ANNO LXVIII - N. 3 LUGLIO - SETTEMBRE 2016 
RASSEGNA 
AVVOCATURA 
DELLO STATO 
PUBBLICAZIONE TRIMESTRALE DI SERVIZIO
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Montagnoli - Domenico Mutino - Nicola Parri - Adele Quattrone - Pietro Vitullo. 
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Bernabei, Carla Colelli, Ettore Figliolia, Gianna Galluzzo, Giuliano Gambardella, Michele 
Gerardo, Daniela Giacobbe, Leonardo Lippolis, Michele Madonna, Massimo Massella Ducci 
Teri, Ciro Alessio Mauro, Giacomo Montanari, Alessio Muciaccia, Luciano Musselli, Paola 
Palmieri, Gabriele Pepe, Mario Antonio Scino, Francesco Sclafani, Daniele Sisca, Agnese 
Soldani, Claudio Tric�, Angelo Vitale. 
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INDICE - SOMMARIO 
TEMI ISTITUZIONALI 
Contenzioso relativo ai precari della Scuola. Sentenza n. 187/2016 della 
Corte Costituzionale, Circolare AGS prot. 396563 del 1 settembre 2016 
Paola Palmieri, Conflitto tra due amministrazioni (Istituto scolastico e 
Autorit� indipendente) e patrocinio erariale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 
Uno scambio di email sulla giurisprudenza di merito e di legittimit� in 
punto di ius postulandi dell�Avvocatura dello Stato come parte civile . . 
CONTENZIOSO NAZIONALE 
Leonardo Lippolis, Ne bis in idem ed illeciti finanziari: un�analisi alla 
luce di Corte Costituzionale 102/2016 e della nuova disciplina eurounitaria 
sul market abuse . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 
Mario Antonio Scino, Le memorie illustrative per la Presidenza del Consiglio 
dei Ministri (C. Cost., sent. 12 maggio 2016 n. 102) . . . . . . . . . . . 
Gabriele Pepe, La solidariet� intergenerazionale quale strumento di giustizia 
redistributiva. Commento a Corte Costituzionale n. 173 del 2016 
(C. Cost., sent. 13 luglio 2016 n. 173) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 
Alessio Muciaccia, L�obbligo di taratura periodica degli autovelox: uno 
excursus della giurisprudenza fino alla pronuncia della Corte Costituzionale 
113 del 2015 (C. Cost., sent. 18 giugno 2015 n. 113) . . . . . . . . . 
Anna Andolfi, Nuovi limiti alle parti in ordine alla proponibilit�, quale 
motivo di appello, del difetto di giurisdizione (Cass. civ., Sez. Un., sent. 
20 ottobre 2016 n. 21260) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 
Claudio Tric�, La liquidazione delle astreintes e le ragioni ostative ex art. 
114 c.p.a. alla luce della legge di stabilit� per il 2016 (Cons. St., Sez. IV, 
sent. 13 aprile 2016 n. 1444) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 
I PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 
Sergio Fiorentino, Angelo Vitale, Il giudice competente e il diritto applicabile 
sul Programma �Iniziativa PMI� ai sensi dell�art. 39 del Regolamento 
(EU) n. 1303/2013 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 
Agnese Soldani, Spending review: la riduzione del 15% dei canoni per 
le locazioni passive anche alle ipotesi in cui proprietario dell�immobile 
sia una p.a. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 
Paola Palmieri, Il trattamento dei costi delle societ� costituite nell�ambito 
della ricerca sul modello �spin-off�. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 
Giacomo Aiello, La revisione dei prezzi negli appalti di servizi . . . . . . . 
Paola Palmieri, Edilizia residenziale pubblica e condizioni applicabili alle 
alienazioni di immobili gi� assegnati ai sensi dell�art. 18, D.L. n. 152/1991 
pag. 1 
�� 9 
�� 13 
�� 33 
�� 60 
�� 91 
�� 111 
�� 125 
�� 139 
�� 153 
�� 158 
�� 162 
�� 172 
�� 177
Ettore Figliolia, Sul Programma sperimentale di edilizia residenziale denominato 
�20.000 abitazioni in affitto� (D.M. 2523/2001). . . . . . . . . . . 
Giuseppe Albenzio, Trasformazione di enti collettivi: sul passaggio diretto 
da associazione a fondazione. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 
Mario Antonio Scino, Applicabilit� e misura della penale contrattuale in 
caso di informazione di interdittiva antimafia sopravvenuta nel corso 
dell�esecuzione o a ultimazione dei lavori . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 
Giacomo Aiello, Possibilit� e condizioni per il recesso da una societ� per 
azioni in liquidazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 
Daniela Giacobbe, Azioni di responsabilit� nei confronti di amministratori 
di una societ� incorporata in un ente pubblico economico: spettanza al 
ministero all�epoca socio unico o all�ente incorporante . . . . . . . . . . . . . 
Gianna Galluzzo, Procedimento per il pagamento dei debiti fuori bilancio 
di Roma Capitale di compenteza della Gestione Commissariale . . . . . . 
Danilo Del Gaizo, Immobili strumentali locati a pubbliche amministrazioni 
ed esercizio opzione I.V.A. in caso di subentro di un terzo in qualit� 
di locatore. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 
Francesco Sclafani, Incarichi soggetti agli obblighi di pubblicazione e regime 
di trasparenza per gli enti di diritto pubblico . . . . . . . . . . . . . . . . . 
LEGISLAZIONE ED ATTUALIT� 
Michele Gerardo, Anticorruzione e trasparenza nella pubblica amministrazione. 
Profili giuridici, economici ed informatici . . . . . . . . . . . . . . . 
Daniele Sisca, La successione degli Enti Pubblici: il caso controverso del 
Commissario delegato per l�emergenza ambientale nel territorio della 
Regione Calabria . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 
CONTRIBUTI DI DOTTRINA 
Guglielmo Bernabei, L�amministrazione con forza di legge . . . . . . . . . . 
Giuliano Gambardella, Ciro Alessio Mauro, Il soccorso istruttorio dopo 
l�entrata in vigore del d.lgs n. 50 del 18 aprile 2016. Vecchie e nuove problematiche 
(Segue ordinanza CGUE in causa C-140/16 con annotazione 
di Carla Colelli) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 
RECENSIONI 
Luciano Musselli, Societ� civile e societ� religiosa tra diritto e storia, 
Wolters Kluwer/Cedam, 2016 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 
Luciano Muselli, Islam ed ordinamento italiano. Riflessioni per un 
primo approccio al problema . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 
Luciano Muselli, Dalla conclusione del contratto per stretta di mano 
alla firma elettronica: considerazioni minime sulle trasformazioni del 
diritto. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 
Guglielmo Bernabei, Giacomo Montanari, Fiscalit� locale. Ricerca di un 
difficile equilibrio, Aracne Editrice, 2016 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 
pag. 182 
�� 184 
�� 189 
�� 198 
�� 202 
�� 205 
�� 210 
�� 215 
�� 219 
�� 244 
�� 259 
�� 284 
�� 309 
�� 311 
�� 330 
�� 332
TEMI ISTITUZIONALI 
Avvocatura Generale dello Stato 
CIRCOLARE N. 42/2016 
Oggetto: Contenzioso relativo ai precari della Scuola. Sentenza n. 187/2016 
della Corte Costituzionale. 
Si comunica che la Corte Costituzionale, con sentenza n. 187, depositata il 20 luglio 
2016, ha dichiarato �l�illegittimit� costituzionale, nei sensi e limiti di cui in motivazione, dell�art. 
4, commi 1 e 11 della legge 3 maggio 1999, n. 124 (Disposizioni urgenti in materia di 
personale scolastico) nella parte in cui autorizza, in mancanza di limiti effettivi alla durata 
massima totale dei rapporti di lavoro successivi, il rinnovo potenzialmente illimitato di contratti 
di lavoro a tempo determinato per la copertura di posti vacanti e disponibili di docenti, nonch� 
di personale amministrativo, tecnico e ausiliario, senza che ragioni obiettive lo giustifichino�. 
La declaratoria di illegittimit� costituzionale consegue alla nota sentenza del 26 novembre 
2014 (resa nelle cause riunite C-22/13, da C-61/13 a C-63/13 e C-418/13, Mascolo ed 
altri) della Corte di Giustizia, adita, in sede di rinvio pregiudiziale, dalla medesima Corte Costituzionale 
per l�interpretazione del parametro interposto costituito dalla clausola 5, punto 1 
dell�accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato, allegato alla Direttiva 
del Consiglio 28 giugno 1999, n. 1999/70/CE, norma priva di efficacia diretta. 
Per quanto riguarda le ricadute sanzionatorie derivanti dalla pronuncia di incostituzionalit�, 
la stessa Consulta, integrando il dictum del giudice comunitario, ha affermato che il 
legislatore, con la normativa sopravvenuta di cui alla legge 13 luglio 2015, n. 107 (Riforma 
del sistema nazionale di istruzione e formazione e delega per il riordino delle disposizioni legislative 
vigenti) ha �cancellato� l�illecito costituito dalla violazione del diritto dell�UE, adottando 
una serie di misure aventi �natura riparatoria. Nella prospettiva dell�ordinamento 
comunitario, quel che conta � che di fatto ne possano beneficiare i soggetti lesi: � dunque indubbia 
la rilevanza di misure anche sopravvenute�, pienamente �rispondenti ai requisiti richiesti 
dalla Corte di Giustizia�. 
La Corte ha, quindi distinto, �quanto alle situazioni pregresse... a seconda del personale 
interessato�. 
In particolare, per i docenti, la strada della loro stabilizzazione con il piano straordinario 
(scelta definita espressamente �pi� lungimirante a quella del risarcimento�), � idonea a ga-
2 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2016 
rantire �all�intera massa di... precari la possibilit� di fruire di un accesso privilegiato al pubblico 
impiego fino al totale scorrimento delle graduatorie ad esaurimento...�. 
Per il personale amministrativo, tecnico ed ausiliario (ATA), invece, la legge 107 del 
2015 non ha previsto alcun piano straordinario di assunzioni, e, pertanto, afferma la Corte Costituzionale, 
�nei suoi confronti deve trovare applicazione la misura ordinaria del risarcimento 
del danno, misura del resto prevista... dal comma 132 dell�art. 1 della legge n. 107 del 2015, 
che quindi anche per questo aspetto deve ritenersi in linea con la normativa comunitaria�. 
In relazione a tali principi, in attesa che il Comitato Consultivo esprima il proprio definitivo 
avviso, eventualmente all�esito dei giudizi pendenti in Cassazione, � necessario, per 
quanto riguarda il personale docente, che vengano impugnate tutte le decisioni di condanna 
al risarcimento del danno anche nel caso in cui la misura risarcitoria consegua alla stipulazione, 
oltre il triennio, delle supplenze su organico di diritto (e, cio�, ai sensi dell�art. 4, comma 
1 della legge 124 del 1999, per posti vacanti e disponibili) non limitando, quindi, le impugnazioni 
alle sole ipotesi di supplenze reiterate su organico di fatto, di cui ai successivi commi 
2 (per posti non vacanti ma disponibili) e 3 (supplenze temporanee) del medesimo art. 4, legge 
n. 124 del 1999, come si era ritenuto a seguito della sentenza della Corte di Giustizia (secondo 
la quale, comՏ noto, quest�ultima tipologia di incarichi trova la sua, giustificazione nella riconosciuta 
�esigenza di particolare flessibilit�� del sistema scolastico). 
L�impugnazione dovr� essere, tuttavia, preceduta dalla necessaria istruttoria, da parte 
dell�Amministrazione scolastica, in ordine all�effettiva posizione lavorativa del ricorrente/docente 
(se questi sia stato, cio�, destinatario del piano di assunzioni straordinario di cui alla 
legge n. 107 del 2015). 
Per quanto riguarda il personale ATA - nei cui confronti si applica, ai sensi dell�art. 4, 
comma 11 della legge n. 124 del 1999, il regime delle supplenze previsto per il personale docente 
- in mancanza di un piano straordinario di assunzioni analogo a quello disposto per i 
docenti, sembra opportuno, nel caso in cui la stipulazione di contratti a termine per oltre un 
triennio sia avvenuta per la copertura di posti su organico di diritto, prestare acquiescenza alle 
sentenze di condanna al risarcimento dei danni; si proseguir�, invece, come in genere gi� praticato, 
nella predisposizione delle impugnazioni ove la condanna risarcitoria riguardi supplenze 
temporanee (anche annuali) o brevi, reiterate oltre il triennio per posti su organico di 
fatto. 
L'AVVOCATO GENERALE DELLO STATO 
Massimo Massella Ducci Teri 
Corte costituzionale, sentenza 20 luglio 2016 n. 187 - Pres. P. Grossi, Red. G. Coraggio - 
Giudizi di legittimit� costituzionale dell�art. 4, commi 1 e 11, della legge 3 maggio 1999, n. 
124 (Disposizioni urgenti in materia di personale scolastico), promossi dal Tribunale ordinario 
di Roma, con due ordinanze del 2 maggio 2012 e dal Tribunale ordinario di Lamezia Terme, 
con due ordinanze del 30 maggio 2012. 
Considerato in diritto 
1.. Il Tribunale ordinario di Roma e il Tribunale ordinario di Lamezia Terme, in pi� giudizi 
promossi da docenti e personale amministrativo, tecnico e ausiliario (ATA), che hanno 
svolto la propria attivit� in favore del Ministero dell�istruzione, dell�universit� e della ricerca
TEMI ISTITUZIONALI 3 
(MIUR) in ragione di successivi contratti a tempo determinato, con distinte ordinanze, iscritte 
ai nn. 143, 144, 248 e 249 del registro ordinanze 2012, hanno sollevato, nel complesso, questione 
di legittimit� costituzionale dell�art. 4, commi 1 e 11, della legge 3 maggio 1999, n. 
124 (Disposizioni urgenti in materia di personale scolastico), in riferimento all�art. 117, 
primo comma, della Costituzione, in relazione alla clausola 5, punto 1, dell�accordo quadro 
CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato, allegato alla direttiva 28 giugno 1999, 
n. 1999/70/CE (Direttiva del Consiglio relativa all�accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul 
lavoro a tempo determinato). 
2.. La disposizione di cui all�art. 4, comma 1, � censurata dai rimettenti nella parte in cui 
consente la copertura delle cattedre e dei posti di insegnamento che risultino effettivamente 
vacanti e disponibili entro la data del 31 dicembre e che rimangano prevedibilmente tali per 
l�intero anno scolastico, mediante il conferimento di supplenze annuali, in attesa dell�espletamento 
delle procedure concorsuali per l�assunzione di personale docente di ruolo, cos� da 
determinare una successione potenzialmente illimitata di contratti a tempo determinato, e comunque 
svincolata dall�indicazione di ragioni obiettive e/o dalla predeterminazione di una 
durata massima o di un certo numero di rinnovi. 
Il comma 11 del medesimo art. 4 estende l�applicazione del comma 1 al personale ATA. 
I giudici a quibus si sono adeguati al principio affermato dalla giurisprudenza di questa 
Corte (sentenza n. 348 del 2007), secondo cui il parametro costituito dall�art. 117, primo 
comma, Cost., diventa concretamente operativo solo se vengono determinati gli �obblighi internazionali� 
che vincolano la potest� legislativa dello Stato e delle Regioni. 
3.. Questa Corte, con l�ordinanza n. 207 del 2013, ha disposto il rinvio pregiudiziale alla 
Corte di giustizia, per chiarire la portata del parametro comunitario interposto, fermo lo scrutinio 
di costituzionalit� della norma interna, necessario proprio in ragione della mancanza di effetto 
diretto della disposizione dell�accordo quadro che viene in rilievo (ordinanza n. 207 del 2013). 
La Corte, ha cos� ritenuto di avere legittimazione a disporre il rinvio pregiudiziale sull�interpretazione 
del diritto comunitario, anche nei giudizi incidentali, in relazione a norme prive 
di efficacia diretta (nell�ordinanza n. 103 del 2008 aveva gi� affermata la sussistenza delle 
condizioni perch�, quale giurisdizione nazionale, potesse effettuare il rinvio pregiudiziale). 
4.. La Corte di giustizia, con la sentenza 26 novembre 2014 resa nelle cause riunite C- 
22/13, da C-61/13 a C-63/13 e C-418/13, Mascolo ed altri, anche sul rinvio pregiudiziale effettuato 
dalla Corte costituzionale, ha statuito: �La clausola 5, punto 1, dell�accordo quadro 
sul lavoro a tempo determinato, concluso il 18 marzo 1999, che figura nell�allegato alla direttiva 
1999/70/CE del Consiglio, del 28 giugno 1999, relativa all�accordo quadro CES, 
UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato, deve essere interpretata nel senso che osta a 
una normativa nazionale, quale quella di cui trattasi nei procedimenti principali, che autorizzi, 
in attesa dell�espletamento delle procedure concorsuali per l�assunzione di personale di ruolo 
delle scuole statali, il rinnovo di contratti di lavoro a tempo determinato per la copertura di 
posti vacanti e disponibili di docenti nonch� di personale amministrativo, tecnico e ausiliario, 
senza indicare tempi certi per l�espletamento di dette procedure concorsuali ed escludendo 
qualsiasi possibilit�, per tali docenti e detto personale, di ottenere il risarcimento del danno 
eventualmente subito a causa di un siffatto rinnovo�. 
La Corte di giustizia ha di seguito rilevato che �Risulta, infatti, che tale normativa, fatte 
salve le necessarie verifiche da parte dei giudici del rinvio, da un lato, non consente di definire 
criteri obiettivi e trasparenti al fine di verificare se il rinnovo di tali contratti risponda effettivamente 
ad un�esigenza reale, sia idoneo a conseguire l�obiettivo perseguito e sia necessario
4 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2016 
a tal fine, e, dall�altro, non prevede nessun�altra misura diretta a prevenire e a sanzionare il 
ricorso abusivo ad una successione di contratti di lavoro a tempo determinato�. 
5.. Alla sentenza della Corte di giustizia europea interpretativa del diritto dell�Unione deve 
seguire quella di questa Corte, che ha effettuato il rinvio pregiudiziale; n� � di impedimento 
alla pronuncia la legislazione sopravvenuta [legge 13 luglio 2015, n. 107 (Riforma del sistema 
nazionale di istruzione e formazione e delega per il riordino delle disposizioni legislative vigenti)], 
atteso che tale normativa, pur rilevante ad altri effetti - come si vedr� - non esclude 
che la norma da applicare nei giudizi a quibus rimanga quella oggetto della questione di costituzionalit�. 
6.. I giudizi possono essere riuniti per essere decisi con un�unica pronuncia, data l�identit� 
delle questioni. 
(...) 
8.. Nel merito la questione � fondata nei sensi e nei limiti che saranno di seguito precisati. 
9.. Il giudizio va condotto alla stregua del parametro costituzionale come integrato dall�accordo 
quadro, e in particolare della clausola 5, punto 1, del medesimo, secondo l�interpretazione 
data dalla Corte di giustizia con la sentenza 26 novembre 2014, nelle cause riunite 
C-22/13, da C-61/13 a C-63/13 e C-418/13, Mascolo ed altri. 
La questione di pregiudizialit� comunitaria � oggetto di specifico esame nei paragrafi 72 e 
seguenti della motivazione della sentenza Mascolo, a conclusione dei quali, premesso che � 
compito esclusivo del giudice del rinvio pronunciarsi sull�interpretazione delle disposizioni 
del diritto interno, si forniscono precisazioni dirette a orientare il giudice nazionale nella sua 
valutazione della disciplina dei contratti di lavoro a tempo determinato alla luce del diritto 
europeo (paragrafi 84-113). 
La Corte di giustizia afferma che le esigenze di continuit� didattica che inducono ad assunzioni 
temporanee di dipendenti nel comparto scuola possono costituire una ragione obiettiva 
ai sensi della clausola 5, punto 1, lettera a), dell�accordo quadro, che giustifica sia la 
durata determinata dei contratti conclusi con il personale supplente, sia il rinnovo di tali contratti 
in funzione delle esigenze di continuit� didattica, fatto salvo il rispetto dei requisiti fissati 
al riguardo dall�accordo quadro. 
Tuttavia ritiene che nel caso in esame il rinnovo di contratti o di rapporti di lavoro a tempo 
determinato al fine di soddisfare queste esigenze abbia, di fatto, un carattere non provvisorio, 
ma, al contrario, permanente e durevole, e non sia giustificato ai sensi della lettera a), del 
punto 1, della clausola citata. 
Conclusivamente, la Corte di giustizia afferma che la disciplina in esame, sebbene limiti 
formalmente il ricorso ai contratti di lavoro a tempo determinato per provvedere a supplenze 
annuali per posti vacanti e disponibili nelle scuole statali solo per un periodo temporaneo fino 
all�espletamento delle procedure concorsuali, non consente di garantire che l�applicazione 
concreta di tale ragione obiettiva, in considerazione delle particolarit� dell�attivit� di cui trattasi 
e delle condizioni del suo esercizio, sia conforme ai requisiti dell�accordo quadro. 
10.. La pronuncia della Corte di giustizia sul punto � univoca: da ci� consegue la illegittimit� 
costituzionale, dell�art. 4, commi 1 e 11, della legge n. 124 del 1999, per violazione 
dell�art. 117, primo comma, Cost., in relazione alla clausola 5, comma 1, dell�accordo quadro 
pi� volte citato, nella parte in cui autorizza, in mancanza di limiti effettivi alla durata massima 
totale dei rapporti di lavoro successivi, il rinnovo potenzialmente illimitato di contratti di lavoro 
a tempo determinato per la copertura di posti vacanti e disponibili di docenti nonch� di 
personale amministrativo, tecnico e ausiliario, senza che ragioni obiettive lo giustifichino. 
TEMI ISTITUZIONALI 5 
11.. La questione di legittimit� costituzionale non si esaurisce, tuttavia, in quella oggetto 
del rinvio pregiudiziale. 
Il primato del diritto comunitario e la esclusivit� della giurisdizione costituzionale nazionale, 
in un sistema accentrato di controllo di costituzionalit�, impongono delicati equilibri, 
evidenziati anche nell�ordinanza del rinvio pregiudiziale, in cui questa Corte ha posto in evidenza 
i principi costituzionali che vengono in rilievo nella materia in esame, e cio� l�accesso 
mediante pubblico concorso agli impieghi pubblici (art. 97, quarto comma, Cost.), e il diritto 
all�istruzione (art. 34 Cost.). 
Al riguardo, la disciplina comunitaria in questione non si pone in contrasto con nessuno 
dei due principi, e la statuizione della Corte del Lussemburgo, al contrario, appare rispettosa 
delle competenze degli Stati membri, cui riconosce espressamente spazi di autonomia. 
12.. Tali spazi riguardano in particolare le ricadute sanzionatorie dell�illecito. 
Anche di tali ricadute si � occupata la Corte di giustizia, ma la pronuncia a questo proposito 
d� atto che la normativa comunitaria in materia non prevede misure specifiche, rimettendone 
l�individuazione alle autorit� nazionali e limitandosi a definirne i caratteri essenziali (dissuasivit�, 
proporzionalit�, effettivit�). 
Molto chiari, al riguardo, i paragrafi 77 e 79 della sentenza Mascolo. Nel primo in particolare 
si legge: �[�] quando, come nel caso di specie, il diritto dell�Unione non prevede sanzioni 
specifiche nell�ipotesi in cui vengano nondimeno accertati abusi, spetta alle autorit� 
nazionali adottare misure che devono rivestire un carattere non solo proporzionato, ma anche 
sufficientemente energico e dissuasivo per garantire la piena efficacia delle norme adottate in 
applicazione dell�accordo quadro [�]�. 
La sentenza, dunque, anche se ritiene di precisare alcune delle misure che possono essere 
adottate (procedure di assunzione certe, anche nel tempo, e risarcimento del danno), non ne 
esclude altre purch� rispondenti ai requisiti ricordati. In tal modo, tuttavia, essa non d� risposta 
alla questione della necessit� o meno del riconoscimento del diritto al risarcimento in capo ai 
soggetti che abbiano subito un danno a seguito dell�inadempimento dello Stato italiano, questione 
che costituisce l�oggetto reale dei giudizi a quibus. 
12.1.. Sull�esercizio di tale discrezionalit� s�impone una integrazione del dictum del giudice 
comunitario, che non pu� che competere a questa Corte. 
13.. La questione, se esaminata alla luce della sola normativa vigente all�epoca della sua 
sollevazione, dovrebbe essere risolta in senso positivo; sennonch� viene a questo punto in rilievo 
la normativa sopravvenuta prima ricordata, con le misure che il legislatore ha inteso 
adottare con l�evidente finalit� di garantire la corretta applicazione dell�accordo quadro. 
La verifica della incidenza della nuova disciplina sulla questione in esame, diversamente 
da quanto avviene nei giudizi di costituzionalit� meramente interni, in cui � necessario il rinvio 
al giudice a quo per una sua ulteriore delibazione, costituisce parte integrante della pronuncia 
di questa Corte. 
Difatti, le misure in questione, oltre a svolgere la funzione tipica preventiva-punitiva delle 
sanzioni, nell�interpretazione del Giudice dell�Unione rifluiscono sull�illecito �cancellandolo� 
(paragrafo 79), attesa la loro natura riparatoria. Nella prospettiva dell�ordinamento comunitario 
quel che conta � che di fatto ne possano beneficiare i soggetti lesi: � dunque indubbia la 
rilevanza di misure anche sopravvenute. 
14.. Venendo all�esame della legge n. 107 del 2015, le sue finalit� sono chiaramente indicate 
con riguardo alla disposizione che, nell�originario disegno di legge (Atto Camera 2994, 
XVII legislatura), prevedeva la durata dei contratti di lavoro a tempo determinato della scuola
6 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2016 
(art. 12 del citato d.d.l.). Nella relazione illustrativa si precisava, infatti, che: �La disposizione 
intende adeguare la normativa nazionale a quella europea, al fine di evitare l�abuso nella successione 
dei contratti di lavoro a tempo determinato per il personale docente e non docente 
della scuola pubblica. Ci� a seguito della pronuncia della Corte di giustizia dell�Unione europea 
del 26 novembre 2014 [�]. In proposito la Corte di giustizia dell�Unione europea nella 
citata sentenza ha evidenziato il contrasto delle norme italiane in materia di contratti a tempo 
determinato nel settore scolastico con quanto previsto dalla clausola 5 della direttiva 
1999/70/CE. Si introduce il limite temporale di trentasei mesi come durata massima per i rapporti 
di lavoro a tempo determinato del personale scolastico (docente, educativo, amministrativo 
tecnico e ausiliario) per la copertura di posti vacanti e disponibili presso le istituzioni 
scolastiche ed educative statali da considerarsi complessivamente, anche non continuativi�. 
14.1.. La disposizione � stata poi trasfusa nel comma 131 dell�art. 1 della legge n. 107 del 
2015, secondo cui �A decorrere dal 1� settembre 2016, i contratti di lavoro a tempo determinato 
stipulati con il personale docente, educativo, amministrativo, tecnico e ausiliario presso 
le istituzioni scolastiche ed educative statali, per la copertura di posti vacanti e disponibili, 
non possono superare la durata complessiva di trentasei mesi, anche non continuativi�. 
14.2.. La durata complessiva dei contratti a termine � poi assunta dal legislatore quale parametro 
di operativit� del fondo istituito dal successivo comma 132 dell�art. 1 della legge n. 
107 del 2015. 
Tale ultima disposizione, infatti, stabilisce che nello stato di previsione del MIUR � istituito 
un fondo per i pagamenti in esecuzione di provvedimenti giurisdizionali aventi ad oggetto il 
risarcimento dei danni conseguenti alla reiterazione di contratti a termine per una durata complessiva 
superiore a trentasei mesi, anche non continuativi, su posti vacanti e disponibili, con 
la dotazione di euro 10 milioni per ciascuno degli anni 2015 e 2016. 
14.3.. La medesima legge, all�art. 1, comma 113, ha modificato l�art. 400 del decreto legislativo 
16 aprile 1994, n. 297 (Approvazione del testo unico delle disposizioni legislative 
vigenti in materia di istruzione, relative alle scuole di ogni ordine e grado), norma che regola 
il reclutamento del personale docente ed educativo, e concorre a comporre la disciplina delle 
procedure concorsuali, richiamata, sia pure senza espresso riferimento normativo, nell�art. 4, 
comma 1, della legge n. 124 del 1999, norma impugnata. 
Si prevede, tra l�altro, modificandosi il primo periodo del comma 01 dell�art. 400 del d.lgs. 
n. 297 del 1994, che �I concorsi per titoli ed esami sono nazionali e sono indetti su base regionale, 
con cadenza triennale, per tutti i posti vacanti e disponibili, nei limiti delle risorse finanziarie 
disponibili, nonch� per i posti che si rendano tali nel triennio. Le relative graduatorie 
hanno validit� triennale a decorrere dall�anno scolastico successivo a quello di approvazione 
delle stesse e perdono efficacia con la pubblicazione delle graduatorie del concorso successivo 
e comunque alla scadenza del predetto triennio�. 
La nuova normativa ha dunque confermato la cadenza triennale dei concorsi, gi� prevista 
dal testo previgente. 
Infine, ai sensi del comma 109 dell�art. 1 della legge n. 107 del 2015, l�accesso ai ruoli a 
tempo indeterminato del personale docente educativo della scuola statale, fermo il piano straordinario 
di assunzioni, avverr� mediante concorsi pubblici nazionali su base regionale per 
titoli ed esami, ai sensi del suddetto art. 400 del d.lgs. n. 297 del 1994, come modificato. 
14.4.. A tale normativa a regime si aggiungono rilevanti disposizioni transitorie. 
� infatti stabilito (art. 1, comma 95, della stessa legge) che: �Per l�anno scolastico 
2015/2016, il Ministero dell�istruzione, dell�universit� e della ricerca � autorizzato ad attuare
TEMI ISTITUZIONALI 7 
un piano straordinario di assunzioni a tempo indeterminato di personale docente per le istituzioni 
scolastiche statali di ogni ordine e grado, per la copertura di tutti i posti comuni e di sostegno 
dell�organico di diritto, rimasti vacanti e disponibili all�esito delle operazioni di 
immissione in ruolo effettuate per il medesimo anno scolastico ai sensi dell�articolo 399 del 
testo unico di cui al decreto legislativo 16 aprile 1994, n. 297, al termine delle quali sono soppresse 
le graduatorie dei concorsi per titoli ed esami banditi anteriormente al 2012�. 
� poi previsto, sempre dal comma 109, lettera c), della citata legge n. 107 del 2015, che 
l�art. 399, del d.lgs. n. 297 del 1994, secondo cui l�accesso ai ruoli ha luogo anche attingendo 
alle graduatorie permanenti, continua ad applicarsi fino a totale scorrimento delle relative graduatorie 
ad esaurimento. 
15.. Ebbene, si � gi� detto della pluralit� delle misure autorizzate dalla normativa comunitaria 
che qui viene in rilievo; occorre ora precisare che tali misure sono fra loro alternative 
e che quindi si deve ritenere sufficiente l�applicazione di una sola di esse. 
Ci� si desume in particolare al paragrafo 79 della motivazione, secondo cui �quando si � 
verificato un ricorso abusivo a una successione di contratti o di rapporti di lavoro a tempo determinato, 
si deve poter applicare una misura che presenti garanzie effettive ed equivalenti di 
tutela dei lavoratori al fine di sanzionare debitamente tale abuso e cancellare le conseguenze 
della violazione del diritto dell�Unione�: dunque, � solo una la misura da applicare, purch� 
presenti garanzie effettive ed equivalenti di tutela. 
Nello stesso senso sono i precedenti della Corte di giustizia che, sempre a proposito della 
clausola 5, punto 1, dell�accordo quadro, affermano che rientra nel potere discrezionale degli 
Stati membri ricorrere, al fine di prevenire l�utilizzo abusivo di contratti di lavoro a tempo 
determinato, ad una o pi� tra le misure enunciate in tale clausola o, ancora, a norme equivalenti 
in vigore, purch� tengano conto delle esigenze di settori e/o di categorie specifici di lavoratori 
(sentenza 15 aprile 2008, nella causa C-268/06, Impact; sentenza 23 aprile 2009, nelle cause 
riunite da C-378/07 a C-380/07, Angelidaki ed altri). 
L�alternativit� � del resto implicita nell�identica efficacia delle due misure espressamente 
individuate dalla Corte, entrambe idonee �a cancellare le conseguenze della violazione� (sempre 
nel paragrafo 79). 
Tale efficacia � indubbiamente tipica della sanzione generale del risarcimento, desunta dai 
principi della normativa comunitaria e non richiede approfondimenti; non diversa, tuttavia, � 
l�efficacia dell�altra misura, che sostanzialmente costituisce anch�essa un risarcimento, ma in 
forma specifica. Ci� sarebbe ancor pi� evidente se la sanzione alternativa consistesse nella 
trasformazione del rapporto di lavoro a tempo determinato in rapporto a tempo indeterminato, 
ma la Corte di giustizia dell�Unione europea, prendendo atto del principio del concorso pubblico, 
ricordato anche nell�ordinanza n. 207 del 2013, ritiene sufficiente una disciplina che 
garantisca serie chances di stabilizzazione del rapporto. 
16.. Ebbene, dalla combinazione dei vari interventi, sia a regime che transitori, effettuati 
dal legislatore nel 2015, emerge l�esistenza in tutti i casi che vengono in rilievo di una delle 
misure rispondenti ai requisiti richiesti dalla Corte di giustizia. 
E tale conclusione trova una indiretta ma autorevole conferma in quella cui � pervenuta 
la Commissione U.E. a proposito della procedura di infrazione aperta nei confronti del nostro 
Paese per la violazione della stessa normativa dell�Unione: essa � stata archiviata senza 
sanzioni a seguito della difesa dell�Italia, argomentata con riferimento alla normativa sopravvenuta. 
17.. Viene anzitutto introdotto un termine effettivo di durata dei contratti a tempo deter-
8 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2016 
minato, il cui rispetto � garantito dal risarcimento del danno. E questo, configura quella sanzione 
dissuasiva che la normativa comunitaria ritiene indispensabile. 
18.. Quanto alle situazioni pregresse, occorre distinguere a seconda del personale interessato. 
18.1.. Per i docenti, si � scelta la strada della loro stabilizzazione con il piano straordinario 
destinato alla �copertura di tutti i posti comuni e di sostegno dell�organico di diritto�. 
Esso � volto a garantire all�intera massa di docenti precari la possibilit� di fruire di un accesso 
privilegiato al pubblico impiego fino al totale scorrimento delle graduatorie ad esaurimento, 
secondo quanto previsto dal comma 109 dell�art. 1 della legge n. 107 del 2015, 
permettendo loro di ottenere la stabilizzazione grazie o a meri automatismi (le graduatorie) 
ovvero a selezioni blande (concorsi riservati). 
In tal modo vengono attribuite serie e indiscutibili chances di immissione in ruolo a tutto 
il personale interessato, secondo una delle alternative espressamente prese in considerazione 
dalla Corte di giustizia. 
La scelta � pi� lungimirante rispetto a quella del risarcimento, che avrebbe lasciato il sistema 
scolastico nell�attuale incertezza organizzativa e il personale in uno stato di provvisoriet� 
perenne; una scelta che - va sottolineato - richiede uno sforzo organizzativo e finanziario 
estremamente impegnativo e che comporta un�attuazione invero peculiare di un principio basilare 
del pubblico impiego (l�accesso con concorso pubblico), volto a garantire non solo l�imparzialit� 
ma anche l�efficienza dell�amministrazione (art. 97 Cost.). 
18.2.. Per il personale ATA, invece, non � previsto alcun piano straordinario di assunzione 
e pertanto nei suoi confronti deve trovare applicazione la misura ordinaria del risarcimento 
del danno, misura del resto prevista - lo si � pi� volte ricordato - dal comma 132 dell�art. 1 
della legge n. 107 del 2015, che quindi anche per questo aspetto deve ritenersi in linea con la 
normativa comunitaria. 
19.. Si deve pertanto concludere nel senso che lo Stato italiano si � reso responsabile della 
violazione del diritto dell�U.E., ma anche che il conseguente illecito � stato �cancellato� con 
la previsione di adeguati ristori al personale interessato. 
PER QUESTI MOTIVI 
LA CORTE COSTITUZIONALE 
riuniti i giudizi, 
dichiara l�illegittimit� costituzionale, nei sensi e nei limiti di cui in motivazione, dell�art. 
4, commi 1 e 11, della legge 3 maggio 1999, n. 124 (Disposizioni urgenti in materia di personale 
scolastico), nella parte in cui autorizza, in mancanza di limiti effettivi alla durata massima 
totale dei rapporti di lavoro successivi, il rinnovo potenzialmente illimitato di contratti 
di lavoro a tempo determinato per la copertura di posti vacanti e disponibili di docenti nonch� 
di personale amministrativo, tecnico e ausiliario, senza che ragioni obiettive lo giustifichino. 
Cos� deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 15 
giugno 2016.
TEMI ISTITUZIONALI 9 
Conflitto tra due amministrazioni (Istituto scolastico 
e Autorit� indipendente) e patrocinio erariale 
PARERE DEL 11/07/2016 - 330282, AL 14471/16, AVV. PAOLA PALMIERI 
Con la nota che si riscontra codesta Distrettuale, in seguito alla richiesta 
di patrocinio da parte di un Istituto scolastico coinvolto nel procedimento sanzionatorio 
avviato dall�Autorit� per la Privacy, ha rappresentato la possibile 
situazione di conflitto, in sede di eventuale giudizio di opposizione a sanzione 
amministrativa, tra l�Istituto medesimo - amministrazione soggetta al patrocinio 
obbligatorio - e l�Autorit� Garante della Privacy, per la quale il regolamento 
interno prevede il patrocinio facoltativo. 
Segnala, al riguardo, codesta Distrettuale che, mentre nel caso delle istituzioni 
scolastiche, nonostante la loro autonomia soggettiva e la personalit� 
giuridica autonoma, la giurisprudenza � orientata nel senso del patrocinio erariale 
ex art. 1 del R.D. n. 1611 del 1933, nel caso del Garante, la giurisprudenza 
parrebbe orientata in senso contrario, in considerazione del rinvio operato dal 
Regolamento interno n. 1/2000 all�art. 43 del R.D. 1611 del 1933, con conseguente 
riconoscimento del patrocinio autorizzato. 
La norma del regolamento interno, tuttavia, si legge nella richiesta di parere, 
potrebbe ritenersi superata dalla generale assimilazione delle Autorit� 
alla persona giuridica-Stato, oltre che non essere ritenuta suscettibile di derogare 
alla norma primaria, in quanto contenuta in una fonte secondaria interna. 
a) Con riferimento alle istituzioni scolastiche osserva innanzitutto la Scrivente 
che queste, anche in seguito alla riforma di cui alla l. n. 59 del 1997, seguitano 
a svolgere funzioni e finalit� di competenza dello Stato, continuando 
ad operare come organi statali anche se, attraverso l�attribuzione di personalit� 
giuridica e di autonomia di cui all�art. 21 l. n. 59/1997, le stesse sono divenute 
autonomo centro di imputazione. Per esse, dunque, rimane fermo il principio 
secondo cui le Istituzioni in esame godono del patrocinio dell�Avvocatura dello 
Stato, da esercitare nelle forme di cui all�art. 1 del R.D. 30 ottobre 1933 n. 
1611, come affermato pi� volte dalla giurisprudenza in materia. 
Il patrocinio dell�Avvocatura dello Stato risulta, del resto, anche successivamente 
confermato dall�art. 1 bis, lett. b), del D.P.R. 4 agosto 2001 n. 325 
(Regolamento recante modifiche al decreto del Presidente della repubblica 8 
marzo 1999, n. 275, in materia di autonomia delle istituzioni scolastiche), che, 
introducendo l�art. 7 bis, ha disposto espressamente nel senso che �L�Avvocatura 
dello Stato continua ad assumere la rappresentanza e la difesa nei giudizi 
attivi e passivi davanti alle Autorit� giudiziarie, i collegi arbitrali e le 
giurisdizioni amministrative e speciali di tutte le istituzioni scolastiche cui � 
stata attribuita l�autonomia e la personalit� giuridica ai sensi dell�art. 21 
della legge 15 marzo 1997, n. 59� (Nel senso del patrocinio obbligatorio delle
10 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2016 
istituzioni scolastiche: Cass., Sez. III, ord. 13 luglio 2004 n. 12977; Cons. di 
Stato, Sez. VI, ord. 20 giugno 2012 n. 2370; Cons. di Stato, Sez. II, 27 settembre 
2000 n. 1021). 
Alla luce di tali considerazioni, dunque, non pu� che essere ribadito il riconoscimento 
alle istituzioni scolastiche del patrocinio obbligatorio proprio 
delle Amministrazioni statali, i cui tratti distintivi sono riconducibili, essenzialmente, 
alla non necessit� del mandato, alla impossibilit� di richiedere l�assistenza 
di avvocati del libero foro salvo casi eccezionali e previo parere 
dell�Avvocato Generale, alla individuazione del foro dello Stato ed, infine, 
all�obbligo di notifica presso l�Avvocatura dello Stato. 
b) Quanto al Garante della Privacy osserva la Scrivente, in parziale difformit� 
rispetto a quanto si legge nella richiesta di parere che, in seguito alla 
istituzione del Garante per la protezione dei dati personali avvenuta con la 
legge 31 dicembre 1996, n. 675, il relativo regolamento di organizzazione, approvato 
con DPR 31 marzo 1998, n. 501, ha demandato all�Avvocatura dello 
Stato l�assunzione della rappresentanza in giudizio ai sensi dell�art. 43 del 
R.D. 1611/ 1933, con evidente riferimento ad una forma di patrocinio autorizzato 
(art. 22). 
La disposizione di cui al richiamato DPR, inoltre, non risulta espressamente 
abrogata dal Codice per la protezione dei dati personali (D.Lgs. 30 giugno 
2003, n. 196), il cui art. 183 dispone l�abrogazione di tutte le norme 
incompatibili con la nuova configurazione dell�Autorit� delineata dall�art. 153 
del Codice, lasciando, tuttavia, in vigore le restanti norme (tra cui, appunto, 
l�art. 22 sulla rappresentanza e difesa). 
La disposizione sul patrocinio autorizzato � stata poi confermata dal regolamento 
interno di organizzazione del Garante n. 1 del 2000, il quale di 
nuovo rinvia all�art. 43 del R.D. 1611/1933. In tal senso Cass. 24 giugno 
2014 n. 14326: �Per espressa previsione normativa, contenuta nell'art. 17 
del regolamento del Garante per la protezione dei dati personali n. 1 del 
2000 sull'organizzazione e il funzionamento dell'Ufficio, fermo restando 
quanto previsto dalla L. 24 novembre 1981, n. 689, art. 23, ai giudizi in cui 
� parte tale Autorit� indipendente, la quale riveste una posizione particolare 
nell'ambito dello Stato-comunit�, la rappresentanza e la difesa in giudizio 
� assunta dall'Avvocatura dello Stato ai sensi dell'art. 43 del testo unico 
delle leggi e delle norme giuridiche sulla rappresentanza e difesa in giudizio 
dello Stato, approvato con il R.D. 30 ottobre 1933, n. 1611 (Cass., Sez. 1, 
15 luglio 2005, n. 15076)�. 
� pur vero che le disposizioni in esame, nel riconoscere al Garante un 
patrocinio di tipo autorizzato si pongono in distonia rispetto all�orientamento 
giurisprudenziale che tende ad attribuire alle Autorit� indipendenti, in ragione 
degli interessi pubblici particolarmente rilevanti da esse tutelati, natura 
di organi statali (in particolare, TAR Calabria sez. II, 13 febbraio 2007, n.
TEMI ISTITUZIONALI 11 
53 a proposito dell�AVCP ma anche Cons. di Stato, VI, 25 novembre 1994, 
n. 1716: Il disposto dell'art. 1 comma 1 del r.d. n. 1611 del 1933, prevede 
che spetti all'Avvocatura di Stato la rappresentanza, l'assistenza e il patrocinio 
in giudizio delle amministrazioni dello Stato, anche se organizzate ad 
ordinamento autonomo, tra le quali si annovera appunto l'Autorit� garante 
della concorrenza e del mercato; per il patrocinio obbligatorio ai sensi dell�art. 
1 del R.D. n. 1611 del 1933, dell�Autorit� per l�energia elettrica ed il 
gas: TAR Lombardia, sez. III, 14 novembre 2013, n. 2527; TAR Lombardia, 
sez. III, 10 aprile 2009, n. 3239). 
Tuttavia, anche a prescindere dal fatto che la norma di conferimento del 
patrocinio contenuta in un DPR appare difficilmente superabile e che, nei giudizi 
di interesse dell�Autorit� Garante, il patrocinio � sempre stato ritenuto 
come attribuito ai sensi dell�art. 43 del R.D. n. 1611/1933, si osserva, in ogni 
caso, che, nella prassi di questo G.U., in caso di conflitto tra un�Amministrazione 
statale ed un�Autorit� indipendente, si � sempre ritenuto opportuno conferire 
il patrocinio all�Amministrazione statale, consentendo all�Autorit� di 
avvalersi di avvocati del libero foro (In tal senso, rispetto all�AGCM v. il caso 
esaminato da Cons. di Stato, sez. IV, 28 gennaio 2016, n. 323; parere Avv. 
Gen. 14 dicembre 2011 in relazione a vertenza tra AGCOM e PCM). 
*** 
In sintesi, nella fattispecie sottoposta all�attenzione di questo G.U. da 
codesta Avvocatura Distrettuale, si ritiene che nell�eventuale giudizio di opposizione 
avverso sanzione irrogata dal Garante per la Privacy, debba essere 
riconosciuto il patrocinio in favore dell�Istituzione scolastica interessata, in 
quanto Amministrazione statale che gode di patrocinio obbligatorio nonch� 
tenuto conto del disposto di cui all�art. 43, terzo comma, ultimo inciso, del 
R.D. n. 1611/1933 (con riferimento all�ipotesi di �conflitto di interessi con 
lo Stato�). 
Peraltro, al di l� della conclusione sulla questione giuridica sottoposta al 
parere di questo G.U., si osserva che, al fine di prevenire il verificarsi di ipotesi 
di conflitto, anche in applicazione del principio di leale collaborazione, pu� 
ritenersi quanto mai utile ed opportuno che l�Avvocatura dello Stato affianchi 
l�istituzione scolastica, non solo ai fini della difesa dell�Amministrazione in 
giudizio ma anche della possibile composizione degli interessi in gioco secondo 
la soluzione giuridicamente pi� corretta, previo coinvolgimento, da 
parte del singolo istituto, dell�Amministrazione centrale, affinch� il singolo 
caso di violazione della Privacy, anche per i riflessi che lo stesso comporta 
sulla tutela dei diritti fondamentali della persona, sia considerato, fin dalla fase 
amministrativa che precede il giudizio, in un�ottica di unitariet� e parit� di 
trattamento, nonch� alla luce delle eventuali direttive dettate dal Ministero in 
materia. 
***
12 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2016 
Coinvolgendo questioni di massima, il presente parere � stato sottoposto 
all�esame del Comitato consultivo, ai sensi dell�art. 26 della legge 3 aprile 
1979, n. 103, che si � espresso in conformit� nella seduta del 27 giugno 2016. 
TEMI ISTITUZIONALI 13 
Uno scambio di email sulla giurisprudenza 
di merito e legittimit� in punto di ius postulandi 
dell�Avvocatura dello Stato come parte civile 
Da: Carlo Maria Pisana <carlomaria.pisana@avvocaturastato.it> 
Inviato: mercoled� 21 settembre 2016 18:09 
A: Avvocati_tutti 
Oggetto: ius postulandi dell'Avvocatura come parte civile 
Cari colleghi penalisti, 
mi riferisco alla non recente, ma comunque preoccupante, pronuncia della 
Cassazione penale che, discostandosi dall�orientamento risalente agli anni �90, 
afferma l�autonomia del regime processuale penale quanto alla rappresentanza 
della parte civile da quello civilistico e da quello speciale del r.d. 1611-33. 
Siete a conoscenza di altre pronunce successive, anche di merito, sul tema? 
(...) 
Ecco il brano della sentenza della Cassazione penale del 2014 a cui mi riferivo. 
Si tratta di una costituzione di parte civile dell�Autorit� portuale di Genova, 
la cui inammissibilit� era stata eccepita in ragione dell�obbligo di farsi rappresentare 
dall�Avvocatura dello Stato a cui, evidentemente, l�ente non aveva 
ottemperato. 
Il Giudice penale sembra aver colto l�occasione per affermare un principio. 
Infatti, avrebbe anche potuto ammettere la costituzione di pc in base all�art. 
43 in ragione della delibera espressa dell�ente, se esistente, o anche concludere 
che l�esistenza della delibera afferisce a un rapporto interno. Invece ha proprio 
voluto dichiarare l�indipendenza dell�ordinamento processuale penalistico da 
ogni altra disciplina. Se la prima parte del discorso, in cui si afferma l�autonomia 
dell�ordinamento processuale penale da quello civile, � condivisibile, 
non lo � invece, dove afferma l�autonomia riguardo al regime della rappresentanza 
dello Stato e degli enti. Tale regime � infatti posto da norme speciali 
rivolte a regolare la rappresentanza in giudizio di tali soggetti in ogni tipo di 
processo e non solo in quello civile. 
11. Infondate, preliminarmente, devono ritenersi le doglianze difensive prospettate da 
taluni ricorrenti (ossia, da N.G. G., C.S.M. e C.A.) con riferimento alla mancata estromissione 
della parte civile Autorit� portuale di Genova in ragione del conferimento del mandato 
difensivo ad un avvocato del libero foro, anzich� all'Avvocatura dello Stato, cui 
dovrebbe riconoscersi ex lege ed in via automatica lo ius postulandi nei confronti dell'Autorit� 
Portuale, a norma del su menzionato R.D. 30 dicembre 1993, n. 1611, art. 43 e del 
d.p.c.m. 4 dicembre 1997. 
Al riguardo, infatti, deve ribadirsi l'insegnamento giurisprudenziale, da tempo espresso da 
questa Suprema Corte (Sez. 5^, n. 2518 del 04/12/1998, dep. 25/02/1999, Rv. 212730; Sez. 
5^, n. 10317 del 12/12/2000, dep. 13/03/2001, Rv. 218519), secondo cui l'esercizio dell'azione
14 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2016 
civile nel processo penale � disciplinato dalla legge processuale, e per la rappresentanza 
della parte civile non � operato dalla normativa processuale penale alcun rinvio a quella 
civile ai fini della disciplina applicabile in relazione a tale materia. Ne consegue, secondo 
tale linea interpretativa, l'ulteriore regola in base alla quale, essendo la rappresentanza processuale 
della parte civile disciplinata dall'art. 100 c.p.p., comma 1, che prevede il "ministero 
di un difensore", questi ben pu� essere un avvocato esercente fuori del distretto, non iscritto, 
quindi, nell'albo degli avvocati e procuratori del distretto della Corte di appello nell'ambito 
del quale si trova l'ufficio giudiziario presso il quale egli rappresenta la parte civile. 
Seguendo tale regola di piena autonomia rispetto alla possibile incidenza delle diverse forme 
procedimentali al riguardo delineate in altri settori dell'ordinamento, l'art. 100 c.p.p. enuclea 
un precetto che disciplina la rappresentanza tecnica obbligatoria della parte civile nel processo 
penale, conferendo non ad essa personalmente ma al professionista a ci� incaricato 
con la procura ad litem il potere di compiere un'attivit� processuale non espressamente riservata 
alla parte (ex art. 100, comma 4, cit.). 
La Corte d'appello, sul punto, ha correttamente ritenuto soddisfatta la condizione normativa 
richiesta dalla su indicata disposizione processuale, chiarendo come fosse del tutto pacifica, 
e comunque non revocata in dubbio dalle parti, la sussistenza della effettiva volont� manifestata 
dal Presidente dell'Autorit� portuale di Genova - che ne ha la rappresentanza L. 28 
gennaio 1994, n. 84 , ex art. 8 - di costituirsi parte civile nel processo penale conferendo la 
relativa procura speciale ad un avvocato del libero foro, anzich� all'Avvocatura dello Stato. 
In tal senso, la motivazione della relativa Delib., assunta dal Presidente con il su citato decreto 
n. 465 del 6 maggio 2009, ha chiaramente evidenziato, infatti, le ragioni giustificative della 
scelta dell'ente di costituirsi parte civile con le forme e modalit� sopra indicate. 
Nessun rinvio, parimenti, viene effettuato dal codice di rito alle regole in tema di rappresentanza 
e difesa delle amministrazioni pubbliche non statali previste da disposizioni speciali 
quali quelle evocate dai ricorrenti (R.D. 30 dicembre 1933, n. 1611, art. 43), con la conseguenza 
che eventuali vizi ravvisabili nel rapporto sottostante tra l'ente pubblico e l'organo di 
vigilanza chiamato ad approvarne o ratificarne le scelte relative all'esercizio dei suoi poteri 
di rappresentanza possono, tutt'al pi�, rilevare sul piano delle conseguenze amministrative 
del modus operandi seguito dall'ente, non certo sui profili attinenti alla validit� dell'atto di 
costituzione di parte civile all'interno del processo penale, che deve rispettare le diverse formalit� 
ivi autonomamente contemplate negli artt. 78 c.p.p. e ss. 
Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 13/03/2014) 21-07-2014, n. 32237 
Carlo Maria Pisana 
(Avvocatura Generale dello Stato)
TEMI ISTITUZIONALI 15 
Da: Antonio Ferrara [mailto:antonio.ferrara@avvocaturastato.it] 
Inviato: Thursday 22 September 2016 12:21 
A: 'Carlo Maria Pisana'; 'Giannuzzi Massimo' 
Cc: 'avvocati_tutti' 
Oggetto: R: ius postulandi dell'Avvocatura come parte civile 
Cari Colleghi, segnalo Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 04/11/2009) 11-02- 
2010, n. 5447 che sul punto si � cos� pronunciata �2a- In ogni caso, deve ribadirsi 
che l'Avvocatura dello Stato, derivando il suo ius postulandi 
direttamente dalla legge (R.D. n. 1611 del 1933, art. 1), non ha bisogno, per 
costituirsi parte civile nel processo penale, del conferimento di una procura 
da parte dell'Amministrazione statale rappresentata in giudizio e non � neppure 
onerata della produzione della documentazione attestante la volont� 
della stessa Amministrazione di procedere giudizialmente. Il rapporto sottostante 
a quello di mandato ex lege tra l'Amministrazione pubblica e l'Avvocatura 
dello Stato e relativo alla gestione della lite costituisce, infatti, un 
rapporto meramente interno con l'Amministrazione medesima, senza alcuna 
necessit� che questa deliberi, con atti di rilievo esterno, la sua volont� di agire 
o di resistere in giudizio (cfr. Cass. sez. 18/11/2007 n. 4060)�. 
Comunque, non � il caso di complicarsi troppo la vita. Basta allegare all�atto 
di costituzione, facendone menzione nell�atto stesso, l�autorizzazione della 
Presidenza del Consiglio dei Ministri e, per gli enti, la determina o la delibera 
dell�organo competente in base alla legge o allo statuto. Si tratta di un adempimento 
che non ci costa nulla e che ci pone al riparo da eventuali eccezioni. 
Io mi sono sempre regolato cos� e non ho mai avuto problemi, nel senso che 
qualche sporadica opposizione alla costituzione di parte civile � stata sempre 
respinta. 
Antonio Ferrara 
(Avvocatura dello Stato di Reggio Calabria) 
Da: Avv. Alfonso Mezzotero <alfonso.mezzotero@avvocaturastato.it> 
Inviato: gioved� 22 settembre 2016 12:45 
A: Ferrara Antonio; Pisana Carlo Maria; Giannuzzi Massimo 
Cc: Avvocati_tutti 
Oggetto: R: ius postulandi dell'Avvocatura come parte civile 
Allego, sul tema, il lavoro in oggetto, che ricostruisce i termini della questione. 
Sulla prevalenza delle norme codistiche rispetto alle disposizioni contenute 
nel R.d. n. 1611/1933 non mi risultano pronunce successive a quella del 2014. 
16 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2016 
Resta prevalente il principio affermato nella sentenza riportata dal Collega 
Ferrara. 
Alfonso Mezzotero 
(Avvocatura dello Stato di Catanzaro) 
La difesa delle Amministrazioni dello Stato nel processo penale (*) 
A seguito dell�emanazione del nuovo codice di rito penale del 1988 (il cui nuovo art. 74 
fa espresso riferimento al �soggetto al quale il reato ha recato danno�, riferendosi, dunque, 
inequivocabilmente sia alle persone fisiche che a quelle giuridiche) nessun dubbio 
sussiste in ordine alla possibilit� di ammettere la costituzione di parte civile nel processo 
penale anche per le amministrazioni pubbliche (nonch� per le persone giuridiche di diritto 
privato) che abbiano patito un danno patrimoniale o non patrimoniale come conseguenza 
diretta della condotta criminosa (1). Pertanto, qualora un�Amministrazione dello Stato subisca 
un danno derivante dal reato, potr� esercitare la relativa azione civile restitutoria o 
risarcitoria attraverso la costituzione di parte civile. 
A differenza di quanto accade per i giudizi introdotti innanzi alle altre Autorit� giurisdizionali, 
per la costituzione di parte civile nel processo penale il legislatore richiede un quid 
pluris, rappresentato dalla necessit� della previa autorizzazione espressa dal Presidente del 
Consiglio dei Ministri (art. 1, comma 4, l. 3 gennaio 1991, n. 3) (2). L�autorizzazione viene 
concessa, previo parere dell�ufficio dell�Avvocatura competente (3), qualora vengano in 
considerazione interessi pubblici, patrimoniali e non patrimoniali, di rilevanza tale da ritenersi 
opportuno affiancare il Pubblico Ministero nel processo penale (4). 
Anche nel giudizio penale trovano applicazione i principi dettati dal r.d. n. 1611/1933 per 
l�esercizio dell�azione in giudizio da parte della Amministrazioni erariale, fatta salva la necessit� 
delle previa autorizzazione del Presidente del Consiglio. In particolare, con riferimento 
alla questione dell�applicabilit� all�Avvocatura dello Stato delle norme codicistiche 
che impongono il mandato speciale e la produzione in giudizio della deliberazione attestante 
la volont� dell�Amministrazione di esercitare l�azione civile in sede penale, nonostante 
(*) Estratto da ALFONSO MEZZOTERO - DAVID ROMEI, Il patrocinio delle Pubbliche Amministrazioni. La 
Difesa innanzi alle Giurisdizioni Ordinarie e Speciali, CSA Editrice, 2016 (ndr). 
(1) Si veda sul punto, per quanto qui interessa, AA.VV., La costituzione di parte civile nel processo penale, 
in Rass. avv. St., 2002, 1, 1 e ss. 
(2) Secondo BRUNI - PALATIELLO, La difesa dello Stato nel processo, Utet, 2011, 66, la norma si giustifica, 
pi� che per ragioni di ordine sostanziale, in considerazione dell�esiguo personale togato dell�Avvocatura 
ed al fine di consentire l�indirizzo unitario della difesa in sede penale, evitando dispersioni settoriali. 
(3) Generalmente l�autorizzazione � riferita genericamente allo Stato. L�esatta individuazione delle singole 
Amministrazioni legittimate ad agire in giudizio viene, invece, demandata all�Avvocatura dello 
Stato competente. 
(4) Cfr., in ordine alla natura e tipologia di interessi che giustificano l�intervento dell�Amministrazione 
erariale nel processo penale, BRUNI - PALATIELLO, op. cit., 66 e ss.; MEZZOTERO - MATARESE, L�ammissibilit� 
della costituzione di parte civile nell�interesse dello Stato nei processi di mafia. Alla ricerca del 
bene giuridico oggetto della pretesa risarcitoria (Tribunale di Paola, in composizione collegiale, in 
sede penale, ordinanza 13 dicembre 2005), in Rass. avv. St., 2005, 4, 145 e ss.
TEMI ISTITUZIONALI 17 
qualche (risalente) pronuncia di segno contrario (5), deve, ormai, ritenersi acquisito all�elaborazione 
giurisprudenziale il principio dell�inapplicabilit� della disciplina generale di cui 
all�art. 122, comma 2, c.p.p., in quanto derogata dalla normativa speciale dettata dall�art. 
1, comma 2, r.d. n. 1611/1933. Difatti, gli avvocati dello Stato - non abbisognando il loro 
ius postulandi di conferimento di procura, che deriva direttamente dalla legge - hanno la 
capacit� di compiere tutti gli atti processuali consentiti al difensore munito di mandato, con 
la sola esclusione, in mancanza del conferimento del relativo potere, di quelli che importano 
disposizioni del diritto in contesa. Solo per gli atti di questo tipo � necessaria una apposita 
procura speciale. 
Gli avvocati dello Stato, peraltro, non sono neppure onerati della produzione della documentazione 
attestante la volont� della P.A. di procedere giudizialmente: il rapporto sottostante a 
quello di mandato ex lege fra amministrazione e avvocato e relativo alla gestione della lite ha 
natura meramente interna all�Amministrazione medesima, senza alcuna necessit� che questa 
deliberi, con atti di rilievo esterno, la sua volont� di agire o di resistere in giudizio nei vari 
gradi e fasi di esso (6). 
Anche nei giudizi penali il patrocinio dell�Avvocatura dello Stato � organico, obbligatorio ed 
esclusivo per come si desume dal combinato di cui agli artt. 5, comma 1, e 43, comma 4, r.d. 
n. 1611/1933 (7). 
(5) Cfr. Cass. pen., sez. VI, 17 giugno 1995, n. 6980, in Rass. avv. St., 1995, 2, 304, con nota critica di 
FERRANTE. 
(6) Cfr., testualmente, Cass. pen., sez. VI, 4 novembre 2009, n. 5447, in Guida al dir., 2010, 15, 86 e in 
Cass. pen., 2011, 4, 1521, ove si afferma che: �l�Avvocatura dello Stato, derivando il suo ius postulandi 
direttamente dalla legge (R.D. n. 1611 del 1933, art. 1), non ha bisogno, per costituirsi parte civile nel 
processo penale, del conferimento di una procura da parte dell�Amministrazione statale rappresentata 
in giudizio e non � neppure onerata della produzione della documentazione attestante la volont� della 
stessa Amministrazione di procedere giudizialmente. Il rapporto sottostante a quello di mandato ex lege 
tra l�Amministrazione pubblica e l�Avvocatura dello Stato e relativo alla gestione della lite costituisce, 
infatti, un rapporto meramente interno con l�Amministrazione medesima, senza alcuna necessit� che 
questa deliberi, con atti di rilievo esterno, la sua volont� di agire o di resistere in giudizio (cfr. Cass. 
sez. 18/11/2007 n. 4060; sez. 5^ 27/3/1999 n. 11441)�; nello stesso senso, Cass. pen., sez. II, 24 novembre 
2009, n. 1364, in Banca Dati De Jure; id., sez. I, 8 novembre 2007, n. 4060, ivi, 2008, 11, 4040; id., sez. 
V, 7 ottobre 1999, n. 1441, ivi, 2000, 2341 e in Rass. avv. St., 1999, 3, 526 e ss., con nota di DI TARSIA 
DI BELMONTE, Procura speciale agli avvocati dello Stato ex art. 122 c.p.p.? Del tutto minoritario e superato 
� l�opinione che ritiene necessaria la produzione in giudizio dell�autorizzazione del Presidente 
del Consiglio dei Ministri: in senso affermativo, sul punto, Trib. Bologna, Ufficio G.I.P., 5 ottobre 2004, 
in Giur. merito, 2005, 655. Per approfondimenti, si vedano BRUNI - PALATIELLO, op. cit., 68 e ss.; MEZZOTERO 
- MATARESE, op. cit., 145; CHILIBERTI, Azione civile e nuovo processo penale, Milano, 2006, 335 
e ss. 
(7) In senso contrario si vedano, per�, Cass. pen., sez. VI, 13 marzo 2014, n. 32237, in Cass. pen., 
2015, 4, 1347, con nota di MADIA, I �nebulosi� confini della nozione di �gare nei pubblici incanti 
o nelle licitazioni private� enucleata nell'art. 353 c.p.: tra eccessi �espansionistici� e tendenze �restrittive�, 
secondo cui �ai fini dell�esercizio dell�azione civile nel processo penale, anche gli eventi 
pubblici per i quali la legge attribuisce lo �ius postulandi�, in via automatica, all�Avvocatura dello 
Stato possono validamente conferire mandato per la loro rappresentanza processuale ad un avvocato 
del libero foro, poich� la disciplina del c.p.p. non opera alcun rinvio a quella processualcivilistica 
con riferimento a tale materia e si limita a prevedere, all�art. 100, comma 1, il �ministero di un difensore
��.
18 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2016 
Da: Carlo Maria Pisana <carlomaria.pisana@avvocaturastato.it> 
Inviato: venerd� 23 settembre 2016 10:56 
A: Pisana Carlo Maria; Giannuzzi Massimo 
Cc: Avvocati_tutti 
Oggetto: R: ius postulandi dell'Avvocatura come parte civile 
Segnalo che esiste anche un precedente recente ottenuto da Giannuzzi per 
l�Agea Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 13/03/2014) 24-10-2014, n. 44369. 
Carlo Maria Pisana 
(Avvocatura Generale dello Stato) 
Da: Carlo Maria Pisana [mailto:carlomaria.pisana@avvocaturastato.it] 
Inviato: venerd� 23 settembre 2016 11:25 
A: 'Antonio Ferrara'; 'Giannuzzi Massimo' 
Cc: 'avvocati_tutti' 
Oggetto: R: ius postulandi dell'Avvocatura come parte civile 
Vorrei chiarire che la mia attenzione sul tema non deriva da un desiderio di approfondimento 
e studio fine a s� stesso, ma da esigenze pratiche molto precise. 
Manteniamo, che io sappia da sempre, la linea generale di non esibire mai 
l�autorizzazione della Pcm n� la nota dell�amm.ne che chiede la costituzione 
di p.c. proprio per rendere non discutibile nella prassi giudiziaria che si tratta 
di atti afferenti a un rapporto interno: lo scopo di questo orientamento � quello 
di sottrarre al sindacato delle avverse difese tali atti, semplificando e rendendo 
pi� fluida la nostra partecipazione ai processi penali. 
La cosa � pi� importante di quanto possa apparire perch� talvolta siamo costretti 
a costituirci senza che l�autorizzazione sia gi� pervenuta a nostre mani, 
o in presenza di richieste delle amm.ni non chiare o non univoche e comunque 
espresse in un linguaggio amministrativo ben diverso da quello della giustizia 
penale con riferimenti a concetti e prassi a questo estranei. 
In questo caso, se il rapporto resta interno � sufficiente che nella sostanza il 
nostro operato sia conforme al fine perseguito dall�Amm.ne: eventuali problemi 
potranno risolversi tra noi e l�Amm.ne. Se invece si consentisse un sindacato 
giudiziario su questi atti, fin�ora ritenuti interni, ogni parola sarebbe 
oggetto di discussioni infinite con un appesantimento intollerabile del giudizio 
penale, nonch� inevitabili incomprensioni ed esiti non prevedibili. 
Carlo Maria Pisana 
(Avvocatura Generale dello Stato)
TEMI ISTITUZIONALI 19 
Da: Maurizio Greco <maurizio.greco@avvocaturastato.it> 
Inviato: venerd� 23 settembre 2016 16:34 
A: Di Cave Marinella; Soldani Agnese; Pisana Carlo Maria; Ferrara Antonio; Giannuzzi Massimo 
Cc: Avvocati_tutti 
Oggetto: R: ius postulandi dell'Avvocatura come parte civile 
Il principio di cui alla decisione citata dal collega Avv. Ferrara (Cass. 
5447/2010), trova fondamento in altra sentenza della Cassazione (2819/1997) 
che affronta la specialit� del R.D. 1611/1933, rispetto alle norme del c.p.p. (in 
particolare si verteva dell�applicabilit� dell�art 78 c.p.p.). 
La specialit� della normativa sull�Avvocatura � del resto in linea con quanto 
affermato dalla V Sez. Pen. della Cass. (nr. 11441/1999 LONGARINI). 
In questo senso Giudici di merito (Cfr. Trib. Brescia 07/02/1995, GIP Trib. 
Pen. Velletri del 06.03.1997, Trib Pen. R. Cal. 16.10.1992, Ord. Trib. Pen. 
Roma, 11.12.2010) hanno sempre seguito detta linea. 
Per ci� che concerne la nota (autorizzazione) della PCM io non l�ho mai esibita 
e non ritengo sia utile e necessario farlo anche in considerazione di quanto 
posto in rilievo dal collega Avv. Pisana. 
La valutazione in ordine alla costituzione di parte civile, � simile, del resto, a 
questo proposito, a mio sommesso avviso, alla analoga valutazione sull�assunzione 
della difesa di cui all�art. 44 R.D. 1611/33 (richiesta dell�Amministrazione 
- autorizzazione della P.C.M. - nostro parere favorevole) nell�ambito 
del quale la Cass. (cfr. III Sez., n. 7179/1995; Sez. III, n. 6759/1987; Sez. III, 
n. 10020/1997; Sez. I, n. 12133/1991) ha stabilito che l�Avvocatura non � tenuta 
in alcun modo a dimostrare la sussistenza dei presupposti per l�applicazione 
della norma in quanto trattasi di meri atti interni. L�ultima delle sentenze 
citate, quella del 1991, � la pi� puntuale e specifica tra tutte: 
�Il problema che si pone nel caso di specie - e che riguarda in generale tutte le ipotesi 
in cui l'Avvocatura dello Stato assume la rappresentanza e la difesa in giudizio degli impiegati 
e agenti delle Amministrazioni dello Stato e degli enti di cui all'art. 43 r.d. citato - consiste 
nello stabilire se lo ius postulandi in capo all'avvocatura erariale sussista per il semplice 
fatto dell'assunzione della rappresentanza e della difesa dei soggetti che si trovano nelle condizioni 
di cui al richiamato art. 44 o se invece sia necessaria la prova della richiesta dell'ente 
e del provvedimento dell'Avvocato generale sull'opportunit� dell'assunzione della difesa. 
Secondo la sentenza impugnata la richiesta della p.a. competente ed il parere favorevole dell'Avvocato 
generale costituiscono presupposti di legittimit� dell'esercizio dello ius postulandi 
il cui difetto rende nulli gli atti processuali compiuti dall'Avvocatura. 
La tesi non pu� essere seguita. 
Osserva il Collegio che occorre nettamente distinguere il momento del conferimento dell'incarico 
della difesa da quello del rilascio della procura: il primo destinato a restare fuori del 
processo e ad operare esclusivamente nell'ambito del rapporto interno fra parte e difensore: 
il secondo indirizzato all'esterno e tale da comportare un problema di opponibilit� e, quindi, 
di prova.
20 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2016 
Agli effetti del processo ci� che rileva � solo il momento esterno poich� solo su questo gli 
altri soggetti del rapporto processuale hanno un potere di sindacato. 
Tale potere di sindacato non sussiste, peraltro, quando il patrocinio � assunto dall'Avvocatura 
dello Stato, la quale, ai sensi dell'art. 1 r.d. n. 1611 del 1933, non ha bisogno di mandato alle 
lite per l'esercizio dello ius postulandi. 
In ipotesi di assunzione della difesa e della rappresentanza degli impiegati e degli agenti di 
cui all'art. 44 r.d. citato il momento anteriore del conferimento dell'incarico si svolge attraverso 
una serie procedimentale di cui costituiscono condizioni di legittimit� anche la richiesta 
della p.a. ed il parere favorevole dell'Avvocato generale, ma ci� non esclude che tale momento 
sia privo di rilevanza esterna con la conseguenza che i terzi non hanno alcun potere di pretenderne 
l'osservanza, come � dimostrato proprio dal fatto che non � necessario che tale conferimento 
si esteriorizzi nei confronti di questi ultimi mediante il conferimento di un formale 
mandato. Tale principio � del resto conforme alla giurisprudenza di questa Corte la quale, 
proprio dal principio legislativo secondo cui per il conferimento all'Avvocatura dello Stato 
dell'incarico di agire e di resistere in giudizio non occorre mandato, ha tratto la conseguenza 
che l'eventuale deliberazione, tramite la quale gli enti pubblici non statali decidano di affidare 
alla Avvocatura il detto incarico, costituisce un atto interno, che non riguarda i terzi (Cass. 
24 febbraio 1975 n. 700; Cass. 4 maggio 1976 n. 1578; Cass. 10 aprile 1979 n. 2057; Cass. 
20 marzo 1980 n. 1879; Cass. 9 aprile 1987 n. 3490). 
(...) "lo ius postulandi degli avvocati dello Stato deriva direttamente dalla legge e, quindi, 
non richiede il conferimento di un mandato ad litem anche nel caso di rappresentanza e difesa 
in giudizio degli impiegati ed agenti delle amministrazioni dello Stato e degli enti di cui all'art. 
43 r.d. n. 1611 del 1933, ai sensi dell'art. 44 dello stesso r.d., con la conseguenza che l'avvocatura 
erariale pu� assumere la difesa dei suindicati soggetti senza dovere dimostrare in 
alcun modo la sussistenza delle condizioni di legittimit� imposte dalla norma da ultimo richiamata 
(richiesta dell'ente e parere favorevole dell'Avvocato generale), che costituiscono 
atti interni relativi al conferimento dell'incarico, che non riguardano i terzi, i quali non hanno 
quindi alcuna legittimazione a dedurne la mancanza, dal momento che tale mancanza non 
incide sullo ius postulandi". 
Per completezza segnalo che il precedente citato dal collega Pisana trovava 
un isolatissimo e remoto precedente in Cass. Pen., Sez. VI, 
16.12.1994/17.06.1995, n. 6980 SERI, sempre per� poi superato dalla successiva 
giurisprudenza. 
Maurizio Greco 
(Avvocatura Generale dello Stato)
TEMI ISTITUZIONALI 21 
Da: Massimo Giannuzzi <massimo.giannuzzi@avvocaturastato.it> 
Inviato: venerd� 23 settembre 2016 16:48 
A: Avvocati_tutti 
Oggetto: R: ius postulandi dell'Avvocatura come parte civile 
Anch�io condivido la linea Pisana - Greco, secondo la quale non � opportuno 
depositare l�autorizzazione della PCM e le determinazioni di costituzione di 
parte civile della Presidenza. 
Forse, in linea di principio, l�affermazione del primato delle norme processuali 
che regolano l�esercizio dello ius postulandi nell�interesse della parte civile 
ci possono far gioco nella difesa di questa linea, ove si consideri che l�art. 1 
del r.d. individua l�Avvocatura dello Stato, impersonata dagli avvocati e procuratori 
dello Stato, quali titolari di una procura speciale ex lege, ci� che � 
sufficiente, proprio alla stregua della disciplina processualpenalistica, a legittimarci 
a costituirci parte civile nell�interesse delle Amministazioni da noi patrocinate. 
Il rispetto delle condizioni cui � subordinata la legittimit� della costituzione 
di parte civile non � sindacabile dal giudice ordinario proprio perch� la disciplina 
di riferimento opera su un piano diverso rispetto a quello strettamente 
processuale. 
Massimo Giannuzzi 
(Avvocatura Generale dello Stato) 
Da: Wally Ferrante <wally.ferrante@avvocaturastato.it> 
Inviato: venerd� 23 settembre 2016 19:31 
A: Greco Maurizio; Di Cave Marinella; Soldani Agnese; Pisana Carlo Maria; Ferrara Antonio; 
Giannuzzi Massimo 
Cc: Avvocati_tutti 
Oggetto: R: ius postulandi dell'Avvocatura come parte civile 
Sull�isolata pronuncia della Cassazione del 1995 citata dal Collega Greco, 
avevo scritto l�allegata nota critica pubblicata sulla Rassegna dell�Avvocatura 
� in effetti i miei primi Maestri nei processi penali (Riccardo Montagnoli e 
Enrico De Giovanni) mi avevano sempre suggerito di non produrre l�autorizzazione 
della PCM, trattandosi di atto interno. 
Wally Ferrante 
(Avvocatura Generale dello Stato)
22 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2016 
�Parte civile: procura speciale anche per le amministrazioni statali?�(*) 
Nota a Cassazione Penale, Sez. VI, 17 giugno 1995 n. 6980 
1. Procura speciale e potere autenticatorio del difensore: 
Con la sentenza in rassegna - che non trova precedenti specifici nella giurisprudenza di legittimit�, 
ma si pone in marcato contrasto con l'orientamento unanime e decennale della Suprema 
Corte (sezioni unite, penali e civili) e del Consiglio di Stato formatosi sul contenuto del potere-
dovere dell'Avvocatura dello Stato nella rappresentanza e difesa in giudizio delle amministrazioni 
statali - la Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile la costituzione di parte 
civile effettuata dall'Avvocatura dello Stato per conto del Ministero dei Trasporti senza corredarla 
di idonea documentazione attestante la volont� dell'amministrazione di esercitare nel 
processo penale la pretesa risarcitoria o restitutoria, ritenuta non compresa nella riserva ex 
lege all'Avvocatura dello Stato della difesa degli organismi statuali. 
L'invalidit� della costituzione di parte civile � stata affermata anche per i dipendenti della societ� 
S.C.A.C., offesi dal reato di corruzione e finanziamento illecito dei partiti, avvenuta mediante 
il deposito di due atti distinti recanti, rispettivamente, la dichiarazione di cui all'art. 78, 1� comma 
c.p.p. sottoscritta soltanto dai loro legali e il mandato speciale ad litem conferito a questi ultimi 
dai predetti dipendenti, le cui sottoscrizioni erano state autenticate dai legali medesimi. 
A sostegno della dichiarazione di inammissibilit� della costituzione di parte civile, la Corte 
ha richiamato la sentenza n. 6 (rectius n. 8650) del 18 giugno 1993, depositata il 23 settembre 
1993 delle Sezioni Unite (1) con la quale � stato affermato che, poich� il potere autenticatorio 
del difensore deve ritenersi di natura eccezionale, lo stesso non pu� estendersi a casi diversi 
da quelli espressamente previsti dalla legge. 
Alla luce di tale principio, l'autografia della sottoscrizione della parte che conferisce al difensore 
la procura speciale a costituirsi parte civile ai sensi del combinato disposto di cui agli 
artt. 78 e 100 c.p.p. pu� essere autenticata dal difensore medesimo solo qualora la predetta 
procura speciale sia apposta in calce o a margine della dichiarazione di costituzione di parte 
civile e non sia invece redatta su un atto autonomo, in quanto solo nel primo caso - e in altri 
tassativamente previsti: art . 39 disp. att. c.p.p., 83 c.p.c. - l'art. 100, 2� comma c.p.p. contempla 
il potere autenticatorio del difensore. 
2. Rapporti tra l�Avvocatura dello Stato e l�amministrazione: 
Se il principio enunciato dalle Sezioni Unite, e fatto proprio dalla sentenza in commento, pu� 
essere condivisibile se riferito ai rapporti tra privato e avvocato del foro libero, lo stesso non 
pu� dirsi qualora lo si voglia estendere ai rapporti tra l'amministrazione e l'Avvocatura dello 
Stato - suo difensore ope legis - senza tener conto del disposto dell'art. 1, 2� comma del r.d. 
30 ottobre 1933 n. 1611 che, in quanto norma speciale, deroga alle - pur successive - norme 
generali dettate in materia di costituzione di parte civile. 
In base alla suddetta disposizione, gli Avvocati dello Stato esercitano le loro funzioni innanzi 
a tutte le giurisdizioni ed in qualunque sede e non hanno bisogno di mandato, neppure nei 
(*) Rassegna Avvocatura dello Stato, 1995, Parte I, Sez. VI, Giurisprudenza penale, pp. 305 ss. 
(1) Pubblicata in Cass. penale, 1994, 1, 45 e in Cass. penale, 1995, 2, 273 con nota parzialmente critica 
di MARIO TADDEUCCI SASSOLINO: Procura speciale a costituirsi parte civile e procura speciale ad litem: 
brevi osservazioni sul potere di autentica del difensore.
TEMI ISTITUZIONALI 23 
casi nei quali le norme ordinarie richiedono il mandato speciale, bastando che consti della 
loro qualit�. 
La ratio di tale disciplina risiede nel fatto che, a differenza della relazione che intercorre tra 
cliente e avvocato quali soggetti distinti, quella tra amministrazione e Avvocatura dello Stato 
- inquadrata organicamente nell�ambito della Presidenza del Consiglio dei Ministri - non si 
configura come una relazione intersoggettiva, in quanto si riferisce a due organi appartenenti 
alla medesima persona giuridica, appunto lo Stato-soggetto. 
Il legislatore ha infatti scelto di affidare la rappresentanza e la difesa in giudizio delle amministrazioni 
statali ad un organo tecnico deputato a valutare ed a tutelare in maniera uniforme 
gli interessi dello Stato, proprio in virt� del suo stesso inserimento nell'apparato statale. 
Nell'ordinamento processuale comune, tra parte e difensore si stabilisce una doppia relazione: 
una, interna, attinente al conferimento dell'incarico e concretantesi in un normale mandato; 
l'altra, esterna, afferente all'attribuzione del potere di compiere nel processo atti vincolanti per 
la parte e manifestantesi nella procura alle liti, che conferisce al difensore lo ius postulandi. Il 
rapporto esterno, la regolarit� della procura e quindi la capacit� del difensore di rappresentare 
la parte sono sindacabili dal giudice in ogni stato e grado del giudizio. 
Tale principio non � per� applicabile ai rapporti Stato-difensore poich� l'Avvocatura dello 
Stato, come si � detto, non � soggetto distinto, bens� organo dello Stato parte in causa. 
Ricorrendo pertanto una sorta di immedesimazione organica tra la parte e il suo difensore, 
viene meno la necessit� di distinguere la volont� dell'amministrazione da quella manifestata 
dall'Avvocatura dello Stato, posto che ogni eventuale discordanza potr� al pi� assumere una 
rilevanza meramente interna. 
A tale proposito, si osserva che mentre l'art. 13 del r.d. 1611/1933 attribuiva all'Avvocatura 
dello Stato il potere di disporre della lite, l'art. 12 della legge 3 aprile 1979 n. 103 ha trasferito 
detto potere all'amministrazione, con la precisazione che le eventuali divergenze circa la instaurazione 
di un giudizio o la resistenza nel medesimo sono risolte dal Ministro competente 
con determinazione non delegabile, ferma restando la competenza dell'Avvocato Generale 
dello Stato in ordine alle divergenze di parere tra gli uffici distrettuali dell'Avvocatura dello 
Stato e le singole amministrazioni ai sensi dell'art. 15 della legge 103/79. 
Ci� detto, verso l'esterno, e quindi ai fini della regolarit� del processo, vale la norma dell'art. 
1, 2� comma r.d. 1611/1933, in base alla quale l'Avvocatura dello Stato rappresenta ed impegna 
l'amministrazione senza bisogno di alcun mandato, sicch� n� la controparte, n� il giudice possono 
rilevare una eventuale irregolarit� di comportamento dell'Avvocatura dello Stato che 
avesse, in ipotesi, iniziato una lite, rinunziato ad essa o proposto un gravame contro la volont� 
dell'amministrazione, potendo semmai la violazione dell'art. 12 legge 103/1979 comportare 
una responsabilit� dell'Avvocato dello Stato, ma mai influire sulla regolarit� del processo (2). 
(2) cfr. PIETRO PAVONE: Lo Stato in giudizio, 1995, 28; Cass. 29 aprile 1983 n. 2993 ove si afferma che 
il rapporto sottostante a quello di mandato ex lege fra l'amministrazione e l'Avvocatura e relativo alla 
gestione della lite costituisce un rapporto meramente interno all'amministrazione medesima, senza alcuna 
necessit� che questa deliberi, con atti di rilievo esterno, la sua volont� di agire o resistere in giudizio, 
nei vari gradi e fasi di esso; Cons. di Stato 22 maggio 1981 n. 225 ove si precisa che l'Avvocatura dello 
Stato non ha bisogno, per compiere gli atti del proprio ministero, e in specie per proporre appello, del 
mandato dell'amministrazione rappresentata, in quanto questo discende direttamente dalla legge e pertanto 
al giudice � preclusa ogni indagine non solo sulla sussistenza della procura ad litem, ma anche 
sulla eventuale difformit� tra rappresentanza processuale ed effettiva volont� dell'amministrazione.
24 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2016 
Si � altres� affermato che l'iniziativa giudiziaria dell'Avvocatura dello Stato e quindi anche l'esercizio 
del diritto d'impugnazione, richiedono il consenso dell'amministrazione rappresentata ma 
l'esistenza di tale consenso rileva esclusivamente nel rapporto interno, mentre non condiziona 
la validit� dell'atto processuale, dato che lo ius postulandi dell'Avvocatura medesima non abbisogna 
di conferimento di procura, senza che sia configurabile un�interferenza di tale principio 
sui precetti dell�art. 97 della Costituzione in tema di buon andamento e di imparzialit� (3). 
La disomogenit� tra la natura della difesa erariale e quella del libero professionista si manifesta 
anche sotto altro profilo. Infatti, l'Avvocatura dello Stato, anche quando si trova a difendere 
l'amministrazione in relazione a rapporti di natura privatistica, possiede uno jus postulandi funzionalmente 
e strutturalmente diverso rispetto a quello comune, in quanto, dal punto di vista 
funzionale, l'Avvocatura dello Stato deve sempre tenere presenti gli interessi generali ed i risvolti 
pubblicistici che comunque sottendono ad ogni rapporto in cui sia parte una pubblica 
amministrazione; dal punto di vista strutturale, l'Avvocatura dello Stato ha poteri analoghi a 
quelli di un difensore munito ex lege di tutte le procure necessarie per il compimento di atti 
processuali e non negoziali, anche se i loro effetti incidono sul diritto in contestazione (4). 
Peraltro, la giurisprudenza costante della Suprema Corte e del Consiglio di Stato non solo ha 
sempre sostenuto, con riferimento alle amministrazioni statali, che l'Avvocatura dello Stato, 
che ne ha per legge la rappresentanza, il patrocinio e l'assistenza, non abbisogna di alcun particolare 
atto di investitura (5) nemmeno laddove le norme processuali ordinarie richiedono il 
rilascio di procura speciale (6) ma ha enunciato il medesimo principio anche in relazione agli 
enti, diversi dallo Stato, patrocinati dall'Avvocatura dello Stato a norma dell'art. 43 r.d. 
1611/1933, ribadendo l'irrilevanza di una particolare deliberazione dell'amministrazione che, 
se effettivamente adottata, integra un atto interno che non deve esteriorizzarsi mediante il 
conferimento di un formale mandato ad litem ed in ordine al quale il giudice deve esimersi 
da ogni indagine (7). Si � anzi affermato che una specifica deliberazione � necessaria qualora 
(3) cfr. Cons. di Stato 18 novembre 1994 n. 1654 e Cons. di Stato 2 marzo 1984 n. 125 nelle quali si afferma 
che non � improcedibile l'appello proposto dall'Avvocatura dello Stato nell'interesse dell'amministrazione 
in assenza di un'apposita deliberazione di quest'ultima poich� la difesa erariale gode di piena 
autonomia ed indipendenza nel decidere la condotta della causa, salvo il limite del divieto di assumere 
iniziative processuali che incidano su interessi politico-amministrativi; Cons. di Stato 5 febbraio 1980 
n. 122 ove si afferma che la legittimazione dell'Avvocatura dello Stato a proporre appello nell'interesse 
dell'amministrazione, indipendentemente dal conferimento di apposita procura speciale, � assolutamente 
pacifica in giurisprudenza e non pu� essere negata per effetto della possibilit�, prospettata dalla parte 
appellata, di una responsabilit� dell'amministrazione per danni in conseguenza dell'eventuale accoglimento 
dell'appello. 
(4) cfr. CARBONE CARLO: jus postulandi e poteri sostanziali dell'Avvocatura dello Stato nel processo civile 
nota a Trib. Torino 21 novembre 1975 in Giustizia civile 1976, 2. 
(5) cfr. Cass. SS.UU. 7 dicembre 1992 n. 12966; Cons. di Stato 6 aprile 1979 n. 256; Cons. di Stato 24 
ottobre 1978 n. 934. 
(6) Cons. di Stato 15 marzo 1977 n. 239; Cons. di Stato 11 febbraio 1977 n. 88; Cons. di Stato 3 febbraio 
1976 n. 48. 
(7) Cass. SS.UU. 24 febbraio 1975 n. 700 in cui si sottolinea la non necessit� di procura da far constare 
autonomamente rispetto all'atto di costituzione in giudizio atteso che la difesa in giudizio degli enti pubblici 
cui si riferisce l'art. 43 R.D. 1611/1933 non � rivolta a tutelare l'interesse specifico di tali enti, ma 
soltanto quello generale dello Stato a che i fini pubblici delegati ai medesimi vengano legittimamente 
ed opportunamente perseguiti mediante l'attribuzione della difesa in giudizio ad un organo chiamato a 
valutare gli interessi dello Stato considerato nella sua unit�. Conforme � anche Cass. 14 gennaio 1985 
n. 44.
TEMI ISTITUZIONALI 25 
tali enti intendano derogare alle regole dell'art. 43 r.d. 1611/ 1933 e affidare la propria difesa 
a liberi professionisti (8). 
L'irrilevanza esterna di un formale mandato � stata costantemente affermata addirittura con 
riguardo ad enti sottoposti a patrocinio facoltativo dell'Avvocatura dello Stato, quali ad esempio 
le regioni a statuto ordinario (9). 
L�Amministrazione statale parte civile: 
Come si � gi� detto, la sentenza in rassegna non ha precedenti specifici sul punto nella giurisprudenza 
di legittimit� bench�, da un lato, le sezioni penali della Suprema Corte si siano gi� 
pronunciate in senso contrario in materia assimilabile a quella in esame e, dall'altro, la giurisprudenza 
di merito - in processi tristemente noti alla cronaca giudiziaria - abbia preso posizione, 
sempre in senso opposto, su identica questione affrontata dalla Corte di Cassazione 
nella predetta sentenza. 
Quanto al primo ordine di precedenti, la Corte di Cassazione ha affermato la validit�, nel processo 
penale, dell'impugnazione per gli interessi civili proposta con la sola dichiarazione sottoscritta 
dall'Avvocato dello Stato in quanto, a norma dell'art. 1 r.d. 1611/1933, gli Avvocati 
dello Stato non hanno bisogno di mandato neppure nei casi nei quali le norme ordinarie richiedono 
il mandato speciale, essendo sufficiente la dimostrazione della loro qualit� (10). 
Altra massima dalla quale si deduce chiaramente l'intento di riconoscere all'Avvocatura dello 
Stato il potere di manifestare validamente la volont� della amministrazione di far valere gli 
interessi civili nel processo penale � stata pronunciata con riferimento ad altra parte processuale. 
La Corte di Cassazione ha infatti precisato che se il difensore del responsabile civile 
non �, in linea di principio, legittimato a proporre impugnazione, ove responsabile civile sia 
una amministrazione statale, il procuratore � abilitato a fare la dichiarazione di ricorso per 
cassazione a norma dell'art. 1 R.D. 1611/1933 sull'Avvocatura dello Stato, cui spetta, senza 
bisogno di mandato, la rappresentanza processuale delle Amministrazioni dello Stato (11). 
Quanto alla giurisprudenza di merito, il Tribunale di Brescia, sez. 1a Penale, con l'ordinanza 
del 7 febbraio 1995 emessa nel procedimento n. 653/ 94 R.G. a carico di A.G. + altri ha affermato 
il seguente principio: "Non vi � dubbio che, ai sensi del R.D. 30 ottobre 1933 n. 1611, 
il quale come norma speciale non pu� che prevalere rispetto alle norme generali anche se ad 
esso successive, all'Avvocatura dello Stato compete non solo, ex art. 1, 1� comma, la rappresentanza, 
il patrocinio l'assistenza in giudizio delle Amministrazioni Pubbliche ed equiparate, 
ma anche, ex 2� comma dello stesso articolo, il diritto di esercitare la sua funzione mezzo dei 
propri appartenenti senza necessit� di mandato neppure nei casi nei quali questo ordinariamente 
� richiesto. 
Ne consegue che non sussiste nella specie quel difetto di legittimazione lamentato dalle difese. 
(8) cfr. Cons. di Stato 24 ottobre 1978 n. 934. 
(9) Cass. SS.UU. 3 febbraio 1986 n. 652; Cass. SS.UU. 15 marzo 1982 n. 1672 in cui la rilevanza meramente 
interna del conferimento del mandato viene ribadito anche per i casi in cui la legge prevede la 
necessit� di una procura speciale. Conformi sono anche Cass. 12 maggio 1981 n. 3141 e Cass. 20 marzo 
1980, n. 1879. Contra, da ultimo, Cass. SS.UU. 13 aprile 1994 n. 3465, in Foro it. 1996, I, 270, con 
nota di PASQUALE TROIANO: Avvocatura dello Stato e patrocinio delle regioni a statuto ordinario. 
(10) Cass. 7 aprile 1987 n. 4298. 
(11) Cass. 7 marzo 1988 n. 3109.
26 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2016 
La situazione normativa non si � poi venuta a modificare, contrariamente alla tesi qui proposta, 
con il sopravvenire dell'articolo 1, 4� comma legge 3 gennaio 1991 n. 3, posto che l'autorizzazione 
di cui in essa si parla si riferisce solo ad un rapporto interno a fini puramente disciplinari 
ed ordinamentali senza pregiudicare quella legittimazione della quale si � ora detto, 
ed anzi in una qualche misura presupponendola�. 
Nel disconoscere ogni rilevanza esterna all�autorizzazione della Presidenza del Consiglio dei 
Ministri ex art. 1 legge 3/1991 per mezzo della quale appunto l�amministrazione statale manifesta 
la sua volont� di costituirsi parte civile e di esercitare la pretesa risarcitoria o restitutoria 
nel processo penale, il Tribunale di Brescia ha confermato che, ai fini della regolarit� formale 
del processo, la costituzione di parte civile � validamente effettuata dall'Avvocatura dello 
Stato senza necessit� di alcun mandato (12). 
In modo ancor pi� specifico si � pronunciato sempre il Tribunale di Brescia, sez. 1a Penale, 
con l'ordinanza del 27 ottobre 1995 - e quindi successiva alla sentenza in rassegna dalla quale 
si � nettamente discostata - emessa nel procedimento n. 302/ 95 R.G. a carico di A.R. + altri 
nella quale ha precisato: "In ordine alla contestata legittimazione dell'Avvocatura dello Stato 
ad esprimere la volont� della singola Amministrazione a costituirsi parte civile, il Tribunale 
osserva che il R.D. 30 ottobre 1933 n. 1611 abilita l'Avvocatura non solo ad essere la rappresentante 
in giudizio dello Stato, ma anche ad essere l'organo attraverso il quale si manifesta 
la volont� dello Stato stesso di agire in giudizio, e non semplicemente di essere il nuncius di 
tale volont� da altri espressa". 
L'auspicio � pertanto nel senso che la Suprema Corte operi presto un ripensamento in merito 
all'isolata pronuncia - che non sembra aver tenuto conto della portata del pi� volte citato art. 
1, 2� comma RD. 1611/1933 che esclude espressamente la necessit� di procura speciale per 
gli Avvocati dello Stato - ma non in nome di quella che potrebbe apparire una ingiustificata 
prerogativa dello Stato, bens� alla luce delle suesposte considerazioni in ordine alla sostanziale 
immedesimazione tra l'amministrazione rappresentata e il suo difensore ex lege, anch'esso integrante 
una branca dell'Amministrazione statale e proprio in tale veste legittimato, nei rapporti 
esterni, ad esprimere la volont� dell'amministrazione nel processo come se fosse anche parte. 
WALLY FERRANTE 
Da: Luca Ventrella <luca.ventrella@avvocaturastato.it> 
Inviato: venerd� 23 settembre 2016 20:08 
A: Pisana Carlo Maria; Marco Meloni; Soldani Agnese; Giannuzzi Massimo; Avvocati_tutti; 
Greco Maurizio 
Oggetto: R: ius postulandi dell'Avvocatura come parte civile 
Condivido la linea Pisana/Giannuzzi/Greco che qui nella Generale abbiamo 
tradizionalmente sempre seguito, per le ragioni gi� diffusamente esposte dai 
(12) Sulla non sindacabilit� da parte del giudice penale dell'esistenza e della regolarit� dell'autorizzazione 
della Presidenza del Consiglio dei Ministri ex art. 1 legge 3/1991 in quanto atto interno cfr. PIETRO PAVONE, 
op. cit., 34.
TEMI ISTITUZIONALI 27 
colleghi e che - ricordo - ci venne �ispirata� e suggerita da illustri colleghi pi� 
anziani ed esperti (tra gli altri, mi viene in mente il mai dimenticato Antonio 
Palatiello), cui certo non facevano difetto (tra le altre evidenti qualit�) la saggezza 
e la �prudenza�. 
Personalmente, mi attengo alla �regola di prudenza� di portare sempre con 
me (quando - come quasi sempre accade - ne dispongo) originale e copia 
della nota autorizzativa della PCM, ma di esibirla soltanto su apposita eccezione 
delle controparti, sottolineandone oralmente (se del caso, a verbale) 
al Giudice e alle parti la natura di �atto meramente interno�, e rimarcando 
ogni volta la non obbligatoriet� di tale esibizione (men che meno, produzione 
o deposito), derubricandola a mero atto di �cortesia processuale�, proprio 
per non avallare prassi illegittime e ingiuste che, ove mai si consolidassero, 
rischierebbero di pregiudicare gli interessi delle Amm.ni patrocinate (non 
certo dell�Avvocatura�) in quei casi (che pure talvolta si verificano) in cui 
ne fossimo sforniti (senza nostra �colpa�), pur in presenza della chiara volont� 
manifestata (magari all�ultimo momento) dall�Amministrazione interessata 
di costituirsi parte civile e (tante volte) dell�assoluta opportunit�, se 
non necessit�, di tale costituzione. 
Preciso che, nella mia (ormai pi� che ventennale) esperienza nei processi penali, 
regolandomi in tal modo, non si sono mai verificati inconvenienti e/o 
pregiudizi per le Amm.ni dovuti a mancata ammissione della parte civile per 
le ragioni in questione, essendo state tali (pretestuose ed infondate) eccezioni 
sistematicamente rigettate dai giudici romani. 
Luca Ventrella 
(Avvocatura Generale dello Stato) 
Da: Ferrara Antonio 
Inviato: sabato 24 settembre 2016 11:07 
A: Greco Maurizio; Di Cave Marinella; Soldani Agnese; Pisana Carlo Maria; Giannuzzi Massimo; 
Zito Mario 
Cc: Avvocati_tutti 
Oggetto: Re: ius postulandi dell'Avvocatura come parte civile 
Cari Colleghi, 
visto che il dibattito si � animato desidero precisare meglio il mio pensiero 
sull�argomento. 
Quando a met� degli anni �90 venne pubblicata la sentenza della Corte di Cassazione 
n. 6980 del 1995 (che fu magistralmente commentata sulla nostra Rassegna 
dalla Collega Ferrante) la relativa massima fu subito riportata in tutti i
28 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2016 
codici commentati che giudici ed avvocati utilizzavano per l�udienza. Sulla 
base di tale massima veniva sistematicamente proposta opposizione alla nostra 
costituzione di parte civile (almeno nelle sedi in cui io operavo) con conseguenti 
interminabili discussioni. Avvertii allora il pericolo che qualche giudice, 
specie se monocratico, leggendo sul codice commentato la suddetta massima, 
potesse accogliere l�opposizione. Ritengo che tra le cose pi� imbarazzanti e 
in un certo senso mortificanti per un avvocato vi sia quella di vedersi respinta 
una costituzione di parte civile per motivi formali. Decisi allora, per spuntare 
l�arma che la Cassazione aveva fornito ai colleghi del libero foro, di produrre 
l�atto di autorizzazione e, per gli enti patrocinati, la relativa delibera. Sinceramente 
non capivo e non capisco quali siano le ragioni per cui l�autorizzazione 
non debba essere prodotta. Viviamo in tempi in cui la trasparenza della P.A. � 
un valore primario e credo che l�imputato che subisce una costituzione di parte 
civile abbia tutto il diritto di verificarne la regolarit�. Quanto poi al pericolo 
che la validit� dell�autorizzazione possa essere contestata o oggetto di impugnativa 
non mi � chiaro in quale sede, con quale modalit� e soprattutto con 
quali possibilit� di successo tale eventualit� possa concretizzarsi. Per quanto 
concerne l�idea che possa essere effettuata la costituzione di parte civile in assenza 
di autorizzazione ritengo che tale modus operandi sia illegittimo e come 
tale assolutamente sconsigliabile. La decisione di costituirsi o meno parte civile 
implica anche delle valutazioni di opportunit�, talvolta con risvolti anche 
politici, che la legge attribuisce ad altri organi. Non va inoltre trascurato il pericolo 
che deriva dall�attenzione mediatica che spesso attira i processi di cui 
ci occupiamo. Peraltro, la Presidenza del Consiglio � estremamente puntuale 
e rapida nel concedere e nel trasmettere l�autorizzazione. Comunque, la costituzione, 
se non viene fatta alla prima udienza preliminare, pu� essere sempre 
fatta in una eventuale udienza di rinvio o al dibattimento, con l�unica preclusione 
derivante dall�ammissione dell�imputato al rito abbreviato con inizio 
della discussione. Ma in questo caso pu� sempre argomentarsi che non � conveniente 
per la parte civile accettare il rito abbreviato, specie se condizionato. 
Antonio Ferrara 
(Avvocatura dello Stato di Reggio Calabria)
TEMI ISTITUZIONALI 29 
Da: Dorian De Feis [mailto:dorian.defeis@avvocaturastato.it] 
Inviato: luned� 10 ottobre 2016 19:53 
A: luca.ventrella@avvocaturastato.it; carlomaria.pisana@avvocaturastato.it 
Oggetto: I: processo Riva + altri 
Carissimi, 
come promesso, vi inoltro l'ordinanza con la quale la Corte di Assise di Taranto, 
all'udienza del 4 ottobre u.s., ha, tra le varie questioni esaminate, rigettato 
le eccezioni d'inammissibilit� della nostra costituzione di parte civile 
nell'interesse del Ministero dell'Ambiente e del Ministero della Salute (cfr. 
pag. 28 e 29 dell'ordinanza). 
In particolare, in relazione alla eccepita violazione dell'art. 78, lett. a) e c), 
c.p.p., per mancata indicazione delle generalit� dei Ministri pro tempore, la 
Corte ha affermato che "contrariamente a quanto dedotto, la provenienza dell'atto 
di costituzione dal Ministero dell'Ambiente e della Tutela del territorio 
e dal Ministero della Salute al cui "legale rappresentante pro tempore" (vale 
a dire al Ministro) va ascritta, senza necessit� di indicazione nominativa, la 
rappresentanza organica, quale organo esponenziale della branca della P.A. 
interessata, si desume agevolmente dalla stessa costituzione della Avvocatura 
di Stato (cfr. Cass. civile, 5.6.2006, n. 13207)". 
Con riferimento alla eccezione inerente alla mancata indicazione della fonte 
della legittimazione processuale in capo all'Avvocatura dello Stato, la Corte, 
richiamandosi al consolidato orientamento giurisprudenziale in materia, ha affermato 
che "la costituzione di parte civile per mezzo dell'Avvocatura dello 
Stato, non richiede il conferimento di una procura da parte dell'Amministrazione 
rappresentata in giudizio, perch� l'Avvocatura dello Stato deriva 
lo jus postulandi direttamente dalla legge, con l'ulteriore conseguenza che 
non � neppure onerata della produzione della documentazione attestante la 
volont� della stessa Amministrazione di procedere giudizialmente (Cass. 
4.11.2009, n. 5447. In senso conforme: Cass. pen. n. 4060 del 2008, Cass. 
pen., Sez. V, 27 marzo 2009 n. 11441, Cass. pen. n. 4298 del 1986). La legge 
3.1.1991, n. 3 che stabilisce al comma 4 dell'art. 1 che la costituzione di parte 
civile dello stato deve essere autorizzata dal presidente del Consiglio dei Ministri, 
afferisce esclusivamente allo Stato, come si capisce chiaramente dalla 
lettera della norma e dalla ratio della legge stessa". 
Dorian De Feis 
(Avvocatura dello Stato di Lecce)
30 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2016 
Da: Carlo Maria Pisana [mailto:carlomaria.pisana@avvocaturastato.it] 
Inviato: luned� 17 ottobre 2016 09:57 
A: avvocati_tutti@avvocaturastato.it 
Oggetto: ancora sullo ius postulandi dell'Avvocatura nel processo penale 
Cari Colleghi �interessati al penale�, 
faccio seguito allo scambio di opinioni e esperienze sul tema avviato qualche 
settimana fa, per inviare la recente ordinanza del Tribunale di Roma del 6-10- 
16 relativa a un caso di corruzione, che respinge l�eccezione della difesa dell�imputato 
volta alla esclusione dell�Avvocatura costituitasi parte civile in 
ragione del difetto di indicazione del nome del rapp.te legale dell�amm.ne e 
di produzione dell�atto attestante la volont� di costituirsi di questa. 
L�ordinanza applica al caso particolare i principi affermati dalla Cassazione, 
di cui cita alcuni precedenti conosciuti che avevo evocato nella memoria e che 
peraltro diversi colleghi avevano richiamato nello scambio di email, sul tema 
parzialmente diverso della non necessariet� del mandato in capo all�avvocato 
dello Stato e della rilevanza meramente interna dell�autorizzazione della Pcm. 
Pi� che per ci� che dice, l�ordinanza � interessante per ci� che non dice: ossia 
non richiama e non segue la tesi panpenalistica sottesa alla pronuncia della 
Cassazione sull�Autorit� portuale di Genova che vi avevo segnalato a suo 
tempo (Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 13/03/2014) 21-07-2014, n. 32237). 
Carlo Maria Pisana 
(Avvocatura Generale dello Stato) 
�Il Collegio, 
a scioglimento della riserva che precede sull'eccezione relativa alla costituzione di parte 
civile dell'Avvocatura dello Stato sollevata dalla difesa degli imputati all'udienza del 13 settembre 
2016; 
dato atto del rapporto di immedesimazione organica esistente tra l'Avvocatura dello Stato e 
l'Amministrazione dell'Agenzia delle Entrate, agenzia pubblica con specifici compiti di accertamento 
e controllo fiscale e gestione dei tributi; 
che in particolare, discendendo tale rapporto direttamente dalla legge (art. 1 R.D. 1611 del 
1933 e art. 9 legge 103 del 1979), all'avvocato dello Stato che eserciti il suo mandato non � 
richiesto l'esibizione di una procura dell'amministrazione che rappresenta, sufficiente essendo 
che "consti tale qualit�", e ci�, tanto nel giudizio civile, quanto in quello penale, allorch� le 
pretese civili della pubblica amministrazione siano esercitate in tale sede (cfr. Cass. Pen. Sez. 
5, n. 11441 del 27/03/1999; Cass. Pen. Sez. 1, n. 4060 del 08/11/2007); 
che da ci� deriva, quale ulteriore corollario, l'inosservanza delle formalit� relative alla costituzione 
di parte civile previste dal codice di rito, tra cui, in particolare, l'onere relativo 
alla allegazione della documentazione attestante la volont� della stessa amministrazione di 
procedere giudizialmente (cfr. Cass. Pen. Sez. 6 n. 5447 del 4.11.2009); 
preso atto che la presente costituzione di parte civile � volta ad ottenere il risarcimento del 
danno patrimoniale e morale derivante dall'accoglimento di ricorsi tributari che si assumono 
celebrati dietro la promessa o dazione di somme di denaro; 
TEMI ISTITUZIONALI 31 
ritenuto sussistente la legittimazione alla costituzione di parte civile in capo all'Agenzia delle 
Entrate ed il rispetto delle condizioni di legge per la relativa costituzione con il ministero 
dell'Avvocatura dello Stato 
P.Q.M. 
rigetta le eccezioni difensive e dispone procedersi oltre. 
Della presente ordinanza viene data lettura in udienza. 
Roma, 6.10.2016 
IL PRESIDENTE 
Maria Concetta Giannitti�
CONTENZIOSO NAZIONALE 
Ne bis in idem ed illeciti finanziari: 
un�analisi alla luce di Corte Costituzionale 102/2016 e 
della nuova disciplina eurounitaria sul market abuse 
NOTA A CORTE COSTITUZIONALE, SENTENZA 12 MAGGIO 2016 N. 102 
Leonardo Lippolis* 
SOMMARIO: 1. Doppio binario sanzionatorio e bis in idem: primo responso della Corte 
costituzionale - 2. La sentenza n. 102/2016 - 3. L'origine della questione: bis in idem nazionale 
e bis in idem convenzionale - 4. Le soluzioni interpretative - 4.1. L'interpretazione convenzionalmente 
conforme dell'art. 649 c.p.p. - 4.1.1. (segue) L'interpretazione convenzionalmente 
conforme dell'art. 669 c.p.p. - 4.2. L'applicazione diretta dell'art. 50 CDFUE - 4.2.1. (segue) 
Bis in idem e effettivit� del diritto dell'Unione europea - 4.2.2. (segue) I ristretti confini applicativi 
dell'art. 50 CDFUE - 4.3. La diretta applicazione dell'art. 4 Prot. 7, CEDU - 5. La 
necessit� di un intervento legislativo - 5.1. La nuova disciplina eurounitaria sul market abuse: 
i vincoli imposti dal regolamento 596/2014 (MAR) e dalla direttiva 2014/57/UE (MAD II) - 
5.2. La legge-delega n. 114/2015. 
IN ALLEGATO: Le memorie illustrative per il Presidende del Consiglio dei Ministri (avv. 
Stato Mario Antonio Scino). 
1. Doppio binario sanzionatorio e bis in idem: primo responso della Corte 
costituzionale. 
Con la sentenza n. 102 del 2016 (1) la Corte costituzionale fornisce una 
prima risposta sull'ardua questione della compatibilit� dei sistemi punitivi a 
"doppio binario" - amministrativo e penale - con il principio del ne bis in idem 
convenzionale (art. 4 del Protocollo n. 7, CEDU), cos� come interpretato dalla 
(*) Dottore in Giurisprudenza, ammesso alla pratica forense presso l�Avvocatura dello Stato. 
(1) Corte cost., 08.03.2016 (dep. 12.05.2016), n. 102, in www.cortecostituzionale.it.
34 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2016 
Corte Europea dei diritti dell'uomo. Con due distinte ordinanze interlocutorie, 
la quinta Sezione penale e la Sezione tributaria della Cassazione avevano - 
quasi contemporaneamente - sollevato dubbi sulla costituzionalit� della vigente 
disciplina sanzionatoria in materia di abusi di mercato allestita dal testo 
unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria (D.Lgs. 24 
febbraio 1998, n. 58, di seguito TUF). La Consulta, con responso per vero non 
sorprendente, ha dichiarato inammissibili entrambe le questioni rimesse: si � 
ancora lontani da una "rivoluzione" dei sistemi sanzionatori a doppio binario 
nel nostro ordinamento (2). 
Tuttavia il giudice delle leggi non � sordo ai dicta provenienti da Strasburgo 
a seguito della nota vicenda Grande Stevens. La pronuncia ha il merito 
di segnalare a chiare lettere che l'intero sistema italiano di repressione degli 
abusi di mercato, improntato su un doppio livello di tutela penale e amministrativo, 
frustra, inevitabilmente, il diritto fondamentale a non essere giudicati 
due volte per la stessa condotta illecita, pur se diversamente qualificata (3). 
Tale conferma esplicita rappresenta un chiaro monito per il legislatore in attesa 
dell'esercizio della delega conferita con L. 114/2015 - scaduta il 3 luglio 2016 
- per la riforma della disciplina degli illeciti finanziari. 
Resta, comunque, un fronte scoperto: in attesa dell'intervento governativo 
quali soluzioni ermeneutiche dovr� adottare il giudice nazionale per impedire 
che venga perpetrata la violazione dell'art. 4, Prot. 7 CEDU? 
Il presente lavoro, principiando da una ricognizione della sentenza citata, 
mira a fornire una risposta a tale interrogativo, offrendo una panoramica delle 
strade percorse sino ad oggi dalla giurisprudenza e dalla dottrina impegnata 
in materia. Si focalizzer� poi l'attenzione sulle profonde innovazioni apportate, 
nel campo del market abuse, dalla direttiva 16 aprile 2014, n. 2014/57/UE 
(c.d. MAD II) e dal regolamento 16 aprile 2014, n. 596/2014 (c.d. MAR), 
dando conto, da ultimo, dei criteri-guida fissati dal legislatore per il recepimento 
della normativa eurounitaria. 
(2) Anche per la materia degli illeciti tributari, Corte cost., ord. 8 marzo 2015 (dep. 20 maggio 
2016), n. 112, in www.cortecostituzionale.it., ha dichiarato inammissibile la questione di legittimit� costituzionale, 
sollevata da Trib. Bologna, ord. 21 aprile 2015, dell�art. 649 c.p.p., "in relazione all�art. 
10-ter d.lgs. n. 74/2000, nella parte in cui non prevede l�applicabilit� della disciplina del divieto di un 
secondo giudizio al caso in cui all�imputato sia gi� stata applicata, per il medesimo fatto nell�ambito 
di un procedimento amministrativo, una sanzione alla quale debba riconoscersi natura penale" ai sensi 
della Convenzione europea dei Diritto dell'Uomo. La Corte ha demandato al rimettente la valutazione 
delle complesse ricadute nel giudizio a quo, a seguito della riforma operata con d.lgs. n. 158/2015, "che 
ha profondamente innovato da un punto di vista sistematico il rapporto tra gli illeciti penali e amministrativi 
in questione". Per un primo commento alla pronuncia v. CORSO, Sistema sanzionatorio: la rivoluzione 
pu� attendere, in Ipsoa Quotidiano on line. 
(3) v. � 6.1. della motivazione.
CONTENZIOSO NAZIONALE 35 
2. La sentenza n. 102/2016. 
Come � noto, sino al 2005 le figure dell'abuso di informazioni privilegiate 
(insider trading) e della manipolazione del mercato (market manipulation) 
erano sanzionate esclusivamente in sede penale come delitti (artt. 184 e 185 
TUF). Successivamente, con la legge n. 62 del 2005 (c.d. legge comunitaria 
del 2004), attuativa della direttiva n. 2003/6/CE (c.d. Market Abuse Directive, 
di seguito MAD I), alle figure di reato sono stati affiancati, per le medesime 
condotte, due paralleli illeciti amministrativi (previsti, rispettivamente, dagli 
artt. 187-bis e 187-ter del novellato TUF). 
In deroga al principio di specialit� che, in termini generali, governa il rapporto 
tra sanzione amministrativa e sanzione penale (art. 9, L. 689/81), il Legislatore, 
nella materia interessata, ha previsto "clausole di cumulo" dei due 
tipi di sanzioni, come risulta dall'incipit degli artt. 187 bis e 187 ter TUF: 
"salve le sanzioni penali quando il fatto costituisce reato". 
Lo sdoppiamento degli illeciti finanziari � stato accompagnato, sotto il 
profilo procedimentale, da un duplice binario, che si svolge, rispettivamente, 
davanti all'Autorit� Giudiziaria penale e davanti alla Commissione Nazionale 
per la Societ� e la Borsa (CONSOB) (4), restando peraltro distinti e autonomi 
gli effetti discendenti dai due procedimenti (art. 187 duodecies, TUF). Per 
altro verso, un parziale "collegamento" tra questi si ravvisa in sede di esecuzione 
della pena pecuniaria, ove l'art. 187-terdecies TUF prevede un meccanismo 
compensativo di esazione della stessa limitato alla parte eccedente 
quella gi� riscossa (5). 
Tale sistema punitivo � stato messo al bando dalla Corte EDU, con la notissima 
pronuncia del 4 marzo 2014, Grande Stevens c. Italia (6), nella misura 
in cui la duplicazione di illeciti, e quindi di sanzioni, per lo stesso fatto storico 
(4) Sui profili procedimentali relativi all'esercizio del potere sanzionatorio della Consob v. W.T. 
MANGONI, Il potere sanzionatorio della Consob, Giuffr�, 2012, 119 ss. 
(5) Per una disamina della disciplina v. E. AMBROSETTI, E. MEZZETTI M. RONCO, Diritto penale 
dell'impresa, Zanichelli, 2012, 236 ss. 
(6) Corte eur. dir. uomo, 4 marzo 2014, Grande Stevens e altri c. Italia, divenuta definitiva il 7 
luglio 2014 a seguito del rigetto dell'istanza del Governo italino di rinvio alla Grande Camera, in 
www.echr.coe.int. Per i primi commenti alla sentenza Grande Stevens, vedasi, ex multis, M. ALLENA, Il 
caso Grande Stevens c. Italia: le sanzioni Consob alla prova dei principi Cedu, in Giorn. dir. amm., 
2014, 1053 ss.; F. D�ALESSANDRO, Tutela dei mercati finanziari e rispetto dei diritti umani fondamentali, 
in DPP 2014, 614 ss.; G. DEAMICIS, Ne bis in idem e "doppio binario sanzionatorio": prime riflessioni 
sugli effetti della sentenza "Grande Stevens" nell'ordinamento italiano. Atti dell'incotro di studio: Il 
principio del ne bis in idem tra giurisprudenza europea e diritto interno, Aula Magna della Cassazione, 
in www.cortedicassazione.it, 23 giugno 2014; G.M. FLICK, V. NAPOLEONI, Cumulo tra sanzioni penali 
e amministrative: doppio binario o binario morto? �Materia penale�, giusto processo e ne bis in idem 
nella sentenza della Corte EDU, 4 marzo 2014, sul market abuse, in Rivista AIC, 3/2014; A.F. TRIPODI, 
Uno pi� uno (a Strasburgo) fa due. L'Italia condannata per violazione del ne bis in idem in tema di manipolazione 
del mercato, in www.penalecontemporaneo.it, 9 marzo 2014; V. ZAGREBELSKY, Le sanzioni 
Consob, l�equo processo e il ne bis in idem nella Cedu, in Giur. it., 2014, 1196 ss.
36 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2016 
(bis in idem sostanziale), � esplicitamente preordinata a perseguire o giudicare 
una persona per una seconda volta, nonostante la definitivit� del primo giudizio 
(bis in idem processuale). 
Il perno della censura � la qualificazione della procedura amministrativa 
di fronte alla CONSOB, e delle rispettive sanzioni, come sostanzialmente penali, 
a prescindere dalla loro qualificazione formale. Da ci� discende l'attrazione 
di tutte le garanzie convenzionali apprestate dalla CEDU per il sistema 
penale, tra cui il diritto ad un equo processo (art. 6 CEDU, ritenuto parimenti 
violato nel caso di specie (7)), e, appunto, il divieto di essere sottoposto ad un 
secondo giudizio per uno stesso fatto gi� giudicato in via definitiva (art. 4 Prot. 
n. 7, CEDU). 
In considerazione del riscontrato vulnus al principio del ne bis in idem 
(processuale) sono state prospettate due distinte questioni di costituzionalit�. 
Con una prima ordinanza (8), la quinta Sezione penale della Cassazione, 
sollevava, in via principale, il dubbio sulla compatibilit� dell'art. 187-bis co. 
1 TUF con l'art. 117 co. 1 Cost., in relazione all'art. 4 Prot. 7 CEDU cos� come 
interpretato dalla giurisprudenza della Corte EDU, nella parte in cui prevede 
�Salve le sanzioni penali quando il fatto costituisce reato� anzich� �Salvo che 
il fatto costituisca reato�. 
Il caso sottoposto allo scrutinio del giudice di legittimit� concerneva un 
fatto sostanzialmente assimilabile a quello giudicato dalla Corte EDU nel caso 
Grande Stevens: nonostante l'imputato, per un unica condotta di insider trading, 
fosse stato gi� punito in via definitiva, ai sensi dell'art. 187-bis del d.lgs. 
n. 58 del 1998, con una sanzione amministrativa particolarmente gravosa, si 
procedeva nuovamente, nei suoi confronti, per il reato previsto dall'art. 184, 
lettera b), del d.lgs. n. 58 del 1998. Ci�, secondo il rimettente, stava avvenendo 
in violazione dell'art. 4 del Protocollo n. 7 alla CEDU, il quale imporrebbe di 
arrestare immediatamente il corso di questo secondo processo. 
La Cassazione, in via principale, sottoponeva la questione di legittimit� 
costituzionale della clausola di cumulo in apertura della figura di abuso di 
mercato (art. 187-ter TUF), invocando una pronuncia manipolativa che sostituisse 
quest'ultima con una clausola di sussidiariet�, tale da far recedere l'ap- 
(7) In senso critico sulla validit� del rimedio costituito dal riesame postumo dell�autorit� giudiziaria 
quale �compensazione� delle garanzie violate nel corso del procedimento sanzionatorio Consob 
v. M. ALLENA, Il caso Grande Stevens c. Italia: le sanzioni Consob alla prova dei principi Cedu, cit., 
1063. Sulle ricadute della Grande Stevens con riferimento alla violazione delle garanzie del giusto processo 
da assicurare nel procedimento sanzionatorio della Consob, v. Cons. Stato, 3 febbraio 2015 (dep. 
26 marzo 2015), n. 1596, in www.giustizia-amministrativa.it. 
(8) Cass. pen., Sez. V, ord. 10 novembre 2014 (dep. 15 gennaio 2015), n. 1782. Per un commento 
all'ordinanza v. S. RICCIO, Ne bis in idem e market abuse: quali prospettive (aspettando la Consulta), 
in Proc. pen. giust. 2015 (4), 185 ss.; M. SCOLETTA, Il doppio binario sanzionatorio del market abuse 
al cospetto della Corte costituzionale per violazione del diritto fondamentale al ne bis in idem, in 
www.penalecontemporaneo.it, 17 novembre 2014.
CONTENZIOSO NAZIONALE 37 
plicabilit� della sanzione amministrativa allorch� il medesimo fatto costituisse 
anche un illecito penale (ovvero, l'art. 184 TUF). 
Tale intervento, ridisegnando il rapporto tra sanzione amministrativa e 
sanzione penale nei termini di un concorso apparente di norme, avrebbe fornito, 
secondo il giudice rimettente, una soluzione "di sistema" al problema, 
precludendo violazioni sistematiche del ne bis in idem processuale, tramite 
l'eliminazione, in radice, delle ipotesi di bis in idem sostanziale. 
In questo modo si sarebbe dato inoltre attuazione alla direttiva 16 aprile 
2014, n. 2014/57/UE (c.d. MAD II) e al regolamento 16 aprile 2014, n. 
596/2014 (c.d. MAR) che, innovando profondamente il settore degli abusi di 
mercato, hanno capovolto i rapporti tra sanzioni penali e amministrative, imponendo 
agli Stati membri di adottare pene criminali per i casi pi� gravi di 
abuso di mercato, commessi con dolo, e permettendo loro di affiancare misure 
punitive amministrative. 
La questione sollevata, come gi� preconizzato da pi� voci in dottrina (9), 
� stata ritenuta inammissibile per difetto di rilevanza nel giudizio a quo. 
Essa concerneva una disposizione, l'art. 187-bis TUF, del quale la Cassazione 
non doveva fare impiego nel giudizio a quo, in quanto gi� definitivamente 
applicata dall'autorit� amministrativa nel relativo procedimento. La 
Corte rimettente era piuttosto chiamata a giudicare con riferimento al corrispondente 
reato di cui all'art. 184, comma 1, lettera b), TUF. In altri termini, 
l'accoglimento della questione non avrebbe minimamente intaccato l'esito del 
giudizio principale: l'imputato sarebbe restato giudicabile per il contestato reato 
di abuso di informazioni privilegiate. Di conseguenza, si sarebbe prodotto proprio 
il risultato che il ne bis in idem mira a scongiurare: ossia un secondo processo 
(e, in ipotesi, una seconda condanna), nei confronti di un soggetto gi� 
giudicato (e, nel caso di specie, condannato) per lo stesso fatto (10). 
(9) C. FEDERICO, Doppio binario sanzionatorio e ne bis in idem: la parola alla Corte costituzionale, 
in www.archiviopenale.it; G.M. FLICK e V. NAPOLEONI, A un anno di distanza dall�affaire Grande 
Stevens: dal bis in idem all�e pluribus unum?, in Riv. AIC, 3/2015; F. VIGAN�, Ne bis in idem e contrasto 
agli abusi di mercato: una sfida per il legislatore e i giudici italiani, in www.penalecontemporaneo.it, 
8 febbraio 2016; M. SCOLETTA, Il doppio binario sanzionatorio del market abuse al cospetto della Corte 
costituzionale per violazione del diritto fondamentale al ne bis in idem, cit. 
(10) Non a caso, in una situazione analoga, ancorch� riferita al settore tributario, il Tribunale di 
Bologna con la pronuncia del 21 aprile 2015, ha impugnato esclusivamente l�art. 649 c.p.p. e non anche 
gli artt. 20 e 21 d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, pure sospettati di incostituzionalit�, posto che, questi ultimi, 
postulano la prosecuzione del procedimento amministrativo di accertamento o del processo tributario, 
culminanti nell�applicazione di una sanzione amministrativa avente carattere afflitivo-punitivo, nonostante 
l�avvenuta definizione del processo penale per lo stesso fatto. E ci� per la condivisibile considerazione 
che tale seconda questione risulterebbe irrilevante nel giudizio a quo, posto che le norme citate 
concernono la sanzione amministrativa secondo la qualificazione interna, mentre detto giudizio verte 
sulla fattispecie di reato di cui all�art. 10-ter d.lgs. 74/2000. Per un commento alla pronuncia v. M. CAIANIELLO, 
Ne bis in idem e illeciti tributari per omesso versamento dell�IVA: il rinvio della questione 
alla Corte costituzionale, in www.penalecontemporaneo.it.
38 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2016 
Inconferente, sul punto, � risultato il richiamo, da parte del giudice a quo, 
all'art. 187-terdecies TUF. Il rimettente muoveva dall'assunto di un'interpretazione 
convenzionalmente conforme dell'art. 30, comma 4, L. 87/53 (Norme 
sulla Costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale) (11), tale 
da estenderne il perimetro applicativo anche al caso della condanna ad una 
sanzione "formalmente" amministrativa ma sostanzialmente penale. Di conseguenza, 
l'eliminazione della base legale della sanzione amministrativa ex 
art. 187-bis TUF, avrebbe determinato, per il tramite dell'art. 30, comma 4, L. 
87/53, l'esazione in toto della multa in sede penale, e ci� in forza del "collegamento" 
tra i due procedimenti ex art. 187-terdecies TUF, che, come gi� visto, 
ne limita la riscossione alla parte eccedente quella gi� riscossa. 
Al di l� della plausibilit� di una simile interpretazione, non era pertinente 
il richiamo all'art. 187-terdecies: trattasi, invero, di norma che rileva solo nella 
sola fase di esecuzione e non in quella di cognizione, in cui � stata sollevata 
la questione. 
In via subordinata, la quinta Sezione penale della Cassazione sollevava 
questione di costituzionalit� dell'art. 649 c.p.p. �nella parte in cui non prevede 
l'applicabilit� della disciplina del divieto di un secondo giudizio al caso in 
cui l'imputato sia stato giudicato, con provvedimento irrevocabile, per il medesimo 
fatto, nell'ambito di un procedimento amministrativo per l'applicazione 
di una sanzione alla quale debba riconoscersi natura penale ai sensi della 
Convenzione per la salvaguardia dei Diritti dell'Uomo e delle Libert� fondamentali 
e dei relativi Protocolli�. 
Anche tale questione risultava inammissibile. 
Lo stesso giudice rimettente era ben consapevole degli effetti deflagranti 
che un simile intervento manipolativo, se accolto, avrebbe comportato nel sistema 
punitivo italiano. L'ordinanza interlocutoria evidenziava come l'applicazione 
dell'art. 649 c.p.p., nella formulazione proposta, non avrebbe posto 
alcun ordine di priorit� tra i due procedimenti - penale e amministrativo - in 
corso. Di conseguenza, la preclusione al secondo procedimento sarebbe scattata 
in presenza di una circostanza del tutto aleatoria e, in qualche misura, "pilotabile" 
dal ricorrente: la celerit� nella definizione di uno dei due 
procedimenti (12). 
(11) Appare opportuno riportare il testo dell'art. 30, comma 4, L. 87/53: "Quando in applicazione 
della norma dichiarata incostituzionale � stata pronunciata sentenza irrevocabile di condanna, ne cessano 
la esecuzione e tutti gli effetti penali". 
(12) Se � vero, infatti, che i casi statisticamente pi� frequenti di "azzeramento" del procedimento 
dovrebbero in teoria riguardare il giudizio penale, la cui celebrazione necessita di un tempo usualmente 
pi� lungo rispetto a quello amministrativo, l'esperienza della Consob annovera anche casi di imputati 
che hanno preferito chiudere il procedimento penale mediante il ricorso al patteggiamento (art. 444 
c.p.p.), determinando cos� l'esaurimento della vicenda penale mentre il giudizio civile sull'opposizione 
alla sanzione amministrativa irrogata dalla Consob era ancora pendente. In sede di opposizione, essi 
hanno poi invocato il divieto di bis in idem di cui all'art. 4, Prot. 7 CEDU. Tale � la situazione che ha
CONTENZIOSO NAZIONALE 39 
Tale operazione, per usare le parole della Corte rimettente, essa avrebbe 
rappresentato, non pi� il rimedio ad una "distorsione dell'attivit� giurisdizionale", 
ossia ad un evento "patologico" nel quadro della disciplina del codice 
di rito, ma lo "sbocco necessario" della ineludibile insaturazione, per il medesimo 
fatto, del procedimento penale da parte del pubblico ministero e del 
procedimento amministrativo da parte della Consob (13). 
In altri termini, la manipolativa invocata, operando sul piano processuale 
anzich� sostanziale, avrebbe costituito un rimedio alla violazione del bis in 
idem nei singoli casi concreti, ma non in via generale, come nella prospettiva 
tracciata dalla questione principale. 
Pertanto, l'incertezza del tipo di risposta sanzionatoria che l'ordinamento 
ricollega ad un certo comportamento, avrebbe mostrato punti di frizione con 
plurimi principi costituzionali - determinatezza e legalit� della sanzione penale 
(art. 25 Cost.); ragionevolezza (art. 3 Cost.), sul piano della disparit� di trattamento 
dei singoli destinatari delle sanzioni; buon andamento (art. 97 Cost.), 
sul piano della gestione delle risorse - ma, soprattutto, avrebbe pregiudicato 
sensibilmente l'effettivit�, la proporzionalit� e la dissuasivit� del sistema punitivo, 
in violazione degli obblighi imposti dalla normativa comunitaria di settore, 
come esplicitato dalla Corte di Giustizia dell'Unione Europea nel caso 
Fransson (14), in violazione, quindi, degli artt. 11 e 117 Cost. 
Tuttavia, secondo il rimettente, tale "incongruenza sistematica" avrebbe 
dovuto soccombere di fronte al prioritario rispetto di un diritto fondamentale, 
quale � quello a non essere giudicati due volte per lo stesso fatto illecito. 
Sotto questo aspetto la Corte costituzionale coglieva il carattere perplesso 
della motivazione sulla non manifesta infondatezza della questione subordinata, 
che ne segnava l'inammissibilit�. 
La stessa sorte ha seguito la questione di costituzionalit� sollevata, quasi 
in contemporanea, dalla Sezione tributaria della Cassazione, con riferimento 
all'art. 187-ter TUF (15). 
Il caso esaminato era speculare a quello trattato dal giudice penale: il processo 
penale per il medesimo fatto di manipolazione del mercato, oggetto del 
procedimento sanzionatorio amministrativo (artt. 185 e 187-ter TUF), era stato 
preventivamente definito con sentenza irrevocabile di patteggiamento. 
dato luogo alla seconda ordinanza di rimessione da parte della Sezione tributaria della Cassazione, come 
si vedr� a breve. 
(13) Cass. pen., Sez. V, ord. 10 novembre 2014, cit., � 5.2. 
(14) Corte Giust., 26 febbraio 2013, �klagaren contro Hans �kerberg Fransson, causa C-617/10, 
� 36, in curia.europa.eu. 
(15) Cass., Sez. trib., ord. 6 novembre 2014 (dep. 21 gennaio 2015), n. 950. Per un commento all'ordinanza 
v. S. GUIZZI, Hic Rhodus, hic salta: l�incidenza del principio del ne bis in idem sulla disciplina 
del market abuse all�esame del giudice delle leggi, in Corr. Giur. 2015, 597 ss.; A. PALASCIANO, 
Rinviata alla Corte costituzionale l�applicazione di sanzioni penali e amministrative per lo stesso fatto, 
in Fisco 2015, 881 ss.
40 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2016 
Sin da subito si era colta l'incertezza e l'oscurit� del petitum avanzato dal 
rimettente (16): se da un lato si esponevano le ragioni del contrasto ravvisato 
tra la normativa nazionale e la CEDU, dall'altro l�individuazione degli esatti 
contenuti della pronunzia veniva espressamente demandata alla Corte costituzionale 
(17). 
Al lume di una tale motivazione dalle cadenze non trasparenti, non poteva 
che discenderne la manifesta inammissibilit� anche di tale questione. 
In definitiva, la Corte ha ritenuto non percorribile la via della questione 
di costituzionalit� per giungere ad una armonizzazione dell�ordinamento interno 
al principio dettato dalla Corte EDU rinviando al legislatore il compito 
di stabilire le soluzioni che debbano adottarsi per porre rimedio alle frizioni 
che tale sistema genera tra l�ordinamento nazionale e la CEDU. 
3. L'origine della questione: bis in idem nazionale e bis in idem convenzionale. 
Ai fini di una maggiore chiarezza espositiva occorre preliminarmente ripercorrere 
i termini del dibattito. 
La questione affonda le radici nella divergenza di interpretazioni tra la 
giurisprudenza nazionale e quella della Corte EDU sulla portata del principio 
del ne bis in idem nella sua dimensione "interna" (18), nonostante l'omogeneit� 
di contenuti tra l'art. 649 c.p.p. e l'art. 4 Prot. 7 CEDU, che esprimono una regola 
considerata corollario del due process of law (19). 
Due sono gli aspetti su cui le valutazioni dei due ordinamenti divergono 
sensibilmente: i) la nozione di sanzione penale (la "pena"); ii) l'"identit� del 
fatto" (l'"idem"). 
Quanto al primo, la nozione di �pena� elaborata dalla Corte EDU � significativamente 
pi� ampia rispetto a quella conosciuta dall�ordinamento nazionale, 
atteso che mentre quest�ultimo utilizza essenzialmente un criterio di 
qualificazione prevalentemente giuridico-formale (art. 25 Cost., art. 1 c.p.), 
in ambito europeo rilevano soprattutto criteri di carattere sostanziale e funzionale 
(20). 
(16) S.G. GUIZZI, Hic Rhodus, hic salta: l�incidenza del principio del ne bis in idem sulla disciplina 
del market abuse all�esame del giudice delle leggi, cit., p. 601. 
(17) Come osservato da G.M. FLICK - V. NAPOLEONI, A un anno di distanza dall'affaire Grande 
Stevens: dal bis in idem all'e pluribus unum?, cit., 12, le richieste del Collegio rimettente sembravano 
oscillare tra una �ablativa secca� dell'art. 187-ter TUF e una non meglio precisata pronuncia additiva 
ispirata al "principio del doppio binario attenuato", senza indicare in modo chiaro e univoco quale sarebbe 
stata la soluzione alternativa auspicata. 
(18) M. CHIAVARIO, Diritto processuale penale, Utet, 2012, p. 696. 
(19) R. NORMANDO, Il giudicato; forza esecutiva ed effetti, in SPANGHER - MARANDOLA - GARUTI 
- KALB, Procedura penale. Teoria e pratica del processo, Vol. IV, Utet, 2015, 541. 
(20) Sulla nozione di "pena" elaborata dalla Corte di Strasburgo v. F. MAZZACUVA, La materia penale 
e il "doppio binario" della Corte europea: le garanzie al di l� delle apparenze, in Riv. it. dir. proc. 
pen., 2013, 1899 ss.
CONTENZIOSO NAZIONALE 41 
Come ribadito nel caso Grande Stevens (� 94 e ss.), sin dalle storiche sentenze 
Engel c. Paesi Bassi, 8 giugno 1976, e �zt�rk c. Germania, 21 febbraio 
1984, la giurisprudenza della Corte di Strasburgo, in risposta a processi di decriminalizzazione 
(21) da parte di alcuni Stati contraenti, � univocamente 
orientata ad estendere le garanzie convenzionali apprestate nella materia penale 
a tutti gli illeciti che, pur diversamente qualificati dai legislatori nazionali, 
risultino rivestire natura �sostanzialmente penale�. 
Ci� sulla base di tre criteri (c.d. Engel criteria) da considerarsi alternativi 
e non cumulativi: i) la qualificazione giuridico-formale dell�infrazione nel diritto 
interno; ii) la natura della violazione; iii) la natura o il grado di severit� 
della sanzione. 
Pertanto, la qualificazione formale della misura rileva solo in chiave "unidirezionale" 
(one way autonomy (22)): una volta che il legislatore nazionale 
ha definito una certa violazione come di natura penale, l'applicabilit� dei principi 
indicati � fuori discussione. Tale criterio non opera nell'ipotesi reciproca, 
cio� quando la sanzione � qualificata come amministrativa o disciplinare. In 
tal caso, onde scongiurare una "truffa delle etichette" da parte degli ordinamenti 
nazionali, soccorrono gli ulteriori due criteri, di carattere sostanzialistico. 
In particolare, occorre verificare la natura della violazione, desunta dal 
suo ambito applicativo - generale, e non limitato agli appartenenti ad un determinato 
ordinamento, trattandosi altrimenti di una violazione disciplinare -, e 
dallo scopo - di tipo punitivo e deterrente, e non meramente riparatorio o risarcitorio 
(23) - per il quale la sanzione � prevista. Dall'altro lato, occorre aver 
riguardo alla natura e alla gravit� delle conseguenze sanzionatorie previste per 
l'illecito (24). La Corte EDU si � riservata la possibilit� di adottare un approccio 
cumulativo qualora l�analisi separata di ciascun criterio non le consenta 
di pervenire ad una conclusione chiara quanto all�esistenza di una accusa in 
materia penale (25). 
L'applicazione di tali criteri ha avuto effetti dirompenti nell'ordinamento 
(21) L'espressione � utilizzata da F. MANTOVANI, Diritto penale, Cedam, 2011, � 255. Come puntualizzato 
dall'A., appare pi� esatto parlare di "decriminalizzazione" anzich� di "depenalizzazione" poich� 
la sanzione amministrativa � pur sempre un pena; anche se quest'ultimo termine improprio � ormai 
di uso comune. 
(22) P. VAN DUK, GJH VAN HOOF, A. VAN RIJN, L. ZWAAK, Theory and practice of the European 
Convenzion on Human Rights, 2006, Antwerpen-Oxford, 543. 
(23) Cfr. Corte eur. dir. uomo, 1 febbraio 2005, Ziliberberg v. Moldova, � 32, in www.echr.coe.int. 
(24) Cfr. Corte eur. dir. uomo, 11 giugno 2009, Dubus S.A.v. c. France, � 37, in www.echr.coe.int. 
Con specifico riguardo alle sanzioni pecuniarie, la severit� � legata alla significativit� del sacrificio economico, 
valutato per� avendo riguardo alle condizioni soggettive del destinatario: cos�, anche una sanzione 
di pochi euro � stata considerata di natura penale sull�assunto che il suo ammontare fosse 
comunque significativo rispetto al reddito del destinatario. Sul punto cfr. Corte eur. dir. uomo, Ziliberberg 
v. Moldova, cit., � 3, in www.echr.coe.int. 
(25) Cfr. Corte eur. dir. uomo, 23 novembre 2006, Jussila c. Finlandia, �� 30 e 31; 31 luglio 2007, 
Zaicevs c. Lettonia, � 31, entrambe in www.echr.coe.int. 
42 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2016 
nazionale portando, negli anni, all'attrazione delle sanzioni amministrative 
stricto sensu punitive (26) - e dei relativi procedimenti - nell'orbita della "materia 
penale" convenzionale: tanto quelle di tipo pecuniario, secondo l'archetipo 
apprestato dalla L. n. 689/1981 (27), quanto quelle di tipo non pecuniario 
(28), quali interdizioni (29) e confische (30). 
Sotto altro profilo, le valutazioni dei due "ordinamenti" si discostano sulla 
valutazione dell' "identit� del fatto" in grado di configurare un bis in idem. 
Da un parte, viene in evidenza l'approccio formalistico accolto dalla dottrina 
(31) e giurisprudenza tradizionale (32), focalizzato sul raffronto tra le 
fattispecie astratte (idem legale) (33). Dall'altra, si contrappone la giurisprudenza 
della Corte EDU ove, a partire dal leading case Zolotukhine c. Russia 
(26) Per l'elaborazione del concetto di sanzione amministrativa "in senso stretto" si rinvia a G. 
ZANOBINI, Le sanzioni amministrative, Utet, 1924, 38; A. TESAURO, Le sanzioni amministrative punitive, 
Tipografia Tocco, 1925; M.A. SANDULLI, La potest� sanzionatoria della pubblica amministrazione (Studi 
preliminari), Jovene, 1981, 3; C.E. PALIERO, A.TRAVI, voce Sanzioni amministrative, in Enc. dir., XLI, 
Giuffr�, 1989, 351. 
(27) Cfr. Corte eur. dir. uomo, 9 novembre 1999, Varuzza c. Italia; 21 marzo 2006, Valico srl c. 
Italia, entrambe in www.echr.coe.int. Per le sanzioni pecuniarie irrogate dall'AGCM, cfr. Corte. eur. dir. 
uomo, 27 settembre 2011, Menarini c. Italia, in www.echr.coe.int. 
(28) Sull'influenza dei principi convenzionali circa l'inquadramento del regime giuridico applicabile 
alle sanzioni amministrative non pecuniarie v. M.A. SANDULLI - A. LEONI, Sanzioni non pecuniarie 
della p.a., Libro dell'anno del diritto 2015, 2015, in www.treccani.it. 
(29) Per un esempio, si vedano le sentenze nn. 148 e 3045 e le ordinanze nn. 3496, 3497, 3498 e 
3499 del 2014, in www.giustizia-amministrativa.it, con le quali il Consiglio di Stato ha sollevato questione 
di legittimit� costituzionale dell'art. 43, d.lgs. 3 marzo 2011, n. 28, che disciplina un sistema sanzionatorio 
di tipo inderdittivo in materia di tariffe incentivanti. Nelle richiamate ordinanze il Collegio, 
premessa la natura prevalentemente punitivo-afflittiva delle misure in discorso, ha paventato un contrasto 
tra la suddetta disciplina e l'art. 25, comma 2, Cost., sotto la violazione del principio di irretroattivit� 
delle pene, nonch� la violazione del principio di proporzionalit�, di matrice eurounitaria e quale proiezione 
del principio di ragionevolezza di cui all'art. 3 Cost. A rafforzamento di tali rilievi, sono stati richiamati, 
significativamente, gli artt. 6 e 7 CEDU. 
(30) Ne � segno il vivace dibattito in merito all'applicabilit� della c.d. urbanistica (art. 44, 
comma 2, d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380) in riferimento al reato prescritto, culminato nella nota sentenza 
della Corte costituzionale, 26 marzo 2015, n. 49. Per un commento, v. A. RUGGERI, Fissati 
nuovi paletti dalla Consulta a riguardo del rilievo della CEDU in ambito interno, 2 aprile 2015, in 
www.penalecontemporaneo.it.; D. TEGA, La sentenza della Corte costituzionale n. 49 del 2015 sulla 
confisca: il predominio assiologico della Costituzione sulla Cedu, in Quaderni Costituzionali, 2015, 
400 ss.; V. ZAGREBELSKY, Corte cost. n. 49 del 2015, giurisprudenza della Corte europea dei diritti 
umani, art. 117 Cost., obblighi derivanti dalla ratifica della Convenzione, in Riv. AIC, 2015. 
(31) Per tutti v. G. MARINUCCI - E. DOLCINI, Manuale di diritto penale - parte generale, Giuffr�, 
2015, 486 ss. 
(32) Come ribadito di recente da Cass. pen , Sez. II, 52645/2014, �la preclusione prevista dall�art. 
649 cod. proc. pen. opera nella sola ipotesi in cui vi sia, nelle imputazioni formulate nei due diversi 
processi a carico della stessa persona, corrispondenza biunivoca fra gli elementi costitutivi dei reati 
descritti nelle rispettive contestazioni�. Lo stesso principio � stato ribadito anche in relazione agli illeciti 
amministrativi, cfr. Cons. St., Sez. VI, n. 9306/2010. 
(33) Per un�analisi, sul piano processual-penalistico dell�interpretazione data dalla giurisprudenza 
italiana alla nozione di fatto, v. N. GALANTINI, Il �fatto� nella prospettiva del divieto di secondo giudizio, 
in Riv. it. dir. proc. pen., 2015, 1206 ss.
CONTENZIOSO NAZIONALE 43 
del 2009 (34), ripreso in Grande Stevens (� 220 e ss.), si afferm� con nettezza 
che l�espressione "same offence", utilizzata nel testo dell'art. 4, Prot. n. 7, dovesse 
riferirsi al medesimo fatto storico contestato, a prescindere dalla sua sussumibilit� 
in paradigmi punitivi diversi (idem factum). 
Una tale accezione si rivela funzionale ad attribuire la massima espansione 
alla garanzia convenzionale, in questa ottica preordinata ad evitare un 
secondo processo per gli stessi fatti anzich� per gli stessi reati (35). 
Significative, anche qui, le ricadute in ambito nazionale, come mostrano 
gli ultimi interventi della giurisprudenza di merito. Si fa riferimento al noto 
caso Eternit-bis, ove il GUP di Torino, chiamato ad emettere decreto di rinvio 
a giudizio, ha sollevato una questione di legittimit� costituzionale dell�art. 
649 c.p.p., nella parte in cui limita l�applicazione del principio del ne 
bis in idem all�esistenza del medesimo "fatto giuridico", nei suoi elementi 
costitutivi, sebbene diversamente qualificato, invece che all�esistenza del 
medesimo "fatto storico" cos� come delineato dalla Corte Europea dei Diritti 
dell�Uomo, per violazione dell�art. 117 c. 1 Cost. in relazione all�art. 4 Prot. 
7 CEDU (36). 
In definitiva il bis in idem convenzionale mostra un respiro pi� ampio di 
quello nazionale: da una parte valica i limiti del diritto penale "in senso 
stretto", abbracciando il diritto punitivo inteso nella sua unitariet� (37) - comprensivo 
del c.d. diritto penale-amministrativo (38) -, dall'altra trova fondamento 
in un'istanza di giustizia materiale, secondo cui non si pu� essere 
(34) C. eur. dir. uomo, Grande Camera, 10 febbraio 2009, Sergey Zolotukhine c. Russia, �� 70- 
84. In senso conforme, tra le pi� recenti, cfr. Corte eur. dir. uomo, 23 giugno 2015, Butnaru et Bejan- 
Piser c. Romania; 30 aprile 2015, Kapetanios e altri c. Grecia; 27 gennaio 2015, Rinas c. Finlandia; 27 
novembre 2014, Lucky Dev c. Svezia, tutte in www.echr.coe.int. Del resto, che la garanzia del ne bis in 
idem debba fondarsi su un confronto tra fatti materiali � confermato anche dalla Corte di giustizia dell�Unione 
Europea: di recente v. CGUE, Grande Sezione, 16 novembre 2010, Gaetano Mantello, C- 
261/09, � 50, in curia.europa.eu. 
(35) In questi termini G. DI BIASE, Il ne bis in idem come punto di frizione tra il diritto italiano e 
gli ordinamenti sovranazionali: la questione resta aperta a seguito della pronuncia C. Cost. 102/2016, 
in attesa della Corte UE, 2016, in www.neldiritto.it. 
(36) Gup Torino, ord. 24 luglio 2015, imp. Schmidheiny, in www.penalecontemporaneo.it, con 
commento di I. GITTARDI, Eternit ''bis in idem''? Sollevata la questione di legittimit� costituzionale dell'art. 
649 c.p.p. in relazione all'art. 4 Prot. 7 CEDU, 27 novembre 2015. Nel caso di specie, a seguito 
della sentenza della Corte di Cassazione (Cass. pen., Sez. I, del 19 novembre 2014, dep. 23 febbraio 
2014, n. 7941) che ha prosciolto per interevenuta prescrizione il vertice di una multinazionale produttrice 
di cemento-amianto dalle accuse di disastro doloso e omissione dolosa di cautele contro gli infortuni 
sul lavoro, la Procura di Torino, in relazione alle medesime condotte di diffusione del materiale cancerogeno, 
ha formulato una nuova richiesta di rinvio a giudizio per omicidio volontario. Tale istanza � 
stata reputata dal GUP in collisione con il divieto di bis in idem delineato in sede europea, e dunque in 
grado di alimentare la sollevata questione di incostituzionalit�. 
(37) Cfr. M.A. SANDULLI, La potest� sanzionatoria della pubblica amministrazione (Studi preliminari), 
cit., 3; G. VASSALLI, Potest� punitiva, in Enc. dir., XXXIV, Giuffr�, 1985, 797. 
(38) Sul tema si rinvia a F. MANTOVANI, Diritto penale, Cedam, 2011, 963 ss.; NUVOLONE, Depenalizzazione 
apparente e norme penali sostanziali, in Riv. it. dir. proc. pen., 1968, 63.
44 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2016 
chiamati a rispondere due volte per lo stesso fatto illecito, a prescindere dalla 
sua qualificazione formale. 
Le ricadute generali della giurisprudenza di Strasburgo sui regimi improntati 
ad un doppio binario sanzionatorio sono evidenti. Al di l� della specificit� 
del caso trattato in Grande Stevens, i problemi dell'ordinamento italiano sono, 
dunque, "sistemici", tutte le volte in cui il cumulo di sanzioni eterogenee � voluto 
dal Legislatore (come nel settore degli abusi di mercato) o � legittimato 
dalla giurisprudenza (come nel settore degli illeciti tributari (39)). 
Soccorre una precisazione: il divieto di bis in idem, secondo l'interpretazione 
offerta dalla Corte EDU, ha carattere processuale e non sostanziale (40). 
In altre parole, non vieta - per s� solo - agli Stati aderenti di punire il medesimo 
fatto a pi� titoli, e con diverse sanzioni, purch� ci� avvenga in un unico procedimento 
o attraverso procedimenti fra loro coordinati, nel rispetto della condizione 
che non si proceda per uno di essi quando � divenuta definitiva la 
pronuncia relativa all'altro. 
Tuttavia, come puntualizzato dalla stessa Corte costituzionale, "non pu� 
negarsi che un siffatto divieto possa di fatto risolversi in una frustrazione del 
sistema del doppio binario" (� 6.1.). Difatti, allorch� la legge sostanziale consenta 
di configurare un concorso di illeciti in rapporto al medesimo fatto - 
(39) Con due noti arresti le Sezioni Unite (Cass., Sez. un., 28 marzo 2013, dep. 12 settembre 
2013, n. 37424, Romano, e n. 37425, Favellato), analizzando i rapporti tra illeciti amministrativi e reati 
di omesso versamento delle ritenute o dell'IVA (rispettivamente, art. 13, D.Lgs. 471/1997 e artt. 10 bis 
e 10 ter, D.Lgs. 74/2000), hanno escluso che tra le due fattispecie corresse un rapporto di specialit�, ritenendo, 
al contrario, che potesse parlarsi di progressione illecita. L'orientamento illustrato ha incontrato 
le critiche della dottrina maggioritaria tra cui v. G.M. FLICK - V. NAPOLEONI, A un anno di distanza dall'affaire 
Grande Stevens: dal bis in idem all'e pluribus unum?, cit., 25 - 26; M. DOVA, Ne bis in idem e 
reati tributari: a che punto siamo?, in www.penalecontemporaneo. it, 9 febbraio 2016, 7. Secondo gli 
AA. l'evocato rapporto di progressione illecita conferma - anzich� smentire - che ci si trova di fronte ad 
un giudizio sullo stesso fatto concreto: con la conseguenza che la norma penale assorbe l'intero disvalore 
del fatto. Difatti, entrambe le fattispecie, oltre a condividere presupposti e condotta tutelano lo stesso 
medesimo interesse rappresentato dalla puntuale e corretta percezione dei tributi. L'orientamento 
espresso dalle Sezioni Unite si pone oggi in aperto contrasto con una serie di pronunce della Corte EDU 
relative a paesi scandinavi (Corte eur. dir. uomo, 20 maggio 2014, Nyk�nen c. Finlandia; 27 novembre 
2014, Lucky Dev c. Svezia; 10 febbraio 2015, Kiiveri c. Finlandia; tutte in www.echr.coe.int) che, ribadendo 
i medesimi principi enunciati in Grande Stevens, hanno censurato l�apertura di procedimenti penali 
per reati fiscali, a seguito dell�applicazione di sovrattasse a scopo sanzionatorio. Tale giurisprudenza 
sembra aver fatto breccia in quella del giudice di legititmit�. L'effetiva conciliabilit� di un cumulo sanzionatorio 
con la garanzia convenzionale � stata messa in dubbio, seppur solo a livello di obiter dicta, 
in alcuni recenti interventi (Cass. pen., Sez. III, 9 ottobre 2014, dep. 12 marzo 2015, n. 10475; Cass. 
pen., Sez. III, 11 febbraio 2015, dep. 11 maggio 2015, n. 19334, in De Jure) che hanno escluso la possibilit� 
di un rinvio pregiudiziale o di una questione di legittimit� costituzionale sul punto esclusivamente 
in ragione della sua ritenuta irrilevanza nel caso concreto, dovuta a contingenti ragioni processuali. 
(40) Tuttavia, vedasi la dissenting opinion dei giudici Karaka. e Pinto de Albuquerque, nel caso 
Grande Stevens, � 24-28. In particolare, i giudici di Strasburgo hanno criticato l�eccessivo formalismo 
con il quale le corti interne hanno fatto applicazione del principio di specialit�, che poteva essere usato 
in modo tale da evitare il bis in idem sostanziale, dando prevalenza all�illecito di pericolo concreto (art. 
185, TUF) rispetto a quello di pericolo astratto (art. 187-ter TUF).
CONTENZIOSO NAZIONALE 45 
nella specie, uno penale, l�altro amministrativo -, si creano "automaticamente" 
le premesse affinch� tali illeciti possano essere puniti separatamente nell�ambito 
di procedimenti distinti e, dunque, le premesse per violazioni "sistemiche" 
del ne bis in idem processuale, "convenzionalmente inteso" (41). 
Pertanto, la Consulta lascia trapelare come la via privilegiata per porre il 
nostro ordinamento in linea con gli obblighi sovranazionali sia rappresentata 
dalla "bonifica" dei sistemi a doppio binario in relazione allo stesso fatto, incidendosi, 
quindi, sulla disciplina sostanziale anzich� su quella processuale. 
Al di l� di queste scarne (ed implicite) indicazioni, la Corte non si sbilancia 
- almeno per ora - sulla questione della compatibilit� dell'attuale meccanismo 
di doppio binario sanzionatorio previsto dal TUF con l'art. 4 Prot. 7 
CEDU, cos� come interpretato dalla Corte di Strasburgo. 
Le ragioni di una tale cautela sono evidenti: si � in attesa degli ulteriori 
sviluppi sia sul fronte della legislazione domestica, considerato che � ormai 
imminente l'esercizio della delega conferita con L. 114/2015 per la riforma 
della disciplina degli illeciti finanziari, sia sul fronte della giurisprudenza della 
Corte di Giustizia, chiamata ad esprimersi sul problema della compatibilit� 
col ne bis in idem dell'attuale sistema punitivo in materia di illeciti tributari in 
materia di IVA col ne bis in idem (42). 
Ebbene, la freddezza delle conclusioni della Consulta (43), nonostante il 
loro giustificato rigore formale, lascia inalterato il problema. 
Due sono, quindi, i quesiti che si pongono rispettivamente all'interprete 
e al Legislatore: come evitare de lege lata, la perpetrazione di violazioni della 
Convenzione e dei suoi Protocolli; come rimuovere de lege ferenda, le anomalie 
di tali sistemi sanzionatori in modo da porli in linea con tali obblighi. 
La risposta ad entrambi gli interrogativi, come si vedr� di qui a breve, non � 
allo stato attuale unitaria n�, tantomeno, soddisfacente. 
4. Le soluzioni interpretative. 
Numerosi sono stati gli sforzi interpretativi tesi alla ricerca di strade percorribili 
dal giudice comune senza alcuna necessit� di coinvolgimento della 
Corte costituzionale. Di seguito se ne offre una panoramica. 
4.1. L'interpretazione convenzionalmente conforme dell'art. 649 c.p.p. 
Una prima strada, auspicata da una parte della dottrina (44), passa per 
(41) Cos� G.M. FLICK -V. NAPOLEONI, A un anno di distanza dall'affaire Grande Stevens: dal bis 
in idem all'e pluribus unum?, cit., 19. 
(42) Trib. Bergamo, ord. 16 settembre 2015, con nota di F. VIGAN�, Ne bis in idem e omesso versamento 
dell'IVA: la parola alla Corte di Giustizia, 28 settembre 2015, in www.penalecontemporeaneo. it. 
(43) Cfr. A. FABERI, Ne bis in idem: il dialogo interrotto, in Archivio penale, 2016, n. 2, 2; F. VIGAN�, 
Ne bis in idem e doppio binario sanzionatorio in materia di abusi di mercato: dalla sentenza 
della Consulta un assist ai giudici comuni, 16 maggio 2016, in www.penalecontemporeaneo.it., � 5. 
46 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2016 
un'interpretazione convenzionalmente conforme - rectius: un'applicazione diretta 
- dell'art. 649 c.p.p., tale da estenderne la portata anche a quei provvedimenti 
amministrativi, prevalentemente afflittivi, che abbiano acquistato 
efficacia definitiva. 
Trattasi di una soluzione che fa leva sulla portata generale del principio 
del ne bis in idem, la quale, in passato, ha autorizzato il ricorso all'analogia in 
bonam partem (Cass., Sez. Un. pen., 28 giugno 2005, n. 34655, Donati (45)). 
Concreti riscontri sono rinvenibili in isolati interventi della giurisprudenza 
di merito, seppur in ambiti diversi da quello degli abusi di mercato. Si richiama 
una nota pronuncia del Tribunale di Brindisi ove si � ritenuto che la pregressa 
irrogazione di una sanzione disciplinare a carico di un detenuto, precludesse 
l'instaurazione di un processo penale in relazione ad un medesimo fatto di danneggiamento 
(46). Nella stessa direzione si muove una pronuncia del Tribunale 
di Asti, in tema di omesso versamento di IVA (art. 1 e 5, D.Lgs. 471/1997 in 
rapporto con l'art. 5, d.lgs. 74/2000) (47). 
Tale impostazione, tuttavia, non ha persuaso la Cassazione (48), alcune 
voci dottrinarie (49), e altra parte della giurisprudenza di merito (50): il dato 
(44) F. VIGAN�, Ne bis in idem e contrasto agli abusi di mercato: una sfida per il legislatore e i 
giudici italiani, cit., � 3.2. 
(45) Come � noto, la pronuncia citata ha esteso il principio del ne bis in idem ben oltre i confini 
dell�art. 649 c.p.p. il cui tenore letterale ne circoscrive l�applicazione ai casi di intervento di una pronuncia 
irrevocabile. Si � stabilito, infatti, che non pu� essere nuovamente promossa l'azione penale per 
un fatto e contro una persona per i quali un processo sia semplicemente pendente (anche se in fase o 
grado diversi) nella stessa sede giudiziaria e su iniziativa del medesimo ufficio del p.m., di talch� nel 
procedimento eventualmente duplicato dev'essere disposta l'archiviazione oppure, se l'azione sia stata 
esercitata, dev'essere rilevata con sentenza la relativa causa di improcedibilit�. 
(46) Trib. Brindisi, 17 ottobre 2014, con commento di S. FINOCCHIARO, Improcedibilit� per bis in 
idem a fronte di sanzioni formalmente �disciplinari�: l�art. 649 c.p.p. interpretato alla luce della sentenza 
Grande Stevens, in www.penalecontemporaneo.it, 12 dicembre 2014. 
(47) Trib. Asti, 7 maggio 2015, con nota di G. PINI, In margine ad un�originale soluzione in materia 
penal-tributaria: tra ne bis in idem processuale e principio di specialit�, sullo sfondo della tutela 
multilivello dei diritti, in Archivio penale, 2016, n. 1. Il giudice rileva la "dubbia compatibilita convenzionale" 
della soluzione proposta dalle Sezioni unite nel 2013 (v. nota 39), le quali, nel far leva sul concetto 
di progressione criminosa, si iscrivono in quella corrente di pensiero giurisprudenziale "che tende 
a risolvere il problema della specialit� a partire da considerazioni relative al bene giuridico protetto 
dalle singole disposizioni coinvolte". Dopo aver ricostruito che l'illecito penale e amministrativo hanno 
ad oggetto lo stesso fatto materiale - la omessa dichiarazione fiscale - ha ritienuto che "nulla osti ad 
una applicazione diretta dell�art. 649 c.p.p. al di l� dei limiti apparentemente segnati dal suo tenore 
letterale". Ci� in base ad un'intepretazione analogica del principio del ne bis in idem espresso nell'art. 
649 c.p.p., "principio generale che attraversa ogni ramo del diritto, sostanziale e processuale, e che � 
parte integrante della generalit� degli ordinamenti giuridici". 
(48) Militano in questa direzione, sia Cass. pen., sez. V, ord. n. 1782/2014, cit., � 2.5, sia, da ultimo, 
Cass., sez. III pen., 21 aprile 2016 (dep. 22 giugno 2016), n. 1315, pronunciata in riforma di Trib. 
Asti, 7 maggio 2015, con commento di F. VIGAN�, Omesso versamento di IVA e diretta applicazione 
delle norme europee in materia di ne bis in idem?, in www.penalecontemporaneo.it, 11 luglio 2016. 
(49) v. G. DEAMICIS, Ne bis in idem e "doppio binario sanzionatorio": prime riflessioni sugli effetti 
della sentenza "Grande Stevens" nell'ordinamento italiano, cit., � 12.2. 
(50) Trib. Bologna, cit, � 2.2. 
CONTENZIOSO NAZIONALE 47 
letterale e sistematico dell'art. 649 c.p.p. rappresenterebbe un ostacolo insormontabile 
all�ipotizzata operazione di adeguamento in via interpretativa della 
norma codicistica (51). 
4.1.1. (segue) L'interpretazione convenzionalmente conforme dell'art. 669 
c.p.p. 
Ancor pi� problematica appare la prospettiva nei casi in cui entrambi procedimenti 
- penale e amministrativo - si siano gi� chiusi con sentenze definitive 
passate in giudicato: in tale ipotesi subentrano il principio dell'intangibilit� del 
giudicato e il limite alla proponibilit� di incidenti di costituzionalit�, trattandosi 
di "rapporti esauriti". 
Su questo fronte, in analogia a quanto prospettato per l'art. 649 c.p.p., si 
� proposta, ed � stata a volte seguita (52), la via di un'interpretazione conven- 
(51) Cos� G.M. FLICK - V. NAPOLEONI, A un anno di distanza dall'affaire Grande Stevens: dal bis 
in idem all'e pluribus unum?, cit., 14. Secondo il giudice di legittmit� (v. nota 48) il principo del ne bis 
in idem ha portata generale nel vigente ordinamento processuale penale, tovando espressione nelle norme 
sui conflittti di competenza (artt. 28 ss. c.p.p.), nel divieto di un secondo giudizio (art. 649 c.p.p.), e nell'ipotesi 
di una pluralita di sentenze irrevocabili di condanna (art. 669 c.p.p.). Tuttavia, tali strumenti 
preventivi e riparatori che compogono il quadro all'interno del quale si colloca l'art. 649 c.p.p., presuppongono 
tutti la comune riferibilit� all'autorit� giudiziaria penale. A conforto dell'argomento sistematico 
sta la considerazione del tenore letterale della diposizione codicisitca, che fa inequivoco riferimento alla 
"sentenza o decreto penale" divenuti irrevocabili e al divieto di essere sottoposto ad un nuovo "procedimento 
penale". 
(52) Cfr. Cass. pen., sez. I, 13 marzo 2015 (dep. 25 marzo 2015), n. 12590, in C.E.D. Cass. pen. 
2015. Nel caso di specie, in relazione alla medesima infrazione al codice della strada (sostituzione della 
targa di un autoveicolo con una all'uopo contraffatta), concorrevano due provvedimenti sanzionatori di 
natura amministrativa, emessi rispettivamente dall'autorit� amministrativa e dal giudice penale. Il Collegio, 
dopo aver escluso un'applicazione in via diretta, o in via estensiva, dell'art. 669, c.p.p., comma 1 
- in quanto risulta insuperabile il dato formale del riferimento alle "sentenze di condanna" -, ha ammesso 
la possibilit� di un'applicazione analogica della disposizione richiamata dal ricorrente. A confortare tale 
operazione ermeneutica venivano richiamati precedenti giurisprudenziali che, sebbene sotto differenti 
profili, avevano gi� ammesso un simile intervento (cfr. Sez. I, n. 1285 del 20 novembre 2008 - dep. 15 
gennaio 2009, Linfeng, Rv. 242750, in materia di indulto; Sez. 4^, n. 12680 del 22 novembre 2000 - 
dep. 30 marzo 2001, Pigoni, Rv. 219113 e Sez. II, n. 3025 del 10 luglio 1996 - dep. 5 ottobre 1996, Petrino, 
Rv. 206604, entrambe in materia di revisione anteriormente alla novella 12 giugno 2003, n. 134 
che ha ampliato i casi della impugnazione straordinaria includendo le sentenze di applicazione della 
pena su richiesta; Sez. V, n. 1582 del 17 marzo 1994 - dep. 18 aprile 1994, Abbate, Rv. 198002, in 
materia di misure cautelari; e, inoltre, cfr. Sez. I, n. 47794 del 11 dicembre 2008 - dep. 23 dicembre 
2008, Cimino, Rv. 242629, la quale ha escluso la analogia nello specifico caso scrutinato, in quanto - e 
soltanto perch� - colla ridetta novella era stata colmata "la lacuna legislativa", cos� confermando in linea 
di principio la possibilit� della applicazione analogica dell'art. 669 c.p.p.). Si � pertanto concluso che 
"la norma costituisce, per vero, attuazione del principio generale del ne bis in idem il quale "permea 
l'intero ordinamento dando linfa ad un preciso divieto di reiterazione dei procedimenti e delle decisioni 
sull'identica regiudicanda, in sintonia con le esigenze di razionalit� e di funzionalit� connaturate al sistema" 
(Sez. U., n. 34655 del 28 giugno 2005 - dep. 28 settembre 2005, Donati). La esecuzione del provvedimento 
sanzionatorio amministrativo, al pari della condanna giurisdizionale, comporta la 
"preclusione-consumazione" del potere di instaurare un nuovo procedimento e di sanzionare la medesima 
condotta. E tanto suffraga la applicazione analogica dell'art. 669 c.p.p., comma 1, per rimuovere 
la reiterazione delle sanzioni".
48 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2016 
zionalmente conforme dell'art. 669 c.p.p., in tema di "pluralit� di sentenze irrevocabili 
per il medesimo fatto contro la stessa persona": in tale evenienza il 
giudice dell'esecuzione sarebbe chiamato a rimuovere la sentenza meno favorevole. 
Tale valutazione comparativa dovrebbe ricomprendere anche l'ipotesi 
di un provvedimento definitivo - atto promanante dalla p.a., o pronuncia giudiziale 
a seguito di giudizio di opposizione - contenenti l'irrogazione di una 
misura amministrativa che presenti i tratti identitari di una "pena". 
Su questo piano, gli ostacoli di ordine tecnico (53) che incontrerebbe una 
simile interpretazione dell'art. 669 c.p.p. appaiono - forse - superabili. Difatti, 
sotto tale angolazione, il divieto di bis in idem interseca il delicatissimo tema 
della recessivit� del giudicato a fronte dell'esigenza di rimuovere compromissioni 
dei diritti fondamentali. Sul tema la Corte costituzionale ha mostrato significative 
aperture, come provano emblematicamente il caso Dorigo (C. cost. 
113/2011) in tema di revisione dei provvedimenti di condanna divenuti definitivi, 
e il caso dei "fratelli minori di Scoppola" (C. cost. 210/2013), in tema 
retroattivit� della disciplina pi� favorevole. 
4.2. L'applicazione diretta dell'art. 50 CDFUE. 
Mutando prospettiva, si sono proposte in dottrina (54), senza alcun seguito 
giurisprudenziale, strade alternative ad un interpretazione convenzionalmente 
conforme delle norme nazionali. 
Si � ricordato che il diritto al ne bis in idem - oltre che nell'art. 4, Prot. n. 
7 CEDU - trova una chiara enunciazione, tra l'altro, a livello eurounitario, nell'art. 
50 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea o c.d. Carta 
di Nizza (di seguito CDFUE) (55), le cui disposizioni, a seguito dell'entrata 
in vigore del Trattato di Lisbona, hanno acquistato lo stesso valore giuridico 
dei Trattati (art. 6 � 1 TUE). In virt� della c.d. clausola di equivalenza, ai diritti 
garantiti dalla Carta � riconosciuto lo stesso significato e la stessa portata dei 
diritti tutelati dalla CEDU (art. 52, � 3, CDFUE). Tale regola generale, come 
� chiarito dalle Spiegazioni ufficiali della Carta, � riferibile anche ai Protocolli 
(compreso, dunque, il Protocollo 7) e all�interpretazione che della Convenzione 
e dei protocolli abbia fornito la giurisprudenza della Corte di Strasburgo. 
Da tali coordinate normative sembra emergere una sovrapponibilit� tra 
(53) Sulla difficolt� di invocare con successo la sperimentabilit� delle ipotesi di revoca della sentenza 
da parte del giudice dell�esecuzione ai sensi dell�art. 673 c.p.p., stante il carattere eccezionale, e 
quindi tassativo, attraverso cui vengono individuate dal legislatore le ipotesi di superamento del giudicato, 
v. F. D�ALESSANDRO, Tutela dei mercati finanziari e rispetto dei diritti umani fondamentali, in Dir. 
pen. proc., 2014, 628 ss. 
(54) F. VIGAN�, Ne bis in idem e contrasto agli abusi di mercato: una sfida per il legislatore e i 
giudici italiani, cit., 12 ss. 
(55) Appare opportuno riportare il testo dell'art. 50 CDFUE: "Nessuno pu� essere perseguito o 
condannato per un reato per il quale � gi� stato assolto o condannato nell�Unione a seguito di una sentenza 
penale definitiva conformemente alla legge".
CONTENZIOSO NAZIONALE 49 
l'art. 4, Prot. 7 CEDU e l'art. 50 CDFUE, quanto alla portata e ai contenuti del 
ne bis in idem, nonostante alcune voci si siano espresse in senso contrario (56). 
Pertanto, i caratteri di primazia del diritto eurounitario sul diritto nazionale ne 
comporterebbero un effetto diretto nelle controversie pendenti davanti il giudice 
nazionale, previa disapplicazione delle norme interne eventualmente contrastanti 
(57), tra cui, appunto, quelle che legittimano un sistema punitivo 
improntato su un doppio e parallelo livello di tutela. 
Tale via potrebbe condurre, senza particolari implicazioni di sistema, il 
giudice penale comune da un parte, e la stessa pubblica Amministrazione dall�altra, 
ad arrestare il procedimento sanzionatorio non appena divenga irrevocabile 
una sanzione (penale o amministrativa che sia) irrogata per il medesimo 
fatto dall��altra� concorrente autorit�. 
La tesi, pur suggestiva, solleva perplessit� sotto almeno due profili: i) la 
(apparente) distonia di opinioni tra la Corte di Giustizia e la Corte EDU sulla 
portata del ne bis in idem. ii) il (limitato) raggio di azione della norma. 
4.2.1. (segue) Bis in idem e effettivit� del diritto dell'Unione europea. 
Il primo elemento di criticit� ad un'applicazione diretta dell'art. 50 
CDFUE si rinviene nella divergenza di opinioni tra la CGUE e la Corte EDU 
in merito alla portata del ne bis in idem. 
Sul punto � particolarmente significativa la citata pronuncia �klagaren 
(56) L'Avvocato generale Villal�n, nelle conclusioni presentate nella causa Fransson in data 12 
giugno 2012, in curia.europa.eu, ha proposto un'interpretazione autonoma e restrittiva dell'art. 50 
CDFUE. Muovendo dal rilievo che non tutti gli Stati membri dell�Unione hanno ratificato il Prot. 7, e 
che numerosi altri Stati - tra i quali l�Italia - hanno formulato riserve per evitare la sua applicazione alle 
sanzioni amministrative, egli ha sostenuto la necessit� di discostarsi dal criterio generale, fissato dall�art. 
52 � 3 CDFUE, di �equivalenza minima� tra la tutela offerta dalle norme della Carta e quella offerta 
dalle corrispondenti norme della CEDU e dei suoi protocolli. Di conseguenza, l'art. 50 CDFUE esigerebbe 
"un'interpretazione parzialmenta autonoma". In questa prospettiva, il tenore della disposizione 
non conterrebbe alcun elemento da cui inferire un divieto a qualsiasi caso di convergenza di potest� 
sanzionatoria dell�amministrazione e della giurisdizione penale riguardo ad un medesimo comportamento. 
In particolare, l'art. 50 CDFUE non implicherebbe che la previa esistenza di una sanzione defintiva, 
qualificata come amministrativa dallo Stato membro, precluda l�avvio di un procedimento dinanzi 
alla giurisdizione penale che possa eventualmente sfociare in una condanna, purch� - in tale evenienza 
- il giudice penale sia messo in condizione di tenere conto della previa esistenza di una sanzione amministrativa, 
al fine di mitigare la pena che sar� inflitta in sede penale (�� 81-96). L�opinione dell�Avvocato 
generale, come si vedr� nel prosieguo della trattazione, non � stata seguita dalla Grande Sezione della 
Corte che ha definito il procedimento Fransson. Giova inoltre sottolineare che la Corte di Strasburgo, 
nel caso Grande Stevens, ha insistito sull�efficacia vincolante del citato art. 4 nei confronti dello Stato 
italiano: nonostante "l�Italia ha fatto una dichiarazione secondo la quale gli articoli 2 - 4 del Protocollo 
n. 7 si applicano solo agli illeciti, ai procedimenti e alle decisioni che la legge italiana definisce penali 
� la riserva invocata dall�Italia non soddisfa le esigenze dell�articolo 57 � 2 della Convenzione. Questa 
conclusione � sufficiente per determinare la nullit� della riserva" (� 204 ss.). 
(57) In ossequio ai dettami della notissima sentenza Simmenthal del 9 marzo 1978 (Amministrazione 
delle finanze dello Stato c. Simmenthal spa, causa C-106/77) recepita, in Italia, dalla storica pronuncia 
Granital (C. cost., 5 giugno 1984, dep. 8 giugno 1984, n. 178).
50 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2016 
c. �kerberg Fransson del 2013. La Corte chiamata a chiarire se la duplice sottoposizione 
del contribuente a sanzioni sia penali che amministrative, con riferimento 
al settore IVA, fosse compatibile con l'art. 50 CDFUE, ha espresso 
i seguenti principi: 
(i) l�articolo 50 della Carta non osta a che uno Stato membro imponga, 
per le medesime violazioni di obblighi dichiarativi in materia di IVA, una combinazione 
di sovrattasse e sanzioni penali (� 34); 
(ii) tuttavia, qualora la sovrattassa sia di natura penale, ai sensi dell�articolo 
50 della Carta, e sia divenuta definitiva, tale disposizione osta a che procedimenti 
penali per gli stessi fatti siano avviati nei confronti di una stessa 
persona (� 34); 
(iii) ai fini della valutazione della natura penale delle sanzioni tributarie 
sono rilevanti i criteri della sentenza Bonda, che a sua volta richiama i criteri 
Engel (� 35); 
(iv) spetta al giudice del rinvio valutare, alla luce di tali criteri, se occorra 
procedere ad un esame del cumulo di sanzioni tributarie e penali "a condizione 
che le rimanenti sanzioni siano effettive, proporzionate e dissuasive" (� 36). 
Orbene, secondo alcuni commentatori (58), con tale pronuncia la Corte 
di Giustizia avrebbe accolto un'interpretazione restrittiva del principio del ne 
bis in idem: non tanto per aver riconosciuto agli Stati membri la facolt� di apprestare 
una pluralit� di sanzioni eterogenee in relazione al medesimo fatto - 
rimane ferma, infatti, la condizione che la sovrattassa non sia identificabile 
come una "pena" alla luce di parametri che ripetono gli "Engel criteria" -, 
quanto per aver richiesto al giudice nazionale di bilanciare il divieto di un secondo 
giudizio con la necessit� di adeguate sanzioni residuali. Se cosi �, la 
Corte di Lussemburgo sembra sottomettere il rispetto di un diritto fondamentale 
alla garanzia del primato e dell'effettivit� del diritto dell'Unione. 
Tale statuizione ha avuto ampia risonanza considerato che gi� nel caso 
Grande Stevens il Governo italiano, richiamando il caso Fransson, aveva affermato 
che il diritto dell�Unione europea avrebbe apertamente autorizzato il 
ricorso a una doppia sanzione (amministrativa e penale) nell�ambito della lotta 
contro le condotte abusive sui mercati finanziari (� 216). Si �, quindi, al cospetto 
di un "corto circuito" (59) fra le istanze di iper-effettivit� volte ad una 
miglior tutela degli interessi finanziari dell'Unione europea, e la necessaria 
salvaguardia dei diritti fondamentali. 
(58) G. DEAMICIS, Ne bis in idem e "doppio binario sanzionatorio": prime riflessioni sugli effetti 
della sentenza "Grande Stevens" nell'ordinamento italiano, cit., � 8; M. CAIANIELLO, Ne bis in idem e 
illeciti tributari per omesso versamento dell�IVA: il rinvio della questione alla Corte costituzionale, cit., 
4; G.M. FLICK - V. NAPOLEONI, A un anno di distanza dall'affaire Grande Stevens: dal bis in idem all'e 
pluribus unum?, cit., 14. 
(59) M.L. DI BITONTO, Il ne bis in idem nei rapporti tra infrazioni finanziarie e reati, in Cass. 
pen., 4/2016, 1342.
CONTENZIOSO NAZIONALE 51 
Proprio in virt� di tali rilievi la Quinta sezione penale della Cassazione, 
rilevando l'incidente di costituzionalit�, ha espressamente escluso la percorribilit� 
della diretta applicazione dell'art. 50 CDFUE, mostrando un giustificato 
atteggiamento di cautela (60). 
Probabilmente il nodo gordiano - cui sarebbe sotteso un inedito scenario 
di invocazione degli obblighi europei quali controlimiti al rispetto delle garanzie 
convenzionali - � pi� apparente che reale. 
Anzitutto, tanto la abrogata Direttiva 2003/6/CE (MAD I), quanto la 
nuova Direttiva 2014/57/UE (c.d. MAD II), pur facoltizzandolo, non impongono 
agli Stati membri di apprestare un duplice livello di tutela - penale e amministrativo 
- in relazione alle stesse condotte (61). Anche se cos� fosse, la 
Corte di Strasburgo, gi� nel noto arresto Bosphorus c. Irlanda del 2005 ha 
chiarito che gli Stati parte della Convenzione restano vincolati al rispetto degli 
obblighi che dalla stessa discendono anche quando danno attuazione al diritto 
comunitario (62). Inoltre, al livello eurounitario, � pacifico che il rispetto dei 
diritti convenzionali � condizione di validit� degli atti dell'Unione (63), dal 
momento che i diritti della Convenzione e dei suoi Protocolli fanno parte del 
diritto dell'Unione europea in quanto principi generali (art. 6 �3 TUE), e, allo 
stesso tempo, costituiscono il contenuto minimo dei corrispondenti diritti della 
Carta (art. 52 � 3 TUE) (64). 
Sembra dunque evincersi che, per realizzare l'obiettivo di contrastare vie 
illegali di produzione della ricchezza che vanifichino il principio della con- 
(60) Cass. pen., Sez. V, ord. 10 novembre 2014, cit., 13. 
(61) G.M. FLICK - V. NAPOLEONI, Cumulo tra sanzioni penali e amministrative: doppio binario o 
binario morto? �Materia penale�, giusto processo e ne bis in idem nella sentenza della Corte EDU, 4 
marzo 2014, sul market abuse, cit., 8-9. Tuttavia, con maggior impegno critico, si evidenzia che la abrogata 
Direttiva 2003/6/CE, prescriveva agli Stati membri di reprimere i relativi illeciti con sanzioni amministrative, 
configurando l�impiego - aggiuntivo - di sanzioni penali come una mera facolt� (art. 14). 
Ma sarebbe stato chiaramente impensabile che la repressione degli illeciti di market abuse potesse passare 
per un apparato sanzionatorio esclusivamente amministrativo. Ne sarebbero derivati, infatti, quantomeno 
in rapporto alla manipolazione del mercato, una evidente violazione dei principi di eguaglianza 
e di ragionevolezza, posto che nel nostro ordinamento la sanzione penale � tradizionalmente impiegata 
per illeciti analoghi, ma strutturalmente meno gravi, quali l�aggiotaggio comune (art. 501 c.p.), societario 
e bancario (art. 2637 c.c.). Per converso, come sottolineano gli stessi AA. (p. 14), una legislazione interna 
che avesse affidato alle sanzioni amministrative un ruolo meramente marginale e "di rincalzo" avrebbe 
rischiato di porsi in contrasto con la direttiva. Oggi la questione ha perso di interesse posto che la nuova 
MAD II, ribaltando il precedente rapporto tra sanzione penale e amministrativa, impone agli Stati membri 
di punire a titolo di reato le condotte pi� gravi, con facolt� di affiancare sanzioni amministrative. 
(62) Corte. eur. dir. uomo, 30 giugno 2005, Bosphorus c. Irlanda, in www.echr.coe.int. In particolare, 
si � rilevato che gli atti compiuti da uno Stato membro nell�esecuzione degli obblighi comunitari 
si presumono conformi alla CEDU, chiarendo tuttavia come tale presunzione di equivalenza nella protezione 
dei diritti fondamentali (tra CEDU e ordinamento comunitario) sia suscettibile di essere sovvertita 
laddove emerga una "violazione manifesta" dei diritti umani (� 156). 
(63) F. VIGAN�, Ne bis in idem e contrasto agli abusi di mercato: una sfida per il legislatore e i 
giudici italiani, cit., 18. 
(64) Cfr. CGUE, 24 aprile 2012, Kamberaj, C.571/10, in curia.europa.eu.
52 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2016 
correnza, pilastro del mercato unico europeo, gli Stati ben possano ricorrere, 
contestualmente, a sanzioni penali e amministrative. Allo stesso tempo tale sistema 
non deve trasmodare nella doppia punizione di una stessa condotta, occorrendo, 
invece, differenziare gli illeciti meritevoli di un rimprovero penale 
da quelli pi� lievi (65). 
Ciononostante, si comprende la riluttanza della Cassazione nel procedere 
ad una diretta applicazione dell'art. 50 CDFUE. Le ambiguit� sollevate dal 
caso Fransson, non a caso, hanno recentemente portato il Tribunale di Bergamo 
ad operare un rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell�Unione 
Europea (art. 267 TFUE), orientato a conoscere �se la previsione dell�art. 50 
CDFUE, interpretato alla luce dell�art. 4 prot. n. 7 CEDU e della relativa 
giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell�uomo, osti alla possibilit� 
di celebrare un procedimento penale avente ad oggetto un fatto (omesso versamento 
IVA) per cui il soggetto imputato abbia riportato sanzione amministrativa 
irrevocabile� (66). 
4.2.2. (segue) I ristretti confini applicativi dell'art. 50 CDFUE. 
In secondo luogo, si evidenzia che l'applicazione diretta dell'art. 50 
CDFUE presuppone che la materia ricada nel campo di applicazione del diritto 
dell'Unione Europea. In tal senso dispone l'art. 51 CDFUE (67). 
Tale condizione � certamente soddisfatta con riguardo alla repressione degli 
(65) Cfr. Relazione dell�Ufficio del ruolo e del massimario presso la Cass., 8 maggio 2014, n. 35, 
� 2, lett. c, e � 3.3.c, in www.cortedicassazione.it. Cfr. anche R. CONTI, Ne bis in idem, in Treccani, Libro 
dell'anno 2015. Secondo l'A. la pronuncia non sembra avere messo in discussione l�applicazione del 
divieto del secondo procedimento nel caso in cui alla sanzione irrogata per prima sia riconosciuta natura 
"penale". In quest'ottica, non si deve enfatizzare il significato espresso al � 36 della sentenza Fransson, 
decisamente rivolto al giudice nazionale svedese proprio in relazione alla peculiare regolamentazione 
normativa scandinava ed all�eventuale possibilit� - in quell�ordinamento - che il giudice penale tenga 
in considerazione, ai fini della commisurazione della pena, l�importo della sanzione amministrativa precedentemente 
inflitta. 
(66) Trib. Bergamo, ord. 16 settembre 2015, cit. La precisazione che si tratta di IVA assume una 
rilevanza fondamentale. Si registra, difatti, un precedente rinvio pregiudiziale, dagli accenti analoghi, 
operato dal Tribunale di Torino, con ordinanza del 27 ottobre 2014. Tuttavia, come preconizzato in dottrina 
- v. M. BONTEMPELLI, Il doppio binario sanzionatorio in materia tributaria e le garanzie europee 
(fra ne bis in idem processuale e ne bis in idem sostanziale), in Arch. pen., 2015, n. 1, 1 ss.; G.M. FLICK 
- V. NAPOLEONI, A un anno di distanza dall'affaire Grande Stevens: dal bis in idem all'e pluribus unum?, 
cit., 26; M. SCOLETTA, Ne bis in idem e illeciti tributari per omesso versamento delle ritenute: un problematico 
rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia, in www.penalecontemporaneo.it -, esso atteneva 
ad un tributo non armonizzato (omesso versamento di ritenute non certificate, art. 10-bis, D.Lgs. 
74/2000), caratterizzato da una dimensione esclusivamente domestica. Era inevitabile, quindi, che la 
Corte di Giustizia dichiarasse la propria incompetenza (CGUE del 15 aprile 2015, Burzio, causa, C- 
497/14). 
(67) Pare opportuno riportare il testo dell'art. 51 CDFUE: "Le disposizioni della presente Carta si 
applicano alle istituzioni e agli organi dell�Unione nel rispetto del principio di sussidiariet� come pure 
agli Stati membri esclusivamente nell�attuazione del diritto dell�Unione. Pertanto, i suddetti soggetti rispettano 
i diritti, osservano i principi e ne promuovono l�applicazione secondo le rispettive competenze".
CONTENZIOSO NAZIONALE 53 
abusi di mercato, come dimostra la normativa in materia - dalla Direttiva del 
2003 gi� citata (c.d. MAD I), alla nuova Direttiva del 2014 (c.d. MAD II) -, che 
impone oggi precisi obblighi di repressione penale delle condotte pi� gravi 
(come si vedra` infra). 
Ampliando lo sguardo, in una prospettiva sistematica, si colgono per� i 
limiti e le criticit� di una simile impostazione. 
Ne � prova il settore degli illeciti tributari ove l'operativit� dell'art. 50 
CDFUE sarebbe limitata ai cc.dd. tributi armonizzati, rimanendo fuori dal suo 
campo elettivo le imposte dirette, tanto che in dottrina non si � mancato di sottolineare 
l'irrazionalit� di un sistema cos� congeniato (68). 
Pi� in generale, emerge come al di fuori delle competenze riservate dall'Unione 
europea, stante la non applicabilit� dell'art. 50 CDFUE, permarrebbero 
le condizioni per la violazione del ne bis in idem. Insomma, la 
percorribilit� di una diretta applicazione della Carta di Nizza, oltre ad essere 
foriera di derive in punto di ragionevolezza e parit� di trattamento di posizioni 
omogenee, si mostra, soprattutto, una soluzione "parziale", essendo escluso 
che la Carta possa rappresentare uno strumento di tutela dei diritti fondamentali 
oltre le competenze dell'Unione europea (69). 
4.3. La diretta applicazione dell'art. 4 Prot. 7, CEDU. 
Per colmare tale vuoto, o in via alternativa all'efficacia diretta della Carta, 
appare difficilmente sostenibile il richiamo alla diretta applicazione dell'art. 4 
Prot. 7 CEDU. 
La tesi, promossa da una parte della dottrina (70), e gi� seguita in alcuni 
arresti della Cassazione seppur in riferimento ad altre norme CEDU (71), 
muove dall'assunto secondo cui tale via non sarebbe sbarrata dalle note sentenze 
"gemelle" della Corte costituzionale del 2007 (C. cost. nn. 348 e 349): 
la Consulta avrebbe inteso vietare la disapplicazione di norme nazionali in 
contrasto con le norme della CEDU e dei suoi Protocolli, ma ci� non osterebbe 
ad una diretta applicazione delle fonti internazionali allorch� questa 
operazione non presupponga alcuna disapplicazione di una norma interna 
contrastante. Ci� che si verificherebbe nei casi in cui sia ravvisabile uno 
(68) A. GIOVANNINI - L.P. MURCIANO, Il principio del ne bis in idem sostanziale impedisce la doppia 
sanzione per la medesima condotta, in Corr. trib., 2014, 20, 1548. 
(69) In questi termini, C. cost. 80/2011, � 5.5., che richiama, a sua volta, la giurisprudenza della 
Corte di Giustizia (ordinanza 17 marzo 2009, C-217/08, Mariano; sentenza 5 ottobre 2010, C-400/10 
PPU, McB; ordinanza 12 novembre 2010, C-399/10, Krasimir e altri). 
(70) A. RUGGERI, Salvaguardia dei diritti fondamentali ed equilibri istituzionali in un ordinamento 
"intercostituzionale", in Riv. AIC, n. 4/2013, 4 ss.; F. VIGAN�, Ne bis in idem e contrasto agli abusi di 
mercato: una sfida per il legislatore e i giudici italiani, cit., 16-17. 
(71) Cfr. Cass., Sez. un., 23 novembre 1988 (dep. 8 maggio 1989), Polo Castro, in Cass. pen., 
1989, 1418 ss.; Cass., sez. I, 12 maggio 1993 (dep. 10 luglio 1993), Medrano, ivi, 1994, 439 ss.; Cass., 
sez. un., 25 novembre 2010 (dep. 14 luglio 2011), n. 27918, De F., � 11 e 14.
54 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2016 
"spazio giuridicamente vuoto", non regolato in maniera antinomica da una 
legge nazionale. 
Ed allora, il Protocollo 7 CEDU � stato incorporato nell'ordinamento italiano 
in forza della relativa legge di esecuzione (L. 98/1990), acquisendo, formalmente, 
il rango di norma primaria, alla quale il giudice � soggetto in forza 
dell'art. 101, comma 2, Cost. Allo stesso tempo, esso integra il parametro di 
costituzionalit� dell'art. 117, comma 1, Cost. - che sancisce la preminenza 
degli obblighi internazionali, tra cui quelli derivanti dai Trattati, sulla legislazione 
ordinaria -, collocandosi ad un livello sub-costituzionale, secondo il noto 
meccanismo della c.d. norma interposta. 
Nel caso dell'art. 4 Prot. 7 CEDU, non si tratterebbe di una norma di principio, 
ma di una norma avente un contenuto specifico e dettagliato (self-executing) 
che imporrebbe un mero dovere negativo a carico dello Stato italiano: 
non esercitare, o non proseguire, un'azione "sostanzialmente" penale a carico 
di chi sia stato gi� giudicato in via definitiva per lo stesso fatto. Sicch� non vi 
sarebbero ostacoli alla sua immediata operativit� nell'ordinamento italiano. 
Pertanto, poich� l'art. 4 Prot. 7, cos� come interpretato dalla Corte di Strasburgo, 
eccederebbe l'area coperta dall'art. 649 c.p.p. - la quale � limitata alle 
fattispecie caratterizzate da una sentenza o un decreto di condanna anche "formalmente" 
qualificati come penali - esso si presenterebbe come la norma di 
riferimento applicabile dal giudice nazionale anche all�ipotesi in cui un soggetto 
sia stato sanzionato con provvedimento definitivo formalmente amministrativo, 
ma dalla natura sostanzialmente penale. 
La tesi, a sommesso parere di chi scrive, prova troppo. 
La Corte costituzionale ha chiarito la profonda differenza che intercorre 
tra le norme CEDU e le norme dell'Unione europea self-executing. 
Il fondamento costituzionale dell'efficacia diretta delle norme dell'Unione 
� stato individuato nell'art. 11 Cost. Difatti, con l�adesione ai Trattati comunitari, 
l�Italia � entrata a far parte di un �ordinamento� pi� ampio, di natura sopranazionale, 
cedendo parte della sua sovranit�, anche in riferimento al potere 
legislativo, nelle materie oggetto dei Trattati medesimi, con il solo limite dell�intangibilit� 
dei principi fondamentali e dei diritti inalienabili della persona 
umana garantiti dalla Costituzione (c.d. controlimiti). 
La CEDU, al contrario, non crea alcun ordinamento giuridico sopranazionale. 
Essa, pur rivestendo grande rilevanza, in quanto posta a tutela dei diritti 
e le libert� fondamentali delle persone, rimane pur sempre un trattato 
internazionale multilaterale, le cui norme vincolano lo Stato secondo il meccanismo 
della norme interposte, ma non producono effetti diretti nell'ordinamento 
interno, tali da affermare la competenza dei giudici nazionali a darvi 
applicazione nelle controversie ad essi sottoposte (in questi termini C. cost. 
348, ripresa da C. cost. 349/2007). 
Tale posizione non � mutata con l'entrata in vigore del Trattato di Lisbona
CONTENZIOSO NAZIONALE 55 
che all'art. 6 � 2 TUE prevede una adesione dell'Unione Europea alla Convenzione 
CEDU. Anche tale innovazione non ha comportato un mutamento della 
collocazione delle disposizioni della CEDU nel sistema delle fonti, tale da rendere 
ormai inattuale la concezione delle norme interposte (Corte cost. n. 80/2011). 
In definitiva, la CEDU, al di l� del potenziale contrasto con la normativa 
nazionale, "resta, per l�Italia, solamente un obbligo internazionale, con tutte 
le conseguenze in termini di interpretazione conforme e di prevalenza mediante 
questione di legittimit� costituzionale" (72). 
Come gi� analizzato supra, entrambe queste vie - l'interpretazione convenzionalmente 
conforme e la questione di costituzionalit� - sono state sinora 
sperimentate senza alcun successo. 
5. La necessit� di un intervento legislativo. 
Le soluzioni ermeneutiche sinora esplorate presentano tutte - eccettuata 
l'ipotesi della pluralit� di decisioni irrevocabili - controindicazioni di non poco 
conto. 
Si � gi� accennato che la garanzia del ne bis in idem non opera in presenza 
di una mera litispendenza di procedimenti, richiedendosi, quale suo presupposto 
di operativit�, che almeno uno dei due giunga a conclusione. Ne discende 
che qualsiasi soluzione per via giurisprudenziale al problema del ne 
bis in idem non impedirebbe, in ogni caso, il concreto avvio di entrambi i procedimenti. 
Orbene, tale situazione genererebbe un risultato inutilmente e irragionevolmente 
dispendioso, tanto per il destinatario delle sanzioni (sia in termini 
economici che emotivi), quanto - e soprattutto - per l'intero ordinamento, che 
sarebbe costretto a sopportare i costi di una duplicazione di procedimenti, nonostante 
la certezza, ab origine, che solo uno dei due arriver� a conclusione. 
Si sancirebbe, allora, la logica del "vince chi arriva prima" (73): la preclusione 
scatterebbe in presenza della sentenza per prima passata in giudicato. Un simile 
assetto sarebbe chiaramente lesivo del principio di eguaglianza, dipendendo 
da una circostanza aleatoria (e in qualche misura governabile dall'autore 
dell'illecito tramite i meccanismi di impugnazione, seguendo valutazioni di 
convenienza di tipo strettamente personale (74)). 
(72) A. CELOTTO, Il Trattato di Lisbona ha reso la CEDU direttamente applicabile nell'ordinamento 
italiano?, in www.giustamm.it. 
(73) G.M. FLICK - V. NAPOLEONI, A un anno di distanza dall'affaire Grande Stevens: dal bis in 
idem all'e pluribus unum?, cit., 16. 
(74) A ben vedere, l'esito dei procedimenti non sembra poter essere completamente �pilotato� 
dall�interessato. La corte di Strasburgo, nel caso H�kk� c. Finlandia, ha infatti escluso che vi fosse una 
violazione del ne bis in idem qualora il ricorrente non abbia impugnato la decisione in sede amministrativa, 
per poi giovarsi della garanzia nel procedimento penale. v. C. eur. dir. uomo, 20 maggio 2014, 
H�kk� c. Finlandia, � 52, in www.echr.coe.int.
56 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2016 
D'altra parte, poich� notoriamente il procedimento amministrativo di irrogazione 
delle sanzioni marcia secondo tempistiche di gran lunga pi� spedite 
del procedimento penale (75), ci� si risolverebbe, nei casi statisticamente pi� 
frequenti, in una "resa del giudice penale" all'autorit� amministrativa (76). Si 
giungerebbe, allora, ad un duplice paradosso: 
(i) sul piano delle garanzie processuali, l'importazione sic et etimpliciter 
delle indicazioni provenienti da Strasburgo condurrebbero ad una negazione, 
di fatto, delle guarentigie del processo penale, espondendo l'ordinamento italiano 
a molteplici violazioni del diritto al fair trial sancito nell'art. 6 CEDU, 
tutte le volte in cui il "processo" amministrativo non assicuri le garanzie tipiche 
del procedimento penale (77); 
(ii) sul piano dell'effetivit�, nei settori economicamente pi� sensibili, la 
sanzione amministrativa, originariamente concepita come "rinforzo" della sanzione 
penale, si tradurrebbe in un fatto di "esonero" di quest'ultima (78). 
Si appalesa perci� necessaria una riforma organica dei sistemi punitivi a 
doppio binario per adeguare l'ordinamento interno ai dicta di Strasburgo. 
Se nel settore tributario la novella operata con il D.Lgs. 158/2015 ha clamorosamente 
taciuto sulla questione (79), per il settore finanziario l'occasione 
� offerta dalla nuova normativa eurounitaria, tesa ad un profondo ripensamento 
del disciplina degli abusi di mercato in favore di assetti normativi scevri da 
(75) N. MADIA, Il ne bis in idem convenzionale e comunitario alle prese con la litispendenza, in 
www.penalecontemporaneo, 4. 
(76) E. SCAROINA, Costi e benefici del dialogo tra corti in materia penale, in Cass. pen., 2015, 
2919. Sugli effetti paradossali indotti dall�assetto prefigurato, altres�, A. PODIGGHE, Il divieto di bis in 
idem tra procedimento penale e procedimento tributario secondo la Corte Europea dei Diritti dell�Uomo: 
il caso Nyk�nen v. Finland e le possibili ripercussioni sul sistema repressivo tributario interno, 
in Riv. dir. trib., 2014, IV, 122. 
(77) M.L. DI BITONTO, Il ne bis in idem nei rapporti tra infrazioni finanziarie e reati, in Cass. 
pen., 4/2016, 1340-1341. 
(78) G.M. FLICK - V. NAPOLEONI, A un anno di distanza dall'affaire Grande Stevens: dal bis in 
idem all'e pluribus unum?, cit., 16-17. 
(79) Per vero, va segnalato solo un aspetto della riforma che potrebbe aver parzialmente attenuato 
le conseguenze del cumulo sanzionatorio. Si tratta del nuovo art. 13 D.Lgs. 74/2000 che sostituisce la 
precedente circostanza attenuante con una causa di non punibilit� in relazione ai reati di cui agli artt. 
10-bis (omesso versamento di ritenute certificate), 10-ter (omesso versamento di IVA) e 10-quater, 
comma 1 (indebita compensazione), subordinata alla condotta riparatoria descritta: il pagamento dei debiti 
tributari, comprese sanzioni amministrative e interessi. L'ambito di tale istituto � stato esteso ai reati 
di cui agli artt. 4 (dichiarazione infedele) e 5 (omessa dichiarazione). In questo caso, tuttavia, la non punibilit� 
� subordinata all'ulteriore circostanza che "il ravvedimento o la presentazione siano intervenuti 
prima che l�autore del reato abbia avuto formale conoscenza di accessi, ispezioni, verifiche o dell�inizio 
di qualunque attivit� di accertamento amministrativo o di procedimenti penali" . Come rilevato tale "requisito 
[�] sul piano pratico rende poco probabile una significativa applicazione dell�istituto, potendo 
difficilmente pronosticarsi comportamenti di �ravvedimento� da omessa/infedele dichiarazione che non 
siano in qualche modo �sollecitati� dalla conoscenza di accertamenti in corso sulla dichiarazione medesima" 
(in questi termini, Relazione dell�Ufficio del ruolo e del massimario presso la Cassazione, Novit� 
legislative: Decreto Legislativo n. 24 settembre 2015, n. 158, Revisione del sistema sanzionatorio, in attuazione 
dell�art. 8, comma 1 della legge 11 marzo 2014, n. 23, Rel. n. III/05/2015, 28 ottobre 2015).
CONTENZIOSO NAZIONALE 57 
duplicazioni sanzionatorie. Tuttavia, come si vedr�, i primi segnali lanciati dal 
legislatore italiano non fanno ben sperare. 
5.1. La nuova disciplina eurounitaria sul market abuse: i vincoli imposti dal 
regolamento 596/2014 (MAR) e dalla direttiva 2014/57/UE (MAD II). 
Il duplice strumento normativo rappresentato dalla direttiva 2014/57/UE 
(MAD II) e dal coevo regolamento 596/2014 (MAR), che abroga la Direttiva 
2003/6/CE (MAD I), presenta scenari fortemente innovativi (80). 
Si ribalta l'assetto preesistente, polarizzato sull'obbligo per gli Stati 
membri di reprimere gli illeciti di mercato con sanzioni amministrative, accompagnato 
dalla facolt� di prevedere sanzioni penali "di rinforzo". Sul 
presupposto della riscontrata insufficienza delle sanzioni amministrative rispetto 
all'esigenza di presidiare l'integrit� del mercato (Considerando, n. 5 
MAD II), anche sul piano della portata stigmatizzante (Considerando 6 
MAD II), la nuova direttiva - adottata sulla base dell' art. 83� 2 TFUE - 
prende posizione netta a favore della sanzione criminale per i fatti integranti 
abusi di mercato (insider trading, "tipping", market manipulation) "almeno 
nei casi pi� gravi e allorquando siano commessi con dolo" (artt. 3, comma 
1, 4, comma 1, e 5, comma 1, MAD II). Dal canto suo il regolamento continua 
a stabilire che per le omologhe violazioni, da esso analiticamente descritte, 
gli Stati membri conferiscano alle autorit� competenti "il potere di 
adottare sanzioni amministrative e altre misure amministrative adeguate" 
(art. 30, � 1, lett. a). Peraltro, pur contemplando l'opzione cumulativa, viene 
subito precisato al comma 2 che "gli Stati membri possono decidere di non 
stabilire norme relative alle sanzioni amministrative di cui al primo comma 
se le violazioni di cui alle lettere a) o b) di tale comma sono gi� soggette a 
sanzioni penali, nel rispettivo diritto nazionale entro il 3 luglio 2016". Tale 
ultima regola sembra esprimere la seguente indicazione: qualora gli ordinamenti 
nazionali gi� prevedano sanzioni penali per condotte illecite "meno 
gravi", corrispondenti a quelle contemplate dal Regolamento, le sanzioni e 
le misure amministrative, pur tassativamente stabilite come cogenti dal Regolamento, 
perdono il carattere dell�obbligatoria introduzione negli ordinamenti 
interni (82). 
In sintesi, si delinea un sistema unitario improntato ad un gradualismo 
sanzionatorio collegato alla gravit� del fatto/fattispecie accompagnato dalla 
tinta dolosa dell'atteggiamento psicologico che deve colorare le condotte, 
(80) Per una disamina della nuova normativa sugli abusi di mercato v. F. MUCCIARELLI, La nuova 
disciplina eurocomunitaria sul market abuse: tra obblighi di criminalizzazione e ne bis in idem, in 
www.penalecontemporaneo.it, 17 settembre 2015; M. SCOLETTA, Doppio binario sanzionatorio e ne bis 
in idem nella nuova disciplina eurounitaria degli abusi di mercato, in Le Societ�, 2016. 
(82) Cos� F. MUCCIARELLI, La nuova disciplina eurocomunitaria sul market abuse: tra obblighi 
di criminalizzazione e ne bis in idem, cit., 15.
58 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2016 
ferma restando la comune appartenenza delle sanzioni in discorso alla "materia 
penale" (83). 
La logica di tale complesso impianto riflette l'attenzione (rectius: la preoccupazione) 
del legislatore eurounitario con riferimento al nodo del ne bis 
in idem. Difatti, anche nell'ipotesi in cui � facoltizzata una doppia risposta sanzionatoria, 
gli Stati membri sono comunque chiamati a rispettare il divieto del 
double jeopardy. Sul punto � inequivoco il Considerando 23 della nuova direttiva: 
�nell�applicare la normativa nazionale di recepimento della presente 
direttiva, gli Stati membri dovrebbero garantire che l�irrogazione delle sanzioni 
penali per i reati ai sensi della presente direttiva e di sanzioni amministrative 
ai sensi del regolamento (UE) n. 596/2014 non violi il principio del 
ne bis in idem�. 
L'onere di tale doverosa osservanza � rimesso al legislatore nazionale di 
ogni singolo Stato membro, con una soluzione che appare forse pilatesca nella 
misura in cui rimette semplicemente agli Stati membri la responsabilit� di decidere 
se e come attuare un doppio binario (84), fermo restando l'obbligo della 
sanzione penale individuato in base al criterio discretivo, per vero non perspicuo, 
costituito dalla gravit� - delle conseguenze (85) - della condotta. 
5.2. La legge-delega n. 114/2015. 
Le prime risposte in ambito nazionale dimostrano come il legislatore italiano 
non abbia preso piena coscienza della dimensione del problema (86). 
Addirittura, il primo d.d.l. governativo di delegazione europea del 2014, 
successivamente sfociato nella Legge 9 luglio 2015, n. 114 (il cui termine di 
attuazione � scaduto il 3 luglio 2016), aveva espunto la Dir. 57/2014/UE tra 
quelle da recepire poich� "non risultano necessarie misure nazionali per la 
sua adozione in quanto l�ordinamento nazionale � gi� conforme". 
All'inconveniente si � posto rimedio con una serie di emendamenti di 
identico contenuto presentati solo a seguito dell'audizione del presidente della 
(83) F. MUCCIARELLI, La nuova disciplina eurocomunitaria sul market abuse: tra obblighi di criminalizzazione 
e ne bis in idem, cit., 13. 
(84) F. VIGAN�, Ne bis in idem e contrasto agli abusi di mercato: una sfida per il legislatore e i 
giudici italiani, cit., 22. 
(85) Gli indici di gravit� cui fa riferimento la Direttiva attengono in misura preponderante agli 
effetti delle condotte vietate. Si vedano, in proposito, i Considerando (11) e (12) Dir. 57/2014, che discorrono 
del profitto conseguito. Come sottolinea F. MUCCIARELLI, cit., p. 23, "nelle ipotesi ove l�indice 
segnaletico della gravit� sia legato ad una conseguenza della condotta [...], la caratteristica di reati di 
pericolo (pur concreto) disegnata dalle fattispecie contemplate nella Direttiva (e per vero anche nelle 
vigenti figure degli artt. 184 e 185 d. lgs n. 58/1998, d�ora innanzi TUF) finirebbe con lo sbiadirsi fino 
a scomparire, posto che addirittura l�esistenza di un evento separato dalla condotta diverrebbe criterio 
selettivo circa la natura (penale o amministrativa) dell�illecito". 
(86) Sui lavori preparatori della legge-delega, e per una critica puntuale dei criteri da questa fissati, 
v. E. BASILE, Verso la riforma della disciplina italiana del market abuse: la legge-delega per il recepimento 
della Dir. 57/2014/UE, in www.lalegislazionepenale.eu, 15 dicembre 2015. 
CONTENZIOSO NAZIONALE 59 
Consob, nel corso della quale era stato caldeggiato l'inserimento della MAD 
II nella legge-delega. 
L'art. 11, della l. 114/2015, dispone oggi la revisione verso l�alto dei minimi 
edittali delle sanzioni di cui agli artt. 187-bis e 187-ter (lett. f), nonch� 
l�individuazione - �fermo restando un sistema di sanzioni amministrative proporzionato, 
efficace e dissuasivo� - di �condotte gravi di abuso di mercato 
punibili con sanzioni penali effettive, proporzionate e dissuasive� (lett. i), queste 
ultime da determinarsi �sulla base dei criteri contenuti nella direttiva 
2014/57/UE, quale la qualificazione soggettiva dei trasgressori, come nel caso 
in cui essi siano esponenti aziendali degli emittenti, ovvero esponenti di autorit� 
di vigilanza o di governo, ovvero persone coinvolte in organizzazioni criminali 
ovvero persone che abbiano gi� commesso in passato lo stesso tipo di 
illecito di abuso di mercato� (lett. l). Alla successiva lettera m, infine, la legge 
delega prescrive al governo di �evitare la duplicazione o il cumulo di sanzioni 
penali e sanzioni amministrative per uno stesso fatto illecito, attraverso la distinzione 
delle fattispecie o attraverso previsioni che consentano l�applicazione 
della sola sanzione pi� grave ovvero che impongano all�autorit� 
giudiziaria o alla CONSOB di tenere conto, al momento dell�irrogazione delle 
sanzioni di propria competenza, delle misure punitive gi� irrogate�. 
Il risultato finale � sconfortante. Dalla lettura delle disposizioni, ci si avvede, 
da un parte, dell'assoluto deficit di linee-guida per il Governo rispetto all'emanazione 
di norme penali di recepimento della MAD II e del MAR - il che 
pone seri dubbi di legittimit� costituzionale della disposizione in esame -, dall'altra, 
delle parossistiche indicazioni sul superamento del cumulo sanzionatorio 
ora previsto dalla disciplina domestica degli abusi di mercato. 
Difatti, la legge-delega presenta un anacronistico riconoscimento del primato 
dell'apparato sanzionatorio amministrativo (lett. i), accompagnato dall'ancor 
pi� paradossale obbligo di inasprimento delle relative sanzioni agli artt. 
187-bis e 187-ter TUF(lett. f). 
Per altro verso, quanto all'individuazione dei confini delle condotte delittuose 
(artt. 184 e 185 TUF), il Parlamento non fornisce alcun valido criterio 
direttivo. Monco � il riferimento alle pene criminali "effettive, proporzionate e 
dissuasive", trattandosi nient'altro che di un richiamo dell'art. 7 � 1, della MAD 
II. Bizzarro risulta poi il richiamo al criterio della qualificazione soggettiva dell'autore 
quale spartiacque tra la sanzione penale e quella amministrativa. 
Per altro verso, del tutto inidonee appaiono le indicazioni del legislatore 
per fronteggiare il problema del cumulo sanzionatorio. A bene vedere, dei 3 
criteri indicati - i) "distinzione delle fattispecie"; ii) applicazione della sola 
sanzione pi� grave; iii) meccanismi compensativi per le sanzioni gi� irrogate 
- solo il primo garantisce l'integrale rispetto dell'art. 4 Prot. 7 CEDU, e dell'art. 
50 CDFUE, che non limitano la garanzia al divieto di essere puniti due volte 
per lo stesso fatto, ma la estendono al divieto di un doppio "processo". L'in-
60 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2016 
flizione della sanzione penale pi� grave, o lo scomputo della sanzione gi� irrogata 
in relazione a quella da infliggere (secondo un meccanismo gi� presente 
nell'art. 187-terdecies) non arginerebbero, con tutta evidenza, tale eventualit�. 
Tuttavia, come � stato evidenziato (87), non si vede come la via maestra 
della "distinzione delle fattispecie" possa essere attuata in base ai criteri meramente 
soggettivi richiamati dalla lett. l. 
In definitiva, nel recepire la normativa eurounitaria il Governo avr� discrezionalit� 
pressoch� piena sulle scelte politico-criminali, con gli unici "paletti" 
costituiti dal mantenimento, seppur in qualche misura revisionato, di un 
apparato punitivo amministrativo, non del tutto alternativo, ma concorrente 
con quello penale negli abusi di mercato (88). In tal modo, la delega legislativa 
mostra di non tenere adeguatamente conto dei moniti provenienti da Strasburgo, 
attribuendo pervicacemente centralit� alla procedura sanzionatoria 
amministrativa, nonostante la virata del legislatore eurounitario verso il diritto 
penale come principale strumento di contrasto agli abusi di mercato. 
CT 5481/2015 - Sez. IV - Avv. Scino 
AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO 
ECC.MA CORTE COSTITUZIONALE 
MEMORIA ILLUSTRATIVA 
(ai sensi dell'art. 10 delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte 
costituzionale, 19 marzo 1956, pubblicato in G.U. il 24 marzo 1956, n. 71, e ss. mm.) 
per il Presidente del Consiglio dei Ministri, (C.F. 80188230587) rappresentato e difeso dall�Avvocatura 
Generale dello Stato, (C.F. 80224030587, FAX 06/96514000 e PEC 
ags_rm2@mailcert.avvocaturastato.it) presso i cui uffici domicilia in Roma alla Via dei Portoghesi 
n. 12 ex lege 
nel giudizio incidentale 
di legittimit� costituzionale, promosso dalla Suprema Corte di Cassazione, sez. V Penale, nel 
procedimento penale a carico di C.C.R., con ordinanza n. 38 del 15 gennaio 2015 (G.U. 1a 
Serie Speciale - Corte Costituzionale n. 12 del 25 marzo 2015) relativo all�art. 187-bis, comma 
1, del D.Lgs 24 febbraio 1998 n. 58 (Testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione 
finanziaria), e, in via subordinata, all�art. 649 c.p.p. 
****** 
PREMESSA 
(87) F. VIGAN�, Ne bis in idem e contrasto agli abusi di mercato: una sfida per il legislatore e i 
giudici italiani, cit., 19. 
(88) E. BASILE, Verso la riforma della disciplina italiana del market abuse: la legge-delega per 
il recepimento della Dir. 57/2014/UE, cit., 21-22.
CONTENZIOSO NAZIONALE 61 
Tale memoria illustrativa costituisce integrazione dell'atto di intervento del Presidente del 
Consiglio dei Ministri dell'11 aprile 2015, depositato nei termini di legge. Per semplificazione 
e chiarezza espositiva si rende doveroso, e comunque si suggerisce, il richiamo testuale ad 
alcuni dei motivi gi� formulati in tale sede, risultando, per il resto, integralmente richiamate 
le censure gi� avanzate. 
****** 
Con ordinanza del 15 gennaio 2015 la Suprema Corte di Cassazione, sez. V Penale, ha sollevato 
in via incidentale questione di legittimit� costituzionale in relazione all�art. 187-bis, 
comma 1, del D.Lgs 24 febbraio 1998 n. 58 (Testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione 
finanziaria) nella parte in cui prevede "Salve le sanzioni penali quando il fatto 
costituisce reato" anzich� "Salvo che il fatto costituisca reato", e in via subordinata dell�art. 
649 c.p.p. nella parte in cui non prevede l'applicabilit� della disciplina del divieto di un secondo 
giudizio al caso in cui l'imputato sia stato giudicato, con provvedimento irrevocabile, 
per il medesimo fatto nell'ambito di un procedimento amministrativo per l'applicazione di una 
sanzione alla quale debba riconoscersi natura penale ai sensi della Convenzione per la salvaguardia 
dei Diritti dell�Uomo e delle Libert� fondamentali e dei relativi Protocolli. Entrambe 
le questioni sono state sollevate per violazione dell�art. 117, primo comma, della Costituzione, 
in relazione all�art. 4 del Protocollo n. 7 della Convenzione Europea per la salvaguardia dei 
Diritti dell�Uomo e delle Libert� fondamentali. 
Le questioni sollevate d�ufficio dal Giudice a quo concernono il rispetto del principio del ne 
bis in idem, cos� come stabilito dalla Convenzione, da parte della normativa nazionale in materia 
di illeciti finanziari in riferimento alla condotta di abuso di informazioni privilegiate da 
parte degli operatori dei mercati finanziari, a fronte della quale il Testo Unico della Finanza 
configura un �duplice binario� sanzionatorio penale (art. 184) e amministrativo (art. 187-bis) 
che, sotto il profilo procedimentale, si svolge, rispettivamente, davanti all�Autorit� Giudiziaria 
penale e davanti alla Commissione Nazionale per le Societ� e la Borsa, quale Autorit� di vigilanza 
del settore dell�ordinamento in questione, restando peraltro distinti e autonomi gli effetti 
discendenti dai due procedimenti, cos� come stabilito espressamente dall�art. 
187-duodecies. 
Le questioni sono state sollevate ex officio nell�ambito del giudizio penale a carico di R.C.C. 
per il reato di cui all�art. 184, comma 1, lett b), T.U.F., a seguito del passaggio in giudicato 
della sentenza della Corte di Appello di Roma, deliberata il 7 novembre 2011, di rigetto dell�opposizione 
avverso la delibera della Consob che aveva applicato la sanzione pecuniaria 
per la violazione dell�art. 187-bis T.U.F. 
Il Giudice, ritiene rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimit� costituzionale 
di cui all�art. 187-bis, comma 1, T.U.F., ricollegandosi alla pronuncia della Corte 
EDU, sez. II, 4 marzo 2014, Grande Stevens il cui �contenuto rilevante� sarebbe individuabile 
nel riconoscimento della natura sostanzialmente penale delle sanzioni amministrative applicate 
dalla Consob in materia di abusi di mercato e nella conseguente incompatibilit� col principio 
convenzionale del ne bis in idem del regime del �doppio binario� sanzionatorio previsto dalla 
legislazione italiana per detti illeciti. La pronuncia manipolativa invocata - con la sostituzione 
dell�inciso "Salve le sanzioni penali quando il fatto costituisce reato" con "Salvo che il fatto 
costituisca reato" - permetterebbe nel caso in esame di escludere l�applicabilit� cumulativa in 
relazione al medesimo fatto delle sanzioni previste dalle due norme (art. 184 e art. 187-bis 
TUF), escludendo tale risultato, che determinando la lesione del parametro interposto, e, 
quindi, della norma costituzionale, dovrebbe essere normativamente escluso.
62 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2016 
In via subordinata, il Giudice ritiene non manifestamente infondata la questione di costituzionalit� 
dell�art. 649 c.p.p. nella parte in cui non prevede l'applicabilit� della disciplina del 
divieto di un secondo giudizio al caso in cui l'imputato sia stato giudicato, con provvedimento 
irrevocabile, per il medesimo fatto nell'ambito di un procedimento amministrativo per l'applicazione 
di una sanzione alla quale debba riconoscersi natura penale ai sensi della Convenzione 
per la salvaguardia dei Diritti dell�Uomo e delle Libert� fondamentali e dei relativi 
Protocolli. La pronuncia additiva invocata rappresenterebbe la soluzione necessaria ad apprestare 
lo strumento per rimuovere nei singoli casi concreti (e non in via generale, come nella 
prospettiva tracciata dalla questione principale), l�incompatibilit� con il divieto convenzionale 
di bis in idem del regime del �doppio binario� sanzionatorio previsto dalla legislazione italiana 
per gli abusi di mercato e, segnatamente, per la fattispecie di abuso di informazioni privilegiate. 
****** 
Esaminate le questioni sollevate dalla Suprema Corte di Cassazione suindicata, ad integrazione 
di quanto gi� dedotto nell'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri, si osserva 
quanto segue. 
A) LA QUESTIONE SOLLEVATA IN VIA PRINCIPALE 
1. Inammissiblit� della questione. 
La questione sollevata in via principale � inammissibile per il seguente ordine di ragioni. 
1.1 Implausibilit� della motivazione e irrilevanza della questione sollevata nel giudizio 
a quo; inammisibilit� di una pronuncia che produca effetti in malam partem. 
1.1.1 Come ben noto, tra il quesito di costituzionalit� e la definizione del giudizio a quo deve 
sussistere un rapporto di pregiudizialit�, sicch� soltanto una questione rilevante nel processo 
principale pu� costituire oggetto del giudizio incidentale (art. 23, L. n. 87 del 1953). 
Nel caso in questione, il giudizio di rilevanza effettuato dalla Corte di Cassazione rimettente 
non appare plausibile, dal momento che l'eventuale accoglimento della questione sollevata 
dal rimettente, non troverebbe, all'evidenza, alcun rilievo pratico nel giudizio a quo. 
Ed invero, occorre ribadire come il giudizio a quo abbia ad oggetto un fatto di insider trading 
gi� sanzionato in sede amministrativa in via definitiva - non essendo stato proposto ricorso 
per cassazione contro la sentenza della Corte di Appello di Roma, deliberata il 7 novembre 
2011, di rigetto dell'opposizione avverso la delibera della Consob - rispetto al quale � ancora 
pendente il processo per l'accertamento della responsabilit� penale ai sensi dell'art. 184 t.u.f.; 
sicch� non si comprende come possa incidere su tale giudizio penale l'eventuale rimodulazione 
della norma - l'art. 187-bis t.u.f. - che configura l'illecito amministrativo, gi� applicato una 
volta per tutte nel procedimento amministrativo, che resta estraneo al giudizio penale, nel 
quale invece l'imputato pu� rispondere soltanto ai sensi dell'art. 184 t.u.f., quest'ultimo rimanendo 
per� immodificato dall'intervento manipolativo sollecitato. 
La pronuncia manipolativa richiesta, per contro, andrebbe a incidere su una situazione giuridica 
avente non solo la stabilit� del giudicato, ma altres� i cui effetti sono da tempo esauriti, 
avendo peraltro il ricorrente effettuato il pagamento della sanzione amministrativa in data 11 
settembre 2009. 
Sul punto, l'assunto da cui muove la Corte remittente � incentrato sul disposto dell'art. 30, 
comma 4, L. n. 87/1953 secondo cui "Quando, in applicazione della norma dichiarata incostituzionale, 
� stata pronunciata sentenza irrevocabile di condanna, ne cessano l'esecuzione 
e tutti gli effetti penali".
CONTENZIOSO NAZIONALE 63 
L'invocata pronuncia manipolativa, provocando l'eliminazione della base legale della sanzione 
amministrativa irrogata all'imputato ex art. 187 bis TUF, determinerebbe, tramite l'applicazione 
dell'art. 30, quarto comma, L. n. 87/1953 - estensibile secondo una lettura "convenzionalmente 
orientata", anche al caso della condanna ad una sanzione "formalmente" 
amministrativa ma sostanzialmente penale - la possibile esazione in toto della multa, e ci� in 
forza del "collegamento" tra gli esiti dei due procedimenti stabilito dall'art. 187-terdecies TUF, 
il quale stabilisce che "Quando per lo stesso fatto � stata applicata a carico del reo o dell'ente 
una sanzione amministrativa pecuniaria ai sensi dell'art. 187-septies, la esazione della pena 
pecuniaria e della sanzione pecuniaria dipendente da reato � limitata alla parte eccedente 
quella riscossa dall'Autorit� amministrativa" (pp. 6-7 dell'ordinanza). 
In definitiva, l'ordinanza della Corte rimettente, invoca una decisione di codesta Ecc.ma Corte 
Costituzionale tale da porre nel nulla il giudicato amministrativo per far restituire all'autore 
dell'illecito la sanzione amministrativa gi� eseguita dal ricorrente con pagamento - peraltro 
senza specificare quali siano le necessarie determinazioni che la Consob (recte il Ministero 
dell'Economia, posto che l'importo � versato all'Erario dello Stato ) dovrebbe adottare - in 
modo da potergli far corrispondere la multa per intero, anzich� per la sola parte eccedente 
quella riscossa dall'Autorit� amministrativa. 
Tale ordine di argomentazioni non pu� trovare accoglimento, ed in ogni caso � irrilevante ai 
fini della decisione del giudizio a quo. 
Al di l� della possibilit� di un estensione dell'ambito applicativo dell'art. 30, comma 4, L. 
87/1953, il cui dato letterale fa esclusivamente richiamo ai procedimenti di natura penale, risulta 
del tutto inconferente il richiamo all'art. 187 terdecies del TUF. Come gi� osservato 
in sede di intervento, il giudice a quo trascura che tale disposizione pu� trovare applicazione 
esclusivamente nel procedimento di esecuzione della pena pecuniaria, e non certo nell�ambito 
del giudizio di cognizione nel corso del quale � stata sollevata la questione, nel quale 
la misura della pena pecuniaria deve essere determinata dal giudice penale senza tener conto 
dell�entit� della sanzione eventualmente comminata e riscossa dall�Autorit� amministrativa. 
In altre parole, la pronunciata manipolativa invocata non avrebbe alcun rilievo nel giudizio a 
quo poich� l�imputato resterebbe, come � adesso, giudicabile per il reato di abuso di informazioni 
privilegiate a lui contestato, operando il meccanismo di detrazione pena pecuniariasanzione 
amministrativa esclusivamente nella fase esecutiva. 
La Corte rimettente ha ampiamente e persuasivamente argomentato come sia preferibile incidere 
sulla disciplina sostanziale degli abusi di mercato, anzich� (come si dir�) su quella processuale 
del divieto di un secondo giudizio, dato che in questo modo il sistema diviene assai 
pi� armonico, adeguandosi alle nuove indicazioni del diritto dell�Unione europea in tema di 
market abuse. La circostanza non sembra tuttavia sufficiente ad escludere l�esigenza che la 
questione di costituzionalit� di cui si discute sia sollevata in una sede processuale consentanea, 
dal punto di vista delle dinamiche del giudizio incidentale. 
Tale sede non pu� che essere quella del giudizio di opposizione avverso il provvedimento di 
irrogazione delle sanzioni amministrative da parte della Consob. Il che presuppone che la duplicit� 
di procedimenti si presenti nella seconda e speculare forma: la sentenza irrevocabile � 
intervenuta nel procedimento penale, mentre quello relativo all�applicazione delle sanzioni 
amministrative � pendente. 
Si tratta della situazione che ha dato luogo alla questione di costituzionalit� sollevata dalla 
Sezione tributaria civile della stessa Corte di cassazione (Cass., sez. trib., ord. 21 gennaio 
2015, n. 950). Nella specie, infatti, il processo penale per il medesimo fatto di manipolazione
64 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2016 
del mercato, oggetto del procedimento sanzionatorio amministrativo (artt. 185 e 187 ter 
T.U.F.), era stato preventivamente definito con sentenza irrevocabile di patteggiamento. 
1.1.2. Anche a voler seguire la non condivisibile impostazione proposta dal giudice remittente, 
giova sottolineare che l'eventuale declaratoria di illegittimit� costituzionale dell'art. 187 bis 
TUF, nei termini prospettati dal remittente, inciderebbe negativamente sulla situazione giuridica 
dell'imputato quanto ai profili inerenti all'entit� della pena pecuniaria applicabile al Sig. 
C.C. all'esito del giudizio penale in corso di svolgimento atteso che, nel caso ipotizzato dalla 
Cassazione, l'intervento manipolativo invocato renderebbe inoperante il meccanismo compensativo 
ex art. 187 terdecies TUF, comportando, in sede penale, la possibilit� di esigere in 
toto il pagamento della multa irrogata con la sentenza di condanna (previa restituzione di 
quanto versato all'Erario in adempimento all'ingiunzione della Consob). Al contrario, allo 
stato attuale, in forza del criterio dello scomputo pi� volte richiamato, il pagamento avverrebbe 
in parte a titolo di sanzione amministrativa (gi� versata) e, per la differenza, a titolo di multa. 
Tale risultato urta frontalmente con quanto costantemente rilevato da codesta Ecc.ma Corte 
costituzionale secondo cui "non sono ammissibili pronunce con effetti in malam partem che 
derivino dall'introduzione di nuove norme penali o dalla manipolazione di quelle esistenti 
(sentenza n. 394 del 2006), perch� il principio sancito dall'art. 25, secondo comma, Cost. demanda 
in via esclusiva al legislatore la scelta dei fatti da sottoporre a pena e delle sanzioni 
loro applicabili, impedendo alla Corte di creare nuove fattispecie criminose o estendere quelle 
esistenti a casi non previsti, ovvero anche di incidere in peius sulla riposta punitiva o su 
aspetti comunque inerenti alla punibilit� (ex plurimis, sentenza n. 394 del 2006; ordinanze 
n. 204, n. 66, n. 5 del 2009)". 
1.2. Richiesta di un intervento additivo a contenuto non costituzionalmente obbligato in 
materia riservata alla discrezionalit� del legislatore. 
La soluzione postulata dal rimettente, volta a costruire in termini di sussidiariet� i rapporti tra 
fattispecie penale ed amministrativa di abuso di informazioni privilegiate non rappresenta soluzione 
in alcun modo vincolata. 
Ad avviso del rimettente, "sostituendo la clausola che prevede il cumulo sanzionatorio con 
quella che attribuirebbe carattere sussidiario alla fattispecie amministrativa, la pronuncia 
manipolativa invocata assicurerebbe (con riguardo all'abuso di informazioni privilegiate, oggetto 
dell'esame) l'immediato adeguamento della disciplina interna alla direttiva 
2014/57/UE", la quale, nell'ottica di "privilegiare la riposta sanzionatoria penale", nella repressione 
degli abusi di mercato, ha previsto che "le principali fattispecie di abuso di mercato, 
almeno nei casi gravi e qualore siano commesse con dolo, devono essere sanzionate a titolo 
di reato (artt. 3 ss.)" (p. 14 dell'ordinanza). 
Tale modo di argomentare � errato sotto un duplice ordine di ragioni. 
1.2.1. In primo luogo, occorre ribadire che l'intervento manipolativo richiesto ha un carattere 
apertamente creativo che non spetta alla Corte di Cassazione decidere. A tal riguardo non si 
disconosce il recente mutamento del quadro normativo europeo intervenuto in materia. Tuttavia 
non � condivisibile la lettura fornita dal Giudice rimettente alla nuova Direttiva 
2014/57/UE (c.d. MAD-2) - da recepire in Italia entro il 3 luglio 2016 - che appare poco condivisibile, 
dal momento che la soluzione proposta toglierebbe, di fatto, ogni spazio applicativo 
alle sanzioni amministrative in presenza di fatti illeciti compiuti dai c.d. insiders primari. 
Si rammenta che il Reg. UE n. 596/2014 del 16 aprile 2014 - che ha abrogato la direttiva 
2003/6/CE con effetto dal 3 luglio 2016 - ha previsto la comminatoria di sanzioni amministrative 
per una serie di fattispecie di abusi di mercato, con facolt� di prevedere o mantenere
CONTENZIOSO NAZIONALE 65 
in funzione aggiuntiva, per le medesime condotte, anche sanzioni di natura penale, ammettendo 
solo eccezionalmente che "gli Stati membri possono decidere di non stabilire norme 
relative a sanzioni amministrative di cui al primo comma se tali violazioni siano gi� soggette 
a sanzioni penali, nel rispettivo diritto entro il 3 luglio 2016" (art. 30, Par. 1, co. 1). Inoltre il 
successivo Par. 2, co. 1, impone espressamente agli Stati Membri di provvedere affinch�, per 
alcuni illeciti di mercato tra cui l'abuso di informazioni privilegiate, le autorit� competenti 
abbiano il potere di imporre "almeno" una serie di sanzioni amministrative tassativamente indicate 
dalla disposizione, anche pecuniarie, a carico di persone fisiche (lett. h, i) e giuridiche. 
Ne deriva che, a ben vedere, la posizione della Suprema Corte circa le modalit� di attuazione 
della Direttiva 2014/57/UE appare fondarsi pi� che su considerazioni strettamente giuridiche 
su valutazioni di politica del diritto non spettanti n� alla Corte di cassazione n� alla Corte costituzionale 
ma riservate esclusivamente al legislatore. 
In sostanza, la questione � inammissibile perch� non sussistono comunque i presupposti per 
una pronuncia manipolativa. Questi, come � noto, si compendiano nell�esservi una sola soluzione 
normativa costituzionalmente compatibile rispetto a quella costituzionalmente illegittima. 
Ora, nella fattispecie, considerati gli ambiti di discrezionalit� di cui, come appena visto, 
dispone il legislatore, non potrebbe escludersi che, in ipotesi di ritenuta illegittimit� costituzionale 
delle disposizioni denunciate, il legislatore decida di optare per una soluzione �unitaria�; 
cio� incentrata esclusivamente su sanzioni amministrative, o esclusivamente (nei limiti 
compatibili con la Direttiva sopra citata) su sanzioni penali. Non spetta quindi a codesta Corte 
statuire che la sola soluzione costituzionalmente ipotizzabile sia quella dell�alternativit� tra 
sanzione amministrativa, quando il fatto non costituisca reato, e sanzione penale quando il 
fatto sia invece qualificabile in questo modo. 
1.2.2. In secondo luogo, occorre sottolinare, peraltro, che sia il menzionato Regolamento UE 
n. 596/2014 che la citata Direttiva n. 2014/57/UE troveranno applicazione negli Stati membri 
soltanto a decorrere dal 3 luglio 2016, data di abrogazione della Direttiva 2003/6/CE, attualmente 
vigente (1). 
Appare incontestabile, pertanto, che sino al 3 luglio 2016, continua ad esplicare piena efficacia, 
in ambito eurounitario, la Direttiva 2003/6/CE, la quale, lungi dal vincolare i legislatori dei 
singoli Stati membri a provvedere alla repressione degli abusi di mercato mediante la comminazione 
di sanzioni penali, impone espressamente, all'art. 14, par. 1, l'obbligo degli ordinamenti 
nazionali di sanzionare in via amministrativa le fattispecie di market abuse, con 
facolt� di prevedere, in via cumulativa, anhe sanzioni di natura penale, secondo il meccanismo 
del c.d. "doppio binario". 
Al riguardo, giova richiamare la pronuncia della Corte di Giustizia dell'Unione Europea del 
23 dicembre 2009, causa C-45/08 Spector Photo Group e Van Raemdonck, relativa alla 
disciplina dell'insider trading contenuta nella menzionata Direttiva 2003/6/CE. Orbene, in 
(1) Ed invero l'art. 39, comma 2, del citato Regolamento UE n. 596/2014 stabilisce che il Regolamento 
in questione "si applica dal 3 luglio 2016"; l'art. 37 del medesimo Regolamento dispone che "la direttiva 
2003/6/CE e le direttive 2004/72/CE, 2003/125/CE e 2003/124/CE della Commissione e il regolamento 
(CE) n. 227/2003 della Commissione sono abrogati con effetto dal 3 luglio 2016". Infine l'art. 13 della 
richiamata Direttiva n. 2014/57/UE prevede che "Gli Stati membri adottano e pubblicano le diposizioni 
legislative, regolamentari e amministrative necessarie per conformarsi alla presente direttiva entro il 3 
luglio 2016" ed "applicano tali disposizioni a decorrere dal 3 luglio 2016 con riserva dell'entrata in vigore 
del regolamento (UE) n. 596/2014". 
66 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2016 
tale sede si � riconosciuto che "l'art. 14, n. 1, della direttiva 2003/6 deve essere interpretato 
nel senso che, se uno Stato membro, salvo le sanzioni amministrative previste da tale disposizione, 
ha previsto la possibilit� d'infliggere una sanzione finanziaria penale, nella valutazione 
del carattere efficace, proporizionato e dissuasivo della sanzione amministrativa non 
occorre tener conto della possibilit� e/o del livello di un'eventuale sanzione penale ulteriore". 
La circostanza che il menzionato art. 14 dell Direttiva 2003/6/CE contempli la mera facolt� 
discrezionale e non certo l'obbligo degli Stati membri di assoggettare a sanzione penale le 
fattispecie di market abuse � stata, altres�, confermata dalla Corte di Cassazione, nella sua pi� 
autorevole composizione, affermandosi pi� volte che "alla stregua del tenore letterale della 
norma ex art. 187 e delle origini storiche dell'intero corpus legislativo di cui al c.d. TUF, attuativo, 
come noto, della direttiva 2003/6/CE la quale, nel prevedere l'obbligo di sanzionare 
in via amministrativa gli abusi de quibus, lascier� poi libero il legislatore nazionale di prevedere, 
in via cumulativa e non alternativa/sostitutiva, l'irrogazione (anche) di sanzioni penali, 
scelta, quest'ultima, concretamente attuata dal legislatore italiano, onde rafforzare la tutela 
del bene protetto attraverso il sistema del doppio binario, con conseguente legittima cumulabilit� 
di fattispecie ex art. 185 e 187 ter" (Cass. SS.UU. civili, nn. 20935, 20936, 20937, 
20938, 20939, tutte depositate il 30 settembre 2009). 
Anche per tali motivi si ritiene che la questione di costituzionalit� sollevata in riferimento all'art. 
187 bis TUF debba respingersi in rito e, per l'effetto, debba essere dichiarata inammissibile. 
2. Infondatezza della questione. 
La questione sollevata in via principale in riferimento all'art. 187-bis, risulta viziata nel merito 
e, per l'effetto infondata. 
2.1. Come gi� rilevato in sede di intervento con riferimento al merito della questione sollevata 
occorre ribadire come l�intervento manipolativo sull�art. 187-bis, sollecitato dalla Corte rimettente 
allo scopo di adeguare il principio del ne bis in idem nazionale alle statuizioni della 
pronuncia Grande Stevens della Corte EDU, renderebbe la menzionata previsione normativa 
manifestamente contrastante con il nostro ordinamento penale basato su un principio di stretta 
legalit� formale (art. 25 Cost.) e sui suoi corollari (riserva di legge, tassativit� e irretroattivit�). 
Al riguardo come pi� volte affermato da codesta Ecc.ma Corte costituzionale "il giudice delle 
leggi non pu� sostituire la propria interpretazione di una disposizione della Cedu a quella 
data in occasione della sua applicazione al caso di specie dalla corte di Strasburgo, [...], 
esso per� � tenuto a valutare come ed in quale misura l�applicazione della convenzione da 
parte della Corte europea si inserisca nell�ordinamento costituzionale italiano. La norma 
Cedu, nel momento in cui va ad integrare il 1� comma dell�art. 117 Cost., come norma interposta, 
diviene oggetto di bilanciamento, secondo le ordinarie operazioni cui questa corte � 
chiamata in tutti i giudizi di sua competenza (sent. n. 317 del 2009, id., 2010, I, 359). Operazioni 
volte non gi� all�affermazione della primazia dell�ordinamento nazionale, ma alla integrazione 
delle tutele� (Corte Cost n. 264/2012, cfr. sentenze n. 236, n. 113 e n. 1 del 2011, 
cit.; n. 93 del 2010, cit.; n. 311 del 2009, cit., e n. 239 del 2009, ibid., 345; n. 39 del 2008, id., 
2008, I, 1037; n. 349 e n. 348 del 2007, cit.). 
Si � altres� gi� evidenziato che, con la sentenza n. 49 del 26 marzo 2015 (Varvara), codesta 
Ecc.ma Corte � recentemente intervenuta su un caso affine a quello in questione, con riferimento 
alla portata degli effetti di una pronuncia della Corte EDU che, muovendo dalla configurazione 
della confisca c.d. urbanistica (art. 44, co. 2, Testo Unico dell�Edilizia) quale 
sanzione penale anzich� amministrativa, aveva concluso per la non applicabilit� della con-
CONTENZIOSO NAZIONALE 67 
fisca in esame in caso di dichiarazione di estinzione del reato. Muovendo dai dubbi esposti 
dal rimettente sulla compatibilit� di una simile prospettiva - volta ad assicurare una tutela 
assoluta al diritto di propriet� - con la protezione che altri principi costituzionali nazionali 
(patrimonio storico e artistico, ambiente salubre, ecosistema) assicurano ad altri diritti fondamentali 
italiani codesto Ecc.mo Collegio ha osservato: �Il rimettente � convinto che, a seguito 
della sentenza Varvara contro Italia, l�art. 44, comma 2, del d.P.R. n. 380 del 2001, 
debba assumere, in via ermeneutica, il significato che la Corte di Strasburgo gli avrebbe attribuito, 
e che, proprio per effetto di un simile processo adattativo, tale significato si presti a 
rilievi di costituzionalit�. 
Questo modo di argomentare � errato sotto un duplice aspetto. 
In primo luogo, esso presuppone che competa alla Corte di Strasburgo determinare il significato 
della legge nazionale, quando, al contrario, il giudice europeo si trova a valutare se 
essa, come definita e applicata dalle autorit� nazionali, abbia, nel caso sottoposto a giudizio, 
generato violazioni delle superiori previsioni della CEDU. � pertanto quest�ultima, e non la 
legge della Repubblica, a vivere nella dimensione ermeneutica che la Corte EDU adotta in 
modo costante e consolidato. 
Naturalmente, non � in discussione che, acquisita una simile dimensione, competa al giudice 
di assegnare alla disposizione interna un significato quanto pi� aderente ad essa (sentenza 
n. 239 del 2009), a condizione che non si riveli del tutto eccentrico rispetto alla lettera della 
legge (sentenze n. 1 del 2013 e n. 219 del 2008). 
Tuttavia, e in secondo luogo, sfugge al rimettente che il dovere del giudice comune di interpretare 
il diritto interno in senso conforme alla CEDU, appena ribadito, �, ovviamente, subordinato 
al prioritario compito di adottare una lettura costituzionalmente conforme, poich� 
tale modo di procedere riflette il predominio assiologico della Costituzione sulla CEDU (sentenze 
n. 349 e n. 348 del 2007). 
Il pi� delle volte, l�auspicabile convergenza degli operatori giuridici e delle Corti costituzionali 
e internazionali verso approcci condivisi, quanto alla tutela dei diritti inviolabili dell�uomo, 
offrir� una soluzione del caso concreto capace di conciliare i principi desumibili da 
entrambe queste fonti. Ma, nelle ipotesi estreme in cui tale via appaia sbarrata, � fuor di dubbio 
che il giudice debba obbedienza anzitutto alla Carta repubblicana�. 
2.2. Con l'atto di intervento, questa difesa ha gi� evidenziato che affidare la tutela a sanzioni 
solo penali indebolirebbe gravemente l�effettivit� della disciplina amministrativa dei mercati 
finanziari. Le sanzioni penali si possono infatti applicare, di regola, solo sulla base dell�accertamento 
dei fatti oltre ogni ragionevole dubbio, e sulla base dell�accertamento del dolo 
dell�agente, da intendere come piena consapevolezza dei fatti e come volont� di porli in essere 
o di avvalersene. 
Al di fuori di queste condotte si apre tutta una �zona grigia� tra i comportamenti fraudolenti 
e per questo penalmente rilevanti, e i comportamenti leciti. In altri termini, vi � un amplissimo 
campo in cui si manifestano comportamenti certamente pregiudizievoli (a volte molto pregiudizievoli) 
per la trasparenza e il buon funzionamento dei mercati finanziari, che tuttavia 
non sono comportamenti oggettivamente fraudolenti, n� soggettivamente diretti allo scopo 
deliberato di turbare i mercati. 
La natura necessariamente amministrativa di queste sanzioni, e segnatamente della sanzione 
pecuniaria prevista all'art. 187-bis, discende, oltre che dalla loro qualificazione 
formale, dalla necessit� di applicarle a prescindere da comportamenti addirittura artificiosi 
o fraudolenti e sorretti da dolo specifico (come confermato in termini generali per
68 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2016 
le sanzioni amministrative dall�art. 3 della l. n. 689/1981) e di consentire, invece, di applicarle 
a tutti i comportamenti anche non fraudolenti e non dolosi, che per� siano oggettivamente 
contrari alle regole amministrative stabilite per assicurare la trasparenza 
dei mercati. Queste sanzioni, in ragione del loro carattere di immediatezza e di effettivit�, 
vogliono rafforzare negli operatori professionali dei mercati finanziari l�efficacia vincolante 
delle regole amministrative di trasparenza, attraverso un�azione deterrente pi� celere e mirata, 
svincolata dalle lungaggini del processo penale, discendendone una maggiore incisivit� 
nella tutela del bene costituzionalmente rilevante del "risparmio" (art. 47 Cost.) 
La natura amministrativa delle infrazioni e delle sanzioni previste dal TUF, e segnatamente 
dell'art. 187-bis, esclude che esse possano rilevare al fine di accertare una violazione dell�art. 
4 del Protocollo 7 e, per il suo tramite, dell�art. 117, comma 1, della Costituzione. 
Come gi� evidenziato in punto di eccezione di irrilevanza, il punto di vista della Corte remittente 
appare poi errato nella misura in cui interpreta la sentenza Grande Stevens come se questa 
vietasse in assoluto la previsione di un determinato fatto (qui, l�abuso di informazioni 
riservate) sia come illecito penale che come illecito amministrativo. 
In realt�, la sentenza, conformemente alla portata precettiva dell�art. 4 Protocollo 7, intende soltanto 
vietare che per il medesimo fatto materiale siano applicate due volte sanzioni che, pur se di 
natura diversa, per la loro rilevante afflittivit� in concreto si connotino come entrambe �penali�. 
La sentenza Grande Stevens, quindi, non pone in discussione la possibilit� generale di prevedere 
che un medesimo fatto incorra contemporaneamente sotto due previsioni sanzionatorie, 
entrambe penali, come nel caso del concorso formale, o l�una penale e l�altra amministrativa. 
Quante volte questa scelta normativa appaia ragionevolmente funzionale ad esaurire completamente 
il disvalore del fatto, che dal punto di vista degli interessi protetti da esso lesi pu� 
ben essere plurioffensivo, la scelta stessa non pu� essere censurata, e comunque non � vietata 
dal citato Protocollo. Questo, come si ripete, si colloca soltanto al livello applicativo della risposta 
sanzionatoria, che non pu� apparire in concreto cos� gravosa da rappresentare, in sostanza, 
vista nella sua totalit� una duplicazione di sanzione. 
Nella specie, la condotta consistente nell�abuso di informazioni riservate � indubbiamente 
plurioffensiva, al pari delle altre tipizzate nelle disposizioni sanzionatorie del TUF. Si deve 
infatti considerare che si tratta di illecito proprio, commissibile in linea di principio soltanto 
da soggetti specificamente qualificati dalla loro carica di esponenti aziendali delle imprese di 
investimento, o delle imprese emittenti; cio� da soggetti che l�ordinamento settoriale del mercato 
finanziario grava di speciali obblighi di comportamento. Tali obblighi, e le conseguenti 
responsabilit�, si rivolgono, essenzialmente, in due direzioni: il pubblico degli investitori, da 
un lato; e l�autorit� di vigilanza posta al vertice dell�ordinamento settoriale, dall�altro. 
Il primo ordine di interessi tutelati o beni protetti (la fiducia degli investitori) si ricollega ai 
diritti fondamentali degli investitori nei mercati finanziari (riconosciuti anche a livello CEDU, 
ove sono tutelati la propriet� e la libert� negoziale) la cui importanza economica globale costituisce 
ormai un fatto acquisito. Come � acquisito che nei mercati finanziari sussiste strutturalmente 
una incolmabile disparit� di competenze e di informazioni tra gli operatori da un 
lato (intermediari, emittenti, e persone fisiche dei loro dirigenti), e la massa degli investitori 
dall�altro. Questi ultimi, non potendo disporre di un livello di competenze e di informazioni 
paragonabile a quello degli operatori, debbono necessariamente fare affidamento sulla correttezza 
di comportamento degli operatori, e questo affidamento � sensato solo se le norme 
che disciplinano il comportamento degli operatori sono presidiate da un sistema di controlli 
e di sanzioni particolarmente stringente ed efficace.
CONTENZIOSO NAZIONALE 69 
Quando sono in gioco interessi di questa portata, il rispetto degli obblighi amministrativi degli 
operatori del mercato di fornire al pubblico informazioni complete e veritiere e di non abusare 
delle informazioni riservate manipolando il mercato (la trasparenza informativa e comportamentale), 
pu� essere assicurato soltanto da sanzioni pecuniarie di entit� elevata. Pertanto, 
quando la severit� di una sanzione sia il riflesso necessario della rilevanza degli interessi tutelati, 
cio� si dia un contesto in cui se la sanzione non fosse severa quegli interessi non sarebbero, 
di fatto, tutelati, la severit� non pu� essere da sola indice del carattere �penale� della 
sanzione. Diversamente, tutte le sanzioni previste per le violazioni amministrative nel campo 
dei mercati finanziari regolamentati sarebbero sempre di natura penale: si � visto infatti che 
l�entit� degli interessi coinvolti dalle attivit� che si svolgono in tali mercati esige indefettibilmente 
sanzioni di entit� elevata. 
Le sanzioni penali sono tese, invece, a colpire pi� che il patrimonio dell�operatore infedele 
nei confronti del pubblico, la figura professionale dell�operatore stesso, che ha violato gli obblighi 
di correttezza comportamentale nei confronti dell�autorit�, rendendone pi� difficile la 
vigilanza sul mercato nella misura in cui con la propria scorrettezza ha alterato il normale 
corso delle negoziazioni e della formazione dei prezzi all�interno di questo. Le sanzioni penali 
tendono quindi, essenzialmente, ad espellere l�operatore dal mercato in relazione alla pericolosit� 
da questi manifestata per la vigilanza, ed hanno quindi una spiccata attitudine repressiva; 
laddove le sanzioni amministrative, indirizzate a proteggere l�affidamento degli investitori, 
tendono prevalentemente a svolgere una funzione generalpreventiva, merc� la loro afflittivit� 
patrimoniale, intesa a rendere �economicamente non conveniente� la commissione di determinate 
forme di approfittamento di posizioni privilegiate a danno del pubblico. 
In linea di principio, non pu� quindi dubitarsi della legittimit�, se non della necessit�, della 
coesistenza e dell�integrazione dei due sistemi sanzionatori. 
Del resto, nella gi� richiamata pronuncia n. 49 del 2015, codesta Ecc.ma Corte costituzionale, 
nel dichiarare inammissibile la questione di legittimit� sottoposta non ha escluso la validit� di 
un simile sistema sanzionatorio. Ed invero "non pu� sfuggire che l�autonomia dell�illecito amministrativo 
dal diritto penale, oltre che ad impingere nel pi� ampio grado di discrezionalit� 
del legislatore nel configurare gli strumenti pi� efficaci per perseguire la �effettivit� dell�imposizione 
di obblighi o di doveri� (sentenza n. 317 del 1996), corrisponde altres�, sul piano 
delle garanzie costituzionali, al �principio di sussidiariet�, per il quale la criminalizzazione, 
costituendo l�ultima ratio, deve intervenire soltanto allorch�, da parte degli altri rami dell�ordinamento, 
non venga offerta adeguata tutela ai beni da garantire� (sentenza n. 487 del 1989; 
in seguito, sentenze n. 447 del 1998 e n. 317 del 1996). Difatti, �Le esigenze costituzionali di 
tutela non si esauriscono [�] nella (eventuale) tutela penale, ben potendo invece essere 
soddisfatte con diverse forme di precetti e di sanzioni� (sentenza n. 447 del 1998)". 
Alla luce delle argomentazioni riportate e dei principi epressi dalla menzionata sentenza di 
codesta Ecc.ma Corte costituzionale si ritiene che la questione di costituzionalit� sollevata in 
riferimento all'art. 187 bis TUF debba essere respinta nel merito, e, per l'effetto, dichiarata 
infondata. 
B) LA QUESTIONE SOLLEVATA IN VIA SUBORDINATA 
L'ordinanza di rimessione ha escluso che la disposizione dell'art. 649 c.p.p., bench� recante 
un principio di garanzia immanente nell'ordinamento (SS.UU., n. 34655, depositata il 28 settembre 
2005, Donati ed altro), possa essere interpretata estensivamente, nel senso di comprendere 
nel concetto di "sentenza o decreto penale divenuti irrevocabili" anche i
70 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2016 
provvedimenti di condanna definiti "penali" dalla Corte EDU. Secondo il giudice a quo tale 
interpretazione non risulta percorribile per un duplice ordine di ragioni: 
- Anzitutto, la soluzione interpretativa, appare incompatibile con il dato testuale dell'art. 649 
c.p.p. il quale inequivocabilmente circoscrive il divieto di un secondo giudizio alla materia 
"penale", prescrivendo che "L'imputato prosciolto o condannato con sentenza o decreto penale 
divenuti irrrevocabili non pu� essere di nuovo sottoposto a procedimento penale per il medesimo 
fatto, neppure se questo viene diversamente considerato per il titolo, per il grado o per 
le circostanze, salvo quanto diposto dagli artt. 69, comma 2, e 345". 
- Inoltre, ad una dilatazione "eccentrica" del dato letterale si oppongono ragioni di ordine sistematico, 
individuate dal rimettente (pp. 7-8 dell'ordinanza). 
Condividendo quanto evidenziato dalla Corte rimettente, il dato letterale, storico e sistematico 
rappresenta un ostacolo insormontabile all�ipotizzata operazione di adeguamento 
in via interpretativa della norma codicistica. 
1. Inammissibilit� della questione. 
1.1. Contradditoriet� della motivazione. 
Fermo quanto sopra, la questione sollevata di legittimit� costituzionale sollevata in via subordinata 
con riguardo all'art. 649 c.p.p. appare inammissibile, per contraddittoriet� della motivazione 
dell'ordinanza di rimessione in punto di non manifesta infondatezza. 
Ed invero, il giudice a quo, ha ritenuto non manifestamente infondata la questione sollevata 
dopo aver espressamente illustrato che l'art. 649 c.p.p., cos� come modificato a seguito dell'intervento 
additivo prospettato, rivelerebbe "un'incogruenza sistematica". � lo stesso giudice 
remittente a evidenziare, infatti che "al di l� di qualsiasi considerazione circa l'evidente irragionevolezza, 
sul piano della gestione delle risorse e su quello delle possibili disparit� di 
trattamento tra singoli destinatari delle sanzioni, di una duplicazione di procedimenti destinata 
ab initio a concludersi con l'accertamento di una violazione del divieto del ne bis in 
idem, deve rilevarsi che la stessa incertezza sulla sorte dei due procedimenti avviati (uno dei 
quali destinato, appunto, a generare la violazione del ne bis in idem) sarebbe inevitabilmente 
destinata a riflettersi sull'effettivit� della risposta sanzionatoria, compromessa - o comunque 
sensibilmente ridimensionata dalla prospettiva di "azzeramento" del procedimento (quello 
penale, nei casi che dovrebbero risultare statisticamente pi� frequenti) ancora in corso al 
momento dell'irrevocabilit� della sanzione irrogata all'esito del diverso procedimento" (pp. 
16-17 dell'ordinanza). 
In altre parole, lo stesso giudice a quo, appare ben consapevole degli effetti deflagranti che 
comporterebbe l'eventuale accoglimento dell'intervento manipolativo invocato, ponendosi 
quest'ultimo in contrasto con una pluralit� di interessi costituzionalmente protetti, e segnatamente 
col principio di uguaglianza (art. 3 Cost.), col principio del buon andamento dei pubblici 
uffici (art. 97 Cost.), e col principio di effettivit� della risposta sanzionatoria in materia di 
abusi di mercato, consacrato a livello eurounitario dalle Direttive 2003/6/CE e 2014/57/UE, 
rilevante ai sensi dell'art. 11 e dell'art. 117, primo comma, Cost. 
La pronuncia manipolativa dell'art. 649 c.p.p. rappresenta una soluzione della cui incostituzionalit� 
la Cassazione remittente � ben consapevole, e pertanto il percorso argomentativo 
del rimettente risulta viziato da una intrinseca e non sanabile contraddizione, da cui discende 
l'inammissibilit� della questione sollevata in via subordinata. 
2. Infondatezza della questione. 
La questione di costituzionalit� sollevata in via subordinata in riferimento all'art. 649 c.p.p., 
risulta inoltre viziata nel merito e, per l'effetto, infondata.
CONTENZIOSO NAZIONALE 71 
Le medesime ragioni prospettate dalla Corte di Cassazione, poc'anzi richiamate, evidenziano 
l'irrimediabile contrasto dell'intervento additivo sollecitato con numerosi precetti costituzionali 
interni che fissano principi generali di centrale rilevanza nell'assetto costituzionale italiano. 
Ci� sull'assunto, secondo il consolidato indirizzo inaugurato dalle c.d. "sentenze gemelle" nn. 
348 e 349 del 2007 di codesta Ecc.ma Corte, che le norme della Convenzione presentano un 
grado di penetrazione all'interno del nostro ordinamento significativamente inferiore rispetto 
a quello del diritto eurounitario, ponendosi, in virt� del richiamo operato dall'art. 117, co. 1, 
Cost., ad un livello "subcostituzionale" rispetto alle norme (a tutte le norme) di natura costituzionale, 
da cui scaturisce l'immediato corollario secondo cui deve essere esclusa l'idoneit� 
della norma convenzionale a integrare l'art. 117, co. 1, Cost. tutte le volte in cui la norma della 
Convenzione si ponga eventualmente in conflitto con altre norme della Costituzione (in questi 
termini, C. cost., n. 264/2012). 
2.1. Anzitutto, come gi� rilevato in sede di atto di intervento, la prospettata modifica del principio 
del ne bis in idem nazionale di cui all�art. 649 c.p.p., contrasterebbe, con l�art. 3 Cost., 
essendo irragionevole che soggetti autori del medesimo fatto siano sottoposti a sanzione di 
tipo diverso (penale o amministrativa) in conseguenza di un accadimento processuale del tutto 
casuale ed aleatorio quale il passaggio in giudicato della sentenza che definisce uno dei due 
procedimenti; tanto pi� quando tale passaggio in giudicato, come nella fattispecie, sia determinato 
dalla volontaria rinuncia dello stesso interessato ad impugnare la sentenza che ha confermato 
la sanzione amministrativa. 
A ci� aggiungasi il profilo dell'irragionevolezza di una scelta interpretativa dell'art. 649 c.p.p, 
la quale presuppone ab origine il rischio di rendere del tutto superfluo l'avvio e lo svoglimento 
di uno dei due procedimenti destinato ad "azzerarsi" (secondo le parole della Cassazione rimettente), 
per l'intervenuta definizione dell'altro. 
Il che, in primo luogo, avrebbe inevitabili riflessi sull'efficacia e l'efficienza dell'azione della 
Consob, determinando una ineludibile violazione del canone di buon andamento dei pubblici 
uffici di cui all'art. 97 Cost. 
In secondo luogo, e ancor pi� gravemente, � innegabile che gli esiti applicativi della 
norma cos� manipolata registrebbero un epiologo dei due procedimenti, penale ed amministrativo, 
sostanzialmente governato dall'autore della condotta in base a valutazioni 
di convenienza di tipo strettamente personale. 
Se � vero, infatti, che i casi "statisticamente pi� frequenti" di "azzeramento" del procedimento 
dovrebbero in teoria riguardare il giudizio penale, i cui tempi di celebrazioni sono usualmente 
pi� lunghi rispetto a quelli del procedimento amministrativo e dell'eventuale giudizio di opposizione 
davanti al giudice civile, l'esperienza concreta della Consob annovera anche casi 
di imputati che hanno preferito chiudere il procedimento penale tramite il ricorso all'istituto 
dell'applicazione della pena su richiesta (art. 444 c.p.p.), determinando cos� l'esaurimento 
della vicenda penale, mentre il giudizio civile sull'opposizione alla sanzione amministrativa 
era ancora pendente. In sede di opposizione, essi hanno poi invocato il divieto di bis in idem 
di cui all'art. 4, Prot. 7, CEDU, come interpretato dalla sentenza Grande Stevens. A riprova di 
ci�, la dinamica processuale appena descritta, � quella che ha dato luogo alla questione di costituzionalit� 
sollevata, quasi in contemporanea, dalla Sezione tributaria civile della stessa 
Corte di cassazione (Cass., sez. trib., ord. 21 gennaio 2015, n. 950). 
Come efficacemente sottolineato da autorevole dottrina "fin quando uno stesso illecito resti 
punibile tanto con sanzioni penali che con sanzioni amministrative, inflitte tramite percorsi 
procedurali distinti, il divieto �dilatato� del bis in idem equivale difatti, in pratica, alla co-
72 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2016 
dificazione della regola �vince chi arriva prima�. Col risultato che il trattamento sanzionatorio 
del medesimo illecito finisce per essere determinato da un fattore casuale (ma, in buona 
misura, anche �pilotabile� dall�interessato o dalla controparte pubblica tramite i meccanismi 
di impugnazione): sar� penale o amministrativo a seconda di quale, tra i due procedimenti 
sanzionatori, sia giunto per primo al traguardo della decisione definitiva. Tramite un simile 
congegno, d�altra parte, la previsione di sanzioni (formalmente) extrapenali in funzione �di 
rinforzo� rispetto a quelle di natura criminale rischia di trasformarsi, con eterogenesi dei 
fini, in un fattore di �esonero� da queste ultime" (cos� G.M. FLICK, V. NAPOLEONI, A un anno 
di distanza dall'affaire Grande Stevens: dal bis in idem al e pluribis unum?, in Rivista AIC, 
n. 3/2015, 10 luglio 2015, pp. 16-17). 
2.2. Inoltre, l�applicazione dell�art. 649 c.p.p. cos� come modificato a seguito della pronuncia 
manipolativa invocata dal giudice a quo, pregiudicando la certezza del tipo di risposta sanzionatoria 
comminata dall�ordinamento nazionale a fronte di fattispecie di insider trading, si 
porrebbe in contrasto con gli artt. 11 e 117 Cost., dal momento che lederebbe il canone di effettivit� 
delle sanzioni in materia di market abuse prescritto dal diritto dell'Unione europea (e 
segnatamente dalle Direttive 2003/6/CE e 2014/57/UE) in funzione della salvaguardia dell�integrit� 
dei mercati finanziari, e quindi, in ultima analisi, della tutela del risparmio, bene 
protetto anche in ambito nazionale dall�art. 47 Cost. 
In proposito, la giurisprudenza della Corte di Giustizia dell�Unione europea, pur riconoscendo, 
in determinati casi, la validit� dei criteri sostanzialistici individuati dalla Corte EDU (natura 
della violazione, natura e gravit� della sanzione), li considera prevalenti rispetto a criteri di 
legalit� formale (quali quello dettato dall�art. 25, comma 2, Cost.) soltanto se la loro applicazione 
non comprometta il primato e l�effettivit� del diritto dell�Unione, rimettendo la valutazione 
al giudice nazionale anche alla luce dei principi costituzionali e della tradizione giuridica 
dei paesi membri (sul punto, cfr., in particolare, Corte Giust., Grande Sezione, 26 febbraio 
2013, causa C-617/10, Aklagaren c. Hans Akerberg Fransson). 
2.3. Occorre perlatro dare conto del fatto che la questione di legittimit� costituzionale dell�art. 
649 c.p.p. per l�asserita impossibilit� di applicarlo al caso del concorso di sanzioni penali e 
sanzioni amministrative, dopo la sentenza Grande Stevens, � gi� stata ritenuta manifestamente 
infondata dalla stessa Corte di Cassazione, nella considerazione che �tale estensione della 
sfera applicativa del ne bis in idem non opera in via generale ma solo nelle ipotesi in cui la 
procedura amministrativa sfoci in un provvedimento particolarmente afflittivo e la decisione 
sia divenuta definitiva. Al proposito la corte di Strasburgo ha affermato di ritenere prevalente 
la sostanza delle sanzioni sulla loro forma: la reale natura delle misure sanzionatorie previste 
negli ordinamenti nazionali viene apprezzata alla luce delle loro concrete peculiarit� e conseguenze 
e non in forza della mera qualificazione giuridica ad esse riconosciuta; occorre 
analizzare, dunque, i parametri idonei a rivelare la sostanziale essenza penale di un determinato 
provvedimento secondo i criteri gi� espressi con la sentenza Engel c. Paese Bassi 
dell'8 giugno 1976, ovvero la qualificazione dell'infrazione, la natura dell'infrazione e l'intensit� 
della sanzione comminata [...]. Il problema interpretativo che si pone consiste, dunque, 
nel considerare se le due norme [...] configurino un concorso apparente di norme, che si verifica 
quando la medesima condotta criminosa risulta, solo in apparenza, riconducibile a pi� 
fattispecie di reato ma nella realt� ne integra una solo, o se, invece, esse sanzionino fatti diversi. 
Invero solo nel primo caso (concorso apparente di norme), si potrebbe ritenere che il 
principio espresso dalla corte di Strasburgo con la sentenza Grande Stevens abbia una ricaduta 
nel senso che, essendo gi� stata applicata la sanzione amministrativa, nell'irrogare la
CONTENZIOSO NAZIONALE 73 
sanzione penale si incorrerebbe nel divieto del bis in idem� (Cass. Pen. IV, 6.2-2.3.2015, n. 
9168, Meligeni). 
Va allora escluso che nella fattispecie del concorso di sanzione amministrativa e di sanzione 
penale aventi oggettivit� giuridica distinta e diversi elementi costitutivi, in particolare 
dal punto di vista dell�elemento soggettivo, si verifichi in linea di principio un 
concorso apparente. 
Non si ignora l'approccio intepretativo di stampo sostanzialstico seguito della Corte di Strasburgo 
in riferimento al concetto di "idem", rappresentato emblematicamente dal leading case 
in materia Sergey Zolotukhin, richiamata nella pronuncia Grande Stevens, ove i Giudici di 
Strasburgo, rilsolvendo un contrasto interpretativo generato dalla delimitazione del concetto 
di "same offence", hanno affermato che occorre avere riguardo alla sostanziale assimilabilit� 
delle condotte concretamente perseguite (Corte eur. dir. uomo, Grande Camera, 10 febbraio 
2009, Zolotukhin c. Russia). In altri termini, secondo i dettami di Strasburgo, a fini 
della operativit� della garanzia posta dall'art. 4, Protocollo n. 7, nelle sue due anime rappresentate 
dal divieto di essere punito due volte (c.d. ne bis in idem sostanziale) e dal divieto di 
essere nuovamente sottoposto a giudizio per lo stesso fatto (c.d. ne bis in idem processuale), 
� sufficiente l'accertamento della coincidenza del mero "fatto storico" contestato e formalizzato 
in due distinti procedimenti (idem factum), non richiedendosi la coincidenza di tutti gli elementi 
costitutivi del reato e dei beni giuridici tutelati (idem legale). 
Tuttavia non sembra, peraltro, che si debba giungere addirittura ad una radicale inversione di 
rotta, dismettendo la tradizionale lettura del principio di specialit� in chiave di confronto tra paradigmi 
sanzionatori astratti, per abbracciare l�opposto criterio della c.d. specialit� in concreto. 
Come � stato efficacemente osservato, in effetti "l�approccio della Corte europea non comporta 
ancora una totale obliterazione della caratterizzazione delle singole condotte illecite, 
che pur sembrerebbero fondersi in un�unica violazione sul piano naturalistico. Ne danno la 
misura proprio le recenti pronunce relative al doppio binario sanzionatorio in materia tributaria 
nei Paesi scandinavi. 
Nell�occasione, i giudici di Strasburgo hanno infatti escluso che l�applicazione in via definitiva 
di sanzioni amministrative per l�irregolare tenuta delle scritture contabili impedisca di 
perseguire penalmente la dichiarazione d�imposta infedele, basata sulle risultanze delle scritture. 
Ci� in quanto non si tratta del medesimo fatto: l�accounting offence - pur inserendosi 
nella stessa serie naturalistica, cos� da potersi considerare normalmente prodromica all�evasione 
fiscale - ha comunque una propria autonomia rispetto alla violazione tributaria che 
esige elementi aggiuntivi [cfr. Corte eur. dir. uomo, 27 novembre 2014, Lucky Dev c. Svezia; 
Corte eur. dir. uomo, 10 febbraio 2015, Kiiveri c. Finlandia]. A questa stregua, i casi ordinariamente 
ricondotti al paradigma della specialit� in concreto (si pensi, in ambito esclusivamente 
penalistico, al classico esempio della truffa mediante falso in cambiale) ben 
potrebbero dar luogo ad una duplice risposta sanzionatoria, senza incorrere in censure di 
violazione dell�art. 4 Prot. n. 7" (G.M. Flick, V. Napoleoni, A un anno di distanza dall'affaire 
Grande Stevens: dal bis in idem al e pluribis unum?, cit., pp. 27-28). 
2.4. N� potrebbe configurarsi il contrasto di giudicati. 
In proposito il diritto vivente ha da tempo e costantemente attestato che nel caso di giudizio 
avente per oggetto pi� reati, di cui alcuni coperti da giudicato per mancata impugnazione delle 
corrispondenti pronunce assolutorie ed altri, ai primi connessi, oggetto invece di rituale impugnazione, 
la valutazione delle censure proposte deve essere intrinseca ai singoli fatti ancora 
sub iudice, ma ci� non esclude che gli stessi fatti storici, gi� oggetto di proscioglimenti defi-
74 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2016 
nitivi, possano essere considerati, anche nell'ambito dello stesso processo e nei confronti del 
medesimo imputato, nella valutazione della sua responsabilit� per altri fatti sui quali non sia 
ancora stata emessa una pronuncia irrevocabile. Si richiama, in proposito, la giurisprudenza 
della Corte di cassazione nella sua pi� autorevole composizione, secondo la quale � legittimo 
assumere, come elemento di giudizio autonomo, circostanze di fatto raccolte nel corso di altri 
procedimenti penali, pur quando questi si sono conclusi con sentenze irrevocabili di assoluzione, 
perch� la preclusione del giudizio impedisce soltanto l'esercizio dell'azione penale per 
il fatto-reato che di quel giudicato ha formato oggetto, ma nulla ha a che vedere con la possibilit� 
di una rinnovata valutazione delle risultanze probatorie acquisite nei processi ormai 
conclusisi, una volta stabilito che quelle risultanze probatorie possono essere rilevanti per 
l'accertamento di reati diversi da quelli gi� giudicati. L'inammissibilit� di un secondo giudizio 
per lo stesso reato non vieta, quindi, di prendere in considerazione lo stesso fatto storico, o 
particolari suoi aspetti, per valutarli liberamente ai fini della prova concernente un reato diverso 
da quello giudicato, in quanto ci� che diviene irretrattabile � la verit� legale del fattoreato, 
non quella reale del fatto storico (Sez. U, n. 2110 del 23 novembre 1995, dep. 23 
febbraio 1996, Fachini, Rv. 203765; conformi: n. 1495 del 1999 Rv. 212271; n. 15 del 
2000 Rv. 215977; n. 7030 del 2003 Rv. 223527; n. 45153 del 2008 Rv. 242210; n. 6482 del 
2011 Rv. 249467; n. 26725 del 2013 Rv. 256724; n. 41003 del 2013 Rv. 257239). 
Questi principi, a fortiori, debbono valere quindi nel caso di concorso tra procedimenti, e relativi 
provvedimenti, rivolti all�applicazione uno di sanzioni penali, l�altro di sanzioni amministrative. 
In ci� si apprezza quindi, osserviamo a questo punto solo per ragioni di chiarezza espositiva, 
una ulteriore ragione di irrilevanza della questione. Infatti, ai fini della valutazione della rilevanza 
della questione subordinata, sarebbe semmai apparso pi� coerente il riferimento all�art. 
669 c.p.p. (che disciplina il c.d. conflitto pratico di giudicati) anzich� all�art. 649 c.p.p., dal 
che consegue, appunto, l�irrilevanza della questione. 
2.5. Ancora, la modifica dell�art. 649 c.p.p. richiesta dall�ordinanza di rimessione potrebbe 
porsi in conflitto col principio di obbligatoriet� dell�azione penale di cui all�art. 112 Cost., atteso 
che il passaggio in giudicato della sentenza che definisce il giudizio sulle sanzioni amministrative 
applicate dalla Consob verrebbe a paralizzare la prosecuzione obbligatoria 
dell�azione penale da parte del pubblico ministero prescritta dal menzionato art. 112 Cost. 
P.Q.M. 
Il Presidente del Consiglio dei Ministri insiste affinch� codesta Ecc.ma Corte costituzionale 
voglia: 
- dichiarare inammissibile e/o comunque non fondata la questione di legittimit� costituzionale 
dell'art. 187-bis, comma 1, del decreto legislativo n. 58 del 1998, per violazione dell'art. 117, 
comma 1, della Costituzione, in relazione all'art. 4, Protocollo n. 7 della Convenzione europea 
per la salvaguardia dei Diritti dell'Uomo e delle Libert� fondamentali, promossa con l'ordinanza 
indicata in epigrafe 
- dichiarare inammissibile e/o comunque non fondata la questione di legittimit� costituzionale 
dell'art. 649 c.p.p., per violazione dell'art. 117, comma 1, della Costituzione, in relazione 
all'art. 4, Protocollo n. 7 della Convenzione europea per la salvaguardia dei Diritti dell'Uomo 
e delle Libert� fondamentali, promossa con l'ordinanza indicata in epigrafe. 
Roma, 9 dicembre 2015 AVVOCATO DELLO STATO 
Mario Antonio Scino
CONTENZIOSO NAZIONALE 75 
CT 6613/2015 - Sez. IV - Avv. Scino 
AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO 
ECC.MA CORTE COSTITUZIONALE 
MEMORIA ILLUSTRATIVA 
(ai sensi dell'art. 10 delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte 
costituzionale, 19 marzo 1956, pubblicato in G.U. il 24 marzo 1956, n. 71, e ss. mm.) 
per il Presidente del Consiglio dei Ministri, (C.F. 80188230587) rappresentato e difeso 
dall�Avvocatura Generale dello Stato, (C.F. 80224030587, FAX 06/96514000 e PEC 
ags_rm2@mailcert.avvocaturastato.it) presso i cui uffici domicilia in Roma alla Via dei Portoghesi 
n. 12 ex lege 
nel giudizio incidentale 
di legittimit� costituzionale, promosso dalla Suprema Corte di Cassazione, sezione Tributaria 
Civile, con ordinanza n. 950 del 6 novembre 2014, depositata il 21 gennaio 2015 (G.U. 1a 
Serie Speciale - Corte costituzionale n. 15 del 15/04/2015), nel ricorso proposto da Garlsson 
Real Estate SA in liquidazione, R.S., Magiste International SA in persona del liquidatore e 
legale rappresentante pro tempore, contro Consob, avverso la sentenza n. 4297/2008 della 
Corte d'Appello di Roma, relativamente all'art. 187-ter, comma 1, del D.Lgs. 24 febbraio 
1998 n. 58 (Testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria). 
****** 
PREMESSA 
Tale memoria illustrativa costituisce integrazione dell'atto di intervento del Presidente del 
Consiglio dei Ministri dell'11 aprile 2015, depositato nei termini di legge. Per semplificazione 
e chiarezza espositiva si rende doveroso, e comunque si suggerisce, il richiamo testuale ad 
alcuni dei motivi gi� formulati in tale sede, risultando, per il resto, integralmente richiamate 
le censure gi� avanzate. 
****** 
Con ordinanza interlocutoria n. 950 del 6 novembre 2014, depositata il 21 gennaio 2015, la 
Suprema Corte di Cassazione, sezione Tributaria Civile, ha dichiarato rilevante e non manifestamente 
infondata la questione di legittimit� costituzionale dell�art. 187-ter, comma 1, 
D.Lgs. 58/1998 alla luce della sentenza della Corte EDU del 4 marzo 2014, Grande Stevens, 
il cui contenuto rilevante � individuabile nel riconoscimento della natura sostanzialmente penale 
delle sanzioni amministrative applicate dalla Consob in materia di abusi di mercato e 
nella conseguente incompatibilit� con il principio del �ne bis in idem�, di cui agli artt. 2 e 4 
del Protocollo n. 7 della CEDU, del regime del "doppio binario" sanzionatorio previsto dalla 
legislazione italiana per detti illeciti. 
L�ordinanza � stata emessa dalla Suprema Corte nell�ambito del procedimento di impugnazione 
(giunto in fase di legittimit�) delle sanzioni amministrative applicate dalla Consob, con 
delibera n. 16113 del 19 settembre 2007, a S.R., per gli illeciti di manipolazione del mercato 
(art. 187-ter, comma 3, lett. c), d.lgs. 58/1998) e di procurato ritardo all�esercizio delle funzioni 
di vigilanza della Consob (art. 187-quinquiesdecies d.lgs. 58/1998) e a Garlsson Real 
Estate SA e Magiste International SA, per l�illecito di cui all�art. 187-quinquies, comma 1, 
lett. a), D.Lgs. 58/1998, in relazione alle condotte di manipolazione del mercato poste in essere 
dal R. nel loro interesse. 
In prossimit� dell�udienza di trattazione della causa, i ricorrenti hanno depositato in cassazione
76 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2016 
la sentenza - passata in giudicato - della quinta sezione penale del Tribunale di Roma n. 
24796/08, contenente il patteggiamento della pena da parte di S.R., in relazione, tra l�altro, al 
reato di manipolazione del mercato di cui all�art. 185 D.Lgs. 58/1998 e da parte delle societ� 
Magiste International SA e Garlsson Real Estate SA in relazione all�illecito amministrativo 
previsto dagli artt. 5, 25-ter, lett. r), e 25-sexies D.Lgs. 231/2001, loro ascritto per essere stato 
il reato di manipolazione commesso dal R. nel loro interesse. 
I ricorrenti hanno quindi dedotto il contrasto fra il sistema del doppio binario sanzionatorio, 
vigente nel nostro ordinamento in materia di abusi di mercato, e il principio del ne bis in idem 
sancito dall�art. 4 del Protocollo 7 della CEDU. 
Affermata preliminarmente l�assimilabilit� della sentenza di patteggiamento alla sentenza 
penale di condanna, la sezione tributaria della Cassazione ha dichiarato rilevante e non manifestamente 
infondata la �questione di legittimit� costituzionale riguardante l�art. 187 ter 
punto 1 del decreto legislativo n. 58 del 1998, alla luce della sentenza della Corte EDU 
del 4 marzo 2014, che ha ritenuto che le sanzioni amministrative previste dalla disciplina 
italiana sugli abusi di mercato siano da considerarsi �penali�, a prescindere dalla loro 
qualificazione formale nel diritto interno, per contrasto con l�art. 117, primo comma, Cost., 
anche alla luce degli artt. 2 e 4 del Protocollo 7 della Convenzione europea dei diritti dell�uomo 
e delle libert� fondamentali, nella parte in cui prevedendo la comminatoria congiunta 
della sanzione penale prevista dall�art. 185 del D.Lgs. n. 58 del 1998 e della 
sanzione amministrativa prevista per l�illecito di cui all�art. 187 ter D.Lgs. cit., viola i vincoli 
derivanti dagli obblighi internazionali, in ragione della definitivit� della sentenza del 
tribunale di Roma n. 24796/08 del 10 dicembre 2008, passata in giudicato nei confronti 
delle parti ricorrenti�. 
****** 
Esaminata la questione sollevata dalla Suprema Corte di Cassazione suindicata, si osserva 
quanto segue. 
1. Inammissibili� della questione. 
La questione di costituzionalit� sollevata incidentalmente nel giudizio a quo � inammissibile 
per il seguente ordine di ragioni. 
1.1. Irrilevanza della questione sollevata in riferimento alla posizione delle societ� Garlsson 
Real Estate SA e Magiste International SA. 
1.1 Come gi� evidenziato nell'atto di intervento la questione di legittimit� costituzionale, sollevata 
in riferimento all'art. 187-ter TUF, appare, anzitutto, inammissibile per difetto del requisito 
della rilevanza quanto alla posizione delle societ� Garlsson Real Estate SA e Magiste 
International SA, le quali sono state sanzionate con la delibera Consob per l�illecito di cui all�art. 
187-quinquies D.Lgs. 58/1998 e con la sentenza del giudice penale per l�illecito previsto 
dagli artt. 5, 25-ter e 25-sexies D.Lgs. 231/2001, di talch� nessuna influenza pu� esplicare 
nel giudizio a quo, per la parte ad esse relativa, la soluzione della questione di costituzionalit� 
concernente l�art. 187-ter D.Lgs. 58/1998, sollevata dalla Cassazione. Occorre evidenziare al 
riguardo che l�illecito ex D.lgs. 231/2001, ascritto alle societ�, ha carattere amministrativo. 
Ne discende che per Garlsson Real Estate e Magiste International non si pone alcun problema 
di violazione del principio del ne bis in idem perch� le sanzioni amministrative applicate dalla 
Consob, anche a volerne ammettere la natura sostanzialmente penale come affermato dalla 
Corte EDU, si affiancano nella fattispecie ad altre sanzioni di natura amministrativa (1). 
1.2. Irrilevanza della questione sollevata in riferimento alla posizione di S.R. 
Posta la non rilevanza della questione sollevata quanto alle posizioni delle societ� Garlsson
CONTENZIOSO NAZIONALE 77 
Real Estate SA e Magiste International SA, per i motivi sopraesposti, occorre considerare la 
posizione di S.R. 
Sarebbe stato onere del Giudice rimettente motivare e spiegare perch� nel caso in esame l�inflizione 
all�interessato di una sanzione amministrativa non definitiva (art. 87-ter TUF), seppur 
applicata nel massimo edittale di Euro 5.000.000, abbia costituito una afflizione di tale gravit� 
da ostare al concorso con essa di una sanzione penale. 
In realt�, nella vicenda qui in esame, il concorso tra le due "pene" � solo apparente. Lo stesso 
Giudice remittente riconosce espressamente che "sia la condanna penale (con pena estina 
per l'indulto), sia le sanzioni accessorie sono state comminate in forza di reati in parte diversi 
da quelli oggetto di sanzione amministrativa [...]. In concreto la sanzione penale non risulta 
essere stata oggettivamente afflittiva, essendo stata interamente condonata a seguito di indulto 
e non essendo emerso, nel giudizio di merito che le pene accessorie abbiano avuto anch'esse 
efficacia, in concreto, oggettivamente afflitive, nei confronti del R." (pag. 18 dell'ordinanza 
interlocuoria). 
La questiona sollevata � pertanto irrilevante, perch� nella specie non sussiste alcun bis in idem 
in concreto tra la sanzione formalmente amministrativa ma sostanzialmente penale, secondo 
un'intepretazione convenzionalmente orientata, irrogata al R. ex art. 187-ter TUF, e la sanzione 
penale, di cui all'art. 185 TUF. 
1.3. Manifesta inammissibilit� per indeterminatezza, ambiguit�, incertezza dell'intervento 
richiesto. 
1.3.1. L'ordinanza di rimessione � inoltre palesemente inammissibile sotto il profilo contenutistico, 
in quanto, se da un lato espone le ragioni del contrasto ravvisato tra normativa nazionale 
e la Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo, dall'altro non specifica quale intervento 
sia richiesto a codesta Ecc.ma Corte per emendare l'art. 187-ter, D.Lgs. n. 58/1998, del preteso 
profilo di illegittimit� costituzionale. 
Come noto, costituisce causa di (manifesta) inammissibilit� la formulazione di un petitum 
oscuro, perplesso, indeterminato, ambiguo o contraddittorio (cfr. C. Cost. nn. 165/2012 e 
220/2012), ovvero indeterminato e non specifico (cfr. C. Cost. n. 140/2012). 
1.3.2. Orbene, il Giudice rimettente, escludendo la possibilit� di un'interpretazione secundum 
constitutionem dell'art. 187-ter, D.Lgs. n. 58/1998, pone a codesto Ecc.mo Collegio i seguenti 
quesiti "aperti", senza circoscrivere adeguatamente il proprio petitum : 
a) "La mancata previsione dell'allargamento del principio "ne bis in idem" anche ai rapporti 
tra processi e, specificamente, tra sanzione penale e amministrativa di natura penale appare 
(1) Ed invero, come chiarito dalla sentenza del Tribunale di Roma n. 24796/08 del 10 dicembre 2008 
(pp. 2 ss.), il d.lgs. 231/2001 �ha istituito un sistema di sanzioni conseguenti alla individuazione di un 
illecito amministrativo� le quali �debbono essere applicate - una volta accertati i fatti - nell�ambito 
del medesimo procedimento penale a carico dei soggetti fisici che hanno assunto la veste di imputati, e 
ci� in base all�art. 36 della legge (�.. la competenza a conoscere gli illeciti amministrativi appartiene 
al giudice penale competente per i reati dai quali gli stessi dipendono ..�)�; �dalla connessione voluta 
dalla legge discende la possibilit� di applicare anche agli enti alcuni istituti di carattere processualpenalistico, 
originariamente riservati al solo imputato-persona fisica�, tuttavia �le ragioni che inducono 
ad ammettere il patteggiamento .. - sostanzialmente afferenti alla necessit� di trattare congiuntamente 
il fatto reato e l�illecito amministrativo connesso - non hanno nulla a che vedere con la sorte delle sanzioni 
previste per gli enti che rimangono, per la loro natura amministrativa, escluse dal provvedimento 
di clemenza appena ricordato [l�indulto ex lege 241/2006, applicato al R., n.d.r.], destinato ad estinguere 
le sanzioni penali e non quelle amministrative�.
CONTENZIOSO NAZIONALE 79 
senza indicare in modo chiaro e univoco quale sia la soluzione alternativa auspicata. In definitiva, 
l�individuazione degli esatti contenuti della pronunzia viene espressamente demandata 
a codesta Ecc.ma Corte costituzionale, rappresentandosi un petitum caratterizzato da profili 
di amibiguit�, incertezza, e indeterminatezza in ordine al contenuto dell'intervento richiesto, 
da cui ne discende la manifesta inammissibilt� della questione di costituzionalit� sollevata. 
2. Manifesta infondatezza della questione sollevata in via principale. 
2.1 Con riferimento al merito della questione sollevata occorre ribadire come l�intervento 
manipolativo sull�art. 187-ter sollecitato dal remittente allo scopo di adeguare il principio 
del ne bis in idem nazionale alle statuizioni della pronuncia Grande Stevens della Corte 
EDU, renderebbe la menzionata previsione normativa manifestamente contrastante con il 
nostro ordinamento penale basato su un principio di stretta legalit� formale (art. 25 Cost.) 
e sui suoi corollari (riserva di legge, tassativit� e irretroattivit�). Al riguardo �come pi� 
volte affermato da questa corte (sentenze n. 236, n. 113 e n. 1 del 2011, cit.; n. 93 del 2010, 
cit.; n. 311 del 2009, cit., e n. 239 del 2009, ibid., 345; n. 39 del 2008, id., 2008, I, 1037; 
n. 349 e n. 348 del 2007, cit.), il giudice delle leggi non pu� sostituire la propria interpretazione 
di una disposizione della Cedu a quella data in occasione della sua applicazione 
al caso di specie dalla corte di Strasburgo, [...], esso per� � tenuto a valutare come ed in 
quale misura l�applicazione della convenzione da parte della Corte europea si inserisca 
nell�ordinamento costituzionale italiano. La norma Cedu, nel momento in cui va ad integrare 
il 1� comma dell�art. 117 Cost., come norma interposta, diviene oggetto di bilanciamento, 
secondo le ordinarie operazioni cui questa corte � chiamata in tutti i giudizi di sua 
competenza (sent. n. 317 del 2009, id., 2010, I, 359). Operazioni volte non gi� all�affermazione 
della primazia dell�ordinamento nazionale, ma alla integrazione delle tutele� (Corte 
Cost n. 264/2012). 
Specificamente questa Corte, con sentenza n. 49 del 26 marzo 2015 (Varvara) � recentemente 
intervenuta su un caso affine a quello in questione, con riferimento alla portata degli effetti di 
una pronuncia della Corte EDU che, muovendo dalla configurazione della confisca c.d. urbanistica 
(art. 44, co. 2, Testo Unico dell�Edilizia) quale sanzione penale anzich� amministrativa, 
aveva concluso per la non applicabilit� della confisca in esame in caso di dichiarazione di 
estinzione del reato. Muovendo dai dubbi esposti dal rimettente sulla compatibilit� di una simile 
prospettiva - volta ad assicurare una tutela assoluta al diritto di propriet� - con la protezione 
che altri principi costituzionali nazionali (patrimonio storico e artistico, ambiente 
salubre, ecosistema) assicurano ad altri diritti fondamentali italiani codesto Ecc.mo Collegio 
ha osservato: �Il rimettente � convinto che, a seguito della sentenza Varvara contro Italia, 
l�art. 44, comma 2, del d.P.R. n. 380 del 2001, debba assumere, in via ermeneutica, il significato 
che la Corte di Strasburgo gli avrebbe attribuito, e che, proprio per effetto di un simile 
processo adattativo, tale significato si presti a rilievi di costituzionalit�. 
Questo modo di argomentare � errato sotto un duplice aspetto. 
In primo luogo, esso presuppone che competa alla Corte di Strasburgo determinare il significato 
della legge nazionale, quando, al contrario, il giudice europeo si trova a valutare se 
essa, come definita e applicata dalle autorit� nazionali, abbia, nel caso sottoposto a giudizio, 
generato violazioni delle superiori previsioni della CEDU. � pertanto quest�ultima, e non la 
legge della Repubblica, a vivere nella dimensione ermeneutica che la Corte EDU adotta in 
modo costante e consolidato. 
Naturalmente, non � in discussione che, acquisita una simile dimensione, competa al giudice 
di assegnare alla disposizione interna un significato quanto pi� aderente ad essa (sentenza
80 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2016 
n. 239 del 2009), a condizione che non si riveli del tutto eccentrico rispetto alla lettera della 
legge (sentenze n. 1 del 2013 e n. 219 del 2008). 
Tuttavia, e in secondo luogo, sfugge al rimettente che il dovere del giudice comune di interpretare 
il diritto interno in senso conforme alla CEDU, appena ribadito, �, ovviamente, subordinato 
al prioritario compito di adottare una lettura costituzionalmente conforme, poich� 
tale modo di procedere riflette il predominio assiologico della Costituzione sulla CEDU (sentenze 
n. 349 e n. 348 del 2007). 
Il pi� delle volte, l�auspicabile convergenza degli operatori giuridici e delle Corti costituzionali 
e internazionali verso approcci condivisi, quanto alla tutela dei diritti inviolabili dell�uomo, 
offrir� una soluzione del caso concreto capace di conciliare i principi desumibili da 
entrambe queste fonti. Ma, nelle ipotesi estreme in cui tale via appaia sbarrata, � fuor di dubbio 
che il giudice debba obbedienza anzitutto alla Carta repubblicana�. 
2.2 Affidare la tutela a sanzioni solo penali indebolirebbe gravemente l�effettivit� della disciplina 
amministrativa dei mercati finanziari. Le sanzioni penali si possono infatti applicare, di 
regola, solo sulla base dell�accertamento dei fatti oltre ogni ragionevole dubbio, e sulla base 
dell�accertamento del dolo dell�agente, da intendere come piena consapevolezza dei fatti e 
come volont� di porli in essere o di avvalersene. 
Al di fuori di queste condotte si apre tutta una �zona grigia� tra i comportamenti fraudolenti 
e per questo penalmente rilevanti, e i comportamenti leciti. In altri termini, vi � un amplissimo 
campo in cui si manifestano comportamenti certamente pregiudizievoli (a volte molto pregiudizievoli) 
per la trasparenza e il buon funzionamento dei mercati finanziari, che tuttavia 
non sono comportamenti oggettivamente fraudolenti, n� soggettivamente diretti allo scopo 
deliberato di turbare i mercati. 
Nell�attuale fase di sviluppo dell�economia mondiale, in cui il ruolo dei mercati finanziari regolamentati 
� notoriamente divenuto determinante, anche tali comportamenti (genericamente 
designati come �abusi di mercato�) vanno quindi per quanto possibile prevenuti, ed � indispensabile 
prevedere sanzioni relativamente ad essi. 
La natura necessariamente amministrativa di queste sanzioni, e segnatamente della sanzione 
pecuniaria prevista all'art. 187-ter, discende, oltre che dalla loro qualificazione formale, dalla 
necessit� di applicarle a prescindere da comportamenti addirittura artificiosi o fraudolenti e 
sorretti da dolo specifico (come confermato in termini generali per le sanzioni amministrative 
dall�art. 3 della l. n. 689/1981) e di consentire, invece, di applicarle a tutti i comportamenti 
anche non fraudolenti e non dolosi, che per� siano oggettivamente contrari alle regole amministrative 
stabilite per assicurare la trasparenza dei mercati. Queste sanzioni, in ragione del 
loro carattere di immediatezza e di effettivit�, vogliono rafforzare negli operatori professionali 
dei mercati finanziari l�efficacia vincolante delle regole amministrative di trasparenza, attraverso 
un�azione deterrente pi� celere e mirata, svincolata dalle lungaggini del processo penale, 
discendendone una maggiore incisivit� nella tutela del bene costituzionalmente rilevante del 
"risparmio" (art. 47 Cost.) 
La natura amministrativa delle infrazioni e delle sanzioni previste dal TUF, e segnatamente 
dell'art. 187-ter, esclude che esse possano rilevare al fine di accertare una violazione degli 
art. 2 e 4 del Protocollo 7 e, per il suo tramite, dell�art. 117, comma 1, della Costituzione. 
Occorre peraltro evidenziare che la sentenza Grande Stevens non vieta in assoluto la previsione 
di un determinato fatto (qui, la condotta di manipolazione del mercato) sia come illecito 
penale che come illecito amministrativo. 
In realt�, la pronuncia, conformemente alla portata precettiva dell�art. 4 Protocollo 7, intende
CONTENZIOSO NAZIONALE 81 
soltanto vietare che per il medesimo fatto materiale siano applicate due volte sanzioni che, 
pur se di natura diversa, per la loro rilevante afflittivit� in concreto si connotino come entrambe 
�penali�. 
La sentenza Grande Stevens, quindi, non pone in discussione la possibilit� generale di prevedere 
che un medesimo fatto incorra contemporaneamente sotto due previsioni sanzionatorie, 
entrambe penali, come nel caso del concorso formale, o l�una penale e l�altra amministrativa. 
Quante volte questa scelta normativa appaia ragionevolmente funzionale ad esaurire completamente 
il disvalore del fatto, che dal punto di vista degli interessi protetti da esso lesi pu� 
ben essere plurioffensivo, la scelta stessa non pu� essere censurata, e comunque non � vietata 
dal citato Protocollo. Questo, come si ripete, si colloca soltanto al livello applicativo della risposta 
sanzionatoria, che non pu� apparire in concreto cos� gravosa da rappresentare, in sostanza, 
vista nella sua totalit� una duplicazione di sanzione. 
Nella specie, la condotta consistente nella manipolazione dei mercati finanziari � indubbiamente 
plurioffensiva, al pari delle altre tipizzate nelle disposizioni sanzionatorie del TUF, rivolgendosi, 
essenzialmente, in due direzioni: il pubblico degli investitori, da un lato; e 
l�autorit� di vigilanza posta al vertice dell�ordinamento settoriale, dall�altro. 
Il primo ordine di interessi tutelati o beni protetti (la fiducia degli investitori) si ricollega ai 
diritti fondamentali degli investitori nei mercati finanziari (riconosciuti anche a livello CEDU, 
dall'art. 1 del Protocollo addizionale n. 1) la cui importanza economica globale costituisce 
ormai un fatto acquisito. Come � acquisito che nei mercati finanziari sussiste strutturalmente 
una incolmabile disparit� di competenze e di informazioni tra gli operatori da un lato (intermediari, 
emittenti, e persone fisiche dei loro dirigenti), e la massa degli investitori dall�altro. 
Questi ultimi, non potendo disporre di un livello di competenze e di informazioni paragonabile 
a quello degli operatori, debbono necessariamente fare affidamento sulla correttezza di comportamento 
degli operatori, e questo affidamento � sensato solo se le norme che disciplinano 
il comportamento degli operatori sono presidiate da un sistema di controlli e di sanzioni particolarmente 
stringente ed efficace. 
Quando sono in gioco interessi di questa portata, il rispetto degli obblighi amministrativi degli 
operatori del mercato di fornire al pubblico informazioni complete e veritiere e di non abusare 
delle informazioni riservate manipolando il mercato (la trasparenza informativa e comportamentale), 
pu� essere assicurato soltanto da sanzioni pecuniarie di entit� elevata. Pertanto, 
quando la severit� di una sanzione sia il riflesso necessario della rilevanza degli interessi tutelati, 
cio� si dia un contesto in cui se la sanzione non fosse severa quegli interessi non sarebbero, 
di fatto, tutelati, la severit� non pu� essere da sola indice del carattere �penale� della 
sanzione. Diversamente, tutte le sanzioni previste per le violazioni amministrative nel campo 
dei mercati finanziari regolamentati sarebbero sempre di natura penale: si � visto infatti che 
l�entit� degli interessi coinvolti dalle attivit� che si svolgono in tali mercati esige indefettibilmente 
sanzioni di entit� elevata. 
Le sanzioni penali sono tese, invece, a colpire pi� che il patrimonio dell�operatore infedele 
nei confronti del pubblico, la figura professionale dell�operatore stesso, che ha violato gli obblighi 
di correttezza comportamentale nei confronti dell�autorit�, rendendone pi� difficile la 
vigilanza sul mercato nella misura in cui con la propria scorrettezza ha alterato il normale 
corso delle negoziazioni e della formazione dei prezzi all�interno di questo. Le sanzioni penali 
tendono quindi, essenzialmente, ad espellere l�operatore dal mercato in relazione alla pericolosit� 
da questi manifestata per la vigilanza, ed hanno quindi una spiccata attitudine repressiva; 
laddove le sanzioni amministrative, indirizzate a proteggere l�affidamento degli investitori,
82 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2016 
tendono prevalentemente a svolgere una funzione generalpreventiva, merc� la loro afflittivit� 
patrimoniale, intesa a rendere �economicamente non conveniente� la commissione di determinate 
forme di approfittamento di posizioni privilegiate a danno del pubblico (2). 
In linea di principio, non pu� quindi dubitarsi della legittimit�, se non della necessit�, della 
coesistenza e dell�integrazione dei due sistemi sanzionatori. 
Del resto, nella gi� richiamata pronuncia n. 49 del 2015, codesta Ecc.ma Corte costituzionale, 
nel dichiarare inammissibile la questione di legittimit� sottoposta non ha escluso la validit� 
di un simile sistema sanzionatorio. Ed invero "non pu� sfuggire che l�autonomia dell�illecito 
amministrativo dal diritto penale, oltre che ad impingere nel pi� ampio grado di discrezionalit� 
del legislatore nel configurare gli strumenti pi� efficaci per perseguire la �effettivit� dell�imposizione 
di obblighi o di doveri� (sentenza n. 317 del 1996), corrisponde altres�, sul piano 
delle garanzie costituzionali, al �principio di sussidiariet�, per il quale la criminalizzazione, 
costituendo l�ultima ratio, deve intervenire soltanto allorch�, da parte degli altri rami dell�ordinamento, 
non venga offerta adeguata tutela ai beni da garantire� (sentenza n. 487 del 1989; 
in seguito, sentenze n. 447 del 1998 e n. 317 del 1996). Difatti, �Le esigenze costituzionali di 
tutela non si esauriscono [�] nella (eventuale) tutela penale, ben potendo invece essere soddisfatte 
con diverse forme di precetti e di sanzioni� (sentenza n. 447 del 1998)". 
2.3. Sotto altro profilo visuale, l'intervento manipolativo invocato, dai contorni incerti (cos� 
come gi� segnalato in punto di inammissibilit� della questione per genericit� e indeterminatezza 
del petitum), rischia di pregiudicare la certezza del tipo di risposta sanzionatoria comminata 
dall'ordinamento nazionale a fronte di fattispecie di manipolazione del mercato, perci� 
ponendosi in contrasto con gli artt. 11 e 117 Cost., dal momento che lederebbe il canone di 
effettivit� delle sanzioni in materia di market abuse prescritto dal diritto dell'Unione Europea 
(e segnatamente dalle Direttive 2003/06/CE e 2014/57/UE) in funzione della salvaguardia dei 
mercati, e quindi, in ultima analisi, della tutela del risparmio, bene protetto anche in ambito 
nazionale dall�art. 47 Cost. 
In proposito, la giurisprudenza della Corte di Giustizia dell�Unione europea, pur riconoscendo, 
in determinati casi, la validit� dei criteri sostanzialistici individuati dalla Corte EDU (natura 
della violazione, natura e gravit� della sanzione), li considera prevalenti rispetto a criteri di 
legalit� formale (quali quello dettato dall�art. 25, comma 2, Cost.) soltanto se la loro applicazione 
non comprometta il primato e l�effettivit� del diritto dell�Unione, rimettendo la valuta- 
(2) Per quanto riguarda la giurisprudenza UE, vedasi sentenza Spector Photo della Corte di giustizia 
UE, riguardante la diversa condotta dell'abuso di informazioni privilegiate, ma con argomentazioni trasponibili 
all�illecito della manipolazione del mercato finanziario. Tale sentenza, in particolare nel punto 
37, chiarisce che nell�intento della Direttiva �Il fatto che l�art. 2, n. 1, della direttiva 2003/6 non preveda 
espressamente un elemento psicologico tra gli elementi costitutivi dell�abuso di informazioni privilegiate 
si giustifica, in secondo luogo, con la finalit� di detta direttiva che, come richiamato, in particolare, al 
suo secondo e al suo dodicesimo �considerando�, consiste nel garantire l�integrit� dei mercati finanziari 
comunitari e nel rafforzare la fiducia degli investitori in tali mercati. Il legislatore comunitario ha optato 
per un meccanismo di prevenzione e di sanzione amministrativa degli abusi di informazioni privilegiate 
la cui efficacia diminuirebbe se fosse subordinato alla ricerca sistematica di un elemento psicologico. 
Pertanto, come rilevato dall�avvocato generale al paragrafo 55 delle sue conclusioni, solo se il divieto 
degli abusi di informazioni privilegiate comporta una sanzione effettiva delle violazioni, tale divieto si 
dimostrer� efficace e in grado di promuovere in modo durevole la necessaria fiducia nella normativa 
da parte di tutti gli operatori del mercato. L�attuazione effettiva del divieto delle operazioni di mercato 
si basa quindi su una struttura semplice nella quale i mezzi soggettivi di difesa sono limitati al fine non 
solo di sanzionare, ma anche di prevenire efficacemente le violazioni di tale divieto�.
CONTENZIOSO NAZIONALE 83 
zione al giudice nazionale anche alla luce dei principi costituzionali e della tradizione giuridica 
dei paesi membri (sul punto, cfr., in particolare, Corte Giust., Grande Sezione, 26 febbraio 
2013, causa C-617/10, Aklagaren c. Hans Akerberg Fransson). 
Alla luce delle argomentazioni riportate e dei principi epressi dalla menzionata sentenza n. 
49/2015 di codesta Ecc.ma Corte costituzionale si ritiene che la questione di costituzionalit� 
sollevata in riferimento all'art. 187 ter TUF debba essere respinta nel merito, e, per l'effetto, 
dichiarata infondata. 
P. Q. M. 
Il Presidente del Consiglio dei Ministri insiste affinch� codesta Ecc.ma Corte costituzionale 
voglia: 
- dichiarare inammissibile e/o comunque non fondata la questione di legittimit� costituzionale 
dell'art. 187-ter, comma 1, del decreto legislativo n. 58 del 1998, per violazione dell'art. 117, 
comma 1, della Costituzione, in relazione all'art. 4, Protocollo n. 7 della Convenzione europea 
per la salvaguardia dei Diritti dell'Uomo e delle Libert� fondamentali, promossa con l'ordinanza 
indicata in epigrafe. 
Roma, 27 gennaio 2016 AVVOCATO DELLO STATO 
Mario Antonio Scino 
Corte costituzionale, sentenza 12 maggio 2016 n. 102 - Pres. Grossi, Red. Lattanzi, Cartabia 
- Giudizi di legittimit� costituzionale dell�art. 649 del codice di procedura penale e degli artt. 
187-bis, comma 1, e 187-ter, comma 1, del decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58 (Testo 
unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, ai sensi degli articoli 8 e 
21 della legge 6 febbraio 1996, n. 52), promossi dalla Corte di cassazione con ordinanze del 
15 e del 21 gennaio 2015. Avv.ti Riccardo Olivo per la parte privata C.C.R., Salvatore Providenti 
per la Commissione nazionale per le societ� e la borsa - CONSOB e gli avv.ti dello Stato 
Mario Antonio Scino e Paolo Gentili per il Presidente del Consiglio dei ministri. 
(...) 
Considerato in diritto 
1.� Con ordinanza del 15 gennaio 2015 (reg. ord. n. 38 del 2015), notificata il successivo 
21 gennaio, la quinta sezione penale della Corte di cassazione ha sollevato, in via principale, 
questione di legittimit� costituzionale dell�art. 187-bis, comma 1, del decreto legislativo 24 
febbraio 1998, n. 58 (Testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, 
ai sensi degli articoli 8 e 21 della legge 6 febbraio 1996, n. 52), nella parte in cui prevede 
�Salve le sanzioni penali quando il fatto costituisce reato� anzich� �Salvo che il fatto costituisca 
reato�, per violazione dell�art. 117, primo comma, della Costituzione, in relazione all�art. 
4 del Protocollo n. 7 alla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell�uomo e delle 
libert� fondamentali, adottato a Strasburgo il 22 novembre 1984, ratificato e reso esecutivo 
con la legge 9 aprile 1990, n. 98 (d�ora in avanti �Protocollo n. 7 alla CEDU�). 
In via subordinata, il giudice rimettente ha sollevato questione di legittimit� costituzionale 
dell�art. 649 del codice di procedura penale, nella parte in cui non prevede �l�applicabilit� 
della disciplina del divieto di un secondo giudizio al caso in cui l�imputato sia stato giudicato, 
con provvedimento irrevocabile, per il medesimo fatto nell�ambito di un procedimento am-
84 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2016 
ministrativo per l�applicazione di una sanzione alla quale debba riconoscersi natura penale ai 
sensi della Convenzione per la salvaguardia dei Diritti dell�uomo e delle Libert� fondamentali 
e dei relativi Protocolli�, in relazione al medesimo parametro e alla medesima norma interposta 
della questione principale. 
Il giudice rimettente � investito del ricorso proposto contro la condanna di un imputato per 
il reato previsto dall�art. 184, comma 1, lettera b), del d.lgs. n. 58 del 1998, per abuso di informazioni 
privilegiate e riferisce che era gi� passata in giudicato una pronuncia che aveva 
respinto l�opposizione della stessa persona contro una sanzione amministrativa pecuniaria inflittale 
dalla Commissione nazionale per le societ� e la borsa, ai sensi dell�art. 187-bis del 
d.lgs. n. 58 del 1998, per il medesimo fatto. 
Applicando un consolidato principio di diritto a un caso analogo a quello oggetto del giudizio 
a quo, la Corte europea dei diritti dell�uomo, nella sentenza 4 marzo 2014, Grande Stevens 
contro Italia, ha affermato, sia la natura penale della sanzione prevista dall�art. 187-bis 
del d.lgs. n. 58 del 1998, sia la violazione da parte della Repubblica italiana dell�art. 4 del 
Protocollo n. 7 alla CEDU, per avere proceduto in sede penale ai sensi dell�art. 185 del d.lgs. 
n. 58 del 1998, nonostante fosse gi� divenuta definitiva una prima condanna per il medesimo 
fatto, sia pure diversamente qualificato giuridicamente. 
La Corte di cassazione ha constatato che una identica situazione si era verificata nel caso 
soggetto al suo scrutinio, nel quale, bench� l�imputato per lo stesso fatto fosse stato gi� punito 
in via definitiva, ai sensi dell�art. 187-bis del d.lgs. n. 58 del 1998, con una sanzione amministrativa 
particolarmente gravosa, si procedeva ugualmente nei suoi confronti per il reato 
previsto dall�art. 184, lettera b), del d.lgs. n. 58 del 1998, e ha rilevato che ci� stava avvenendo 
in violazione dell�art. 4 del Protocollo n. 7 alla CEDU, il quale imporrebbe di arrestare immediatamente 
il corso di questo secondo processo. 
Ci� considerato, la Corte di cassazione ha formulato due questioni di costituzionalit�, ponendole 
in ordine subordinato. 
La prima questione tende ad escludere il concorso tra la sanzione penale e la sanzione amministrativa, 
facendo recedere l�illecito amministrativo quando il medesimo fatto � previsto 
come reato. In questo modo, secondo il giudice rimettente si darebbe inoltre attuazione alla 
direttiva 16 aprile 2014, n. 2014/57/UE del Parlamento europeo e del Consiglio relativa alle 
sanzioni penali in caso di abusi di mercato, che, invertendo la scelta compiuta con la precedente 
direttiva 28 gennaio 2003, n. 2003/6/CE del Parlamento europeo e del Consiglio relativa 
all�abuso di informazioni privilegiate e alla manipolazione del mercato, impone agli Stati 
membri di adottare sanzioni penali per i casi pi� gravi di abuso di mercato, commessi con 
dolo, e permette loro di affiancare una sanzione amministrativa. 
La questione subordinata, invece, riguarda l�art. 649 cod. proc. pen., nella parte in cui non 
prevede la sua applicazione anche quando la persona � stata giudicata in via definitiva per il 
medesimo fatto punito con una sanzione amministrativa alla quale debba essere riconosciuta 
natura penale ai sensi dell�art. 4 del Protocollo n. 7 alla CEDU. 
La Corte di cassazione � consapevole che in caso di accoglimento della questione subordinata 
verrebbe a generarsi una grave �incongruenza sistematica�, giacch� troverebbe applicazione 
la sanzione inflitta cronologicamente per prima in via definitiva, a seconda delle 
contingenze delle singole vicende processuali, e tuttavia ritiene che una tale �incongruenza� 
non possa essere di ostacolo alla dichiarazione di illegittimit� costituzionale, ove essa sia la 
sola via per riparare un vulnus costituzionale dei diritti della persona. 
2.� Con ordinanza del 21 gennaio 2015 (reg. ord. n. 52 del 2015), notificata il successivo
CONTENZIOSO NAZIONALE 85 
26 gennaio, la sezione tributaria della Corte di cassazione ha sollevato questione di legittimit� 
costituzionale, per violazione dell�art. 117, primo comma, Cost. in relazione agli artt. 2 e 4 
del Protocollo n. 7 alla CEDU, dell�art. 187-ter, comma 1, del d.lgs. n. 58 del 1998, nella parte 
in cui prevede la comminatoria congiunta della sanzione penale prevista dall�art. 185 del medesimo 
d.lgs. n. 58 del 1998 e della sanzione amministrativa prevista per l�illecito di cui all�art. 
187-ter dello stesso decreto. 
La Corte di cassazione � chiamata a pronunciarsi sulla impugnazione proposta contro una 
sentenza della Corte d�appello di Roma, che ha rigettato l�opposizione avverso l�irrogazione 
di sanzioni amministrative, da parte della CONSOB, ai sensi dell�art. 187-ter del d.lgs. n. 58 
del 1998, e con il ricorso � stato fatto valere il giudicato penale gi� formatosi sui medesimi 
fatti storici di illecita manipolazione del mercato. 
In particolare, il giudice rimettente ha ritenuto che la disposizione censurata sia illegittima 
in quanto permette un secondo giudizio per un medesimo fatto concreto, integrante sia l�illecito 
amministrativo ex art. 187-ter, comma 1, del d.lgs. n. 58 del 1998, sia il reato di cui all�art. 
185 del medesimo decreto, pur essendo previste, per l�illecito amministrativo, misure da considerarsi 
penali, alla luce della giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell�uomo, in 
considerazione della natura della violazione e della gravit� delle conseguenze. 
Pi� precisamente, secondo la Corte di cassazione andrebbe �rimessa alla Consulta, alla 
luce dei principi CEDU, determinare il rilievo, ai fini della applicazione del principio del �ne 
bis in idem�, della valutazione, da parte del giudice nazionale, della effettiva afflittivit� della 
sanzione penale�, posto che nella specie era stata applicata la sola pena detentiva, dichiarata 
interamente condonata, con la conseguenza che l�imputato non aveva subito alcun �effettivo 
pregiudizio nella sfera personale�. 
Occorrerebbe quindi, secondo il giudice a quo, �verificare se la obbligatoriet� delle sanzioni 
amministrative nel sistema degli illeciti di market abuse sia conf[l]iggente col sistema del c.d. 
divieto del ne bis in idem, allorch� venga preliminarmente emessa una sanzione penale e se, 
eventualmente, quest�ultima, a prescindere dalla sua afflittivit� e proporzionalit�, in relazione 
al fatto commesso, sia preclusiva alla comminatoria della sanzione amministrativa, o se ne 
debba solamente tenere conto al fine della successiva comminatoria della sanzione amministrativa
�, ci� anche alla luce della direttiva n. 2003/6/CE, che impone agli Stati membri di prevedere 
sanzioni amministrative effettive, proporzionate e dissuasive e del sistema previsto dagli 
artt. 187-duodecies e 187-terdecies del d.lgs. n. 58 del 1998 che impongono di non sospendere 
i procedimenti amministrativi per abusi di mercato pur in pendenza del procedimento penale 
per i medesimi fatti, stabilendo, poi, che la esazione della pena pecuniaria eventualmente inflitta 
in sede penale sia limitata alla parte eccedente quella riscossa dall�autorit� amministrativa. 
3.� Nel procedimento di cui al registro ordinanze n. 38 del 2015, � intervenuto il Presidente 
del Consiglio dei ministri con atto depositato il 14 aprile 2015 e si sono costituite la parte privata 
C.C.R., con atto depositato il 14 aprile 2015, e la CONSOB con atto depositato il 13 aprile 2015. 
Nel procedimento di cui al registro ordinanze n. 52 del 2015, � intervenuto il Presidente 
del Consiglio dei ministri con atto depositato il 5 maggio 2015 e si sono costituiti la CONSOB 
con atto depositato il 5 maggio 2015, R.S. e le societ� Garlsson srl in liquidazione e Magiste 
International sa con atto depositato, fuori termine, il 16 febbraio 2016. 
4.� In via preliminare deve disporsi la riunione dei giudizi in quanto pongono questioni 
analoghe per oggetto, termini e parametri. 
Entrambe le ordinanze di rimessione, infatti, pongono questioni relative al rispetto del ne 
bis in idem come interpretato dalla Corte europea dei diritti dell�uomo, in casi di cosiddetto
86 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2016 
�doppio binario� sanzionatorio, cio� in casi nei quali la legislazione nazionale prevede un 
doppio livello di tutela, penale e amministrativo. In particolare le due ordinanze riguardano 
il settore degli abusi di mercato. 
In questo ambito, sino al 2005 le figure dell�abuso di informazioni privilegiate e della manipolazione 
del mercato erano sanzionate esclusivamente in sede penale come delitti dagli 
artt. 184 e 185 del Testo unico della finanza - TUF (d.lgs. n. 58 del 1998). 
Successivamente, con la legge 18 aprile 2005, n. 62 (Disposizioni per l'adempimento di 
obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia alle Comunit� europee. Legge comunitaria 
2004), attuativa della direttiva n. 2003/6/CE (cosiddetta Market Abuse Directive, MAD), 
ai delitti di cui sopra sono stati affiancati due paralleli illeciti amministrativi previsti, rispettivamente, 
dagli artt. 187-bis (insider trading) e 187-ter (manipolazione di mercato) del 
novellato TUF. Gli illeciti amministrativi sono descritti in modo sovrapponibile ai corrispondenti 
delitti, ovvero con una formulazione tale da ricomprendere, di fatto, anche l�omologa 
fattispecie penale. 
La sovrapposizione dell�ambito applicativo di ciascun delitto con il corrispondente illecito 
amministrativo � contemplata dallo stesso legislatore, come risulta dalla clausola di apertura 
degli artt. 187-bis e 187-ter �[s]alve le sanzioni penali quando il fatto costituisce reato�, che, 
in tal modo, stabilisce, da un punto di vista sostanziale, il cumulo dei due tipi di sanzioni. 
Proprio tali clausole sono oggetto di censura nelle due ordinanze di rimessione. 
Una tale disciplina � stata stigmatizzata dalla Corte europea dei diritti dell�uomo in quanto 
contrastante con il principio del ne bis in idem, di cui all�art. 4 del Protocollo n. 7 alla CEDU, 
che vieta di perseguire o giudicare una persona per un secondo illecito nella misura in cui alla 
base di quest�ultimo vi siano i medesimi fatti. 
In particolare, due aspetti della giurisprudenza della Corte EDU determinano una diversa interpretazione 
del principio in questione, rispetto a come esso � applicato nell�ordinamento interno. 
Il primo riguarda la valutazione della �identit� del fatto� - l��idem� -. La Corte europea ritiene 
che tale valutazione sia da effettuarsi in concreto e non in relazione agli elementi costitutivi 
dei due illeciti. In particolare, la giurisprudenza europea ravvisa l�identit� del fatto 
quando, da un insieme di circostanze fattuali, due giudizi riguardino lo stesso accusato e in 
relazione a situazioni inestricabilmente collegate nel tempo e nello spazio. 
Il secondo aspetto riguarda la nozione di sanzione penale, da definirsi non in base alla mera 
qualificazione giuridica da parte della normativa nazionale, ma in base ai cosiddetti �criteri 
Engel� (cos� denominati a partire dalla sentenza della Corte EDU, Grande Camera, 8 giugno 
1976, Engel e altri contro Paesi Bassi e costantemente ripresi dalle successive sentenze in argomento). 
Si tratta di tre criteri individuati dalla consolidata giurisprudenza della Corte di Strasburgo, 
da esaminare congiuntamente per stabilire se vi sia o meno una imputazione penale: il 
primo � dato dalla qualificazione giuridica operata dalla legislazione nazionale; il secondo � 
rappresentato dalla natura della misura (che, ad esempio non deve consistere in mere forme di 
compensazione pecuniaria per un danno subito, ma deve essere finalizzata alla punizione del 
fatto per conseguire effetti deterrenti); il terzo � costituito dalla gravit� delle conseguenze in 
cui l�accusato rischia di incorrere. Alla luce di tali criteri, sanzioni qualificate come non aventi 
natura penale dal diritto nazionale, possono invece essere considerate tali ai fini della applicazione 
della Convenzione europea dei diritti dell�uomo e delle relative garanzie. 
In questo panorama giurisprudenziale si inserisce la sentenza della Corte EDU 4 marzo 
2014, Grande Stevens contro Italia, divenuta definitiva il 7 luglio 2014, a cui fanno riferimento 
entrambe le ordinanze di rimessione in esame.
CONTENZIOSO NAZIONALE 87 
La suddetta pronuncia censura specificamente l�ordinamento italiano per aver previsto un 
sistema di �doppio binario� sanzionatorio nel settore degli abusi di mercato. La decisione 
della Corte europea attribuisce natura sostanzialmente penale alle sanzioni amministrative 
stabilite per l�illecito di manipolazione del mercato ex art. 187-ter del TUF, in considerazione 
della gravit� desumibile dall�importo elevato delle sanzioni pecuniarie inflitte e dalle conseguenze 
delle sanzioni interdittive. La medesima pronuncia sottolinea poi la mancanza di un 
meccanismo che comporti l�interruzione del secondo procedimento nel momento in cui il 
primo sia concluso con pronuncia definitiva. Infine, essa evidenzia l�identit� dei fatti, dato 
che i due procedimenti, dinanzi alla CONSOB e davanti al giudice penale, riguardano un�unica 
e stessa condotta, da parte delle stesse persone, nella stessa data. Da tali considerazioni, la 
Corte europea desume la violazione dell�art. 4 del Protocollo n. 7 alla CEDU. 
In entrambi i casi, la Corte rimettente sottolinea che il vulnus al principio del ne bis in 
idem, come interpretato dalla Corte europea dei diritti dell�uomo nella sentenza Grande Stevens, 
avrebbe una valenza sistemica e potenzialmente riguarderebbe non solo gli abusi di 
mercato, ma tutti gli ambiti in cui l�ordinamento italiano ha istituito un sistema di doppio binario 
sanzionatorio, in cui il rapporto tra illecito amministrativo e penale non venga risolto 
nel senso di un concorso apparente di norme. 
5.� (...) 
6.� Tutte le questioni di legittimit� costituzionale oggetto del presente giudizio sono inammissibili. 
6.1.� La questione sollevata in via principale dalla quinta sezione penale della Corte di 
cassazione � inammissibile in quanto non rilevante nel giudizio a quo. 
Essa concerne una disposizione, l�art. 187-bis del d.lgs. n. 58 del 1998, che ha gi� ricevuto 
definitiva applicazione dall�autorit� amministrativa nel relativo procedimento, mentre la Corte 
rimettente � piuttosto chiamata a giudicare in riferimento al reato di cui all�art. 184, comma 
1, lettera b), del medesimo d.lgs. n. 58 del 1998. 
L�eventuale accoglimento della questione di legittimit� costituzionale sollevata in relazione 
all�art. 187-bis del citato decreto non solo non consentirebbe di evitare la lamentata violazione 
del ne bis in idem, ma semmai contribuirebbe al suo verificarsi, dato che l�autorit� giudiziaria 
procedente dovrebbe comunque proseguire il giudizio penale ai sensi del precedente art. 184, 
bench� l�imputato sia gi� stato assoggettato, per gli stessi fatti, a un giudizio amministrativo 
divenuto definitivo e bench�, in considerazione della gravit� delle sanzioni amministrative 
applicate, a tale giudizio debba essere attribuita natura �sostanzialmente� penale, secondo 
l�interpretazione della Corte europea dei diritti dell�uomo. 
Tale abnorme effetto tradirebbe l�esigenza che non si produca nel processo principale la 
violazione della Costituzione, cui � sotteso il carattere pregiudiziale della questione di costituzionalit�, 
e con esso il requisito della rilevanza. Difatti, il divieto di bis in idem prescritto 
dall�art. 4 del Protocollo n. 7 alla CEDU verrebbe irrimediabilmente infranto, anzich� osservato, 
arrestando, come si dovrebbe, il corso del secondo giudizio. 
N� sono utili in senso contrario gli argomenti sviluppati dal rimettente per sostenere che, 
comunque, la dichiarazione di illegittimit� costituzionale dell�art. 187-bis del d.lgs. n. 58 del 
1998 produrrebbe effetti favorevoli all�imputato, posto che, in forza dell�art. 30, quarto 
comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della 
Corte costituzionale), andrebbe revocata la sanzione amministrativa pecuniaria determinata 
in base alla norma dichiarata incostituzionale e divenuta perci� priva di base legale. 
Questa Corte non ha motivo, a tale proposito, di saggiare la plausibilit� dell�argomentazione
88 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2016 
del rimettente sull�applicabilit� dell�art. 30, quarto comma, della legge n. 87 del 1953 al caso 
in cui sia stato dichiarato incostituzionale non un reato ma un illecito amministrativo che assume 
veste �penale� ai soli fini del rispetto delle garanzie della CEDU. � infatti preliminare 
osservare che, in ogni caso, si tratta di profili attinenti alle vicende della sanzione amministrativa, 
privi di rilevanza per il giudice rimettente, e quindi estranee al presente giudizio. Ma, 
soprattutto, torna a manifestarsi con forza il rilievo che essi non scongiurerebbero in alcun 
modo la violazione del ne bis in idem, pienamente integrata dal proseguimento, auspicato dal 
giudice a quo, del giudizio penale, quali che siano poi gli effetti di quest�ultimo sulla fase di 
esecuzione delle sanzioni penali e amministrative. 
Va aggiunto che la questione posta in via principale dalla Corte di cassazione, se da un lato 
non vale a prevenire il vulnus all�art. 4 del Protocollo n. 7 alla CEDU nel processo principale, 
dall�altro lato, sul piano sistematico, eccede lo scopo al quale dovrebbe essere invece ricondotta 
sulla base della norma interposta appena richiamata. 
� infatti pacifico, in base alla consolidata giurisprudenza europea, che il divieto di bis in 
idem ha carattere processuale, e non sostanziale. Esso, in altre parole, permette agli Stati aderenti 
di punire il medesimo fatto a pi� titoli, e con diverse sanzioni, ma richiede che ci� avvenga 
in un unico procedimento o attraverso procedimenti fra loro coordinati, nel rispetto 
della condizione che non si proceda per uno di essi quando � divenuta definitiva la pronuncia 
relativa all�altro. 
Non pu� negarsi che un siffatto divieto possa di fatto risolversi in una frustrazione del sistema 
del doppio binario, nel quale alla diversa natura, penale o amministrativa, della sanzione 
si collegano normalmente procedimenti anch�essi di natura diversa, ma � chiaro che spetta 
anzitutto al legislatore stabilire quali soluzioni debbano adottarsi per porre rimedio alle frizioni 
che tale sistema genera tra l�ordinamento nazionale e la CEDU. � significativo il fatto che in 
tale prospettiva si muove il recente art. 11, comma 1, lettera m), della legge delega 9 luglio 
2015, n. 114 (Delega al Governo per il recepimento delle direttive europee e l�attuazione di 
altri atti dell�Unione europea. Legge di delegazione europea 2014), per l�attuazione alla direttiva 
n. 2014/57/UE, che impone agli Stati membri di adottare sanzioni penali per i casi pi� 
gravi di abuso di mercato, commessi con dolo e permette loro di aggiungere una sanzione 
amministrativa nella linea dell�art. 30 del regolamento 16 aprile 2014, n. 596/2014 del Parlamento 
europeo e del Consiglio relativo agli abusi di mercato e che abroga la direttiva 
2003/6/CE del Parlamento europeo e del Consiglio e le direttive 2003/124/CE, 2003/125/CE 
e 2004/72/CE. 
6.2.� La questione sollevata in via subordinata, avente ad oggetto l�art. 649 cod. proc. pen., 
� a sua volta inammissibile. 
Il giudice a quo investe l�art. 649 cod. proc. pen. pur nella convinzione che tale via conduca 
a una soluzione di incerta compatibilit� con la stessa Costituzione, ma che nondimeno 
appare idonea ad impedire la lesione di un diritto della persona. La questione prospettata, 
infatti, richiede alla Corte un intervento additivo, che dichiari l�illegittimit� costituzionale 
dell�art. 649 cod. proc. pen. �nella parte in cui non prevede l�applicabilit� della disciplina 
del divieto di un secondo giudizio al caso in cui l�imputato sia stato giudicato, con provvedimento 
irrevocabile, per il medesimo fatto, nell�ambito di un procedimento amministrativo 
per l�applicazione di una sanzione alla quale debba riconoscersi natura penale ai sensi della 
Convenzione per la salvaguardia dei Diritti dell�Uomo e delle Libert� fondamentali e dei relativi 
Protocolli�. 
La stessa Corte rimettente, tuttavia, evidenzia che l�accoglimento di una tale questione de-
CONTENZIOSO NAZIONALE 89 
terminerebbe un�incertezza quanto al tipo di risposta sanzionatoria - amministrativa o penale 
- che l�ordinamento ricollega al verificarsi di determinati comportamenti, in base alla circostanza 
aleatoria del procedimento definito pi� celermente. Infatti, l�intervento additivo richiesto 
non determinerebbe un ordine di priorit�, n� altra forma di coordinamento, tra i due 
procedimenti - penale e amministrativo - cosicch� la preclusione del secondo procedimento 
scatterebbe in base al provvedimento divenuto per primo irrevocabile, ponendo cos� rimedio 
- come osserva la Corte rimettente - ai singoli casi concreti, ma non in generale alla violazione 
strutturale da parte dell�ordinamento italiano del divieto di bis in idem, come censurata dalla 
Corte europea dei diritti dell�uomo, nel caso Grande Stevens. 
La stessa Corte rimettente sottolinea, poi, che l�incertezza e la casualit� delle sanzioni applicabili 
potrebbero a loro volta dar luogo alla violazione di altri principi costituzionali: anzitutto, 
perch� si determinerebbe una violazione dei principi di determinatezza e di legalit� 
della sanzione penale, prescritti dall�art. 25 Cost.; in secondo luogo perch� potrebbe risultare 
vulnerato il principio di ragionevolezza e di parit� di trattamento, di cui all�art. 3 Cost.; infine, 
perch� potrebbero essere pregiudicati i principi di effettivit�, proporzionalit� e dissuasivit� 
delle sanzioni, imposti dal diritto dell�Unione europea, come esplicitato dalla Corte di giustizia 
dell�Unione europea (sentenza, 23 febbraio 2013, in causa C-617/10 Aklagaren contro Akerberg 
Fransson), in violazione, quindi, degli artt. 11 e 117 Cost. 
Nel ragionamento del giudice rimettente, per�, tali �incongruenze� dovrebbero soccombere 
di fronte al prioritario rilievo da conferire alla tutela del diritto personale a non essere giudicato 
due volte per lo stesso fatto. Il sacrificio dei principi costituzionali or ora ricordati � perci� 
legato strettamente, nell�iter logico del giudice a quo, all�infondatezza della questione principale, 
che la Corte di cassazione ha individuato quale via privilegiata per risolvere il dubbio 
di costituzionalit�. 
Sotto questo aspetto si coglie il carattere perplesso della motivazione sulla non manifesta 
infondatezza della questione subordinata, che ne segna l�inammissibilit�. �, infatti, lo stesso 
rimettente a postulare, a torto o a ragione, che l�adeguamento dell�ordinamento nazionale all�art. 
4 del Protocollo n. 7 alla CEDU dovrebbe avvenire prioritariamente attraverso una strada 
che egli non pu� percorrere per difetto di rilevanza, cosicch� la questione subordinata diviene 
per definizione una incongrua soluzione di ripiego. 
6.3.� Parimenti inammissibile � la questione sollevata dalla sezione tributaria della Corte 
di cassazione, in ordine all�art. 187-ter, comma 1, del d.lgs. n. 58 del 1998, in quanto formulata 
in maniera dubitativa e perplessa. 
Il giudice a quo, infatti, dopo aver affermato che con la sentenza Grande Stevens e altri 
contro Italia, �appare chiaro l�orientamento dei giudici di Strasburgo di rimproverare agli organi 
giurisdizionali la mancata disapplicazione [sic] di un principio (ne bis in idem) che il legislatore 
nazionale ha introdotto in materia penale ma non nei rapporti tra sanzione 
amministrativa di natura penale e sanzione penale� e che il principio affermato dalla Corte 
europea sarebbe �bidirezionale� - nel senso che esso troverebbe applicazione sia nel caso di 
sanzione amministrativa precedente quella penale, sia nel caso inverso, come quello occorso 
nella specie, nel quale il giudizio penale si � esaurito prima di quello amministrativo ancora 
sub iudice - la sezione tributaria della Corte di cassazione ritiene di dover sollevare la questione 
di legittimit� costituzionale dell�art. 187-ter, comma 1, del d.lgs. n. 58 del 1998, in 
quanto �non appare conforme ai principi sovranazionali sanciti dalla CEDU la previsione del 
doppio binario e, quindi, della cumulabilit� tra sanzione penale e amministrativa, applicata in 
processi diversi�.
90 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2016 
L�ordinanza prosegue osservando che occorrerebbe, �verificare se la obbligatoriet� delle 
sanzioni amministrative nel sistema degli illeciti di market abuse sia configgente col sistema 
del c.d. divieto del ne bis in idem, allorch� venga preliminarmente emessa una sanzione penale 
e se, eventualmente, quest�ultima, a prescindere dalla sua afflittivit� e proporzionalit�, in relazione 
al fatto commesso, sia preclusiva alla comminatoria della sanzione amministrativa, o 
se ne debba solamente tenere conto al fine della successiva comminatoria della sanzione amministrativa
�, ci� anche alla luce della direttiva europea n. 2003/6/CE che impone agli Stati 
membri di prevedere sanzioni amministrative effettive, proporzionate e dissuasive e del sistema 
previsto dagli artt. 187-duodecies e 187-terdecies del d.lgs. n. 58 del 1998 che impongono 
di non sospendere i procedimenti amministrativi per abusi di mercato pur in pendenza 
del procedimento penale per i medesimi fatti, stabilendo, poi, che la esazione della pena pecuniaria 
eventualmente inflitta in sede penale sia limitata alla parte eccedente quella riscossa 
dall�autorit� amministrativa. 
In tal modo, la Corte rimettente non scioglie i dubbi che essa stessa formula quanto alla 
compatibilit� tra la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell�uomo e i principi del diritto 
dell�Unione europea - sia in ordine alla eventuale non applicazione della normativa interna, 
sia sul possibile contrasto tra l�interpretazione del principio del ne bis in idem prescelta dalla 
Corte europea dei diritti dell�uomo e quella adottata nell�ordinamento dell�Unione europea, 
anche in considerazione dei principi delle direttive europee che impongono di verificare l�effettivit�, 
l�adeguatezza e la dissuasivit� delle sanzioni residue - dubbi che dovevano invece essere 
superati e risolti per ritenere rilevante e non manifestamente infondata la questione 
sollevata. 
Tali perplessit� e la formulazione dubitativa della motivazione si riflettono, poi, sull�oscurit� 
e incertezza del petitum, giacch� il rimettente finisce per non chiarire adeguatamente la 
portata dell�intervento richiesto a questa Corte, ci� che costituisce ulteriore ragione di inammissibilit� 
della questione sollevata. 
PER QUESTI MOTIVI 
LA CORTE COSTITUZIONALE 
riuniti i giudizi, 
1) dichiara inammissibili le questioni di legittimit� costituzionale dell�art. 187-bis, comma 
1, del decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58 (Testo unico delle disposizioni in materia di 
intermediazione finanziaria, ai sensi degli articoli 8 e 21 della legge 6 febbraio 1996, n. 52) e 
dell�art. 649 del codice di procedura penale, sollevate, per violazione dell�art. 117, primo 
comma, della Costituzione, in relazione all�art. 4 del Protocollo n. 7 alla Convenzione per la 
salvaguardia dei diritti dell�uomo e delle libert� fondamentali, adottato a Strasburgo il 22 novembre 
1984, ratificato e reso esecutivo con la legge 9 aprile 1990, n. 98, dalla quinta sezione 
penale della Corte di cassazione, con l�ordinanza indicata in epigrafe; 
2) dichiara inammissibile la questione di legittimit� costituzionale dell�art. 187-ter, comma 
1, del d.lgs. n. 58 del 1998, sollevata, per violazione dell�art. 117, primo comma, Cost., in relazione 
all�art. 4 del Protocollo n. 7 alla CEDU, dalla sezione tributaria della Corte di cassazione, 
con l�ordinanza indicata in epigrafe. 
Cos� deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l�8 
marzo 2016.
CONTENZIOSO NAZIONALE 91 
La solidariet� intergenerazionale quale strumento di giustizia 
redistributiva. Commento a Corte costituzionale n. 173 del 2016 
Gabriele Pepe* 
Il presente articolo, muovendo dall�analisi della sentenza n. 173/2016 
della Consulta relativa al prelievo forzoso sulle c.d. pensioni d�oro, intende 
illustrare il fondamento ed i caratteri del principio di solidariet� intergenerazionale. 
A tal proposito l�indagine � incentrata sull�art. 2 della Costituzione e, 
segnatamente, sulla stretta correlazione tra diritti inviolabili e doveri inderogabili 
proiettata in una dimensione di tipo diacronico. 
Con la sentenza in commento la Corte si � pronunciata sui rilievi mossi 
da alcune Sezioni della Corte dei conti alla legittimit� del prelievo forzoso 
introdotto con riferimento alle pensioni di importo pi� elevato per gli anni 
2014-2015-2016 (1). In particolare, le censure investivano la disposizione 
dell�art. 1 co. 486 l. 147/2013, per contrasto con gli artt. 2, 3, 4, 35, 36, 38, 
53, 81, 97 e 136 Cost. 
La Consulta dichiarava non fondate le questioni sollevate, preservando 
cos� la legittimit� (e l�efficacia) del prelievo forzoso voluto dal Governo italiano 
presieduto da Enrico Letta. 
Nello scrutinio di costituzionalit� la Corte ricostruisce, in modo coerente 
e con argomentazioni pertinenti, la natura, i caratteri e le finalit� del prelievo 
forzoso sulle pensioni d�oro. La sentenza afferma, in primo luogo, che tale 
prelievo (2) non ha natura tributaria di imposta (3), poich� non viene acquisito 
dallo Stato n� � destinato alla fiscalit� generale, bens� � riscosso direttamente 
dall�INPS e trattenuto nell�ambito della propria gestione per soddisfare finalit� 
solidaristiche interne al circuito previdenziale (4). In secondo luogo, stabilisce 
che il suddetto prelievo rinviene in ambito pensionistico la propria ratio nel 
(*) Avvocato, Ricercatore di Diritto amministrativo presso l�Universit� degli Studi Guglielmo Marconi. 
(1) Trattasi di un contributo di solidariet�, dal 6 al 18 per cento, introdotto nel triennio 2014-2016 
sulle pensioni superiori da 14 a oltre 30 volte rispetto al trattamento annuo minimo erogato dall�INPS. 
(2) Si �, nella specie, in presenza di un prelievo, inquadrabile nel genus delle prestazioni patrimoniali 
imposte per legge ai sensi dell�art. 23 Cost., che persegue lo scopo di contribuire agli oneri finanziari 
del sistema previdenziale. 
(3) Tale affermazione consente di respingere la censura relativa alla elusione del giudicato costituzionale. 
Infatti, la Corte ritiene che il prelievo forzoso non colpisca le pensioni erogate negli anni 
2011-2012 diversamente incise da un precedente prelievo di natura tributaria dichiarato costituzionalmente 
illegittimo. Invece, il contributo introdotto dalla l. 147/2013, da un lato, non ha natura giuridica 
di imposta e, dall�altro, trova applicazione esclusivamente alle pensioni di importo pi� elevato a partire 
dal 2014. La Corte esclude, cos�, che la disposizione impugnata contrasti con l'art. 136 Cost. 
(4) Tra queste finalit� - sostiene la Corte - rientrerebbe anche la finalit� di tutela dei c.d. lavoratori 
esodati.
92 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2016 
principio di solidariet� intergenerazionale (5), derivazione diretta degli artt. 2 
e 38 della Costituzione. Aggiunge la Corte come tale misura legislativa trovi 
giustificazione, in un periodo di grave recessione economica (6), nella necessit� 
di rendere finanziariamente sostenibile il sistema pensionistico italiano. 
Inoltre, il prelievo di solidariet� � ritenuto conforme ai princ�pi costituzionali 
di ragionevolezza e proporzionalit�, anche in ragione della sua temporanea 
applicazione. Tutto ci� giustifica una deroga alla tutela dell�affidamento dei 
pensionati incisi al mantenimento del proprio trattamento economico (7). 
Nell�ambito del giudizio di legittimit� costituzionale, avente ad oggetto 
l'art. 1 co. 486 l. 147/2013, la Corte attribuisce rilievo decisivo alla c.d. mutualit� 
intergenerazionale, perseguita attraverso un prelievo forzoso da destinare 
in favore dei lavoratori presenti e futuri. La Consulta per la prima volta 
afferma espressamente un principio di solidariet� (responsabilit�) tra le generazioni 
in un�ottica di giustizia redistributiva (8). 
Il percorso argomentativo della pronuncia sottende l�affermazione di una 
nuova concezione circolare dei diritti e dei doveri che si sviluppi diacronicamente 
coinvolgendo soggetti di generazioni diverse. Tale peculiare applicazione 
del principio solidaristico impone una rivisitazione della tradizionale 
tecnica di analisi delle categorie giuridiche dei diritti e dei doveri, specie costituzionali; 
si richiede, infatti, all�interprete un approccio intertemporale nello 
studio delle situazioni giuridiche soggettive, attive e passive, capace di coniugare 
i bisogni di pi� generazioni. 
La Costituzione repubblicana del �48 non contiene riferimenti espliciti 
alla solidariet� (responsabilit�) intergenerazionale; ciononostante, come affermato 
nella sentenza in commento, se ne pu� rinvenire un solido fondamento 
negli artt. 2 (9) e 38. In particolare l�art. 2 contiene un catalogo aperto 
di doveri inderogabili (10) di solidariet� politica (11), economica e sociale 
(5) Secondo la Consulta �il contributo, dunque, deve operare all�interno dell�ordinamento previdenziale, 
come misura di solidariet� forte, mirata a puntellare il sistema pensionistico, e di sostegno 
previdenziale ai pi� deboli, anche in un�ottica di mutualit� intergenerazionale, siccome imposta da una 
situazione di grave crisi del sistema stesso�. 
(6) La profonda crisi economico-finanziaria che ha investito l�ordinamento pensionistico � riconducibile 
ad una pluralit� di fattori, endogeni ed esogeni al sistema: la recessione internazionale, la disoccupazione, 
la scarsit� di risorse e, da ultimo, l�assenza di riforme strutturali. 
(7) In ragione della rilevanza dei molteplici e conflittuali interessi in gioco, ogni intervento legislativo, 
per superare lo scrutinio di costituzionalit�, deve presentare caratteri di ragionevolezza, proporzionalit� 
e non arbitrariet�. In giurisprudenza Corte cost., 2 aprile 2014, n. 69, in www.giurcost.org.; 
Corte cost., 27 giugno 2012, n. 166, in www.giurcost.org. 
Sulla tutela dell�affidamento come principio generale F. MANGANARO, Principio di buona fede e attivit� 
delle amministrazioni pubbliche, Napoli, 1995, pp. 1 ss.; F. MERUSI Buona fede e affidamento nel diritto 
pubblico. Dagli anni trenta all�alternanza, Milano, 2001, pp. 1 ss. 
(8) A ben osservare, infatti, lo Stato di oggi non � pi� lo Stato censitario borghese del sec. XIX 
ma si presenta come uno Stato sociale dove, appunto, la componente sociale implica necessariamente 
una giustizia redistributiva tra i consociati che si realizza attraverso mirati interventi legislativi a tutela 
dei soggetti pi� deboli.
CONTENZIOSO NAZIONALE 93 
di cui la Repubblica richiede l�adempimento a persone e istituzioni. Tali doveri 
pubblici (12) si giustificano alla luce, appunto, del principio solidaristico 
pacificamente riconosciuto come un principio giuridico (13), di prioritario 
rilievo costituzionale (14), che assicura una coesa convivenza sociale all�interno 
della comunit� (15). 
L�art. 2 riveste un ruolo giuridico di primo piano nel sistema ordinamentale 
e, in quanto norma impositiva di doveri e obblighi sui consociati (16), de- 
(9) V. CRISAFULLI, Lo spirito della Costituzione, in Comitato Nazionale per la celebrazione della 
promulgazione della Costituzione, Studi per il decennale della Costituzione. Raccolta di scritti sulla 
Costituzione, vol. I, Milano, 1958, p. 104. Secondo l�Autore l�art. 2 della Costituzione rappresenterebbe 
�la chiave di volta dell�intero ordinamento costituzionale�, costruito sui diritti inviolabili della persona 
e sui doveri inderogabili di solidariet�. In particolare il principio solidaristico �si inscrive nel nucleo 
duro dei valori che appartengono al costituzionalismo contemporaneo� (L. MEZZETTI (a cura di), Diritti 
e doveri, Torino, 2013, p. 233). 
(10) L�inderogabilit� di tali doveri ne evidenzia la tendenziale incomprimibilit� se non in virt� di 
altri valori, superiori o di pari grado, costituzionalmente rilevanti (Corte cost., 28 febbraio 1992, n. 75, 
in www. giurcost.org.; Corte cost., 29 marzo 1983, n. 77, in www. giurcost.org.; Corte cost., 19 luglio 
1996, n. 259, in www. giurcost.org). 
(11) La solidariet� politica va intesa come forma di solidariet� nella polis, nella comunit� civile 
(F. CERRONE, Genealogia della cittadinanza, Roma, 2004, spec. pp. 64 ss. e pp. 198 ss.). Tra i doveri di 
solidariet� politica si annoverano il dovere di fedelt� alla Repubblica, il dovere di osservare la Costituzione 
e le leggi, il dovere di voto nonch� il dovere di difendere la patria. 
(12) Sulla tematica dei doveri pubblici e, segnatamente, dei doveri costituzionali, in dottrina S. 
ROMANO, Diritti assoluti, doveri, obblighi, ora in Frammenti di un dizionario giuridico, Milano, 1953, 
pp. 1 ss.; G. LOMBARDI, Contributo allo studio dei doveri costituzionali, Milano, 1967, pp. 1 ss.; C. CARBONE, 
I doveri pubblici individuali, Milano, 1968, pp. 1 ss.; G. TARLI BARBIERI, voce Doveri inderogabili, 
in Diz. dir. pubbl., diretto da S. CASSESE, vol. III, Milano, 2006, pp. 2071 ss.; A. VIGNUDELLI, Diritto costituzionale, 
V ed., rist., Torino, 2010, p. 459; D. FLORENZANO, D. BORGONOVO RE, F. CORTESE, Diritti 
inviolabili, doveri di solidariet� e principio di uguaglianza, Torino, 2012, pp. 1 ss.; G. BASCHERINI, voce 
Doveri costituzionali, Diritto on line 2014, in www.treccani.it. 
(13) G. NICOLETTI, voce Solidarismo e personalismo, in Noviss. Dig. it., vol. XVII, Torino, 1970, 
p. 836. N. LIPARI, La cultura della solidariet� nella Costituzione italiana, in Parlamento, n. 12/1989, p. 
17. F. GIUFFR�, La solidariet� nell�ordinamento costituzionale, Milano, 2002, pp. 1 ss. R. CIPPITANI, La 
solidariet� giuridica tra pubblico e privato, Universit� degli Studi di Perugia, 2010, pp. 1 ss. S. RODOT�, 
Solidariet�. Un�utopia necessaria, Roma-Bari, 2014, pp. 1 ss. 
(14) F. GIUFFR�, La solidariet� nell�ordinamento costituzionale, op. cit., p. 3. In giurisprudenza 
paradigmatica Corte cost., 9 maggio 1997, n. 127, in www.giurcost.org. 
(15) Corte cost., 28 febbraio 1992, n. 75, in www.giurcost.org. In dottrina G. DALLA TORRE, Prolusione 
al Convegno di studio per il 50� dell�Unione italiana giuristi cattolici su La solidariet� tra etica 
e diritto, Roma 5-8 dicembre 1998, in Iustitia 1999, p. 367. Secondo l�Autore la solidariet� consente il 
perseguimento in comune di interessi complessi sicch� necessariamente in ciascun ordinamento sono 
rintracciabili vincoli di solidariet� �fra i componenti il corpo sociale e tra questi e il legislatore�. 
(16) Per un�analisi dell�art. 2 Cost., in dottrina, A. BARBERA, Commento all�art. 2, in Commentario 
della Costituzione, a cura di G. BRANCA, Principi fondamentali (art. 1-12), Bologna-Roma, 1975, pp. 
97 ss. R. D�ALESSIO, Art. 2, in Commentario breve alla Costituzione, a cura di V. CRISAFULLI e L. PALADIN, 
Padova, 1990, pp. 9-13. L. PALADIN, Diritto costituzionale, III ed., Padova, 1998, p. 594. E. ROSSI, Art. 
2, in Commentario alla Costituzione, vol. I, a cura di R. BIFULCO, A. CELOTTO, M. OLIVETTI, Torino, 
2006, p. 56. G. DI COSIMO, Art. 2, in Commentario breve alla Costituzione, a cura di S. BARTOLE, R. 
BIN., Padova, 2010, p. 10. A. MORELLI, I principi costituzionali relativi ai doveri inderogabili di solidariet�, 
in Principi costituzionali, a cura di L. VENTURA, A. MORELLI, Milano, 2015.
94 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2016 
linea un modello di solidariet� doverosa che, tuttavia, non esclude forme di 
solidariet� spontanea (17). In questa prospettiva, allora, la solidariet�, non pu� 
essere intesa come fatto meramente privatistico, di elargizione gratuita, bens� 
deve essere concepita come dovere di cittadinanza (18) ed impegno pubblicistico 
gravante tanto sui singoli quanto sulle istituzioni (19); infatti, il principio 
di solidariet� impegna pure la Repubblica quale comunit� civile organizzata 
(20). Per tale ragione l�art. 2 deve essere letto congiuntamente all�art. 119 V 
co. (21) che assegna alla Repubblica un ruolo attivo nella rimozione degli ostacoli, 
economici e sociali, che limitano di fatto la libert�, l�uguaglianza (22) ed 
il pieno sviluppo della persona. 
Va precisato, poi, come, nell�odierno scenario di endemica crisi economica, 
assumano centrale rilievo tra i doveri costituzionali i doveri di solidariet� 
economica e sociale (23). 
La struttura dell�art. 2 Cost., non a caso inserito tra i princ�pi fondamentali 
dell�ordinamento della Repubblica, (che per taluni avrebbe valore di super legalit� 
costituzionale), prescrive una lettura congiunta dei doveri inderogabili 
di solidariet� e dei diritti fondamentali inviolabili, postulando tra gli uni e gli 
altri un rapporto di reciproca necessariet� (24). Infatti, la norma introduce una 
visione dell�uomo uti socius, bilanciando e limitando, con l�imposizione di 
doveri (25), l�esercizio dei diritti. I doveri di solidariet� costituiscono, pertanto, 
(17) L�ordinamento costituzionale, in ogni caso, promuove e tutela anche forme di solidariet� 
spontanea. A riguardo E. ROSSI, Art. 2, in Commentario alla Costituzione, vol. I, a cura di R. BIFULCO, 
A. CELOTTO, M. OLIVETTI, op. cit., p. 57 secondo il quale il principio di solidariet� legittimerebbe anche 
quei comportamenti che ciascuno, come singolo o associato, compie per la realizzazione degli interessi 
della collettivit� �al di fuori di obblighi posti dall�ordinamento normativo e perci� in forza del vincolo 
di doverosit��. In tema anche S. GALEOTTI, Il valore della solidariet�, in Dir. soc., 1996, pp. 10 ss. 
(18) A. DE DOMINICIS (a cura di), Amicizia e professione. Contributi al dibattito sul sociale, Collana 
I quaderni di Oasi Lab, nic 02, Edizioni del Faro, 2013, p. 92. Secondo l�Autore �il principio di solidariet� 
nella nostra Carta costituzionale non � assimilabile al principio di restituzione o principio filantropico 
che vige negli Stati Uniti, non � obbligazione morale, ma si inscrive nei doveri di cittadinanza�. 
(19) La solidariet� ha una duplice dimensione, orizzontale e verticale, poich� riguarda sia la sfera 
privata dei rapporti intersoggettivi sia la sfera pubblica degli interventi dello Stato e degli altri soggetti 
pubblici. 
(20) La Repubblica � un concetto che comprende e trascende lo Stato e va intesa come ordinamento 
complessivo della societ� civile. Essa ricomprende, oltre allo Stato, gli enti territoriali ed i corpi 
intermedi. 
(21) Art. 119 V co. Cost.: �per promuovere lo sviluppo economico, la coesione e la solidariet� 
sociale, per rimuovere gli squilibri economici e sociali, per favorire l'effettivo esercizio dei diritti della 
persona, o per provvedere a scopi diversi dal normale esercizio delle loro funzioni, lo Stato destina risorse 
aggiuntive ed effettua interventi speciali in favore di determinati comuni, province, citt� metropolitane 
e Regioni�. 
(22) Sulla solidariet� come principio giuridico complementare al principio di uguaglianza L. MENGONI, 
Fondata sul lavoro: la Repubblica tra diritti inviolabili e doveri inderogabili di solidariet�, in 
Jus 1998, p. 48. 
(23) Tra i doveri di solidariet� economica, a titolo esemplificativo, possono citarsi il dovere di 
concorrere alle spese pubbliche mediante pagamento dei tributi e il dovere di svolgere una attivit� lavorativa 
per concorrere al progresso materiale e morale della societ�.
CONTENZIOSO NAZIONALE 95 
un argine all�egoistico individualismo dei diritti (26), promuovendo, cos�, la 
coesione sociale in una societ� frammentata, pluralista e pluriclasse quale 
l�odierna societ� italiana. La visione solidaristica dell�art. 2 emerge sin dai lavori 
preparatori dell�Assemblea Costituente ove i diritti inviolabili e i doveri 
inderogabili vengono definiti �lati inscindibili�, complementari e necessari 
gli uni agli altri (27). 
La disposizione ha, invero, rappresentato il luogo di confluenza e sintesi 
del personalismo cattolico, dell�individualismo liberale e dell�umanesimo marxista 
(28). Storicamente il valore della solidariet� � transitato dapprima dalla 
sfera etico-religiosa (29) a quella politica prima di essere positivizzato nell�ordinamento 
giuridico (30). 
Come detto, la solidariet�, intesa come principio giuridico, ha significative 
ricadute sui diritti e i doveri individuali, influenzandone i caratteri e l�ambito 
applicativo. Del resto, secondo l�insegnamento della migliore dottrina, il 
principio solidaristico rappresenta la chiave di lettura delle situazioni giuridiche 
soggettive, attive e passive (31). La solidariet� si realizza, in tal modo, nei 
(24) Sussiste uno stretto legame di interdipendenza tra diritti e doveri in ragione del quale l�adempimento 
dei doveri � teleologicamente orientato al pieno ed effettivo esercizio dei diritti inviolabili, sicch� 
in assenza dei doveri i diritti risulterebbero formule vuote, mere petizioni di principio. Si ha, in tal 
senso, una funzionalizzazione dei doveri rispetto alla tutela dei diritti. 
(25) Per la nozione di dovere, nell�ambito della teoria generale, E. BETTI, voce Dovere giuridico 
(teoria gen.), in Enc. dir., vol. XIV, Milano, 1965, p. 53. Secondo l�Autore l�ordine etico � fonte di 
vincoli aventi natura extra-giuridica i quali, stante la necessit� di assicurare la civile convivenza, rilevano 
anche per il diritto assicurando un costante collegamento con il costume e la morale. 
(26) G. ALPA, voce Solidariet�, in Nuova giur. comm., 1994, p. 365. L�Autore considera la solidariet� 
uno strumento di integrazione sociale ed un correttivo all�esasperato individualismo dei diritti. 
I doveri di solidariet� sono il fondamento di una civile convivenza ispirata ai valori della libert� individuale 
e della giustizia sociale. 
(27) Nel corso dei lavori dell�Assemblea Costituente la previsione dei doveri inderogabili di solidariet�, 
accanto ai diritti fondamentali inviolabili, si deve al Presidente della Commissione dei 75 Meucci 
Ruini il quale cos� interveniva: �i proponenti hanno aderito alla mia tenace insistenza perch� in questo 
articolo si mettano insieme, come lati inscindibili, come due aspetti dei quali uno non pu� sceverare dall�altro, 
i diritti e i doveri�. Il discorso di Ruini � riportato in F. FALZONE, F. PALERMO, F. COSENTINO, La 
Costituzione della Repubblica italiana. Illustrata con i lavori preparatori, Milano, 1987, p. 30. 
(28) A. CERRI, voce Doveri pubblici, in Enc. giur. Treccani, vol. XII, Roma, 1988, p. 1. 
(29) Il principio solidaristico affonda le sue radici nell�ordinamento della Chiesa cattolica. Di particolare 
rilievo in tema � l�Enciclica di GIOVANNI PAOLO II, Sollecitudo rei socialis, 30 dicembre 1987, 
n. 38, in www.google.com, ove la solidariet� � intesa non gi� come �un sentimento di vaga compassione 
o di superficiale intenerimento per i mali di tante persone, vicine o lontane. Al contrario � la determinazione 
ferma e perseverante di impegnarsi per il bene comune ossia per il bene di tutti e di ciascuno 
perch� tutti siano veramente responsabili di tutti�. 
(30) Tra i tanti, A. FALZEA, Introduzione alle scienze giuridiche. Il concetto di diritto, IV ed., Milano, 
1992, pp. 1 ss. 
(31) F. SANTORO PASSARELLI, Dottrine generali del diritto civile, IX ed., Napoli, 1989, p. 76. Secondo 
l�Autore �il contenuto del diritto soggettivo � determinato dal principio di solidariet� fra i due soggetti 
del rapporto, come partecipi entrambi della stessa comunit�, nel senso che la subordinazione di un interesse 
all�altro interesse concreto � consentita fin dove essa non urti contro quella solidariet�, che non si 
realizza nella comunit� senza prima realizzarsi nel nucleo costituito dai soggetti del rapporto giuridico�.
96 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2016 
singoli rapporti giuridici dei componenti di una comunit�, incidendo in senso 
conformativo sugli interessi e sulle rispettive posizioni; anche i diritti inviolabili 
ed i doveri inderogabili della persona, scolpiti dall�art. 2 Cost., sono conformati 
dal principio solidaristico per garantire la coesione sociale (32) e 
scongiurare il bellum omnium contra omnes. 
Da quanto illustrato emerge come ai doveri inderogabili di solidariet� 
l�ordinamento attribuisca il compito di mitigare l�esercizio dei diritti, specie 
quelli finanziariamente condizionati, al precipuo scopo di preservare le condizioni 
di un loro godimento futuro da parte di altre generazioni. � allora evidente 
la circolarit� che intercorre tra i diritti e i doveri costituzionali; una 
circolarit� che si sviluppa lungo una direttrice diacronica capace di unire presente 
e futuro; ci� testimonia un�esigenza di affermazione della persona come 
membro di una collettivit� organizzata, con i suoi diritti ed i suoi doveri, esercitati 
nello spazio e nel tempo (33). Proprio l�attuazione del principio personalista 
nell�odierno Stato sociale prescrive un�inscindibile correlazione tra il 
riconoscimento dei diritti inviolabili della persona e l�adempimento dei doveri 
inderogabili di solidariet� politica, economica e sociale. 
Storicamente, se la trattazione dei diritti fondamentali inviolabili (34) � 
stata oggetto di attenta riflessione, minori attenzioni sono state rivolte in dottrina 
ed in giurisprudenza all�analisi dei doveri inderogabili di solidariet�. 
La materia dei diritti costituzionali si presenta, oggi ancor pi� che in 
passato, instabile ed in continua evoluzione (35). Va rilevato come, nel corso 
dei decenni, il catalogo dei diritti inviolabili sia stato progressivamente 
esteso fino a ricomprendere, oltre ai diritti menzionati in Costituzione, anche 
diritti individuati dalla legge o elaborati dalla giurisprudenza nazionale ed 
europea. La potenzialit� espansiva dell�art. 2 ha, cos�, legittimato un graduale 
ampliamento del novero dei diritti fondamentali anche per merito 
dell�attivit� pretoria della Corte di giustizia nella tutela delle libert� e dei 
diritti individuali. 
Nella prospettiva di una interpretazione storico-evolutiva sono, oggi, 
maturi i tempi per ricomprendere nell�alveo applicativo dell�art. 2 anche i diritti 
delle generazioni future, specie nelle materie, quali la materia pensionistica, 
ove l�esercizio dei diritti risulti finanziariamente condizionato. A ben 
(32) L. PALADIN, Diritto costituzionale, III ed., op. cit., p. 594. 
(33) Alla luce del principio solidaristico, applicato alla concezione dell�uomo uti socius, l�azione 
individuale deve necessariamente avere una proiezione sociale. 
(34) In dottrina, tra i tanti, P. GROSSI, Introduzione allo studio dei diritti inviolabili, Padova, 1972, 
pp. 1 ss. A. BARBERA, Commento all�art. 2, in Commentario della Costituzione, a cura di G. BRANCA, 
Principi fondamentali (art. 1-12), op. cit., pp. 50 ss. P. BARILE, Diritti dell�uomo e libert� fondamentali, 
Bologna, 1984, pp. 1 ss. 
(35) Molte categorie concettuali tradizionali, anche le pi� resistenti e collaudate, risultano oggi 
non pi� utili per comprendere, sistemare o anche solo descrivere la mutata realt� dei nostri tempi.
CONTENZIOSO NAZIONALE 97 
osservare, poi, non si tratterebbe di nuovi diritti, ma dei medesimi diritti gi� 
garantiti a livello costituzionale, anche se tali diritti, con i relativi doveri, vedrebbero 
esteso il proprio raggio d�azione ad una prospettiva intertemporale, 
attenta alle esigenze del presente ma anche ai bisogni del futuro. Una simile 
ricostruzione riceve, altres�, conferma nell�art. 2 ove tanto i diritti inviolabili 
quanto i doveri inderogabili sono riferiti all�uomo senza alcuna specificazione 
temporale (36). Del resto, il principio di solidariet� (responsabilit�) intergenerazionale 
� idoneo a ricomprendere, da un lato, i diritti futuri di soggetti 
futuri, dall�altro, i diritti futuri di soggetti presenti (37). Si pensi, in quest�ultimo 
caso, al diritto alla pensione dei lavoratori attuali. � evidente, allora, 
come il godimento di tale diritto dipenda sia dal verificarsi delle prescritte 
condizioni giuridiche sia dal complessivo equilibrio finanziario dell�ordinamento 
pensionistico. Una sostenibilit� che nel sistema italiano, fondato sul 
metodo della ripartizione (38), viene assicurata, principalmente, da forme ordinarie 
e straordinarie di solidariet� intergenerazionale che impongono diritti 
e doveri a ciascuna generazione a tutela delle prerogative delle generazioni 
presenti e di coloro che verranno (39). 
In periodi di persistente crisi economica si richiedono, poi, al legislatore 
interventi eccezionali di giustizia redistributiva (40), come il prelievo di solidariet� 
sulle pensioni pi� elevate, per assicurare a tutti, nel corso del tempo, il 
godimento dei medesimi diritti. L�importanza progressivamente acquisita 
(36) P. TORRETTA, Responsabilit� intergenerazionale e procedimento legislativo. Soggetti, strumenti 
e procedure di positivizzazione degli interessi delle generazioni future, in Un diritto per il futuro. 
Teorie e modelli dello sviluppo sostenibile e della responsabilit� intergenerazionale, a cura di R. BIFULCO, 
A. D�ALOIA, Napoli, 2008, pp. 699 ss. 
(37) La responsabilit� intergenerazionale pu� essere di due tipi: 
a) una responsabilit� verso le generazioni future che ancora non esistono; anche ad esse viene riconosciuta 
una soggettiva giuridica, con possibilit� di azionare nel presente pretese giuridiche loro imputabili; 
b) una responsabilit� intergenerazionale in senso stretto che si instaura in modo reciproco tra due generazioni 
entrambe esistenti. Tale responsabilit� � propria del sistema previdenziale pubblico caratterizzando, 
in particolare, i rapporti tra pensionati e lavoratori (V. VALENTI, Diritto alla pensione e questione 
intergenerazionale. Modello costituzionale e decisioni politiche, Torino, 2013, p. 66). 
(38) E. SOMAINI, Equit� e riforma del sistema pensionistico, Bologna, 1996, pp. 1 ss. Secondo 
l�Autore il sistema a ripartizione � caratterizzato dalla circostanza che le odierne prestazioni pensionistiche 
sono finanziate dai contributi versati dai lavoratori attuali. Il sistema pubblico pensionistico si 
configura, allora, come sistema di rapporti aperti tra le generazioni, in cui l�esercizio dei diritti degli 
uni � consentito dall�adempimento dei doveri degli altri. 
(39) La tutela intergenerazionale trova piena cittadinanza nell�ordinamento italiano anche grazie alla 
giurisprudenza europea che, nel corso dei decenni, ha progressivamente esteso l�ambito di tutela delle libert� 
e dei diritti individuali; lungo tale direttrice si � definitivamente transitati dalla prospettiva della proclamazione 
a quella dell�effettiva protezione delle situazioni giuridiche soggettive. In argomento anche M. DOGLIANI, 
I. MASSA PINTO, Elementi di diritto costituzionale, Torino, 2015, pp. 255 ss. che sottolineano il 
collegamento inscindibile tra i diritti delle generazioni future e i doveri delle generazioni presenti. 
(40) Tali interventi, in attuazione del principio di uguaglianza sostanziale, promuovono l�integrazione 
della persona nella comunit� civile organizzata, rimuovendo ostacoli di tipo economico all�esercizio 
dei diritti e delle libert� individuali.
98 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2016 
nell�ordinamento italiano ha reso i diritti sociali diritti fondamentali inviolabili 
nonch� principi generali dell�ordinamento europeo (41). 
Nella sentenza in commento la Corte ha avuto il merito di affermare in 
ambito pensionistico il principio della mutualit� intergenerazionale. D�altronde, 
il tema della responsabilit� tra le generazioni � un tema noto e di pi� 
ampio respiro che intercetta trasversalmente la materia dell�ambiente (42), del 
debito pubblico, della sicurezza alimentare (43) etc. Inoltre, riferimenti alla 
solidariet� intergenerazionale sono presenti in molte Carte sovranazionali tra 
cui la Carta di Nizza (Preambolo) (44) e il TUE (art. 3) (45). 
Nel proclamare un principio di responsabilit� tra le generazioni (46) la 
Consulta ha implicitamente affermato la dimensione intertemporale dei diritti 
e dei doveri, gli uni inscindibilmente connessi e dipendenti dagli altri, anche 
se riconducibili a diverse generazioni. In questa prospettiva � facile cogliere 
l�obiettivo di giustizia sostanziale che un prelievo forzoso sulle pensioni di importo 
pi� elevato realizza attraverso il reimpiego delle somme all�interno del 
circuito previdenziale. In tal modo, il futuro godimento di uno o pi� diritti sociali 
per alcuni � necessariamente correlato alla attuale imposizione su altri di 
uno o pi� doveri di solidariet� economica. Doveri che il legislatore pu� eccezionalmente 
introdurre nel rispetto dei principi di ragionevolezza e proporzionalit�, 
come avvenuto nel caso prospettato con il prelievo sulle pensioni d�oro. 
Dalle considerazioni svolte emerge come l�ordinamento italiano sia costruito 
(41) In argomento si rinvia a G. PEPE, Principi generali dell�ordinamento comunitario e attivit� 
amministrativa, Roma, 2012, pp. 1 ss. 
(42) T. MARTINES, Diritti e doveri ambientali, in Panorami n. 6/1994, pp. 1 ss. Per l�Autore il dovere 
di solidariet� ambientale rinverrebbe il proprio fondamento nell�art. 2 della Costituzione, quale 
clausola aperta, fonte sia di diritti inviolabili non scritti sia di doveri di solidariet� innominati. 
(43) C. ZANGHI, Per una tutela delle generazioni future, in Jus - Riv. sc. giur. n. 1/1999, p. 638. 
Di particolare interesse il contributo di J. RAWLS, A Theory of Justice, 1971, trad. it. Una teoria della 
giustizia, Milano, 1999, cui deve tributarsi il merito di aver inserito la tematica delle generazioni future 
nell�ambito di una teoria della giustizia come equit�. 
Sui diritti delle generazioni future correlati alle responsabilit� delle generazioni presenti G. MAJORANA, 
Il dovere di solidariet� e le generazioni future, in I doveri costituzionali: la prospettiva del giudice delle 
leggi, Atti Convegno Acqui Terme - Alessandria 9-10 giugno 2006, a cura di R. BALDUZZI, M. CAVINO, 
E. GROSSO, J. LUTHER, Torino, 2007, pp. 403 ss. R. BIFULCO, Diritto e generazioni future. Problemi della 
responsabilit� intergenerazionale, Milano, 2008. A. PISAN�, Diritti deumanizzati. Animali, ambiente, 
generazioni future, specie umana, Milano, 2012, pp. 148 ss. V. VALENTI, Diritto alla pensione e questione 
intergenerazionale. Modello costituzionale e decisioni politiche, op. cit., pp. 1 ss. A. SCARABELLO, Quali 
doveri verso le generazioni future? Le istituzioni di fronte alle istanze dei posteri, in Riv. trim. scienz. 
amm., n. 4/2013, pp. 125-136. A. URICCHIO (a cura di), L�emergenza ambientale a Taranto: le risposte 
del mondo scientifico e le attivit� del polo Magna Grecia, Bari, 2014, pp. 1 ss. 
(44) Il Preambolo della Carta di Nizza prevede �responsabilit� e doveri nei confronti degli altri 
come pure della comunit� umana e delle generazioni future�. Il riferimento �, quindi, non solo ai viventi 
ma anche a coloro che verranno. 
(45) Secondo l�art. 3 del TUE l�Unione europea promuove la solidariet� tra le generazioni e tra 
gli Stati membri. 
(46) G. PONTARA, Etica e generazioni future, Bari, 1995, pp. 22 ss.
CONTENZIOSO NAZIONALE 99 
su una circolarit� di rapporti tra diritti inviolabili e doveri inderogabili, di tipo 
diacronico, nonch� su una costante dialettica tra libert� e responsabilit�. Tale 
schema discende direttamente dall�art. 2 Cost. che va inteso quale norma fondativa 
di un patto intragenerazionale ed intergenerazionale (47), ispirato ad un principio 
di equit� sociale e di giustizia redistributiva. A ragione pu� parlarsi, in 
proposito, di una dimensione intertemporale dei doveri di solidariet�, sub specie 
di solidariet� economica. L�intertemporalit� dei doveri, del resto, si pone quale 
tecnica di tutela idonea ad assicurare a pi� di una generazione l�inviolabilit� dei 
propri diritti attraverso la possibilit� di un loro effettivo esercizio nel tempo; un 
discorso perfettamente applicabile al futuro diritto alla pensione dei lavoratori attuali; 
un diritto che deve essere progressivamente tutelato assicurando adeguata 
liquidit� al sistema anche attraverso prelievi forzosi sui pensionati pi� ricchi. 
Invero, sulla scorta di un tacito patto sociale (48) coloro che oggi godono 
di elevati trattamenti pensionistici, a fortiori se maturati con il metodo retributivo 
(49), sono giuridicamente responsabili verso le altre generazioni, presenti 
e future e devono, pertanto, contribuire economicamente per scongiurare il collasso 
del sistema pensionistico (50); solo in questo modo � possibile conferire 
effettivit� all�altrui godimento di diritti sociali finanziariamente condizionati. 
Ebbene, la questione della solidariet� intergenerazionale si presenta quale 
questione redistributiva di giustizia sociale. Lo stesso diritto alla pensione � 
inquadrabile in una dimensione intertemporale che mira a tutelare non �una 
singola persona, un singolo individuo durante la (limitata) durata della vita, 
ma astrattamente un�intera generazione futura, il susseguirsi delle generazioni 
di uomini e cittadini come un�unit� indistinta� (51). 
(47) A. D�ALOIA (a cura di), Diritti e Costituzione. Profili evolutivi e dimensioni inedite, Milano, 
2003, pp. 1 ss. Secondo l�Autore �una teoria giuridica dei diritti (o delle responsabilit� nei confronti) 
delle generazioni future costituisce in realt� una teoria della Costituzione� la quale � per sua natura 
�un processo relazionale tra generazioni�. 
(48) V. VALENTI, Diritto alla pensione e questione intergenerazionale. Modello costituzionale e 
decisioni politiche, op. cit., pp. 79-80. 
(49) L�importo elevato di molte pensioni d�oro dipende dalla applicazione del metodo c.d. retributivo, 
sicch� il pensionato viene a percepire una somma superiore ai contributi versati, con un considerevole 
aggravio per la fiscalit� generale chiamata a farsi carico di una parte del trattamento 
pensionistico. L�imposizione di un prelievo forzoso su tali pensioni non pone un problema di diritti quesiti. 
In ogni caso, il principio dei diritti quesiti, quale principio generale dell�ordinamento giuridico, risulterebbe 
derogato dal superiore principio costituzionale della solidariet� intergenerazionale. Per una 
trattazione della tematica, sul piano della teoria generale, si rinvia ai contributi di G. CODACCI PISANELLI, 
Diritti quesiti, Bari, 1976, pp. 1 ss. G. TARELLO, Il problema dei diritti quesiti nelle codificazioni moderne, 
in Coscienza civile e problemi della democrazia oggi, Studi in memoria di Aldo Moro, Milano, 
1984, pp. 165 ss. 
(50) Chi ha una pensione superiore alla media � tenuto a versare un contributo, a titolo di solidariet�, 
per far fronte alla grave emergenza economica in atto. La Corte afferma, pertanto, un principio di 
giustizia redistributiva, riconoscendo la legittimit� di un prelievo forzoso, solidale e ragionevole, che 
tuteli il diritto alla pensione dei giovani e delle future generazioni. 
(51) P. H�BERLE, Le libert� fondamentali nello Stato costituzionale, Urbino, 1993, pp. 208 ss.
100 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2016 
In conclusione, il rapporto intergenerazionale va considerato un rapporto 
giuridico regolato dai principi di responsabilit�, equit� e solidariet�. In particolare 
la prospettiva del futuro deve essere necessariamente inclusa nell'orizzonte 
della tutela giuridica (52) a protezione dei diritti della posterit�. Si pu� 
coerentemente riconoscere, allora, �un vero e proprio dovere delle generazioni 
presenti di astenersi dal frustrare quelle condizioni di equit� intertemporali 
di esercizio di un diritto fondamentale che il concetto di inviolabilit� richiama� 
(53) a tutela delle legittime aspettative di altre generazioni ed in particolare 
di coloro che verranno. In tale ottica un prelievo di solidariet� 
straordinario sulle pensioni di importo pi� elevato � misura finanziariamente 
necessaria, costituzionalmente legittima e politicamente giustificata dalla finalit� 
di rendere economicamente sostenibile l�ordinamento pensionistico nel 
presente e nel futuro. 
Corte costituzionale, sentenza 13 luglio 2016 n. 173 - Pres. P. Grossi, Red. M.R. Morelli - 
Giudizi di legittimit� costituzionale in via incidentale promossi dalla Corte dei Conti - Avv.ti 
Giovanni C. Sciacca per G.D., S.M.A., P.F. ed altri, Vincenzo Petrocelli per P.V.,Vittorio Angiolini 
per B.M. ed altri, Federico Sorrentino per A.A. ed altro, Luigi Adinolfi per S.S., Filippo 
Mangiapane per l�INPS e gli avv.ti Stato Federico Basilica e Gabriella Palmieri per il Presidente 
del Consiglio dei ministri. 
Ritenuto in fatto 
1.. Per contrasto con i parametri di cui agli artt. 2, 3, 4, 35, 36, 38, 53, 81, 97 e 136, 
della Costituzione, non sempre congiuntamente evocati, le sezioni giurisdizionali della Corte 
dei conti per la Regione Veneto (r.o. n. 65 del 2015), per la Regione Umbria (r.o. n. 163 del 
2015), per la Regione Campania (r.o. n. 91 e n. 340 del 2015) e per la Regione Calabria (r.o. 
n. 109 e n. 119 del 2015) - chiamate a pronunciarsi su altrettanti ricorsi di (singoli o pi�) 
titolari di pensioni a (totale o parziale) carico dello Stato (di importo superiore a quattordici 
volte il trattamento minimo INPS), i quali chiedevano che il loro trattamento non fosse decurtato 
del contributo di solidariet� introdotto, per il triennio 2014-2016, dal comma 486 dell�art. 
1 della legge 27 dicembre 2013, n. 147 (Disposizioni per la formazione del bilancio 
annuale e pluriennale dello Stato - Legge di stabilit� 2014) - hanno tutte sollevato, premessane 
la rilevanza, questioni di legittimit� costituzionale, variamente articolate ed argomentate, della 
disposizione di cui al predetto comma 486 dell�art. 1 della legge n. 147 del 2013. 
2.� La disposizione cos� denunciata prevede, appunto, un �contributo di solidariet�� per 
il triennio 2014-2016, su tutti i trattamenti pensionistici obbligatori eccedenti determinati 
(52) R. BIFULCO, Futuro e Costituzione. Premesse per uno studio sulla responsabilit� verso le generazioni 
future, in Studi in onore di Gianni Ferrara, vol. I, Giappichelli, 2005, p. 288. 
(53) V. VALENTI, Diritto alla pensione e questione intergenerazionale. Modello costituzionale e 
decisioni politiche, op. cit., pp. 67-68.
CONTENZIOSO NAZIONALE 101 
limiti stabiliti in relazione al trattamento minimo INPS: ossia del 6 per cento sugli importi 
lordi annui superiori da 14 a 20 volte il trattamento minimo INPS annuo; del 12 per cento 
sulla parte eccedente l�importo lordo annuo di 20 volte il trattamento minimo INPS annuo; e 
del 18 per cento sugli importi superiori a 30 volte il suddetto trattamento minimo, con acquisizione 
delle somme trattenute dalle competenti gestioni previdenziali obbligatorie, anche al 
fine di concorrere al finanziamento degli interventi di cui al comma 191 dell�art. 1 della stessa 
legge n. 147 del 2013 (ossia, al finanziamento concernente gli interventi di salvaguardia pensionistica 
in favore dei lavoratori cosidetti �esodati�). 
2.1.� Secondo i giudici contabili delle sezioni giurisdizionali per la Calabria e per l�Umbria, 
la su riferita disposizione contrasterebbe, in primo luogo, con l�art. 136 Cost., violando 
il giudicato costituzionale di cui alla sentenza di questa Corte n. 116 del 2013, in quanto ripropositiva 
di una norma sostanzialmente identica a quella (art. 18, comma 22-bis, del decreto-
legge 6 luglio 2011, n. 98 recante: �Disposizioni urgenti per la stabilizzazione 
finanziaria�), convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, dichiarata costituzionalmente 
illegittima dalla suddetta sentenza, destinata, infatti, agli stessi destinatari 
(pensionati) ed avente un identico oggetto, e cio� �un prelievo coattivo articolato su diverse 
fasce del reddito derivante da pensione�. 
2.2.� Tutti i rimettenti denunciano, poi, la violazione degli artt. 3 e 53 Cost., stante la 
natura di prelievo di natura tributaria, �al di l� del nomen iuris utilizzato� da ascrivere al contributo 
di solidariet�, risultandone i relativi requisiti (prestazione doverosa; imposizione per 
legge in assenza di rapporto sinallagmatico tra le parti; destinazione al finanziamento della 
spesa pubblica; correlazione ad un presupposto economicamente rilevante, che rappresenta 
indice di capacit� contributiva) in forza di ragioni analoghe a quelle espresse dalla sentenza 
n. 116 del 2013 in relazione al contributo di perequazione di cui al menzionato art. 18, comma 
22-bis, del d.l. n. 98 del 2011. 
2.3.� La sezione giurisdizionale per la Calabria, in riferimento ai parametri di cui agli 
artt. 2, 3, 36, 38 e 53 (congiuntamente evocati), addebita inoltre alla disposizione in esame di 
incidere su una ristretta platea di destinatari, per concorrere al raggiungimento di obbiettivi 
previdenziali, assistenziali e sociali, di contenuto alquanto vago ed indifferenziato, cos� da 
sottrarre la categoria colpita �a quella maggiore tutela sociale, giuridica ed economica assicurata 
nel sistema previdenziale vigente�, tenuto conto, altres�, della natura di retribuzione 
differita della pensione, assimilata ai redditi di lavoro dipendente, anche ai fini dell�applicazione 
dell�IRPEF. 
2.4.� A loro volta, la sezione giurisdizionale per il Veneto, in riferimento agli artt. 2, 3 
e 36, la sezione giurisdizionale per la Calabria, in riferimento agli artt. 3, 4, 35, 36, 38 e 53, 
e la sezione giurisdizionale per l�Umbria, in riferimento agli artt. 2, 3, 36 e 38 Cost., sospettano, 
sotto vari profili, violati il principio di ragionevolezza ed il principio del legittimo affidamento 
in quanto il contributo in questione inciderebbe autoritativamente sul reddito da 
pensione gi� maturato ex lege, senza, per un verso, essere �finalizzato all�effettuazione di 
prestazioni previdenziali/assistenziali puntualmente individuate� e, per altro verso, venendo 
al tempo stesso �acquisito indistintamente da ciascuna delle diverse gestioni previdenziali 
obbligatorie indipendentemente da ogni riferimento alle dinamiche dei rispettivi equilibri finanziari, 
e dunque anche da quelle che risultano in una situazione di equilibrio o addirittura 
di avanzo�, cosi da venir meno �qualsivoglia logica di correlazione tra an e quantum del contributo 
(compreso il suo orizzonte temporale triennale) e dinamiche finanziarie/prestazionali 
complessive del sistema previdenziale�.
102 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2016 
2.5.� Nella mancata indicazione de �i criteri� di destinazione delle somme trattenute 
con il prelievo la sezione giurisdizionale per la Calabria ravvisa un ulteriore profilo di violazione 
degli artt. 81 e 97 Cost.; profilo, questo, condiviso anche dal giudice delle pensioni per 
la Campania ma in riferimento al solo art. 97 Cost. 
2.6.� Infine, con l�ordinanza di rimessione iscritta al r.o. n. 109 del 2015, si prospetta il 
contrasto del comma 486 in esame con l�art. 3 Cost., sul presupposto che il contributo potrebbe 
essere diversamente disciplinato nel quantum dalle Regioni a statuto speciale, come � accaduto 
nel caso della Regione siciliana, che ha adottato apposita previsione legislativa (art. 22 della 
legge regionale 12 agosto 2014, n. 21, recante �Assestamento del bilancio della Regione per 
l�anno finanziario 2014. Variazioni al bilancio di previsione della Regione per l�esercizio finanziario 
2014 e modifiche alla legge regionale 28 gennaio 2014, n. 5 �Disposizioni programmatiche 
e correttive per l�anno 2014. Legge di stabilit� regionale�. Disposizioni varie) e ci� 
in antitesi rispetto al suo carattere perequativo finalizzato a rimpinguare il fondo nazionale 
INPS destinato agli esodati, in quanto diversificherebbe tra loro i medesimi soggetti passivi 
del contributo sulla base della loro residenza territoriale. 
3.� La sezione giurisdizionale della Corte dei conti per la Regione Calabria, con le due 
su citate ordinanze di rimessione, denuncia l�art. 1 della legge n. 147 del 2013 in relazione 
anche ai commi 483 (sulla cosiddetta perequazione automatica), 487 (sulle corrispondenti misure 
di contenimento, di pensioni e vitalizi, adottati dagli organi costituzionali, Regioni e Province 
autonome di Trento e di Bolzano) e 590 (sul rapporto tra contributo di solidariet� ex 
comma 486, e contributo sui redditi superiori ad euro 300.000,00 di cui all�art. 2, comma 2, 
del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138, convertito della legge 14 settembre 2011, n. 148, 
recante �Ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo�). 
3.1.� Il comma 483 violerebbe, secondo la rimettente, gli artt. 3 e 53 Cost. dissimulando 
�l�introduzione di una misura volta a realizzare un introito per l�Erario sotto forma di un risparmio 
realizzato forzosamente mediante la compressione di un diritto (quale quello all�adeguamento 
dei trattamenti) attribuito in via tendenziale ai pensionati�; gli artt. 36 e 38, 
introducendo in via definitiva una misura peggiorativa del trattamento pensionistico in precedenza 
spettante �con la conseguente, irrimediabile vanificazione delle aspettative legittimamente 
nutrite dal lavoratore per il tempo successivo alla cessazione della propria attivit��; 
l�art. 117, primo comma, Cost., e, per il suo tramite, la Convenzione europea per la salvaguardia 
dei diritti dell�uomo e delle libert� fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950, 
ratificata e resa esecutiva con la legge 4 agosto 1955, n. 848, come interpretata dalla Corte di 
Strasburgo, e, segnatamente, �con il principio della certezza del diritto come patrimonio comune 
di tradizioni degli Stati contraenti, che sopporta eccezioni solo se giustificate dal sopraggiungere 
di rilevanti circostanze di ordine sostanziale�, oltre che �con altri diritti garantiti 
dalla Carta: il diritto dell�individuo alla libert� e alla sicurezza (art. 6), il diritto di non discriminazione, 
che include anche quella fondata sul �patrimonio� (art. 21), il diritto degli anziani, 
di condurre una vita dignitosa e indipendente (art. 25), il diritto alla protezione della famiglia 
sul piano giuridico, economico e sociale (art. 33), il diritto di accesso alle prestazioni di sicurezza 
sociale e ai servizi sociali (art. 34)�. 
3.2.� Il comma 487 � denunciato �in raffronto� al comma 486, deducendosi che non 
essendo il comma 487 finalizzato ad interventi sul sistema previdenziale (posto che i risparmi 
di spesa confluiscono �al Fondo di cui al comma 48�), pur facendo applicazione dei principi 
di cui al comma 486, introdurrebbe �un ulteriore elemento di non chiarezza negli interventi 
normativi e di diseguaglianza di trattamento riservato a categorie distinte di pensionati�.
CONTENZIOSO NAZIONALE 103 
3.3.� Con gli artt. 3 e 53 Cost., contrasterebbe, infine, il comma 590, in quanto prevede 
che ai fini del raggiungimento del tetto di euro 300.000,00 (oltre il quale il contributo di solidariet� 
� pari al 3 per cento), si debba tener conto anche dei trattamenti pensionistici percepiti, 
sui quali, per�, il contributo � nella misura molto maggiore del 18 per cento stabilito dal precedente 
comma 486. 
4.� Si sono costituite innanzi a questa Corte numerose parti ricorrenti nei giudizi a quibus. 
In particolare: M.B. ed altri cinque; S.S.; D.G., A.S.M., nei giudizi relativi, rispettivamente, 
alle ordinanze di rimessione, iscritte al r.o. n. 65, n. 91, n. 109 e n. 119 del 2015. 
4.1.� Altri sedici ricorrenti si sono costituiti tardivamente nel giudizio relativo all�ordinanza 
n. 163 del 2015. 
4.2.� F.P. ed altri trentadue e, con separato tardivo atto, V.P., sono intervenuti ad adiuvandum 
nel giudizio relativo all�ordinanza, di rimessione iscritta al r.o. n. 109 del 2015. 
4.3.� Tutte le parti ricorrenti hanno svolto diffuse argomentazioni a sostegno della fondatezza 
delle questioni sollevate nei rispettivi processi di merito. 
4.4.� Nei giudizi di cui al r.o. n. 109 del 2015 e n. 119 del 2015, le parti private, gi� costituite 
nel presente giudizio, hanno depositato (separate) memorie, ribadendo le ragioni di 
illegittimit� delle norme censurate gi� sviluppate inizialmente, sottolineando, in particolare, 
come queste colpiscano, in modo indiscriminato, le pensioni di importo pi� elevato �derivanti 
da effettiva attivit� lavorativa e da piena corresponsione dei contributi�. 
5.� Nei giudizi relativi alle sei indicate ordinanze di rimessione, si � costituito, anche 
l�INPS, che ha successivamente depositato altrettante memorie. 
La difesa dell�Istituto ha preliminarmente eccepito l�inammissibilit� per irrilevanza delle 
questioni (sollevate dalla sola sezione giurisdizionale per la Calabria) relative ai commi 483, 
487 e 590 dell�art. 1 della legge n. 147 del 2013. 
Ha eccepito, altres�, l�inammissibilit� della questione concernente il comma 486, dello 
stesso articolo, per �carenza di motivazione sulla rilevanza e mancato esperimento del doveroso 
tentativo di ricercare un�interpretazione adeguatrice�, nei giudizi di cui al r.o. n. 65 del 
2015 e n. 91 del 2015; e per difetto assoluto di motivazione sulla giurisdizione nel giudizio 
di cui al r.o. n. 340 del 2015. Nel merito, ha contestato la fondatezza di ogni questione relativa 
al �contributo di solidariet��, di cui all�impugnato comma 486 dell�art. 1 della legge n. 147 
del 2013, sottolineandone innanzitutto la innegabile diversit� rispetto al �contributo di perequazione� 
caducato dalla sentenza di questa Corte n. 116 del 2013, e sottolineandone la natura 
non tributaria. 
Destituita di fondamento sarebbe, altres�, a suo avviso, la tesi per cui i proventi del prelievo 
non sarebbero destinati a finalit� solidaristiche. 
Nella specie sarebbe, quindi, evocabile, in coerenza con i principi solidaristici, la giurisprudenza 
costituzionale che ha dichiarato non fondate le questioni di legittimit� relative all�art. 
37 della legge 23 dicembre 1999, n. 488 (Disposizioni per la formazione del bilancio 
annuale e pluriennale dello Stato � Legge finanziaria 2000): ordinanze n. 160 del 2007 e n. 
22 del 2003, atteso anche che interventi peggiorativi sui trattamenti di pensione, ove non irrazionali 
e non lesivi �in modo eccessivo� dell�affidamento del cittadino (come nel caso in 
esame), non sarebbero preclusi al legislatore. 
6.� Il Presidente del Consiglio dei ministri � intervenuto in tutti i giudizi di che trattasi. 
Anche la difesa dello Stato ha eccepito, in limine, l�inammissibilit� della questione di 
legittimit� costituzionale del comma 486, sollevata, a suo avviso, dai rimettenti senza adeguata 
motivazione sulla rilevanza, con passivo recepimento delle deduzioni dei ricorrenti in ordine
104 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2016 
alla sua non manifesta infondatezza e senza previo esperimento di una possibile interpretazione 
adeguatrice. 
Nel merito, l�Avvocatura generale sostiene, tra l�altro, che il contributo in discussione 
non avrebbe natura tributaria, prevedendo, invece, in via eccezionale �una forma di riequilibrio 
�transitoria� (giacch� limitata a tre anni dal 1� gennaio 2014), dell�importo dei trattamenti all�interno 
dello stesso sistema pensionistico, in quanto le somme prelevate dai soggetti incisi, 
vengono anche acquisite dalle competenti gestioni previdenziali obbligatorie e non sono destinate 
alla fiscalit� generale�. 
Ci� anche in aderenza al principio per cui al legislatore non sarebbe interdetto di emanare 
disposizioni modificative in senso sfavorevole della disciplina sui rapporti di durata, ove 
esse non incidano arbitrariamente sulle situazioni sostanziali poste in essere da leggi precedenti, 
come per il caso regolato dal denunciato comma 486 che, incidendo sulle cosiddette 
�pensioni d�oro�, introdurrebbe una disposizione non irragionevole e rispettosa del principio 
di solidariet�. 
Non sarebbe, inoltre, violato l�art. 36 Cost., trattandosi di un prelievo contenuto non 
tale da far mancare ai pensionati mezzi adeguati alle loro esigenze di vita; e parimenti non 
vulnerato sarebbe il principio di affidamento, per l�incidenza non sproporzionata, appunto, 
del contributo sul trattamento pensionistico, non insuscettibile di subire gli effetti di discipline 
pi� restrittive introdotte da leggi sopravvenute non irragionevoli. 
Sotto il profilo previdenziale, sussisterebbero, per di pi�, nel caso in esame, ragioni specifiche 
�che differenziano la posizione dei pensionati soggetti al contributo rispetto alla generalit� 
dei cittadini e degli altri lavoratori e pensionati�, giacch� i primi, stante l�alto livello 
pensionistico conseguito, avrebbero �evidentemente beneficiato di una costante presenza nel 
mercato del lavoro e della mancanza di qualsivoglia tetto contributivo�. 
Del resto, in situazioni particolari, in cui vi � necessit� di salvaguardare l�equilibrio della 
finanza pubblica, l�intervento legislativo di cui alla disposizione denunciata sarebbe rispettoso 
dei principi costituzionali, in quanto impone un sacrificio eccezionale, transeunte, non arbitrario 
e rispondente allo scopo prefisso. 
Il Presidente del Consiglio dei ministri ha sottolineato, infine, l�impatto economico che 
avrebbe l�eliminazione del contributo in questione, sostenendo che di tale effetto occorrerebbe 
tenere conto, segnatamente a seguito della riforma costituzionale recata dalla legge costituzionale 
20 aprile 2012, n. 1 (Introduzione del principio del pareggio di bilancio nella Carta 
costituzionale), che ha riscritto l�art. 81 Cost., prevedendo il principio dell�equilibrio di bilancio. 
Considerato in diritto 
1.. Con le sei ordinanze di rimessione, del cui contenuto si � gi� pi� ampiamente detto 
nel Ritenuto in fatto, le sezioni giurisdizionali della Corte dei conti per la Regione Veneto, 
per la Regione Umbria e (con due ordinanze ciascuna) le sezioni giurisdizionali per la Regione 
Campania e per la Regione Calabria prospettano dubbi di legittimit� costituzionale dell�art. 
1, comma 486, della legge 27 dicembre 2013, n. 147 (Disposizioni per la formazione del bilancio 
annuale e pluriennale dello Stato � Legge di stabilit� 2014), per contrasto, sotto vari 
profili, con gli artt. 2, 3, 4, 35, 36, 38, 53, 81, 97 e 136 della Costituzione. 
1.1.� La sezione per la Regione Calabria estende la propria denuncia anche ai commi 
483, 487 e 590 dello stesso art. 1 della legge n. 147 del 2013. 
2.� I sei giudizi � nei quali si sono costituiti sia numerosi ricorrenti nei processi a quibus 
sia il resistente Istituto Nazionale della Previdenza Sociale (INPS), ed � intervenuto il Presi-
CONTENZIOSO NAZIONALE 105 
dente del Consiglio dei ministri � per la sostanziale identit� o per la complementariet�, comunque, 
dei quesiti formulati, possono riunirsi per essere unitariamente decisi. 
3.� Preliminarmente, va confermata l�ordinanza dibattimentale, che resta allegata alla 
presente sentenza, con la quale sono stati dichiarati inammissibili la costituzione tardiva di 
parti nel giudizio relativo alla ordinanza di rimessione n. 163 del 2015 e l�intervento �adesivo� 
di altri soggetti nel giudizio relativo all�ordinanza n. 109 del 2015. 
4.� Sia l�INPS che il Presidente del Consiglio dei ministri hanno spiegato, tramite le proprie 
difese, un ampio ventaglio di eccezioni di inammissibilit� che, in quanto ostative, in tesi, 
all�ingresso al merito delle questioni sollevate, vanno esaminate con carattere di priorit�. 
4.1.� Sono fondate le eccezioni (formulate dall�INPS) di inammissibilit� per irrilevanza 
delle questioni (sollevate dalla sezione giurisdizionale per la Regione Calabria nelle due sue 
ordinanze di rimessione) aventi ad oggetto i commi 487 e 590 dell�art. 1 della legge scrutinata. 
Entrambe tali disposizioni non vengono, infatti, in applicazione nei giudizi a quibus, 
posto che la prima (comma 487) riguarda gli organi costituzionali, le Regioni e Province autonome 
(con particolare riferimento ai vitalizi), e non comunque i pensionati a carico dello 
Stato; e la seconda (comma 590) attiene al contributo di solidariet� sui redditi e non sulle pensioni 
e, inoltre, in nessun caso si afferma da quel giudice a quo che i ricorrenti siano titolari 
di redditi oltre i trecentomila euro. 
4.2.� Non fondata �, viceversa, l�eccezione di inammissibilit� della questione relativa 
al comma 483 della legge medesima, formulata dall�istituto resistente sul presupposto che al 
riguardo �tutte le censure sollevate sono gi� state scrutinate da Codesta Corte nella sentenza 
70 del 2015�. 
Si tratta, infatti, di eccezione che non attiene al profilo della inammissibilit�, sebbene al 
proprium del merito (vedi sub. punto 6). 
4.3.� Non fondate sono, altres�, le eccezioni, sia dell�istituto resistente che della difesa 
dello Stato, con le quali - relativamente alle questioni che investono il comma 486 - si deducono 
l�insufficiente motivazione sulla rilevanza, la critica adesione alla prospettazione delle 
parti nei giudizi a quibus e l�omissione del doveroso previo tentativo di interpretazione costituzionalmente 
orientata della predetta disposizione. 
Tutte le ordinanze di rimessione motivano adeguatamente, infatti, sulla rilevanza; assumono 
una propria autonoma posizione sui dubbi di costituzionalit� prospettati dalle parti ed 
escludono che, per l�univocit� del dato normativo, si possa pervenire ad una sua esegesi �adeguatrice� 
(che, in tesi dell�Avvocatura generale dello Stato e della difesa dell�INPS, dovrebbe 
peraltro, condurre ad un rigetto e non all�inammissibilit�, delle questioni in esame). 
4.4.� Del pari non fondata � l�eccezione dell�INPS che attiene al difetto di motivazione 
sulla rilevanza in punto di giurisdizione della Corte dei conti, ovvero per difetto di giurisdizione 
nei confronti di taluni (soltanto) ricorrenti, nei giudizi di cui a r.o. n. 65, n. 91 e n. 109 del 2015. 
Nell�un caso, la sussistenza della giurisdizione � plausibilmente, infatti, motivata in ragione 
della natura pensionistica della controversia; e, nell�altro, il difetto di giurisdizione rispetto 
a taluni ricorrenti soltanto (perch� titolari di pensione non a carico dello Stato) non 
elide la giurisdizione della Corte dei conti rispetto agli altri ricorrenti e, quindi, sussiste la rilevanza 
della questione. 
5.� Superano, dunque, il vaglio di ammissibilit� le sole questioni di legittimit� costituzionale 
concernenti i commi 483 e 486 dell�art. 1 della legge 147 del 2013. 
6.� Il comma 483 � denunciato unicamente dalla sezione giurisdizionale per la Calabria 
(r.o. n. 109 e n. 119 del 2015), �per contrasto con gli articoli 3, 53, 36 e 38 della Costituzione,
106 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2016 
nonch� con l�art. 117, primo comma, Cost. per violazione della Convenzione europea dei diritti 
dell�uomo (artt. 6, 21, 25, 33, 34), come anche interpretata dalla Corte di Strasburgo�. 
6.1.� La disposizione cos� sottoposta a scrutinio di costituzionalit� riconosce, per il triennio 
2014-2016, la �rivalutazione automatica dei trattamenti pensionistici� in misura progressivamente 
decrescente dal 100 al 40 per cento, in corrispondenza all�importo del trattamento 
pensionistico, rispettivamente, superiore da tre a sei volte (per il solo anno 2014) il trattamento 
minimo INPS. 
6.2.� Secondo la rimettente tale disposizione sarebbe censurabile per le medesime ragioni 
(dissimulazione di un ulteriore prelievo fiscale a carico dei soli pensionati) gi� poste a 
base di precedente denuncia di illegittimit� costituzionale dell�analogo art. 24, comma 25, del 
decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 (Disposizioni urgenti per la crescita, l�equit� e il consolidamento 
dei conti pubblici), come convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 
2011, n. 214. 
6.3.� La questione - inammissibile in riferimento ai parametri europei, qui evocati dal 
giudice a quo in assenza di qualsiasi motivazione in ordine alla (solo) asserita loro violazione 
(sentenze n. 70 del 2015, n. 158 del 2011, ex plurimis) - �, nel merito, non fondata. 
� pur vero, infatti, che la limitazione della rivalutazione monetaria dei trattamenti pensionistici, 
per il biennio 2012-2013, di cui al citato art. 24, comma 25, del d.l. n. 201 del 2011 
� stata dichiarata costituzionalmente illegittima con sentenza di questa Corte n. 70 del 2015. 
Ma questa stessa sentenza (al punto 7 del Considerato in diritto ) ha sottolineato come 
da quella norma (prevedente un �blocco integrale� della rivalutazione per le pensioni di importo 
superiore a tre volte il minimo) si �differenzi� (non condividendone, quindi, le ragioni 
di incostituzionalit�) l�art. 1, comma 483, della legge 147 del 2013, il quale viceversa, �ha 
previsto, per il triennio 2014-2016, una rimodulazione nell�applicazione della percentuale di 
perequazione automatica sul complesso dei trattamenti pensionistici, secondo il meccanismo 
di cui all�art. 34, comma 1, della legge n. 448 del 1998, con l�azzeramento per le sole fasce 
di importo superiore a sei volte il trattamento minimo INPS e per il solo anno 2014�, ispirandosi 
�a criteri di progressivit�, parametrati sui valori costituzionali della proporzionalit� e 
della adeguatezza dei trattamenti di quiescienza�. 
7.� Residua, da ultimo, la verifica di costituzionalit� del comma 486, su cui soprattutto 
si concentra l�interesse dei giudici a quibus. 
7.1.� Aggregate per profili di identit�, di (anche solo parziale) sovrapposizione o, comunque, 
di complementariet� - ed unitariamente quindi valutate - le plurime censure rivolte, 
con le sei ordinanze di rimessione, al �contributo di solidariet��, che l�impugnato comma 486 
dell�art. 1 della legge n. 147 del 2013 pone, per un triennio, a carico dei titolari di �trattamenti 
pensionistici corrisposti da enti gestori di forme di previdenza obbligatorie� complessivamente 
superiori da quattordici a trenta volte il trattamento minimo INPS, innescano altrettante questioni 
di legittimit� costituzionale. 
Le quali, coordinate in scala di logica consequenzialit�, possono, a loro volta, cos� riassumersi. 
Se il �contributo di solidariet�� qui oggetto di scrutinio, violi: 
a) l�art. 136 Cost., in ragione della sostanziale �identit� della fattispecie normativa prevista 
dal comma 486 rispetto a quella dell�art. 18, comma 22-bis, del D. L. 6 luglio 2011 n. 
98, a suo tempo dichiarato illegittimo dalla Corte�, con la ricordata sentenza n. 116 del 2013 
(cos�, in particolare, ordinanza di rimessione n. 109 del 2015); 
b) gli artt. 3 e 53 Cost., trattandosi, al di l� del nomen iuris, di un (mascherato) prelievo
CONTENZIOSO NAZIONALE 107 
tributario, risolventesi - al pari del cosiddetto contributo di perequazione di cui al citato art. 
18, comma 22-bis, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98 (Disposizioni urgenti per la stabilizzazione 
finanziaria), come convertito - in �un intervento impositivo irragionevole e discriminatorio 
ai danni di una sola categoria di cittadini�; 
c) gli artt. 3 e (secondo la sezione giurisdizionale per la Regione Calabria) 81 e 97 Cost. 
(quest�ultimo parametro evocato anche dalla sezione per la Regione Campania), poich� (ove 
anche configurato come prestazione imposta ai fini di solidariet� endoprevidenziale) il contributo 
in questione risulterebbe comunque connotato dalla �vaghezza della formulazione legislativa 
[che] costituisce un indizio della sua irrazionalit� non essendo chiarito, ad esempio, quali 
siano i criteri attraverso i quali le somme derivanti dai contributi di solidariet� saranno destinate 
ad aiutare i titolari di pensioni pi� basse ma con quali criteri oppure se serviranno anche per 
fronteggiare i disavanzi della disoccupazione e della cassa integrazione INPS che sono per lo 
pi� alimentati dallo Stato ovvero, ancora, se una parte del ricavato (peraltro indeterminata e 
mai quantificata) possa essere utilizzata per il cosiddetto Fondo INPS per gli esodati�; 
d) gli artt. 2, 3, 36 e 38 Cost., poich� - non costituendo il prelievo de quo, un contributo 
di solidariet� (per superamento dei limiti intrinseci che dovrebbero connotare un siffatto contributo), 
n� una riduzione del trattamento di quiescenza conseguente ad una modifica normativa 
del sistema pensionistico - esso si configurerebbe come una mera ablazione del 
trattamento di quiescenza dei pensionati incisi, in contrasto con i principi di razionalit�-solidariet�, 
oltre che di adeguatezza pensionistica e della proporzionalit� con l�attivit� lavorativa 
prestata ed i contributi pagati, risultando, altres�, leso anche il �principio dell�affidamento�, 
per non essere ragionevole la riduzione del trattamento pensionistico operata nella specie; 
e) l�art. 3 (primo comma) Cost., in ragione della diversa disciplina del comma 486 rispetto 
a quella - pi� favorevole in ordine al quantum del prelievo - introdotta dalla Regione 
Sicilia con l�art. 22 della legge 12 agosto 2014, n. 21 (Assestamento del bilancio della Regione 
per l�anno finanziario 2014. Variazioni al bilancio di previsione della Regione per l�esercizio 
finanziario 2014 e modifiche alla legge regionale 28 gennaio 2014, n. 5 �Disposizioni programmatiche 
e correttive per l�anno 2014. Legge di stabilit� regionale�. Disposizioni varie). 
8.� Venendo allo scrutinio delle questioni cos� elencate, deve, in primo luogo, escludersi 
che sussista la denunciata violazione dell�art. 136 Cost. 
Il �contributo di solidariet�� ora in contestazione non colpisce, infatti, le pensioni erogate 
negli anni (2011-2012), incise dal precedente contributo perequativo, dichiarato costituzionalmente 
illegittimo in ragione della sua accertata natura tributaria e definitivamente, quindi, 
caducato (e conseguentemente recuperato da quei pensionati) per effetto della sentenza di 
questa Corte n. 116 del 2013; colpisce, invece, sulla base di differenti presupposti e finalit�, 
pensioni, di elevato importo, nel successivo periodo, a partire dal 2014. 
E tanto esclude che la disposizione sub comma 486 dell�art. 1 della legge n. 147 del 2013 
sia elusiva del giudicato costituzionale (rappresentato dalla suddetta sentenza), atteso appunto, 
che l�odierna disposizione non disciplina le stesse fattispecie gi� regolate dal precedente art. 
18, comma 22-bis, del d.l. n. 98 del 2011, n� surrettiziamente proroga gli effetti di quella norma 
dopo la sua rimozione dall�ordinamento giuridico (vedi sentenza n. 245 del 2012). 
Ragione per cui ci� che, a questo punto, resta da valutare � se la riproposizione, per il 
futuro, di una forma di prelievo, che si denuncia �analoga� a quella rimossa con la citata sentenza 
n. 116 del 2013, non violi, a sua volta, gli artt. 3 e 53 della Costituzione. 
9.� Neppure i suddetti parametri possono dirsi, per�, vulnerati dalla disposizione in esame. 
E ci� per il motivo, assorbente, che il contributo, che ne forma oggetto, non riveste la natura
108 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2016 
di imposta, attribuitagli dai rimettenti quale presupposto per il sollecitato controllo di compatibilit� 
con il precetto (altrimenti non pertinente) di cui all�art. 53, in relazione all�art. 3 Cost. 
Il prelievo istituito dal comma 486 della norma impugnata non � configurabile, infatti, 
come tributo non essendo acquisito allo Stato, n� destinato alla fiscalit� generale, ed essendo, 
invece, prelevato, in via diretta, dall�INPS e dagli altri enti previdenziali coinvolti, i quali - 
anzich� versarlo all�Erario in qualit� di sostituti di imposta - lo trattengono all�interno delle 
proprie gestioni, con specifiche finalit� solidaristiche endo-previdenziali, anche per quanto 
attiene ai trattamenti dei soggetti cosiddetti �esodati�. 
Si tratta, del resto, di una misura non strutturalmente dissimile - come sottolineato dalla 
difesa dello Stato - da quella a suo tempo introdotta dall�art. 37 della legge 23 dicembre 1999, 
n. 488 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - Legge 
finanziaria 2000), il quale analogamente disponeva che �A decorrere dal 1� gennaio 2000 e 
per un periodo di tre anni, sugli importi dei trattamenti pensionistici corrisposti da enti gestori 
di forme di previdenza obbligatorie complessivamente superiori al massimale annuo previsto 
dall�art. 2, comma 18, della legge 8 agosto 1995, n. 335, � dovuto, sulla parte eccedente, un 
contributo di solidariet� nella misura del 2 per cento [�]�. 
Norma, quest�ultima, che questa Corte ebbe a ritenere non in contrasto con gli artt. 3 e 
53 Cost., in quanto �volta a realizzare un circuito di solidariet� interno al sistema previdenziale
� (ordinanza n. 22 del 2003), e neppure contraria agli artt. 2, 36 e 38 Cost. (ordinanza n. 
160 del 2007). 
10.� Si � dunque, nella specie, in presenza di un prelievo inquadrabile nel genus delle 
prestazioni patrimoniali imposte per legge, di cui all�art. 23 Cost., avente la finalit� di contribuire 
agli oneri finanziari del sistema previdenziale (sentenza n. 178 del 2000; ordinanza n. 
22 del 2003). 
11.� Resta allora da verificare se il contributo di solidariet� sulle pensioni pi� alte, come 
disciplinato dal censurato comma 486, risponda a criteri di ragionevolezza e proporzionalit�, 
tenendo conto dell�esigenza di bilanciare la garanzia del legittimo affidamento nella sicurezza 
giuridica con altri valori costituzionalmente rilevanti. 
11.1.� In linea di principio, il contributo di solidariet� sulle pensioni pu� ritenersi misura 
consentita al legislatore ove la stessa non ecceda i limiti entro i quali � necessariamente costretta 
in forza del combinato operare dei principi, appunto, di ragionevolezza, di affidamento 
e della tutela previdenziale (artt. 3 e 38 Cost.), il cui rispetto � oggetto di uno scrutinio �stretto� 
di costituzionalit�, che impone un grado di ragionevolezza complessiva ben pi� elevato di 
quello che, di norma, � affidato alla mancanza di arbitrariet�. 
In tale prospettiva, � indispensabile che la legge assicuri il rispetto di alcune condizioni, 
atte a configurare l�intervento ablativo come sicuramente ragionevole, non imprevedibile e 
sostenibile. 
Il contributo, dunque, deve operare all�interno dell�ordinamento previdenziale, come 
misura di solidariet� �forte�, mirata a puntellare il sistema pensionistico, e di sostegno previdenziale 
ai pi� deboli, anche in un�ottica di mutualit� intergenerazionale, siccome imposta da 
una situazione di grave crisi del sistema stesso, indotta da vari fattori - endogeni ed esogeni 
(il pi� delle volte tra loro intrecciati: crisi economica internazionale, impatto sulla economia 
nazionale, disoccupazione, mancata alimentazione della previdenza, riforme strutturali del sistema 
pensionistico) - che devono essere oggetto di attenta ponderazione da parte del legislatore, 
in modo da conferire all�intervento quella incontestabile ragionevolezza, a fronte della 
quale soltanto pu� consentirsi di derogare (in termini accettabili) al principio di affidamento
CONTENZIOSO NAZIONALE 109 
in ordine al mantenimento del trattamento pensionistico gi� maturato (sentenze n. 69 del 2014, 
n. 166 del 2012, n. 302 del 2010, n. 446 del 2002, ex plurimis). 
L�effettivit� delle condizioni di crisi del sistema previdenziale consente, appunto, di salvaguardare 
anche il principio dell�affidamento, nella misura in cui il prelievo non risulti sganciato 
dalla realt� economico-sociale, di cui i pensionati stessi sono partecipi e consapevoli. 
Anche in un contesto siffatto, un contributo sulle pensioni costituisce, per�, una misura 
del tutto eccezionale, nel senso che non pu� essere ripetitivo e tradursi in un meccanismo di 
alimentazione del sistema di previdenza. 
Il prelievo, per essere solidale e ragionevole, e non infrangere la garanzia costituzionale 
dell�art. 38 Cost. (agganciata anche all�art. 36 Cost., ma non in modo indefettibile e strettamente 
proporzionale: sentenza n. 116 del 2010), non pu�, altres�, che incidere sulle �pensioni 
pi� elevate�; parametro, questo, da misurare in rapporto al �nucleo essenziale� di protezione 
previdenziale assicurata dalla Costituzione, ossia la �pensione minima�. 
Inoltre, l�incidenza sulle pensioni (ancorch�) �pi� elevate� deve essere contenuta in limiti 
di sostenibilit� e non superare livelli apprezzabili: per cui, le aliquote di prelievo non 
possono essere eccessive e devono rispettare il principio di proporzionalit�, che � esso stesso 
criterio, in s�, di ragionevolezza della misura. 
In definitiva, il contributo di solidariet�, per superare lo scrutinio �stretto� di costituzionalit�, 
e palesarsi dunque come misura improntata effettivamente alla solidariet� previdenziale 
(artt. 2 e 38 Cost.), deve: operare all�interno del complessivo sistema della previdenza; essere 
imposto dalla crisi contingente e grave del predetto sistema; incidere sulle pensioni pi� elevate 
(in rapporto alle pensioni minime); presentarsi come prelievo sostenibile; rispettare il principio 
di proporzionalit�; essere comunque utilizzato come misura una tantum. 
11.2.� Tali condizioni appaiono, sia pur al limite, rispettate nel caso dell�intervento legislativo 
in esame. 
Come detto, esso opera all�interno del sistema previdenziale, che concorre a finanziare, 
in un contesto di crisi del sistema stesso, acuitasi negli ultimi anni, per arginare la quale il legislatore 
ha posto in essere pi� di un intervento, contingente o strutturale, tra cui, in particolare, 
proprio quelli per salvaguardare la posizione dei lavoratori cosiddetti �esodati� (da ultimo, 
commi da 263 a 270 dell�art. 1 della legge n. 208 del 2015). 
Inoltre, il contributo riguarda le pensioni pi� elevate, ossia quelle il cui importo annuo 
si colloca tra 14 a 30 e pi� volte il trattamento minimo di quiescenza, incidendo in base ad 
aliquote crescenti (del 6, 12 e 18 per cento), secondo una misura che rispetta il criterio di proporzionalit� 
e, in ragione della sua temporaneit�, non si palesa di per s� insostenibile, pur innegabilmente 
comportando un sacrificio per i titolari di siffatte pensioni. 
In questi termini, l�intervento legislativo di cui al denunciato comma 486, nel suo porsi 
come misura contingente, straordinaria e temporalmente circoscritta, supera lo scrutinio 
�stretto� di costituzionalit�. 
12.� Anche sotto il profilo della violazione dell�art. 3 Cost. in riferimento al tertium rappresentato 
dal comma 487 della stessa legge n. 147 del 2013 e, per il suo tramite, dalla legislazione 
siciliana, la questione non � fondata, giacch� evoca un termine di raffronto (il comma 
487) non idoneo a radicare un giudizio di eguaglianza, concernendo questo le misure di risparmio 
di spesa rimesse all�autonomia di organi costituzionali e di Regioni ad autonomia 
speciale rispetto a soggetti che non fanno parte del circuito della previdenza obbligatoria (in 
particolare, per ci� che concerne la Regione siciliana opera il Fondo di quiescenza di cui alla 
legge regionale 14 maggio 2009, n. 6, recante: �Disposizioni programmatiche e correttive per
110 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2016 
l�anno 2009�) e, dunque, non suscettibile di raffronto con i pensionati di cui al comma 486. 
13.� Non si ravvisa, infine, nemmeno la dedotta violazione degli artt. 81 e 97 Cost., in 
quanto il primo parametro invocato non risulta conferente, disciplinando la disposizione censurata 
non gi� una nuova spesa o maggiori oneri, ma un�entrata; mentre la destinazione alle 
gestioni previdenziali del prelievo, e dunque per fini istituzionali delle stesse (e anche per il 
finanziamento di misura a favore degli �esodati�), non costituisce arbitraria attribuzione di 
discrezionalit� amministrativa (art. 97 Cost.) alle stesse gestioni previdenziali o, comunque, 
indifferenziata destinazione di spesa (art. 81 Cost.). 
PER QUESTI MOTIVI 
LA CORTE COSTITUZIONALE 
riuniti i giudizi, 
1) dichiara non fondata la questione di legittimit� costituzionale dell�art. 1, comma 483, 
della legge 27 dicembre 2013, n. 147 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e 
pluriennale dello Stato - Legge di stabilit� 2014), sollevata, in riferimento agli artt. 3, 53, 36 
e 38 della Costituzione, dalla sezione giurisdizionale della Corte dei conti per la Regione Calabria, 
con le due ordinanze in epigrafe; 
2) dichiara non fondate le questioni di legittimit� costituzionale dell�art. 1, comma 486, 
della legge n. 147 del 2013, sollevate, in riferimento agli art. 2, 3, 4, 35, 36, 38, 53, 81, 97 e 
136 Cost., dalle sezioni giurisdizionali della Corte dei conti per le Regioni Veneto, Campania, 
Calabria e Umbria, con le sei ordinanze in epigrafe indicate; 
3) dichiara inammissibile la questione di legittimit� costituzionale dell�art. 1, comma 
483, della legge n. 147 del 2013, sollevata dalla sezione giurisdizionale della Corte dei conti 
per la Regione Calabria, in riferimento all�art. 117, primo comma, Cost., in relazione agli artt. 
6, 21, 25, 33 e 34 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell�uomo e delle 
libert� fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con la 
legge 4 agosto 1955, n. 848, con le due ordinanze in epigrafe; 
4) dichiara inammissibile la questione di legittimit� costituzionale dell�art. 1, comma 
487, della legge n. 147 del 2013, sollevata, in riferimento agli artt. 2, 3, 4, 35, 36, 38, 53, 81, 
97 e 136 Cost., dalla sezione giurisdizionale della Corte dei conti per la Regione Calabria, 
con le due ordinanze in epigrafe; 
5) dichiara inammissibile la questione di legittimit� costituzionale dell�art. 1, comma 
590, della legge n. 147 del 2013, sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 53 Cost., dalla sezione 
giurisdizionale della Corte dei conti per la Regione Calabria, con le due ordinanze in epigrafe. 
Cos� deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 5 
luglio 2016.
CONTENZIOSO NAZIONALE 111 
L�obbligo di taratura periodica degli autovelox: 
uno excursus della giurisprudenza fino alla pronuncia 
della Corte Costituzionale 113 del 2015 
Alessio Muciaccia* 
La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 113 del 18 giugno 2015, ha 
dichiarato l�illegittimit� dell�art. 45 co. 6 (1) del Codice della Strada (2), �nella 
parte in cui non prevede che tutte le apparecchiature impiegate nell�accertamento 
delle violazioni dei limiti di velocit� siano sottoposte a verifiche periodiche 
di funzionalit� e di taratura�. 
La decisione della Consulta risolve, definitivamente, la controversa questione 
circa l�obbligatoriet� e la necessit� della taratura e della verifica periodica 
degli strumenti elettronici impiegati per l�accertamento del superamento dei limiti 
di velocit�, anche alla luce della validit� delle risultanze prodotte quali 
fonti di prova: la vicenda, oggetto di pronunce contrapposte sia da parte delle 
corti di merito che della stessa giurisprudenza di legittimit�, si � conclusa. 
La pronuncia in esame si pone su quella linea che escluderebbe l�automatica 
operativit� nel nostro ordinamento del principio di presunzione di legittimit� 
dell�atto amministrativo. 
Per meglio comprendere l�importanza della decisione in commento occorre 
illustrare brevemente la situazione giurisprudenziale che la precede. 
La disciplina per garantire un�azione coordinata di prevenzione e di contrasto 
dell�eccesso di velocit� sulle strade era contenuta in una Direttiva del 
Ministero dell�Interno del 14 agosto 2009 (3), che forniva agli organi di polizia 
stradale criteri di indirizzo e coordinamento: in allegato (4), venivano fornite 
anche istruzioni operative riguardanti l�utilizzo delle apparecchiature di controllo 
e le modalit� di accertamento delle violazioni per eccesso di velocit�. 
Pi� precisamente, le istruzioni nella parte 1 ai paragrafi nn. 1, 2 e 3 
(*) Dottore in Giurisprudenza. 
(1) Art. 45, co. 6 �Nel regolamento sono precisati i segnali, i dispositivi, le apparecchiature e gli 
altri mezzi tecnici di controllo e regolazione del traffico, nonch� quelli atti all'accertamento e al rilevamento 
automatico delle violazioni alle norme di circolazione, ed i materiali che, per la loro fabbricazione 
e diffusione, sono soggetti all'approvazione od omologazione da parte del Ministero delle infrastrutture 
e dei trasporti, previo accertamento delle caratteristiche geometriche, fotometriche, funzionali, di idoneit� 
e di quanto altro necessario. Nello stesso regolamento sono precisate altres� le modalit� di omologazione 
e di approvazione�. 
(2) Decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada). 
(3) Ministro dell�Interno - Dipartimento di Pubblica Sicurezza - Servizio di Polizia Stradale - Circolare 
Prot. n. 300/A/10307/09/144/5/20/3 del 14 agosto 2009. Oggetto: �Direttiva per garantire 
un�azione coordinata di prevenzione e contrasto dell�eccesso di velocit� sulle strade�. 
(4) Direttiva Ministero Interno del 14 agosto 2009. Allegato 1 - Istruzioni operative per le attivit� 
di prevenzione del fenomeno infortunistico stradale mediante il controllo dei limiti di velocit�.
112 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2016 
(5) fornivano indicazioni sulla taratura e sulle modalit� di impiego degli strumenti 
utilizzabili. 
La Direttiva escludeva la necessit� di un controllo periodico degli strumenti 
di misura se non espressamente previsto dal manuale d�uso depositato 
presso il Ministero delle Infrastrutture e Trasporti in sede di decreto di approvazione: 
riteneva, infatti, che le disposizioni contenute nella legge (6) istitutiva 
del sistema nazionale di taratura non dovessero applicarsi alle apparecchiature 
elettroniche utilizzate per rilevare le violazioni dei limiti di velocit�. Di tale 
avviso erano il Ministero delle Infrastrutture e Trasporti e la stessa Corte di 
Cassazione, che analizzeremo pi� avanti. 
Pertanto, sia le apparecchiature approvate dal Ministero competente e destinate 
all�impiego esclusivamente con la presenza e il diretto controllo di un 
operatore di polizia, sia quelle destinate all�impiego in modalit� automatica, 
potevano essere sottoposte ad una verifica periodica almeno annuale per valutarne 
la corretta funzionalit� soltanto qualora ci� fosse stato previsto nel manuale 
d�uso, secondo quanto stabilito nel provvedimento di approvazione; le 
verifiche potevano essere effettuate direttamente presso il costruttore ovvero 
presso uno dei soggetti accreditati dal Sistema Nazionale di Taratura secondo 
la specifica legge n. 273 del 1991. 
Nella prassi, invece, gli accertamenti del superamento dei limiti di velocit� 
rilevati mediante apparecchiature impiegate in presenza di un operatore di polizia 
non prevedevano per le amministrazioni procedenti la necessit� di sottoporre 
lo strumento ad alcuna verifica e/o taratura strumentale periodica poich� 
la corretta funzionalit� del misuratore veniva, di fatto, effettuata dagli operatori 
stessi durante il servizio secondo le indicazioni fornite dal costruttore: in altri 
termini veniva posto a carico dell�operatore un onere di accertamento di funzionalit� 
dell�apparecchiatura e di segnalazione di eventuali anomalie. 
I misuratori di velocit� utilizzati, invece, in modalit� completamente automatica, 
dovevano essere sottoposti ad una verifica tecnica-metrologica 
presso la casa costruttrice, abilitata dalla certificazione di qualit� secondo le 
norme ISO 9001, ovvero presso uno dei soggetti accreditati dal Sistema Nazionale 
di Taratura secondo la specifica legge n. 273 del 1991, con cadenza 
almeno annuale qualora fosse indicato nel certificato di approvazione e dalle 
istruzioni di funzionamento fornite dal costruttore. 
In sintesi la Direttiva del 14 agosto 2009, prevedeva due tipologie di verifiche: 
- per gli apparecchi da utilizzare in modalit� automatica una verifica - 
se prevista dal costruttore - almeno annuale; 
(5) Direttiva Ministero Interno del 14 agosto 2009. Allegato 1 - Parte I. Dispositivi di misura della 
velocit� - 1. Modalit� di accertamento dell�eccesso di velocit�; 1.1 Tipologia degli strumenti utilizzabili; 
2. Approvazione dei dispositivi; 3. Controllo degli strumenti. 
(6) Legge n. 273, 11 agosto 1991 �Istituzione del sistema nazionale di taratura�. Pubblicata in 
G.U. n. 199 del 26 agosto 1991. 
CONTENZIOSO NAZIONALE 113 
- mentre per gli apparecchi impiegati direttamente dagli operatori di polizia 
una verifica periodica se prevista dal costruttore. 
Ovviamente in ambedue i casi le verifiche dovevano essere esplicitate 
nel manuale tecnico nonch� nel decreto di approvazione rilasciato dal Ministero 
competente. 
Sulla vicenda dei controlli periodici, la giurisprudenza di legittimit� si � 
espressa pressoch� in maniera univoca nel ritenere che gli strumenti utilizzati 
per sanzionare l�eccesso di velocit� non dovessero essere sottoposti a verifica 
ed a taratura periodica. 
Sull�affidabilit� dello strumento utilizzato, la Corte di Cassazione (7) 
ha osservato che �in tema di rilevazione dell'inosservanza dei limiti di velocit� 
dei veicoli a mezzo di apparecchiature elettroniche, n� l�art. 142 (8), 
comma 6 del Codice della Strada n� il relativo regolamento di esecuzione 
(9) prevedono che il verbale di accertamento dell'infrazione debba contenere, 
a pena di nullit�, l�attestazione che la funzionalit� dell�apparecchio 
utilizzato sia stato sottoposto a controllo preventivo e costante durante l�uso, 
giacch�, al contrario, l�efficacia probatoria di qualsiasi strumento di rilevazione 
elettronica della velocit� dei veicoli perdura sino a quando non risultino 
accertati, nel caso concreto, sulla base di circostanze allegate 
dall�opponente e debitamente provate, il difetto di costruzione, installazione 
o funzionalit� dello strumento stesso, o situazioni comunque ostative al suo 
regolare funzionamento, senza che possa farsi leva, in senso contrario, su 
considerazioni di tipo meramente congetturale, connesse all'idoneit� della 
mancanza di revisione o manutenzione periodica dell�attrezzatura a pregiudicarne 
l�efficacia ex art. 142 C.d.S�. 
Quanto, in particolare, alla taratura periodica, ha osservato ancora che 
�in tema di sanzioni amministrative per violazioni al codice della strada, le 
apparecchiature elettroniche regolarmente omologate utilizzate per rilevare 
le violazioni dei limiti di velocit� stabiliti, come previsto dall'art. 142 C.d.S., 
non devono essere sottoposte ai controlli previsti dalla L. n. 273 del 1991, istitutiva 
del sistema nazionale di taratura. Tale sistema di controlli, infatti, attiene 
alla materia metrologica, diversa rispetto a quella della misurazione 
elettronica della velocit� ed � competenza di autorit� amministrative diverse, 
rispetto a quelle pertinenti al caso di specie�. 
(7) Cass., civ., sez. II, sent., 8 giugno 2009, n. 13114. 
(8) D.Lgs.vo 30 aprile 1992, n. 285, art. 142 co. 6 - Limiti di velocit� �Per la determinazione dell'osservanza 
dei limiti di velocit� sono considerate fonti di prova le risultanze di apparecchiature debitamente 
omologate, anche per il calcolo della velocit� media di percorrenza su tratti determinati, nonch� 
le registrazioni del cronotachigrafo e i documenti relativi ai percorsi autostradali, come precisato dal 
regolamento�. 
(9) D.P.R. n. 495 del 16 dicembre 1992. Regolamento di esecuzione e di attuazione del codice 
della strada. Pubblicato in G.U. n. 303 del 28 dicembre 1992.
114 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2016 
L�orientamento tenuto dalla Cassazione � stato oggetto di aspre critiche 
da parte degli utenti della strada che si consideravano vessati dagli accertamenti 
eseguiti con i dispositivi elettronici: numerosi giudizi innanzi ai giudici 
di pace di tutta Italia hanno riguardato i verbali di violazione al Codice della 
Strada relativi agli eccessi di velocit� e molti sono stati i dubbi sollevati circa 
l�attendibilit� delle sanzioni accertate con tale modalit�. 
Le eccezioni proposte nei ricorsi riguardavano: 
a) la necessit� di revisione dei limiti di velocit� obsoleti e da adeguare in 
relazione al progresso tecnologico dei veicoli in circolazione; 
b) la necessit� di un controllo tecnico adeguato e rigoroso delle apparecchiature 
utilizzate ai sensi della legge n. 273 del 1991 gi� citata, per controllarne 
la perfetta funzionalit� attraverso la taratura; 
c) e ancora la necessit� del controllo delle apparecchiature utilizzate anche 
con riferimento alla normativa europea e comunitaria. 
Malgrado i giudici di merito si fossero espressi positivamente circa l�esigenza 
e la necessit� dei controlli tecnici periodici ai quali sottoporre i misuratori 
di velocit�, la giurisprudenza di legittimit� ha sempre ribadito 
l�insussistenza di tale previsione in assenza di un dettato normativo specifico. 
Circa l�attendibilit� dello strumento, la Corte a Sezioni Unite (10), nel 2010, 
ha affermato che �l�attendibilit� dello strumento rilevatore del superamento dei 
limiti di velocit� � presunta, essendo onere dell'utente della strada dimostrare, 
sulla base di circostanze da lui allegate (e debitamente provate) il difetto di costruzione, 
installazione o funzionamento del dispositivo elettronico�. 
Trattasi, evidentemente, di una probatio diabolica. 
Nel contesto descritto, si � inserita parte della dottrina (11) che, considerando 
l�incidenza degli accertamenti del limite di velocit� rilevati attraverso i 
misuratori elettronici sull�attivit� dei cittadini, ha ritenuto, invece, che tali apparecchiature 
dovessero essere sottoposte a verifiche tecniche periodiche; ed, 
anzi, ha considerato necessario sottoporle periodicamente ai controlli previsti 
dalla legge n. 273 del 1991, ritenendo la sola omologazione da parte del Ministero 
non sufficiente a garantire la correttezza degli accertamenti. 
Altra parte della dottrina (12) ha precisato, inoltre, che neanche la tolleranza 
strumentale prevista dal Regolamento di esecuzione (13) potrebbe sostituire 
la taratura che dovrebbe essere certificata dai centri SIT (14), unici 
autorizzati al rilascio della certificazione di taratura. 
(10) Cass. civ., sez. un., sent., 15 dicembre 2010, n. 25304. 
(11) Si veda tra tutti CUROTTI, La taratura degli strumenti di rilevazione della velocit�, in Arch. 
giur. Circ. sin. strad., 2005, 673 ss. e Taratura degli strumenti di rilevamento della velocit�: ancora un 
�no� dai Ministeri, ivi, 2006, 129. 
(12) Si veda tra tutti ZAULI, Opposizione al verbale di contestazione: autovelox e photored sono 
legittimi o illegittimi?, in La resp. civ., 2007, 253-257 e AMBROSINI, Autovelox e Cassazione: lo stato 
dell�arte, in Il Giudice di pace, 2009, 97-104. 
CONTENZIOSO NAZIONALE 115 
Di parere contrario si era, invece, espresso il Ministero delle Infrastrutture 
e dei Trasporti, per il quale tali apparecchiature potevano utilizzarsi senza la 
necessit� della taratura prevista dalla legge n. 273/1991, purch� omologate secondo 
la normativa vigente; e di identico avviso era anche l�orientamento della 
Corte Cassazione. 
Quest�ultima, infatti, in modo costante e consolidato, ha ribadito che (15): 
�In tema di sanzioni amministrative per violazioni al codice della strada le 
apparecchiature elettroniche regolarmente omologate, adoperate per rilevare 
le violazioni dei limiti di velocit�, come sanciti dall'art. 142 del C.d.S. non devono 
essere sottoposte ai controlli previsti dalla legge n. 273 del 1991, istitutiva 
del sistema nazionale di taratura. Tali controlli, infatti, attengono alla 
materia metrologica, diversa da quella concernente la misurazione elettronica 
della velocit�, oltre ad essere di pertinenza di altra Autorit�. Ne discende che 
l'Amministrazione interessata non deve dare la prova dell'esecuzione dell'operazione 
di taratura. Tra l'altro, l'efficacia probatoria dei dati rilevati dalle 
predette strumentazioni opera fino a quando sia accertato, sulla base di circostanze 
allegate e provate dall'opponente, un difetto di costruzione, installazione 
o funzionamento del dispositivo elettronico di tali strumenti�. 
Ancora sul tema, la Corte rilevava che (16): �per la rilevazione dell'inosservanza 
dei limiti di velocit� dei veicoli a mezzo di apparecchiature elettroniche, 
n� il codice della strada (art. 142, co. 6 - CdS) n� il relativo 
regolamento di esecuzione (art. 345) prevedono che il verbale di accertamento 
dell'infrazione debba contenere, a pena di nullit�, l�attestazione che la funzionalit� 
del singolo apparecchio impiegato sia stata sottoposta a controllo 
preventivo e costante durante l�uso, giacch�, al contrario, l�efficacia probatoria 
di qualsiasi strumento di rilevazione elettronica della velocit� dei veicoli 
perdura sino a quando non risultino accertati, nel caso concreto, sulla base 
di circostanze allegate dall�opponente e debitamente provate, il difetto di costruzione, 
installazione o funzionalit� dello strumento stesso, o situazioni comunque 
ostative al suo regolare funzionamento, senza che si possa fare leva, 
in senso contrario, su considerazioni di tipo meramente congetturale, connesse 
all'idoneit� della mancanza di revisione o manutenzione periodica dell'attrezzatura 
a pregiudicarne l'efficacia ex art. 142 C.d.S.� 
(13) Art. 345 co. 2. Apparecchiature e mezzi di accertamento della osservanza dei limiti di velocit�. 
�Le singole apparecchiature devono essere approvate dal Ministero dei lavori pubblici. In sede di 
approvazione � disposto che per gli accertamenti della velocit�, qualunque sia l'apparecchiatura utilizzata, 
al valore rilevato sia applicata una riduzione pari al 5%, con un minimo di 5 km/h. Nella riduzione 
� compresa anche la tolleranza strumentale. Non possono essere impiegate, per l'accertamento 
dell'osservanza dei limiti di velocit�, apparecchiature con tolleranza strumentale superiore al 5%�. 
(14) Servizio di taratura in Italia. 
(15) Cass., sez. II, sent., 5 aprile 2011, n. 7785 e sez. II, ord., 13 giugno 2011, n. 12924. 
(16) Cass. civ., sez. II, ord., 7 luglio 2011, n. 15042.
116 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2016 
Le premesse considerazioni evidenziano come la giurisprudenza della 
Cassazione abbia ritenuto che per la validit� dei rilevamenti per il superamento 
dei limiti di velocit� accertati mediante le apparecchiature elettroniche dovessero 
sussistere le seguenti condizioni: 
a) provvedimento di omologazione dell�apparecchio elettronico utilizzato 
da parte del competente Ministero; 
b) piena disponibilit� e gestione dell�apparecchio misuratore da parte 
degli organi di polizia stradale; 
c) ed, in ultimo, che l�assenza di taratura dell�apparecchio misuratore non 
produrrebbe alcuna illegittimit� dell�accertamento effettuato stante il tenore 
dell�art. 345 D.P.R. n. 495/1992. 
In altri termini la Cassazione non ha ritenuto necessaria la taratura degli 
autovelox utilizzati per l�accertamento del superamento del limite di velocit�, 
considerando sufficiente l�omologazione rilasciata dal Ministero competente. 
Recentemente per� lo stesso Supremo Collegio, evidentemente riflettendo 
sulla dubbia legittimit� della mancanza di una taratura periodica degli strumenti 
di rilevazione degli eccessi di velocit�, ha ritenuto di sollevare la questione innanzi 
la Corte Costituzionale in relazione all�art. 45 del Codice della Strada. 
Nell�ordinanza di rimessione la Corte sostiene, infatti, che �Non � manifestamente 
infondata, con riferimento all'art. 3 Cost., la questione di legittimit� 
costituzionale dell'art. 45 cod. strada, nella parte in cui non prevede che 
le apparecchiature di accertamento della violazione dei limiti di velocit� siano 
sottoposte a verifiche periodiche di funzionalit� e taratura, apparendo irragionevole 
escludere tali complesse apparecchiature, che svolgono accertamenti 
irripetibili, dall'applicazione della normativa generale della legge 11 
agosto 1991, n. 273, sul sistema nazionale taratura�. 
La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 113 del 18 giugno 2015 in 
oggetto, ha accolto l�eccezione di incostituzionalit� dell�art. 45 comma 6, del 
Codice della Strada, sollevata in riferimento all�art. 3 della Costituzione, per 
la palese irragionevolezza della norma impugnata. 
La Consulta afferma che �Cos� come interpretato dalla Corte di Cassazione, 
l�art. 45 del d.lgs. n. 285 del 1992, collide con il �principio di razionalit�, 
sia nel senso di razionalit� formale, cio� del principio logico di non 
contraddizione, sia nel senso di razionalit� pratica, ovvero di ragionevolezza� 
(sentenza n. 172 del 1996)�. 
Ancora: �I fenomeni di obsolescenza e deterioramento possono pregiudicare 
non solo l�affidabilit� delle apparecchiature� considerato che, ai sensi 
del comma 6 dell�art. 142 del Codice della Strada, costituiscono fonti di prova 
per la determinazione dell�osservanza dei limiti di velocit�, �ma anche la fede 
pubblica che si ripone in un settore di significativa rilevanza sociale, quale 
quello della sicurezza stradale�. 
Ed aggiunge che �Quanto al canone di razionalit� pratica, appare evi-
CONTENZIOSO NAZIONALE 117 
dente che qualsiasi strumento di misura, specie se elettronico, � soggetto a variazioni 
delle sue caratteristiche e quindi a variazioni dei valori misurati dovute 
ad invecchiamento delle proprie componenti e ad eventi quali urti, vibrazioni, 
shock meccanici e termici, variazioni della tensione di alimentazione. Si tratta 
di una tendenza disfunzionale naturale direttamente proporzionata all�elemento 
temporale. L�esonero da verifiche periodiche, o successive ad eventi di manutenzione, 
appare per i suddetti motivi intrinsecamente irragionevole�. 
Continua affermando che: �Un controllo di conformit� alle prescrizioni 
tecniche ha senso solo se esteso all�intero arco temporale di utilizzazione degli 
strumenti di misura, poich� la finalit� dello stesso � strettamente diretta a garantire 
che il funzionamento e la precisione nelle misurazioni siano contestuali 
al momento in cui la velocit� viene rilevata, momento che potrebbe essere distanziato 
in modo significativo dalla data di omologazione e di taratura�. 
�Occorre a tal proposito considerare che nelle richiamate disposizioni l�uso 
delle apparecchiature di misurazione � strettamente collegato al valore probatorio 
delle loro risultanze nei procedimenti sanzionatori inerenti alle trasgressioni 
dei limiti di velocit��. 
Per la Corte Costituzionale, quindi, occorre operare un giudizio di bilanciamento 
delle opposte esigenze rappresentate, da un lato, da �interessi pubblici 
e privati estremamente rilevanti quali la sicurezza della circolazione, la 
garanzia dell'ordine pubblico, la preservazione dell'integrit� fisica degli individui, 
la conservazione dei beni e, dall'altro, valori altrettanto importanti 
quali la certezza dei rapporti giuridici e il diritto di difesa del sanzionato�. 
�Il ragionevole affidamento che deriva dalla custodia e dalla permanenza 
della funzionalit� delle apparecchiature, garantita quest'ultima da verifiche 
periodiche conformi alle relative specifiche tecniche, degrada tuttavia in assoluta 
incertezza quando queste ultime non vengono effettuate�. 
Conclude la Consulta : �Dunque, l�art. 45, comma 6, del d.lgs. n. 285 del 
1992 - come interpretato dalla consolidata giurisprudenza della Corte di cassazione 
- deve essere dichiarato incostituzionale in riferimento all�art. 3 Cost., 
nella parte in cui non prevede che tutte le apparecchiature impiegate nell�accertamento 
delle violazioni dei limiti di velocit� siano sottoposte a verifiche 
periodiche di funzionalit� e di taratura�. 
Successivamente alla pronuncia in commento si segnalano le prime sentenze 
del giudice di legittimit� (17) che, adeguandosi al contenuto della Consulta, 
afferma il principio che �deve ritenersi affermato il principio che tutte 
la apparecchiature di misurazione della velocit� (che � elemento valutabile e 
misurabile) devono essere periodicamente tarate e verificate nel loro corretto 
funzionamento, che non pu� essere dimostrato o attestato con altri mezzi quali 
le certificazioni di omologazione e conformit��. 
(17) Cass. civ., sez. II, sent., 14 dicembre 2015, n. 25125.
118 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2016 
Ed ancora, in una successiva pronuncia la Corte ribadisce che (18) �con 
sentenza n. 113 del 2015, la Corte costituzionale ha dichiarato costituzionalmente 
illegittimo, per violazione dell'art. 3 Cost., l'art. 45 comma 6 del D.lgs. 
30 aprile 1992 n. 285 (codice della strada), nella parte in cui non prevede che 
tutte le apparecchiature impiegate nell'accertamento delle violazioni dei limiti 
di velocit� siano sottoposte a verifiche periodiche di funzionalit� e di taratura. 
Alla stregua di tale pronuncia di incostituzionalit�, che ha effetto retroattivo 
ed � quindi applicabile ai giudizi pendenti, deve ritenersi che l'art. 45 comma 
6 del codice della strada, come integrato dalla pronuncia della Corte costituzionale, 
prescriva la verifica periodica della funzionalit� degli autovelox e la 
loro taratura�. 
Per concludere, in un�altra pronuncia (19) la Suprema Corte conclude che 
�deve ritenersi affermato il principio che tutte le apparecchiature di misurazione 
della velocit� (che � elemento valutabile e misurabile) devono essere 
periodicamente tarate e verificate nel loro corretto funzionamento, che non 
pu� essere dimostrato o attestato con altri mezzi quali le certificazioni di omologazione 
e conformit��. 
Alla luce della pronuncia in commento e della sua applicazione da parte 
della giurisprudenza di legittimit� e di merito, devono considerarsi ormai superate 
le eccezioni per la mancata taratura dello strumento elettronico di rilevazione 
della velocit�, formulate nei numerosi giudizi, ancora pendenti. 
La pronuncia della Corte Costituzionale ha, quindi, il merito, oltre che di 
incontrare il favore dei suoi �fruitori�, anche di porre fine all�annoso e corposo 
contenzioso in materia. 
Corte costituzionale, sentenza 18 giugno 2015 n. 113 - Pres. Criscuolo, Rel. Carosi - Giudizio 
di legittimit� costituzionale dell�art. 45 del D.Lgs. 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice 
della strada), promosso dalla Corte di cassazione nel procedimento vertente tra T. M. e la Prefettura 
di Cuneo con ordinanza del 7 agosto 2014. 
(...) 
Considerato in diritto 
1.- Con l'ordinanza indicata in epigrafe la Corte di cassazione, seconda sezione civile, ha 
sollevato questione di legittimit� costituzionale dell' art. 45 del D.Lgs. 30 aprile 1992, n. 285 
(Nuovo codice della strada), nella parte in cui non prevede che le apparecchiature destinate 
all'accertamento delle violazioni dei limiti di velocit� siano sottoposte a verifiche periodiche 
di funzionalit� e di taratura, in riferimento all'art. 3 della Costituzione. 
1.1.- Questione analoga a quella in esame era stata sollevata dal Giudice di pace di Dolo 
(ordinanza iscritta al n. 210 del registro delle ordinanze del 2007) nei confronti della stessa 
(18) Cass. civ., sez. II, sent., 16 maggio 2016, n. 9972. 
(19) Cass. civ., sez. II, sent., 11 maggio 2016, n. 9645.
CONTENZIOSO NAZIONALE 119 
disposizione in riferimento agli artt. 3, 24 e 111 Cost. in ragione della diversa disciplina dettata 
dal D.M. 28 marzo 2000, n. 182 (Regolamento recante modifica ed integrazione della disciplina 
della verificazione periodica degli strumenti metrici in materia di commercio e di camere 
di commercio), in tema di verifica degli strumenti di misura utilizzati per la determinazione 
della quantit� o del prezzo nelle transazioni commerciali. 
Nella citata occasione questa Corte ha rilevato l'erronea individuazione di tale tertium comparationis, 
non attinente alla misurazione della velocit� ai fini dell'accertamento delle violazioni 
del codice della strada, dichiarando non fondata la questione come proposta dal 
rimettente (sentenza n. 277 del 2007). 
Nel censurare la ricostruzione del quadro normativo e nel ritenere errata l'individuazione 
della norma rispetto alla quale veniva lamentata un'irragionevole disuguaglianza - poich� il richiamato 
D.M. n. 182 del 2000 costituisce disciplina secondaria afferente agli strumenti di misura 
utilizzati nei rapporti commerciali - questa Corte ha affermato in quella sede che il giudice 
a quo non aveva "sperimentato l'applicazione della normativa generale del 1991 alla luce del sistema 
internazionale delle unit� di misura SI, che comprende la velocit� come unit� derivata". 
Con l'ordinanza in epigrafe il giudice a quo sostiene che la Corte costituzionale, non ritenendo 
fondata la questione solo per erronea individuazione da parte del giudice rimettente 
del termine di comparazione, avrebbe svolto affermazioni suscettibili di migliore considerazione 
da parte della Corte di cassazione. Quest'ultima avrebbe invece confermato il precedente 
orientamento interpretativo circa l'impugnato art. 45 del D.Lgs. n. 285 del 1992. 
Ritenuta pertanto la perdurante rilevanza della questione e reputando ormai consolidato il 
diritto vivente a seguito degli uniformi e costanti indirizzi ermeneutici della Corte di cassazione, 
della cui legittimit� costituzionale il rimettente dubita, questi assume che la norma impugnata 
consentirebbe, in modo del tutto irragionevole, che le apparecchiature destinate 
all'accertamento delle violazioni dei limiti di velocit� possano essere utilizzate nello svolgimento 
di accertamenti irripetibili sulla base di una presunzione di corretto funzionamento, 
fondata sulla "sola conformit� al modello omologato" "anche a distanza di lustri". 
A tal fine egli prospetta il dubbio di legittimit� costituzionale in riferimento all'art. 3 Cost. 
sotto i seguenti profili: a) "per l'assoluta irragionevolezza e conseguente disuguaglianza, che 
[consentirebbe l'esclusione] dall'applicazione della [...] normativa generale, anche internazionale, 
in tema di misura ricomprendente pure la velocit� come unit� derivata"; b) "con riguardo, 
come tertium comparationis, alla normativa di cui alla L. 1 agosto 1991, n. 273 (Istituzione 
del sistema nazionale di taratura), che prevede anche la velocit� quale unit� di misura derivata"; 
c) "con riferimento [...] alla normativa comunitaria (Norme UNI EN 30012 - parte 1 
come integrate da UNI EN 10012), che [prevederebbe] il dovuto e relativo adeguamento del 
nostro ordinamento"; d) per la palese irragionevolezza di un sistema che consente di dare certezza 
giuridica e inoppugnabilit� ad accertamenti irripetibili - fonti di potenziali gravi conseguenze 
per chi vi � sottoposto - svolti da complesse apparecchiature senza che la loro 
efficienza e buon funzionamento siano soggette a verifica "anche a distanza di lustri". 
1.2.- � intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, chiedendo che la 
questione sia dichiarata inammissibile o, comunque, infondata. 
Secondo l'Avvocatura le censure del giudice rimettente sarebbero inammissibili in quanto 
costituenti meri dubbi ermeneutici o quesiti di ordine interpretativo, la cui risoluzione spetterebbe 
a lui stesso e non a questa Corte. Egli non avrebbe, in sostanza, sperimentato un'interpretazione 
costituzionalmente orientata della disposizione, idonea a sottrarla al dubbio di 
costituzionalit�.
120 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2016 
Altro motivo d'inammissibilit� deriverebbe dai limiti dell'autonomia interpretativa di questa 
Corte, che dovrebbe comunque arrestarsi di fronte all'orientamento ermeneutico della Corte 
di cassazione, ormai consolidato e, pertanto, assurto a rango di diritto vivente. 
In ogni caso la questione posta in riferimento all'art. 3 Cost. sarebbe manifestamente infondata, 
in quanto l'art. 4 del decreto del Ministero dei lavori pubblici del 29 ottobre 1997 
(Approvazione di prototipi di apparecchiature per l'accertamento dell'osservanza dei limiti di 
velocit� e loro modalit� di impiego) escluderebbe la necessit� di controlli periodici di taratura 
e funzionamento degli strumenti di misura impiegati sotto il controllo costante degli operatori 
di polizia stradale, essendo riservata la procedura di verifica solo alle apparecchiature utilizzate 
con modalit� completamente automatiche. 
2.- In via preliminare va precisato che dalla parte motivazionale della ordinanza di rimessione 
si deduce come le censure formalmente rivolte all'intero art. 45 del codice della strada 
debbano intendersi riferite solo al comma 6 (in senso conforme, ex multis, sentenza n. 121 
del 2010), il quale - nel regolare l'uniformit� della segnaletica, dei mezzi di controllo e delle 
omologazioni - si riferisce, tra l'altro, alle apparecchiature in questione, prescrivendo che "Nel 
regolamento sono precisati i segnali, i dispositivi, le apparecchiature e gli altri mezzi tecnici 
di controllo e regolazione del traffico, nonch� quelli atti all'accertamento e al rilevamento automatico 
delle violazioni alle norme di circolazione, ed i materiali che, per la loro fabbricazione 
e diffusione, sono soggetti all'approvazione od omologazione da parte del Ministero dei 
lavori pubblici, previo accertamento delle caratteristiche geometriche, fotometriche, funzionali, 
di idoneit� e di quanto altro necessario. Nello stesso regolamento sono precisate altres� 
le modalit� di omologazione e di approvazione". � questa la disposizione dalla quale deriva 
il costante orientamento ermeneutico della Corte di cassazione, della cui legittimit� dubita il 
giudice rimettente. 
3.- I profili di censura precedentemente indicati sub a), b) e c) sono inammissibili. 
Quanto alla pretesa "irragionevolezza e conseguente disuguaglianza, che consentirebbe 
l'esclusione dall'applicazione della ... normativa generale, anche internazionale, in tema di 
misura ricomprendente pure la velocit� come unit� derivata", � evidente la genericit� della 
motivazione della ordinanza di rimessione in ordine alla violazione dell'art. 3 Cost. Invero il 
rimettente si � limitato ad enunciare la violazione dei principi di uguaglianza e di ragionevolezza 
della disposizione censurata con un riferimento generico alla disciplina nazionale ed internazionale 
senza un'adeguata individuazione di dette normative. Ci� impedisce di 
comprendere quali siano i profili di disparit� dedotti. 
Quanto al richiamo, come tertium comparationis, della L. 11 agosto 1991, n. 273 (Istituzione 
del sistema nazionale di taratura), lo stesso rimettente non considera che la normativa 
in questione non contiene alcun precetto del tipo di quello reclamato in antitesi all'orientamento 
della Corte di cassazione. In modo significativo, egli omette di individuare la norma 
specifica che prevederebbe l'obbligo di revisione periodica della taratura e del funzionamento 
degli strumenti di misura, individuazione peraltro impossibile poich� nessuna disposizione 
di tale legge - afferente all'organizzazione istituzionale della taratura in s� e non alle modalit� 
di controllo delle diverse apparecchiature interessate alla taratura - contiene un precetto di 
tal genere. 
Per quel che riguarda, infine, l'individuazione come parametro della "normativa comunitaria 
(Norme UNI EN 30012 - parte 1 come integrate da UNI EN 10012), che [prevederebbe] 
il dovuto e relativo adeguamento del nostro ordinamento", questa Corte condivide l'orientamento 
della Corte di cassazione, secondo cui "non � vincolante la normativa UNI EN 30012
CONTENZIOSO NAZIONALE 121 
(Sistema di Conferma Metrologica di Apparecchi per Misurazioni) che, in assenza di leggi o 
regolamenti di recepimento, rappresenta unicamente un insieme di regole di buona tecnica, 
impropriamente definite "norme", alle quali, in assenza di obblighi giuridici, i costruttori decidono 
autonomamente di conformarsi" (Corte di cassazione, seconda sezione civile, sentenza 
15 dicembre 2008, n. 29333). 
4.- La questione di legittimit� direttamente sollevata in riferimento all'art. 3 Cost. sotto il 
profilo della palese irragionevolezza della norma impugnata supera invece il vaglio di ammissibilit�. 
Non � condivisibile a tal proposito l'eccezione formulata dall'Avvocatura generale dello 
Stato, secondo cui il giudice a quo non avrebbe sperimentato un'interpretazione costituzionalmente 
orientata della disposizione. � vero che l' art. 45 del D.Lgs. n. 285 del 1992 non 
esonera espressamente le apparecchiature destinate all'accertamento dei limiti di velocit� dalle 
operazioni di verifica periodica inerenti alla taratura ed al funzionamento e che ben si potrebbe 
nel caso in esame ricavare dal testo della disposizione un'interpretazione opposta a quella 
della Corte di cassazione nel senso di un'implicita prescrizione di verifica periodica di tali sofisticate 
apparecchiature, la quale sarebbe coerente con l'assunto di base dello stesso giudice 
rimettente. 
Tuttavia, lo stesso giudice a quo richiama come ostativa a detta soluzione ermeneutica l'esistenza 
di un diritto vivente orientato in senso diametralmente opposto, il quale ribadisce costantemente 
che "non si ravvisano ragioni per ritenere che la mancata previsione di controlli 
periodici della funzionalit� delle apparecchiature in questione nella disciplina dell'accertamento 
delle violazioni ai limiti di velocit� comporti vizi di legittimit� costituzionale della pertinente 
normativa in relazione agli artt. 3, 24 e 97 della Carta fondamentale" (Corte di 
cassazione, seconda sezione civile, sentenza 15 dicembre 2008, n. 29333; in senso conforme, 
Corte di cassazione, seconda sezione civile, sentenza 22 dicembre 2008, n. 29905, sentenza 
5 giugno 2009, n. 13062, sentenza 23 luglio 2010, n. 17292, nonch�, da ultimo, Corte di cassazione, 
sesta sezione civile, sentenza 6 ottobre 2014, n. 20975). 
Dalle espresse considerazioni si ricava che - malgrado l'incontrovertibile orientamento di 
questa Corte secondo cui "In linea di principio, le leggi non si dichiarano costituzionalmente 
illegittime perch� � possibile darne interpretazioni incostituzionali" (ex multis, sentenza n. 
356 del 1996) e conseguentemente, di fronte ad alternative ermeneutiche di questo tipo, debba 
essere privilegiata quella che il giudice ritiene conforme a Costituzione - nel caso di specie 
occorre considerare che l'interpretazione, della cui legittimit� dubita il rimettente, corrisponde 
al consolidato orientamento della Corte di cassazione, gi� in essere prima del precedente scrutinio 
di costituzionalit� avvenuto con la sentenza n. 277 del 2007 (ex plurimis, Corte di cassazione, 
prima sezione civile, sentenze 5 giugno 1999, n. 5542 e 22 giugno 2001, n. 8515) e 
successivamente ribadito pi� volte dalle citate sentenze del giudice nomofilattico anche dopo 
il pronunciamento di questa Corte. 
Ne deriva che "Pur essendo indubbio che nel vigente sistema non sussiste un obbligo [...] 
di conformarsi agli orientamenti della Corte di cassazione (salvo che nel giudizio di rinvio), 
� altrettanto vero che quando questi orientamenti sono stabilmente consolidati nella giurisprudenza 
- al punto da acquisire i connotati del "diritto vivente" - � ben possibile che la norma, 
come interpretata dalla Corte di legittimit� e dai giudici di merito, venga sottoposta a scrutinio 
di costituzionalit�, poich� la norma vive ormai nell'ordinamento in modo cos� radicato che � 
difficilmente ipotizzabile una modifica del sistema senza l'intervento del legislatore o di questa 
Corte. In altre parole, in presenza di un diritto vivente non condiviso dal giudice a quo perch�
122 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2016 
ritenuto costituzionalmente illegittimo, questi ha la facolt� di optare tra l'adozione, sempre 
consentita, di una diversa interpretazione, oppure - adeguandosi al diritto vivente - la proposizione 
della questione davanti a questa Corte; mentre � in assenza di un contrario diritto vivente 
che il giudice rimettente ha il dovere di seguire l'interpretazione ritenuta pi� adeguata 
ai principi costituzionali (cfr. ex plurimis sentenze n. 226 del 1994, n. 296 del 1995 e n. 307 
del 1996)" (sentenza n. 350 del 1997). 
Non pu� essere neppure condiviso l'argomento dell'Avvocatura generale dello Stato, la 
quale valorizza il preteso dissenso giurisprudenziale costituito "dal consistente orientamento 
dei giudici di merito che ... affermano la necessit� delle operazioni di taratura periodica anche 
per tale genere di apparecchiature". In presenza di un diritto vivente cos� consolidato, eccepire 
l'esistenza di eterogenei ed isolati pronunciamenti dei giudici di merito non risulta dirimente, 
anche in considerazione del fatto che la stessa Avvocatura, in altri punti nella sua memoria 
difensiva, mostra di condividere il richiamato orientamento della Corte di legittimit� piuttosto 
che proporre la ricerca di diversa interpretazione conforme a Costituzione. 
5.- Ai fini della definizione del presente giudizio, occorre ulteriormente osservare come 
non vi sia dubbio che il consolidato orientamento della Corte di cassazione sia nel senso che 
il censurato art. 45 esoneri i soggetti utilizzatori dall'obbligo di verifiche periodiche di funzionamento 
e di taratura delle apparecchiature impiegate nella rilevazione della velocit�. Ne 
consegue che l'argomento addotto dall'Avvocatura generale dello Stato, secondo cui le norme 
regolamentari attuative del suddetto art. 45 del D.Lgs. n. 285 del 1992 limiterebbero l'obbligo 
di verifica periodica alle apparecchiature di rilevazione automatica, non � utile ai fini del presente 
giudizio di costituzionalit�, posto che oggetto dello stesso � il diritto vivente consolidatosi 
sulla predetta norma di rango primario, il quale non fa distinzione tra le rilevazioni 
automatiche e quelle realizzate attraverso operatori. 
Fermo restando il rilievo che nella giurisprudenza della Corte di cassazione, come detto, 
non v'� traccia di tale distinzione, appare del tutto irragionevole la prospettata discriminazione, 
poich� l'assenza di verifiche periodiche di funzionamento e di taratura � suscettibile di pregiudicare 
- secondo la prospettazione del rimettente - l'affidabilit� metrologica a prescindere 
dalle modalit� di impiego delle apparecchiature destinate a rilevare la velocit�. Non risolutivo 
appare in proposito quanto � previsto nella direttiva del Ministero dell'interno 14 agosto 2009, 
laddove si afferma che la rilevazione della cattiva funzionalit� sarebbe garantita dalle apparecchiature 
"dotate di un sistema di autodiagnosi dei guasti che avvisano l'operatore del loro 
cattivo funzionamento". � evidente che il mantenimento nel tempo dell'affidabilit� metrologica 
delle apparecchiature � un profilo che interessa - secondo la richiamata prospettazione 
del giudice a quo - anche i meccanismi di autodiagnosi che appaiono suscettibili, come le 
altre parti delle apparecchiature, di obsolescenza e di deterioramento. 
6.- Alla luce di dette precisazioni, la questione sollevata dal rimettente direttamente in riferimento 
al canone di ragionevolezza di cui all'art. 3 Cost. � fondata. 
Cos� come interpretato dalla Corte di cassazione, l' art. 45 del D.Lgs. n. 285 del 1992 collide 
con il "principio di razionalit�, sia nel senso di razionalit� formale, cio� del principio logico 
di non contraddizione, sia nel senso di razionalit� pratica, ovvero di ragionevolezza" (sentenza 
n. 172 del 1996). 
6.1.- Quanto al canone di razionalit� pratica, appare evidente che qualsiasi strumento di 
misura, specie se elettronico, � soggetto a variazioni delle sue caratteristiche e quindi a variazioni 
dei valori misurati dovute ad invecchiamento delle proprie componenti e ad eventi quali 
urti, vibrazioni, shock meccanici e termici, variazioni della tensione di alimentazione. Si tratta
CONTENZIOSO NAZIONALE 123 
di una tendenza disfunzionale naturale direttamente proporzionata all'elemento temporale. 
L'esonero da verifiche periodiche, o successive ad eventi di manutenzione, appare per i suddetti 
motivi intrinsecamente irragionevole. 
I fenomeni di obsolescenza e deterioramento possono pregiudicare non solo l'affidabilit� 
delle apparecchiature, ma anche la fede pubblica che si ripone in un settore di significativa 
rilevanza sociale, quale quello della sicurezza stradale. 
Un controllo di conformit� alle prescrizioni tecniche ha senso solo se esteso all'intero arco 
temporale di utilizzazione degli strumenti di misura, poich� la finalit� dello stesso � strettamente 
diretta a garantire che il funzionamento e la precisione nelle misurazioni siano contestuali 
al momento in cui la velocit� viene rilevata, momento che potrebbe essere distanziato 
in modo significativo dalla data di omologazione e di taratura. 
6.2.- Sotto il profilo della coerenza interna della norma, come interpretata dalla Corte di 
cassazione, si appalesano altres� evidenti aporie. Occorre a tal proposito considerare che nelle 
richiamate disposizioni l'uso delle apparecchiature di misurazione � strettamente collegato al 
valore probatorio delle loro risultanze nei procedimenti sanzionatori inerenti alle trasgressioni 
dei limiti di velocit�. 
L' art. 142, comma 6, del D.Lgs. n. 285 del 1992 prevede infatti che "Per la determinazione 
dell'osservanza dei limiti di velocit� sono considerate fonti di prova le risultanze di apparecchiature 
debitamente omologate, ... nonch� le registrazioni del cronotachigrafo e i documenti 
relativi ai percorsi autostradali, come precisato dal regolamento". Detta soluzione normativa 
si giustifica per la peculiarit� della fattispecie concreta che - allo stato attuale della tecnologia 
- rende impossibile o sproporzionatamente oneroso riprodurre l'accertamento dell'eccesso di 
velocit� in caso di sua contestazione. 
� evidente che, al fine di dare effettivit� ai meccanismi repressivi delle infrazioni ai limiti di 
velocit�, la disposizione realizza in modo non implausibile e non irragionevole un bilanciamento 
tra la tutela della sicurezza stradale e quella delle situazioni soggettive dei sottoposti alle verifiche. 
� vero infatti che la tutela di questi ultimi viene in qualche modo compressa per effetto 
della parziale inversione dell'onere della prova, dal momento che � il ricorrente contro l'applicazione 
della sanzione a dover eventualmente dimostrare - onere di difficile assolvimento a 
causa della irripetibilit� dell'accertamento - il cattivo funzionamento dell'apparecchiatura. Tuttavia, 
detta limitazione trova una ragionevole spiegazione nel carattere di affidabilit� che l'omologazione 
e la taratura dell'autovelox conferiscono alle prestazioni di quest'ultimo. 
In definitiva il bilanciamento realizzato dall'art. 142 del codice della strada ha per oggetto, 
da un lato, interessi pubblici e privati estremamente rilevanti quali la sicurezza della circolazione, 
la garanzia dell'ordine pubblico, la preservazione dell'integrit� fisica degli individui, 
la conservazione dei beni e, dall'altro, valori altrettanto importanti quali la certezza dei rapporti 
giuridici ed il diritto di difesa del sanzionato. Detto bilanciamento si concreta attraverso una 
sorta di presunzione, fondata sull'affidabilit� dell'omologazione e della taratura dell'autovelox, 
che consente di non ritenere pregiudicata oltre un limite ragionevole la certezza della rilevazione 
e dei sottesi rapporti giuridici. Proprio la custodia e la conservazione di tale affidabilit� 
costituisce il punto di estrema tensione entro il quale la certezza dei rapporti giuridici e il 
diritto di difesa del sanzionato non perdono la loro ineliminabile ragion d'essere. 
Il ragionevole affidamento che deriva dalla custodia e dalla permanenza della funzionalit� 
delle apparecchiature, garantita quest'ultima da verifiche periodiche conformi alle relative 
specifiche tecniche, degrada tuttavia in assoluta incertezza quando queste ultime non vengono 
effettuate.
124 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2016 
In definitiva, se "il giudizio di ragionevolezza [di questa Corte], lungi dal comportare il ricorso 
a criteri di valutazione assoluti e astrattamente prefissati, si svolge attraverso ponderazioni 
relative alla proporzionalit� dei mezzi prescelti dal legislatore nella sua insindacabile 
discrezionalit� rispetto alle esigenze obiettive da soddisfare o alle finalit� che intende perseguire, 
tenuto conto delle circostanze e delle limitazioni concretamente sussistenti" (sentenza 
n. 1130 del 1988) e se la prescrizione dell'art. 142, comma 6, del codice della strada nella sua 
astratta formulazione risulta immune dai richiamati vizi di proporzionalit�, la prescrizione 
dell'art. 45 del medesimo codice, come costantemente interpretata dalla Corte di cassazione, 
si colloca al di fuori del perimetro della ragionevolezza, finendo per comprimere in modo assolutamente 
ingiustificato la tutela dei soggetti sottoposti ad accertamento. 
Il bilanciamento dei valori in gioco realizzato in modo non implausibile nel vigente art. 
142, comma 6, del codice della strada trasmoda cos� nella irragionevolezza, nel momento in 
cui il diritto vivente formatosi sull'art. 45, comma 6, del medesimo codice consente alle amministrazioni 
preposte agli accertamenti di evitare ogni successiva taratura e verifica. 
7.- Dunque, l' art. 45, comma 6, del D.Lgs. n. 285 del 1992 - come interpretato dalla consolidata 
giurisprudenza della Corte di cassazione - deve essere dichiarato incostituzionale in 
riferimento all'art. 3 Cost., nella parte in cui non prevede che tutte le apparecchiature impiegate 
nell'accertamento delle violazioni dei limiti di velocit� siano sottoposte a verifiche periodiche 
di funzionalit� e di taratura. 
PER QUESTI MOTIVI 
LA CORTE COSTITUZIONALE 
dichiara l'illegittimit� costituzionale dell' art. 45, comma 6, del D.Lgs. 30 aprile 1992, n. 
285 (Nuovo codice della strada), nella parte in cui non prevede che tutte le apparecchiature 
impiegate nell'accertamento delle violazioni dei limiti di velocit� siano sottoposte a verifiche 
periodiche di funzionalit� e di taratura. 
Cos� deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 29 
aprile 2015.
CONTENZIOSO NAZIONALE 125 
Nuovi limiti alle parti in ordine alla proponibilit�, 
quale motivo di appello, del difetto di giurisdizione 
NOTA A CASSAZIONE CIVILE, SEZIONI UNITE, SENTENZA 20 OTTOBRE 2016 N. 21260 
Anna Andolfi* 
1. Premessa. 
La sentenza che si annota risolve una delle questioni maggiormente controverse 
in tema di difetto di giurisdizione, vale a dire se la parte attrice, soccombente 
nel merito, possa impugnare la sentenza contestando la giurisdizione 
del giudice da essa stessa adito. 
Nel caso di specie la sentenza di primo grado di rigetto nel merito della 
domanda pronunciata dal Tribunale regionale di giustizia amministrativa per 
il Trentino Alto Adige, Sezione Bolzano, veniva impugnata dalle parti ricorrenti 
con contestazioni di merito e lamentando, in via pregiudiziale, il difetto 
di giurisdizione del giudice amministrativo. Il Consiglio di Stato rigettava 
l�appello sul presupposto che �integra abuso del processo la contestazione 
della giurisdizione da parte del soggetto che abbia optato per quella giurisdizione 
e che, pur se soccombente nel merito, sia risultato vittorioso, in forza 
di una pronuncia esplicita o di una statuizione implicita, proprio sulla questione 
di giurisdizione� (cfr. Consiglio di Stato, Sezione VI, 7 febbraio 2014, 
n. 585) (1). 
(*) Dottoressa in Giurisprudena, ammessa alla pratica forense presso l�Avvocatura dello Stato di Napoli. 
(1) Si legge nella sentenza �� stato osservato al riguardo che la sollevazione di tale sorta di autoeccezione 
in sede di appello, per un verso, integra trasgressione del divieto di venire contra factum 
proprium - paralizzabile con l'exceptio doli generalis seu presentis - e, per altro verso, arreca un irragionevole 
sacrificio alla controparte, costretta a difendersi nell'ambito del giudizio da incardinare innanzi 
al nuovo giudice in ipotesi provvisto di giurisdizione, ad�to secondo le regole in tema di translatio 
iudicii dettate dall'art. 11, cod. proc. amm. 
N� a conclusioni diverse, rispetto a quelle appena evidenziate, pu� giungersi in relazione alle ulteriori 
deduzioni svolte in parte qua degli appellanti, i quali hanno affermato di essere stati costretti ad adire 
il giudice amministrativo �per non vedersi preclusa tale giurisdizione per la scadenza dei termini d'impugnazione 
e anche al fine ultimo di ottenere un atto di sospensione dell'efficacia del provvedimento 
impugnato, cos� come richiesto�. 
Ebbene, quanto al primo dei profili segnalati, ci si limita a osservare che l'argomento in questione introdurrebbe 
- ove condiviso - una sorta di apor�a logica: quella secondo cui la parte ricorrente (che, 
pure, � persuasa che un certo giudice non sia munito di giurisdizione), si affretterebbe comunque ad 
adire ritualmente e tempestivamente proprio quel giudice, al solo fine di non vedersi poi preclusa la 
possibilit� di adirlo. 
Quanto al secondo aspetto, l'argomento si basa allo stesso modo su argomenti non condivisibili sotto 
l'aspetto sistematico; infatti, tale argomento - ove condiviso - legittimerebbe la proposizione di una determinata 
domanda di giustizia dinanzi a un giudice che si sa - o si ritiene - essere privo di giurisdizione
126 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2016 
La sentenza veniva impugnata innanzi alla Corte di Cassazione ai sensi 
degli articoli 362 cod. proc. civ. e 111, ultimo comma, Costituzione. Le Sezioni 
Unite della Corte di Cassazione, nel rigettare il ricorso, hanno affermato il seguente 
principio di diritto �l�attore che abbia incardinato la causa dinanzi ad 
un giudice e sia rimasto soccombente nel merito non � legittimato a interporre 
appello contro la sentenza per denunciare il difetto di giurisdizione del giudice 
da lui prescelto�. 
2. I precedenti e i presupposti in punto di diritto. 
Per cogliere a pieno il significato della sentenza in commento occorre 
partire dall�articolo 37 del cod. proc. civ. il quale disciplina le modalit� di 
emersione della questione di giurisdizione nel processo civile, stabilendo che 
il difetto di giurisdizione del giudice ordinario nei confronti della pubblica 
amministrazione o dei giudici speciali � rilevato, anche d�ufficio, in qualunque 
stato e grado del processo. 
La Corte di Cassazione, a partire dalla sentenza delle Sezioni Unite 9 ottobre 
2008, n. 24883, sul presupposto della necessit� di una interpretazione 
dell�articolo 37 cod. proc. civ. in linea con il principio costituzionale della ragionevole 
durata del processo, ha progressivamente eroso la regola della rileal 
solo fine (opportunistico e inammissibile ad un tempo) di avvalersi delle particolari forme di tutela 
somministrabili dal giudice ritenuto privo di giurisdizione e non anche da quello consideratone munito�. 
La dottrina dell�abuso del processo � da anni coltivata dal Consiglio di Stato proprio in ordine alla questione 
di giurisdizione, escludendo alla parte, che abbia fatto ricorso al giudice amministrativo, di appellare 
la sentenza sfavorevole nel merito assumendo il difetto di giurisdizione del giudice adito (cfr. 
Consiglio di Stato, VI Sezione, 10 marzo 2011, n. 1537, Sezione V, 7 febbraio 2012, n. 656). Per la ricostruzione 
della genesi e della attuale configurazione, in giurisprudenza, della nozione di �abuso del 
processo�, si rinvia in particolare a PANZAROLA A., Presupposti e conseguenza della creazione giurisprudenziale 
del c.d. abuso del processo, in Diritto processuale amministrativo, 2016, 1, pag. 23 ss. 
Come evidenziato dall�autore, la nozione � utilizzata dalla giurisprudenza �per sanzionare l�esercizio 
dell�azione in giudizio - pur conforme alla legge - in forme eccedenti, o devianti, rispetto alla tutela 
dell�interesse sostanziale. Impiegando tale nozione, i Giudici nazionali dichiarano di voler realizzare 
un processo �giusto� che abbia anche una �durata ragionevole� e che sia volto a tutelare interessi 
�meritevoli� [�]. In questa maniera la categoria dell�abuso del processo, mentre finisce per intrecciare 
dimensione individuale della tutela dei diritti e vocazione collettiva della funzione giurisdizionale, viene 
prescelta per perseguire l�interesse pubblico alla allocazione efficiente di una risorsa scarsa e conseguentemente 
elevata a strumento per la massimizzazione dell�utile generale della comunit��. Secondo 
l�autore, la dottrina dell�abuso del processo �degrada il diritto di azione in giudizio a mera proiezione 
dinamica del diritto sostanziale, proponendo una nozione di azione commista con elementi materiali e 
interamente assorbita e rinserrata nell�interesse privato. Cos� la nozione di azione acquista un significato 
dissonante rispetto a quello attribuitole da una dottrina secolare, smarrendo quel fecondo connotato 
della �autonomia� dal diritto sostanziale sul quale ha potuto fondarsi una �autonoma� scienza del 
processo [�] Per restituire al giudice il posto che gli compete e per fondare il suo dovere di provvedere 
occorre, non soltanto negare che la azione possa risolversi in una modalit� di esercizio del diritto sostanziale 
ed insieme ammettere che rappresenti un quid diverso da questo diritto, ma in generale postulare 
la autonomia del fenomeno processuale a quello sostanziale e, su questa base dualistica, 
ricordare che il processo, quantunque (o forse proprio perch�) strumentale al diritto, trova oggi una 
organica sistemazione nel campo del diritto pubblico�. 
CONTENZIOSO NAZIONALE 127 
vabilit� del difetto di giurisdizione in ogni stato e grado del processo. Secondo 
l�orientamento della Suprema Corte il giudice pu� rilevare d�ufficio il difetto 
di giurisdizione durante tutto il giudizio di primo grado, mentre nel secondo 
grado di giudizio, tale questione pregiudiziale di rito rimane nel thema decidendum 
solo se abbia costituito oggetto di un rituale motivo di impugnazione 
ad opera di una delle parti. 
La tesi si fonda sull�idea secondo cui la sentenza con la quale il giudice 
decide nel merito la lite contiene sempre una statuizione implicita affermativa 
della giurisdizione e suscettibile di passare in giudicato se non dedotta con 
specifico motivo di gravame. 
Il principio de quo si pone in deroga all�orientamento espresso dalla dottrina 
in tema di trasmigrazione della causa dal primo al secondo grado di giudizio, 
il quale riconosce al giudice di appello il potere di rilevare 
officiosamente le questioni pregiudiziali di rito o preliminari di merito rilevabili 
d�ufficio che non abbiano costituito oggetto di alcuna soluzione espressa 
nella motivazione della sentenza impugnata (2). In altri termini, secondo tale 
opzione, la formulazione di una preclusione interna al processo in ordine ad 
una questione pregiudiziale di rito rilevabile d�ufficio presuppone, di regola, 
una statuizione espressa nella motivazione della sentenza. Viceversa, con riguardo 
alla questione di giurisdizione, la Corte di Cassazione riconosce la possibilit� 
della formazione del giudicato (rectius: di una preclusione interna al 
processo) anche se la sentenza di primo grado nulla dica al riguardo (3). 
L�orientamento ormai consolidato della Corte di Cassazione trova oggi 
positivo riconoscimento nell�articolo 9 del codice del processo amministrativo 
il quale dispone �Il difetto di giurisdizione � rilevato in primo grado anche 
d�ufficio. Nei giudizi di impugnazione � rilevato se dedotto con specifico motivo 
avverso il capo della pronuncia impugnata che, in modo implicito o esplicito, 
ha statuito sulla giurisdizione�. 
(2) CONSOLO C., Spiegazioni di diritto processuale civile, Volume II, Il processo di primo grado 
e le impugnazioni delle sentenze, Giappichelli Editore, 2015, pp. 484 ss. 
(3) Secondo la dottrina, la tesi giurisprudenziale sopra esposta porta a �ridimensionare la portata 
del principio secondo cui la questione di giurisdizione riguarda l�ordine pubblico processuale� nonch� 
a �scardinare il principio del giudice naturale precostituito per legge sul presupposto che, nella trattazione 
di uno specifico affare, non esiste un giudice pi� idoneo dell�altro, cos� che bisogna preoccuparsi 
soltanto di ci� che il giudice sia e appaia imparziale� (VERDE G., Abuso del processo e giurisdizione, 
in www.judicium.it, pag. 8). Infatti, il principio costituzionale di cui all�articolo 25, sancisce che non 
possa essere violato il criterio della �precostituzione� del giudice, in quanto �l�esistenza di una pluralit� 
di giurisdizioni presuppone che un giudice �non valga l�altro� e che pertanto, si rientri nella garanzia 
del giudice naturale precostituito per legge, essendo la giurisdizione un principio d�ordine pubblico 
processuale� (VERDE G., cit., pag. 7). Coerentemente, il legislatore ha stabilito non solo, come visto, 
che il difetto di giurisdizione fosse rilevabile, anche d�ufficio, in ogni stato e grado del processo (articolo 
37 cod. proc. civ.), ma anche che �ciascuna parte� potesse adire in via preventiva la Corte di Cassazione, 
al fine di far regolare la giurisdizione dalla Suprema Corte, nella sua composizione pi� estesa (articolo 
41 cod. proc. civ.). 
128 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2016 
Secondo l�attuale assetto giurisprudenziale e normativo, pertanto, il potere 
di rilievo ufficioso del difetto di giurisdizione viene meno con l�emanazione 
della sentenza di primo grado che abbia deciso nel merito la lite; nel grado di 
appello, affinch� la questione di giurisdizione possa entrare a far parte del thema 
decidendum, sar� necessaria la formulazione di un apposito motivo di appello 
avverso la sentenza, anche in caso di decisione solo implicita sul punto (4). 
Tanto premesso, fino alla sentenza che si annota, la Corte di Cassazione 
aveva espresso tesi altalenanti per ci� che concerne la individuazione della 
parte legittimata a proporre il suddetto motivo di gravame e se, in particolare, 
potesse l�attore, soccombente nel merito, contestare la giurisdizione del giudice 
da questi adito. 
La posizione espressa in molte pronunce della Corte di Cassazione riconosceva 
la possibilit�, per la parte attrice, di eccepire il difetto di giurisdizione 
del giudice dalla stessa adito, con il solo limite costituito dalla formulazione 
del giudicato, esplicito o implicito, sulla questione. La Suprema Corte ha, in 
pi� occasioni, pronunciato il seguente principio di diritto �l�eccezione di difetto 
di giurisdizione non � preclusa alla parte per il solo fatto di avere adito un giudice 
che lo stesso attore ritiene successivamente privo di giurisdizione; ben 
pu�, quindi, detta parte proporre l�eccezione per la prima volta in appello essendo 
la questione di giurisdizione preclusa solo nel caso in cui sulla stessa si 
sia formulato il giudicato esplicito o implicito� (Corte di Cassazione, Sezioni 
Unite, 27 dicembre 2010, n. 26129; Sezioni Unite 29 marzo 2011, n. 7097; quest�ultima 
richiamata da Sezioni Unite 20 gennaio 2014, n. 1006; Sezioni Unite 
20 maggio 2014, n. 11022; Sezioni Unite 28 maggio 2014, n. 11916). 
Pertanto, secondo la giurisprudenza in ultimo richiamata, l�appello proposto, 
per motivi di giurisdizione, dall�attore soccombente nel merito che quel 
giudice aveva scelto non � causa di inammissibilit� del gravame, salvo avere 
riflessi in ordine al regolamento delle spese in giudizio (Sezioni Unite 28 maggio 
2014, n. 11916) (5). 
In due pronunce, richiamate nella sentenza che si annota, la Suprema 
Corte sembra esprimere posizioni diverse. In particolare, nella sentenza 14 
maggio 2014, n. 10414, la Corte di Cassazione, nell�elaborare la regola che 
governa la questione di giurisdizione nel procedimento promosso con ricorso 
straordinario al Capo dello Stato che fosse compatibile con le peculiarit� proprie 
di tale rimedio speciale, ha stabilito che �il ricorrente il quale abbia allegato 
la giurisdizione del giudice amministrativo quale presupposto per poter 
proporre ricorso straordinario al Capo dello Stato� non pu� successivamente 
(4) CONSOLO C., Spiegazioni di diritto processuale civile, Volume II, Il processo di primo grado 
e le impugnazioni delle sentenze, cit., p. 486. 
(5) Con una sanzione che non colpisce l�atto, mediante la declaratoria di inammissibilit� o di irricevibilit�, 
ma il comportamento della parte, tramite il pagamento di una somma pecuniaria.
CONTENZIOSO NAZIONALE 129 
�proporre ricorso per Cassazione ex art. 111 Cost., comma 8, e art. 362 cod. 
proc. civ. avverso il decreto del Presidente della Repubblica che abbia deciso 
il ricorso su conforme parere del Consiglio di Stato reso sull�implicito [�] o 
esplicito presupposto della sussistenza della giurisdizione del giudice amministrativo 
allegato dalla parte stessa, sul punto non soccombente� (Sezioni 
Unite 14 maggio 2014, n. 10414). Nella seconda pronuncia, Sezioni Unite 19 
giugno 2014 , n. 13940 la Corte di Cassazione non ha negato in astratto la figura 
dell�abuso del processo in caso di appello proposto, per motivi di giurisdizione, 
da colui che in primo grado ha riconosciuto la giurisdizione del 
giudice amministrativo, ma ha escluso l�abusivit� nel caso concreto. 
3. Gli elementi di novit� della sentenza. 
Tanto premesso, la sentenza che si annota segna una svolta nel dibattito 
fin qui delineato, escludendo per l�attore la legittimazione ad interporre appello 
per contestare la giurisdizione del giudice dallo stesso adito. L�argomentazione 
posta a base del decisum pu� essere cos� riassunta: 
(i) la scelta del giudice da parte dell�attore ha valenza di implicito riconoscimento 
della giurisdizione del giudice adito; 
(ii) la sussistenza della giurisdizione rappresenta un capo autonomo rispetto 
alla decisione sul merito; 
(iii) l�attore, soccombente nel merito, non pu� essere considerato tale 
anche in ordine al capo relativo alla giurisdizione in quanto il giudice, nel decidere 
nel merito la lite, ha riconosciuto la propria giurisdizione �cos� come 
implicitamente o espressamente sostenuto dallo stesso attore, che a quel giudice 
si � rivolto�. 
Secondo tale opzione, pertanto, l�appello proposto dall�attore (soccombente 
nel merito), per ragioni di giurisdizione, sarebbe inammissibile non gi� 
perch� configurerebbe una ipotesi di abuso del processo, cos� come sostenuto 
dal Consiglio di Stato, bens� in quanto non vi sarebbe soccombenza sulla questione 
di giurisdizione, riconducendo cos� la questione, da un piano soggettivo, 
relativo alla condotta abusiva, ad uno oggettivo. Conseguentemente - sul presupposto, 
ormai pacifico in giurisprudenza, secondo cui la decisione di merito 
implica non solo riconoscimento della giurisdizione ma anche suo concreto 
esercizio - la sentenza potrebbe essere impugnata, per motivi di giurisdizione, 
solo dal convenuto rispetto al quale � configurabile, in via esclusiva, una soccombenza 
in ordine alla decisione sulla suddetta questione pregiudiziale di rito. 
Nella sentenza in commento la Corte di Cassazione svolge delle precisazioni 
anche in ordine alla posizione del convenuto. Quest�ultimo, infatti, a 
fronte di una sentenza di rigetto nel merito della domanda dell�attore, avrebbe 
interesse a proporre impugnazione per motivi di giurisdizione solo con impugnazione 
incidentale condizionata all�accoglimento della eventuale impugnazione 
principale proposta, per ragioni di merito, dall�attore. Ci� in quanto il
130 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2016 
passaggio in giudicato della sentenza di rigetto nel merito della domanda assicura 
al convenuto maggiori utilit� rispetto a quella che potrebbe ottenere 
dalla sentenza declinatoria della giurisdizione, la quale non preclude all�attore 
la possibilit� di riproporre la domanda innanzi al giudice indicato come giurisdizionalmente 
competente, anche ai sensi dell�articolo 59 della legge 18 
giugno 2009, n. 69. 
4. Brevi indicazioni conclusive. 
Da quanto sopra esposto possono essere schematicamente formulate le 
seguenti indicazioni operative. 
La sentenza di rigetto nel merito della domanda: (i) non potr� essere impugnata 
dall�attore per motivi di giurisdizione; (ii) potr� essere impugnata dal 
convenuto per motivi di giurisdizione in via incidentale per il caso di accoglimento 
dell�appello principale eventualmente proposto dall�attore, avverso la 
medesima sentenza, per ragioni di merito. La sentenza di accoglimento della 
domanda potr� essere impugnata dal convenuto sia per ragioni di merito sia 
per motivi di giurisdizione. 
Resta ferma, per le parti, la facolt� di sollecitare un controllo preventivo 
delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, mediante lo strumento del regolamento 
di giurisdizione di cui all�articolo 41 cod. proc. civ., fino a che la 
causa non sia decisa nel merito di primo grado. In conclusione, la pronuncia 
in parola si pone logicamente in collegamento con la suddetta facolt�, in 
quanto l�attore pu� sempre sciogliere, in via preventiva, ogni dubbio in ordine 
alla questione di giurisdizione, ai sensi dell�articolo 41 cod. proc. civile. 
Cassazione civile, Sezioni Unite, sentenza 20 ottobre 2016 n. 21260 - Primo Pres. f.f. Canzio, 
Rel. Giusti, P.M. Iacoviello (difforme) - A.F., A.G., in proprio e quest'ultimo nella qualit� 
di legale rappresentante della "LABORATORI ISARCO e A. SABIN S.R.L.", (avv.ti A. Bandini e M. 
Perlangeli) c. Provincia Autonoma di Bolzano (avv. ti M. Costa, R. Von Guggenberg, C. Bernardi, 
L. Fadanelli e S. Beikircher). 
FATTI DI CAUSA 
1. - A.F. e A.G., quest'ultimo anche in qualit� di legale rappresentante della Laboratori 
Isarco e A. Sabin s.r.l., hanno impugnato, dinanzi al Tribunale regionale di giustizia amministrativa 
per il Trentino-Alto Adige, sezione di Bolzano, chiedendone l'annullamento, la deliberazione 
in data 11 giugno 2007, n. 1999, della Giunta provinciale di Bolzano, recante 
l'interruzione, a decorrere dal 1 luglio 2007, dei rapporti contrattuali con i laboratori privati 
operanti per conto e a carico del Servizio sanitario provinciale, nonch� la nota del 12 agosto 
2007 con cui il direttore generale dell'Azienda sanitaria della Provincia autonoma di Bolzano 
comunicava la mancata proroga degli attuali accordi per prestazioni ambulatoriali di laboratorio 
con le strutture private convenzionate.
CONTENZIOSO NAZIONALE 131 
Il Tribunale regionale adito, con sentenza in data 22 aprile 2008, ha respinto il ricorso nel 
merito. 
2. - Avverso la sentenza di primo grado gli A. hanno proposto appello, sollevando censure 
di merito ma lamentando anche, in via pregiudiziale, il difetto di giurisdizione dell'adito giudice 
amministrativo, sul rilievo che il rapporto non sarebbe qualificabile come di accreditamento, 
ai sensi del D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 502, art. 8 e ss., (Riordino della disciplina in 
materia sanitaria, a norma della L. 23 ottobre 1992, n. 421, art. 1), bens� come rapporto convenzionale, 
ai sensi della L. 23 dicembre 1978, n. 833, art. 48, (Istituzione del servizio sanitario 
nazionale). 
Il Consiglio di Stato, con sentenza resa pubblica mediante deposito in cancelleria il 7 febbraio 
2014, ha respinto l'appello. 
Il Consiglio di Stato ha escluso che possa trovare ingresso la censura con cui gli appellanti 
si sono doluti del mancato rilievo, da parte del Tribunale regionale di giustizia amministrativa, 
della carenza di giurisdizione, e ha richiamato, al riguardo, l'orientamento 
secondo cui integra abuso del processo la contestazione della giurisdizione da parte del soggetto 
che abbia optato per quella giurisdizione e che, pur se soccombente nel merito, sia risultato 
vittorioso, in forza di una pronuncia esplicita o di una statuizione implicita, proprio 
sulla questione di giurisdizione. 
Secondo il Consiglio di Stato, la sollevazione di tale sorta di auto-eccezione in sede di appello 
integra trasgressione del divieto di venire contra factum proprium - paralizzabile con 
l'exceptio doli generalis seu presentir - e arreca un irragionevole sacrificio alla controparte, 
costretta a difendersi nell'ambito del giudizio da incardinare innanzi al nuovo giudice. 
3. - Per la cassazione della sentenza del Consiglio di Stato A.F. e G. hanno proposto ricorso, 
con atto notificato il 19 settembre 2014, sulla base di due motivi. 
L'intimata Provincia autonoma di Bolzano ha resistito con controricorso, mentre l'Azienda 
sanitaria della Provincia autonoma ed il controinteressato Laboratorio Druso non hanno svolto 
attivit� difensiva. 
RAGIONI DELLA DECISIONE 
1. - La controricorrente Provincia autonoma ha eccepito l'inammissibilit� del ricorso, sostenendo 
che l'atto di impugnazione, in violazione dell'art. 366 c.p.c., n. 3, non conterrebbe 
l'esposizione sommaria dei fatti della causa. 
1.1. - L'eccezione � infondata. 
Il requisito dell'esposizione sommaria dei fatti di causa - prescritto, a pena di inammissibilit� 
del ricorso per cassazione, dall'art. 366 c.p.c. , n. 3), cod. proc. civ. - pu� ritenersi nella 
specie osservato dalla riproduzione, nel ricorso, del testo della sentenza impugnata, il quale 
contiene la descrizione dello svolgimento del processo. 
� bens� vero che i ricorrenti, dopo avere riprodotto, in limine, il testo della sentenza impugnata, 
hanno anche provveduto all'assemblaggio di parti eterogenee del materiale di causa (il 
ricorso introduttivo al Tribunale regionale di giustizia amministrativa) e di atti relativi ad altro 
giudizio (la domanda proposta dai Laboratori e dal suo legale rappresentante, anche in proprio, 
dinanzi al Tribunale del lavoro di Bolzano, con le successive decisioni intervenute); ma il 
coacervo di documenti integralmente trascritti, essendo facilmente individuabile ed isolabile, 
pu� essere separato ed espunto dal ricorso per cassazione, la cui autosufficienza � assicurata 
dall'inserimento, in esso, della sentenza impugnata, recante una corretta ed essenziale narrazione 
dei fatti processuali.
132 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2016 
2. - Con il primo motivo, i ricorrenti denunciano violazione dell'art. 360, n. 1, cod. proc. 
civ., per difetto di giurisdizione del giudice amministrativo in relazione alla verifica della esistenza 
e della validit� di una convenzione ex art. 48 della legge n. 833 del 1978; conseguente 
competenza del giudice ordinario in funzione di giudice del lavoro. I ricorrenti escludono preliminarmente 
di avere abusato del processo sottoponendo al Consiglio di Stato la questione 
di giurisdizione, e sostengono di avere impugnato l'atto dinanzi al giudice amministrativo 
"per non creare preclusioni" e di avere chiesto al giudice amministrativo, sin dal ricorso introduttivo, 
di verificare la sua competenza. D'altra parte, la dimostrazione che la materia del 
contendere imponesse il duplice binario, emergerebbe, ad avviso dei ricorrenti, dalla sentenza 
n. 264/09 del Tribunale ordinario di Bolzano, in funzione di giudice del lavoro, che, giudicando 
sulla domanda della Laboratori e del suo legale rappresentante A.G. di accertamento 
della persistente operativit� della convenzione inter partes e di condanna della ASL al pagamento 
dei compensi, ha dichiarato la propria giurisdizione, pur rigettando nel merito la domanda, 
nonch� dall'ordinanza della Corte d'appello di Bolzano, sezione lavoro, che, investita 
del gravame, ha disposto la sospensione del processo in attesa della definizione del procedimento 
davanti alla giustizia amministrativa. Quanto al merito della questione di giurisdizione, 
i ricorrenti affermano che il rapporto instaurato tra i laboratori ed i loro professionisti, da una 
parte, ed il Servizio sanitario nazionale, dall'altro, � di tipo convenzionale L. n. 833 del 1978, 
ex art. 48: i ricorrenti infatti non esercitano una professione sanitaria e non sono annoverabili 
tra le strutture. Da tale natura del rapporto deriverebbe, ad avviso dei deducenti, la giurisdizione 
dell'autorit� giudiziaria ordinaria e il potere della stessa di disapplicare, ai sensi della 
L. 20 marzo 1865, n. 2248, art. 5, all. E, l'atto impugnato, anche quando il sanitario intenda 
conseguire l'accertamento della illegittimit� del mancato conferimento dell'incarico, in violazione 
del proprio diritto, ed ottenere il risarcimento del danno sofferto. 
Con il secondo mezzo, i ricorrenti lamentano difetto di giurisdizione ed insufficiente, 
contraddittoriet� ed illogicit� della motivazione della sentenza in riferimento alla applicabilit� 
della L. n. 833 del 1978, art. 48, ed alla inapplicabilit� al caso di specie del D.Lgs. n. 
502 del 1992. 
3. - I motivi possono essere esaminati congiuntamente, stante la stretta connessione. 
4. - Essi pongono la questione se la parte che abbia incardinato la causa presso un plesso 
giurisdizionale (nella specie, dinanzi al giudice amministrativo), risultando poi soccombente 
nel merito, possa appellare sostenendo che il giudice avrebbe dovuto rilevare il proprio difetto 
di giurisdizione, e ricercare cos�, attraverso la proposizione dell'impugnazione, la sostituzione 
di una sentenza sfavorevole nel merito con una sentenza sfavorevole in punto di rito. 
5. - Allo scrutinio dei motivi non � di ostacolo la deduzione della difesa della controricorrente, 
secondo cui l'interposto ricorso per cassazione - mirando a censurare la ravvisata improponibilit� 
della questione di giurisdizione in appello da parte di chi quello stesso giudice 
aveva scelto - sarebbe volto a denunciare semplicemente il superamento dei limiti interni della 
giurisdizione amministrativa (quindi, un error in procedendo). 
A tale riguardo occorre considerare che � da intendere proposto per motivi inerenti alla 
giurisdizione, in base all'art. 111 Cost., u.c., e art. 362 c.p.c., comma 1, ed � perci� ammissibile, 
il ricorso per cassazione contro la decisione del Consiglio di Stato con cui � stato ritenuto precluso 
l'esame della questione di giurisdizione in quanto sollevata dalla parte che ha agito in 
primo grado mediante la scelta del giudice del quale, poi, nel contesto dell'appello, disconosce 
e contesta la giurisdizione. 
Spetta infatti alle Sezioni Unite non soltanto il giudizio vertente sull'interpretazione della
CONTENZIOSO NAZIONALE 133 
norma attributiva della giurisdizione, ma anche il sindacato sull'applicazione delle disposizioni 
che regolano la deducibilit� ed il rilievo del difetto di giurisdizione (Cass., Sez. U., 23 novembre 
2012, n. 20727; Cass., Sez. U., 9 marzo 2015, n. 4682). 
6. - Con l'impugnata sentenza, i giudici amministrativi hanno ritenuto che "non pu� trovare 
accoglimento" il motivo di impugnazione con il quale la parte ricorrente ha messo in discussione 
la giurisdizione del TAR, da lei stessa adito, al fine di ribaltare l'esito negativo nel merito 
del giudizio, ponendosi una siffatta prospettazione in contrasto con il divieto di venire contra 
factum proprium e con la regola di correttezza e buona fede prevista dall'art. 1175 c.c. Secondo 
il Consiglio di Stato, "integra un abuso del processo la contestazione della giurisdizione da 
parte del soggetto che abbia optato per quella giurisdizione e che, pur se soccombente nel merito, 
sia risultato vittorioso, in forza di una pronuncia esplicita o di una statuizione implicita, 
proprio sulla questione di giurisdizione". 
La sentenza � espressione dell'orientamento invalso nella giurisprudenza del Consiglio di 
Stato dopo l'entrata in vigore del codice del processo amministrativo, e ribadito anche di recente 
(Sez. 4^, 7 novembre 2015, n. 5484; Sez. 6^, 29 febbraio 2016, n. 856). 
Nella sentenza che ha dato avvio a questo indirizzo (Sez. 5^, 7 giugno 2012, n. 656) si afferma 
(valorizzando e sviluppando un obiter contenuto in Sez. 6^, 10 marzo 2011, n. 1537) 
che il sollevare, per la prima volta in sede di appello, l'eccezione di difetto di giurisdizione 
del giudice amministrativo da parte dell'originario ricorrente che si era rivolto a quel giudice, 
ma ne disconosce la giurisdizione visto l'esito negativo, nel merito, della controversia, integra 
abuso del processo. La sollevazione di detta auto-eccezione in appello - si fa rilevare - "arreca 
un irragionevole sacrificio alla controparte, costretta a difendersi nell'ambito del giudizio da 
incardinare innanzi al nuovo giudice in ipotesi provvisto di giurisdizione, adito secondo le 
regole in tema di translatio iudicii dettate dall'art. 11 cod. proc. amm.". Detto sacrificio non 
trova adeguata giustificazione nell'interesse della parte: questa ben pu� "difendersi nel merito 
in sede di appello al fine di ribaltare la statuizione gravata piuttosto che ripudiare detto giudice 
in funzione di un giudizio opportunistico circa le maggiori o minori probabilit� di esito favorevole 
a seconda del giudice chiamato a definire la res litigiosa". Il disconoscimento della 
giurisdizione ab initio invocata - si osserva ancora - "si traduce in un prolungamento dei tempi 
della definizione del giudizio dettata da ragioni puramente utilitaristiche". 
7. - La tesi dell'inammissibilit� dell'appello per ragioni di abuso da contraddittoriet� discendente 
dal contrasto tra due atti processuali (il ricorso di primo grado al giudice amministrativo 
e l'appello per difetto di giurisdizione contro la sentenza del medesimo giudice) non 
trova riscontro nella giurisprudenza di questa Corte regolatrice. 
Si � infatti statuito (Sez. U., 27 dicembre 2010, n. 26129), in una vicenda sovrapponibile 
a quella che qui viene in esame, che l'eccezione di difetto di giurisdizione non � preclusa alla 
parte per il solo fatto di avere adito un giudice (nella specie, il TAR) che lo stesso attore ritiene 
successivamente privo di giurisdizione, e che ben pu� detta parte proporre l'eccezione per la 
prima volta in appello (nella specie, davanti al Consiglio di giustizia amministrativa per la 
Regione Siciliana), essendo la questione di giurisdizione preclusa solo nel caso in cui sulla 
stessa si sia formato il giudicato esplicito o implicito. 
In questa stessa prospettiva: 
- si � affermato che la questione di giurisdizione pu� essere sempre sollevata, anche in relazione 
alla sentenza di appello, quando una delle parti (non importa quale) abbia sollevato 
tempestivamente la questione stessa con i motivi di appello (Sez. U., 29 marzo 2011, n. 7097; 
Sez. U., 28 maggio 2014, n. 11916), e pu� essere posta pure dalla stessa parte che ha adito un
134 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2016 
giudice e ne ha successivamente contestato la giurisdizione in base all'interesse che deriva 
dalla soccombenza nel merito (Sez. U., 27 luglio 2011, n. 16391); 
- si � ammessa (Sez. U., 20 gennaio 2014, n. 1006) la proponibilit� della questione di giurisdizione 
con ricorso alla Corte regolatrice da parte di chi l'aveva sollevata, tempestivamente, 
dinanzi al Consiglio di Stato dopo avere invece, di fronte al giudice ordinario dove la causa 
era stata inizialmente proposta dall'altra parte, sostenuto la sussistenza della giurisdizione del 
giudice amministrativo; 
- si � sottolineato - con affermazione di carattere generale - che, purch� almeno una delle 
parti l'abbia sollevata tempestivamente in appello (con ci� impedendo la formazione del giudicato 
sul punto), la questione di giurisdizione pu� essere posta in cassazione, "in funzione di 
interesse correlato alla posizione di merito", anche dalla parte che, nei pregressi gradi, abbia 
assunto in proposito opposta determinazione (Sez. U., 20 maggio 2014, n. 11022). 
Secondo l'orientamento delle Sezioni Unite, quindi, l'altalenante condotta della parte non 
invalida l'atto e non � fonte di effetti preclusivi dell'impugnazione per motivi di giurisdizione. 
Il pentimento secundum eventum litis � dichiarato ammissibile quale esercizio del diritto 
di avere torto: si richiamano, al riguardo, la natura oggettiva dell'interesse sotteso all'universalit� 
della legittimazione a proporre ricorso per regolamento preventivo ex art. 41 c.p.c., la 
sufficienza di un interesse impugnatorio correlato alla posizione di merito e l'irrilevanza della 
rinuncia nella materia indisponibile della giurisdizione. L'incoerenza del comportamento processuale, 
quando � idonea a pregiudicare il diritto fondamentale della controparte ad una ragionevole 
durata del processo ai sensi dell'art. 111 Cost., pu� essere stigmatizzata con il 
governo delle spese, per trasgressione al dovere di lealt� e probit� ex art. 88 c.p.c., secondo 
la disciplina dettata dall'art. 92 c.p.c., comma 1, ultima parte. 
8. - Recentemente, peraltro, nella giurisprudenza di queste Sezioni Unite si registra un mutamento, 
essendosi pervenuti all'elaborazione di una soluzione diversa, non pi� di ammissibilit� 
con sanzione delle spese, ma di ammissibilit� condizionata alla giustificazione della 
parte istante. In una pronuncia resa su impugnazione avverso una sentenza del Consiglio di 
Stato che aveva dichiarato inammissibile perch� abusiva l'auto-eccezione di difetto di giurisdizione 
in appello, la Corte regolatrice (Sez. U. 19 giugno 2014, n. 13940) non ha negato in 
generale la forza preclusiva dell'abuso, ma ha escluso in concreto l'abuso del ricorrente, giacch�, 
per un verso, l'eccezione sollevata dal resistente aveva giustificato "il ripensamento e la 
necessit� di chiarimento sulla questione di giurisdizione", e, per l'altro verso, la "complessit� 
della materia del contendere che dava corpo al ricorso iniziale" impediva di "addebitare il 
successivo ripensamento in sede di appello a una manifestazione di abuso del processo". 
Un ulteriore passo in direzione della configurabilit� di una preclusione a cambiamenti di 
strategia processuale � possibile cogliere nella sentenza con cui le Sezioni Unite (14 maggio 
2014, n. 10414) hanno dichiarato inammissibile il ricorso ex art. 362 c.p.c., proposto avverso 
il decreto del Presidente della Repubblica dallo stesso ricorrente in via straordinaria che, soccombente 
nel merito, contestava la giurisdizione amministrativa costituente indefettibile presupposto 
della sua stessa originaria iniziativa. Richiamata la necessit� del bilanciamento tra il 
valore costituzionale del giudice naturale e quello della ragionevole durata del processo, contemperamento 
sotteso all'evoluzione giurisprudenziale dell'art. 37 c.p.c., e alla conseguente 
emanazione dell'art. 9 cod. proc. amm., le Sezioni Unite hanno osservato che la deducibilit� 
piena e assoluta della questione di giurisdizione consentirebbe a una parte - che abbia promosso 
o accettato il rimedio semplificato del ricorso straordinario allegando il presupposto della giurisdizione 
del giudice amministrativo o non contestando tale allegato presupposto - "di giocare
CONTENZIOSO NAZIONALE 135 
la carta di un'altra giurisdizione secundum eventum litis, ancorch� la parte stessa non sia affatto 
soccombente sulla questione di giurisdizione, ma lo sia nel merito del ricorso straordinario". 
9. - Alla base della tesi, prevalente nella giurisprudenza di queste Sezioni Unite, che ammette 
l'attore, soccombente nel merito, a proporre appello contestando la giurisdizione da lui 
stesso prescelta, vi � l'idea che in capo a costui vi sia l'interesse ad impugnare per chiedere 
una diminuzione della propria soccombenza, perch� la decisione negativa in punto di giurisdizione, 
rispetto alla pronuncia negativa di merito, comporta un vantaggio giuridicamente 
rilevante che si concreta nella possibilit� di proporre nuovamente la domanda dinanzi ad un 
giudice appartenente ad un diverso plesso giurisdizionale. 
Appellando per difetto di giurisdizione, l'attore in primo grado che ha visto rigettata la propria 
domanda nel merito (con una pronuncia suscettibile di passare in giudicato sostanziale 
che preclude la riproponibilit� della domanda) ambisce infatti alla transiatio iudicii, che implica 
la rimozione della sentenza negativa e la rivalutazione del merito della domanda in una 
giurisdizione diversa. 
10. - Questa premessa, ad avviso del Collegio, merita di essere ripensata. 
10.1. - Occorre muovere dalla considerazione che, nell'esperienza giurisprudenziale conseguente 
alla sentenza delle Sezioni Unite 9 ottobre 2008, n. 24883, l'art. 37 c.p.c., vive come 
una norma che preclude, in assenza di un apposito motivo di gravarne, il rilievo officioso del 
difetto di giurisdizione se la controversia sia stata decisa nel merito nel grado precedente, 
anche in mancanza di una esplicita statuizione sulla sussistenza della giurisdizione (da ultimo, 
Cass., Sez. U., 7 ottobre 2016, n. 20191). 
In sostanza, il regime cronologico e modale del difetto di giurisdizione � il seguente: il difetto 
di giurisdizione pu� essere eccepito dalle parti anche dopo la scadenza del termine previsto 
dall'art. 38 c.p.c., fino a quando la causa non sia stata decisa nel merito in primo grado; 
la sentenza di primo grado di merito pu� sempre essere impugnata per difetto di giurisdizione; 
la sentenza di appello � impugnabile per difetto di giurisdizione soltanto se sul punto non si 
sia formato il giudicato esplicito o implicito, operando la relativa preclusione anche per il giudice 
di legittimit�; il giudice pu� rilevare anche d'ufficio il difetto di giurisdizione fino a 
quando al riguardo non si sia formato il giudicato esplicito o implicito. 
Alla base di questo approdo vi � non soltanto il rilievo che "in ogni processo vanno individuati 
due distinti e non confondibili oggetti del giudizio, l'uno (processuale) concernente la 
sussistenza o meno del potere-dovere del giudice di risolvere il merito della causa e l'altro 
(sostanziale) relativo alla fondatezza o no della domanda", e che la statuizione sul merito contiene 
"implicitamente quella sull'antecedente logico da cui � condizionata e, cio�, sull'esistenza 
della giurisdizione, in difetto della quale non avrebbe potuto essere adottata". Vi � anche la 
sottolineatura che "l'accertamento della giurisdizione non rappresenta un mero passaggio interno 
della statuizione di merito, ma costituisce un capo autonomo che � pienamente capace 
di passare in giudicato anche nel caso in cui il giudice si sia pronunciato solo implicitamente 
sul punto". 
10.2. - Il diritto vivente formatosi sull'art. 37 c.p.c., � stato recepito dal codice del processo 
amministrativo. Ai sensi dell'art. 9, "Il difetto di giurisdizione � rilevato in primo grado anche 
d'ufficio. Nei giudizi di impugnazione � rilevato se dedotto con specifico motivo avverso il 
capo della pronuncia impugnata che, in modo implicito o esplicito, ha statuito sulla giurisdizione". 
Una previsione di contenuto identico � dettata dall'art. 15 del codice di giustizia contabile, 
approvato con il D.Lgs. 26 agosto 2016, n. 174 : "Il difetto di giurisdizione � rilevato 
in primo grado anche d'ufficio. Nei giudizi di impugnazione, il difetto di giurisdizione � rile-
136 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2016 
vato se dedotto con specifico motivo avverso il capo della pronuncia impugnata che, in modo 
implicito o esplicito, ha statuito sulla giurisdizione". 
10.3. - Tanto l'elaborazione giurisprudenziale formatasi sull'art. 37 cod. proc. civ. quanto 
la lettera dell'art. 9 cod. proc. amm. e dell'art. 15 cod. giust. cont. qualificano in termini di 
"capo" la statuizione sulla giurisdizione contenuta nella sentenza di primo grado che decide 
il merito della causa. Si tratta di un aspetto non nuovo nel processo civile, ma che presenta 
elementi di continuit� con l'esperienza delle sentenze non definite su questioni, nelle quali 
come la dottrina non ha mancato di rilevare - � isolabile una singola questione come contenuto 
di pronuncia: in esse, infatti, il "capo" non � corrispondente ad una domanda, ma si identifica, 
appunto, nella soluzione di una questione. 
10.4. - Il "capo" sulla sussistenza della giurisdizione che accompagna la decisione sul merito 
� non solo suscettibile di giudicato interno in mancanza di un'apposita attivit� di parte rivolta 
a denunciare con specifico motivo di gravame la carenza di giurisdizione. 
Esso si presenta altres� come termine di riferimento da cui desumere una soccombenza 
sulla questione di giurisdizione autonoma rispetto alla soccombenza sul merito. � significativo 
al riguardo, ancora una volta, il confronto con la disciplina dell'appello contro le sentenze 
parziali, dove il codice di procedura civile (art. 340), nel fare riferimento alla "parte soccombente", 
correla il dato attributivo di questa definizione, nell'ipotesi delle sentenze previste dal 
n. 4 del secondo comma dell'art. 279, proprio alla soluzione di una questione. 
Di fronte ad una sentenza di rigetto della domanda non � ravvisabile una soccombenza dell'attore 
anche sulla questione di giurisdizione: rispetto al "capo" relativo alla giurisdizione 
egli va considerato a tutti gli effetti vincitore, avendo il giudice riconosciuto la sussistenza 
del proprio dovere di decidere il merito della causa, cos� come implicitamente o esplicitamente 
sostenuto dallo stesso attore, che a quel giudice si � rivolto, con l'atto introduttivo della controversia, 
per chiedere una risposta al suo bisogno individuale di tutela. 
L'attore non � pertanto legittimato a contestare il capo sulla giurisdizione e a sostenere che 
la potestas iudicandi spetta ad un giudice diverso, appartenente ad un altro plesso giurisdizionale: 
relativamente ad una tale pronuncia a contenuto processuale di segno positivo, non 
� configurabile, per l'attore, soccombenza, che del potere di impugnativa rappresenta l'antecedente 
necessario; la soccombenza nel merito non pu� essere trasferita sul (e utilizzata per 
censurare il) diverso capo costituito dalla definizione endoprocessuale della questione di giurisdizione, 
trattandosi di aspetto non destinato, per sua natura, a differenza di ci� che avviene 
con riguardo ad altre questioni pregiudiziali di rito, a condizionare l'efficacia e l'utilit� stessa 
della decisione adottata. 
Rispetto al capo sulla giurisdizione che accompagna la statuizione di rigetto nel merito della 
domanda � configurabile esclusivamente la soccombenza del convenuto, sempre che a sua 
volta non abbia chiesto al giudice di dichiararsi munito di giurisdizione. Il vincitore pratico 
della causa, se non ha interesse a impugnare per primo sul capo della giurisdizione, perch� il 
passaggio in giudicato della statuizione di rigetto gli assicura una utilit� maggiore di quella 
che potrebbe ottenere dalla declinatoria di giurisdizione, ha tuttavia interesse ad impugnare 
dopo e per effetto della impugnazione principale sul merito da parte del soccombente pratico 
e cos� in via incidentale per il caso di suo accoglimento (Cass., Sez. U., 6 marzo 2009, n. 5456). 
11. - La soluzione della inammissibilit� dell'appello proposto dall'attore soccombente nel 
merito il quale sostenga che la sentenza � stata emanata da un giudice privo di giurisdizione, 
non si pone in contrasto con la garanzia del giudice naturale precostituito per legge o in contraddizione 
con l'attinenza del riparto di giurisdizione all'ordine pubblico processuale.
CONTENZIOSO NAZIONALE 137 
Infatti, il valore costituzionale del giudice precostituito per legge � presidiato dall'obbligo 
del giudice di procedere d'ufficio in primo grado alla verifica della potestas iudicandi e va bilanciato 
con quello dell'ordine e della speditezza del processo. Pertanto, la quaestio iurisdictionis 
ben pu� non solo trovare anticipata soluzione endoprocessuale, ma anche conoscere 
una preclusione alla possibilit� della relativa deduzione in appello ad opera di chi, avendo 
adito il giudice appartenente a quel dato plesso giurisdizionale, non � soccombente al riguardo. 
D'altra parte, come � stato osservato in dottrina, il corretto riparto di giurisdizione, pur di 
interesse superindividuale, "non esprime pi� un valore processuale assolutamente imperativo, 
da garantire... a pena di veder nascere una sentenza inutiliter data"; e ci� a differenza di quanto 
avviene con riferimento ad altre questioni processuali "fondanti", le quali non si possono considerare 
implicitamente risolte, e sono soggette alla verifica dei giudici delle impugnazioni, 
perch� servono a salvaguardare l'ordinamento dal disvalore "di sistema" costituito dall'emissione 
di sentenze instabili (cos� Cass., Sez. U., 4 marzo 2016, n. 4248). 
11.1. - E neppure appare decisiva l'obiezione circa la disarmonia sistematica che deriverebbe 
dal fatto che l'art. 41 c.p.c. (cui l'art. 10 cod. proc. amm. e l'art. 16 cod. giust. cont. rinviano) 
consente a ciascuna parte, e quindi anche all'attore, di rivolgersi alle Sezioni Unite 
della Corte di cassazione per chiedere il regolamento preventivo di giurisdizione, quantunque 
n� il convenuto n� il giudice abbiano sollevato la relativa questione. 
Infatti, la preclusione riguarda l'appello per difetto di giurisdizione proposto dall'attore 
dopo che il giudice ha deciso la causa nel merito: concerne, quindi, un rimedio impugnatorio 
rivolto a fare pronunciare una sentenza endoprocessuale di difetto di giurisdizione e cos� senza 
effetto di sbarramento alla riproposizione della domanda dinanzi ad un diverso giudice (al 
giudice ordinario anzich� al giudice amministrativo inizialmente adito, o viceversa). Il regolamento 
preventivo di giurisdizione, invece, � un rimedio non impugnatorio diretto ad una 
pronuncia con efficacia panprocessuale. 
Possono pertanto ben coesistere la facolt�, anche per l'attore, di accedere al giudice regolatore 
della giurisdizione finch� la causa non sia decisa nel merito dal giudice adito, e la preclusione 
a interporre appello con un motivo di difetto di giurisdizione per chi ha promosso la 
controversia dinanzi ad un giudice e dallo stesso ha ricevuto un esame nel merito della domanda 
di tutela giurisdizionale. 
L'una via (il regolamento preventivo) � consentita in ragione della posizione istituzionale 
della Suprema Corte, della forza esterna della sua pronuncia e dello specifico impatto che 
essa esercita sulla ragionevole durata del processo: una possibilit�, d'altra parte, che all'attore 
� data non ad libitum, ma solo in presenza di ragionevoli dubbi sui limiti esterni della giurisdizione 
del giudice adito, quindi di un interesse concreto ed immediato ad una risoluzione 
della quaestio da parte delle Sezioni Unite, in via definitiva ed immodificabile, onde evitare 
che la sua risoluzione in sede di merito possa incorrere in successive modifiche nel corso del 
giudizio, ritardando la definizione della causa, anche al fine di ottenere un giusto processo di 
durata ragionevole (Cass., Sez. U., 21 settembre 2006, n. 20504; Cass., Sez. U., 27 gennaio 
2011, n. 1876; Cass., Sez. U., 12 luglio 2011, n. 15237; Cass., Sez. U., 16 dicembre 2013, n. 
27990; Cass., Sez. U., 2 febbraio 2016, n. 1918). 
L'altra via (l'appello per difetto di giurisdizione) � preclusa perch� l'ordinamento processuale 
non consente all'attore, una volta che la causa sia stata decisa nel merito, la contraddittoriet� 
rispetto all'originaria scelta di giurisdizione, e gli impedisce, attraverso la dichiarazione 
di inammissibilit� del motivo di giurisdizione sollevato con il gravame (al netto, quindi, di 
eventuali concorrenti motivi di merito), di conseguire l'utilit� discendente dal ripensamento
138 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2016 
secundum eventum. Una soluzione preclusiva, questa, che appare in linea con la considerazione 
della giurisdizione come risorsa a disposizione della collettivit�, che proprio per tale 
ragione deve essere impiegata in maniera razionale, s� da preservare la possibilit� di consentirne 
l'utilizzo anche alle parti nelle altre cause pendenti e agli utenti che in futuro indirizzeranno 
le loro controversie alla cognizione del giudice statale. 
12. - Va pertanto affermato il seguente principio di diritto; "L'attore che abbia incardinato 
la causa dinanzi ad un giudice e sia rimasto soccombente nel merito non � legittimato a interporre 
appello contro la sentenza per denunciare il difetto di giurisdizione del giudice da lui 
prescelto". 
13. - � pertanto corretta la decisione del Consiglio di Stato di non dare ingresso alla censura 
con cui gli appellanti A.F. e G. si sono doluti del mancato rilievo, da parte del Tribunale regionale 
di giustizia amministrativa, della carenza di giurisdizione del giudice amministrativo. 
Resta assorbito l'esame della censura sul fondo della questione di giurisdizione. 
14. - Il ricorso � rigettato. 
La complessit� della questione trattata giustifica l'integrale compensazione tra le parti delle 
spese del giudizio di cassazione. 
15. - Poich� il ricorso � stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed � respinto, 
sussistono le condizioni per dare atto ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 
17, (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - Legge di 
stabilit� 2013), che ha aggiunto l'art. 13, comma 1 quater, del testo unico di cui al D.P.R. 30 
maggio 2002, n. 115 - della sussistenza dell'obbligo di versamento, da parte dei ricorrenti, 
dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione 
integralmente rigettata. 
PER QUESTI MOTIVI 
La Corte rigetta il ricorso e dichiara integralmente compensate tra le parti le spese del giudizio 
di cassazione. 
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 
2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei 
ricorrenti, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, 
a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis. 
Cos� deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, dell�11 ottobre 2016.
CONTENZIOSO NAZIONALE 139 
La liquidazione delle astreintes e le ragioni ostative ex 
art. 114 c.p.a. alla luce della legge di stabilit� per il 2016 
NOTA A CONSIGLIO DI STATO, SEZ. IV, SENTENZA 13 APRILE 2016 N. 1444 
Claudio Tric�* 
SOMMARIO: 1. Il caso di specie e le problematiche affrontate dal Consiglio di Stato - 2. 
L�istituto delle astreintes ex art. 114 c.p.a.: ratio, archetipi e disciplina - 3. L�applicabilit� 
dell�istituto alle sentenze di condanna pecuniaria - 4. I termini di decorrenza, le ragioni ostative 
e la quantificazione delle astreintes nella pronuncia in esame. 
1. Il caso di specie e le problematiche affrontate dal Consiglio di Stato. 
Con la sentenza oggetto del presente commento, il Consiglio di Stato � 
tornato a occuparsi della definizione di taluni aspetti problematici della disciplina 
delle astreintes di cui all�art. 114, comma quarto, lettera e), del Codice 
del processo amministrativo. 
In particolare, il Giudice amministrativo, ponendosi nella scia della sentenza 
dell�Adunanza Plenaria n. 15 del 2014 - la quale si � espressa direttamente 
sul tema dell�operativit� dell�istituto rispetto all�inadempimento di 
obbligazioni fungibili della P.A., nonch� incidentalmente sul tema della natura 
sanzionatoria delle cc.dd. penalit� di mora - ha preso posizione sulla questione 
inerente la corretta liquidazione delle astreintes e sull�eventuale rilevanza ostativa 
delle ristrettezze finanziarie e di bilancio delle amministrazioni inadempienti, 
alla luce delle novit� introdotte con la legge di stabilit� per il 2016 (1). 
Tali riflessioni, consolidatesi in talune successive pronunce del Consiglio 
di Stato (2), hanno tratto spunto da una fattispecie concreta (tristemente) comune, 
la quale vedeva un privato adire il giudice dell�ottemperanza al fine di 
ottenere l�esecuzione di una sentenza che aveva condannato il Ministero della 
Giustizia a corrispondere un importo, pur modesto, a titolo di equa riparazione 
per l�irragionevole durata di un precedente processo. 
Alla luce dell�inadempimento dell�amministrazione, il Tribunale regionale 
accoglieva il ricorso di parte attorea, condannando il Ministero a dare 
esecuzione alla decisione e a pagare una somma di denaro, a titolo di penalit� 
di mora, a far data dell�atto introduttivo del giudizio di ottemperanza, nominando 
fin da subito un commissario ad acta per reagire all�eventuale protrarsi 
dell�inerzia del debitore. 
(*) Dottore in Giurisprudenza, specializzato nelle Professioni Legali, gi� tirocinante presso la Corte di 
Cassazione. 
(1) V. la Legge n. 208 del 28 dicembre 2015. 
(2) V. Cons. St., sez. IV, 17 ottobre 2016, n. 4269; Cons. St., sez. IV, 18 ottobre 2016, n. 4322. 
Entrambe disponibili su www.dejure.it.
140 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2016 
Il Ministero proponeva pertanto appello dinanzi al Consiglio di Stato, deducendo 
in primis la mancanza dei presupposti per la condanna al pagamento 
delle astreintes, affermando che la limitatezza delle risorse disponibili, ai sensi 
dell�art. 3, comma 7, della Legge n. 89 del 2001, costituirebbe una �ragione 
ostativa� all�adozione delle stesse, nonch�, in via subordinata, l�illegittimit� 
del termine di decorrenza delle penalit� di mora, fissato in un momento antecedente 
alla pronuncia sull�ottemperanza. 
Il Giudice adito ha ritenuto parzialmente fondata l�impugnazione, sulla 
base di una serie di argomentazioni la cui analisi presuppone una breve ricognizione 
dell�istituto in esame. 
2. L�istituto delle astreintes ex art. 114 c.p.a.: ratio, archetipi e disciplina. 
Ai sensi dell�art. 114 del D.Lgs. n. 104 del 2010, meglio noto con il nome 
di �Codice del processo amministrativo�, il giudice, accogliendo il ricorso per 
ottemperanza avverso l�inadempimento dell�amministrazione, pu� fissare, 
salvo che ci� non appaia manifestamente iniquo e che non sussistano particolari 
ragioni ostative, una somma di denaro dovuta dal resistente per ogni violazione 
o inosservanza successiva, ovvero per ogni ulteriore ritardo nell�esecuzione del 
giudicato. 
La possibilit� di adottare tale misura, pur condizionata dalla proposizione 
di un�istanza di parte, riflette la rinnovata fisionomia del giudizio amministrativo, 
volto a garantire una tutela piena ed esaustiva delle ragioni del privato, 
anche nel caso in cui l�inadempimento dell�amministrazione si protragga oltre 
il giudizio di ottemperanza (3). 
Il fondamento assiologico dell�istituto, difatti, si rinviene agevolmente 
nell�art. 24 della Costituzione, posto a garanzia del diritto di difesa del singolo, 
ma anche nell�art. 1 dello stesso c.p.a., il quale afferma il principio dell�effettivit� 
e della pienezza della tutela amministrativa, in conformit� ai principi 
costituzionali e del diritto europeo (4). 
Proprio in tale prospettiva, d�altronde, appare evidente che la ratio della 
misura in esame pu� rinvenirsi anche nell�esigenza di garantire il principio 
della ragionevole durata del processo, come declinato a livello sovranazionale. 
L�adozione delle penalit� di mora, difatti, persegue l�intento di ostacolare il 
diffondersi del fenomeno della speculazione sui tempi processuali, in ragione 
dei quali conveniva all�amministrazione debitrice persistere nella propria inadempienza, 
confidando che il desiderio di giustizia del creditore venisse fiaccato 
dalle tempistiche e dagli oneri della tutela giudiziale (5). 
(3) Sulla fisionomia evolutiva del giudizio di ottemperanza, ma ancor prima dell�ordinamento 
amministrativo in generale, v. F. CARINGELLA, Manuale di diritto amministrativo, Roma, 2014, passim. 
(4) D. TOMASSETTI, L�astreinte nel processo amministrativo: natura, ambito oggettivo, portata e 
limiti alla luce della pi� recente giurisprudenza, in Gazz. Amm., 1, 2012, p. 1.
CONTENZIOSO NAZIONALE 141 
Tale obiettivo aveva reso necessario un ampliamento degli strumenti a 
tutela del privato, il quale poteva, tradizionalmente, usufruire di una gamma 
di rimedi esclusivamente surrogatori - quale l�adozione del provvedimento 
amministrativo da parte dello stesso giudice o la nomina di un commissario 
ad acta - comunque inadeguati a soddisfare le sue esigenze di tutela in tutti 
quei casi in cui il giudicato non fosse stato agevolmente eseguibile dal terzo, 
chiamato a sostituirsi all�amministrazione inadempiente (6). Il legislatore, pertanto, 
nel disciplinare in via unitaria il processo amministrativo, ha delineato 
un sistema efficace e articolato di rimedi, non pi� ispirato a un modello esclusivamente 
surrogatorio, bens� anche compulsorio, prevedendo la possibilit� 
del giudice di coartare l�adempimento dell�amministrazione recalcitrante attraverso 
strumenti di pressione psicologica e pecuniaria, quale la previsione 
di una somma da pagare periodicamente in favore del debitore, al perpetrarsi 
dell�inadempimento o per ogni successiva violazione del giudicato (7). 
Secondo la definizione oggi prevalente, le penalit� di mora rappresentano 
una misura coercitiva indiretta a carattere pecuniario, e cio� una sanzione civile, 
da non confondersi con le diverse figure dei �punitive damages� o delle 
pene private, con cui l�ordinamento mira a vincere la resistenza dell�amministrazione 
debitrice, colpendo ogni ulteriore ritardo nell�adempimento della 
sentenza di merito. 
Gli archetipi della misura di cui all�art. 114 c.p.a. possono essere rinvenuti, 
mediante un approccio comparativistico, nel modello originale delle 
astreintes francesi, seppur rimedi simili, con talune modulazioni diverse, possono 
rilevarsi tanto nell�ordinamento tedesco, nella figura delle Zwangsgeld, 
quanto nell�ordinamento inglese, nell�istituto del Contempt of Court (8). 
Per quanto riguarda invece l�ordinamento nazionale, lo strumento delle 
penalit� di mora ha trovato una prima storica introduzione nel sistema processualistico 
civile, e in particolar modo nella disciplina dell�esecuzione forzata, 
laddove il legislatore, per mezzo dell�art. 614-bis c.p.c., ha inteso potenziare 
gli strumenti di attuazione giudiziale degli obblighi di fare infungibile o di 
non fare (9). 
(5) Cos� A. CASTORINA, L�astreinte nel processo amministrativo fra effettivit� della tutela e buon 
andamento dell�amministrazione, in Federalismi.it, 15 luglio 2015, p. 18; F. CORTESE, Sull�obbligo di 
pagare una somma di denaro ex art. 114, c. 4, lett. e, c.p.a.: natura giuridica e regime applicativo, in 
Resp. civ. prev., 2, 2014, p. 657. 
(6) Cos�, F. CORTESE, ibidem. 
(7) Sulla differenza tra rimedi surrogatori e rimedi compulsori, v. F. BUSCICCHIO, Le astreintes 
nel processo amministrativo, in Giur. merito, 11, 2012, pp. 2246 ss. 
(8) Per un�analisi approfondita delle differenze intercorrenti tra gli istituti citati, nonch� della disciplina 
delle figure affini previste nell�ordinamento europeo, v. A. CASTORINA, L�astreinte nel processo 
amministrativo, cit., pp. 1 ss. 
(9) Introducendo cos� nel campo del diritto civile uno strumento atto a condividere la funzione 
dissuasiva-repressiva fino a quel momento riservata al diritto penale. Cos� A. CASTORINA, ibidem, p. 2.
142 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2016 
I profili differenziali intercorrenti tra le astreintes di cui all�art. 114 c.c.p. 
e l�omologo istituto previsto in ambito civilistico sono molteplici e di significativa 
rilevanza, tanto da aver spinto la dottrina a parlare di un istituto unico, 
ma �a velocit� doppia� (10). 
In primo luogo, la giurisprudenza ha evidenziato che mentre la sanzione 
di cui all�art. 614-bis c.p.c. � adottata dal giudice di merito con una sentenza 
che definisce il giudizio di merito, e che pertanto � destinata a trovare esecuzione 
solo nel caso di un futuro inadempimento del debitore, invece la penalit� 
irrogata dal giudice amministrativo, essendo adottata al termine del giudizio 
di ottemperanza, pu� avere immediata esecuzione, essendo stato gi� accertato 
l�inadempimento dell�amministrazione. Deve tuttavia rilevarsi che l�orientamento 
dottrinale oggi prevalente tende ad ammettere l�applicabilit� delle 
astreintes anche in fase di cognizione, deducendo ci� dal combinato disposto 
dell�art. 7, comma 7, c.p.a., il quale afferma il principio della concentrazione 
delle tutele dinanzi al giudice amministrativo, e dell�art. 34, comma primo, 
lettera e), c.p.a., in cui il riferimento alla nomina di un commissario ad acta 
deve ritenersi esclusivamente esemplificativo e tale da comprendere le ulteriori 
misure adottabili dal giudice dell�ottemperanza (11). 
In secondo luogo, un�ulteriore differenza emerge sin dal tenore letterale 
delle due norme, in quanto il solo art. 114 c.p.a. prevede l�ulteriore presupposto 
della non ricorrenza di �ragioni ostative�, in aggiunta al limite negativo della 
manifesta iniquit�, quale riflesso delle peculiarit� che contraddistinguono il 
debitore pubblico, soprattutto sotto il profilo finanziario. 
� stato infine evidenziato che il codice del processo amministrativo, nel 
disciplinare le penalit� di mora, non solo non ha riprodotto i criteri previsti 
dall�art. 614-bis c.p.c. per la liquidazione delle astreintes, ma ha allo stesso 
tempo eliso il limite dell�applicabilit� dello strumento al solo caso dell�inadempimento 
di un obbligo di non fare o di facere infungibile, attribuendo pertanto 
allo stesso, quantomeno sul piano formale, un campo applicativo pi� 
ampio rispetto a quello del corrispondente istituto civilistico. 
3. L�applicabilit� dell�istituto alle sentenze di condanna pecuniaria. 
Le differenze da ultimo indicate assumono particolare rilevanza in relazione 
alle problematiche dell�individuazione della natura risarcitoria o sanzionatoria 
delle astreintes amministrative, nonch� dell�applicabilit� delle 
medesime nei casi in cui, in sede di ottemperanza, sia richiesta l�esecuzione 
di un titolo giudiziario avente a oggetto il pagamento di una somma di denaro, 
e cio� un dare pecuniario dell�amministrazione. 
In particolare, l�assenza nell�art. 114 c.p.a. di un chiaro riferimento alla 
(10) S. FO�, A. UBALDI, L�emancipazione dell�astreinte amministrativa: un modello sui generis?, 
in Resp. civ. prev., 1, 2015, pp. 8 ss.
CONTENZIOSO NAZIONALE 143 
categoria degli obblighi di non facere o di facere infungibile lasciava aperta 
la questione dell�operativit� dell�istituto nelle ipotesi di inottemperanza a una 
sentenza di condanna pecuniaria (12). 
Sul punto, a un orientamento pressappoco uniforme della dottrina, per lo 
pi� favorevole a un�interpretazione estensiva della norma (13), faceva da contraltare 
una giurisprudenza altalenante del giudice amministrativo, caratterizzata 
da talune pronunce di segno contrario (14). 
L�opinione tuttavia prevalente ammetteva l�applicazione delle penalit� di 
mora anche in riferimento all�esecuzione di un obbligo di dare pecuniario, evidenziando, 
al di l� del peculiare tenore letterale della norma, che tale scelta 
sarebbe stata coerente con la particolare fisionomia del giudizio di ottemperanza, 
rientrante nell�ambito della giurisdizione di merito del giudice amministrativo, 
cui � possibile in tale sede sostituirsi in via diretta o indiretta 
all�amministrazione inadempiente, a prescindere dall�oggetto della sentenza 
rimasta inadempiuta. Detto altrimenti, cio�, nell�ambito del processo amministrativo 
non si presenterebbe quell�ostacolo tipico del diritto processuale civile, 
consistente nella non surrogabilit� degli atti necessari ad assicurare 
l�esecuzione di sentenze aventi a oggetto un non fare o un fare infungibile 
dell�amministrazione. 
Inoltre, tale soluzione ermeneutica era ritenuta pi� coerente rispetto alla 
natura sanzionatoria, e non meramente risarcitoria, delle penalit� di mora, deducibile 
in primis dal mancato richiamo, nel testo dell�art. 114 c.p.a., dei parametri 
di liquidazione delle astreintes tipizzati nell�art. 614-bis c.p.c., e in 
particolare del riferimento alla misura del danno quantificato o prevedibile del 
creditore. Inoltre, guardando alle origini oltralpine dell�istituto, si riteneva di 
poterne riconoscere la finalit� sanzionatoria in quanto diretto a sanzionare la 
disobbedienza alla statuizione giudiziaria, e non a riparare il pregiudizio cagionato 
dall�inadempimento del debitore. 
Sul versante opposto, l�orientamento giurisprudenziale di segno contrario 
dava risposta negativa alla questione, deducendo che la ratio dell�istituto do- 
(11) S. FO�, A. UBALDI, ibidem; F. BUSCICCHIO, Le astreintes nel processo amministrativo, cit., 
pp. 2446 ss.; F. CORTESE, Sull�obbligo di pagamento di una somma di denaro, cit., pp. 657 ss. 
(12) Sulla problematica in esame, inter alios, v. L. VIOLA, Ancora sulla pretesa incompatibilit� 
tra astreintes ed esecuzione delle sentenze in materia di obbligazioni pecuniarie della P.A., in Foro 
amm., 2, 2013, pp. 528 ss.; C. APOSTOLO, Strumento di induzione indiretta all'esecuzione e loro applicabilit� 
o meno agli inadempimenti progressi, disponibile su www.neldiritto.it; F. CORTESE, Sull�obbligo 
di pagare una somma di denaro, cit., pp. 657 ss.; S. FO�, A. UBALDI, L�emancipazione dell�astreinte 
amministrativa, cit., pp. 8 ss.; R. GALLI, Nuovo corso di diritto amministrativo, Vicenza, 2016, pp. 
1698 ss. 
(13) Contra, v. TOMASSETTI, L�astreinte nel processo amministrativo, cit., p. 3. 
(14) In senso favorevole, v., inter alios, Cons. St., sez. IV, 29 gennaio 2014, n. 462; Cons. St., 
sez. V, 15 luglio 2013, n. 3781; Cons. St., sez. V, 19 giugno 2013, nn. 3339, 3340, 3341, 3342. In senso 
contrario, v., ad esempio, Cons. St., sez. IV, 13 giugno 2013, n. 3293; Cons. St., sez. III, 6 dicembre 
2013, 5819. Tutte reperibili su www.dejure.it.
144 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2016 
vesse riconoscersi nell�esigenza di incentivare l�esecuzione delle condanne di 
fare o non fare infungibile prima dell�intervento di un eventuale commissario 
ad acta, soluzione maggiormente onerosa tanto per l�amministrazione inadempiente 
quanto per il creditore. Se ne faceva pertanto derivare l�impossibilit� 
di integrare il classico modello dell�esecuzione surrogatoria con strumenti 
di natura compulsoria, affermando che una soluzione di segno opposto avrebbe 
finito per attribuire al privato la possibilit� di tutelare il proprio credito con rimedi 
di diversa intensit�, sulla base della scelta, puramente potestativa, di far 
valere le proprie ragioni dinanzi al giudice civile o amministrativo. 
Inoltre, la condanna dell�amministrazione al pagamento di una penalit� 
di mora sarebbe apparsa del tutto iniqua, laddove volta a incentivare l�esecuzione 
di una sentenza di condanna pecuniaria, in quanto destinata a cumularsi 
con l�obbligo accessorio degli interessi legali di cui all�art. 1224 c.c. Si evidenziava, 
in particolare, che il combinato operare dei due istituti avrebbe realizzato 
una duplicazione ingiustificata delle misure volte a ridurre il 
pregiudizio derivante all�interessato dalla violazione, dal ritardo o dall�inosservanza 
nell�esecuzione del giudicato, producendo, di conseguenza, un altrettanto 
ingiustificato arricchimento del creditore (15). 
Tra le due opposte concezioni, la dottrina aveva rilevato la presenza di una 
posizione intermedia, radicata nell�ermeneutica del sistema processual-civilistico, 
la quale vorrebbe ricondurre a unit� le due forme delle astreintes nazionali, 
declinando il concetto di �prestazione infungibile� nel senso di �prestazione particolarmente 
complessa�. In tal senso, le penalit� suddette sarebbero applicabili 
nel solo caso in cui la particolare complessit� dell�esecuzione rendesse conveniente 
l�adozione di un rimedio di natura compulsoria e non surrogatoria, a prescindere 
dall�oggetto specifico dell�obbligazione inadempiuta. 
� tuttavia evidente che una soluzione di tal genere, al di l� della forzatura 
del tenore letterale delle norme, verrebbe a comprimere significativamente 
l�ambito applicativo delle misure, sortendo l�effetto di snaturarne la stessa finalit� 
sanzionatoria (16). 
Nel contesto di un dibattito giuridico cos� vivace, ha trovato infine voce 
l�Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, con la sentenza n. 15 del 2014, la 
quale ha aderito all�orientamento giurisprudenziale e dottrinale prevalente, 
ammettendo l�operativit� dell�istituto delle astreintes per tutte le sentenze di 
condanna adottate dal giudice amministrativo ai sensi dell�art. 112 c.p.a., comprese 
quelle aventi ad oggetto prestazioni pecuniarie (17). 
(15) In tal senso, v. Cons. St., sez. III, 6 dicembre 2013, n. 5819, disponibile su www.dejure.it. 
(16) Cos� S. FO�, A. UBALDI, L�emancipazione dell�astreinte amministrativa, cit., pp. 8 ss. 
(17) Sulla quale v. S. FO�, A. UBALDI, ibidem; A. CASTORINA, L�astreinte nel processo amministrativo, 
cit., pp. 28 ss.; F. CARINGELLA, L. TARANTINO, Lezioni e sentenze di diritto amministrativo, 
Roma, 2016, pp. 522 ss.
CONTENZIOSO NAZIONALE 145 
A tal proposito, il Supremo consesso amministrativo, ha rafforzato le 
considerazioni precedentemente emerse nella giurisprudenza, riconoscendo 
che il particolare favor dimostrato dalla Corte europea dei diritti dell�uomo 
nei confronti del principio dell�effettivit� delle decisioni giurisdizionali, alla 
luce della confermata natura sanzionatoria delle penalit� di mora, spinge 
verso la pi� ampia applicazione possibile dell�istituto, il quale non pu� conoscere 
limiti strutturali in ragione della sola natura della condotta imposta 
dallo iussum iudicis. 
Tale soluzione, peraltro, trova conferma nel tenore letterale dell�art. 114 
c.p.a. e non pu� essere smontata mediante un�applicazione analogica, ovviamente 
in malam partem, dei limiti indicati dall�art. 614-bis c.p.c., il quale � 
diretto a operare in un humus processuale del tutto diverso da quello amministrativo, 
nel quale la previsione di uno strumento compulsorio risponde all�esigenza 
di eludere i limiti derivanti dall�ineseguibilit� in forma specifica 
delle pronunce aventi a oggetto un non fare o un facere infungibile. Riguardo 
al giudizio di ottemperanza, diversamente, l�istituto delle astreintes opera in 
un sistema processuale nel quale tutte le prestazioni sono surrogabili dal giudice, 
in via diretta o indiretta, per cui non sembrerebbe potersi ritenere che 
l�introduzione della misura coercitiva possa aver risposto all�esigenza di reagire 
all�inattuabilit� in re di una particolare categoria di pronunce giudiziali. 
N� un rilievo decisorio pu� essere attribuito ai lavori preparatori del Codice 
del processo amministrativo, laddove il riferimento all�art. 614-bis c.p.c. deve 
essere inteso esclusivamente come richiamo alla fisionomia generale dell�istituto, 
e non piuttosto alla sua disciplina puntuale. 
Inoltre, sul piano costituzionale, l�Adunanza Plenaria del Consiglio di 
Stato ha rilevato che la soluzione ermeneutica pi� estensiva, peraltro funzionale 
alla garanzia dell�effettivit� e della pienezza del diritto di difesa ex 
art. 24 Cost., non potrebbe in alcun modo comportare una discriminazione 
a discapito del debitore pubblico, soggetto a tecniche di esecuzione differenziate 
e pi� incisive rispetto a quelle operanti nei confronti del debitore 
privato. Tale differenziazione, difatti, � il riflesso dei principi sottesi all�agere 
amministrativo, il quale deve conformarsi ai canoni costituzionali 
dell�imparzialit�, della buona amministrazione e della legalit�, i quali rendono 
particolarmente grave e deprecabile l�inosservanza, da parte del soggetto 
pubblico, dei precetti giudiziali. 
Allo stesso modo, infine, rileva l�Adunanza, nessun valore ostativo sembrerebbe 
potersi attribuire all�argomento equitativo in base al quale la comminazione 
delle penalit� di mora rispetto all�inadempimento di una condanna 
pecuniaria produrrebbe un�inammissibile duplicazione del risarcimento in favore 
del creditore, gi� soddisfatto dall�automatico maturare degli interessi legali. 
Difatti tale rischio sembra essere scongiurato dalla considerata funzione 
coercitivo-sanzionatoria e non riparatoria delle astreintes, le quali non assol-
146 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2016 
vono la funzione di compensare il danno subito dal creditore, ma piuttosto 
quella di incentivare, secondo un meccanismo di coazione indiretta, l�adempimento 
del debitore. 
Conseguenza di ci�, data la natura di pena delle sanzioni, � che quest�ultime 
possono essere adottate anche in mancanza di un danno effettivo o della 
sua dimostrazione, non dovendo peraltro essere detratte dalle eventuali somme 
liquidate a titolo di risarcimento in favore del creditore. 
4. I termini di decorrenza, le �ragioni ostative� e la quantificazione delle 
astreintes nella pronuncia in esame. 
L�orientamento abbracciato dall�Adunanza Plenaria ha infine ricevuto un 
vigoroso endorsement dal legislatore, che con la legge di stabilit� per il 2016, 
in sede di riforma dell�art. 114, comma quarto, lettera e), c.p.a., ha ivi introdotto 
un secondo periodo, a detta del quale �nei giudizi di ottemperanza aventi ad 
oggetto il pagamento di somme di denaro, la penalit� di mora [�] decorre dal 
giorno della comunicazione o notificazione dell'ordine di pagamento disposto 
nella sentenza di ottemperanza; detta penalit� non pu� considerarsi manifestamente 
iniqua quando � stabilita in misura pari agli interessi legali�. 
La nuova norma prende dunque posizione non solo sul tema dell�applicabilit� 
delle astreintes rispetto alle condanne pecuniarie dell�amministrazione, 
ma anche su profili pi� specifici, quali i termini di decorrenza delle medesime 
e la loro corretta quantificazione. 
Tali aspetti sono oggetto di specifica attenzione della sentenza n. 1444 
del 2016 del Consiglio di Stato, il quale muove le proprie riflessioni a partire 
dalla costatazione della natura sanzionatoria, e non meramente risarcitoria, 
delle penalit� di mora, giungendo a soluzioni la cui coerenza si riflette nell�aderenza 
alle nuove disposizioni introdotte dal legislatore. 
In particolare, accogliendo le censure mosse dall�amministrazione inadempiente, 
il Giudice amministrativo ha affermato che le astreintes di cui all�art. 
114 c.p.a. non possono che decorrere dalla comunicazione o dalla 
notificazione della sentenza di ottemperanza che dispone il pagamento, e non 
da un qualsiasi momento anteriore. A tal proposito, si richiama peraltro un 
orientamento ancor pi� restrittivo della Sezione, secondo cui il decorrere delle 
stesse potrebbe verificarsi solo una volta scaduto il termine accordato dal giudice 
all�amministrazione affinch� quest�ultima adempia. 
La ragione di ci�, come anticipato, si rinviene nell�ormai consolidata natura 
sanzionatoria e coercitiva delle misure in questione, il cui scopo non � 
quello di compensare il creditore dei danni che siano conseguenza diretta e 
immediata dell�inerzia del debitore, quanto piuttosto di costringere quest�ultimo 
a dare esecuzione alla sentenza adottata ai sensi dell�art. 112 c.p.a., a prescindere 
dall�oggetto della stessa, al fine di evitare l�accumularsi di sanzioni 
pecuniarie a proprio carico.
CONTENZIOSO NAZIONALE 147 
La qualificazione delle astreintes come pene, pur incerta, a volte, nelle 
espressioni utilizzate dal Consiglio, incide significativamente anche sul piano 
della quantificazione delle somme spettanti al creditore per ogni ulteriore ritardo 
o violazione del debitore. 
A detta del Collegio, difatti, �la penalit� di mora non deve risolversi in una 
ragione di ingiustificato arricchimento per il creditore�, per cui deve reputarsi 
eccessivo e contrario al principio di equit� il parametro scelto dal giudice de 
quo, il quale aveva applicato la misura, maggiormente diffusa in passato, dell�interesse 
semplice a un tasso equivalente a quello delle operazioni di rifinanziamento 
marginale della Banca centrale europea, aumentato di tre punti 
percentuali. Tale parametro viene dunque sostituito con quello dell�interesse legale, 
stabilito nei termini e secondo il procedimento di cui all�art. 1284 c.c. 
Ne deriva, in primo luogo, che l�espressione utilizzata dalla legge di stabilit�, 
potenzialmente ambigua nella parte in cui afferma che �la penalit� non 
pu� considerarsi manifestamente iniqua quando stabilita in misura pari agli 
interessi legali�, sembra essere interpretata dal Consiglio di Stato nel senso 
che la misura di cui all�art. 1284 c.c. deve intendersi, nel caso della condanna 
dell�amministrazione ad eseguire un obbligo pecuniario, quale �massimo edittale� 
delle astreintes concretamente irrogabili (18). 
In secondo luogo, occorre poi rilevare che il tenore letterale della pronuncia, 
la quale parla di evitare un ingiustificato arricchimento del creditore, 
sembrerebbe contraddittorio rispetto alla riconosciuta natura sollecitatoria e 
non risarcitoria delle penalit� di mora. L�entit� delle stesse, laddove si aderisca 
all�orientamento dell�Adunanza Plenaria, sembrerebbe poter essere difatti discussa 
sul solo piano dell�equit� della pena rispetto al soggetto e al comportamento 
sanzionato, e non piuttosto in relazione al rischio di un indebito 
arricchimento del creditore, il quale attiene a un profilo strettamente risarcitorio 
e non sanzionatorio. 
Probabilmente, la commistione di tali profili in parte argomentativa riflette 
la natura ambigua dell�istituto, che, pur caratterizzato da un chiaro scopo 
coercitorio, continua a distinguersi per la presenza di taluni connotati tipici 
del rimedio risarcitorio, quale la destinazione delle somme in favore del debitore, 
accentuati oggi dal recente inserimento, nell�art. 114 c.p.a., del riferimento 
al saggio legale degli interessi (19). 
(18) R. GALLI, Nuovo corso di diritto amministrativo, cit., p. 1701. 
(19) A tal proposito, � opportuno evidenziare che la stessa sentenza n. 15 del 2014 dell�Adunanza 
Plenaria, pur ribadendo la natura sanzionatoria e sollecitatoria dell�istituto delle astreintes, afferma che 
le penalit� di mora non assolvono, �quantomeno non principalmente�, a una funzione riparatoria. Inoltre, 
non mancano ulteriori pronunce del Consiglio di Stato che, nel silenzio del legislatore in merito ai criteri 
di quantificazione delle astreintes, hanno ritenuto di fare applicazione dei parametri indicati dall�art. 
614-bis, tra cui l�entit� del danno subito o presumibile del creditore. V. Cons. St., sez. V, 20 dicembre 
2011, n. 6688; Cons. St., sez. V, 14 maggio 2012, n. 2744. Entrambi disponibili su www.dejure.it.
148 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2016 
Particolarmente rilevanti appaiono inoltre le riflessioni del Consiglio di 
Stato in merito alla rilevanza, quale �ragione ostativa� all�applicazione delle 
astreintes, delle particolari ristrettezze finanziarie delle amministrazioni inadempienti 
e delle limitazioni di bilancio sulle medesime gravanti. 
Sul punto, l�Adunanza Plenaria aveva evidenziato che �la considerazione 
delle peculiari condizioni del debitore pubblico, al pari di evitare [�] sanzioni 
troppo afflittive, costituiscono fattori da valutare non ai fini di un�astratta ammissibilit� 
della domanda relativa a inadempimenti pecuniari, ma in sede di 
verifica concreta della sussistenza dei presupposti per l�applicazione della 
misura nonch� al momento dell�esercizio del potere discrezionale di graduazione 
dell�importo�. 
Proprio per tale ragione, l�art. 114, comma quarto, lettera e), c.p.a., tenendo 
in considerazione le peculiarit� che contraddistinguono il debitore pubblico, 
ha ampliato il novero dei presupposti previsti dall�art. 614-bis c.p.c., 
introducendo l�ulteriore requisito negativo dell�assenza di �ragioni ostative�, 
atto a ricomprendere una serie indeterminata di circostanze, altrimenti non suscettibili 
di tipizzazione (20). 
Spetta dunque al giudice determinare, caso per caso, l�effettivo contenuto 
e i confini di tale formula astratta, verificando se le circostanze addotte dalle 
amministrazioni inadempienti possano assumere rilevanza al fine di escludere 
in toto l�adozione delle penalit� di mora o comunque di mitigarne l�importo. 
Ci� premesso, il Consiglio di Stato, nel caso di specie, ha escluso che il 
solo riferimento alle ristrettezze economiche dell�amministrazione, pur in relazione 
all�art. 3, comma 7, della legge n. 89 del 2001, possa di per s� precludere 
in astratto l�operativit� delle penalit� di mora, essendo a tal fine necessaria un�ulteriore 
valutazione di stampo concreto, volta a verificare se tali ristrettezze configurino 
effettivamente una ragione ostativa all�applicazione della sanzione. 
In particolare, l�articolo sopracitato della Legge �Pinto� prevedeva, nel 
testo originariamente vigente, che l�erogazione degli indennizzi agli aventi diritto 
avvenisse �nei limiti delle risorse disponibili�, escludendo cos�, a prima 
apparenza, che le penalit� di mora potessero essere adottate per sollecitare il 
pagamento dell�equa riparazione da parte di un�amministrazione che adducesse 
la carenza delle risorse necessarie in bilancio (21). 
Tuttavia, la legge di stabilit� per il 2016, intervenendo sulla norma in questione, 
ne ha ampliato il tenore letterale, specificando che la valutazione della 
disponibilit� delle risorse deve essere effettuata non solo guardando al relativo 
capitolo di bilancio, ma tenendo anche in considerazione la possibilit� dell�amministrazione 
debitrice di ricorrere ad anticipazioni di tesoreria mediante 
lo strumento del �conto sospeso�. 
(20) F. CARINGELLA, Manuale di diritto amministrativo, cit., p. 1873. 
(21) Cfr., tuttavia, A. CASTORINA, L�astreinte nel processo amministrativo, cit., p. 24.
CONTENZIOSO NAZIONALE 149 
Pertanto, esclusa l�esistenza di preclusioni astratte all�applicabilit� dell�istituto 
delle astreintes, nel valutare la concreta rilevanza esimente o attenuante 
delle circostanze addotte dall�Avvocatura Generale, il Consiglio di 
Stato ha ritenuto che le stesse non potessero giustificare una totale esenzione 
dell�amministrazione inadempiente dalle penalit� di mora. 
Nel dare fondamento a tale soluzione, il Giudice amministrativo ha tenuto 
soprattutto conto delle modifiche introdotte dalla legge di stabilit�, in quanto 
ha ritenuto evidente che a seguito di tali innovazioni normative, e in particolar 
modo dell�introdotta necessit� di valutare la possibilit� di ricorrere al conto 
sospeso, �scema di molto, se addirittura non viene del tutto meno, l�effetto 
impeditivo al pagamento dell�equa riparazione derivante dalla momentanea 
incapienza del relativo capitolo di bilancio�. 
In materia di equa riparazione, pertanto, il riferimento alla presenza di ristrettezze 
finanziarie e di particolari limiti di bilancio, gi� di per s� inidoneo 
a costituire a priori una ragione ostativa ai sensi dell�art. 114 c.p.a., appare 
oggi anche svuotato, in buona parte, di quella potenziale rilevanza esimente 
che il giudice � chiamato a valutare sul piano concreto, al fine di accertare 
l�effettiva incidenza delle circostanze addotte dall�amministrazione a giustificazione 
della propria inottemperanza. 
Con la sentenza in esame, pertanto, il Consiglio di Stato, muovendosi 
nella direzione tracciata dall�Adunanza Plenaria del 2014, ha declinato la disciplina 
delle penalit� di mora alla luce delle numerose novit� legislative nel 
frattempo sopravvenute, adottando soluzioni ermeneutiche, per lo pi� aderenti 
al rinnovato tenore della normativa, le quali hanno trovato poi eco nella giurisprudenza 
amministrativa successiva (22). 
Consiglio di Stato, Sezione Quarta, sentenza 13 aprile 2016, n. 1444 - Pres. Griffi, Est. 
Castiglia - Ministero della Giustizia (avv. gen. Stato) c. I.M. (n.c.). 
La signora I.M. ha adito il T.A.R. del Lazio per ottenere l'esecuzione di un decreto della Corte 
d'appello di Roma (procedimento n. 54904/2009 R.G.) che ha condannato il Ministero della 
Giustizia a corrispondere l'importo di euro 1.000,00 a titolo di equa riparazione (ai sensi della 
legge 24 marzo 2001, n. 89), oltre gli accessori, e a pagare le spese di lite, con gli accessori 
di legge, in favore del difensore dichiaratosi antistatario. 
Con sentenza 22 dicembre 2015, n. 14368, il Tribunale regionale ha accolto il ricorso, condannando 
l'Amministrazione a dare esecuzione alla decisione e a pagare una somma di denaro 
a norma dell'art. 114, comma 4, lett. e), c.p.a., a far data dalla notificazione dell'atto introdut- 
(22) V. Cons. St., sez. IV, 18 ottobre 2016, n. 4322, dove esplicita che �ferma restando l'assenza 
di preclusioni astratte sul piano dell'ammissibilit�, in concreto le allegate difficolt� del bilancio pubblico 
non possono giustificare una totale esenzione dell'Amministrazione inadempiente dalle penalit� di mora, 
vista anche l'attuale possibilit� del ricorso al conto sospeso�.
150 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2016 
tivo del giudizio di ottemperanza, nonch� nominando sin d'ora un commissario ad acta nel 
caso di persistente inerzia. 
Il Ministero della Giustizia ha interposto appello contro la sentenza, chiedendone anche la 
sospensione dell'efficacia esecutiva. 
Il Ministero deduce: 
1. la mancata verifica da parte del T.A.R. dei presupposti per l'irrogazione delle c.d. astreintes, 
tenendo conto della limitatezza delle risorse disponibili in relazione all'art. 3, comma 7, della 
legge n. 89 del 2011 (che costituirebbe una "ragione ostativa" alla condanna) e dell'importo 
irrisorio della somma dovuta (che renderebbe la condanna "manifestamente iniqua"); 
2. in via subordinata, l'illegittimit� della fissazione del termine a quo in un momento antecedente 
alla pronunzia sull'ottemperanza. 
La signora M. non si � costituita in giudizio per resistere all'appello. 
Alla camera di consiglio del 10 marzo 2016 la domanda cautelare � stata chiamata e trattenuta 
in decisione. 
Nella sussistenza dei requisiti di legge (per le parti nessuno � comparso), il Collegio ritiene 
di poter definire la controversia in camera di consiglio con una sentenza in forma semplificata 
a norma del combinato disposto degli artt. 60 e 74 c.p.a. 
L'appello � fondato nei sensi di cui subito si dir�. 
Occorre premettere che - come ha rilevato l'Adunanza plenaria di questo Consiglio di Stato 
(25 giugno 2014, n. 15, par. 6.5.1) - "la considerazione delle peculiari condizioni del debitore 
pubblico, al pari dell'esigenza di evitare locupletazioni eccessive o sanzioni troppo afflittive, 
costituiscono fattori da valutare non ai fini di un'astratta inammissibilit� della domanda relativa 
a inadempimenti pecuniari, ma in sede di verifica concreta della sussistenza dei presupposti 
per l'applicazione della misura nonch� al momento dell'esercizio del potere discrezionale di 
graduazione dell'importo. 
Non va sottaciuto che l'art. 114, comma 4, lett. e), c.p.a., proprio in considerazione della specialit�, 
in questo caso favorevole, del debitore pubblico - con specifico riferimento alle difficolt� 
nell'adempimento collegate a vincoli normativi e di bilancio, allo stato della finanza 
pubblica e alla rilevanza di specifici interessi pubblici - ha aggiunto al limite negativo della 
manifesta iniquit�, previsto nel codice di rito civile, quello, del tutto autonomo, della sussistenza 
di altre ragioni ostative. 
Ferma restando l'assenza di preclusioni astratte sul piano dell'ammissibilit�, spetter� allora al 
giudice dell'ottemperanza, dotato di un ampio potere discrezionale sia in sede di scrutinio 
delle ricordate esimenti che in sede di determinazione dell'ammontare della sanzione, verificare 
se le circostanze addotte dal debitore pubblico assumano rilievo al fine di negare la sanzione 
o di mitigarne l'importo". 
Nel caso di specie, il Collegio - quanto al primo motivo dell'appello - � dell'avviso che le ragioni 
addotte dall'Avvocatura Generale non vadano oltre una generica allegazione delle ben note ristrettezze 
finanziarie e limitazioni di bilancio e non possano perci� giustificare una totale esenzione 
dell'Amministrazione inadempiente dalle penalit� di mora. Ci�, anche alla luce delle 
modifiche introdotte dalla legge di stabilit� per il 2016 nell'art. 3, comma 7, della legge n. 89 del 
2001, per effetto delle quali "l'erogazione degli indennizzi agli aventi diritto avviene nei limiti 
delle risorse disponibili nel relativo capitolo", ma � "fatto salvo il ricorso al conto sospeso". 
� evidente che, a seguito di tale innovazione normativa, scema di molto, se addirittura non 
viene del tutto meno, l'effetto impeditivo al pagamento dell'equa riparazione derivante dalla 
momentanea incapienza del relativo capitolo di bilancio.
CONTENZIOSO NAZIONALE 151 
Al tempo stesso, poich� la penalit� di mora non deve risolversi in una ragione di ingiustificato 
arricchimento per il creditore, il Collegio reputa eccessivo e non conforme a equit� il parametro 
scelto dal T.A.R. (interesse semplice a un tasso equivalente a quello delle operazioni di 
rifinanziamento marginale della Banca centrale europea, aumentato di tre punti percentuali) 
e ritiene di doverlo sostituire con quello dell'interesse legale, peraltro ora esplicitamente indicato 
dall'art. 114, comma 4, lett. e), c.p.a., secondo le modifiche ancora una volta introdotte 
dalla legge di stabilit� per il 2016. 
Quanto poi al secondo motivo dell'appello (decorrenza delle penalit� di mora), sar� sufficiente 
ricordare l'indirizzo prevalente della Sezione (v. per tutte, da ultimo, 9 dicembre 2015, n. 
5580), ora formalmente recepita nel nuovo testo della citata lett. e), secondo cui le astreintes, 
tenuto conto della loro funzione sollecitatoria e non risarcitoria, decorrono dalla comunicazione 
o notificazione della sentenza di ottemperanza che dispone il pagamento e non da un 
momento anteriore (secondo qualche decisione della Sezione, ancora pi� restrittiva, esse potrebbero 
decorrere solo una volta decorso inutilmente il termine accordato all'Amministrazione 
per adempiere: cfr. 21 dicembre 2015, n. 5786). In tal senso, il motivo � fondato e va dunque 
accolto. 
Dalle considerazioni che precedono discende che i due motivi dell'appello sono fondati, il 
primo in parte (come sopra si � detto), il secondo integralmente. Ne segue la parziale riforma 
della sentenza impugnata nella parte in cui ha disposto la condanna dell'Amministrazione ai 
sensi dell'art. 114, comma 4, lett. e), c.p.a. 
Le questioni appena vagliate esauriscono la vicenda sottoposta alla Sezione, essendo stati toccati 
tutti gli aspetti rilevanti a norma dell'art. 112 c.p.c., in aderenza al principio sostanziale 
di corrispondenza tra il chiesto e pronunciato (come chiarito dalla giurisprudenza costante: 
fra le tante, per le affermazioni pi� risalenti, Cass. civ., sez. II, 22 marzo 1995, n. 3260, e, per 
quelle pi� recenti, Cass. civ., sez. V, 16 maggio 2012, n. 7663). Gli argomenti di doglianza 
non espressamente esaminati sono stati dal Collegio ritenuti non rilevanti ai fini della decisione 
e comunque inidonei a condurre a una conclusione di segno diverso. 
Quanto alle spese di giudizio, rilevato che il T.A.R. nulla ha disposto per il primo grado, quelle 
relative al presente grado di appello possono essere compensate fra le parti, trattandosi di questioni 
che hanno trovato una definitiva sistemazione solo a seguito delle ricordate, recentissime 
modiche legislative. 
P.Q.M. 
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando 
sull'appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie nei sensi esposti in motivazione; per l'effetto, 
riforma parzialmente la sentenza impugnata nella parte in cui ha disposto la condanna 
dell'Amministrazione ai sensi dell'art. 114, comma 4, lett. e), c.p.a. 
Compensa fra le parti le spese del presente grado di giudizio.
PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 
Il giudice competente e il diritto applicabile 
sul Programma �Iniziativa PMI� ai sensi dell�art. 39 
del Regolamento (EU) n. 1303/2013 
PARERE RESO IN VIA ORDINARIA DEL 30/03/2016 -153042, 
AL 783/2016, AVV.TI SERGIO FIORENTINO E ANGELO VITALE 
(Circolare Segretario Generale n. 20/2016) 
Codesto Ministero chiede di conoscere il parere della Scrivente in merito 
alla legittimit� e alla opportunit� di aderire alle richieste sottopostegli da parte 
del Fondo europeo per gli investimenti (FEI) durante la fase di negoziazione 
dell'accordo di finanziamento che attualmente coinvolge le predette parti. 
Tale accordo di finanziamento si inquadra nell'ambito del Programma 
Operativo in oggetto, la cui proposta � stata approvata dalla Commissione europea 
con decisione del 30 novembre 2015, e risponde allo scopo di favorire 
le piccole e medie imprese operanti nei territori del Mezzogiorno attraverso 
l'implementazione di un nuovo strumento finanziario consistente nella cartolarizzazione 
di portafogli di prestiti bancari esistenti. 
Con la Decisione di esecuzione del 11 settembre 2014 - relativa al modello 
di accordo di finanziamento per il contributo del Fondo europeo di sviluppo 
regionale e del Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale agli 
strumenti finanziari congiunti di garanzia illimitata e cartolarizzazione a favore 
delle piccole e medie imprese - la Commissione europea ha predisposto 
uno schema negoziale in base al quale dovr� modellarsi l'accordo in esame, 
peraltro lasciando alla negoziazione delle parti la definizione di alcuni aspetti 
in merito ai quali si chiede il parere della Scrivente. 
In particolare, i quesiti posti riguardano la legge applicabile alla contrattazione 
in cui dovrebbe articolarsi l'accordo di finanziamento e il relativo foro 
competente. 
Si riferisce, infatti, che il FEI ha richiesto al Ministero dello Sviluppo
154 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2016 
Economico di stipulare un contratto da sottoporre al diritto lussemburghese 
nonch� di radicare convenzionalmente la giurisdizione davanti alla Corte di 
Giustizia dell'Unione Europea. 
In merito a tali richieste, codesto Ministero necessita delucidazioni circa 
gli eventuali limiti inerenti: 
a) la scelta di legge applicabile al contratto; 
b) il regime di controllo preventivo ex art. 3, 1 co., lett. g), 1. 20/1994; 
c) l'inderogabilit� del foro erariale ex art. 25 c.p.c. 
Per quanto concerne il primo profilo � necessario effettuare un richiamo 
al regolamento europeo noto con il nome di �Roma I� il quale dispone sulla 
legge applicabile alle obbligazioni contrattuali. Si tratta del Regolamento (CE) 
n. 593/2008 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 17 giugno 2008 (GU 
L 177 del 4 luglio 2008, pagg. 6-16) che sostituisce la Convenzione di Roma 
del 19 giugno 1980 sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali 
(80/934/CEE). 
Effettivamente, l'art. 57 della legge 31 maggio 1995, n. 218, di riforma 
del sistema italiano di diritto internazionale privato, rinvia espressamente a 
detta Convenzione. In particolare, il capo X della 1. 218/95 � dedicato alle 
obbligazioni contrattuali ed � costituito da un solo articolo, il citato art. 57, 
il quale cos� dispone: "Le obbIigazioni contrattuali sono in ogni caso regolate 
dalla Convenzione di Roma del 19 giugno 1980 sulla legge applicabile 
alle obbligazioni contrattuali, resa esecutiva con la legge 18 dicembre 1984, 
n. 975, senza pregiudizio delle altre convenzioni internazionali, in quanto 
applicabili". 
Come gi� rilevato, la Convenzione di Roma del 1980 � stata sostituita dal 
Regolamento (CE) n. 593/2008, dunque � a quest'ultimo che dovr� aversi riguardo. 
Secondo detto Regolamento le parti di un contratto possono scegliere la 
legge applicabile a esso ed anche solo a una parte di esso. Inoltre, qualora vi 
sia il consenso di tutte le parti, la legge applicabile pu� essere modificata in 
qualsiasi momento. 
Il Considerando 11 del Regolamento Roma I prevede infatti che "La libert� 
delle parti di scegliere la legge applicabile dovrebbe costituire una delle 
pietre angolari del sistema delle regole di conflitto di leggi in materia di obbligazioni 
contrattual�". 
La rubrica dell'articolo 3 del Regolamento (CE) n. 593/2008 fa riferimento 
proprio alla "Libert� di scelta". Basti menzionare il comma I secondo 
il quale "Il contratto � disciplinato dalla legge scelta dalle parti. La scelta � 
espressa o risulta chiaramente dalle disposizioni del contratto o dalle circostanze 
del caso. Le parti possono designare la legge applicabile a tutto il contratto 
ovvero a una parte soltanto di esso". 
Inoltre, l'ambito della legge applicabile, di cui all'art. 12 reg. (CE)
PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 155 
593/2008, include l�interpretazione del contratto, l�esecuzione delle obbligazioni 
che ne discendono e le conseguenze del loro inadempimento, i modi di 
estinzione delle obbligazioni nonch� le prescrizioni e decadenze e le conseguenze 
della nullit� del contratto. 
Serve altres� ricordare l'esclusione del rinvio disposta dal successivo articolo 
20 secondo il quale l'applicazione della legge di un paese si riferisce all'applicazione 
delle norme giuridiche in vigore in quel paese, ad esclusione 
delle norme di diritto internazionale privato. 
Il Regolamento Roma I, cos� come gi� la precedente Convenzione, pone 
il limite dell'ordine pubblico nazionale (art. 21) per cui quando l'applicazione 
di una norma della legge scelta risulti manifestamente incompatibile con esso 
questa potr� essere esclusa. 
Lo strumento comunitario in esame lascia altres� impregiudicate le norme 
del diritto dell'Unione europea che, con riferimento a settori specifici, disciplinino 
i conflitti di legge in materia di obbligazioni contrattuali (art. 23) nonch� 
le convenzioni internazionali di cui uno o pi� Stati membri siano parti al 
momento dell'adozione del regolamento. 
Ora, non esistendo n� disposizioni dell'ordinamento comunitario n� convenzioni 
internazionali disciplinanti i conflitti di legge in materia di obbligazioni 
contrattuali coinvolgenti lo Stato Italiano e quello Lussemburghese che 
escludano il regolamento in esame, la Scrivente ritiene che, ai fini della disciplina 
dell'accordo tra il Ministero dello Sviluppo Economico e il Fondo europeo 
per gli investimenti, nulla osti all'applicazione del diritto lussemburghese 
in luogo di quello italiano. 
Difatti, la normativa richiamata � applicabile anche alle parti coinvolte 
nel caso di specie poich� non si rivolge esclusivamente alle persone fisiche. 
Inoltre non deve trascurarsi che il Fondo europeo per gli investimenti ha 
sede proprio a Lussemburgo il che costituisce un valido criterio di collegamento 
con il diritto lussemburghese. 
In merito al profilo sub b), l'art. 3, 1 co., lett. g), della 1. 20/1994 prevede 
che il controllo preventivo di legittimit� della Corte dei conti si eserciti, tra 
l'altro, sui decreti che approvano determinati contratti delle amministrazioni 
dello Stato, tra i quali rientra il contratto in questione. 
La Scrivente ritiene che l'applicabilit� del diritto lussemburghese al contratto 
in esame non sia di ostacolo allo svolgimento del controllo preventivo 
di legittimit� da parte della Corte dei conti. 
Infine, occorre rilevare che l'art. 25 c.p.c. si colloca nell'ambito della sezione 
III, del Capo I, del Titolo I, del Libro I, dedicata alla "competenza per 
territorio". L'inderogabilit� del foro erariale riguarda, dunque, la competenza 
e non il diverso e pi� ampio concetto di giurisdizione. 
Considerato che la competenza per territorio di cui all'art. 25 c.p.c. presuppone 
la giurisdizione italiana, bisogna valutare se, nel caso di specie, � le-
156 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2016 
gittimo pattuire una giurisdizione diversa da quella italiana. In caso di risposta 
positiva, infatti, il problema relativo all'art. 25 c.p.c. non sussisterebbe, dovendo 
aversi riguardo non al nostro codice di rito, e quindi all'art. 25 c.p.c., 
bens� alla normativa applicabile al diverso foro prescelto. 
Per chiarire tale questione � necessario richiamare innanzitutto la normativa 
di diritto internazionale privato di cui alla gi� citata legge n. 218/1995. 
L'art. 4, 2 co., di tale legge dispone che "La giurisdiione italiana pu� essere 
convenzionalmente derogata a favore di un giudice straniero (...) se la 
deroga � provata per iscritto e la causa verte su diritti disponibili". 
A sostegno di quanto disposto dal citato articolo, � da rilevare che la Corte 
Costituzionale, con l'ordinanza n. 428 del 2000, ha dichiarato la manifesta infondatezza 
della questione di legittimit� costituzionale del combinato disposto 
degli artt. 1341, secondo comma, 1342, secondo comma, del codice civile e 
4, comma 2, della legge 31 maggio 1995, n. 218 sollevata in riferimento agli 
artt. 3 e 24 della Costituzione. La stessa Corte, in detta ordinanza, ha considerato 
che "il legislatore del 1995 - nell'�mbito di una imponente tendenza alla 
"delocalizzazione" della giurisdizione, manifestatasi (anche per ragioni di 
concorrenza commerciale) negli usi del commercio internazionale, nella normativa 
pattizia internazionale e negli ordinamenti sovranazionali - ha dichiaratamente 
e legittimamente inteso favorire (come gi� osservato) una pi� libera 
esplicazione dell'autonomia privata nella scelta della giurisdizione�. 
Giova altres� richiamare il Regolamento (UE) n. 1215/2012 del Parlamento 
europeo e del Consiglio del 12 dicembre 2012 concernente la competenza 
giurisdizionale, il riconoscimento e l'esecuzione delle decisioni in 
materia civile e commerciale. Tale regolamento, anche noto come Regolamento 
Bruxelles I bis, sostituisce il precedente Regolamento (CE) n. 44/2001 
in tema di competenza giurisdizionale, riconoscimento ed esecuzione delle 
decisioni. L'articolo 25 reg. (UE) 1215/2012 statuisce che: "Qualora le parti, 
indipendentemente dal loro domicilio, abbiano convenuto la competenza di 
un'autorit� o di autorit� giurisdizionali di uno Stato membro a conoscere delle 
controversie, presenti o future, nate da un determinato rapporto giuridico, la 
competena spetta a questa autorit� giurisdizionale o alle autorit� giurisdizionali 
di questo Stato membro, salvo che l'accordo sia nullo dal punto di vista 
della validit� sostanziale secondo la legge di tale Stato membro. Detta competenza 
� esclusiva salvo diverso accordo tra le parti. L'accordo attributivo 
di competenza deve essere: 
a) concluso per iscritto o provato per iscritto; 
b) in una forma ammessa dalle pratiche che le parti hanno stabilito tra 
di loro; o nel commercio internazionale, in una forma ammessa da un uso che 
le parti conoscevano o avrebbero dovuto conoscere e che, in tale ambito, � 
ampiamente conosciuto e regolarmente rispettato dalle parti di contratti dello 
stesso tipo nel settore commerciale considerato".
PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 157 
Specificamente, per quanto riguarda la deroga alla giurisdizione italiana 
in favore della giurisdizione della Corte di giustizia dell'Unione europea, nessun 
ostacolo appare frapporsi. 
In questo senso, se pur sotto diversi profili, giova segnalare che dalla lettura 
dell'articolo 271 del Trattato sul funzionamento dell'Unione Europea (ex 
articolo 237 del TCE) risulta come la Corte di Giustizia sia competente nelle 
controversie coinvolgenti la BEI del cui gruppo fa parte il FEI. 
Inoltre, occorre considerare la specifica previsione dell'art. 272 TFUE, 
secondo cui �La Corte di giustizia dell'Unione europea � competente a giudicare 
in virt� di una clausola compromissoria contenuta in un contratto di diritto 
pubblico o di diritto privato stipulato dall'Unione o per conto di questa�. 
In tal caso, giova richiamare l'orientamento della Corte di giustizia, secondo 
cui �ove in forza di una clausola compromissoria stipulata ai sensi dell'articolo 
272 TFUE la Corte possa essere chiamata a dirimere la controversia 
applicando il diritto nazionale che disciplina il contratto, la sua competena a 
conoscere di una controversia riguardante tale contratto dev'essere valutata 
alla sola luce di detto articolo e della clausola compromissoria, senza che 
possano esserle opposte disposizioni del diritto nazionale che osterebbero alla 
sua competenza (sentenze Commissione/Zoubek, 426/85, EU:C:1986:501, 
punto 10, e Commissione/Feilhauer, C-209/90, EU:C:1992:172, punto 13)� 
(sentenza 26 febbraio 2015, causa C-564/13 P, Planet AE c. Commissione europea, 
punto 21). 
Si esprime dunque parere nei termini sopra esposti, restando a disposizione 
per quanto altro possa occorrere.
158 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2016 
Spending review: la riduzione del 15% dei canoni 
per le locazioni passive anche alle ipotesi in cui 
proprietario dell�immobile sia una p.a. 
PARERE DEL 09/05/2016-226080, AL 37970/2012, AVV. AGNESE SOLDANI 
Il quesito posto concerne l�ambito soggettivo di applicazione dell�art. 3, 
comma 4 D.L. 95/2012 convertito in L. 135/2012 (c.d. spending review), a tenore 
del quale �Ai fini del contenimento della spesa pubblica, con riferimento 
ai contratti di locazione passiva aventi ad oggetto immobili a uso istituzionale 
stipulati dalle Amministrazioni centrali, come individuate dall'Istituto nazionale 
di statistica ai sensi dell'articolo 1, comma 3, della legge 31 dicembre 
2009, n. 196, nonch� dalle Autorit� indipendenti ivi inclusa la Commissione 
nazionale per le societ� e la borsa (Consob) i canoni di locazione sono ridotti 
a decorrere dal 1� gennaio 2015 della misura del 15 per cento di quanto attualmente 
corrisposto. A decorrere dalla data dell'entrata in vigore della legge 
di conversione del presente decreto la riduzione di cui al periodo precedente 
si applica comunque ai contratti di locazione scaduti o rinnovati dopo tale 
data. La riduzione del canone di locazione si inserisce automaticamente nei 
contratti in corso ai sensi dell'articolo 1339 c.c., anche in deroga alle eventuali 
clausole difformi apposte dalle parti, salvo il diritto di recesso del locatore. 
Analoga riduzione si applica anche agli utilizzi in essere in assenza di 
titolo alla data di entrata in vigore del presente decreto�. 
Il Ministero in indirizzo riferisce di avere ricevuto da parte di numerosi 
enti territoriali - proprietari di immobili concessi in locazione per essere adibiti 
a sedi di Caserme della Polizia di Stato e dell�Arma dei Carabinieri - la richiesta 
di restituzione del 15% del canone di locazione, decurtato dal Ministero 
conduttore in applicazione della citata norma, facendo leva sulla Deliberazione 
n. 157 del 15 dicembre 2015 con la quale la Sezione Regionale della Corte 
dei Conti per l�Emilia Romagna ha affermato - per quel che in questa sede interessa 
- che la norma sarebbe inapplicabile ai casi in cui il contratto di locazione 
sia stipulato tra due pubbliche amministrazioni, in quanto in tali casi 
non potrebbe realizzarsi la finalit� di contenimento della spesa pubblica che 
la sorregge: �Infatti l�effetto pratico sarebbe del tutto neutro rispetto all�obiettivo 
del contenimento della spesa pubblica, essendo di assoluta evidenza che 
l�inserzione automatica ex art. 1339 c.c. di una tale clausola nel rapporto intercorrente 
tra due pubbliche amministrazioni, pur comportando per l�una un 
risparmio nella misura del 15 per cento di quanto corrisposto in precedenza, 
per l�altra comporterebbe, in egual misura, un minor introito�. 
Tanto premesso in punto di fatto, il Ministero in indirizzo chiede a quest�Avvocatura 
di esprimere un parere in ordine alla correttezza del proprio 
operato, alla luce, per un verso, della deliberazione della Corte dei Conti sin
PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 159 
qui menzionata e, per altro verso, del precedente parere di quest�Avvocatura 
prot. n. 24738 del 18 gennaio 2013 nel quale era gi� stato chiarito che il successivo 
comma 7 del medesimo art. 3 D.L. 95/2012 convertito in L. 135/2012, 
secondo cui �Le disposizioni dei commi da 4 a 6 non si applicano in via diretta 
alle regioni e province autonome e agli enti del servizio sanitario nazionale, 
per i quali costituiscono disposizioni di principio ai fini del coordinamento 
della finanza pubblica�, intende far riferimento alle locazioni passive di regioni, 
province ed enti del servizio sanitario nazionale, vale a dire alle ipotesi 
in cui tali enti siano non proprietari bens� conduttori dell�immobile locato. 
Al riguardo, quest�Avvocatura � dell�avviso che, alla luce della interpretazione 
sia letterale che teleologica della normativa attualmente vigente, correttamente 
codesto Ministero abbia operato la decurtazione del 15% del 
canone di locazione anche per i contratti in cui proprietaria � un�altra pubblica 
amministrazione (sia essa ente territoriale o no). 
Anzitutto, osta all�affermazione che la riduzione del 15% del canone di 
locazione non si applica ai contratti in cui locatrice � un'altra pubblica amministrazione 
il dato letterale dell�art. 3, comma 4, che non delimita in alcun 
modo il novero dei soggetti proprietari di immobili locati alla quale si riferisce, 
e quindi non consente di individuare delle categorie di soggetti (pubblici o privati 
che siano) eccettuate. 
N� la pretesa degli enti territoriali di vedersi esclusi - quali proprietari di 
immobili - dall�applicazione della norma pu� trovare supporto normativo nel 
gi� citato art. 3, comma 7, che afferma l�inapplicabilit� a Regioni, Province 
autonome ed enti del servizio sanitario nazionale (e si noti: nell�elencazione 
non sono ricompresi n� i comuni e le citt� metropolitane, n� le altre province), 
del comma 4, vale a dire di quella norma che stabilisce che �� con riferimento 
ai contratti di locazione passiva aventi ad oggetto immobili a uso istituzionale
� il canone di locazione sia ridotto del 15%. 
Si conferma dunque l�avviso gi� espresso nel precedente parere di quest�Avvocatura: 
la norma prevede che nei contratti di locazione passiva di tali 
enti (dunque nelle ipotesi in cui essi sono conduttori) non si applica direttamente 
la nuova disciplina normativa in tema di riduzione del 15%. Ciononostante 
tali norme costituiscono, sempre secondo il comma 7, �disposizioni di 
principio ai fini del coordinamento della finanza pubblica�, atteso che il coordinamento 
della finanza pubblica rientra tra le materie di legislazione concorrente, 
nelle quali dunque �spetta alle Regioni la potest� legislativa, salvo 
che per la determinazione dei princ�pi fondamentali, riservata alla legislazione 
dello Stato� (art. 117, comma 3 Cost.). 
Quanto alla citata deliberazione della Sezione Regionale della Corte dei 
Conti per l�Emilia Romagna, va anzitutto precisato che sebbene la questione 
decisa afferisse in concreto all�applicabilit� o meno della riduzione del 15% 
del canone anche ai rapporti concessori (applicabilit� esclusa dalla Corte), il
160 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2016 
principio di diritto ivi affermato inevitabilmente vale anche per i rapporti di 
locazione, avendo la Corte dei Conti in sintesi ritenuto che applicare la norma 
in parola anche ai rapporti tra pubbliche amministrazioni (di locazione o concessione 
che siano, sotto questo profilo � irrilevante), sacrificherebbe l�intento 
di contenimento della spesa pubblica che la giustifica, essendo �neutro� l�effetto 
finale, perch� alla minor spesa per la p.a. conduttrice corrisponderebbe 
una minore entrata della p.a. proprietaria. 
Tuttavia quest�Avvocatura non ritiene tale affermazione condivisibile nel 
merito, in quanto sembra non tenere conto del fatto che l�intento di contenimento 
della spesa � realizzato, dalla normativa legislativa che ci occupa, non 
secondo un sistema di tagli lineari, ma secondo un sistema di razionalizzazione 
della spesa per settori: il legislatore ha cio� inteso individuare dei settori 
(quale, nel nostro caso, quello delle locazioni passive) nel quale ha ritenuto 
evidentemente eccessiva la spesa affrontata dalle pubbliche amministrazioni, 
con conseguente necessit� di una sua riduzione. 
Del resto il contenimento della spesa pubblica si realizza non soltanto - 
come sembrerebbe presupporre la citata deliberazione della Corte dei Conti - 
attraverso una politica di riduzione del saldo finale complessivo della stessa, 
ma anche attraverso una pi� corretta e bilanciata allocazione delle risorse disponibili 
tra pubbliche amministrazioni. 
Se si parte dal presupposto, da cui tutta la disciplina normativa che ci occupa 
sembra muovere, che la spesa nel settore delle locazioni passive sia stata 
valutata dal legislatore come eccessiva e vada quindi ridotta (si pensi, a questo 
riguardo, a quanto statuito ad esempio dal comma 5 del medesimo art. 3, in 
tema di risoluzione di diritto dei contratti di locazione passiva alla prima scadenza 
utile e di obbligo per le pubbliche amministrazioni di ricerca di �soluzioni 
allocative alternative economicamente pi� vantaggiose�), risulter� evidente 
come anche nell�ipotesi in cui il contratto di locazione sia stipulato tra due pubbliche 
amministrazioni, lo scopo di contenimento di quel settore di spesa risulter� 
perseguito dalla riduzione automatica del canone, perch� viene comunque 
realizzata una pi� equa allocazione delle risorse complessivamente disponibili. 
Che questa sia la logica di fondo seguita dal legislatore sembra confermato 
anche dal tenore dell�art. 3, commi 2 e 2 bis del medesimo D.L.: il 
comma 2 stabilisce che �Alle regioni e agli enti locali di cui al decreto legislativo 
18 agosto 2000, n. 267, pu� essere concesso l'uso gratuito di beni immobili 
di propriet� dello Stato per le proprie finalit� istituzionali�; il comma 
2 bis che �Le Regioni e gli enti locali di cui al decreto legislativo 18 agosto 
2000, n. 267, possono concedere alle Amministrazioni dello Stato, per le finalit� 
istituzionali di queste ultime, l'uso gratuito di immobili di loro propriet�
�. Disposizioni che, all�evidenza, non avrebbero ragion d�essere ove il 
risparmio di spesa fosse perseguito dalla spending rewiew secondo la prospettiva 
delineata dalla menzionata delibera della Corte dei Conti.
PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 161 
Ma soprattutto, indicativo � l�art. 3, comma 10, del medesimo D.L., secondo 
cui �Nell'ambito delle misure finalizzate al contenimento della spesa 
pubblica, gli Enti pubblici non territoriali ricompresi nel conto economico 
consolidato della pubblica amministrazione � comunicano all'Agenzia del 
Demanio, entro, e non oltre, il 31 dicembre di ogni anno, gli immobili o porzioni 
di essi di propriet� dei medesimi, al fine di consentire la verifica della 
idoneit� e funzionalit� dei beni ad essere utilizzati in locazione passiva dalle 
Amministrazioni statali per le proprie finalit� istituzionali. L'Agenzia del Demanio, 
verificata, ai sensi e con le modalit� di cui al comma 222 dell'articolo 
2 della legge n. 191 del 2009, la rispondenza dei predetti immobili alle esigenze 
allocative delle Amministrazioni dello Stato, ne d� comunicazione agli 
Enti medesimi. In caso di inadempimento dei predetti obblighi di comunicazione, 
l'Agenzia del Demanio effettua la segnalazione alla competente procura 
regionale della Corte dei conti. La formalizzazione del rapporto contrattuale 
avviene, ai sensi del citato comma 222, con le Amministrazioni interessate, 
alle quali gli Enti devono riconoscere canoni ed oneri agevolati, nella misura 
del 30 per cento del valore locativo congruito dalla competente Commissione 
di congruit� dell'Agenzia del Demanio di cui all'articolo 1, comma 479, della 
legge 23 dicembre 2005, n. 266�. 
� evidente dunque l�intento del legislatore di ristabilire un equilibrio 
finanziario tra amministrazioni proprietarie di immobili e amministrazioni 
conduttrici, attraverso un�operazione finanziaria di sostanziale traslazione, 
in capo alle seconde, delle risorse di cui godono le prime, che si realizza mediante 
la previsione di un vero e proprio obbligo legale di contrarre a condizioni 
agevolate. 
Una simile impostazione produce risultati tutt�altro che �neutri� in termini 
di contenimento della spesa pubblica, che passa anche attraverso l�efficientamento 
delle risorse (in questo caso immobiliari) complessivamente 
disponibili. 
In virt� delle esposte considerazioni, si esprime pertanto l�avviso che - a 
legislazione vigente - non sia possibile escludere dall�applicazione dell�art. 3, 
comma 4 D.L. 95/2012 convertito in L. 135/2012 i contratti di locazione stipulati 
tra pubbliche amministrazioni, non potendosi interpretare le norme sin 
qui richiamate nel senso auspicato dagli enti territoriali proprietari di immobili 
concessi in locazione alle amministrazioni statali. 
Sulla questione � stato sentito il Comitato Consultivo, che nella seduta 
del 5 maggio 2016 si � espresso in conformit�.
162 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2016 
Il trattamento dei costi delle societ� costituite 
nell�ambito della ricerca sul modello �spin-off� 
PARERE DEL 11/05/2016-229687, AL 45602/15, AVV. PAOLA PALMIERI 
Con la richiesta di parere che si riscontra, codesta Amministrazione ha 
chiesto alla Scrivente di pronunciarsi in ordine a diversi quesiti riguardanti la 
rendicontazione di costi sostenuti nell�ambito dei progetti di ricerca di societ� 
costituite sul modello �spin off�. 
Da parte di dette societ� sono state riscontrate difficolt�, in particolare, 
nella rendicontazione dei costi sostenuti in materia di personale e di brevetti, 
anche a causa della particolarit� della figura societaria in considerazione, cui 
non risulta adeguata la normativa di riferimento. 
Con riferimento al quesito richiesto si premette, in termini generali, che 
le imprese spin off, nel mondo imprenditoriale, indicano il fenomeno generico 
di una impresa figlia nata per scissione da un�impresa madre. Nell�ambito 
della ricerca, il modello � piuttosto diffuso ed indica le iniziative imprenditoriali 
nate come promanazione di ambienti accademici (universit�) o di enti e/o 
istituzioni di ricerca. In tal caso le imprese, solitamente, nascono come iniziativa 
di un gruppo di ricercatori, professori universitari o assegnisti che avviano 
autonomamente un�attivit� imprenditoriale indipendente, finalizzata all�avvio 
o alla prosecuzione di progetti di ricerca collegati con l�ambiente da cui derivano 
e con cui, solitamente, mantengono rapporti di stretta collaborazione. 
Sebbene non possa rinvenirsi nell�ordinamento una regolamentazione 
specifica di tali societ�, in termini di definizione e di caratteristiche essenziali 
(l� dove, per contro, risultano oggetto di espressa disciplina ad opera del D.L. 
n. 179 del 2012, le c.d. start up innovative), tuttavia, le linee essenziali del 
modello societario in esame possono ricavarsi indirettamente dalla disciplina 
propria delle spin off nate in alcuni ambiti specifici. 
Un esempio di tale indiretta regolamentazione � data dall�art. 11 del D.M. 
593 del 2000, che, in conformit� all�art. 2 lett. e) del D.Lgs. n. 297 del 1999, 
disciplina i �Progetti autonomamente presentati per attivit� di ricerca proposte 
da costituende societ��. 
Pur non riferendosi esplicitamente a societ� spin off, l�articolo 2 del decreto 
legislativo sopra menzionato individua, tra i soggetti ammissibili agli interventi 
in materia di ricerca industriale, le societ� di recente costituzione o 
da costituire, finalizzate all�utilizzazione industriale dei risultati della ricerca, 
per le attivit� di cui all�art. 3, comma 1, lettera b), numero 1, con la partecipazione 
azionaria o il concorso, o comunque, con il relativo impegno di tutti o 
di alcuni dei soggetti ivi indicati (professori e ricercatori universitari, personale 
di ricerca dipendente da ENEA ed ASI, dottorandi, ecc.). 
Pi� in particolare, l�art. 11 del Decreto ministeriale attuativo, regola la
PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 163 
partecipazione a specifici progetti di ricerca industriale da parte di professori 
e ricercatori universitari, di personale di ricerca dipendente dagli enti di ricerca, 
di dottorandi e titolari di assegni di ricerca, anche congiuntamente con universit� 
ed enti di ricerca, societ� di assicurazione, imprese industriali o con 
altri tra i soggetti ammissibili ai sensi dell�art. 5 del medesimo decreto, con 
impegno da parte dei proponenti a costituire una societ� entro i tre mesi successivi 
alla eventuale selezione del progetto. 
La problematica segnalata da codesto Ministero sorge dalla difficolt� di 
applicare la disciplina che regola l�ammissione a finanziamenti ex lege n. 297 
del 1999 e del relativo regolamento attuativo (D.M. n. 593/2000), a fenomeni 
di nuova creazione, quali appunto, le societ� in esame che, per altro verso, trasformando 
validi progetti in iniziative imprenditoriali, costituiscono un importante 
strumento di innovazione e ricerca nonch� di interrelazione tra ricerca 
ed impresa. 
Nel caso di specie, le societ� interessate - spin off costituite ai sensi dell�art. 
11 del menzionato D.M. - hanno chiesto di potere indicare nella propria 
rendicontazione, le figure dei dottorandi e degli assegnisti di ricerca, le prestazioni 
del personale universitario e del socio Universit� ed il costo relativo 
allo sviluppo ed al deposito dei brevetti (nello specifico, le spese di consulenza 
relative alla preparazione, al deposito e alle risposte agli uffici brevetti italiani 
e stranieri inerenti i brevetti acquistati e depositati dai beneficiari). 
Si deve, innanzitutto, osservare che tali societ� sono destinatarie di finanziamenti 
erogati dal Ministero dell�Istruzione, dell�Universit� e della Ricerca 
a valere sul FAR (Fondo per le Agevolazioni alla Ricerca), poi FIRST, ai sensi 
dell�art. 11 del D.M. 8 agosto 2000 n. 593. 
Per quanto riferito, si tratta di interventi effettuati a sostegno di progetti 
di ricerca e/o formazione autonomamente presentati dai soggetti ammissibili 
ed ammessi attraverso una procedura che prevede una fase di valutazione economica 
e scientifica, condotta dagli organi ministeriali prima della concessione 
dell�agevolazione, e che riguarda domande di finanziamento particolarmente 
complesse. 
Il decreto ministeriale sopra citato, cos� come lo stesso D.Lgs. n. 297 del 
1999, risulta abrogato in seguito all�entrata in vigore del D.L. 22 giugno 2012, 
n. 83 conv. in L. n. 134 del 2012, che ha previsto una nuova normativa quadro 
del sistema delle agevolazioni di competenza del MIUR a valere sul nuovo 
strumento del c.d. FIRST (artt. 60-63). 
Tuttavia, il regolamento n. 593 del 2000 � ancora applicabile a tutti quei 
progetti le cui domande siano state presentate prima dell�abrogazione, in virt� 
della disposizione transitoria di cui all�art. 11 del successivo D.M. 19 febbraio 
2013 n. 115, adottato in attuazione del menzionato D.L. n. 83/2012. 
I regolamenti comunitari generali che definiscono i criteri di rendicontazione 
delle spese, inoltre, sono direttamente applicabili a forme di finanzia-
164 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2016 
mento a valere sui Fondi strutturali comunitari (Reg (CE) n. 1083/2006) mentre, 
nel caso di aiuti di stato a valere su Fondi rotativi, come si dir� anche oltre, 
la materia � regolata da fonti interne. 
Molti progetti ancora in itinere, pertanto, risultano essere disciplinati da 
una normativa secondaria ormai abrogata e sulla base di una mera norma transitoria, 
certamente inadeguata a disciplinare modelli societari di tal fatta e, 
pertanto, meritevole di aggiornamento anche alla luce della disciplina comunitaria 
in materia. Tali considerazioni, peraltro, vanno estese anche al pi� recente 
decreto ministeriale n. 115 del 2013, il quale, al pari del decreto legge 
n. 83 del 2012 di cui costituisce attuazione, non sembra apportare novit� significative 
alla disciplina delle spin-off, n� tanto meno alla rendicontazione 
dei costi ammissibili. 
Pur nella consapevolezza che modificare la normativa regolamentare in 
relazione a procedimenti gi� avviati potrebbe dare luogo a problemi di disparit� 
di trattamento rispetto a procedure gi� definite sulla base del D.M. ancora 
vigente, tuttavia, non pu� mancarsi di sottolineare l�esigenza di un opportuno 
aggiornamento della complessiva disciplina secondaria, ove la stessa risulti 
non esaustiva o incompleta o, ancora, non pi� in linea da un lato con realt� 
societarie di nuova introduzione e dall�altro, con la normativa comunitaria 
che, parallelamente disciplina le varie forme di finanziamento alla ricerca a 
valere su fondi europei. 
Allo stato, la Scrivente non pu� che esprimere un parere sulla base della 
disciplina oggi applicabile, operando interpretazioni estensive solo l� dove 
consentito dalle norme primarie di riferimento e semprech� l�estensione sia 
conforme alla ratio della disciplina di settore. 
*** 
Come gi� accennato, per definire le spese rendicontabili da parte delle 
societ� di cui al parere, occorre fare riferimento al D.M. 593/2000, il caso in 
esame, a quanto riferito, rientrando nell�ambito di applicazione della disposizione 
transitoria. 
La normativa primaria (D.Lgs n. 297 del 1999), non contiene indicazioni 
sul punto, in quanto il Legislatore ha interamente delegato la disciplina dei 
costi ammissibili, cos� come gli ulteriori aspetti essenziali delle procedure in 
esame, a decreti di natura non regolamentare, quale � appunto il D.M. 593 del 
2000 (ed in via successiva, il D.M. 115 del 2013). 
Dall�analisi del testo normativo, emerge che l�art. 11, per quanto attiene 
alle spese ammissibili, al co. 16, rimanda a quanto disposto dall�art. 5, co. 24, 
del medesimo decreto, comprendendovi anche le spese sostenute per studi relativi 
alla propriet� intellettuale, studi di mercato, studi di fattibilit��, fissando, 
inoltre, �la decorrenza delle spese ammissibili al novantesimo giorno 
successivo alla data della domanda�. 
La normativa appena esposta deve poi essere integrata attraverso quanto
PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 165 
disposto dal par. 6.1 degli allegati al decreto - dove, ad ulteriore chiarimento, 
vengono stabiliti i criteri di rendicontazione dei costi ammissibili, ricomprendendovi 
varie voci, fra cui quelle del personale dipendente e non, nonch� le 
spese di consulenza e quelle di acquisizione da terzi di brevetti - oltre che dalla 
circolare interpretativa 8 novembre 2002 n. 11305 del MIUR. 
Ai fini di una analisi pi� puntuale, si esporr� quanto previsto dalle normative 
appena ricordate in relazione ai singoli quesiti posti. 
1) Primo quesito. 
In merito al primo quesito, sulla possibilit� di rendicontazione delle spese 
sostenute dalle societ� per la registrazione e il deposito di brevetti, ivi comprese 
le spese delle consulenze preordinate all�ottenimento del brevetto, si 
svolgono le seguenti osservazioni. 
a) Per quanto riguarda la possibilit� di rendicontare le spese relative alla 
consulenza affrontata per la produzione in proprio del brevetto da parte della 
societ� spin off, la normativa non fa esplicito riferimento alla possibilit� delle 
societ� costituite ai sensi dell�art. 11 del D.M. 593/2000 di ottenere brevetti 
con mezzi propri, ma si limita a prevedere la possibilit� di acquisirli da terzi. 
In particolare, alla voce �Beni immateriali� del par. 6.1, lett. e), degli Allegati 
al decreto n. 593/2000, sono ammissibili soltanto i costi dei beni immateriali 
acquistati da terzi, quali risultati di ricerca, brevetti, know how e diritti 
di licenza. 
D�altra parte, lo stesso art. 11 del D.M. 593/2000, al co. 16, ricomprende 
tra le spese ammissibili, quelle sostenute �per studi relativi alla propriet� intellettuale�, 
il che sembra riconoscere alle societ� sovvenzionate l�astratta potenzialit� 
di sviluppare autonomamente brevetti anche grazie a consulenze 
esterne. 
Sulla base del dato letterale e sistematico della norma, se la consulenza � 
connessa allo sviluppo di un brevetto quale scopo del progetto ammesso e oggetto 
del finanziamento, non sembra possa essere esclusa la possibilit� di ritenere 
ammissibili anche le spese di consulenza correlate allo sviluppo del 
brevetto stesso. 
Del resto, anche in base all�art. 5, co. 24, lett. d) del D.M. 593/2000, sono 
ammissibili i costi dei servizi di consulenza e dei servizi equivalenti utilizzati 
esclusivamente ai fini dell'attivit� di ricerca. 
Inoltre, il par. 6.1 degli allegati, alla voce �Consulenze�, prevede l�ammissibilit� 
dei costi di consulenza, definendola attivit� con contenuto di ricerca 
o progettazione commissionate a terzi. 
Di qui la risposta positiva allo specifico aspetto da ultimo esaminato, semprech� 
a) si tratti di consulenza e di brevetti strettamente funzionali all�attivit� 
di ricerca assentita e b) la relativa attivit� sia imputabile al periodo progettuale 
di riferimento, come al riguardo stabilito dall�art. 11, comma 16, del menzio-
166 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2016 
nato D.M. per cui �La decorrenza delle spese ammissibili � fissata al 90 
giorno successivo alla presentazione della domanda�, nonch� dal par. 6 degli 
allegati al decreto secondo cui: �Sono ammessi al finanziamento soltanto i 
costi attribuibili per competenza a date comprese nel periodo deliberato per 
lo svolgimento della ricerca, a condizione che siano stati sostenuti e liquidati 
in tale periodo�. 
b) Anche se la rendicontazione non fa cenno alle spese di deposito e registrazione, 
si osserva che le societ� in esame sono costituite a sostegno dell�attivit� 
di ricerca industriale e, quindi, con l�intento di sviluppare nuovi 
prodotti o metodologie di lavoro innovative. 
La possibilit� di sfruttare il brevetto ha senz�altro una funzione di incentivo 
della ricerca, portando alle societ� una remunerazione iniziale, nonch� la 
possibilit� di ottenere un maggiore riconoscimento, anche a livello internazionale, 
con la possibilit� di realizzare nuove collaborazioni con altri soggetti 
del mondo accademico ed economico. Il tutto � idoneo a creare un circolo virtuoso 
proprio in linea con la ratio sottesa al D.M. 593/2000 e in linea anche 
con le successive normative, attente all�aspetto del coinvolgimento a livello 
internazionale. 
Tale interpretazione, oltre che dalla sottolineata ratio normativa, si trae 
indirettamente anche dal testo dell�art. 2 del D.M. 593/2000 che definisce, 
come oggetto del finanziamento, l�attivit� di ricerca industriale quale "la ricerca 
pianificata o indagini critiche miranti ad acquisire nuove conoscenze, 
utili per la messa a punto di nuovi prodotti, processi produttivi o servizi o per 
conseguire un notevole miglioramento dei prodotti, processi produttivi o servizi 
esistenti". 
Lo sviluppo di brevetti appare, dunque, un approdo naturale dell�incentivo 
di tale tipo di ricerca, in quanto teso ad aumentare la competitivit� nel 
mercato. 
Anche il co. 17 dell�art. 11 del D.M. 593/2000, menzionato da codesta 
Amministrazione, sembra rafforzare tale interpretazione, in quanto prevede, 
fra gli obblighi di coloro che ricevono il finanziamento, quello di �assumere 
le disposizioni pi� adeguate in materia di tutela dei diritti di propriet� intellettuale: 
in particolare mantenere i brevetti ottenuti con i finanziamenti pubblici 
e, in caso contrario, informare tempestivamente il MURST delle proprie 
intenzioni�. 
In effetti, pur non facendo esplicito riferimento alla possibilit� di sviluppo 
del brevetto da parte della societ� finanziata, l�articolo sembra suggerirne la 
potenzialit�, per cui si impone di assumere ogni iniziativa volta alla cura dell�attivit� 
brevettuale, proprio in virt� della forte connessione tra attivit� di ricerca 
e applicazione pratica della stessa. 
Sulla base di quanto osservato, pertanto, paiono potersi ricomprendere 
nelle spese da rendicontare sia quelle di registrazione, sia quelle di deposito
PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 167 
del brevetto, nei limiti in cui lo stesso sia direttamente funzionale e strettamente 
connesso con la ricerca oggetto di finanziamento e, in ogni caso, con 
l�esclusione delle spese di mantenimento, in quanto la ratio sottesa al finanziamento 
erogato da parte del MIUR � da ritrovarsi nella necessit� di introdurre 
sul mercato nuovi prodotti e non in quella di avvantaggiare la societ� finanziata 
sul mercato. 
2) Secondo quesito. 
Per quanto attiene alla richiesta di parere circa la possibilit� di rendicontare 
il valore della cessione dei brevetti a titolo gratuito da parte dell�Universit� 
socio (a mero titolo di cofinanziamento in natura a favore dello Spin-Off, in 
base alla stima di un esperto qualificato), si osserva che l�art. 11 del D.M. 
sopra richiamato prevede la possibilit� di acquisire da terzi il brevetto, con relativa 
rendicontazione dei costi sostenuti al fine di tale acquisizione. La disposizione, 
di per s�, non consente di rendicontare cessioni a titolo gratuito. 
Nella nota che si riscontra viene prospettata la possibilit� di una lettura 
estensiva dell�espressione �acquisto da terzi�, con possibilit� di ammettere 
la rendicontazione del valore brevettuale, purch� debitamente sostenuta da 
una relazione che lo determini esattamente. 
Sul punto, tuttavia, la Scrivente ritiene dirimente il riferimento all�acquisto 
del brevetto, che presuppone una cessione da parte di terzi dietro versamento 
di un prezzo. 
L�esame delle voci di costo ammissibile, del resto, consente di osservare 
che le stesse fanno sempre riferimento a �costi� comunque sopportati dalla 
societ� che ne chiede il rimborso tramite il finanziamento. Non si vede, dunque, 
come valorizzare una cessione gratuita, sia pure tramite una stima di un 
terzo qualificato, atteso che la cessione del brevetto, in ogni caso, non rappresenta 
un �costo� per lo spin-off. 
Il par. 6.1 degli allegati, facenti parte integrante del D.M. � coerente 
con la previsione della norma regolamentare che, nel regolare la deducibilit� 
dei costi relativi a beni immateriali, non solo fa riferimento ai soli beni immateriali 
�acquisitati da terzi� ma specifica, altres�, che �i beni immateriali 
esistenti alla data di decorrenza della ammissibilit� dei costi non sono computabili 
ai fini del finanziamento, n� potranno essere considerate quote del 
loro ammortamento�. 
A normativa vigente, pertanto, non si ritiene possibile una interpretazione 
estensiva della normativa regolamentare che, anche al fine di evitare attribuzioni 
non corrette del finanziamento pubblico, consente solo la rendicontazione 
di costi in senso stretto, affrontati dal soggetto beneficiario nel periodo 
di riferimento del progetto ammesso. 
Tra l�altro, con specifico riferimento alla possibilit� di conferimenti in 
natura, occorre osservare che i regolamenti generali che disciplinano l�ammis-
168 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2016 
sibilit� delle spese per i programmi cofinanziati con fondi europei, limitano 
la possibilit� di contributi in natura ai casi ivi previsti. In particolare, il DPR 
196 del 2008, recante il regolamento di esecuzione del regolamento CE n. 
1083 del 2006 ed il regolamento CE 8 dicembre 2006, n. 1828 (che stabilisce 
modalit� di applicazione del regolamento CE 1083/2006), prevedono la possibilit� 
di contribuzioni in natura solo con riferimento a terreni, immobili, attrezzature, 
materie prime nonch� ad attivit� di ricerca o professionali, in tal 
modo implicitamente escludendo il caso di conferimento di beni immateriali. 
3) Terzo quesito. 
Con il quesito in esame ci si interroga sulla possibilit� di rendicontare i 
costi della partecipazione di personale universitario (professori ricercatori, assegnisti 
ecc.) a societ� aventi caratteristiche di Spin-Off, il quale abbia svolto 
attivit� di ricerca, coordinamento e supervisione del Progetto. 
Si osserva, al riguardo che, l�art. 5, comma 24, lett. a) del D.M. 593/2000, 
annovera tra i costi ammissibili quelli relativi a �spese di personale� (ricercatori, 
tecnici, ed altro personale ausiliario adibito all'attivit� di ricerca, che 
risulti, in rapporto col soggetto beneficiario dei contributi, dipendente a tempo 
indeterminato o determinato e/o lavoratore parasubordinato, e/o titolare di 
borsa di dottorato, o di assegno di ricerca, o di borsa di studio che preveda attivit� 
di formazione attraverso la partecipazione al progetto). 
Dalla disposizione si evince chiaramente che i soggetti in questione devono 
essere formalmente legati allo Spin-Off attraverso un contratto di lavoro, 
a tempo determinato o indeterminato, o di tipo parasubordinato, oppure devono 
essere legati specificamente al progetto, pur essendo semplici dottorandi 
o assegnisti o titolari di borse di studio. 
Pertanto, in assenza di tale legame, non sembrerebbero ammissibili i costi 
relativi alle loro attivit� (in tal senso anche il par. 6.1 degli allegati al decreto, 
ove si fa distinzione tra personale dipendente e non dipendente, e si specifica 
che, per i non dipendenti, il contratto di collaborazione dovr� contenere l�indicazione 
della durata dell�incarico, della remunerazione oraria e di eventuali 
maggiorazioni per diarie e spese, delle attivit� da svolgere e delle modalit� di 
esecuzione, nonch� l�impegno per il collaboratore a prestare la propria opera 
presso le strutture dell�impresa finanziata�). 
Dunque, anche per i soggetti non annoverabili nella categoria dei dipendenti, 
la regolamentazione in materia prevede un rapporto comunque formalizzato 
in seno alla societ� finanziata, indicandosi il contratto di 
collaborazione coordinata e continuativa e, per gli assegnisti, lo specifico 
inserimento nel progetto. 
Fra l�altro, lo stesso art. 11 del D.M. n. 593 del 2000, al co. 5, evidenzia 
che professori e ricercatori possono partecipare alle attivit� delle societ� su 
modello Spin-Off solo ove i relativi regolamenti universitari o degli enti di
PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 169 
appartenenza ne abbiano disciplinato la procedura autorizzativa e il collocamento 
in aspettativa ovvero il mantenimento in servizio o nel corso di studio, 
e abbiano definito le questioni relative ai diritti di propriet� intellettuale nonch� 
le limitazioni volte a prevenire i conflitti di interesse con le societ� costituite 
o da costituire. 
Occorre poi considerare il disposto di cui al D.M. 10 agosto 2011, n. 168, 
contenente il �Regolamento sulla definizione dei criteri di partecipazione di 
professori e ricercatori universitari a societ� aventi caratteristiche di spin off 
o start up universitari in attuazione di quanto previsto dall�art. 6, comma 9, 
della L. 30 dicembre 2010, n. 240�. 
Dopo aver descritto la procedura di costituzione di uno spin off da parte 
dell�universit� (art. 3), l�art. 4 di detto decreto prevede, infatti, non soltanto 
un divieto per i soggetti citati di ricoprire alcune cariche in seno alle compagini 
sociali, ma anche la possibilit� per gli atenei di definire altri casi in cui i professori 
e ricercatori in servizio non possano essere autorizzati a costituire imprese 
di Spin-Off, oppure assumere responsabilit� formali nella gestione, 
quando gli interessati rivestano specifici ruoli all'interno dell'ateneo. 
Le disposizioni suesposte, dunque, rafforzano quanto detto in ordine alla 
necessit� di un rapporto in qualche modo formalizzato che, a sua volta, presuppone 
uno specifico atto autorizzativo da parte dell�Ateneo di provenienza 
che permetta l�attivit� in seno alla societ� del ricercatore e del docente, non 
lasciando apparentemente spazio a collaborazioni, per cos� dire, indefinite e 
in qualche modo elusive delle norme di settore richiamate. 
Ci�, anche nel caso in cui la stessa Universit� sia socia dello spin off, il 
conferimento di prestazioni alla societ� dovendo comunque essere ricostruito 
attraverso un atto formale che ne consenta la rendicontazione e fermi restando 
i divieti di cui alla menzionata circolare. 
Va anche detto, peraltro, che, in ambito comunitario, la normativa � orientata 
a consentire, sia pure entro certi limiti, le prestazioni volontarie da parte 
del personale di ricerca. 
In particolare, a norma dell�art. 51 del regolamento (CE) n. 1828 del 
2006, che detta le disposizione di attuazione del Reg. CE n. 1083/2006, i contributi 
in natura costituiscono spesa rimborsabile se: a) consistono nella fornitura 
di terreni ed immobili, in attrezzature o materie prime, in attivit� di 
ricerca o professionali o in prestazioni volontarie non retribuite e, b) se il loro 
valore pu� essere oggetto di valutazioni e audit indipendenti. Anche in tal caso 
il valore delle prestazioni volontarie non retribuite viene determinato tenendo 
conto del tempo prestato e delle tariffe orarie giornaliere in vigore per l�attivit� 
corrispondente. 
Allo stesso modo, il DPR n. 196 del 2008, �Regolamento di esecuzione 
del regolamento (CE) n. 1083/2006 recante disposizioni generali sul fondo 
europeo di sviluppo regionale, sul fondo sociale europeo e sul fondo di coe-
170 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2016 
sione�, prevede in conformit�, nel senso che i contributi in natura sono assimilati 
alle spese ammissibili purch�: 
a) consistano nella fornitura di terreni o immobili, in attrezzature o materiali, 
in attivit� di ricerca o professionali o in prestazioni volontarie non retribuite; 
b) il loro valore possa essere oggetto di revisione contabile e di valutazione 
indipendenti; 
c) in caso di prestazioni volontarie non retribuite, il relativo valore sia determinato 
tenendo conto del tempo effettivamente prestato e delle normali tariffe 
orarie e giornaliere in vigore per l'attivit� eseguita. 
Come gi� evidenziato in premessa si tratta di regolamenti direttamente 
applicabili solo con riferimento alle procedure a valere su fondi strutturali europei 
mentre, nel caso di specie, ci troviamo di fronte ad interventi che gravano 
sul fondo FAR, la cui relativa alimentazione � assicurata da stanziamenti nazionali 
previsti da leggi finanziarie annuali o dalle risorse provenienti dal 
Fondo per le aree sottoutilizzate. 
In relazione a tali forme di finanziamento, dunque, occorre far riferimento 
alle fonti nazionali, anche in coerenza con l�art. 56, comma 4, del Regolamento 
(CE) n. 1083/2016 che stabilisce che le norme in materia di ammissibilit� delle 
spese sono definite a livello nazionale, da identificarsi, nel caso in esame, nel 
solo D.M. n. 593 del 2000 (in coerenza con i principi di cui al D.Lgs. n. 297 
del 1999). 
Ne discende che, in assenza di modifiche eventualmente ispirate a criteri 
di rendicontazione meno rigorosi e pi� conformi a realt� societarie particolari 
quale quelle in esame, la cui adozione potr� essere valutata da codesto Ministero 
ai fini di un successivo regolamento, allo stato non � possibile concludere 
in senso difforme rispetto a quanto sopra considerato. 
4) Quarto quesito. 
Per quanto concerne il quesito relativo all�ammissibilit� delle spese per 
le prestazioni rese dagli amministratori e soci dello Spin-off, si rileva che la 
circolare 11305/2002 del MIUR stabilisce che la prestazione (afferente al progetto 
ammesso) non possa essere effettuata dall�Amministratore unico, da tutti 
o dalla maggioranza dei membri del consiglio di Amministrazione e, per le 
societ� in accomandita, dal socio accomandatario. 
In via di eccezione, la circolare ammette la rendicontazione delle spese 
relative alla prestazione in casi particolari caratterizzati da eccezionalit�, e 
che, comunque, siano conformi alle regole dello Statuto, oltre che dalle ulteriori 
condizioni ivi previste. 
La ratio del divieto, diretta a regolamentare in generale i casi di partecipazione 
societaria, va ricercata nella esigenza di far s� che l�ammissione al 
progetto da parte della societ� non costituisca arricchimento dei suoi soci ma
PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 171 
occasione di sviluppo di nuove realt� lavorative con evidenti ricadute positive 
sul territorio. 
Peraltro, trattandosi di circolare, nulla osta ad una rivisitazione della stessa 
in senso pi� coerente con lo spirito delle spin off e con direttive mirate a regolamentare 
in senso pi� ampio la partecipazione ad esse da parte del professore/
ricercatore - socio. 
Allo stato, tuttavia, non pu� che essere condivisa la soluzione prospettata 
da Codesta Amministrazione nel senso di concedere la possibilit� di rendicontazione 
delle spese relative alle prestazioni dei soggetti appena richiamati, solo 
purch� siano integrate le condizioni previste dalla circolare in materia. 
Ci�, quanto meno fino a nuova eventuale regolamentazione dei profili in 
esame, ove si riconsideri il divieto di svolgimento delle prestazioni ad opera 
degli stessi soci o amministratori, in ragione della peculiare realt� delle spin off. 
Non pu� tralasciarsi di considerare, tuttavia, che tale nuova regolamentazione, 
in ogni caso, potr� essere adottata pur sempre nel rispetto dei criteri 
di partecipazione a spin off dettati per il personale universitario dal D.M. 10 
agosto 2011, n. 168, che regola i criteri per la partecipazione a dette societ� 
da parte del personale universitario nonch� i casi di conflitto di interesse. 
5) Quinto quesito. 
Relativamente al quesito sulla doverosit� o meno di rifondere le spese relative 
al personale universitario distaccato presso lo spin-off alle universit� 
distaccanti, si osserva che la richiesta di parere non chiarisce se si tratta di distacco 
in senso formale o di altre forme di collaborazione. 
Nel richiamare quanto sopra osservato con riferimento alla necessit� di 
rimborsare i costi afferenti ad attivit� di collaborazione che trovino una rispondenza 
nelle previsioni dell�art. 5 comma 24 e del par. 6.1 del D.M. 
593/2000 pi� volte citato, si osserva che, in ogni caso, se gli obblighi retributivi 
sono assolti dall�Universit� che autorizza il distacco, come ordinariamente avviene 
in caso di formale distacco in virt� della consolidata giurisprudenza in 
materia (Cass. civ. Sez. Lav., 6 luglio 2015, n. 13841), non sussistono motivi 
per rimborsare il costo allo spin off. 
Si resta a disposizione per ulteriori chiarimenti. 
*** 
Coinvolgendo questioni di massima, il presente parere � stato sottoposto 
all�esame del Comitato consultivo, ai sensi dell�art. 26 della legge 3 aprile 
1979, n. 103, che si � espresso in conformit� nella seduta del 5 maggio 2016. 
172 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2016 
La revisione dei prezzi negli appalti di servizi 
PARERE DEL 11/05/2016-229719, AL 10949/16, AVV. GIACOMO AIELLO 
Con la nota che si riscontra � stato richiesto il parere della Scrivente sulla 
possibilit� di estendere l�applicazione dell�art. 115, D.Lgs. n. 163/2006 a periodi 
in cui una prestazione di servizi � stata svolta senza contratto. 
Al fine di rispondere al suddetto quesito, appare opportuno ricostruire innanzitutto 
la vicenda da cui esso trae origine. 
Il Ministero ha stipulato con il Consorzio M. un contratto di durata quadriennale, 
con decorrenza dal 1� luglio 2006, per lo svolgimento di un servizio 
di pulizia, per un importo contrattuale di 460.400,30 euro annui, per un totale 
di 1.841.601,20 euro. 
Successivamente, in data 30 novembre 2010, � stato stipulato con il medesimo 
Consorzio un nuovo contratto, per il periodo 1 luglio - 31 dicembre 
2010.
Scaduto tale ultimo contratto, il Consorzio ha continuato a svolgere il servizio 
fino al 31 dicembre 2012 e successivamente, in virt� della cessione dello 
specifico ramo d�azienda, � subentrata la societ� E.P.M, che ha continuato 
l�esecuzione del servizio fino alla data del 31 dicembre 2014. 
Viene quindi riferito che tutte le prestazioni eseguite dal Consorzio e dalla 
E.P.M, sono state liquidate, su presentazione di fattura, che le prestazioni relative 
al periodo 1� gennaio 2011- 31 dicembre 2014 sono state oggetto di riconoscimento 
di debito, da parte di codesto Ministero e che sia il Consorzio 
M., che la E.P.M. hanno richiesto l�adeguamento del canone, ai sensi dell�art. 
115, D.Lgs. 163/2006. 
Sulla base dei fatti fin qui riepilogati codesto Ufficio chiede quindi se sia 
legittima l�estensione dell�applicazione della suddetta norma, anche ai periodi 
in cui la prestazione � stata svolta dalle imprese senza contratto, ossia dal 1 
gennaio 2011 al 31 dicembre 2014. 
Al riguardo, occorre osservare quanto segue. 
L�art. 115, D.Lgs. 12 aprile 2006, n. 163, riproducendo quanto originariamente 
previsto dall'art. 6 comma 4, L. n. 537/1993, dispone che: �Tutti i 
contratti ad esecuzione periodica o continuativa relativi a servizi o forniture 
debbono recare una clausola di revisione periodica del prezzo. La revisione 
viene operata sulla base di una istruttoria condotta dai dirigenti responsabili 
dell'acquisizione di beni e servizi sulla base dei dati di cui all'articolo 7, 
comma 4, lettera c) e comma 5�. 
L'istituto della revisione � preordinato, nell'attuale disciplina, alla tutela 
dell'esigenza dell'Amministrazione di evitare che il corrispettivo del contratto 
di durata subisca aumenti incontrollati nel corso del tempo tali da sconvolgere 
il quadro finanziario sulla cui base � avvenuta la stipulazione del contratto. 
PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 173 
La clausola di revisione periodica di tali contratti ha anche lo scopo di 
tenere indenni gli appaltatori della P.A. da quegli aumenti dei prezzi dei fattori 
della produzione che, incidendo sulla percentuale di utile stimata al momento 
della formulazione dell�offerta, potrebbero indurre l�appaltatore a svolgere il 
servizio o ad eseguire la fornitura a condizioni deteriori rispetto a quanto pattuito 
o, addirittura, a rifiutarsi di proseguire nel rapporto, con inevitabile compromissione 
degli interessi della P.A. 
Solo in via mediata l'istituto tutela l'interesse dell'impresa a non subire l'alterazione 
dell'equilibrio contrattuale conseguente alle modifiche dei costi che si 
verifichino durante l'arco del rapporto e che potrebbero indurla ad una surrettizia 
riduzione degli standard qualitativi delle prestazioni (cos� T.A.R. Puglia, Bari, 
Sez. I, n. 925/2006; Consiglio Stato, Sez. V, 9 giugno 2008 n. 2786; T.A.R. Puglia, 
Bari, Sez. I, 6 aprile 2007 n. 1047; 14 agosto 2008 n. 1970; 25 novembre 
2008 n. 2666; 7 luglio 2009 n. 1751; 2 dicembre 2009 n. 2997). 
La giurisprudenza ritiene quindi che in frangenti eccezionali l�istituto 
della revisione prezzi possa fuoriuscire dalla mera esigenza dell�Amministrazione 
aggiudicante di evitare che il corrispettivo del contratto di durata subisca 
aumenti incontrollati nel corso del tempo e tuteli - quindi - il contrapposto interesse 
dell�impresa di non subire l�alterazione dell�equilibrio contrattuale conseguente 
alle modifiche dei costi che potrebbero verificarsi durante l�arco del 
rapporto (cfr. al riguardo Cons. Stato, Sez. V, 9 giugno 2008 n. 2786). 
Tale eccezionalit� - che conseguentemente legittima una quantificazione 
del compenso revisionale mediante il ricorso a differenti parametri statistici - va 
comunque intesa come ricorrenza di circostanze impreviste e imprevedibili, 
ossia non sussistenti al momento della sottoscrizione del contratto e delle quali 
non era prevedibile l�avveramento (TAR Veneto, sez. I, 1� febbraio 2010 n. 236). 
Occorre infine sottolineare che l'art. 6, L. n. 537/93 (oggi 115 del D.Lgs. 
n. 163/06) ha ad oggetto la �revisione periodica del prezzo�, �di talch� l'aggiornamento 
del corrispettivo contrattuale, ivi previsto, non riguarda, per sua 
stessa natura, il primo periodo temporale di riferimento della prestazione contrattuale 
posta a carico dell'Amministrazione. In altri termini, la revisione del 
prezzo opera con periodicit� annuale e, quindi, in relazione al corrispettivo 
riferibile alle annualit� contrattuali successive alla prima� (T.A.R. Lazio 
Roma, sez. I, 2 aprile 2009, n. 3571; T.A.R Puglia, Lecce, sez. III, 7 aprile 
2010, n. 898). 
Chiarita la ratio dell�art. 115, D.Lgs. n. 163/2006, occorre evidenziare 
come la giurisprudenza sia ormai costante nel ritenere la natura imperativa della 
suddetta norma, destinata, come tale, ad operare anche in assenza di specifica 
previsione tra le parti ovvero in presenza di previsioni contrastanti, con la conseguenza 
che le disposizioni negoziali contrastanti con tale disposizione legislativa 
non solo sono colpite dalla nullit� ex art. 1419 c.c., ma sono destinate 
ad essere sostituite de iure, ex art. 1339 c.c., dalla disciplina imperativa di legge,
174 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2016 
non essendo la stessa suscettibile di essere derogata pattiziamente (Cfr. T.A.R. 
Puglia Lecce, sez. III, 9 febbraio 2012, n. 244; Consiglio di Stato, sez. V, 20 
maggio 2002, n. 2712; Consiglio di Stato, sez. V, 21 luglio 2015, n. 3594). 
Applicando tali considerazioni nella presente fattispecie, emerge come 
l�art. 5 del contratto stipulato tra il Ministero e il Consorzio (di durata quadriennale, 
con decorrenza dal 1� luglio 2006), nella parte in cui dispone che il 
compenso �(�) rimane fisso ed invariabile per tutta la durata del contratto 
(�)�, si ponga in contrasto con il disposto dell�art. 115, D.Lgs. n. 163/2006 
e, pertanto, sia destinato ad essere sostituito di diritto da quest�ultima norma, 
per le ragioni sopra esposte. 
Quanto al periodo successivo alla scadenza contrattuale, (1� gennaio 2011 
- 31 dicembre 2014), appare opportuno segnalare che, ove la prosecuzione del 
servizio sia avvenuta in totale assenza di contratto, ci si troverebbe dinnanzi 
ad un rapporto di �mero fatto� tra il Consorzio e l�Amministrazione. 
Al riguardo, � stata osservata l�impossibilit� di ammettere che sia sorto 
un rapporto contrattuale per effetto del mero incontro della volont� delle parti, 
atteso che i contratti della pubblica Amministrazione richiedono, come noto, 
la forma scritta �ad substantiam�, quale strumento di garanzia del regolare 
svolgimento dell'attivit� amministrativa, nell'interesse sia del cittadino sia della 
stessa Pubblica Amministrazione (Cass. civ., sez. III, 28 settembre 2010, n. 
20340; T.A.R. Sicilia Catania, sez. I, 23 gennaio 2009, n. 167; T.A.R. Puglia 
Lecce, sez. II, 9 luglio 2008, n. 2083; T.A.R. Veneto Venezia, sez. III, 23 maggio 
2008, n. 1545; Consiglio Stato, sez. V, 15 dicembre 2005, n. 7147). 
In tale situazione codesta Amministrazione potrebbe rimanere esposta ad 
un�azione di ingiustificato arricchimento, di cui all�art. 2041 c.c. 
Ci� in quanto, ove si dimostrasse che l'Amministrazione abbia conseguito, 
senza giusta causa, un profitto a danno della ricorrente, si configurerebbe 
il diritto all'indennizzo, a favore di quest'ultima, per la diminuzione 
patrimoniale subita (Cfr. in tal senso Tribunale Amministrativo Regionale per 
il Lazio, Roma, sez. III, 20 gennaio 2006, n. 432; Tribunale Amministrativo 
Regionale per la Puglia Lecce - Sez. III, 7 aprile 2010 n.898; T.A.R. Potenza, 
Basilicata, sez. I, 10 gennaio 2012, n. 5). 
Il tema appare tuttavia di particolare delicatezza, pi� in generale, ove si 
consideri il recente revirement delle sezioni unite della Corte di Cassazione in 
tema di arricchimento senza causa della p.a. che elimina il requisito del riconoscimento 
dell�utilitas dai requisiti dell�azione consentendo al privato di limitarsi 
a provare il fatto oggettivo dell�arricchimento al quale la p.a. potr� 
solo opporre che l�arricchimento non fu voluto o non fu consapevole (Cass. 
sez. unite, 26 maggio 2015, n. 10798). 
Codesta Amministrazione potrebbe essere esposta in altri termini al pagamento 
di competenze maggiori di quelle che avrebbe corrisposto nella vigenza 
del contratto e per effetto della revisione prezzi.
PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 175 
Per queste ragioni si segnala l�urgente necessit� che codesta Amministrazione 
proceda sollecitamente all�indizione di una procedura di gara per l�affidamento 
dell�appalto di servizi in commento al fine di ripristinare la piena 
regolarit� della situazione. 
A diverse conclusioni si dovrebbe pervenire invece nell�ipotesi in cui 
l�appaltatrice abbia continuato a svolgere il servizio, nel periodo 1 gennaio 
2011 - 31 dicembre 2014, in virt� di una proroga del contratto originariamente 
stipulato con l�Amministrazione. 
Al riguardo, appare opportuno segnalare una recente pronuncia del Consiglio 
di Stato, che distingue chiaramente, ai fini dell�applicabilit� dell�art. 115, 
D.Lgs. n. 163/2006, le ipotesi di rinnovo del contratto da quelle di proroga. 
Afferma infatti il Giudice amministrativo che �La revisione dei prezzi di 
cui all'art. 6, l. 24 dicembre 1993 n. 537 e all'art. 115 del codice dei contratti 
si applica solo alle proroghe contrattuali, come tali previste ab origine negli 
atti di gara ed oggetto di consenso "a monte" (proroghe, nella specie, non 
previste: cfr. art. 2 del capitolato), ma non anche agli atti successivi al contratto 
originario con cui, mediante specifiche manifestazioni di volont�, � stato 
dato corso tra le parti a distinti, nuovi ed autonomi rapporti giuridici, ancorch� 
di contenuto identico a quello originario per quanto concerne la remunerazione 
del servizio, senza che sia stata avanzata alcuna proposta di modifica 
del corrispettivo, che pure la parte privata era libera di formulare (Consiglio 
di Stato, sez. III, 11 luglio 2014, n. 3585)� (Consiglio di Stato, sez. III, 22 gennaio 
2016 n. 209). 
La proroga del termine finale di un appalto, infatti, comporta il solo differimento 
del termine di scadenza del rapporto (il quale resta regolato dalla 
sua fonte originaria), mentre il rinnovo del contratto costituisce una nuova negoziazione 
con la controparte, ossia un rinnovato esercizio dell'autonomia negoziale 
attraverso cui vengono liberamente pattuite le condizioni del rapporto. 
Nel caso sopra menzionato, prosegue il Consiglio di Stato, �dal testo 
degli atti di temporaneo affidamento della Direzione Regionale dell'INPS si 
evince l'acquisizione, di volta in volta, della volont� negoziale del Consorzio 
a proseguire l'esecuzione delle prestazioni alle stesse condizioni e prezzi gi� 
praticati in precedenza. Tale scambio di volont� negoziali e l'espresso riferimento 
alle condizioni pattuite lasciano intendere la consapevolezza da parte 
del Consorzio dell'alea contrattuale di volta in volta assunta e la libera scelta 
di aderirvi, incompatibile col meccanismo della revisione prezzi� (Consiglio 
di Stato, sez. III, 22 gennaio 2016 n. 209). 
� stato infatti pi� volte osservato in giurisprudenza (TAR Campania - Salerno 
n. 2956/2007; TAR Sardegna n. 45/2007), che la riconosciuta natura imperativa 
dell'art. 6 L. n. 537/1993 (oggi art. 115, D.Lgs. n. 163/2006) e la sua 
capacit� d'imporsi ai patti contrari non pu� comportare l'assoluta irrilevanza 
degli eventuali successivi accordi delle parti che, rinegoziando volontaria-
176 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2016 
mente e nuovamente l'originario assetto del rapporto contrattuale, rinnovino 
le condizioni del contratto originario, sicch� quest'ultimo venga a costituire 
solo il mero presupposto della rinegoziazione, mentre la revisione dei prezzi 
attiene all'assetto originario degli interessi delle parti ed opera, pertanto, rebus 
sic stantibus. 
Diversamente opinando verrebbe vanificata la ratio dell'art. 6 L. n. 537/93 
che � quella di adeguare il prezzo determinato nell'originario rapporto per finalit� 
di conservazione del livello qualitativo delle prestazioni dell'appaltatore, 
finalit� di conservazione che non sussistono allorquando il rapporto, nel rinnovato 
esercizio dell'autonomia negoziale, � consensualmente rinegoziato 
(T.A.R. Basilicata, Potenza, sez. I, 14 febbraio 2014 n. 137). 
In conclusione, � possibile affermare che, ove la prosecuzione del servizio 
sia avvenuta sulla base di un rinnovo o in assenza di contratto, non sarebbe 
possibile riconoscere il diritto del Consorzio e della Societ� alla revisione del 
prezzo, ex art. 115, D.Lgs. 163/2006, per il periodo 1 gennaio 2011-31 dicembre 
2014. 
Sul presente parere � stato sentito il Comitato consultivo che, nella seduta 
del 5 maggio 2016, si � espresso in conformit�.
PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 177 
Edilizia residenziale pubblica e condizioni 
applicabili alle alienazione degli immobili gi� assegnati 
ai sensi dell�art. 18 del D.L. n. 152/1991 
PARERE DEL 30/05/2016-263282, AL 5159/16, AVV. PAOLA PALMIERI 
Con nota del 4 febbraio 2016 n. 1427, codesto Ministero ha richiesto motivato 
parere in merito alle condizioni applicabili alle alienazioni degli alloggi 
previsti dal programma straordinario di edilizia residenziale per i dipendenti 
delle Amministrazioni dello Stato impegnati nella lotta alla criminalit� organizzata 
di cui all�art. 18 D.L. n. 152/1991, convertito in legge, con modificazioni, 
dalla L. n. 203/1991. 
In particolare, si chiede se gli immobili rientranti in tale disposizione, attualmente 
di propriet� degli ex IACP - ove eventualmente inseriti nei Piani di 
alienazione di cui al D.M. 24 febbraio 2015, adottato in attuazione dell�art. 3, 
comma 1, del D.L. n. 47 del 2014 - debbano essere assoggettati ad un prezzo 
di vendita di mercato, previa perizia tecnica dell�ente proprietario, ovvero al 
prezzo di alienazione previsto per gli alloggi di edilizia residenziale pubblica. 
Si premette che il Decreto Legge n. 152 del 1991, nell�ambito dei �Provvedimenti 
urgenti in tema di lotta alla criminalit� organizzata e di trasparenza 
e buon andamento dell�attivit� amministrativa�, ha previsto, all�art. 18, l�avviamento 
di un programma straordinario di edilizia residenziale da destinare 
ai dipendenti delle Amministrazioni dello Stato in connessione con le esigenze 
della lotta alla criminalit� organizzata. 
La realizzazione degli interventi di edilizia residenziale agevolata e di 
edilizia sovvenzionata � demandata da tali disposizioni ai Comuni, agli IACP, 
ad imprese di costruzione e loro consorzi ed a cooperative e loro consorzi, 
sulla base di stanziamenti differenziati per l�edilizia agevolata o sovvenzionata 
(art. 18, comma 1 lett. a) e b)). 
Il citato art. 18 dichiara espressamente, in apertura, come il programma 
straordinario sia destinato a favorire la mobilit� del personale dipendente delle 
Amministrazioni dello Stato per le specifiche esigenze di contrasto di particolari 
fenomeni criminosi. Per favorire tale obiettivo, la disposizione impone 
di dare priorit�, nella concessione in locazione o godimento degli alloggi, a 
coloro che siano stati trasferiti per ragioni di servizio. 
La ratio della norma, dunque, � quella di agevolare una specifica categoria 
di beneficiari per ragioni diverse dalle motivazioni di tipo economico o sociale 
che generalmente sono alla base delle assegnazioni in uso derivanti dai 
programmi di edilizia residenziale pubblica e che, piuttosto ineriscono alla necessit� 
di trovare alloggio ai dipendenti in mobilit� al fine di soddisfare le finalit� 
generali della normativa in cui detta norma � inserita (ovvero il contrasto 
alla criminalit� organizzata ). 
178 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2016 
Come previsto dall�art. 5 comma 2 L. n. 21/2001 recante �Misure per ridurre 
il disagio abitativo ed interventi per aumentare l�offerta di alloggi in 
locazione� gli alloggi di cui all�art. 18 D.L. n. 152/1991 possono essere assegnati 
in base alla normativa relativa all�edilizia residenziale pubblica solo qualora 
siano venute meno le finalit� originarie e manchino le richieste di 
assegnazione da parte dei dipendenti dello Stato. La disposizione richiamata, 
quindi, conferma la specificit� di presupposti e finalit� posti alla base dell�intervento 
edificatorio. 
Come ricordato dal Consiglio di Stato, inoltre, il sostegno pubblico all�intervento 
edilizio si giustifica in quanto strumentale al raggiungimento dell�obiettivo 
finale di facilitare agli assegnatari l�accesso ad unit� abitative nei luoghi in 
cui � svolto l�incarico lavorativo (In tal senso Consiglio di Stato Sez. IV n. 
1125/2014, ove si legge che la primaria esigenza da rispettare nella definizione 
del canone di locazione degli immobili rientranti nel programma straordinario 
deve rinvenirsi nella oggettiva sostenibilit� del canone locativo stesso, in quanto, 
diversamente verrebbe frustrata proprio quella finalit� di agevolazione della 
mobilit� del personale che � alla base della previsione legislativa di favore). 
Il fatto che i canoni cos� determinati siano comunque superiori a quelli 
determinabili in base alla normativa vigente per l�edilizia residenziale pubblica, 
tuttavia, non vale, come si sostiene nella richiesta di parere, a dimostrare 
che anche il prezzo di alienazione debba essere necessariamente differenziato 
in ragione della peculiarit� di tali immobili. 
a) L�art. 3 comma 1, lett. a) e b) del D.L. n. 47/2014 recante �Misure urgenti 
per l�emergenza abitativa, per il mercato delle costruzioni e per Expo 
2015�, � intervenuto in modifica all�art. 13 del D.L. n. 112 del 2008, convertito 
in Legge n. 133 del 2008 (�Misure per la razionalizzare la gestione e la dismissione 
del patrimonio residenziale pubblico�), dettando, in linea generale, 
le misure per l�alienazione di immobili di propriet� dei comuni, degli enti pubblici 
anche territoriali, degli Istituti autonomi per le case popolari e rinviando 
ad un apposito decreto l�approvazione delle procedure di alienazione. 
Si tratta, dunque, di una generale previsione che, nell�intento di favorire 
l�accesso alla propriet� dell�abitazione, dispone la dismissione del patrimonio 
pubblico nell�ottica di una razionalizzazione di detto patrimonio e della riduzione 
degli oneri a carico della finanza locale. 
In sede di conversione � stato poi inserito, sempre all�interno dell�art. 3 
del D.L. n. 47/2014, il comma 1-ter, ove � stabilito che �Gli alloggi finanziati 
in tutto o in parte ai sensi dell�art. 18 del decreto-legge 13 maggio 1991, n. 
152, convertito, con modificazioni, dalla legge 12 luglio 1991, n. 203, possono 
essere alienati dagli enti proprietari e trasferiti in propriet� agli assegnatari, 
prima del periodo indicato al punto 5 della deliberazione del Comitato Interministeriale 
per la programmazione economica del 20 dicembre 1991, pubblicata 
nella Gazzetta Ufficiale n. 15 del 20 gennaio 1992, e prima del periodo
PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 179 
eventualmente indicato da convenzioni speciali concernenti i singoli interventi. 
Nel caso in cui l�assegnatario acquisti l�immobile esso viene automaticamente 
liberato dal vincolo di destinazione�. 
Il comma 1-ter dell�art. 3 L. n. 80/2014, dunque, conferma che detti immobili 
possono essere alienati ma, al contempo, introduce un ulteriore spinta 
in favore della dismissione, anticipando, per detta categoria di alloggi, il termine 
decorso il quale la vendita � consentita. 
Nel caso di specie, gli immobili dati in assegnazione ai sensi dell�art. 18 
del D.L. 152 del 1991 sono immobili di propriet� degli ex IACP, come si legge 
nella richiesta di parere e, pertanto, non vi � dubbio che gli stessi rientrino 
nell�alveo applicativo dell�art. 13 D.L. n. 112/2008, come modificato dall�art. 
3 L. n. 80/2014. 
Sotto il profilo dell�oggetto del programma di alienazione ivi disciplinato 
la disposizione, infatti, fa indubbiamente riferimento agli immobili di propriet� 
dei Comuni, degli enti pubblici anche territoriali, nonch� degli (ex) Istituti Autonomi 
per le case popolari, comunque denominati. 
Il carattere omnicomprensivo della formulazione utilizzata dalla menzionata 
disposizione - riferita alla titolarit� dell�immobile - non consente, dunque, 
di escludere dall�area applicativa della stessa gli immobili realizzati in attuazione 
del programma straordinario di cui all�art. 18 D.L. n. 152/1991, ove di 
propriet� dei soggetti pubblici suindicati. 
In attuazione di quanto previsto dal citato art. 3, comma 1 lett. a) e b) � 
stato adottato il D.M. del 24 febbraio 2015 (�Procedure di alienazione del patrimonio 
di edilizia residenziale pubblica�), che ha individuato procedure e 
criteri di alienazione al fine di conseguire una razionalizzazione del patrimonio 
di edilizia residenziale pubblica ed una riduzione degli oneri a carico della finanza 
locale, garantendo comunque i diritti degli assegnatari. 
A parere di questo G.U., dunque, esso ricomprende anche le procedure 
di dismissione di alloggi di propriet� degli ex IACP che risultino assegnati per 
le esigenze di lavoratori in mobilit� ed eventualmente inseriti - secondo quanto 
prospettato da codesto Ministero - nei piani di dismissione di detti enti. 
Poich�, come evidenziato, le ragioni che si pongono a fondamento di un 
programma di dismissione del patrimonio di edilizia residenziale pubblica 
sono autonome e non del tutto coincidenti con quelle che presiedono all�assegnazione 
di tali immobili in locazione, ne discende la possibilit� di assoggettare 
detti immobili non solo alla particolare procedura di vendita di cui al 
menzionato Decreto ministeriale, ma anche al prezzo di vendita ivi indicato 
(art. 2 del D.M.: �Criteri per l�alienazione�). 
b) Ulteriore conferma della tesi qui sostenuta discende anche dalla difficolt� 
di considerare gli immobili realizzati nell�ambito del programma straordinario 
volto a favorire la mobilit� dei dipendenti, come immobili del tutto 
distinti da quelli relativi all�edilizia residenziale pubblica in senso stretto. Se
180 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2016 
� vero che gli immobili ex art. 18 D.L. 152/1991 sono stati costruiti al fine di 
soddisfare le esigenze di mobilit� del personale ed in ragione del contrasto 
alla criminalit� organizzata, tuttavia, occorre pur sempre considerare che gli 
stessi sono stati realizzati con il concorso del finanziamento dello Stato. 
Ora, la L. n. 560/1993 recante �Norme in materia di alienazione degli 
alloggi di edilizia residenziale pubblica� ricomprende tra gli immobili di edilizia 
residenziale pubblica quelli realizzati o acquisiti a carico o con contributo 
dello Stato, della Regione o di enti pubblici territoriali, nonch� con i fondi derivanti 
da contributi dei lavoratori ai sensi della legge n. 60/1963 dallo Stato, 
da enti pubblici territoriali, nonch� dagli Istituti Autonomi per le case popolari 
e dai loro consorzi comunque denominati, compresi gli alloggi di cui alla L. 
n. 52/1976; gli alloggi delle Amministrazioni delle PP.TT.; gli alloggi non di 
servizio di propriet� della societ� Ferrovie dello Stato; gli alloggi acquisiti dal 
Ministero del Tesoro gi� di propriet� degli Enti previdenziali disciolti. 
Come precisato dalla Circolare dell�allora Ministero dei Lavori Pubblici 
n. 31 del 30 giugno 1995 adottata per chiarire l�ambito applicativo della normativa 
primaria sopra richiamata, la legge richiamata fa riferimento al solo 
requisito relativo al soggetto finanziatore della realizzazione, acquisto o recupero 
dell�immobile, indipendentemente dai criteri di assegnazione dell�immobile 
o a quelli di determinazione del canone. La legge, infatti, accomuna in 
punto di disciplina dell�alienazione, sia immobili della c.d. edilizia residenziale 
ordinaria che quelli destinati al personale delle Forze dell�ordine e, ancora, 
quelli delle Amministrazioni delle PP.TT. comprendendo espressamente tutti 
gli immobili realizzati con i programmi ordinari e straordinari, indipendentemente 
dai criteri e dai requisiti previsti per l�assegnazione o locazione e dal 
tipo di canone o di corrispettivo applicato. 
Di qui, dunque, la conferma circa la possibilit� di assoggettare ad identica 
disciplina l�alienazione di immobili del patrimonio residenziale pubblico che 
pure in precedenza fossero stati assegnati ai beneficiari in base a presupposti 
particolari, inerenti alle esigenze di mobilit� del personale pi� che alle condizioni 
sociali dei beneficiari. 
L�art. 2 del richiamato decreto del 24 febbraio 2015 stabilisce, inoltre, 
che �gli immobili rientranti nei programmi di alienazione di cui al presente 
decreto � sono previamente offerti in vendita agli assegnatari dei medesimi 
in possesso dei requisiti di permanenza nel sistema dell�edilizia residenziale 
pubblica fissati dalle vigenti normative regionali ed in regola con il pagamento 
delle spese, al valore che risulta applicando un moltiplicatore pari a 100 alle 
rendite catastali determinate secondo le normative vigenti al momento della 
definizione dell�offerta ed applicando le riduzioni ivi previste� . 
Per le considerazioni espresse, dunque, non sussistono ragioni tali da differenziare, 
rispetto alle procedure di dismissione dei beni di propriet� degli 
ex IACP, i soli immobili a suo tempo assegnati in locazione per le finalit� di
PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 181 
cui al pi� volte menzionato art. 18 e per sottrarre i medesimi alla determinazione 
del prezzo cos� regolata (Ad ulteriore conferma del collegamento degli 
immobili di cui si discute con l�edilizia residenziale pubblica, v. anche Cons. 
di Stato, sez. IV, n. 4326 del 6 luglio 2009). 
2) Per quanto concerne la possibilit� di ritenere i medesimi immobili assoggettati 
al particolare regime di riscatto previsto dall�art. 8 del D.L. n. 47 
del 2014, detta disposizione si riferisce a diverso ambito, identificato dalle 
convenzioni che disciplinano le modalit� di locazione degli alloggi sociali. 
Questi ultimi sono definiti dal D.M. 22 aprile 2008 nelle �unit� immobiliari 
adibite ad uso residenziale in locazione permanente che svolge funzione di interesse 
generale, nella salvaguardia della coesione sociale, di ridurre il disagio 
abitativo di individui e nuclei familiari svantaggiati, che non sono in grado 
di accedere alla locazione di alloggi nel libero mercato�. 
In tal caso, il riferimento alla peculiare definizione di alloggio sociale, fa 
s� che da essi siano esclusi gli alloggi a suo tempo assegnati in locazione ai 
dipendenti ai sensi dell�art. 18 del DL n. 152 del 1991 la cui ratio, oltretutto, 
si ispira a motivazioni del tutto diverse ed in relazione alle quali le ragioni sottese 
alla previsione di riscatto anticipato non sono utilmente richiamabili. 
Peraltro, il comma 5 bis dell�art. 8 in esame prevede che il regime di riscatto 
ivi disciplinato si applichi solo ai contratti di locazione con clausola di 
trasferimento della propriet� vincolante per ambedue le parti e di vendita con 
riserva di propriet� stipulati successivamente alla data di entrata in vigore del 
medesimo art. 8, l� dove, come esposto nella richiesta di parere, gran parte 
delle locazioni di interesse sono stati sottoscritti in data precedente. 
*** 
In conclusione, per rispondere ai quesiti posti: 
a) gli immobili di propriet� degli ex IACP gi� assegnati ai sensi dell�art. 
18 del D.L. n. 152 del 1991 - ove inseriti nelle procedure di dismissioni del 
patrimonio pubblico ai sensi dell�art. 13 del D.L. n. 112 del 2008 - soggiacciono 
alle previsioni attuative di cui al D.M. 24 febbraio 2015, ivi compresa 
la determinazione del prezzo ivi prevista; 
b) ai medesimi immobili non si applicano le particolari previsioni di riscatto 
di cui all�art. 8 del D.L. n. 47 del 2014, siccome riferite alle sole locazioni 
degli �alloggi sociali � di cui al D.M. 22 aprile 2008, ferma restando la 
possibilit� per l�ente proprietario di procedere all�alienazione dell�immobile 
in favore degli assegnatari prima dei termini previsti, ai sensi dell�art. 3, 
comma 1 ter, del D.L. n. 47 del 2014. 
Coinvolgendo questioni di massima, il presente parere � stato sottoposto 
all�esame del Comitato consultivo, ai sensi dell�art. 26 della legge 3 aprile 
1979, n. 103, che si � espresso in conformit� nella seduta del 25 maggio 2016. 
182 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2016 
Programma sperimentale di edilizia residenziale 
denominato �20.000 abitazioni in affitto� (D.M. 2523/2001) 
PARERE DEL 06/06/2016-274167, AL 18551/2016, AVV. ETTORE FIGLIOLIA 
Relativamente al quesito inerente all�oggetto, e di cui alla nota che si riscontra 
si osserva quanto segue. 
Il Decreto ministeriale n. 2523 del 27 dicembre 2001 (20.000 abitazioni 
in affitto) � stato adottato in dichiarata attuazione dell�art. 3 comma 1 della 
legge 8 febbraio 2001 n. 21 che, comՏ noto, prevede espressamente che il canone 
debba essere determinato in termini di convenzionamento ex art. 2 
comma 3 della legge 9 dicembre 1998 n. 431. 
Conseguentemente il predetto decreto ministeriale all�art. 5 dispone che 
�il canone di locazione � fissato in misura non superiore a quello concertato 
di cui all�art. 2, comma 3, della legge 9 dicembre 1988 n. 431�. 
Per quanto precede, a prescindere dalle applicazioni in concreto operate 
del citato decreto ministeriale, non sembrano sussistere dubbi sulla conformit� 
del decreto stesso al parametro legislativo prima menzionato, e ci� a prescindere 
dalla dizione utilizzata dal legislatore nella qualificazione della tipologia 
della edilizia cos� realizzata, in quanto alla stregua del quadro normativo di 
riferimento, non sembra avere decisivo rilievo il riconoscimento in termini di 
edilizia agevolata o residenziale dei cespiti in parola. 
Ed � appena il caso di rilevare come con la legge n. 21/2001 nel definire 
il �programma sperimentale per la riduzione del disagio abitativo�, il legislatore 
parrebbe aver posto in essere un intervento di carattere straordinario 
�per rispondere alle esigenze abitative di categorie sociali deboli e di nuclei 
familiari soggetti a provvedimenti esecutivi di sfratto�, cos� puntualmente determinate, 
in termini sostanzialmente divaricati rispetto alle categorie individuate 
a legislazione vigente, dettando cos� una apposita disciplina speciale ed 
in parte derogatoria rispetto alla normativa esistente. 
D�altronde non pu� esimersi la Scrivente dal rilevare che il quadro normativo 
vigente, alla stregua del quale � stato adottato il decreto ministeriale 
oggetto delle contestazioni formulate dal Deputato Roberta Lombardi, � temporalmente 
posteriore alla normativa invocata dalla parlamentare ai fini della 
diversa quantificazione del canone (L. n. 179/1992), per cui debbono senz�altro 
condividersi le considerazioni formulate da codesto Ministero nel carteggio 
intercorso con la stessa parlamentare. 
Per quanto precede trattandosi proprio di materia disciplinata legislativamente, 
�de iure condito� il decreto ministeriale di che trattasi risulta esente 
dalle critiche oggetto della delibazione della presente consultazione, ferma 
ovviamente la possibilit� che il legislatore, come anche auspicato dall�on. 
Lombardi con la nota del 1 aprile 2016 (in all.3), intervenga sulla materia
PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 183 
stessa allo scopo di far rientrare i contratti di locazione in argomento nella disciplina 
pi� favorevole per i conduttori di cui alla legge 179/1992. 
Nei sensi suesposti � il richiesto parere. 
Sulle questioni trattate � stato sentito il Comitato Consultivo della Avvocatura 
dello Stato che si � espresso in conformit�.
184 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2016 
Trasformazione di enti collettivi: sul 
passaggio diretto da associazione a fondazione 
PARERE DEL 27/06/2016-309193, AL 17576/16, AVV. GIUSEPPE ALBENZIO 
Codesta Prefettura ha formulato quesito sulla possibilit� di trasformazione 
diretta da associazione in fondazione dell'Accademia del Cinema Italiano, attualmente 
avente la natura di "associazione non riconosciuta". 
1. In materia � stata emanata dal Ministero dell'Interno-Dipartimento per 
gli affari interni e territoriali la nota M/2014001395 del 16 giugno 2015 che, 
sulla scorta della prevalente giurisprudenza amministrativa e di un parere dell'Avvocatura 
Generale dello Stato del 9 luglio 2014, informava le Prefetture e 
gli altri destinatari che l'orientamento negativo era stato confermato dal parere 
del Consiglio di Stato, sez. I, n. 2588/2014, secondo il quale: "gli artt. 2500 
septies e octies c.c. rappresentano una deroga, dettando una normativa di favore 
per la trasformazione diretta, che non pu� applicarsi alle ipotesi non 
espressamente contemplate, per le quali riprende vigore la disciplina generale... 
Ci� implica l'inammissibilit� della trasformazione diretta da associazione 
a fondazione, poich� il procedimento normativamente previsto per la 
costituzione della fondazione � incompatibile con la preesistenza di una struttura 
associativa, in particolare con l'art. 3, comma 1, d.p.r. 361/2000"; tale 
orientamento negativo � stato successivamente confermato da altro parere del 
Consiglio di Stato n. 296/2015. 
Nella richiesta formulata dall'Accademia si richiama e valorizza il diverso 
orientamento dello stesso Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (sez. V, 
sentenza 23 ottobre 2014, n. 5226: "Dopo le modifiche introdotte al codice civile 
dalla riforma del diritto societario di cui al d.leg. n. 6 del 2003, la trasformazione 
di enti collettivi � un istituto di carattere generale e il passaggio 
da associazione a fondazione deve considerarsi non solo ammissibile, a fortiori 
rispetto alle ipotesi di trasformazione eterogenea espressamente previste 
(art. 2500 septies e 2500 octies c.c.), ma altres� costituisce un�ipotesi di trasformazione 
�omogenea�, poich� lascia inalterato il fine non lucrativo") e del 
TAR Lombardia (sez. I, sentenza 14 febbraio 2013, n. 445), secondo cui la 
trasformazione diretta da associazione non riconosciuta a fondazione sarebbe 
consentita perch� trattasi di "una trasformazione 'omogenea', che lascia inalterato 
il fine non lucrativo, ammissibile a fortiori rispetto alle ipotesi di trasformazione 
eterogenea espressamente previste (art. 2500 septies e octies), 
ma che determina una modifica del regime di responsabilit� per le obbligazioni 
sociali"; il TAR Lombardia - dal canto suo - aveva deciso nello stesso 
senso "dovendosi ritenere che l'espresso riconoscimento del passaggio da o 
in societ� di capitali consenta, senza dover necessariamente addivenire allo 
schema societario intermedio, la trasformazione da e in tutte le figure giuri-
PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 185 
diche (compresa quindi l'associazione riconosciuta) contemplate dagli artt. 
2500 septies e 2500 octies c.c.". 
2. Ad avviso di questa Avvocatura, l'orientamento espresso dalle sentenze 
da ultimo richiamate (e concretamente seguito, in qualche caso, ad esempio con 
il riconoscimento prefettizio della personalit� giuridica alla fondazione costituita 
a seguito dello scioglimento dell'associazione "Alleanza nazionale" - cfr. Cass., 
sez. un., ord. 8 maggio 2014, n. 9942; Cons. Stato, sez. III, ord. 5 ottobre 2012 
n. 4016) appare condivisibile, alla luce delle seguenti considerazioni. 
2.1 In primo luogo, occorre considerare che, nella specie, l'associazione 
"Accademia del cinema italiano" andrebbe a trasformarsi in una forma particolare 
di fondazione, cio� la "fondazione di partecipazione" (BELLEZZA - FLORIAN, 
Fondazioni di partecipazione, Milano 2006), la cui natura viene ad essere 
caratterizzata da elementi in comune con la figura classica dell'associazione 
[cfr. T.a.r. Piemonte, sez. I, 7 novembre 2012, n. 1159: "La fondazione di partecipazione, 
bench� strutturalmente atipica, presenta di norma alcune caratteristiche 
proprie della fondazione in senso tradizionale (in particolare la 
dotazione di un elemento patrimoniale iniziale), combinate con alcune caratteristiche 
delle associazioni (in particolare la dinamicit� dell�elemento personale, 
in quanto aperta all�adesione di nuovi soggetti pubblici o del c.d. �terzo 
settore�, di tempo in tempo interessati a parteciparvi per contribuire allo sviluppo 
del fine attribuito statutariamente); ne discende che il perseguimento di 
finalit� non industriali n� commerciali, caratteristico dell�organismo di diritto 
pubblico, emerge dallo stesso d.n.a. della fondazione di partecipazione"]. 
2.2 In secondo luogo, il corpus normativo di riferimento deve essere individuato 
negli art. 14 e seg. cod. civ., segnatamente, per le fondazioni di partecipazione, 
nell'art. 12 cod. civ., ora art. 1 dpr. 10 febbraio 2000, n. 361, 
Riconoscimento di persone giuridiche private (in tal senso anche Cons. Stato, 
commiss. spec., 20 dicembre 2000, n. 288/00), non nelle disposizioni del titolo 
V del Codice civile (Delle societ�), come riformato - fra l�altro - con i decreti 
legislativi 17 gennaio 2003, n. 5 e 6. 
Da ci� consegue che la trasformazione da associazione in fondazione 
deve intendersi �omogenea�, integrando la natura di �eterogenea� solo la trasformazione 
da soggetto giuridico regolato dal primo corpus normativo (Titolo 
II del Libro primo) a soggetto regolato dal secondo corpus (Titolo V del 
Libro quinto) e viceversa, come del resto reso evidente dagli art. 2500 septies 
e 2500 octies c.c. (in tal senso, ancora, Cass. 9942/2014, nel testo che di seguito 
riportiamo). 
2.3 In terzo luogo, le ragioni dell'orientamento negativo alla diretta trasformabilit�, 
nei termini individuabili nelle motivazioni dei pronunciamenti 
sopra citati, sembrano superabili mediante i controlli demandati al Prefetto in 
sede di autorizzazione alla trasformazione, come evidenziato nelle pronunzie 
del menzionato orientamento favorevole.
186 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2016 
In particolare, la necessit� di salvaguardare gli ipotetici creditori [T.a.r. 
Toscana, sez. I, 24 novembre 2011, n. 1811: "� legittimo il rifiuto di iscrizione 
nel registro delle persone giuridiche private di una fondazione, nata dalla 
trasformazione di precedente associazione, motivato dal fatto che l�operazione 
non consente all�autorit� amministrativa di verificare la congruit� del 
patrimonio dell�ente trasformato, quando sia mancata la fase di liquidazione 
dell�associazione, potendo i creditori successivamente aggredire il patrimonio 
del nuovo ente"; T.a.r. Piemonte, sez. I, 29 giugno 2012, n. 781: "� legittimo 
il diniego prefettizio di iscrizione nel registro delle persone giuridiche 
di una fondazione derivante in via diretta, mediante trasformazione, da un�associazione 
non riconosciuta, dal momento che la predetta trasformazione 
(c.d. eterogenea), non essendo preceduta da un meccanismo preventivo di 
confronto con i creditori dell�associazione (come invece previsto in ambito 
societario dall�art. 2500 novies c.c., non suscettibile di applicazione analogica) 
espone il patrimonio della neo costituita fondazione, in forza del principio 
di continuit� dei rapporti giuridici, a possibili azioni dei creditori 
dell�associazione, cos� impedendo al prefetto, all�atto di autorizzare l�iscrizione 
della fondazione nel registro delle persone giuridiche, di verificare preventivamente 
l�adeguatezza del patrimonio dell�ente alla realizzazione dello 
scopo statutario, secondo quanto previsto dall�art. 1, 3� comma, d.p.r. 
361/00"] andrebbe verificata in concreto e alla luce delle eventuali garanzie 
offerte dall'associazione che richieda la trasformazione; infatti, l'atto di trasformazione 
dell'associazione in fondazione va considerato come atto fondativo 
di quest'ultima e, quindi, soggetto al controllo prefettizio prescritto 
per il riconoscimento; in tal senso, esplicitamente, TAR Lombardia n. 
445/2013 e Cons. Stato n. 5226/2014. 
Utili spunti possono essere tratti anche dalla citata ordinanza 9942/2014 
delle Sezioni unite della Cassazione, ove si legge: 
�che, nella specie - siccome il nucleo fondamentale delle censure formulate 
nel giudizio amministrativo a quo al provvedimento prefettizio di riconoscimento 
della personalit� giuridica alla fondazione A.N. sta nella 
dedotta carenza del requisito oggettivo dell�adeguata consistenza patrimoniale 
della stessa fondazione -, rilevano specificamente, ai fini della decisione 
della questione di giurisdizione, i commi da 3 a 6 dell�art. 1 citato d.p.r. n. 
361 del 2000,� 
che tuttavia lo stesso regolamento, nel conservare ovviamente i requisiti 
minimi della possibilit� e della liceit� dello scopo dell�ente (art. 1, 3� comma, 
dianzi riprodotto), ha mantenuto un rilevante ambito di apprezzamento dell�amministrazione 
prefettizia, che si manifesta, oltre che nella presentazione 
di una �domanda per il riconoscimento� e per l�iscrizione nel registro delle 
persone giuridiche, con il corredo della documentazione necessaria (atto costitutivo 
e statuto: art. 1, 2� comma), anche nell�attribuzione alla stessa am-
PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 187 
ministrazione di un significativo margine di valutazione concernente il requisito 
dell��adeguatezza� del patrimonio fornito in dotazione all�ente rispetto 
alla realizzazione dello scopo (art. 1, 3� comma), requisito che comporta 
quindi la dimostrazione, da parte dell�ente richiedente, della consistenza del 
patrimonio in tale prospettiva, da offrirsi mediante idonea documentazione, 
della quale pure si prescrive l�allegazione alla domanda (art. 1, 4� comma); 
che, inoltre, anche la scansione dei tempi del procedimento � coerente 
con il predetto connotato, essenzialmente concessorio, del provvedimento: il 
prefetto richiesto, infatti, provvede all�iscrizione entro centoventi giorni dalla 
data di presentazione della domanda, ma, se ravvisa �ragioni ostative� ovvero 
riscontra la necessit� di integrazioni documentali, ne d� comunicazione 
motivata ai soggetti richiedenti, i quali fruiscono di un ulteriore termine di 
trenta giorni per replicare a tali �ragioni ostative�, e se nei successivi trenta 
giorni non interviene l�adozione di un provvedimento esplicito, positivo o negativo, 
il silenzio dell�amministrazione deve intendersi come �diniego� dell�iscrizione 
(art. 1, 5� e 6� comma), la quale, quindi, non costituisce �diritto� 
del richiedente; 
che, infine, detto connotato concessorio - come � stato sottolineato 
anche in dottrina - � pienamente coerente con la specifica ratio del previsto 
controllo pubblico: la prescrizione del requisito dell��adeguatezza� patrimoniale 
risponde, infatti, all�esigenza di accordare il beneficio della responsabilit� 
limitata esclusivamente in presenza di un �patrimonio adeguato alla 
realizzazione dello scopo� (art. 1, 3� comma) e di negarlo, invece, in caso di 
�sottopatrimonializzazione� dell�ente, ci� valendo con riferimento sia al momento 
costitutivo della persona giuridica - attraverso il controllo prefettizio, 
appunto -, sia ai successivi momenti di operativit� dell�ente, in forza dei meccanismi 
giuridici di vigilanza e di scioglimento previsti dagli art. 25-28 c.c., 
rimasti sostanzialmente immutati anche dopo il d.p.r. n. 361 del 2000 che ne 
integra semplicemente i disposti (art. 6), rilievi, questi, che acquistano ulteriore 
consistenza anche alla luce della possibilit� della trasformazione, c.d. 
�eterogenea�, della fondazione in societ� di capitali ad opera dell�autorit� 
governativa, secondo quanto prevede l�art. 2500 octies, 4� comma, c.c. (�La 
trasformazione di fondazioni in societ� di capitali � disposta dall�autorit� 
governativa, su proposta dell�organo competente [...]�; v. anche l�art. 223 
octies disp. att. c.c.)�. 
3. Occorre anche considerare che la giurisprudenza anteriore alla riforma 
del diritto societario aveva ritenuto legittimi alcuni tipi di trasformazione "eterogenea" 
(da associazione non riconosciuta in societ� cooperativa, da consorzio 
in societ� consortile, da societ� consortile in cooperativa: Trib. Udine 8 
aprile 1978; Trib. Tolmezzo 28 agosto 1978; Trib. Trieste 11 febbraio 1980), 
a dimostrazione dell'assenza di un divieto generale per tale tipo di trasformazioni 
(e, a maggior ragione, per le trasformazioni �omogenee�).
188 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2016 
Gli art. 2500 septies e octies si possono, quindi, interpretare con funzione 
di semplice liberalizzazione chiarificatrice delle trasformazioni ivi contemplate, 
senza alcuna implicita introduzione di un divieto per le altre trasformazioni 
non contemplate. 
Del resto, se - in forza di una interpretazione letterale degli articoli menzionati 
- non si potrebbe mai negare (salvo l'eccezione di cui all'art. 2500 octies, 
comma 3) la doppia e sequenziale trasformazione da associazione o 
fondazione in societ� di capitali e da quest'ultima alle prime, non si vede ragione 
per negare la diretta trasformabilit�, evitando l'inutile duplicazione di 
attivit� (come sottolineato dalle sentenze che hanno ritenuto legittima la trasformazione 
da associazione in fondazione) e salvaguardando il principio della 
libert� negoziale, nel rispetto degli altri interessi coinvolti e che, come gi� 
detto, possono trovare tutela con altri mezzi. 
4. In conclusione, la Scrivente Avvocatura, confermando l�orientamento 
espresso nel parere del 19 marzo 2015 (reso alla Prefettura di Verona per la 
fondazione �Progetto Mondo ONLUS�) e ritenendo definitivamente superato 
l�avviso espresso nel precedente parere del 9 luglio 2014 (menzionato nella 
citata nota 16 giugno 2015 del Ministero), alla luce della successiva sentenza 
n. 5226/2014 del Consiglio di Stato e delle considerazioni sopra formulate, ritiene 
che la trasformazione da associazione in fondazione e viceversa sia da 
qualificarsi come omogenea ed autorizzabile in via generale, con le garanzie 
e gli accorgimenti sopra evidenziati. 
Ovviamente, va verificato caso per caso se gli accorgimenti apprestati 
dagli associati ai fini della soddisfazione dei creditori, prima della trasformazione, 
siano sufficienti per garantire la certezza del patrimonio della costituenda 
fondazione; a titolo meramente esemplificativo e fermo restando 
quanto statuito dall�art. 2500 quinquies cod. civ., pu� essere ritenuto utile l�iter 
del quale � cenno nella citata ord. 9942/2014 della Cassazione (apertura di 
procedura di liquidazione della vecchia associazione al fine della soddisfazione 
dei creditori e successiva attuazione della determina di trasformazione in fondazione 
quale socio fondatore, con conferimento del capitale residuo attivo 
della liquidazione - ed eventuale integrazione se necessaria - e con apertura 
della detta fondazione all�apporto di altri soci). 
Il presente parere � stato sottoposto all�esame del Comitato consultivo di 
questa Avvocatura che, nella seduta del 27 giugno 2016, lo ha approvato.
PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 189 
Applicabilit� e misura della penale contrattuale in caso 
di informazione di interdittiva antimafia sopravvenuta 
nel corso dell�esecuzione o a ultimazione dei lavori 
PARERE DEL 27/06/2016 - 309204, AL 48015/2015, AVV. MARIO ANTONIO SCINO 
1. Premessa: il quesito. 
L'Avvocatura distrettuale dello Stato di Bologna ha chiesto di esprimere 
parere "in ordine alle condizioni e misura di applicazione della penale pecuniaria 
prevista dalle Linee Guida antimafia di cui all'articolo 5 bis, 
comma 4 del D.L. 6 giugno 2012, n. 74, convertito, con modificazioni, dalla 
legge l agosto 2012, n. 122, recante �Interventi urgenti in favore delle popolazioni 
colpite dagli eventi sismici che hanno interessato il territorio delle 
province di Bologna, Modena, Ferrara, Mantova, Reggio Emilia e Rovigo, 
il 20 e il 29 maggio 2012� adottate dal Ministero dell'Interno - Comitato di 
coordinamento per l'Alta Sorveglianza delle Grandi Opere con deliberazione 
del 15 ottobre 2012". 
Pi� precisamente, nel caso in cui ad informativa antimafia non ostativa 
segua, in corso di esecuzione del contratto, nuova informativa interdittiva si � 
posto quesito in ordine: 
- alla applicabilit� della penale nel caso in cui i lavori siano ultimati, ma 
non sia ancora redatto lo stato finale; 
- se l'importo su cui deve essere applicata la penale sia: 
a. l'importo del contratto, riferibile alle lavorazioni affidate all'impresa 
oggetto di interdittiva; 
ovvero 
b. l'importo del corrispettivo relativo ai lavori eseguiti e contabilizzati nel 
periodo successivo al periodo di valenza dell'informativa non ostativa acquisita 
(1 anno dalla sua emissione) e comunque, se precedente, non oltre la data di 
emissione del provvedimento interdittivo. 
Precisa altres� l'Avvocatura distrettuale che, in osservanza delle suindicate 
Linee guida e di un protocollo d'intesa sottoscritto nell'anno 2010 tra la Regione 
Emilia-Romagna e le prefetture della regione, nei contratti stipulati per 
l'esecuzione delle opere appaltate a seguito del sisma 2012 sono state inserite 
clausole che dispongono che: 
- qualora il contratto sia stato stipulato nelle more della acquisizione 
delle informazioni del Prefetto, il ricevimento di una interdittiva successiva 
comporta la risoluzione del contratto e la applicazione di una penale nella 
misura del 10% del valore del contratto ovvero, qualora lo stesso non sia determinato 
o determinabile, una penale pari al valore delle prestazioni al momento 
eseguite; 
- tale penale pecuniaria � applicata mediante automatica detrazione, da parte
190 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2016 
della stazione appaltante, del relativo importo dalle somme dovute all'appaltatore 
in occasione della prima erogazione utile ovvero in sede di conto finale. 
2. Il contesto normativo e contrattuale. 
2.1. L'art. 5-bis � disposizione inserita nel d.l. n. 74/2012 per disciplinare 
i "controlli antimafia" nell'ambito degli interventi previsti per la ricostruzione, 
l'assistenza alle popolazioni e la ripresa economica nei territori dei comuni 
delle province di Bologna, Modena, Ferrara, Mantova, Reggio Emilia e Rovigo 
interessate dagli eventi sismici dei giorni 20 e 29 maggio 2012. 
In particolare, il comma 4 dell'art. 5-bis stabilisce che "le prefetture-uffici 
territoriali del Governo delle province indicate al comma 1 effettuano i controlli 
antimafia sui contratti pubblici e sui successivi subappalti e subcontratti 
aventi ad oggetto lavori, servizi e forniture, nonch� sugli interventi di ricostruzione 
affidati da soggetti privati e finanziati con le erogazioni e le concessioni 
di provvidenze pubbliche, secondo le modalit� stabilite dalle linee 
guida indicate dal comitato di coordinamento per l'alta sorveglianza delle 
grandi opere, anche in deroga a quanto previsto dal regolamento di cui al decreto 
del Presidente della Repubblica 3 giugno 1998, n. 252". 
In attuazione della norma richiamata, con le Linee guida di cui alla deliberazione 
del 15 ottobre 2012, diramate con comunicato del 9 novembre 2012, 
il Comitato di coordinamento per l'alta sorveglianza delle grandi opere - d'ora 
in avanti, CASGO - ha tra l'altro - � 3.3 Controlli antimafia - precisato che: 
�� L'accertamento delle cause ostative ad effetto interdittivo tipico (nel 
vigente quadro normativo cfr. art. 10, comma 7, lett. a), b) e c) del d.P.R. n. 
252/1998) determina l'impossibilit� di stipulare il contratto o di autorizzare 
il subcontratto o subappalto, nonch�, in caso di accertamento successivo alla 
stipula o autorizzazione, la perdita del Contratto, del subcontratto o subappalto, 
dando luogo all'esercizio del recesso unilaterale o alla revoca dell'autorizzazione. 
Accede alla sanzione della perdita del contratto l'applicazione di una penale 
pecuniaria, stabilita nella misura fissa del 5% dell'importo o del valore 
del contratto, subcontratto o subappalto (salvo diversa superiore aliquota pattuita 
tra i soggetti contraenti). Tale sanzione pecuniaria risponde ad un duplice 
ordine di ragioni: 
a) da un lato, si ritiene che essa possa assolvere ad un'efficace azione 
dissuasiva, assolvendo, cio�, ad una funzione di deterrenza, generalmente appartenente 
ad ogni misura che aggredisca o minacci di aggredire l'ambito 
economico-patrimoniale del soggetto cui � potenzialmente rivolta una sanzione 
di tipo monetario; 
b) dall'altro, essa viene ad ammortizzare le perniciose conseguenze derivanti 
alla parte in bonis dalla necessit� di dover procedere alla sostituzione 
"in corsa" dell'impresa colpita da interdizione antimafia.
PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 191 
Sotto quest'ultimo profilo, la sanzione pecuniaria corrisponde a una 
forma di forfettaria liquidazione del danno, salvo che la parte lesa non lamenti 
un maggior pregiudizio per il cui riconoscimento restano naturalmente ferme 
le ordinarie tutele risarcitorie. ....�. 
2.2. I contratti stipulati per l'esecuzione delle opere appaltate a seguito 
del sisma 2012 (v., ad es., il contratto d'appalto concluso dal Commissario delegato 
all'emergenza sisma per la progettazione e i lavori di realizzazione di 
edifici scolastici temporanei (EST)) prevedono a loro volta che: 
- "il contratto � immediatamente ed automaticamente risolto ed � revocata 
l'autorizzazione al subappalto e subcontratto nei seguenti casi: ... b) qualora 
dovessero essere comunicate alla Prefettura, successivamente alla stipula del 
contratto o subcontratto, informazioni interdittive contemplare nel D.Lgs. 
06/09/2011, n. 159 recante "Codice delle Leggi antimafia e delle misure di 
prevenzione, nonch� nuove misure in materia di documentazione antimafia, a 
norma degli articoli 1 e 2 della Legge 13/08/2010, n. 136 " ..." (cos� l'art. 16, 
comma 6, lett. b) del contratto citato); 
- "l'Appaltatore dichiara di conoscere e di accettare la clausola risolutiva 
espressa di cui al precedente art. 16, punto 6, che prevede la risoluzione immediata 
ed automatica del contratto, ovvero la revoca dell'autorizzazione al 
subappalto o subcontratto, qualora dovessero essere comunicate alla Prefettura, 
successivamente alla stipula del contratto o subcontratro, informazioni 
interdittive contemplate nel D.Lgs. 06/09/2011. n. 159 recante "Codice delle 
Leggi antimafia e delle misure di prevenzione, nonch� nuove misure in materia 
di documentazione antimafia, a norma degli articoli 1 e 2 della Legge 
13/08/2010, n. 136� ... Qualora il contratto sia stato stipulato nelle more dell'acquisizione 
delle informazioni del Prefetto, sar� applicata a carico dell'Appaltatore, 
oggetto dell'informativa interdittiva successiva, anche una penale 
nella misura del 10% del valore del contratto ovvero, qualora lo stesso non 
sia determinato o determinabile, una penale pari al valore delle prestazioni 
al momento eseguite; le predette penali saranno applicate mediante automatica 
detrazione, da parte della Stazione Appaltante, del relativo importo dalle 
somme dovute all'Appaltatore in relazione alla prima erogazione utile" (cos� 
l'art. 20, comma 6, del richiamato contratto). 
2.3. Com'� evidente, i contratti stipulati divergono parzialmente dalle 
Linee guida CASGO sia quanto allo strumento mediante il quale la stazione 
appaltante pu� sciogliersi dal vincolo contrattuale sia quanto alla misura della 
penale applicabile nel caso di informativa interdittiva sopravvenuta nel corso 
dell'esecuzione del contratto. 
Sotto il primo profilo, le Linee guida, in conformit� a quanto - ora - previsto 
dall'art. 94, comma 2, del Codice antimafia (ma, ancor prima, dall'art. 
11, commi 2 e 3, del d.P.R. 3 giugno 1998, n. 252 e, per i lavori di somma urgenza, 
dall'art. 4, comma 6, del d.lgs. 8 agosto 1994, n. 490), contemplano,
192 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2016 
con previsione pi� corretta dal punto di vista tecnico, un diritto di recesso dai 
contratti conclusi, laddove i contratti nella specie stipulati prevedono una 
"clausola risolutiva espressa" - rectius, condizione risolutiva -; sotto il secondo 
profilo, le Linee guida determinano la penale in tal caso applicabile nella misura 
del 5% del valore contrattuale o nella diversa, superiore misura convenuta 
tra le parti, laddove i contratti conclusi fissano la penale nella misura del 10% 
del valore del contratto ovvero, qualora questo non sia determinato o determinabile, 
in quella del valore delle prestazioni sino a quel momento eseguite. 
Per altro verso, riferendo la penale al valore del contratto, l'art. 20 del 
contratto � in linea con quanto al riguardo previsto dall'art. 145 del Regolamento 
di esecuzione ed attuazione del codice dei contratti pubblici - d.P.R. 5 
ottobre 2010, n. 207 - il quale ragguaglia infatti l'entit� della penale ad una 
percentuale "dell'ammontare netto contrattuale" (comma 3). 
2.4. Le richiamate disposizioni contrattuali vanno peraltro coordinate - 
come meglio si dir� pi� avanti - con quanto previsto dal gi� citato comma 2 
dell'art. 94 del Codice antimafia il quale, nel disciplinare gli effetti delle informazioni 
del prefetto, prevede comunque che (anche) in caso di recesso dal 
contratto - o di revoca delle autorizzazioni e delle concessioni - � "fatto salvo 
il pagamento del valore delle opere gi� eseguite e il rimborso delle spese sostenute 
per l'esecuzione del rimanente, nei limiti delle utilit� conseguite". 
3. Considerazioni. 
Tanto premesso, la soluzione dei prospettati quesiti passa, ad avviso di 
questo Generale ufficio, innanzitutto, attraverso la determinazione della natura 
giuridica - pubblica o privata - della anzidetta penale e, successivamente, qualora 
si opti per la natura privata della misura sanzionatoria, attraverso la qualificazione 
giuridica della stessa in termini di clausola penale ex art. 1382 cod. 
civ. o di pena contrattuale atipica. 
3.a) Natura giuridica della penale. 
Ad avviso della Scrivente pu� senz'altro escludersi che la penale in parola 
- che le Linee guida significativamente qualificano come "sanzione pecuniaria" 
- abbia natura pubblica: essa, infatti, non pu� qualificarsi n� come pena 
pecuniaria pubblica n� come sanzione amministrativa pecuniaria perch� a ci� 
osta, a tacer d'altro, la riserva relativa di legge di cui all'art. 23 Cost. e il principio 
di legalit� di cui all'art. 1 della 1. 24 novembre 1981, n. 689: detta pena, 
o sanzione che dir si voglia, non � infatti prevista dalla normativa - primaria 
o secondaria - antimafia ma soltanto dalle gi� pi� volte citate Linee guida. 
� ben vero che l'art. 5-bis, comma 4, del d.l. n. 74/2012 - inserito dalla 
legge di conversione n. 122/2012 - prevede che "le prefetture-uffici territoriali 
del Governo ... effettuano i controlli antimafia sui contratti pubblici ... secondo 
le modalit� stabilite dalle linee guida indicate dal comitato di coordinamento
PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 193 
per l'alta sorveglianza delle grandi opere ... "; ma � altrettanto vero che le 
Linee guida CASGO - in base alle quali le penali in questione sono state previste 
nei contratti di appalto - non costituiscono fonti di diritto ma contengono 
semplici norme - interne - che, in forza di quanto disposto dalla legge che le 
prevede, hanno valore precettivo vincolante a) sul piano soggettivo, solo per 
gli organi statali periferici - prefetture/uffici territoriali del Governo - cui sono 
indirizzate e b) sul piano oggettivo, solo per quanto attiene ai controlli antimafia 
sui contratti pubblici di appalto e derivati di lavori, servizi e forniture 
nonch� sugli interventi di ricostruzione affidati da privati ma finanziati con 
risorse pubbliche. 
E dunque, anche ammettendo che, al di l� del loro chiaro tenore letterale, 
le Linee guida anzidette possano in qualche modo vincolare anche le stazioni 
appaltanti, � comunque certo che la penale in questione esula dalla materia dei 
controlli antimafia - vale a dire dalle modalit� mediante le quali tali controlli 
vengono effettuati - attenendo invece al contenuto dei contratti di appalto. 
Esclusa dunque per tali ragioni la natura pubblica, deve perci� necessariamente 
concludersi nel senso che la misura pecuniaria prevista dalla clausola 
introdotta nei contratti stipulati per l'esecuzione delle opere appaltate a seguito 
del Sisma 2012 � configurabile come misura penale di natura privata: di talch� 
il diritto della stazione appaltante al pagamento della penale in questione e il 
correlato obbligo dell'appaltatore di corrisponderla al verificarsi del presupposto 
contrattualmente previsto - sul che v. infra - non preesistono al contratto 
d'appalto, ma sorgono soltanto al momento e per effetto della sottoscrizione 
del contratto che la prevede. 
3.b) Qualificazione giuridica della penale. 
Cos� definita la penale in parola � dunque a chiedersi, come s'� detto, se 
essa sia riconducibile allo schema di cui all'art. 1382 cod. civ. o se, al contrario, 
essa, esulando da questo, non integri invece una sorta di pena contrattuale atipica, 
pattuita ed accettata dalle parti nell'esercizio dell'autonomia negoziale di 
cui all'art. 1322 cod. civ. 
Le conseguenze dell'una o dell'altra qualificazione sono di tutta evidenza 
giacch�, come correttamente segnalato nella richiesta di parere, solo nel primo 
caso potr� predicarsi, in linea di principio, l'esercizio del potere riduttivo di 
cui all'art. 1384 cod. civ. nelle ipotesi, col� previste, di parziale adempimento 
dell'obbligazione contrattuale - nella fattispecie, di esecuzione dei lavori appaltati 
- o di manifesta eccessivit� del suo ammontare. 
Ad avviso di questo Generale ufficio - e pur con la cautela necessariamente 
imposta dall'assenza di arresti giurisprudenziali in materia - la sanzione all'esame 
non pare sia qualificabile in termini di clausola penale tipica difettando 
dell'istituto codicistico sia i presupposti sia, a ben vedere, pure la funzione. 
Ed invero, quanto al presupposto:
194 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2016 
1) la clausola penale ex art. 1382 cod. civ. presuppone l'inadempimento 
assoluto, l'adempimento inesatto o l'inadernpimento relativo (ritardo) di un'obbligazione 
contrattuale ed � stabilita. di regola, in una somma fissa di denaro 
in caso di inadempimento assoluto ovvero in una somma ragguagliata al valore 
delle prestazioni non eseguite in caso di adempimento inesatto oppure ai giorni 
di ritardo nell'ipotesi di inadempimento relativo; 
2) la penale che ne occupa presuppone invece un'informazione interdittiva 
sopraggiunta alla conclusione del contratto, quale che sia lo stato di esecuzione 
di questo e, in particolare, quale che sia lo stato di avanzamento dei lavori. 
Del resto, la perdita della capacit� di contrarre con la pubblica Amministrazione 
conseguente al sopravvenire di un'interdittiva antimafia non costituisce, 
di per s�, inadempimento di alcuna obbligazione contrattuale posto che 
l'appaltatore non pu� ritenersi "contrattualmente obbligato" a conservare - integra 
- la propria capacit� di contrattare/contrarre. 
La capacit� di contrarre - quale espressione della pi� generale capacit� 
di agire - costituisce infatti requisito soggettivo di ordine generale (v., per le 
cause che la escludono, l'art. 38 d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163) che deve essere 
posseduto dall'imprenditore dal momento di presentazione dell'offerta sino 
alla data di stipulazione del contratto: il sopraggiungere di un'interdittiva, incidendo 
sulla capacit� d'agire dell'appaltatore, potrebbe perci�, al pi�, costituire 
causa - sopravvenuta - di annullamento del contratto d'appalto ex art. 
1425 cod. civ., se non esistesse la norma - art. 94, comma 2, citato - che tale 
situazione/condizione sopravvenuta configura come (giusta) causa legale di 
recesso dal rapporto contrattuale. 
La penale prevista dalle Linee guida e dai contratti in esame � dunque, a 
differenza della penale ex art. 1382 cod. civ., completamente svincolata dalle 
vicende relative all'adempimento delle obbligazioni contrattuali. 
Quanto alla funzione: 
1) la clausola penale di cui all'art. 1382 cod. civ. ha una funzione preventiva 
e dissuasiva dell'inadempimento certamente comune alla penale della 
quale si discute: e, tuttavia, essa ha, altrettanto certamente, una funzione agevolativa 
del risarcimento del danno derivato dall'inadempimento, tant'� che 
esonera la parte adempiente dall'onere della prova del danno effettivamente 
subito (v. art. 1382, comma 2, cod. civ.): e tuttavia, proprio perch� presuppone 
un inadempimento, assoluto, parziale o relativo, delle obbligazioni contrattuali 
ed � finalizzata al risarcimento del danno, essa pu� essere equamente diminuita 
dal giudice se l'obbligazione cui accede � stata almeno in parte adempiuta ovvero 
se il suo ammontare appare manifestamente eccessivo rispetto al danno 
subito dalla parte adempiente (art. 1384 cod. civ.); 
2) la "penale" che ne occupa ha, in realt�, una finalit� e una funzione principalmente 
- se non esclusivamente - sanzionatoria, tant'� che essa prescinde 
totalmente dalle prestazioni eseguite o dal danno subito dalla stazione appal-
PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 195 
tante, com'� dimostrato dal fatto che essa � ragguagliata in percentuale al valore 
del contratto o, se questo non � determinato o determinabile, a quello delle 
prestazioni eseguite - e, quindi, esattamente adempiute - al momento del sopraggiungere 
dell'interdittiva: laddove, se la penale fosse in qualche modo correlata 
al danno, essa avrebbe invece dovuto essere rapportata al valore delle 
prestazioni non eseguite a quel momento perch� � in relazione a queste che si 
determina e si quantifica il danno patito dalla stazione appaltante per effetto 
del recesso in corso d'opera e dell'esecuzione in danno mediante riappalto. 
Alla stregua delle considerazioni che precedono pare perci� giocoforza concludere 
nel senso che la penale in questione non � riconducibile di per se alla 
clausola penale di cui all'art. 1382 cod. civ. costituendo invece pena pecuniaria 
privata di fonte negoziate la quale � dovuta, nella misura convenuta, per effetto 
del sopravvenire di una informativa antimafia interdittiva e, ci�, a prescindere 
non soltanto dal momento in cui questa interviene, dallo stato di avanzamento 
dei lavori e, quindi, dalla circostanza che questi siano stati in tutto o in parte eseguiti, 
ma, come si dir� tra poco, altres� dal fatto che la stazione appaltante eserciti 
o meno il diritto di recesso dal contratto (si rammenta infatti che, nel caso in cui 
l'opera sia in corso di ultimazione, l'art. 94, comma 3, del d.lgs. n. 159/2011 stabilisce 
che la stazione appaltante non procede al recesso dal contratto). 
E proprio perch� non riconducibile automaticamente all'istituto di cui all'art. 
1382 cod. civ., la penale in parola non � suscettibile di riduzione ai sensi 
dell'art. 1384 cod. civ. in caso di parziale o totale adempimento delle obbligazioni 
dell'appaltatore. 
Opinando diversamente - ritenendo cio� che essa integri penale ex art. 
1382 cod. civ. -, dovrebbe infatti logicamente concludersi nel senso che, nel 
caso di informativa interdittiva successiva, come nella fattispecie, alla ultimazione 
dei lavori, essendo state esattamente adempiute tutte le obbligazioni contrattuali, 
essa non sarebbe in alcun modo dovuta per difetto assoluto del 
presupposto genetico costituito, appunto, dall'inadempimento: ed infatti, nell'ottica 
della clausola penale, nel caso di lavori completamente ultimati non vi 
sarebbe n� inadempimento da sanzionare n� danno da risarcire. 
Al contrario, come s'� detto, la pena de qua prescinde totalmente dallo 
stato di avanzamento dei lavori al momento in cui interviene l'informazione 
antimafia ostativa ed � dunque dovuta sia nel caso in cui, a quel momento, i 
lavori siano ancora in corso di esecuzione sia nell'ipotesi in cui l'opera sia in 
corso di ultimazione o, addirittura, come nella fattispecie, gi� ultimata. 
In entrambi i casi - lavori in corso di esecuzione o lavori gi� eseguiti -, la 
natura sanzionatoria della misura - correlata al solo e semplice sopravvenire 
dell'informazione interdittiva antimafia comporta - salvo il temperamento in 
sede applicativa di cui si dir� al numero seguente - che la penale sia inderogabilmente 
applicata nei modi e nei termini contrattualmente previsti. 
E, ci�, anche nell'ipotesi in cui lo stadio - avanzato o financo ultimato -
196 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2016 
dei lavori precluda, ai sensi dell'art. 94, comma 3, del Codice antimafia, il recesso 
dal contratto d'appalto. 
Tale norma, come s'� anticipato, stabilisce infatti che la stazione appaltante 
non procede alla revoca delle autorizzazioni e delle concessioni o al recesso 
dai contratti d'appalto "nel caso in cui l'opera sia in corso di ultimazione" ritenendo 
evidentemente che in questa ipotesi lo stato dei lavori sia tale da comportare 
la prevalenza dell'interesse (pubblico) alla conservazione del contratto 
- ormai pressoch� interamente eseguito - rispetto all'interesse (pubblico) - di 
segno contrario - allo scioglimento del rapporto contrattuale in corso con l'appaltatore 
colpito dalla misura interdittiva antimafia. 
In questo caso, tuttavia, la preclusione legislativamente imposta all'esercizio 
del potere di revoca o del diritto di recesso non preclude altres� l'applicazione 
della misura sanzionatoria in questione la quale, come s'� detto, opera 
su un piano diverso rispetto all'adempimento o all'inadempimento delle obbligazioni 
contrattuali prescindendo completamente dai riflessi che il "grado" 
e l'entit� dell'adempimento producono, a mente dell'art. 94, comma 3, citato, 
in ordine alla conservazione o meno del contratto e presupponendo unicamente, 
come pure s'� detto, il sopravvenire, a contratto gi� stipulato, di un'informazione 
antimafia ostativa. 
4. Profili applicativi. 
L'estraneit� della penale in parola allo schema di cui all'art. 1382 cod. civ. 
non impedisce che lo scopo di cui all'art. 1384 c.c. non possa ugualmente realizzarsi, 
stante la ratio della previsione legale (art. 94 cit.) o contrattuale (art. 
20 contratti tipo) che attribuisce alla stazione appaltante il potere di modularne 
l'entit� in ragione e in proporzione dello stato di avanzamento dei lavori. 
Nel caso di sopravvenienza dell'informazione interdittiva dopo la stipulazione 
del contratto o, addirittura, dopo l'ultimazione dei lavori i rapporti patrimoniali 
tra le parti dovranno infatti essere definiti sulla base 
dell'applicazione coordinata e congiunta, da un lato, della norma contrattuale 
- art. 20, comma 6, citato - che sanziona la perdita della capacit� di contrarre 
conseguente al sopravvenire dell'interdittiva con l'applicazione di una "penale" 
pari al 10% del valore del contratto ovvero, qualora questo non sia determinato 
o determinabile, pari al valore delle prestazioni a quel momento eseguite; e, 
dall'altro, della norma legale - art. 94, comma 2, cod. antimafia - che, come 
s'� detto, in tal caso fa comunque "salvo il pagamento del valore delle opere 
gi� eseguite e il rimborso delle spese sostenute per l'esecuzione del rimanente, 
nei limiti delle utilit� conseguite". 
Secondo quanto previsto dalla stessa disposizione contrattuale - art. 20, 
seconda parte, contratto EST -, "alla prima erogazione utile" - ovvero, comunque, 
in sede di conto finale -, il credito della stazione appaltante per la sanzione 
dovr� infatti formare oggetto di conguaglio - conguaglio, e non compensazione,
PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 197 
stante l'unicit� della causa debendi, vale a dire del rapporto negoziale da cui i 
due crediti derivano - con il controcredito dell'appaltatore per le prestazioni 
eseguite e le spese sostenute: conguaglio all'esito del quale sar� quindi possibile 
individuare il soggetto creditore e l'entit� del relativo credito (residuo). 
In questa prospettiva, il richiamo e l'applicazione dell'art. 1384 cod. civ. 
- giustificati, sul piano sostanziale, da evidenti e comprensibili preoccupazioni 
di ordine equitativo - risultano, a ben vedere, corroborate perch� l'operare dell'illustrato 
meccanismo "compensativo" risultante dalla "combinazione" della 
disposizione contrattuale e di quella legale conduce, nella sostanza, a quella 
riduzione dell'entit� - se non, addirittura, all'azzeramento - della sanzione conformemente 
alla norma codicistica, ossia alla ratio del potere riduttivo ex art. 
1384 cod. civ. quando "l'obbligazione principale � stata eseguita in parte" o, 
a fortiori, in tutto. 
La penale contrattuale � dunque pienamente e legittimamente applicabile 
anche in caso di integrale esecuzione/ultimazione dei lavori, salva, comunque, 
la contestuale applicazione dell'art. 94, comma 2, d.lgs. n. 159/2011 che costituisce 
espressione dell'art. 1384 c.c. 
5. Conclusioni. 
Alla luce delle considerazioni che precedono e con specifico riferimento 
ai proposti quesiti pu� dunque concludersi nel senso che: 
- la penale prevista dai contratti stipulati dal Commissario delegato all'emergenza 
sisma 2012 � applicabile anche nel caso in cui l'informativa interdittiva 
antimafia sopravvenga dopo l'ultimazione dei lavori e prima della 
redazione dello stato finale; 
- la penale dovr� essere ragguagliata, secondo quanto previsto dai contratti 
e nella percentuale ivi indicata, al valore del contratto ovvero, qualora lo 
stesso non sia determinato o determinabile, a quello delle prestazioni eseguite; 
- tuttavia, in sede di conto finale, la penale dovuta dovr� essere conguagliata, 
ex art. 94, comma 2, cod. antimafia, con il valore delle opere gi� eseguite 
e, in caso di esecuzione parziale, altres� con le spese sostenute per 
l'esecuzione del rimanente, il tutto nei limiti delle utilit� conseguite. 
In tal senso si � espresso il Comitato Consultivo nelle sedute del 10 febbraio 
2016 e 27 giugno 2016.
198 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2016 
Possibilit� e condizioni per il recesso 
da una societ� per azioni in liquidazione 
PARERE DEL 25/07/2016-352374, AL 15808/16, AVV. GIACOMO AIELLO 
Con la nota che si riscontra � stato richiesto il parere della Scrivente sulla 
possibilit� di recedere da una societ� per azioni in liquidazione o se ci� sia 
possibile unicamente al ricorrere di determinate condizioni previste dalla 
legge. 
In secondo luogo, si richiede, nell�ipotesi in cui il recesso sia consentito, 
se sia giuridicamente possibile effettuare la cessione della quota ad un valore 
effettivo che tenga conto della ripartizione dell�indennizzo incamerato di 
3.673.368 euro, oppure se la cessione debba avvenire al valore nominale delle 
azioni possedute, corrispondente a 516,46 euro. 
Al fine di rispondere ai quesiti posti, appare opportuno ricostruire innanzitutto 
la vicenda da cui essi traggono origine. 
Con Legge n. 214/2011 � stata disposta la soppressione dell�Istituto nazionale 
per il Commercio Estero e l�istituzione l�Agenzia denominata �ICE 
- Agenzia per la promozione all�estero e l�internazionalizzazione delle imprese 
italiane�. 
Successivamente, con DPCM del 28 dicembre 2012, sono state trasferite 
alla Agenzia le risorse strumentali, umane, finanziarie, i rapporti giuridici attivi 
e passivi dell�ex ICE, nonch� le partecipazioni in associazioni, enti e societ� 
gi� facenti capo all�ICE. 
Tra le suddette partecipazioni vi � anche quella - detenuta dall�ICE sin 
dal 1957 - pari al 10% del capitale sociale, nell�Istituto per l�Edilizia Economica 
e Popolare di Catania (IEEPC), societ� priva di scopo di lucro, pur 
avendo natura di s.p.a., ed attualmente in liquidazione. 
In particolare, viene riferito che il suddetto Istituto � stato posto in liquidazione 
a far tempo dal 21 maggio 1981 allorquando, occorrendo procedere 
all�adeguamento del capitale sociale alla l. n. 904/77, i soci optarono, con 
l�unanimit� dei consensi, per la messa in liquidazione e che, al termine di una 
causa mossa dal Commissario liquidatore per ottenere un indennizzo, � stata 
acquisita a bilancio dell�ente predetto una somma la quale, opportunamente 
rivalutata, risulta ammontare a 3.673.638,00 euro, come da prospetto di bilancio 
del 2014. 
Successivamente, considerate le finalit� non lucrative dell�IEEPC, su richiesta 
dei soci, sono stati acquisiti da parte del Commissario liquidatore pareri 
legali in merito alla possibilit� della revoca dello stato di liquidazione, alla 
successiva modifica dell�oggetto sociale e delle norme statutarie che disciplinano 
le modalit� di scioglimento della societ� ed infine circa la destinazione 
delle eventuali plusvalenze, nonch� la loro ripartizione pro quota tra i soci.
PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 199 
Viene quindi evidenziato come tali pareri risultino discordanti e che, in 
seguito, sia stata proposta ai soci la revoca dello stato di liquidazione, propedeutica 
alla trasformazione in societ� con finalit� di lucro. 
Codesto Ente riferisce inoltre che nel 2010 un suo non meglio precisato 
ufficio avrebbe comunicato al Commissario liquidatore dell�IEEPC il proprio 
dissenso alla suddetta richiesta di revoca dello stato di liquidazione, mentre 
avrebbe acconsentito alla cessione della quota di azioni. 
Viene tuttavia riferito che tale decisone non sarebbe stata in seguito formalizzata 
dal Consiglio di Amministrazione dell�ICE e che, pertanto, non si � 
potuto dare riscontro alle richieste di acquisizione in prelazione della quota 
ICE al valore nominale, formulate da parte della Camera di Commercio di Catania 
e dell�Universit� di Catania (appartenenti alla compagine societaria dell�IEEPC). 
A ci� si aggiunga che, al momento, non sembrerebbe essere stata 
effettuata alcuna cessione di quote da parte dei soci. 
Infine, codesto Ufficio sottolinea che, non avendo interessi di natura istituzionale 
al mantenimento della quota in vista di un�eventuale trasformazione 
della societ�, non risultando la medesima pi� rispondente alle proprie finalit�, 
sarebbe interessato alla cessione della propria quota azionaria. 
Sulla base dei fatti fin qui riepilogati, da ultimo aggiornati con comunicazione 
mail del 28 giugno 2016, si osserva quanto segue. 
Posto che la messa in liquidazione dell�Istituto � avvenuta in data antecedente 
al 1 gennaio 2004 e la relativa procedura risulta regolata, ai sensi dell�art. 
218 Disp Att. C.C. in base alla disciplina previgente, ne consegue che la 
revoca dello stato di liquidazione sarebbe subordinata all�unanime volont� dei 
soci, a differenza di quanto oggi previsto dall�art. 2487 ter c.c. 
La disciplina previgente, contenuta nella precedente formulazione dell�art. 
2437 c.c., consentiva il recesso dei soci in casi eccezionali e tassativi sostanzialmente 
racchiusi in tre ipotesi e cio� il cambiamento dell�oggetto o del 
tipo della societ� ed il trasferimento della sede sociale all�estero. 
Tali ipotesi sono state ampliate dal nuovo art. 2437 c.c. che tuttavia ha 
mantenuto tra le cause di recesso, quelle sopra richiamate. 
Alla luce di quanto precede, codesto Ente potrebbe quindi recedere laddove 
fosse confermata l�unanime volont� dei soci dell�IEEPC di revocare lo 
stato di liquidazione (cosa di cui � lecito dubitare attesa la contraria posizione 
espressa a suo tempo dall�INAIL nell�assemblea del 24 aprile 2015 e da ultimo 
reiterata in quella del 22 aprile 2016) e successivamente fosse espressa, con 
la maggioranza prevista dalla legge, la volont� di pervenire alla modifica dell�oggetto 
sociale attribuendo all�IEEPC la natura lucrativa. 
� evidente che codesto Ente dovrebbe opportunamente formalizzare la 
propria volont� di recedere che non risulta essere stata espressa da parte del 
Consiglio d�Amministrazione dell�epoca, circostanza che, come rilevato da 
codesta Agenzia, ha impedito di �dare riscontro alle richieste di acquisizione
200 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2016 
in prelazione della quota ICE al valore nominale nel frattempo formulate da 
parte della Camera di Commercio di Catania e dell�Universit� di Catania�. 
Se pertanto codesto Ente intendesse mantenere l�indirizzo gi� seguito dovrebbe 
ottenere la prescritta autorizzazione da parte dell�organo deliberativo. 
Per quanto invece attiene al quesito concernente il valore da attribuire 
alla quota detenuta da codesto Ente in caso di recesso, la norma a cui fare riferimento 
� l�art. 24 dello Statuto dell�IEEPC a mente del quale: �Addivenendosi 
in qualsiasi tempo, per qualsiasi causa, allo scioglimento della societ�, 
l�Assemblea determiner� le modalit� della liquidazione e nominer� uno o pi� 
liquidatori, fissandone i poteri. Ai sensi dell�art. 37 del TU sull�edilizia popolare 
ed economica del 28 aprile 1938, n. 1165, l�attivo netto verr� attribuito 
agli azionisti fino a concorrenza del capitale sottoscritto e versato; l�eventuale 
eccedenza sar� devoluta all�Ente Comunale d�Assistenza�. 
Il richiamato art. 37 dispone infatti che: �Alle persone ed agli enti che 
concorrono alla formazione del capitale degli istituti per case popolari e delle 
societ� ed istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza, oltre all'interesse 
non eccedente la misura del 5 per cento sulle somme effettivamente versate, 
non pu� essere riservato negli statuti altro diritto fuorch� quello del rimborso 
delle somme erogate. L'eventuale avanzo del patrimonio, quando si renda necessaria 
la liquidazione degli istituti o societ�, � devoluto agli enti comunali 
di assistenza�. 
Ove quindi lo stato di liquidazione dovesse concludersi oggi con lo scioglimento 
dell�ente a codesta Agenzia spetterebbe il valore nominale della 
quota rivalutato come sopra indicato. 
Ove invece tale evenienza non si realizzasse e si verificasse la trasformazione 
dell�IEEPC in societ� avente scopo di lucro, e da ci� dovesse conseguire 
il recesso di codesta Agenzia, dovrebbe trovare applicazione l�art. 2437-ter, 
c.c. che, al secondo comma, dispone, per le societ� non quotate, che: �Il valore 
di liquidazione delle azioni � determinato dagli amministratori, sentito il parere 
del collegio sindacale e del soggetto incaricato della revisione legale dei 
conti, tenuto conto della consistenza patrimoniale della societ� e delle sue 
prospettive reddituali, nonch� dell'eventuale valore di mercato delle azioni�. 
Dalla lettura di tale norma emerge la mancanza di riferimento non solo 
al bilancio d�esercizio, ma anche alla situazione patrimoniale contabile, nonch� 
l�ampio potere discrezionale concesso agli amministratori circa le modalit� di 
valutazione. 
All�atto pratico, tuttavia, poich� questi ultimi dovrebbero determinare un 
valore simile a quello che si avrebbe in una transazione a normali condizioni di 
mercato (il cosiddetto valore di scambio) e tenuto altres� conto del richiamo effettuato 
da parte del Legislatore ai suesposti concetti di consistenza patrimoniale 
e prospettive reddituali, si ritiene che l�organo amministrativo dovrebbe seguire 
uno o pi� metodi normalmente utilizzati per la valutazione delle aziende. 
PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 201 
L�impossibilit� di affermare che la quota andrebbe liquidata secondo il 
valore nominale, sembra del resto confermata anche da una recente pronuncia 
della Corte di Cassazione secondo la quale, a differenza di quanto avviene per 
le societ� di persone, in caso di recesso da una societ� per azioni, per la redazione 
della situazione patrimoniale da assumere a base della liquidazione della 
quota del socio uscente, ex art. 2437 c.c., occorre fare riferimento �all�ultimo 
bilancio o comunque ai criteri di redazione del bilancio annuale di esercizio� 
(Cfr. Cassazione civile, sez. I, 18 marzo 2015, ud. 27 gennaio 2015, dep.18 
marzo 2015, n. 5449). 
Da ci� consegue che in caso di recesso, la quota non dovrebbe pi� essere 
ceduta al valore nominale (come sarebbe avvenuto permanendo la vecchia 
natura non lucrativa dell�IEEPC), dovendosi ritenere che il riferimento alla 
�consistenza patrimoniale della societ�� contenuto nell�art. 2437-ter, comporti 
la necessit� di riferirsi ai criteri normalmente impiegati per la redazione 
del bilancio. 
Da ci� consegue che in caso di recesso e solo nel concorrere dei presupposti 
sopra meglio precisati, la quota detenuta da codesto Ente dovrebbe essere 
ceduta al valore effettivo che tenga conto della sopravvenienza attiva emersa 
nel bilancio dell�IEEPC.
202 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2016 
Azioni di responsabilit� nei confronti di amministratori di una 
societ� incorporata in un ente pubblico economico: spettanza 
al ministero all�epoca socio unico o all�ente incorportante 
PARERE DEL 04/08/2016-368924, AL 27161/16, AVV. DANIELA GIACOBBE 
Con la nota che si riscontra si rappresenta che l'Istituto per lo Sviluppo 
Agroalimeritare (ISA spa), societ� finanziaria di cui codesto Ministero era 
azionista unico, � stato incorporato nell'Istituto di Servizi per il Mercato Agricolo 
Alimentare (ISMEA), ente pubblico economico, ai sensi dell'art. 1, 
comma 659, della legge 208/2015 (legge di stabilit� 2016). 
Il successivo comma 660 del citato art. 1 prevede, in particolare, che 
l'ISMEA subentra in tutti i rapporti giuridici attivi e passivi gi� facenti capo, 
tra l'altro, all'ISA. 
Con nota dell'1 giugno 2016 la Corte dei Conti h chiesto a codesto Ministero 
notizie in merito ad un incarico affidato dal CdA di ISA al Vice presidente 
e componente del medesimo CdA, giusta delibera in data 6 settembre 2011. 
La Corte dei Conti, in particolare, ritenendo di poter configurare, in conseguenza 
dell'attribuzione del predetto incarico, un danno diretto al patrimonio 
della societ�, ha chiesto se e quali azioni abbia assunto o abbia intenzione di 
assumere codesto Ministero nei confronti degli amministratori di ISA, a tutela 
dei propri interessi sociali. 
Con la nota che si riscontra codesto Ministero chiede: 
a) se, stante l'intervenuta incorporazione di ISA in ISMEA, la legittimazione 
ad instaurare l'eventuale azione di responsabilit� nei confronti degli amministratori 
di una societ� di capitali, ai sensi dell�art. 2393 c.c., competa al 
Ministero, all�epoca socio unico e, quindi, titolare dei relativi diritti, ovverro 
a ISMEA nella sua qualit� di ente incorporante; 
b) quale sia il termine entro il quale la citata azione debba essere proposta, 
stante la diversa disciplina di cui agli artt. 2393, comma 4, c.c. e 1, comma 2 
legge n. 20/1994, e se, comunque, sia opportuno inoltrare formale diffida ai 
presunti responsabili; 
c) se l'azione debba essere promossa nei confronti di tutti i componenti 
il Collegio sindacale, presenti alla seduta del CdA che aveva, a suo tempo, assunto 
la delibera che si assume illegittima. 
Si premette che la fattispecie prevista dall'art. 1, commi 659 e ss., non 
sembra riconducibile alla disciplina relativa alla fusione per incorporazione 
di due o pi� societ�, che, ai sensi dell'art. 2504-bis c.c., integra, secondo la 
giurisprudenza, una vicenda evolutivo-integrativa, che comporta un mutamento 
formale di un'organizzazione gi� esistente, ma non la creazione di un 
nuovo ente (Cons. Stato, III, 30 giugno 2016, n. 2937). 
La citata norma prevede, in particolare, la prosecuzione di tutti i rapporti
PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 203 
giuridici, sostanziali e processuali, in capo al soggetto unificato, ma, secondo 
la giurisprudenza, la societ� incorporata non si estingue, bens� si realizza una 
integrazione reciproca delle societ� partecipanti all'operazione, che conservano 
la loro identit� ancorch� in un nuovo assetto organizzativo (Cons. Stato, A.P., 
7 giugno 2012, n. 21). 
L'art. 1, commi 659 e ss., della legge 208 del 2015 citato invece, disciplina 
un'ipotesi di successionc ex lege tra soggetti, peraltro, tra loro diversi: invero, 
il comma 660 prevede che l'ente incorporante ''subentra nei rapporti giuridici 
attivi e passivi" delle societa incorporate; disciplina l'inquadramento del personale 
appartenente all'ISA nell'ISMEA; prevede che gli organi in carica alla 
data dell'incorporazione provvedano alla deliberazione del bilancio di chiusura 
della societ�. 
II successivo comma 661 prevede, poi, la nomina di un commissario straordinario, 
che si sostituisce al presidente e al consiglio di amministrazione di 
ISMEA (comma 662), per l'attuazione delle disposizioni di cui ai precedenti 
commi 659 e 660. 
La disciplina sopra delineata quindi, configura una vera e propria ipotesi 
di estinzione ex lege delle societ� incorporate, dovendosi ritenere che le attivit� 
ancora attribuite dal comma 660 agli organi incaricati alla data dell'incorporazione 
siano del tutto residue ed esclusivamente finalizzate e strumentali alla 
definitiva chiusura della societ�. 
Dunque, non appare, allo stato, configurabile un'azione sociale proponibile 
da codesto Ministero ai sensi dell'art. 2393 bis c.c., azione che presuppone 
la sussistenza, in capo al soggetto che la propone, della (attuale) qualit� di 
socio. 
Pu�, invece, ritenersi proponibile l'azione sociale ai sensi dell'art. 2393 
c.c., che, tuttavia, dovrebbe essere instaurata da ISMEA, cui, come si � detto, 
sono state trasferite, ex lege, tutte le attivit� di competenza di ISA e che � subentrato, 
sempre ex lege, in tutti i rapporti gi� facenti capo alla societ� estinta. 
Ci� detto, si osserva che, ai sensi dell'art. 2395 c.c., l'esperimento delle 
sopra citate azioni sociali non pregiudica "il diritto al risarcimento del danno 
spettante al singolo socio o al terzo che sono stati direttamente danneggiati 
da atti colposi o dolosi degli amministratori". Si tratta di una norma che disciplina 
un'ipotesi di responsabilit� aquiliana (Cass,. S.U., 23 febbraio 2010, 
n. 4309), che non presuppone la permanenza della qualit� di socio in capo al 
danneggiato, perch� disciplina la sussistenza di un danno ulteriore e diverso 
rispetto a quello arrecato al patrimonio della societ�. 
Dagli atti non sembrano emergere elementi idonei a comprovare se i comportamenti 
di cui si discute abbiano o meno causato, in concreto, un danno diretto 
a carico del Ministero, nella sua qualit� di unico azionista di ISA. 
Tuttavia, attesa l'imminente scadenza del termine quinquennale di prescrizione 
- che il citato art. 2395 c.c. fa decorrere dal �compimento dell'atto
204 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2016 
che ha pregiudicato il socio� e che, in via cautelativa, si ritiene debba essere 
individuato nella data in cui si � svolta la citata seduta (anche se, secondo 
quanto previsto dall'art. 2935 c.c., tale termine potrebbe essere individuato 
nella data in cui sono stati effettuati i singoli pagamenti relativi all'incarico 
espletato) - si ritiene opportuno, allo stato, che codesto Ministero provveda ad 
inviare formale diffida nei confronti di tutti i soggetti che hanno partecipato 
alla seduta (6 settembre 2011) nella quale � stata adottata la delibera in questione, 
che si assume essere stata determinativa del danno, ivi compresi i componenti 
del collegio sindacale, quantificando la somma che si richiede a titolo 
di risarcimento, al fine di interrompere il citato termine di prescrizione. 
Considerato, peraltro, che codesto Ministero esercita la vigilanza su 
ISMEA, si ritiene, altres�, opportuno che si provveda a sollecitare formalmente 
ISMEA a valutare se e quali azioni intraprendere a tutela dei propri interessi, 
quale successore di ISA, ex art. 2393 c.c. 
Al riguardo si evidenzia che l'azione di responsabilit� nei confronti degli 
amministratori di societ� di capitali, come espressamente previsto dall'art. 
2393, comma 4 cc., pu� essere proposta entro cinque anni, decorrenti dalla 
data di cessazione dell'amministratore dalla carica. 
Si tratta di un termine che pu� ritenersi di prescrizione (Tribunale Milano, 
sezione specializzata in materia di imprese, sent. n. 14191 del 15 dicembre 
2015), ai sensi del combinato disposto degli artt. 2393, comma 4, 2949, 
comma 1 e 2941, n. 7 c.c., suscettibile, quindi, di essere interrotto con una diffida 
e per la decorrenza del quale occorre verificare quando gli amministratori 
sono cessati dalla carica. 
Non �, invece, applicabile alla fattispecie la disciplina relativa al termine 
per l�esercizio del diritto al risarcimento dei danni, previsto dall'art. 1 della 
legge n. 20 del 1994, trattandosi di termine riferito all'azione di responsabilit�, 
di competenza della Corte dei Conti. 
Trattandosi di questione di massima � stato sentito il Comitato Consultivo 
dell'Avvocatura dello Stato, il quale si � espresso in conformit� nella seduta 
del 3 agosto 2016.
PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 205 
Procedimento per il pagamento dei debiti fuori bilancio di 
Roma Capitale di competenza della Gestione Commissariale 
PARERE DEL 04/08/2016-369240, AL 25906/16, AVV. GIANNA GALLUZZO 
� stato richiesto alla Scrivente, dal Commissario Straordinario del Governo 
per il piano di rientro del debito pregresso del Comune di Roma, un parere 
in merito �alla legittimit� del procedimento, seguito fino alla data 
odierna, finalizzato al pagamento da parte del Commissario straordinario dei 
debiti fuori bilancio di competenza della Gestione commissariale�. 
In particolare, viene rappresentato che l'art. 1 comma 26 del Decreto 
Legge 13 agosto 2011, n. 138, convertito, con modificazioni, dalla L. 14 settembre 
2011, n. 148 ha introdotto nel comma 4 dell�articolo 78 del Decreto 
legge 25 giungo 2008 n. 112 la seguente disposizione: �Fermo restando 
quanto previsto dagli articoli 194 e 254 del decreto legislativo 18 agosto 2000, 
n. 267, per procedere alla liquidazione degli importi inseriti nel piano di rientro 
e riferiti ad obbligazioni assunte alla data del 28 aprile 2008, � sufficiente 
una determinazione dirigenziale, assunta con l'attestazione dell'avvenuta assistenza 
giuridico-amministrativa del segretario comunale ai sensi dell'articolo 
97, comma 2, del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267�. 
Al proposito viene segnalato che il Segretario Generale di Roma Capitale, 
all�indomani della conversione in legge della disposizione sopra riprodotta, 
ha dato, alle strutture amministrative dell�Ente, le indicazioni operative in ordine 
alle modalit� con le quali procedere per la �redazione delle determinazioni 
dirigenziali di riconoscimento della legittimit� dei debiti fuori bilancio 
inseriti nel piano di rientro�. 
In estrema sintesi, con le note n. 15049 dell�11 ottobre 2011 e n. 15536 
del 19 ottobre 2011 il Segretario Comunale, ha ritenuto che la norma debba 
essere interpretata nel senso che �viene rimesso ai singoli dirigenti il compito 
di procedere con proprio atto al riconoscimento dei singoli debiti fuori bilancio 
afferenti alla gestione Commissariale�. 
Codesto Commissario dubita della correttezza di tale interpretazione, rilevando 
che la norma sopra riprodotta, �nell�esordire con l�espressione �fermo 
restando�, sembrerebbe non incidere in alcun modo sulla regola generale di 
cui al richiamato articolo 194 del decreto legislativo 18 agosto 2000 n. 267� 
che al comma 1 stabilisce �Con deliberazione consiliare di cui all'articolo 
193, comma 2, o con diversa periodicit� stabilita dai regolamenti di contabilit�, 
gli enti locali riconoscono la legittimit� dei debiti fuori bilancio�. 
**** 
Preliminarmente si osserva che, come � noto, il Commissario � stato nominato, 
ai sensi dell�art. 4 comma 8 bis del decreto legge 25 gennaio 2010 n. 
2 convertito in legge 26 marzo 2010 n. 42, al fine di gestire il piano di rientro
206 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2016 
di cui all�articolo 78 del decreto legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito con 
modificazioni dalla legge 6 agosto 2008, n. 133. 
Con DPCM del 4 luglio 2008 all�articolo 3 sono stati stabiliti, ai sensi 
del secondo comma del citato art. 78 del citato decreto legge 25 giugno 2008, 
n. 112 �gli istituti e gli strumenti disciplinati da Titolo VIII del testo unico di 
cui al decreto legislativo 18 agosto 2000 n. 267 di cui pu� avvalersi il Commissario 
straordinario�. 
In particolare l�articolo 3 del DPCM del 4 luglio 2008 al comma 1 prevede:
�Il commissario Straordinario procede alla rilevazione della massa passiva, 
di cui all�art. 254 comma 3 del decreto legislativo 18 agosto 2000 n. 267, 
acquisendo dai responsabili dei servizi competenti per materia attestazioni 
circa le obbligazioni assunte dal Comune e che le relative prestazioni siano 
state effettivamente rese e rientrino nell�ambito dell�espletamento delle pubbliche 
funzioni e servizi di competenza del Comune. I predetti responsabili dei 
servizi provvedono entro 20 giorni dalla richiesta attestando anche lo stato 
dei pagamenti dei corrispettivi e la non avvenuta prescrizione del debito alla 
data del 28 aprile 2008�. 
Il medesimo articolo 3 al successivo comma 3 prevede: 
�Al Commissario Straordinario od a un suo delegato nominato ai sensi 
dell�articolo 5 del presente decreto compete la decisione dell�inserimento delle 
posizioni debitorie nel bilancio relativo al piano di rientro con provvedimento 
da comunicare agli interessati, tenendo conto degli elementi di prova desunti 
dalla documentazione da altri atti e dalla attestazione di cui al precedente 
comma 1�. 
Occorre poi aggiungere che l�articolo 2 comma 7 del Decreto legge 29 
dicembre 2010 n. 225 convertito in legge 26 febbraio 2011 n. 10 ha stabilito 
tra l�altro: 
�Con provvedimenti predisposti dal Commissario straordinario del Governo 
del comune di Roma, nominato ai sensi dell'articolo 4, comma 8-bis del 
decreto-legge 25 gennaio 2010, n. 2, convertito, con modificazioni, dalla legge 
26 marzo 2010, n. 42, ��� sono accertate le eventuali ulteriori partite creditorie 
e debitorie, rispetto al documento predisposto ai sensi dell'articolo 14, 
comma 13-bis, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, 
dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, dal medesimo Commissario, 
concernente l'accertamento del debito del comune di Roma alla data del 30 
luglio 2010, che � approvato con effetti a decorrere dal 29 dicembre 2010�. 
In questo quadro normativo si inserisce l�art. 1 comma 26 del Decreto 
Legge 13 agosto 2011 n. 138 convertito in legge 14 settembre 2011 n. 148 il 
quale prevede: 
�All'articolo 78, comma 4, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, 
con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, dopo il terzo pe-
PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 207 
riodo � inserito il seguente: �Fermo restando quanto previsto dagli articoli 
194 e 254 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, per procedere alla 
liquidazione degli importi inseriti nel piano di rientro e riferiti ad obbligazioni 
assunte alla data del 28 aprile 2008, � sufficiente una determinazione dirigenziale, 
assunta con l'attestazione dell'avvenuta assistenza giuridico-amministrativa 
del segretario comunale ai sensi dell'articolo 97, comma 2, del 
decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267�. 
Si � aggiunto, poi, il successivo articolo 16 del decreto legge 6 marzo 
2014 n. 16, convertito in legge 2 maggio 2014, n. 68, che al comma 5 prevede:
�Al comma 196-bis dell'articolo 2 della legge 23 dicembre 2009, n. 191, 
sono aggiunti, in fine, i seguenti periodi: "Il medesimo Commissario straordinario 
� autorizzato ad inserire, per un importo complessivo massimo di 30 
milioni di euro, nella massa passiva di cui al documento predisposto ai sensi 
dell'articolo 14, comma 13-bis del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, 
con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, le eventuali ulteriori 
partite debitorie rivenienti da obbligazioni od oneri del comune di 
Roma, ivi inclusi gli oneri derivanti dalle procedure di cui all'articolo 42-bis 
del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 8 giugno 
2001, n. 327, anteriori al 28 aprile 2008, alla cui individuazione si procede 
con determinazioni dirigenziali, assunte con l'attestazione dell'avvenuta assistenza 
giuridico amministrativa del Segretario comunale�. 
**** 
Si osserva, inoltre, che la Corte Costituzionale con la sentenza n. 154 del 
21 giugno 2013, nell'esaminare la questione di legittimit� costituzione del pi� 
volte richiamato articolo 78 del Decreto Legge 25 giungo 2008 n. 112 ha rilevato: 
�la deroga alla disciplina generale del dissesto degli enti locali si limita 
all'introduzione di una doppia gestione (ordinaria e commissariale), volta a 
mantenere indenni dal peso di debiti pregressi le risorse destinate all'attivit� 
ordinaria del Comune di Roma Capitale, in considerazione del rilievo del tutto 
peculiare di quest'ultimo, sia in campo nazionale che internazionale. Per conseguire 
tale scopo � indispensabile stabilire una data precisa (individuata nel 
28 aprile 2008), al fine di determinare una separazione temporale tra obbligazioni 
ad essa precedenti, i cui effetti ricadono sulla gestione commissariale, 
e obbligazioni successive, i cui effetti sono imputati alla gestione ordinaria. 
Si deve, in definitiva, ritenere che l'art. 78, comma 6, primo periodo, del d.l. 
n. 112 del 2008 sia coerente con la ratio che presiede alle funzioni ed all'attivit� 
dell'organo straordinario di liquidazione, di cui all'art. 245 e agli artt. 
252 e seguenti del d.lgs. n. 267 del 2000, con la differenza della contestualit� 
di gestione ordinaria e commissariale, volta a preservare la prima dal dissesto� 
[enfasi aggiunte].
208 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2016 
Dall'esame del compendio normativo sopra richiamato, come interpretato 
in via generale dalla Corte Costituzionale, pu� desumersi che la determinazione 
della massa passiva da inserire nel piano di rientro e la gestione del bilancio 
separato del Comune di Roma relativo ai debiti, assunti sino al 28 aprile 
2008, sono rimesse alle determinazioni del Commissario che, con propri provvedimenti, 
procede a predisporre il piano di rientro e ad inserire nello stesso 
sia i debiti fuori bilancio che le ulteriori nuove partite debitorie: tutte le partite 
debitorie relative al periodo precedente al 28 aprile 2008 vengono accertate 
con determinazioni dirigenziali dei dirigenti del Comune di Roma. 
Proprio il tenore testuale della norma in esame, che ha una portata di carattere 
generale, suggerisce che la modalit� operativa adottata fino ad ora sia legittima. 
La norma, infatti, prevede che �per procedere alla liquidazione degli importi 
inseriti nel piano di rientro e riferiti ad obbligazioni assunte alla data 
del 28 aprile 2008, � sufficiente una determinazione dirigenziale, assunta con 
l'attestazione dell'avvenuta assistenza giuridico-amministrativa del segretario 
comunale�. 
E ci� sembra trovare conferma anche nell�ultimo intervento normativo 
in materia ovvero nell�articolo 16 comma 5 del decreto legge 6 marzo 2014 
n. 16, convertito in legge 2 maggio 2014, n. 68, il quale ha previsto, come gi� 
detto, che �il medesimo Commissario Straordinario � autorizzato ad inserire 
� eventuali ulteriori partite debitorie rivenienti da obbligazioni od oneri del 
comune di Roma, anteriori al 28 aprile 2008, alla cui individuazione si procede 
con determinazioni dirigenziali, assunte con l'attestazione dell'avvenuta 
assistenza giuridico amministrativa del Segretario comunale�. 
In sostanza l�articolo 1 comma 26 del Decreto legge 13 agosto 2011 n. 
138 convertito in legge 14 settembre 2011 n. 148 si inserisce nella disciplina 
contenuta nell�articolo 78 del Decreto legge 25 giugno 2008 n. 112, aggiungendo 
un paragrafo al quarto comma di tale norma e deve, dunque, interpretarsi 
nel quadro complessivo del suddetto articolo 78. 
Ad avviso della Scrivente, pertanto, l�inciso �fermo restando quanto previsto 
dall�articolo 194 del decreto legislativo 18 agosto 2000 n. 267�, oltre a 
specificare che l'Ente locale, nella sua gestione ordinaria, deve attenersi al rispetto 
delle norme sopra indicate, � volto ad individuare, mediante il richiamo 
alla disciplina �ordinaria� di cui all�art. 194 citato, i debiti fuori bilancio - richiamandone 
gli elementi caratteristici evidenziati nel primo comma - confermando, 
per�, la disciplina speciale e derogatoria, contenuta anche nei 
precedenti commi e ribadita nel prosieguo della disposizione, in ordine alla 
competenza del Commissario Straordinario il quale, anche nel caso di debiti 
fuori bilancio, provvede ad inserirli nel piano di rientro previa attestazione da 
effettuarsi con determinazione dirigenziale. 
La norma, interpretata diversamente, sarebbe priva di coerenza sistematica 
con il complesso normativo prima richiamato.
PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 209 
D�altra parte le competenze �ordinarie degli organi comunali (1)� ai sensi 
del comma 3 del citato articolo 78 del D.L. 112/08 riguardano, espressamente, 
�la gestione del periodo successivo alla data del 28 aprile 2008�. 
In conclusione, sarebbe illogico che l�organo consiliare di Roma Capitale 
possa conservare una competenza deliberativa sui debiti fuori bilancio 
relativi al periodo precedente al 28 aprile 2008, intervenendo, dunque, sulla 
individuazione della massa passiva formatasi antecedentemente a tale data, 
la cui individuazione e gestione � riservata alla competenza di codesto Commissario. 
Sul presente parere � stato sentito il Comitato consultivo che, nella seduta 
del 3 agosto 2016, si � espresso in conformit�. 
(1) Tra le quali deve annoverarsi anche la deliberazione consiliare di cui al primo comma dell�art. 
194 del D.lgs. 267/2000.
210 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2016 
Immobili strumentali locati a pubbliche 
amministrazioni ed esercizio opzione I.V.A. in caso 
di subentro di un terzo in qualit� di locatore 
PARERE DEL 09/08/2016-374774, AL 422/16, AVV. DANILO DEL GAIZO 
Il quesito in oggetto, formulato con nota n. 364474 del 22 dicembre 2015 
da codesta Prefettura, riguarda l�immobile di categoria catastale B/1, adibito a 
caserma dei Carabinieri, sito a Roma, in Piazza San Lorenzo in Lucina, in forza 
di un contratto della durata di anni sei, stipulato in data 1 dicembre 1998 con la 
Provincia di Roma e successivamente rinnovatosi per analoghi periodi di tempo; 
quest�ultima, con delibera consiliare n. 49 del 28 novembre 2011, ha dato avvio 
a procedure di alienazione e valorizzazione dei propri immobili ed ha, a tal fine 
autorizzato, con delibera dirigenziale del 20 dicembre 2012, la costituzione di 
un fondo comune di investimento immobiliare di tipo chiuso non speculativo, 
ai sensi dell�art. 12-bis del D.M. n. 228/1999; in pari data la societ� BNP Paribas 
REIM SGR p.a. ha istituito tale Fondo nel quale la Provincia ha conferito in 
apporto l�immobile di cui sopra, mentre era in corso l�ultimo rinnovo del contratto 
di locazione (avvenuto in data 1 marzo 2011); successivamente (in data 8 
aprile 2015) il Fondo in questione ha, a propria volta, ceduto il bene alla IDeA 
FIMIT Societ� di Gestione del Risparmio s.p.a., gestore del fondo comune di 
investimento immobiliare denominato �Theta Immobiliare - Fondo Comune di 
Investimento Immobiliare Multicomparto di Tipo Chiuso - Comparto Officium�. 
All�esito delle suddette operazioni (apporto, contratto di compravendita) 
entrambi i soggetti sopra indicati hanno richiesto all�Amministrazione dell�Interno 
la corresponsione dell�IVA sui canoni di locazione, assumendo di avere 
esercitato l�opzione di cui all�art. 10, comma 1, n. 8), del DPR 633/72, a mente 
del quale sono esenti dall�imposta �le locazioni e gli affitti, relative cessioni, 
risoluzioni e proroghe, di terreni e aziende agricole, di aree diverse da quelle 
destinate a parcheggio di veicoli, per le quali gli strumenti urbanistici non 
prevedono la destinazione edificatoria, e di fabbricati, comprese le pertinenze, 
le scorte e in genere i beni mobili destinati durevolmente al servizio degli immobili 
locati e affittati, escluse le locazioni, per le quali nel relativo atto il 
locatore abbia espressamente manifestato l'opzione per l'imposizione, � di 
fabbricati strumentali che per le loro caratteristiche non sono suscettibili di 
diversa utilizzazione senza radicali trasformazioni� (enfasi aggiunta). 
Di fronte al rifiuto opposto dall�Amministrazione alla richiesta di pagamento 
dei canoni assoggettati ad IVA, entrambi i soggetti in questione hanno 
minacciato di adire le vie legali; il Fondo attualmente proprietario, inoltre, ha 
affermato la legittimit� della propria opzione sulla base dei chiarimenti contenuti 
nella Circolare 22/E del 28 giugno 2013, adottata dall�Agenzia delle 
Entrate - Direzione Centrale Normativa - Ufficio IVA. 
PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 211 
In particolare, quest�ultima, emanata a seguito delle modifiche apportate 
dall�art. 9 del D.L. n. 83/2012, convertito in L. n. 134/2012, all�art. 10, co. 1, 
nn. 8), 8-bis) e 8-ter), del d.P.R. n. 633/1972, alla sezione 2, intitolata �Locazioni 
- Decorrenza della nuova disciplina. Modalit� di esercizio dell�opzione�, 
contiene il seguente passaggio: 
�Per quanto riguarda le modalit� di esercizio dell�opzione, tanto per gli 
immobili abitativi che per quelli strumentali, in base al tenore letterale del 
novellato art. 10, primo comma, n. 8), del d.P.R. n. 633 del 1972, � necessario 
che il locatore manifesti tale scelta nel contratto di locazione. 
Il regime IVA prescelto al momento della stipula del contratto di locazione, 
vale a dire l�applicazione dell�IVA ai canoni di locazione per opzione 
ovvero, in assenza di opzione, il regime di esenzione da imposta, � vincolante 
per tutta la durata del contratto. 
Qualora prima della scadenza del contratto di locazione si verifichi una 
successione nel contratto, nella specie il subentro di un terzo in qualit� di 
locatore, quest�ultimo, in quanto tale, pu� modificare il regime IVA cui assoggettare 
i canoni di locazione� (enfasi aggiunta). 
Avendo la Prefettura richiesto un parere circa la fondatezza della pretesa 
del nuovo proprietario, questa Avvocatura, con nota n. 101087 del 2 marzo 
2016, ha chiesto all�Agenzia delle Entrate di esprimere preliminarmente il proprio 
avviso sull�interpretazione della Circolare e dell�art. 10, comma 1, n. 8, 
del DPR 633/72, rilevando l�apparente contrasto tra la norma suddetta e la 
previsione contenuta nell�ultimo paragrafo della Circolare, sopra riportato. 
Con la nota indicata in epigrafe, l�Agenzia delle Entrate si � espressa nel 
senso che l�opzione prevista dalla norma in esame �si atteggi alla stregua di un 
diritto potestativo che attribuisce al locatore la possibilit� di stabilire il regime 
fiscale dei canoni di locazione pi� congeniale al proprio status professionale 
ed alle proprie esigenze� e che, esercitato al momento della stipula del contratto 
di locazione, determina una scelta vincolante per tutta la durata del contratto di 
locazione per entrambe le parti, dal momento che, �sotto il profilo prettamente 
civilistico, il conduttore aderisce alla scelta del regime fiscale effettuata dal locatore 
firmando il contratto in cui � espressa l�opzione� (enfasi aggiunta). 
Secondo l�Agenzia, peraltro, l�impossibilit� di modificare la scelta iniziale 
espressa dal locatore nel contratto subirebbe un�eccezione nelle ipotesi di rinnovo 
del contratto di locazione e in quella di successione nello stesso, determinata 
dalla cessione dell�immobile locato a terzi prima della scadenza del contratto. 
In particolare, in quest�ultimo caso, �ferma restando la disciplina civilistica 
del rapporto di locazione in corso di esecuzione alla data del subentro del terzo 
acquirente, sotto il profilo fiscale, la modifica dal lato soggettivo del rapporto 
in essere consente - in deroga alla regola di carattere generale che cristallizza 
il regime fiscale della locazione al momento della stipula del contratto - di mutare 
il regime IVA dei canoni indicato ab origine in atto (i.e. in sede di stipula). 
212 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2016 
La ratio di tale deroga � quella di evitare che il locatore subentrato nella 
locazione in corso di esecuzione - che, in quanto tale, non ha potuto esercitare 
in sede di stipula del contratto il diritto potestativo riconosciuto dall'art. 10, 
primo comma, n. 8), del D.P.R. n. 633 del 1972 - subisca la scelta del regime fiscale 
dei canoni effettuata dal precedente proprietario/locatore dell'immobile 
e, in particolare, gli effetti negativi derivanti dalla limitazione del diritto alla detrazione 
dell�IVA pagata sugli acquisti afferenti alla locazione� (enfasi aggiunta). 
* * * 
Tanto premesso, questa Avvocatura ritiene di doversi discostare parzialmente 
dalle conclusioni assunte dall�Agenzia delle entrate nell�interpretazione 
della norma in esame. 
Non pare dubbio, infatti, che, come riconosce anche l�Agenzia delle Entrate, 
il citato art. 10, co. 1, n. 8), nel richiedere che l�opzione per l�imposizione 
sia manifestata dal locatore �nel relativo atto�, con espressione impiegata 
anche nei successivi nn. 8) bis e 8) ter, faccia riferimento al momento genetico 
dell�operazione da assoggettare o meno ad IVA, vale a dire alla stipula del 
contratto di locazione. 
Come la stessa Agenzia rileva, una volta che quest�ultima sia avvenuta, 
l�applicazione dell�imposta, ovvero, in assenza di opzione, il regime di esenzione 
dalla stessa diviene vincolante per tutta la durata del contratto. 
Se, quindi, pare ragionevole che tale regime, una volta dedotto in contratto, 
possa essere modificato, attraverso l�esercizio dell�opzione, in occasione 
del rinnovo del contratto, dal momento che questo determina una novazione 
del rapporto ed �, perci�, pienamente assimilabile ad una nuova stipula, altrettanto 
non pu� dirsi per ci� che concerne la successione nel contratto, poich� 
questa determina il mero subentro, nella posizione di locatore, di un nuovo 
soggetto, nello stesso titolo negoziale che ha disciplinato i rapporti tra le parti 
e i relativi diritti ed obblighi al momento in cui � stato concluso. 
Tale situazione, proprio in forza del disposto del citato art. 10, comma 1, 
n. 8), pare sottoposta all�applicazione degli artt. 1599 e 1602 del codice civile. 
In base a quest�ultimo il contratto di locazione avente data certa anteriore all�alienazione 
della cosa ҏ opponibile al terzo acquirente�, intendendosi, evidentemente, 
con tale espressione, che il conduttore ha la facolt� di mantenere 
fermo l�intero contenuto delle pattuizioni negoziali, e, quindi, l�intero assetto 
dei diritti e degli obblighi nascenti dal contratto, tra i quali rientra indubbiamente 
anche l�obbligo di pagare o meno l�IVA: invero, come previsto dalla 
norma tributaria, l�opzione deve essere manifestata nel contratto; e dal fatto 
che la stessa sia esercitata o meno dipende l�insorgenza, a carico del locatore, 
dell�obbligazione di corrispondere l�imposta all�Erario. 
L�art. 1602 c.c. stabilisce, a sua volta, che �il terzo acquirente tenuto a 
rispettare la locazione subentra, dal giorno del suo acquisto, nei diritti e nelle 
obbligazioni derivanti dal contratto di locazione�: in base a tale previsione
PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 213 
l�acquirente dell�immobile subentra nel rapporto di locazione nella stessa posizione 
giuridica dell�originario locatore; dunque, anche considerando, secondo 
la ricostruzione formulata dall�Agenzia delle entrate, l�esercizio 
dell�opzione alla stregua di un diritto potestativo, quest�ultimo non sarebbe 
azionabile da chi abbia acquistato l�immobile sul quale insista un contratto di 
locazione in corso, poich�, dopo la stipula, lo stesso dante causa non avrebbe 
pi� potuto esercitarlo. 
Per altro verso occorre considerare che, sotto il profilo economico, l�esercizio 
dell�opzione di assoggettare il contratto al regime dell�IVA comporta, 
per il conduttore, un onere aggiuntivo e di considerevole entit�, specie quando 
non si tratti di soggetto contribuente che eserciti attivit� che danno luogo ad 
operazioni che conferiscono il diritto alla detrazione dell�imposta. 
Ne consegue che, una volta stipulato il contratto in regime di esenzione, 
la modifica dello stesso nel corso del rapporto determinerebbe, nei confronti 
dello stesso conduttore, un significativo pregiudizio patrimoniale, nonch� una 
lesione del suo legittimo affidamento sul contenuto degli obblighi nascenti dal 
contratto, anche in virt� dell�attuale previsione dell�art. 10, comma 1, n. 8, 
che, come si � visto, connette alla stipula dell�atto l�esercizio dell�opzione. 
Il suddetto pregiudizio, inoltre, allorch� la conduzione dell�immobile sia 
assunta, come nel caso di specie, da una pubblica amministrazione, esporrebbe 
quest�ultima anche alla possibile violazione degli obblighi, che, alla luce dell�ordinamento 
contabile, la stessa � tenuta ad osservare al momento della stipula 
del contratto, in termini di assunzione dell�impegno di spesa e di 
individuazione di risorse certe a copertura della stessa. 
Anche per tali ragioni non appare praticabile l�interpretazione proposta 
dall�Agenzia, la quale, peraltro, non pare potersi fondare sul mero richiamo 
all�esigenza, rappresentata nella nota citata, di evitare che il locatore subentrato 
nella locazione in corso di esecuzione subisca la scelta del regime fiscale dei 
canoni effettuata dal precedente proprietario/locatore dell'immobile e, in particolare, 
gli effetti negativi derivanti dalla limitazione del diritto alla detrazione 
dell�IVA pagata sugli acquisti afferenti alla locazione. 
Invero - premesso che anche le cessioni di immobili rientranti nelle tipologie 
contemplate dall�art. 10, comma 1, n. 8), sono assoggettate all�IVA solo 
nel caso in cui il cedente manifesti opzione in tal senso nell�atto di trasferimento 
della propriet� (cfr. art. 10, comma 1, cit., nn. 8 bis e 8 ter), per cui il 
compratore sarebbe comunque in grado di tutelare preventivamente, in modo 
adeguato, i propri interessi, accertando l�eventuale sussistenza di locazioni in 
corso ed il relativo regime fiscale - l�esigenza evidenziata dall�Agenzia sembra 
porsi in contrasto con il vigente testo della norma tributaria. 
In altri termini, tra l�interesse del successore, nella posizione del locatore, 
ad esercitare una opzione fiscale a lui pi� conveniente (l�imponibilit� del contratto 
ai fini IVA) e quello del conduttore a non vedere aggravata dal punto di
214 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2016 
vista economico la sua posizione, per effetto di una scelta unilaterale del 
(nuovo) locatore - e non, quindi, per una sopravvenuta disposizione legislativa 
configurabile come factum principis -, deve ritenersi maggiormente meritevole 
di tutela la posizione di quest�ultimo. 
In applicazione della stessa norma tributaria, quindi, l�esigenza evidenziata 
dall�Agenzia potrebbe essere soddisfatta, con riferimento alle locazioni 
in corso, esclusivamente nelle ipotesi: 
a) di consenso del conduttore, ovvero 
b) di imputazione ad IVA di parte del canone di locazione originariamente 
convenuto dalle parti, il cui ammontare complessivo (IVA compresa) resterebbe 
quindi inalterato. 
Infatti, nella prima ipotesi, il consenso del conduttore a quella che, in sostanza, 
si configurerebbe come una modifica dell�onere economico ad esso 
imputabile per effetto del contratto di locazione, determinerebbe, sul piano 
sostanziale, l�implicita rinuncia dello stesso a far valere i diritti derivanti dalle 
ricordate norme del codice civile, nonch� dal legittimo affidamento sull�entit� 
dell�onere predetto, conseguente alla stipula del contratto di locazione; inoltre, 
comportando una rinuncia ai diritti in questione, lo stesso consenso dovrebbe 
necessariamente essere esternato in un atto aggiuntivo al contratto di locazione, 
nel quale troverebbe ingresso anche la manifestazione dell�opzione da 
parte del proprietario dell�immobile, cos� integrando, sul piano formale, la disposizione 
contenuta nell�art. 10, comma 1, n. 8). 
Nella seconda ipotesi, invece, poich� l�esercizio dell�opzione determinerebbe 
meramente una diversa imputazione di parte del canone corrisposto dal 
conduttore (ed, eventualmente, nell�ipotesi in cui quest�ultimo sia soggetto alle 
disposizioni in materia di split payment, soltanto l�onere, a suo carico, di corrispondere 
parte dello stesso canone all�Amministrazione finanziaria, anzich� 
al locatore), senza produrre alcuna alterazione dell�equilibrio negoziale, l�opzione 
potrebbe essere effettuata unilateralmente dal locatore, con le modalit� 
indicate nella circolare n. 22/E del 28 giugno 2013 dell�Agenzia delle Entrate, 
comportando, in tal caso, la mancata manifestazione dell�opzione nel contratto 
di locazione, una mera difformit� formale rispetto alla previsione normativa, 
peraltro insuscettibile di pregiudicare il soddisfacimento della pretesa fiscale. 
In definitiva, e per concludere, alla luce delle considerazioni che precedono, 
ad avviso della Scrivente l�esercizio dell�opzione prevista dall�art. 10, 
comma 1, n. 8), del DPR 633/72, non appare praticabile successivamente alla 
stipula del contratto di locazione, nel corso del relativo rapporto, nemmeno 
da parte del terzo acquirente della propriet� dell�immobile, salve le due eccezioni 
da ultimo indicate. 
Coinvolgendo questioni di massima, il presente parere � stato sottoposto, 
ai sensi dell�art. 26 della legge 3 aprile 1979, n. 103, all�esame del Comitato 
Consultivo, che si � espresso in conformit� nella seduta del 3 agosto 2016.
PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 215 
Incarichi soggetti agli obblighi di pubblicazione 
e regime di trasparenza per gli enti di diritto pubblico 
PARERE DEL 19/10/2016-481028, AL 30186/16, AVV. FRANCESCO SCLAFANI 
Con nota n. 214 del 1 agosto 2016 � stato chiesto il parere di questa Avvocatura 
in merito all�applicazione dell�art. 14 d. l.vo 33/2013 come da ultimo 
modificato dal d. l.vo 97/2016. 
In particolare, codesta Agenzia - dopo aver richiamato il precedente parere 
reso dal Comitato Consultivo di questa Avvocatura sul previgente testo 
della medesima disposizione - chiede di sapere se il comma 1 bis dell�art. 
14 cit., introdotto dalla novella del 2016, sia ad essa applicabile e in caso 
affermativo quali siano i soggetti obbligati a rendere le prescritte dichiarazioni 
ivi indicate. 
Nella richiesta di parere si osserva che codesta Agenzia ҏ ente dotato di 
personalit� giuridica di diritto pubblico, sottoposta ai poteri di indirizzo e vigilanza 
del Ministero (omissis)�; che il citato nuovo comma 1 bis �se interpretato 
in collegamento sistematico, estende l�obbligo di pubblicare i dati di 
cui al comma 1 ai titolari di incarichi, cariche di amministrazione, di direzione 
o di governo comunque denominati�; che qualora invece �i commi 1 e 1 bis 
non siano da interpretarsi in collegamento sistematico e le disposizioni di cui 
al comma 1 bis debbano applicarsi a tutte le pubbliche amministrazioni�, non 
vi sarebbe �una completa corrispondenza con gli elementi tipizzanti gli incarichi 
dei titolari degli obblighi di pubblicazione cos� come identificati al 
comma 1 bis citato a degli incarichi individuati dall�art. 7 bis� d. l.vo 33/2013. 
Al riguardo si ricorda in primo luogo che il precedente parere sopra richiamato 
� stato reso da questa Avvocatura �partendo dal dato di fatto, non 
esaminato dalla Scrivente, che il consigliere di amministrazione di codesta 
Agenzia sia soggetto agli obblighi previsti ai sensi dell�art. 14 d. l.vo 
33/2013� (�.) �in altri termini il parere reso dalla Scrivente � limitato al 
profilo oggettivo della questione, vale a dire: se i presupposti perch� sorga 
l�obbligo di rendere le dichiarazioni di cui all�art. 14 lett. f siano gli stessi 
previsti per l�obbligo di rendere le dichiarazioni di cui agli artt. 2, 3 e 4 della 
l. n. 441 del 1982�. 
Ci� premesso, si rileva che il nuovo comma 1 bis dell�art. 14 prevede che 
�le pubbliche amministrazioni pubblicano i dati di cui al comma 1 per i titolari 
di incarichi o cariche di amministrazione, di direzione o di governo comunque 
denominati salvo che siano attribuiti a titolo gratuito, e per i titolari di incarichi 
dirigenziali a qualsiasi titolo conferiti, ivi inclusi quelli conferiti discrezionalmente 
dall�organo di indirizzo politico senza procedure pubbliche di 
selezione�. 
Tale disposizione, che non modifica l�ambito degli enti tenuti ad applicare
216 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2016 
l�art. 14, non fa altro che ampliare il novero degli incarichi soggetti agli obblighi 
di pubblicazione di cui al comma 1. Infatti, per effetto della novella i 
suddetti obblighi, inizialmente limitati agli �incarichi politici�, sono stati estesi 
anche ai �titolari di incarichi o cariche di amministrazione di direzione o di 
governo comunque denominati�. 
Tuttavia, il d. l.vo 25 maggio 2016, n. 97, che ha introdotto il citato 
comma 1 bis, ha inserito anche l�art. 2 bis (Ambito soggettivo di applicazione) 
secondo il quale �ai fini del presente decreto, per �pubbliche amministrazioni� 
si intendono tutte le amministrazioni di cui all�art. 1, comma 2, del d. 
l.vo 30.3.2001, n. 165 e successive modificazioni, nonch� le autorit� amministrative 
indipendenti di garanzia, vigilanza e regolazione�. Inoltre, lo stesso 
art. 2 bis, ai commi 2 e 3, ha esteso l�applicazione della medesima disciplina 
agli enti pubblici economici, agli ordini professionali, alle societ� in controllo 
pubblico (escluse le quotate), alle associazioni, alle fondazioni ed infine anche 
ad altri enti di diritto privato in presenza di determinate condizioni. 
Con tale disposizione il legislatore del 2016 ha delineato in modo molto 
ampio l�ambito di applicazione della normativa in esame. Pertanto, deve ritenersi 
che anche i nuovi obblighi di cui al comma 1 bis dell�art. 14 (che si riferisce 
alle �pubbliche amministrazioni�) si applicano a codesta Agenzia, 
quale ente di diritto pubblico. 
Per quanto riguarda i soggetti tenuti a rendere le dichiarazioni di cui al 
citato comma 1 bis si rileva che anche qui il legislatore usa una formula quanto 
mai ampia: �titolari di incarichi o cariche di amministrazione, di direzione o 
di governo comunque denominati, salvo che siano attribuiti a titolo gratuito� 
nonch� �titolari di incarichi dirigenziali, a qualsiasi titolo conferiti, ivi inclusi 
in quelli conferiti discrezionalmente dall�organo di indirizzo politico senza 
procedure pubbliche di selezione�. 
A fronte di tale ampia formulazione non si ravvisano argomenti per condividere 
le perplessit� avanzate nella richiesta di parere riguardo all�applicabilit� 
della norma agli incarichi dirigenziali di codesta Agenzia considerato 
altres� che l�art. 7 bis d. l.vo cit. non riguarda l�individuazione degli incarichi 
soggetti alla trasparenza bens� il regime di riutilizzo dei dati pubblicati. 
Tale interpretazione, oltre ad essere imposta dalla lettera della norma, appare 
coerente con la ratio legis del d. l.vo 33/2013 (rafforzata con la novella 
del 2016) secondo la quale tutti coloro che, a vario titolo, svolgono funzioni 
di responsabilit� amministrativa o dirigenziale negli enti sopra individuati sono 
soggetti agli obblighi previsti dall�art. 14 cit. i quali sono finalizzati a garantire 
il rispetto del principio generale di trasparenza che, ai sensi dell�art. 1 d. l.vo 
cit., �concorre ad attuare il principio democratico e i principi costituzionali 
di eguaglianza, di imparzialit�, buon andamento, responsabilit�, efficacia ed 
efficienza nell�utilizzo di risorse pubbliche, integrit� e lealt� nel servizio alla 
nazione�. 
PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 217 
Sul punto si richiama Cons. Stato Sez. VI, 20 novembre 2013, n. 5515 in 
cui � stato sottolineato che �con il d.lgs. n. 33/2013 si intende procedere al 
riordino della disciplina, intesa ad assicurare a tutti i cittadini la pi� ampia 
accessibilit� alle informazioni, concernenti l'organizzazione e l'attivit� delle 
pubbliche amministrazioni, al fine di attuare il principio democratico e i principi 
costituzionali di eguaglianza, imparzialit�, buon andamento, responsabilit�, 
efficacia ed efficienza nell'utilizzo di risorse pubbliche, quale 
integrazione del diritto "ad una buona amministrazione", nonch� per la realizzazione 
di un'amministrazione aperta, al servizio del cittadino. Detta normativa 
- avente finalit� dichiarate di contrasto della corruzione e della cattiva 
amministrazione - intende anche attuare la funzione di coordinamento informativo, 
statistico e informatico dei dati dell'amministrazione statale, regionale 
e locale, di cui all'art. 117, secondo comma, lettera r) della Costituzione�. 
Infine, lo stesso art. 7 bis d. l.vo cit., invocato da codesta Agenzia, sottolinea 
che la pubblicazione dei dati in questione ҏ finalizzata alla realizzazione 
della trasparenza pubblica, che integra una finalit� di rilevante interesse pubblico�. 
Deve ritenersi pertanto che l�art. 1 bis dell�art. 14 cit. (con relativo rinvio 
al comma 1) trovi applicazione a tutti gli incarichi indicati nella richiesta di 
parere: ai componenti del Consiglio di Amministrazione (salvo gli incarichi a 
titolo gratuito), al Direttore Generale e a tutti i dirigenti di codesta Agenzia. 
Non si ravvisano infatti ragioni per affermare che rispetto a detti incarichi non 
sussistono le suddette esigenze di rilevante interesse pubblico a cui � finalizzato 
il descritto regime di trasparenza pubblica introdotto dal d. l.vo n. 33/2013 
come novellato dal d. l.vo n. 97/2016. 
Il presente parere � stato sottoposto al Comitato Consultivo dell�Avvocatura 
dello Stato che si � espresso in conformit� nella seduta del 14 ottobre 
2016. 
LEGISLAZIONE ED ATTUALIT� 
Anticorruzione e trasparenza nella pubblica amministrazione. 
Profili giuridici, economici ed informatici 
Michele Gerardo* 
SOMMARIO: 1. Introduzione - 2. Aspetti della disciplina della trasparenza strumentali 
alla prevenzione della corruzione e degli illeciti nella p.a. - 3. (Segue) Presupposti affinch� 
la disciplina sulla trasparenza possa efficacemente operare - 4. �Aspetto statico� dell�attivit� 
rivolta alla prevenzione della corruzione - 5. �Aspetto dinamico� dell�attivit� rivolta alla 
prevenzione della corruzione - 6. Gestione informatica dei dati. 
1. Introduzione. 
�Anticorruzione� e �Trasparenza� costituiscono autonomi aspetti dell�agire 
della P.A. e, tuttavia, correlati. 
�Anticorruzione� implica avversione, contrasto della corruzione e della 
illegalit� nella P.A., ossia di quelle pratiche di violazione dei doveri collegati 
alle funzioni pubbliche con pregiudizio degli interessi generali. Aspetto, 
quindi, pertinente ad un dato negativo dell�agire della P.A. 
�Trasparenza� denota chiarezza, pubblicit� dell�agire della P.A. (in fisica, 
trasparente � il corpo che lascia passare la luce); un agire, quindi, con atti accessibili 
a chiunque, con atti visionabili dal pubblico. Metaforicamente, si descrive 
un�Amministrazione con tali caratteri come una �casa di vetro�. 
Aspetto, questo, positivo dell�agire della P.A., ossia modo ordinario della condotta 
diretta alla tutela degli interessi pubblici riconducibile ai principi costituzionali 
del buon andamento e dell�imparzialit� della P.A. (art. 97 Cost.). 
Come detto, per�, �Anticorruzione� e �Trasparenza� sono dati anche correlati. 
All�evidenza, la trasparenza � uno degli antidoti per contrastare la cor- 
(*) Avvocato dello Stato.
220 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2016 
ruzione e l�illegalit�: dove vi � opacit�, riservatezza, segreto � facile che possano 
esservi condotte illecite dei funzionari pubblici. La trasparenza � un dato, 
quindi, tanto assoluto - ossia una regola da osservare in quanto principio base 
dell�azione della P.A. - quanto relativo, ossia strumentale alla prevenzione e 
contrasto dell�agire illecito dei dipendenti della P.A. 
2. Aspetti della disciplina della trasparenza strumentali alla prevenzione della 
corruzione e degli illeciti nella p.a. 
All�evidenza hanno una finalit� anche preventiva degli illeciti i seguenti 
aspetti della trasparenza: 
- diritto di accesso civico e obblighi di pubblicit�, trasparenza e diffusione 
di informazioni da parte della P.A., open data (D.L.vo 14 marzo 2013 n. 33, 
ampiamente modificato con D.L.vo 25 maggio 2016 n. 97); 
- norme sull�evidenza pubblica, pubblicazione e pubblicit� dei bandi in 
materia di affidamento di commesse pubbliche (D.L.vo 18 aprile 2016 n. 50); 
- disciplina in materia di concorsi pubblici e affidamento degli incarichi 
(D.L.vo 30 marzo 2001 n. 165). 
Diritto di accesso civico e obblighi di pubblicit�, trasparenza 
e diffusione di informazioni da parte della P.A., open data. 
Misura rilevante al fine del contrasto della corruzione � la disciplina sull�accesso 
civico e obblighi di pubblicit�, trasparenza e diffusione di informazioni 
da parte delle PP.AA. contenuti nel D.L.vo 14 marzo 2013, n. 33. 
L�art. 1, comma 1 del D.L.vo citato, efficacemente enuncia che �la trasparenza 
� intesa come accessibilit� totale dei dati e documenti detenuti dalle 
pubbliche amministrazioni, allo scopo di tutelare i diritti dei cittadini, promuovere 
la partecipazione degli interessati all'attivit� amministrativa e favorire 
forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e 
sull'utilizzo delle risorse pubbliche�. L�accessibilit� totale si realizza �tramite 
l'accesso civico e tramite la pubblicazione di documenti, informazioni e dati 
concernenti l'organizzazione e l'attivit� delle pubbliche amministrazioni e le 
modalit� per la loro realizzazione� (art. 2, comma 1, D.L.vo cit.); �per pubblicazione 
si intende la pubblicazione [�] nei siti istituzionali delle pubbliche 
amministrazioni dei documenti, delle informazioni e dei dati concernenti l'organizzazione 
e l'attivit� delle pubbliche amministrazioni, cui corrisponde il 
diritto di chiunque di accedere ai siti direttamente ed immediatamente, senza 
autenticazione ed identificazione� (art. 2, comma 2, D.L.vo cit.); �Tutti i documenti, 
le informazioni e i dati oggetto di accesso civico, ivi compresi quelli 
oggetto di pubblicazione obbligatoria ai sensi della normativa vigente sono 
pubblici e chiunque ha diritto di conoscerli, di fruirne gratuitamente, e di utilizzarli 
e riutilizzarli ai sensi dell'articolo 7� (art. 3, comma 1, D.L.vo cit.); 
�I documenti contenenti atti oggetto di pubblicazione obbligatoria ai sensi
LEGISLAZIONE ED ATTUALIT� 221 
della normativa vigente sono pubblicati tempestivamente sul sito istituzionale 
dell'amministrazione� (comma 1 dell�art. 8 D.L.vo cit.). 
La trasparenza, intesa come accessibilit� totale ai dati rilevanti, rende liberi 
e coscienti. La conoscenza dei dati � un elemento che d� potere, consapevolezza 
dei propri diritti. L�antropologo Levy Strauss rileva che lo stregone 
delle trib� primitive ha potere perch� ha la conoscenza, dalla quale sono 
esclusi gli altri. 
Con l�art. 5 del D.L.vo citato - come sostituito dal D.L.vo n. 97/2016 - si 
introduce una nuova forma di accesso civico ai dati e documenti pubblici, 
equivalente a quella che nel sistema anglosassone � definita Freedom of information 
act (FOIA), che consente ai cittadini di richiedere anche dati e documenti 
che le pubbliche amministrazioni non hanno l�obbligo di pubblicare 
ed altres� le informazioni dalle medesime elaborate. 
L�art. 5 del D.L.vo citato disciplina l�accesso civico a dati e documenti a 
tenore del quale �1. L'obbligo previsto dalla normativa vigente in capo alle 
pubbliche amministrazioni di pubblicare documenti, informazioni o dati comporta 
il diritto di chiunque di richiedere i medesimi, nei casi in cui sia stata 
omessa la loro pubblicazione. 2. Allo scopo di favorire forme diffuse di controllo 
sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull'utilizzo delle risorse 
pubbliche e di promuovere la partecipazione al dibattito pubblico, chiunque 
ha diritto di accedere ai dati e ai documenti detenuti dalle pubbliche amministrazioni, 
ulteriori rispetto a quelli oggetto di pubblicazione ai sensi del presente 
decreto, nel rispetto dei limiti relativi alla tutela di interessi 
giuridicamente rilevanti secondo quanto previsto dall'articolo 5-bis. 3. L'esercizio 
del diritto di cui ai commi 1 e 2 non � sottoposto ad alcuna limitazione 
quanto alla legittimazione soggettiva del richiedente. L'istanza di accesso civico 
identifica i dati, le informazioni o i documenti richiesti e non richiede 
motivazione. L'istanza pu� essere trasmessa per via telematica secondo le modalit� 
previste dal decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, e successive modificazioni 
[�]. Il procedimento di accesso civico deve concludersi con 
provvedimento espresso e motivato nel termine di trenta giorni dalla presentazione 
dell'istanza con la comunicazione al richiedente e agli eventuali controinteressati. 
In caso di accoglimento, l'amministrazione provvede a 
trasmettere tempestivamente al richiedente i dati o i documenti richiesti, ovvero, 
nel caso in cui l'istanza riguardi dati, informazioni o documenti oggetto 
di pubblicazione obbligatoria ai sensi del presente decreto, a pubblicare sul 
sito i dati, le informazioni o i documenti richiesti e a comunicare al richiedente 
l'avvenuta pubblicazione dello stesso, indicandogli il relativo collegamento 
ipertestuale. [�] Il rifiuto, il differimento e la limitazione dell'accesso devono 
essere motivati con riferimento ai casi e ai limiti stabiliti dall'articolo 5-bis. 
Il responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza pu� 
chiedere agli uffici della relativa amministrazione informazioni sull'esito delle
222 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2016 
istanze. 7. Nei casi di diniego totale o parziale dell'accesso o di mancata risposta 
entro il termine indicato al comma 6, il richiedente pu� presentare richiesta 
di riesame al responsabile della prevenzione della corruzione e della 
trasparenza, di cui all'articolo 43, che decide con provvedimento motivato, 
entro il termine di venti giorni. Se l'accesso � stato negato o differito a tutela 
degli interessi di cui all'articolo 5-bis, comma 2, lettera a), il suddetto responsabile 
provvede sentito il Garante per la protezione dei dati personali, il quale 
si pronuncia entro il termine di dieci giorni dalla richiesta. [�] Avverso la 
decisione dell'amministrazione competente o, in caso di richiesta di riesame, 
avverso quella del responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza, 
il richiedente pu� proporre ricorso al Tribunale amministrativo regionale 
ai sensi dell'articolo 116 del Codice del processo amministrativo di 
cui al decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104. 8.[�] 10. Nel caso in cui la 
richiesta di accesso civico riguardi dati, informazioni o documenti oggetto di 
pubblicazione obbligatoria ai sensi del presente decreto, il responsabile della 
prevenzione della corruzione e della trasparenza ha l'obbligo di effettuare la 
segnalazione di cui all'articolo 43, comma 5. 11. Restano fermi gli obblighi 
di pubblicazione previsti dal Capo II, nonch� le diverse forme di accesso degli 
interessati previste dal Capo V della legge 7 agosto 1990, n. 241�. 
All�evidenza, l�ambito dell�accesso civico va ben oltre il diritto di accesso 
ai documenti amministrativi ex artt. 22-28 L. 7 agosto 1990 n. 241, la cui disciplina 
viene fatta salva dall�art. 5 comma 11 D.L.vo n. 33. 
Oggetto dell�accesso ex L. n. 241/1990 sono esclusivamente i documenti, 
come si evince dal globale contenuto dell�art. 22 L. n. 241, che al comma 4 
chiarisce: �Non sono accessibili le informazioni in possesso di una pubblica 
amministrazione che non abbiano forma di documento amministrativo, salvo 
quanto previsto dal decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, in materia di 
accesso a dati personali da parte della persona cui i dati si riferiscono�; rilevante 
in tal senso � altres� l�art. 24 comma 3 L. n. 241 secondo cui: �Non 
sono ammissibili istanze di accesso preordinate ad un controllo generalizzato 
dell'operato delle pubbliche amministrazioni�. L�oggetto dell�accesso civico, 
invece, sono i documenti (rappresentazione informatica o materiale di fatti; 
Carnelutti richiama l�etimologia: doc�re, ossia: informare, far conoscere), i 
dati (elemento conoscitivo diretto di elementi della natura o personali; es: dati 
personali, dati identificativi, dati sensibili, dati giudiziari, dato anonimo, dati 
relativi al traffico, dati relativi all'ubicazione ex D.L.vo 30 giugno 2003, n. 
196) e le informazioni (elemento conoscitivo ricavato dall�elaborazione di documenti 
e dati; es. l�ammontare dei compensi di un dirigente); queste ultime 
- tuttavia - sono escluse nel caso che l�accesso civico abbia ad oggetto elementi 
detenuti dalle pubbliche amministrazioni, ulteriori rispetto a quelli oggetto di 
pubblicazione ai sensi del D.L.vo n. 33 cit. 
La richiesta di accesso ai documenti ex L. n. 241/1990 deve essere moti-
LEGISLAZIONE ED ATTUALIT� 223 
vata (art. 25 comma 2 L. n. 241), laddove l'istanza di accesso civico non richiede 
motivazione. 
Infine, legittimati all�accesso ex L. n. 241 sono solo gli interessati (�tutti 
i soggetti privati, compresi quelli portatori di interessi pubblici o diffusi, che 
abbiano un interesse diretto, concreto e attuale, corrispondente ad una situazione 
giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale � chiesto l'accesso�: 
art. 22 comma 1 lett. b), mentre l'esercizio del diritto di accesso civico 
non � sottoposto ad alcuna limitazione quanto alla legittimazione soggettiva 
del richiedente. 
Le ampie maglie della nuova disciplina sull�acceso civico ammettono 
anche la soddisfazione della mera curiosit�. 
Il D.L.vo n. 33 contiene poi una disciplina puntuale dei casi in cui � obbligatoria 
la pubblicazione di dati, documenti od informazioni, con la previsione 
della sezione dei siti istituzionali denominata �Amministrazione trasparente�. 
La disciplina ora descritta costituisce la dimensione nell�ambito della P.A. 
dei cd. open data, dei testi aperti, dei dati liberamente accessibili a tutti. 
L�art. 7 D.L.vo 14 marzo 2013, n. 33 statuisce �1. I documenti, le informazioni 
e i dati oggetto di pubblicazione obbligatoria ai sensi della normativa 
vigente, resi disponibili anche a seguito dell'accesso civico di cui all'articolo 
5, sono pubblicati in formato di tipo aperto ai sensi dell'articolo 68 del Codice 
dell'amministrazione digitale, di cui al decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 
82, e sono riutilizzabili ai sensi del decreto legislativo 24 gennaio 2006, n. 36, 
del decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, e del decreto legislativo 30 giugno 
2003, n. 196, senza ulteriori restrizioni diverse dall'obbligo di citare la fonte 
e di rispettarne l'integrit��. 
L�art. 68, comma 3 D.L.vo 7 marzo 2005, n. 82 (cd. Codice dell'Amministrazione 
Digitale) precisa che sono �dati di tipo aperto, i dati che presentano 
le seguenti caratteristiche: 1) sono disponibili secondo i termini di una 
licenza che ne permetta l'utilizzo da parte di chiunque, anche per finalit� commerciali, 
in formato disaggregato; 2) sono accessibili attraverso le tecnologie 
dell'informazione e della comunicazione, ivi comprese le reti telematiche pubbliche 
e private, in formati aperti ai sensi della lettera a), sono adatti all'utilizzo 
automatico da parte di programmi per elaboratori e sono provvisti dei 
relativi metadati; 3) sono resi disponibili gratuitamente attraverso le tecnologie 
dell'informazione e della comunicazione, ivi comprese le reti telematiche 
pubbliche e private, oppure sono resi disponibili ai costi marginali sostenuti 
per la loro riproduzione e divulgazione, salvo i casi previsti dall'articolo 7 del 
decreto legislativo 24 gennaio 2006, n. 36, e secondo le tariffe determinate 
con le modalit� di cui al medesimo articolo�. 
Circa il riutilizzo dei dati pubblicati l�art. 7-bis D.L.vo n. 33/2013 evidenzia 
�1. Gli obblighi di pubblicazione dei dati personali diversi dai dati 
sensibili e dai dati giudiziari, di cui all'articolo 4, comma 1, lettere d) ed e),
224 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2016 
del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, comportano la possibilit� di 
una diffusione dei dati medesimi attraverso siti istituzionali, nonch� il loro 
trattamento secondo modalit� che ne consentono la indicizzazione e la rintracciabilit� 
tramite i motori di ricerca web ed il loro riutilizzo ai sensi dell'articolo 
7 nel rispetto dei principi sul trattamento dei dati personali�. 
Norme sull�evidenza pubblica, pubblicazione e pubblicit� dei bandi 
in materia di affidamento di commesse pubbliche. 
Altro settore interessato da una disciplina sulla trasparenza in specifica 
funzione di prevenzione della corruzione � quello dell�affidamento delle commesse 
pubbliche (con la disciplina generale contenuta nel D.L.vo 18 aprile 
2016, n. 50), ove notevoli sono i poteri di controllo dell�ANAC, di seguito descritti. 
Tanto gli strumenti ordinari di affidamento (contratto di appalto e contratto 
di concessione) quanto quelli semplificati (partenariato pubblico-privato, 
affidamento in house e affidamento a contraente generale) sono caratterizzati 
da una disciplina - in via tendenziale - prevedente la pubblicit� e pubblicazione 
dei bandi e procedure ad evidenza pubblica. 
La trasparenza � un principio che viene richiamato continuamente - con 
il D.L.vo n. 50/2016 - nella materia de qua: � un principio operante nei settori 
esclusi (art. 4); vi � la previsione della pubblicit� dei programmi delle acquisizioni 
delle stazioni appaltanti (art. 21, comma 7); vi � la previsione della trasparenza 
nella partecipazione di portatori di interessi (art. 22); strumento di 
trasparenza � la pubblicit� secondo la disciplina prevista nel D.L.vo n. 33/2013 
(art. 29); la trasparenza � principio base per l�aggiudicazione di appalti e concessioni 
(art. 30); vi � l�obbligo di uso dei mezzi di comunicazione elettronici 
nello svolgimento delle procedure di aggiudicazione (aa. 40 e 52) e la digitalizzazione 
delle procedure (art. 44); la trasparenza � un principio operante nella 
disciplina per conflitti di interesse (art. 42); nell�accesso agli atti (art. 53); 
nella disciplina delle tecniche e strumenti per gli appalti elettronici e aggregati 
(aa. 54-58); nella disciplina di bandi e avvisi (aa. 66-76). 
Al fine della trasparenza delle procedure selettive del contraente l�art. 77 
del D.L.vo n. 50/2016 delinea puntuali requisiti della commissione di aggiudicazione. 
Si richiamano i seguenti aspetti: 
�3. I commissari sono scelti fra gli esperti iscritti all'Albo istituito presso 
l'ANAC di cui all'articolo 78 [�]. Essi sono individuati dalle stazioni appaltanti 
mediante pubblico sorteggio da una lista di candidati costituita da un 
numero di nominativi almeno doppio rispetto a quello dei componenti da nominare 
e comunque nel rispetto del principio di rotazione. Tale lista � comunicata 
dall'ANAC alla stazione appaltante, entro cinque giorni dalla richiesta 
della stazione appaltante. La stazione appaltante pu�, in caso di affidamento 
di contratti di importo inferiore alle soglie di cui all'articolo 35 o per quelli
LEGISLAZIONE ED ATTUALIT� 225 
che non presentano particolare complessit�, nominare componenti interni alla 
stazione appaltante, nel rispetto del principio di rotazione. [�] 
4. I commissari non devono aver svolto n� possono svolgere alcun'altra 
funzione o incarico tecnico o amministrativo relativamente al contratto del 
cui affidamento si tratta. 
5. Coloro che, nel biennio antecedente all'indizione della procedura di 
aggiudicazione, hanno ricoperto cariche di pubblico amministratore, non possono 
essere nominati commissari giudicatori relativamente ai contratti affidati 
dalle Amministrazioni presso le quali hanno esercitato le proprie funzioni 
d'istituto. 
6. Si applicano ai commissari e ai segretari delle commissioni l'articolo 
35-bis del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, l'articolo 51 del codice 
di procedura civile, nonch� l'articolo 42 del presente codice [conflitto di interessi]. 
Sono altres� esclusi da successivi incarichi di commissario coloro 
che, in qualit� di membri delle commissioni giudicatrici, abbiano concorso, 
con dolo o colpa grave accertati in sede giurisdizionale con sentenza non sospesa, 
all'approvazione di atti dichiarati illegittimi.[�]�. 
Disciplina in materia di concorsi pubblici e affidamento degli incarichi. 
Infine, ulteriore tessera della trasparenza � la regola costituzionale (art. 
97, ultimo comma, Cost.) dell�accesso mediante concorso agli impieghi nelle 
PP.AA. (salvo i casi stabiliti dalla legge) e la disciplina dell�affidamento degli 
incarichi. 
La regola del concorso inibisce selezioni fondate sulla conoscenza e fedelt� 
personali. Gli artt. 35 e 35 bis del D.L.vo 30 marzo 2001 n. 165 contengono 
poi - rispettivamente - i principi generali sul reclutamento del personale 
e norme per prevenire il fenomeno della corruzione nella formazione di commissioni 
e nelle assegnazioni degli uffici. Tali disposizioni precisano 
�Le procedure di reclutamento nelle pubbliche amministrazioni si conformano 
ai seguenti principi: a) adeguata pubblicit� della selezione e modalit� 
di svolgimento che garantiscano l'imparzialit� e assicurino economicit� 
e celerit� di espletamento, ricorrendo, ove � opportuno, all'ausilio di sistemi 
automatizzati, diretti anche a realizzare forme di preselezione; b) adozione di 
meccanismi oggettivi e trasparenti, idonei a verificare il possesso dei requisiti 
attitudinali e professionali richiesti in relazione alla posizione da ricoprire; 
c) rispetto delle pari opportunit� tra lavoratrici e lavoratori; d) decentramento 
delle procedure di reclutamento; e) composizione delle commissioni esclusivamente 
con esperti di provata competenza nelle materie di concorso, scelti 
tra funzionari delle amministrazioni, docenti ed estranei alle medesime, che 
non siano componenti dell'organo di direzione politica dell'amministrazione, 
che non ricoprano cariche politiche e che non siano rappresentanti sindacali
226 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2016 
o designati dalle confederazioni ed organizzazioni sindacali o dalle associazioni 
professionali� (art. 35 comma 3). 
�1. Coloro che sono stati condannati, anche con sentenza non passata in 
giudicato, per i reati previsti nel capo I del titolo II del libro secondo del codice 
penale: a) non possono fare parte, anche con compiti di segreteria, di commissioni 
per l'accesso o la selezione a pubblici impieghi; b) non possono essere 
assegnati, anche con funzioni direttive, agli uffici preposti alla gestione 
delle risorse finanziarie, all'acquisizione di beni, servizi e forniture, nonch� 
alla concessione o all'erogazione di sovvenzioni, contributi, sussidi, ausili finanziari 
o attribuzioni di vantaggi economici a soggetti pubblici e privati; c) 
non possono fare parte delle commissioni per la scelta del contraente per l'affidamento 
di lavori, forniture e servizi, per la concessione o l'erogazione di 
sovvenzioni, contributi, sussidi, ausili finanziari, nonch� per l'attribuzione di 
vantaggi economici di qualunque genere. 2. La disposizione prevista al comma 
1 integra le leggi e regolamenti che disciplinano la formazione di commissioni 
e la nomina dei relativi segretari� (art. 35-bis). 
Ad integrazione del quadro delineato l�art. 19 D.L.vo. 14 marzo 2013, n. 
33 sancisce �1. Fermi restando gli altri obblighi di pubblicit� legale, le pubbliche 
amministrazioni pubblicano i bandi di concorso per il reclutamento, a 
qualsiasi titolo, di personale presso l'amministrazione, nonch� i criteri di valutazione 
della Commissione e le tracce delle prove scritte. 2. Le pubbliche 
amministrazioni pubblicano e tengono costantemente aggiornato l'elenco dei 
bandi in corso�. 
L�art. 12 (rubricato: Trasparenza amministrativa nei procedimenti concorsuali) 
del D.P.R. 9 maggio 1994, n. 487 contenente il regolamento recante 
norme sull'accesso agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni e le modalit� 
di svolgimento dei concorsi, dei concorsi unici e delle altre forme di assunzione 
nei pubblici impieghi recita: �1. Le commissioni esaminatrici, alla prima 
riunione, stabiliscono i criteri e le modalit� di valutazione delle prove concorsuali, 
da formalizzare nei relativi verbali, al fine di assegnare i punteggi 
attribuiti alle singole prove. Esse, immediatamente prima dell'inizio di ciascuna 
prova orale, determinano i quesiti da porre ai singoli candidati per ciascuna 
delle materie di esame. Tali quesiti sono proposti a ciascun candidato 
previa estrazione a sorte. 2. Nei concorsi per titoli ed esami il risultato della 
valutazione dei titoli deve essere reso noto agli interessati prima dell'effettuazione 
delle prove orali. [�]�. 
Il Consiglio di Stato ha evidenziato diversi aspetti sul punto. All�uopo si 
richiamano le seguenti massime: 
- il procedimento di concorso per il quale non siano stati predeterminati 
i criteri valutativi delle prove in violazione dell'art. 12 D.P.R. 9 maggio 1994 
n. 487 � illegittimo (sentenza n. 2245/2003); 
- i criteri e le modalit� di valutazione delle prove concorsuali inerenti l'ac-
LEGISLAZIONE ED ATTUALIT� 227 
cesso a pubblici impieghi ed i quesiti da porre a ciascun candidato, in considerazione 
del disposto normativo di cui all'art. 12 del D.P.R. n. 487 del 1994, 
possono essere legittimamente non solo richiamati ed integrati dalla competente 
Commissione di esame nel corso della prima riunione, allorch� siano 
stati predeterminati nell'atto di indicazione del concorso, ma altres� possono 
essere determinati successivamente a tale prima riunione, purch� prima dell'inizio 
dell'effettiva e concreta correzione nonch� valutazione delle prove 
scritte (sentenze n. 8/2011, n. 1390/2007); 
- nei concorsi pubblici la predeterminazione dei criteri di valutazione delle 
prove si connota di un'ampia discrezionalit�, sicch� gli stessi criteri sfuggono 
al sindacato giurisdizionale, salvi i casi di manifesta illogicit� o irrazionalit� 
(sentenze n. 4384/2006, n. 3165/2012, n. 2196/2012, n. 2197/2012, n. 
2198/2012, n. 6863/2011, n. 6864/2011, n. 124/2011, n. 3062/2012, n. 
5905/2010), irragionevolezza, irrazionalit�, arbitrariet� o travisamento dei fatti 
(sentenze n. 1753/2012, n. 1240/2008); sicch� la Commissione pu� graduare 
la rilevanza e l'importanza dei titoli stessi ci� all'evidente fine di rendere concreti, 
attuali e utilizzabili gli stessi criteri del bando (sentenza n. 539/2010); 
- si deve ritenere peculiare ai criteri e alle modalit� di valutazione delle 
prove concorsuali un non eludibile grado di astrattezza, dovendo essere applicati 
tali canoni ad una pluralit� di profili di cui sono espressione gli elaborati 
dei concorrenti. Tuttavia, qualora ai prestabiliti criteri di massima non si raccordino 
puntuali indicatori della misura in cui questi si riflettono sul merito 
della prova (creando un griglia che renda comprensibile la sfera di discrezionalit� 
valutativa esercitata dalla Commissione) il giudizio valutativo espresso 
in soli termini numerici non pu� ritenersi tale da soddisfare la regola della 
congruit� e sufficienza della motivazione, che deve assistere ogni determinazione 
provvedimentale dell'Amministrazione e rendere comprensibile l'iter logico 
osservato (sentenza n. 6228/2008). 
� agevole considerare che la descritta disciplina subisce un vulnus nei 
casi di stabilizzazioni per sanare situazioni di precariato e nei casi di meccanismi 
preselettivi �stupidi� (ossia calibrati sul mero nozionismo avulso dalla 
specifica competenza sulle mansioni oggetto di selezione). 
Nell�affidamento degli incarichi, inoltre, il quadro normativo mira ad evitare 
le consulenze di favore, ossia le prebende ammantate dal conferimento di 
incarico di studio. All�uopo - nell�art. 7 commi 6 e 6 bis del D.L.vo n. 
165/2001 - si dispone che �6. Per esigenze cui non possono far fronte con 
personale in servizio, le amministrazioni pubbliche possono conferire incarichi 
individuali, con contratti di lavoro autonomo, di natura occasionale o coordinata 
e continuativa, ad esperti di particolare e comprovata 
specializzazione anche universitaria, in presenza dei seguenti presupposti di 
legittimit�: a) l'oggetto della prestazione deve corrispondere alle competenze 
attribuite dall'ordinamento all'amministrazione conferente, ad obiettivi e pro-
228 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2016 
getti specifici e determinati e deve risultare coerente con le esigenze di funzionalit� 
dell'amministrazione conferente; b) l'amministrazione deve avere 
preliminarmente accertato l'impossibilit� oggettiva di utilizzare le risorse 
umane disponibili al suo interno; [�] d) devono essere preventivamente determinati 
durata, luogo, oggetto e compenso della collaborazione. [�]. Il ricorso 
a contratti di collaborazione coordinata e continuativa per lo 
svolgimento di funzioni ordinarie o l'utilizzo dei collaboratori come lavoratori 
subordinati � causa di responsabilit� amministrativa per il dirigente che ha 
stipulato i contratti. [�]. 6-bis. Le amministrazioni pubbliche disciplinano e 
rendono pubbliche, secondo i propri ordinamenti, procedure comparative per 
il conferimento degli incarichi di collaborazione�. Gli atti e contratti ora citati 
sono sottoposti al controllo preventivo di legittimit� della Corte dei conti (art. 
3 comma 1 lett. f-bis L. 14 gennaio 1994, n. 20). 
Altra misura funzionale alla regolarit� dell�esercizio di pubbliche funzioni 
� la disciplina in tema incompatibilit�, cumulo di impieghi e incarichi (art. 53 
D.L.vo n. 165/2001). Tra le disposizioni rilevanti richiamiamo: 
- comma 1-bis �Non possono essere conferiti incarichi di direzione di 
strutture deputate alla gestione del personale a soggetti che rivestano o abbiano 
rivestito negli ultimi due anni cariche in partiti politici o in organizzazioni 
sindacali o che abbiano avuto negli ultimi due anni rapporti continuativi 
di collaborazione o di consulenza con le predette organizzazioni�. 
- comma 7 �I dipendenti pubblici non possono svolgere incarichi retribuiti 
che non siano stati conferiti o previamente autorizzati dall'amministrazione 
di appartenenza. Ai fini dell'autorizzazione, l'amministrazione verifica 
l'insussistenza di situazioni, anche potenziali, di conflitto di interessi�. 
- comma 11 �Entro quindici giorni dall'erogazione del compenso per gli 
incarichi di cui al comma 6, i soggetti pubblici o privati comunicano all'amministrazione 
di appartenenza l'ammontare dei compensi erogati ai dipendenti 
pubblici�. 
- comma 16-ter �I dipendenti che, negli ultimi tre anni di servizio, hanno 
esercitato poteri autoritativi o negoziali per conto delle pubbliche amministrazioni 
di cui all'articolo 1, comma 2, non possono svolgere, nei tre anni 
successivi alla cessazione del rapporto di pubblico impiego, attivit� lavorativa 
o professionale presso i soggetti privati destinatari dell'attivit� della pubblica 
amministrazione svolta attraverso i medesimi poteri. I contratti conclusi e gli 
incarichi conferiti in violazione di quanto previsto dal presente comma sono 
nulli ed � fatto divieto ai soggetti privati che li hanno conclusi o conferiti di 
contrattare con le pubbliche amministrazioni per i successivi tre anni con obbligo 
di restituzione dei compensi eventualmente percepiti e accertati ad essi 
riferiti�. Sul punto va richiamato l�orientamento n. 24 del 21 ottobre 2015 
dell�ANAC secondo cui �Le prescrizioni ed i divieti contenuti nell�art. 53, 
comma 16-ter, del d.lgs. 165/2001, che fissa la regola del c.d. pantouflage,
LEGISLAZIONE ED ATTUALIT� 229 
trovano applicazione non solo ai dipendenti che esercitano i poteri autoritativi 
e negoziali per conto della PA, ma anche ai dipendenti che - pur non esercitando 
concretamente ed effettivamente tali poteri - sono tuttavia competenti 
ad elaborare atti endoprocedimentali obbligatori (pareri, certificazioni, perizie) 
che incidono in maniera determinante sul contenuto del provvedimento 
finale, ancorch� redatto e sottoscritto dal funzionario competente�. 
3. (Segue) Presupposti affinch� la disciplina sulla trasparenza possa efficacemente 
operare. 
Va rilevato che lumeggiata normativa sulla trasparenza in tanto pu� condurre 
a risultati efficaci in quanto il contesto normativo, la forma dei provvedimenti 
il contenuto delle sentenze siano adeguati allo scopo. Necessita a tal 
fine:
- un quadro legislativo in materia semplice e chiaro; 
- premesse complete e motivazione esaustiva degli atti amministrativi; 
- motivazione della sentenza esaustiva (ove si giunga a lite). 
Quadro legislativo. 
Leggi chiare, precise, poche, era l�ideologia dell�illuminismo. Tacito evidenzia 
che uno dei sintomi della corruzione della res pubblica � la molteciplit� 
delle leggi. � fin troppo evidente che un testo normativo prolisso, involuto, 
richiamante altre disposizioni (in modo che il quadro della materia risulti da 
varie leggi, come un puzzle) agevola condotte amministrative opache. Pi� 
semplice e chiaro � il quadro normativo, meno facili sono condotte corruttive 
e viceversa. L�attuale quadro normativo prevederebbe strumenti finalizzati alla 
produzione di norme chiare (es. AIR, drafting, etc.). 
Un legiferare semplificato � ovviamente attivit� impegnativa. Pascal nel 
concludere una lettera ad un amico scrisse: �Scusami per la lunghezza della 
lettera, ma non ho avuto il tempo di farla pi� breve�. 
Purtroppo l�attuale quadro legislativo si caratterizza per la scarsa qualit�: 
testi che rinviano ad altri testi, leggi che rinviano - in aspetti qualificanti - a 
regolamenti, fattura sciatta, eccessiva lunghezza. Il nuovo Codice degli Appalti 
(D.L.vo n. 50/2016) deve essere integrato da circa 50 provvedimenti attuativi 
della Presidenza del Consigli dei Ministri, del Ministero delle Infrastrutture, 
dell�ANAC. I principi di unit�, completezza e coerenza nella materia degli appalti 
sono messi a dura prova da tale modo di legiferare. Il Governo non sfrutta 
la possibilit� offerta dall�art. 17-bis L. 23 agosto 1988 n. 400 di adottare testi 
unici compilativi onde semplificare la ricerca del diritto (�attenendosi ai seguenti 
criteri: a) puntuale individuazione del testo vigente delle norme; b) ricognizione 
delle norme abrogate, anche implicitamente, da successive 
disposizioni; c) coordinamento formale del testo delle disposizioni vigenti in 
modo da garantire la coerenza logica e sistematica della normativa; d) rico-
230 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2016 
gnizione delle disposizioni, non inserite nel testo unico, che restano comunque 
in vigore�). Uno specifico ambito ove necessiterebbe ci� � proprio quello 
dell�anticorruzione e della trasparenza, atteso che la disciplina - ancorch� non 
vetusta - � contenuta in varie leggi, peraltro freneticamente modificate. 
Forma del provvedimento. 
Non meno essenziale � l�aspetto formale degli atti della P.A. L�art. 3 della 
L. 7 agosto 1990, n. 241, esige che ogni provvedimento della P.A. indichi 
�presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione 
dell�amministrazione, in relazione alle risultanze dell�istruttoria�. 
Al fine della massima trasparenza � necessario che le premesse di fatto 
degli atti e l�illustrazione delle ragioni giuridiche - specie in quelli aventi riflessi 
economici (ad es. sfocianti poi in transazioni) - siano completi al fine di 
rendere conoscibile il percorso seguito dalla P.A.; � necessario altres� che la 
proposizione grammaticale sia chiara, non ambigua; ci� � quanto viene, tra 
l�altro, evidenziato nella Direttiva sulla semplificazione del linguaggio dei 
testi amministrativi dell�8 maggio 2012 del Dipartimento della funzione pubblica. 
Un testo involuto, prolisso e non chiaro contribuisce, ovviamente, a tentativi 
di corruttela. 
Esaustivit� del contenuto della sentenza. 
Strumentale alla trasparenza ed altres� alla prevenzione della corruzione 
� il requisito della motivazione della sentenza, in ossequio a puntuale previsione 
costituzionale (art. 111, comma 6, Cost.). Sentenze contratte, con motivazione 
succinta, contribuiscono a potenziali comportamenti opachi della P.A. 
Nel �700 Bernardo Tanucci, nella lotta contro la corruzione, ispir� il dispaccio 
del Re del 23 settembre 1774, in base al quale i Tribunali dovevano spiegare 
i motivi sui quali erano appoggiate le decisioni, contro la venalit� della giustizia 
favorita dalla circostanza che le sentenze erano immotivate. 
La motivazione costituisce la descrizione dell�iter logico giuridico seguito 
dal giudice per risolvere la controversia. L�orientamento legislativo recente 
diretto a snellire il contenuto delle motivazioni (art. 132, comma 2, n. 4, c.p.c. 
�la concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione� per 
la sentenza del giudice civile; art. 88, comma 2, lett. d, D.L.vo 2 luglio 2010 
n. 104 �la concisa esposizione dei motivi in fatto e in diritto della decisione, 
anche con invio a precedenti cui intende conformarsi� per la sentenza del giudice 
amministrativo), prescindendo dalla narrativa dei fatti rilevanti, potrebbe 
andare in controtendenza rispetto all�esigenza della massima trasparenza. 
Infine, va auspicato che il Parlamento adotti una legge disciplinante le 
lobby. � importante che il dialogo con i portatori di interessi particolari avvenga 
alla luce del sole. Andrebbe reso pubblico il dibattito alimentato dalle 
lobby, andrebbe resa pubblica l�agenda dei governanti.
LEGISLAZIONE ED ATTUALIT� 231 
4. �Aspetto statico� dell�attivit� rivolta alla prevenzione della corruzione. 
L�evoluzione degli ultimi anni ha condotto alla creazione di un ordinamento 
ad hoc - appositi con soggetti e procedure - mirante a prevenire i fenomeni 
di illegalit� nella P.A. Ci� nell�evidente rilievo che la disciplina ordinaria 
non � sufficiente allo scopo. Potremmo definire tale fenomeno come aspetto 
dinamico dell�attivit� rivolta alla prevenzione della corruzione, distinto dall�aspetto 
statico relativo alla disciplina ordinaria. 
Per disciplina ordinaria intendiamo i meccanismi della responsabilit� dinanzi 
alla Corte dei Conti, della responsabilit� penale (al corpus dei reati contro 
la P.A. aa. 314 - 359 c.p.), della responsabilit� civile, dei controlli ispettivi. 
Agli strumenti della disciplina ordinaria - di recente, con la L. 190/2012 
che ha inserito l�art. 54 bis nel D.L.vo n. 165 citato - si � aggiunta la regolamentazione 
della tutela del dipendente che segnala illeciti; sul punto � intervenuta 
l�ANAC che con la determinazione n. 6 del 28 aprile 2015 ha dettato 
�Linee guida in materia di tutela del dipendente pubblico che segnala illeciti 
(c.d. whistleblower)�. Nella detta determinazione, tra l�altro, si osserva che 
�il procedimento per la gestione delle segnalazioni ha come scopo precipuo 
quello di proteggere la riservatezza dell�identit� del segnalante in ogni propria 
fase (dalla ricezione, alla gestione successiva), anche nei rapporti con i terzi 
cui l�amministrazione o l�A.N.A.C. dovesse rivolgersi per le verifiche o per 
iniziative conseguenti alla segnalazione. Al fine di garantire la tutela della riservatezza 
dell�identit� del segnalante, l�A.N.AC. ritiene che il flusso di gestione 
delle segnalazioni debba avviarsi con l�invio della segnalazione al 
Responsabile della prevenzione della corruzione dell�amministrazione�. 
Ulteriore aggiunta si � avuta con il D.L.vo 8 aprile 2013 n. 39 dettante 
�Disposizioni in materia di inconferibilit� e incompatibilit� di incarichi presso 
le pubbliche amministrazionei e presso gli enti privati in controllo pubblico�. 
Con la disciplina de qua si mira ad allontanare da incarichi dirigenziali interni 
ed esterni ed amministrativi di vertice nelle PP.AA. e da incarichi di amministratore 
di ente orbitante nell�Amm.ne, determinati soggetti nei casi - inconferibilit� 
od incompatibilit� - in cui vi � il dubbio dell�imparzialit�. A termini 
dell�art. 1 comma 1 lettere g) ed h) si intende 
�per �inconferibilit��, la preclusione, permanente o temporanea, a conferire 
gli incarichi previsti dal presente decreto a coloro che abbiano riportato 
condanne penali per i reati previsti dal capo I del titolo II del libro secondo 
del codice penale, a coloro che abbiano svolto incarichi o ricoperto cariche 
in enti di diritto privato regolati o finanziati da pubbliche amministrazioni o 
svolto attivit� professionali a favore di questi ultimi, a coloro che siano stati 
componenti di organi di indirizzo politico; 
per �incompatibilit��, l'obbligo per il soggetto cui viene conferito l'incarico 
di scegliere, a pena di decadenza, entro il termine perentorio di quindici giorni, 
tra la permanenza nell'incarico e l'assunzione e lo svolgimento di incarichi e
232 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2016 
cariche in enti di diritto privato regolati o finanziati dalla pubblica amministrazione 
che conferisce l'incarico, lo svolgimento di attivit� professionali ovvero 
l'assunzione della carica di componente di organi di indirizzo politico�. 
Questa appena descritta potremmo definirla una tutela statica. 
5. �Aspetto dinamico� dell�attivit� rivolta alla prevenzione della corruzione. 
In Italia e nel mondo - vi � una Convenzione dell�ONU contro la corruzione 
richiamata all�inizio della L. n. 190/2012 - il fenomeno della corruzione 
ha assunto un aspetto di tale gravit� da determinare la creazione di strutture e 
apparati ad hoc per combattere, in modo dinamico, l�illegalit� nella Pubblica 
Amministrazione (in Italia abbiamo l�ANAC); ci� accanto alla disciplina statica 
dei doveri di ufficio. 
La corruzione nell�assunzione delle risorse umane, nella gestione delle 
pratiche d�ufficio, nella gestione dei servizi - tra l�altro - ha quale conseguenza: 
- rallentamento, disfunzioni, dispersione ed inefficienza dell�agire della 
P.A. e quindi incongruit� tra mezzo (macchina amministrativa) e fine (tutela 
degli interessi pubblici). Una assunzione clientelare di un dipendente pubblico 
con scarsa preparazione determina una inefficienza a tempo indeterminato; 
- gravissimo danno all�economia e ai conti pubblici. � tristemente noto 
che la conseguenza della corruttela negli appalti pubblici � la lievitazione abnorme 
dei costi per la P.A. (con aumento del deficit del bilancio statale) ed altres� 
un pregiudizio per gli operatori economici atteso che vengono favoriti 
soggetti che non costituiscono i migliori imprenditori sul mercato. 
L�ordinamento ad hoc sulla prevenzione dei fenomeni di illegalit� nella 
P.A. ruota intorno a soggetti e a procedure miratamente destinate alla prevenzione 
della corruzione e dell�illegalit�. 
I soggetti sono: 
- Autorit� Nazionale Anticorruzione (ANAC); 
- organi di indirizzo; 
- il Responsabile della Prevenzione della Corruzione e della Trasparenza 
(RPCT); 
- l�Organismo Indipendente di Valutazione (OIV). 
Autorit� Nazionale Anticorruzione (ANAC). 
L�ANAC - Autorit� Nazionale Anticorruzione, � una amministrazione indipendente 
specificamente incaricata di regolare la materia della prevenzione 
della corruzione e della trasparenza nella P.A. I suoi compiti sono delineati 
nell�art. 1, commi 2 e 4, della L. 6 novembre 2014 n. 190 a termine dei quali: 
�a) collabora con i paritetici organismi stranieri, con le organizzazioni 
regionali ed internazionali competenti; b) adotta il Piano nazionale anticor-
LEGISLAZIONE ED ATTUALIT� 233 
ruzione ai sensi del comma 2-bis; c) analizza le cause e i fattori della corruzione 
e individua gli interventi che ne possono favorire la prevenzione e il 
contrasto; d) esprime parere obbligatorio sugli atti di direttiva e di indirizzo, 
nonch� sulle circolari del Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione 
in materia di conformit� di atti e comportamenti dei funzionari 
pubblici alla legge, ai codici di comportamento e ai contratti, collettivi e individuali, 
regolanti il rapporto di lavoro pubblico; e) esprime pareri facoltativi 
in materia di autorizzazioni, di cui all'articolo 53 del decreto legislativo 30 
marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni, allo svolgimento di incarichi 
esterni da parte dei dirigenti amministrativi dello Stato e degli enti pubblici 
nazionali, con particolare riferimento all'applicazione del comma 16-ter, introdotto 
dal comma 42, lettera l), del presente articolo; f) esercita la vigilanza 
e il controllo sull'effettiva applicazione e sull'efficacia delle misure adottate 
dalle pubbliche amministrazioni ai sensi dei commi 4 e 5 del presente articolo 
e sul rispetto delle regole sulla trasparenza dell'attivit� amministrativa previste 
dai commi da 15 a 36 del presente articolo e dalle altre disposizioni vigenti; 
f-bis) esercita la vigilanza e il controllo sui contratti di cui agli articoli 
17 e seguenti del codice dei contratti pubblici [�] ; g) riferisce al Parlamento, 
presentando una relazione entro il 31 dicembre di ciascun anno, sull'attivit� 
di contrasto della corruzione e dell'illegalit� nella pubblica amministrazione 
e sull'efficacia delle disposizioni vigenti in materia� (art. 1, comma 2); 
�a) coordina l'attuazione delle strategie di prevenzione e contrasto della 
corruzione e dell'illegalit� nella pubblica amministrazione elaborate a livello 
nazionale e internazionale; b) promuove e definisce norme e metodologie comuni 
per la prevenzione della corruzione, coerenti con gli indirizzi, i programmi 
e i progetti internazionali; c) [�]; d) definisce modelli standard delle 
informazioni e dei dati occorrenti per il conseguimento degli obiettivi previsti 
dalla presente legge, secondo modalit� che consentano la loro gestione ed 
analisi informatizzata; e) definisce criteri per assicurare la rotazione dei dirigenti 
nei settori particolarmente esposti alla corruzione e misure per evitare 
sovrapposizioni di funzioni e cumuli di incarichi nominativi in capo ai dirigenti 
pubblici, anche esterni� (art. 1, comma 4). 
Sul punto, il comma 3 dell�art. 1 citato precisa: �Per l'esercizio delle funzioni 
di cui al comma 2, lettera f), l'Autorit� nazionale anticorruzione esercita 
poteri ispettivi mediante richiesta di notizie, informazioni, atti e documenti alle 
pubbliche amministrazioni, e ordina l'adozione di atti o provvedimenti richiesti 
dai piani di cui ai commi 4 e 5 e dalle regole sulla trasparenza dell'attivit� amministrativa 
previste dalle disposizioni vigenti, ovvero la rimozione di comportamenti 
o atti contrastanti con i piani e le regole sulla trasparenza citati�. 
Al fine di delineare il volto dell�ANAC � necessario altres� il richiamo al 
D.L.vo 18 aprile 2016 n. 50 da cui � dato evincere che l�Autorit� ha funzioni 
di regolazione, vigilanza e controllo sui contratti pubblici, agisce anche al fine
234 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2016 
di prevenire e combattere l�illegalit� e la corruzione (art. 213, comma 1), dispone 
di poteri di ispezione (comma 5), di denuncia (comma 6), di sanzione 
verso chi non d� informazioni o documenti (comma 13); d� pareri vincolanti 
(ove le parti acconsentano) di precontenzioso su questioni insorte durante lo 
svolgimento delle procedure di gara e, ove ritenga sussistente un vizio di legittimit� 
in uno degli atti della procedura di gara, invita le stazioni appaltanti 
a provvedere in autotutela, con applicazione - inevaso l�invito - di sanzioni 
amministrative pecuniarie (art. 211, comma 2). L�ANAC dispone di un ampio 
potere regolatorio (es.: artt. 31 comma 5, 36 comma 7, 38 commi 6 e 7, 73 
comma 4, 71, 80 comma 13, 83 comma 2, 84 comma 2, 110 comma 5 lett. b, 
177 comma 3, 197, 213 comma 2). Viene in rilievo, solitamente, un potere 
normativo vincolante avente natura regolamentare; in dati casi tale potere regolatorio 
costituisce un mero atto di indirizzo, non vincolante e disapplicabile 
dalle stazioni appaltanti: cd. soft law (es. art. 71 nel predisporre bandi tipo). 
L�autorit� dispone altres� di poteri di intervento nella fase esecutiva dei contratti. 
L�Autorit� - nelle materie del diritto di accesso civico e di obblighi di 
pubblicit�, trasparenza e diffusione di informazioni da parte delle PP.AA. - 
controlla il rispetto dell�esatto adempimento degli obblighi di pubblicazione, 
ispeziona e d� ordini di procedere alle pubblicazioni rilevanti, controlla l�operato 
del Responsabile della Prevenzione della Corruzione e dell�OIV, denuncia 
illeciti, irroga sanzioni (art. 45 D.L.vo n. 33/2013). 
L�Autorit� vigila sul rispetto della materia della inconferibilit� e incompatibilit� 
di incarichi presso le PP.AA. e presso gli enti privati in controllo 
pubblico, con poteri ispettivi e di accertamento e funzioni consultive su direttive 
e circolari ministeriali (art. 16 D.L.vo n. 39/2013). 
Organi di indirizzo. 
Gli organi di indirizzo nelle amministrazioni e negli enti dispongono di 
competenze rilevanti nel processo di individuazione delle misure di prevenzione 
della corruzione, ossia la nomina del RPCT e l'adozione del Piano Triennale 
di Prevenzione della Corruzione e Trasparenza. 
Responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza. 
Ruolo operativo, per ciascuna pubblica amministrazione, � quello del Responsabile 
della Prevenzione della corruzione e della trasparenza, con potere 
di segnalazione all�organo di indirizzo e all�OIV delle disfunzioni sulla materia 
(art. 1, comma 7, L. n. 190/2012) e di proposta del Piano Triennale di Prevenzione 
della Corruzione e Trasparenza. Tali poteri sono dettagliati nel comma 
10, secondo cui : �[�] provvede anche: a) alla verifica dell'efficace attuazione 
del piano e della sua idoneit�, nonch� a proporre la modifica dello stesso 
quando sono accertate significative violazioni delle prescrizioni ovvero
LEGISLAZIONE ED ATTUALIT� 235 
quando intervengono mutamenti nell'organizzazione o nell'attivit� dell'amministrazione; 
b) alla verifica, d'intesa con il dirigente competente, dell'effettiva 
rotazione degli incarichi negli uffici preposti allo svolgimento delle attivit� 
nel cui ambito � pi� elevato il rischio che siano commessi reati di corruzione; 
c) ad individuare il personale da inserire nei programmi di formazione di cui 
al comma 11�. 
Nella materia del diritto di accesso civico e degli obblighi di pubblicit�, 
trasparenza e diffusione di informazioni da parte delle pubbliche amministrazioni, 
il responsabile per la trasparenza svolge attivit� di controllo sull�adempimento 
degli obblighi di pubblicazione, segnalando le inadempienze 
all�organo di indirizzo politico, all�OIV, all�ANAC e all�ufficio di disciplina 
(art. 43 D.L.vo n. 33/2013). 
Infine, nella materia della inconferibilit� e incompatibilit� di incarichi 
presso le pubbliche amministrazioni e presso gli enti privati in controllo pubblico, 
il Responsabile del Piano anticorruzione �cura, anche attraverso le disposizioni 
del piano anticorruzione, che nell'amministrazione, ente pubblico 
e ente di diritto privato in controllo pubblico siano rispettate le disposizioni 
[�] sulla inconferibilit� e incompatibilit� degli incarichi. A tale fine il responsabile 
contesta all'interessato l'esistenza o l'insorgere delle situazioni di 
inconferibilit� o incompatibilit��, vigila sul rispetto della disciplina in materia, 
segnalando le possibili violazioni all�ANAC, all�Autorit� Antitrust, nonch� 
alla Corte dei Conti (art. 15 D.L.vo n. 39/2013). 
Organismo Indipendente di Valutazione. 
Tale organismo - previsto dall�art. 14 del D.L.vo 27 ottobre 2009 n. 150 
per ogni amministrazione, con attribuzioni generali per la valutazione della 
performance - verifica che i Piani Triennali di Prevenzione della Corruzione 
e Trasparenza siano coerenti con gli obiettivi stabiliti nei documenti di programmazione 
strategico-gestionale e che nella misurazione e valutazione della 
performance si tenga conto degli obiettivi connessi all�anticorruzione e trasparenza; 
inoltre, riferisce all�ANAC sullo stato di attuazione delle misure di 
prevenzione (art. 1, comma 8 bis, L. n. 190/2012). 
Nella materia del diritto di accesso civico e degli obblighi di pubblicit�, 
trasparenza e diffusione di informazioni da parte delle pubbliche amministrazioni, 
l�OIV verifica la coerenza tra il PTCP e il Piano della Performance in 
ordine agli obiettivi (art. 44 D.L.vo n. 33/2013). 
Le procedure tipiche in materia di anticorruzione sono: 
- Piano Nazionale Anticorruzione (PNA); 
- Piano Triennale di Prevenzione della Corruzione e Trasparenza 
(PTPCT); 
- Codice di Comportamento dei dipendenti pubblici.
236 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2016 
Piano nazionale anticorruzione. 
I caratteri del Piano Nazionale Anticorruzione sono delineati nel comma 
2 bis dell�art. 1 della L. n. 190/2012, il quale cos� dispone: �Il Piano nazionale 
anticorruzione � adottato sentiti il Comitato interministeriale di cui al comma 
4 e la Conferenza unificata di cui all'articolo 8, comma 1, del decreto legislativo 
28 agosto 1997, n. 281. Il Piano ha durata triennale ed � aggiornato annualmente. 
Esso costituisce atto di indirizzo per le pubbliche amministrazioni 
di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, 
ai fini dell'adozione dei propri piani triennali di prevenzione della corruzione, 
e per gli altri soggetti di cui all'articolo 2-bis, comma 2, del decreto legislativo 
14 marzo 2013, n. 33, ai fini dell'adozione di misure di prevenzione della corruzione 
integrative di quelle adottate ai sensi del decreto legislativo 8 giugno 
2001, n. 231, anche per assicurare l'attuazione dei compiti di cui al comma 
4, lettera a). Esso, inoltre, anche in relazione alla dimensione e ai diversi settori 
di attivit� degli enti, individua i principali rischi di corruzione e i relativi 
rimedi e contiene l'indicazione di obiettivi, tempi e modalit� di adozione e attuazione 
delle misure di contrasto alla corruzione�. 
A termini dell�art. 3 comma 1-ter D.L.vo n. 33/2013 �l�Autorit� nazionale 
anticorruzione pu�, con il Piano nazionale anticorruzione, nel rispetto 
delle disposizioni del presente decreto, precisare gli obblighi di pubblicazione 
e le relative modalit� di attuazione, in relazione alla natura dei soggetti, alla 
loro dimensione organizzativa e alle attivit� svolte, prevedendo in particolare 
modalit� semplificate per i comuni con popolazione inferiore a 15.000 abitanti, 
per gli ordini e collegi professionali�. 
Il PNA, in quanto atto di indirizzo, contiene indicazioni che impegnano 
le amministrazioni allo svolgimento di attivit� di analisi della realt� amministrativa 
e organizzativa nella quale si svolgono le attivit� di esercizio di funzioni 
pubbliche e di attivit� di pubblico interesse esposte a rischi di corruzione 
e all'adozione di concrete misure di prevenzione della corruzione. Si tratta di 
un modello che contempera l'esigenza di uniformit� nel perseguimento di effettive 
misure di prevenzione della corruzione con l'autonomia organizzativa, 
spesso costituzionalmente garantita, delle amministrazioni nel definire esse 
stesse i caratteri della propria organizzazione e, all'interno di essa, le misure 
organizzative necessarie a prevenire i rischi di corruzione rilevati. 
Il PNA ha il compito di promuovere, presso le amministrazioni pubbliche, 
l'adozione di misure di prevenzione, oggettive e soggettive, della corruzione. 
Le misure di prevenzione oggettiva mirano, attraverso soluzioni 
organizzative, a ridurre ogni spazio possibile all'azione di interessi particolari 
volti all'improprio condizionamento delle decisioni pubbliche. Le misure 
di prevenzione soggettiva mirano a garantire la posizione di 
imparzialit� del funzionario pubblico che partecipa, nei diversi modi previsti 
dall'ordinamento (adozione di atti di indirizzo, adozione di atti di gestione,
LEGISLAZIONE ED ATTUALIT� 237 
compimento di attivit� istruttorie a favore degli uni e degli altri), ad una decisione 
amministrativa. 
In ordine alle azioni e misure per la prevenzione il PNA contiene indicazioni 
specifiche 
- sulle misure della trasparenza 
- sulla rotazione del personale, costituente misura organizzativa preventiva 
finalizzata a limitare il consolidarsi di relazioni che possano alimentare 
dinamiche improprie nella gestione amministrativa, conseguenti alla permanenza 
nel tempo di determinati dipendenti nel medesimo ruolo o funzione. 
L'alternanza riduce il rischio che un dipendente pubblico, occupandosi per 
lungo tempo dello stesso tipo di attivit�, servizi, procedimenti e instaurando 
relazioni sempre con gli stessi utenti, possa essere sottoposto a pressioni 
esterne o possa instaurare rapporti potenzialmente in grado di attivare dinamiche 
inadeguate. 
Con Del. 3 agosto 2016, n. 831 l�Autorit� nazionale anticorruzione ha 
approvato il Piano Nazionale Anticorruzione 2016; con lo stesso - per branche 
di amministrazioni rilevanti (istituzioni scolastiche, tutela e valorizzazione dei 
beni culturali, governo del territorio, sanit�) - vengono delineate le misure preventive. 
Ad es. in ordine alla tutela e valorizzazione dei beni culturali, tra l�altro, 
si prevede che 
- nel procedimento per la dichiarazione di interesse culturale vi sia il monitoraggio 
sui tempi, rotazione degli incarichi, pubblicazione delle schede descrittive; 
- nelle autorizzazioni paesaggistiche vengano individuate le principali 
cause di rischio e i principali eventi rischiosi (es. elevata discrezionalit� tecnica, 
complessit� del processo di autorizzazione che prevede il coinvolgimento 
di pi� amministrazioni, presenza di eventuali interessi privati e nel collegamento 
territoriale tra utente/istante e funzionario/responsabile del procedimento) 
con ipotesi di misure preventive (realizzare sistemi che assicurino la 
trasparenza, il controllo e monitoraggio del procedimento in ogni sua fase; 
misure di rotazione dei funzionari di zona adeguatamente programmate nel 
tempo). 
Piano Triennale di Prevenzione della Corruzione e Trasparenza. 
I connotati del Piano Triennale di Prevenzione della Corruzione e Trasparenza 
sono delineati nei commi 8 e 9 dell�art. 1 della L. n. 190/2012, i quali 
recitano �L'organo di indirizzo definisce gli obiettivi strategici in materia di 
prevenzione della corruzione e trasparenza, che costituiscono contenuto necessario 
dei documenti di programmazione strategico-gestionale e del Piano 
triennale per la prevenzione della corruzione. L'organo di indirizzo adotta il 
Piano triennale per la prevenzione della corruzione su proposta del Responsabile 
della prevenzione della corruzione e della trasparenza entro il 31 gen-
238 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2016 
naio di ogni anno e ne cura la trasmissione all'Autorit� nazionale anticorruzione. 
Negli enti locali il piano � approvato dalla giunta. L'attivit� di elaborazione 
del piano non pu� essere affidata a soggetti estranei all'amministrazione. 
Il responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza, entro 
lo stesso termine, definisce procedure appropriate per selezionare e formare, 
ai sensi del comma 10, i dipendenti destinati ad operare in settori particolarmente 
esposti alla corruzione. Le attivit� a rischio di corruzione devono essere 
svolte, ove possibile, dal personale di cui al comma 11 [formato dalla SSPA]� 
(comma 8). �Il piano di cui al comma 5 risponde alle seguenti esigenze: a) 
individuare le attivit�, tra le quali quelle di cui al comma 16, anche ulteriori 
rispetto a quelle indicate nel Piano nazionale anticorruzione, nell'ambito delle 
quali � pi� elevato il rischio di corruzione, e le relative misure di contrasto, 
anche raccogliendo le proposte dei dirigenti, elaborate nell'esercizio delle 
competenze previste dall'articolo 16, comma 1, lettera a-bis), del decreto legislativo 
30 marzo 2001, n. 165; b) prevedere, per le attivit� individuate ai 
sensi della lettera a), meccanismi di formazione, attuazione e controllo delle 
decisioni idonei a prevenire il rischio di corruzione; c) prevedere, con particolare 
riguardo alle attivit� individuate ai sensi della lettera a), obblighi di 
informazione nei confronti del responsabile, individuato ai sensi del comma 
7, chiamato a vigilare sul funzionamento e sull'osservanza del piano; d) definire 
le modalit� di monitoraggio del rispetto dei termini, previsti dalla legge 
o dai regolamenti, per la conclusione dei procedimenti; e) definire le modalit� 
di monitoraggio dei rapporti tra l'amministrazione e i soggetti che con la stessa 
stipulano contratti o che sono interessati a procedimenti di autorizzazione, 
concessione o erogazione di vantaggi economici di qualunque genere, anche 
verificando eventuali relazioni di parentela o affinit� sussistenti tra i titolari, 
gli amministratori, i soci e i dipendenti degli stessi soggetti e i dirigenti e i dipendenti 
dell'amministrazione; f) individuare specifici obblighi di trasparenza 
ulteriori rispetto a quelli previsti da disposizioni di legge� (comma 9). 
All'interno del PTPC sono confluiti i contenuti del Programma Triennale 
per la trasparenza e l�integrit� (PTTI), sicch� i PTPC dovranno contenere l'apposita 
sezione in cui sono indicati i responsabili della trasmissione e della pubblicazione 
dei documenti, delle informazioni e dei dati ai sensi del D.L.vo 
33/2013, come previsto dall'art. 10, co. 1, del medesimo decreto. 
Codice di comportamento. 
In ordine alla deontologia e agli obblighi giuridici del pubblico dipendente 
va richiamato il Codice di Comportamento. 
All�uopo l�art. 54 del D.L.vo 30 marzo 2001, n. 165 recita: �1. Il Governo 
definisce un codice di comportamento dei dipendenti delle pubbliche 
amministrazioni al fine di assicurare la qualit� dei servizi, la prevenzione 
dei fenomeni di corruzione, il rispetto dei doveri costituzionali di diligenza,
LEGISLAZIONE ED ATTUALIT� 239 
lealt�, imparzialit� e servizio esclusivo alla cura dell'interesse pubblico. Il 
codice contiene una specifica sezione dedicata ai doveri dei dirigenti, articolati 
in relazione alle funzioni attribuite, e comunque prevede per tutti i dipendenti 
pubblici il divieto di chiedere o di accettare, a qualsiasi titolo, 
compensi, regali o altre utilit�, in connessione con l'espletamento delle proprie 
funzioni o dei compiti affidati, fatti salvi i regali d'uso, purch� di modico 
valore e nei limiti delle normali relazioni di cortesia. 2. Il codice, approvato 
con decreto del Presidente della Repubblica, previa deliberazione del Consiglio 
dei Ministri, su proposta del Ministro per la pubblica amministrazione 
e la semplificazione, previa intesa in sede di Conferenza unificata, � pubblicato 
nella Gazzetta Ufficiale e consegnato al dipendente, che lo sottoscrive 
all'atto dell'assunzione. 3. La violazione dei doveri contenuti nel codice di 
comportamento, compresi quelli relativi all'attuazione del Piano di prevenzione 
della corruzione, � fonte di responsabilit� disciplinare. La violazione 
dei doveri � altres� rilevante ai fini della responsabilit� civile, amministrativa 
e contabile ogniqualvolta le stesse responsabilit� siano collegate alla violazione 
di doveri, obblighi, leggi o regolamenti. Violazioni gravi o reiterate del 
codice comportano l'applicazione della sanzione di cui all'articolo 55-quater, 
comma 1. 4. Per ciascuna magistratura e per l'Avvocatura dello Stato, gli 
organi delle associazioni di categoria adottano un codice etico a cui devono 
aderire gli appartenenti alla magistratura interessata. In caso di inerzia, il 
codice � adottato dall'organo di autogoverno. 5. Ciascuna pubblica amministrazione 
definisce, con procedura aperta alla partecipazione e previo parere 
obbligatorio del proprio organismo indipendente di valutazione, un 
proprio codice di comportamento che integra e specifica il codice di comportamento 
di cui al comma 1. Al codice di comportamento di cui al presente 
comma si applicano le disposizioni del comma 3. [..] 6. Sull'applicazione dei 
codici di cui al presente articolo vigilano i dirigenti responsabili di ciascuna 
struttura, le strutture di controllo interno e gli uffici di disciplina. 7. Le pubbliche 
amministrazioni verificano annualmente lo stato di applicazione dei 
codici e organizzano attivit� di formazione del personale per la conoscenza 
e la corretta applicazione degli stessi�. 
In attuazione di tale norma � stato adottato il D.P.R. 16 aprile 2013 n. 62 
contenente il Codice di Comportamento dei dipendenti pubblici. 
Procedure speciali sono, poi, delineate in varie parti del sistema. 
Nella materia delle commesse pubbliche vi � la previsione del rating 
di legalit� nella qualificazione delle imprese, con penalit� e premialit�, criteri 
reputazionali per l�affidabilit� delle imprese (a mezzo di linee guida 
ANAC); l�ANAC, poi, pu� applicare sanzioni ove non denunciate corruzione 
ed estorsione. 
Sempre nella materia delle commesse pubbliche � possibile attivare la vigilanza 
collaborativa tra stazioni appaltanti ed ANAC. 
240 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2016 
L�art. 4 del Regolamento in materia di attivit� di vigilanza e di accertamenti 
ispettivi dell�ANAC del 9 dicembre 2014, dispone che le stazioni appaltanti 
possono chiedere all�Autorit� di svolgere un�attivit� di vigilanza, 
anche preventiva, finalizzata a verificare la conformit� degli atti di gara alla 
normativa di settore, all�individuazione di clausole e condizioni idonee a prevenire 
tentativi di infiltrazione criminale, nonch� al monitoraggio dello svolgimento 
della procedura di gara e dell�esecuzione dell�appalto. Il medesimo 
art. 4 del citato Regolamento in materia di attivit� di vigilanza e di accertamenti 
ispettivi dell�Autorit� individua ai commi 2 e 3 specifici presupposti 
per l�attivazione della vigilanza collaborativa che, in quanto forma particolare 
di verifica di carattere prevalentemente preventivo, per essere esercitata efficacemente, 
non pu� rivolgersi alla totalit� degli appalti indetti da una stazione 
appaltante, ma deve incentrarsi su particolari specifici casi ad alto rischio di 
corruzione. L�attivit� di vigilanza esercitata ai sensi dell�art. 4 del citato Regolamento 
� volta a rafforzare ed assicurare la correttezza e la trasparenza 
delle procedure di affidamento poste in essere dalle stazioni appaltanti, a ridurre 
il rischio di contenzioso in corso di esecuzione, con efficacia dissuasiva 
di ulteriori condotte corruttive o comunque contrastanti con le disposizioni di 
settore. Il Regolamento di vigilanza, ai commi 2 e 3 sopra richiamati, individua 
quattro ipotesi in cui la vigilanza collaborativa pu� essere richiesta dalle stazioni 
appaltanti: a) programmi straordinari di interventi in occasione di grandi 
eventi di carattere sportivo, religioso, culturale o a contenuto economico ovvero 
a seguito di calamit� naturali; b) programmi di interventi realizzati mediante 
investimenti di fondi comunitari; e) contratti di lavori, servizi e forniture 
di notevole rilevanza economica e/o che abbiano impatto sull�intero territorio 
nazionale, nonch� interventi di realizzazione di grandi infrastrutture strategiche; 
d) procedure di approvvigionamento di beni e servizi svolte da centrali 
di committenza o da altri soggetti aggregatori. 
6. Gestione informatica dei dati. 
Essenziale rispetto a tutto quanto delineato � la gestione informatica dei dati. 
Tra cento anni la problematica ora evidenziata non sussister� pi�, atteso 
che l�agire informatico sar� l�agire ordinario e il dato rilevante nascer� gi� 
pubblico e trasparente. 
In questa fase di passaggio, l�agire informatico costituisce una sovrastruttura 
rilevante. 
Occorre quindi fare un cenno agli aspetti relativi alla formazione, gestione 
e conservazione del dato, alla reingegnerizzazione dei processi e al workflow 
management. 
Il Codice dell�Amministrazione digitale contiene una puntuale disciplina 
in ordine alla formazione, gestione e conservazione del dato (aa. 40 e ss. del 
D.L.vo 7 marzo 2005 n. 82 cit.).
LEGISLAZIONE ED ATTUALIT� 241 
Tali norme dispongono: 
�1. Le pubbliche amministrazioni formano gli originali dei propri documenti, 
inclusi quelli inerenti ad albi, elenchi e pubblici registri, con mezzi informatici 
secondo le disposizioni di cui al presente codice e le regole tecniche 
di cui all'articolo 71� (art. 40). 
�1. Formano comunque oggetto di registrazione di protocollo ai sensi 
dell'articolo 53 del decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, 
n. 445, le comunicazioni che pervengono o sono inviate dalle caselle di posta 
elettronica di cui agli articoli 6-ter, comma 1, 47, commi 1 e 3, nonch� le 
istanze e le dichiarazioni di cui all'articolo 65 in conformit� alle regole tecniche 
di cui all'articolo 71� (art. 40-bis). 
�1. Le pubbliche amministrazioni gestiscono i procedimenti amministrativi 
utilizzando le tecnologie dell'informazione e della comunicazione. Per ciascun 
procedimento amministrativo di loro competenza, esse forniscono gli 
opportuni servizi di interoperabilit� e cooperazione applicativa, ai sensi di 
quanto previsto dall'articolo 12, comma 2. 2. La pubblica amministrazione titolare 
del procedimento raccoglie in un fascicolo informatico gli atti, i documenti 
e i dati del procedimento medesimo da chiunque formati; all'atto della 
comunicazione dell'avvio del procedimento ai sensi dell'articolo 8 della legge 
7 agosto 1990, n. 241, comunica agli interessati le modalit� per esercitare in 
via telematica i diritti di cui all'articolo 10 della citata legge 7 agosto 1990, 
n. 241. 2-bis. Il fascicolo informatico � realizzato garantendo la possibilit� di 
essere direttamente consultato ed alimentato da tutte le amministrazioni coinvolte 
nel procedimento. [�]. Il fascicolo informatico reca l'indicazione: a) 
dell'amministrazione titolare del procedimento, che cura la costituzione e la 
gestione del fascicolo medesimo; b) delle altre amministrazioni partecipanti; 
c) del responsabile del procedimento; d) dell'oggetto del procedimento; e) dell'elenco 
dei documenti contenuti, salvo quanto disposto dal comma 2-quater; 
e-bis) dell'identificativo del fascicolo medesimo. 2-quater. Il fascicolo informatico 
pu� contenere aree a cui hanno accesso solo l'amministrazione titolare 
e gli altri soggetti da essa individuati; esso � formato in modo da garantire la 
corretta collocazione, la facile reperibilit� e la collegabilit�, in relazione al 
contenuto ed alle finalit�, dei singoli documenti; � inoltre costituito in modo 
da garantire l'esercizio in via telematica dei diritti previsti dalla citata legge 
n. 241 del 1990� (art. 41). 
�1. Le pubbliche amministrazioni valutano in termini di rapporto tra costi 
e benefici il recupero su supporto informatico dei documenti e degli atti cartacei 
dei quali sia obbligatoria o opportuna la conservazione e provvedono 
alla predisposizione dei conseguenti piani di sostituzione degli archivi cartacei 
con archivi informatici, nel rispetto delle regole tecniche adottate ai sensi dell'articolo 
71� (art. 42). 
�[�] Il sistema di gestione e conservazione dei documenti informatici �
242 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2016 
gestito da un responsabile che opera d'intesa con il dirigente dell'ufficio di cui 
all'articolo 17 del presente Codice, il responsabile del trattamento dei dati 
personali di cui all'articolo 29 del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, 
ove nominato, e con il responsabile del sistema della conservazione dei documenti 
informatici, nella definizione e gestione delle attivit� di rispettiva competenza. 
Almeno una volta all'anno il responsabile della gestione dei 
documenti informatici provvede a trasmettere al sistema di conservazione i fascicoli 
e le serie documentarie anche relative a procedimenti conclusi. 1-ter. 
Il responsabile della conservazione pu� chiedere la conservazione dei documenti 
informatici o la certificazione della conformit� del relativo processo di 
conservazione a quanto stabilito nel presente articolo ad altri soggetti, pubblici 
o privati, che offrono idonee garanzie organizzative e tecnologiche� (art. 44). 
La formazione, gestione e conservazione del dato costituisce - in questa 
fase di passaggio - l�esito della reingegnerizzazione, del ridisegno complessivo 
dei processi della Pubblica Amministrazione, partendo dalla missione e dalle 
strategie ed agendo contestualmente su tutte le componenti dei processi stessi. 
La reingegnerizzazione dei processi � una modalit� di cambiamento di una organizzazione 
caratterizzata schematicamente dai seguenti elementi: 
- interviene - a mezzo di tecnologie - su uno o pi� processi di servizio tra 
loro correlati; 
- � guidata dagli obiettivi strategici dell'organizzazione; 
- non � vincolata, nell'individuazione delle nuove soluzioni, dalla situazione 
esistente, ma mira ad un cambiamento radicale; 
- opera in maniera integrata su tutte le componenti del processo; 
- � verificata attraverso un sistema di metriche. 
Deve essere, quindi, effettuata una diagnosi volta ad individuare le aree 
di criticit� e di possibile miglioramento (attivit� a nullo o scarso valore aggiunto 
che possono essere eliminate, flussi operativi irrazionali, frammentazione 
di responsabilit� e operativit�, logistica, carenze informative�) e a 
definire i valori obiettivo in termini di metriche di prestazione. Sulla base di 
tale diagnosi viene effettuata la vera e propria riprogettazione che, interverr� 
in genere su tutte le componenti, dando origine a un insieme di interventi operativi 
tra loro correlati (ridefinizione dei flussi, ridistribuzione delle responsabilit�, 
realizzazione di nuovi sistemi informativi e utilizzo di nuove tecnologie, 
formazione e incentivazione del personale, ...). 
Nell�agire informatico il workflow management costituisce una tecnica 
per la massimizzazione del prodotto dell�organizzazione. Ogni struttura - nel 
contesto dato - tende a creare le tecniche per semplificarsi la vita. Per buona 
parte del Novecento (fino agli anni�70) � stato in uso nella P.A. il ciclostile, 
ossia quel sistema di stampa meccanico per produrre manualmente modelli 
standard da adattare alla bisogna. 
La teoria e le applicazioni del workflow management promuovono la ge-
LEGISLAZIONE ED ATTUALIT� 243 
stione dei gruppi di lavoro collaborativi. Il workflow management sostiene 
l'organizzazione del processo di lavoro mediante l'utilizzo di software specifici. 
Le attivit� possono essere svolte dai partecipanti o da applicazioni informatiche. 
I vantaggi di tali applicazioni sono cos� sintetizzati: 
- incremento dell'efficienza (l'automazione di molti processi determina 
l'eliminazione dei passi non necessari); 
- migliore controllo del processo, mediante la standardizzazione dei metodi 
di lavoro; 
- flessibilit� (il controllo del software sul processo di lavoro pu� essere 
programmato in base alle esigenze). 
In tali sistemi risulta centrale il ruolo di presentazione, conservazione e 
condivisione della conoscenza che nasce dalle forme di workflow collaborativo. 
Le conoscenze individuali, per essere utili in un gruppo di lavoro, devono 
essere archiviate nel sistema e contenere metainformazioni che ne permettano 
il reperimento. 
I workflow management systems sono realizzati come veri e propri programmi 
software (workflow engine) da installare sui computer dei collaboratori. 
Molti vantaggi del workflow management sono dovuti soprattutto 
all'utilizzo della rete Internet per il mantenimento e l'organizzazione dei contatti, 
soprattutto quando il gruppo di lavoro � vasto e disperso nello spazio.
244 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2016 
La successione degli Enti Pubblici: il caso controverso 
del Commissario delegato per l�emergenza 
ambientale nel territorio della Regione Calabria 
Daniele Sisca* 
SOMMARIO: 1. Inquadramento generale - 2. Le ricadute processuali della successione 
tra enti - 3. I Commissari delegati. Natura e funzioni - 4. Il Commissario delegato per l�emergenza 
ambientale nel territorio della Regione Calabria. Problematiche emerse in tema di 
successione dei relativi rapporti - 5. La sentenza della Corte Costituzionale n. 8 del 21 gennaio 
2016 - 6. Gli orientamenti giurisprudenziali successivamente formatisi. 
1. Inquadramento generale. 
La tematica della successione fra Enti pubblici � da sempre oggetto di acceso 
dibattito sia dottrinale che giurisprudenziale, ci� per via dei diversi profili 
problematici che vengono in rilievo ogni qualvolta si verifica un fenomeno 
successorio dell�ente a seguito della sua estinzione o della modificazione del 
suo assetto organizzativo. 
Preliminarmente, occorre individuare le ipotesi e le diverse forme di successione 
tra gli enti pubblici, tenendo presente il diverso atteggiarsi del fenomeno 
successorio con riguardo ai soggetti privati (siano essi persone fisiche 
o giuridiche) e con riguardo, di converso, agli enti pubblici. 
Nel primo caso, non sembrano sorgere particolari dubbi interpretativi in 
ordine all�applicabilit� dell�art. 110 c.p.c. e alla conseguente configurabilit� 
di un rapporto successorio in universum jus, essendo l�estinzione dell�ente assimilabile 
alla morte della persona fisica. Nel secondo caso, invece, il fenomeno 
successorio si manifesta in maniera del tutto peculiare, che non sempre 
� riconducibile alla successione universum jus (1). 
A complicare ulteriormente il tema si pone, peraltro, la questione della 
controversa individuazione dei criteri da elevare a parametri di riferimento ai 
fini dell�esatta individuazione della vicenda successoria tra enti pubblici. 
Secondo alcuni (2), sarebbe lo scopo l�elemento che determinerebbe la 
successione del nuovo ente nei rapporti gi� facenti capo a quello estinto; secondo 
altri (3), di converso - soltanto se all�estinzione si accompagna il tra- 
(*) Dottore in Giurisprudenza, ammesso alla pratica forense presso l�Avvocatura dello Stato di Catanzaro. 
(1) CORAGGIO, Successione degli Enti Pubblici, in Enc. Giur. Trecc., vol. XXX, Roma 1998; MEZZOTERO 
- ROMEI, Il Patrocinio della Pubblica Amministrazione, p. 226. 
(2) ALESSI, In tema di successione delle persone giuridiche, con particolare riguardo agli enti 
pubblici, in Arch. Giur., 1944, p. 209; FERRARA, Le persone giuridiche, in Tratt. Vasalli, Torino, 1938. 
(3) VIGNOCCHI, Successione tra enti pubblici, in Nuoviss. Dig. It., XVIII, Torino, 1971.
LEGISLAZIONE ED ATTUALIT� 245 
sferimento della struttura organizzativa - � possibile ammettere la successione 
delle situazioni soggettive dal vecchio al nuovo ente (4). 
Entrambe queste tesi, tuttavia, non persuadono, sembrando pi� corretta 
la soluzione c.d. casistica, secondo cui occorre far riferimento ai singoli provvedimenti 
che di volta in volta hanno ad oggetto la modificazione o l�estinzione 
dell�ente pubblico (5). 
Tale soluzione, peraltro, � accolta dalla Suprema Corte, che ha affermato: 
�La costituzione in ente avente personalit� giuridica di diritto pubblico dell�azienda 
Policlinico Umberto I � stata effettuata per la prima volta col d.l. n. 
341 del 1999, conv. con modifiche nella l. n. 453 del 1999. Deriva da quanto 
precede, pertanto, non avendo tale decreto disposto una successione a carattere 
universale della neoistituita azienda rispetto all�omonima azienda universitaria, 
che i rapporti derivanti, in precedenza, dall�utilizzazione di tale 
struttura sanitaria potevano legittimamente essere riferiti all�Universit� La 
Sapienza di Roma della quale il Policlinico costituiva parte integrante, sebbene 
dotato di autonomia organizzativa, gestionale e contabile� (6). 
In linea generale, le vicende riguardanti il fenomeno successorio si sostanziano: 
1) nella soppressione dell�ente; 2) nel passaggio delle sue funzioni ad altro 
ente; oppure, 3) nello scorporo di un suo settore e nel trasferimento ad altro ente. 
Il fenomeno successorio, quindi, � strettamente collegato alla modificazione 
dell�assetto organizzativo dell�ente pubblico, con la conseguenza che il 
relativo presupposto � l�emanazione di un atto legislativo o regolamentare che 
ne disponga la sua costituzione, modificazione o estinzione (7). 
2. Ricadute processuali della successione tra enti. 
Particolarmente rilevanti sono gli effetti ricollegabili alla successione 
tra enti pubblici sul piano processuale (in modo particolare per quanto concerne 
la legittimatio ad causam e, nel caso delle Amministrazioni erariali, 
lo jus postulandi) (8). 
Sul fronte della individuazione dell�ente cui spetta la legittimatio ad causam, 
occorre prendere le mosse dalla distinzione tra la soppressione dell�ente 
(estinzione) o il suo trasferimento (della funzione totale o parziale) in capo ad 
altro ente. 
(4) MEZZOTERO - ROMEI, op. cit., p. 228. 
(5) CANNADIA - BARTOLI, Note sulla secessione degli enti autarchici, in Riv. Dir. Pubbl., 1948, p. 
651; VIGNOCCHI, Nuovi spunti in tema di successione fra enti pubblici, in Rass. Dir. Pubbl., 1972, pp. 
25 e ss. 
(6) Cass. civ., sez. I, 9 giugno 2014, n. 12946, in banca dati De Jure. 
(7) BERTOLANI, Lineamenti in tema di successione di enti pubblici, in Arch. giur., 1983, pp. 272 e 
ss.; MIELE, La successione fra enti pubblici, in Giur. Compl. Cass. civ., 1945, pp. 703 e ss.; SANTI ROMANO, 
L�ordinamento giuridico, Firenze, 1922, pp. 180 e ss.; MEZZOTERO - ROMEI, op. cit., p. 227. 
(8) MEZZOTERO - ROMEI, op. cit., pp. 229 e ss.
246 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2016 
Nel primo caso, si potrebbero verificare a sua volta due ipotesi: se permangono 
le finalit� dell�ente (o meglio se la legge o l�atto amministrativo che 
ha disposto la soppressione ha considerato il permanere delle finalit� dell�ente 
ed il loro trasferimento ad altro soggetto) unitamente al passaggio, sia pure 
parziale, delle strutture e del complesso delle posizioni giuridiche facenti capo 
all�ente soppresso, si verifica anche la successione in �universum ius� di tutti 
i rapporti giuridici che facevano capo all�ente soppresso; di converso, tale successione 
avviene a titolo particolare se la cessazione dell�ente sia stata disposta 
�previa liquidazione�, sicch�, in tale ultima evenienza, il liquidatore non assume 
alcuna diretta responsabilit� patrimoniale per le obbligazioni contratte 
dal soggetto estinto (9). 
L�estinzione del munus comporta, infatti, o l�estinzione (10) dell�ente - 
con conseguente sua liquidazione patrimoniale - oppure la sua privatizzazione. 
In entrambi i casi non pu� parlarsi di successione in senso proprio, ma soltanto 
di estinzione del soggetto. Nel caso in cui le finalit� dell�ente permangono, il 
munus si trasferisce ad un distinto soggetto giuridico; in queste ipotesi, al fine 
di determinare se si sia verificata o meno una successione in universum jus, 
occorrer� fare riferimento, come detto, alle singole norme (primarie o secondarie) 
disciplinanti la creazione del nuovo ente (11). 
Se all�istituzione dell�ente successore non corrisponda, invece, la soppressione 
dell�ente originario, in tal caso non si verificher� una successione 
universale, ma soltanto una successione particolare tra enti pubblici. 
Inoltre, va precisato che in situazioni corrispondenti a riassetti di apparati 
organizzativi necessari della pubblica amministrazione - qual � l�apparato che 
vede coinvolta in via diretta l�attuazione dei principi di buon andamento e di 
imparzialit� ai sensi dell�art. 97 Cost. - viene in rilievo non una successione a 
titolo universale nel senso proprio del termine, ma una successione nel munus; 
in sostanza, per tali ipotesi si realizza un fenomeno di natura pubblicistica che 
si sostanzia nel passaggio di attribuzioni tra Amministrazioni pubbliche, con 
trasferimento della titolarit� sia delle strutture burocratiche sia dei rapporti 
amministrativi pendenti, ma senza una vera soluzione di continuit�, quanto 
piuttosto con una successione contraddistinta da una stretta linea di continuit� 
tra l�ente che si estingue e l�ente che subentra (12). 
(9) Cfr., di recente, Cass. Civ., sez. lav., 27 aprile 2016 n. 8377, in banca dati De Jure. Nel caso 
di specie, la Suprema Corte ha cassato la sentenza di appello affermando che l�I.N.P.S., essendo subentrato, 
in forza dell�art. 19, l. n. 724 del 1994 e dell�art. 9-sexies, l. n. 608 del 1996, di conversione con 
modif. del d.l. n. 510 del 1996, nei rapporti facenti capo al Servizio Contributi Agricoli Unificati, era 
legittimato ad avvalersi dell�effetto interruttivo della prescrizione dei contributi a seguito del verbale di 
constatazione di illecito amministrativo effettuato dall�ente soppresso. 
(10) In via di principio, la soppressione ex lege di un ente pubblico e la successione allo stesso di 
un altro ente integra un fenomeno equiparabile alla morte o alla perdita della capacit� di stare in giudizio 
della persona fisica. 
(11) Cfr., MEZZOTERO - ROMEI, op. cit., pp. 229 e ss.
LEGISLAZIONE ED ATTUALIT� 247 
Esplicita, in tal senso, � una decisione del Supremo Consesso di giustizia 
amministrativa (13), nella quale si sostiene che la successione nel �munus� 
fra pubbliche amministrazioni � il fenomeno di natura pubblicistica che si concretizza 
nel passaggio di attribuzioni fra le amministrazioni medesime, con 
trasferimento della titolarit� sia delle strutture burocratiche che dei rapporti 
amministrativi pendenti ma senza una vera soluzione di continuit�. 
Qualora l�ente estinto sia ammesso allo jus postulandi dell�Avvocatura 
dello Stato, non sembrano sussistere dubbi sul fatto che la cessazione delle 
competenze dell�ente soppresso - con subentro nelle stesse di soggetto non 
rientrante nel novero di quelli elencati dagli artt. 1 e 43, r.d. n. 1611/1933 (con 
conseguente inapplicabilit� della disciplina relativa al patrocinio dell�Avvocatura 
dello Stato) - comporta il venir meno dello jus postulandi del difensore 
erariale, dando luogo ad una fattispecie di impedimento del procuratore per 
factum principis, riconducibile alla previsione dell�art. 301, comma 1, c.p.c., 
in quanto non equiparabile alle ipotesi di revoca della procura o di rinunzia 
alla stessa di cui al comma 3 dell�art. 301 c.p.c., essendo indipendente dalla 
volont� sia della parte sia del procuratore (14). 
3. I Commissari delegati. Natura e funzioni. 
Nel nostro ordinamento, il potere sostitutivo del Governo (volto a fronteggiare 
eventi eccezionali che non possono essere gestiti con i normali strumenti 
operativi a disposizione degli enti a cui il compito � affidato) ha 
acquisito sempre maggiore rilievo e importanza. Le strutture commissariali 
che si insediano nei territori locali sono, infatti, un fenomeno sempre pi� frequente, 
vuoi per una cattiva gestione nella risoluzione di problematiche inerenti 
i pubblici servizi (si vedano a riguardo i diversi Commissari insediati per 
il superamento dello stato di emergenza in materia di gestione e smaltimento 
dei rifiuti solidi urbani), vuoi per la situazione economica disastrosa che incombe 
in alcuni settori pubblici (si vedano i Commissari per l�attuazione del 
Piano di rientro dai disavanzi del settore sanitario) (15), o ancora, in casi meno 
frequenti, per fronteggiare situazioni del tutto particolari (si veda il Commissario 
delegato per il superamento dell�emergenza �Costa Concordia� sull�Isola 
del Giglio (16) o i Commissari nominati a seguito di alluvioni (17), 
terremoti (18) o altre calamit� naturali). 
(12) Cfr., Cons. St., sez. III, 1 aprile 2016, n. 1310, in banca dati De Jure. 
(13) Cfr., Cons. St., sez. VI, 24 novembre 2015, n. 5329, in banca dati De Jure. 
(14) Cos� in MEZZOTERO - ROMEI, op. cit., p. 223; Cass. civ., sez. lav., 23 gennaio 1998, n. 641, in 
Giust. Civ. Mass., 1998, p. 1805. 
(15) Attualmente sono quattro le regioni Italiane in cui il Governo si � sostituito agli enti regionali 
nominando un Commissario ad acta per l�attuazione del Piano di rientro dai disavanzi del settore sanitario 
(Abruzzo, Campania, Molise e Calabria). 
(16) Con O.P.C.M. n. 3998/2012 (in www.pa.leggiditalia.it) veniva nominato Commissario dele-
248 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2016 
L�origine delle gestioni commissariali � sicuramente rinvenibile nell�art. 
120, comma 2, Cost. (19) che ha trovato attuazione nella l. 24 febbraio 1992, 
n. 225 (�Istituzione del Servizio Nazionale della Protezione Civile� ), la quale 
prevede e disciplina le ipotesi di deliberazione dello stato di emergenza e la 
conseguente nomina del Commissario delegato da parte del Consiglio dei Ministri, 
su proposta del Presidente del Consiglio dei Ministri, formulata anche 
su richiesta del Presidente della regione interessata e comunque acquisitane 
l�intesa (20). 
Detta legge fissa anche i compiti e il contenuto della delega da parte del 
Governo, stabilendo che il soggetto delegato � competente a coordinare gli 
interventi, conseguenti all�evento, che si rendono necessari successivamente 
alla scadenza del termine di durata dello stato di emergenza, attribuendo, poi, 
poteri derogatori in materia di affidamento di lavori pubblici e di acquisizione 
di beni e servizi; inoltre, ad esso � intestata la contabilit� speciale appositamente 
aperta per l�emergenza in questione e per la prosecuzione della gestione 
operativa della stessa, per un periodo di tempo determinato ai fini del 
completamento degli interventi previsti dalle ordinanze adottate ai fini di 
fronteggiare l�emergenza. 
In merito alla sua natura, bisogna premettere che la struttura commissariale 
resta pienamente autonoma e distinta (anche, ovviamente, sul piano della 
legittimazione processuale) sia dagli enti territoriali competenti che dalla Presidenza 
del Consiglio dei Ministri e dai Ministeri competenti. Il Commissario 
delegato, pertanto, risulta essere un centro d�imputazione autonomo sia rispetto 
agli enti locali (i cui uffici operano a supporto organizzativo della struttura 
commissariale in relazione di mero avvalimento) sia rispetto alla Presidenza 
del Consiglio dei Ministri e dei Ministeri interessati, stante l�autonomia operativa, 
decisionale ed organizzativa della struttura commissariale, competendo 
gato per l�emergenza �Costa Concordia� il Capo Dipartimento della Protezione Civile, Franco Gabrielli. 
Tra i compiti a lui attribuiti vi erano la coordinazione degli interventi per superare l�emergenza, il controllo 
e l�esecuzione degli interventi di messa in sicurezza e bonifica da parte dell�armatore e la verifica 
che la rimozione del relitto avvenisse in sicurezza. 
(17) Con O.C.D.P. n. 298 del 17 novembre 2015 (in www.pa.leggiditalia.it) veniva nominato il 
Commissario Delegato per l�emergenza causata dagli eventi alluvionali che avevano colpito il territorio 
della Regione Campania nei giorni dal 14 al 20 ottobre 2015. 
(18) L�1 settembre 2016, il Consiglio dei Ministri, in una seduta lampo, ha nominato Vasco Errani 
Commissario straordinario di Governo per la ricostruzione delle aree colpite dal terremoto del 24 agosto 
2016 nel territorio del Lazio. 
(19) �Il Governo pu� sostituirsi a organi delle Regioni, delle Citt� metropolitane, delle Province 
e dei Comuni nel caso di mancato rispetto di norme e trattati internazionali o della normativa comunitaria 
oppure di pericolo grave per l'incolumit� e la sicurezza pubblica, ovvero quando lo richiedono la 
tutela dell'unit� giuridica o dell'unit� economica e in particolare la tutela dei livelli essenziali delle 
prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, prescindendo dai confini territoriali dei governi locali. 
La legge definisce le procedure atte a garantire che i poteri sostitutivi siano esercitati nel rispetto del 
principio di sussidiariet� e del principio di leale collaborazione�. 
(20) Art. 5, l. 24 febbraio 1992, n. 225.
LEGISLAZIONE ED ATTUALIT� 249 
alla Presidenza del Consiglio il solo procedimento di nomina e la prodromica 
attivit� istruttoria relativa all�accertamento dei presupposti per disporre l�intervento 
sostituivo (21). 
4. Il Commissario delegato per l�emergenza ambientale nel territorio della 
Regione Calabria. Problematiche emerse in tema di successione dei relativi 
rapporti. 
In questo ambito particolarmente dibattuta � la questione della successione 
nei rapporti facenti capo al cessato Ufficio del Commissario delegato 
per il definitivo superamento del contesto di criticit� nel settore dei rifiuti urbani 
nel territorio della regione Calabria (gi� Commissario delegato per 
l�emergenza ambientale nel territorio della Regione Calabria). 
L�Ufficio commissariale ha definitivamente cessato tutte le proprie funzioni 
in data 31 dicembre 2012, giusta O.P.C.M. n. 4011 del 22 marzo 2012. 
Al fine di un compiuto esame normativo e giurisprudenziale della vicenda relativa 
alla cessazione delle funzioni dell�Ufficio Commissariale e il relativo 
passaggio dei rapporti con esso pendenti, occorre muovere dall�O.P.C.M. 22 
marzo 2012, n. 4011, con la quale si attribuiva al Commissario delegato il 
compito di provvedere �in regime ordinario ed in termini di somma urgenza, 
alla prosecuzione e al completamento, entro non oltre il 31 dicembre 2012 di 
tutte le iniziative gi� programmate per il definitivo superamento del contesto 
di criticit� nel settore dei rifiuti solidi urbani nel territorio della Regione Calabria�. 
Con il medesimo provvedimento veniva previsto - all�esito delle predette 
attivit� - �il trasferimento alle amministrazioni ed agli enti ordinariamente 
competenti dei beni e delle attrezzature utilizzate per l�attuazione delle finalit� 
connesse al superamento dello stato emergenziale�. 
Successivamente, con O.P.C.M. 14 marzo 2013, n. 57, venivano stabilite 
le modalit� di trasferimento delle relative competenze in capo agli organi ordinariamente 
deputati alla gestione delle operazioni di gestione dei rifiuti. 
Dall�art. 1 (22) di tale ordinanza si ricava: 
(21) Cfr., T.A.R. Calabria, Catanzaro, sez. I, 27 giugno 2016, n. 1313 e n. 1314, in 
www.giustizia-amministrativa.it, in riferimento al Commissario ad acta per l�attuazione del Piano di 
rientro dai disavanzi del settore sanitario della Regione Calabria; Cons. St., sez. III, 10 aprile 2015, n. 
1832, in www.giustizia-amministrativa.it. 
(22) �1. A decorrere dal 1� gennaio 2013, la regione Calabria - Assessorato alle politiche ambientali 
� individuata quale amministrazione competente al coordinamento delle attivit� necessarie al 
completamento degli interventi da eseguirsi nel contesto di criticit� nel settore dei rifiuti solidi urbani 
nel territorio della medesima Regione. 2. Per i fini di cui al comma 1, il Dirigente generate del Dipartimento 
politiche dell'ambiente dell�Assessorato alle politiche ambientali della regione Calabria � individuata 
quale responsabile delle iniziative finalizzate al definitivo subentro della medesima Regione 
nel coordinamento degli interventi. 3. Il dott. Vincenzo Maria Speranza, Commissario delegato ai sensi 
dell'art. 1 dell'ordinanza di protezione civile n. 3983/2011 e successive modifiche ed integrazioni, provvede 
entro dieci giorni dalla pubblicazione del presente provvedimento nella Gazzetta ufficiale della 
Repubblica italiana, a trasferire al dirigente generale del Dipartimento politiche dell�ambiente dell�As-
250 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2016 
a) la delega alla Regione Calabria, a decorrere dall�1 gennaio 2013, dell�opera 
di coordinamento delle attivit� necessarie al completamento degli interventi 
da eseguirsi nel contesto di criticit� nel settore dei rifiuti solidi urbani 
(comma 1); 
sessorato alle politiche ambientali della regione Calabria tutta la documentazione amministrativa e 
contabile inerente la gestione commissariale e ad inviare al Dipartimento della protezione civile una 
relazione sulle attivit� svolte contenente l�elenco dei provvedimenti adottati, degli interventi conclusi e 
delle attivit� ancora in corso con relativo quadro economico. 4. Il Dirigente generale del Dipartimento 
Politiche dell'ambiente dell'Assessorato alle politiche ambientali della regione Calabria � autorizzato 
a porre in essere le attivit� occorrenti per il proseguimento in regime ordinario delle iniziative in corso 
finalizzate al superamento del contesto critico in rassegna, secondo le modalit� specificate in premessa, 
e provvede alla ricognizione ed all�accertamento delle procedure e dei rapporti giuridici pendenti ai 
fini del definitivo trasferimento dei medesimi alla regione Calabria, unitamente ai beni ed alle attrezzature 
utilizzate. 5. Il dirigente generale del Dipartimento politiche dell'ambiente dell�Assessorato alle 
politiche ambientali della regione Calabria, che opera a titolo gratuito, per l�espletamento delle iniziative 
di cui al comma 2 pu� avvalersi delle strutture organizzative della medesima regione, nonch� della 
collaborazione degli Enti territoriali e non territoriali e delle Amministrazioni centrali e periferiche 
dello Stato, che provvedono sulla base di apposita convenzione, nell'ambito delle risorse gi� disponibili 
nei pertinenti capitoli di bilancio di ciascuna amministrazione interessata, senza nuovi o maggiori oneri 
per la finanza pubblica. 6. Al fine di consentire l�espletamento delle iniziative di cui alla presente ordinanza 
il dirigente generale del Dipartimento politiche dell�ambiente dell�Assessorato alle politiche ambientali 
della regione Calabria provvede, fino al completamento degli interventi di cui al comma 2 e 
delle procedure amministrativo-contabili ad essi connessi, con le risorse disponibili sulla contabilit� 
speciale istituita ai sensi dell�ordinanza di protezione civile n. 2696/1997 e successive modifiche ed integrazioni, 
che viene allo stesso intestata fino al 31 dicembre 2013. Il dirigente generale del Dipartimento 
politiche dell�ambiente dell�Assessorato alle politiche ambientali della regione Calabria provvede 
ad inviare al Dipartimento della protezione civile una dettagliata relazione semestrale sullo stato di 
avanzamento delle attivit� condotte per l�attuazione degli interventi di cui alla presente ordinanza, con 
relativo quadro economico. 7. Qualora a seguito del compimento delle iniziative cui al comma 6, residuino 
delle risorse sulla contabilit� speciale, il dirigente generale del Dipartimento politiche dell'ambiente 
dell�Assessorato alle politiche ambientali della regione Calabria pu� predisporre un Piano 
contenente gli ulteriori interventi strettamente finalizzati al superamento della situazione di criticit�, 
da realizzare a cura dei soggetti ordinariamente competenti secondo le ordinarie procedure di spesa ed 
a valere su eventuali fondi statali residui, di cui al comma 4-quater, dell'art. 5, della legge n. 225/1992. 
Tale piano sar� oggetto di un accordo di programma da stipulare, ai sensi dell�art. 15, della legge n. 
241 del 7 agosto 1990 e successive modifiche ed integrazioni, tra il Ministero dell�ambiente e della 
tutela del territorio e del mare e la regione Calabria. 8. A seguito della avvenuta stipula dell'accordo 
di cui al comma 7, le risorse residue relative al predetto Accordo giacenti sulla contabilit� speciale 
sono trasferite al bilancio della regione Calabria ovvero, ove si tratti di altra amministrazione, sono 
versate all�entrata del bilancio dello Stato per la successiva riassegnazione. 9. Non � consentito l�impiego 
delle risorse finanziarie di cui al comma 8 per la realizzazione di interventi diversi da quelli contenuti 
nel Piano di cui al comma 7. 10. All�esito delle attivit� realizzate ai sensi del presente articolo, 
le eventuali somme residue presenti sulla contabilit� speciale sono versate alla Presidenza del Consiglio 
dei Ministri sul conto corrente infruttifero n. 22330 aperto presso la Tesoreria centrale dello Stato per 
la successiva riassegnazione al Fondo della Protezione Civile, ad eccezione di quelle derivanti da fondi 
di diversa provenienza, che vengono versate al bilancio delle Amministrazioni di provenienza. 11. Il Dirigente 
generale del Dipartimento politiche dell'ambiente dell'Assessorato alle politiche ambientali 
della Regione Calabria, a seguito della chiusura della contabilit� speciale di cui al comma 6, provvede, 
altres�, ad inviare al Dipartimento della protezione civile una relazione conclusiva riguardo alle attivit� 
poste in essere per il superamento del contesto critico in rassegna. 12. Restano fermi gli obblighi di 
rendicontazione di cui all�art. 5, comma 5-bis, della legge n. 225 del 1992�.
LEGISLAZIONE ED ATTUALIT� 251 
b) la previsione di un ulteriore �definitivo subentro della medesima Regione 
nel coordinamento degli interventi� (comma 2); 
c) l�obbligo per il Commissario delegato ai sensi dell�art. 1 dell�O.P.C. 
n. 3983/2011 di procedere al trasferimento al Dirigente generale del Dipartimento 
politiche dell�ambiente dell�Assessorato alle politiche ambientali della 
Regione Calabria di tutta la documentazione amministrativa e contabile inerente 
la gestione commissariale, ma anche dell�invio al Dipartimento della 
Protezione Civile di una relazione sulle attivit� svolte contenente l�elenco dei 
provvedimenti adottati, degli interventi conclusi e delle attivit� ancora in corso 
con il relativo quadro economico (comma 3); 
d) l�autorizzazione al Dirigente generale del Dipartimento politiche 
dell�Ambiente dell�Assessorato alle Politiche Ambientali della Regione Calabria 
a porre in essere le attivit� occorrenti per il proseguimento in regime 
ordinario delle iniziative in corso finalizzate al superamento del contesto critico 
in rassegna, secondo le modalit� specificate in premessa, e di provvedere 
alla ricognizione ed all�accertamento delle procedure e dei rapporti giuridici 
pendenti ai fini del definitivo trasferimento dei medesimi alla Regione Calabria, 
unitamente ai beni ed alle attrezzature utilizzate (comma 4); 
e) l�uso delle somme poste sulla contabilit� speciale istituita ai sensi 
dell�O.P.C. n. 2696/1997 e successive modifiche ed integrazioni, con obbligo 
di relazione semestrale sullo stato di avanzamento delle attivit� condotte per 
l�attuazione degli interventi dell�ordinanza, con relativo quadro economico 
(comma 6); 
f) il dovere di trasferire, ove residuate, le risorse allocate nella contabilit� 
speciale, alla Presidenza del Consiglio dei Ministri sul conto corrente infruttifero 
n. 22330 aperto presso la Tesoreria centrale dello Stato per la successiva 
riassegnazione al Fondo della Protezione Civile, ad eccezione di quelle derivanti 
da fondi di diversa provenienza, da versate sul bilancio delle Amministrazioni 
di provenienza (comma 10) (23). 
A ci� si aggiunga che, con successiva O.C.D.P.C. n. 146/2014, � stato 
previsto, al fine del completamento delle iniziative finalizzate al definito subentro 
della Regione Calabria nel coordinamento degli interventi e delle procedure 
amministrativo contabili ad essa connesse, che il dirigente (individuato 
ai sensi dell�O.P.C.M. n. 57/2013, comma 3) possa avvalersi delle risorse disponibili 
sulla contabilit� speciale all�uopo istituita (24). 
Un ulteriore tassello che ricostruisce il passaggio di detti rapporti � contenuto 
nell�art. 1, comma 422, l. 27 dicembre 2013, n. 147 (c.d. legge di stabi- 
(23) Si tratta di una classificazione compiuta in diverse sentenze della Corte d�Appello di Catanzaro, 
tra cui: sez. III, 4 aprile 2016, n. 473; id., 21 gennaio 2015, n. 62; id., 19 maggio 2016, n. 801; id., 
15 luglio 2016, n. 1250; id., 8 giugno 2016, n. 951 (tutte inedite). 
(24) Cfr. App. Catanzaro, sez. II, 3 luglio 2015, n. 928 (inedita).
252 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2016 
lit� 2014), ai sensi del quale �Alla scadenza dello stato di emergenza, le amministrazioni 
e gli enti ordinariamente competenti, individuati anche ai sensi 
dell�art. 5, commi 4-ter e 4-quater, della l. 24 febbraio 1992, n. 225 (istituzione 
del servizio nazionale della protezione civile), subentrano in tutti i rapporti 
attivi e passivi, nei procedimenti giurisdizionali pendenti, anche ai sensi dell�art. 
110 del codice di procedura civile, nonch� in tutti quelli derivanti dalle 
dichiarazioni di cui all�art. 5-bis, comma 5, del decreto-legge 7 settembre 
2001, n. 343, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 novembre 2001, n. 
401, gi� facenti capo ai soggetti nominati ai sensi dell�art. 5 della citata legge 
n. 225 del 1992. Le disposizioni di cui al presente comma trovano applicazione 
nelle sole ipotesi in cui i soggetti nominati ai sensi dell�art. 5 della medesima 
legge n. 225 del 1992 siano rappresentanti delle amministrazioni e degli enti 
ordinariamente competenti ovvero soggetti dagli stessi designati�. 
Tale ultime disposizione contempla una fattispecie di successione universale 
nei rapporti, con conseguente applicazione dell�art. 110 c.p.c, nei casi 
in cui i soggetti nominati Commissari delegati siano rappresentanti degli enti 
ordinariamente competenti oppure dagli stessi designati. 
A questo punto il nodo del problema consiste nell�accertare caso per caso 
se sussistono i presupposti per l�applicazione dell�ultimo inciso della norma 
sopra citata; in collegamento, occorre chiarire quale sia l�esatta portata del termine 
�designati�. 
Prima di affrontare questi temi, occorre esaminare il principio che la Corte 
Costituzionale ha elaborato a seguito delle questioni di legittimit� dell�art. 1, 
comma 422, l. n. 147/2013 sollevate dalla Regione Lazio e dalla Regione 
Campania. 
5. La sentenza della Corte Costituzionale n. 8 del 21 gennaio 2016. 
Le questioni di legittimit� venivano sollevate in riferimento agli artt. 3, 
24, 81, 97, 101, 111, 113, 117, comma 1, 118, 119 Cost.; tutte rigettate dalla 
Corte Costituzionale con la sentenza 21 gennaio 2016, n. 8. 
Le suddette censure facevano perno su una premessa di fondo, ossia che 
i provvedimenti posti in essere dal Commissario delegato per la gestione dell�emergenza 
(quale longa manus del Presidente del Consiglio dei Ministri) 
avrebbero dovuto considerarsi atti dell�amministrazione centrale dello Stato, 
finalizzati a soddisfare interessi che trascendono quelli delle comunit� locali 
colpite dalla calamit�. 
Nel giudizio costituzionale, l�Avvocatura Generale dello Stato, per come 
risulta dalla parte espositiva della pronuncia della Consulta (25), ha sostenuto 
che, nella fase dell�emergenza, lo Stato non eserciterebbe funzioni proprie, 
bens� funzioni provvisoriamente avocate a s� in via sostitutiva, con la conseguenza 
che le competenze degli enti territoriali colpiti da calamit� (temporaneamente 
compresse da quelle esercitate dalla Stato) si espanderebbero
LEGISLAZIONE ED ATTUALIT� 253 
nuovamente al suo termine. A conferma di ci� vi � la circostanza secondo cui 
gli enti (competenti in via ordinaria) subentrerebbero nei rapporti non solo 
passivi ma anche attivi, risalenti alla cessata gestione commissariale, potendo 
(25) Cfr. punto 4, Cort. Cost., 21 gennaio 2016, n. 8, in www.cortecostituzionale.it: �La difesa 
erariale osserva - con argomentazioni in buona parte comuni ai due ricorsi regionali - che la disciplina 
recata dalla norma denunciata, letta nel contesto della legge n. 225 del 1992, come modificata dal decreto-
legge 15 maggio 2012, n. 59 (Disposizioni urgenti per il riordino della protezione civile), convertito, 
con modificazioni, dalla legge 12 luglio 2012, n. 100, troverebbe la sua ragione d�essere nelle 
complesse vicende, sostanziali e processuali, derivanti dalla �chiusura delle gestioni emergenziali e dei 
c.d. grandi eventi�, l� dove si era intervenuti - proprio con il citato d.l. n. 59 e, segnatamente, con l�art. 
5, comma 4-quater - a definire il passaggio, in capo all�ente subentrante ordinariamente competente, 
di funzioni, compiti e risorse finanziarie che residuano sulla contabilit� speciale nella persistenza dello 
scopo originariamente delineato. Nonostante ci�, i soggetti subentranti ex lege nelle gestioni commissariali 
avrebbero �sostanzialmente rifiutato o ostacolato il subentro effettivo�, tanto da rendere necessario 
un intervento chiarificatore del legislatore, che si � avuto con la norma di cui al denunciato comma 
422. Il Presidente del Consiglio dei ministri soggiunge, quindi, che, nella materia in questione, lo Stato, 
in forza del principio di sussidiariet� e con l�intervento partecipativo regionale, sarebbe appunto intervenuto 
�in modo sostitutivo rispetto agli enti ordinariamente competenti�, con �temporanea compressione 
delle competenze [di quest�ultimi] che si espandono nuovamente al termine dello stato 
d�emergenza�. Non sarebbe violata, quindi, l�autonomia finanziaria regionale, considerato che gli enti 
ordinariamente competenti, tra cui le Regioni, subentrando ex lege nelle gestioni commissariali, �sarebbero 
tenute di per s� a sostenere gli oneri afferenti ai compiti istituzionali che sono rientrati nell�ordinario
�. N� vi sarebbe difficolt� nel reperire le risorse finanziarie per far fronte a costi supplementari 
e non previsti, giacch� il subentro riguarda non solo le passivit�, ma anche le attivit�, che �viceversa 
comportano una voce di entrata per l�ente�. Le risorse finanziarie predisposte dallo Stato in favore 
della collettivit� colpita dall�evento calamitoso, ove dovessero residuare al momento della cessazione 
dell�emergenza, sono trasferite per legge all�ente ordinariamente competente. E proprio nell�ottica di 
responsabilizzazione di quest�ultimo si porrebbe la prevista applicazione della norma denunciata soltanto 
nelle ipotesi in cui �i soggetti nominati ai sensi dell�articolo 5 della medesima legge n. 225 del 
1992 siano rappresentanti delle amministrazioni e degli enti ordinariamente competenti ovvero soggetti 
dagli stessi delegati�. 
Sarebbe infondata anche la doglianza di violazione del comma terzo dell�art. 117 Cost., non essendo la 
norma denunciata di dettaglio e, peraltro, potendo il legislatore statale dettare anche norme puntuali 
per realizzare concretamente le finalit� del coordinamento finanziario. Quanto, poi, alla censura che 
investe i �grandi eventi�, la difesa erariale osserva che la disposizione in parte qua non trover� applicazione 
nei confronti degli enti territoriali, giacch�, �nella maggior parte dei casi, la figura del Commissario 
Delegato per i grandi eventi � stata rivestita dal Capo del Dipartimento della Protezione Civile 
ovvero da soggetti estranei alla Pubblica Amministrazione posti a capo di strutture di Missione istituite 
ad hoc nell�ambito della Presidenza del Consiglio�, restando, quindi, i relativi rapporti giuridici in 
capo all�Amministrazione statale. 
In ordine, poi, alla censura di irragionevolezza del meccanismo di subentro ai sensi dell�art. 110 cod. 
proc. civ., l�Avvocatura generale osserva che i commissari delegati �sono soggetti distinti rispetto all�Amministrazione 
delegante, in quanto dotati di autonomia amministrativa e contabile�, siccome titolari 
esclusivi di apposite contabilit� speciali ai medesimi specificamente intestate e destinate esclusivamente 
alla realizzazione degli interventi emergenziali. Dunque, ben si attaglierebbe alla fattispecie in questione, 
in quanto ricognitiva di un�ipotesi di venir meno della parte processuale, il richiamo all�art. 110 cod. 
proc. civ., senza che sussista alcuna interferenza con la funzione giurisdizionale, n� violazione del principio 
di irretroattivit� della legge ovvero lesione del diritto di difesa. Non sarebbe fondata neppure la 
doglianza che deduce la disparit� di trattamento nella distinzione fra gestioni commissariali facenti 
capo, o meno, a soggetti rappresentanti degli enti ordinariamente competenti, giacch� proprio tale distinzione 
consentirebbe la responsabilizzazione del vertice istituzionale dell�ente territoriale coinvolto�.
254 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2016 
per di pi� avvalersi delle risorse finanziarie che residuano nelle contabilit� 
speciali dei Commissari delegati. 
La Corte Costituzionale ha accolto questa tesi, dichiarando l�infondatezza 
di tutte le questioni sollevate in via principale dalla Regione Lazio e dalla Regione 
Campania. In particolare, la Consulta ha rilevato che, se da un lato gli 
atti del Commissario delegato sono qualificabili come atti dell�Amministrazione 
centrale dello Stato, dall�altro la funzione statale che qui viene in rilievo 
ha carattere temporaneo e risulta correlata necessariamente allo stato di emergenza, 
rispetto alla quale la Regione ordinariamente competente non � comunque 
estranea. La funzione statale, in quanto strettamente connessa allo stato 
emergenziale, cessa nel momento in cui termina l�emergenza. Ne consegue 
che �Il venir meno della struttura commissariale, per il cui tramite lo stato 
ha in concreto esercitato la funzione emergenziale, integra il presupposto di 
una necessitata successione nei rapporti da questa posti in essere e che risultino 
ancora in atto, la cui riconduzione al fenomeno della successione universale 
� scelta legislativa non incongrua rispetto alle premesse che la 
sorreggono� (26). Dal che, ulteriormente, consegue, secondo la Consulta, che 
i rapporti giuridici residuati alla cessazione della struttura commissariale siano 
governati, nuovamente, in base all�ordinario sistema di competenze con il subentro 
dell�ente ordinariamente competente - ai sensi dell�art. 110 c.p.c. - in 
tutte le situazioni attive e passive appartenenti, nello stato di emergenza, all�Amministrazione 
Statale. 
Il subentro dell�ente territorialmente competente nei rapporti (anche ex 
iudicato) e nei giudizi pendenti risalenti alla gestione commissariale non ha, 
infatti, carattere retroattivo, ma regola il fenomeno successorio in consonanza 
con i principi sostanziali e processuali di riferimento, non potendosi sostenere 
che il successore a titolo universale, in quanto tale (e, dunque, titolare dello 
stesso rapporto sostanziale oggetto di giudicato), sia vulnerato nelle sue garanzie 
difensive dalla norma dell�art. 110 c.p.c., la quale, in ogni caso, si appalesa 
pertinente a regolare il fenomeno in luogo dell�art. 111 c.p.c., che attiene 
alla successione a titolo particolare (27). 
Chiarite le questioni d�ordine generale affrontate dalla Corte Costituzionale, 
occorre, poi, soffermarsi sull�ultimo inciso dell�art. 1, comma 422, l. n. 
147/2013, alla luce della giurisprudenza formatasi sul punto successivamente 
alla pronuncia della Consulta. 
6. Gli orientamenti giurisprudenziali successivamente formatisi. 
L�inciso appena richiamato, era stato anch�esso censurato dalle Regioni 
Campania e Lazio in riferimento all�art. 3 Cost., in quanto ritenuto lesivo del 
(26) Cfr. punto 8.1.2., Corte Cost., 21 gennaio 2016, n. 8, cit. 
(27) Cos� in MEZZOTERO - ROMEI, op. cit., p. 253.
LEGISLAZIONE ED ATTUALIT� 255 
principio di uguaglianza, nonch� privo di giustificazione e immotivatamente 
iniquo. 
La Consulta, rigettando tale doglianza, ha rilevato che l�ambito applicativo 
dell�inciso in esame si riferisce esclusivamente all�ipotesi in cui i Commissari 
delegati siano rappresentanti dell�Amministrazione e degli enti 
ordinariamente competenti ovvero soggetti dalla stessa designati (28). 
Pertanto, con riferimento al cessato Ufficio del Commissario delegato per 
l�emergenza ambientale nel territorio della regione Calabria potrebbe non considerarsi 
applicabile il meccanismo successorio in universum jus delineato in 
termini generali dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 8/2016, proprio 
in ragione di quanto disposto dall�ultimo inciso dell�art. 1, comma 422, cit.; 
difatti, fin dall�anno 2004 sino alla cessazione dello stato emergenziale (31 
dicembre 2012), le funzioni di Commissario delegato pro tempore per l�emergenza 
ambientale nel territorio della regione Calabria sono state ricoperte 
(sempre) da rappresentanti dell�Amministrazione Statale (29). 
Al riguardo, la giurisprudenza ha fornito non univoche soluzioni della 
questione concernente l�individuazione dell�ente legittimato riguardo ai rapporti 
facenti capo al cessato Ufficio commissariale. 
La prima tesi accolta non d� conto della speciale disposizione di cui all�ultimo 
inciso dell�art. 1, comma 422, l. 27 dicembre 2013, n. 147, attribuendo 
tout court la legittimazione passiva alla Regione Calabria. In particolare, con 
diverse pronunce, la Corte d�appello di Catanzaro ha rigettato l�eccezione di 
difetto di legittimazione passiva dedotta dalla Regione Calabria in relazione 
al rapporto controverso facente capo al cessato Ufficio commissariale (erroneamente 
evocato in giudizio da controparte, dopo la sua cessazione), ritenendo 
che, per effetto della cessazione dell�Ufficio commissariale, giusta 
O.P.C.M. 22 marzo 2012, n. 4011 �la Regione ha proseguito, in regime ordinario, 
le iniziative in corso finalizzate al superamento della criticit� in materia 
ambientale al fine di attuare il definitivo trasferimento di tutti i rapporti giuridici 
pendenti in capo alla Regione medesima, mentre alcun subentro risulta 
attuato in favore della Presidenza del Consiglio dei Ministri, che risulta, pertanto, 
estranea alla pretesa e dunque carente di legittimazione a contraddire� 
(30) (31). 
(28) Cfr. punto 8.1.4., Corte Cost., 21 gennaio 2016, n. 8. 
(29) La delega di Commissario dal 2004 fino alla cessazione dello stato di emergenza risulta 
essere attribuita, infatti, ai Prefetti. 
(30) Cfr. App. Catanzaro, sez. II, 15 febbraio 2016, n. 483; id., 27 gennaio 2016, n. 95; id., 3 
luglio 2015, n. 928; Sentenza n. 95 depositata il 27 gennaio 2016, a definizione del giudizio R.G. n. 
873/2016 (tutte inedite). 
(31) In terminis si v. anche Cons. St., sez. IV, 23 maggio 2016, n. 2111, in www.giustizia-amministrativa.it 
(in riferimento all�Ufficio del Commissario delegato per l�emergenza ambientale nel territorio della Regione 
Campania), la quale, nel dare atto dell�intervenuta sentenza della Corte Cost. n. 8/2016, dichiara 
il difetto di legittimazione passiva della Presidenza del Consiglio dei Ministri. 
256 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2016 
Un diverso orientamento (pare quello pi� accreditato), di contro, in riferimento 
alla dibattuta disposizione della legge di stabilit� 2014, sostiene che 
la stessa non pu� che essere interpretata come afferente alla regolamentazione 
della successione universale tra gli uffici regionali e i soggetti nominati ai 
sensi dell�art. 5, l. n. 225/1992, ma a condizione che questi ultimi siano qualificati 
come �rappresentanti delle amministrazioni e degli enti ordinariamente 
competenti ovvero soggetti dagli stessi designati�. La Corte territoriale 
calabrese, nei casi esaminati, giunge ad affermare che il Commissario che risultava 
essere indicato dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri non potesse 
in qualsivoglia misura essere qualificato come rappresentante della Regione 
Calabria, concludendo che �� a mente dell�art. 111 c.p.c., il processo deve 
proseguire tra le parti originarie e, dunque, persiste la legittimazione processuale 
del solo Ufficio del Commissario delegato emergenza ambientale quale 
organo straordinario della Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimento 
protezione Civile� (32). 
In queste pronunce, viene riconosciuta, quindi, la legittimazione passiva 
della Presidenza del Consiglio dei Ministri, proprio perch� - diversamente da 
quanto sostenuto dal primo orientamento esaminato - viene data rilevanza all�ultimo 
inciso dell�art. 1, comma 422, l. 147/2013, ritenuto inapplicabile nel 
caso di specie. 
Sicuramente preferibile � la posizione del Consiglio di Stato, che, giustamente, 
analizza la portata della locuzione �designati�, ai fini dell�applicabilit� 
o meno dell�ultimo inciso della Legge di Stabilit� 2014. 
In sostanza, per il Supremo Consesso di giustizia amministrativa occorrerebbe 
capire quando si tratti (e quando non) di soggetti �designati� dagli 
enti ordinariamente competenti, e, soprattutto, cosa si intende per �designati� 
agli effetti dell�applicazione dell�inciso in discorso. 
In tal senso, significativa � la sentenza n. 2700 del 17 giugno 2016, nella 
quale si legge che �la successione universale ex comma 422 resta esclusa solo 
quando la Regione sia rimasta del tutto estranea alla nomina o alla designazione 
del Commissario delegato�. Pertanto, ai fini dell�applicabilit� dell�ultimo 
inciso dell�art. 1, comma 422, l. 147/2013, � necessario che la Regione 
non abbia per nulla interferito nel processo di nomina e designazione dei Commissari 
delegati, altrimenti - qualora ci sia una (pur se minima) ingerenza 
dell�ente regionale - saremo in presenza di un Commissario designato dall�ente 
regionale (con conseguente applicabilit� dell�inciso in discorso) o, tuttalpi� - 
come ipotizza il Consiglio di Stato in alternativa a tale conclusione - si potrebbe 
configurare un�imputazione pro quota fra Stato e Regione. 
Ne consegue che - secondo questa tesi - sussisterebbe una legittimazione 
(32) Cfr. App. Catanzaro, sez. III, 8 giugno 2016, n. 951; id., 19 maggio 2016, n. 801; id., 21 gennaio 
2015, n. 62; id., 15 luglio 2016, n. 1250; id., 4 aprile 2016, n. 473 (tutte inedite).
LEGISLAZIONE ED ATTUALIT� 257 
tout court in capo alla Presidenza dei Consiglio dei Ministri qualora i rapporti 
oggetto della successione si sono verificati sotto l�egida di un commissario 
�puramente governativo�; contrariamente, sussiste una legittimazione tout 
court dell�ente regionale o, in alternativa, concorrente tra Stato e Regione, nei 
casi in cui tali rapporti si siano verificati sotto l�egida di un �commissario concordato�. 
Ovvio intendere che nessun problema si pone, invece, nei casi in cui le 
funzioni di Commissario delegato siano attribuite al Presidente della Regione 
Calabria; in tal caso, infatti, la successione ha luogo senza dubbio in capo alla 
Regione Calabria con gli effetti che ne seguono in ordine alla titolarit� passiva 
del rapporto giuridico (33). 
Su queste premesse, si pu� pervenire alla conclusione che - in base all�interpretazione 
del termine �designato� data dal Consiglio di Stato - tutti i 
Commissari (salvo i casi in cui le funzioni di Commissario erano attribuite al 
Presidente della Giunta regionale, come avvenuto sino al 2004) risultano designati 
(rectius: concordati) dall�ente regionale, in quanto il concetto di �designato� 
ricomprende anche la semplice indicazione da parte della Regione 
(anche se, in realt�, la procedura di nomina risulta formalmente compiuta 
dall�Amministrazione Statale e perdipi� il Commissario stesso � un rappresentante 
di quest�ultima). 
Peraltro, il Consiglio di Stato d� per scontato che la nomina da parte del 
Governo sia avvenuta previa consultazione con l�ente regionale, sostenendo 
che ҏ comunque implausibile che le nomine siano avvenute senza un raccordo 
con la Regione, dato che, rispetto allo stato di emergenza la Regione 
ordinariamente competente non � comunque estranea, giacch�, nell�ambito 
dell'organizzazione policentrica della protezione civile, occorre che essa 
stessa fornisca l'intesa per la deliberazione del Governo e, dunque, cooperi 
in collaborazione leale e solidaristica�. 
Quindi, stando a quanto affermato dal Consiglio di Stato, non si configurerebbe 
mai un�ipotesi di legittimazione passiva �esclusiva� della Presidenza 
del Consiglio dei Ministri, in quanto la Regione Calabria ha sempre (quanto 
meno) indicato i soggetti che, a suo dire, avrebbero potuto ricoprire il ruolo di 
Commissario delegato per il superamento dell�emergenza ambientale nel territorio 
regionale (34). 
(33) Cfr., punto 15.6, Cons. St., 17 giugno 2016, n. 2700, in www.giustizia-amministrativa.it, laddove 
afferma: �Ma anche in tal caso, allora, la successione avrebbe avuto luogo in capo alla Regione 
Calabria con gli effetti che ne seguono in ordine alla titolarit� passiva dell�obbligazione indennitaria 
in oggetto, posto che non � contestato che i fatti di causa si siano verificati quando Commissario delegato 
era il Presidente regionale�. 
(34) Esaminando il carteggio avvenuto tra la Regione Calabria e la Presidenza del Consiglio dei 
Ministri prima della nomina dei rispettivi Commissari, viene in evidenza l�ingerenza da parte della Regione 
Calabria nel processo di designazione e di nomina dei diversi Commissari delegati. Nel dettaglio:
258 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2016 
Pertanto, in conclusione, avremmo Commissari puramente �regionali� 
(35) (sino al 2004), commissari designati dalla (ovvero concordati con la) Regione 
(dal 2004 sino alla cessazione dello stato di emergenza) (36), di converso, 
non si ha traccia di un commissario puramente �governativo�. 
a) missiva prot. n. 8/SP del 22 marzo 2004, con cui il Presidente illo tempore della Regione Calabria 
On. Giuseppe Chiaravalloti, proponeva al Presidente del Consiglio dei Ministri la nomina di un Commissario 
delegato da individuare tra i Prefetti presenti nella regione; si legge, infatti, nella missiva: 
�Credo che uno qualsiasi dei Prefetti attualmente in carica nei capoluoghi di provincia calabresi, potrebbe 
degnamente assolvere alla funzione�; 
b) missiva del 20 luglio 2004 con cui lo stesso Presidente della Regione Calabria indicava espressamente 
il dott. Domenico Bagnato quale soggetto altamente qualificato a ricoprire l�incarico di commissario; 
nella missiva si legge: �per tale compito, mi permetto di sottoporre alla sua valutazione, la professionalit� 
del Prefetto Domenico Bagnato - profondo conoscitore della realt� calabrese - che attualmente 
svolge le sue funzioni di Sub Commissario per l�emergenza ambientale nella regione Campania�. 
c) missiva prot. n. 25 del 26 ottobre 2006, con cui il Presidente della Regione Calabria Agazio Loiero 
afferma �a seguito dei colloqui intercorsi con il Ministro Pecoraro Scanio si aderisce alla proposta di 
nominare il Prefetto Dott. Antonio Ruggiero Commissario per l�emergenza rifiuti, il dott. Antonio Falvo 
sub Commissario con funzioni amministrative ed il dott. Giuseppe Graziano con funzioni tecniche. Si 
rappresenta inoltre l�urgenza di procedere alla formalizzazione degli incarichi medesimi�. 
Inoltre, anche dai provvedimenti di nomina, veniva sempre dato atto che la nomina del Commissario 
avveniva d�Intesa con la Regione. Nel dettaglio: 
a) il D.P.C.M. 10 novembre 2006 (in www.pa.leggiditalia.it), nel nominare quale Commissario delegato 
il Prefetto Antonio Ruggiero, afferma �vista la nota della Regione Calabria del 26 ottobre 2006 nella 
quale si designa il Prefetto dott. Antonio Ruggiero in qualit� di Commissario delegato�; 
b) il D.P.C.M. 2 marzo 2006 (in www.pa.leggiditalia.it), nel nominare quale Commissario delegato il 
Prefetto Carlo Alfiero, da atto, in preambolo, che la nomina � avvenuta �d�intesa con la Regine Calabria�; 
allo stesso modo si legge nell�O.P.C.M 24 aprile 20007, n. 3585 (in www.pa.leggiditalia.it), con 
il quale veniva nominato quale Commissario delegato il Prefetto di Catanzaro Salvatore Montanaro; 
c) l�O.P.C.M. 23 novembre 2011, n. 3983 (in www.pa.leggiditalia.it), nel nominare quale Commissario 
delegato il dott. Vincenzo Maria Speranza, d� atto, in preambolo, della nota ricevuta dal Presidente della 
Regione Calabria in data 23 novembre 2011. 
(35) Con O.M. 21 ottobre 1997, n. 2696 (in www.pa.leggiditalia.it), veniva nominato Commissario 
delegato il Presidente della Regione Calabria, il quale ricopr� tali funzioni sino al 2004. 
(36) Vedi nota sub nota (33).
CONTRIBUTI DI DOTTRINA 
L�amministrazione con forza di legge 
Guglielmo Bernabei* 
Lo studio intende inquadrare la decretazione d�urgenza nell�ambito dell�attivit� amministrativa 
con forza di legge compiuta dal Governo, organo apicale della P.A., in casi e situazioni di assoluta 
straordinariet�, proponendo una configurazione di questo atto dalla forza legislativa 
ma dal ruolo amministrativo, ossia dotato del carattere della concretezza dei destinatari e della 
situazione regolata. 
L�argomentazione proposta classifica l�alta amministrazione del decreto-legge come espressione 
di un concetto idoneo a qualificare una particolare categoria di provvedimenti legata 
all�esistenza di questioni di contenuto amministrativo ritenute talmente rilevanti da richiedere 
per la loro soluzione una deliberazione del Consiglio dei Ministri mediante il ricorso ad un 
atto avente forza di legge. Viene inoltre indicato il legame tra la questione di alta amministrazione 
del decreto-legge e il valore dell�interesse generale. 
SOMMARIO: 1. Il problema amministrativo - 2. Il ruolo dell�Amministrazione nella Costituzione 
- 3. Funzione ed attivit� amministrativa. La nozione di provvedere - 4. Questioni, 
atti, attivit� di alta amministrazione e decretazione d�urgenza - 5. La decretazione d�urgenza 
come particolare aspetto della nozione di alta amministrazione. 
1. Il problema amministrativo. 
Il dato fattuale da cui prende avvio il presente lavoro riguarda il grande 
utilizzo dello strumento della decretazione d�urgenza, con modalit� e quantit� 
che generano preoccupazione per la tenuta della stessa forma di governo parlamentare. 
I possibili rimedi a questa degenerazione, nel corso del tempo af- 
(*) Dottore di ricerca in diritto costituzionale, Universit� di Ferrara. 
Il presente lavoro � parte dell�introduzione della tesi di dottorato in diritto costituzionale dell�Autore; 
tesi vincitrice della Settima Rassegna Giuridica nazionale in memoria del Prof. Fausto Cuocolo, premio 
patrocinato dalla Regione Liguria.
260 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2016 
facciatisi in dottrina e in giurisprudenza, pongono troppo l�attenzione sul mero 
carattere numerico, l�elevata emanazione di decreti-legge e non considerano, 
o non a sufficienza, che per ricondurre questo istituto ad un utilizzo costituzionalmente 
corretto � necessaria una profonda rivisitazione della natura, dello 
scopo e della struttura dell�istituto stesso, ponendo come base di partenza il 
sistema di diritto amministrativo italiano. 
Il tentativo di questo studio, quindi, � quello di inquadrare la decretazione 
d�urgenza nell�ambito dell�attivit� amministrativa con forza di legge compiuta 
dal Governo, organo apicale della P.A., in casi e situazioni di assoluta straordinariet�; 
si vuole proporre una configurazione di questo atto dalla forza legislativa 
ma dal ruolo amministrativo, ossia dotato del carattere della 
concretezza dei destinatari e della situazione regolata. Infatti, liberandosi della 
stretta connotazione che vede l�attivit� amministrativa come attivit� di mera 
esecuzione della legge si vuole proporre una qualificazione giuridica che pone 
attenzione all�individuazione, valutazione e cura in concreto di determinati 
interessi e circostanze, tutte operazioni che rappresentano il nucleo della qualifica 
sostanziale dell�attivit� amministrativa (1). Si tratta, pertanto, di una particolare 
azione detenuta dal Governo, la quale, gi� da queste primissime 
considerazioni, va vista come un qualcosa che si distacca nettamente da quel 
principio di certezza del diritto inteso nel suo duplice significato di prevedibilit� 
come ragione per la quale l�atto normativo con forza di legge dovrebbe 
occuparsi esclusivamente di cose future e generali e come motivo di disciplina 
dei processi di produzione giuridica (2). Questa impostazione, per�, sfugge al 
principio di tipicit� degli atti amministrativi ed � flessibile ed adattabile al caso 
concreto; una ricostruzione della decretazione d�urgenza in tal senso vuole assumere 
la connotazione di una categoria aperta dai lineamenti per� il pi� possibile 
definiti e precisati. I temi trattati, quindi, andranno ad interessare la 
stessa ratio della corrispondenza tra esercizio di determinati poteri e uso di 
determinate forme degli atti giuridici, precisando meglio la sottile linea di divisione 
tra legislazione ed amministrazione (3), in modo da evidenziare i limiti 
dell�amministrazione con forza di legge anche in relazione agli strumenti di 
tutela che l�ordinamento giuridico � capace di apprestare. Si vuole porre una 
concezione di amministrazione che sia correttamente individuata come risultato 
del processo di evoluzione giuridica, confrontando la compatibilit� degli 
effetti prodotti da siffatta amministrazione con forza di legge con il sistema a 
diritto amministrativo. 
Se, dunque, l�istituto della decretazione d�urgenza � visto come espres- 
(1) M.S. GIANNINI, Il potere discrezionale della pubblica amministrazione. Concetto e problemi. 
Milano, 1939, pag. 14. 
(2) A. RUGGERI, La certezza del diritto al crocevia tra dinamiche della formazione ed esperienze 
di giustizia costituzionale, in www.costituzionalismo.it, 7 luglio 2005. 
(3) F. MODUGNO, Appunti dalle lezioni sulle Fonti del diritto, Torino, 2005, pag. 24.
CONTRIBUTI DI DOTTRINA 261 
sione di un potere amministrativo con forza di legge si pone un nuovo e complesso 
�problema amministrativo�, all�interno del quale sar� necessario studiare 
gli elementi che caratterizzano una funzione amministrativa di tal genere, 
individualizzandola e distinguendola dalle altre funzioni; ecco quindi che si 
appalesa una difficile relazione tra funzione amministrativa e funzione legislativa, 
indagando con attenzione come la prima, in determinate situazioni ex 
art. 77 Cost., si ponga sullo stesso livello gerarchico della seconda. Oltre al 
decreto-legge va considerata la stessa legge di conversione la quale, in tal 
modo, andr� ad avere un contenuto lontano dai caratteri della generalit� e della 
astrattezza (4), divenendo legge-provvedimento. 
In questo senso, va verificato come la produzione di effetti giuridici di trasformazione 
di situazioni giuridiche soggettive operata da un decreto-legge provvedimentale 
sia del tutto peculiare, implicando la ricostruzione di una 
ipotizzabile nuova individualit� dell�azione amministrativa; il �problema amministrativo� 
(5) nell�ordinamento giuridico pu� cos� trovare soluzioni diverse 
in relazione al sistema delle fonti, alla forma di governo e agli strumenti di risoluzioni 
delle criticit� pi� gravi assunti dall�Amministrazione, secondo le finalit� 
perseguite da questa come compito e scopo di pubblico interesse (6). Occorre, 
quindi, intendersi sul fatto che la �differenza tra l�esercizio del potere legislativo 
e l�esercizio del potere amministrativo non � insita nella natura astrattamente 
considerata dei due poteri che anzi in questo senso non esiste alcuna certezza; 
essa discende, invece, dall�ordinamento, ove l�utilizzo di questa parola � comprensivo 
dei molteplici fattori che compongono il sistema giuridico� (7). 
Attraverso l�amministrazione con forza di legge il potere politico si svincola 
dalle regole procedurali proprie del sistema a diritto amministrativo in 
modo che la veste legislativa comprenda una decisione amministrativa, attribuendole 
forza gerarchica maggiore laddove sussistano le straordinarie esigenze 
ex art. 77 Cost.; questi concetti gi� ora ci consentono di intuire una 
diversa peculiarit� del sistema amministrativo che si va a realizzare attraverso 
specifiche modalit� di disciplina di particolari fattispecie concrete. 
(4) A. CERVATI, Art. 70-72, in Commentario della Costituzione, a cura di BRANCA, Bologna, 1985, 
pag. 8, dove si afferma che �l�art. 70 non si pone soltanto come la sola attribuzione alle Camere di una 
potest� legislativa di carattere generale [�] e neppure soltanto come base costituzionale per una concezione 
esclusivamente formale della funzione legislativa�, ma essa deve �essere valutata in tutto il contesto 
istituzionale ed in particolare: a) in relazione all�orientamento costituzionale nel senso di una 
riserva della legislazione di principio a favore delle assemblee parlamentari (che non � incompatibile 
con la possibilit� che in alcuni casi la legge parlamentare detti anche una disciplina dettagliata di alcune 
fattispecie, n� con quella del ricorso, in presenza di alcune circostanze da valutare caso per caso, alla 
cosiddetta �legge provvedimento�); b) in relazione alla disciplina costituzionale del procedimento legislativo 
parlamentare�. 
(5) S. SPUNTARELLI, L�amministrazione per legge, Milano, 2007, pag. 231. 
(6) G. PASTORI, Amministrazione pubblica (voce del Dizionario di politica, 1976), in Amm., 2005, 
pag. 205 
(7) S. SPUNTARELLI, L�amministrazione per legge, cit., pag. 280.
262 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2016 
In questo contesto, � la stessa Costituzione che definisce, nell�affrontare 
l�imprevedibile, un interesse pubblico talmente rilevante e distinto che necessita 
di un intervento con forza di legge e quindi spetta al Governo di porre in 
essere un procedimento di attuazione di norme costituzionali, grazie al quale 
determinate regole sono tradotte in decisioni specifiche, per casi singoli. In 
tal modo, la definizione dell�attivit� amministrativa come �esecutiva� va intesa 
come indicativa di un�attivit� presupposta dall�art. 77 Cost., perch� da esso 
trae origine, legittimazione, ragione (8). Cos�, l�amministrazione con forza di 
legge diventa espressione di un particolare potere di provvedere alla cura concreta 
dell�interesse pubblico fissato dal Costituente e risulta inquadrata all�interno 
del sistema amministrativo laddove si caratterizza per il fatto che �il 
perseguimento dell�interesse primario non pu� essere astrattamente isolato dal 
contesto reale, dalla concreta situazione di fatto nella quale va ad incidere; � 
episodio di vita, e, come tale, si intesse di articolazioni complesse� (9). 
Perci� � la Costituzione stessa a demandare ad un soggetto diverso dal 
legislatore e da questo controllato, ossia l�Esecutivo, il compito della cura 
degli interessi della collettivit� attraverso un potere, che, se esercitato correttamente, 
garantisce, in presenza di circostanze straordinarie, l�adozione di atti 
equiparati alla legge formale che siano il frutto di un confronto tra l�interesse 
costituzionale ex art. 77 e le specificit� mostrate dal caso concreto. 
Pertanto, all�interno di questo �problema amministrativo�, la stessa funzionalit� 
istituzionale dell�Amministrazione viene modellata a fronte della 
particolare connotazione costituzionale dell�interesse pubblico, il quale � chiamato 
ad essere attuato dall�Amministrazione nel processo di contemperamento 
con altri interessi pubblici a rilevanza costituzionale che debbono essere integrati 
nella valutazione governativa, la quale non pu� essere svolta come �una 
entit� suscettibile di mera rilevazione e descrizione, ma come il risultato di 
un�attivit� che � conoscitiva e creativa al tempo stesso, in quanto ha inizio con 
l�esame di una situazione ancora indefinita e tende innanzitutto a discernere i 
�dati� da impegnare nella risoluzione del problema� (10). 
La singolarit� del procedimento scaturente ex art. 77 Cost. di messa in 
esecuzione della clausola generale ivi contenuta consiste proprio nella modalit� 
attraverso la quale il Governo esercita il potere assegnatogli di provvedere 
(8) P. GASPARRI, I concetti di legislazione, amministrazione e politica nella terminologia della 
Costituzione, in Annali della Facolt� di Giurisprudenza dell�Universit� di Perugia, 1959, pag. 28, dove 
si afferma che �nel concetto di eseguire (da ex e sequor) � compresa non solo l�idea del �venir dopo� 
nello spazio o nel tempo; ma anche, contrassegnata appunto dall� �ex�, l�idea del �trarre origine� oppure, 
sul piano logico, �ragione� (esecuzione di un progetto) o ancora, sul piano giuridico, che qui ci interessa, 
�legittimazione� (esecuzione di un comando)�. 
(9) V. CERULLI IRELLI, Corso di diritto amministrativo, Torino, pag. 368. 
(10) F. LEDDA, Determinazione discrezionale e domanda di diritto, in Studi in onore di Feliciano 
Benvenuti, vol. III, Modena, 1996, pag. 959.
CONTRIBUTI DI DOTTRINA 263 
in concreto, e il rispetto di questa modalit� costituisce il presupposto necessario 
per il corretto impiego dell�istituto della decretazione d�urgenza. In questa impostazione, 
il rapporto tra normazione ed amministrazione sottolinea una progressiva 
specificazione della norma generale ex art. 77 Cost. nella situazione 
concreta mediante la ponderazione che l�Esecutivo doverosamente deve compiere 
tra gli interessi indicati dalla disposizione costituzionale e gli interessi 
che insistono su una determinata realt�. L�amministrazione con forza di legge, 
per�, vanifica il principio di giustizia nell�amministrazione, infatti i portatori 
degli specifici interessi coinvolti dalla singola fattispecie non possono avvalersi 
degli strumenti giuridici ad essi riconosciuti in sede procedimentale e 
processuale dalla vigente legislazione amministrativa. 
Questo aspetto, che va ben inteso e analizzato, tuttavia non significa che 
la legalit� di questo particolare intervento con forza di legge sia compromessa, 
anzi, rappresenta proprio il punto di maggiore rilevanza che il presente lavoro 
mira ad affermare. Infatti l�osservanza delle norme giuridiche che regolano 
l�azione governativa in termini di competenza, forma e contenuto mirano a 
rafforzare l�adeguamento, e quindi la proporzione, dell�azione stessa alle esigenze 
dell�interesse pubblico che l�Amministrazione-Governo deve soddisfare, 
salvaguardando la tutela dei diritti che l�ordinamento giuridico riconosce 
all�individuo (11). 
Il �problema amministrativo�, dunque, si complica e si articola fino ad interessare 
i criteri della separazione dei poteri e la corretta configurazione della 
forma di governo; infatti, si evidenzier� come l�amministrazione con forza di 
legge si scontra con pi� di un profilo della tradizionale impostazione dell�azione 
amministrativa �quale garanzia della doverosit� e dello svolgimento 
secondo determinate modalit� che la Costituzione impone ai poteri pubblici 
nel rispetto dei diritti e degli interessi dei componenti della collettivit�� (12). 
Il convincimento appena espresso costituisce una delle chiavi di lettura 
delle considerazioni che seguiranno, sia perch� buona parte di queste sar� dedicata 
alla sua verifica e precisazione, sia soprattutto perch� offre la possibilit� 
di giustificare la metodologia di indagine prescelta. Si affronteranno i connotati 
strutturali dell�azione amministrativa nell�ambito che interessa per favorire 
una connessione, il pi� possibile puntuale ed argomentata, con i provvedimenti 
di decretazione d�urgenza. 
Va fin da ora precisato che non si ritiene necessario richiamare ancora 
una volta i tratti salienti delle strutture costituzionali prese in considerazione 
e questo, sia per non cadere nella facile tentazione di una esposizione mera- 
(11) O. RANELLETTI, Il problema della giustizia nella pubblica amministrazione e i diritti soggettivi, 
1948, ora in Scritti giuridici scelti, II. La giustizia amministrativa, a cura di FERRARI e SORDI, Pubblicazioni 
della Facolt� di Giurisprudenza di Camerino, 1992, pag. 345. 
(12) S. SPUNTARELLI, L�amministrazione per legge, cit., pag. 293.
264 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2016 
mente compilatoria, sia soprattutto per dare maggiore spazio ai ragionamenti 
e alle ricostruzioni che progressivamente andranno a formarsi ai fini della maturazione 
di una ricerca pienamente consapevole della complessit� dei temi 
svolti, i quali, in ultima analisi, riguardano il ruolo e l�efficacia stessa del sistema 
delle fonti del nostro ordinamento giuridico. 
Nello svolgere la prospettiva enunciata si comincer� col richiamare l�attenzione 
sopra alcune questioni evidenziate dalla dottrina e dalla giurisprudenza, 
le quali solo a prima vista appaiono non pertinenti con la problematica 
della decretazione d�urgenza ma che sono con questa strettamente collegate 
nell�ottica prescelta dal presente studio. Dalla congiunta considerazione di 
esse sortiranno i primi risultati sul tema in discussione. 
2. Il ruolo dell�Amministrazione nella Costituzione. 
La Costituzione repubblicana (13) dedica solo due disposizioni esplicite 
al tema dell�amministrazione, gli artt. 97 e 98; tale impostazione cos� ristretta 
viene superata dal tentativo (14) di ricercare i caratteri del disegno amministrativo 
nell�intera Carta costituzionale, abbandonando cos� la prospettiva di 
indagine limitata allo studio dei soli articoli citati. 
Seguendo, quindi, questa impostazione, l�analisi dell�Amministrazione 
nella Costituzione pone questioni riguardanti la sua corretta collocazione istituzionale, 
in una dialettica ancora non risolta tra la sua configurazione di apparato 
servente del Governo, e la sua attitudine ad affermarsi come un potere 
dotato di una propria forza di autolegittimazione (15) e di un proprio statuto 
giuridico di indipendenza (16). Risulta complesso individuare una definizione 
univoca di amministrazione, la quale, oggi, sempre pi� tende ad espandersi 
ed articolarsi per interessi curati, ed � difficile ricavare una identit� comune; 
a livello teorico, i principi del nostro ordinamento �postulano una dato modo 
di essere dell�amministrazione� (17), ma, a livello pratico, emerge la compresenza 
di forme diverse di amministrazione con distinte peculiarit� operative. 
Ai fini del presente studio, interessa verificare la particolare configurazione 
e i relativi risvolti pratico-operativi dell�amministrazione con forza di 
legge; ci� implica che il compito assunto da questa particolare forma di am- 
(13) U. ALLEGRETTI, Amministrazione pubblica e costituzione, Padova, 1996, pp. 1-18 e 43-69. 
(14) C. ESPOSITO, Riforma della amministrazione e diritti costituzionali dei cittadini, in La Costituzione 
italiana. Saggi, Padova, pag. 245. 
(15) S. SPUNTARELLI, L�amministrazione per legge, cit., pag. 234. 
(16) S. CASSESE, Il sistema amministrativo italiano, Bologna, 1983, pag. 59, il quale rileva che 
nell�ambito delle disposizioni costituzionali emergono due nature dell�amministrazione, da un lato come 
apparato servente del Governo e dall�altra quale apparato indipendente dal Governo stesso e dalla politica, 
e, nelle sue conseguenze ulteriori, come apparato servente della collettivit�, �guidato, attraverso la 
legge, dal Parlamento, organo rappresentativo della sovranit� popolare�. 
(17) G. PASTORI, Pluralit� e unit� dell�amministrazione, in Democrazia e amministrazione. In ricordo 
di Vittorio Bachelet, a cura di MARONGIOU e DE MARTIN, Milano, 1992, pag. 97.
CONTRIBUTI DI DOTTRINA 265 
ministrazione sia la delicata tutela di complesse situazioni emergenziali dove 
� forte il pericolo di un pregiudizio ai diritti dei cittadini, di soggetti individuali 
e collettivi in modo che si configuri una amministrazione come salvaguardia 
dei diritti e principale struttura organizzativa della solidariet� che regge l�ordinamento 
politico-sociale. In contesti d�emergenza, quindi, si sottolinea il 
senso profondo dell�amministrazione come forma della solidariet� su cui si 
regge la Costituzione repubblicana, attuata concretamente nella sua finalizzazione 
a compiti sociali, alla promozione dei diritti individuali e collettivi. 
A questa concezione, per certi versi, �drammatica�, dell�amministrazione, 
chiamata ad intervenire ricorrendo alla forma della forza di legge come unica 
ed extrema ratio di gestione di situazioni di straordinaria necessit�, si rafforza 
la riflessione sui compiti dello Stato, in quanto � proprio in tale accezione che 
essa rappresenta il modo attraverso il quale lo Stato stesso realizza i compiti 
di promozione del benessere sociale e dell�eguaglianza espressi negli artt. 2 e 
3 della Costituzione (18). Ne discende, in tal modo, una sequenza unitaria, dai 
diritti dei cittadini derivano i compiti dello Stato e la missione dell�amministrazione 
(19). 
Se questi sono i caratteri di una amministrazione chiamata a fronteggiare 
l�imprevedibile si ritrova anche un�unit� dello Stato, e questa unit� � rafforzata 
dall�intervento dell�organo apicale dell�amministrazione, ossia del Governo, 
il quale per espresso compito costituzionale deve garantire una gestione unitaria 
e coerente. L�attivit� concreta di amministrazione che ne scaturisce, 
quindi, non appare come un agire libero, ma � rivolta all�individuazione ed 
alla cura dell�interesse primario, che in questa ricostruzione scaturisce ex art. 
77 Cost., nella direzione indicata dalla norma costituzionale, comparando e 
scegliendo tra i vari interessi da soddisfare o da restringere per perseguire il 
fine preordinato. Di conseguenza, se il Governo � in grado di svolgere questo 
ruolo delicato di essere strettamente aderente alla societ�, conformemente alle 
sue istanze, riconoscer� proprio nella sua azione amministrativa i limiti al suo 
operato, senza sconfinamenti nell�ambito della produzione legislativa. 
Si compone quindi il tema della pluralit� dell�amministrazione, delle diversit� 
mediante le quali essa opera e interagisce con le sfere giuridiche dei 
cittadini; il testo costituzionale, non optando con chiarezza verso un determinato 
modello di amministrazione, consente pi� soluzioni, compresa l�amministrazione 
con forza di legge. 
Tuttavia, alcuni elementi appaiono assodati e, restando sullo sfondo, complicano 
le relative argomentazioni sul tema. Da una parte, infatti, � probabil- 
(18) U. ALLEGRETTI, Amministrazione pubblica e costituzione, cit., pag. 11, dove si afferma che 
�i compiti che qualificano lo Stato e ai quali l�amministrazione partecipa consistono nel riconoscimento, 
garanzia e perfezionamento dei diritti dell�uomo, della dignit� e dello sviluppo della persona, considerata 
singolarmente e nei gruppi in cui si organizza�. 
(19) U. ALLEGRETTI, Amministrazione pubblica e costituzione, cit., pag. 12.
266 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2016 
mente vero che i costituenti complessivamente non colsero, nelle sue possibili 
articolazioni, il problema amministrativo, limitandosi a raccogliere le concezioni 
base formulate dalla tradizione giuspubblicistica e giustapponendole 
senza preoccuparsi a fondo di giungere ad un vero e proprio disegno unitario 
(20); dall�altra, emerge la contraddizione tra un�amministrazione tecnica e una 
politica, ed uno dei compiti principali della Costituzione � proprio quello di 
tenere in equilibrio questi due aspetti, all�apparenza inconciliabili (21). 
I variegati modi di operare dell�amministrazione dimostrano che essa vive 
in uno stato di permanente tensione tra momento tecnico e momento politico, 
non potendo mai essere definitivamente e in modo esclusivo l�uno o l�altro, e, 
come si cercher� di argomentare, tale dialettica � ancora pi� forte e vivace laddove 
l�ordinamento costituzionale consente di porre in essere atti con forza di 
legge da parte dall�Esecutivo. Questa contraddizione, che non necessariamente 
deve essere superata o risolta, � gi� ora un ulteriore indizio per cogliere la misura 
esatta della profondit� e dell�ampiezza delle questioni che l�amministrazione 
con forza di legge ci pone di fronte. 
Fin da ora compare un elemento che nel corso della trattazione avr� una 
certa importanza e contribuisce a caratterizzare il ruolo dell�operato governativo 
qui proposto: si tratta del dovere giuridico di intervenire che deriva dall�interesse 
pubblico (22); infatti �quando la legge�, e in questo caso la 
Costituzione stessa, �assegna all�Amministrazione la tutela di determinati interessi 
pubblici, il perseguimento di questi interessi non � per l�Amministrazione 
una semplice facolt�, ma un dovere� (23). Emerge quindi il dato che se 
questi interessi sono perseguiti �mediante provvedimenti�, come recita testualmente 
l�art. 77, essi sono oggetto di una attivit� prettamente amministrativa, 
sono esplicazione di potere, dall�esercizio non libero: se sussiste una determinata 
situazione, i presupposti dell�art. 77 Cost., l�autorit�, nel nostro caso il 
Governo, non pu� soltanto ma deve e, come si tenter� di argomentare in seguito, 
la discrezionalit� del potere � vincolata al pubblico interesse. Questo si 
articola in modo che ci si trova dinanzi a un vero e proprio �provvedere�, che 
non � situazione isolata bens� combinazione di �dovere-interesse�, risolvendosi 
nella necessit� di soddisfare una imprevista ed imprevedibile straordinariet�. 
Si delinea quindi un diverso, e pi� complesso, ruolo dell�Amministrazione 
che emerge dalla Carta costituzionale e che vede affermarsi l�esistenza 
di un interesse sostanziale e la richiesta di provvedere, elementi, questi, atti 
(20) M. FIORAVANTI, Amministrazione e Costituzione: profili storici, in Democrazia e amministrazione, 
cit., pp. 82-87. 
(21) M. NIGRO, La pubblica amministrazione fra costituzione formale e costituzione materiale, 
ora in Scritti giuridici, tomo III, Milano, 1996, pag. 1843. 
(22) A. CIOFFI, Dovere di provvedere e Pubblica Amministrazione, Milano, 2005, pag. 80. 
(23) E. GUICCIARDI, Interesse occasionalmente protetto ed inerzia amministrativa, in Giur. It., 
1957, III, pag. 21.
CONTRIBUTI DI DOTTRINA 267 
ad indicare che il dovere di provvedere si combina con un interesse sostanziale. 
Questi temi sono indicativi del fatto che, oltre alla necessit� di ricorrere 
a schemi ed istituti propri della dottrina amministrativistica, la statuizione 
dell�art. 77 Cost. pone in s� limiti dai molteplici contenuti. 
3. Funzione ed attivit� amministrativa. La nozione di provvedere. 
Occorre ora analizzare il senso e la portata di istituti come funzione ed 
attivit� amministrativa in relazione al tema dell�amministrazione con forza di 
legge. 
Come punto di partenza � utile rifarsi ai contenuti che la dottrina giuspubblicistica 
pi� risalente ha posto nella funzione amministrativa, definita 
una �attivit� pratica che lo Stato dispiega per curare, in modo immediato, 
gli interessi pubblici che sono naturalmente nei suoi fini, o che egli volontariamente 
assume come tali� (24). In questo senso l�attivit� di amministrare 
equivale a dispiegare compiti che lo Stato, inteso soggettivamente, assume 
come propri o ha nei suoi fini; si pone un collegamento imprescindibile tra 
attivit� amministrativa ed interessi perseguiti, se gli interessi perseguiti 
hanno una natura oggettiva, il potere di questa categoria prende il nome di 
�funzione� (25), e sono questi stessi interessi, intesi come situazioni di rilevanza 
pubblica che richiedono un intervento del potere pubblico, a costituire 
un vincolo per la funzione, quello di dover provvedere a questi interessi, che 
del potere sono a fondamento. 
Prende, quindi, forma l�idea che funzione sia �qualche cosa che, mentre 
si concreta, non � pi� potere ma non � ancora atto� (26), donde la necessit� di 
considerarla come �elemento autonomo�, in modo che la nozione stessa di 
funzione amministrativa sia destinata ad allargarsi e a perdere, in parte, la propria 
originaria identit�, dovuta al fatto che la realt� sociale impone, accanto 
alla funzione tradizionale di conservazione dell�ordine pubblico, un nuovo e 
distinto strumento di intervento, espressione di una funzione di promozione e 
salvaguardia del benessere sociale in particolari e straordinarie situazioni di 
emergenza, cosicch� questa funzione si deve esercitare se, quando e come lo 
richiedano gli interessi per cui � stata costituita, nel nostro caso i presupposti 
ex art. 77 della Carta costituzionale. Pertanto, la nozione di funzione amministrativa 
si dirama in una molteplicit� di attivit� amministrative che a fatica tro- 
(24) G. ZANOBINI, Amministrazione pubblica: b) nozione e caratteri generali, in Enc. Dir., vol. 
II, Milano, 1958, pag. 235, dove vengono definite funzioni tutte le attivit� dello Stato considerate in ordine 
ai fini cui sono dirette, in modo che si hanno funzioni che provvedono a tali fini immediatamente 
e direttamente, come l�attivit� amministrativa, e funzioni che perseguono fini pubblici indirettamente, 
come la legislazione. 
(25) S. ROMANO, Poteri. Potest�, (1945-46), in Frammenti di un dizionario giuridico, Milano, 
1947, pag. 179. 
(26) F. BENVENUTI, Funzione amministrativa, procedimento, processo, in Riv. Trim. dir. Pubbl., 
1952, pag. 118.
268 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2016 
vano elementi comuni nella impostazione di potest� pubblica come delineata 
tradizionalmente; la �cura concreta di interessi pubblici� si articola in modo 
diverso e pi� complesso, dotandosi di strumenti particolarmente rafforzati, 
come la decretazione d�urgenza. 
Il dovere giuridico che va affermandosi prende origine da situazioni che 
all�inizio non si presentano subito come interessi pubblici definiti e gi� delineati 
ma come �fatti�, come �condizioni di esistenza da cui dipende la legittimit� 
del provvedimento con forza di legge, si tratta della faticosa e difficile 
opera di definizione della clausola generale ex art. 77 Cost.; l�Esecutivo-Amministrazione 
si trova dinanzi a condizioni che sono problematiche in quanto 
decisive per la determinazione concreta del grado di intensit� dell�intervento. 
Tutto questo vuole mostrare il progressivo evidenziarsi di una sfera di 
attivit� con forza di legge che l�ordinamento costituzionale stesso richiede 
debba essere sottoposta a regole di tipo amministrativo. Si tratta dei principi 
costituzionali in tema di separazione dei poteri il cui rispetto � imposto indipendentemente 
dal fatto che l�attivit� sia posta in essere con la forma della 
forza di legge. 
La questione dell�amministrazione con forza di legge esprime una particolare 
funzionalizzazione dell�attivit� amministrativa all�interno della quale 
prende rilevanza il momento di concretizzazione della clausola generale dell�art. 
77 Cost., inteso come individuazione di interessi pubblici ritenuti meritevoli 
di tutela; l�ordinamento costituzionale ha affidato ad un preciso soggetto, 
l�Esecutivo, la valutazione e la cura di questo interesse, considerabile come 
fine generale dell�ordinamento perch� riconosciuto come tale secondo il sistema 
positivo. Sotto questo punto di vista, l�interesse a fronteggiare casi straordinari 
di necessit� ed urgenza trova posto nel sistema in quanto il suo 
riconoscimento avviene sia attraverso la potest� governativa di produzione di 
norme in grado di riflettere quell�interesse sia attraverso il suo essere ricondotto 
a quella categoria di interesse pubblico che assume natura generale e comune 
secondo le acquisizioni della dottrina pi� recente. 
L�interesse � quindi configurabile come fine generale, e dunque anche 
come fattore giuridico delle posizioni del singolo, qualora trovi espressione 
nell�ordinamento giuridico, e in questo caso nell�assetto costituzionale, che 
se ne serve per esprimere un principio generale. Ed � quel che accade con l�interesse 
a fronteggiare situazioni emergenziali di straordinaria intensit�; nello 
specifico le norme costituzionali ex art. 77 Cost. stabiliscono un nesso tra l�interesse 
e le posizioni, dei singoli e dell�amministrazione. La nozione di interesse 
pubblico si articola ulteriormente fino ad individuare una particolare 
tipologia, tutelata dall�art. 77 Cost., che non appartiene soltanto all�amministrazione 
intesa come persona giuridica che ne possiede la disponibilit� esclusiva; 
l�interesse pubblico diviene anche interesse �del pubblico�, � cosa 
comune, dell�amministrazione pubblica e del cittadino, e ne dipende nel senso
CONTRIBUTI DI DOTTRINA 269 
che anche a quel termine individuale � preordinata la soddisfazione del pubblico 
interesse (27). 
In questo senso, questa tipologia di interesse pubblico si trova ad essere 
messa in relazione necessaria con l�interesse concreto, preciso e determinabile 
dell�individuo di ottenere dall�Amministrazione-Governo un intervento specifico 
e tempestivo nello straordinario fatto emergenziale sopraggiunto, ma il 
carattere della forza di legge di questo intervento esclude che in capo al soggetto 
sia configurabile un interesse legittimo. 
La funzione amministrativa che emerge da questa analisi specifica dell�art. 
77 Cost. vede nella valutazione politica del Governo, che se ne assume 
la responsabilit�, un momento necessario della sua realizzazione (28); infatti 
le norme che attribuiscono funzioni amministrative non sono in grado di funzionare 
autonomamente, a differenza di quanto avviene nel campo del diritto 
penale o civile (29), ma per ottenere il risultato di soddisfare l�interesse pubblico 
� necessario lo svolgimento delle proprie funzioni da parte dell�amministrazione 
(30). La funzione amministrativa deve trovare il proprio 
fondamento in norme che richiedono all�amministrazione di svolgere la relativa 
attivit� (31), la quale diviene cos� strumentale per la traduzione della valutazione 
politica in realt� effettiva. 
In tal modo, l�art. 77 Cost. allo stesso tempo sia delinea la natura particolare 
di questa funzione amministrativa, cio� il suo essere attivit� volta al 
perseguimento di un preciso interesse pubblico, sia predispone e disciplina lo 
strumento per soddisfare tale interesse; il tentativo proposto � quindi di cogliere 
questo contenuto essenziale dell�azione amministrativa con forza di 
(27) G. LOMBARDI, Doveri pubblici (diritto costituzionale), Enc. Del dir., Aggiornamento, VI, 
pag. 357; C. GALLO, Soggetti e posizioni soggettive nei confronti della Pubblica Amministrazione, Dig. 
Disc. Pubbl., XIV, pag. 290; D. SORACE, Diritto delle pubbliche amministrazioni, Bologna, 2003. 
(28) Tale interesse pubblico tipizzato mediante il conferimento al Governo della competenza a 
porre in essere atti aventi forza di legge comporta che l�esercizio concreto di tale competenza richieda 
una indagine diretta alla rilevazione delle esigenze peculiari e straordinarie di una data situazione fattuale, 
in riferimento alla quale il contenuto dell�interesse pubblico della clausola generale ex art. 77 Cost. � 
necessariamente impreciso e generico. Ne consegue che il Governo, in sede di predisposizione e di adozione 
del decreto-legge provvedimentale, � chiamato a formulare una scelta che per certi aspetti si presenta 
come politica, per la molteplicit� di implicazioni che in concreto possono essere valutate al fine 
di dare un contenuto all�interesse pubblico tipizzato dalla disposizione costituzionale, il quale rappresenta, 
sotto un profilo giuridico, il solo criterio informatore della scelta stessa. 
(29) B.G. MATTARELLA, L�attivit�, in Trattato di diritto amministrativo, Parte generale, tomo I, a 
cura di S. CASSESE, Milano,2003, pag. 700 
(30) M.A. CARNEVALE VENCHI, Contributo allo studio della nozione di funzione pubblica, II, Padova, 
1974, pag. 129. 
(31) B.G. MATTARELLA, L�attivit�, cit., pag. 706, il quale afferma che �in queste norme, quindi, le 
funzioni amministrative trovano la loro base, o la loro giustificazione. Questa circostanza � alla base 
del principio della regola di diritto e fa s� che i parametri, rispetto ai quali viene svolto il controllo sull�attivit� 
amministrativa, siano sempre norme giuridiche. � dunque in base alle norme che vanno individuate 
le funzioni amministrative e i loro elementi: la materia, le attribuzioni, i fini e i destinatari�.
270 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2016 
legge: la realizzazione effettiva delle finalit� e degli interessi fissati dalla disposizione 
costituzionale. 
Si � dinanzi ad una attivit� amministrativa, per usare espressioni del passato 
(32), �teleologicamente ordinata�, �continua�, �organizzante�, e �doverosa�, 
avendo una precisa peculiarit� �nel suo aderire ai fatti come si 
presentano nel caso concreto e nell�attribuire ad essi il valore giuridico che � 
implicito nel sistema di interessi� (33) fissato, nel nostro caso, direttamente 
dal testo costituzionale (34). 
Il complesso intreccio tra la doverosit� dell�attivit� e lo spazio di valutazione 
politica, necessariamente presente, evidenzia un elemento cruciale dell�amministrazione 
con forza di legge. 
A questo punto, sviluppando l�argomentazione fin qui prodotta, � possibile 
ricostruire la nozione di provvedere, elemento che contraddistingue l�operato 
governativo in sede di decretazione d�urgenza. Prima di addentrarci nel 
suo contenuto, � utile evidenziare un aspetto relazionale; il provvedere, che 
gi� nel paragrafo precedente si � evidenziato come dovere di provvedere, � legato 
al pubblico interesse, e, pi� precisamente, il dovere � connesso al potere 
per curare e garantire un pubblico interesse. � presente dunque un nesso stabile 
col potere a causa del pubblico interesse in modo che sia quest�ultimo a connettere 
potere e dovere; il provvedere figura cos� come oggetto di dovere giuridico, 
come espressione della cura dell�interesse pubblico. 
Il dovere di provvedere prende a figurare accanto al potere del governo 
ex art. 77 Cost. e di questo costituisce il vincolo e il limite. La coesistenza di 
dovere e potere conduce a importanti determinazioni: infatti, curare e soddisfare 
il pubblico interesse da un lato � oggetto del dovere di provvedere dell�Esecutivo 
e dall�altro � oggetto di attribuzione del potere governativo di 
produrre atti con forza di legge. 
Ora, al fine di studiare il contenuto del provvedere occorre rifarsi al nesso 
esistente tra questo, meglio precisato come dovere, e il dovere di agire per il pubblico 
interesse, considerazioni gi� note in varie dottrine amministrativistiche (35). 
(32) M. NIGRO, L�azione dei pubblici poteri: lineamenti generali, ora in Scritti giuridici, tomo 
III, Milano, 1996, pag. 1587. 
(33) G. MARONGIU, Funzione amministrativa, cit., pag. 318. 
(34) Va sottolineato come un interesse primario in concreto non esiste mai da solo ma si pone in 
relazione con altri interessi pubblici e privati che o ne impediscono, o ne diminuiscono, o ne condizionano 
la realizzazione. Risulta implicito che tali interessi secondari, caratterizzati dal fatto che si prospettano 
nel concreto delle singole situazioni, non possano considerarsi ricompresi nella previsione 
normativa che si limita ad individuare l�interesse primario. 
(35) S. TRENTIN, L�atto amministrativo. Contributo allo studio della manifestazione di volont� 
della pubblica amministrazione, Roma, 1915; cfr. L. LEVI, Attivit� lecita individuale ed attivit� discrezionale 
amministrativa, Studi in onore di F. Cammeo, Padova, 1933, II, pag. 81; cfr. C. MORTATI, La volont� 
e la causa nell�atto amministrativo e nella legge, Roma, 1935; per una migliore esposizione delle 
principali posizioni dottrinali cfr. A. CIOFFI, Dovere di provvedere, cit., pag. 36. 
CONTRIBUTI DI DOTTRINA 271 
� acquisito il fatto che, per sua stessa natura, la funzione pubblica conferisce, 
a chi ne � investito, attribuzioni il cui esercizio non � facoltativo, ma obbligatorio, 
e questo proprio perch� la funzione � organizzata per curare un fine 
di interesse pubblico (36). Questa continua tensione verso il pubblico interesse, 
questo vincolo permanente, investe l�attivit� propria del Governo, organo apicale 
dell�amministrazione, e genera una conseguenza rilevante sulla sua funzione 
amministrativa come qui ricostruita: l�obbligo di esercitarla ogni 
qualvolta l�interesse ex art. 77 Cost. lo richieda. 
Sono quindi posti insieme il pubblico interesse e l�obbligo di esercitare 
la funzione, dove il primo costituisce per l�Esecutivo un dovere di agire e se 
ne precisano cos� le caratteristiche del dovere di provvedere: � infatti dovere 
del Governo, � dovere giuridico, � dovere generale e permanente, avente ad 
oggetto l�esercizio della funzione. 
Grazie a questa impostazione si pu� considerare che il dovere di provvedere 
attiene direttamente alla necessit� di porre in essere l�attivit� amministrativa 
e in tal senso � ritenuto dovere generale. Al fine della presente trattazione, 
la scelta tra provvedere e non provvedere mediante decretazione d�urgenza 
non � affatto neutra, ma � un fatto rilevante per il diritto, in quanto alla base 
della scelta tra agire e non agire � presente l�esecuzione di un dovere giuridico 
che ha valore non di �eccezione� ma di �regola� per l�attivit� amministrativa. 
� importante, oltre a riconoscere la connessione del dovere al potere, anche 
rilevare la sequenza, ovvero il fatto che prima si parte dal dovere di provvedere 
per arrivare alla cura dell�interesse pubblico e quindi all�esercizio del potere 
di decretazione d�urgenza. 
Il Governo nel momento stesso in cui si trova dinanzi alla determinazione 
di agire o non agire in casi di straordinaria emergenza compie una scelta amministrativa, 
ma la presenza del pubblico interesse la subordina ad un limite 
positivo, figurato come dovere giuridico, �, pertanto, esecuzione di un dovere 
e possiede carattere prettamente giuridico. Inoltre investe l�attivit� amministrativa 
governativa e ne diviene il contenuto proprio perch� questo contenuto 
dell�attivit� amministrativa con forza di legge coincide con l�interesse pubblico 
e l�interesse pubblico, come sostiene autorevole dottrina (37), � �presupposto 
del diritto� in modo che il contenuto dell�attivit� amministrativa �, per intero, 
presupposto del diritto oggettivo. 
In questo senso, la statuizione ex art. 77 Cost., come espressione del dovere 
di agire per il pubblico interesse ivi esplicitato, � norma che imprime giu- 
(36) S. TRENTIN, L�atto amministrativo, cit., pag. 456, dove si afferma che l�obbligo giuridico si 
rappresenta come �qualcosa di immanente e perpetuo, come il prodotto di multiformi energie ininterrottamente 
svolgentisi e rinnovantesi in correlazione con gli scopi molteplici che costituiscono la ragion 
d�essere degli enti pubblici�. 
(37) C. MORTATI, La volont� e la causa nell�atto amministrativo e nella legge, Roma, 1935, pag. 
98.
272 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2016 
ridicit� all�intera attivit� amministrativa con forza di legge che ne discende e 
costituisce oggetto di un dovere giuridico. 
Il dovere di soddisfare il pubblico interesse � dovere giuridico e ha valore 
generale, nel senso che trova espressione tutte le volte che sussistono i presupposti 
di straordinaria necessit� ed urgenza, convive e coesiste col potere 
normativo dell�Esecutivo, nell�ottica del �potere-dovere�. 
A questo punto, per completare l�argomentazione, va considerato che 
da un lato sussiste un punto fermo rappresentato dal fatto che il dovere di 
provvedere, nel nostro caso, � prefissato in apposita norma costituzionale, 
dall�altro, invece, si ha una scoperta consistente nella situazione che si manifesta 
un interesse ad una determinata tipologia di provvedimento con forza 
di legge. Risulta pertanto evidente che la composizione della questione del 
dovere di provvedere posta dall�art. 77 Cost. deriva dalla combinazione di 
questo punto fermo e di questa scoperta; dipende, quindi, dalla situazione 
giuridica del governo-amministrazione e dall�interesse a quel dato provvedimento, 
dal loro incontro nel sistema costituzionale delle fonti del diritto. 
Per tentare di comporre questa articolazione bisogna distinguere tra il dovere 
di provvedere come situazione giuridica ed il dovere di provvedere come effetto 
giuridico. Infatti, il dovere di provvedere, prima di tutto, si presenta 
come espressione della posizione giuridica dell�amministrazione e poi come 
effetto giuridico, nel senso che la situazione giuridica dell�amministrazione 
gi� determina un vincolo giuridico che va a connettersi con la contingente 
circostanza che richiede il provvedimento. 
In questo modo, si determina il dovere di provvedere in concreto quale 
effetto giuridico, come vincolo che impone al governo-amministrazione di 
predisporre un intervento necessario. Viene pertanto di nuovo risaltato il dovere 
di provvedere come conseguenza della funzionalit� dell�amministrazione 
agli interessi prescelti, nel nostro caso, dalla disposizione costituzionale. Si 
accentua cos� il concetto che questo dovere di provvedere rispecchi la data posizione 
qui esposta dell�amministrazione e perci� si delinea uno specifico dovere 
del governo-amministrazione conseguenza del fatto che l�ordinamento 
gli conferisce la legittimazione ad agire e la competenza a provvedere, quasi 
una �competenza-dovere� (38). 
Il Governo � dunque competente ad intervenire in situazioni di grave 
emergenza con lo strumento principe del decreto-legge e questa competenza 
� assegnata direttamente dalla Costituzione che ritiene che solo l�Esecutivo 
sia adeguato, adatto, capace a fronteggiare situazioni che nascono nella realt� 
(38) Per una analisi pi� generale del tema si veda A. CROSETTI, Incompetenza, Dig. Disc. Pubbl., 
VII, pag. 204, R. LASCHENA, Competenza amministrativa, Enc. Giur., VII, ad vocem, A. PIOGGIA, La 
competenza amministrativa. L�organizzazione fra specialit� pubblicistica e diritto privato, Torino, 2001, 
pag. 106.
CONTRIBUTI DI DOTTRINA 273 
concreta, si manifestano improvvisamente e in quanto tali necessitano di un 
intervento agile, diretto ma nello stesso tempo organizzato, tutte caratteristiche 
che sono proprie dell�azione amministrativa. 
Ora l�attenzione si pone su quella che in precedenza era stata definita 
come una �scoperta� e si concretizza nell�interesse al provvedimento con forza 
di legge che proviene dalla situazione di straordinaria necessit� ed urgenza. 
L�interesse che da qui nasce, poi, pu� definirsi meglio come la messa in pericolo 
di un bene della vita di natura sostanziale, che pu� manifestarsi nella lesione 
di un diritto o nel timore che ci� possa accadere con conseguenze 
altamente negative per gli individui intesi sia singolarmente sia come insieme, 
come categoria determinata o determinabile di soggetti che si trova in situazioni 
specifiche e particolari a subire un pregiudizio. Il bene sostanziale, inteso 
in tali termini, costituisce il fatto di legittimazione dell�interesse al provvedimento; 
il provvedimento sar� legittimo costituzionalmente sia se risulter� 
espressione del dovere di provvedere sia se trova la sua giustificazione in questo 
interesse. 
La pluralit� di situazioni e di interessi che si connettono al dovere di provvedere 
conferma che questo ha rilevanza giuridica generale e soprattutto evidenzia 
che il dovere concreto dell�amministrazione non finisce per coincidere 
con una specifica pretesa sostanziale dei soggetti coinvolti nella straordinaria 
emergenza ma rivela che ci� che il governo-amministrazione deve prestare 
non � ci� che questi vogliono ma solo ci� che l�amministrazione deve valutare. 
In questo modo si definisce il dovere di provvedere in senso formale e il dovere 
di provvedere in senso sostanziale, dove il primo ha carattere generale, nel 
senso qui evidenziato, e concorre a designare la posizione dell�amministrazione 
nell�ordinamento, mentre il secondo esprime la necessit� giuridica dell�amministrazione 
di valutare la situazione giuridica sorta dall�improvviso 
sopraggiungere di una grave fatto emergenziale. 
Questa necessit� giuridica corrisponde alla data e precisa posizione e capacit� 
di provvedere del governo-amministrazione, cos� come voluta ex art. 
77 Cost., e concorre al modo di adozione e di produzione di efficacia giuridica 
del provvedimento con forza di legge. In questo aspetto meglio si nota la specifica 
posizione e competenza al provvedimento, alla valutazione della sua 
adozione come risposta, in via sostanziale, all�interesse dei soggetti colpiti 
dallo stato di straordinaria emergenza, traduzione pratica e concreta del dovere 
di risoluzione della situazione critica prescritto dalla disposizione costituzionale. 
4. Questioni, atti, attivit� di alta amministrazione e decretazione d�urgenza. 
A questo punto dell�indagine si pone la necessit� di indagare il tema dell�alta 
amministrazione in relazione all�istituto della decretazione d�urgenza, 
al fine di argomentare che il decreto-legge rappresenta una articolazione spe-
274 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2016 
cifica all�interno della nozione di alta amministrazione, la quale gi� di per s� 
ha avuto una certa difficolt� ad imporsi con attenzione, nonostante i contributi 
dottrinali (39) e giurisprudenziali (40). 
L�intento, dunque, non � quello di ricostruire e indagare nel dettaglio 
l�ampio istituto dell�alta amministrazione ma di individuare in esso un aspetto 
particolare che, nella logica di questo studio, � costituito dalla decretazione 
d�urgenza. 
Tuttavia, � necessario esporre brevemente le principali posizioni emerse 
sul tema dell�alta amministrazione complessivamente inteso, per poi disarticolare 
e ricomporre una distinzione all�interno della nozione di alta amministrazione 
al fine di verificare la possibilit� di elaborare un aspetto diverso, 
che sia per� lo sviluppo giuridico delle considerazioni poste. Infatti non � ragionevole 
pensare che siano destinate all�oblio le riflessioni di quella parte 
autorevole della dottrina (41) che si � sforzata di interrogarsi nel tentativo di 
attribuire un significato ed una collocazione sistematica all�alta amministrazione; 
sicuramente la legge 400 del 1988 ha segnato un passo importante 
nella decisione di non menzionare pi� l�alta amministrazione, creando un 
vuoto che a questo punto solo la riflessione dottrinaria pu� essere in grado, 
almeno in parte, di riempire, nonostante il fatto che dalla fine degli anni settanta 
del Novecento il concetto di alta amministrazione non � pi� stato oggetto 
di indagine autonoma. 
Si constata, pertanto, una certa povert� di elementi iniziali dinanzi alla 
quale, per lo studioso che non voglia gi� in partenza accodarsi all�opinione 
secondo cui una categoria di atti di alta amministrazione tecnicamente non � 
(39) M.S. GIANNINI, Lezioni di diritto amministrativo, Milano, 1950, pag. 117, dove si afferma 
che �l�attivit� di alta amministrazione sia l�attivit� amministrativa strettamente collegata a quella costituzionale 
e che attua immediatamente l�indirizzo politico, tanto per lo Stato che per gli enti pubblici minori; 
V. BACHELET, L�attivit� di coordinamento nell�amministrazione pubblica dell�economia, Milano, 
1957, pag. 96, secondo il quale l�attivit� di alta amministrazione consiste nella �trasfusione dell�indirizzo 
generale politico in pi� concrete direttive amministrative�, con la conseguenza che �l�attivit� di alta amministrazione 
tende a sfuggire ai sistemi di garanzie, controlli e responsabilit�, proprie dell�attivit� amministrativa 
in senso stretto, per rifluire nel sistema delle garanzie e responsabilit� politiche�; A. 
SANDULLI, Governo e amministrazione, ora in Scritti giuridici, I. Diritto costituzionale, Napoli, 1990, 
pag. 261, per il quale �la sola affermazione di un qualche rilievo che � dato cogliere nella letteratura � 
che l�alta amministrazione inerirebbe alla funzione amministrativa e segnerebbe il punto di raccordo 
fra politica e amministrazione�. 
(40) Cons. di Stato, Ad plen., 6 dicembre 1968 n. 30, in Foro amm., 1968, I, 2, pag. 1629, dove 
vi � stata la qualificazione di atto di alta amministrazione riguardante l�annullamento governativo posto 
in essere ai sensi dell�art. 6 R.D. 3 marzo 1934, n. 383, T.U. della legge comunale e provinciale, specificando 
che il concetto di alta amministrazione �comprende le questioni che superano la sfera di azione 
di ogni singolo ministro e toccano tutta l�amministrazione dello Stato o addirittura lo stesso indirizzo e 
programma politico del Governo�. 
(41) M.S. GIANNINI, Lezioni di diritto amministrativo, cit.; A. SANDULLI, Governo e amministrazione, 
cit.; G. CUGURRA, L�attivit� di alta amministrazione, Padova, 1973; M. NIGRO, Studi sulla funzione 
organizzatrice della pubblica amministrazione, Milano, 1966.
CONTRIBUTI DI DOTTRINA 275 
mai esistita, � necessario ampliare l�argomentazione, esaminando una serie di 
problematiche distinte da quelle tradizionali e comunque legate con esse al 
fine di comprendere come la decretazione d�urgenza sia un aspetto della nozione 
di alta amministrazione. 
Si propongono, pertanto, alcuni elementi ritenuti funzionali ad un indagine 
sull�istituto del decreto-legge; il primo concerne la multiformit� 
dell�alta amministrazione, in quanto essa si estrinseca attraverso una variegata 
tipologia di atti, normativi, generali, puntuali, sostanzialmente irriducibili 
ad un modello unitario (42), priva di soluzioni dogmatiche certe e 
condivise. Storicamente il riferimento normativo che va necessariamente ripreso 
� il R.D. 21 dicembre 1850 n. 1122, contenente norme sulle attribuzioni 
del Consiglio dei ministri, testo di notevole significato 
storico-giuridico, capace di fotografare il passaggio verso una forma di governo 
tendenzialmente parlamentare, il cui rilievo sostanziale �non � quello 
di demandare al collegio ministeriale un certo numero di materie che trascendono 
la competenza dei singoli ministri, bens� quello, assai pi� profondo, 
di trasferire al Consiglio una gamma di attribuzioni in precedenza 
ritenute di esclusiva spettanza del sovrano� (43). 
In questo contesto per la prima volta trova collocazione la locuzione 
�alta amministrazione�, infatti l�art. 11 n. 1 del R.D. n. 1122 del 1850 statuisce 
che debbono essere oggetto di deliberazione del Consiglio dei ministri 
le questioni riguardanti l�ordine pubblico e l�alta amministrazione, nulla stabilendo 
per� in relazione alla veste formale che deve essere assunta dai relativi 
provvedimenti, sia perch� la disposizione citata non riserva al 
Consiglio dei ministri il compito di emanare gli atti di alta amministrazione 
sia perch� le questioni esaminate dal Consiglio stesso appaiono troppo eterogenee 
per l�identificazione di una gamma di effetti comuni per le dovute 
deliberazioni. Tuttavia, tale riferimento normativo riveste, dal punto di vista 
interpretativo, un punto fermo funzionale alla tematica di questa ricerca: il 
termine �alta amministrazione� � utilizzato con un significato che prescinde 
dalla struttura del potere (44) e ha, invece, un carattere contenutistico, confermato 
dal fatto che tutte le altre questioni che tale normativa riserva al 
Consiglio dei ministri sono descritte sotto l�aspetto del loro contenuto (45). 
Questo induce a ritenere che il R.D. 1122 del 1850 considera l�alta ammini- 
(42) M.P. GENESIN, L�attivit� di alta amministrazione fra indirizzo politico e ordinaria attivit� 
amministrativa. Riflessioni critiche su un sistema di governo multilivello, Napoli, 2009, pag. XV. 
(43) G. CUGURRA, L�attivit� di alta amministrazione, cit., pag. 115. 
(44) E. CHELI, Potere regolamentare e struttura costituzionale, Milano, 1967, pag. 437. 
(45) G. CUGURRA, L�attivit� di alta amministrazione, cit., pag. 117, dove si sostiene che la posizione 
esposta sia coerente con la teoria formale-sostanziale, �la quale distingue le funzioni dello Stato 
sulla base del contenuto dei rispettivi provvedimenti e che ammette tuttavia che atti di contenuto amministrativo 
possano venire posti in essere persino con la veste della legge�.
276 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2016 
strazione a prescindere dalla natura della funzione (46), l�accento � posto 
sul contenuto, e quindi sar� il contenuto a determinare la tipologia e l�effetto 
di un atto di alta amministrazione. 
Successivamente all�emanazione della legge n. 400 del 1988, probabilmente 
a causa della scomparsa del riferimento normativo esplicito all�alta amministrazione, 
la dottrina non � stata in grado di svolgere un adeguato 
approfondimento del tema (47). 
Per ovviare a questa mancanza si ritiene importante che alla delineazione 
di uno specifico e particolare concetto di alta amministrazione in relazione al 
decreto-legge vada affiancata la natura dei relativi atti in relazione al livello 
strutturale del potere giuridico del quale i medesimi costituiscono esplicazione, 
in quanto una cosa � la deliberazione del Consiglio dei ministri riguardante le 
questioni di alta amministrazione, altra cosa � la conformazione degli atti mediante 
i quali dette questioni vengono in concreto affrontate e risolte. 
Questi due momenti, tuttavia, risultano fra loro strettamente connessi, per 
cui una volta che si sia raggiunta una delineazione del primo si sar� posto un 
punto importante nella definizione del secondo, oltre che, pi� in generale, 
nell�esposizione di quella che, con una espressione che li racchiude entrambi, 
sar� definita come attivit� di alta amministrazione. Per evitare di perdersi in 
un concetto cos� esteso, l�economia della ricerca impone di specificare meglio 
il concetto di questioni di alta amministrazione, una volta posto che esse si segnalano 
per il loro particolare contenuto piuttosto che per le caratteristiche dei 
provvedimenti che ne scaturiscono. In tal senso la decretazione d�urgenza pone 
questioni di alta amministrazione in quanto indica situazioni che, sorte in contesti 
eccezionali, hanno ad oggetto un interesse determinato e che richiedono, 
per la cura di questo, l�emanazione di un atto di contenuto concreto; con questa 
definizione si vuole poi sottolineare l�esistenza di due circostanze: la prima 
sottolinea la natura amministrativa della questione, che non deriva dalla veste 
formale del relativo atto, bens� dall�oggetto della deliberazione che precede 
la venuta in essere del provvedimento, la seconda, invece, consiste nel fatto 
che questa stessa natura amministrativa della questione non pone alcun vincolo 
sull�aspetto formale del conseguente atto da adottare, potendo questo assumere 
il carattere del provvedimento con forza di legge. 
In un simile contesto si pone il tema del rilievo politico delle questioni 
affrontate, se esse siano in toto cariche di politicit� ed in qualche modo espres- 
(46) F. BASSI, Contributo allo studio delle funzioni dello Stato, Milano, 1969, pag. 95. 
(47) C. TUBERTINI, voce Atti politici e di alta amministrazione, in S. CASSESE (diretto da), Dizionario 
di diritto pubblico, I, pag. 516; G. DELLA CANANEA, Gli atti di alta amministrazione e l�obbligo 
di motivazione, in Giorn. Dir.amm., 1998, pag. 45; G.B. GARRONE, voce Atto di alta amministrazione, 
in Dig. Disc. Pubbl., Torino, 1987, I, pag. 538. L�espressione �alta amministrazione� � comunque molto 
spesso evocata ma non spiegata, quasi che il senso di essa possa essere inteso autonomamente, per effetto 
del solo aggettivo �alta�, da parte del lettore stesso.
CONTRIBUTI DI DOTTRINA 277 
sione di indirizzo politico, a causa del modo in cui le vicende si svolgono sul 
piano effettuale, derivandone che la dottrina (48) ritiene politiche quelle questioni 
considerate di rilevanza tale da investire l�intera collettivit�, anche se il 
relativo provvedimento � finalizzato a dispiegare i suoi effetti soltanto entro 
un ambito limitato e circoscritto. Sussiste pertanto sul piano effettuale una distinzione 
fra l�importanza sostanziale della questione e il connotato formale 
del relativo atto al fine di ottenere una corrispondenza tra il soggetto cui spetta 
di deliberare sopra tale questione e quello cui compete il potere giuridico di 
porre in essere il provvedimento. In questa prospettiva va inquadrato il convincimento 
secondo cui l�autorit� alla quale spetta di pronunciarsi sopra la 
questione politica debba essere l�organo collegiale ritenuto istituzionalmente 
esaustivo di tutti i settori dell�azione pubblica (49). 
Per verificare la fondatezza di tale convincimento occorre analizzare il 
tema dell�indirizzo politico e di quello amministrativo e la loro problematicit� 
in relazione alla decretazione d�urgenza. 
In via generale, secondo il pensiero (50) pi� autorevole, l�indirizzo politico 
� considerato quale funzione o attivit� (51) centrale dell�ordinamento, volta a 
determinare i fini complessivi e ultimi dell�azione statale; a monte della nozione 
di indirizzo politico si colloca quella di attivit� di governo con la quale la prima 
�, talora, identificata o rispetto alla quale � considerata momento preminente. 
(48) F. CAMMEO, Corso di diritto amministrativo, Padova, 1960, pag. 30; F. BENVENUTI Evoluzione 
dello Stato moderno, in Ius, 1959, pag. 159; A. BUCCISANO, Premesse per uno studio sul presidente del 
Consiglio dei ministri, in Riv. trim. dir. Pubbl., 1972, pag. 31. 
(49) � evidente che l�impostazione secondo la quale il Consiglio dei ministri esaurisce tutti gli 
interessi pubblici riposa sul presupposto teorico che sia possibile individuare una gamma di interessi 
pubblici diversi e contrapposti rispetto agli interessi privati. Sull�illusoriet� di tale presupposto G. AMATO, 
L�interesse pubblico e le attivit� economiche private, in Pol. del dir., 1970, pag. 448. 
(50) C. MORTATI, L�ordinamento del governo nel nuovo diritto pubblico italiano, Roma, 1931; V. 
CRISAFULLI, Per una teoria giuridica dell�indirizzo politico, in Studi urbinati, 1939; nella dottrina successiva 
M. AINIS, A. RUGGERI G. SILVESTRI, L. VENTURA (a cura di), Indirizzo politico e Costituzione. A 
quarant�anni dal contributo di Temistocle Martines, Milano 1998; M. DOGLIANI, voce Indirizzo politico, 
in Dig. Disc. Pubbl., Torino, 1993, vol. VIII, pag. 244; T. MARTINES, voce Indirizzo politico, in Enc. 
Dir., Milano, 1971, vol. XXI, pag. 134. 
(51) La contrapposizione fra il concetto di indirizzo politico come funzione e quello di indirizzo 
politico come attivit� fu alimentata dalle tesi di Mortati e Crisafulli; in particolare Mortati svilupp� la 
teoria dell�indirizzo politico come funzione di governo ulteriore rispetto alle tre tradizionali funzioni 
dello Stato, Crisafulli, invece, fu contrario alla ricostruzione dell�indirizzo politico in termini di funzione, 
poich� riteneva che la funzione fosse indubbiamente espressione del principio di divisione dell�attivit� 
statale, mentre l�indirizzo politico fosse, all�opposto, diretta espressione del principio di unit�. In relazione 
alla contrapposizione tra questi due autori, si ricorda lo studio di Dogliani per il quale la ricostruzione 
dell�indirizzo politico all�interno del concetto di funzione risponde all�intento di affermarne 
l�omogeneit� rispetto alle tre classiche funzioni dello Stato, ribadendo che la sua natura di funzione non 
solo trova nella Costituzione la sua disciplina ma che esiste solo attraverso attivit� giuridicamente regolate 
di organi costituzionali. Per contro il rifiuto di qualificare l�indirizzo politico come funzione sottolinea 
�la differenza qualitativa tra l�attivit� giuridica in cui consiste l�esercizio delle tre funzioni statali 
tradizionali e quella politica, solo giuridicamente regolata, e in questo senso definibile anch�essa come 
giuridica, ma non produttiva di diritto, che si esprime nell�indirizzo politico�.
278 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2016 
In questo contesto l�attivit� di governo � ricondotta nell�ambito della funzione 
esecutiva accanto all�attivit� amministrativa, quest�ultima per� vincolata 
all�osservanza e all�attuazione delle direttive impartite mediante atti di governo 
(52). Ne consegue che l�attivit� di governo rappresenta l�espressione pi� rilevante 
del potere esecutivo, in grado di imprimere impulso e direzione suprema 
a tutta l�azione dello Stato; l�attivit� amministrativa invece viene intesa come 
complemento della prima, quale azione concreta di cura degli interessi dello 
Stato medesimo, finalizzata a dare ordine ed esecuzione alle leggi e agli atti 
del Governo (53). 
Nell�ampia categoria dell�attivit� di governo viene teorizzata l�esistenza 
dell�indirizzo politico (54), in quanto �il presupposto logico di un�attivit� di 
direzione e coordinamento dell�azione dello Stato nella sua unit� risiede nell�esistenza 
di un momento di determinazione dei fini generali, ultimi ed anche 
contingenti dello Stato� (55). L�indirizzo politico risulta pertanto essere �il 
nucleo essenziale ed originario, il momento primo e logicamente anteriore ad 
ogni altro� (56); esso, unitamente all�attivit� di governo, si pone come elemento 
imprescindibile ed ineliminabile per la sussistenza di ogni forma di governo 
ed � concetto svincolato dalla contingente realt� istituzionale. 
Infatti, la molteplicit� di fattori che compongono la complessa organizzazione 
statale necessita, per poter funzionare armonicamente, di una preliminare 
predisposizione dei fini generali cui ciascuno di essi deve tendere 
quale coordinamento complessivo al perseguimento dei fini stessi. In quanto 
tale, l�indirizzo politico � elemento unificante ed antecedente ad ogni azione, 
ha nella ordinariet� delle situazioni il suo contesto specifico di azione, e, 
perci�, non � automaticamente operativo in circostanze straordinarie. Ci� 
che ora maggiormente conta rilevare � la sua libert� nel fine intesa quale 
possibilit� di posizione di scopi che meglio rende il valore creativo dell�in- 
(52) M.P. GENESIN, L�attivit� di alta amministrazione fra indirizzo politico e ordinaria attivit� 
amministrativa, cit., pag. 69. 
(53) O. RANELLETTI, Principii di diritto amministrativo, Napoli, 1912, vol. I, pag. 323; S. ROMANO, 
Corso di diritto amministrativo. Principi generali, Padova, 1937, pag. 5, dove si ribadisce che l�amministrazione 
rientra nella funzione esecutiva, senza esaurirla, poich� quest�ultima comprende anche la 
c.d. attivit� politica o di governo� Amministrare � significa un�attivit� di grado inferiore a quella di 
governo. Dio governa il mondo, ma non amministra; governa, ma non amministra il Re nella sua qualit� 
sovrana di Capo dello Stato; amministrano invece i funzionari da lui dipendenti�. 
(54) V. CRISAFULLI, Per una teoria giuridica dell�indirizzo politico, cit., pag. 28, dove l�autore riconosce 
alla dottrina della quarta funzione, alla quale egli non aderisce, il �grande� merito di aver fatto 
emergere il concetto di indirizzo politico quale attivit� di predeterminazione dei fini generali ai quali 
deve tendere di volta in volta l�azione statale. Infatti, la correzione da essa apportata alla teoria della tripartizione 
dei poteri non � puramente formale o nominale, poich� l�attivit� di governo, stabilendo le direttive 
di fondo dell�azione statale, non � solo attivit� di impulso e coordinamento, ma anzitutto di 
indirizzo e come tale prevalente e precedente rispetto alle altre. 
(55) M.P. GENESIN, L�attivit� di alta amministrazione fra indirizzo politico e ordinaria attivit� 
amministrativa, cit., pag. 71 
(56) V. CRISAFULLI, Per una teoria giuridica dell�indirizzo politico, cit., pag. 5.
CONTRIBUTI DI DOTTRINA 279 
dirizzo politico; l�essenzialit� dell�indirizzo politico infatti risiede nell�essere, 
o nel poter essere, e soprattutto, nel voler essere, attivit� di posizione 
e di invenzione di fini (57). 
Riprese le caratteristiche della nozione di indirizzo politico ora si pone il 
tema della definizione dei suoi rapporti con l�altrettanto complessa nozione 
di indirizzo amministrativo (58). Lo studio del concetto di indirizzo amministrativo 
deve avere origine dal testo costituzionale e subito va rilevata la problematicit� 
del rapporto con l�indirizzo politico, evidenziando due 
orientamenti principali. 
Da un lato, secondo una impostazione �monistica�, l�indirizzo amministrativo 
� ricondotto all�indirizzo politico, non essendovi riscontrabile una differenza 
strutturale, poich� la sfera della politicit� caratterizza l�azione di 
indirizzo in ogni suo aspetto, tanto quello politico che quello amministrativo 
(59); dall�altro, secondo una visione �dualistica�, l�indirizzo amministrativo 
� ricostruito come subordinato ed immediatamente attuativo di quello politico 
e caratterizzato dal fatto di svilupparsi mediante l�esercizio di potere discrezionale, 
non auto creativo dei propri fini ma vincolato a quelli posti in sede 
politica, e, nel nostro caso, a quelli posti dalla Costituzione e dalle leggi (60). 
Da queste distinte impostazioni derivano due conseguenze precise: per la 
prima, non vi � attribuzione di autonoma rilevanza concettuale all�indirizzo 
amministrativo, e, quindi, si nega che l�alta amministrazione possa essere intesa 
come attivit� di indirizzo (61). Infatti se non si ritiene esistere altra fun- 
(57) M. NIGRO, L�azione dei pubblici poteri: lineamenti generali, ora in Scritti giuridici, tomo 
III, Milano, 1996, pag. 1587. 
(58) M.P. GENESIN, L�attivit� di alta amministrazione fra indirizzo politico e ordinaria attivit� 
amministrativa, cit., pag. 81, dove si afferma che �nell�ordinamento repubblicano l�interesse speculativo 
per il concetto di indirizzo politico e per quello di indirizzo amministrativo � ravvivato dal tenore dell�art. 
95 Cost., il cui 1� comma assegna al Presidente del Consiglio, in sostanziale linea di continuit� con la 
legislazione di stampo ottocentesco, il compito di mantenere �l�unit� di indirizzo politico ed amministrativo� 
del Governo�. 
(59) M. NIGRO, L�azione dei pubblici poteri: lineamenti generali, cit., il quale, escludendo che 
l�alta amministrazione sia attivit� di indirizzo, riconduce ogni tipologia di indirizzo promanante dagli 
organi politici all�indirizzo politico o politico-amministrativo; L. ELIA, Problemi costituzionali dell�amministrazione 
centrale, Milano, 1965, pag. 32, secondo il quale �l�indirizzo amministrativo non � alcunch� 
di diverso dall�indirizzo politico, ma � espressione rivolta a qualificare tale tipo di indirizzo in 
quanto si rivolga ad informare, ispirare e dirigere l�attivit� dei funzionari�. 
(60) G. CUGURRA, L�attivit� di alta amministrazione, cit., pag. 97; E. CHELI, Atto politico e funzione 
di indirizzo politico, Milano, 1961, pag. 160; V. CRISAFULLI Per una teoria giuridica dell�indirizzo 
politico, cit., pag. 41; M.S. GIANNINI, Il potere discrezionale della pubblica amministrazione. Concetto 
e problemi, Milano, 1939, pag. 70. 
(61) M. NIGRO, L�azione dei pubblici poteri: lineamenti generali, cit., dove � interessante rilevare 
che �l�alta amministrazione � attivit� di indirizzo, come spesso si dice? Lo � e non lo �. Certo, ci sono 
direttive amministrative alle quali si pu� applicare questa etichetta ma almeno nel suo nucleo centrale 
l�attivit� di alta amministrazione non impartisce indirizzi, ma li rivela in quanto li attua. Essa � precipuamente 
attuazione di indirizzi politico-amministrativi, attivit� di inveramento di un disegno politico 
che sta a monte di essa�.
280 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2016 
zione al di fuori dell�indirizzo politico � evidente che l�alta amministrazione 
non pu� che essere intesa come espressione di una funzione attuativa, applicativa 
di indirizzi politici (62). 
In questo modo, per�, diventa difficile differenziare il decreto-legge come 
momento di alta amministrazione dalla restante attivit� amministrativa discrezionale. 
L�aspetto pratico pi� significativo di questa posizione consiste nell�ampliamento 
del novero degli atti politici; infatti, le manifestazioni di attivit� 
di indirizzo politico-amministrativo, non costituendo atti di alta amministrazione 
ed appartenendo alla sfera dell�attivit� politica, non possono che venire 
etichettate come politiche (63). 
La seconda conseguenza, prima accennata, si caratterizza per una distinzione 
fra indirizzo politico e indirizzo amministrativo all�interno della pi� 
ampia contrapposizione fra attivit� politica, libera nel fine, e attivit� discrezionale, 
vincolata nel fine. In questo senso, si vuole collegare l�alta amministrazione 
del decreto-legge alla funzione di indirizzo amministrativo (64), e 
tale impostazione si rafforza laddove si consideri la decretazione d�urgenza 
come l�emanazione di atti aventi forza di legge a carattere puntuale e concreto. 
L�orientamento che attribuisce autonoma rilevanza concettuale alla funzione 
di indirizzo amministrativo appare condivisibile, sia perch� risulta maggiormente 
ancorato al significato letterale dei riferimenti normativi alla funzione 
di indirizzo amministrativo, come l�art. 95, comma 1, Cost. e l�art. 2, legge 
400 del 1988, sia perch� valorizza il ruolo di detta funzione fra la formulazione 
dell�indirizzo politico e la sua attuazione attraverso l�attivit� amministrativa. 
Occorre, ora, evidenziare bene le distinzioni tra la funzione di indirizzo amministrativo 
e quella di indirizzo politico. 
La funzione di indirizzo amministrativo appartiene al livello del potere 
discrezionale; essa, quindi, non � autocreativa dei propri fini, presenta il connotato 
della non autosufficienza. Tuttavia, si pu� affermare che la funzione di 
indirizzo amministrativo, pur essendo collocata al livello del potere vincolato 
nel fine, non necessariamente trova espressione soltanto in atti amministrativi, 
(62) M.P. GENESIN, L�attivit� di alta amministrazione fra indirizzo politico e ordinaria attivit� 
amministrativa, cit., pag. 84. 
(63) M.P. GENESIN, L�attivit� di alta amministrazione fra indirizzo politico e ordinaria attivit� 
amministrativa, cit., pag. 85, dove si sostiene, in relazione alla posizione espressa, che �cos� intesa, per�, 
tale teoria � destinata a scontrarsi con la propensione, da parte della giurisprudenza, a ridurre vieppi� il 
novero di atti politici del Governo, in quanto tali non sindacabili�. 
(64) Il legame esistente tra la funzione di indirizzo amministrativo e l�attivit� di alta amministrazione 
� variamente percepito dalla dottrina che accoglie la tesi dualista. Per alcuni autori le nozioni di 
indirizzo amministrativo e di alta amministrazione si identificano l�una nell�altra. In tal senso E. CHELI, 
Atto politico e funzione di indirizzo politico, cit., pag. 160; F. BASSI, Contributo allo studio delle funzioni 
dello Stato, Milano, 1969, pag. 68. Per altri, invece, l�attivit� di alta amministrazione � una delle espressioni 
dell�indirizzo amministrativo, ma non lo esaurisce. In tal senso G. CUGURRA, L�attivit� di alta amministrazione, 
cit., pag. 105; M.S. GIANNINI, Attivit� amministrativa, in Enc. Dir., vol. III, Milano, 1959, 
pag. 990.
CONTRIBUTI DI DOTTRINA 281 
potendo consistere anche in atti con forza di legge, e, con particolare riguardo 
a questo aspetto, essa ha un pi� limitato spettro di autorit� titolari, spettando 
solo all�organo apicale dell�amministrazione statale. Tale organo deve essere 
politicamente legittimato e responsabile, poich� la titolarit� della funzione di 
indirizzo amministrativo � legata, ex art. 95 Cost., all�assunzione di responsabilit� 
politica (65), e, ai fini della presente argomentazione, nell�ottica di 
un�alta amministrazione espressione di indirizzo amministrativo e con forza 
di legge, la titolarit� spetta unicamente al Consiglio dei Ministri. 
Un limite a questa ricostruzione risiede nella multiformit� degli atti che 
sono espressione di indirizzo amministrativo, avendo qui incluso anche la decretazione 
d�urgenza, e ci� provoca una difficile individuazione di tratti omogenei 
di disciplina attorno ai quali aggregare il concetto di indirizzo 
amministrativo. Anche sul significato di funzione possono sorgere difficolt�, 
ma, richiamando quanto gi� detto sull�argomento, se per funzione si intende 
un�attivit� ordinata ad un fine di interesse pubblico secondo un criterio teleologico, 
appare che atti, formalmente e sostanzialmente eterogenei, vadano considerati 
espressione di una stessa funzione se ordinati al perseguimento di un 
interesse pubblico fondamentale. 
Infatti, se la connotazione principale del potere politico � la libert� nel 
fine, nel rispetto di un quadro costituzionalmente rilevante di valori, si dovr� 
ravvisare un atto di indirizzo politico tutte le volte che la funzione pubblica 
esplicata sia caratterizzata dalla libert� nel fine; al contrario, se la caratteristica 
pi� rilevante del potere amministrativo � la vincolatezza nel fine, si potr� ritenere 
il carattere della non autosufficienza della funzione di indirizzo amministrativo, 
in quanto funzione eterolimitata e distinta dall�indirizzo politico. 
Poste queste indicazioni, occorre delineare alcuni punti fermi: il primo 
consiste nel convincimento che l�alta amministrazione del decreto-legge sia 
espressione di un concetto idoneo a qualificare una particolare categoria di 
provvedimenti legata all�esistenza di questioni di contenuto amministrativo 
ritenute talmente rilevanti da richiedere per la loro soluzione l�intervento di 
una deliberazione del Consiglio dei Ministri mediante il ricorso ad un atto 
avente forza di legge; il secondo indica il legame tra la questione di alta amministrazione 
del decreto-legge e il valore dell�interesse generale, rafforzato 
dal ruolo del Consiglio dei Ministri stesso, in quanto organo considerato esponenziale 
dell�intera gamma degli interessi pubblici. 
In tal senso � bene soffermarsi sul tema della derivazione funzionale di 
atti di decretazione d�urgenza attraverso i quali si statuisce sopra questioni di 
alta amministrazione particolarmente rilevanti, proprio perch� scaturite da 
straordinarie situazioni di necessit� ed urgenza. � utile ricordare, pertanto, che 
(65) G. CUGURRA, L�attivit� di alta amministrazione, cit., pag. 271.
282 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2016 
il sistema della teoria formale-sostanziale non � per principio contrario alla 
possibilit� che questioni di contenuto amministrativo siano risolte mediante 
l�adozione di atti con forza di legge; il tema, per�, non � quello di verificare 
una possibilit� teorica, quanto di valutare sul piano effettuale se le questioni 
rientranti nell�ambito dell�alta amministrazione siano concretamente risolte 
grazie a provvedimenti che stanno sullo stesso piano gerarchico della legge 
formale. 
5. La decretazione d�urgenza come particolare aspetto della nozione di alta 
amministrazione. 
Nel tentativo di tirare le fila delle argomentazioni esposte, vanno ora riordinate 
le considerazioni proposte in modo che risulti sufficientemente chiarito 
verso quale aspetto della nozione di alta amministrazione il presente studio 
intende muoversi. Elemento rilevante consiste nel collegamento posto tra la 
questione di alta amministrazione data dai presupposti dell�art. 77 Cost. e il 
riferimento all�interesse pubblico, quest�ultimo reso operativo nel contesto 
istituzionale del Consiglio dei ministri. 
Da tutto questo, � possibile sostenere che il concetto di �atto di alta amministrazione 
avente forza di legge� corrisponde ad una categoria specifica di 
atti e, quindi, ci� che rileva concerne sia il profilo dell�atto sia quello della 
questione e, pi� in generale, dell�intera attivit� che si realizza grazie alla deliberazione 
consiliare e al provvedimento che rende questa produttiva di effetti. 
Nella prospettiva indicata sussiste una gamma di questioni di natura amministrativa 
risolvibili mediante l�adozione di atti del potere esecutivo, ma 
che, per la presenza di circostanze straordinarie ed imprevedibili, sono suscettibili 
di assumere una importanza tale che risulta irrinunciabile il ricorso a 
provvedimenti con forza di legge. 
In tali frangenti, questo aspetto dell�alta amministrazione esprime al massimo 
grado il potere discrezionale della pubblica amministrazione, chiamata 
ad intervenire al suo massimo livello, ossia mediante l�azione del Governo, 
momento imprescindibile di indirizzo dell�attivit� amministrativa puntuale al 
fine di garantire le finalit� di interesse pubblico espresse, nel caso della decretazione 
d�urgenza, dall�art. 77 della Costituzione. L�alta amministrazione 
del decreto-legge �, dunque, espressione di una funzione di indirizzo amministrativo 
che costituisce �il gradino pi� elevato dell�azione posta in essere 
dai pubblici poteri per il conseguimento delle finalit� gi� predeterminate mediante 
atti liberi nel fine� (66). 
In questo senso, se lo strumento del decreto-legge presenta caratteristiche, 
operative e strutturali, idonee a costituire una particolare realizzazione di attivit� 
di alta amministrazione, l�indirizzo politico non potr� ordinariamente 
(66) G. CUGURRA, L�attivit� di alta amministrazione, cit., pag. 273.
CONTRIBUTI DI DOTTRINA 283 
servirsi di questo strumento per attuare se stesso, ma, soltanto al sorgere della 
circostanza straordinaria, e in via residuale, potr� operare per porre le soluzioni 
che ritiene pi� opportune nel fronteggiare l�imprevedibile. 
In sede di decretazione d�urgenza, quindi, il rapporto tra indirizzo politico 
ed amministrativo si articola e si specifica maggiormente, con una delimitazione 
pi� netta dei rispettivi ruoli ed ambiti di azione, ma con una predominanza 
netta del ruolo dell�indirizzo amministrativo. Il decreto-legge viene cos� 
ad assumere il rilievo di �provvedimento di alta amministrazione� proprio perch� 
esso � chiamato a risolvere una questione di alta amministrazione, ed � 
posto in essere a seguito di un azione di mediazione di interessi coinvolti sulla 
quale non si esercita il controllo da parte degli organi giurisdizionali, sussistendo 
soltanto il sindacato di legittimit� costituzionale. 
Questo distinto aspetto dell�alta amministrazione, costituito dalla decretazione 
d�urgenza, si lega quindi al contenuto provvedimentale, vuole essere 
un modo diretto, specifico, ritagliato al caso particolare, di intervento, il 
quale, a causa della gravit� della situazione, assume la veste della forza di 
legge. In questa impostazione, quindi, gli strumenti amministrativi che il Governo, 
organo apicale della P.A., ha a disposizione si allargano e si rafforzano 
ma hanno come elemento comune ed imprescindibile la concretezza e la specificit� 
del caso. 
Con questa tipologia di alta amministrazione si esplica compiutamente il 
continuum politica-amministrazione posto dall�art. 95 Cost. che vede l�indirizzo 
amministrativo accanto all�indirizzo politico, senza per� risolvere il 
primo nel secondo (67). 
Inoltre, dato che l�alta amministrazione del decreto-legge implica, al massimo 
livello, l�esercizio del potere discrezionale, la titolarit� del relativo potere 
deve essere posto in capo a soggetti politicamente responsabili (68). 
Del resto, questo � il modello delineato dall�art. 95 Cost. che attribuisce 
il potere di esprimere l�indirizzo amministrativo ad organi, quali, nel nostro 
caso, il Consiglio dei ministri, responsabili dinanzi alle Camere; tale disposizione 
costituzionale svolge un ruolo centrale sia per affermare l�esistenza di 
un�autonoma funzione di indirizzo amministrativo sia per individuare a quale 
autorit� essa possa spettare. 
(67) M.P. GENESIN, L�attivit� di alta amministrazione fra indirizzo politico e ordinaria attivit� 
amministrativa, cit., pag. 143, dove si afferma che �pare, pertanto, di poter ricondurre la distinzione 
tra funzione di indirizzo politico e funzione di indirizzo amministrativo alla contrapposizione tra funzione 
di indirizzo sulla amministrazione, da un canto, e funzione di indirizzo della amministrazione, 
dall�altro�. 
(68) L. CARALASSARE, Amministrazione e potere politico, Padova, 1974, pag. 35.
284 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2016 
Il soccorso istruttorio dopo l�entrata in vigore del D.lgs. 
n. 50 del 18 aprile 2016. Vecchie e nuove problematiche 
Giuliano Gambardella, Ciro Alessio Mauro* 
SOMMARIO: 1. Origini del soccorso istruttorio - 2. I principi del soccorso istruttorio - 3. 
Tassativit� delle cause di esclusione nel codice degli appalti pubblici, con particolare riferimento 
all�analisi degli articoli 46 e 38 dopo l�entrata in vigore del d.lgs. n. 50 del 18 aprile 
2016 - 4. Conclusioni. 
1. Origini del soccorso istruttorio. 
Il presente contributo si propone di fornire le prime impressioni sulle recenti 
novit� introdotte dal d.lgs. n. 50 del 18 aprile 2016 sul soccorso istruttorio. 
Prima di argomentare, nel dettaglio, tali novit� �, altres�, opportuno in via 
propedeutica effettuare sebbene senza pretesa di esaustivit� alcuna le modifiche 
precedenti pi� significative intervenute sul tema in parola. 
Come � noto, il soccorso istruttorio � un istituto di carattere generale 
espressivo dei principi fondamentali di rango comunitario e nazionale aderente 
ai principi di proporzionalit� e di buona amministrazione. 
In accezione generale, l�istituto del soccorso istruttorio appare essere ispirato 
al criterio della buona fede che costituisce un normale modus procedendi 
al quale le Amministrazioni devono attenersi ammettendo il concorrente, nella 
fase di valutazione dei requisiti di partecipazione, alla regolarizzazione del 
documento o del certificato affetto da vizi formali, laddove manchi l�esplicitazione 
di una clausola di esclusione volta a sanzionare l�inosservanza della 
formalit�, onde trattasi (1). 
Sotto un profilo storico, vale la pena ricordare come la procedura del soccorso 
istruttorio prenda le mosse dal diritto comunitario, con particolare riferimento 
all�articolo 27 della Direttiva 71/305/CEE del Consiglio del 26 luglio 
1971, la quale riconosceva all�amministrazione aggiudicatrice - entro certi limiti 
- il potere di �invitare l�imprenditore a completare i certificati e i documenti 
presentati o a chiarirli� (2). 
L�orientamento iniziale della dottrina e della giurisprudenza rispetto al 
soccorso istruttorio si qualificava vieppi� come restrittivo, nella misura in cui 
era consentita solo la regolarizzazione, ovvero un mero intervento su circostanze 
o elementi estrinseci al contenuto della documentazione. 
Per definire meglio l�ambito di applicazione dell�istituto de quo, � oppor- 
(*) Avvocati del libero Foro. 
(1) A. BOSO (a cura di), Normativa, Giurisprudenza e prassi sugli appalti pubblici e sulla sicurezza, 
SIFIC, Ancona, 2010, pp. 75-231 e ss. 
(2) Art. 27, Direttiva del Consiglio n. 71/305/CEE del 26 luglio 1971.
CONTRIBUTI DI DOTTRINA 285 
tuno rammentare la differenza sostanziale tra l�integrazione e la regolarizzazione. 
Con riferimento alla regolarizzazione, non va sottaciuto come la stazione 
appaltante pu� ricorrere al soccorso istruttorio per rettificare, di fatto, eventuali 
errori materiali ovvero refusi contenuti nella documentazione presentata. 
Invece non � possibile utilizzare il soccorso istruttorio allorquando vengano 
alla luce eventuali omissioni documentali, ovvero inadempimenti procedurali 
richiesti a pena di esclusione dalla legge di gara. 
L�integrazione, invece, � contemplabile solo nella circostanza in cui le 
clausole del bando siano ambigue, ovvero nella circostanza in cui il concorrente 
sia incorso in errore scusabile in ragione di una omissione della medesima 
stazione appaltante, altrimenti l�opzione dell�integrazione costituirebbe 
un�evidente violazione al principio della par conditio, che verrebbe violato 
dalla remissione in termini, per mezzo della sanatoria (su iniziativa dell�amministrazione), 
di una documentazione incompleta o insufficiente ad attestare 
il possesso del requisito di partecipazione o la completezza dell�offerta, da 
parte del concorrente che non ha presentato, nei termini e con le modalit� previste 
dalla lex specialis, una dichiarazione o documentazione conforme al regolamento 
di gare (3). 
L�orientamento minoritario tendeva a valorizzare il potere di regolarizzazione 
come strumento di correzione dell�eccessivo rigore delle forme (4). 
La tendenza era quella di privilegiare il dato sostanziale rispetto a quello 
meramente formale, ovvero in quelle circostanze in cui non fosse in discussione 
n� la sussistenza dei requisiti di partecipazione, n� la capacit� tecnica 
ed economica dell�impresa. 
In ordine alla siffatta impostazione, un�eventuale previsione del bando prescritta 
�a pena di esclusione� non avrebbe sottratto, comunque, l�Amministrazione 
dall�onere del soccorso istruttorio, nell�ipotesi in cui i vizi di ordine formale 
riscontrati non sarebbero stati tali da pregiudicare, sotto il profilo sostanziale, il 
raggiungimento del risultato verso il quale l�azione amministrativa � orientata. 
Tutto ci� premesso, � evidente come il soccorso istruttorio si qualifichi, 
in buona sostanza, come un ordinario modus procedendi orientato a superare 
inutili formalismi in nome del principio del favor partecipationis e della semplificazione, 
sia pure all�interno di rigorosi limiti dettati dalla necessit� di assicurare 
la parit� tra i concorrenti alla gara. 
2. I principi del soccorso istruttorio. 
Giova rammentare come nell�ordinamento giuridico italiano, il soccorso 
(3) Cos� F. MASTRAGOSTINO (a cura di), Diritto dei contratti pubblici. Assetto e dinamiche evolutive 
alla luce delle nuove direttive europee e del d.l. n. 90 del 2014, Giappichelli, Torino, p. 176. Si veda, altres�, 
Cons. Stato, Sez. III, 5 maggio 2014, n. 2289. 
(4) TAR Lazio Roma, sez. II bis, 7 aprile 2014, n. 3742.
286 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2016 
istruttorio si fonda essenzialmente sui principi di lealt� e di responsabilit�, e 
trova collocazione sistematica nell�art. 6, comma 1 lettera b) della legge n. 241 
del 7 agosto 1990, che disciplina i compiti del responsabile del procedimento. 
Con particolare riferimento al principio di lealt� merita precisare che la 
Pubblica Amministrazione non pu� rigettare un�istanza per il solo fatto che 
essa sia carente in qualche sua parte, allorquando si possa evincere il contenuto 
minimo della medesima. 
Per quanto attiene, invece, al principio di responsabilit�, il privato deve 
rispondere delle conseguenze dell�eventuale comportamento inadempiente 
qualora l�istanza non necessiti di una mera integrazione, ma postuli, altres�, 
un�inammissibile attivit� di creazione della medesima. Tale principio � stato 
recentemente ribadito da una deliberazione dell�ANAC (5) secondo la quale 
�L�integrazione documentale, in altri termini, non intende supplire ad un�offerta 
originariamente carente e dunque inammissibile, ma tende a non escludere 
un�offerta che ab initio avrebbe dovuto essere ammessa, se non vi fosse 
stato un lapsus calami�. 
Tale determinazione, invero, � frutto di un consolidato indirizzo giurisprudenziale 
che si era formato sul soccorso istruttorio (6). 
A ben vedere, nella prassi, il soccorso istruttorio rappresenta quindi 
un�applicazione del principio del giusto procedimento - notoriamente sancito 
dall�art. 3 della legge n. 241 del 7 agosto 1990 - il quale impone all�amministrazione 
di squarciare il velo della forma per assodare l�esistenza delle 
effettive condizioni di osservanza delle prescrizioni imposte dalla legge, ovvero 
dal bando. 
Si tratta, in sostanza, di un vero e proprio dovere - espressione del pi� 
ampio principio di partecipazione procedimentale - il cui fondamento � rinvenibile 
nel principio di buon andamento, inteso anche nell�accezione della 
necessaria cooperazione tra amministratori e amministrati. 
Secondo la lettera b) dell�articolo 6 comma 1 della legge n. 241 del 7 agosto 
1990, �il responsabile del procedimento accerta d�ufficio i fatti, disponendo 
il compimento degli atti all'uopo necessari, e adotta ogni misura per l'adeguato 
e sollecito svolgimento dell'istruttoria. 
Pi� nel dettaglio, il responsabile del procedimento pu� chiedere il rilascio 
di dichiarazioni e la rettifica di dichiarazioni o istanze erronee o incomplete 
e pu� esperire accertamenti tecnici ed ispezioni ed ordinare esibizioni 
documentali�. 
Da un�attenta lettura della norma, si desume che l�amministrazione pu� 
invitare il privato a completare o fornire chiarimenti in ordine al contenuto dei 
certificati, documenti e dichiarazioni presentati. 
(5) Deliberazione n. 7 del 30 settembre 2014 - rif. Fascicolo n. 3325/2013. 
(6) Cons. St., sez. III, sentenze n. 4039/2013 e 4370/2013 e sez. V, sent. n. 1122/2013.
CONTRIBUTI DI DOTTRINA 287 
Tale contenuto � subordinato alla sola esistenza in atti di dichiarazioni 
che siano state effettivamente rese, ancorch� in modo non pienamente intellegibile 
o senza il rispetto dei requisiti formali. 
L�istituto giuridico del soccorso istruttorio ex art. 6 comma 1 lettera b) 
della legge n. 241 del 7 agosto 1990, non pu� operare in presenza di dichiarazioni, 
non gi� semplicemente incomplete, ma del tutto omesse, in quanto, in 
tal modo, la Pubblica Amministrazione, lungi dal supplire ad una mera incompletezza 
documentale, andrebbe sostanzialmente a formare il contenuto di una 
istanza che costituirebbe onere della parte presentare. 
Sulla base delle considerazioni sin qui effettuate scopo proficuo del presente 
contributo � quello di mettere in evidenza in ordine cronologico le novit� 
introdotte dalla d.l. n. 70 del 13 maggio del 2011 convertito in legge del 12 luglio 
2011 n. 106, che ha introdotto il comma 1 bis dell�art. 46 del d.lgs. n. 163 
del 12 aprile 2006, ed in particolare sulla tassativit� delle cause di esclusione. 
Successivamente, verr� richiamata la legge 11 agosto 2014 n. 114, che 
ha introdotto il comma ter dell�art. 46. Infine, verr� illustrato il soccorso istruttorio 
nel recentissimo d.lgs. n. 50 del 18 aprile 2016, di riforma del precedente 
d.lgs. n. 163 del 12 aprile 2006, che ha riscritto in un�unica disposizione quanto 
era previsto nei precedenti articoli 38, 45 e 46. 
3. Tassativit� delle cause di esclusione nel codice degli appalti pubblici, con 
particolare riferimento all�analisi degli articoli 46 e 38. 
Dopo l�entrata in vigore della legge n. 241 del 7 agosto 1990, la procedura 
del soccorso istruttorio ha trovato un ulteriore riconoscimento normativo nel 
precedente codice degli appalti pubblici (d.lgs. n. 163 del 12 aprile 2006) e 
precisamente negli articoli 46 e 38. 
Appena � entrato in vigore il d.lgs. n. 163 del 12 aprile 2006, l�art. 46 
constava di un solo comma, il quale rinviava agli articoli 38 e 45 per il suo 
completamento o per fornire chiarimenti in ordine al contenuto di certificati, 
documenti e dichiarazioni presentate. 
Nel corso del tempo, tuttavia, il contenuto di tale norma si � rivelato insufficiente 
e, a distanza di cinque anni dalla sua entrata in vigore, il legislatore 
- preso atto dei numerosi orientamenti giurisprudenziali succedutisi - sia per 
porre un freno al dilagante fenomeno dei �bandi fotografia� e al moltiplicarsi 
delle cause di esclusione, sia per semplificare le procedure di gara, con il decreto 
legge n. 70 del 2011 convertito con modificazioni in legge n. 106 del 12 
luglio 2011 ha previsto: 
a) la tassativit� delle cause di esclusione; 
b) l�introduzione di bandi tipo da cui le stazioni appaltanti possono discostarsi 
solo con congrua motivazione; 
c) l�ampliamento di utilizzo delle dichiarazioni sostitutive. 
A tale proposito, la novit� pi� rilevante � rappresentata dalla tassativit�
288 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2016 
delle cause di esclusione, enunciata nell�art. 46 del d.lgs. n. 163 del 12 aprile 
2006, la cui rubrica � stata integrata con le seguenti parole �Tassativit� delle 
cause di esclusione� e nel cui corpo � stato inserito il comma 1 bis ai sensi del 
quale �la stazione appaltante esclude i candidati o i concorrenti in caso di 
mancato adempimento alle prescrizioni previste dal codice e dal regolamento 
e da altre disposizioni di legge vigenti, nonch� nei casi di incertezza assoluta 
sul contenuto o sulla provenienza dell�offerta, per difetto di sottoscrizione o 
di altri elementi essenziali ovvero in caso di non integrit� del plico contenente 
l�offerta o la domanda di partecipazione o altre irregolarit� relative alla chiusura 
dei plichi, tali da far ritenere, secondo le circostanze concrete, che sia 
violato il principio di segretezza delle offerte; i bandi e le lettere di invito non 
possono contenere ulteriori prescrizioni a pena di esclusione. Dette prescrizioni 
sono comunque nulle�. 
Il principio di tassativit� delle cause di esclusione delineato dall�art. 46, 
comma 1 bis del d.lgs. n.163 del 12 aprile 2006 si applicava ai settori ordinari 
e, in forza di quanto disposto dall�art. 206 dello stesso codice, anche ai 
settori speciali. 
In particolare, esso si applicava indistintamente tanto alle procedure 
sopra soglia comunitaria quanto alle procedure sotto soglia, con la precisazione 
che la normativa si applica soltanto ai bandi successivi all�entrata in 
vigore della novella. 
Secondo una parte della dottrina, il comma 1 bis dell�art. 46 del d.lgs. n. 
163 del 12 aprile 2006, ha codificato i principi di elaborazione giurisprudenziale, 
di massima partecipazione alle gare, di divieto di aggravio del procedimento, 
di interpretazione delle clausole ambigue nel senso di favorire la 
massima partecipazione al procedimento (7). 
Ad avviso di tale dottrina, il comma 1 bis dell�art. 46 del d.lgs. n. 163 del 12 
aprile 2006, mirava ad evitare esclusioni anche per violazioni formali, atteso che 
ora solo vizi radicali che determinano incertezza assoluta del soggetto o dell�oggetto 
dell�offerta, ovvero violazione della segretezza, sono cause di esclusione. 
A tal proposito, giova precisare l�esistenza di due criteri per l�individuazione 
delle cause di esclusione dalle gare. 
Secondo il primo criterio, costituiva causa di esclusione la violazione di 
prescrizioni imposte dal codice, dal regolamento o da altre leggi; secondo il 
secondo criterio, invece, vi erano una serie di ipotesi che sono, per espresso 
dettato, cause di esclusione: 
a) incertezza assoluta sul contenuto o sulla provenienza dell�offerta, per 
difetto di sottoscrizione o di altri elementi essenziali; 
b) non integrit� del plico contenente l�offerta o la domanda di partecipazione; 
(7) R. DE NICTOLIS in R. CHIEPPA e R. GIOVAGNOLI, Manuale di diritto amministrativo, Ed. 2012, 
pag. 735.
CONTRIBUTI DI DOTTRINA 289 
c) altre irregolarit� relative alla chiusura dei plichi, tali da far ritenere, secondo 
le circostanze concrete, che sia stato violato il principio di segretezza 
delle offerte. 
Sono residuati dubbi sulla formulazione della prima parte della disposizione 
de qua, e precisamente laddove si prevedeva come causa di esclusione 
il mancato adempimento di prescrizioni imposte dal codice, dal regolamento, 
da altre leggi. Pertanto, non si faceva riferimento alla sola inosservanza di prescrizioni 
imposte a pena di esclusione. 
Secondo la medesima dottrina, il problema esegetico � sorto perch� solo 
alcune disposizioni del regolamento contenevano una espressa comminatoria 
di esclusione, ma comunque imponevano adempimenti imperativi: un esempio 
sono le disposizioni in tema di termini di presentazione delle offerte o a quelle 
in tema di prestazione della cauzione provvisoria. 
Tale contrasto interpretativo, secondo autorevole dottrina, poteva essere 
risolto condividendo l�opinione secondo la quale �la formulazione letterale 
dell�art. 46 comma 1 bis induce a ritenere che l�esclusione possa essere disposta 
non solo nei casi in cui disposizioni del codice o del regolamento la prevedano 
espressamente, ma anche nei casi in cui impongano adempimenti 
doverosi ai concorrenti o candidati, o dettino norme di divieto, pur senza prevedere 
una espressa sanzione di esclusione� (8). 
Secondo tale interpretazione, una disposizione recante espressi divieti, 
che vanno ritenuti imposti a pena di esclusione, � quella dell�art. 37 comma 7 
del codice del d.lgs. n. 163 del 12 aprile 2006, che impone ai concorrenti il 
divieto di partecipare alla gara in pi� di un�ATI (Associazioni temporanee di 
imprese) o di un consorzio ordinario. 
A tale dottrina si � conformata la giurisprudenza prevalente, la quale ha 
ritenuto che, ogniqualvolta il codice o il regolamento si esprimano in termini 
di divieto, ovvero di doverosit� degli adempimenti imposti ai concorrenti, con 
l�uso della locuzione �deve� �devono�, ҏ obbligato�, l�adempimento deve ritenersi 
imposto a pena di esclusione (si veda in particolare l�art. 37 commi 4, 
13, 14, 15; art. 75, commi 1, 4, 5; art. 111 comma 1; art. 113 del d.lgs. n. 163 
del 12 aprile 2006) (9). 
Un�altra novit� � rinvenibile nell�espresso divieto per bandi e lettere invito 
di prevedere ulteriori cause di esclusione che, seppur previste, sarebbero comunque 
nulle, sempre ai sensi dell�art. 46 comma 1bis del d.lgs. n. 163 del 2006. 
Ad un�attenta analisi, era possibile considerare come la sanzione della 
nullit�, in luogo dell�annullabilit� che � tipica degli atti amministrativi, potesse 
indurre a ritenere come le clausole di bandi e lettere invito che prevedessero 
(8) R. CHIEPPA, R. GIOVAGNOLI, cit. 
(9) Cons. Stato, Sez. III, 16 marzo 2012, n. 1471, nonch� Cons. Stato, Ad. Plen., 7 giugno 2012, 
n. 21.
290 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2016 
cause di esclusione non consentite, fossero automaticamente inefficaci, con 
conseguente disapplicazione del seggio di gara, senza ricorrere allo strumento 
dell�annullamento; nello specifico la nullit� che viene in rilievo � quella parziale, 
ex art. 1419, co. 2 c.c. (vitiatur se non vitiat). 
Sul tema della tassativit� delle cause di esclusione, previsto e disciplinato 
dall�art. 46 co. 1 bis del d.lgs. n. 163 del 12 aprile 2006, � intervenuta nel corso 
del tempo la giurisprudenza amministrativa, che, con le sue pronunce ha chiarito 
i limiti ed ha stabilito i casi di ammissibilit� del soccorso istruttorio. 
Secondo un primo orientamento, sull�applicabilit� ratione temporis della 
nuova disciplina in tema di cause di esclusione dalle pubbliche gare, per le 
quali, in virt� della novella di cui al d.l. n. 70 del 2011, � stato introdotto all�art. 
46 comma 1 bis, d.lgs. n. 163 del 2006 il principio di tassativit�, andava rilevato 
che, per conseguenza diretta del combinato disposto della norma di cui al 
comma 8 dell�art. 66 e di quella introdotta dal comma 1 bis dell�art. 46 citato, 
il principio di tassativit� delle cause di esclusione doveva valere, a pena di nullit� 
delle clausole difformemente introdotte, per tutti i bandi la cui pubblicazione 
avvenuta nella G.U.R.I., sia successiva all�entrata in vigore della norma (10). 
Con un�altra significativa pronuncia, il giudice amministrativo ha posto 
un limite all�applicabilit� dell�art. 46 comma 1 bis del d.lgs. n. 163 del 12 
aprile 2006. 
Nello specifico, secondo il T.A.R., in base al principio della tassativit� 
delle cause di esclusione dalle gare di appalto, previsto e disciplinato dall�art. 
46 comma 1 bis del d.lgs. 163 del 12 aprile del 2006, solo le violazioni di 
norme di legge o di regolamento o quelle che determinano irregolarit� sostanziali 
in relazione a quanto esplicitamente indicato nella stessa disposizione 
comportavano l�esclusione dal procedimento. 
Ci� determina da un lato la nullit� di quelle previsioni dei bandi ad oggetto 
omnicomprensivo, che rendono obbligatoria la presentazione di tutta la 
documentazione richiesta e nelle forme indicate, riconnettendo automaticamente 
l�esclusione della concorrente al generico difetto di una qualsiasi parte 
della documentazione stessa; e dall�altro, l�obbligo per il giudice di accertare 
se l�omissione di cui una concorrente si lamenta (ai fini della domanda di 
esclusione dalla gara di altro concorrente) sia effettivamente ascrivibile alle 
condizioni del menzionato articolo 46 (11). 
La giurisprudenza amministrativa ha fatto chiarezza anche in ordine all�integrazione 
postuma e al suo ambito di applicazione, all�omessa allegazione 
di documenti richiesti a pena di esclusione ed alle clausole del bando ambigue 
o contraddittorie ed alla cauzione. 
Circa l�integrazione postuma, secondo il Consiglio di Stato, il rimedio 
(10) T.a.r. Venezia, sez. I, 2 dicembre 2011, n. 1791, Foro amm. T.a.r. 2011, n. 12.3874. 
(11) T.a.r. Reggio Calabria, sez. I, 22 marzo 2012, n. 245, Diritto & Giustizia, 2012, 10 aprile.
CONTRIBUTI DI DOTTRINA 291 
della regolarizzazione documentale, di cui all�art. 46 del d.lgs. n. 163 del 12 
aprile 2006, non si applica al caso in cui l�impresa concorrente abbia integralmente 
omesso la produzione documentale prevista dall� art. 38 del precedente 
codice dei contratti pubblici; viceversa, qualora la documentazione prodotta 
dal concorrente a una pubblica gara sia presente, ma carente di taluni elementi 
formali, tale da suscitare un indizio del possesso del requisito richiesto, l�amministrazione 
non pu� pronunciare l�esclusione di una procedura, ma � tenuta 
a richiedere al partecipante di integrare e chiarire il contenuto di un documento 
gi� presente, costituendo tale attivit� acquisitiva un ordinario modus procedendi, 
ispirato all�esigenza di far prevalere la sostanza sulla forma (12). 
A causa dell�insufficienza del dato normativo � stato necessario un ulteriore 
chiarimento sull�ambito di applicazione della regolarizzazione postuma 
da parte del giudice amministrativo. 
Pi� nel dettaglio, per il T.A.R., l�integrazione postuma, nei limiti rigorosi 
segnati dalla giurisprudenza e dalla legge poteva riguardare la sola documentazione 
necessaria a dimostrare il possesso dei requisiti di partecipazione, non 
gi� il contenuto negoziale dell�offerta tecnica, poich�, cos� operando, si sarebbe 
verificato un�impropria �rimessione in termini� all�offerente, consentendo 
di rimediare tardivamente alle carenze della propria proposta tecnica ed 
infrangendo, in tal modo, il principio di imparzialit� che impone di trattare 
senza discriminazioni i concorrenti nel rispetto delle scadenze e delle procedure 
stabilite ex ante con il bando di gara (13). 
Secondo un altro orientamento, il potere dovere della Stazione-appaltante 
di chiedere un�integrazione documentale (gi� previsto dall�art. 6 della legge 
n. 241 del 7 agosto 1990), trovava ormai un solido riscontro nell�art. 46 del 
codice degli appalti pubblici, il quale codificava uno strumento inteso a far 
valere, entro certi limiti, la sostanza sulla forma (o sul formalismo), nell�esibizione 
della documentazione ai fini della procedura selettiva, onde non sacrificare 
l�esigenza della pi� ampia partecipazione per carenze meramente 
formali nella documentazione (14). 
Come sopra detto, il Giudice amministrativo � intervenuto �a ragion veduta� 
con importanti pronunce anche sull�omessa allegazione di documenti 
richiesti a pena di esclusione, gi� prevista e disciplinata dall�art. 38 del d.lgs. 
n. 163 del 12 aprile 2006. 
Secondo un orientamento successivo del giudice amministrativo, la ratio 
della normativa di cui all�art. 38 del d.lgs. n. 163 del 12 aprile 2006 risiede 
nell�esigenza di verificare l�affidabilit� complessivamente considerata dell'operatore 
economico che andr� a contrattare con la P.A., per evitare a tutela 
(12) Cons. Stato, sez. V, 28 dicembre 2011, n. 6965, Foro amm. CDS 2011, 12, 3715. 
(13) T.a.r. Roma Lazio, sez. III, 9 dicembre 2010, n. 35952, Foro amm. TAR, 2010, 12 3916. 
(14) Cons. Stato, Sez. V, 27 marzo 2009, n. 1840, Foro amm. C.d.S., 2009, 10, 2343. 
292 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2016 
del buon funzionamento e dell�azione amministrativa, che quest�ultima entri 
in contatto con soggetti privi di affidabilit� morale e professionale; le singole 
�lex specialis� dettano regole di specificazione di tale onere che, se da un 
lato assumono il valore di vincolo per la stessa stazione appaltante e per gli 
aspiranti partecipanti, dall�altro devono sottostare agli ordinari criteri della 
chiarezza di redazione e della ragionevolezza di applicazione; a partire dall�entrata 
in vigore dell�art. 46 comma 1 bis d.lgs. 163 cit. applicabile anche 
alle gare bandite successivamente all�entrata in vigore, tali spazi si restringono 
ulteriormente (15). 
In merito alle clausole del bando ambigue o contraddittorie, vanno richiamate 
due interessanti pronunce. 
Una prima pronuncia riguarda la regolarizzazione della documentazione 
di gara, prevista e disciplinata dall�art. 46 del d.lgs. n. 163 del 12 aprile 2006, 
che deve essere interpretato nel senso che l�Amministrazione pu� disporre la 
regolarizzazione anche quando gli atti depositati in base a norme della �lex 
specialis� contraddittorie e non univoche, contengano elementi che possano 
costituire un indizio del possesso del requisito richiesto a pena di esclusione 
e rendano ragionevole ritenere sussistente esso requisito di partecipazione, 
posto che, in tale caso, le esigenze di correttezza sostanziale della partecipazione 
devono prevalere sulla forma, essendo detto strumento normativo inteso 
a far valere, entro certi limiti la sostanza sulla forma (o sul formalismo) nell�esibizione 
della documentazione ai fini della procedura selettiva, onde non 
sacrificare l�esigenza della pi� ampia partecipazione per carenze meramente 
formali nella documentazione (16). 
Con un�altra significativa pronuncia, il giudice amministrativo di prime 
cure ha stabilito l�ammissibilit� dell�integrazione documentale. 
Secondo il Tar, ai sensi dell�art. 46 del d.lgs. n. 163 del 12 aprile 2012 (in 
base al quale, nei limiti previsti dagli articoli da 38 e 45, le stazioni appaltanti 
invitano, se necessario, i concorrenti a completare o a fornire chiarimenti in 
ordine al contenuto dei certificati, documenti e dichiarazioni presentati) l�integrazione 
documentale � ammissibile nei casi di equivoche clausole del bando 
relative alla dichiarazione o alla documentazione da integrare o chiarire con 
la domanda, posto che, in tali casi, le esigenze di correttezza sostanziale della 
partecipazione devono valere sulla forma (17). 
Dopo il decreto legge n. 70 del 13 maggio del 2011, parte della giurisprudenza 
patrocinava una lettura in combinato disposto dell�art. 46, comma 1 e 
comma 1 bis del d.lgs. n. 163 del 12 aprile 2006, tale da indurre a ritenere ampliato 
l�ambito applicativo del soccorso istruttorio anche rispetto alle tipiche 
(15) T.a.r. Genova Liguria, sez. II, 2 novembre 2011, n. 1497, Foro amm. TAR 2011, 11, 3461. 
(16) Cons. Stato, sez. V, 5 settembre 2011, n. 4981, Diritto & Giustizia 2011, 4 ottobre. 
(17) T.ar. Cagliari Sardegna, sez. I, 1 settembre 2010, n. 2162, Foro amm. TAR, 2010, 9, 2998.
CONTRIBUTI DI DOTTRINA 293 
ipotesi che davano luogo all�esclusione dalla gara, sicch� la stazione appaltante 
avrebbe potuto comminare l�esclusione dalla gara solo qualora gli adempimenti 
formali gravanti sull�operatore economico pregiudicherebbero il raggiungimento 
del risultato della procedura, che si sostanzia nella scelta 
dell�offerta migliore dal punto di vista sostanziale, con assorbimento del profilo 
relativo alla regolarit� formale dell�esternazione. 
L�Adunanza Plenaria n. 9/2014 del Consiglio di Stato ha osservato come 
il principio del soccorso istruttorio � un principio autonomo rispetto alle cause 
tassative di esclusione, di cui all�art. 46 del d.lgs. n. 163 del 12 aprile 2006 e 
che, pertanto, non pu� essere sostenuta una lettura combinata dei due commi, 
che consenta di ritenere operante il soccorso istruttorio anche rispetto alle 
cause tassative di esclusione in omaggio al principio di matrice processual-civilistica 
del raggiungimento dello scopo. 
A distanza di pochi mesi, con Adunanza Plenaria n. 16 del 30 luglio 2014, 
� tornato a pronunciarsi in senso conforme lo stesso Consiglio di Stato. 
Pi� nel dettaglio, secondo il supremo consesso amministrativo, la dichiarazione 
sostitutiva relativa all�assenza delle condizioni preclusive, gi� previste dall�art. 
38 del D.Lgs. n. 163 del 12 aprile 2006, poteva essere legittimamente riferita 
in via generale ai requisiti previsti dalla norma e non doveva necessariamente indicare 
in modo puntuale le singole situazioni ostative previste dal legislatore e 
non doveva contenere la menzione nominativa di tutti i soggetti muniti di poteri 
rappresentativi dell�impresa, quando questi ultimi possano essere agevolmente 
identificati mediante l�accesso a banche dati ufficiali o a registri pubblici. 
Ne � derivato che una dichiarazione sostitutiva confezionata nei sensi di 
cui sopra � completa e non necessita di integrazioni o regolarizzazioni mediante 
l�uso dei poteri di soccorso istruttorio. 
Meritano di essere richiamate alcune sentenze del giudice amministrativo 
sulle conseguenze dell�omessa allegazione di documenti richiesti a pena di 
esclusione di cui all�art. 46 del d.lgs. n. 163 del 12 aprile 2006. 
Per il Consiglio di Stato, l�omessa allegazione di un documento o di una 
dichiarazione previsti a pena di esclusione non poteva considerarsi alla stregua 
di un�irregolarit� sanabile e, quindi, non ne era permessa l�integrazione o la 
regolarizzazione postuma, non trattandosi di rimediare a vizi puramente formali 
tanto pi� quando non sussistano equivoci o incertezze generati dall�ambiguit� 
di clausole della legge di gara. 
Inoltre, ai sensi dell�art. 46 del d.lgs. 12 aprile 2006, i criteri esposti ai 
fini dell�integrazione documentale riguardavano semplici chiarimenti di un 
documento incompleto, ma non potevano servire a sopperire la mancanza di 
un documento quale la certificazione dei carichi pendenti o la dichiarazione 
sostitutiva (18). 
(18) Cons. Stato, Sez. V, 2 agosto 2010, n. 5084.
294 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2016 
Nonostante tali aperture giurisprudenziali e, ancor di pi�, dopo il d.l. n. 
70 del 13 maggio 2011, mancava per�, nell�art. 46 del d.lgs. n. 163 del 12 
aprile 2006, una legge che codificasse e che migliorasse i suindicati principi 
e, a distanza di pochissimi giorni dell�Adunanza plenaria del Consiglio di Stato 
n. 9 del 2014, � entrata in vigore la legge n. 114 dell�11 agosto 2014, che ha 
innovato l�art. 38 del d.lgs. n. 163 del 12 aprile 2006, inserendovi un comma 
2 bis, ed ha inciso anche sull�art. 46, introducendo un comma 1 ter. 
La novella normativa, introdotta dall�art. 39 del d.l. n. 90 del 24 giugno 
2014 conv. in legge 114 dell�11 agosto 2014, con riferimento alle previsioni 
recate dall�art. 46 del d.lgs. n. 163 del 12 aprile 2006, ha determinato un superamento 
dei principi sinora enunciati, comportando una radicale inversione 
di principio. 
Invero, alla luce dell�art. 46 del d.lgs. n. 163 del 12 aprile 2006, cos� come 
modificato dalla l. n. 114 dell�11 agosto 2014, era sanabile qualsiasi carenza, 
omissione o irregolarit� con il solo limite intrinseco costituito dall�inalterabilit� 
del contenuto dell�offerta, della certezza in ordine alla provenienza della 
stessa, del principio di segretezza che presiede alla presentazione della medesima 
e di inalterabilit� delle condizioni in cui versano i concorrenti al momento 
della scadenza del termine per la partecipazione alla gara. 
L�art. 46, co. 1 ter del d.lgs. n. 163 del 12 aprile del 2006 disponeva che 
le disposizioni dell�art. 38, co. 2 bis di tale decreto, anch�esso introdotto dal 
legislatore del 2014, con la legge n. 114, si applicavano ad ogni ipotesi di mancanza, 
incompletezza o irregolarit� degli elementi e delle dichiarazioni anche 
di soggetti terzi che devono essere prodotte da concorrenti in base alla legge, 
al bando o al disciplinare di gara. 
Dal dato letterale dell�art. 38 co. 2 bis del d.lgs. n. 163 del 12 aprile 2006, 
emergeva chiaramente come fosse consentito in sede di gara procedere alla sanatoria 
di ogni omissione o incompletezza documentale, superando il limite della 
sola integrazione e regolarizzazione di quanto gi� dichiarato e prodotto in gara. 
Giova considerare che l�art. 38 del d.lgs. n. 163 del 12 aprile 2006 disponeva 
che non potessero partecipare alle procedure di affidamento delle concessioni 
e dei contratti pubblici coloro che non avessero determinati requisiti 
di moralit�, il cui possesso da parte dell�operatore economico che partecipa 
alla gara risponde ad un principio di ordine pubblico economico, in quanto assicura 
che il soggetto che partecipa alla gara sia affidabile. 
L�art. 46, comma 1 ter del d.lgs. n. 163 del 12 aprile 2006 ha introdotto 
inevitabilmente delle novit� sulla disciplina della tassativit� delle cause di 
esclusione, gi� previste al comma 1 bis dello stesso articolo. 
Invero, la legge 11 agosto 2014 n. 114 ha lasciato intatto il catalogo delle 
fattispecie di esclusione tipizzate dall�art. 46, co. 1 bis, del d.lgs. n. 163 del 
12 aprile 2006, ma ha operato a valle di tale individuazione, dato che ha consentito 
che fossero integrati, regolarizzati o prodotti ex novo gli elementi e le
CONTRIBUTI DI DOTTRINA 295 
dichiarazioni prescritti dalla legge, dal bando o dal disciplinare di gara (purch� 
gi� sussistenti al momento della presentazione della domanda). 
Pertanto, ove vi fosse una incompletezza, irregolarit�, omissione essenziale 
alla luce delle cause tipiche di esclusione, la stazione appaltante doveva 
avviare il procedimento contemplato dall�art. 38, co. 2 bis del d.lgs. n. 163 del 
12 aprile 2006 e, quindi, incamerare la cauzione provvisoria a titolo di sanzione 
ed invitare il concorrente a regolarizzare la propria posizione entro un 
termine non superiore a dieci giorni. Solo nel caso in cui questi non volesse 
avvalersi di tale procedimento sanante, poteva essere disposta l�esclusione, 
che diventa, quindi, un�extrema ratio. 
A tale proposito, occorre stabilire quali fossero gli elementi la cui mancanza, 
incompletezza o irregolarit� non poteva essere sanata, in quanto le relative 
dichiarazioni e gli adempimenti prescritti incidono sul contenuto 
dell�offerta ovvero sulla sua segretezza. 
L�ampliamento del soccorso istruttorio agli elementi e alle dichiarazioni 
conosceva il limite dell�inalterabilit� dell�offerta, nella sua parte tecnica ed 
economica, pena la violazione del principio di parit� tra i concorrenti, del canone 
di imparzialit� e buona amministrazione, in ragione del fatto che sarebbero 
stati elusi i termini decadenziali cui era soggetta la procedura e ci� 
avrebbe implicato la violazione del principio di segretezza delle offerte. 
Su tale impostazione, giova precisare - infine - come la precedente disciplina 
del soccorso istruttorio, in nessun caso poteva sopperire alla mancanza 
dei requisiti non posseduti al momento fissato dalla lex specialis di gara quale 
termine perentorio per la presentazione dell�offerta o della domanda, i quali 
dovevano sussistere a tale momento senza che fosse possibile n� reperirli successivamente, 
n� che fossero provati in un secondo momento con il soccorso 
istruttorio. 
In base al precedente assetto normativo, al di fuori delle ipotesi in cui risultasse 
violato il principio di completezza dell�offerta, sia economica che tecnica, 
di inalterabilit� del suo contenuto e di segretezza che presiedeva alla sua 
presentazione, un concorrente poteva essere escluso da una pubblica gara solo 
qualora non risultasse in possesso dei requisiti minimi necessari per assumere 
le vesti di contraente (ad esempio per il mancato possesso dei requisiti di ammissione); 
qualora avesse posto in essere irregolarit� essenziali in relazione 
alle dichiarazioni e ai documenti da prodursi in gara e nel termine concesso 
dalla stazione appaltante e non avesse provveduto a regolarizzare la propria 
posizione a seguito del pagamento della sanzione pecuniaria prevista nel bando. 
Al fine di agevolare la lettura e l'applicazione degli articoli 46 comma 1 
ter e 38 bis del decreto legislativo n. 163 del 12 aprile 2006, l'Autorit� Nazionale 
Anticorruzione (recentemente subentrata nelle funzioni e nelle prerogative 
della "defunta" AVCP) ha adottato l'atto di Determinazione n. 1 dell'8 gennaio 
2015, per orientarne l�interpretazione, specie per quanto concerne l'individua-
296 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2016 
zione delle fattispecie riconducibili alla �mancanza, l�incompletezza e ogni 
altra irregolarit� essenziale degli elementi e delle dichiarazioni sostitutive� ed 
alle �irregolarit� non essenziali ovvero di mancanza o incompletezza di dichiarazioni 
non indispensabili�. 
Con la suindicata determinazione l�ANAC ha sistematizzato tre diversi 
tipi di irregolarit�: 
1) irregolarit� essenziale, per la quale � prevista la necessit� di richiedere 
un'integrazione al concorrente e di disporre il pagamento di una sanzione; 
2) irregolarit� essenziale ma non indispensabile, per la quale � prevista 
la richiesta di integrazione documentale, ma non il pagamento della sanzione; 
3) irregolarit� non essenziale e non indispensabile, che non richiede alcun 
intervento dell'amministrazione. 
Inoltre vi � un elenco di fattispecie, per lo pi� formali, che devono necessariamente 
determinare l'esclusione del concorrente: 
- mancata indicazione sul plico esterno generale del riferimento della gara 
cui l'offerta � rivolta; 
- apposizione sul plico esterno generale di un'indicazione totalmente errata 
o generica, al punto che non sia possibile individuare il plico pervenuto 
come contenente l'offerta per una determinata gara; 
- mancata sigillatura del plico e delle buste interne con modalit� di chiusura 
ermetica che ne assicurino l'integrit� e ne impediscano l'apertura senza 
lasciare manomissioni; 
- mancata apposizione sulle buste interne al plico di idonea indicazione 
per individuare il contenuto delle stesse; si evidenzia che l'esclusione sarebbe 
da considerarsi illegittima qualora, ad esempio, la busta contenente l'offerta 
economica, ancorch� priva della dicitura richiesta, fosse comunque distinguibile 
dalle restanti buste munite della corretta dicitura; 
- mancato inserimento dell'offerta economica e di quella tecnica in buste 
separate, debitamente sigillate, all'interno del plico esterno recante tutta la documentazione 
e pi� in generale la loro mancata separazione fisica. Si precisa 
che, in caso di divisione in lotti con possibilit� di concorrere all'aggiudicazione 
di pi� di un lotto, l'offerta economica acquista una propria autonomia in relazione 
ad ogni lotto e, pertanto, deve essere separatamente redatta per ogni lotto. 
Al contrario, non possono costituire cause legittime di esclusione, tra le 
altre: 
- la mancata o errata indicazione, su una o pi� delle buste interne, del riferimento 
alla gara cui l'offerta � rivolta, nel caso in cui detta indicazione sia 
comunque presente sul plico generale esterno, debitamente chiuso e sigillato; 
- la mancata indicazione del riferimento della gara su uno o pi� documenti 
componenti l'offerta; 
- la mancata apposizione sul plico dell'indicazione del giorno e dell'ora 
fissati per l'espletamento della gara. 
CONTRIBUTI DI DOTTRINA 297 
Resta salva la facolt� per le stazioni appaltanti di rilevare, nel caso concreto, 
ulteriori circostanze che, inducendo a ritenere violato il principio di segretezza 
delle offerte, comportino, ai sensi dell'articolo 46, comma 1-bis, 
l'esclusione debitamente motivata del concorrente (19). 
Non va peraltro sottaciuto che rimangono, al momento, ancora dubbi 
applicativi su alcune delle ipotesi previste dalla determinazione dell�ANAC 
n. 1 dell'8 gennaio 2015. Per esempio, la mancata sottoscrizione dell'offerta 
o della domanda di partecipazione da parte del titolare o del legale rappresentante 
dell'impresa o di altro soggetto munito di rappresentanza; in siffatta 
ipotesi, l'Autorit� anticorruzione prevede la possibile regolarizzazione dell'offerta, 
mentre una recente pronuncia giurisprudenziale ha stabilito la legittimit� 
dell'esclusione. 
In merito al fatto che, nel soccorso istruttorio �oneroso� la sanzione sia 
dovuta anche in caso di rinunzia alla regolarizzazione, � intervenuta un�importante 
pronuncia del giudice amministrativo di prime cure. 
Il T.A.R. ha dato risposta positiva, motivando che l�esclusione del concorrente 
che non si avvale del soccorso istruttorio � una sanzione �diversa e 
in parte autonoma� dalla sanzione pecuniaria e l�applicazione della prima non 
� idonea a far venire meno la seconda (20). 
Ulteriore problematica ad oggi irrisolta concerne la possibilit� di escludere 
il concorrente in caso di mancata presentazione della cauzione provvisoria. 
In proposito, l'ANAC afferma che debba determinarsi l'esclusione soltanto 
in caso di totale mancanza della cauzione. 
In maniera diametralmente opposta, la giurisprudenza amministrativa postula 
come la mancanza o l'irregolarit� della cauzione provvisoria, pur incidendo 
sul contenuto dell'offerta, non ne determina l�"l'incertezza assoluta" e ci� in ragione 
della funzione meramente accessoria riconosciuta alla stessa (21). 
Successivamente alla suindicata determinazione dell�ANAC n. 1 dell�8 
gennaio 2015, � entrato in vigore il nuovo codice degli appalti e delle concessioni 
(d.lgs. n. 50 del 18 aprile 2016) a seguito dell�attuazione delle direttive 
2014/23/UE, 2014/24/UE e 2014/25/UE. 
Nel nuovo codice degli appalti (d.lgs. n. 50 del 18 aprile 2016) il soccorso 
istruttorio � stato previsto e disciplinato dall�art. 83 e consta di 10 commi che 
richiedono una disamina. 
L�articolo 83 ha recepito l�art. 58 della direttiva 2014/24/UE e dato attuazione 
all�art. 1 lettera z) della legge n. 11 del 2016. 
In analogia a quanto previsto dal d.lgs. n. 163 del 12 aprile 2006, l�art. 
83 coordina ed armonizza le disposizioni vigenti concernenti i criteri di sele- 
(19) Determinazione n. 1 dell�8 gennaio 2015. 
(20) T.a.r. dell�Abruzzo, L'Aquila, sezione I, 25 novembre 2015, n. 784. 
(21) T.a.r. Roma, sezione III, 10 giugno 2015, n. 8143.
298 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2016 
zione che possono riguardare, esclusivamente, i requisiti di idoneit� professionale, 
la capacit� economica e finanziaria e le capacit� tecniche e professionali 
(art. 83 comma 1). 
I suindicati requisiti devono essere attinenti e proporzionati all�oggetto 
dell�appalto, tenendo conto dell�interesse pubblico ad avere il pi� ampio numero 
di partecipanti alla luce dei principi di trasparenza e rotazione. 
Per gli appalti di lavori � stato previsto che, con le linee guida a carattere 
vincolante dell�ANAC, da adottare entro un anno dalla data di entrata in vigore 
del nuovo Codice (d.lgs. n. 50 del 18 aprile 2016) previo parere delle competenti 
Commissioni parlamentari, siano disciplinati, nel rispetto dei principi di 
cui al presente articolo e anche al fine di favorire l�accesso da parte delle microimprese 
e delle piccole e medie imprese, il sistema di qualificazione, i casi 
e le modalit� di avvalimento, i requisiti che devono essere posseduti dal concorrente 
e la documentazione richiesta ai fini della dimostrazione del loro possesso 
(art. 83 comma 2). 
Per la sussistenza dei requisiti di idoneit� professionale indicati nella 
lettera a) del primo comma dell�art. 83, i concorrenti alle gare, se cittadini 
italiani o di altro Stato membro residenti in Italia, debbano essere iscritti nel 
registro della Camera di commercio, industria, artigianato e agricoltura o 
nel registro delle Commissioni provinciali per l�artigianato, o presso i competenti 
ordini professionali. Al cittadino di altro Stato membro non residente 
in Italia, � richiesta la prova dell�iscrizione, secondo le modalit� vigenti nello 
Stato di residenza, in uno dei registri professionali o commerciali mediante 
dichiarazione giurata o secondo le modalit� vigenti nello Stato membro nel 
quale � stabilito ovvero mediante attestazione, sotto la propria responsabilit�, 
che il certificato prodotto � stato rilasciato da uno dei registri professionali 
o commerciali istituiti nel Paese in cui si � residenti. Nelle procedure di aggiudicazione 
degli appalti pubblici di servizi, se i candidati o gli offerenti 
devono essere in possesso di una particolare autorizzazione ovvero appartenere 
a una particolare organizzazione per poter prestare nel proprio Paese 
d'origine i servizi in questione, la stazione appaltante pu� chiedere loro di 
provare il possesso di tale autorizzazione ovvero l'appartenenza all'organizzazione 
(art. 83 comma 3). 
Per gli appalti di servizi e forniture, ai fini della verifica del possesso dei 
requisiti di capacit� economica e finanziaria, previsti e disciplinati nella lettera 
b del comma 1 dell�art. 83, le stazioni appaltanti, nel bando di gara, possono 
richiedere: 
a) che gli operatori economici abbiano un fatturato minimo annuo, compreso 
un determinato fatturato minimo nel settore di attivit� oggetto dell'appalto; 
b) che gli operatori economici forniscano informazioni riguardo ai loro 
conti annuali che evidenzino in particolare i rapporti tra attivit� e passivit�; 
CONTRIBUTI DI DOTTRINA 299 
c) un livello adeguato di copertura assicurativa contro i rischi professionali 
(art. 83 comma 4). 
� stato introdotto per la prima volta il requisito del fatturato minimo 
annuo richiesto. 
Pi� nel dettaglio, il fatturato minimo annuo richiesto non pu� comunque 
superare il doppio del valore stimato dell'appalto, salvo in circostanze adeguatamente 
motivate relative ai rischi specifici connessi alla natura dei lavori, servizi 
e forniture e la stazione appaltante, ove richieda un fatturato minimo 
annuo, ne indica la ragione nei documenti di gara. Circa il fatturato, si prevedono 
specifiche disposizioni per gli appalti divisi in lotti, per gli appalti basati 
su un accordo quadro, per il caso di sistemi dinamici di acquisizione (art. 83 
comma 5). 
Circa i requisiti concernenti le capacit� tecniche e professionali previste 
e disciplinate nella lettera c del comma 1 dell�art. 83, le stazioni appaltanti 
possono richiedere requisiti per garantire che gli operatori economici possiedano 
le risorse umane e tecniche e l�esperienza necessarie per eseguire l�appalto 
con un adeguato standard di qualit�. 
Nelle procedure d�appalto per forniture che necessitano di lavori di posa 
in opera e di installazione, servizi o lavori, la capacit� professionale degli operatori 
economici di fornire tali servizi o di eseguire l�installazione o i lavori 
deve essere valutata con riferimento alla loro competenza, efficienza e affidabilit�. 
Le informazioni richieste non possono eccedere l�oggetto dell�appalto 
(art. 83 comma 6). 
Merita richiamare un�altra importante disposizione che non trova corrispondenza 
nella direttiva e che � stata introdotta in attuazione della parte del 
criterio di delega di cui alle lettere uu) ove infatti si prevede la �verifica formale 
e sostanziale delle capacit� realizzative, delle competenze tecniche e professionali, 
ivi comprese le risorse umane, organiche all�impresa, nonch� delle 
attivit� effettivamente eseguite�. 
Si riporta integralmente la suindicata disposizione �il bando di gara o l�invito 
a confermare interesse, deve contenere l�indicazione delle condizioni di 
partecipazioni richieste, che possono essere espresse come livelli minimi di 
capacit�, congiuntamente agli idonei mezzi di prova�. 
La novit� pi� rilevante � contenuta nel comma 9 del suindicato articolo 
83, nel quale si prevede l�ammissibilit� del soccorso istruttorio per sanare le 
carenze di qualsiasi elemento formale della domanda e, in aderenza al criterio 
di cui alla lettera z) della legge delega (ove si prevede la �riduzione degli oneri 
documentali ed economici della piena possibilit� di integrazione documentale 
non onerosa di qualsiasi elementi di natura formale della domanda, purch� 
non attenga agli elementi oggetto di valutazioni sul merito dell�offerta�) riduce 
l�importo della sanzione prevista per le irregolarit� sostanziali. 
� stato fatto chiarimento sulla quietanza di pagamento che deve essere
300 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2016 
presentata contestualmente alle integrazioni, eliminando la possibilit� di decurtazione 
dell�importo della sanzione dalla cauzione provvisoria versata in 
aderenza alla recente giurisprudenza che ritiene che l�importo della cauzione 
deve servire solo alla copertura dei rischi e non pu� estendersi a coprire anche 
sanzioni. 
In particolare, il comma 9 prevede che la mancanza, l�incompletezza e 
ogni altra irregolarit� essenziale degli elementi e del documento di gara unico 
europeo, con esclusione di quelle afferenti all�offerta tecnica ed economica, 
obbliga il concorrente che vi ha dato causa al pagamento, in favore della stazione 
appaltante, della sanzione pecuniaria dal bando di gara, in misura non 
inferiore all�uno per mille e non superiore all�uno per cento del valore della 
gara e comunque non superiore a 5000 euro. In tal caso, la stazione appaltante 
assegna al concorrente un termine non superiore a dieci giorni, perch� siano 
rese integrate o regolarizzate le dichiarazioni necessarie, indicandone il contenuto 
e i soggetti che le devono rendere, da presentare contestualmente al documento 
comprovante l�avvenuto pagamento della sanzione, a pena di 
esclusione. Nei casi di irregolarit� formali, ovvero di mancanza o incompletezza 
di dichiarazioni non essenziali, la stazione appaltante ne richiede comunque 
la regolarizzazione con la procedura di cui al periodo precedente, ma 
non applica alcuna sanzione. In caso di inutile decorso del termine di regolarizzazione, 
il concorrente � escluso dalla gara. 
Tale disposizione fa una importante precisazione sulle irregolarit� essenziali 
che altro non sono se non carenze della documentazione che non consentono 
l�individuazione del o dei soggetti responsabili della stessa. 
Infine, anche il comma 10 dell�art. 83 introduce un elemento di assoluta 
novit� ed in coerenza al criterio di delega di cui alla lettera uu), ove si prevede 
l�introduzione di �misure di premialit�, regolate da un�apposita disciplina generale 
fissata dall�ANAC con propria determinazione e connesse a criteri reputazionali 
basati su parametri oggettivi e misurabili su accertamenti 
definitivi concernenti il rispetto dei tempi e dei costi nell�esecuzione dei contratti 
e la gestione dei contenziosi, nonch� assicurando gli opportuni raccordi 
con la normativa vigente in materia di rating di legalit��, istituisce presso 
l�ANAC che ne cura la gestione, il sistema del rating di impresa e delle relative 
penalit� e premialit�, da applicarsi ai soli fini della qualificazione delle 
imprese, per il quale l�Autorit� rilascia apposita certificazione. Il suddetto sistema 
� connesso a requisiti reputazionali valutati sulla base di indici qualitativi 
e quantitativi, oggettivi e misurabili, nonch� sulla base di accertamenti 
definitivi che esprimono la capacit� strutturale e di affidabilit� dell�impresa. 
L�ANAC definisce i requisiti reputazionali e i criteri di valutazione degli 
stessi, nonch� le modalit� di rilascio della relativa certificazione, mediante 
linee guida adottate entro tre mesi dalla data di entrata in vigore del presente 
Codice. Rientra nell�ambito dell�attivit� di gestione del suddetto sistema la
CONTRIBUTI DI DOTTRINA 301 
determinazione da parte di ANAC di misure sanzionatorie amministrative 
nei casi di omessa o tardiva denuncia obbligatoria delle richieste estorsive e 
corruttive da parte delle imprese titolari di contratti pubblici, comprese le 
imprese subappaltatrici e le imprese fornitrici di materiali, opere e servizi. I 
requisiti reputazionali alla base del rating di impresa tengono conto, in particolare 
del rating di legalit� rilevato dall�ANAC in collaborazione con 
l�Autorit� Garante della Concorrenza e del Mercato, ai sensi dell�articolo 
213, comma 7, nonch� dei precedenti comportamentali dell�impresa, con riferimento 
al rispetto dei tempi e dei costi nell�esecuzione dei contratti, all�incidenza 
del contenzioso sia in sede di partecipazione alle procedure di 
gara che in fase di esecuzione del contratto. Tengono conto altres� della regolarit� 
contributiva, ivi compresi i versamenti alle Casse edili, valutata con 
riferimento ai tre anni precedenti. 
4. Conclusioni. 
Alla luce delle considerazioni fin qui effettuate, � forse prematuro effettuare 
ragionevoli previsioni sulla procedura del soccorso istruttorio, a cagione 
del fatto che detto istituto, sebbene implicitamente riconosciuto dal diritto comunitario 
e precisamente dall�articolo 27 della Direttiva 71/305/CEE del Consiglio 
del 26 luglio 1971, nel nostro ordinamento giuridico esso � stato 
positivizzato soltanto da pochi mesi. 
Per il momento, si pu� affermare come il legislatore ha avuto il merito di 
aver codificato, in maniera sintetica, raccogliendo in un�unica norma, l�istituto 
giuridico del soccorso istruttorio, anche e soprattutto sulla spinta delle suindicate 
aperture giurisprudenziali e compatibilmente con i principi dettati dalla 
determinazione dell�ANAC n. 1 dell�8 giugno 2015. 
Le differenze tra la vecchia e la nuova disciplina sono evidenti; basta 
scorrere il vecchio codice dei appalti pubblici (d.lgs. n. 163 del 12 aprile 2006), 
leggere gli articoli 38 e 46, e confrontarli con il nuovo art. 83 del d.lgs. n. 50 
del 18 aprile 2016. 
L�art. 38 si limitava a disciplinare i requisiti di ordine generale per la partecipazione 
alle gare, mentre l�art. 46 che inizialmente disciplinava i documenti 
e le informazioni complementari, ha poi esteso la disciplina alle cause di tassativit� 
di esclusione, con il d.l. n. 70 del 14 maggio 2011 e da ultimo con il 
d.l. n. 90 del 24 giugno 2014. 
Con riferimento alla procedura del soccorso istruttorio, il d.lgs. n. 50 del 
18 aprile 2016, all�art. 83 c. 9, ha stabilito che �la mancanza, l'incompletezza 
e ogni altra irregolarit� essenziale degli elementi e del documento di gara unico 
europeo [�], con esclusione di quelle afferenti all�offerta tecnica ed economica� 
pu� essere regolarizzata, su richiesta della stazione appaltante ed entro 
il termine (non superiore a dieci giorni) da questa stabilito. 
Sul problema dell�onerosit� dell�istituto, su cui a lungo si � dibattuto, la
302 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2016 
soluzione operata dal nuovo codice dei contratti pubblici (art. 83, c. 9) pare 
equilibrata; in particolare, come sopra detto, esso prevede una sanzione pecuniaria 
(stabilita dal bando di gara), in misura non inferiore all'uno per mille e 
non superiore all'uno per cento del valore della gara e comunque non superiore 
a 5.000 euro (da versare solo nel caso di regolarizzazione) che per� non si applica 
nel caso di �irregolarit� formali, ovvero di mancanza o incompletezza 
di dichiarazioni non essenziali�. 
Viene anche previsto che, in caso di inutile decorso del termine di regolarizzazione, 
il concorrente � escluso dalla gara e che costituiscono irregolarit� 
essenziali non sanabili �le carenze della documentazione che non consentono 
l�individuazione del contenuto o del soggetto responsabile della stessa�. 
Come gi� detto, in misura positivamente critica, � opportuno evidenziare 
la natura innovativa dell�istituto in parola rispetto alla precedente disciplina. 
A tale riguardo si cita il comma 10 della medesima disposizione, che 
codifica in qualche modo i poteri di intervento dell�ANAC nelle procedure 
di gara, al fine di garantire maggiore trasparenza e per il perseguimento 
dell�attivit� amministrativa nel rispetto dei criteri di economicit�, di efficacia, 
di imparzialit�, di pubblicit� e di trasparenza [...], nonch� dei principi 
dell'ordinamento comunitario previsti e disciplinati dall�art. 1 della legge n. 
241 del 7 agosto 1990. 
Infatti, nell�art. 83 comma 10 si legge che � stato istituito presso l�ANAC 
che ne cura la gestione, il sistema del rating di impresa e il sistema del rating 
di impresa e delle relative penalit� e premialit�, da applicarsi ai soli fini della 
qualificazione delle imprese, per il quale l'Autorit� rilascia apposita certificazione. 
Il suddetto sistema � connesso a requisiti reputazionali valutati sulla 
base di indici qualitativi e quantitativi, oggettivi e misurabili, nonch� sulla 
base di accertamenti definitivi che esprimono la capacit� strutturale e di affidabilit� 
dell'impresa. L'ANAC definisce i requisiti reputazionali e i criteri di 
valutazione degli stessi, nonch� le modalit� di rilascio della relativa certificazione, 
mediante linee guida adottate entro tre mesi dalla data di entrata in vigore 
del presente codice. Rientra nell'ambito dell'attivit� di gestione del 
suddetto sistema la determinazione da parte di ANAC di misure sanzionatorie 
amministrative nei casi di omessa o tardiva denuncia obbligatoria delle richieste 
estorsive e corruttive da parte delle imprese titolari di contratti pubblici, 
comprese le imprese subappaltatrici e le imprese fornitrici di materiali, opere 
e servizi. I requisiti reputazionali alla base del rating di impresa di cui al presente 
comma tengono conto, in particolare, del rating di legalit� rilevato dall'ANAC 
in collaborazione con l'Autorit� Garante della Concorrenza e del 
Mercato, ai sensi dell'articolo 213, comma 7, nonch� dei precedenti comportamentali 
dell'impresa, con riferimento al rispetto dei tempi e dei costi nell'esecuzione 
dei contratti, all'incidenza del contenzioso sia in sede di 
partecipazione alle procedure di gara che in fase di esecuzione del contratto.
CONTRIBUTI DI DOTTRINA 303 
Tengono conto altres� della regolarit� contributiva, ivi compresi i versamenti 
alle Casse edili, valutata con riferimento ai tre anni precedenti. 
Un�ultima conferma di quanto appena detto � nel secondo comma del citato 
articolo 83 del d.lgs. n. 50 del 18 aprile 2006, (che comunque va letto in 
combinato disposto con il comma 1) per quanto attiene ai requisiti ed alle capacit� 
delle imprese, in particolare all�inciso �per i lavori, con linee guida 
dell'ANAC�. 
In tal modo il legislatore, conformandosi integralmente al diritto comunitario, 
con l�attuazione delle direttive 2014/23/UE, 2014/24/UE e 2014/25/UE 
sull�aggiudicazione dei contratti di concessione, sugli appalti pubblici e sulle 
procedure d'appalto degli enti erogatori nei settori dell'acqua, dell'energia, dei 
trasporti e dei servizi postali, nonch� per il riordino della disciplina vigente in 
materia di contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture e, con il nuovo 
codice degli appalti pubblici (d.lgs. n. 50 del 18 aprile 2016), ha conferito 
nuovi poteri all�ANAC, in attesa dei prossimi riscontri giurisprudenziali (*), 
che sicuramente saranno utili, a parere di chi scrive, per informare e suggerire 
al legislatore i prossimi interventi sulla disciplina del soccorso istruttorio. 
(*) Si pubblica l�ordinanza della Corte di Giustizia in causa C-140/16 (ndr). 
� Con l�allegata ordinanza la Corte di Giustizia ha risolto la questione della legittimit� dell'esclusione 
dalla gara del concorrente che non abbia indicato separatamente i costi di sicurezza aziendale. 
Andando di contrario avviso rispetto al Consiglio di Stato - che si era pronunciato in Adunanza Plenaria 
due volte nel senso della legittimit� dell'esclusione - la Corte di giustizia ha invece risposto al quesito 
posto dal giudice di rinvio nel senso che: 
"Il principio della parit� di trattamento e l'obbligo di trasparenza, come attuati dalla direttiva 
2004/18/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 31 marzo 2004, relativa al coordinamento 
delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, di forniture e di servizi, devono essere 
interpretati nel senso che ostano all'esclusione di un offerente dalla procedura di aggiudicazione di un 
appalto pubblico a seguito dell'inosservanza, da parte di detto offerente, dell'obbligo di indicare separatamente 
nell'offerta i costi aziendali per la sicurezza sul lavoro, obbligo il cui mancato rispetto � sanzionato 
con l'esclusione dalla procedura e che non risulta espressamente dai documenti di gara o dalla 
normativa nazionale, bens� emerge da un'interpretazione di tale normativa e dal meccanismo diretto a 
colmare, con l'intervento del giudice nazionale di ultima istanza, le lacune presenti in tali documenti. I 
principi della parit� di trattamento e di proporzionalit� devono inoltre essere interpretati nel senso che 
non ostano al fatto di concedere a un tale offerente la possibilit� di rimediare alla situazione e di adempiere 
detto obbligo entro un termine fissato dall'amministrazione aggiudicatrice". 
Dunque, il ricorso all'istituto del c.d. "soccorso istruttorio" � stato individuato dalla Corte come il rimedio 
alla mancata separata indicazione dei costi di sicurezza aziendale.
304 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2016 
Nello stesso senso la Corte si � gi� pronunciata anche nella causa C-162/2016� 
(Annotazione e segnalazione dell�avv. Stato Carla Colelli ) 
ORDINANZA DELLA CORTE (Sesta Sezione) 
10 novembre 2016 
�Rinvio pregiudiziale - Articolo 99 del regolamento di procedura della Corte - Appalti pubblici - 
Direttiva 2004/18/CE - Direttiva 2014/24/UE - Partecipazione a una procedura di gara - Offerente 
che ha omesso di indicare nell'offerta i costi aziendali per la sicurezza sul lavoro - Obbligo 
giurisprudenziale di fornire tale indicazione - Esclusione dall'appalto senza possibilit� 
di rettificare tale omissione� 
Nella causa C-140/16, 
avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell' articolo 267 
TFUE, dal Tribunale amministrativo regionale per le Marche (Italia), con ordinanza del 5 febbraio 2016, 
pervenuta in cancelleria il 7 marzo 2016, nel procedimento 
Edra Costruzioni Soc. coop., 
Edilfac Srl 
contro 
Comune di Maiolati Spontini, 
nei confronti di: 
Torelli Dottori SpA, 
LA CORTE (Sesta Sezione), 
composta da A. Arabadjiev, facente funzione di presidente di sezione, C.G.Fernlund e S. Rodin (relatore), 
giudici, 
avvocato generale: M. Campos S�nchez- Bordona 
cancelliere: A. Calot Escobar 
vista la decisione, adottata dopo aver sentito l'avvocato generale, di statuire con ordinanza motivata, 
conformemente all'articolo 99 del regolamento di procedura della Corte, 
ha emesso la seguente 
Ordinanza 
1 La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull'interpretazione dei principi della tutela del legittimo 
affidamento e della certezza del diritto, letti congiuntamente ai principi della libera circolazione delle 
merci, della libert� di stabilimento, della libera prestazione di servizi, della parit� di trattamento, di 
non discriminazione, di mutuo riconoscimento, di proporzionalit�, di trasparenza, richiamati dalla 
direttiva 2014/24/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 febbraio 2014, sugli appalti 
pubblici e che abroga la direttiva 2004/18/CE (GU 2014, L 94, pag. 65). 
2 Tale domanda � stata presentata nell' ambito di due controversie che contrappongono, rispettivamente, 
l'Edra Costruzioni Soc. coop. e l'Edilfac Srl al Comune di Maiolati Spontini (Italia) in merito alle 
decisioni di esclusione di dette societ� dalla procedura di aggiudicazione di un appalto pubblico e di 
affidamento di tale appalto a un'impresa terza. 
Contesto normativo 
Il diritto dell 'Unione 
3 L'articolo 2 della direttiva 2004/18/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 31 marzo 2004, 
relativa al coordinamento delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, di forniture 
e di servizi (GU 2004, L 134, pago 114), cos� disponeva: 
�Le amministrazioni aggiudicatrici trattano gli operatori economici su un piano di parit�, in modo 
non discriminatorio e agiscono con trasparenza�. 
4 Ai sensi dell'articolo 18, paragrafo 1, primo comma, della direttiva 2014/24: 
�Le amministrazioni aggiudicatrici trattano gli operatori economici su un piano di parit� e in modo 
non discriminatorio e agiscono in maniera trasparente e proporzionata� . 
5 L'articolo 56, paragrafo 3, di tale direttiva stabilisce quanto segue: 
�Se le informazioni o la documentazione che gli operatori economici devono presentare sono o sembrano 
essere incomplete o non corrette, o se mancano documenti specifici, le amministrazioni ag-
CONTRIBUTI DI DOTTRINA 305 
giudicatrici possono chiedere, salvo disposizione contraria del diritto nazionale che attua la presente 
direttiva, agli operatori economici interessati di presentare, integrare, chiarire o completare le informazioni 
o la documentazione in questione entro un termine adeguato, a condizione che tale richiesta 
sia effettuata nella piena osservanza dei principi di parit� di trattamento e trasparenza�. 
Il diritto italiano 
6 L'articolo 86, comma 3 bis, del decreto legislativo n. 163, del 12 aprile 2006, recante Codice dei 
contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in attuazione delle direttive 2004/17/CE e 
2004/18/CE (Supplemento ordinario alla GURI n. 100, del 2 maggio 2006), come modificato dal decreto 
legislativo n. 152, dell' 11 settembre 2008 (Supplemento ordinario alla GURI n. 231, del 2 ottobre 
2008; in prosieguo: il �decreto legislativo n. 163/2006�), cos� dispone: 
�Nella predisposizione delle gare di appalto e nella valutazione dell'anomalia delle offerte nelle procedure 
di affidamento di appalti di lavori pubblici, di servizi e di forniture, gli enti aggiudicatori sono 
tenuti a valutare che il valore economico sia adeguato e sufficiente rispetto al costo del lavoro e al 
costo relativo alla sicurezza, il quale deve essere specificamente indicato e risultare congruo rispetto 
all'entit� e alle caratteristiche dei lavori, dei servizi o delle forniture. Ai fini del presente comma il 
costo del lavoro � determinato periodicamente, in apposite tabelle, dal Ministro del lavoro e della 
previdenza sociale, sulla base dei valori economici previsti dalla contrattazione collettiva stipulata 
dai sindacati comparativamente pi� rappresentativi, delle norme in materia previdenziale ed assistenziale, 
dei diversi settori merceologici e delle differenti aree territoriali. In mancanza di contratto 
collettivo applicabile, il costo del lavoro � determinato in relazione al contratto collettivo del settore 
merceologico pi� vicino a quello preso in considerazione�. 
7 Ai sensi dell'articolo 87, comma 4, del decreto legislativo n. 163/2006: 
�Non sono ammesse giustificazioni in relazione agli oneri di sicurezza in conformit� all'articolo 131, 
nonch� al piano di sicurezza e coordinamento di cui all'articolo 12, decreto legislativo 14 agosto 
1996, n. 494 e alla relativa stima dei costi conforme all'articolo 7, decreto del Presidente della Repubblica 
3 luglio 2003, n.222. Nella valutazione dell'anomalia la stazione appaltante tiene conto dei 
costi relativi alla sicurezza, che devono essere specificamente indicati nell'offerta e risultare congrui 
rispetto all'entit� e alle caratteristiche dei servizi o delle forniture�. 
8 L'articolo 26, comma 6, del decreto legislativo n.81, del 9 aprile 2008, recante attuazione dell'articolo 
1 della legge 3 agosto 2007, n. 123, in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro, 
cos� dispone: 
�Nella predisposizione delle gare di appalto e nella valutazione dell'anomalia delle offerte nelle procedure 
di affidamento di appalti di lavori pubblici, di servizi e di forniture, gli enti aggiudicatori sono 
tenuti a valutare che il valore economico sia adeguato e sufficiente rispetto al costo del lavoro e al 
costo relativo alla sicurezza, il quale deve essere specificamente indicato e risultare congruo rispetto 
all'entit� e alle caratteristiche dei lavori, dei servizi o delle forniture. Ai fini del presente comma il 
costo del lavoro � determinato periodicamente, in apposite tabelle, dal Ministro del lavoro, della 
salute e delle politiche sociali, sulla base dei valori economici previsti dalla contrattazione collettiva 
stipulata dai sindacati comparativamente pi� rappresentativi, delle norme in materia previdenziale 
ed assistenziale, dei diversi settori merceologici e delle differenti aree territoriali. In mancanza di 
contratto collettivo applicabile, il costo del lavoro � determinato in relazione al contratto collettivo 
del settore merceologico pi� vicino a quello preso in considerazione�. 
Procedimento principale e questione pregiudiziale 
9 Con bando del 22 aprile 2015, il Comune di Maiolati Spontini ha avviato una procedura di gara 
aperta per l'aggiudicazione di un appalto pubblico di lavori aventi ad oggetto la costruzione di un 
nuovo polo scolastico. La base d'asta era pari a EUR 3 250 179,50. Il criterio di aggiudicazione prescelto 
era quello dell' offerta economicamente pi� vantaggiosa. 
l0 Il termine per la presentazione delle offerte � scaduto il 22 giugno 2015. 
11 L'Edra Costruzioni e l'Edilfac hanno formulato le loro offerte seguendo le indicazioni riportate nel 
disciplinare di gara. 
12 Dopo la valutazione delle loro offerte tecniche, l'Edra Costruzioni e l'Edilfac sono state escluse dalla 
procedura di aggiudicazione, con la sola motivazione che le loro offerte economiche non specificavano 
i costi interni per la sicurezza sul lavoro. L'obbligo di specificare detti costi nelle offerte non 
era previsto nella documentazione di gara, ma risulterebbe, secondo il giudice del rinvio, dalla nor-
306 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2016 
mativa nazionale, come interpretata dal Consiglio di Stato (Italia) nella sua sentenza n. 3 del 20 marzo 
2015, pronunciata in Adunanza plenaria. 
13 Con tale sentenza, il Consiglio di Stato avrebbe dichiarato che, nell'ambito delle procedure di affidamento 
relative ad appalti pubblici di lavori, gli offerenti dovevano obbligatoriamente indicare, 
nella loro �offerta economica�, i costi interni per la sicurezza aziendale, pena l'esclusione dalla procedura, 
e ci� anche se tale obbligo e le conseguenze della sua inosservanza non erano previsti neidocumenti 
di gara. 
14 Con sentenza n. 9, del 2 novembre 2015, l'Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, confermando 
la propria interpretazione, avrebbe precisato: 
�Non sono legittimamente esercitabili i poteri attinenti al soccorso istruttorio, nel caso di omessa indicazione 
degli oneri di sicurezza aziendali, anche per le procedure nelle quali la fase della presentazione 
delle offerte si � conclusa prima della pubblicazione della decisione dell'Adunanza Plenaria 
n. 3 del 2015�. 
15 Il Comune di Maiolati Spontini, in applicazione di tale sentenza del 2 novembre 2015, ha negato alle 
ricorrenti nel procedimento principale, in sede di aggiudicazione definitiva dell'appalto in questione, 
l'esercizio del soccorso istruttorio. 
16 Sia l'Edra Costruzioni sia l'Edilfac hanno proposto ricorso dinanzi al Tribunale amministrativo regionale 
per le Marche (Italia) al fine di ottenere l'annullamento delle decisioni che le escludevano 
dalla procedura di aggiudicazione dell'appalto di cui trattasi e di quella che attribuiva l'appalto a 
un'impresa terza, la riammissione alla procedura di gara nonch� il risarcimento del danno che ritengono 
di avere sub�to. 
17 Detto giudice precisa di aver respinto l'istanza cautelare presentata dall'Edra Costruzioni, dal momento 
che le decisioni dell' amministrazione aggiudicatrice di cui veniva chiesta la sospensione derivavano 
dalla stretta applicazione delle summenzionate sentenze del Consiglio di Stato. 
18 In tale contesto, il Tribunale amministrativo regionale per le Marche ha deciso di sospendere il procedimento 
e di sottoporre alla Corte la seguente questione pregiudiziale: 
�Se i principi comunitari di tutela del legittimo affidamento e di certezza del diritto, unitamente ai 
principi di libera circolazione delle merci, di libert� di stabilimento e di libera prestazione di servizi, 
di cui al Trattato sul Funzionamento dell'Unione Europea (TFUE), nonch� i principi che ne derivano, 
come la parit� di trattamento, la non discriminazione, il mutuo riconoscimento, la proporzionalit� e 
la trasparenza, di cui (da ultimo) alla direttiva n. 2014/24/UE, ostino ad una normativa nazionale, 
quale quella italiana derivante dal combinato disposto degli artt. 87, comma 4, e 86, comma 3-bis, 
del d.lgs. n. 163 del 2006, e dall'art. 26, comma 6, del d.lgs. n. 81 del 2008, cos� come interpretato, 
in funzione nomofilattica, ai sensi dell'art. 99 cod. proc. amm., dalle sentenze dell' Adunanza Plenaria 
del Consiglio di Stato nn. 3 e 9 del 2015, secondo la quale l'omessa separata indicazione dei costi di 
sicurezza aziendale, nelle offerte economiche di una procedura di affidamento di lavori pubblici, determina, 
in ogni caso, l'esclusione della ditta offerente senza possibilit� di soccorso istruttorio e di 
contraddittorio, anche nell'ipotesi in cui l'obbligo di indicazione separata non sia stato specificato n� 
nella legge di gara n� nell'allegato modello di compilazioneper la presentazione delle offerte, ed 
anche a prescindere dalla circostanza che, dal punto di vista sostanziale, l'offerta rispetti effettivamente 
l costi minimi disicurezza aziendale�. 
Sulla questione pregiudiziale 
Osservazioni preliminari 
19 Ai sensi dell'articolo 99 del regolamento di procedura della Corte, quando una questione pregiudiziale 
� identica a una questione sulla quale essa ha gi� statuito, quando la risposta a tale questione pu� essere 
chiaramente desunta dalla giurisprudenza o quando la risposta alla questione pregiudiziale non 
d� adito a nessun ragionevole dubbio, la Corte, su proposta del giudice relatore, sentito l'avvocato 
generale, pu� statuire in qualsiasi momento con ordinanza motivata. 
20 Nella sua sentenza del 2 giugno 2016, Pizzo (C-27/15, EU:C:2016:404), la Corte � stata chiamata a 
pronunciarsi su questioni sostanzialmente identiche a quelle sollevate nella presente causa dal Tribunale 
amministrativo regionale per le Marche. 
21 Dato che le risposte fornite da tale sentenza risultano pienamente trasponibili alla presente causa, � 
opportuno applicare la summenzionata norma procedurale. 
Sulla direttiva applicabile
CONTRIBUTI DI DOTTRINA 307 
22 In limine, occorre ricordare che la sentenza del 2 giugno 2016, Pizzo (C-27/15, EU:C:2016:404) ha 
fornito un'interpretazione delle disposizioni della direttiva 2004/18. Tale direttiva � stata abrogata 
dalla direttiva 2014/24, con effetto dal 18 aprile 2016. 
23 L'articolo 90 della direttiva 2014/24 dispone che gli Stati membri devono mettere in vigore le disposizioni 
legislative, regolamentari e amministrative necessarie per conformarsi a tale direttiva entro il 
18 aprile 2016, fatte salve talune deroghe tra cui, in particolare, quelle relative agli appalti pubblici 
elettronici, per le quali il termine di trasposizione � fissato al 18 ottobre 2018. 
24 Di conseguenza, alla data dei fatti di cui al procedimento principale, la direttiva 2004/18 era ancora 
applicabile, ragion per cui occorre leggere la domanda di pronuncia pregiudiziale come riferita all'interpretazione 
di quest'ultima direttiva, e non della direttiva 2014/24. 
Nel merito 
25 Con la sua questione, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se il principio della parit� di trattamento 
e l'obbligo di trasparenza, come attuati dalla direttiva 2004/18, debbano essere interpretati nel senso 
che ostano all' esclusione di un offerente dalla procedura di aggiudicazione di un appalto pubblico a 
seguito dell'inosservanza, da parte di detto offerente, dell'obbligo di indicare separatamente nell'offerta 
i costi aziendali per la sicurezza sul lavoro, obbligo il cui mancato rispetto � sanzionato con 
l'esclusione dalla procedura e che non risulta espressamente dai documenti di gara o dalla normativa 
nazionale, bens� emerge da un'interpretazione di tale normativa e dal meccanismo diretto a colmare, 
con l'intervento del giudice nazionale, le lacune presenti in tali documenti. 
26 Al fine di rispondere a tale questione, occorre ricordare, in via preliminare, da un lato, che il principio 
della parit� di trattamento impone che tutti gli offerenti dispongano delle stesse possibilit� nella formulazione 
dei termini delle loro offerte e implica quindi che tali offerte siano soggette alle medesime 
condizioni per tutti gli offerenti. Dall'altro lato, l'obbligo di trasparenza, che ne costituisce il corollario, 
ha come scopo quello di eliminare i rischi di favoritismo e di arbitrio da parte dell'amministrazione 
aggiudicatrice (sentenza del 2 giugno 2016, Pizzo, C-27/15, EU:C:2016:404, punto 36 e giurisprudenza 
ivi citata). 
27 Tale obbligo implica che tutte le condizioni e le modalit� della procedura di aggiudicazione siano 
formulate in maniera chiara, precisa e univoca nel bando di gara o nel capitolato d'oneri, cos� da permettere, 
in primo luogo, a tutti gli offerenti ragionevolmente informati e normalmente diligenti di 
comprenderne l'esatta portata e d'interpretarle allo stesso modo e, in secondo luogo, all'amministrazione 
aggiudicatrice di essere in grado di verificare effettivamente se le offerte degli offerenti rispondono 
ai criteri che disciplinano l'appalto in questione (sentenza del 2 giugno 2016, Pizzo, C-27/15, 
EU:C:2016:404, punto 36 e giurisprudenza ivi citata). 
28 La Corte ha altres� precisato che i principi di trasparenza e della parit� di trattamento richiedono che 
le condizioni sostanziali e procedurali relative alla partecipazione a un appalto siano chiaramente 
definite in anticipo e rese pubbliche, in particolare gli obblighi a carico degli offerenti, affinch� questi 
ultimi possano conoscere esattamente i vincoli procedurali ed essere assicurati del fatto che gli stessi 
vincoli valgono per tutti i concorrenti (sentenza del 2 giugno 2016, Pizzo, C-27/15, EU:C:2016:404, 
punto 37 e giurisprudenza ivi citata). 
29 Inoltre, occorre rilevare che la direttiva 2004/18, all'allegato VII A, relativo alle informazioni che 
devono figurare nei bandi e negli avvisi di appalti pubblici, nella sua parte relativa al �Bando di 
gara�, punto 17, prevede che i �[c]riteri di selezione riguardanti la situazione personale degli operatori 
che possono comportarne l'esclusione e [le] informazioni necessarie a dimostrare che non rientrano 
in casi che giustificano l'esclusione� dalla procedura di aggiudicazione dell'appalto in questione debbano 
essere menzionati nel bando di gara (v. sentenza del 2 giugno 2016, Pizzo, C-27/15, 
EU:C:2016:404, punto 38). 
30 Nelle controversie principali, il giudice del rinvio precisa che l'obbligo di indicareseparatamente nell' 
offerta i costi aziendali per la sicurezza sul lavoro, pena l'esclusione dalla procedura di aggiudicazione 
dell'appalto, non era previsto n� dal bando di gara n� espressamente dalla legge. 
31 Come esposto da detto giudice, tale obbligo risulterebbe dall'interpretazione della normativa nazionale 
ad opera del Consiglio di Stato. 
32 Si deve rilevare che, in applicazione dell'articolo 27, paragrafo 1, della direttiva 2004/18, l'amministrazione 
aggiudicatrice pu� precisare o pu� essere obbligata da uno Stato membro a precisare nel 
capitolato d'oneri l'organismo o gli organismi dai quali i candidati o gli offerenti possono ottenere le
308 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2016 
pertinenti informazioni sugli obblighi relativi alla fiscalit�, alla tutela dell'ambiente, alle disposizioni 
in materia di sicurezza e alle condizioni di lavoro che sono in vigore nello Stato membro. Tuttavia, 
dalle disposizioni di tale direttiva, in particolare dagli articoli da 49 a 51 della stessa, non emerge 
che la mancanza di indicazioni, da parte degliofferenti, del rispetto di tali obblighi determini automaticamente 
l'esclusione dallaprocedura di aggiudicazione (v., in tal senso, sentenza del 2 giugno 
2016, Pizzo, C-27/15, EU:C:2016:404, punto 43). 
33 Una condizione, derivante dall'interpretazione del diritto nazionale e dalla prassidi un'autorit�, come 
quella di cui trattasi nel procedimento principale, chesubordini il diritto di partecipare a una procedura 
di aggiudicazione sarebbeparticolarmente sfavorevole per gli offerenti stabiliti in altri Stati membri, 
il cuigrado di conoscenza del diritto nazionale e della sua interpretazione nonch� della prassi delle 
autorit� nazionali non pu� essere comparato a quello degli offerenti nazionali (sentenza del 2 giugno 
2016, Pizzo, C-27/15, EU:C:2016:404, punto46). 
34 Nell'ipotesi In cui, come nelle controversie principali, una condizione per lapartecipazione alla procedura 
di aggiudicazione, pena l'esclusione da quest'ultima, non sia espressamente prevista dai documenti 
dell'appalto e possa essere identificata solo con un'interpretazione giurisprudenziale del 
diritto nazionale, l'amministrazione aggiudicatrice pu� accordare all'offerente escluso un termine 
sufficiente per regolarizzare la sua omissione (sentenza del 2 giugno 2016, Pizzo, C-27/15, 
EU:C:2016:404, punto 50). 
35 Come risulta dall'insieme delle suesposte considerazioni, occorre rispondere alla questione posta dichiarando 
che il principio della parit� di trattamento e l'obbligo di trasparenza, come attuati dalla direttiva 
2004/18, devono essere interpretati nel senso che ostano all'esclusione di un offerente dalla 
procedura di aggiudicazione di un appalto pubblico a seguito dell'inosservanza, da parte di detto offerente, 
dell'obbligo di indicare separatamente nell'offerta i costi aziendali per la sicurezza sul lavoro, 
obbligo il cui mancato rispetto � sanzionato con l'esclusione dalla procedura e che non risulta espressamente 
dai documenti di gara o dalla normativa nazionale, bens� emerge da un'interpretazione di 
tale normativa e dal meccanismo diretto a colmare, con l'intervento del giudice nazionale di ultima 
istanza, le lacune presenti in tali documenti. I principi della parit� di trattamento e di proporzionalit� 
devono inoltre essere interpretati nel senso che non ostano al fatto di concedere a un tale offerente la 
possibilit� di rimediare alla situazione e di adempiere detto obbligo entro un termine fissato dall'amministrazione 
aggiudicatrice. 
Sulle spese 
36 Nei confronti delle parti nel procedimento principale la presente causa costituisce un incidente sollevato 
dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. 
Per questi motivi, la Corte (Sesta Sezione) dichiara: 
Il principio della parit� di trattamento e l'obbligo di trasparenza, come attuati dalla direttiva 
2004/18/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 31 marzo 2004, relativa al coordinamento 
delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, di forniture e di servizi, devono 
essere interpretati nel senso che ostano all'esclusione di un offerente dalla procedura di aggiudicazione 
di un appalto pubblico a seguito dell'inosservanza, da parte di detto offerente, dell'obbligo di indicare 
separatamente nell'offerta i costi aziendali per la sicurezza sul lavoro, obbligo il cui mancato rispetto 
� sanzionato con l'esclusione dalla procedura e che non risulta espressamente dai documenti di gara 
o dalla normativa nazionale, bens� emerge da un'interpretazione di tale normativa e dal meccanismo 
diretto a colmare, con l'intervento del giudice nazionale di ultima istanza, le lacune presenti in tali 
documenti. I principi della parit� di trattamento e di proporzionalit� devono inoltre essere interpretati 
nel senso che non ostano al fatto di concedere a un tale offerente la possibilit� di rimediare alla situazione 
e di adempiere detto obbligo entro un termine fissato dall' amministrazione aggiudicatrice. 
Lussemburgo, 10 novembre 2016
RECENSIONI 
LUCIANO MUSSELLI, Societ� civile e societ� religiosa tra diritto e 
storia. Scritti scelti, a cura di MARIA VISMARAMISSIROLI, MICHELEMADONNA, 
ALESSANDRO TIRA, CESARE EDOARDO VARALDA. 
PUBBLICAZIONI DELLA UNIVERSIT� DI PAVIA 
FACOLT� DI GIURISPRUDENZA, STUDI NELLE SCIENZE GIURIDICHE E SOCIALI 
(WOLTERS KLUWER / CEDAM, 2016, P.P. I-XXIV, 362) 
Premessa 
Michele Madonna (*) 
Nel corso dei lavori del convegno per il trentennale dell�Accordo di Villa Madama, svoltosi 
a Pavia nell�aprile del 2014, furono celebrati, con il ricordo di Franco Mosconi, i quaranta 
anni di insegnamento di Luciano Musselli nell�Ateneo pavese. In tale occasione fu anche distribuita 
una bibliografia ragionata dei suoi oltre centocinquanta scritti tra volumi, saggi, articoli, 
curatele, traduzioni. 
� sorta allora in chi scrive, insieme ad Alessandro Tira e Cesare Varalda, l�idea di predisporre 
un�antologia di saggi e articoli di Musselli, che potesse ripercorrere i principali itinerari 
della sua feconda attivit� scientifica. Il proposito ha subito trovato il sostegno convinto 
e la generosa collaborazione di Maria Vismara, che per anni aveva condiviso con Musselli la 
responsabilit� di reggere le sorti delle discipline ecclesiasticistiche nell�Universit� di Pavia. 
Dopo un�iniziale titubanza, dovuta alla sua innata modestia, anche il Prof. Musselli aveva 
guardato con interesse e benevolenza al progetto che stava via via prendendo forma. 
All�inizio di settembre 2015, dopo una breve malattia, Luciano Musselli ci ha improvvisamente 
lasciati. Pochi giorni prima, fiaccata dal male che da alcuni anni l�aveva colpita, 
anche la Prof.ssa Vismara � tornata alla casa del Padre. Pur nello smarrimento per tali dolorosi 
eventi, e per il vuoto incolmabile lasciato da queste persone a noi cos� care, abbiamo deciso 
di portare a termine il lavoro iniziato. Ci � parso il modo migliore per onorare la memoria di 
Luciano Musselli e di Maria Vismara, un piccolo segno per tenere saldo il vincolo di affetto 
e gratitudine che a loro ci ha legato e ci lega. 
(*) Ricercatore universitario confermato nel Dipartimento di Giurisprudenza dell�Universit� di Pavia.
310 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2016 
Il progetto � stato realizzato con il costante e decisivo sostegno di due istituzioni alle 
quali Luciano Musselli era fortemente legato: il Dipartimento di Giurisprudenza dell�Universit� 
di Pavia, con il suo attuale Direttore Ettore Dezza, e il Collegio Ghislieri, con il suo Rettore 
Andrea Belvedere. 
Il volume si apre con profilo bio-bibliografico di Luciano Musselli. Gli scritti sono distribuiti 
in due parti, ciascuna a sua volta divisa in sezioni. La prima parte presenta alcuni 
contributi canonistici, dedicati rispettivamente alla storia del diritto canonico e al diritto matrimoniale, 
due ambiti nei quali certamente il nostro studioso ha offerto una riflessione di 
grande rilievo. La seconda parte raccoglie scritti di diritto e politica ecclesiastica, alcuni di 
carattere storico, altri di taglio pi� spiccatamente giuridico, altri ancora dedicati a un tema sicuramente 
al centro dei suoi interessi in questi ultimi anni: il rapporto tra Islam e sistemi giuridici 
occidentali (1). La raccolta si chiude con un breve contributo sulla conclusione del 
contratto �per stretta di mano� (2), uno scritto particolarmente caro all�autore, testimonianza 
significativa della sua capacit� di varcare talvolta gli stretti confini delle discipline ecclesiasticistiche, 
per avventurarsi in altri campi del diritto e del sapere. 
Ci si augura che quest�opera possa contribuire a mantenere sempre �viva� la voce di 
Luciano Musselli nella nostra comunit� scientifica, alla quale tanto ha dato. Per noi � certamente 
un modo di riannodare i fili di un �dialogo� che non si � mai interrotto. 
Pavia, aprile-maggio 2016 
(1) Per gentile concessione dell�Editore si pubblica il saggio: 
�Islam ed ordinamento italiano. Riflessioni per un primo approccio al problema� (ndr). 
(2) Per gentile concessione dell�Editore si pubblica il saggio: 
�Dalla conclusione del contratto per stretta di mano alla firma elettronica: considerazioni minime sulle 
trasformazioni del diritto� (ndr).
RECENSIONI 311 
Islam ed ordinamento italiano. Riflessioni 
per un primo approccio al problema (*) 
1. Premessa 
Il problema dell�Islam ha molteplici aspetti anche in prospettiva giuridica 
(1). CՏ infatti, in primo luogo, il problema della legge religiosa islamica e 
cio� della legge coranica e dei suoi contrasti con norme e principi di fondo 
del diritto dei Paesi occidentali, con le norme di diritto internazionale e pattizio 
che a questi principi si ispirano e che sono stati accolti in convenzioni e trattati. 
(*) LUCIANO MUSSELLI, Societ� civile e societ� religiosa tra diritto e storia, Wolters Kluwer / Cedam, 
2016. 
Per gentile concessione dell�Editore. 
(1) II presente saggio � frutto di una ricerca realizzata grazie al finanziamento (fondi 40/100) del 
Ministero dell�Universit� e della ricerca scientifica e tecnica. L�autore ringrazia, per il prezioso aiuto 
fornitogli, il prof. Mosconi ed i ricercatori della cattedra di diritto internazionale della Facolt� di Giurisprudenza 
di Pavia ed il prof. Cubillas Recio dell�Universit� di Valladolid. 
Mentre il problema del diritto islamico, della sua natura e delle sue fonti, � stato, a partire dall�Ottocento, 
oggetto di numerosi studi in Francia e Germania, il medesimo ha suscitato scarsissimo interesse in Italia, 
a parte qualche trattazione d�epoca coloniale (ad es. A. BERTOLA, Il regime dei culti in Turchia, Torino, 
1925), tanto da rimanere sino ad ora quasi ignorato dalla dottrina giuridica italiana. A causa per� del rapido 
incremento della presenza di soggetti e nuclei di fede islamica in Italia, nel corso degli ultimi anni, 
anche i giuristi sono stati indotti e direi quasi costretti a misurarsi coi problemi, talora assai gravi e complessi, 
posti da tale presenza e sono apparsi i primi studi in proposito. 
Tale bibliografia giuridica pu� dividersi in tre settori. Il primo mira allo studio delle linee di fondo del 
sistema giuridico islamico (ad es. F. CASTRO, voce Diritto musulmano e dei paesi musulmani, in Enciclopedia 
Giuridica, vol. XI, contributo a cui si rinvia anche per riferimenti bibliografici di base in merito; 
adde G. CAPUTO, Introduzione al diritto islamico, Torino, 1990, opera che prende in particolare esame 
la tematica del matrimonio e della famiglia). Talora, anzich� studiare le linee di fondo di tale sistema, 
si � preferito indagare sulle tendenze di fondo riscontrabili, all�interno dei sistemi giuridici degli Stati a 
maggioranza islamica in seguito all�incontro (o scontro) tra le istanze di conservazione della tradizione 
e della legge coranica e quelle innovative e mediatrici coi dati giuridici culturali dell�Occidente e cio� 
sul fenomeno della c.d. �modernizzazione� (R. ALUFFI, La modernizzazione del diritto di famiglia nei 
Paesi arabi, Milano, 1990), di nuovo con particolare riguardo al settore del diritto di famiglia. 
Un ulteriore settore bibliografico � quello relativo ai problemi di diritto internazionale privato, suscitati 
dalla presenza islamica sempre con peculiare riguardo al diritto di famiglia. Per questa tematica e per la 
relativa bibliografia si rinvia ad una recente, ricca ed articolata analisi (C. CAMPIGLIO, Matrimonio poligamico 
e ripudio nell'esperienza giuridica dell�Occidente europeo, in Rivista di diritto internazionale 
privato e processuale, 1990, pp. 853-902). 
Decisamente carente � invece l�apporto italiano al terzo settore d�indagine, quello riferentesi alla possibilit� 
di conciliazione tra il diritto islamico ed i suoi principi di fondo, con la teorizzazione e la messa 
in pratica dei c.d. �diritti fondamentali� nei sistemi occidentali (primo fra tutti il diritto di libert� religiosa) 
ed al problema della disciplina giuridica dell�Islam visto come confessione religiosa. 
Al confronto di una ormai sviluppata bibliografia in altri ambiti (ad es. B. JOHANSEN, Staat, Recht und 
Rel�gion in sunnitischen Islam. K�nnen Musline ein Religionsneutrale Staat akzeptieren? in Essener 
Gespr�che zum Thema Staat una Kirche, 20, 1986, p. 12 ss.; W. LOSCHELDER, Der Islam und die Reli-
312 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2016 
In merito occorre notare come la legge coranica si ponga spesso in insanabile 
contrasto colle norme e coi princ�pi di sistemi giuridici, come quelli europei, 
originatisi da sofferte e dialettiche mediazioni tra modelli romanistici, 
valori cristiani ed apporti laicizzanti di tipo liberal-democratico e democratico-
sociale. Talune idee e peculiarit� di fondo - come quelle della poligamia, 
del diritto al ripudio riconosciuto al solo marito, delle limitazioni di capacit� 
della donna e della sua sostanziale soggezione al padre o al marito (comunque 
ad un maschio) e quella della legittimit�, anzi della doverosit� dell�applicazione 
di pene cruente e lesive dell�integrit� fisica - basterebbero da sole a mostrare 
l�insanabilit� di questo contrasto, anche se la misura e l�intensit� di esso 
pu� variare a seconda di come una norma coranica venga interpretata da una 
certa corrente dottrinale o da questo o quel giurista, data l�importanza che la 
dottrina e la giurisprudenza assumono in questo quadro giuridico. 
La legge coranica � per� accolta come legge vigente solo in alcuni dei 
Paesi a maggioranza islamica, e di solito nei paesi pi� tradizionalisti (come 
l�Arabia Saudita) ai quali ora si aggiungono altri Stati, ove ha trionfato (come 
l�Iran) o sta trionfando (come il Sudan e il Pakistan) il fondamentalismo religioso. 
Molti altri Paesi, per effetto della modernizzazione seguita alla colonizzazione 
o comunque all�influsso occidentale, hanno dato vita a legislazioni 
dove la fonte coranica, per quanto dichiarata spesso a livello costituzionale 
come momento di base ed originario dell�intero sistema giuridico, � solo in 
parte accettata e comunque positivizzata attraverso il filtro della legge statale 
(Algeria, Marocco, Siria, Irak, Egitto). Altri Paesi ancora, a maggioranza islamica, 
a livello giuridico si sono invece svincolati dalla loro religione nazionale 
del tutto (Turchia) o parzialmente (Senegal, Tunisia). 
Il soggetto di fede islamica che vive sul suolo italiano, pur ricollegandosi 
ad un complesso di princ�pi, tradizioni e norme religiose sostanzialmente omogenee, 
a parte alcune non sostanziali differenze (che possono trovarsi ad esempio 
tra sciiti, sunniti, drusi ecc.), pu� essere abituato a percepire il rapporto 
con lo Stato ed il diritto laico in modo notevolmente diverso a seconda del 
paese di provenienza. In altre parole pu� sia manifestare l�habitus mentale di 
far direttamente coincidere la norma coranica, come unica norma esistente, 
con quella statale, oppure essere abituato a distinguere tra una norma religiosa 
gions-rechtlicher Ordnung des Gnmdgesetzes, ivi, p. 149 ss.; S.A. ALDEEB ABU-SALIEH, L�impact de la 
religion sur l�ordre juridique, cas de l�Egyptes, non musulmans en Pays d�Islam, Fribourg, 1979; IDEM, 
L�Islam et les droits de l�homme, in Universalit� des droits de l'homme et diversit� de culture. Les actes 
du colloque universitaire, Fribourg, 1984, pp. 151-160; IDEM, L�Islam et les droits de l'homme, in Revue 
g�n�rale de droit international public, 89, 1985, 3, pp. 624-716; IDEM, L�impact des droits musulmans 
sur un droit la�c, le cas de la Suisse, in Praxis juridique et Religion, 1991, pp. 18-45; IDEM, Les droits 
de l�homme entre Occident et Islam, in Praxis juridique et Religion, 1992, pp. 85-117), la riflessione 
della dottrina italiana in merito - ed in particolare di quella ecclesiasticistica - appare ancora decisamente 
carente. Da questa constatazione, anche se non solo da essa, sono venute all�autore motivazioni per tentare 
un primo approccio al problema dal punto di vista del diritto interno dell�Italia.
RECENSIONI 313 
ed un diritto laico-civile, secondo uno schema che non � molto lontano da 
quello del cattolico osservante, legato dalla doppia appartenenza all�ordinamento 
della Chiesa ed a quello dello Stato o dell�ebreo che si trova spesso 
nella stessa situazione. 
Il punto di riferimento che dobbiamo adottare ai fini della rilevanza del 
tema per l�art. 8 Cost., per vedere se una confessione (nel caso quella islamica) 
possa o meno contrastare coi principi di fondo del nostro ordinamento o possa, 
come si sarebbe detto un tempo, essere considerato �culto lecito� (cosa negata 
per i musulmani dai giuristi dell�inizio del secolo, almeno per il territorio metropolitano 
(2)), non pu� essere il modo variegato e mutevole con cui questo 
culto � accolto nei vari paesi islamici, ma il nucleo di dottrine, principi e norme 
fondamentali di tale culto e l�esservi o meno in essi principi o norme che contrastano 
coi principi fondamentali dell�ordinamento italiano che stanno alla 
base del concetto di ordine pubblico interno (3). Indagine basilare, questa, perch� 
dal suo esito dipende la possibilit� per questa confessione di organizzarsi 
e di accedere ad intese con lo Stato. 
A tale problematica giungeremo dopo una breve premessa, sviluppata 
sotto il profilo socio-politico, per inquadrare poi le tematiche pi� propriamente 
giuridiche. 
Tale riflessione andr� condotta sulla base della normativa (in primis quella 
costituzionale) interna italiana. Non si potr� neanche trascurare l�apporto, a 
livello comparatistico, di esperienze di Paesi europei (come la Francia e la 
Germania) che hanno gi� sperimentato una massiccia immigrazione islamica, 
la quale ha posto in rilievo, con un anticipo spesso di anni, i problemi che oggi 
ci troviamo ad affrontare in Italia (4). Problemi come quello della poligamia 
e dei suoi riflessi sul diritto di famiglia e su quello amministrativo (per quanto 
attiene alle prestazioni sociali), del velo indossato nelle scuole e in altri ambienti 
affini, sono stati affrontati da Paesi con sistemi giuridici molto simili al 
nostro e tale esperienza, che qui non � direttamente oggetto di studio, pu� tuttavia 
dimostrarsi estremamente utile come parametro di riferimento. Tali esperienze 
straniere, o meglio europee, dopo aver visto prevalere un orientamento 
(2) Cos� Francesco Scaduto, uno dei fondatori del diritto ecclesiastico italiano, poneva tra i �culti 
non tollerati neppure di fatto, perch� ritenuti contrari alle nostre leggi o al nostro diritto pubblico o alla 
nostra morale [�] il mormonico ed il maomettano� (F. SCADUTO, Diritto ecclesiastico vigente in Italia, 
Torino, 1894, vol. II, p. 720). 
(3) In merito vedasi infra, nota 14. 
(4) Le tematiche qui trattate sono oggetto di studio, sotto il profilo internazionalprivatistico, soprattutto 
nell�ambito accademico di lingua francese, ormai da pi� di un decennio (ad es. P. GANNAGE, 
La coexistence des droits confessionnels et des droits la�cis�s dans les relations priv�es internationales, 
in Academie De Droit International, Recueil de cours, Le Hague, 1979, vol. III, p. 343 ss.; il medesimo 
Autore, docente all�Universit� di Beirut, � di recente ritornato sull�argomento con l�articolo intitolato 
La p�n�tration de l�autonomie de la volont� dans le droit international priv� de la famille, pubblicato 
in Revue critique de droit international priv�, 81, 1992, p. 425 ss.).
314 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2016 
di grande apertura e �tolleranza� da parte degli Stati, ora palesano un senso 
di maggior rigore nel difendere i principi basilari della cultura giuridica e della 
�civilisation� occidentale di fronte al diritto islamico (5). Ci� per evitare il 
crearsi di comunit� che pur vivendo su suolo europeo, sono sostanzialmente 
regolate da un altro diritto, le quali cos� facendo reintroducono, grazie al collegamento 
colla sfera della cittadinanza, un sistema di diritto personale che la 
fine dell�Ancien R�gime e la rivoluzione liberale dell�Ottocento ci avevano 
ormai fatto dimenticare. Fenomeni che - almeno a mio parere - sarebbe grave 
e pericoloso far rivivere in questa nostra comunit� gi� cos� lacerata e divisa, e 
che, oggi come non mai, deve affermare e difendere dalla loro stessa crisi i 
valori fondamentali sui quali si basa, pur nel doveroso rispetto delle libert� di 
tutti. 
2. Considerazioni generali. 
L�esperienza italiana nel settore delle minoranze religiose � tradizionalmente 
molto limitata. Col novanta per cento circa della popolazione che (quantomeno 
formalmente) appartiene alla religione cattolica, l�idea stessa dei 
rapporti tra la religione e lo Stato viene fatalmente ricondotta in prima battuta 
al modello, se non addirittura a coincidere col complesso dei rapporti tra lo 
Stato italiano, la Santa Sede e la Conferenza episcopale italiana. A livello di 
opinione ed attenzione pubblica raramente si colgono gli echi dell�esistenza e 
dell�attivit� delle pi� importanti e storicamente antiche tra le confessioni religiose 
di minoranza italiana: poche righe in occasione dell�annuale sinodo valdese, 
un titoletto nelle pagine pi� interne dei quotidiani nel caso di prese di 
posizione d� organi od esponenti ebraici; quasi mai la televisione, mezzo principale 
nella comunicazione di massa, si occupa di loro se non in orari scomodi 
per l�utenza, in pochi programmi visti soltanto o quasi solo dai membri delle 
confessioni che gestiscono i medesimi. 
L�attenzione del pubblico si accentra invece sui casi di conflitti tra le prescrizioni 
di alcune confessioni o sette ed il diritto dello Stato e le conseguenti 
vicende giudiziarie alle quali queste danno origine, come nel caso del divieto 
di trasfusione di sangue per i testimoni di Geova (6). Pi� di recente � stato 
(5) In merito vedasi CAMPIGLIO, Matrimonio poligamico, cit., passim. Pu� ricordarsi come significativa 
una decisione del 1990 del Tribunale Amministrativo di Nantes, che ritenne legittimo il rifiuto 
da parte del competente Ministero di un provvedimento di naturalizzazione per �d�faut d�assimilation�, 
ai sensi dell�art. 153 del Code de la nationalit�, per il fatto che il soggetto, originario senegalese, si trovava 
legato da matrimonio poligamico (in Recueil Dalloz, 20 dicembre 1990, n. 43, pp. 600-604). Un 
altro caso simile � ricordato da J.-P. DURAND, Chroniques de droit civil eccl�siastique, in L�Ann�e canonique, 
XXIV, 1991, p. 323 ss. In merito al sistema svizzero, con particolare riferimento al diritto di 
famiglia, vedasi S.A.A. ABU SALIEH, Le droit international priv� suisse face aux syst�mes des Pays arabes, 
in Revue suisse de droit international et de droit europ�en, 1992, p. 33 ss. 
(6) Di recente in merito vedasi La questione della tolleranza e le confessioni religiose. Atti del 
Convegno di studi. Roma, 3 aprile 1990, Napoli, 1991. Una bibliografia d�ambito italiano ed interna-
RECENSIONI 315 
portato all�attenzione pubblica il problema della protezione dei minorenni (e 
non solo di essi) dalle attivit� di proselitismo di alcune sette, le quali negano 
al loro interno l�autonomia ed i pi� elementari diritti dei soggetti, attuando 
una sorta di �plagio� della loro personalit�, soprattutto nel caso di soggetti 
psichicamente deboli o labili. 
Comunque l�esperienza dei Paesi latini ed in particolare dell�Italia induce 
a vedere le minoranze religiose sotto un profilo di marginalit� e spesso di instabilit�, 
di gruppi effimeri, a parte le religioni tradizionali che non pongono 
particolari problemi, o almeno non ne pongono oggi di nuovi. 
Anche i problemi posti dai testimoni di Geova e, in misura minore, dalle 
sette non sono nuovi, in quanto si ripresentano ormai dagli anni della contestazione 
giovanile o meglio da quelli del riflusso della contestazione dal terreno 
politico a quello religioso e soggettivo, in fughe verso concezioni 
mistiche di tipo orientale per cercarvi spesso risposta a fenomeni di rigetto 
della societ� capitalistica e delle sue asprezze. 
Diversa � la situazione in rapporto ai musulmani. Contrariamente alle religioni 
di derivazioni cristiana l�Islam originario non accetta n� concepisce 
una distinzione tra momento religioso e momento civile. Lo Stato, la societ� 
e la religione sono legati da vincoli e nessi inscindibili: in un certo senso sono 
la stessa cosa, considerata da due prospettive diverse. In ci� l�Isiam non � 
molto diverso dallo Stato ebraico, nella sua concezione pi� ortodossa. La sua 
concezione � quella di uno Stato teocratico, ove la religione � il cuore stesso 
del sociale. La shari�a �, nello stesso tempo, legge religiosa contenente dogmi 
e regole liturgiche e morali e legge giuridica regolante i comportamenti sociali 
dei fedeli (7). 
zionale sul problema a cui s�accenna nel testo pu� reperirsi in G. SENIN ARTINA, Problemi giuridici dei 
nuovi movimenti religiosi. Bibliografia, in Quaderni di Diritto e Politica Ecclesiastica, 1987, pp. 81- 
82. In genere sulla disciplina giuridica delle confessioni religiose non cattoliche vedasi la recente e pregevole 
opera di G. LONG, Le confessioni religiose diverse dalla cattolica, Bologna, 1991. Per quanto 
riguarda il problema delle sette e delle nuove religioni si rinvia alla bibliografia test� ricordata ed ai vari 
saggi pubblicati nell�annata 1987 della rivista Quaderni di Diritto e di Politica Ecclesiastica. 
(7) Cos� il PIZZORUSSO nel suo Corso di diritto comparato (Milano, 1983, pp. 274-275) efficacemente 
sintetizza la questione del diritto islamico e delle sue fonti: �L�islamismo ha prodotto un diritto 
(la shari�a) che risulta dalla rivelazione divina espressa nel Corano, dalle regole desunte dalle parole, 
dagli atti e dalle valutazioni compiute dal profeta Maometto in base all�ispirazione divina e dalla successiva 
opera di interpretazione compiuta dalle quattro scuole teologiche ortodosse (hanafita, malechita, 
shafita e hanbalita) nel periodo compreso tra la morte di Maometto (632 d.C.) ed il momento in cui fu 
deciso di cessare l�opera di ricerca e di fissare il diritto musulmano in base alle regole acquisite fino a 
quel momento (977). Nel caso dell�Islam l�immedesimazione tra religione e diritto � teoricamente assoluta 
e questo spiega perch� ancor oggi parecchi Stati islamici si proclamino stati confessionali�. Per 
approfondimenti di tali prospettive vedasi la bibliografia citata nella nota 1 ed inoltre L. MILLIOT, Introduction 
� lՎtude du droit musulman, Paris, 1953, G.H. BOUSQUET, Le droit musulman, Paris, 1963, A.A. 
FEEZE, Outlines of Muhamadan Law, Oxford, 1964; Y. LINANT DE BELLEFONDS, Trait� du droit musulman 
compar�, Paris, 1965; A. MAUDUDI, The islamic law, Lahore, 1980. Numerose introduzioni al diritto 
musulmano sono poi apparse, con il riavvicinarsi dell�interesse verso l�Islam in questi ultimi anni. Par-
316 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2016 
L�idea di uno Stato formato in maggioranza da fedeli islamici che, come 
nel caso dei cattolici in Italia, non regoli il proprio comportamento ed i rapporti 
giuridici secondo il diritto della propria religione (che sarebbe, nel caso di paragone, 
il diritto canonico), ma secondo norme diverse da quelle di derivazione 
coranica, � estranea alla cultura islamica. 
Non bisogna dimenticare come l�introduzione in ambito musulmano di 
modelli giuridici alternativi alla legge islamica ed alla sua applicazione (la 
quale tiene conto sia della fonte - Corano, Sunna ecc. - che dell�interpretazione 
tradizionalmente data ad esse nei vari riti di cui si compone l�Islam -) sia stata 
favorita, se non addirittura determinata dalla colonizzazione europea e sia andata 
in crisi col finire della medesima e con il crollo dei modelli socialisti e 
marxisti, per un certo periodo sopravvissuti alla colonizzazione stessa. Con la 
caduta dei regimi marxisti che appoggiavano politicamente la leadership di 
molti Stati mediorientali ed africani, � venuto a mancare un importante modello 
di societ�, di stato e di valori politici che fino ad un certo punto avevano 
contribuito a stimolare lo sviluppo di versioni modernizzate dell�Islam (o almeno 
delle societ� di impronta islamica), nascenti da uno strano connubio tra 
una declinazione della filosofia materialistica occidentale e un certo solidarismo 
religioso ed etnico (socialismo arabo e movimenti cosiddetti �di liberazione
�). Un connubio che aveva conosciuto momenti di dura contrapposizione, 
ma anche lunghi momenti di proficua collaborazione. 
Con la fine del modello ideologico marxista in Occidente, questo non riesce 
a sopravvivere neppure in Oriente ed il bisogno sociale che si avverte in 
queste regioni povere in misura drammatica trova come unico interlocutore 
ed alternativa alla visione capitalistica la religione, col suo tradizionale ed originario 
solidarismo tra i fedeli di Allah. 
Tutto questo ha poco di giuridico, ma pu� aiutare a capire con quale spirito 
le masse africane immigrate ed in via di immigrazione si inseriscano nelle 
societ� occidentali laicizzate e ad affrontare i delicati problemi a livello ideologico 
e pratico (ivi compreso quello istituzionale) che al proposito possono 
porsi. 
Dal punto di vista dei Paesi di destinazione, finch� si � trattato dell�inserimento 
nel tessuto sociale di pochi soggetti i problemi non erano (come non 
sono ancora, in Italia) drammatici, salvo gravi questioni che sorgono nel caso 
di separazione o divorzio per quanto riguarda la prole, non di rado portata 
anche con mezzi violenti o con raggiri fino ai Paesi d�origine del genitore islamico 
ed ivi definitivamente trattenuta. 
I problemi si complicano quando, anzich� trattarsi di immigrazione staticolarmente 
interessante sono l�opera di S. ABUSALEH, Introduction � la lecture juridique du Coran. 
Cours polycopi�, Strasbourg, 1986 ed il dossier L�application de la Shari�a, in �tudes Arabes, 70-71, 
1986.
RECENSIONI 317 
gionale o di commercianti ambulanti che anelano a rientrare in patria una volta 
guadagnato un peculio, si muovono anche i nuclei familiari, ricostruendo cos� 
stabilmente piccole societ� con le loro usanze, tradizioni, principi e valori di 
fondo. 
Viene allora a costituirsi nelle societ� europee la �umma�, vale a dire la 
comunit� musulmana che si pone come alternativa della societ� occidentale 
secolarizzata, e qui i problemi sociali e politici si sommano e cedono il passo 
a quelli giuridici (8). 
Ed � qui anche che gli usuali schemi concettuali, nei quali viene solitamente 
inquadrato il problema delle minoranze religiose (una visione improntata 
ad una certa indulgenza e tolleranza, purch� non si violino certi principi 
di fondo comunemente condivisi) mostrano la loro insufficienza. Nel caso 
dell�Islam, infatti, non si tratta di una religione che, con le sue poche o molte 
peculiarit�, accetti sostanzialmente l�esistenza di uno Stato al di fuori di essa, 
ma di una religione che vuol essere essa stessa risposta ai bisogni sociali e politici 
del soggetto; una religione che �, nella sua versione fondamentalistica, 
alternativa allo Stato e che proclama le sue norme al di sopra di quelle di qualsiasi 
altra autorit� umana (9). 
3. Le prospettive giuridiche. 
3.1. Fede islamica e diritti di libert� religiosa. 
Altrettanto carente rispetto a quelle sopra accennate sarebbe la prospettiva 
di ridurre la questione dell�Islam alle usuali concezioni giuridiche delle minoranze 
religiose, col conseguente richiamo sic et simpliciter alla libert� religiosa 
ed alle norme poste a protezione di essa. 
Ci� che gli islamici chiedono non � solo la libert� di fede, coscienza e 
culto, ma la libert� di vivere secondo le loro regole. 
L�ostacolo nasce dal fatto che tali regole, codificate dalla legge coranica, 
talora contrastano gravemente col diritto dei Paesi europei e coi suoi principi 
di fondo, ispirati ad altri moduli e dati, dal punto di vista storico e culturale. 
Vediamo ora alcuni dei principali punti di contrasto, ai quali si accennava, che 
vengono in essere nel caso dell�applicazione della legge coranica, rimessa in 
vigore o comunque in fase di rivalutazione e di nuova applicazione in numerosi 
Paesi a maggioranza musulmana, sull�onda del radicamento del fondamentalismo 
islamico (10). 
(8) In merito vedasi F. DASSETTO e A. BASTENIER, Europa: Nuova frontiera dell�Islam, Roma, 
1991. 
(9) Sulla ripresa di vigore dell�Islam e le sue cause vedasi B. LEWIS, La rinascita islamica, Bologna, 
1991. Sui concetti di Stato e potere in prospettiva islamica vedasi poi B. BADIE, I due stati: societ� 
e potere nell�Islam e in Occidente, Genova, 1990. 
(10) In merito vedasi O. ROY, Les voies de la r�islamisation, in Pouvoirs, 62, sept. 1992. Adde E. 
SIVAN, Radical Islam, Yale, 1985; B. ETIENNE, L�alawisme radical, Paris, 1987.
318 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2016 
Cos� il sistema di pene e sanzioni fissate dalla shari�a, che riflette gli usi 
e la mentalit� dell�epoca e della societ� di Maometto, prevede a tutt�oggi l�applicazione 
della pena di morte, della mutilazione e di altre pene corporali (in 
particolare la pena del taglione per l�omicidio e le lesioni personali), nonch� 
forme di composizione pecuniaria con somme risarcitorie diverse a seconda 
dell�organo offeso e della qualit� delle persone, con analogie a quanto avveniva 
nelle legislazioni barbariche occidentali (11). Sono inoltre puniti con la 
morte e con pene corporali anche i rapporti sessuali extraconiugali, come 
anche, sul piano pi� propriamente religioso, la bestemmia e l�apostasia dall�Islam. 
Con la reintroduzione della shari�a, patrocinata da varie forme di radicalismo 
e fondamentalismo islamico, tale sistema sanzionatorio, che era stato 
superato dalle legislazioni penali di quasi tutti i Paesi arabi - eccezion fatta 
per quelli pi� tradizionalisti, come l�Arabia Saudita - viene ora sempre pi� riportato 
in auge. Ci�, oltre a porre problemi ai sistemi giuridici occidentali, 
come nel caso dell�estradizione di un soggetto richiesta da un tribunale islamico 
(ad esempio iraniano) che applica tali sanzioni, potrebbe porre problemi 
anche all�interno di Stati europei, se in seno a numerose comunit� islamiche 
si arrivasse, in futuro, ad un�autonoma applicazione di sanzioni penali (ad es. 
l�applicazione della fustigazione). In tale caso � evidente come non possano 
darsi esenzioni di responsabilit� in nome dell�esercizio della libert� religiosa, 
che non pu� essere invocato per ledere i diritti fondamentali dell�uomo sanciti 
dalle varie Costituzioni, ed in particolare il diritto alla vita ed all�integrit� fisica. 
Con specifico riferimento al nostro ordinamento, il problema potrebbe 
invece tradursi nella questione della concessione o meno, per gli autori di comportamenti 
del genere, dell�attenuante prevista dall�art. 62, n. 1 del codice penale 
(motivi di particolare valore morale e sociale). 
Tutto questo � per� un discorso per oggi ancora teorico. Decisamente di 
maggior rilievo pratico sono invece altri problemi riguardanti il comportamento 
sociale degli islamici nel campo della societ� e della famiglia. 
Una questione che ha suscitato a pi� riprese l�interesse della stampa, soprattutto 
in Francia, � quella relativa all�uso del velo (il �chador�) per le 
donne, introdotto secondo la tradizione dal califfo Omar, uno dei primi successori 
di Maometto. In Francia l�uso di tale abbigliamento in ambito scolastico 
ha dato luogo al cosiddetto �affaire du foulard�, essendo stato ritenuto 
contrastante col carattere laico della scuola francese (12). Va detto per� che, 
(11) In merito S.A. ALDEEB ABU-SALIEH, Etude sur le droit p�nale musulman, Institut Suisse de 
droit compare, Lausanne, 1985 (pro manuscriptu). 
(12) Su questa e su altre questioni vedasi M. MORSY, Rester musulman en soci�t� �trang�re, in 
Pouvoirs, 62, sept. 1992, p. 119 ss.; G. KOUBI, Droit et Religion, in Revue de droit public, 1992, p. 725 
ss. (in particolare p. 729 e nota 18). La questione, scoppiata in Francia nel 1989, della legittimit� o meno 
dell�uso del velo da parte delle studentesse islamiche nelle scuole pubbliche, comՏ noto, � stata risolta
RECENSIONI 319 
secondo il nostro ordinamento, il semplice fatto di velare il capo (o tenere in 
testa uno zucchetto, come nel caso degli ebrei osservanti) non sembra dar 
luogo ad una violazione di norme e che ci� possa anzi configurarsi come 
espressione del diritto di libert� religiosa. Non parrebbe invece ammissibile 
un velo che celi completamente o parzialmente il volto, impedendo l�identificazione 
e la normale interazione dell�alunna coi compagni e coi docenti e determinando 
cos� una sorta di emarginazione sociale della stessa. Tra l�altro un 
simile comportamento ricadrebbe sotto il divieto di �comparire mascherati in 
luogo pubblico�, la cui infrazione � punita con ammenda, per ragioni di ordine 
pubblico, dal Testo unico di Pubblica Sicurezza (art. 85 R.D. 18 giugno 1931, 
n. 773). N� va dimenticato come il velo occultante sia una prassi che denuncia 
una situazione di almeno tendenziale segregazione della donna, che rispecchia 
l�usanza dei Paesi pi� accesamente tradizionalisti; una prassi pertanto inaccettabile 
alla luce dei principi di fondo degli Ordinamenti occidentali. 
Appare quindi utile richiamare qui la disposizione contenuta nell�art. 2, 
lett. f) della Convenzione sulla eliminazione di ogni forma di discriminazione 
nei confronti della donna (New York, 18 dicembre 1979; ratificata in Italia in 
base alla legge 14 marzo 1985, n. 132), che impone agli Stati l�obbligo di 
�prendere ogni misura adeguata, comprese le disposizioni di legge, per modicon 
una soluzione di compromesso. Il Consiglio di Stato, su richiesta del ministro della pubblica istruzione 
Jospin, emette un parere in data 27 novembre 1989. Secondo tale parere il portare un segno distintivo 
della propria religione nell�ambito della scuola pubblica non comporta automaticamente una 
violazione del principio di laicit�, salvo che si tratti di segni d�appartenenza religiosa che per la loro natura, 
per le condizioni in cui sono portati individualmente e collettivamente o per il loro carattere ostentatorio 
e rivendicativo, costituiscano un atto di pressione, di provocazione, di proselitismo o di 
propaganda, attentanti alla libert� od alla dignit� o dell�allievo e di altri membri della comunit� educativa, 
ovvero compromettevano la loro salute o sicurezza e turbino lo svolgimento delle attivit� di insegnamento 
ed il ruolo educativo degli insegnanti od infine turbino l�ordine di uno stabilimento ed il normale 
funzionamento del servizio pubblico. Il Conseil dՃtat � inoltre dell�avviso che l�esibizione di segni religiosi 
possa essere disciplinata da un regolamento emesso dal consiglio di amministrazione dell�istituto 
scolastico, tenendo conto dell�esigenza di rispetto del principio di laicit� e pluralismo e del dovere di 
tollerare e rispettare le altrui convinzioni, mentre viene ritenuta opportuna anche l�emanazione di una 
istruzione ministeriale in materia. Infine � rimesso alle autorit� detentrici del potere di disciplina nei 
vari istituti (in pratica ai direttori e ai presidi) di adottare provvedimenti concreti, anche di natura disciplinare, 
in base ai criteri enunciati nel parere e recepite nei regolamenti. I Capi degli istituti possono 
anche, in caso di grave turbamento proveniente da un comportamento del tipo sopra ricordato, rifiutare 
l�ammissione in uno stabilimento scolastico. Il parere � seguito dall�emanazione della circolare del 12 
dicembre 1989 del Ministro dell�Educazione nazionale, della Giovent� e dello Sport, che recepisce gli 
orientamenti del Consiglio di Stato e rimette ai capi d�istituto ed ai consigli scolastici di decidere caso 
per caso, confermando il potere dei capi d�istituto di non ammissione dell'alunno nei casi pi� gravi. In 
particolare si ribadisce l�obbligo per gli studenti di seguire gli insegnamenti di tutte le materie, ivi compresa 
l�educazione fisica, la cui pratica ben difficilmente si pu� conciliare con i dettami circa l�abito 
delle donne imposti dall�Islam fondamentalista (per il testo del parere del Consiglio di Stato e della ricordata 
circolare, vedasi in �Ann�e Canonique�, 1989, pp. 368-372). 
Sul medesimo problema in ambito tedesco vedasi la sentenza del 26 aprile 1991 dell�Oberverwaltungsgericht 
di L�neburg, la cui massima � riprodotta in Archiv f�r Katkolisches Kirchenrecht, 180, 1991, 
p. 191.
320 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2016 
ficare o abrogare ogni legge, disposizione, regolamento, consuetudine o pratica 
che costituisca discriminazione nei confronti della donna�. 
N� superfluo pare ricordare come nel successivo art. 3 della convenzione 
menzionata sia disposto che gli Stati debbano prendere ogni misura adeguata 
�al fine di modificare gli schemi ed i modelli di comportamento socio-culturali 
degli uomini e delle donne e giungere ad una eliminazione dei pregiudizi e 
delle pratiche consuetudinarie o di altro genere che siano basate sulla convinzione 
della superiorit� dell�uno o dell�altro sesso o sull�idea di ruoli stereotipati 
degli uomini e delle donne�. 
Sembra peraltro a chi scrive che il richiamo alla libert� religiosa non possa 
darsi per giustificare lesioni di principi sommi come quello dell�uguaglianza 
di tutti gli esseri umani. Lo stesso vale per i riferimenti a situazioni di schiavit� 
che ogni tanto appaiono nel diritto islamico classico, ancora ispirato e cristallizzato 
con riferimento ad epoche antiche, ma che per gli ordinamenti europei 
non possono avere alcun valore se non nel senso di costituire indizi di comportamenti 
criminosi ai sensi del reato previsto dall�art. 600 c.p. (riduzione in 
schiavit�). 
Passiamo ora al settore che pi� tradizionalmente viene trattato a proposito 
dei problemi suscitati dall�Islam e dei contrasti delle norme islamiche con 
quelle occidentali: il settore del matrimonio e della famiglia. Qui il problema 
che balza agli occhi di tutti con maggiore evidenza � quello della poligamia, 
ammessa od almeno tollerata anche nei Paesi islamici modernizzati ed in parte 
laicizzati, ad eccezione della Tunisia. 
Il problema non � tanto quello dell�innegabile contrasto del matrimonio 
poligamico coi principi di fondo del nostro ordinamento (che tra l�altro prevede 
e punisce la bigamia come reato) ma degli effetti di tale contrasto. In particolare, 
colui il quale abbia pi� mogli nel Paese d�origine non pu� pretendere, 
ostando a ci� il limite dell�ordine pubblico posto dall'art. 31 delle Preleggi, 
che questo status venga riconosciuto anche in Italia a livello di visti d�ingresso, 
di stato di famiglia, di assegni previdenziali ecc. (13). Al proposito, se non vo- 
(13) Cos� pare evidente che l�art. 4 della l. 30 dicembre 1986, n. 943, relativa ai lavoratori extracomunitari, 
la quale garantisce a costoro il diritto al ricongiungimento con il coniuge, debba riferirsi ad 
una sola moglie (dato anche l�uso del singolare nella locuzione adottata dalla norma). In caso di matrimonio 
poligamico tale diritto varr� per la prima moglie con la quale, anche alla luce dei nostri principi 
in materia matrimoniale, esiste un vincolo nuziale compatibile coll�ordine pubblico italiano. Vi � poi il 
caso in cui, servendosi del ripudio, il soggetto conservi una sola moglie. Anche in tal caso egli potr� godere 
del diritto garantito dalla norma citata, in quanto ci� che interessa all�ordinamento italiano non � 
come sia arrivato ad essere marito di quella moglie (essendo tale profilo regolato dalla legge della cittadinanza) 
ma il fatto che la donna sia legalmente sua moglie. 
A livello giurisprudenziale si pu� ricordare in merito una celebre decisione del TAR per l�Emilia-Romagna 
del 10 gennaio 1989. Si tratta di un�ordinanza con la quale si disponeva la sospensione di un 
provvedimento di espulsione di due mogli di un lavoratore extracomunitario marocchino, motivata pi� 
da ragioni umane che strettamente giuridiche: �per i profili di gravit� e di irreparabilit� sotto l�aspetto 
sociale, economico e familiare�. In seguito all�ottenimento per altra via (non come mogli, ma come la-
RECENSIONI 321 
gliamo legittimare un modello di matrimonio contrastante coi nostri principi 
di fondo, non abbiamo altra strada che concepire solo la prima moglie come 
moglie legittima e vedere nelle altre delle conviventi, fatta salva la legittimit� 
dei figli da determinarsi alla luce del diritto della cittadinanza. Inoltre, alla 
luce del nostro ordinamento, il contrarre un secondo matrimonio religioso islamico 
(da parte di un soggetto che abbia sposato una cittadina italiana) potrebbe 
configurare il venire in essere di un comportamento che giustifichi una dichiarazione 
di separazione con addebito a carico del medesimo. 
Tra l�altro alcuni comportamenti, giustificati dalla legge coranica o da 
prassi interpretative di essa, quale quella dell�harem e del potere di correzione 
del marito che pu� arrivare anche alle punizioni fisiche, nei nostri ordinamenti 
non potrebbero che essere considerati alla stregua di fatti delittuosi (dai reati 
di percosse e lesioni fino a quello di sequestro di persona). 
Altre difficolt� incontrano l�assunzione d�efficacia nel nostro ordinamento 
di scioglimenti di matrimoni per ripudio, che alla stregua del diritto 
islamico pu� venire posto in essere unilateralmente dal marito, senza il consenso 
dell�altra parte. Come infatti si � tradizionalmente rifiutata la deliberazione 
di sentenze di divorzio statunitensi rese in base al puro consenso dei due 
coniugi, senza alcun accertamento circa la fine o meno della comunit� di vita 
dei coniugi, cos� apparirebbe, nel caso, incongruo far dipendere la fine del matrimonio 
da una semplice dichiarazione, seppur solenne, del marito ed anzi 
ancor pi� incongruo apparirebbe perch� qui verrebbe in essere un principio di 
discriminazione a favore dell�uomo contro la donna (14). 
voratrici dipendenti) del permesso di soggiorno da parte delle due donne, la questione fu superata e non 
si giunse alla decisione del merito. 
Per quanto riguarda invece la rilevanza civile del matrimonio islamico, in un parere degli stessi anni 
(espresso in data 7 giugno 1988) il Consiglio di Stato subordina tale rilevanza all�avvenuto e positivo 
accertamento, da parte delle autorit� italiane, del rispetto dei principi fondamentali posti in materia dal 
nostro ordinamento. Si mette in rilievo la necessit� di accertare il raggiungimento dell�et� minima e 
l�assenza di impedimenti inderogabili con particolare riferimento allo stato libero ed all�inesistenza di 
precedenti matrimoni validi. Sarebbe opportuno, al proposito, accertare anche l�esistenza di una vera e 
libera volont� nuziale nella donna, data la possibilit�, in certi casi, di coazione al matrimonio della vergine 
minorenne da parte del padre e dei parenti. In merito a tutte queste problematiche vedasi CAMPIGLIO, 
Matrimonio poligamico, cit., pp. 855-856. 
(14) In merito alla questione del ripudio vedasi G. CASSONI, Considerazioni sugli istituti della 
poligamia e del ripudio nell�ordinamento italiano, in Rivista del Notariato, 1987, p. 233 nonch� CAMPIGLIO, 
Matrimonio poligamico, cit., p. 855 ss. Sul ruolo svolto in questo campo dal limite dell�ordine 
pubblico, vedasi in generale E. VITTA, Diritto internazionale privato e processuale, a cura di F. MOSCONI, 
Torino, 1991, pp. 151 ss., ove si ricorda come, secondo la giurisprudenza, il concetto di �ordine pubblico 
interno� sarebbe costituito �dal complesso di principi fondamentali che caratterizzano la struttura eticosociale 
della comunit� nazionale in un certo momento storico�, mentre per �ordine pubblico internazionale� 
dovrebbero intendersi i principi a carattere universale, comuni a molte nazioni di civilt� affine, 
intesi alla tutela di alcuni diritti fondamentali dell�uomo, spesso sanciti da dichiarazioni o convenzioni 
internazionali� (ivi, p. 154). Le ricordate sentenze di ripudio urterebbero, a livello di delibazione, sia 
contro l�uno che contro l�altro limite. Al massimo il ripudio potrebbe avere per effetto di far cessare
322 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2016 
La stessa discriminazione, a sfavore della donna, si verifica nel campo 
della famiglia, ove vige un regime di patria potestas affidata ai maschi della 
famiglia agnatizia e sostanzialmente anche in campo successorio. 
Contrarie all�ordine pubblico risultano anche talune specie di contratti, 
diffusi nella prassi di taluni riti musulmani, con i quali la donna concede le 
proprie prestazioni sessuali a tempo in cambio di denaro od utilit�; contratti 
talora usati per aggirare il divieto per il musulmano di sposare donne che non 
appartengono alla religione �del Libro� (che non siano, oltre che musulmane, 
ebree o cristiane). Del pari contrario al principio di fondo della libert� nuziale 
appare il divieto per la donna musulmana di sposare un non musulmano (15). 
N� pare che il matrimonio poligamico islamico possa essere surrettiziamente 
recuperato attraverso la nozione di �famiglia di fatto�. La �famiglia di fatto� 
infatti risponde pur sempre al modello giuridico di famiglia, composta da una 
coppia di coniugi (marito e moglie) ed eventuali figli, e proprio in ci� trova la 
ratio degli eventuali riconoscimenti giuridici delle situazioni che da essa conseguono. 
Pi� sfumata � invece la questione della compatibilit� cogli ordinamenti 
europei del complesso ambito delle prescrizioni islamiche in materia di contratti 
ed obbligazioni, che cominciano a porre non pochi problemi soprattutto 
in campo bancario, per il divieto del prestito �usurario�, comune alla tradizione 
islamica come a quella cristiana (16). 
l�esistenza del matrimonio nell�ordinamento di origine per via di divorzio e legittimare l�altra parte, nel 
caso sia cittadina italiana, a valersi, data l�impossibilit� della delibazione in Italia della decisione di ripudio 
(che peraltro raramente assume il carattere di vero provvedimento giurisdizionale), dello strumento 
processuale offerto dall�art. 3, n. 2 lett. e) della legge 1� dicembre 1970, n. 898 (in merito vedasi la decisione 
del Tribunale d� Milano, sentenza 5 ottobre 1991, riportata nella Rivista di diritto internazionale 
privato e processuale, 1992, p. 125 ss., che si riferisce ad un caso di ripudio ebraico). Va inoltre ricordato 
come l�istituto dell�ordine pubblico operi anche nei reciproci rapporti tra sistemi giuridici omogenei 
come quelli europei ed anche a livello di norme comunitarie, la cui applicazione pu� in certi casi venire 
disattesa proprio per il contrasto con l�ordine pubblico interno o �locale� (in merito vedasi F. MOSCONI, 
Il limite dell�ordine pubblico nella Convenzione di Bruxelles del 1968 sulla competenza giurisdizionale 
e l�esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale, in Jus, 1990, p. 45 ss.). Da ultimo va ricordato 
come il ripudio unilaterale sia stato ritenuto contrario all�ordine pubblico anche dalla circolare 
del 13 ottobre 1988 del Ministero degli Interni, in materia di trascrivibilit� in Italia dei matrimoni islamici 
(se ne veda il testo in R. CAFARI-PANICO, Lo stato civile ed il diritto internazionale privato, Padova, 
1992, pp. 172-173). 
(15) Circa la sussistenza di una �libert� di contrarre matrimonio� dello straniero nonostante eventuali 
divieti da parte della legge nazionale per motivi politici, razziali o religiosi e la conseguente prospettazione 
di un�ipotesi di incostituzionalit� dell'art. 116, c. 1� c.c., almeno sotto questo profilo, vedasi 
G. D�ORAZIO, Lo straniero nella Costituzione italiana, Padova, 1992, pp. 263-264. 
(16) Sull�atteggiamento e le prese di posizione, al proposito, dei giuristi e della cultura islamica 
in genere vedasi L. BAECK, La pens�e �conomique dans l�Islam. Tradition classique et renaissance contemporaine, 
in Praxis juridique et religion, 1992, p. 221 ss.
RECENSIONI 323 
3.2. L�Islam e l�art. 8 della Costituzione italiana. 
Per quanto l�Islam non sia solo una confessione religiosa, ma anche una 
forma di religione-Stato o di Stato teocratico, esso resta pur sempre una confessione 
religiosa e come tale pu� e deve porsi il problema della sua posizione 
rispetto all�art. 8 della Costituzione italiana. 
Come confessione religiosa, la religione islamica sar� �egualmente libera 
davanti alla legge�, come lo saranno le professioni ed i riti nei quali si articola.
Questione pi� difficile da affrontare � quella del diritto di organizzarsi 
�secondo propri statuti in quanto non contrastino con l�ordinamento giuridico 
italiano�. Se per statuto si deve intendere, come ritengo, il diritto islamico ed 
i suoi principi di fondo, come elementi inscindibili dal credo professato, non 
vi � dubbio che le confessioni islamiche non possono godere del diritto di organizzarsi, 
in quanto tale diritto contrasta radicalmente con l�ordinamento giuridico 
italiano. 
Se per �statuto� si dovesse intendere una normativa che un gruppo di 
islamici si d� per ottenere il riconoscimento di un�associazione o di una fondazione 
con fini culturali, e che sia conformata in modo da non porsi in contrasto 
con l�ordinamento italiano, la questione potrebbe essere pi� complessa. 
Infatti, se si richiede il riconoscimento giuridico di un ente (ai sensi degli artt. 
10 ss. del R.D. 28 febbraio 1930, n. 289) che faccia proprio o si richiami al 
diritto islamico, tale contrasto verrebbe ugualmente in essere. Se invece l�ente 
erigendo presenta uno statuto di tipo laico-democratico ed il riferimento all�Islam 
� solo di tipo indiretto (emergendo ad esempio solo a livello di finalit� 
diretta alla promozione del culto e della formazione religiosa islamica od alla 
diffusione del relativo patrimonio storico-culturale), ci si pu� chiedere se si 
debba guardare solo alle norme statutarie od anche ai principi di fondo della 
religione alla quale si fa riferimento. � questa la tesi che, a mio modesto parere, 
dovrebbe prevalere, in quanto le norme statutarie possono facilmente costituire 
il mascheramento di una diversa realt� normativa - la legge coranica - che vincola 
tutti gli appartenenti alla �umma� (la comunit� islamica), e i cui contrasti 
di fondo coi principi supremi dell�ordinamento italiano appaiono, anche alla 
luce di quanto sin qui detto, innegabili. 
Questa valutazione circa l�esistenza di un contrasto di fondo tra le 
norme confessionali ed i principi di fondo dell�ordinamento italiano porta a 
risolvere negativamente anche la questione della possibilit� di intese con lo 
Stato italiano. La stipulazione di tali intese si presenta peraltro assai difficoltosa 
(come anche il riconoscimento di enti) per via della mancanza di un 
organo o di organi islamici che possano arrogarsi un diritto di rappresentanza 
della comunit�. 
Preclusa la possibilit� di stipulare intese e di ottenere l�erezione di enti 
ecclesiastici civilmente riconosciuti, posto che, finch� rimarr� in vigore l�art.
324 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2016 
1 della legge 24 giugno 1929, n. 1159, si richiede che la confessione non professi 
�principi contrari all�ordine pubblico�, per soddisfare le necessit� organizzative 
degli islamici si potranno dar vita a persone giuridiche di diritto 
privato (17). 
Nel caso si dia vita ad associazioni, le medesime saranno pur sempre tutelate 
dall�art. 20 Cost., applicandosi tale norma ad ogni associazione con finalit� 
religiosa o culturale. 
3.3. L�Islam e gli artt. 19 e 20 Cost. 
Come � noto, l�art. 19 non riserva la sua tutela ai soli cittadini ma, come 
� nella natura di un diritto fondamentale di ogni uomo, si estende a tutti coloro 
che si trovano a qualsiasi titolo sul territorio italiano. 
Quindi ogni islamico, alla pari di qualsiasi altro soggetto, potr� professare 
la sua fede, farne propaganda e celebrarne il culto purch� mediante riti che 
non siano in contrasto col buon costume. Dato che � innegabile che i riti islamici 
per quanto particolari (si pensi alla preghiera del muezzin) non contrastano 
col buon costume, la questione della libert� religiosa degli islamici va 
trattata alla pari della libert� religiosa degli appartenenti ai vari altri culti esistenti 
ed operanti in Italia. 
Dire questo certo non risolve tutte le difficolt�: in caso di detenzione o di 
ricovero in pubblici istituti di cura, i musulmani hanno diritto ad avere un cibo 
conforme ai dettami della loro religione? Hanno diritto, nel campo giuslaburistico, 
ad uno spazio per le loro pratiche ed al rispetto della prassi del digiuno 
del ramadan? Hanno diritto al riposo festivo praticato nel giorno di venerd� 
ed al rispetto delle festivit� islamiche? 
Simili diritti in materia di riposo festivo sono stati concessi, tramite le intese 
che li riguardano, ad ebrei ed avventisti. In caso di ricovero o detenzione 
� stato inoltre assicurato agli ebrei (art. 7) il diritto a seguire le loro prescrizioni 
alimentari, senza per� oneri o spese supplementari per la istituzione (ospedali, 
carceri ecc.), fruendo della assistenza delle comunit� ebraiche del luogo. Pare 
quindi che, in mancanza di un�intesa, pur essendo auspicabile, per la piena 
fruizione del diritto di libert� religiosa, che le istituzioni tengano conto, nel limite 
del possibile, delle esigenze dei soggetti anche in questo campo, non esi- 
(17) Il primo ente islamico ad essere stato riconosciuto � il �Centro islamico culturale d�Italia�, 
con sede in Roma, il cui riconoscimento � avvenuto con D.P.R. 21 dicembre 1974, n. 712. La rivista 
Quaderni di diritto e di politica ecclesiastica nell�annata 1987 (pp. 92-93), menzione anche tra le �confessioni 
religiose note in Italia� ed i relativi enti esponenziali, anche i seguenti (dei quali per� non si 
forniscono notizie circa la personalit� giuridica): �Union islamique Occidentale� (Roma); �Associazione 
Musulmani d�Italia� (A.M.I.), Roma; �Centro Islamico culturale�, Milano; �II Centro Islamico� (Islamic 
center), Milano; �Associazione Islamica meridionale italiana�, Villaricca (Napoli). Ad essi va aggiunto 
il centro culturale �Il calamo�, nato di recente a Milano e dotato di una ricca biblioteca (Corriere della 
Sera, 2 ottobre 1992, p. 50).
RECENSIONI 325 
sta al proposito un vero obbligo giuridico. Ci� paradossalmente vale anche 
per gli appartenenti alla maggioranza religiosa italiana e cio� per i cattolici, 
salvo l�esistenza di particolari disposizioni regolamentari (per il venerd� o la 
Quaresima) anche a livello locale e di usi consuetudinari. 
Non si potr� comunque invocare il diritto di libert� religiosa per svolgere 
attivit� ritenute criminose dall�ordinamento italiano, come la contrazione di 
pi� matrimoni con effetti civili e la somministrazione di percosse e sevizie 
alla moglie, seppur giustificate da testi religiosi, o la costrizione della medesima 
ad indossare il velo od a subire limitazioni della libert� personale. 
Ultimo dei problemi pi� chiaramente definibili � quello della scuola. In 
questo settore � da osservare che fa parte del diritto di libert� religiosa degli 
islamici l�organizzare scuole coraniche per i loro figli, ma che tali scuole non 
potranno sostituirsi alle scuole pubbliche dal punto di vista dell�adempimento 
dell�obbligo scolastico. 
Una scuola il cui fine � quello di dare una formazione religiosa non pu� 
infatti aspirare a sostituirsi alla scuola pubblica, che vede la prospettiva educativa 
in primo piano e quella della formazione religiosa su un piano solamente 
facoltativo ed accessorio. Le scuole coraniche potranno svolgere la loro attivit� 
in parallelo con la scuola pubblica, un po� come succede per i corsi di catechismo 
anche se qui l�impegno del discente, per via dell�apprendimento della lingua 
araba (peraltro spesso gi� parlata in famiglia) sar� pi� pesante. 
Delicato problema potrebbe essere quello dell�istituzione di scuole private 
islamiche parificate, che non siano scuole coraniche ma scuole nelle 
quali si insegnino le materie della scuola pubblica, pi� la lingua araba e la 
religione islamica, il tutto in un�ottica conforme ai precetti religiosi. In linea 
di massima dovrebbero aver valore le norme generali in materia, dal livello 
costituzionale al livello della legge ordinaria e dei regolamenti sulla scuola 
privata parificata, attuandosi i necessari controlli perch� vengano rispettati i 
programmi scolastici italiani ed i docenti abbiano i necessari titoli. La questione 
infatti non pare direttamente collegata all�art. 8, sotto il profilo del diritto 
di organizzarsi della confessione, bens� all�art. 33 Cost., sotto quello 
della libert� della scuola privata. 
In merito poi, rilevante portata assume il disposto dell�art. 2 del protocollo 
addizionale alla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell�uomo e delle 
libert� fondamentali (la cosiddetta Convenzione Europea dei Diritti dell�Uomo), 
ratificata con legge 4 agosto 1955, n. 848. Essa, come � noto, sancisce 
che lo Stato �nell�esercizio delle funzioni che assume nel campo 
dell�educazione e dell�insegnamento, deve rispettare il diritto dei genitori di 
assicurare tale educazione in modo conforme alle loro convenzioni religiose 
e filosofiche�. 
Se � certo trattarsi di norma pi� orientativa che immediatamente precettiva 
a livello positivo, in quanto appare chiaro ad ognuno come lo Stato non
326 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2016 
possa offrire ad ciascun alunno una educazione nella scuola pubblica - per sua 
natura laica e pluralistica - perfettamente corrispondente alle concezioni delle 
varie religioni ed ideologie, per contro, tale norma pu� assumere valore precettivo 
a livello di divieto di coartazione della libert� d� religione e di coscienza 
dei genitori e degli alunni in senso ideologico o confessionale o di prospettazioni, 
in luce privilegiata, di determinate ideologie e visioni religiose. 
Infine l�art. 20 Cost. che vieta l�introduzione di speciali limitazioni legislative 
e l�opposizione di speciali gravami fiscali per la costituzione, capacit� 
giuridica ed ogni forma di attivit� di associazioni od istituzioni in ragione del 
loro fine di religione o di culto, come gi� accennato si applica evidentemente 
alle associazioni ed alle istituzioni islamiche. Ne deriva che non si possa ad 
esse rifiutarsi, sul piano del diritto privato, l�attribuzione della personalit� giuridica 
o porsi in essere situazioni giuridiche di sfavore a causa della connotazione 
religiosa delle medesime o di considerazioni di merito, che qui sarebbero 
del tutto fuori luogo, circa il credo religioso sottostante. Ci� vale, tuttavia, 
sempre che siano rispettate le norme di diritto comune vigenti in materia di 
riconoscimento delle persone morali. In altri termini, cio�, l�art. 20 Cost. vieta 
che si deroghi al diritto comune, in senso sfavorevole, nei confronti di una associazione 
od �istituzione� in ragione ed a causa della sua connotazione culturale. 
Esso non implica invece che il diritto comune (nel caso le norme del 
codice civile) debba tener conto della peculiarit� confessionale dell�ente o 
dell�associazione. 
Si tratta quindi in sostanza di un divieto di discriminazione che potrebbe 
essere violato solo qualora fossero introdotte norme che discriminino le confessioni 
religiose nel loro complesso, od una od alcune di esse, a livello del 
diritto dei loro aderenti di dare vita ad associazioni ed istituzioni, alla pari di 
tutti gli altri soggetti, o nel caso che norme di tale genere fossero comunque 
vigenti nell�ordinamento italiano. 
4. Conclusioni. 
Al termine di questa breve rassegna di problemi che si prospettano alla 
nostra attenzione si ha la sensazione di aver sollevato molte questioni e sfiorato 
tematiche di ricerca, senza aver potuto indicare, almeno per ora, adeguate soluzioni. 
Si ha forse anche il senso di un arroccamento, di uno stringersi a difesa 
di concetti e valori di tipo tradizionale. Dai dati per� esistenti e dalle norme 
vigenti nel nostro ordinamento non penso possano trarsi conclusioni molto diverse. 
Ci� anche perch� tali norme erano state volute ed erano state pensate 
nella prospettiva di una libert� religiosa eminentemente vista come strumento 
di protezione dei diritti delle minoranze cristiane od al limite di �liberi pensatori
� e di scettici in materia religiosa, in termini cio� eurocentrici. 
Era peraltro difficile, per i costituenti, presagire la possibilit� dell�avvento 
di forti minoranze portatrici di concezioni affatto diverse, addirittura nel senso
RECENSIONI 327 
di una religione indissolubilmente ed inseparabilmente congiunta con la societ� 
e la vita della comunit� politica. Vi era per� la sensazione che qualcosa 
di strano, di anomalo potesse in questo campo avvenire e cos�, anche se non 
si volle pi� parlare di �ordine pubblico�, si mantenne nell�art. 8 l�argine del 
limite del �non contrasto con l�ordinamento italiano�. 
Forse qui siamo in presenza di uno dei settori nei quali occorre far uso, 
anche se con responsabilit� e misura, di tale argine che la Costituzione ci indica, 
per preservare indenne dalle onde di questo come di altri fondamentalismi 
quella laicit� dello Stato che non solo costituisce un principio sommo del 
nostro ordinamento, ma che � anche l�irrinunciabile presupposto per l�esercizio, 
da parte di tutti, di una vera libert� religiosa. Libert� che, molto prima di 
essere libert� di Chiesa o di gruppi, � diritto fondamentale ed inalienabile della 
persona e di ogni persona, dentro o fuori delle istituzioni, in favore delle confessioni 
ma anche contro di esse. 
Questa esigenza di protezione e tutela di principio e valori fondamentali 
del nostro ordinamento non deve e non pu� ovviamente influire, in senso limitativo, 
sulla libert� religiosa degli aderenti all�Islam, che godono, come tutti 
i soggetti, dei diritti garantiti dall�art. 19 Cost. e cio� dei diritti di professione 
religiosa, di propaganda e di culto, non essendovi qui limiti che possono nascere 
dalle esigenze di tutela del buon costume. 
Essi godono anche dei diritti di libert� religiosa sanciti da altre fonti, come 
l�art. 9 CEDU e l�articolo del relativo protocollo addizionale, salvo i limiti ivi 
previsti. In particolare dalla norma contenuta nel punto 2 del protocollo addizionale 
possono derivare importanti conseguenze circa il diritto all�educazione 
religiosa dei genitori islamici nei confronti dei figli. 
Molta maggiore prudenza � invece da usarsi, almeno a giudizio di chi 
scrive, nel mettere in atto strumenti, come le intese, non strettamente necessari 
per garantire l�esercizio della libert� religiosa e infatti rimessi ad una valutazione 
in cui ha un ruolo determinante, o comunque importante, la discrezionalit� 
di cui � investito l�organo - squisitamente politico - competente per la 
stipulazione ex parte civitatis e cio� il Governo. 
In quest�ambito occorre, credo, porre in atto una lunga meditazione critica, 
valutando bene le ragioni favorevoli e contrarie, prima di seguire recenti 
esempi (come quello della Spagna) nell�addivenire ad accordi in questo settore 
(18). Il rischio, a mio parere assai grave, � quello di favorire non tanto il legit- 
(18) In esecuzione all�art. 7.1 della legge organica spagnola sulla libert� religiosa del 1980 � stato 
recentemente stipulato un accordo tra lo Stato iberico e la Commissione Islamica di Spagna, reso esecutivo 
dalla legge n. 26 del 10 novembre 1992, secondo quanto prevede il ricordato articolo (�El Estado, 
teniendo en cuenta las creancias religiosas existentes en la sociedad espanola, estabeceler�, en su caso 
Acuerdos o Convenios de cooperaci�n con las Iglesias y Comunidades religiosas inscritas en el registro 
que pur su ambito e numero hayan alcanzado notorio arraigo in Espagna. En todo caso estos acuerdos 
se aprobaran por Ley de las Cortes generales�). Tale accordo, dopo l�approvazione da parte delle Cortes
328 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2016 
timo e sacrosanto esercizio di un diritto fondamentale come quello di libert� 
religiosa, quanto il formarsi, sul suolo italiano, di comunit� viventi con leggi 
e principi diversi ed in certi casi opposti a quelli che reggono ed informano di 
s� il nostro ordinamento giuridico, nonch� di dar vigore, attraverso la diretta 
od indiretta sanzione statale, a norme chiaramente inconciliabili coi principi 
della nostra civilt� giuridica. 
Inoltre, una volta stipulata un�intesa di questo tipo, sarebbe ben difficile, 
anzi impossibile - a mia opinione - rifiutare tale tipo di accordo a qualsiasi 
altra confessione religiosa, essendo arduo ipotizzare culti ancora pi� contrastanti 
nella loro base ideologica coi principi di fondo dell�ordinamento italiano. 
Ci� peraltro porterebbe ad aumentare le complicazioni e le difficolt� della vita 
sociale e dell�organizzazione del lavoro (si pensi alle varie festivit� religiose) 
e ad aumentare l�insieme, imponente ormai dopo le intese ed in particolare 
quelle con gli ebrei e gli avventisti, di norme speciali nei pi� vari e disparati 
settori. 
N� ci� peraltro pone solo problemi sul piano pratico, ma favorendo il crearsi 
di gruppi confessionali nei quali l�appartenenza al gruppo porta deroghe 
al diritto comune ed all�eguaglianza del civis e pi� generalmente dell�uomo 
davanti alla legge, porta alla fine pregiudizio ai valori di fondo di eguaglianza 
di tutti e di laicit� dello Stato. 
Meglio sarebbe quindi, in luogo di infoltire la selva delle norme speciali 
nel nostro settore, che stanno rendendo difficile l�orientarsi anche agli stessi 
e la pubblicazione nel �Boletin Oficial del Estado� (12 novembre 1992), � entrato in vigore e si aggiunge 
agli altri due concernenti le Chiese evangeliche (legge 24/1992) e le Comunit� israelitiche (legge 
25/1992), garantendosi cos� a tutte queste confessioni religiose, ai loro ministri di culto e fedeli diritti e 
facolt� simili a quelli assicurati in Italia dalle intese in vigore, che, come modello hanno esercitato un 
innegabile influsso. L�art. 2 tutela le moschee e gli edifici di culto in genere, gli artt. 3 e 4 concernono 
gli �imam� e gli altri ministri di culto, l�art. 7 attribuisce gli effetti civili ai matrimoni islamici, tramite 
una procedura assai simile a quella della trascrizione, purch� consti della capacit� delle parti, prevedendo 
anche una sorta di trascrizione tardiva; gli artt. 8 e 9 concernono l�assistenza religiosa ai militari, nelle 
carceri e negli ospedali. L�articolo 10 si occupa poi dell�insegnamento della religione islamica, estensibile 
anche alla scuola pubblica, e dei diritti dei genitori alla formazione religiosa dei figli. L�art. 11 pone in 
essere un trattamento fiscale di favore per gli enti islamici, gli edifici di culto e le attivit� connesse ad 
esso. L�art. 12 garantisce il diritto al riposo dei musulmani al venerd� ed in occasione della festivit� islamiche, 
mentre l�art. 13 si occupa dei beni culturali islamici. Infine si prevede l�istituzione di una commissione 
mista per l�esecuzione dell�accordo. N� mancano disposizioni originali e forse non del tutto 
meritevoli di essere consacrate in un accordo di questo tipo, come l�art. 14 che prevede che �De acuerdo 
con la dimension spiritual y las particularidades especificas de la Ley Islamica, la denominacion �halal�, 
serve para distinguir los productos alimentarios elaborados de acuerdo con la misma�. Nel valutare, nel 
suo complesso l'accordo in questione bisogna per� tenere presente alcuni elementi di fondo. Il primo � 
desumibile dall'art. 7 della legge sulla libert� religiosa del 1980, che in pratica veniva ad attribuire alle 
confessioni di maggior rilievo sociale una sorta di diritto a stipulare accordi con lo Stato. Il secondo ci 
viene dalla seconda disposizione addizionale che autorizza le parti a denunciare l'accordo con preavviso 
di sei mesi. In caso di cattivo funzionamento del medesimo non si porrebbero quindi le questioni che, 
ad esempio in Italia, verrebbero in essere per via della copertura costituzionale assicurata alle intese 
dall'art. 8 Cost.
RECENSIONI 329 
giuristi che non siano specialisti di diritto ecclesiastico, dare finalmente vita 
alla legge sulla libert� religiosa, destinata a sostituirsi alla ormai obsoleta legge 
24 giugno 1929 sui culti acattolici, il cui progetto si � da tempo arenato nelle 
secche parlamentari. 
Nel contesto di tale legge, opportunamente rivista e rimodulata, a livello 
progettuale, onde farle superare le critiche e gli ostacoli che al disegno di legge 
presentato erano state mosse (spesso a ragione), potrebbero essere efficacemente 
tutelati i diritti di libert� individuali e collettivi degli islamici e delle 
loro organizzazioni ed istituti, nello spirito degli artt. 19 e 20 della nostra Costituzione. 
(Pubblicato in �Il Diritto ecclesiastico�, 1992, pp. 621-644)
330 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2016 
Dalla conclusione del contratto per stretta di mano 
alla firma elettronica: considerazioni minime 
sulle trasformazioni del diritto (*) 
Dalla contrazione del contratto per stretta di mano nei mercati rurali ai 
sofisticati usi contemporanei (sottoscrizione del contratto mediante firma digitale), 
si individua un evolversi verso una svalutazione della fisicit�. 
Se questa si esprimeva mettendo a contatto i corpi o mediante un�espressione 
vocale in praesentia (stipulazione del matrimonio) o attraverso l�atto 
del sottoscrivere contestualmente o meno un documento, ora il lato fisico diventa 
sempre pi� evanescente (specialmente nei contratti per adesione) anche 
se un quid � sempre presente (ad esempio, nella modifica di un contratto telefonico 
attraverso la pressione di alcuni tasti seguendo le istruzioni di una voce 
guida) come anche il carattere sinallagmatico (anche se ridotto al permanere 
della disponibilit� del proponente alla quale si contrappone l�attivit� di chi 
aderisce). 
La stipulazione non � pi� formale, pubblica e solenne (stretta di mano 
alla presenza di testimoni; sottoscrizione dell�atto notarile con testi; celebrazione 
delle nozze davanti al ministro di culto ed ai testi), ma si privatizza e diventa 
informale. Una setta propone un matrimonio informatico in cui i nubendi 
si siedono davanti ai loro computer e premendo un tasto contemporaneamente 
accettano di sposarsi. Basta che il �foro interno� per un momento esca alla 
luce e si esprima in �mbito esterno. 
Non siamo ancora ai nuda pacta, alla contrazione solo animo, in quanto 
qualcosa di �esterno� rimane nella memoria e non solo umana, ma forse non 
molto ci manca. 
In consonanza con antiche tradizioni giuridiche, quella canonica in primis 
(pensando alle conseguenze di foro interno ed esterno di ogni patto stipulato 
anche in forma libera, dalla fides in qualsiasi modo data e della promissio con 
oggetto temporale), vecchio e nuovo si mescolano in questa trasformazione 
epocale. 
NOTA REDAZIONALE 
Il presente saggio: Luciano Musselli, Dalla conclusione del contratto per 
stretta di mano alla firma elettronica: considerazioni minime sulle trasformazioni 
del diritto � la ventiduesima spora della rubr�ca Spore della �Rivista internazionale 
di Filosofia del diritto�. Le spore sono opera di 19 autori: al-Malik 
(*) LUCIANO MUSSELLI, Societ� civile e societ� religiosa tra diritto e storia, Wolters Kluwer / Cedam, 
2016. 
Per gentile concessione dell�Editore.
RECENSIONI 331 
al-Afdal, Aurelio Agostino, Francesco Astone, Benedetto da Norcia, Stefano 
Colloca, Amedeo Giovanni Conte, Maria-Elisabeth Conte, Francesca De Vecchi, 
Dario Di Lauro, Federico L.G. Faroldi, Guglielmo Feis, Ippolito di Roma, 
Isidoro di Siviglia, Giuseppe Lorini, Jakub Martewicz, Riccardo Mazzola, 
Emil Mazzoleni, Luciano Musselli, Cesare Ripa. 
(Pubblicato in �Rivista internazionale di 
Filosofia del diritto�, 3, 2011, pp. 415-417)
332 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2016 
GUGLIELMO BERNABEI (*), GIACOMO MONTANARI (**), Fiscalit� 
locale. Ricerca di un difficile equilibrio. 
ARACNE EDITRICE, ROMA 2016, P. 192 
La fiscalit� locale costituisce uno straordinario cantiere nel quale, nel corso degli ultimi 
anni, sono stati sperimentati nuovi tipi di prelievo (Ici, Imu, Tarsu, Tares, Tia, Tasi, Iuc) e 
sono stati ripensati i modelli di gestione degli stessi. Oggi, la pesante riduzione dei trasferimenti 
erariali assegna ai tributi locali una notevole rilevanza costituendo strumenti imprescindibili 
per perseguire obbiettivi di politica fiscale, nel quadro, sempre pi� stringente, dei 
parametri europei. In questo contesto, particolare interesse suscitano le disposizioni in materia 
di prelievo sugli immobili posti dalle disposizioni, che si sono succedute anche a seguito della 
grave crisi economico-sociale, in materia di federalismo fiscale, rendendo meno evidente agli 
occhi dei contribuenti il collegamento tra imposte e servizi. Le disposizioni in materia di definizione 
ed applicazione dei tributi locali immobiliari, nell'ottica ancora lontana di una Local 
Tax, pongono nuovi interrogativi specie se posti in relazione con la difficile attuazione della legge 
n. 42 del 2009. 
Il volume, dedicato agli scenari della fiscalit� locale tra modelli gestori e nuovi strumenti 
di prelievo, vuole rappresentare la sintesi di precedenti studi e ricerche sul tema della finanza 
locale, evidenziando gli aspetti pi� salienti delle tematiche affrontate in questi anni. Le questioni 
esposte risultano essere quelle pi� significative per sottolineare la difficolt� di giungere 
ad un sostenibile punto di equilibrio. 
Un aspetto importante sul quale il presente lavoro si � soffermato concerne la capacit� 
fiscale intesa quale uno dei parametri che andrebbero meglio valutati al fine di garantire una 
finanza locale pi� in linea con le esigenze dei singoli territori. A differenza del tentativo, svolto 
e in atto, per la determinazione dei costi e dei fabbisogni standard, la determinazione della 
capacit� fiscale standard non � mai iniziata. Quest�ultimo aspetto, invece, risulta determinate, 
anche in relazione alla possibilit� di delineare un sistema di perequazione che tenga conto dei 
principi di equit�, giustizia, sussidiariet� e solidariet�. � assodato che, negli enti locali dove 
i trasferimenti erariali sono proporzionalmente pi� alti, si assiste a una minore autonomia finanziaria. 
Questo fatto pu� essere determinato da diversi fattori, come, ad esempio, una scarsa 
capacit� fiscale territoriale. In questo senso, la determinazione della capacit� fiscale deve consentire 
di individuare la potenzialit� fiscale di ogni ente. 
Il lettore avr�, pertanto, dinanzi un testo pi� agile e snello per riassumere le linee fondamentali 
delle tematiche in merito al difficile equilibrio tra fiscalit� locale e tributi locali immobiliari. 
La prefazione al volume � stata curata da Francesco Tuccio, Presidente Anutel, Associazione 
Nazionale degli Uffici Tributi degli Enti Locali, al quale porgiamo il nostro sentito 
ringraziamento. 
Guglielmo Bernabei 
Giacomo Montanari 
(*) Dottore di ricerca e cultore della materia in diritto costituzionale, diritto regionale e degli enti locali 
presso l�Universit� degli Studi di Ferrara. 
(**) Giurista d�impresa, specilizzato presso la scuola di specializzazione per le professioni legali dell�Universit� 
di Padova ed esperto di diritto tributario degli enti locali e di finanza locale.
RECENSIONI 333 
Indice 
Prefazione 
di Francesco Tuccio 
Introduzione 
Capitolo I 
Finanza locale e autonomia tributaria 
1.1. Evoluzione del sistema di autonomia locale - 1.2. Il sistema di finanza locale prefigurato 
dalla Riforma del Titolo V: tratti generali - 1.3. Il coordinamento della finanza pubblica nel processo 
di attuazione del Titolo V - 1.4. Il Federalismo fiscale. Tematiche di fondo - 1.5. Finanza 
municipale: modello di analisi - 1.6. Potest� normativa in materia di tributi propri degli enti locali 
- 1.7. Condizione attuale del potere regolamentare degli enti locali. 
Capitolo II 
Tributi immobiliari locali e sistema di finanza locale 
2.1. Premessa - 2.2. Cedolare secca sugli affitti - 2.3. Tasi-Imu e Service Tax: difficile sviluppo 
dei tributi locali - 2.3.1. Il contesto di riferimento - 2.3.2. Uno sviluppo difficile - 2.3.3. Tasi- 
Imu, prima casa e Legge di Stabilit� 2016 - 2.3.4. Tasi-Imu e immobili in comodato d�uso - 2.3.5. 
Imu e immobili di lusso adibiti a prima casa - 2.3.6. Imu e possibili rilievi di legittimit� costituzionale 
- 2.3.7. Imu imbullonati - 2.3.8. Una service tax mascherata - 2.4. Bilanciamento degli 
interessi nei rapporti finanziari tra Stato e Regioni - 2.4.1. Il bilanciamento degli interessi: una 
questione centrale - 2.4.2. Il confine del bilanciamento - 2.4.3. Bilanciamento degli interessi nei 
rapporti tra Stato e Regione - 2.4.4. Giurisprudenza costituzionale in materia di allocazione del 
gettito Imu: sentenza n. 155 del 2015 - 2.4.5. Osservazioni - 2.5. Tari - 2.5.1. Premessa - 2.5.2. 
La disciplina della Tari - 2.5.3. Incerto fondamento della tassazione dei rifiuti solidi urbani - 
2.6. Tari e natura giuridica - 2.6.1. Premessa - 2.6.2. La nozione di tributo negli orientamenti 
della giurisprudenza costituzionale e di legittimit� - 2.6.3. Sentenza della Corte di Cassazione 
n. 12035/2015 e natura della Tari - 2.7. Commento a Commissione tributaria provinciale di 
Lecce, sentenza n. 1891/2015 - 2.7.1. Premessa - 2.7.2. Fatti di causa e la decisione - 2.7.3. Riflessioni 
a margine della pronuncia - 2.8. Imu agricola, 122 - 2.8.1. Tasi e terreni agricoli - 2.8.2. 
Imu agricola: imposizione e forme di esenzione - 2.8.3. Imposizione fiscale locale e settore agricolo 
- 2.9. Finanza locale: questione aperta. 
Capitolo III 
Provincia autonoma di Bolzano e il caso Imi 
3.1. Il consolidamento dell�assetto finanziario della Provincia autonoma di Bolzano - 3.2. La finanza 
propria - 3.3. Il caso Imi. 
Capitolo IV 
Provincia autonoma di Trento e il caso Imis 
4.1. Autonomia finanziaria - 4.2. La finanza propria - 4.3. Il caso Imis - 4.4 Tari e disciplina nel 
Comune di Trento - 4.4.1. Premessa - 4.4.2. Tariffa rifiuti e disciplina della Provincia autonoma 
di Trento - 4.4.3. Tari e Comune di Trento - 4.4.4. Natura corrispettiva Tari trentina. 
Capitolo V 
Iuc e Local Tax 
5.1. Tassazione locale e teoria del beneficio - 5.2. Iuc e Local Tax - 5.3. Modelli di detrazione 
per Local Tax - 5.4. Local Tax e spazi di manovra dei Comuni - 5.4.1. Imposte sul patrimonio 
immobiliare e possibili nuove entrate per i Comuni - 5.4.2. Local Tax minimale - 5.5. Una nuova 
autonomia per gli enti locali - 5.5.1. Verso una capacit� fiscale standard.
Finito di stampare nel mese di dicembre 2016 
Stabilimenti Tipografici Carlo Colombo S.p.A. 
Vicolo della Guardiola n. 22 - 00186 Roma