivo). 


va 
osservato, 
poi, 
come 
agli 
albori 
del 
Terzo 
Millennio 
la 
vexata 
quaestio 


n. 
91 
e 
la 
natura 
giuridica 
delle 
federazioni 
sportive, 
in 
riv. 
dir. 
sport., 
op. 
cit., 
pp. 
490 
ss.. 
A. 
QuARAnTA, 
sulla 
natura 
giuridica 
delle 
federazioni 
sportive 
nazionali, 
in 
riv. 
dir. 
sport, 
op. 
cit., 
pp. 
174 
ss. 
R. 
FRA-
SCARoLI, voce 
sport, (dir. pubbl. e 
priv.), vol. XLIII, in 
enc. dir., op. cit., pp. 513 ss. L. TRIveLLATo, 
considerazioni 
sulla 
natura 
giuridica 
delle 
federazioni 
sportive, 
in 
dir. 
e 
soc. 
1991, 
pp. 
141 
ss. 
g. 
MoRbIDeLLI, 
gli 
enti 
dell�ordinamento sportivo, in dir. amm., op. cit., pp. 321 ss. R. CAPRIoLI, 
l�autonomia 
normativa delle 
federazioni 
sportive 
nazionali 
nel 
diritto privato, napoli, 1997, pp. 1 ss. F. FRACChIA, 
voce 
sport, in dig. disc. pubbl., vol. XIv, Torino, 1999, pp. 470-471. C. ALvISI, autonomia privata e 
autodisciplina 
sportiva. 
il 
coni 
e 
la 
regolamentazione 
dello 
sport, 
Milano, 
2000, 
pp. 
57 
ss. 
L. 
DI 
neLLA, 
le 
federazioni 
sportive 
nazionali 
dopo la riforma, in riv. dir. sport, 2000, pp. 53 ss. A. MALTonI, il 
conferimento 
di 
potest� 
pubbliche 
ai 
privati, 
Torino, 
2005, 
pp. 
215-230. 
g. 
nAPoLITAno, 
voce 
sport, 
in 
diz. 
dir. 
pubbl., 
diretto 
da 
S. 
CASSeSe, 
vol. 
vI, 
Milano, 
2006, 
pp. 
5678-5685. 
L. 
CoLAnTuonI, 
diritto 
sportivo, 
Torino, 
2009. 
F. 
PAvAnI, 
le 
federazioni 
sportive, 
in 
giur. 
it., 
2010, 
pp. 
1474 
ss. 
g. 
ZoPPI, 
diritto 
sportivo, 
Roma, 2012. S. CuSTuReRI, la natura giuridica delle 
federazioni 
sportive 
nazionali, enti 
pubblici 
o associazioni 
di 
diritto 
privato?, 
in 
www.amministrativamente.com, 
fasc. 
3-4, 
2015. 
M. 
SAnIno 
-F. 
veRDe, 
il diritto sportivo, Iv ed., op. cit., pp. 118 ss. 
(16) Le 
Federazioni 
sportive 
nazionali, pur qualificate 
associazioni 
di 
diritto privato, risultano in 
ogni 
caso 
incardinate 
in 
un 
sistema 
pubblicistico. 
occorre, 
pertanto, 
distinguere 
nelle 
Federazioni 
il 
momento 
genetico di 
matrice 
privatistica 
dal 
compresente 
momento funzionale 
di 
natura 
pubblicistica 
riconducibile 
al collegamento con il ConI. 
(17) Sulla 
distinzione 
tra 
compiti 
privatistici 
e 
compiti 
pubblicistici, in dottrina, R. CAPRIoLI, le 
federazioni 
sportive 
nazionali 
tra diritto pubblico e 
diritto privato, in dir. e 
giur., op. cit., pp. 1 ss. In 
giurisprudenza gi� Cass. Sez. un., 9 maggio 1986 n. 3092, in foro it., op. cit., p. 1254. 
(18) C. ALvISI, autonomia privata e 
autodisciplina sportiva. il 
coni e 
la regolamentazione 
dello 
sport, op. cit., p. 59 e 
p. 309. Secondo l�Autrice 
dalla 
tesi 
della 
natura 
pubblica 
delle 
Federazioni 
� 
possibile 
argomentare 
�l�emersione 
al 
livello statuale 
della loro disciplina interna e 
di 
corrispondenti 
posizioni 
di interesse legittimo in capo agli associati�. 
(19) In giurisprudenza, di 
particolare 
rilievo, Tar Lazio, sez. III, 8 febbraio 1988, n. 135, in foro 
amm. 1988, pp. 761 ss. 

RASSegnA 
AvvoCATuRA 
DeLLo 
STATo - n. 4/2016 


in ordine 
alla 
natura 
giuridica 
delle 
Federazioni 
sia 
resa 
ancor pi� complessa 
dalla 
c.d. eclissi 
della 
soggettivit� 
giuridica 
(20). Infatti, la 
nota 
ripartizione 
dei 
soggetti, 
in 
pubblici 
e 
privati, 
va 
sfumandosi 
unitamente 
al 
ridimensionarsi 
del 
tradizionale 
paradigma 
della 
soggettivit� 
formale. Di 
conseguenza, l�interprete 
nell�attivit� 
di 
indagine 
� 
chiamato a 
focalizzarsi, pi� che 
sul 
nomen 
iuris, 
sulla 
dimensione 
oggettiva 
dei 
fenomeni 
investigati 
ai 
fini 
di 
una 
corretta 
ricostruzione 
del 
regime 
giuridico 
applicabile. 
Si 
fa 
presente, 
poi, 
come 
al 
dato 
formale 
della 
soggettivit�, 
pubblica 
o 
privata, 
non 
corrisponda 
pi� 
necessariamente 
la 
disciplina 
predeterminata 
del 
tipo di 
riferimento; 
coerentemente, 
allora, l�interprete 
dovr� 
effettuare 
un�esegesi 
ricostruttiva, muovendo dalla 
natura 
giuridica 
del 
soggetto, per poi 
spingersi 
ad esaminare 
in concreto l�attivit� 
svolta e gli interessi perseguiti (21). 


nonostante 
la 
natura 
privatistica, 
espressamente 
riconosciuta 
dalla 
legge, 
le 
Federazioni 
sportive 
godono 
di 
autarchia, 
esercitando 
potest� 
amministrative 
ed 
emanando 
atti 
autoritativi 
ed 
imperativi. 
Si 
pensi 
alla 
potest� 
di 
adottare 
statuti, 
regolamenti 
interni 
(22), 
norme 
sanitarie 
ed 
atti 
applicativi 
(23); 
alle 
attivit� 
di 
controllo 
sanitario 
sugli 
sportivi 
professionisti, 
ai 
provvedimenti 
di 
affiliazione, 
revoca 
e 
controllo 
sulle 
societ� 
e 
sulle 
associazioni 
sportive; 
alle 
attivit� 
di 
tutela 
sanitaria, 
assicurativa 
e 
previdenziale 
degli 
atleti; 
infine, 
agli 
atti 
di 
repressione 
del 
doping. 
A 
riguardo 
il 
d.lgs. 
8 
gennaio 
2004, 
n. 
15 
affida 
allo 
Statuto 
del 
ConI 
l�individuazione 
tassativa 
delle 
attivit� 
di 
rilievo 
pubblicistico 
delle 
Federazioni 
sportive 
(24); 
attivit� 
che 
non 
sono 
suscettibili 
di 
applicazione 
estensiva 
da 
parte 
della 
giurisprudenza 
costituendo 
un 
numerus 
clausus. 


(20) Si 
rinvia, in argomento, ai 
significativi 
contributi 
di 
g.P. CIRILLo, la societ� pubblica e 
la 
neutralit� 
delle 
forme 
giuridiche 
soggettive, 
in 
www.giustizia-amministrativa.it. 
n. 
LIPARI, 
le 
categorie 
del diritto civile, Milano, 2013, pp. 50-88. 
(21) R. CAPRIoLI, le 
federazioni 
sportive 
nazionali 
tra diritto pubblico e 
diritto privato, in dir. 
e 
giur., op. cit., pp. 1 ss. C. ALvISI, autonomia privata e 
autodisciplina sportiva. il 
coni e 
la regolamentazione 
dello 
sport, 
op. 
cit., 
p. 
313. 
P. 
PIZZA, 
l�attivit� 
delle 
federazioni 
sportive 
tra 
diritto 
pubblico 
e privato, in foro amm. c.d.s. 
2002, pp. 3255 ss. 
(22) A 
riguardo g. vIDIRI, natura giuridica e 
potere 
regolamentare 
delle 
federazioni 
sportive 
nazionali, 
in 
foro it., 1994, p. 136. Secondo la 
giurisprudenza 
il 
perseguimento di 
finalit� 
pubblicistiche, 
riconducibili 
alla 
promozione 
e 
alla 
tutela 
dello sport, attrae 
in molti 
casi, le 
Federazioni 
nell�orbita 
del 
ConI; 
soprattutto 
ove 
tali 
associazioni 
privatistiche 
adottino 
norme 
regolamentari 
a 
contenuto 
organizzatorio 
per 
il 
raggiungimento 
dei 
fini 
istituzionali 
del 
ConI 
nell�ambito 
della 
singola 
disciplina 
sportiva 
di 
riferimento (In giurisprudenza 
Cass. civ. Sez. un., 26 ottobre 
1989 n. 4399, in riv. dir. sport. 
1990, 
p. 57. Cass. civ. Sez. un., 25 febbraio 2000, n. 46, in guida dir., 
2000, pp. 68 ss.). 
(23) g. MoRbIDeLLI, gli enti dell�ordinamento sportivo, in dir. amm., op. cit., pp. 344 ss. 
(24) 
Ai 
sensi 
dell�art. 
23 
co. 
I 
dello 
Statuto 
del 
ConI 
�hanno 
valenza 
pubblicistica 
esclusivamente 
le 
attivit� delle 
federazioni 
sportive 
nazionali 
relative 
all�ammissione 
e 
all�affiliazione 
di 
societ�, di 
associazioni 
sportive 
e 
di 
singoli 
tesserati; alla revoca a qualsiasi 
titolo e 
alla modificazione 
dei 
provvedimenti 
di 
ammissione 
o di 
affiliazione; al 
controllo in ordine 
al 
regolare 
svolgimento delle 
competizioni 
e 
dei 
campionati 
sportivi 
professionistici; all�utilizzazione 
di 
contributi 
pubblici, alla prevenzione 
e 
repressione 
del 
doping, nonch� 
alle 
attivit� relative 
alla preparazione 
olimpica e 
all�altro livello, alla 
formazione dei tecnici e alla gestione degli impianti sportivi pubblici�. 

ConTRIbuTI 
DI 
DoTTRInA 


L�agire 
come 
organi 
del 
ConI 
nell�esercizio 
di 
potest� 
pubbliche 
non 
compromette 
la 
soggettivit� 
giuridica 
delle 
Federazioni 
sportive, 
le 
quali 
vanno in ogni 
caso considerate 
autonomi 
centri 
di 
imputazione 
di 
diritti 
e 
obblighi 
(25); 
trattasi 
di 
una 
soggettivit� 
giuridica 
di 
tipo privatistico che 
si 
sviluppa, 
appunto, 
secondo 
le 
regole 
del 
codice 
civile. 
Di 
conseguenza, 
�la 
qualit� di 
organo si 
aggiunge 
alle 
altre 
e 
vale 
a certi 
fini 
e 
a certi 
effetti, e 
non per 
tutta l�attivit� delle 
federazioni� 
(26). Del 
resto, come 
associazioni 
con personalit� 
giuridica, le 
Federazioni 
compiono in prevalenza 
atti 
di 
autonomia 
privata disciplinati dal diritto comune. 


La 
compresenza 
di 
elementi 
propri 
del 
diritto 
privato 
e 
del 
diritto 
pubblico 
ha 
indotto 
la 
giurisprudenza 
ad 
aderire 
alla 
tesi 
della 
natura 
ibrida 
o 
mista 
delle 
Federazioni 
sportive 
(27); 
una 
tesi 
che 
nasce 
dalla 
combinazione 
della 
tesi 
pubblicistica 
con la 
tesi 
privatistica. In tal 
senso le 
Federazioni 
sportive 
verrebbero 
delineate 
alla 
stregua 
di 
un giano bifronte, svolgendo ora 
�compiti 
(e 
connessi 
atti) 
di 
diritto 
privato, 
sottoposti 
alle 
regole 
che 
disciplinano 
i 
comuni 
rapporti 
tra i 
consociati 
e 
compiti 
(e 
connessi 
atti) di 
diritto pubblico, che 
all�opposto 
soggiacciono alle 
regole 
che 
si 
confanno ai 
rapporti 
autoritari 
speciali 
tra cives e Pubblica amministrazione� 
(28). 

Le 
Federazioni 
sarebbero, 
cos�, 
soggetti 
geneticamente 
privati 
ma 
funzionalmente 
pubblici 
per taluni 
atti 
e 
finalit� 
(29), con conseguente 
applicazione 
di 
una 
speciale 
disciplina 
innestata 
su norme 
di 
diritto privato. Da 
un 
tale 
regime 
giuridico, 
cos� 
composito 
e 
variegato, 
deriverebbe 
�una 
sostanziale 
doppia 
personalit� 
delle 
federazioni: 
una 
pubblica 
per 
la 
quale 
agiscono 
come 
organi 
del 
coni, sono finanziate 
dal 
coni e 
sono soggette 
al 
potere 
di 
sorveglianza 
di 
esso; 
l�altra 
privata, 
che 
deriva 
dall�atto 
di 
nascita, 
costituito 
addirittura dalla collocazione 
legislativa nell�ambito dei 
soggetti 
con personalit� 
giuridica di 
diritto privato e 
che 
si 
sostanzia nell�autonomia tecnica, 
organizzativa 
e 
di 
gestione 
delle 
federazioni� 
nonch� 
�nella 
capacit� 
di 
agire 
come ente privato in mancanza di una specifica disciplina� 
(30). 

(25) 
S. 
CASSeSe, 
sulla 
natura 
giuridica 
delle 
federazioni 
sportive 
e 
sull�applicazione 
ad 
esse 
della 
disciplina del parastato, op. cit., p. 121. 
(26) R. FRASCARoLI 
voce 
sport, (dir. pubbl. e priv.), vol. XLIII, in enc. dir., op. cit., pp. 519. 
(27) 
In 
giurisprudenza, 
Tar 
Lazio, 
sez. 
III, 
20 
agosto 
1987, 
n. 
1449, 
in 
riv. 
dir. 
sport, 
1987, 
p. 
682. Cons. Stato, sez. vI, 20 dicembre 
1993, n. 1167, in riv. dir. sport 
1994, p. 49. Cass. civ. Sez. un., 
11 ottobre 
2002, n. 14530, in www.cortedicassazione.it. Cons. Stato, sez. vI, 10 ottobre 
2002, n. 5442, 
in www.giustizia-amministrativa.it. 
(28) 
g. 
bACoSI, 
ordinamento 
sportivo 
e 
giurisdizione. 
il 
ruolo 
�storico� 
delle 
federazioni, 
in 
www.giustizia-amministrativa.it, 2008-9. In argomento anche 
R. CAPRIoLI 
le 
federazioni 
sportive 
nazionali 
tra diritto pubblico e diritto privato, in dir. e giur., op. cit., pp. 1 ss. 
(29) In giurisprudenza, ex 
plurimis, Tar Lazio, sez. III, 8 febbraio 1988, n. 135, in tar, 1988, I, p. 
761. Tar Lazio, sez. III, 23 giugno 1994, n. 1361, in tar, 1994, I, p. 2399. 
(30) In dottrina 
M. SAnIno 
- F. veRDe, 
il 
diritto sportivo, op. cit., pp. 119 ss. Sulla 
duplice 
natura 
giuridica 
delle 
Federazioni, 
in 
giurisprudenza, 
di 
rilevo, 
Tar 
Calabria, 
sez. 
II, 
18 
settembre 
2006, 
n. 
984, 
in www.giustizia-amministrativa.it. 

RASSegnA 
AvvoCATuRA 
DeLLo 
STATo - n. 4/2016 


Pur 
avendo 
l�indiscutibile 
merito 
di 
svelare 
la 
complessit� 
del 
fenomeno, 
la 
tesi 
che 
sostiene 
la 
natura 
ibrida 
o mista 
pare 
non soddisfare 
l�esigenza 
di 
un compiuto inquadramento dogmatico delle 
Federazioni 
sportive, anche 
alla 
luce del dettato legislativo. 


Il 
problema 
della 
natura 
giuridica 
delle 
Federazioni 
va 
risolto muovendo 
dalla 
lettera 
dell�art. 15 d.lgs. 23 luglio 1999, n. 242 che 
qualifica 
espressamente 
le 
Federazioni 
quali 
associazioni 
con 
personalit� 
giuridica 
di 
diritto 
privato. 
Dunque, 
soggetti 
privati 
che, 
alle 
volte, 
sono 
chiamati 
ad 
esercitare, 
oltre 
ai 
normali 
poteri 
di 
autonomia 
privata, 
anche 
potest� 
amministrative 
(31); 
tuttavia, 
il 
rilievo pubblicistico di 
alcune 
attivit� 
non � 
in grado di 
trasformare 
la 
natura 
giuridica 
delle 
Federazioni, pur avendo ricadute 
applicative 
sul 
tipo di 
atti 
compiuti, sulle 
situazioni 
soggettive 
in rilievo e 
sul 
giudice 
competente. 
Pertanto, 
le 
Federazioni 
sportive 
hanno 
natura 
privatistica 
in 
conformit� 
al 
dettato legislativo. 


Ciononostante, 
nell�analisi 
del 
fenomeno 
occorre 
tener 
conto 
della 
odierna 
crisi 
della 
soggettivit� 
giuridica 
che 
frantuma 
la 
rigida 
relazione 
fra 
natura 
del 
soggetto, tipologia 
di 
atti 
compiuti 
e 
disciplina 
applicabile. venute 
meno le 
storiche 
barriere 
tra 
il 
diritto pubblico ed il 
diritto privato, si 
rilevano 
oggi 
osmosi 
e 
commistioni 
sempre 
pi� frequenti 
tra 
discipline 
un tempo distanti. 
In 
un 
tale 
contesto 
� 
coerente 
e 
ragionevole 
che 
un 
soggetto 
privato, 
nel 
caso di 
specie 
una 
Federazione 
sportiva, possa 
svolgere 
funzioni 
amministrative. 
D�altronde, tale 
assunto trova 
conferma 
nel 
fenomeno del 
c.d. esercizio 
privato 
di 
pubbliche 
funzioni 
che, 
valorizzando 
il 
profilo 
sostanziale 
dell�attivit� 
realizzata, 
prescrive 
l�applicazione 
di 
una 
disciplina 
pubblicistica, 
nonostante 
la 
natura 
privata 
del 
soggetto. 
In 
senso 
conforme 
la 
giurisprudenza 
afferma 
che 
qualora 
l�esercizio privato di 
pubbliche 
funzioni 
riguardi 
attivit� 
amministrativa 
in senso stretto esso �non pu� compiersi 
che 
tramite 
atti 
sostanzialmente 
amministrativi� 
che 
radicano 
la 
giurisdizione 
sulle 
relative 
controversie 
in capo al 
giudice 
amministrativo, trattandosi 
di 
atti 
provenienti 
da 
organi 
che 
si 
sostituiscono all�amministrazione 
(32). Tali 
atti, oggettivamente 
amministrativi, in quanto estrinsecazione 
di 
un potere 
di 
supremazia 
speciale, 


(31) In dottrina, a 
riguardo, SAnIno 
M. - veRDe 
F., il 
diritto sportivo, op. cit., p. 459, spec. nota 
80. In giurisprudenza, ex 
multis, Cons. giust. Amm., 9 ottobre 
1993, n. 536, in cons. stato, 1993, I, p. 
1339. Cons. Stato, sez. vI, 31 dicembre 
1993, n. 1112, in foro amm., 1993, p. 2480. Ad avviso del 
Supremo 
Consesso amministrativo le 
Federazioni 
sportive 
�aventi 
geneticamente 
natura privatistica di 
associazioni 
non riconosciute, assumono la veste 
di 
organi 
del 
coni e 
partecipano della natura pubblicistico-
autoritativa (e 
non economica) di 
quest�ultimo, allorch� 
operano all�esercizio di 
poteri 
di 
organizzazione 
e 
disciplina 
delle 
attivit� 
sportive 
inerenti 
alle 
finalit� 
del 
coni�. 
In 
proposito 
anche 
Cons. Stato, sez. vI, 3 dicembre 
1998, n. 1662, in giur. it., 1999, p. 1317. Cons. Stato, sez. vI, 13 gennaio 
1999, n. 12, in cons. stato, 1999, I, p. 94. 
(32) Cass. civ. Sez. un., 29 dicembre 
1990, n. 12221, in www.cortedicassazione.it. 
In dottrina, a 
riguardo, g. MoRbIDeLLI, gli 
enti 
dell�ordinamento sportivo, in dir. amm., op. cit., p. 337. F. FRACChIA 
voce 
sport, in dig. disc. pubbl., op. cit., p. 471. 

ConTRIbuTI 
DI 
DoTTRInA 


soggiacciono al 
medesimo regime 
giuridico degli 
atti 
formalmente 
amministrativi 
(33), con la 
conseguenza 
che 
sono sindacabili 
dal 
giudice 
amministrativo 
per incompetenza, violazione di legge ed eccesso di potere. 

Ciononostante, 
l�applicazione 
della 
disciplina 
di 
diritto 
amministrativo 
sembrerebbe 
preclusa 
dall�art. 23 dello Statuto del 
ConI secondo il 
quale 
il 
rilievo pubblicistico di 
alcune 
attivit� 
delle 
Federazioni 
�non modifica l�ordinario 
regime 
di 
diritto 
privato 
dei 
singoli 
atti 
e 
delle 
situazioni 
giuridiche 
soggettive 
connesse�; 
la 
disposizione 
pare 
ripristinare 
l�anacronistico 
binomio 
tra 
soggettivit� 
privata 
e 
disciplina 
di 
diritto 
comune, 
non 
tenendo 
conto 
della 
natura 
oggettivamente 
amministrativa 
di 
molti 
atti 
delle 
Federazioni 
sportive. 
In 
senso adesivo una 
parte 
della 
dottrina 
ritiene 
che 
la 
rilevanza 
pubblicistica 
di 
alcune 
attivit� 
non 
determini 
necessariamente 
�la 
soggezione 
degli 
atti 
adottati 
nell�esercizio di 
queste 
al 
regime 
proprio del 
diritto amministrativo a cominciare 
dalle regole sul procedimento contenute nella l. n. 241/1990� 
(34). 


un 
simile 
orientamento 
non 
convince 
appieno, 
in 
quanto, 
con 
un 
approccio 
meramente 
formalistico, oblitera 
il 
dato sostanziale 
della 
natura 
oggettivamente 
amministrativa 
di 
molte 
attivit� 
poste 
in essere 
dalle 
Federazioni 
per 
il 
perseguimento di 
interessi 
pubblici; 
attivit� 
che 
non possono che 
sottostare 
alla 
disciplina 
prevista 
per gli 
atti 
formalmente 
amministrativi. La 
previsione 
dello Statuto del 
ConI �, poi, disattesa 
da 
una 
fonte 
di 
rango superiore, quale 
l�art. 133 lett. z) d.lgs. 2 luglio 2010, n. 104 che 
attribuisce 
al 
giudice 
amministrativo, 
in 
sede 
esclusiva, 
la 
giurisdizione 
sulle 
controversie 
relative 
agli 
atti 
delle 
Federazioni 
sportive 
�non riservate 
agli 
organi 
di 
giustizia dell�ordinamento 
sportivo ed escluse 
quelle 
inerenti 
i 
rapporti 
patrimoniali 
tra societ�, 
associazioni e atleti�. 


Tale 
disposizione 
normativa, 
prevedendo 
tre 
distinte 
forme 
di 
giurisdizione 
(ordinaria, 
amministrativa 
e 
sportiva) 
con 
eterogenee 
discipline 
processuali, 
implica 
che 
le 
Federazioni 
possano 
compiere 
differenti 
tipi 
di 
atti, 
privatistici 
o 
pubblicistici, 
aventi 
ciascuno 
la 
propria 
peculiare 
disciplina 
sostanziale. 


Inoltre, l�ordinamento italiano riconosce 
da 
tempo la 
possibilit� 
di 
applicare 
norme 
pubblicistiche 
ad 
atti 
ed 
attivit� 
compiuti 
da 
soggetti 
privati. 
Si 
pensi, ad esempio, ai 
principi 
e 
alle 
regole 
dell�evidenza 
pubblica 
nelle 
procedure 
di 
affidamento indette 
da 
un organismo di 
diritto pubblico (35). Tale 


(33) 
Sulla 
natura 
oggettivamente 
amministrativa 
di 
molti 
atti 
delle 
Federazioni 
sportive 
Tar 
Puglia, 
sez. I, 11 settembre 2001, n. 3477, in www.giustizia-amministrativa.it. 
(34) g. nAPoLITAno, voce 
sport, in diz. dir. pubbl., diretto da 
S. CASSeSe, op. cit., p. 5683. Con 
riferimento alla 
disciplina 
applicabile, l�Autore 
esclude 
la 
soggezione 
degli 
atti 
delle 
Federazioni 
al 
diritto 
amministrativo, sostenendo che 
per la 
cura 
degli 
interessi 
pubblici 
sarebbero sufficienti 
gli 
atti 
di 
indirizzo 
e 
controllo 
del 
ConI, 
in 
modo 
da 
avere 
una 
funzionalizzazione 
per 
principi 
inidonea 
ad 
alterare 
il regime privatistico degli atti federali previsto dalla normativa vigente. 
(35) 
M. 
CoLuCCI 
(a 
cura 
di), 
lo 
sport 
e 
il 
diritto. 
Profili 
istituzionali 
e 
regolamentazione 
giuridica, 
napoli, 2004, p. 15. 

RASSegnA 
AvvoCATuRA 
DeLLo 
STATo - n. 4/2016 


figura, di 
origine 
europea, � 
stata 
recepita 
dal 
legislatore 
italiano nell�intento 
di 
far 
osservare 
le 
regole 
della 
concorrenza 
anche 
ad 
operatori 
che, 
seppur 
formalmente 
privati, 
risultino 
partecipati, 
finanziati 
o 
controllati 
dalla 
mano 
pubblica. 
Si 
�, dunque, in presenza 
di 
un soggetto privato ma 
che 
per certi 
atti 
e 
per 
taluni 
effetti 
viene 
considerato 
dall�ordinamento 
alla 
stregua 
di 
un 
soggetto 
pubblico, con applicazione 
di 
una 
disciplina 
derogatoria 
rispetto al 
diritto comune. 
L�ordinamento dimostra, cos�, di 
far prevalere 
la 
sostanza 
sulla 
forma. 


I requisiti dell�organismo di diritto pubblico, come noto, sono tre: 


a) 
l�essere 
istituito per soddisfare 
bisogni 
di 
interesse 
generale 
aventi 
carattere 
non industriale o commerciale; 


b) 
avere personalit� giuridica di diritto privato; 


c) 
essere finanziato o controllato dalla mano pubblica. 

Tali 
requisiti 
si 
riscontrano 
perfettamente 
nelle 
Federazioni 
sportive 
le 
quali 
sono 
associazioni 
con 
personalit� 
giuridica 
di 
diritto 
privato, 
che 
non 
perseguono 
scopo 
di 
lucro 
(36) 
e 
soggiacciono 
ai 
poteri 
di 
indirizzo, 
vigilanza 
e controllo del ConI (37). 


Il 
richiamo 
alla 
figura 
dell�organismo 
di 
diritto 
pubblico 
conferma, 
quindi, la 
tesi 
che 
legittima 
le 
Federazioni, quali 
associazioni 
privatistiche, a 
compiere 
atti 
amministrativi, 
con 
conseguente 
applicazione 
in 
parte 
qua 
di 
un 
regime 
giuridico, 
sostanziale 
e 
processuale, 
di 
tipo 
pubblicistico. 
Si 
pensi, 
per 
esempio, al 
diritto di 
accesso ex 
art. 22 legge 
7 agosto 1990, n. 241 (38) limitatamente 
alle attivit� autoritative delle Federazioni. 


In 
definitiva 
occorre 
sottolineare 
come 
l�individuazione 
della 
natura 
giuridica 
delle 
Federazioni 
non 
sia 
di 
per 
s� 
dirimente 
ai 
fini 
dell�accertamento 
della 
natura 
degli 
atti 
compiuti, 
delle 
situazioni 
soggettive 
in 
rilievo 
e 
del 
riparto 
di 
giurisdizione. 
Del 
resto, 
nella 
conclamata 
crisi 
della 
soggettivit� 
alla 
natura 
giuridica 
di 
un 
soggetto 
non 
corrisponde 
pi� 
necessariamente 
un�unica 
e 
predeterminata 
disciplina, 
dovendo 
l�interprete 
procedere 
ad 
un�opera 
di 
ritaglio 
calibrata 
sull�attivit� 
concretamente 
realizzata 
e 
sugli 
interessi 
perseguiti. 


ne 
discende 
come 
le 
Federazioni 
sportive 
siano da 
considerare 
a 
pieno 


(36) In giurisprudenza, ex multis, Cass. civ. Sez. un., 26 ottobre 
1989 n. 4399, in riv. dir. sport. 
1990, I, p. 57. Cass. civ. Sez. un., 25 febbraio 2000, n. 46, in guida dir., 2000, pp. 68 ss. 
(37) A 
riguardo C. ALvISI, autonomia privata e 
autodisciplina sportiva. il 
coni e 
la regolamentazione 
dello sport, op. cit., pp. 250-251: 
�l�assoggettamento dell�autonomia tecnica, organizzativa e 
di 
gestione 
delle 
federazioni 
sportive 
nazionali 
a procedure 
legali 
intese 
a consentire 
il 
controllo e 
la 
vigilanza 
del 
coni 
sui 
fini 
perseguiti 
vale 
dunque 
a 
garantire 
la 
funzionalizzazione 
della 
loro 
autonomia 
privata al 
perseguimento di 
interessi 
valutati 
dal 
legislatore 
di 
pubblico rilievo�. 
Tali 
poteri 
sono stati 
rafforzati 
dal 
d.lgs. 23 luglio 1999, n. 242. Si 
pensi, a 
titolo esemplificativo, al 
potere 
riconosciuto al 
ConI di 
commissariare 
le 
Federazioni, con esercizio di 
poteri 
sostitutivi, in caso di 
gravi 
irregolarit� 
di 
gestione, 
gravi 
violazioni 
dell�ordinamento 
sportivo 
oppure 
nell�ipotesi 
di 
impossibilit� 
di 
funzionamento. 
(38) Tar Toscana, sez. I, 19 giugno 1998, n. 411, in foro amm. 
1999, p. 833. 

ConTRIbuTI 
DI 
DoTTRInA 


titolo 
soggetti 
di 
diritto 
privato, 
inquadrati 
in 
un 
sistema 
pubblicistico, 
che 
esercitano ora 
poteri 
di 
autonomia 
privata 
ora 
potest� 
amministrative, con applicazione 
di 
regimi 
giuridici 
differenti 
in 
ragione 
della 
natura 
dell�atto 
di 
volta 
in 
volta 
in 
rilievo. 
non 
esiste, 
infatti, 
alcuna 
preclusione 
a 
che 
nella 
medesima 
figura 
soggettiva 
coesistano momenti 
di 
autonomia 
privata 
e 
momenti 
di 
discrezionalit� 
amministrativa. 

Dunque, 
il 
tradizionale 
rilievo 
pubblicistico 
delle 
Federazioni 
sportive 
pu� 
dirsi, 
oggi, 
definitivamente 
transitato 
dal 
profilo 
formale 
della 
natura 
giuridica 
del 
soggetto 
al 
profilo 
sostanziale 
dell�attivit� 
svolta 
e 
degli 
interessi 
perseguiti (39). 


(39) g. nAPoLITAno, voce 
sport, in diz. dir. pubbl., diretto da S. CASSeSe, op. cit., p. 5683. 

RASSegnA 
AvvoCATuRA 
DeLLo 
STATo - n. 4/2016 


L�annullamento �atipico� del provvedimento 
tipico e le interferenze con la regolazione 


Ida Perna* 


sommario: 1. Premessa - 2. lo �sdoganamento� 
della modulazione 
degli 
effetti 
della 
sentenza 
di 
annullamento 
-3. 
l�annullamento 
�atipico� 
del 
provvedimento 
tipico 
-4. 
il 
trend 
giurisprudenziale 
adesivo 
-5. 
le 
interferenze 
dell�annullamento 
�atipico� 
con 
la 
regolazione. 


1. Premessa. 
L�evoluzione 
della 
giustizia 
amministrativa 
� 
stata 
ed 
� 
costantemente 
orientata 
dal 
perseguimento dell�obiettivo di 
una 
tutela 
giurisdizionale 
piena 
ed 
effettiva 
(1); 
non 
a 
caso, 
ma 
coerentemente 
con 
la 
frequente 
prassi 
della 
positivizzazione 
delle 
acquisizioni 
giurisprudenziali, 
il 
codice 
recante 
le 
norme 
in 
tema 
di 
processo 
amministrativo 
esordisce 
con 
l�affermazione 
del 
principio 
della 
effettivit� 
della 
protezione 
attingibile 
dai 
cittadini 
amministrati 
attraverso 
l�esperimento 
delle 
azioni 
giudiziali 
dinanzi 
agli 
organi 
giurisdizionali 
amministrativi 
(2). 


Tuttavia, comՏ 
stato efficacemente 
osservato, il 
principio di 
effettivit� 
della 
tutela 
non pu� e 
non deve 
essere 
inteso genericamente, bens� 
deve 
porsi 
nei 
termini 
propri 
del 
processo 
amministrativo, 
teleologicamente 
e 
costituzionalmente 
orientato a garantire le posizioni soggettive dedotte in giudizio (3). 

(*) Dottore di ricerca in diritto amministrativo presso l�universit� degli Studi di napoli �Federico II�. 


(1) Che 
sia 
cos� 
� 
ampiamente 
e 
diffusamente 
illustrato in letteratura: 
cfr., 
ex 
multis, SAnDuLLI 
A., diritto processuale 
amministrativo, in CASSeSe 
S., corso di 
diritto amministrativo, Milano, 2013, 
passim. 
(2) L�art. 1 del 
codice 
del 
processo amministrativo, rubricato �effettivit��, prevede 
che 
�La 
giurisdizione 
amministrativa 
assicura 
una 
tutela 
piena 
ed effettiva 
secondo i 
principi 
della 
Costituzione 
e 
del 
diritto europeo�. giova 
del 
resto osservare 
che 
il 
codice 
predetto � 
recato dal 
decreto legislativo 2 
luglio 2010, n. 104, adottato in adempimento della 
delega 
di 
cui 
all�art. 44 della 
legge 
18 giugno 2009, 
n. 69, che, fra 
i 
corrispondenti 
principi 
e 
criteri 
direttivi, enunciava 
proprio la 
garanzia 
della 
�snellezza, 
concentrazione 
ed effettivit� 
della 
tutela, anche 
al 
fine 
di 
garantire 
la 
ragionevole 
durata 
del 
processo 
[�]� (art. 44, comma 2, lett. a)). 
(3) CARbone 
A., azione 
di 
annullamento, ricorso incidentale 
e 
perplessit� applicative 
della modulazione 
degli 
effetti 
caducatori, in 
dir. proc. amm., 4/2013, 428 ss. Per vero, con due 
recenti 
e 
importanti 
pronunciamenti, l�Adunanza 
Plenaria 
del 
Consiglio di 
Stato ha 
ribadito la 
natura 
soggettiva 
della 
giurisdizione 
amministrativa. In particolare, con la 
sentenza 
13 aprile 
2015, n. 4, il 
Massimo Consesso 
di 
giustizia 
amministrativa 
ha 
negato 
la 
possibilit� 
di 
convertire 
ex 
officio 
una 
domanda 
di 
annullamento 
di 
un provvedimento illegittimo in una 
di 
risarcimento del 
danno, e 
ci� proprio in ragione 
della 
circostanza 
che 
le 
tutele 
apprestate 
dalla 
giurisdizione 
amministrativa 
sono espressione 
di 
una 
giurisdizione 
di 
tipo soggettivo, retta 
- pertanto - dal 
principio della 
domanda 
[deponendo in tal 
senso: 
il 
disposto di 
cui 
all�art. 
29 
c.p.a., 
che 
prevede 
come 
sanzione 
tipica 
per 
gli 
atti 
illegittimi, 
impugnati 
innanzi 
al 
giudice 
amministrativo, la 
pronuncia 
di 
annullamento; 
il 
precetto recato dall�art. 34, primo comma, primo capoverso, 
c.p.a., 
che 
sancisce 
espressamente 
che 
le 
pronunce 
di 
accoglimento 
del 
giudice 
amministrativo 

ConTRIbuTI 
DI 
DoTTRInA 


Alla 
luce 
di 
tali 
coordinate 
debbono 
scrutinarsi 
gli 
approdi 
della 
giurisprudenza 
in 
tema 
di 
modulazione 
degli 
effetti 
caducatori 
della 
sentenza 
di 
annullamento, quale 
potere 
ad oggi 
nella 
disponibilit� 
(limitata, come 
meglio 
infra) dell�Autorit� 
giusdicente 
e 
necessariamente 
incidente 
sull�esercizio del 
potere amministrativo, qual � quello regolatorio (4). 


sono rese 
�nei 
limiti 
della 
domanda�, vale 
a 
dire 
nel 
rispetto del 
principio dispositivo (art. 99 c.p.c.) e 
del 
suo corollario della 
corrispondenza 
tra 
il 
chiesto e 
il 
pronunciato (art. 112 c.p.c.), che 
devono quindi 
ritenersi 
ricompresi 
nel 
rinvio esterno ai 
principi 
generali 
recati 
dal 
codice 
di 
procedura 
civile 
ex art. 39 
c.p.a.; 
la 
differenza 
strutturale 
intercorrente 
fra 
l�azione 
di 
annullamento e 
quella 
riparatoria: 
la 
ragione 
su cui 
si 
fonda 
la 
pretesa 
demolitoria 
� 
l�illegittimit� 
dell�atto e 
la 
pronuncia 
richiesta 
� 
la 
sua 
caducazione, 
mentre 
la 
causa petendi 
di 
un�azione 
di 
risarcimento risiede 
nell�illiceit� 
del 
fatto della 
Pubblica 
Amministrazione 
e 
nelle 
sue 
conseguenze 
dannose 
per il 
ricorrente 
e 
il 
petitum 
� 
costituito dalla 
condanna 
al 
risarcimento; 
valga 
sottolineare 
che 
l�Adunanza 
Plenaria 
�con 
il 
punto 
fermo 
costituito 
dal 
principio 
dispositivo 
[�] 
affronta 
poi, 
uno 
dopo 
l'altro, 
confutandoli, 
gli 
argomenti 
spesi 
dall�ordinanza 
di 
rimessione 
o dalla 
richiamata 
pronuncia 
della 
Sesta 
Sezione, n. 2755/2011�, invero citata 
quale 
�precedente 
non pertinente� 
a 
sostegno dell�ammissibilit� 
della 
predetta 
mutatio libelli: 
cfr. SILveSTRI 
M., il 
principio 
della 
domanda 
nel 
processo 
amministrativo. 
l�adunanza 
plenaria 
n. 
4 
del 
2015, 
in 
foro 
amm.cds, 
9/2015, 2207]; 
con la 
quasi 
coeva 
decisione 
27 aprile 
2015, n. 5, il 
Massimo Consesso, chiamato 
a 
pronunciarsi 
sul 
tema 
della 
graduazione 
dei 
motivi 
di 
ricorso, ha 
nuovamente 
precisato che 
�[�] il 
processo amministrativo � 
certamente 
un processo di 
parte 
governato, in linea 
generale 
e 
salvo quanto 
si 
dir� 
in 
prosieguo, 
dal 
principio 
della 
domanda 
nella 
duplice 
accezione 
di 
principio 
dispositivo 
sostanziale 
- inteso quale 
espressione 
del 
potere 
esclusivo della 
parte 
di 
disporre 
del 
suo interesse 
materiale 
sotto ogni 
aspetto compresa 
la 
scelta 
di 
richiedere 
o meno la 
tutela 
giurisdizionale 
- e 
di 
principio dispositivo 
istruttorio (sia 
pure 
con i 
temperamenti 
enucleabili 
dagli 
artt. 63 e 
64 c.p.a., in relazione 
al 
processo impugnatorio, ed ispirati 
al 
c.d. sistema 
dispositivo con metodo acquisitivo). Sul 
punto non 
pu� che 
ribadirsi 
quanto pi� volte 
enunciato da 
questa 
stessa 
Adunanza 
plenaria 
(cfr. da 
ultimo n. 4 del 
2015; 
n. 9 del 
2014, n. 7 del 
2013, n. 4 del 
2011), in ordine 
all�impossibilit� 
di 
considerare 
quella 
amministrativa 
una 
giurisdizione 
di 
diritto oggettivo e 
su come 
tale 
approdo sia 
coerente 
con il 
significato 
che 
assume 
il 
principio della 
domanda 
nel 
dettato dell�art. 24, co. 1, Cost. che 
affianca, sia 
pure 
prendendo 
atto per ci� solo della 
loro diversit�, le 
due 
situazioni 
soggettive 
attive 
del 
diritto soggettivo e 
dell�interesse 
legittimo 
quali 
presupposti 
per 
l�esercizio 
del 
diritto 
alla 
tutela 
giurisdizionale 
intesa 
come 
principio fondamentale 
costitutivo dell�ordine 
pubblico costituzionale 
(cfr. da 
ultimo le 
fondamentali 
conclusioni 
cui 
� 
pervenuta 
Corte 
cost. 22 ottobre 
2014, n. 238). � 
assodato, pertanto, che 
il 
principio 
della 
domanda 
e 
quello della 
corrispondenza 
tra 
chiesto e 
pronunciato, hanno dignit� 
di 
generalklausel 
nel 
processo civile 
(cfr. Sez. un., nn. 26242 e 
26243 del 
2014 cit.) ed in quello amministrativo (cfr. Ad. 
plen. n. 4 del 
2015, n. 9 del 
2014 e 
n. 4 del 
2011). A 
queste 
prime 
conclusioni 
si 
saldano le 
ulteriori 
considerazioni 
- che 
contribuiscono alla 
migliore 
comprensione 
del 
fenomeno nella 
sua 
portata 
teorica 
e 
nelle 
conseguenti 
soluzioni 
operative 
-sul 
ruolo 
del 
giudice 
amministrativo 
come 
giudice 
naturale 
degli 
interessi 
legittimi 
in 
virt� 
di 
diretta 
attribuzione 
costituzionale 
di 
tale 
competenza 
(art. 
103 
co. 
1, 
Cost.); 
sulle 
peculiari 
modalit� 
di 
erogazione 
della 
tutela 
giurisdizionale 
dell�interesse 
legittimo attraverso il 
controllo necessario sull�esercizio (o il 
mancato esercizio) della 
funzione 
pubblica 
financo all�interno 
dell'amministrazione 
(art. 100, co. 1, Cost.); 
sull�importanza 
strategica 
dell�iniziativa 
della 
persona 
che 
agisce 
in giudizio, nella 
logica 
del 
private 
enforcement, perch�, sia 
pure 
nei 
limiti 
della 
domanda, concorre 
a 
(e 
rende 
possibile 
la) tutela 
dell�interesse 
pubblico mediante 
il 
ripristino della 
legalit� 
violata� 
(Cfr. Cons. St., Ad. Plen. 27 aprile 2015, n. 5, in www.giustizia-amminnistrativa.it). 

(4) La 
funzione 
regolatoria 
� 
prerogativa 
costante 
dei 
pubblici 
poteri; 
per vero, lo Stato e, prima 
di 
esso gli 
ordinamenti 
generali, hanno sempre 
disciplinato fatti 
afferenti 
all�economia, assumendo ci� 
come 
�una 
delle 
loro attribuzioni 
fondamentali�: 
cfr. gIAnnInI 
M.S., diritto pubblico dell�economia, 
bologna, 1996, 20. Tuttavia, il 
concetto di 
regolazione 
non sfugge 
a 
una 
caratterizzazione 
storicamente 
determinata 
(cfr. MARCou 
g., esiste 
una nozione 
giuridica di 
regolazione?, in rass. di 
dir. pubbl. eur., 
1/2006, 19); 
del 
resto, � 
dato rinvenire 
diverse 
ricostruzioni 
della 
suddetta 
nozione, tra 
le 
quali 
la 
pi� 

RASSegnA 
AvvoCATuRA 
DeLLo 
STATo - n. 4/2016 


2. lo �sdoganamento� 
della modulazione 
degli 
effetti 
della sentenza di 
annullamento. 
ComՏ 
noto, 
lo 
�sdoganamento� 
della 
possibile 
modulazione 
degli 
effetti 
della 
decisione 
di 
annullamento risale 
alla 
pronuncia 
della 
Sesta 
Sezione 
del 
Consiglio 
di 
Stato 
10 
maggio 
2011, 
n. 
2755 
(5), 
che 
ha 
abilitato 
il 
giudice 
amministrativo 
a 
derogare 
alla 
generale 
regola 
per cui 
l�accoglimento di 
un ricorso 
per 
la 
caducazione 
di 
un 
provvedimento 
lesivo 
comporta 
l�eliminazione 
integrale 
degli 
effetti 
dell�atto 
stesso 
�quando 
la 
sua 
applicazione 
risulterebbe 
incongrua 
e 
manifestamente 
ingiusta�, e 
ci� mediante 
�la 
limitazione 
parziale 


diffusa 
- che 
riconduce 
la 
�regolamentazione� 
o �regolazione� 
all�intervento pubblico in economia 
cosiddetto 
indiretto 
(cfr. 
SPAgnuoLo 
vIgoRITA 
v., 
attivit� 
economica 
privata 
e 
potere 
amministrativo, 
napoli, 
1962, 10 ss.; 
IRTI 
n., l�ordine 
giuridico del 
mercato, Roma-bari, 2003, 107) - evidenzia 
come 
il 
potere 
di 
regolazione 
non possa 
prescindere 
dal 
suo collegamento funzionale 
con la 
concorrenza, posto 
che 
il 
diritto regolatorio tende 
a 
correggere 
e/o ripristinare 
il 
funzionamento del 
mercato: 
cfr. ZoPPInI 
A., autonomia contrattuale, regolazione 
del 
mercato, diritto della concorrenza, in ZoPPInI 
A., oLIvIeRI 


g. 
(a cura di), contratto e 
antitrust, Roma, 2008, passim. 
(5) Cons. St., Sez. vI, 10 maggio 2011, n. 2755 con note 
e 
commenti 
di 
TRAvI 
A., accoglimento 
dell�impugnazione 
di 
un 
provvedimento 
e 
�non 
annullamento� 
dell�atto 
illegittimo, 
in 
urb. 
e 
app., 
2011, 
936 ss.; 
QuInTo 
P., la specificit� della giurisdizione 
amministrativa ed una sentenza di 
� 
buon senso �, 
in giustamm.it, 2011; 
SAPIo 
M., un caso di 
sospensione 
degli 
effetti 
caducatori 
del 
giudicato amministrativo 
in applicazione 
della rilevanza del 
diritto europeo sul 
diritto processuale 
amministrativo nazionale, 
ivi; 
MACChIA 
M., 
l�efficacia 
temporale 
delle 
sentenze 
del 
giudice 
amministrativo: 
prove 
di 
imitazione, in giorn. dir. amm., 2011, 1310 ss.; 
FoLLIeRI 
e., l�ingegneria processuale 
del 
consiglio di 
stato, in giur. it., 2012, 439 ss.; 
LoRIA 
e., accertata l�illegittimit� dell�atto impugnato il 
giudice 
pu� 
decidere 
della non retroattivit�, in guida dir., 26/2011, 103 ss.; 
FonDeRICo 
g., nota a cons. st., sez. 
vi, 10 maggio 2011, n. 2755, in guida dir. dossier, 9/2011, 32; 
PoLITI 
R., atipicit� delle 
azioni 
e 
chirurgia 
giurisprudenziale 
dell�azione 
di 
annullamento: 
la 
�sovrascrittura 
del 
programma�, 
in 
foro 
amm.-tar, 2011, 1071 ss.; 
FeLIZIAnI 
C., oltre 
le 
colonne 
d�ercole. Pu� il 
giudice 
amministrativo non 
annullare 
un 
provvedimento 
illegittimo?, 
in 
foro 
amm.-cds, 
2012, 
427 
ss.; 
gALLo 
C.e., 
i 
poteri 
del 
giudice 
amministrativo in ordine 
agli 
effetti 
delle 
proprie 
sentenze 
di 
annullamento, in dir. proc. amm., 
2012, 280 ss.; 
gIuSTI 
A., la �nuova� 
sentenza di 
annullamento nella recente 
giurisprudenza del 
consiglio 
di 
stato, ivi, 
293 ss.; 
beRTonAZZI 
L., sentenza che 
accoglie 
l�azione 
di 
annullamento amputata 
dell�effetto 
eliminatorio?, 
ivi, 
1128 
ss.; 
CARIngeLLA 
F., 
il 
sistema 
delle 
tutele 
dell�interesse 
legittimo 
alla luce 
del 
codice 
e 
del 
decreto correttivo, in urb. e 
app., 2012, 17 ss.; 
DIPACe 
R., l�annullamento tra 
tradizione 
e 
innovazione: 
la 
problematica 
flessibilit� 
dei 
poteri 
del 
giudice 
amministrativo, 
in 
dir. 
proc. 
amm., 4/2012, 1273 ss.; 
FoRnACIARI 
M., ultimissime 
dal 
consiglio di 
stato: l�annullamento ... che 
non 
annulla!, ivi, 1662 ss. Il 
menzionato leading case 
riguardava 
il 
ricorso proposto da 
un�associazione 
ambientalista 
avverso l�approvazione 
del 
piano faunistico venatorio regionale 
pugliese 
2009-2014, in particolare 
impugnato per la 
mancata 
attivazione 
del 
procedimento sulla 
valutazione 
ambientale 
strategica 
prevista 
dalla 
legislazione 
statale; 
i 
giudici 
di 
Palazzo 
Spada 
hanno 
accolto 
la 
tesi 
dell�appellante 
e 
hanno 
riformato 
la 
sentenza 
di 
primo 
grado 
che 
aveva 
respinto 
la 
domanda 
di 
annullamento. 
Il 
Consiglio 
di 
Stato ha 
affermato la 
necessit� 
di 
attivare 
il 
procedimento di 
valutazione 
ambientale 
strategica 
anche 
per il 
sopracitato piano faunistico, ma 
non ne 
ha 
disposto la 
caducazione, n� 
la 
rimozione 
dei 
relativi 
effetti, in quanto ci� avrebbe 
determinato il 
venir meno del 
piano e 
la 
conseguente 
libert� 
di 
cacciare, 
eliminando ogni 
tutela 
della 
fauna 
selvatica 
per cui 
aveva 
agito l�associazione 
ambientalista: 
in caso di 
eliminazione 
del 
piano si 
sarebbe 
conseguito un risultato contrario all�interesse 
fatto valere, sicch� 
la 
sentenza 
ha 
stabilito 
la 
perdurante 
efficacia 
del 
piano 
impugnato 
e 
illegittimo, 
fino 
all�adozione 
da 
parte 
della 
Regione 
del 
nuovo piano faunistico (e 
assegnando il 
termine 
di 
dieci 
mesi 
per l�acquisizione 
della 
valutazione ambientale strategica). 

ConTRIbuTI 
DI 
DoTTRInA 


della 
retroattivit� 
degli 
effetti, 
o 
con 
la 
loro 
decorrenza 
ex 
nunc 
ovvero 
ancora 
escludendo 
del 
tutto 
gli 
effetti 
dell�annullamento 
e 
disponendo 
esclusivamente 
gli effetti conformativi�. 


giova 
brevemente 
ripercorrere 
gli 
argomenti 
posti 
a 
fondamento di 
siffatto 
indirizzo: 
anzitutto, i 
giudici 
di 
Palazzo Spada 
richiamano il 
principio 
di 
effettivit� 
della 
tutela 
giurisdizionale 
e 
di 
atipicit� 
delle 
azioni; 
in secondo 
luogo, la 
decisione 
menzionata 
riferisce 
il 
disposto di 
cui 
all�art. 34, comma 
terzo, c.p.a., ove 
si 
prevede 
la 
scissione 
fra 
l�illegittimit� 
dell�atto e 
la 
sua 
annullabilit� 
(6); 
si 
citano, altres�, le 
norme 
recate 
dal 
codice 
del 
processo amministrativo 
sul 
rito 
speciale 
negli 
appalti, 
allorch� 
legittimano 
l�autorit� 
giurisdizionale, che 
abbia 
annullato un�aggiudicazione, a 
dichiarare 
o meno 
l�inefficacia 
del 
contratto stipulato ovvero a 
modularne 
l�inefficacia 
(artt. 121 
e 
122 c.p.a.) (7); 
ancora, si 
osserva 
l�assenza 
nell�ordinamento di 
prescrizioni 
ostative 
alla 
citata 
modulazione 
e 
si 
rimanda, 
per 
contro, 
alle 
norme 
di 
cui 
alla 
legge 
generale 
sul 
procedimento amministrativo - quali 
quelle 
recate 
dall�art. 
21-nonies 
(8) - che, espressamente, contemplano la 
possibilit� 
che 
un atto pur 
illegittimo non venga 
annullato; 
infine, si 
menziona 
l�orientamento della 
giu


(6) 
In 
particolare, 
l�art. 
34 
del 
codice 
del 
processo 
amministrativo, 
rubricato 
�Sentenze 
di 
merito�, 
al 
terzo comma 
cos� 
prevede: 
�Quando, nel 
corso del 
giudizio, l�annullamento del 
provvedimento impugnato 
non risulta 
pi� utile 
per il 
ricorrente, il 
giudice 
accerta 
l�illegittimit� 
dell�atto se 
sussiste 
l�interesse 
ai fini risarcitori�. 
(7) La 
questione 
delle 
conseguenze 
cagionate 
dall�annullamento giurisdizionale 
dell�aggiudicazione 
sulla 
sorte 
del 
contratto 
medio tempore 
stipulato dall�Amministrazione, prima 
dell�abrogazione 
a 
far data 
dal 
19 aprile 
2016 - rinveniva 
una 
sua 
espressa 
disciplina 
negli 
artt. 245-bis 
e 
245-ter 
del 
decreto 
legislativo 12 aprile 
2006, n. 163 (cosiddetto codice 
degli 
appalti), che 
contenevano delle 
mere 
norme 
di 
rinvio a 
quelle 
dettate 
sul 
punto dal 
codice 
del 
processo amministrativo: 
in particolare, il 
suddetto 
rimando � 
agli 
artt. 121 e 
122 c.p.a., i 
quali, a 
loro volta, riproducono il 
testo degli 
stessi 
artt. 245bis 
e 
245-ter 
del 
codice 
degli 
appalti, cos� 
come 
riscritti 
dal 
legislatore 
a 
seguito del 
recepimento della 
direttiva 
ricorsi 
operata 
con il 
decreto legislativo 20 marzo 2010, n. 53. Cfr., al 
riguardo, MeZZoTeRo 
A., RoMeI 
D., gli 
effetti 
dell�annullamento dell�aggiudicazione 
sul 
contratto, in rassegna avvocatura 
dello stato, 2/2016, 253 ss. 
(8) L�art. 21-nonies 
della 
legge 
7 agosto 1990, n. 241, intitolato �Annullamento d�ufficio�, cos� 
dispone: 
�1. Il 
provvedimento amministrativo illegittimo ai 
sensi 
dell�articolo 21-octies, esclusi 
i 
casi 
di 
cui 
al 
medesimo articolo 21-octies, comma 
2, pu� essere 
annullato d�ufficio, sussistendone 
le 
ragioni 
di 
interesse 
pubblico, 
entro 
un 
termine 
ragionevole 
comunque 
non 
superiore 
a 
diciotto 
mesi 
dal 
momento 
dell�adozione 
dei 
provvedimenti 
di 
autorizzazione 
o 
di 
attribuzione 
di 
vantaggi 
economici, 
inclusi 
i 
casi 
in cui 
il 
provvedimento si 
sia 
formato ai 
sensi 
dell'articolo 20, e 
tenendo conto degli 
interessi 
dei 
destinatari 
e 
dei 
controinteressati, 
dall�organo 
che 
lo 
ha 
emanato, 
ovvero 
da 
altro 
organo 
previsto 
dalla 
legge. 
Rimangono 
ferme 
le 
responsabilit� 
connesse 
all�adozione 
e 
al 
mancato 
annullamento 
del 
provvedimento 
illegittimo. 2. � 
fatta 
salva 
la 
possibilit� 
di 
convalida 
del 
provvedimento annullabile, sussistendone 
le 
ragioni 
di 
interesse 
pubblico 
ed 
entro 
un 
termine 
ragionevole. 
2-bis. 
I 
provvedimenti 
amministrativi 
conseguiti 
sulla 
base 
di 
false 
rappresentazioni 
dei 
fatti 
o di 
dichiarazioni 
sostitutive 
di 
certificazione 
e 
dell�atto 
di 
notoriet� 
false 
o 
mendaci 
per 
effetto 
di 
condotte 
costituenti 
reato, 
accertate 
con 
sentenza 
passata 
in giudicato, possono essere 
annullati 
dall�amministrazione 
anche 
dopo la 
scadenza 
del 
termine 
di 
diciotto mesi 
di 
cui 
al 
comma 
1, fatta 
salva 
l�applicazione 
delle 
sanzioni 
penali 
nonch� 
delle 
sanzioni 
previste 
dal 
capo vI del 
testo unico di 
cui 
al 
decreto del 
Presidente 
della 
Repubblica 
28 dicembre 
2000, 
n. 445�. 

RASSegnA 
AvvoCATuRA 
DeLLo 
STATo - n. 4/2016 


risprudenza 
comunitaria 
che, sulla 
base 
di 
quanto stabilito dall�art. 264, par. 
2, TFue 
(9), ha 
ammesso la 
derogabilit� 
del 
principio della 
retroattivit� 
degli 
effetti della sentenza di annullamento (10). 

A 
seguito della 
citata 
pronuncia, la 
letteratura 
non ha 
mancato di 
porre 
in 
risalto 
i 
profili 
critici 
dell�esposta 
opzione 
interpretativa. 
In 
particolare, 
� 
stato 
osservato che, ad ammettere 
la 
modulabilit� 
dell�efficacia 
della 
pronuncia 
di 
annullamento, si 
pone 
il 
giudice 
nelle 
condizioni 
di 
disporre 
dell�effetto caducatorio 
che, invece, � 
conseguenza 
tipica 
e 
necessaria 
della 
statuizione 
di 
annullamento (11); 
si 
� 
pure 
precisato che 
non vi 
� 
norma 
che 
abiliti 
l�autorit� 
giurisdizionale 
a 
tale 
modulazione 
e 
che, per converso, vi 
sono disposizioni 
puntuali 
che 
prevedono la 
non annullabilit� 
di 
un provvedimento illegittimo 
(12), 
sicch� 
ubi 
lex 
non 
dixit, 
noluit, 
soprattutto 
alla 
luce 
della 
tipicit� 
del-
l�azione 
di 
annullamento ex 
art. 113, comma 
terzo, Cost. (13); 
si 
� 
qualificato 
come 
inappropriato il 
richiamo all�art. 21-nonies 
legge 
7 agosto 1990, n. 241, 
che, 
infatti, 
disciplina 
l�esercizio 
di 
un 
potere 
amministrativo 
discrezionale, 
ontologicamente 
diverso 
dalla 
funzione 
giurisdizionale 
(14), 
cos� 
come 
si 
� 
esclusa 
la 
pertinenza 
del 
rimando alle 
norme 
del 
tutto speciali 
in tema 
di 
appalti 
(15), 
peraltro 
relative 
alla 
modulazione 
degli 
effetti 
di 
un 
contratto 
(e 
non 
di 
una 
pronuncia 
giurisdizionale) 
all�esito 
dell�avvenuta 
caducazione 
di 
un�ag


(9) Alla 
stregua 
di 
tale 
disposizione 
la 
Corte 
dichiara 
nullo o non avvenuto l�atto impugnato e, 
�ove 
lo 
reputi 
necessario, 
precisa 
gli 
effetti 
dell�atto 
annullato 
che 
devono 
essere 
considerati 
definitivi�. 
(10) Secondo l�orientamento invalso presso i 
giudici 
europei 
la 
sentenza 
di 
accoglimento di 
un 
ricorso per l�annullamento di 
un atto sottoposto al 
controllo di 
legittimit� 
della 
Corte 
di 
giustizia 
del-
l�unione 
europea 
(ex 
art. 263 TFue) pu� limitare 
la 
retroattivit� 
dei 
suoi 
effetti, fissando la 
relativa 
decorrenza 
dal 
momento 
dell�emanazione 
della 
pronuncia 
ovvero 
da 
uno 
al 
medesimo 
antecedente, 
nonch� 
pu� persino escludere 
la 
caducazione 
dell�atto, prescrivendo la 
permanenza 
della 
sua 
efficacia 
sino 
all�adozione 
di 
un 
atto 
successivo: 
cfr., 
in 
tal 
senso, 
C.g.C.e., 
5 
giugno 
1973, 
causa 
81/72, 
commissione 
c. consiglio, in raccolta, 1973. 
(11) 
FoLLIeRI 
e., 
l�ingegneria 
processuale 
del 
consiglio 
di 
stato, 
cit., 
440 
e 
441; 
TRAvI 
A., 
accoglimento 
dell�impugnazione 
di 
un 
provvedimento 
e 
�non 
annullamento� 
dell�atto 
illegittimo, 
cit., 
937. 
(12) Come 
quella 
recata 
dall�art. 21-octies 
legge 
7 agosto 1990, n. 241: 
cfr. CARbone 
A., azione 
di 
annullamento, 
ricorso 
incidentale 
e 
perplessit� 
applicative 
della 
modulazione 
degli 
effetti 
caducatori, 
cit. 
(13) Cfr. TRAvI 
A., accoglimento dell�impugnazione 
di 
un provvedimento e 
�non annullamento� 
dell�atto illegittimo, 
cit., 938. nondimeno, � 
stato sottolineato come 
la 
formula 
dell'art. 113 Cost. sia 
stata 
introdotta 
per 
ripartire 
i 
compiti 
tra 
le 
giurisdizioni, 
sicch� 
scopo 
della 
legge 
sarebbe 
quello 
di 
�determinare 
i 
casi 
in 
cui 
� 
possibile 
annullare, 
mentre 
resta 
indifferente 
stabilire 
quando 
tale 
annullamento 
non � 
necessario�: 
cfr. MACChIA 
M., l'efficacia temporale 
delle 
sentenze 
del 
giudice 
amministrativo, 
cit., 1314. 
(14) 
ComՏ 
noto, 
il 
terzo 
comma 
della 
nostra 
Carta 
fondamentale 
prevede 
che 
�La 
legge 
determina 
quali 
organi 
di 
giurisdizione 
possono annullare 
gli 
atti 
della 
pubblica 
amministrazione 
nei 
casi 
e 
con gli 
effetti 
previsti 
dalla 
legge 
stessa�. Cfr. CARbone 
A., azione 
di 
annullamento, ricorso incidentale 
e 
perplessit� 
applicative della modulazione degli effetti caducatori, 
cit. 
(15) La 
specialit� 
delle 
norme 
summenzionate 
ne 
preclude 
l�applicazione 
analogica; 
cfr. gIuSTI 
A., 
la 
�nuova� 
sentenza 
di 
annullamento 
nella 
recente 
giurisprudenza 
del 
consiglio 
di 
stato, 
cit., 
307309; 
FeLIZIAnI 
C., oltre 
le 
colonne 
d�ercole. Pu� il 
giudice 
amministrativo non annullare 
un provvedimento 
illegittimo? 
cit., 450. 

ConTRIbuTI 
DI 
DoTTRInA 


giudicazione 
(16); 
nemmeno persuade 
il 
riferimento alla 
giurisprudenza 
comunitaria, 
che 
�ncora 
il 
proprio orientamento ad un preciso addentellato normativo, 
che non � dato rinvenire nel nostro sistema (17). 


Inoltre, si 
� 
rilevato che 
il 
giudice 
amministrativo, allorquando dispone 
degli 
effetti 
della 
sentenza 
di 
annullamento, pare 
�imitare� 
la 
Corte 
costituzionale 
(18) 
e 
la 
corrispondente 
prassi 
giurisprudenziale 
volta 
alla 
modulazione 
degli 
effetti 
temporali 
delle 
sentenze 
di 
accoglimento 
(19); 
tuttavia, 
� 


(16) osserva 
DIPACe 
R., l�annullamento tra tradizione 
e 
innovazione, 
cit., 1377-1378: 
�se 
� 
vero 
che 
il 
giudice 
pu� 
operare 
alcune 
valutazioni 
in 
ordine 
alla 
inefficacia 
o 
meno 
del 
contratto, 
la 
circostanza 
rilevante 
� 
che 
alla 
base 
di 
tale 
valutazione 
vi 
� 
sempre 
una 
sentenza 
di 
annullamento. Infatti, la 
valutazione 
della 
sorte 
del 
contratto 
interviene 
solo 
a 
seguito 
dell�eliminazione 
retroattiva 
della 
aggiudicazione, 
ossia 
un annullamento giurisdizionale 
con efficacia 
retroattiva�. In altri 
termini, �nelle 
controversie 
sui 
contratti, la 
decisione 
si 
�estende� 
alla 
dichiarazione 
di 
inefficacia 
del 
contratto a 
seguito dell�annullamento 
dell�aggiudicazione. La 
sentenza 
non prescinde 
dall�effetto demolitorio tipico dell�azione 
di 
annullamento 
che 
�, anzi, il 
presupposto necessario e 
indispensabile 
per le 
successive 
determinazioni 
del 
Collegio 
sulla 
vicenda 
negoziale. 
La 
decisione 
sulle 
sorti 
del 
contratto 
rientra 
nel 
contenuto 
conformativo 
della 
sentenza 
di 
annullamento, 
nella 
logica 
gi� 
affermata 
dalla 
Adunanza 
Plenaria 
n. 
9 
de 
30 
luglio 
2008. Il 
giudice 
estende 
la 
propria 
decisione 
sul 
contratto perch� 
si 
pronuncia 
innanzitutto sull�aggiudicazione 
definitiva; 
la 
sentenza 
modula 
s�, con efficacia 
ex 
nunc 
o ex 
tunc, gli 
effetti 
dell�accoglimento 
del 
ricorso, ma 
senza 
mai 
eliminarli 
in toto�: 
cos� 
gIuSTI 
A., il 
contenuto conformativo della sentenza 
del giudice amministrativo, napoli, 2012, 207 e 208. 
(17) Invero, � 
stato obiettato che 
�[�] la 
modulazione 
degli 
effetti 
dell�annullamento nel 
caso 
del 
diritto 
comunitario 
� 
fondata 
su 
presupposti 
peculiari 
e 
non 
si 
pu� 
certamente 
considerare 
una 
regola 
applicabile 
anche 
al 
processo amministrativo nazionale. Infatti, tale 
modulazione, fino ad arrivare 
al-
l�esclusione 
della 
caducazione 
dell�atto, almeno fino al 
momento della 
riedizione 
del 
potere, si 
ha 
nel-
l�ipotesi 
in cui 
il 
vizio sia 
solo formale 
o in cui 
vi 
� 
un interesse 
particolarmente 
forte 
al 
mantenimento 
in vita 
dell�atto. Per la 
Corte 
di 
giustizia, tuttavia, tale 
potere 
deve 
essere 
utilizzato con estrema 
parsimonia, 
nella 
consapevolezza 
che 
si 
potrebbe 
trattare 
di 
fattispecie 
in cui 
viene 
sacrificata 
l'esigenza 
di 
tutela 
piena 
ed effettiva 
del 
privato, derogando a 
quanto da 
esso richiesto con il 
ricorso�: 
cos�, ancora, 
DIPACe 
R., 
l�annullamento 
tra 
tradizione 
e 
innovazione, 
cit. 
In 
tal 
senso 
depongono 
anche 
le 
osservazioni 
di 
gIuSTI 
A., il 
contenuto conformativo della sentenza del 
giudice 
amministrativo, 
cit., 209, ove 
l�Autrice, 
a 
riprova 
della 
validit� 
delle 
sue 
considerazioni, cita 
C.g.C.e., sentenza 
7 luglio 1992, Causa 
C295/
90, 
Parlamento 
c. 
consiglio, 
in 
raccolta, 
1992, 
I-4193, 
nonch� 
individua 
nel 
modello 
sovranazionale descritto �una fattispecie di �non annullamento� tipizzata�. 
(18) MACChIA 
M., l�efficacia temporale 
delle 
sentenze 
del 
giudice 
amministrativo: prove 
di 
imitazione, 
cit., 1313. 
(19) Cfr. in ordine 
al 
potere 
della 
Corte 
di 
regolare 
gli 
effetti 
delle 
proprie 
decisioni 
e 
ai 
relativi 
limiti 
la 
recente 
pronuncia 
con cui 
il 
giudice 
delle 
leggi 
ha 
temporalmente 
modulato gli 
effetti 
della 
sua 
decisione 
e 
ha 
cos� 
statuito: 
�La 
cessazione 
degli 
effetti 
delle 
norme 
dichiarate 
illegittime 
dal 
solo 
giorno 
della 
pubblicazione 
della 
decisione 
nella 
gazzetta 
ufficiale 
della 
Repubblica 
risulta 
costituzionalmente 
necessaria 
allo 
scopo 
di 
contemperare 
tutti 
i 
principi 
e 
i 
diritti 
in 
gioco, 
in 
modo 
da 
impedire 
�alterazioni 
della 
disponibilit� 
economica 
a 
svantaggio di 
alcuni 
contribuenti 
ed a 
vantaggio di 
altri 
garantendo il 
rispetto dei 
principi 
di 
uguaglianza 
e 
di 
solidariet�, che, per il 
loro carattere 
fondante, occupano una 
posizione 
privilegiata 
nel 
bilanciamento con gli 
altri 
valori 
costituzionali� 
(Corte 
cost., 11 febbraio 2015, 
n. 
10). 
La 
dottrina 
sull�argomento 
ha 
pi� 
in 
generale 
precisato 
che 
�La 
limitazione 
temporale 
degli 
effetti 
poteva 
essere 
dovuta 
a 
una 
illegittimit� 
sopravvenuta 
o successiva 
per cui 
una 
determinata 
disciplina 
conforme 
a 
Costituzione 
al 
momento della 
sua 
entrata 
in vigore, pu� diventare 
incostituzionale 
successivamente 
al 
sopravvenire 
di 
fatti 
nuovi, come 
un mutamento legislativo. In questo caso solo da 
quel 
momento deve 
decorrere 
l�effetto della 
dichiarazione 
di 
incostituzionalit�. ulteriore 
ipotesi 
era 
quella 
della 
decisione 
di 
accoglimento non retroattiva 
o parzialmente 
retroattiva 
dovuta 
al 
c.d. bilanciamento 

RASSegnA 
AvvoCATuRA 
DeLLo 
STATo - n. 4/2016 


stato 
precisato 
che 
tale 
modulazione, 
�anche 
al 
di 
l� 
di 
una 
specifica 
previsione 
di 
legge, nel 
caso della 
Corte 
costituzionale 
si 
giustifica 
in base 
al 
ruolo che 
la 
stessa 
svolge 
nel 
nostro 
ordinamento 
democratico 
[�]. 
Mentre 
la 
Corte, 
nell�opera 
di 
individuazione 
del 
punto di 
minor sofferenza 
tra 
i 
valori 
costituzionali 
in gioco, non sembra 
mai 
essersi 
sostituita 
all�organo legislativo invadendone 
il 
campo, 
il 
giudice 
amministrativo, 
allorch� 
utilizza 
l�autoproclamato 
potere 
di 
modulazione 
degli 
effetti 
dell�annullamento, lo fa 
proprio in chiave 
sostitutoria 
della 
pubblica 
amministrazione, 
operando 
una 
valutazione 
sulla 
opportunit� 
o 
meno 
del 
mantenimento 
degli 
effetti 
per 
tutelare 
un 
interesse 
pubblico. Ma 
questo non � 
il 
ruolo che 
l�ordinamento ha 
assegnato al 
giudice 
amministrativo, almeno, non � 
il 
ruolo che 
gli 
� 
stato assegnato all�interno del 
processo di annullamento� (20). 


Le 
riflessioni 
suesposte 
rivelano 
la 
sussistenza 
di 
un 
pericolo 
atavico 
nella 
riconosciuta 
�flessibilit�� 
degli 
effetti 
dell�annullamento 
giurisdizionale: 
la 
sovrapposizione 
dell�esercizio delle 
funzioni 
di 
iusdicere 
a 
quelle 
di 
amministrazione 
attiva. 


3. l�annullamento �atipico� del provvedimento tipico. 
� 
fuor di 
dubbio che 
l�impostazione 
fatta 
propria 
dalla 
Sesta 
Sezione 
del 
Massimo Consesso di 
giustizia 
amministrativa 
abbia 
ridefinito la 
tradizionale 
fisionomia 
dell�azione 
di 
annullamento del 
provvedimento amministrativo, a 
sua volta connotato da tipicit� (21), e, in particolare, della relativa decisione. 

� 
noto 
che, 
fin 
dall�istituzione 
della 
Quarta 
Sezione 
del 
Consiglio 
di 
Stato 
(22), 
l�azione 
costitutiva 
di 
annullamento 
dell�atto 
impugnato 
ha 
costituito 
l��azione 
principe� 
innanzi 
al 
giudice 
amministrativo in sede 
di 
giurisdizione 
generale 
di 
legittimit�, 
mediante 
la 
quale 
-in 
caso 
di 
positivo 
esperimento 
della 
iniziativa 
processuale 
- si 
produce 
l�effetto demolitorio, ossia 
l�elimina


di 
valori. L�operazione 
che 
in questo caso svolge 
la 
Corte 
� 
quella 
di 
non far retroagire 
gli 
effetti 
del-
l�annullamento 
poich�, 
per 
tutelare 
un 
valore 
costituzionale, 
si 
provocherebbero 
danni 
rispetto 
a 
un 
altro 
valore 
ugualmente 
protetto dalla 
Carta 
fondamentale. Qui 
il 
giudice 
tenta 
di 
individuare 
il 
punto di 
minore 
sofferenza 
per 
entrambi 
i 
valori 
costituzionali 
in 
gioco, 
anche 
attraverso 
l'utilizzo 
delle 
c.d. 
sentenze 
monitorie�: 
cos� 
DIPACe 
R., l�annullamento tra tradizione 
e 
innovazione: la problematica flessibilit� 
dei poteri del giudice amministrativo, 
cit. 


(20) ID., ibidem. 
(21) �[�] ultimi 
due 
caratteri 
del 
provvedimento amministrativo sono quelli 
di 
tipicit� 
e 
nominativit�, 
corollari 
applicativi 
del 
principio di 
legalit� 
dell�azione 
amministrativa. In forza 
del 
principio 
di 
tipicit�, i 
provvedimenti 
devono essere 
previsti 
dalla 
legge 
che 
ne 
deve 
individuare 
funzione 
e 
contenuto: 
ogni 
provvedimento risponde, infatti, ad una 
causa 
tipica 
prevista 
dalla 
norma 
(la 
stessa 
causa 
che 
giustifica 
l�attribuzione 
del 
potere 
amministrativo 
in 
capo 
ad 
un 
soggetto 
pubblico), 
che 
ne 
definisce 
il contenuto�: cos� gARoFoLI 
R., FeRRARI 
g., manuale di diritto amministrativo, Roma, 2016, 845. 
(22) La 
legge 
31 marzo 1889, n. 5992 istitu� 
la 
Quarta 
Sezione 
del 
Consiglio di 
Stato con competenza 
generale 
sulle 
controversie 
tra 
le 
autorit� 
statali 
ed i 
privati 
nelle 
quali 
si 
faceva 
questione 
di 
interessi 
legittimi 
(fino 
a 
quel 
momento 
devolute 
alla 
competenza 
della 
stessa 
Amministrazione); 
all�esito 
di 
tale 
intervento legislativo residuavano alla 
magistratura 
ordinaria 
le 
questioni 
fra 
cittadini 
e 
Amministrazione 
inerenti a diritti soggettivi. 

ConTRIbuTI 
DI 
DoTTRInA 


zione 
dell�atto gravato dal 
mondo giuridico con cessazione 
dei 
relativi 
effetti: 
ci� si 
ritiene 
non comporti 
indebite 
ingerenze 
negli 
ambiti 
riservati 
all�Amministrazione, 
in ragione 
della 
impossibilit� 
per l�autorit� 
giurisdizionale 
di 
dettare 
una 
regolamentazione 
diretta 
degli 
interessi 
in 
contesa, 
demandata 
alla 


P.A. tenuta 
ad emanare 
un atto amministrativo in sostituzione 
di 
quello giudicato 
illegittimo (23). 
Il 
principale 
effetto 
dell�annullamento 
si 
traduce, 
quindi, 
nell�estinzione 
delle 
situazioni 
giuridiche 
create 
dall�atto 
annullato 
(effetto 
distruttivo), 
nonch� 
nella 
ricostruzione 
delle 
situazioni 
giuridiche 
soggettive 
preesistenti 
(effetto 
ripristinatorio). 
A 
questi 
si 
affianca 
l�effetto 
preclusivo, 
che 
pu� 
essere 
cos� 
inteso: 
se 
nel 
tempo 
intermedio 
tra 
l�adozione 
dell�atto 
e 
l�annullamento 
si 
avvera 
un 
fatto 
a 
effetto 
preclusivo, 
l�effetto 
rispristinatorio 
non 
si 
dispiega 
(24). 


L�azione 
di 
annullamento produce 
anche 
l�effetto conformativo, volto a 
disciplinare 
l�attivit� 
successiva 
dell�Amministrazione 
ed 
esecutiva 
della 
pronuncia 
(25). 


L�annullamento 
che 
consegue 
alla 
rilevazione 
del 
vizio 
opera 
di 
regola 
ex 
tunc, 
privando 
l�atto 
dell�efficacia 
interinale 
che 
aveva 
dispiegato 
e 
imponendo 
l�obbligo 
della 
restitutio 
in 
integrum 
con 
riguardo 
alle 
situazioni 
soggettive 
eventualmente 
compromesse. 
Se, 
invece, 
l�annullamento 
non 
comportasse 
l�eliminazione 
retroattiva 
dell�atto, 
si 
assisterebbe 
a 
un 
fenomeno 
riconducibile 
al 
diverso 
istituto 
della 
disapplicazione 
dell�atto 
amministrativo 
a 
seguito 
dell�accertamento 
della 
sua 
illegittimit�; 
invero, 
l�annullamento 
consiste 
nella 
eliminazione 
della 
rilevanza 
ed 
efficacia 
giuridica 
attribuite 
a 
un 
atto 
inficiato 
da 
un 
vizio 
che 
non 
ne 
produce 
la 
inesistenza 
giuridica, 
ma 
che 
lo 
rende 
precario, 
sicch� 
l�ordinamento, 
concorrendo 
alcuni 
presupposti, 
pu� 
far 
venir 
meno 
la 
rilevanza 
e 
l�efficacia 
dell�atto 
stesso, 
il 
quale 
sopravvive 
unicamente 
come 
dichiarazione, 
fenomeno 
psicologico 
e 
non 
pi� 
giuridico 
(26). 


Pertanto, l�effetto eliminatorio � 
conseguenza 
indefettibile 
dell�accoglimento 
dell�azione 
di 
annullamento di 
un atto illegittimo: 
� 
un effetto indisponibile 
sia 
da 
parte 
del 
ricorrente 
promotore 
della 
domanda 
caducatoria, 
che 
da 
parte 
del 
giudice. Alla 
luce 
di 
siffatta 
constatazione 
e 
come 
anticipato, in dottrina 
si 
� 
ritenuto 
non 
condivisibile 
l�orientamento 
espresso 
dalla 
Sesta 
Sezione 
del Consiglio di Stato con la menzionata decisione 10 maggio 2011, n. 2755, 
che 
ha 
legittimato 
il 
giudice 
investito 
della 
domanda 
di 
demolizione 
di 
un 
provvedimento 
amministrativo 
a 
non 
decretarne 
l�eliminazione, 
quando 
ci� 


(23) 
FoLLIeRI 
e., 
le 
azioni 
costitutive, 
in 
SCoCA 
F.g. 
(a 
cura 
di), 
giustizia 
amministrativa, 
Torino, 
2013, 183 e 184. 
(24) 
DIPACe 
R., 
l�annullamento 
tra 
tradizione 
e 
innovazione: 
la 
problematica 
flessibilit� 
dei 
poteri del giudice amministrativo, 
cit. 
(25) FoLLIeRI 
e., le azioni costitutive, 
cit., 187. 
(26) 
DIPACe 
R., 
l�annullamento 
tra 
tradizione 
e 
innovazione: 
la 
problematica 
flessibilit� 
dei 
poteri del giudice amministrativo, 
cit. 

RASSegnA 
AvvoCATuRA 
DeLLo 
STATo - n. 4/2016 


sia 
utile 
alle 
esigenze 
di 
salvaguardia 
delle 
posizioni 
del 
privato, e 
ci� perch� 
�l�azione 
di 
annullamento � 
tipica 
ed il 
suo effetto necessario � 
il 
venir meno 
dell�atto impugnato ritenuto illegittimo, non disponibile 
da 
parte 
del 
giudice� 
(27). Per converso, questa 
stessa 
impostazione 
considera 
disponibili 
l�effetto 
conformativo, nonch� 
- in peculiari 
ipotesi 
- la 
decorrenza 
degli 
effetti 
di 
annullamento 
(28). 


Alla 
stregua 
di 
quanto 
osservato 
l��atipicit�� 
dell�annullamento 
giurisdizionale 
come 
delineata 
dalla 
succitata 
pronuncia 
del 
maggio 2011 si 
coglie, 
non 
nella 
possibile, 
quantunque 
straordinaria, 
modulazione 
temporale 
della 
corrispondente 
efficacia 
caducante, 
bens� 
nella 
parte 
in 
cui 
non 
elimina 
un 
atto 
di cui accerta e riconosce l�illegittimit�. 


Il 
�non 
annullamento� 
giurisdizionale 
dell�atto 
illegittimo, 
soprattutto 
allorch� 
quest�ultimo sia 
espressivo di 
peculiari 
funzioni 
in titolarit� 
dell�Amministrazione, 
come 
quella 
di 
regolazione, ripropone 
l�eterno problema 
della 
violazione 
del 
principio di 
separazione 
dei 
poteri 
per effetto dello sconfinamento 
dell�esercizio 
di 
quello 
giurisdizionale 
nell�ambito 
riservato 
a 
quello 
amministrativo. Ma, a 
ben vedere, anche 
quando la 
sentenza 
di 
annullamento 
disponga 
una 
particolare 
modulazione 
temporale 
della 
sua 
efficacia, non minori 
sono 
le 
interferenze 
apprezzabili 
fra 
l�esercizio 
dei 
poteri 
facenti 
capo, 
rispettivamente, all�autorit� giurisdizionale e a quella amministrativa. 


4. il trend giurisprudenziale adesivo. 
D�altronde, nonostante 
le 
criticit� 
evidenziate 
e 
prontamente 
sottolineate 
dalla 
dottrina, l�orientamento favorevole 
alla 
flessibilit� 
degli 
effetti 
eliminatori 
di 
una 
pronuncia 
caducatoria 
ha 
trovato applicazione 
significativa 
nella 
giurisprudenza, sia 
di 
merito che 
di 
legittimit�. Di 
talch�, occorre 
verificare 
l�impatto 
di 
tale 
diffusa 
opzione 
esegetica 
sull�esercizio 
dei 
poteri 
spettanti 
all�Amministrazione. 


Invero, 
i 
Tribunali 
amministrativi 
regionali 
non 
hanno 
esitato 
ad 
applicare 
i 
principi 
statuiti 
dalla 
Sesta 
Sezione 
del 
Consiglio di 
Stato, talvolta 
anche 
in 
mancanza 
della 
sussistenza 
dei 
presupposti 
all�uopo enucleati 
dai 
giudici 
di 
Palazzo Spada. 

In tal 
senso rilevano, esemplificativamente, quei 
pronunciamenti 
resi 
dal 


(27) FoLLIeRI 
e., le azioni costitutive, 188. 
(28) ID., ibidem. In dettaglio, le 
situazioni 
che 
secondo l�Autore 
legittimano la 
modulazione 
temporale 
degli 
effetti 
della 
sentenza 
di 
annullamento sono le 
seguenti: 
�a) quando il 
�fatto�, frattanto determinatosi, 
non sia 
ripristinabile 
(diniego di 
rilascio di 
passaporto che 
impedisca 
di 
partecipare 
ad un 
convegno 
in 
un 
Paese 
estero 
e 
che 
si 
sia 
gi� 
tenuto 
quando 
interviene 
la 
decisione 
del 
giudice); 
b) 
quando 
� 
nell�interesse 
del 
ricorrente 
che 
l�annullamento non comporti 
la 
retroazione 
totale 
o parziale 
degli 
effetti; 
c) quando il 
giudice 
ritenga 
che 
gli 
effetti 
ex 
tunc, parziali 
o totali, non soddisfino l�interesse 
del 
ricorrente 
e, 
anzi, 
si 
risolvano 
in 
una 
lesione 
del 
suo 
interesse. 
Il 
primo 
caso 
� 
una 
conseguenza 
del 
factum 
infectum 
fieri 
nequit; 
il 
secondo ed il 
terzo sono funzionali 
alle 
esigenze 
di 
tutela 
del 
ricorrente 
e nella disponibilit� di quest�ultimo e del giudice�. 

ConTRIbuTI 
DI 
DoTTRInA 


T.A.R. 
Abruzzo 
e 
dal 
T.A.R. 
Lazio, 
che 
si 
pongono 
nel 
solco 
interpretativo 
tracciato 
dall�Alto 
Consesso 
di 
giustizia 
amministrativa 
il 
10 
maggio 
2011 
(29). In particolare, il 
giudice 
abbruzzese 
ha 
applicato i 
principi 
suddetti 
nel-
l�ambito di 
una 
vicenda 
riguardante 
il 
richiesto annullamento di 
strumenti 
di 
pianificazione 
urbanistica 
adottati 
da 
un ente 
comunale, sino a 
pervenire 
all�accoglimento 
della 
domanda 
demolitoria 
e, 
al 
contempo, 
a 
modulare 
temporalmente 
gli 
effetti 
della 
conseguente 
sentenza 
(30); 
il 
Tribunale 
laziale 
ha 
calibrato gli 
effetti 
della 
tutela 
costitutiva 
con riferimento ad una 
controversia 
attinente 
alla 
gara 
per l�affidamento in concessione 
del 
servizio pubblico di 
distribuzione del gas (31). 
Di 
recente, anche 
il 
Tribunale 
amministrativo della 
Regione 
molisana 
ha 
ribadito la 
possibilit� 
di 
modulare 
la 
retroattivit� 
degli 
effetti 
della 
sentenza 
di 
annullamento 
�in 
casi 
specifici� 
(32). 
Fra 
questi 
si 
situa, 
emblematicamente, 
quello 
che 
� 
stato 
oggetto 
di 
cognizione 
e 
recente 
decisione 
ad 
opera 
del 
T.A.R. 
ligure, investito della 
domanda 
di 
caducazione 
di 
una 
serie 
di 
atti 
relativi 
alla 
mancata 
ammissione 
alla 
classe 
successiva 
di 
un�alunna 
di 
un 
liceo 
scientifico 
savonese, 
conseguita 
alla 
negativa 
valutazione 
riportata 
nello 
scrutinio 
di 
giugno 
prima 
e 
in quello �di 
riparazione� 
di 
agosto poi, nelle 
sole 
materie 
di 
matematica 
e 
fisica: 
orbene, 
il 
giudice 
amministrativo 
ha 
ritenuto 
fondate 
le 
doglianze 
proposte, 
ammettendo 
la 
�flessibilizzazione� 
dell�efficacia 
della 


(29) Trattasi 
delle 
pronunce 
seguenti: 
T.A.R. Abruzzo, Pescara, 13 dicembre 
2011, n. 693; 
T.A.R. 
Lazio, Roma, Sez. II-ter, 13 luglio 2012, n. 6418. 
(30) Difatti, il 
T.A.R. Abruzzo, Pescara, 13 dicembre 
2011, n. 693, cos� 
ha 
statuito: 
�annulla 
le 
norme 
tecniche 
di 
attuazione 
nella 
parte 
che 
nelle 
aree 
della 
parte 
ricorrente 
impone 
lo strumento attuativo, 
a 
far 
tempo 
dall�adozione; 
annulla 
in 
toto 
dette 
norme 
tecniche 
di 
attuazione 
a 
partire 
dal 
momento 
-successivo 
all�adozione, 
la 
quale 
conserva 
quindi 
il 
suo 
valore 
anche 
in 
salvaguardia 
-in 
cui 
� 
mancata 
la 
sottoposizione 
alla 
valutazione 
ambientale 
strategica 
e 
alla 
verifica 
di 
conformit� 
alla 
pianificazione 
sovraordinata, come 
visto necessarie 
nel 
caso; 
il 
Comune 
in relazione 
all�intera 
variante 
in questione 
(a 
parte 
le 
parti 
annullate 
gi� 
dall�adozione) dovr� 
sottoporla 
alla 
valutazione 
ambientale 
e 
di 
conformit� 
alla 
pianificazione 
superiore, eventualmente 
riesaminarla 
in toto 
nella 
sua 
discrezionalit�, usufruendo 
delle 
norme 
di 
salvaguardia, entro un tempo massimo di 
mesi 
otto dalla 
notificazione 
o comunicazione 
della 
presente 
sentenza, trascorso il 
quale 
la 
variante 
stessa 
perder� 
efficacia 
in toto 
con riviviscenza 
della precedente normativa e obbligo di rideterminarsi�. 
(31) Il 
Tribunale 
Amministrativo Regionale 
per il 
Lazio, con la 
sentenza 
13 luglio 2012, n. 6418 
cit., 
ha 
cos� 
deciso: 
�respinte 
le 
eccezioni 
preliminari 
di 
irricevibilit� 
e 
improcedibilit�, 
accoglie 
il 
ricorso 
incidentale 
[�] e, per l�effetto, annulla 
con efficacia 
ex 
nunc 
l�azione 
amministrativa 
nella 
parte 
in cui 
non 
aveva 
escluso 
dalla 
gara 
la 
ricorrente 
principale 
[�], 
la 
cui 
offerta 
tecnica 
conteneva 
anche 
elementi 
dell�offerta economica [..]�. 
(32) Cfr. T.A.R. Molise, Campobasso, Sez. I, 4 maggio 2015, n. 187, secondo cui: 
�[�] con il 
ricorso 
introduttivo, in coerenza 
con la 
strutturazione 
impugnatoria 
del 
processo amministrativo, il 
ricorrente 
ha 
chiesto 
l�annullamento 
del 
provvedimento 
di 
diniego 
del 
riconoscimento 
della 
causa 
di 
servizio 
e 
del 
parere 
vincolante 
del 
Comitato di 
verifica 
su cui 
esso si 
fonda, con la 
conseguenza 
che 
l�eventuale 
accoglimento 
della 
domanda 
non 
determinerebbe 
unicamente 
un 
esito 
di 
accertamento, 
ma 
radicherebbe 
in capo all�Amministrazione 
un obbligo di 
provvedere 
nuovamente 
sull�istanza 
di 
riconoscimento della 
dipendenza 
da 
causa 
di 
servizio, dovendosi 
ritenere 
i 
provvedimenti 
oggetto di 
annullamento giurisdizionale 
tamquam 
non esset, salvo la 
possibilit� 
di 
modulare 
la 
retroattivit� 
degli 
effetti 
riconosciuta 
in 
casi specifici dalla recente giurisprudenza (cfr. Cons. Stato, Sez. vI., 10 maggio 2011, n. 2755)�. 

RASSegnA 
AvvoCATuRA 
DeLLo 
STATo - n. 4/2016 


pronuncia 
caducatoria, poich� 
�[�] l�annullamento retroattivo degli 
atti 
impugnati 
non gioverebbe 
alla 
ricorrente, che 
nelle 
more 
del 
giudizio ha 
proseguito 
la 
carriera 
scolastica 
e 
frequenta 
attualmente 
il 
quinto 
anno 
del 
liceo 
scientifico� 
e 
atteso che 
�l�eventuale 
pronuncia 
d�annullamento sic 
et 
simpliciter 
degli 
atti 
impugnati 
non solo sarebbe 
inutiliter 
data, ma 
potrebbe 
addirittura 
mettere 
in 
dubbio 
la 
validit� 
della 
carriera 
scolastica 
percorsa 
dalla 
ricorrente 
nelle 
more 
del 
giudizio�; 
invero, �[�] per garantire 
l�effettivit� 
di 
tutela, anche 
in vista 
dell�eventuale 
domanda 
di 
ristoro dei 
danni 
sofferti, il 
collegio 
ritiene 
-richiamando 
l�arresto 
giurisprudenziale 
(cfr. 
C.S., 
vI, 
10 
maggio 2011 n. 2755) che, in ragione 
della 
pretesa 
sostanziale 
dedotta 
in giudizio, 
ammette 
una 
opportuna 
�modulazione� 
del 
tipo 
e 
degli 
effetti 
della 
sentenza 
d�accoglimento 
-di 
dichiarare 
l�illegittimit� 
degli 
atti 
impugnati 
e 
di 
annullarli 
solo con effetto ex 
nunc, fatta 
salva 
la 
successiva 
carriera 
scolastica 
della ricorrente� (33). 


I giudici 
del 
Consiglio di 
Stato, del 
pari, hanno dato continuit� 
all�impostazione 
favorevole 
alla 
modulazione 
dell�efficacia 
della 
pronuncia 
di 
annullamento. 


La 
Quinta 
Sezione 
del 
citato 
Consesso, 
significativamente, 
seppure 
attraverso 
un obiter 
dictum, ha 
chiarito come 
sia 
doveroso annullare 
atti 
autoritativi 
ritualmente 
impugnati 
e 
risultati 
illegittimi, 
a 
meno 
che 
sussistano 
le 
ragioni 
ostative 
�individuate 
dalla 
giurisprudenza 
di 
questo Consiglio: 
v. Sez. 
vI, 10 maggio 2011, n. 2755� (34). 

Detta 
continuit�, 
per 
quanto 
qui 
interessa, 
si 
apprezza 
anche 
con 
riguardo 
ad 
ambiti 
particolarmente 
rilevanti 
sul 
piano 
socio-economico, 
quali 
sono 
i 
comparti 
vigilati 
e 
presidiati 
dalle 
Autorit� 
amministrative 
indipendenti. 
In 
particolare, il 
Consiglio di 
Stato, modulando gli 
effetti 
delle 
decisioni 
caducatorie 
di 
provvedimenti 
regolatori 
adottati 
dai 
garanti 
e 
giudicati 
illegittimi, 
� 
talvolta 
intervenuto 
a 
preservarne 
gli 
effetti 
al 
dichiarato 
fine 
di 
evitare 
vuoti 
regolamentari. 


emblematica 
di 
siffatta 
tendenza 
risulta 
una 
sentenza 
emessa 
nell�anno 
2012 dalla 
Terza 
Sezione 
(35), che, confermando la 
pronuncia 
del 
giudice 
di 
primo grado, ha 
dichiarato illegittimo l�art. 5 della 
delibera 
n. 366/10/ConS 
adottata 
dal 
garante 
delle 
Comunicazioni, avente 
ad oggetto il 
piano di 
numerazione 
automatica 
dei 
canali 
della 
televisione 
digitale 
terrestre 
in chiaro e 
a 
pagamento, 
le 
modalit� 
di 
attribuzione 
dei 
numeri 
ai 
fornitori 
di 
servizi 


(33) T.A.R., Liguria, genova, Sez. II, 22 gennaio 2014, n. 102. 
(34) Cons. St., Sez. v, 11 febbraio 2014, n. 645. 
(35) 
Cons. 
St., 
Sez. 
III, 
31 
agosto 
2012, 
n. 
4658, 
su 
cui 
si 
segnala 
la 
nota 
di 
TAgLIAneTTI 
g., 
i 
limiti 
del 
sindacato 
giurisdizionale 
amministrativo 
sulle 
valutazioni 
tecniche 
complesse 
delle 
autorit� 
indipendenti: 
punti 
fermi 
e 
perduranti 
incertezze, 
in 
foro 
amm.-cds, 
11/2012, 
2817, 
ove 
l�Autore 
esplicitamente 
afferma 
che 
la 
prefata 
sentenza 
del 
2012, 
�sviluppando 
spunti 
gi� 
offerti 
dalla 
sesta 
sezione 
del 
Consiglio 
di 
Stato 
n. 
2755/2011, 
ha 
voluto 
evitare 
che 
si 
determinasse 
un�assenza 
di 
regolamentazione�. 

ConTRIbuTI 
DI 
DoTTRInA 


media 
audiovisivi 
autorizzati 
alla 
diffusione 
di 
contenuti 
audiovisivi 
in 
tecnica 
digitale 
terrestre 
e 
le 
corrispondenti 
condizioni 
di 
utilizzo; 
la 
suddetta 
delibera 
prevedeva 
l�utilizzazione 
delle 
graduatorie 
Corecom 
come 
criterio per l�assegnazione 
automatica dei canali alle emittenti locali. 

I 
giudici 
di 
Palazzo 
Spada, 
con 
la 
citata 
pronuncia, 
hanno 
ritenuto 
i 
criteri 
stabiliti 
dal 
garante 
non pienamente 
conformi 
al 
dettato legislativo. Pertanto, 
il 
Consiglio di 
Stato ha 
condannato l�Autorit� 
per le 
garanzie 
nelle 
Comunicazioni 
ad adottare 
nuove 
determinazioni 
per l�assegnazione 
automatica 
dei 
canali 
sul 
telecomando delle 
emittenti 
locali, impiegando un metodo pi� adeguato 
per accertare 
le 
abitudini 
e 
le 
preferenze 
degli 
utenti, quale 
criterio prescritto 
dalla 
legge; 
nondimeno, 
allo 
scopo 
di 
evitare 
lacune 
regolamentari 
nella 
programmazione 
delle 
emittenti, 
la 
medesima 
decisione 
ha 
prorogato 
gli 
effetti 
del 
piano di 
numerazione 
automatica 
dei 
canali 
televisivi, mantenendo ferma 
nelle 
more 
l�efficacia 
del 
menzionato provvedimento amministrativo - quantunque 
giudicato illegittimo - e, dunque, differendo gli 
effetti 
del 
disposto annullamento 
giurisdizionale. 


Coerente 
con siffatto trend 
risulta 
pure 
la 
pronuncia 
7 gennaio 2013, n. 
21, emanata 
ancora 
dalla 
Terza 
Sezione 
del 
Consiglio di 
Stato e 
anche 
allora 
con riferimento a 
una 
vicenda 
che 
vedeva 
coinvolto il 
garante 
delle 
Comunicazioni: 
con 
riguardo 
a 
talune 
delibere 
adottate 
dall�Agcom 
per 
la 
regolamentazione 
degli 
obblighi 
di 
cui 
all�art. 
50 
del 
codice 
delle 
comunicazioni 
elettroniche 
(36), 
il 
Supremo 
Consesso 
ha 
statuito 
che 
�al 
fine 
di 
prevenire 


(36) L�art. 50 del 
codice 
delle 
comunicazioni 
elettroniche, di 
cui 
al 
decreto legislativo 1 agosto 
2003, n. 259, nel 
Titolo II (�Reti 
e 
servizi 
di 
comunicazione 
elettronica 
ad uso pubblico�) e, in particolare, 
nel 
Capo III (�Accesso ed interconnessione�), nell�ambito della 
Sezione 
II (�obblighi 
degli 
operatori 
e 
procedure 
di 
riesame 
del 
mercato�), pone 
gli 
�obblighi 
in materia 
di 
controllo dei 
prezzi 
e 
di 
contabilit� 
dei 
costi�, cos� 
prevedendo: 
�1. Ai 
sensi 
dell'articolo 45, per determinati 
tipi 
di 
interconnessione 
e 
di 
accesso l�Autorit� 
pu� imporre 
obblighi 
in materia 
di 
recupero dei 
costi 
e 
controlli 
dei 
prezzi, 
tra 
cui 
l�obbligo che 
i 
prezzi 
siano orientati 
ai 
costi, nonch� 
l�obbligo di 
disporre 
di 
un sistema 
di 
contabilit� 
dei 
costi, qualora 
l�analisi 
del 
mercato riveli 
che 
l�assenza 
di 
un�effettiva 
concorrenza 
comporta 
che 
l�operatore 
interessato 
potrebbe 
mantenere 
prezzi 
ad 
un 
livello 
eccessivamente 
elevato 
o 
comprimerli 
a 
danno dell�utenza 
finale. Per incoraggiare 
gli 
investimenti 
effettuati 
dall�operatore 
anche 
nelle 
reti 
di 
prossima 
generazione, l�Autorit� 
tiene 
conto degli 
investimenti 
effettuati 
dall�operatore 
e 
gli 
consente 
un�equa 
remunerazione 
del 
capitale 
investito, 
purch� 
congruo, 
in 
considerazione 
di 
eventuali 
rischi 
specifici 
di 
un nuovo progetto particolare 
di 
investimento nella 
rete. 2. L�Autorit� 
provvede 
affinch� 
tutti 
i 
meccanismi 
di 
recupero dei 
costi 
o metodi 
di 
determinazione 
dei 
prezzi 
resi 
obbligatori 
servano a 
promuovere 
l�efficienza 
e 
la 
concorrenza 
sostenibile 
ed 
ottimizzino 
i 
vantaggi 
per 
i 
consumatori. 
Al 
riguardo 
l�Autorit� 
pu� anche 
tener conto dei 
prezzi 
applicati 
in mercati 
concorrenziali 
comparabili. 3. Qualora 
un operatore 
abbia 
l�obbligo di 
orientare 
i 
propri 
prezzi 
ai 
costi, ha 
l�onere 
della 
prova 
che 
il 
prezzo applicato 
si 
basa 
sui 
costi, maggiorati 
di 
un ragionevole 
margine 
di 
profitto sugli 
investimenti. Per determinare 
i 
costi 
di 
un�efficiente 
fornitura 
di 
servizi, 
l�Autorit� 
pu� 
approntare 
una 
metodologia 
di 
contabilit� 
dei 
costi 
indipendente 
da 
quella 
usata 
dagli 
operatori. 
L�Autorit� 
pu� 
esigere 
che 
un 
operatore 
giustifichi 
pienamente 
i 
propri 
prezzi 
e, ove 
necessario, li 
adegui. 4. L�Autorit� 
provvede 
affinch�, qualora 
sia 
imposto un sistema 
di 
contabilit� 
dei 
costi 
a 
sostegno di 
una 
misura 
di 
controllo dei 
prezzi, sia 
pubblicata 
una 
descrizione, che 
illustri 
quanto meno le 
categorie 
principali 
di 
costi 
e 
le 
regole 
di 
ripartizione 
degli 
stessi. La 
conformit� 
al 
sistema 
di 
contabilit� 
dei 
costi 
� 
verificata 
da 
un organismo indi

RASSegnA 
AvvoCATuRA 
DeLLo 
STATo - n. 4/2016 


possibili 
difficolt� 
in 
sede 
esecutiva 
ed 
in 
osservanza 
del 
principio 
di 
buon 
andamento, 
appare 
opportuno consentire 
in via 
straordinaria 
all�Autorit� 
per le 
garanzie 
nelle 
Comunicazioni 
di 
disporre 
il 
mantenimento degli 
effetti 
della 
delibera (446/08/ConS) annullata, peraltro gi� storicamente sterilizzati�. 


In ragione 
di 
tali 
dicta 
si 
rende 
evidente 
il 
contatto fra 
l�esercizio della 
funzione 
giurisdizionale 
del 
giudice 
amministrativo e 
l�attuazione 
dei 
poteri 
di 
regolazione 
spettanti 
all�authority. 
Siffatta 
interferenza, 
nel 
pronunciamento 
reso il 
21 gennaio 2013, emerge 
nitidamente 
anche 
dalla 
indicazione 
rivolta 
al 
garante 
dai 
giudici 
di 
Palazzo Spada 
circa 
le 
concrete 
modalit� 
mediante 
le 
quali 
l�Autorit� 
avrebbe 
dovuto adempiere 
all�obbligo di 
prestare 
ottemperanza 
alla 
pronuncia 
di 
annullamento menzionata: 
il 
Consiglio di 
Stato �suggerisce� 
ad 
Agcom, 
oltre 
al 
�ripristino 
della 
situazione 
anteriore�, 
la 
�rinnovazione 
del 
procedimento, 
ora 
per 
allora, 
emendato 
dai 
vizi 
riscontrati�. 


5. le interferenze dell�annullamento �atipico� con la regolazione. 
Di 
talch�, non � 
dubbio, oggi, che 
le 
decisioni 
giudiziarie 
impattino sul 
potere 
regolatorio e, per tal 
via, sul 
mercato, che, dunque, viene 
conformato 
non pi� solo dai 
Regolatori, bens� 
anche 
dal 
giudice, in quanto titolare 
di 
una 
giurisdizione piena e assoluta. 

Per vero, nei 
mercati 
regolati, in cui 
il 
fisiologico dispiegarsi 
dell�iniziativa 
economica 
� 
sottoposto a 
funzioni 
di 
regolazione, vigilanza, controllo e 
repressione, demandate 
ad Autorit� 
settoriali 
e 
indipendenti 
dal 
potere 
esecutivo, 
il 
modello 
della 
giurisdizione 
esclusiva 
-forgiata 
sulle 
direttrici 
disegnate 
dalla 
Corte 
Costituzionale 
con le 
note 
pronunce 
del 
2004 e 
del 
2006, trova 
la 
sua 
�pi� 
congeniale 
modalit� 
di 
applicazione�: 
l�art. 
133, 
comma 
1, 
lett. 
l), 


c.p.a. attribuisce 
al 
giudice 
amministrativo una 
giurisdizione 
�piena� 
con riferimento 
a 
tutte 
le 
possibili 
esplicazioni 
delle 
ampie 
e 
pervasive 
prerogative 
delle 
Autorit� 
di 
garanzia 
(37). Inoltre, leggendo la 
norma 
suddetta 
in combipendente 
dalle 
parti 
interessate, 
avente 
specifiche 
competenze, 
incaricato 
dall�Autorit�. 
� 
pubblicata 
annualmente 
una 
dichiarazione 
di 
conformit� 
al 
sistema. 
I 
costi 
relativi 
alle 
verifiche 
rientrano 
tra 
quelli 
coperti ai sensi dall�articolo 34�. 

(37) L�art. 133, comma 
1, lett. l), c.p.a. devolve 
alla 
giurisdizione 
esclusiva 
del 
giudice 
amministrativo 
le 
controversie 
�aventi 
ad oggetto tutti 
i 
provvedimenti, compresi 
quelli 
sanzionatori 
ed esclusi 
quelli 
inerenti 
ai 
rapporti 
di 
impiego privatizzati, adottati 
dalla 
banca 
d�Italia, dagli 
organismi 
di 
cui 
agli 
articoli 
112-bis, 113 e 
128-duodecies 
del 
decreto legislativo 1 settembre 
1993, n. 385, [dalla 
Commissione 
nazionale 
per 
le 
societ� 
e 
la 
borsa,] 
dall�Autorit� 
garante 
della 
concorrenza 
e 
del 
mercato, 
dall�Autorit� 
per le 
garanzie 
nelle 
comunicazioni, dall�Autorit� 
per l�energia 
elettrica 
e 
il 
gas, e 
dalle 
altre 
Autorit� 
istituite 
ai 
sensi 
della 
legge 
14 novembre 
1995, n. 481, dall�Autorit� 
per la 
vigilanza 
sui 
contratti 
pubblici 
di 
lavori, servizi 
e 
forniture, dalla 
Commissione 
vigilanza 
fondi 
pensione, dalla 
Commissione 
per la 
valutazione, la 
trasparenza 
e 
l�integrit� 
della 
pubblica 
amministrazione, dall�Istituto per 
la 
vigilanza 
sulle 
assicurazioni 
private, comprese 
le 
controversie 
relative 
ai 
ricorsi 
avverso gli 
atti 
che 
applicano 
le 
sanzioni 
ai 
sensi 
dell�articolo 
326 
del 
decreto 
legislativo 
7 
settembre 
2005, 
n. 
209�. 
La 
Corte 
Costituzionale, con sentenza 
27 giugno 2012, n. 162 (in gazz. uff., 4 luglio, n. 27), ha 
dichiarato 
l�illegittimit� 
costituzionale 
della 
presente 
lettera 
nella 
parte 
in 
cui 
attribuisce 
alla 
giurisdizione 
esclusiva 

ConTRIbuTI 
DI 
DoTTRInA 


nato disposto con l�art. 134, comma 
1, lett 
c.), c.p.a., che 
devolve 
alla 
giurisdizione 
di 
merito del 
giudice 
amministrativo anche 
le 
controversie 
aventi 
ad 
oggetto 
le 
sanzioni 
pecuniarie 
comminate 
dalle 
authorities, 
si 
giunge 
a 
ritenere 
che 
nella 
materia 
predetta 
il 
giudice 
eserciti 
contemporaneamente 
i 
poteri 
della 
giurisdizione 
esclusiva 
estesa 
anche 
ai 
diritti 
soggettivi, nonch� 
poteri 
decisori 
integralmente 
sostitutivi, 
che 
rappresentano 
il 
carattere 
costitutivo 
della 
giurisdizione 
di 
merito; 
tanto, oltre 
a 
delineare 
una 
giurisdizione 
amministrativa 
assoluta, che 
cumula 
e 
in s� 
esaurisce 
la 
cognizione 
su tutte 
le 
modalit� 
di 
tutela 
nei 
riguardi 
dell�uso autoritativo del 
potere 
in quei 
particolari 
settori, positivizza 
e 
definisce 
la 
fisionomia 
di 
un plesso giurisdizionale 
cos� 
specializzato da 
essere 
in grado di 
esercitare 
in via 
surrogatoria 
poteri 
tipici 
di 
amministrazione 
attiva, 
quale 
quello 
di 
rideterminare 
le 
sanzioni 
pecuniarie 
irrogate 
dai 
garanti 
nell�esercizio delle 
funzioni 
di 
vigilanza 
e 
controllo dei 
comparti loro affidati (38). 


Le 
riferite 
osservazioni 
sono 
corroborate 
dalle 
riflessioni 
di 
autorevole 
dottrina, 
che 
ha 
precisato 
come 
uno 
degli 
sviluppi 
della 
nuova 
costituzione 
economica, 
che 
si 
riflette, 
oggi, 
nello 
�Stato-regolatore�, 
sia 
la 
possibile 
identificazione 
dei 
giudici 
amministrativi 
con �regolatori 
di 
ultima 
istanza�, e 
ci� 
in ragione della depoliticizzazione del controllo pubblico dell�industria (39). 

Del 
resto, il 
legame 
fra 
diritto amministrativo ed economia 
� 
strutturale: 
il 
diritto 
amministrativo 
origina 
dall�esigenza 
di 
fronteggiare 
la 
limitatezza 
dei 
beni 
e 
di 
regolare 
l�accesso dei 
consociati 
ad un bene 
che 
� 
scarso; 
anzi, a 
ben vedere, la 
relazione 
necessaria 
con l�economia 
riguarda 
non solo il 
diritto 
amministrativo, ma 
il 
diritto tout 
court 
ed il 
processo giurisdizionale: 
�[�] Il 
rapporto 
tra 
economia, 
diritto 
e 
giurisdizione 
� 
condizionato 
anche 
dalle 
scelte 
economiche 
di 
fondo 
che 
vengono 
compiute, 
e, 
a 
volte, 
i 
profili 
di 
criticit� 
dei 
sistemi 
processuali 
dipendono anche 
dalle 
scelte 
di 
politica 
economica 
che 
in 
via 
indiretta 
hanno contribuito a 
generarli. � 
in questo spazio [�] che 
si 
colloca 
il 
problema 
del 
rapporto 
fra 
economia 
e 
giustizia 
amministrativa; 
di 
quella 
forma 
di 
giustizia, cio�, nella 
quale 
le 
relazioni 
con l�economia 
si 
fanno pi� 
strette 
e 
vanno alla 
radice 
del 
funzionamento delle 
moderne 
societ� 
capitali-

del 
giudice 
amministrativo 
con 
cognizione 
estesa 
al 
merito 
e 
alla 
competenza 
funzionale 
del 
T.A.R. 
Lazio - sede 
di 
Roma, le 
controversie 
in materia 
di 
sanzioni 
irrogate 
dalla 
Commissione 
nazionale 
per 
le 
societ� 
e 
la 
borsa 
(ConSob). 
Successivamente, 
la 
presente 
lettera 
� 
stata 
nuovamente 
modificata 
dall�articolo 1, comma 
1, lettera 
t), numero 1), del 
decreto legislativo 14 settembre 
2012, n. 160. Da 
ultimo, 
la 
Corte 
Costituzionale, con sentenza 
15 aprile 
2014, n. 94 (in gazz. uff., 23 aprile, n. 18), ha 
dichiarato 
l�illegittimit� 
costituzionale 
della 
presente 
lettera, 
nella 
parte 
in 
cui 
attribuisce 
alla 
giurisdizione 
esclusiva 
del 
giudice 
amministrativo, con cognizione 
estesa 
al 
merito, e 
alla 
competenza 
funzionale 
del 
Tribunale 
amministrativo regionale 
per il 
Lazio - sede 
di 
Roma 
le 
controversie 
in materia 
di 
sanzioni 
irrogate 
dalla banca d�Italia. 


(38) gARoFoLI 
R., FeRRARI 
g., codice 
del 
processo amministrativo, sub artt. 133 e 
134, Roma, 
2012. 
(39) CASSeSe 
S. (a cura di), la nuova costituzione economica, bari, 2015, 323. 

RASSegnA 
AvvoCATuRA 
DeLLo 
STATo - n. 4/2016 


stiche, 
proprio 
perch� 
in 
esse 
convergono, 
si 
mischiano 
e 
si 
incontrano 
le 
questioni 
dell�azione 
amministrativa 
e 
della 
tutela 
giurisdizionale, e 
l�economia 
assume 
anche 
la 
forma 
del 
potere 
pubblico, sul 
quale 
viene 
direttamente 
ad 
incidere 
il 
sindacato giurisdizionale� 
(40). Invero, il 
collegamento fra 
economia 
e 
giustizia 
amministrativa 
� 
duplice: 
in 
quest�ultima, 
�da 
una 
parte, 
l�economia 
si 
fa 
potere, 
anzi 
potere 
pubblico, 
e 
costituisce 
una 
delle 
parti 
necessarie 
del 
processo, un soggetto indispensabile 
di 
esso, la 
parte 
pubblica 
che 
incarna 
le 
scelte 
di 
politica 
economica; 
dall�altra 
l�economia 
si 
fa 
oggetto del 
potere 
e 
del 
suo esercizio, oggetto di 
regolazione, conformazione, promozione, ovvero 
attivit� 
protesa 
al 
conseguimento 
di 
una 
utilit� 
in 
relazione 
all�erogazione 
di 
prestazioni 
contrattuali 
riguardanti 
opere 
o servizi. Il 
sindacato del 
giudice 
amministrativo 
viene, 
di 
conseguenza, 
esercitato 
sia 
sulle 
scelte 
riguardanti 
l�esercizio del 
potere 
economico, sia 
esso un potere 
di 
regolazione 
o di 
autorizzazione 
di 
attivit� 
economiche, 
sia 
invece 
un 
potere 
di 
promozione 
di 
fattori 
di 
sviluppo, quali 
possono essere 
la 
concessione 
di 
incentivi, la 
realizzazione 
di 
infrastrutture 
strategiche, la 
conformazione 
del 
territorio; 
sia, infine, sulle 
iniziative imprenditoriali ed a tutela di queste� (41). 


Il 
nesso che 
intercorre 
fra 
economia 
e 
giustizia 
amministrativa 
si 
coglie, 
quindi, anche 
considerando le 
interferenze 
fra 
l�annullamento giurisdizionale 
e 
l�esercizio del 
potere 
amministrativo di 
regolazione: 
la 
modulazione 
degli 
effetti 
della 
pronuncia 
caducatoria 
colma 
gli 
spazi 
lasciati 
vuoti 
dalla 
regolamentazione 
illegittima. 
D�altronde, 
in 
dottrina 
� 
stato 
evidenziato 
come 
il 
controllo 
giurisdizionale 
sugli 
atti 
espressivi 
del 
potere 
di 
regolazione 
si 
caratterizzi 
anche 
per la 
sua 
capacit� 
di 
rendere 
il 
giudice 
amministrativo giudice 
�dell�interesse pubblico nell�economia� (42). 

In 
realt�, 
in 
letteratura 
� 
stato 
sottolineato 
come 
la 
riconosciuta 
modulabilit� 
dell�efficacia 
della 
tutela 
costitutiva 
lasci 
trasparire 
una 
lacuna 
del 
sistema, 
ossia 
la 
mancanza 
della 
possibilit� 
di 
esperire 
un�autonoma 
azione 
di 
condanna 
ad 
un 
facere 
specifico 
nei 
confronti 
della 
Pubblica 
Amministrazione 
al 
di 
fuori 
delle 
ipotesi 
di 
giurisdizione 
esclusiva 
ovvero 
dell�azione 
risarcitoria 
(43). 


Per 
vero, 
se 
si 
verte 
in 
materia 
di 
giurisdizione 
esclusiva 
e 
si 
� 
in 
presenza 


(40) PAjIno 
A., giustizia amministrativa ed economia, in dir. Proc. amm., 3/2015, 952. 
(41) ID., ibidem. 
(42) In tal 
senso PReTo 
A., CARoTTI 
b., il 
sindacato giurisdizionale 
sulle 
autorit� indipendenti: 
il caso dell�agcom, in riv. trim. di dir. Pubbl., 1/2016, 123. 
(43) 
ex 
art. 
30, 
comma 
1, 
c.p.a. 
Difatti, 
la 
legislazione 
vigente, 
mentre 
abilita 
all�attivazione 
di 
un�azione 
di 
condanna 
pubblicistica 
a 
struttura 
complessa 
ex 
art. 
artt. 
30, 
comma 
1, 
e 
34, 
lett. 
c), 
c.p.a. 
pel 
�rilascio 
di 
un 
provvedimento 
richiesto�, 
non 
legittima 
la 
proposizione 
di 
una 
domanda 
giudiziale 
di 
condanna 
della 
P.A. 
tesa 
all�ottenimento 
di 
un 
atto 
che 
i 
pubblici 
poteri 
avrebbero 
dovuto 
emanare 
ex 
officio. 
D�altronde, 
qualora 
non 
vi 
sia 
alcun 
legame 
procedimentale 
tra 
la 
parte 
ricorrente 
e 
il 
provvedimento 
lesivo 
�neppure 
vi 
sar� 
un�istanza 
rimasta 
disattesa, 
in 
relazione 
alla 
quale 
l�azione 
di 
annullamento 
o 
il 
ricorso 
avverso 
il 
silenzio 
rinvengono 
la 
loro 
ragion 
d�essere�: 
cos� 
CARbone 
A., 
azione 
di 
annullamento, 
ricorso 
incidentale 
e 
perplessit� 
applicative 
della 
modulazione 
degli 
effetti 
caducatori, 
cit. 

ConTRIbuTI 
DI 
DoTTRInA 


di 
un 
atto 
difforme 
da 
quello 
prescritto 
dalla 
relativa 
normativa, 
quale 
ben 
pu� 
essere 
una 
delibera 
espressiva 
del 
potere 
di 
regolazione 
spettante 
ad un�Autorit� 
amministrativa 
indipendente, � 
possibile 
esperire 
un�azione 
autonoma 
di 
condanna, cos� 
compulsando l�Amministrazione 
al 
(corretto) esercizio della 
funzione. Per tal 
via, dunque, il 
giudice 
amministrativo eroga 
la 
tutela 
richiestagli 
coerentemente 
con la 
domanda 
formulata 
dal 
ricorrente 
e, pi� in generale, 
con 
la 
connotazione 
soggettiva 
della 
sua 
giurisdizione 
(44), 
sicch� 
l�eventuale 
modulazione 
degli 
effetti 
di 
una 
pronuncia 
caducatoria 
di 
un 
provvedimento 
regolatorio 
illegittimo 
vale, 
nella 
specie, 
a 
consentire 
la 
salvaguardia 
effettiva 
delle 
posizioni 
del 
cittadino 
(ex 
art. 
1 
c.p.a.) 
frattanto 
venga 
rieditato il 
potere 
amministrativo. In tal 
senso l�esercizio della 
funzione 
giurisdizionale, 
mantenuto 
nei 
limiti 
di 
un 
sindacato 
s� 
�intrinseco� 
e, 
dunque, 
esitante 
in una 
decisione 
dalla 
pi� intesa 
attitudine 
conformativa 
e 
vincolante 
(45), ma 
comunque 
�debole� 
e, quindi, non sostitutivo (46), interferisce 
(ma 
non s�ingerisce) con l�esercizio della funzione amministrativo-regolatoria. 


(44) 
e 
ci� 
conformemente 
alle 
autorevoli 
statuizioni 
della 
giurisprudenza 
amministrativa 
ricordate 
sub 
nota 2, cui sia consentito rinviare. 
(45) Cfr. gARoFoLI 
R., FeRARI 
g., manuale di diritto amministrativo, 
cit., 814. 
(46) �Il 
limite 
del 
sindacato giurisdizionale 
sulla 
c.d. discrezionalit� 
tecnica, al 
di 
l� 
dell�ormai 
sclerotizzata 
antinomia 
forte/debole, deve 
attestarsi 
sulla 
linea 
di 
un controllo che, senza 
ingerirsi 
nelle 
scelte 
discrezionali 
della 
Pubblica 
autorit�, assicuri 
la 
legalit� 
sostanziale 
del 
suo agire, per la 
sua 
intrinseca 
coerenza, 
anche 
e 
soprattutto 
in 
materie 
connotate 
da 
un 
elevato 
tecnicismo, 
per 
le 
quali 
vengano 
in 
rilievo 
poteri 
regolatori 
con 
i 
quali 
l�Autorit� 
detta 
le 
regole 
del 
gioco�: 
cos� 
Cons. 
St., 
Sez. 
III, 
2 
aprile 
2013, n. 1856. Del 
pari, Cass. civ., S.u., 20 gennaio 2014, n. 1013 ha 
rimarcato la 
non estensione 
al 
merito del 
sindacato giurisdizionale 
sugli 
atti 
dei 
garanti. La 
dottrina 
che 
ha 
indagato il 
tema 
del 
sindacato 
giurisdizionale 
sulle 
valutazioni 
tecniche 
complesse 
proprie 
delle 
Autorit� 
amministrative 
indipendenti 
pure 
ha 
chiarito che 
�il 
giudice 
si 
attiene� alla 
valutazione 
operata 
dall�Autorit�, salvo che 
non risulti 
smentita 
sul 
piano logico-giuridico, e 
non si 
spinge 
fino al 
punto di 
verificare 
direttamente 
�in 
positivo�, 
se 
essa 
sia 
stata 
ben 
svolta 
sotto 
il 
profilo 
tecnico-scientifico�: 
cos� 
LIguoRI 
F., 
la 
funzione 
amministrativa. aspetti di una trasformazione, napoli, 2013, 151. 

RASSegnA 
AvvoCATuRA 
DeLLo 
STATo - n. 4/2016 


attivit� 
di 
protezione 
civile 
tra 
contratti 
di 
appalto, 
affidamenti 
in 
house 
ed 
accordi 
fra pubbliche 
amministrazioni 
ex art. 15, 


L. 7 agosto 1990, n. 241 ed 
art. 6 L. 24 febbraio 1992, n. 225, 
alla luce dell�entrata in vigore del d.Lgs. 18 aprile 2016, n. 50 
Sabrina Trivelloni* 


sommario: 
Premessa 
-1. 
onerosit� 
della 
prestazione 
-2. 
requisito 
soggettivo: 
nozione 
di 
operatore 
economico 
-3. 
requisito 
oggettivo. 
la 
deroga 
di 
cui 
agli 
artt. 
17, 
9 
e 
158 
del 
d.lgs. 
18 
aprile 
2016, 
n. 
50 
-4. 
in 
house 
providing 
-5. 
la 
cooperazione 
tra 
soggetti 
pubblici. 


Premessa. 


Il 
presente 
studio prende 
le 
mosse 
dal 
contributo (1) - curato dalla 
scrivente 
ed apparso tempo fa 
sulla 
presente 
rivista 
- avente 
ad oggetto l�analisi 
critica 
delle 
questioni 
giuridiche 
connesse 
all�espletamento 
delle 
attivit� 
di 
protezione 
civile, 
cos� 
come 
delineate 
dall�art. 
3 
della 
legge 
24 
febbraio 
1992, 


n. 225, attraverso lo strumento della convenzione. 
Ai 
sensi 
dell�art. 6, comma 
1, della 
legge 
24 febbraio 1992, n. 225 (2), 
infatti, 
l�attuazione 
dell�attivit� 
di 
protezione 
civile, 
da 
parte 
delle 
strutture 
nazionali 
e 
locali 
di 
protezione 
civile, � 
garantita 
attraverso la 
stipula 
di 
apposite 
�convenzioni con soggetti pubblici e privati�. 


nel 
pregresso 
studio, 
si 
� 
ritenuto 
che 
il 
richiamato 
art. 
6, 
comma 
1, 
nella 
parte 
in 
cui 
prevede 
la 
stipula 
di 
convenzioni 
con 
soggetti 
pubblici, 
debba 
ragionevolmente 
interpretarsi 
quale 
norma 
speciale, 
applicabile 
alla 
sola 
materia 
di 
protezione 
civile, 
rispetto 
alla 
disciplina 
generale 
di 
cui 
all�art. 
15 
della 
legge 
7 
agosto 
1990, 
n. 
241 
che 
consente 
alle 
pubbliche 
amministrazioni 
di 
concludere 
tra 
loro 
accordi 
finalizzati 
a 
disciplinare 
l�espletamento 
in 
collaborazione 
di 
attivit� 
di 
interesse 
comune. 
Tali 
convenzioni, 
stipulate 
tra 
soggetti 
pubblici, 
possono 
configurare, 
qualora 
ne 
possiedano 
i 
relativi 
requisiti, 
un�ipotesi 
di 
cooperazione 
pubblico 
-pubblico 
cosiddetta 
�non 
istituzionale/orizzontale�, 


(*) Dottore in giurisprudenza, gi� praticante forense presso l�Avvocatura generale dello Stato. 


(1) 
TRIveLLonI, S., attivit� di 
protezione 
civile 
tra contratti 
di 
appalto, affidamenti 
in house 
ed 
accordi 
fra pubbliche 
amministrazioni 
ex 
art. 15 della legge 
7 agosto 1990, n. 241 ed art. 6 della legge 
24 febbraio 1992, n. 225, alla luce 
delle 
pronunce 
della corte 
di 
giustizia dell�unione 
europea e 
della 
giurisprudenza nazionale. interpretazione 
della sentenza della corte 
di 
giustizia ue 
del 
19 dicembre 
2012, c-159/11 
in rassegna dell�avvocatura dello stato, anno LXv - n. 2, Aprile-giugno 2013. 
(2) 
Ai 
sensi 
dell�art. 
6, 
comma 
1, 
della 
legge 
225/1992, 
�all'attuazione 
delle 
attivit� 
di 
protezione 
civile 
provvedono, secondo i 
rispettivi 
ordinamenti 
e 
le 
rispettive 
competenze, le 
amministrazioni 
dello 
stato, 
le 
regioni, 
le 
province, 
i 
comuni 
e 
le 
comunit� 
montane, 
e 
vi 
concorrono 
gli 
enti 
pubblici, 
gli 
istituti 
ed i 
gruppi 
di 
ricerca scientifica con finalit� di 
protezione 
civile, nonch� 
ogni 
altra istituzione 
ed organizzazione 
anche 
privata. a 
tal 
fine 
le 
strutture 
nazionali 
e 
locali 
di 
protezione 
civile 
possono 
stipulare convenzioni con soggetti pubblici e privati�. 

ConTRIbuTI 
DI 
DoTTRInA 


annoverata 
dalla 
giurisprudenza 
della 
Corte 
di 
giustizia 
ue 
e 
dalla 
giurisprudenza 
nazionale 
tra 
le 
ipotesi 
di 
espletamento 
di 
servizi 
esclusi 
dall�ambito 
di 
applicazione 
della 
normativa 
in 
materia 
di 
appalti 
pubblici. 


� 
stato sostenuto, invece, che 
la 
parte 
dell�art. 6, comma 
1, la 
quale 
prevede 
la 
conclusione 
delle 
citate 
convenzioni 
con soggetti 
privati, necessiti 
di 
un�interpretazione 
�comunitariamente 
orientata� 
qualora 
la 
convenzione, 
formalmente 
stipulata 
ai 
sensi 
della 
disposizione 
de 
qua, integri 
nella 
sostanza 
i 
requisiti 
di 
un appalto di 
servizi, come 
tale 
soggetto alle 
direttive 
dell�ue 
recepite 
dal legislatore nazionale. 


Al 
momento della 
pubblicazione 
del 
richiamato contributo, la 
normativa 
interna 
di 
derivazione 
europea 
in materia 
di 
appalti 
pubblici 
era 
costituita 
dal 
D.Lgs. 
12 
aprile 
2006, 
n. 
163, 
attualmente 
abrogato 
dal 
D.Lgs. 
18 
aprile 
2016, 


n. 50. In particolare, con riferimento alla 
fattispecie 
dell�in house 
providing 
e 
della 
cooperazione 
tra 
soggetti 
pubblici, 
difettava 
una 
disciplina 
europea 
e 
nazionale 
che 
ne 
disciplinasse 
i 
relativi 
elementi 
costitutivi, con la 
conseguenza 
che 
l�interprete, al 
fine 
di 
verificare 
la 
sussistenza 
di 
affidamenti 
in house 
o di 
accordi 
di 
cooperazione 
orizzontale, 
era 
costretto 
a 
riferirsi 
ai 
principi 
espressi 
dalla 
giurisprudenza 
della 
Corte 
di 
giustizia 
dell�ue, come 
interpretati 
dalla 
giurisprudenza nazionale. 
Il 
presente 
studio, 
pertanto, 
intende 
esaminare 
le 
problematiche 
connesse 
all�espletamento 
dell�attivit� 
di 
protezione 
civile 
secondo 
il 
modello 
della 
convenzione 
delineato dal 
richiamato art. 6, comma 
1, della 
legge 
225/1992, alla 
luce 
dell�entrata 
in vigore 
del 
D.Lgs. 18 aprile 
2016, n. 50 (3) che 
introduce 
rilevanti 
novit� 
soprattutto con riferimento all�istituto dell�in house 
providing 
oltre che alla cooperazione tra soggetti pubblici. 

Si 
valuter�, 
pertanto, 
l�impatto 
delle 
citate 
novit� 
normative 
sulle 
convenzioni 
che, 
in 
attuazione 
del 
richiamato 
art. 
6, 
comma 
1, 
il 
Dipartimento 
della 
Protezione 
civile 
stipula 
con 
i 
Centri 
di 
Competenza 
-ovvero 
con 
le 
componenti 
del 
Servizio 
nazionale 
di 
protezione 
civile 
titolari 
della 
funzione 
di 
fornire 
informazioni, 
dati, 
elaborazioni 
e 
contributi 
tecnico 
scientifici, 
ognuno 
per 
definiti 
ambiti 
di 
specializzazione, 
in 
relazione 
alle 
diverse 
tipologie 
di 
rischio 
-individuati 
dal 
decreto 
del 
Presidente 
del 
Consiglio 
dei 
Ministri 
del 
14 
settembre 
2012, 
recante 
�definizione 
dei 
principi 
per 
l'individuazione 
ed 
il 
funzionamento 
dei 
centri 
di 
competenza�, 
adottato 
in 
attuazione 
dell�art. 
3 
bis, 
comma 
2, 
della 
legge 
24 
febbraio 
1992, 
n. 
225. 
Con 
la 
precisazione 
che, 
sebbene 
la 
maggior 
parte 
delle 
convenzioni 
in 
materia 
di 
protezione 
civile 
siano 
stipulate 
con 
i 
Centri 
di 
Competenza, 
le 
conclusioni 
a 
cui 
il 
presente 
studio 
perverr� 
sono 


(3) D.Lgs. 18 aprile 
2016, n. 50, recante 
�attuazione 
delle 
direttive 
2014/23/ue, 2014/24/ue 
e 
2014/25/ue 
sull'aggiudicazione 
dei 
contratti 
di 
concessione, sugli 
appalti 
pubblici 
e 
sulle 
procedure 
d'appalto 
degli 
enti 
erogatori 
nei 
settori 
dell'acqua, 
dell'energia, 
dei 
trasporti 
e 
dei 
servizi 
postali, 
nonch� 
per 
il 
riordino della disciplina vigente 
in materia di 
contratti 
pubblici 
relativi 
a 
lavori, servizi 
e 
forniture� 
che come noto, ha sostituito il D.Lgs. 12 aprile 2006, n. 163. 

RASSegnA 
AvvoCATuRA 
DeLLo 
STATo - n. 4/2016 


suscettibili 
di 
applicazione 
alla 
totalit� 
delle 
convenzioni 
stipulate 
con 
le 
Componenti 
del 
servizio 
nazionale 
di 
protezione 
civile 
di 
cui 
al 
richiamato 
art. 
6 
della 
legge 
istitutiva 
del 
Servizio 
nazionale 
della 
protezione 
civile. 


nel 
procedere 
alla 
suddetta 
analisi, si 
ripercorrer� 
lo schema 
di 
indagine 
seguito nello studio gi� 
pubblicato, al 
fine 
di 
mettere 
in luce 
gli 
elementi 
innovativi 
introdotti dall�entrata in vigore del D.Lgs. 18 aprile 2016, n. 50. 


Ci� 
premesso, 
si 
rende 
preliminarmente 
necessario 
individuare 
la 
nozione 
di 
appalto 
pubblico 
di 
servizi 
cos� 
come 
delineata 
dalla 
nuova 
disciplina 
di 
cui 
all�art. 
3, 
comma 
1, 
lett. 
ii) 
e 
ss) 
del 
D.Lgs.18 
aprile 
2016, 
n. 
50 
che 
ha 
recepito 
fedelmente l�art. 2, comma 1, punti 5) e 9) della direttiva 2014/24/ue. 


Ai 
sensi 
del 
combinato disposto di 
cui 
alle 
citate 
lettere 
ii) e 
ss), per appalti 
pubblici 
di 
servizi 
si 
intendono i 
contratti 
a 
titolo oneroso, stipulati 
per 
iscritto 
tra 
una 
o 
pi� 
stazioni 
appaltanti 
e 
uno 
o 
pi� 
operatori 
economici, 
aventi 
per 
oggetto 
l'esecuzione 
di 
servizi 
diversi 
da 
quelli 
di 
cui 
alla 
lettera 
ll), 
ovvero 
da quelli che, secondo il medesimo articolo, configurano appalti di lavori. 

1. onerosit� della prestazione. 
Il 
primo 
requisito 
richiesto 
ai 
fini 
della 
qualificazione 
di 
una 
convenzione 
in 
termini 
di 
appalto 
pubblico 
� 
l�onerosit� 
della 
prestazione 
di 
servizi, 
gi� 
prevista 
dalla 
definizione 
di 
appalto contenuta 
nell�abrogato art. 3, comma 
6, 
del D.Lgs. 12 aprile 2006, n. 163. 


La 
recente 
giurisprudenza 
della 
Corte 
di 
giustizia 
dell�ue 
(4), 
seppur 
intervenuta 
in 
un 
lasso 
temporale 
antecedente 
all�adozione 
della 
direttiva 
2014/24/ue 
(5), 
ribadisce 
l�orientamento 
per 
cui 
�un 
contratto 
deve 
essere 
considerato 
a 
titolo 
oneroso 
anche 
se 
il 
corrispettivo 
previsto 
� 
limitato 
al 
rimborso delle 
spese 
sostenute 
per 
fornire 
il 
servizio convenuto�, sul 
presupposto 
per cui 
l�onerosit� 
della 
prestazione 
consiste 
in ogni 
vantaggio economicamente 
valutabile che deriva al prestatore dall�affidamento del servizio. 


Del 
medesimo 
avviso 
il 
Consiglio 
di 
Stato 
(6), 
confermato 
da 
una 
recente 
deliberazione dell�Autorit� nazionale 
Anticorruzione (7). 

(4) 
Sentenza 
13 
giugno 
2013, 
C-386/11, 
Piepenbrock 
dienstleistungen 
gmbh 
& 
co 
Kg/Kreis 
duren; 
ordinanza 
16 maggio 2013, C-564/11, consulta regionale 
ordine 
degli 
ingegneri 
della lombardia/
comune 
di 
Pavia; 
ordinanza 
20 
giugno 
2013, 
C-352/12, 
consiglio 
nazionale 
degli 
ingegneri/comune 
di castelvecchio subequo. 
(5) 
Deve 
sottolinearsi 
come 
a 
nulla 
rilevi 
il 
fatto 
che 
le 
descritte 
pronunce 
della 
Corte 
di 
giustizia 
dell�ue 
e 
del 
Consiglio di 
Stato siano state 
emesse 
in costanza 
della 
vigenza 
dell�abrogata 
normativa, 
tenuto conto che 
la 
nuova 
disciplina, sotto il 
profilo dell�onerosit�, recepisce 
integralmente 
il 
dettato 
dalla precedente. 
(6) Cons. Stato, Sez. v, 15 luglio 2013, n. 3849; 
parere 
Cons. Stato, Sez. II, 22 aprile 
2015, n. 
1178. 
(7) 
Deliberazione 
n. 
5 
del 
22 
gennaio 
2015 
(Adunanza 
dell�8 
gennaio 
2015) 
relativa 
ad 
un�ipotesi 
di 
accordi 
di 
programma 
stipulati, in assenza 
di 
gara, dal 
Ministero dell�Interno e 
dall�universit� 
Tor 
vergata 
finalizzati 
allo 
�sviluppo 
sperimentale 
e 
di 
applicazione 
di 
tecnologie 
innovative 
nei 
settori 
della i.t. inerenti ai servizi demografici e per il progetto cie�. 

ConTRIbuTI 
DI 
DoTTRInA 


In applicazione 
del 
suddetto requisito, come 
interpretato dalla 
giurisprudenza 
europea 
e 
nazionale, 
deve 
ritenersi 
che 
una 
convenzione 
non 
possa 
esulare 
dalla 
nozione 
di 
appalto pubblico per il 
solo fatto che 
la 
remunerazione 
in essa 
prevista 
sia 
limitata 
al 
mero rimborso delle 
spese 
sostenute 
per fornire 
il servizio convenuto. 


2. requisito soggettivo: nozione di operatore economico. 
Ai 
sensi 
dell�art. 
3, 
comma 
1, 
lett. 
p) 
del 
D.Lgs. 
18 
aprile 
2016, 
n. 
50, 
per operatore 
economico si 
intende 
qualsiasi 
persona 
fisica 
o giuridica, sia 
di 
natura 
privatistica 
che 
pubblicistica 
che 
�offre 
sul 
mercato la realizzazione 
di 
lavori o opere, la fornitura di prodotti o la prestazione di servizi�. 


La 
nozione 
fatta 
propria 
dalla 
disposizione 
de 
qua 
appare 
in 
linea 
con 
l�orientamento della 
giurisprudenza 
europea 
volta 
ad ampliare 
l�ambito soggettivo 
di 
applicazione 
della 
normativa 
in 
materia 
di 
appalti 
a 
garanzia 
dei 
principi di imparzialit� e concorrenza. 


In particolare, per quanto interessa 
ai 
fini 
del 
presente 
studio, la 
Corte 
di 
giustizia 
dell�ue 
(8), 
conformemente 
al 
primo 
precedente 
(sentenza 
23 
dicembre 
2009, C-305/08, 
conisma) include 
nel 
concetto di 
operatore 
economico, 
qualunque 
persona 
fisica 
o 
giuridica 
che 
offra 
sul 
mercato 
la 
realizzazione 
di 
servizi 
a 
prescindere 
dalla 
struttura 
imprenditoriale, 
dallo 
scopo di 
lucro e 
dalla 
presenza 
continua 
sul 
mercato, cos� 
includendovi 
anche 
le 
universit� 
che, 
ai 
sensi 
della 
normativa 
nazionale, 
sono 
autorizzate 
a 
fornire 
prestazioni 
di 
ricerca 
e 
consulenza 
ad 
enti 
pubblici 
o 
privati, 
purch� 
tale 
attivit� 
non comprometta la loro funzione didattica. 


Ci� premesso, l�art. 2, comma 
2, del 
citato DPCM 
del 
14 settembre 
2012 
individua i centri di competenza: 


1) nelle 
strutture 
operative 
di 
cui 
all�art. 11 della 
legge 
225/1992 (Corpo 
nazionale 
dei 
vigili 
del 
fuoco, Forze 
di 
Polizia, Corpo Forestale 
dello Stato, 
Servizi 
tecnici 
nazionali, gruppi 
nazionali 
di 
ricerca 
scientifica, l�Istituto nazionale 
di 
geofisica, Croce 
rossa 
Italiana, Strutture 
del 
Servizio sanitario nazionale, 
organizzazioni di volontariato e Corpo nazionale soccorso alpino); 


2) nei 
soggetti 
pubblici 
di 
cui 
all�art. 1, comma 
3, della 
legge 
196/2009 
deputati 
a 
svolgere 
attivit�, ricerche 
e 
studi 
in forza 
di 
leggi 
e 
provvedimenti 
per il perseguimento di fini istituzionali; 


3) nei 
soggetti 
partecipati 
da 
componenti 
del 
Servizio nazionale 
di 
protezione 
civile, 
istituiti 
con 
lo 
scopo 
di 
promuovere 
lo 
sviluppo 
tecnologico 
e 
l�alta 
formazione, 
laddove 
il 
medesimo 
soggetto 
sia 
a 
totale 
partecipazione 
pubblica, svolga 
la 
propria 
attivit� 
prioritariamente 
in favore 
del 
Servizio na


(8) 
ordinanza 
16 
maggio 
2013, 
C-564/11, 
consulta 
regionale 
ordine 
degli 
ingegneri 
della 
lombardia/
comune 
di 
Pavia; 
ordinanza 
20 
giugno 
2013, 
C-352/12, 
consiglio 
nazionale 
degli 
ingegneri/comune 
di castelvecchio subequo. 

RASSegnA 
AvvoCATuRA 
DeLLo 
STATo - n. 4/2016 


zionale 
di 
protezione 
civile 
e 
sia 
soggetto 
a 
vigilanza 
da 
parte 
del 
Dipartimento 


della protezione civile; 


4) nelle universit�, Dipartimenti universitari e Centri di ricerca. 


Alla 
luce 
delle 
suesposte 
considerazioni, 
si 
confermano 
le 
conclusioni 
gi� 
rese 
nel 
pregresso 
articolo, 
per 
cui, 
�a 
prescindere 
dalle 
universit�, 
le 
quali 
sono 
state 
espressamente 
definite 
operatori 
economici 
dalla 
corte 
di 
giustizia 
dell�ue, 
non 
pu� 
escludersi, 
in 
linea 
di 
principio, 
che 
anche 
gli 
altri 
soggetti 
pubblici 
e 
privati 
individuati 
dal 
suddetto 
d.P.c.m 
possano 
essere 
inclusi 
nell�ampia nozione 
delineata dalla giurisprudenza europea, laddove 
la normativa nazionale gli consenta di prestare servizi sul mercato�. 


3. requisito oggettivo. la deroga di 
cui 
agli 
artt. 17, 9 e 
158 del 
d.lgs. 18 
aprile 2016, n. 50. 
Con 
riferimento 
all�ambito 
oggettivo 
di 
applicazione 
della 
normativa 
in 
materia 
di 
appalti, 
l�art. 
17, 
comma 
1, 
lett. 
h) 
del 
D.Lgs. 
18 
aprile 
2016, 
n. 
50 
ne 
prevede 
l�esclusione 
per 
gli 
appalti 
aventi 
ad 
oggetto 
servizi 
di 
�protezione 
civile�. 


Se, 
ad 
una 
prima 
lettura, 
potrebbe 
ritenersi 
che 
i 
servizi 
oggetto 
delle 
suddette 
convenzioni 
ex 
art. 
6, 
comma 
1, 
legge 
225/1992 
rientrino 
in 
tale 
generica 
nozione 
di 
�protezione 
civile�, 
un�attenta 
lettura 
della 
disposizione 
impone 
di 
limitare 
la 
deroga 
ai 
soli 
servizi, identificati 
dai 
CPv 
ivi 
previsti, forniti 
da 
organizzazioni 
ed associazioni 
senza 
scopo di 
lucro, quali 
i 
servizi 
dei 
vigili 
del 
fuoco, i 
servizi 
di 
lotta 
e 
prevenzione 
contro gli 
incendi, i 
servizi 
di 
salvataggio, 
nonch� 
i 
servizi 
di 
ambulanza 
ad eccezione 
dei 
servizi 
di 
trasporto dei 
pazienti in ambulanza. 


Tale 
deroga 
viene 
giustificata 
dalla 
stessa 
direttiva 
2014/24/ue, al 
considerando 
n. 28, in ragione 
del 
carattere 
peculiare 
delle 
organizzazioni 
ed associazioni 
senza 
scopo 
di 
lucro 
�che 
sarebbe 
difficile 
preservare 
qualora 
i 
prestatori 
dovessero 
esser 
scelti 
secondo 
le 
procedure 
imposte 
dalla 
direttiva�. 

Al 
di 
fuori, 
pertanto, 
delle 
ipotesi 
in 
cui 
le 
convenzioni 
abbiano 
ad 
oggetto 
i 
servizi 
di 
�protezione 
civile� 
identificati 
con i 
codici 
CPv 
dal 
citato art. 17, 
comma 
1, 
lett. 
h) 
-espressamente 
esclusi 
dall�ambito 
di 
applicazione 
del 
D.Lgs. 50/2016 - dovr� 
verificarsi 
se 
le 
attivit� 
realizzate 
dai 
Centri 
di 
Competenza 
possano 
integrare 
dei 
servizi 
rilevati 
ai 
fini 
dell�applicazione 
della 
disciplina 
in 
materia 
di 
appalti, 
secondo 
la 
definizione 
contenuta 
all�art. 
3, 
comma 1, lettere 
ii) 
e 
ss) 
del D.Lgs. 18 aprile 2016, n. 50. 


Al 
riguardo, l�art. 1, comma 
1 del 
D.P.C.M. del 
14 settembre 
2012 prevede 
che 
i 
centri 
di 
competenza 
�forniscono informazioni, dati, elaborazioni 
e 
contribuiti 
tecnico-scientifici, 
ognuno 
per 
i 
definiti 
ambiti 
di 
specializzazione 
di 
interesse 
del 
servizio 
nazionale 
di 
protezione 
civile, 
in 
relazione 
alle 
diverse 
tipologie di rischio che interessano il territorio�. 


Tali 
servizi 
potrebbero rientrare 
tra 
i 
�servizi 
di 
ricerca e 
sviluppo� 
(ricerca 
di 
base, ricerca 
applicata 
e 
sviluppo sperimentale) disciplinati 
dall�art. 



ConTRIbuTI 
DI 
DoTTRInA 


158 
del 
D.Lgs. 
18 
aprile 
2016, 
n. 
50, 
il 
quale 
ne 
esclude 
l�assoggettamento 
alla 
disciplina 
codicistica 
tranne 
che 
per i 
servizi 
identificati 
dai 
CPv 
previsti 
dalla 
stessa 
disposizione. 
Tali 
ultimi 
servizi 
risultano 
esclusi 
dall�ambito 
di 
applicazione 
del 
codice 
solo qualora 
siano soddisfatte 
due 
condizioni: 
a) i 
risultati 
della 
ricerca 
e 
dello 
sviluppo 
non 
appartengono 
esclusivamente 
all�amministrazione 
aggiudicatrice 
o 
all�ente 
aggiudicatore 
che 
li 
utilizza 
nell�esercizio 
della 
sua 
attivit�; 
b) 
la 
prestazione 
del 
servizio 
non 
� 
interamente 
retribuita dall�amministrazione aggiudicatrice o dall�ente aggiudicatore. 


La 
ratio 
sottesa 
a 
tale 
disciplina 
si 
riviene 
nel 
considerando n. 42 della 
direttiva 
2014/25/ue, secondo cui 
ҏ 
opportuno incoraggiare 
il 
cofinanziamento 
di 
programmi 
di 
ricerca e 
sviluppo (r&s) da parte 
di 
fonti 
del 
settore 
industriale. 
� 
pertanto 
opportuno 
precisare 
che 
la 
presente 
direttiva 
si 
applica 
solo in assenza di 
tale 
cofinanziamento e 
qualora i 
risultati 
delle 
attivit� di 
r&s siano destinati all�ente aggiudicatore interessato�. 

Sulla 
base 
della 
citata 
norma, i 
servizi 
di 
ricerca 
e 
sviluppo prestati 
dai 
Centri 
di 
competenza 
non sarebbero soggetti 
alla 
disciplina 
codicistica; 
per i 
servizi 
identificati 
dai 
CPv 
previsti 
dal 
citato comma 
1 dell�art. 158, l�esclusione 
si 
applicherebbe 
solo qualora 
essi 
perseguano finalit� 
tecnico-scientifiche 
i 
cui 
risultati 
siano diretti 
a 
vantaggio dell�intera 
collettivit�, sempre 
che 
la 
prestazione 
degli 
stessi 
non 
sia 
interamente 
retribuita 
dal 
Dipartimento 
della 
Protezione civile. 

Deve 
rilevarsi, 
tuttavia, 
come, 
ai 
sensi 
dell�art. 
4 
del 
D.Lgs. 
18 
aprile 
2016, 
n. 
50, 
l'affidamento 
dei 
contratti 
pubblici 
aventi 
ad 
oggetto 
lavori, 
servizi 
e 
forniture, esclusi, in tutto o in parte, dall'ambito di 
applicazione 
oggettiva 
del 
codice, deve 
avvenire 
nel 
rispetto dei 
�principi 
di 
economicit�, efficacia, 
imparzialit�, parit� di 
trattamento, trasparenza, proporzionalit�, pubblicit�, 
tutela dell'ambiente ed efficienza energetica�. 

Sebbene 
la 
disposizione, a 
differenza 
dell�abrogato art. 27 del 
D.Lgs. 12 
aprile 
2006, 
n. 
163, 
non 
preveda 
espressamente 
l�obbligo 
di 
consultare 
almeno 
cinque 
operatori 
economici 
prima 
di 
procedere 
all�affidamento, non pu� non 
ritenersi 
che 
la 
scelta 
del 
contraente 
debba 
essere 
comunque 
preceduta 
da 
una 
procedura 
di 
valutazione 
comparativa 
volta 
a 
garantire 
il 
rispetto dei 
principi 
indicati al citato art. 4. 


Altra 
deroga 
all�applicazione 
della 
disciplina 
codicistica, 
che 
ricalca 
fedelmente 
quella 
contenuta 
nell�abrogato 
art. 
19, 
comma 
2, 
12 
aprile 
2006, 
n. 
163, 
� 
contenuta 
all�art. 
9, 
comma 
1, 
del 
D.Lgs. 
50/2016, 
ai 
sensi 
della 
quale 
�le 
disposizioni 
del 
presente 
codice 
non 
si 
applicano 
agli 
appalti 
pubblici 
di 
servizi 
aggiudicati 
da 
un�amministrazione 
aggiudicatrice 
ad 
un�altra 
amministrazione 
aggiudicatrice 
o 
ad 
un�associazione 
di 
amministrazioni 
aggiudicatrici, 
in 
base 
ad 
un 
diritto 
esclusivo 
di 
cui 
esse 
beneficiano 
in 
virt� 
di 
disposizioni 
legislative, 
regolamentari 
o 
amministrative 
pubblicate, 
purch� 
tali 
disposizioni 
siano 
compatibili 
con 
il 
trattato 
sul 
funzionamento 
dell�unione 
europea�. 



RASSegnA 
AvvoCATuRA 
DeLLo 
STATo - n. 4/2016 


In applicazione 
della 
disposizione 
de 
qua, potrebbe 
in linea 
di 
principio 
sostenersi 
l�esistenza 
di 
un 
diritto 
esclusivo 
dei 
centri 
di 
competenza, 
previsto 
dall�art. 6 delle 
legge 
225/92, ad espletare 
le 
attivit� 
oggetto di 
convenzione, 
ovvero le attivit� di protezione civile. 


In 
merito, 
non 
si 
ravvisano 
motivi 
per 
discostarsi 
dalle 
conclusioni 
gi� 
rese 
(9), per cui 
�siffatta tesi 
pare 
difficilmente 
percorribile, tenuto conto che 
l�eccesiva genericit� dell�art. 6 della legge 
225/1992, che 
si 
riferisce 
ad una 
vasta 
platea 
di 
soggetti 
(�le 
amministrazioni 
dello 
stato, 
le 
regioni, 
le 
province, 
i 
comuni 
e 
le 
comunit� 
montane, 
gli 
enti 
pubblici, 
gli 
istituti 
ed 
i 
gruppi 
di 
ricerca scientifica con finalit� di 
protezione 
civile 
nonch� 
ogni 
altra istituzione 
ed 
organizzazione 
anche 
privata�), 
esclude 
di 
per 
s� 
la 
possibilit� 
di 
individuare 
un soggetto titolare 
del 
citato diritto esclusivo allo svolgimento del 
servizio�. 


Ad 
ogni 
modo, 
si 
ritiene 
che 
anche 
tali 
affidamenti 
dovrebbero 
essere 
preceduti 
da 
una 
procedura 
semplificata 
di 
valutazione 
comparativa, in applicazione 
del citato art. 4 del D.Lgs. 18 aprile 2016, n. 50. 


4. in house providing. 
Come 
gi� 
esposto, l�art. 2, comma 
2, n. 3, del 
citato DPCM 
del 
14 settembre 
2012 
individua 
i 
centri 
di 
competenza 
�nei 
soggetti 
partecipati 
da 
componenti 
del 
servizio 
nazionale 
di 
protezione 
civile, 
istituiti 
con 
lo 
scopo 
di 
promuovere 
lo sviluppo tecnologico e 
l�alta formazione, laddove 
il 
medesimo 
soggetto sia a totale 
partecipazione 
pubblica, svolga la propria attivit� prioritariamente 
in 
favore 
del 
servizio 
nazionale 
di 
protezione 
civile 
e 
sia 
soggetto 
a vigilanza da parte del dipartimento della protezione civile�. 


Proprio con riferimento ai 
soggetti 
de 
quibus, si 
rende 
necessario verificare 
se, 
in 
concreto, 
sussistano 
i 
presupposti 
richiesti 
affinch� 
si 
configuri 
l�affidamento 
in 
house 
che 
esclude 
la 
sussistenza 
stessa 
dell�appalto 
di 
servizi, 
essendo il 
soggetto affidatario un�articolazione 
di 
quello affidante 
anzich� 
un 
soggetto distinto. 


In merito, assume 
rilievo l�art. 5 del 
D.Lgs. 18 aprile 
2016, n. 50 che, ai 
commi 
1, 2, 3, 4, 5, 7, 8 , 9, si 
mostra 
particolarmente 
innovativo nel 
positivizzare 
l�istituto dell�in house 
providing - frutto dell�elaborazione 
della 
giurisprudenza 
della 
Corte 
di 
giustizia 
dell�ue 
- i 
cui 
requisiti, prima 
dell�entrata 


(9) nel 
richiamato articolo, si 
citava, peraltro, una 
pronuncia 
del 
Consiglio di 
Stato (n. 4452 del 
25 luglio 2011) che 
ha 
escluso l�applicazione 
della 
suddetta 
disposizione 
al 
servizio di 
elaborazione 
informatica 
e 
di 
notificazione 
dei 
verbali 
relativi 
alle 
sanzioni 
amministrative 
affidato dal 
Comune 
di 
Casoria 
a 
Societ� 
Poste 
Italiane 
sul 
presupposto che 
se 
�non � 
contestato che 
alla societ� Poste 
italiane 
sia riservata ex 
lege 
la notificazione 
degli 
atti 
a mezzo del 
servizio postale 
in quanto concessionaria 
del 
servizio 
postale 
universale 
ai 
sensi 
dell�art. 
23 
del 
d.lgs. 
261/1999�, 
esorbitano, 
invece, 
�dal 
raggio 
di 
azione 
di 
tali 
diritti 
esclusivi 
i 
servizi, 
pure 
oggetto 
dell�affidamento, 
relativi 
alla 
fornitura 
di 
software 
e hardware e le attivit� di archiviazione�. 

ConTRIbuTI 
DI 
DoTTRInA 


in 
vigore 
del 
nuovo 
codice, 
erano 
esclusivamente 
delineati 
dalla 
giurisprudenza 
europea e nazionale. 


In 
tale 
opera 
di 
codificazione, 
l�istituto 
dell�in 
house 
providing 
viene 
correttamente 
previsto 
all�interno 
del 
suddetto 
art. 
5 
dedicato 
ai 
�Principi 
comuni 
in materia di 
esclusione 
per 
concessioni, appalti 
pubblici 
e 
accordi 
tra enti 
e 
amministrazioni 
aggiudicazioni 
nell�ambito 
del 
settore 
pubblico�, 
trattandosi 
di 
un�ipotesi 
di 
autoproduzione 
di 
servizi 
da 
parte 
della 
stessa 
amministrazione, 
la 
quale 
sceglie 
di 
non 
esternalizzare 
il 
servizio 
di 
cui 
necessita, 
sul 
presupposto 
per 
cui 
nessuna 
disposizione 
della 
direttiva 
2014/24/ue 
�obbliga 
gli 
stati 
membri 
ad 
affidare 
a 
terzi 
o 
ad 
esternalizzare 
la 
prestazione 
di 
servizi 
che 
desiderano prestare 
essi 
stessi 
o organizzare 
con strumenti 
diversi 
dagli 
appalti pubblici ai sensi della presente direttiva� 
(10). 


Le 
direttive 
dell�ue 
(2014/24/ue, 2014/25/ue 
e 
2014/23/ue), recepite 
dal 
legislatore 
delegato, codificano i 
requisiti 
gi� 
individuati 
dalla 
giurisprudenza 
europea ai fini del configurarsi dell�affidamento in house 
(11). 


Al 
riguardo, il 
primo elemento del 
�controllo analogo� 
� 
stato previsto 
al 
comma 
1, lettera 
a) 
del 
citato art. 5 in termini 
conformi 
all�insegnamento 
della 
Corte 
di 
giustizia 
dell�ue, la 
quale 
richiedeva 
l�esercizio, da 
parte 
del-
l�amministrazione 
affidante, 
di 
un 
controllo 
sulla 
persona 
giuridica 
affidataria 
analogo a quello che la stessa amministrazione esercita sui propri servizi. 


La 
rilevante 
novit�, 
invece, 
� 
costituita 
dalla 
previsione, 
di 
cui 
alla 
lettera 
c) 
della 
medesimo 
comma 
1, 
della 
possibilit� 
di 
una 
partecipazione 
privata 
diretta 
al 
capitale 
della 
societ� 
in house, seppur subordinata 
alla 
sussistenza 
di 
determinate condizioni fissate dal legislatore. 


Secondo, 
infatti, 
il 
costante 
e 
pacifico 
insegnamento 
della 
giurisprudenza 
della 
Corte 
di 
giustizia 
dell�ue 
(12) 
antecedente 
alle 
citate 
direttive 
del 
2014, 
la 
partecipazione 
pubblica 
totalitaria 
dell�ente 
in house 
� 
�conditio sine 
qua 
non� 
della 
sussistenza 
del 
controllo 
analogo, 
sebbene 
essa 
non 
sia 
da 
sola 
sufficiente 
ad integrare 
il 
requisito de 
quo, essendo necessaria 
la 
verifica 
in concreto 
in ordine 
all�esercizio, da 
parte 
dell�amministrazione 
affidante, di 
una 
�influenza 
determinante 
sia 
sugli 
obiettivi 
strategici 
che 
sulle 
decisioni 
significative 
della 
persona 
giuridica 
controllata�, 
condizione 
codificata 
al 
comma 
2 dell�art. 1 del citato D.Lgs. 50/2016. 


(10) Direttiva 2014/24/ue, considerando 6 e 7. 
(11) Per l�analisi 
dei 
requisiti 
individuati 
dalla 
giurisprudenza 
della 
Corte 
di 
giustizia 
dell�ue 
si 
rinvia 
a 
TRIveLLonI, S., attivit� di 
protezione 
civile 
tra contratti 
di 
appalto, affidamenti 
in house 
ed accordi 
fra pubbliche 
amministrazioni 
ex 
art. 15 della legge 
7 agosto 1990, n. 241 ed art. 6 della legge 
24 febbraio 1992, n. 225, alla luce 
delle 
pronunce 
della corte 
di 
giustizia dell�unione 
europea e 
della 
giurisprudenza nazionale. interpretazione 
della sentenza della corte 
di 
giustizia ue 
del 
19 dicembre 
2012, c- 159/11 
in rass. avv. stato, anno LXv, n. 2, Aprile 
-giugno 2013, p. 54 ss. 
(12) ex 
multis, sentenza 
11 maggio 2006, C-340/04, carbotermo; 
sentenza 
13 ottobre 
2005, C458/
03, Parking brixen. Da ultimo, sentenza 19 giugno 2014, C-574/12, centro hospitalar. 

RASSegnA 
AvvoCATuRA 
DeLLo 
STATo - n. 4/2016 


In realt�, una 
parziale 
apertura 
alla 
partecipazione 
di 
capitali 
privati 
era 
stata 
ammessa 
da 
un orientamento minoritario della 
Corte 
(13) a 
condizione 
che, 
al 
momento 
della 
stipula 
del 
contratto 
tra 
ente 
affidante 
e 
societ� 
in 
house, 
la 
partecipazione 
pubblica 
fosse 
totalitaria, di 
modo che 
l�ingresso del 
privato 
nella societ� si configurasse esclusivamente in termini futuri e potenziali. 

Di 
contrario 
avviso 
la 
giurisprudenza 
nazionale 
che 
si 
� 
sempre 
mostrata 
contraria 
ad 
ammettere 
forme 
private 
di 
partecipazione 
anche 
successivamente 
all�affidamento 
del 
contratto 
(14) 
-richiedendo 
che 
l�ipotetico 
ingresso 
dei 
privati 
fosse 
escluso 
a 
monte 
dallo 
statuto 
dell�ente 
in 
house 
(15) 
o 
dalla 
previsione 
di 
clausole 
risolutive 
espresse 
negli 
atti 
prodromici 
all�affidamento 
(16) 
-sul 
presupposto 
dell�incompatibilit� 
degli 
obiettivi 
perseguiti 
dall�impresa 
privata 
con 
l�interesse 
pubblico 
oltre 
che 
in 
ragione 
dell�indebito 
vantaggio 
offerto 
dal 
privato 
partecipante 
alla 
societ� 
in 
house 
rispetto 
ai 
suoi 
concorrenti 
(17). 


Il 
legislatore 
delegato, 
in 
attuazione 
delle 
citate 
direttive, 
ha 
ammesso 
forme 
di 
partecipazione 
di 
capitali 
privati 
subordinate 
alla 
sussistenza 
di 
un 
doppio requisito: 
la 
partecipazione 
del 
privato deve 
essere 
prevista 
dalla 
legislazione 
nazionale, in conformit� 
dei 
trattati, e 
non deve 
comportare 
l�esercizio, 
da 
parte 
del 
privato, di 
un'influenza 
determinante 
sulla 
persona 
giuridica 
controllata (art. 5, comma 1, lett. c) 
del D.Lgs. 50/2016). 


Deve 
rilevarsi 
come 
il 
considerando n. 32 della 
direttiva 
n. 2014/24/Ce 
si 
riferisca 
all�ipotesi 
in cui 
la 
partecipazione 
privata 
sia 
imposta 
dalla 
legge 
in conformit� 
ai 
Trattati, sul 
presupposto per cui 
�date 
le 
particolari 
caratteristiche 
degli 
organismi 
pubblici 
con 
partecipazione 
obbligatoria, 
quali 
le 
organizzazioni 
responsabili 
della 
gestione 
o 
dell�esercizio 
di 
taluni 
servizi 
pubblici�, il 
requisito della 
totalit� 
pubblica 
del 
capitale 
dell�ente 
controllato 
�non 
dovrebbe 
valere 
nei 
casi 
in 
cui 
la 
partecipazione 
di 
determinati 
operatori 
economici 
privati 
al 
capitale 
della 
persona 
giuridica 
controllata 
� 
resa 
obbligatoria 
da una disposizione 
legislativa nazionale 
in conformit� dei 
trattati, a 
condizione 
che 
si 
tratti 
di 
una partecipazione 
che 
non comporta controllo o 
potere 
di 
veto e 
che 
non conferisca un�influenza determinante 
sulle 
decisioni 
della persona giuridica controllata�. 


Il 
legislatore 
italiano, 
pertanto, 
utilizzando 
il 
termine 
�previste� 
non 
sembrerebbe 
aver recepito del 
tutto correttamente 
la 
direttiva 
europea 
che, come 
si 
evince 
dal 
citato 
considerando 
n. 
32, 
si 
riferisce 
all�obbligo 
ex 
lege 
della 
partecipazione 
privata 
al 
capitale 
dell�ente 
in house 
e 
non anche 
alla 
mera 
facolt� 
che sembrerebbe insita nella sua generica previsione. 


(13) Sentenza 
17 luglio 2008, C-371/05, comm./italia; 
sentenza 
10 settembre 
2009, C-573/07, 
sea. 
(14) Cons. Stato, Sez. vI, 17 gennaio 2014, n. 221; Cons. Stato, Sez. v, 3 febbraio 2009, n. 591. 
(15) Cons. Stato, Sez. v, 30 agosto 2006, 5072. 
(16) Tar Puglia, Lecce, Sez. II, 11 febbraio 2008, n. 432. 
(17) 
Cons. 
Stato, 
Sez. 
v, 
14 
ottobre 
2014, 
n. 
5080; 
Cons. 
Stato, 
Sez. 
vI, 
26 
maggio 
2015, 
n. 
2660. 

ConTRIbuTI 
DI 
DoTTRInA 


Ci� 
premesso, 
al 
fine 
di 
interpretare 
il 
requisito 
in 
parola, 
appare 
utile 
esaminare 
un�interessante 
parere 
(18) ed una 
pronuncia 
(19), rispettivamente 
della 
II e 
della 
vI sezione 
del 
Consiglio di 
Stato, adottati 
con riferimento all�affidamento 
diretto di 
servizi 
informatici 
al 
Cineca 
(Consorzio Interuniversitario) 
da parte di suoi enti consorziati. 

La 
questione 
in 
ordine 
alla 
legittimit� 
di 
tale 
affidamento 
diretto 
-peraltro 
risolta 
in 
maniera 
antitetica 
dal 
citato 
parere 
e 
dalla 
richiamata 
sentenza 
traeva 
origine 
dall�intervenuto mutamento della 
composizione 
del 
CIneCA, 
che, inizialmente 
composto da 
soli 
soggetti 
pubblici 
(Miur, universit�, enti 
di 
ricerca 
nazionali), per effetto della 
fusione 
con altri 
consorzi 
universitari 
prevista 
dal 
legislatore 
con 
finalit� 
di 
riduzione 
della 
spesa 
pubblica, 
risultava 
composto anche 
da 
soggetti 
privati, quali 
l�universit� 
Commerciale 
L. bocconi 
e l�universit� Iulm. 


nel 
citato parere, il 
Consiglio di 
Stato ha 
concluso per la 
legittimit� 
del-
l�affidamento 
sul 
presupposto 
per 
cui 
il 
Cineca 
non 
risulterebbe 
controllato 
da 
capitale 
privato 
�tanto meno in posizione 
di 
influenza dominante�, in ragione 
del 
fatto 
che 
� 
stabilmente 
partecipato 
al 
98% 
da 
soggetti 
pubblici 
e 
�soltanto 
in 
minima 
parte 
da 
persone 
giuridiche 
private�, 
le 
quali 
�non 
hanno 
certamente 
potere 
di 
veto 
o 
di 
condizionamento 
alcuno, 
ma 
che 
svolgono 
a 
loro volta un pubblico servizio nel 
settore 
dell�istruzione 
superiore 
e/o della 
ricerca scientifica�. 

Con la 
predetta 
pronuncia, invece, il 
Consiglio di 
Stato, ha 
fornito un�interpretazione 
rigorosa 
del 
presupposto relativo alla 
previsione 
della 
partecipazione 
del 
privato 
da 
parte 
della 
legislazione 
nazionale 
in 
conformit� 
dei 
trattati, 
escludendo 
che 
il 
requisito 
de 
quo 
possa 
ritenersi 
integrato 
in 
presenza 
della 
norma 
che 
ha 
previsto l�accorpamento dei 
tre 
consorzi 
interuniversitari 
cos� determinando l�ingresso delle universit� private nel Cineca. 


Ad avviso del 
Consiglio di 
Stato, infatti, la 
norma 
che 
ha 
disposto il 
suddetto 
accorpamento 
non 
pu� 
considerarsi 
la 
previsione 
legislativa 
che 
ha 
anche 
previsto 
la 
partecipazione 
di 
universit� 
private 
al 
Cineca, 
tenuto 
conto 
che 
�la partecipazione 
al 
cineca di 
soggetti 
privatiɏ 
solo una conseguenza di 
fatto prodotta dalla fusione 
per 
incorporazione 
(questa si 
oggetto di 
espressa 
previsione legislativa) del cineca con i consorzi cilea e caspur�. 

Il 
Consiglio 
di 
Stato 
(20) 
ha 
ritenuto, 
peraltro, 
mancante 
anche 
il 
requisito 
del 
controllo analogo nei 
confronti 
del 
Consorzio da 
parte 
dell�universit� 
affidante 
a 
causa 
della 
�posizione 
di 
indiscussa primazia riconosciuta al 
miur 
nell�ambito dell�organizzazione e del funzionamento del cineca�. 


Cos� 
statuendo, 
il 
giudice 
nazionale 
si 
� 
soffermato 
sui 
requisiti 
necessari 


(18) Parere Cons. Stato, Sez. II, 30 gennaio 2015, n. 298. 
(19) Cons. Stato, Sez. vI, 26 maggio 2015, n. 2660. 
(20) Cons. Stato, Sez. vI, 26 maggio 2015, n. 2660. 

RASSegnA 
AvvoCATuRA 
DeLLo 
STATo - n. 4/2016 


per 
la 
sussistenza 
di 
un 
controllo 
analogo 
in 
forma 
congiunta, 
figura 
gi� 
elaborata 
dalla 
giurisprudenza 
della 
Corte 
di 
giustizia 
dell�ue 
(21) 
oltre 
che 
dalla 
giurisprudenza 
nazionale 
(22) 
e 
positivizzata 
al 
comma 
5 
del 
richiamato 
art. 
5 
del 
D.Lgs. 
50/2016, 
che 
ne 
subordina 
la 
sussistenza 
alla 
presenza 
delle 
condizioni 
ivi 
descritte, 
ovvero 
�a. 
gli 
organi 
decisionali 
della 
persona 
giuridica 
controllata 
sono 
composti 
da 
rappresentanti 
di 
tutte 
le 
amministrazioni 
aggiudicatrici 
partecipanti; 
b. 
tali 
amministrazioni 
aggiudicatrici 
sono 
in 
grado 
di 
esercitare 
un�influenza 
determinante 
sugli 
obiettivi 
strategici 
e 
sulle 
decisioni 
significative 
di 
detta 
persona 
giuridica; 
c. 
la 
persona 
giuridica 
controllata 
non 
persegue 
interessi 
contrari 
a 
quelli 
delle 
amministrazioni 
aggiudicatrici�. 


Il 
comma 
2, 
ultimo 
periodo 
prevede, 
peraltro, 
la 
figura 
del 
�controllo 
analogo 
indiretto� 
che 
si 
verifica 
quando 
tale 
controllo 
viene 
esercitato 
da 
una 
persona 
giuridica 
differente 
dall�amministrazione 
affidante 
purch� 
da 
essa 
controllata 
allo 
stesso 
modo, 
come 
nel 
caso 
in 
cui 
l�amministrazione 
A 
esercita 
un 
controllo 
analogo 
sull�amministrazione 
b 
e 
questa 
esercita 
a 
sua 
volta 
un 
controllo 
analogo 
sul 
soggetto 
C: 
� 
ammesso 
l�affidamento 
diretto 
da 
parte 
di 
A 
nei 
confronti 
di 
C 
anche 
se 
non 
sussiste 
una 
relazione 
diretta 
fra 
i 
due 
soggetti. 


Al 
comma 
3 viene, invece, disciplinato l��in house 
invertito� 
che 
si 
verifica 
quando 
� 
la 
persona 
giuridica 
controllata 
-che 
� 
un�amministrazione 
aggiudicatrice 
o 
un 
ente 
aggiudicatore 
-ad 
affidare 
direttamente 
l�appalto 
all�amministrazione 
controllante 
o 
ad 
altro 
soggetto 
giuridico 
controllato 
dalla 
stessa amministrazione. 

Tutto 
ci� 
esposto 
in 
materia 
di 
controllo 
analogo, 
si 
sottolinea 
come 
la 
lettera 
c), 
comma 
1 
del 
medesimo 
articolo 
5 
codifichi 
il 
secondo 
requisito 
elaborato 
dalla 
giurisprudenza 
europea, ovvero l�espletamento, da 
parte 
del 
soggetto 
in 
house, 
della 
propria 
attivit� 
prevalentemente 
nei 
confronti 
del 
soggetto 
affidante. 


L�aspetto innovativo, rispetto agli 
orientamenti 
giurisprudenziali, � 
rappresentato 
dalla 
previsione 
della 
soglia 
percentuale 
di 
rilevanza 
superiore 
all�80% . 

Si 
tratta, a 
ben vedere 
di 
una 
previsione 
di 
maggior favore 
per l�ente 
in 
house 
rispetto all�insegnamento della 
giurisprudenza 
della 
Corte 
di 
giustizia 
ue 
(23) e 
del 
Consiglio di 
Stato (24) che 
ammetteva 
la 
fornitura 
di 
servizi, da 
parte 
dell�ente 
controllato, a 
soggetti 
diversi 
dall�ente 
controllante 
solo in misura 
quantitativamente irrisoria e qualitativamente irrilevante. 


Tale 
requisito 
deve 
essere 
valutato 
secondo 
i 
criteri 
di 
cui 
al 
comma 
7 
del


(21) Sentenza 
13 novembre 
2008, C-324/07, coditel 
bradant 
sa; 
sentenza 
29 novembre 
2012, 
C-182/11 e C-183/11, econord s.p.a. 
(22) Cons. Stato, Sez. v, 8 marzo 2011, n. 1447; 
Cons. Stato, Sez. v, 24 settembre 
2010, n. 7092. 
(23) ex multis, Sentenza 17 luglio 2008, C-371/05, commissione/italia. 
(24) Cons. Stato, Sez. vI, 20 dicembre 
2012, n. 6565; 
Cons. Stato, Sez. v, 7 aprile 
2011, n. 2151; 
Cons. Stato, Sez. vI, 26 maggio 2015, n. 2660. 

ConTRIbuTI 
DI 
DoTTRInA 


l�art. 
5 
de 
quo, 
ovvero 
facendo 
riferimento 
al 
fatturato 
totale 
medio 
o 
ad 
altra 
idonea 
misura 
alternativa 
basata 
sull�attivit�, 
quale, 
ad 
esempio, 
i 
costi 
sostenuti 
dalla 
persona 
giuridica 
nei 
settori 
dei 
servizi, 
delle 
forniture 
e 
dei 
lavori 
per 
i 
tre 
anni 
antecedenti 
all�aggiudicazione 
dell�appalto; 
qualora 
a 
causa 
dell�inizio 
dell�attivit� 
della 
persona 
giuridica 
o 
della 
riorganizzazione 
della 
sua 
attivit� 
non 
sia 
possibile 
far 
riferimento 
ai 
predetti 
criteri, 
sar� 
sufficiente 
dimostrare 


�in 
base 
a 
proiezioni 
dell�attivit�, 
che 
la 
misura 
dell�attivit� 
� 
credibile�. 


Alla 
luce 
delle 
riferite 
considerazioni, pertanto, deve 
valutarsi 
la 
previsione 
contenuta 
all�art. 1, comma 
2, lettera 
b) 
del 
D.P.C.M. del 
14 settembre 
2012 
che 
individua 
i 
Centri 
di 
Competenza 
anche 
nei 
�soggetti 
partecipati 
da 
componenti 
del 
servizio nazionale 
di 
protezione 
civile, istituiti 
con lo scopo 
di 
promuovere 
lo sviluppo tecnologico e 
l�alta formazione, laddove 
il 
medesimo 
soggetto sia a totale 
partecipazione 
pubblica, svolga la propria attivit� 
prioritariamente 
in 
favore 
del 
servizio 
nazionale 
di 
protezione 
civile 
e 
sia 
soggetto 
a vigilanza da parte del dipartimento della protezione civile�. 


In 
applicazione 
della 
descritta 
disciplina, 
il 
centro 
di 
competenza 
in 
house 
-a 
cui 
� 
affidato 
il 
servizio 
in 
forza 
della 
convenzione 
stipulata 
con 
il 
Dipartimento 
della 
Protezione 
civile 
-potr� 
esser 
partecipato 
direttamente 
dal 
Dipartimento 
della 
Protezione 
civile 
anche 
solo 
in 
parte 
(controllo 
analogo 
congiunto) 
o 
potr� 
anche 
esser 
partecipato 
da 
altre 
componenti 
del 
Servizio 
nazionale 
su 
cui 
il 
Dipartimento 
esercita 
un 
controllo 
analogo 
(in 
house 
indiretto). 


Sebbene 
la 
disposizione 
del 
predetto D.P.C.M. si 
riferisca 
alla 
partecipazione 
pubblica 
totalitaria 
del 
soggetto 
partecipato, 
essa 
deve 
essere 
interpretata 
in 
maniera 
conforme 
alle 
nuove 
direttive 
europee, 
recepite 
dall�art. 
5 
del 
D.Lgs. 50/2016, nel 
senso che 
� 
ammessa 
anche 
la 
partecipazione 
di 
privati 
al 
Centro di 
Competenza 
in house 
purch� 
alle 
condizioni 
indicate 
al 
comma 
1, 
lettera 
c) 
della 
medesima 
disposizione. 
Dovr�, 
pertanto, 
verificarsi, 
caso 
per 
caso, 
se 
sussiste 
una 
previsione 
legislativa 
che 
preveda 
tale 
partecipazione 
in 
conformit� 
ai 
trattati, 
ovvero 
in 
maniera 
da 
non 
falsare 
la 
concorrenza, 
sempre 
che 
tale 
partecipazione 
non 
determini 
un�influenza 
dominante 
da 
parte 
del 
privato sull�ente 
in house. 

Anche 
la 
sussistenza 
dei 
residui 
requisiti 
previsti 
dall�art. 
1, 
comma 
2, 
lettera 
b) 
del 
D.P.C.M. del 
14 settembre 
2012 dovranno essere 
verificati 
alla 
luce 
delle 
indicazioni 
contenute 
nell�art. 5 del 
D.Lgs. 50/2016; 
di 
modo che 
�la vigilanza da parte 
del 
dipartimento della protezione 
civile� 
dovr� 
essere 
intesa 
quale 
controllo analogo ai 
sensi 
del 
comma 
2 e 
comma 
4 dell�art. 5 del 
codice 
e 
�la propria attivit� prioritariamente 
in favore 
del 
servizio nazionale 
di 
protezione 
civile� 
dovr� 
esser 
valutata 
ai 
sensi 
del 
comma 
1, 
lett. 
b) 
del 
medesimo 
articolo. 


Appaiono 
superate, 
invece, 
le 
preoccupazioni 
espresse 
nel 
pubblicato 
studio 
sotto 
la 
vigenza 
del 
D.Lgs. 
163/2006 
in 
merito 
alla 
possibilit� 
di 
utilizzare 



RASSegnA 
AvvoCATuRA 
DeLLo 
STATo - n. 4/2016 


il 
modello dell�in house 
in assenza 
di 
un�apposita 
disposizione 
normativa 
che 
lo preveda, sul 
presupposto per cui 
l�in house 
non costituisse 
un principio generale, 
prevalente 
sulla 
normativa 
interna, quanto un principio derogatorio di 
carattere 
eccezionale 
che 
consenta 
e 
non obblighi 
i 
legislatori 
nazionali 
a 
prevedere 
tale 
forma 
di 
affidamento (Cons. stato, sez. vI, 3 aprile 
2007, n. 1514; 
Cons. Stato, sez. vI, 25 novembre 2008, n. 5781) (25). 

Proprio, 
alla 
luce 
di 
tali 
considerazioni, 
si 
era 
ipotizzato 
che 
l�art. 
6, 
legge 


n. 
225/1992, 
nella 
parte 
in 
cui 
prevede 
la 
possibilit� 
per 
le 
componenti 
del 
Servizio nazionale 
di 
protezione 
civile 
di 
stipulare 
convenzioni 
con soggetti 
privati, potrebbe 
esser interpretato quale 
previsione 
legislativa 
espressa 
che, 
in 
materia 
di 
attivit� 
di 
protezione 
civile, 
autorizzi 
il 
ricorso 
all�in 
house 
in 
presenza dei presupposti richiesti dalla giurisprudenza. 
La 
descritta 
problematica 
appare 
allo stato superata 
dalla 
delineata 
previsione 
codicistica 
che, 
recependo 
le 
direttive 
europee, 
ha 
codificato 
l�in 
house 
quale 
modello 
generale 
di 
organizzazione 
della 
pubblica 
amministrazione 
che 
sceglie 
di 
autoprodurre 
il 
servizio, in alternativa 
al 
reperimento sul 
mercato 
mediante affidamento a terzi. 


Deve, infine, segnalarsi 
come 
risulti 
ancora 
vigente 
l�art. 4, comma 
6 del 


D.L. 
95/2012, 
convertito 
con 
modificazioni 
nella 
legge 
di 
conversione 
7 
agosto 
2012, 
n. 
135, 
che 
vieta 
alle 
pubbliche 
amministrazioni, 
a 
partire 
dal 
1� 
gennaio 
2013, l�affidamento diretto in house 
agli 
enti 
privati 
di 
cui 
agli 
artt. da 
13 a 
42, 
c.c. 
(associazioni 
anche 
non 
riconosciute, 
fondazioni 
e 
comitati) 
di 
servizi 
a 
titolo oneroso, imponendo l�espletamento delle 
procedure 
di 
gara 
previste 
dalla normativa nazionale in conformit� con quella comunitaria. 
Fanno 
eccezione 
a 
questo 
divieto 
gli 
affidamenti 
a 
soggetti 
in 
house 
rientranti 
in categorie 
tassativamente 
elencate, tra 
cui 
le 
fondazioni 
di 
ricerca, ovvero 
istituite 
con 
lo 
scopo 
di 
promuovere 
lo 
sviluppo 
tecnologico 
e 
l�alta 
formazione tecnologica, e gli enti di volontariato. 


(25) 
nel 
citato 
articolo, 
si 
legge 
che 
�nella 
medesima 
pronuncia, 
il 
consiglio 
di 
stato 
ha 
ricordato 
come 
una norma di 
carattere 
generale 
sia stata proposta nel 
primo schema del 
codice 
degli 
appalti, 
per 
poi 
essere 
espunta dal 
testo finale 
del 
d.lgs. n. 163/2006, a conferma della volont� del 
legislatore 
di 
non generalizzare 
il 
modello dell�in house 
a qualsiasi 
forma di 
affidamento di 
lavori, servizi 
e 
forniture. 
nel 
caso di 
specie, occorre 
dunque 
verificare 
se 
possa configurarsi 
una disposizione 
espressa che 
riconosca 
la 
possibilit�, 
anche 
nell�ambito 
dell�attivit� 
statale 
di 
protezione 
civile, 
di 
affidamento 
diretto 
di 
un servizio ad un soggetto interamente 
partecipato dall�amministrazione 
aggiudicante. tale 
verifica 
potrebbe 
dar 
luogo a un esito positivo, facendo leva proprio sull�art. 6, legge 
n. 225/1992, nella parte 
in 
cui 
prevede 
che 
�le 
strutture 
nazionali 
e 
locali 
di 
protezione 
civile 
possono 
stipulare 
convenzioni 
con 
soggetti 
pubblici 
e 
privati�, 
cos� 
ammettendo 
anche 
l�istituto 
dell�in 
house 
in 
detto 
settore, 
pur 
omettendo 
il 
riferimento 
ai 
requisiti 
comunitari 
del 
controllo 
analogo 
ed 
all�attivit� 
svolta 
prevalentemente 
a 
favore 
dell�ente 
affidante. Potrebbe 
sostenersi 
che 
l�art. 6 della legge 
n. 225/1992, nel 
silenzio del 
legislatore, 
debba essere 
interpretato nel 
senso che 
siano ammesse 
convenzioni 
concluse 
senza procedura di 
evidenza 
pubblica con soggetti 
c.d. in house, ma con le 
limitazioni 
di 
una interpretazione 
�comunitariamente� 
orientata, 
ovvero 
sempre 
a 
condizione 
che 
sussistano 
i 
citati 
presupposti 
necessari 
per 
il 
configurarsi della fattispecie dell�in house�. 

ConTRIbuTI 
DI 
DoTTRInA 


Infine, 
sotto 
un 
mero 
profilo 
procedurale, 
si 
rileva 
come 
l�art. 
192 
del 
D.Lgs. 
50/2016 
subordini 
gli 
affidamenti 
in 
house 
ad 
alcuni 
specifici 
adempimenti 
consistenti: 
1. 
nell�iscrizione, 
in 
un 
apposito 
elenco 
istituito 
dal-
l�Anac, 
dei 
soggetti 
che 
operano 
mediante 
affidamenti 
diretti 
nei 
confronti 
di 
propri 
enti 
in 
house; 
2. 
nella 
previa 
valutazione 
di 
congruit� 
economica 
dell�offerta 
dei 
soggetti 
in 
house 
rispetto 
alle 
condizioni 
disponibili 
sul 
mercato 
unitamente 
all�obbligo 
di 
motivazione 
circa 
le 
ragioni 
del 
mancato 
ricorso 
al 
mercato; 
3. 
nell�obbligo 
di 
pubblicazione 
degli 
affidamenti 
diretti 
sul 
profilo 
del 
committente. 


Tali 
vincoli 
procedurali 
dovranno 
essere 
osservati 
dal 
Dipartimento 
della 
Protezione 
civile 
ai 
fini 
degli 
affidamenti 
di 
servizi 
ai 
propri 
enti 
in house, ai 
sensi dell�art. 6, comma 1 della legge 225/1992. 


5. la cooperazione tra soggetti pubblici. 
Come 
gi� 
espresso, 
l�art. 
5, 
comma 
6, 
del 
D.Lgs. 
50/2016 
positivizza 
un'altra 
figura 
di 
elaborazione 
della 
giurisprudenza 
della 
Corte 
di 
giustizia 
dell�ue, 
ovvero 
gli 
accordi 
di 
cooperazione 
tra 
pubbliche 
amministrazioni 
che, al 
pari 
degli 
affidamenti 
in house, costituiscono un�ipotesi 
di 
esclusione 
dall�ambito di 
applicazione 
della 
normativa 
in materia 
di 
appalti 
pubblici, in 
ragione 
della 
riconosciuta 
�libert� delle 
autorit� pubbliche 
di 
svolgere 
i 
compiti 
di 
servizio pubblico affidati 
loro utilizzando le 
loro stesse 
risorse, compresa 
la possibilit� di cooperare con altre autorit� pubbliche� 
(26). 


A 
livello 
nazionale, 
la 
facolt� 
delle 
amministrazioni 
di 
concludere 
accordi 
finalizzati 
a 
svolgere 
in 
collaborazione 
attivit� 
di 
interesse 
comune 
� 
prevista 
genericamente 
dall�art. 
15 
della 
legge 
241/1990, 
oltre 
che, 
per 
quanto 
qui 
interessa, 
dall�art. 
6, 
comma 
1, 
della 
legge 
225/1992 
in 
materia 
di 
protezione 
civile. 


Il 
D.Lgs. 
50/2016, 
al 
citato 
comma 
6 
dell�art. 
5, 
recependo 
le 
direttive 
del 
2014, 
mostra 
di 
discostarsi 
parzialmente 
dai 
principi 
elaborati 
dalla 
Corte 
di 
giustizia 
dell�ue, 
affermati 
nella 
sentenza 
del 
19 
dicembre 
2012, 
C-159/11 
e 
confermati 
dalle 
successive 
pronunce 
europee 
(27) 
e 
nazionali 
(28) 
che 
subordinavano 
la 
sussistenza 
di 
un 
accordo 
di 
cooperazione 
alle 
seguenti 
condizioni: 
�a) 
il 
contratto 
stipulato 
tra 
enti 
pubblici 
deve 
perseguire 
il 
fine 
di 
garantire 
l�adempimento 
di 
una 
funzione 
di 
servizio 
pubblico 
comune 
agli 
enti 
medesimi, 
b) 
deve 
essere 
retto 
unicamente 
da 
considerazioni 
ed 
esigenze 
connesse 
al 
perseguimento 
di 
obiettivi 
d�interesse 
generale, 
c) 
deve 
essere 
tale 
da 
non 
porre 
un 
prestatore 
privato 
in 
una 
situazione 
privilegiata 
rispetto 
ai 
suoi 
concorrenti�. 


(26) Considerando 31 della direttiva 2014/24/ue. 
(27) 
Sentenza 
del 
19 
dicembre 
2012, 
C-159/11; 
Sentenza 
13 
giugno 
2013, 
C-386/11, 
Piepenbrock 
dienstleistungen gmbh & 
co Kg/Kreis 
duren; 
ordinanza 
16 maggio 2013, C-564/11, consulta regionale 
ordine 
degli 
ingegneri 
della lombardia/comune 
di 
Pavia; 
ordinanza 
20 giugno 2013, C-352/12, 
consiglio nazionale degli ingegneri/comune di castelvecchio subequo. 
(28) Cons. Stato, Sez. v, 15 luglio 2013, n. 3849; Cons. Stato, 13 settembre 2016, n. 3861. 

RASSegnA 
AvvoCATuRA 
DeLLo 
STATo - n. 4/2016 


Come 
pu� notarsi, il 
comma 
6 dell�art. 5 non codifica 
la 
condizione 
per 
cui 
l�accordo non debba 
avvantaggiare 
un prestatore 
privato rispetto ai 
suoi 
concorrenti; 
prevede, invece, un requisito ulteriore 
rispetto a 
quelli 
richiesti 
dalla 
citata 
giurisprudenza, ovvero l�espletamento, da 
parte 
delle 
amministrazioni 
partecipanti, 
sul 
mercato 
aperto 
di 
una 
percentuale 
inferiore 
al 
20% 
delle 
attivit� 
interessate 
dalla 
cooperazione, 
da 
calcolare 
secondo 
i 
medesimi 
criteri 
previsti al comma 7 per l�affidamento in house. 


Con riferimento al 
requisito non recepito, deve 
sottolinearsi 
come 
la 
direttiva 
2004/24/ue, 
al 
considerando 
n. 
31, 
afferma 
che 
�si 
dovrebbe 
garantire 
che 
una qualsiasi 
cooperazione 
pubblico-pubblico esentata non dia luogo a 
una 
distorsione 
della 
concorrenza 
nei 
confronti 
di 
operatori 
economici 
privati 
nella misura in cui 
pone 
un fornitore 
privato di 
servizi 
in una situazione 
privilegiata 
rispetto 
ai 
suoi 
concorrenti�, 
ed, 
al 
considerando 
n. 
33, 
riconosce 
che 
�i 
contratti 
per 
la fornitura congiunta di 
servizi 
pubblici 
non dovrebbero 
essere 
soggetti 
all�applicazione 
delle 
norme 
stabilite 
nella presente 
direttiva, 
a condizione 
che 
siano conclusi 
esclusivamente 
tra amministrazioni 
aggiudicatrici, 
che 
l�attuazione 
di 
tale 
cooperazione 
sia 
dettata 
solo 
da 
considerazioni 
legate 
al 
pubblico interesse 
e 
che 
nessun fornitore 
privato di 
servizi 
goda di 
una posizione di vantaggio rispetto ai suoi concorrenti�. 


Pertanto, 
ad 
avviso 
di 
chi 
scrive, 
pur 
nel 
silenzio 
di 
un�espressa 
previsione 
normativa, non pu� prescindersi 
da 
una 
verifica 
volta 
ad accertare 
che 
la 
cooperazione 
tra 
pubbliche 
amministrazione 
non 
abbia 
posto 
un 
prestatore 
privato 
in 
una 
posizione 
privilegiata 
rispetto 
ai 
suoi 
concorrenti, 
in 
ossequio 
ai 
principi 
di 
concorrenza 
e 
di 
garanzia 
della 
par 
condicio 
tra 
operatori 
economici 
a 
cui 
� informata l�intera normativa in materia di appalti (29). 

Si 
ritiene, quindi, di 
dover confermare 
le 
conclusioni 
gi� 
rese 
in merito 
all�interpretazione 
dell�art. 3, comma 
6, del 
richiamato D.P.C.M. del 
14 settembre 
2012, che 
consente 
ai 
Centri 
di 
competenza 
di 
avvalersi, per l�espletamento 
delle 
attivit� 
ed essi 
affidate, di 
altri 
soggetti 
tecnico-scientifici, nel 
rispetto della normativa vigente in materia di acquisizione di beni e servizi. 

Al 
fine 
di 
scongiurare 
il 
rischio 
di 
realizzare 
un�indebita 
posizione 
di 
privilegio 
per 
un 
prestatore 
privato, 
si 
ritiene, 
infatti, 
che 
il 
Centro 
di 
competenza, 
parte 
della 
convezione 
conclusa 
con il 
Dipartimento della 
Protezione 
civile 
ai 
sensi 
del 
comma 
1 dell�art. 6 della 
legge 
225/1992, debba 
espletare 
una 
procedura 
di 
evidenza 
pubblica 
�a 
valle� 
per 
il 
reclutamento 
dei 
soggetti 
tecnico-
scientifici di cui avvalersi. 


Con 
riferimento, 
invece, 
al 
requisito 
dell�espletamento 
sul 
mercato 
di 


(29) La 
Corte 
di 
giustizia 
ue, con la 
sentenza 
13 giugno 2013, C-386/11, ha 
escluso che 
l�affidamento 
diretto del 
servizio potesse 
configurarsi 
in termini 
di 
accordo di 
cooperazione 
anche 
in considerazione 
del 
fatto 
che 
�detto 
contratto 
consente 
di 
ricorrere 
ad 
un 
terzo 
per 
l�espletamento 
della 
missione 
che 
esso contempla, di 
modo che 
tale 
terzo potrebbe 
trovarsi 
avvantaggiato rispetto alle 
altre 
imprese attive sul medesimo mercato�. 

ConTRIbuTI 
DI 
DoTTRInA 


una 
percentuale 
inferiore 
al 
20% 
delle 
attivit� 
interessate 
dalla 
cooperazione, 
si 
rileva 
come 
tale 
condizione, 
pur 
rappresentando 
una 
novit� 
rispetto 
ai 
principi 
giurisprudenziali, 
appaia 
in 
linea 
con 
la 
ratio 
sottesa 
alla 
cooperazione 
pubblico 
-pubblico, 
cos� 
come 
delineata 
dalla 
stessa 
giurisprudenza 
europea 
e 
nazionale. 


La 
logica 
di 
tale 
cooperazione, 
infatti, 
� 
sintetizzata 
all�art. 
5, 
comma 
6, 
lett. 
a) 
e 
b), 
per 
cui 
�a. 
il 
contratto 
stabilisce 
o 
realizza 
una 
cooperazione 
tra 
le 
amministrazioni 
aggiudicatrici 
partecipanti, 
finalizzata 
a 
garantire 
che 
i 
servizi 
pubblici 
che 
esse 
sono 
tenute 
a 
svolgere 
siano 
prestati 
nell�ottica 
di 
conseguire 
gli 
obiettivi 
che 
esse 
hanno 
in 
comune; 
b) 
l�attuazione 
di 
tale 
cooperazione 
� 
retta 
esclusivamente 
da 
considerazioni 
inerenti 
al-
l�interesse 
pubblico�. 


La 
direttiva 
2014/24/ue, al 
considerando n. 33, chiarisce 
che 
la 
cooperazione 
�potrebbe 
riguardare 
tutti 
i 
tipi 
di 
attivit� connesse 
alla prestazione 
di 
servizi 
e 
alle 
responsabilit� affidati 
alle 
amministrazioni 
partecipanti 
o da 
esse 
assunti, 
quali 
i 
compiti 
obbligatori 
o 
facoltativi 
di 
enti 
pubblici 
territoriali 


o i 
servizi 
affidati 
a organismi 
specifici 
dal 
diritto pubblico. i servizi 
forniti 
dalle 
diverse 
amministrazioni 
partecipanti 
non 
devono 
necessariamente 
essere 
identici; potrebbero anche essere complementari�. 
Conformemente, 
il 
Consiglio 
di 
Stato 
(30) 
aveva 
riconosciuto 
come 
il 
requisito 
dell�interesse 
comune 
non avrebbe 
potuto essere 
inteso in termini 
di 
identit� 
ontologica 
del 
fine 
pubblico 
delle 
amministrazioni 
partecipanti, 
tenuto 
conto 
che, 
cos� 
opinando, 
si 
sarebbe 
determinata 
un�arbitraria 
limitazione 
delle 
forme 
di 
cooperazione 
a 
quelle 
concluse 
tra 
enti 
appartenenti 
alla 
medesima 
branca 
amministrativa. Al 
contrario, sarebbe 
sufficiente 
la 
sussistenza 
di 
una 
�sinergica convergenza su attivit� di 
interesse 
comune, pur 
nella diversit� di 
fine pubblico perseguito da ciascuna amministrazione�. 


In tale 
ottica, sono stati 
ritenuti 
legittimi 
gli 
accordi 
di 
gestione 
del 
patrimonio 
immobiliare 
pubblico 
che 
l�Agenzia 
del 
Demanio 
conclude 
con 
altri 
soggetti 
pubblici, 
tra 
cui 
amministrazioni 
centrali 
e 
periferiche, 
enti 
territoriali, 
nonch� 
ogni 
altro ente 
pubblico, tenuto conto che 
il 
fine 
comune 
di 
tali 
amministrazioni 
� 
ravvisabile 
�nell�esigenza 
di 
valorizzare 
economicamente 
e 
socialmente il territorio attraverso il miglior utilizzo degli immobili� 
(31). 

Si 
confermano, 
pertanto, 
le 
conclusioni, 
esposte 
nel 
precedente 
contributo, 
secondo cui 
la 
cooperazione 
� 
configurabile 
sia 
nell�ipotesi 
di 
coordinamento 
reciproco 
di 
enti 
portatori 
della 
medesima 
funzione 
di 
servizio, 
che 
nell�ipotesi 
di 
coordinamento 
di 
enti 
titolari 
di 
funzioni 
in 
rapporto 
di 
strumentalit� 
anche non reciproca. 


(30) Cons.Stato, Sez. v, 15 luglio 2013, n. 3849. 
(31) Parere 
Cons. Stato, Sez. II, 22 aprile 
2015, n. 1178; 
nello stesso senso Cons. Stato, 13 settembre 
2016, n. 3861. 

RASSegnA 
AvvoCATuRA 
DeLLo 
STATo - n. 4/2016 


Si 
rileva, 
infine, 
che, 
come 
correttamente 
evidenziato 
(32), 
la 
cooperazione 
si 
differenzia 
dal 
contratto 
proprio 
in 
ragione 
dell�estraneit� 
dalla 
logica 
dello scambio tra 
prestazione 
e 
controprestazione, ovvero dalla 
previsione 
di 
un corrispettivo, salvi 
i 
rimborsi 
dei 
costi 
sostenuti 
per l�espletamento dell�attivit� 
oggetto dell�accordo. 

Alla 
luce 
delle 
suddette 
considerazioni, deve 
ritenersi 
che 
le 
convenzioni 
stipulate 
dal 
Dipartimento della 
Protezione 
civile 
con i 
centri 
di 
competenza, 
i 
quali 
hanno 
veste 
di 
soggetto 
pubblico, 
possono 
qualificarsi 
come 
accordi 
tra 
pubbliche 
amministrazioni 
qualora 
integrino 
i 
descritti 
requisiti 
previsti 
dal 
citato art. 5, comma 6. 

Ai 
sensi 
dell�art. 
6 
della 
legge 
225/1992, 
infatti, 
il 
Dipartimento 
ed 
i 
centri 
di 
competenza 
di 
natura 
pubblicistica 
sono titolari 
della 
funzione 
pubblica 
di 
protezione 
civile; 
la 
medesima 
disposizione 
prevede 
lo strumento delle 
convenzioni 
quale 
modulo organizzativo ideale 
per il 
coordinamento di 
detti 
soggetti 
nell�espletamento 
della 
loro 
funzione 
pubblica, 
ovvero 
l�attuazione 
dell�attivit� di protezione civile. 

(32) Cons. Stato, Sez. v, 30 settembre 2013, n. 4832. 

RECENSIONI
Codice 
di 
giustizia sportiva F.I.G.C. annotato con 
la dottrina e 
la 
giurisprudenza, 
a 
cura 
di 
ANTONIO 
BLANDINI, 
PAOLO 
DEL 
VECCHIO, 
ANDREA 
LEPORE 
E 
UMBERTO 
MAIELLO. 


(Edizioni 
SciEntifichE 
italianE, 2016, p. 656) 


ai nostri Maestri di Vita e di diritto 
�l�anima la si incontra nell�amore, nella natura, 
nell�agonismo, nell�ideale, nella fantasia, 
nel superamento dei limiti, nella bellezza� 


(V.m. romAno, il terzo millennio di penelope) 
l�opera 
� 
destinata 
a 
chi 
voglia 
conoscere 
lo stato della 
dottrina 
e 
della 
giurisprudenza 
sull�interpretazione 
delle 
disposizioni 
del 
codice 
di 
giustizia 
sportiva 
FiGc. i commenti, realizzati 
da 
esperti 
della 
materia, 
sono 
caratterizzati 
da 
un�analisi 
completa 
e 
critica 
delle 
principali 
questioni 
in 
tema 
di 
processo 
sportivo. 
l�obiettivo 
� 
rileggere 
le 
norme 
federali 
all�interno 
dell�ordinamento giuridico nel 
suo complesso, senza 
pregiudizi 
di 
sorta, in un confronto dialettico 
con le 
fonti 
del 
sistema 
italo-europeo, mediante 
una 
concreta 
applicazione 
nel 
fenomeno 
sportivo sia 
del 
principio costituzionale 
di 
sussidiariet� 
(art. 118, comma 
4, cost.), sia 
del principio di specificit� di matrice comunitaria (art. 165, comma 2, tFUe). 


PreSentAzione 


l'opera 
si 
inserisce 
nella 
collana 
di 
legislazione 
commentata 
destinata 
ad 
annotare 
le 
norme 
pi� 
significative 
del 
sistema 
italo-europeo 
delle 
fonti. 
tuttavia, per la 
prima 
volta, si 
� 
tentato di 
porre 
l'esperienza 
di 
un gruppo di 


Antonio 
BlAndini, professore 
ordinario di 
diritto commerciale 
nell�Universit� 
degli 
Studi 
di 
napoli 
�Federico ii�. 
PAolo 
del 
Vecchio, 
avvocato 
dello 
Stato 
e 
componente 
della 
corte 
sportiva 
d�appello 
nazionale 
FiGc. 
AndreA 
lePore, professore 
associato di 
diritto privato nella 
Seconda 
Universit� 
degli 
Studi 
di 
napoli 
e componente della corte sportiva d�appello nazionale FiGc. 
UmBerto 
mAiello, consigliere 
del 
tAr campania 
e 
componente 
della 
corte 
federale 
d�appello FiGc. 



rASSeGnA 
AVVocAtUrA 
dello 
StAto - n. 4/2016 


giuristi, con alle 
spalle 
percorsi 
professionali 
diversi, al 
servizio di 
un volume 
che 
avesse 
ad 
oggetto 
non 
un 
tradizionale 
atto 
legislativo 
della 
repubblica, 
quanto, 
piuttosto, 
una 
regolamentazione 
federale 
di 
grande 
rilevanza 
nel 
mondo sportivo: il codice di giustizia sportiva della FiGc. 


"Un'opera 
prima" 
dunque, che, come 
altre 
dello stesso lignaggio, si 
propone 
di 
fornire 
uno 
strumento 
agli 
studiosi 
ed 
agli 
operatori 
del 
settore 
-e 
non 
solo - utile 
per comprendere 
sotto il 
profilo funzionale 
ed applicativo istituti 
tipici 
del 
diritto sportivo, troppo spesso negletti. come 
� 
stato ricordato, �il 
problema 
dello 
sport 
per 
il 
vecchio 
giurista 
si 
poneva 
gi� 
nei 
confronti 
del 
gioco, un'attivit� 
rispetto alla 
quale 
lo sport 
assume 
l'aspetto di 
un fenomeno 
qualificato, sul 
piano sociale 
e 
quindi 
dal 
diritto che 
lo prende 
in considerazione 
come 
meritevole 
di 
disciplina 
o almeno di 
interessamento da 
parte 
del-
l'ordinamento giuridico� (P. reSciGno, presentazione, in AA.VV., fenomeno 
sportivo 
e 
ordinamento 
giuridico, 
Atti 
del 
3� 
convegno 
nazionale 
SiSdic, 
napoli, 2009, p. 11). 


Gli 
Autori 
di 
questo commentario si 
sono prefissi 
l'obiettivo di 
rileggere 
le 
norme 
sportive 
all'interno del 
sistema 
giuridico nel 
suo complesso, senza 
pregiudizi 
di 
sorta, 
in 
un 
confronto 
dialettico 
con 
le 
fonti 
dell'ordinamento, 
mediante 
una 
concreta 
applicazione 
nel 
fenomeno sportivo sia 
del 
principio 
costituzionale 
di 
sussidiariet� 
(art. 118, comma 
4, cost.), sia 
del 
principio di 
specificit� di matrice comunitaria (art. 165, comma 2, tFUe). 


�, 
infatti, 
grazie 
alla 
sussidiariet� 
ed 
alla 
specificit� 
dello 
sport 
che 
� 
possibile 
selezionare 
gli 
interessi 
meritevoli 
di 
tutela 
per l'ordinamento espressi 
dai 
regolamenti 
federali, e 
sanzionare 
quelli 
che, invece, si 
pongono in contrasto 
con 
esso. 
Un 
dato 
acquisito 
di 
valore 
normativo, 
ribadito 
con 
forza 
anche 
dal 
diritto comunitario - si 
pensi 
al 
recente 
intervento del 
Parlamento europeo 
sulla 
vicenda 
Fifa-Blatter -, di 
cui 
bisogna 
tenere 
conto in virt� del 
principio 
di legalit�, a prescindere dalla prospettiva metodologica adottata. 


da 
qui 
i 
richiami 
in tutti 
i 
contributi 
alla 
legislazione 
ordinaria 
e 
comunitaria, 
alla 
giurisprudenza 
-sportiva 
e 
di 
diritto comune 
-, e 
alla 
letteratura 
accademica, di 
settore 
e 
non. il 
confronto dialettico tra 
i 
vari 
diversi 
sistemi 
normativi 
e 
giustiziali 
� 
stato fortemente 
voluto dai 
curatori 
di 
quest'opera, al 
fine 
di 
offrire 
al 
lettore 
una 
fotografia 
quanto 
pi� 
dettagliata 
possibile 
della 
regolametazione 
federale, 
di 
l� 
dal 
freddo 
dato 
normativo, 
in 
modo 
da 
proporre 
all'operatore del diritto uno strumento accurato e utile. 


disporre 
di 
regole 
efficaci 
e 
aggiornate 
� 
oramai 
requisito 
imprescindibile 
per ogni 
Federazione, indispensabile 
per garantire 
il 
rispetto delle 
identit� 
e 
delle 
culture 
in base 
ai 
principi 
di 
pari 
dignit� 
e 
di 
lealt�. lo sport 
programmatico 
si 
basa 
sulla 
qualit� 
dei 
propri 
regolamenti 
tecnici 
delle 
singole 
discipline 
e su un condiviso nucleo assiologico. 


conseguentemente, 
�se 
in 
potenza 
lo 
sport 
si 
identifica 
con 
le 
sue 
regole, 
esso diviene 
atto tramite 
il 
loro rispetto� (P. PerlinGieri 
e 
l. di 
nellA, Edi



recenSioni 
309 


toriale 
- le 
ragioni 
di 
una rivista, in radeS, 2006, p. 1). le 
regole 
tecniche 
divengono allora 
regole 
di 
comportamento, che 
non si 
limitano a 
permettere 


o a 
vietare 
semplici 
condotte 
di 
gioco, ma 
esprimono valori. tra 
questi 
si 
stagliano 
quelli 
dell'etica 
e 
della 
lealt� 
sportiva, del 
rispetto dell'avversario nella 
competizione 
agonistica, e 
coinvolgono non soltanto gli 
atleti, ma 
anche 
e 
soprattutto 
i 
sodalizi, i 
dirigenti 
sportivi 
e 
gli 
organi 
federali, istituzionali 
e 
di 
giustizia. lo sport 
� 
�un fenomeno dell'uomo e 
per l'uomo�, � 
strumento di 
realizzazione 
della 
personalit� 
del 
singolo 
e 
di 
esaltazione 
dei 
valori 
della 
collettivit� 
locale e nazionale. 
l'opera 
si 
prefigge 
l'obiettivo 
di 
essere 
non 
un 
contributo 
scientifico 
e 
pratico concluso, ma 
una 
sorta 
di 
laboratorio aperto, un percorso conoscitivo 
appena 
intrapreso, 
dove 
le 
esperienze 
e 
le 
competenze 
di 
diversi 
interpreti 
possano 
incontrarsi 
e 
dibattere. All'interno del 
commentario si 
� 
cos� 
cercato costantemente 
di 
garantire 
pluralismo 
metodologico, 
indipendenza, 
libert� 
di 
opinioni, 
dialogo 
interdisciplinare, 
respiro 
internazionale. 
Un 
confronto 
serrato 
tra 
studiosi 
e 
operatori 
del 
mondo 
dello 
sport 
al 
fine 
di 
rendere 
pi� 
chiari 
istituti 
sostanziali 
e 
processuali 
dibattuti 
talora 
con 
poca 
attenzione 
e 
consapevolezza. 


le 
ragioni 
che 
hanno spinto i 
curatori 
e 
gli 
Autori 
tutti 
a 
intraprendere 
questa 
strada 
irta 
e 
piena 
di 
ostacoli 
sono di 
due 
tipi. la 
prima 
risiede 
nella 
necessit� 
di 
contribuire 
alla 
promozione 
di 
un 
rinascimento 
della 
cultura 
dello 
sport. 
la 
seconda 
� 
rappresentata 
dal 
tentativo 
di 
spingere 
la 
dottrina, 
i 
giudici 
e 
gli 
avvocati 
- che 
a 
vario titolo hanno collaborato alla 
stesura 
di 
questo volume 
- a 
cimentarsi 
in un confronto su temi 
eterogenei, che 
le 
fredde 
e 
meccaniche 
banche 
dati 
e 
le 
raccolte 
legislative 
sportive 
non possono offrire. Una 
sorta 
di 
�adunata 
generale� di 
Amici 
appassionati 
del 
diritto e 
dello sport, in 
un connubio peculiare, ma avvincente. 


Si 
apre 
un vasto e 
interessante 
campo di 
indagine, all'interno del 
quale 
la 
letteratura 
e 
parte 
della 
giurisprudenza 
hanno 
gi� 
prodotto 
qualche 
buon 
frutto. 
ma 
non basta. Fondamentale 
� 
che 
i 
diversi 
operatori 
del 
diritto, ognuno con 
le 
proprie 
competenze, contribuiscano in maniera 
maggiore, soprattutto oggi 


-come 
viene 
ricordato autorevolmente 
-che 
�si 
discorre 
di 
sussidiariet�, la 
quale 
non pu� essere 
realizzata 
se 
non attraverso l'esercizio delle 
autonomie, 
ma 
nel 
rispetto pur sempre 
dei 
valori 
portanti 
dell'ordinamento� (P. Perlin-
Gieri, 
Riflessioni 
conclusive, 
in 
AA.VV., 
fenomeno 
sportivo 
e 
ordinamento 
giuridico, cit., p. 718). 
l'opera 
segue 
nella 
topografia 
il 
codice 
di 
giustizia 
sportiva 
FiGc, ed �, 
dunque, articolata 
in sette 
�titoli�: 
le 
fonti 
della 
disciplina, le 
norme 
di 
comportamento, 
le 
sanzioni, gli 
organi 
della 
giustizia 
sportiva, le 
norme 
generali 
del 
procedimento, 
il 
procedimento 
per 
illecito 
sportivo 
e 
per 
violazioni 
in 
materia 
gestionale 
ed economica, la 
disciplina 
sportiva 
in �mbito regionale 
della 
lnd 
e 
del 
settore 
per 
l'attivit� 
giovanile 
e 
scolastica. 
in 
essi 
vengono 
affrontati 
temi 
controversi 
e 
di 
grandissima 
attualit�, 
quali 
il 
rapporto 
tra 
legislazione 



rASSeGnA 
AVVocAtUrA 
dello 
StAto - n. 4/2016 


statale 
e 
sportiva, 
l'illecito 
disciplinare 
sportivo, 
la 
responsabilit� 
oggettiva 
delle 
societ� 
sportive, la 
violenza 
negli 
stadi 
e 
tutte 
le 
diverse 
fasi 
nelle 
quali 
� articolato il processo sportivo. 


ciascuna 
disposizione 
� 
corredata 
non 
soltanto 
da 
un'annotazione 
che 
contiene 
un insieme 
di 
dati 
come 
nota 
esplicativa, ma 
da 
orientamenti 
giurisprudenziali 
e 
dottrinali 
di 
commento 
o 
critici. 
l'annotazione 
dell'articolo 
singolo 
� 
preceduta 
da 
un 
sommario, 
quale 
ausilio 
alla 
consultazione. 
il 
sommario 
� 
articolato 
in 
brevi 
paragrafi 
in 
modo 
da 
contribuire 
all'individuazione 
del 
tema 
trattato. le 
annotazioni 
sono funzionali 
a 
sottolineare 
le 
applicazioni 
e 
la 
casistica 
con 
una 
terminologia 
rigorosa 
e 
puntuale, 
evitando 
tendenzialmente 
le 
disquisizioni 
puramente 
teoriche 
e 
l'uso di 
nozioni 
prettamente 
concettuali. 
Sono 
poste 
in 
rilievo 
le 
questioni 
pi� 
dibattute, 
sottolineando 
le 
conformit� 
e/o le 
discordanze 
di 
posizioni 
sia 
in seno alla 
dottrina 
e 
alla 
giurisprudenza, 
che 
tra 
letteratura 
e 
giurisprudenza. 
nelle 
annotazioni 
si 
� 
evitato 
di 
riprodurre 
pedissequamente 
le 
massime 
giurisprudenziali 
e 
con 
riferimento 
alle 
singole 
decisioni 
si 
� 
specificato, l� 
dove 
� 
stato possibile, se 
si 
tratti 
di 
giurisprudenza 
pacifica, condivisa 
o isolata. le 
opinioni 
dei 
giudici 
sono per 
lo pi� espresse 
mediante 
le 
sentenze 
della 
corte 
di 
cassazione, della 
corte 
costituzionale 
e 
delle 
diverse 
corti 
federali 
FiGc-lnd. Particolare 
attenzione 
� 
stata 
rivolta 
anche 
alle 
decisioni 
della 
corte 
di 
giustizia 
dell'Unione 
europea 
e alla legislazione europea di profondo impatto nel fenomeno sportivo. 


Per la 
dottrina, invece, si 
� 
tentato di 
individuare 
coloro che 
hanno posto 
le 
basi 
delle 
teorie 
maggiormente 
accreditate, senza 
dimenticare 
le 
opinioni 
contrastanti pi� meritevoli e recenti. 


il 
volume 
consta 
dell'elenco generale 
degli 
articoli 
di 
legge, con indicazioni 
sui 
rispettivi 
annotatori, di 
un indice 
analitico, nonch� 
un indice 
bibliografico 
formulato per l'ordine 
alfabetico degli 
autori 
citati, limitatamente 
agli 
studi che compaiono in forma abbreviata nei commenti. 


Un 
ringraziamento 
particolare 
va 
rivolto 
a 
coloro 
i 
quali 
hanno 
contribuito 
alla 
realizzazione 
del 
commentario. 
in 
primo 
luogo 
agli 
Autori, 
di 
grande 
esperienza, 
competenza, 
e 
sempre 
disponibili 
a 
tornare 
ripetutamente 
sui 
contributi, 
in 
considerazione 
degli 
aggiornamenti 
regolamentari 
di 
sovente 
sopravvenuti 
in 
corso 
d'opera, 
nonch� 
a 
chi 
ha 
partecipato 
all'organizzazione 
e 
alla 
stesura 
dei 
commenti: 
raffaele 
cangiano, 
marco 
cardito, 
marco 
mennella 
e 
marcello 
Sangiorgio, 
enrico 
locascio 
Aliperti; 
e 
ai 
giovani 
praticanti 
dell'Avvocatura 
distrettuale 
dello 
Stato 
di 
napoli 
che 
hanno, 
dal 
primo 
momento, 
condiviso 
con 
entusiasmo 
il 
progetto 
editoriale: 
Filippo 
Borriello, 
diego 
Boscarelli, 
Sara 
cesareo, 
Antonio 
de 
rosa, 
Annapiera 
diodato, 
raffaella 
dolente, 
corrado 
elia, 
Giulia 
Jannelli, 
Antonella 
memeo, 
Giovanna 
montanino, 
Francesco 
mutarelli, 
Giovanna 
nicolais, 
maria 
orefice, 
Francesca 
Vetrano. 


Un 
sentito 
ringraziamento, 
inoltre, 
abbiamo 
il 
dovere 
di 
esprimere 
anche 
a 
coloro 
i 
quali 
hanno collaborato al 
comitato editoriale 
-coordinati 
con grande 
professionalit� 
da 
roberta 
landi 
-, che 
hanno svolto con scrupolo l'attivit� 
di 
composizione 
e 
di 
collazione 
di 
queste 
pagine, 
nonch� 
un delicato e 
arduo lavoro di 
controllo, spesso non soltanto redazionale: 
erica 
Adamo, tiziana 
Baratta, Giuseppe 
liccardo e 
Alessia 
redi. Senza 
il 
loro appassionato e 
ri



recenSioni 
311 


goroso contributo l'opera 
avrebbe 
avuto anc�ra 
pi� disarmonie 
di 
quelle 
che 
il 
lettore 
- inevitabilmente 
-potr� 
cogliere. 
l'indice 
bibliografico 
� 
stato 
curato 
da 
roberta 
landi, 
l'indice 
analitico da Giuseppe liccardo. 


Un giornalista 
chiese 
alla 
teologa 
tedesca 
dorothee 
Solle: 
�come 
spiegherebbe 
a 
un bambino che 
cosa 
� 
la 
felicit�?�. �non glielo spiegherei�, rispose. 
�Gli darei un pallone per farlo giocare�. 


napoli, luglio 2016 
i cUrAtori 



rASSeGnA 
AVVocAtUrA 
dello 
StAto - n. 4/2016 


GUGLIELMO 
BERNABEI 
(*), 
Carattere 
provvedimentale 
della 
decretazione d�urgenza. L�amministrazione con forza di legge. 


(WoltERS 
KluWER 
/ cEdaM, 2017, p. 104) 


l�indagine 
svolta 
si 
concentra 
sul 
problema 
della 
collocazione 
dello 
strumento 
della 
decretazione 
d�urgenza 
non soltanto con riguardo alla 
sua 
posizione 
nel 
sistema 
delle 
fonti 
del 
diritto, ma 
altres� 
con riferimento alla 
natura 
del potere governativo con esso esercitato. 


Sotto quest�ultimo profilo, il 
lavoro, fin dal 
suo titolo, rende 
evidente 
la 
sua 
tesi 
di 
fondo, 
che 
consiste 
nel 
riconoscere 
al 
decreto-legge 
una 
natura 
provvedimentale 
attraverso 
la 
sua 
qualificazione 
come 
atto 
di 
amministrazione, 
ed 
in particolare di �alta amministrazione�, dotato di forza di legge. 


Questo inquadramento forma, in qualche 
modo, il 
�filo rosso� 
del 
lavoro 
proposto. 


dedicati 
alla 
illustrazione 
della 
richiamata 
tesi 
di 
fondo del 
lavoro sono 
l�introduzione 
ed il 
primo capitolo; 
i 
capitoli 
ii e 
iii sono dedicati 
ad una 
rassegna 
-anche 
con richiami 
alla 
giurisprudenza 
costituzionale 
-di 
taluni 
dei 
problemi 
�classici� 
affrontati 
dalla 
dottrina 
in ordine 
alla 
decretazione 
d�urgenza 
(il 
problema 
della 
individuazione 
e 
delle 
istanze 
di 
controllo sulla 
sussistenza 
dei 
presupposti 
di 
necessit� 
e 
di 
urgenza 
richiamati 
dall�art. 77 cost. 


-cap. ii; 
il 
problema 
del 
rapporto sussistente, ai 
sensi 
della 
richiamata 
disposizione 
costituzionale 
tra 
il 
decreto-legge 
e 
la 
legge 
di 
conversione 
- cap. iii). 
Pi� immediatamente 
ricollegati 
alla 
tesi 
della 
natura 
amministrativa/provvedimentale 
del 
decreto-legge 
sono i 
contenuti 
dei 
capitoli 
iV 
e 
V 
dedicati 
rispettivamente 
alla 
tematica 
del 
rapporto 
tra 
decreto 
legge 
e 
potere 
di 
ordinanza 
(cap. 
iV) 
ed 
al 
tema 
delle 
leggi 
provvedimento, 
di 
cui 
si 
contesta 
la 
legittimit� 
anche 
alla 
luce 
della 
ricostruzione 
proposta 
in ordine 
allo strumento della 
decretazione 
d�urgenza (cap. V). 
Gli 
ultimi 
due 
capitoli, che 
precedono le 
considerazioni 
conclusive, sono 
dedicati 
rispettivamente 
al 
tentativo di 
un�elaborazione 
tipologica 
dei 
decreti 
legge, con la 
classificazione 
degli 
atti 
di 
esercizio dei 
poteri 
di 
urgenza, anche 
mediante 
un�analisi, 
alla 
luce 
della 
tesi 
di 
fondo 
del 
lavoro, 
delle 
concrete 


(*) dottore 
di 
ricerca 
in diritto costituzionale, regionale 
e 
degli 
enti 
locali. Attualmente 
svolge 
attivit� 
di 
ricerca 
nell'ambito del 
diritto pubblico, con particolare 
riferimento alle 
tematiche 
connesse 
alle 
fonti 
del 
diritto, 
alla 
pubblica 
amministrazione, 
alla 
autonomia 
e 
finanza 
locale. 
Autore 
di 
monografie 
e 
volumi 
collettanei, 
nonch� 
di 
numerosi 
saggi, 
articoli 
e 
note 
pubblicati 
sulle 
principali 
riviste 
giuridiche 
del 
settore, 
� consulente giuridico di enti pubblici ed istituzionali. 


il 
volume, 
pubblicato 
con 
il 
contributo 
del 
consiglio 
regionale 
Assemblea 
legislativa 
della 
liguria, 
raccoglie 
la 
monografia 
vincitrice 
della 
Settima 
edizione 
della 
rassegna 
nazionale 
di 
studi 
giuridici 
in 
memoria del Prof. Fausto cuocolo. 



recenSioni 
313 


esperienze 
di 
uso 
dello 
strumento 
(cap. 
Vi) 
ed 
infine 
ad 
una 
ricostruzione 
delle 
questioni 
relative 
ai 
limiti 
del 
decreto-legge 
(cap. Vii). con riguardo al 
punto 
da 
ultimo citato, il 
lavoro tende 
a 
ricostruire 
la 
complessiva 
rete 
di 
limiti 
da 
riconoscere 
al 
decreto-legge 
data 
la 
sua 
natura 
provvedimentale, applicando 
allo 
strumento 
di 
cui 
all�art. 
77 
taluni 
dei 
parametri 
alla 
luce 
dei 
quali 
si 
valuta 
la 
legittimit� 
degli 
atti 
amministrativi 
(si 
pensi 
ad es. all�estensione 
al 
decreto 
legge del vizio dell�eccesso di potere). 

come 
si 
� 
gi� 
segnalato, sul 
piano del 
metodo il 
lavoro � 
costruito come 
una 
ricerca, per cos� 
dire, �a 
tesi�, rivolta 
a 
ricercare 
conferme 
ad una 
tesi 
che 
� 
enunciata 
in 
apertura 
e 
che 
dimostra 
di 
incidere 
sulla 
complessiva 
architettura 
della 
ricerca, 
nella 
quale 
i 
problemi 
pi� 
comunemente 
trattati 
in 
dottrina 
in 
ordine 
allo 
strumento 
della 
decretazione 
d�urgenza 
sono 
traguardati 
alla 
luce 
della 
natura 
provvedimentale 
che 
si 
attribuisce 
al 
decreto-legge, e 
la 
ricostruzione 
dei 
limiti 
dello 
strumento, 
del 
quale 
si 
auspica 
una 
riduzione 
ed 
una 
�normalizzazione�, 
sono 
almeno 
in 
parte 
ricalcati 
sui 
presupposti 
di 
legittimit� 
degli atti amministrativi. 

ci� fa 
raggiungere 
al 
lavoro conclusioni 
(sia 
in ordine 
alla 
natura 
del 
decreto 
legge, che 
ai 
suoi 
limiti, che 
alla 
stessa 
configurazione 
ed ai 
limiti 
della 
legge 
parlamentare 
di 
conversione) 
che 
in 
parte 
trovano 
conferma 
nelle 
recenti 
tendenze 
verso uno scrutinio pi� stretto della 
decretazione 
d�urgenza; 
in parte 
si 
pongono 
in 
contrasto 
con 
la 
configurazione 
dello 
strumento 
nettamente 
prevalente 
nella pratica. 


Finito di stampare nel mese di marzo 2017 
Stabilimenti 
Tipografici Carlo Colombo S.p.A. 
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