ANNO LXVIII - N. 1 GENNAIO - MARZO 2016 
RASSEGNA 
AVVOCATURA 
DELLO STATO 
PUBBLICAZIONE TRIMESTRALE DI SERVIZIO
COMITATO SCIENTIFICO: Presidente: Michele Dipace. Componenti: Franco Coppi - Giuseppe Guarino - 
Natalino Irti - Eugenio Picozza - Franco Gaetano Scoca. 
DIRETTORE RESPONSABILE: Giuseppe Fiengo - CONDIRETTORI: Maurizio Borgo, Danilo Del Gaizo, Stefano 
Varone. 
COMITATO DI REDAZIONE: Giacomo Aiello - Lorenzo D�Ascia - Gianni De Bellis - Francesco De Luca - 
Wally Ferrante - Sergio Fiorentino - Paolo Gentili - Maria Vittoria Lumetti - Francesco Meloncelli - 
Marina Russo. 
CORRISPONDENTI DELLE AVVOCATURE DISTRETTUALI: Andrea Michele Caridi - Stefano Maria Cerillo - 
Pierfrancesco La Spina - Marco Meloni - Maria Assunta Mercati - Alfonso Mezzotero - Riccardo 
Montagnoli - Domenico Mutino - Nicola Parri - Adele Quattrone - Pietro Vitullo. 
HANNO COLLABORATO INOLTRE AL PRESENTE FASCICOLO: Guglielmo Bernabei, Chiara Bianco, Francesco 
Maria Ciaralli, Marco Corsini, Eugenio De Bonis, Simone D�Orsi, Ettore Figliolia, Salvatore La 
Fauci, Adriana Lagioia, Marco La Greca, Ilia Massarelli, Massimo Massella Ducci Teri, Giacomo 
Montanari, Adolfo Mutarelli, Giovanni Palatiello, Carlo Maria Pisana, Diana Ranucci, David 
Romei, Massimo Salvatorelli, Mario Antonio Scino, Francesco Sclafani, Marco Stigliano Messuti, 
Antonio Tallarida, Roberta Tortora, Ivan Michele Triolo. 
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AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO 
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E-mail: rassegna@avvocaturastato.it - Sito www.avvocaturastato.it 
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Autorizzazione Tribunale di Roma - Decreto n. 11089 del 13 luglio 1966
INDICE - SOMMARIO 
TEMI ISTITUZIONALI 
Giudizi in grado di appello dinnanzi alle Commissioni Tributarie Regionali 
concernenti il contributo unificato dovuto per i ricorsi dinnanzi al 
giudice amministrativo. Art. 11 comma 2 D.Lgs. n. 546/1992. Patrocinio 
dell�Avvocatura dello Stato, Circolare AGS prot. 164766 del 6 aprile 2016 
n. 16 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 
Eugenio De Bonis, Sul parere di congruit� dell�Avvocatura dello Stato 
in caso di liquidazione delle spese legali da parte del giudice contabile 
Giacomo Aiello, L�accesso al patrocinio erariale degli �enti pubblici locali 
dotati di autonomia funzionale� . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 
CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 
Antonio Tallarida, Il ruolo delle Regioni nell�ordinamento comunitario. 
Il caso Italia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 
David Romei, La Corte di giustizia UE �boccia� il Consiglio di Stato 
sull�ordine di esame dei ricorsi (C. giustiza UE, Grande Sez., sent. 5 aprile 
2016, causa C-689/13) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 
CONTENZIOSO NAZIONALE 
Giovanni Palatiello, Le confessioni religiose e lo Stato, sulle intese di cui 
all�art. 8, co. 3, Cost. (C. cost., sent. 10 marzo 2016 n. 52). . . . . . . . . . . 
Carlo Maria Pisana, Una vittoria nel contrasto alla grande evasione. Il 
chiarimento della Cassazione sulla �clausola del rendimento minimo garantito� 
(Cass. civ., Sez. V, sentt. 1 aprile 2016 nn. 6330, 6331) . . . . . . 
Carlo Maria Pisana, Il danno da svalutazione per ritardato adempimento 
di una obbligazione pecuniaria: la specialit� della fattispecie tributaria 
(Cass. civ., Sez. VI - T, ord. 20 aprile 2016 n. 7803) . . . . . . . . . . . . . . . . 
Adriana Lagioia, Gli effetti della sentenza di cassazione con rinvio sul titolo 
esecutivo (Cass. civ., Sez. III, sent. 3 aprile 2015 n. 6822) . . . . . . . . 
Chiara Bianco, L�imparzialit� del giudice e la �societ� democratica europea� 
(Cons. St., Sez. III, sent. 27 luglio 2015 n. 3679) . . . . . . . . . . . . 
Marco La Greca, Lo stato della giurisprudenza del Consiglio di Stato 
sulla ammissibilit� delle notifiche pec nel processo amministrativo e ... 
(Cons. St., Sez. VI, sent. 28 maggio 2015 n. 2682; Sez. III, sent. 14 settembre 
2015 n. 4270; Sez. V, sent. 22 ottobre 2015 n. 4863; Sez. III, sent. 
14 gennaio 2016 n. 91; Sez. III, sent. 20 gennaio 2016 n. 189) . . . . . . . . 
... il dies a quo per le notifiche pec nel processo civile . . . . . . . . . . . . . . 
Wally Ferrante, Una pronuncia del Consiglio di Stato sull�onere di autonoma 
impugnazione e sulla distanza delle sale giochi da luoghi sensibili 
(Cons. St., Sez. III, sent. 10 febbraio 2016 n. 579) . . . . . . . . . . . . . . . . . 
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Mario Antonio Scino, La giurisprudenza amministrativa e i vincoli paesaggistici 
(Cons. St., Sez. VI, sent. 7 marzo 2016 n. 914) . . . . . . . . . . . . 
I PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 
Ilia Massarelli, Diniego della concessione della cittadinanza iure matrimoni: 
il giudice competente . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 
Ettore Figliolia, Spettanza dei contributi per l�eliminazione di barriere 
architettoniche in caso di decesso del portatore di handicap . . . . . . . . . 
Roberta Tortora, Problematiche interpretative relative alla equiparazione 
delle vittime del terrorismo ai grandi invalidi di guerra . . . . . . . . . . . . . 
Marco Stigliano Messuti, Sul principio di omnicomprensivit� del trattamento 
economico dirigenziale di cui all�art. 24, D.lgs. 165/2001 . . . . . . 
Massimo Salvatorelli, Acquisto e trasferimento tramite permuta di beni 
immobili tra Stato e Provincia Autonoma di Bolzano. Il quadro normativo 
attualmente vigente. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 
Mario Antonio Scino, Soggetti tenuti al rilascio della documentazione 
antimafia in caso di partecipazioni societarie indirette . . . . . . . . . . . . . . 
Ettore Figliolia, Disciplina dell�edilizia residenziale a favore di dipendendi 
pubblici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 
Giacomo Aiello, Prestazioni previdenziali erogate da Stazione appaltante 
a fronte di irregolare posizione contributiva dell�impresa fallita . . . . . . 
Francesco Sclafani, Autorizzazioni per gli ambulatori e regime sanzionatorio 
delle violazioni. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 
Marco Corsini, �Estensione soggettiva� della chiamata diretta nelle assunzioni 
protette . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 
Mario Antonio Scino, �Presupposti e requisiti� ai fini del rimborso delle 
spese legali ex art. 18 D.L. n. 67/1997. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 
Marco Corsini, Verso una nuova concezione dell�alloggio di servizio: 
l��housing sociale� . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 
Diana Ranucci, Effetti del giudicato penale sui dipendenti delle p.a.: distinguo 
tra reato consumato o tentato . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 
LEGISLAZIONE ED ATTUALIT� 
Guglielmo Bernabei, Tributi locali comunali e modelli di local tax a confronto. 
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 
Salvatore La Fauci, Enti locali: il responsabile finanziario, titolare del 
fondamentale interesse pubblico di tutela della gestione finanziaria anche 
... attraverso lo strumento ricorsuale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 
Ivan Michele Triolo, Il trasporto pubblico locale: la qualificazione dell�attivit� 
in termini di servizio pubblico e il contratto di servizio . . . . . . 
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CONTRIBUTI DI DOTTRINA 
Adolfo Mutarelli, Profili problematici della tutela processuale in tema di 
pensioni ordinarie dinanzi alla Corte dei Conti. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 
Francesco Maria Ciaralli, Simone D�Orsi, La destinazione patrimoniale 
nel transito da moduli tipici a forme atipiche di esercizio dell�impresa: 
l�archetipo del contratto di rete . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 
Guglielmo Bernabei, Crisi della legge e decretazione d�urgenza . . . . . . 
RECENSIONI 
Guglielmo Bernabei, Giacomo Montanari, Tributi propri e Autonomie Locali. 
Difficile sviluppo di un sistema di finanza propria degli enti locali. 
Seconda edizione, Primiceri Editore, 2016 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 
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TEMI ISTITUZIONALI 
Avvocatura Generale dello Stato 
CIRCOLARE N. 16/2016 
Oggetto: Giudizi in grado di appello dinnanzi alle Commissioni Tributarie 
Regionali concernenti il contributo unificato dovuto per i ricorsi dinnanzi 
al giudice amministrativo. Art. 11 comma 2 D.Lgs. n. 546/1992. Patrocinio 
dell�Avvocatura dello Stato. 
Com'� noto l'art. 11 comma 2 del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, (Disposizioni sul 
processo tributario) - a seguito della modifica introdotta dall'art. 9, comma 1, lett. d), n. 1), 
del D.Lgs. 24 settembre 2015, n. 156 - prevede che "L'ufficio dell'Agenzia delle entrate e dell'Agenzia 
delle dogane e dei monopoli di cui al decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300 nonch� 
dell'agente della riscossione, nei cui confronti � proposto il ricorso, sta in giudizio 
direttamente o mediante la struttura territoriale sovraordinata. Stanno altres� in giudizio direttamente 
le cancellerie o segreterie degli uffici giudiziari per il contenzioso in materia di 
contributo unificato". 
La novella ha pertanto modificato - con decorrenza dal 1� gennaio 2016 - la precedente 
formulazione della norma che sembrava limitare al solo primo grado la possibilit� per le cancellerie 
o segreterie di uffici giudiziari, per le cause in tema di contributo unificato, di stare 
in giudizio senza difesa tecnica. 
Il Segretariato Generale della Giustizia Amministrativa ha evidenziato come tale mutato 
contesto normativo presenti profili di criticit� con riferimento al contenzioso concernente gli 
organi di giustizia amministrativa (in particolare le segreterie di T.A.R. e Consiglio di Stato). 
In tale ambito risultano infatti ancora irrisolte alcune questioni delicate e di non irrilevante 
complessivo valore economico. 
Oltre al problema della debenza del contributo unificato sui ricorsi proposti dalle 
ONLUS (questione sulla quale si sta cercando di ottenere in tempi brevi un pronunciamento 
della Corte di Cassazione), particolarmente delicate appaiono le questioni concernenti la debenza 
del contributo unificato con riguardo ai motivi aggiunti al ricorso; sul punto - com'� 
noto - la Corte di Giustizia dell'Unione Europea, con la sentenza 6 ottobre 2015 (in causa C- 
61/14), ha stabilito che la decisione sulla loro assoggettabilit� a contributo unificato � rimessa 
al giudice nazionale, che a tal fine dovr� valutare la loro effettiva distinzione rispetto al ricorso
2 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2016 
principale e l'idoneit� a determinare un "ampliamento considerevole dell'oggetto della controversia 
gia pendente". 
Altre tematiche di rilievo riguardano infine il regime delle esenzioni. 
Tanto premesso, considerata la delicatezza delle questioni suddette e l'assenza di precedenti 
giurisprudenziali sul punto, si ritiene opportuno che la difesa in grado di appello - almeno 
fino a che le questioni pi� delicate non vengano risolte con orientamento sufficientemente 
consolidato - continui ad essere assicurata dall'Avvocatura dello Stato in relazione alle seguenti 
controversie: 
- ricorsi in materia di appalti (rito applicabile ed importi dovuti); 
- debenza del contributo unificato in relazione ai motivi aggiunti al ricorso principale 
(in seguito alla sentenza della Corte di Giustizia del 6 ottobre 2015 in causa C-61/14); 
- esenzione in base all'art. 73 co. 1 della L. 219/1981 (terremoto1980); 
- esenzione per le ONULS; 
- esenzione per i ricorsi in materia di ore di sostegno. 
In relazione a quanto sopra si ritiene pertanto che debba darsi positivo riscontro alla richiesta 
di patrocinio che sar� formulata dalle Segreterie degli organi di Giustizia Amministrativa, 
interessando la Scrivente per qualsiasi problematica particolare che dovesse emergere. 
Al fine di monitorare il contenzioso sulle varie questioni, si invita a tenere informata la 
Scrivente sull'esito dei suddetti giudizi, inviando le decisioni all'indirizzo PEC della sezione 
prima (sezione1@mailcert.avvocaturastato.it) facendo rifcrimento al Cs. 12205/16 (avv. De 
Socio). 
L'AVVOCATO GENERALE DELLO STATO 
Massimo Massella Ducci Teri
TEMI ISTITUZIONALI 3 
Sul parere di congruit� dell�Avvocatura dello Stato in caso di 
liquidazione delle spese legali da parte del giudice contabile 
PARERE RESO DAL COMITATO CONSULTIVO IN DATA 13/01/2016-13436, 
AL 39972/15, AVV. EUGENIO DE BONIS 
Con la nota sopra indicata codesta Amministrazione ha chiesto il parere della 
Scrivente sulla legittimit� del rimborso delle spese legali sostenute dalla dipendente 
indicata in oggetto, per difendersi nel giudizio di responsabilit� dinanzi 
alla Corte dei Conti conclusosi con la sentenza n. 480/2015 della Sez. Giurisdizionale 
per la Regione Abruzzo che ha assolto la Sig.ra dagli addebiti contestati. 
La questione risulta gi� affrontata pi� volte da precedenti pareri di questa 
Avvocatura e, da ultimo, dalla circolare n. 31/2014 dell�Avvocato Generale 
dello Stato. 
In una prima fase sulla questione che si pone in questa sede (�se ed in 
che misura il dipendente abbia diritto alla liquidazione delle spese legali in 
caso di definitivo proscioglimento, quando tali spese siano state liquidate da 
parte del giudice contabile in sentenza�), la Scrivente si � espressa, diffusamente, 
con il parere n. 4097 del 5 gennaio 2012, (in relazione al CS 36085/11) 
affermando la rimborsabilit� delle spese de quibus anche in misura diversa da 
quella stabilita dal giudice contabile. 
Successivamente all�orientamento assunto sulla questione, � intervenuta 
la sentenza della Corte di Cassazione sez. lavoro n. 19195/13, che si � occupata 
proprio della possibilit� o meno di un rimborso di spese legali a carico dell�Amministrazione 
ulteriore rispetto alla liquidazione stabilita nella sentenza. 
In tale pronuncia la Suprema Corte afferma testualmente: �Il rimborso 
giudiziale costituisce infatti uno strumento prettamente processuale con cui 
si tutela concretamente il diritto alla difesa affermato dall�art. 24 Cost.�. 
Ed ancora: �La valutazione che compie il giudice contabile, all�esito della 
definizione del rapporto dedotto, riguarda nel suo complesso il regolamento 
delle spese del giudizio in ragione dello sviluppo e della conclusione del processo 
in particolare pronunciando sull�ammissibilit� e i limiti di riconoscimento delle 
spese legali per come risultano dalla documentazione allegata dal convenuto�. 
La natura processuale della richiesta del rimborso delle spese comporta 
che �non pu� ammettersi neppure una sopravvivenza integrativa del rimborso 
extragiudiziale a fronte di un�eventuale incongrua liquidazione delle spese ad 
opera del giudice contabile�. Pertanto, conclude la decisione, �Dopo l�entrata 
in vigore dell�art. 10 bis, co. 10� d.l. n. 203/05 (convertito con modificazioni 
in legge n. 248/05), in caso di proscioglimento nel merito del convenuto in 
giudizio per responsabilit� amministrativo - contabile innanzi alla Corte dei 
Conti, spetta esclusivamente a detto giudice, con la sentenza che definisce 
il giudizio, liquidare - ai sensi e con le modalit� di cui all�art. 91 c.p.c. e a
4 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2016 
carico dell�amministrazione di appartenenza - l�ammontare delle spese di 
difesa del prosciolto, senza successiva possibilit� per quest�ultimo di chiedere 
in separata sede all�amministrazione medesima la liquidazione di dette 
spese, neppure in via integrativa della liquidazione operata dal giudice contabile. 
Tale principio si applica anche in ipotesi di compensazione delle spese 
disposta dal giudice contabile nel vigore del testo del cit. art. 10 bis, co. 10� 
d.l. n. 203/05 anteriormente alla novella di cui all�art. 17 d.l. n. 78/09, convertito, 
con modificazioni, in legge n. 102/09�. 
Alla luce di tale decisione, con circolare n. 31/2014 dell�Avvocato Generale 
dello Stato � stata disposta la sospensione della formulazione dei pareri 
di competenza della Scrivente in merito alle istanze di rimborso delle spese 
legali relative a giudizi di responsabilit� di dipendenti statali celebrati dinanzi 
alla Corte dei Conti e conclusi con l�assoluzione, e ci� in relazione ai contrastanti 
orientamenti sulla predetta questione. 
Considerato quanto sopra ed in mancanza di interventi del legislatore o 
successivi rilevanti decisioni giurisprudenziali, si deve escludere, allo stato, 
la possibilit� per l�Amministrazione di sostituirsi al giudice contabile nella valutazione 
delle spese legali rimborsabili riconoscendo al dipendente somme 
ulteriori rispetto a quelle liquidate in sentenza. 
Infatti la citata sentenza della Corte di Cassazione sez. lavoro n. 19195/13 
esclude che tale facolt� sia esercitata da soggetto diverso dal giudice contabile, 
giacch� nei giudizi innanzi alla Corte dei Conti �spetta esclusivamente a detto 
giudice, con la sentenza che definisce il giudizio, liquidare - ai sensi e con 
le modalit� di cui all�art. 91 c.p.c. e a carico dell�amministrazione di appartenenza 
- l�ammontare delle spese di difesa del prosciolto�. 
In tale contesto resta da verificare il ruolo del parere dell�Avvocatura dello 
Stato che continua ad essere previsto dalla legge nella procedura di rimborso. 
Infatti, l�art. 10 bis comma 10 D.L. 248/05 dispone: �Le disposizioni dell'articolo 
3, comma 2-bis, del decreto-legge 23 ottobre 1996, n. 543, convertito, 
con modificazioni, dalla legge 20 dicembre 1996, n. 639, e dell'articolo 18, 
comma 1, del decreto-legge 25 marzo 1997, n. 67, convertito, con modificazioni, 
dalla legge 23 maggio 1997, n. 135, si interpretano nel senso che il giudice 
contabile, in caso di proscioglimento nel merito, e con la sentenza che 
definisce il giudizio, ai sensi e con le modalit� di cui all'articolo 91 del codice 
di procedura civile, non pu� disporre la compensazione delle spese del giudizio 
e liquida l'ammontare degli onorari e diritti spettanti alla difesa del prosciolto, 
fermo restando il parere di congruit� dell'Avvocatura dello Stato da esprimere 
sulle richieste di rimborso avanzate all'amministrazione di appartenenza�. 
Giova precisare che il �divieto� per il giudice contabile di disporre la 
compensazione delle spese di giudizio � stato inserito dal legislatore con articolo 
17, comma 30-quinquies, del D.L. 1� luglio 2009, n. 78 inserito dall�art. 
1 della legge 3 agosto 2009, n. 102, in sede di conversione.
TEMI ISTITUZIONALI 5 
Questa Avvocatura, nell�attuale quadro normativo e giurisprudenziale, in 
attesa di un eventuale ulteriore intervento chiarificatore del legislatore, ritiene, 
con esclusivo riferimento alla particolare ipotesi di proscioglimento nel giudizio 
davanti alla Corte dei Conti, che il parere dell�Avvocatura dello Stato 
abbia una funzione c.d. formale atteso che il legislatore, con la norma interpretativa 
del 2005, cos� come interpretata dalla citata giurisprudenza di legittimit�, 
ha inteso demandare direttamente all�Organo giurisdizionale (il giudice 
contabile) l�attivit� di liquidazione e commisurazione delle spese legali. 
Il parere di congruit� dell�Avvocatura, comunque contemplato dalle richiamate 
disposizioni, appare nella fattispecie, ridimensionato al ruolo di riscontro 
formale, sul piano amministrativo, della conformit� della richiesta di 
rimborso rispetto alla misura liquidata in sentenza, nonch�, eventualmente, 
per valutare la congruit� degli oneri accessori non espressamente indicati nella 
sentenza (rimborso forfettario, Iva, Cpa), ovvero la rimborsabilit� di spese 
strettamente connesse alla difesa nel giudizio, ma sostenute successivamente. 
L�Amministrazione, peraltro, considerato che si tratta di spese predeterminate 
nel loro ammontare e quindi facilmente verificabili, potr� accertare direttamente 
la congruit� di tali voci, interessando la Scrivente solo in caso di 
dubbi sull�entit� delle stesse, e potr� quindi liquidare al dipendente l�importo 
stabilito dalla Corte dei Conti in sentenza oltre le spese vive od accessori di 
certa spettanza. 
Si osserva, da ultimo, per ragioni di completezza, che il dipendente che 
non condividesse l�ammontare delle somme liquidate dal giudice contabile e, 
per l�effetto, allo stesso rimborsabili dall�Amministrazione, ha l�onere di impugnare 
la decisione sotto tale profilo in quanto la statuizione costituisce un 
autonomo capo della decisione idoneo al giudicato sostanziale. 
In sintesi, in mancanza di impugnazione del relativo capo della decisione, 
la liquidazione del giudice contabile rappresenta ex lege la misura del diritto 
al rimborso delle spese legali da parte dell�Amministrazione. 
Per quanto sopra esposto la Scrivente ritiene che la dipendente abbia diritto 
al rimborso delle sole spese liquidate nella sentenza e delle spese vive 
successive, se documentate, oltre accessori di legge e semprech� l�Amministrazione 
non ne abbia gi� disposto il pagamento sulla base della sentenza, difettando 
in tal caso il presupposto stesso per il rimborso. 
Si resta a disposizione per ogni eventuale chiarimento. 
Sui profili di massima della questione � stato sentito il Comitato Consultivo 
di questa Avvocatura che, nella seduta dell�11 gennaio 2016, si � espresso 
in conformit�.
6 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2016 
L�accesso al patrocinio erariale degli 
�enti pubblici locali dotati di autonomia funzionale� 
PARERE RESO DAL COMITATO CONSULTIVO IN DATA 15/02/2016-70476, 
AL 47683/15, AVV. GIACOMO AIELLO 
Con la nota che si riscontra codesta Avvocatura ha richiesto l�avviso della 
Scrivente in merito a due questioni sollevate dalla Camera di Commercio di 
Vicenza. 
In particolare, con il primo quesito si richiede se, in relazione al compito 
di emettere ordinanze-ingiunzioni in materia di sicurezza elettrica dei prodotti, 
ai sensi della Legge n. 791/1977, la circostanza che le somme siano di spettanza 
dell�Erario comporti che la Camera di Commercio possa godere del patrocinio 
dell�Avvocatura dello Stato nei giudizi di opposizione al 
provvedimento sanzionatorio incardinati avanti all�Autorit� Giudiziaria. 
Al riguardo, Codesta Avvocatura osserva innanzitutto che la potest� sanzionatoria 
in questione deve ritenersi globalmente trasferita alle Camere di 
Commercio, laddove lo Stato si pone solo come l�ente nel cui bilancio far affluire 
gli importi delle sanzioni; in secondo luogo sottolinea che, in relazione 
a quanto disposto dall�art. 43 RD n. 1611/1933, non si rinviene alcuna norma 
che abbia autorizzato il patrocinio di cui si discute, e che le Camere di Commercio 
non compaiono nell�elenco dei patrocini autorizzati. 
Per tali ragioni, viene affermato che, allo stato attuale, l�Avvocatura non 
pu� assumere il patrocinio della Camera di Commercio. 
Ad avviso della Scrivente, tali considerazioni possono essere condivise. 
Le funzioni di accertamento e sanzione (in precedenza assegnate agli Uffici 
provinciali per l'industria, il commercio e l'artigianato) sono attribuite alle 
Camere di Commercio dalle disposizioni contenute nel d.lgs. 112/1998. In 
particolare, nonostante qualche incertezza interpretativa iniziale, il riconoscimento 
di tali funzioni � stato sancito dall�intervento del Consiglio di Stato e 
dalla successiva giurisprudenza formatasi in materia. Il Consiglio di Stato con 
parere reso all�Adunanza della sezione prima del 4 dicembre 2002 (n. sezione 
3832/02) dirime il contrasto insorto sul punto tra Ministero dell�Interno e l�allora 
Ministero delle Attivit� Produttive evidenziando che: 
- la disposizione di cui all�art. 42, comma 1, d.lgs. 112/1998 (che ha abrogato 
il preesistente potere sanzionatorio in capo agli UU.PP.I.C.A.) deve essere 
in stretta correlazione con la previsione di cui all�art. 20 del medesimo articolato 
normativo che attribuisce, senza deroghe, tutte le funzioni svolte in precedenza 
dagli uffici metrici provinciali e dagli UU.PP.I.C.A. alle Camere di Commercio; 
- la conclusione non viene smentita dalla previsione di cui all�art. 9, c. 4, 
del D.P.R. 558/1999 che assegna funzioni sanzionatorie alle C.C.A. solo in 
tema di imprese di installazioni di impianti ma, al contrario, avvalora, secondo
TEMI ISTITUZIONALI 7 
il C.D.S. la tesi che il trasferimento globale delle funzioni comporti anche il 
trasferimento della potest� sanzionatoria; 
- in relazione alle modalit� di devoluzione dei proventi opera ancora la disposizione 
di cui all�art. 29 l. 689/1981 che rinvia alle previgenti disposizioni 
relative alle singole materie con la conseguenza che i proventi delle sanzioni 
devono riversarsi all�Erario (eccettuati quelli attribuiti alla potest� decisoria della 
Regione in quanto rientranti nelle materie di cui al novellato art. 117 Cost.). 
Le argomentazioni del Consiglio di Stato sono state condivise dalla successiva 
giurisprudenza di legittimit� secondo la quale �In tema di sanzioni 
amministrative, debbono ritenersi trasferite alle camere di commercio tutte le 
funzioni di accertamento, di contestazione e di irrogazione di sanzioni prima 
svolte dagli Uffici provinciali per l'industria, il commercio e l'artigianato 
(U.P.I.C.A.), in ragione del combinato disposto degli artt. 20, 42 e 1, comma 
4, d.lg. 31 marzo 1998 n. 112, i quali prevedono, rispettivamente, l'attribuzione 
alle camere di commercio delle funzioni esercitate dagli U.P.I.C.A., l'abrogazione 
delle norme ivi elencate "nella parte in cui individuano l'ufficio provinciale 
per l'industria, il commercio e l'artigianato come organo competente per 
l'irrogazione delle sanzioni pecuniarie" e il divieto di interpretare "le norme 
del presente d.lg.... nel senso della attribuzione allo Stato, alle sue amministrazioni 
o enti pubblici nazionali, di funzioni e compiti, trasferiti, delegati o 
comunque attribuiti alle regioni, agli enti locali e alle autonomie funzionali 
dalle disposizioni vigenti alla data di entrata in vigore del presente decreto legislativo" 
(Cassazione civile, sez. II, 21 dicembre 2011, n. 28037; Cassazione 
civile, sez. II, 20 marzo 2007, n. 6559; Cassazione civile, sez. II, 9 dicembre 
2005, n. 27293 che, sul piano processuale, parla di �successione a titolo universale 
nel processo ex art. 110 c.p.c.�). 
La ricostruzione sopra effettuata individua la fonte attributiva del potere 
e le modalit� di devoluzione dei proventi che, come spiegato dal Consiglio di 
Stato ed evidenziato anche nella nota della Camera di Commercio di Vicenza 
sono riversati all�Erario e riversati con modello F23. 
Per quanto attiene alla natura giuridica delle Camere di commercio occorre 
rammentare che l'articolo 1, comma 1, del Decreto Legislativo 15 febbraio 
2010, n. 23 (�Riforma dell'ordinamento relativo alle camere di 
commercio, industria, artigianato e agricoltura, in attuazione dell'articolo 53 
della legge 23 luglio 2009 n. 99� ), nel novellare l'articolo 1 della legge n. 580 
del 1993, le definisce non pi� come enti autonomi di diritto pubblico, bens� 
come �enti pubblici dotati di autonomia funzionale che svolgono [�] sulla 
base del principio di sussidiariet� di cui all�art. 118 della Costituzione, funzioni 
di interesse generale per il sistema delle imprese, curandone lo sviluppo 
nell�ambito delle economie locali�. 
In virt� della nuova qualificazione, da una parte si riconoscono le Camere 
di commercio quali enti dotati di autonomia funzionale, sancendo cos� la loro
8 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2016 
natura di organismi esponenziali degli interessi del sistema delle imprese, dotati 
di autonomia normativa e regolamentare; dall�altra si lega la peculiare natura 
di questi soggetti al principio di sussidiariet�, dando conferma a quelle tesi che 
in seguito alla riforma costituzionale del Titolo V del 2001 avevano riconosciuto 
tali soggetti come delle �esplicitazioni della sussidiariet� orizzontale�. 
Al riguardo, pu� richiamarsi la sentenza 8 novembre 2002 n. 477, con 
cui la Corte Costituzionale aveva qualificato le Camere di Commercio come 
�enti pubblici locali dotati di autonomia funzionale che entrano a pieno titolo, 
formandone parte costituente, nel sistema degli enti locali secondo lo schema 
dell�articolo 118 della Costituzione�. 
Per la dottrina, oltre alle Camere di Commercio, industria, artigianato ed 
agricoltura sono �enti pubblici dotati di autonomia funzionale� anche le Universit� 
degli Studi, le quali, in un'ottica di decentramento amministrativo, con 
le Regioni e gli Enti locali, sono dotati del conferimento di funzioni e compiti 
amministrativi da parte dello Stato (A.M. POGGI, Le autonomie funzionali �tra� 
sussidiariet� verticale e sussidiariet� orizzontale, Milano, Giuffr�, 2001). 
Se, dunque, sia le Universit� che le Camere di Commercio rientrano nell�ambito 
degli enti pubblici dotati di autonomia funzionale, appare possibile richiamare 
la sentenza delle Sezioni Unite della Cassazione, n. 10700 del 10 
maggio 2006, nella quale, prima di fissare il principio di diritto, la Corte ha 
esaminato la disciplina della rappresentanza e difesa in giudizio delle amministrazioni 
pubbliche disegnato dal r.d. 30 ottobre 1933 n. 1611 (T.U. delle leggi 
sulla rappresentanza e difesa in giudizio dello Stato e sull'ordinamento dell'Avvocatura 
dello Stato), chiarendo i termini essenziali della fondamentale dicotomia 
esistente tra patrocinio ope legis (artt. 1-11, T.U. 1161/33) e il patrocinio 
�facoltativo o autorizzato� (art. 43, T.U. 1161/33) dell�Avvocatura dello Stato. 
La prima forma di rappresentanza e difesa in giudizio � prevista direttamente 
dalla legge (art. 1, T.U. 1161/33) per le amministrazioni dello Stato, le 
quali conseguentemente sono domiciliate (appunto) ope legis presso l�Avvocatura 
dello Stato (art. 11, T.U. 1161/33). 
Il principio su cui si fonda il patrocinio dell�Avvocatura dello Stato � dunque 
impostato su base soggettiva, per cui esso discende in via automatica dalla 
natura dell�ente e dalla sua appartenenza alla categoria delle Amministrazioni 
dello Stato. 
Il diverso profilo oggettivo, che tiene invece conto del tipo di attivit� 
svolta dall�ente riguardata nei suoi aspetti finalistici, anche di tutela degli interessi 
pubblici, non pu� quindi mai costituire di per s� il tramite di accesso al 
patrocinio erariale, potendo caso mai essere valutato ai fini della concessione 
del patrocinio previsto dall�art. 43 T.U. 1161/33. 
Il c.d. patrocinio �facoltativo o autorizzato� riguarda le amministrazioni 
pubbliche non statali ed enti sovvenzionati, sottoposti a tutela o vigilanza dello 
Stato: in questi casi, l�Avvocatura potr� assumere la rappresentanza e difesa
TEMI ISTITUZIONALI 9 
in giudizio �sempre che ne sia autorizzata da disposizioni di legge, di regolamento 
o di altro provvedimento approvato con regio decreto�, senza necessit� 
del mandato ad litem (art. 45, T.U. 1161/33). 
Il c.d. patrocinio facoltativo non si fonda su criteri di carattere sostanziale 
(l�espletamento di una funzione nell�interesse dello Stato) ma, al contrario, 
prescinde da una simile verifica ammettendosi solo ed esclusivamente laddove 
sussista un provvedimento che conferisca lo ius postulandi. 
In altri termini, la previsione di cui all�art. 43 T.U. 1611/1933, nell�imporre 
il rilascio di un�apposita autorizzazione da parte della legge o di un regolamento 
o di altro provvedimento approvato con regio decreto, ancora lo 
ius postulandi ad un dato �formale� ed ossia la sussistenza di atto di espressa 
abilitazione al patrocinio. 
La sussistenza di un dato sostanziale come l�interesse perseguito dall�Ente 
sembra rilevare soltanto come fattore impeditivo, da valutarsi in un momento 
necessariamente successivo e con una verifica legata al caso concreto. Difatti, 
la previsione di cui all�art. 43, comma 3, t.u. dispone espressamente: �salve le 
ipotesi di conflitto, ove tali amministrazioni ed enti intendano in casi speciali 
non avvalersi della Avvocatura dello Stato, debbono adottare apposita motivata 
delibera da sottoporre agli organi di vigilanza�. 
Il Legislatore conferisce, pertanto, rilievo all�interesse perseguito ma al 
solo fine di escludere il patrocinio laddove l�ente sia gi� legittimato ad avvalersi 
in ragione di una specifica previsione abilitatrice ma, in relazione ad un 
caso concreto, si trovi in posizione di conflittualit� con lo Stato. 
Pertanto, il sistema normativo descritto consente di concludere che lo 
svolgimento di un compito nell�interesse dello Stato costituisca condizione 
necessaria ma non sufficiente per l�accesso al patrocinio erariale mentre, per 
converso, se ne esclude l�operativit� ove tale patrocinio sia gi� stato concesso 
da un disposizione abilitativa ma, nel concreto, l�interesse perseguito sia in 
contrasto con quello erariale. 
Ci� posto la Cassazione, superando la precedente giurisprudenza che considerava 
come organo statale le Universit�, ha qualificato gli Atenei come 
�ente pubblico autonomo�. 
Quanto al problema specifico della rappresentanza e difesa in giudizio 
degli Atenei, la Suprema Corte ha inquadrato gli Atenei nell�ambito degli enti 
in favore dei quali, ai sensi dell�art. 43, R.D. 30 ottobre 1933, n. 1611, l�Avvocatura 
pu� assumere la rappresentanza e difesa in giudizio �sempre che ne 
sia autorizzata da disposizioni di legge, di regolamento o di altro provvedimento 
approvato con regio decreto�. 
Alla luce della comune natura di �enti pubblici dotati di autonomia funzionale�, 
che caratterizza gli Atenei e le Camere di Commercio, sembra dunque 
possibile estendere le conclusioni cui � giunta la Corte di Cassazione nella 
sentenza sopra citata anche alle Camere di Commercio.
10 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2016 
Ci� posto, allo stato attuale, mancando una specifica autorizzazione, non 
appare possibile per l�Avvocatura dello Stato assumere il patrocinio della Camera 
di Commercio di Vicenza. 
Con il secondo quesito, la Camera di Commercio di Vicenza chiede, in 
relazione alla Legge n. 689/1981, �se il principio del carattere personale della 
responsabilit� da illecito amministrativo e il principio della responsabilit� solidale 
della persona giuridica rivestano ancora un carattere esclusivo�. 
L�enunciata estraneit� dell�Avvocatura all�assistenza legale della Camera 
di Commercio, potrebbe esimere dalla risposta al secondo quesito sollevato con 
la nota che si riscontra, la rilevanza giuridica del tema trattato, induce tuttavia 
la Scrivente ad esprimersi anche su tale punto, rimettendosi a codesta Consorella 
la valutazione dell�opportunit� del successivo inoltro del parere, anche per motivi 
di semplice garbo istituzionale, all�Ente che ne ha fatto richiesta. 
In particolare, tale quesito viene posto in relazione alla sentenza n. 347/2015, 
con cui il Giudice di Pace di Bassano del Grappa ha affermato che il modello di 
illecito amministrativo di cui alla Legge n. 689/1981 sarebbe stato superato dal 
D.Lgs. n. 231/2001 per quanto concerne le persone giuridiche, affermando che, 
con tale intervento normativo, � nata una forma di responsabilit� autonoma e diretta 
del soggetto collettivo, destinatario della norma sanzionatrice. 
Al riguardo, occorre evidenziare che l�illecito amministrativo �dipendente 
da reato� dell�ente, previsto dal D.Lgs. 231/2001, si distingue dall�illecito amministrativo 
�puro� di cui alla L. n. 689/1981, atteso che ne � differente non 
soltanto la disciplina sostanziale, ma anche quella procedurale e processuale. 
Il richiamato decreto legislativo � stato adottato in attuazione delle previsioni 
di cui alla legge 29 settembre 2000, n. 300 che reca la "Ratifica ed esecuzione 
dei seguenti Atti internazionali elaborati in base all'articolo K.3 del Trattato 
sull'Unione europea: a) Convenzione sulla tutela finanziaria delle Comunit� europee, 
fatta a Bruxelles il 26 luglio 1995, del suo primo Protocollo fatto a Dublino 
il 27 settembre 1996, del Protocollo concernente l'interpretazione in via 
pregiudiziale, da parte della Corte di Giustizia delle Comunit� europee, di detta 
Convenzione, con annessa dichiarazione, fatto a Bruxelles il 29 novembre 1996; 
b) nonch� della Convenzione relativa alla lotta contro la corruzione nella quale 
sono coinvolti funzionari delle Comunit� europee o degli Stati membri dell'Unione 
europea, fatta a Bruxelles il 26 maggio 1997 e c) della Convenzione 
OCSE sulla lotta alla corruzione di pubblici ufficiali stranieri nelle operazioni 
economiche internazionali, con annesso, fatta a Parigi il 17 settembre 1997", cui 
si aggiunge la "Delega al Governo per la disciplina della responsabilit� amministrativa 
delle persone giuridiche e degli enti privi di personalit� giuridica". 
Il secondo protocollo della Convenzione sulla tutela degli interessi finanziari 
delle Comunit� europee (art. 3, secondo Protocollo Addizionale, 19 
giugno 1997), a sua volta, aveva previsto l�obbligo, per ciascuno Stato mem-
TEMI ISTITUZIONALI 11 
bro, di introdurre la responsabilit� delle persone giuridiche per i delitti di frode, 
corruzione attiva e riciclaggio di danaro, consumati o tentati da determinati 
soggetti a beneficio delle persone giuridiche stesse; inoltre, l�obbligo di prevedere 
una responsabilit� delle persone giuridiche era espressamente contemplato 
dall�art. 2 della Convenzione OCSE sulla lotta alla corruzione di pubblici 
ufficiali stranieri nelle operazioni economiche internazionali . 
Il sopra citato secondo Protocollo Addizionale ha il fine di proteggere gli 
interessi finanziari della Comunit� europea da atti compiuti da persona fisica 
per conto di persone giuridiche e da atti finalizzati al riciclaggio dei proventi 
di attivit� illecite. 
La normativa contenuta nel d.lgs. 231/2001 nasce dall�esigenza di recepire 
nell�ordinamento italiano le Convenzioni sopra indicate e mira a colmare 
un'evidente lacuna normativa del nostro ordinamento, tanto pi� evidente in 
quanto la responsabilit� della societas � gi� una realt� in molti Paesi dell'Europa 
(cos� in Francia, Regno Unito, Olanda, Danimarca, Portogallo, Irlanda, 
Svezia, Finlandia). Dunque, l'intervento normativo appare giustificato dalla 
necessit� di esercitare la delega suddetta e si pone in sintonia con l'ordinamento 
Comunitario, le cui linee di tendenza rimarcano appunto l'esigenza di prevedere 
forme di responsabilit� delle persone giuridiche. 
Si tratta, con ogni evidenza, di un modello di responsabilit� volta a superare, 
in sostanza, il precedente sistema nel quale vigeva il principio societas 
delinquere non potest. Ora, nonostante l�assenza di una espressa qualificazione 
della responsabilit� dell�ente come penale e a prescindere dal vasto dibattito 
dottrinale e giurisprudenziale sul punto, non sembra potersi dubitare di come 
la portata delle nuovi previsioni sia comunque circoscritta allo specifico settore 
oggetto di regolazione. 
Lo conferma la circostanza che la nuova normativa opera in limitati ambiti 
dello stesso terreno di elettiva applicazione ed ossia il diritto penale. Difatti, le 
disposizioni del d.lgs. 231/2001 trovano applicazione solo con riferimento ai reati 
indicati nell�articolato normativo e ai soggetti destinatari delle previsioni (art. 1, 
comma 2). Inoltre, la normativa impone la coesistenza di due presupposti: uno 
di tipo oggettivo e l�altro di tipo soggettivo. Per quanto riguarda il presupposto 
oggettivo, occorre che il reato sia stato commesso nell�interesse o a vantaggio 
dell�ente (come recita l�art. 5 d.lgs. 231/01). Invece il presupposto soggettivo, indispensabile 
per evitare l�ingresso inopportuno nel nostro ordinamento di una responsabilit� 
di tipo oggettivo (come ad es. quella esistente in Francia, in cui la 
responsabilit� dell�ente deriva automaticamente dal fatto illecito dell�amministratore), 
coincide con la c.d. culpa in vigilando, consistente nell�assenza dei modelli 
di organizzazione, gestione e controllo idonei a prevenire i reati. 
Ora, appare evidente e viene del resto notato dalla dottrina, come il modello 
di cui al d.lgs. 231/2001 costituisca ancora un microcosmo (sebbene in 
espansione, secondo VIGAN�, Responsabilit� da reato degli enti. I problemi
12 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2016 
sul tappeto a dieci anni dal d.lgs. n. 231/2001, in Libro dell'anno del Diritto 
2012), nei cui soli confini si afferma la responsabilit� diretta dell�ente, subordinata 
alla ricorrenza dei presupposti sopra individuati. 
Ebbene, se questa forma di responsabilit� non ha vis espansiva automatica 
nello stesso settore di elettiva applicazione (il sistema penale), appare arduo 
ritenere un modello generale volto a superare gli altri e diversi sistemi di responsabilit� 
amministrativa previsti dall�ordinamento. 
Ne consegue che il Dlgs n. 231/01 non ha determinato il venir meno del 
carattere personale della responsabilit� amministrativa di cui alla L. n. 
689/1981. 
Conseguentemente, le Camere di Commercio e le altre autorit� preposte 
sono tenute a sanzionare gli amministratori delle societ�, in solido con queste 
ultime, non potendo comminare la sanzione direttamente nei confronti della 
persona giuridica. 
Tale interpretazione risulta anche confermata dalla Suprema Corte, la 
quale ha affermato che: �In tema di sanzioni amministrative, secondo la disciplina 
della L. 24 novembre 1981, n. 689 l'autore della violazione rientrante 
nell'ambito di applicazione della legge, e quindi il diretto destinatario dell'ordinanza 
ingiunzione che irroga la sanzione pecuniaria e ne intima il pagamento, 
pu� essere soltanto la persona fisica, mentre la circostanza che tale 
persona fisica abbia agito come organo o rappresentante di una persona giuridica 
spiega rilievo solo al diverso fine della responsabilit� solidale di quest'ultima, 
ai sensi dell'art. 6 della legge citata (Cass. 21 settembre 2000, n. 
12497; Cass. 5 luglio 1997 n. 6055; Cass. 30 ottobre 1986 n. 6369). 
Tale principio trova la propria giustificazione nel fatto che per l'assoggettamento 
diretto a sanzione amministrativa sono richieste la capacit� di intendere 
e di volere (L. n. 689 del 1981, art. 2) e l'elemento soggettivo della 
colpa o del dolo, con la conseguente rilevanza dell'errore (art. 3), nell'intrasmissibilit� 
agli eredi dell'obbligazione sanzionatoria (art. 7), nella considerazione 
che tra i criteri per l'applicazione delle sanzioni amministrative sono 
previsti elementi riferibili alla persona fisica (art. 11: la "personalit�" dell'autore 
della violazione e le "sue condizioni economiche" ). 
Ne segue che per quanto concerne le sanzioni amministrative disciplinate 
dalla L. n. 681/1981, in tanto la persona giuridica o l'ente privo di personalit� 
giuridica, chiamati a rispondere ai sensi della L. n. 689 del 1981, art. 6, comma 
3, possono essere destinatari di una sanzione amministrativa, in quanto sia 
fatta valere nei loro confronti la responsabilit� solidale con la persona fisica 
autore della violazione. In nessun caso questi soggetti possono essere chiamati 
a rispondere della sanzione amministrativa in qualit� di autore dell'illecito amministrativo 
e la qualit� di responsabile solidale della persona giuridica o dell'ente 
privo di personalit� giuridica deve risultare dall'ordinanza-ingiunzione 
con cui viene applicata la sanzione.
TEMI ISTITUZIONALI 13 
Invero la L. n. 689 del 1981, art. 6, comma 3 prevede che "se la violazione 
� commessa dal rappresentante o dal dipendente di una persona giuridica o 
di un ente privo di personalit� giuridica o, comunque, di un imprenditore nell'esercizio 
delle proprie funzioni o incombenze, la persona giuridica o l'ente 
o l'imprenditore � obbligato in solido con l'autore della violazione al pagamento 
della somma da questo dovuta". 
L'assoggettamento a sanzione dell'obbligato solidale (sia esso una persona 
fisica come l'imprenditore individuale o un soggetto collettivo) non presuppone 
necessariamente l'identificazione dell'autore della violazione alla quale 
la sanzione stessa si riferisce. L'autonomia delle posizioni dei due obbligati si 
desume chiaramente dalla L. n. 89 del 1981, art. 14, che, dopo avere posto il 
principio che la violazione deve essere contestata immediatamente o notificata 
sia al trasgressore che all'obbligato solidale, prevede, nell'ultimo comma, che 
la omissione di tale attivit� comporta l'estinzione della obbligazione a favore 
del solo soggetto nei cui confronti l'omissione stessa si � verificata, onde tale 
estinzione non impedisce l'assoggettamento a sanzione dell'altro obbligato 
(che abbia ricevuto la tempestiva contestazione). Non vi � quindi un legame 
necessario tra le due obbligazioni, l'una potendo sussistere anche se l'altra si 
� estinta (cos� Cass. 23 aprile 1991, n. 4405). 
In nessun caso, tuttavia, alla persona giuridica che, per quanto s'� detto, 
pu� essere chiamata a rispondere soltanto quale responsabile solidale della 
violazione, l'illecito pu� essere addebitato nella diversa qualit� di autore della 
stessa (Cass. civ. Sez. I, 28 aprile 2006, n. 9880). 
Alla stregua di quanto precede si ritiene pertanto che, al di fuori della solidariet� 
con il trasgressore persona fisica o delle specifiche ipotesi disciplinate 
nel Dlgs. n. 231/01, non sia configurabile una responsabilit� della persona giuridica 
immediata e diretta per l�illecito amministrativo ed in tal senso la sentenza 
del Giudice di pace di Bassano del Grappa del 24 luglio 2015, n. 347 
non appare condivisibile. 
Sul presente parere � stato sentito il Comitato consultivo che, nella seduta 
del 10 febbraio 2016, si � espresso in conformit�.
CONTENZIOSO COMUNITARIO 
ED INTERNAZIONALE 
Il ruolo delle Regioni nell�ordinamento 
dell�Unione europea. Il caso Italia 
Antonio Tallarida* 
SOMMARIO: 1. Le Regioni al tempo del Trattato di Roma - 2. Primi passi delle Regioni 
in Europa - 3. Il Trattato di Maastricht e i successivi svolgimenti - 4. Il principio di sussidiariet� 
- 5. Il Comitato delle Regioni - 6. L�early warning system - 7. La soluzione italiana - 8. 
Il nuovo Senato della Repubblica - 9. L�Europa delle Regioni. 
1. Le Regioni al tempo del Trattato di Roma. 
Non cՏ da meravigliarsi se all�atto della nascita della Comunit� Economica 
Europea nessuna menzione fosse riservata alle Regioni e alle altre collettivit� 
territoriali, a parte un breve cenno nel Preambolo alla finalit� di ridurre 
�le disparit� fra le differenti regioni e il ritardo di quelle meno favorite�. 
Solo gli Stati membri infatti erano stati gli artefici della nuova costruzione 
e solo essi si ritenevano i protagonisti e i responsabili della politica comunitaria. 
A questa natura verticistica dell�iniziativa sovranazionale si aggiungeva il fatto 
che all�epoca, a parte la Repubblica Federale Tedesca, nessun altro Paese membro 
aveva nel proprio ordinamento regioni operanti (quelle italiane, salvo le regioni 
a statuto speciale, erano solo nella Carta). Anche nella coscienza dei popoli e nei 
territori la Comunit� era ancora una realt� lontana e poco avvertita, nonostante 
l�opera illuminata di alcune menti preveggenti (Jean Monnet, Altiero Spinelli). 
A tale proposito si � parlato di cecit� regionale, Landesblindheit, o di indifferenza 
dell�ordinamento comunitario nei confronti delle articolazioni interne 
degli Stati. 
Eppure, nella storia del Continente non sono mancate esperienze di grandi 
(*) Gi� Vice Avvocato Generale dello Stato.
16 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2016 
formazioni nel cui ambito hanno convissuto e proliferato entit� territoriali con 
propri autonomi ordinamenti, come � avvenuto sotto l�egida di un diritto comune 
�tra il 1100 e 1500 in un�Europa unita come non mai culturalmente, 
integrando genti diversissime per tradizioni, culture e radici etniche� (1). 
Ad ogni modo, nel prosieguo del tempo, anche per il mutare delle situazioni 
politiche e l�ingresso di nuovi Stati ad articolazione interna complessa, si � venuta 
maggiormente avvertendo l�esigenza di dare pi� spazio alle collettivit� regionali, 
anche se non era agevole raggiungere una definizione univoca di queste. 
Andandosi infatti dai L�nder tedeschi alle nostre Regioni, passando per 
le Comunidades autonomes spagnole, per non parlare delle nazioni del Regno 
Unito, risultava effettivamente difficile enucleare tratti comuni delle collettivit� 
territoriali. Si dovr� aspettare la Carta comunitaria della regionalizzazione, 
approvata con la Risoluzione del Parlamento Europeo del 18 novembre 1988, 
per avere una prima definizione dei requisiti generali che devono avere queste 
collettivit� per acquisire rilevanza ai fini comunitari. 
2. Primi passi delle Regioni in Europa. 
L�Atto Unico Europeo del 17-28 febbraio 1986, con l�art. 23, introduce 
nel Trattato, alla parte III, un apposito Titolo V - Coesione economica sociale, 
che nell�intento di promuovere uno sviluppo armonioso dell�insieme della Comunit�, 
prevede una politica volta a ridurre il divario tra le diverse regioni ed 
il ritardo di quelle meno favorite, da realizzarsi attraverso l�azione dei Fondi 
a finalit� strutturale, della BEI e degli altri strumenti finanziari esistenti. 
In particolare �il Fondo europeo di sviluppo regionale � destinato a contribuire 
alla correzione dei principali squilibri regionali esistenti nella Comunit�, 
partecipando allo sviluppo e all�adeguamento strutturale delle regioni 
in ritardo di sviluppo nonch� alla riconversione delle regioni industriali in 
declino� (art. 130 C). 
In questa fase le Regioni, in coerenza con quanto indicato nel Preambolo 
del Trattato, sono viste piuttosto come un ostacolo da superare sulla strada 
della crescita armoniosa della Comunit� che come protagoniste o comprimarie 
della politica economica comunitaria. 
Tuttavia questo primo riconoscimento dell�apporto delle Regioni alla politica 
di coesione economica e sociale viene ad aprire un nuovo scenario, anche 
sotto la spinta della aumentata rilevanza del peso delle collettivit� regionali e 
locali nei singoli Stati membri e della maturata consapevolezza che gran parte 
delle disposizioni comunitarie � destinata ad essere attuata in sede nazionale 
proprio da tali enti. 
Esso era stato preceduto da tutta una serie di atti volti a coinvolgere le 
(1) M. ASCHERI, Il modello del diritto comune, in Atti del Convegno internazionale �Il diritto privato 
regionale nella prospettiva europea�, Macerata 2005.
CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 17 
collettivit� regionali nella elaborazione e gestione dei programmi di sviluppo 
comunitari, quali la Dichiarazione comune di Parlamento, Consiglio, Commissione 
del 19 giugno 1984 o i Programmi integrati mediterranei (P.I.M.) di 
cui al Reg. 2088/85 CEE. 
Si perviene cos� alla decisione n. 88/1988 del 24 giugno 1988 della Commissione 
europea che istituisce un Consiglio consultivo degli enti regionali e locali, 
composto di 42 membri nominati su proposta di varie Associazioni, con il compito 
di esprimere pareri in materia di politica regionale, a richiesta della Commissione. 
3. Il Trattato di Maastricht e i successivi sviluppi. 
Dopo lunghe trattative, il processo cos� avviato trova significativo sbocco 
nella firma del Trattato di Maastricht, sull�Unione Europea (1992), che pone 
i due capisaldi del nuovo ruolo delle Regioni in sede comunitaria: il principio 
di sussidiariet� e il Comitato delle Regioni. 
A questi si aggiunge la modifica del livello di rappresentanza degli Stati 
membri nel Consiglio. Si prevede infatti che in Consiglio possa intervenire �un 
rappresentante a livello ministeriale abilitato ad impegnare il Governo� (art. 
230 del TUE), ricomprendendo quindi anche i ministri regionali l� dove esistono. 
Il tutto per aumentare il tasso di democraticit� delle Istituzioni europee attraverso 
una maggiore partecipazione degli esponenti delle collettivit� regionali e locali. 
Seguiranno, sulla stessa linea di tendenza, gli sviluppi costituiti dai Trattati 
di Amsterdam (1997), Nizza (2000), Lisbona (2007), senza dimenticare 
le occasioni perdute della Dichiarazione di Laeken (2001), sul futuro dell�Europa 
e della Costituzione europea di Roma (2004), abbandonata per mancata 
ratifica da parte della Francia e dei Paesi Bassi. 
Ma vediamo partitamente i nuovi Istituti, che interagiscono tra loro, con 
il risultato che la posizione delle Regioni ne risulta alla fine rafforzata. 
4. Il principio di sussidiariet�. 
Partendo dal presupposto che l�intervento dell�Unione � giustificato solo 
se e nei limiti in cui esso � pi� utile per conseguire i risultati della politica perseguita, 
il Trattato di Maastricht gi� nel Preambolo afferma la finalit� che �le 
decisioni siano prese il pi� vicino possibile ai cittadini, conformemente al 
principio di sussidiariet�� e con l�art. 5 introduce nel TUE un nuovo art. 3 B 
del seguente tenore: �Nei settori che non sono di sua esclusiva competenza, 
la Comunit� interviene soltanto se e nella misura in cui gli obiettivi dell�azione 
prevista non possono essere sufficientemente realizzati dagli Stati membri e 
possono dunque, a motivo delle dimensioni o degli effetti dell�azione in questione, 
essere realizzati meglio a livello comunitario� (2� co.). 
Il principio, che trovava qualche anticipazione in materia ambientale (2), 
(2) V. art. 130 R dell�Atto Unico Europeo del 1986.
18 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2016 
ha avuto una rapida diffusione, anche se la sua corretta applicazione presuppone 
l�esatta individuazione, non sempre agevole, dei settori non di competenza 
esclusiva della Comunit� e la completa valutazione degli effetti della 
politica da realizzare. 
Esso comunque, per la sua rispondenza anche all�interesse degli Stati 
membri di non vedersi privati di spazi di intervento e di sovranit�, ha avuto 
grande applicazione negli ordinamenti nazionali, come quello italiano dove 
ha trovato esplicito accoglimento prima a livello di legislazione ordinaria (l. 
n. 59 del 1997) e poi costituzionale (v. oltre par. 7) 
Il principio, nell�impostazione europea, si completa con il principio di proporzionalit�, 
nel senso che �L�azione della Comunit� non va al di l� di quanto 
necessario per il raggiungimento degli obiettivi del presente trattato� (3� co.). 
Rimane invece in secondo piano il principio di prossimit�, pur menzionato 
nella parte soprariportata del Preambolo e nell�art. 1.2 del TUE. Ed � proprio 
su questo punto che si sviluppa l�azione delle Regioni diretta a rivendicare 
un ruolo pi� importante per le loro realt�. 
Bisogna per� attendere il Trattato di Amsterdam del 1997 per vedere approvato 
il primo Protocollo sull�applicazione dei principi di sussidiariet� e di 
proporzionalit� nell�ambito del quale le Regioni ottengono che �4) Le motivazioni 
di ciascuna proposta di normativa comunitaria sono esposte, onde 
giustificare la conformit� ai principi di sussidiariet� e proporzionalit��, anche 
se ancora il Protocollo si esprime solo con riferimento agli Stati membri, di 
cui va peraltro salvaguardata l�organizzazione ed il funzionamento dei sistemi 
giuridici (punto 7 del Protocollo) e vanno tenuti in debito conto gli oneri gravanti 
sugli enti locali (punto 9). 
� poco rispetto a quanto chiedevano le Regioni, ma comunque � importante 
che la motivazione sulla conformit� al principio di sussidiariet� venga 
d�ora in poi a far parte della proposta della Commissione sottoposta all�esame 
del Parlamento europeo e del Consiglio (punti 10-12 del Protocollo). 
Non cՏ dubbio infatti che l�applicazione del principio di sussidiariet� abbia 
rappresentato il principale strumento utilizzato dal Comitato delle Regioni per 
portare avanti la propria aspirazione di contare sempre di pi� nell�Unione. 
Ma � il Trattato di Lisbona (2007) che, recuperando alcuni esiti della Costituzione 
europea del 2004, mai potuta entrare in vigore, riscrive in senso regionalistico 
il principio di sussidiariet�, cos� modificando l�art. 5 del TUE: �1. 
La delimitazione delle competenze dell� Unione si fonda sul principio di attribuzione. 
L�esercizio delle competenze dell� Unione si fonda sui principi di sussidiariet� 
e proporzionalit�� 
3. In virt� del principio di sussidiariet�, nei settori che non sono di sua 
competenza esclusiva, l�Unione interviene soltanto se e in quanto gli obiettivi 
dell�azione prevista non possono essere conseguiti in misura sufficiente dagli 
Stati membri, n� a livello centrale n� a livello regionale e locale, ma possono,
CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 19 
a motivo della portata e degli effetti dell�azione in questione, essere conseguiti 
meglio a livello dell�Unione. 
Le istituzioni dell�Unione applicano il principio di sussidiariet� conformemente 
al protocollo sull�applicazione dei principi di sussidiariet� e di proporzionalit�. 
I parlamenti nazionali vigilano sul rispetto del principio di 
sussidiariet� secondo la procedura prevista in detto protocollo�. 
La specificazione, nella nuova formulazione, del livello regionale e locale 
porta alla definitiva emersione del principio di prossimit�, segnando un ulteriore 
punto a favore del sistema regionale e territoriale. 
Nella stessa linea, il Protocollo di applicazione dei principi di sussidiariet� 
e di proporzionalit�, allegato al nuovo Trattato, aggiorna e integra quello del 
1997, prescrivendo che i progetti di atti legislativi devono essere preceduti da 
ampie consultazioni che devono tener conto della dimensione regionale e locale 
delle azioni previste (art. 2) e devono essere accompagnati da una scheda 
contenente gli elementi atti a consentire la valutazione del rispetto del principio 
di sussidiariet� e il relativo impatto economico (art. 5). Tali atti sono trasmessi 
anche ai Parlamenti nazionali che entro 8 settimane hanno la possibilit� di presentare 
un parere motivato e di �consultare all�occorrenza i Parlamenti regionali 
con poteri legislativi� (art. 6). All�esito di queste procedure la 
Commissione pu� modificare o ritirare la proposta, indicandone le ragioni 
(art. 7). Infine � demandato alla Corte di Giustizia il potere di pronunciarsi sui 
ricorsi per violazione del principio di sussidiariet� (art. 8). 
Le disposizioni del protocollo sono applicate da tutte le istituzioni dell�Unione 
(art. 5.4 TUE) e dai Parlamenti nazionali (art. 12, lett. b, TUE). 
Con queste previsioni nasce il sistema di allerta precoce (v. oltre par. 6), 
finalizzato a coinvolgere i Parlamenti nazionali e le collettivit� regionali e territoriali 
gi� nella fase di predisposizione della normativa comunitaria. 
5. Il Comitato delle Regioni. 
Il Comitato delle Regioni � stato istituito dal Trattato di Maastricht come 
organo consultivo (art. 6.2), al posto del precedente Consiglio consultivo, ma 
rispetto a questo � pi� caratterizzato politicamente. 
Esso infatti - nella configurazione assunta con il Trattato di Lisbona - ha una 
dimensione pi� ampia (350 membri), tale da consentire una maggiore partecipazione 
democratica. I membri sono nominati su proposta degli Stati e devono essere 
rappresentanti di collettivit� regionali o locali e titolari di un mandato 
elettorale o responsabili politicamente dinanzi ad un�assemblea eletta (art. 300.3 
TFUE). La perdita o la cessazione di tale mandato ne comporta automaticamente 
la decadenza (art. 305). Tuttavia i membri non sono vincolati da alcun mandato 
imperativo e devono agire nell�esclusivo interesse dell�Unione (art. 300.4). 
Il Comitato, che ha un�articolazione interna complessa (Ufficio di Presidenza, 
Assemblea, Commissioni, gruppi politici), � chiamato ad esprimere pa-
20 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2016 
rere in alcune materie di interesse regionale, con parere facoltativo o obbligatorio 
ma non vincolante. Pu� per� rendere parere anche su propria iniziativa. 
Il Comitato, appena istituito, ha subito interpretato la propria funzione in 
modo molto fattivo, adoperandosi per cercar di conseguire la propria equiparazione 
alle altre istituzioni europee, l�ampliamento dei settori di competenza, 
la legittimazione a ricorrere alla Corte di Giustizia e altri obiettivi minori, aspirazioni 
queste che per� hanno incontrato la resistenza degli Stati membri motivata 
dall�intento di non appesantire l�iter decisionale e di non rafforzare 
troppo la posizione interna delle proprie entit� territoriali. 
Il Trattato di Amsterdam (1997) si � limitato ad ampliare le materie in cui 
era richiesto il parere del Comitato (3), a renderne destinatario anche il Parlamento 
europeo e ad adottare il primo Protocollo sull�applicazione dei principi 
di sussidiariet� e di proporzionalit� mentre il Trattato di Nizza (2000) introduce 
il requisito, per la nomina a componente del Comitato, della titolarit� di un 
mandato elettorale. 
Ma � con il Trattato di Lisbona (2007) che il Comitato riceve la propria 
legittimazione politica se non istituzionale. Infatti, viene mancato l�obiettivo 
di essere riconosciuto come istituzione europea al pari delle altre menzionate 
nell�art. 4.2 del TUE, ma ottiene l�allineamento della propria durata a quella 
delle istituzioni europee (5 anni), la trasformazione da facoltativa in obbligatoria 
della consultazione da parte del Parlamento europeo e soprattutto la legittimazione 
a ricorrere alla Corte di Giustizia a tutela delle proprie prerogative 
(art. 263.3 TFUE) e per violazione del principio di sussidiariet� (art. 8, co. 2, 
del nuovo Protocollo sull�applicazione del suddetto principio). 
Il Comitato � divenuto cos� il rappresentante e garante degli interessi territoriali 
in Europa, funzione questa che esercita attivamente, attraverso una 
serie di accordi e strumenti operativi che gli consentono di attuare una specie 
di �democrazia di prossimit�� (4). 
In particolare il Comitato ha stipulato una serie di accordi di cooperazione, 
con la Commissione (2012), con il Parlamento europeo (2014) e con 
il CALRE (Conferenza delle Assemblee Legislative d�Europa) rinnovato 
nel 2015. 
Esso inoltre, per meglio assolvere al suo compito, si avvale della rete di 
subsidiarity morning network (SMN) per lo scambio di contatti con le assemblee, 
i governi e gli enti regionali ed ha istituito la banca dati REGPEX. Inoltre 
ha creato la Piattaforma di monitoraggio Europa 2020, che � una rete di regioni 
(3) Le principali materie in cui � ora richiesto il parere del Comitato sono: le reti di trasporto, la 
coesione economica e sociale, l�istruzione, la cultura, la sanit�, l�occupazione e la formazione professionale, 
l�ambiente. 
(4) L. FROSINA, Regioni e Unione europea dopo il Trattato di Lisbona. Il Comitato delle Regioni, 
i Parlamenti regionali e le sfide della multilevel governance, in Atti del Convegno �Parlamenti substatali 
tra dimensione nazionale ed europea�, Camera dei Deputati 2015.
CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 21 
e citt� per contribuire al dibattito sulla crescita intelligente e sostenibile dell�UE 
e monitorare l�attuazione della strategia di Europa 2020. 
La sua posizione � pertanto divenuta centrale per assicurare il dialogo interistituzionale 
tra i vari livelli, per fungere da intermediario tra UE ed entit� 
territoriali intermedie e concorrere al progressivo processo di democratizzazione 
dell�Unione. 
6. L�early warning system. 
Il meccanismo di allerta preventiva che consente il coinvolgimento attivo 
dei Parlamenti nazionali e regionali � stato introdotto dal Trattato di Lisbona 
con il Protocollo sull�applicazione della sussidiariet�. 
A tal fine la Commissione europea non solo deve inviare al Comitato 
delle Regioni il programma annuale di lavoro ma prima di proporre un atto 
legislativo deve avviare, come dianzi ricordato, ampie consultazioni - di norma 
delegate al Comitato delle Regioni - nelle quali si deve tener conto della dimensione 
regionale e locale delle azioni previste. Tutte le istituzioni europee 
poi titolari di iniziativa legislativa devono trasmettere i progetti legislativi e 
relativa scheda ai Parlamenti nazionali che nel termine di 8 settimane possono 
- previa all�occorrenza consultazione dei Parlamenti regionali con poteri legislativi 
- inviare un parere motivato sulle ragioni per cui si ritiene che il progetto 
non � conforme al principio di sussidiariet�. Se i pareri contrari superano una 
soglia determinata il progetto � riesaminato o ritirato. La violazione del principio 
pu� essere dedotta davanti alla Corte di Giustizia dagli Stati membri e 
dal Comitato delle regioni. 
Le Regioni non sono legittimate ad interloquire direttamente con le Istituzioni 
europee ma devono farlo attraverso gli Stati nazionali o il Comitato delle 
regioni. La loro posizione si � comunque rafforzata rispetto al passato, essendo 
il loro coinvolgimento espressamente previsto nel Protocollo a cui rinvia il Trattato 
ed incentivato dalla stessa Unione. Di conseguenza tutti gli Stati membri 
si sono affrettati a prevedere forme di comunicazione degli atti e di compartecipazione 
al processo decisionale europeo, con l�indubbio vantaggio di avvicinare 
le Istituzioni europee ai territori e alle popolazioni dell�Unione. 
7. La soluzione italiana. 
In parallelo con l�evoluzione comunitaria, anche l�Italia, come gli altri 
Stati membri, si � attivata per riprodurre nel proprio ordinamento le novit� introdotte 
dall�Unione nei riguardi delle collettivit� regionali e locali. 
Si � pertanto formalmente introdotto il principio di sussidiariet�, si � procedimentalizzata 
la partecipazione delle regioni ed enti locali al processo decisionale 
europeo, si � istituzionalizzato il ruolo del Ministro per gli affari 
regionali, si � disciplinato il complesso delle Conferenze Stato - Regioni - Autonomie, 
si � istituzionalizzato il ruolo del Ministro per gli affari regionali,
22 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2016 
come Presidente della Conferenza Stato-Regioni e organo di raccordo con il 
sistema delle Autonomie, si � potenziato il ruolo interno delle Regioni mediante 
l�implementazione delle relative competenze. 
In particolare, il principio di sussidiariet� � stato prima recepito a livello 
di legislazione ordinaria, con la legge Bassanini (l. 15 marzo 1997, n. 59, art. 
4) e poi costituzionalizzato con la legge di riforma (l. cost. 18 ottobre 2001, n. 
3), che rompendo il tradizionale parallelismo tra competenze legislative e competenze 
amministrative, ha attribuito tutte le funzioni amministrative, che non 
necessitano di un esercizio unitario, agli enti territoriali in applicazione del 
principio di sussidiariet� (art. 118 Cost.) e ha generalizzato le funzioni legislative 
delle Regioni (art. 117). Il potere sostitutivo va esercitato nel rispetto 
del principio di sussidiariet� e di quello di leale collaborazione (art. 120). 
La legge Bassanini ha anche previsto una ridefinizione e un ampliamento 
delle Conferenze tra Stato, Regioni ed enti locali (art. 9), attuato dal d. lgs. 28 
agosto 1997, n. 281, �al fine di garantire la partecipazione delle regioni e 
delle province autonome di Trento e Bolzano a tutti i processi decisionali di 
interesse regionale, interregionale e infraregionale� e a quelli di recepimento 
comunitario (art. 2). La Conferenza Stato-Regioni � chiamata a riunirsi in sessione 
comunitaria almeno due volte l�anno e a designare i componenti regionali 
in seno alla Rappresentanza italiana presso l�Unione europea (art. 5). 
La successiva novella costituzionale ha poi costituzionalizzato la dimensione 
comunitaria delle Regioni, attribuendo loro in legislazione concorrente 
i rapporti con l�UE e prevedendo la loro partecipazione sia alla fase ascendente 
che discendente, nel rispetto della disciplina procedurale stabilita con legge 
dello Stato (art. 117 Cost.) (5). 
La successiva legge di adeguamento (legge La Loggia, 5 giugno 2003, n. 
131), ha regolato la partecipazione delle Regioni, nelle materie di propria competenza, 
nelle delegazioni del Governo alle attivit� del Consiglio e dei gruppi 
di lavoro e ai comitati del Consiglio e della Commissione, anche come capi 
delegazione (art. 5). 
In seguito la legge 24 dicembre 2012, n. 234, ha riscritto le regole della 
partecipazione regionale al procedimento decisionale comunitario prevedendo, 
in applicazione espressa del Protocollo sulla sussidiariet�, la consultazione da 
parte delle Camere dei consigli regionali (art. 8), la trasmissione alle Istituzioni 
europee delle relative osservazioni (art. 9), il coinvolgimento di Regioni, province 
autonome ed enti locali nel Comitato tecnico di valutazione degli atti 
dell�UE (art. 19), le modalit� di partecipazione delle regioni e delle autonomie 
locali alla fase ascendente del processo formativo decisionale comunitario attraverso 
la convocazione periodica della sessione europea delle Conferenze 
(5) In passato, la possibilit� per le Regioni di recepire direttamente le direttive europee era stata 
oggetto di limitazioni legislative e di contrasti dottrinali; v. C. Cost., 14 aprile 1996, n. 126.
CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 23 
Stato-Regioni e Stato-Citt� e attraverso la trasmissione dei progetti normativi 
alla Conferenza delle Regioni e alla Conferenza dei Presidenti delle assemblee 
legislative (artt. 24 e 25), nonch� l�indicazione dei membri italiani del Comitato 
delle Regioni da parte della Conferenza delle Regioni e Province autonome, 
della Conferenza dei presidenti delle assemblee legislative delle regioni 
e province autonome, e di ANCI, UPI e UNCEM (art. 27) e le modalit� di recepimento 
delle direttive europee da parte di regioni e province autonome (art. 
40). Sono infine regolati i ricorsi delle Camere alla Corte di Giustizia per violazione 
del principio di sussidiariet� (artt. 23 e 42) mentre quelli richiesti dalle 
Regioni restano disciplinati dall�art. 5 della legge n. 131/2005. 
Come contrappeso dei maggiori poteri regionali viene disciplinato il potere 
sostitutivo dello Stato (art. 41) e viene previsto il diritto di rivalsa nei confronti 
delle regioni inadempienti (art. 43). Resta inoltre fermo il potere dello 
Stato di impugnare avanti alla Corte Costituzionale le leggi regionali che violano 
i vincoli comunitari (artt. 117 e 134 Cost.) (6). 
Per parte loro le Regioni hanno in gran parte inserito nei propri statuti, 
riformati dopo la legge cost. n. 1 del 1999, specifiche disposizioni sui rapporti 
con l�Unione europea (7) ed hanno adottato il sistema di recepimento delle direttive 
mediante una legge comunitaria regionale a cadenza periodica (8). 
8. Il nuovo Senato della Repubblica. 
Il quadro che risulta dalle disposizioni sopra ricordate evidenzia il nuovo 
ruolo assunto dalle Regioni in sede nazionale per quanto attiene alle competenze 
in materia comunitaria e le proietta con pi� efficacia in ambito europeo. 
Tuttavia esso non � completamente esaustivo delle attese delle Regioni ed autonomie 
locali. 
Infatti mancava a livello centrale una istituzione rappresentativa del sistema 
regionale, tale non essendo n� la Commissione bicamerale per gli affari 
regionali, menzionata in Costituzione (art. 126) e rivisitata dalla l. cost. n. 3 
del 2001 (art. 11), in quanto si trattava pur sempre di un organismo non rappresentativo 
delle Regioni, n� la Conferenza Stato-Regioni, che � un organismo 
amministrativo misto, essendo composto di rappresentanti statali e 
regionali (e questi solo a livello di esecutivi). 
A questa carenza, che costituiva una accentuata debolezza della riforma 
(6) A. ESPOSITO, La legge 24 dicembre 2012 n. 234, sulla partecipazione dell�Italia alla formazione 
e all�attuazione della normativa e delle politiche dell�Unione europea, in Federalismi.it, 
2013, n. 2. 
(7) B. SARDELLA, La dimensione comunitaria dei nuovi Statuti regionali in Istituzioni del Federalismo, 
2007, nn. 3-4, 431. 
(8) G. SAPUTELLI, Il ruolo della �legge comunitaria� regionale nel sistema multilivello, tra soluzioni 
pensate e concreto utilizzo, in ISSiRFA.cnr.it, 2012; C. BERTOLINO, Il ruolo delle Regioni nell�attuazione 
del diritto comunitario, in Regioni, 2009, n. 6, 1249; v. anche C. Cost., 1 dicembre 2006, n. 
398, sulla prima legge comunitaria della regione Friuli-Venezia Giulia.
24 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2016 
del 2001, ha inteso porre rimedio la nuova riforma costituzionale approvata a 
maggioranza assoluta il 12 aprile 2016 ma non ancora promulgata in quanto 
soggetta a referendum confermativo (9). 
La riforma prevede, accanto ad una ridistribuzione dei poteri legislativi 
tra Stato e Regioni, conseguente alla soppressione della legislazione concorrente, 
la trasformazione del Senato della Repubblica in una Camera che - ferma 
la denominazione attuale - �rappresenta le istituzioni territoriali e gli altri 
enti costitutivi della Repubblica. Concorre all�esercizio della funzione legislativa 
nei casi e secondo le modalit� stabiliti dalla Costituzione, nonch� all�esercizio 
delle funzioni di raccordo tra lo Stato, gli altri enti costitutivi della 
Repubblica e l�Unione europea. Partecipa alle decisioni dirette alla formazione 
e all�attuazione degli atti normativi e delle politiche dell�Unione europea. 
Valuta le politiche pubbliche e l�attivit� delle pubbliche amministrazioni 
e verifica l�impatto delle politiche dell�Unione europea sui territori� (art. 1). 
L�articolo successivo specifica che i 95 senatori �rappresentativi delle 
istituzioni territoriali� sono eletti, in conformit� alle scelte espresse dagli 
elettori, dai Consigli regionali e da quelli delle Province autonome di Trento 
e di Bolzano tra i propri componenti e nella misura di uno per ciascuno tra 
i Sindaci dei Comuni dei rispettivi territori, e decadono in caso di cessazione 
della carica elettiva regionale o locale (art. 2). I senatori non sono legati da 
vincoli di mandato (art. 8). 
� evidente una certa assonanza con il Comitato delle Regioni con cui condivide 
la natura rappresentativa delle istituzioni territoriali e il collegamento 
dei componenti con la carica elettiva di appartenenza, ma rispetto a questo, 
che svolge solo funzioni consultive sia pure incisive, � dotato di funzioni legislative 
che esercita con varie modalit� in materia costituzionale o di interesse 
regionale e locale o in materia comunitaria. 
In quest�ultimo campo, che costituisce un ambito essenziale delle sue 
competenze, il Senato svolge funzioni legislative insieme alla Camera, tra l�altro 
�per la legge che stabilisce le norme generali, le forme e i termini della 
partecipazione dell�Italia alla formazione e all�attuazione della normativa e 
delle politiche dell�Unione europea,� e per le leggi di cui agli articoli � 80, 
primo periodo, ... 117, quinto e nono comma, � 120, secondo comma�� (art. 
10), mentre viene soppressa la Commissione parlamentare per le questioni regionali 
(art. 36). Per tutte le altre leggi, di competenza della sola Camera, il 
Senato pu� chiedere di esaminarle e pu� proporre modifiche da sottoporre alla 
Camera per l�eventuale approvazione, il che � rilevante specialmente per le 
materie passate dalla legislazione concorrente a quella statale esclusiva. 
Una minor somiglianza il Senato l�ha con il Bundesrat tedesco, sia per la 
(9) Il testo della legge costituzionale � pubblicato nella G.U. n. 88 del 26 aprile 2016.
CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 25 
diversa struttura federale di quello Stato, sia perch�, pur essendo rappresentativo 
dei L�nder ed esercitando poteri legislativi, i suoi componenti non sono 
elettivi ma sono nominati dai Governi locali verso i quali rispondono essendo 
legati da vincoli di mandato politico. Per di pi� ogni delegazione esprime un 
solo voto. Inoltre sulle questioni comunitarie esso si pronuncia a mezzo di una 
Commissione speciale che vale per l�intero organo. 
Naturalmente l�inserimento nell�ordinamento costituzionale di un organo 
rappresentativo delle istituzioni regionali e locali non pu� non comportare la 
conseguente necessit� di apportare aggiustamenti e modificazioni all�assetto 
istituzionale su cui dovr� misurarsi il legislatore ordinario. 
Infatti, dal riconosciuto concorso all�esercizio delle funzioni di raccordo 
tra lo Stato, gli altri enti costitutivi della Repubblica e l�Unione europea discende 
la necessit� di un suo coinvolgimento diretto nelle procedure di consultazione 
svolte dal Comitato delle Regioni; dalla funzione autonoma di verifica 
dell�impatto delle politiche dell�Unione sui territori deriva la sua legittimazione 
ad intervenire nel procedimento di allerta precoce, attuato in applicazione del 
principio di sussidiariet�; dalla affermata partecipazione alle procedure di formazione 
ed attuazione degli atti e politiche dell�Unione discende la sua abilitazione 
a esprimere parere sugli atti trasmessi dalle Istituzioni europee e a 
concorrere all�esercizio della funzione legislativa in materia comunitaria non 
solo nell�approvazione della legge di procedura e di quelle sul potere sostitutivo 
ma anche in tutti i casi di recepimento diretto da parte della Camera. 
Quanto alla designazione dei componenti italiani del Comitato delle Regioni 
difficilmente il Senato potr� esserne tenuto fuori, trattandosi di nomina 
di competenza del Governo (art. 1). 
Dovranno anche essere definiti i suoi rapporti con le Conferenze Stato- 
Regioni-Autonomie locali. 
Peraltro il nuovo organismo, che nelle intenzioni del Legislatore avrebbe 
dovuto rafforzare il ruolo delle Regioni in Italia e in Unione europea, dotandole 
di uno strumento di raccordo a livello nazionale e superando lo squilibrio oggi 
esistente a favore degli esecutivi regionali, in realt� rischia di non conseguire 
l�obiettivo per la perdita di autorevolezza (il Presidente non � pi� la seconda 
carica dello Stato) e l�oggettivo indebolimento dello stesso (a causa del diminuito 
peso politico, non votando la fiducia al Governo e della ridotta potest� 
legislativa) e per il generale depotenziamento dell�intero sistema regionale, 
privato di molte e importanti competenze legislative e gravato dalla clausola 
di supremazia, in nome di un reintrodotto �interesse nazionale� (10). 
9. L�Europa delle Regioni. 
Nonostante l�indubbio rafforzamento delle Regioni e delle collettivit� territoriali 
conseguito al Trattato di Lisbona in sede europea e al parallelo evolversi 
della dimensione comunitaria delle stesse nell�ambito degli ordinamenti
26 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2016 
nazionali, il raggiungimento della meta, ossia di quell�Europa delle Regioni 
vagheggiata da pi� parti, appare ancora lontano. 
Se � vero che si � passati dalla indifferenza verso le regioni del Trattato 
di Roma alla espressa inclusione del rispetto delle autonomie regionali e locali 
tra i principi fondamentali dell�Unione europea (art. 4 TUE), � anche vero che 
la previsione del �Terzo livello� � rimasta allo stato di organo consultivo, sia 
pur dotato di ampi poteri di interferenza, anche di propria iniziativa ma mai 
vincolanti. 
Per arrivare ad un�Europa in cui le collettivit� territoriali contino sempre 
di pi�, in cui le decisioni siano prese sempre pi� vicino ai suoi cittadini, in cui 
questi possano interagire sui meccanismi di produzione normativa, in cui la 
struttura sia pi� democratica e trasparente, � necessario compiere altri passi 
in avanti, anzitutto dotando il livello sub-statale di un organismo non solo rappresentativo 
ma che possa intervenire in modo determinante nel processo decisionale, 
trasformando il Comitato delle Regioni in Camera delle regioni. 
Occorre poi ulteriormente rafforzare la collaborazione tra Parlamenti nazionali 
e assemblee e consigli regionali, in modo che siano questi a determinare effettivamente 
la posizione nazionale nelle materie di competenza regionale. Bisogna 
infine che la rete di cooperazione e informazione tra i parlamenti 
regionali dei vari Stati serva a formare una opinione condivisa cos� da pesare 
maggiormente nel processo decisionale dell�Unione. 
In cambio le regioni devono assumersi la responsabilit� delle loro iniziative 
e rinunciare a posizioni troppo localistiche. Solo cos� alle Regioni sar� 
possibile di assumere un ruolo attivo e determinante nella costruzione di politiche 
di coesione territoriale e di una nuova Europa non della burocrazia ma 
del cittadino, che si riconosce nelle sue istituzioni territoriali. 
CՏ per� un rischio in tutto questo, che cio� il rafforzarsi delle autonomie 
regionali in sede nazionale e il loro trasformarsi in sistemi pseudofederali 
possa avere come esito non un�Europa delle Regioni, parte integrante e qualificante 
dell�Unione, ma un�Europa di staterelli, piccoli e divisi, tra loro gelosi, 
che condannerebbe all�insignificanza politica l�Unione, rendendola 
incapace di affrontare le sfide che propone un mondo e un�economia globalizzati. 
(10) Per una critica alla riforma (definita�una potenziale fonte di nuove disfunzioni del sistema 
istituzionale�) e al Senato (considerato �estremamente indebolito, privo delle funzioni essenziali per 
realizzare un vero regionalismo cooperativo�) al punto di ritenere che anche il condivisibile obiettivo 
del superamento del c.d. bicameralismo perfetto �sia stato perseguito in modo incoerente e sbagliato�, 
v. il Documento di 56 costituzionalisti (da Amirante a Zagrebelsky), pubblicato in 
www.freenewsonline.it/?p=20377 e in www.lastampa.it/2016/04/22/italia/politica/il-documento-dicostituzionalisti-
sulla-riforma-costituzionale-kx4tkWutrnQ1h24sW1zeSM/pagina.htm. In senso favorevole, 
invece, v. S. CASSESE, La riforma costituzionale. Un necessario passo avanti, in Corriere della 
sera, 6 maggio 2016, p. 24.
CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 27 
La Corte di giustizia UE �boccia� il Consiglio 
di Stato sull�ordine di esame dei ricorsi 
NOTA A CORTE DI GIUSTIZIA UE, GRANDE SEZIONE, SENTENZA 5 APRILE 2016, CAUSA C-689/13 
David Romei* 
SOMMARIO: 1. La vicenda - 2. L�ordine di esame del ricorso principale ed incidentale. Il 
quadro giurisprudenziale anteriore all�ordinanza di rimessione del Consiglio di Giustizia 
amministrativa - 3. La soluzione adottata dalla Corte di Giustizia. 
1. La vicenda. 
Con bando pubblicato il 18 gennaio 2012 la societ� di gestione dell�Aeroporto 
civile di Trapani avviava una procedura aperta per l�affidamento del 
servizio di pulizia e manutenzione delle aree verdi presso il relativo scalo aeroportuale 
per un periodo di tre anni. L�appalto veniva aggiudicato definitivamente 
con provvedimento del 22 maggio 2012. 
La seconda classificata proponeva ricorso dinanzi al Tribunale amministrativo 
regionale per la Sicilia, chiedendo, inter alia, l�annullamento del provvedimento 
di aggiudicazione e, in via consequenziale, l�aggiudicazione dell�appalto 
a suo favore e la stipula del relativo contratto. Gli altri offerenti non proponevano 
impugnazione avverso il provvedimento di aggiudicazione di cui trattasi. 
L�A.T.I. aggiudicataria si costituiva in giudizio, interponendo ricorso incidentale 
basato sul difetto di interesse della ricorrente principale alla coltivazione 
dell�impugnativa, giacch� quest�ultima non avrebbe soddisfatto i 
requisiti di ammissione alla gara d�appalto e, di conseguenza, avrebbe dovuto 
essere esclusa dal procedimento di aggiudicazione. 
Il T.A.R. Sicilia, sede di Palermo, accoglieva entrambi i ricorsi, sicch� la 
societ� di gestione procedeva ad escludere le due ricorrenti, nonch� tutti gli 
altri offerenti inizialmente inseriti nella graduatoria, a causa dell�inidoneit� 
delle rispettive offerte rispetto ai documenti di gara, indicendo una nuova procedura 
di gara. 
Entrambe le imprese proponevano appello avverso la sentenza di primo 
grado. In particolare, l�A.T.I. aggiudicataria, a sostegno della propria impugnativa, 
adduceva che il T.A.R., procedendo alla disamina dei motivi dedotti 
nel ricorso principale, aveva disatteso i principi relativi all�ordine di esame 
dei ricorsi enunciati dalla sentenza del 7 aprile 2011, n. 4, dell�Adunanza Plenaria, 
secondo cui, in caso di ricorso incidentale volto a contestare l�ammissibilit� 
del ricorso principale, il ricorso incidentale deve essere valutato 
prioritariamente, prima del ricorso principale. 
(*) Avvocato del libero Foro, gi� praticante forense presso l�Avvocatura dello Stato.
28 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2016 
La Corte di giustizia amministrativa per la regione Sicilia (1), sospendeva 
il giudizio d�appello al fine di sottoporre alla Corte di Giustizia UE, tra le altre, 
la questione pregiudiziale sul quesito �se i principi dichiarati dalla [Corte di 
giustizia] con la sentenza [Fastweb (C-100/12, EU:C:2013:448)], con riferimento 
alla specifica ipotesi, oggetto di quel rinvio pregiudiziale, in cui due 
soltanto erano le imprese partecipanti a una procedura di affidamento di appalti 
pubblici, siano anche applicabili, in ragione di un sostanziale isomorfismo 
della fattispecie contenziosa, anche nel caso sottoposto al vaglio di questo 
Consiglio in cui le imprese partecipanti alla procedura di gara, sebbene ammesse 
in numero maggiore di due, siano state tutte escluse dalla stazione appaltante, 
senza che risulti l�intervenuta impugnazione di detta esclusione da 
parte di imprese diverse da quelle coinvolte nel presente giudizio, di guisa che 
la controversia che ora occupa questo Consiglio risulta di fatto circoscritta 
soltanto a due imprese�. 
2. L�ordine di esame del ricorso principale ed incidentale. Il quadro giurisprudenziale 
anteriore all�ordinanza di rimessione del Consiglio di Giustizia 
amministrativa. 
ComՏ noto, la problematica relativa all�ordine di esame del ricorso principale 
e di quello incidentale (2), data la sua complessit� e la sua accentuata 
rilevanza specie sotto il profilo delle ricadute economiche, � stata ripetutamente 
affrontata dalla giurisprudenza (3), tantՏ che, gi� antecedentemente 
all�ordinanza di rimessione della questione da parte del Consiglio di giustizia 
amministrativa per la regione Sicilia, l�Adunanza Plenaria aveva avuto modo 
di pronunciarsi ben due volte sul tema, approdando, peraltro, a conclusioni 
diametralmente opposte. 
Nella prima pronuncia del 2008 (4), la Plenaria enucleava i criteri da se- 
(1) Cfr. ord. 17 ottobre 2013, n. 848, in www.giustizia-amministrativa.it. 
(2) Per un approfondimento sul tema sia consentito rinviare a ROMEI, L�ordine logico di esame 
del ricorso principale ed incidentale alla luce dei recenti arresti dell�Adunanza Plenaria, in Rass. avv. 
St., 2015, 1, 236 e ss. Sull�argomento si vedano, altres�, GIOVAGNOLI, Il ricorso incidentale, in GIOVAGNOLI 
- FRATINI, Il ricorso incidentale e i motivi aggiunti nel giudizio di primo grado e in appello, 
Milano, Giuffr�, 2008; CAPONIGRO, Il rapporto di priorit� logica tra ricorso principale e ricorso incidentale 
nel processo amministrativo, in www.giustizia-amministrativa.it; VILLATA - BERTONAZZI, Art. 
42, in Il processo amministrativo. Commentario al d.lgs. 104/2010, a cura di QUARANTA - LOPILATO, Milano, 
Giuffr�, 2010; FERRARI Il ricorso incidentale nel processo amministrativo: principi consolidati e 
problematiche irrisolte, in Dir. proc. amm., 2007, IV, 1058; TROPEA, Il ricorso incidentale nel processo 
amministrativo, Reggio Calabria, Edizioni Scientifiche Italiane, 2007. 
(3) Cfr., tra le pi� recenti, Cons. St., sez. VI, 29 gennaio 2016, n. 367, in Riv. inter. dir. dell�uomo, 
2016, 15 febbraio; id., sez. IV, 8 settembre 2015, n. 4170, in Foro amm., 2015, 9, 2248; id., sez. III, 22 
luglio 2015, n. 3638, in Banca dati De Jure; id., sez. VI, 10 febbraio 2015, n. 713, in Foro amm., 2015, 
2, 493; id., sez. III, 12 dicembre 2014, n. 6134, in Banca dati De Jure; id., sez. VI, 20 ottobre 2014, n. 
5170, in Foro amm., 2014, 10, 2580; T.A.R. Liguria, sez. II, 11 gennaio 2016, n. 16, ivi, 2016, 1; T.A.R. 
Emilia-Romagna, sez. II, 17 novembre 2015, n. 1008, in Banca dati De Jure; T.A.R. Campania, Salerno, 
sez. I, 9 novembre 2015, n. 2361, ivi.
CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 29 
guire nella definizione dell�ordine di esame del ricorso principale e di quello 
incidentale nei giudizi in materia di appalti pubblici tanto nelle ipotesi di gare 
in cui siano ammessi almeno tre offerenti, quanto in quelle in cui vi siano soltanto 
due partecipanti. 
Nel primo caso - sosteneva la Plenaria - il giudice dovr� esaminare prima 
il ricorso incidentale (come, ad es., nell�ipotesi in cui l�aggiudicatario di una 
gara abbia dedotto l�illegittimit� dell�atto che vi abbia ammesso il ricorrente 
principale). Infatti, nell�ipotesi di accoglimento del ricorso incidentale, l�impresa 
ricorrente principale non pu� pi� essere annoverata tra i concorrenti alla 
gara e non pu� conseguire non solo l�aggiudicazione, ma neppure la ripetizione 
della gara poich�, pur se risultasse l�illegittimit� dell�atto di ammissione dell�aggiudicataria, 
l�Amministrazione - salvo l�esercizio del potere di autotutela 
- non potrebbe che prendere in considerazione le offerte presentate dalle altre 
imprese ammesse con atti divenuti inoppugnabili. Il ricorso principale dovr�, 
dunque, essere dichiarato improcedibile per sopravvenuto difetto di legittimazione 
poich� proposto da un�impresa che non pu� ottenere alcuna utilit� dal 
giudizio. Nulla osterebbe, per�, a che il giudice proceda all�esame preliminare 
del ricorso principale, ove questo sia infondato, al fine di dichiarare l�improcedibilit� 
del ricorso incidentale. 
Viceversa, nella seconda ipotesi, �per i principi della parit� delle parti e 
di imparzialit�, quando le due uniche imprese ammesse alla gara abbiano ciascuna 
impugnato l�atto di ammissione dell�altra, le scelte del giudice non possono 
avere rilievo decisivo sull�esito della lite, anche quando riguardino 
l�ordine di trattazione dei ricorsi: non si pu� statuire che la fondatezza del ricorso 
incidentale - esaminato prima - preclude l�esame di quello principale, 
ovvero che la fondatezza del ricorso principale - esaminato prima - preclude 
l�esame di quello incidentale, poich� entrambe le imprese sono titolari dell�interesse 
minore e strumentale all�indizione di una ulteriore gara. Pertanto 
in tale ipotesi il giudice a) pu�, per ragioni di economia processuale, esaminare 
con priorit� il ricorso principale (quando la sua infondatezza comporta 
l�improcedibilit� di quello incidentale) ovvero quello incidentale (la cui infondatezza 
comporta l�esame di quello principale); b) non pu�, in base ai 
principi di parit� delle parti e di imparzialit�, determinare una soccombenza 
anche parziale in conseguenza dei criteri logici che ha seguito nell�ordine di 
trattazione delle questioni; c) qualunque sia il primo ricorso che esamini e 
ritenga fondato, deve tener conto dell�interesse strumentale di ciascuna impresa 
alla ripetizione della gara e deve esaminare anche l�altro quando la 
(4) Sent. 10 novembre 2008, n. 11, in Foro amm. CdS, 2008, 11, 2939, con nota critica di CIMELLARO, 
Alcune note sulla parit� delle parti nell�Adunanza plenaria n. 11 del 2008, e ivi, 2008, 12, 3308, 
con nota di TROPEA, La plenaria prende posizione sui rapporti fra ricorso principale e ricorso incidentale 
(nelle gare con due soli concorrenti).
30 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2016 
fondatezza di entrambi comporta l�annullamento di tutti gli atti di ammissione 
alla gara e, per illegittimit� derivata, anche dell�aggiudicazione, col conseguente 
obbligo dell�amministrazione di indirne una ulteriore� (5). 
Dunque, ove si tratti di gare con due soli partecipanti, il giudice dovr� 
valorizzare l�interesse minore e strumentale alla ripetizione della gara, sicch� 
non potr� essere applicato il principio della improcedibilit� del ricorso principale, 
in caso di accoglimento di quello incidentale, operante, invece, nelle gare 
con pi� di due offerte ammesse (6). 
A soli tre anni dalla prima pronuncia, l�Adunanza Plenaria, con sentenza 
del 7 aprile 2011, n. 4 (7), ha nuovamente affrontato la questione, questa volta 
pervenendo a conclusioni diametralmente opposte rispetto a quelle raggiunte 
nel 2008. 
In particolare, la Plenaria poneva a fondamento del proprio iter logicoargomentativo 
la considerazione per cui la mera partecipazione (di fatto) alla 
gara pubblica non pu� costituire elemento sufficiente al riconoscimento della 
legittimazione al ricorso, atteso che questa deriva da una qualificazione di carattere 
normativo e postula un esito positivo del sindacato sulla ritualit� dell�ammissione 
del soggetto ricorrente alla procedura selettiva, sicch� la 
definitiva esclusione (o l�accertamento dell�illegittimit� della partecipazione 
alla gara) impedisce di assegnare al concorrente la titolarit� di una situazione 
sostanziale che lo abiliti ad impugnare gli esiti della procedura selettiva. Ci� 
premesso, i Giudici di Palazzo Spada concludevano, affermando che l�esame 
del ricorso incidentale diretto a contestare la legittimazione del ricorrente principale 
attraverso l�impugnazione della sua ammissione alla procedura di gara 
(5) Cos� Cons. St., ad. plen., n. 11/2008, cit. 
(6) Per un approfondito commento della pronuncia cfr. GIOVAGNOLI, Ricorso incidentale e parit� 
delle parti (Relazione tenuta a Lecce, il 9 ottobre 2009, nel corso del Convegno �Il Codice del processo 
amministrativo� ), in www.giustizia-amministrativa.it; BENETAZZO, L�ordine di esame del ricorso 
principale e del ricorso incidentale tra �oscillazioni� giurisprudenziali e questioni irrisolte, in 
www.federalismi.it; VILLATA, Riflessioni in tema di ricorso incidentale nel giudizio amministrativo di 
primo grado (con particolare riguardo alle impugnative delle gare contrattuali), in Dir. proc. amm., 
2009, 285; PELLEGRINO, Ricorso incidentale e parit� delle parti. La svolta della Plenaria. Nota a Adunanza 
Plenaria 10 novembre 2008, n. 11, in Riv. giur. edil., 2008, 1423; SQUAZZONI, Il rebus del presunto 
effetto paralizzante del ricorso incidentale nelle gare d�appalto ove anche il ricorrente principale contesti 
la mancata esclusione del vincitore, in Dir. proc. amm., 2009, 151. 
(7) In Foro amm. CdS, 2011, 4, 1132, in Foro it., 2011, 6, III, 306, in Riv. giur. edil., 2011, 2-3, I, 
570, e in Dir. proc. amm., 2011, 3, 1035, con note di SQUAZZONI, Ancora sull�asserito effetto paralizzante 
del solo ricorso incidentale c.d. escludente nelle controversie in materia di gare. La Plenaria statuisce 
nuovamente sul rebus senza risolverlo; GIANNELLI, Il revirement della Plenaria in tema di ricorsi paralizzanti 
nelle gare a due: le nubi si addensano sulla nozione di interesse strumentale; F. FOLLIERI, Un 
ripensamento dell�ordine di esame dei ricorsi principale ed incidentale; MARINELLI, Ancora in tema di 
ricorso incidentale �escludente� e ordine di esame delle questioni (note brevi a margine di un grand 
arr�t dell�Adunanza Plenaria). Per un primo commento si veda, altres�, TORREGROSSA, L�Adunanza Plenaria 
rimedita le conclusioni alle quali era pervenuta con la pronuncia del 2008 in tema di rapporto 
tra ricorso principale e ricorso incidentale cd escludente o paralizzante, in 
www.ildirittoamministrativo.it.
CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 31 
deve sempre precedere quello del ricorso principale, anche nel caso in cui il 
ricorrente principale abbia un interesse strumentale alla rinnovazione dell�intera 
procedura selettiva e indipendentemente dal numero dei concorrenti che 
vi hanno preso parte, dal tipo di censura prospettata con il ricorso incidentale 
e dalle richieste dell�amministrazione resistente. L�esame prioritario del ricorso 
principale � ammesso soltanto per ragioni di economia processuale nel caso 
in cui questo risulti manifestamente infondato, inammissibile, irricevibile o 
improcedibile (8). 
3. La soluzione adottata dalla Corte di Giustizia. 
� in questo articolato panorama giurisprudenziale che si innesta l�ordinanza 
di rimessione del Consiglio di giustizia amministrativa e, conseguentemente, 
la pronuncia in commento. 
A ben vedere i principi enucleati dalla Plenaria n. 4/2011 erano stati sin da 
subito messi in discussione dalla giurisprudenza successiva, tantՏ che la Corte 
di giustizia UE gi� in precedenza era stata investita della questione pregiudiziale 
relativa al possibile contrasto tra i principi di parit� delle parti, di non discriminazione 
e di tutela della concorrenza nei pubblici appalti sanciti dalla prima direttiva 
ricorsi n. 1989/665/CEE e dalla seconda direttiva ricorsi n. 2007/66/CE 
ed il diritto vivente derivante dalla predetta sentenza n. 4/2011 (9). 
La Corte di Giustizia delle Comunit� Europee aveva affrontato la questione 
con sentenza della Sez. X, 4 luglio 2013, n. 100, in causa C-100/12 (c.d. sentenza 
Fastweb) (10), affermando il principio di diritto secondo cui le disposizioni delle 
direttive ricorsi devono essere interpretate nel senso che, �se in un procedimento 
di ricorso, l�aggiudicatario che ha ottenuto l�appalto e proposto ricorso incidentale 
solleva un�eccezione di inammissibilit� fondata sul difetto di legittimazione 
a ricorrere dell�offerente che ha proposto il ricorso, con la motivazione 
che l�offerta da questi presentata avrebbe dovuto essere esclusa dall�autorit� 
aggiudicatrice per non conformit� alle specifiche tecniche indicate nel piano di 
fabbisogni, tal(i) disposizion(i) osta(no) al fatto che il suddetto ricorso sia dichiarato 
inammissibile in conseguenza dell�esame preliminare di tale eccezione 
di inammissibilit� senza pronunciarsi sulla conformit� con le suddette specifiche 
tecniche sia dell�offerta dell�aggiudicatario che ha ottenuto l�appalto, sia di 
quella dell�offerente che ha proposto il ricorso principale�. 
(8) Gi� prima della sua pubblicazione, negli stessi termini della Plenaria, si sono espressi, tra gli 
altri, VILLATA - BERTONAZZI, op. cit., 422-423; TROPEA, Commento all�art. 42, in CARINGELLA e PROTTO, 
Il Codice del nuovo processo amministrativo, Roma, 2010, 478. 
(9) Cfr. T.A.R. Piemonte, sez. II, ord. 9 febbraio 2012, n. 208, in Riv. it. dir. pubbl. comunit., 2012, 
1, 209, e in Foro amm. TAR, 2012, 2, 333. 
(10) In Riv. it. dir. plub. com., 2013, 3-4, 795, con nota di E.M. BARBIERI, Legittimazione ed interesse 
a ricorrere in caso di ricorsi reciprocamente escludenti dopo una recente pronuncia comunitaria, 
in Dir. & Giust., 2013, 8 luglio, in Foro amm. CdS, 2013, 7-8, 1747, e in Guida al dir., 2013, 41, 104. 
32 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2016 
In sostanza, dunque, la Corte di Giustizia CE, sconfessando gli arresti 
della Plenaria n. 4/2011, si era condivisibilmente - seppur solo parzialmente - 
allineata alle conclusioni raggiunte dalla precedente sentenza della Plenaria 
n. 11/2008, affermando che, in caso di fondatezza di entrambi i ricorsi (principale 
ed incidentale) c.d. escludenti, � necessario che il giudice tenga conto 
dell�interesse strumentale di ciascun concorrente alla ripetizione della gara, 
disponendo, di conseguenza, l�annullamento di tutti gli atti di ammissione alla 
gara e, per illegittimit� derivata, anche dell�aggiudicazione, col conseguente 
obbligo dell�Amministrazione di indirne una ulteriore (11) (12). 
La pronuncia in commento si pone nel solco tracciato dalla c.d. sentenza 
Fastweb, ai cui principi la Corte di giustizia UE conferma di aderire, ma, al 
contempo, ne amplia la portata, estendendone l�applicabilit� a tutte le tipologie 
di controversie in materia di appalti pubblici, indipendentemente dal numero 
di partecipanti alla gara. 
In particolare, i giudici europei ribadiscono la contrariet� ai principi sanciti 
dall�art. 1, par. 3, della prima direttiva ricorsi n. 1989/665/CEE di una normativa 
nazionale in forza della quale il ricorso di un offerente la cui offerta 
non � stata prescelta sia dichiarato inammissibile in conseguenza dell�esame 
preliminare dell�eccezione di inammissibilit� sollevata nell�ambito del ricorso 
incidentale dell�aggiudicatario, senza che ci si pronunci sulla conformit� delle 
due offerte in discussione con le specifiche tecniche indicate nel piano di fabbisogni. 
In tale situazione, infatti, ciascun offerente ha un identico interesse 
concreto ed attuale a ottenere l�esclusione dell�offerta degli altri concorrenti 
e, conseguentemente, l�aggiudicazione di un determinato appalto. Quest�ultimo 
interesse, in particolare, potr� essere realizzato, alternativamente, in due 
differenti modi: o in via diretta, a seguito dell�esclusione di un offerente e della 
conseguente aggiudicazione diretta a favore dell�altro nell�ambito della medesima 
procedura; oppure, qualora entrambi i ricorrenti (principale ed incidentale) 
vengano esclusi, in via indiretta, attraverso l�indizione di una nuova 
(11) Cfr., per una lettura favorevole della sentenza, E.M. BARBIERI, op. cit.; D�ANCONA, La tesi dell�effetto 
paralizzante del ricorso incidentale rispetto al ricorso principale proposta dall�Adunanza Plenaria 
del Consiglio di Stato non supera il vaglio della Corte di Giustizia, in www.giustizia-amministrativa.it; 
CAPONIGRO, Le azioni reciprocamente �escludenti� tra giurisprudenza europea e nazionale, in 
www.giustizia-amministrativa.it; TOSCHEI, Una scelta in linea con le proposizioni sviluppate dopo il 
varo della seconda direttiva ricorsi, in Guida al dir., 2013, 91; QUINTO, La Corte di Giustizia anticipa 
l�Adunanza Plenaria, 2014, in www.giustizia-amministrativa.it; E. FOLLIERI, La legittimazione a ricorrere 
e l�ordine di trattazione dei motivi reciprocamente escludenti nelle controversie sugli appalti pubblici 
sono individuati negli interessi protetti dalle norme, in www.cameraamministrativa.it. Per una 
lettura in chiave critica della pronuncia vi vedano, invece, CACCIARI, Ricorso principale e ricorso incidentale: 
una questione davvero risolta dalla Corte di Giustizia?, 2013, in www.giustamm.it; PROVENZANO, 
Nota a Corte di Giustizia Unione Europea, Sezione decima, sentenza 4 luglio 2013, n. 100/2012, 
in www.ildirittoamministrativo.it. 
(12) Per una lettura combinata dei principi affermati dalla sentenza Fastweb con la Plenaria n. 
4/2011 cfr. Cons. St., sez. VI, 30 settembre 2015, n. 4544, in Foro amm., 2015, 9, 2280.
CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 33 
procedura di gara a cui ciascun offerente pu� partecipare e, quindi, ottenere 
l�appalto. 
I principi su esposti - ed � questo il maggior elemento di novit� della pronuncia 
in commento - devono trovare applicazione non soltanto nel caso di 
gare con due soli offerenti, ma in tutte le controversie in materia di appalti 
pubblici a prescindere dal numero di partecipanti alla procedura di aggiudicazione 
nonch� dal numero di partecipanti che hanno presentato ricorso e dalla 
natura dei motivi di ricorso dai medesimi dedotti. 
Dalla lettura della motivazione della sentenza in commento emerge chiaramente 
la volont� della Corte di giustizia di �scardinare� definitivamente l�interpretazione 
restrittiva fornita dal Consiglio di Stato nella sopracitata 
decisione del 2011, riaffermando prepotentemente la primazia del diritto e dei 
principi comunitari su quelle nazionali, anche di natura processuale. 
In realt�, al di l� di ogni considerazione di principio sul punto, la soluzione 
tracciata dal Giudice comunitario � certamente condivisibile; difatti, 
come da pi� parti evidenziato (13), la preferenza accordata dalla Plenaria n. 
4/2011 al prioritario esame del ricorso incidentale e, quindi, implicitamente 
alla posizione del controinteressato (aggiudicatario della gara), pi� che da ragioni 
di equit� o di giustizia (sostanziale e/o processuale), sembra essere dettata 
da un favor per la tutela dell�interesse pubblico, individuato nella sollecita 
esecuzione dell�appalto, oltre che nella necessit� di evitare la proliferazione 
del contenzioso. Tale preferenza, per�, si scontra irrimediabilmente con i principi 
di parit� delle parti, non discriminazione e (soprattutto) tutela della concorrenza 
la cui attuazione deve rappresentare l�obiettivo principale non 
soltanto del legislatore in sede di trasposizione della normativa sovranazionale, 
ma anche degli organi giurisdizionali chiamati ad applicarla. � evidente allora 
che, a fronte di un�aggiudicazione operata in favore di un soggetto illegittimamente 
ammesso alla gara, non pu� che assume carattere preminente il perseguimento 
dei principi della par condicio competitorum e dell�effettivit� della 
tutela giurisdizionale, pienamente realizzabili unicamente attraverso la ripetizione 
delle procedure di gara. 
N�, in senso contrario, vale obiettare che gli invocati principi comunitari 
andrebbero coniugati con quelli (certamente pur rilevanti) della celere esecuzione 
dei pubblici appalti, della lealt� processuale, del divieto di abuso del diritto 
di difesa e della ragionevole durata dei processi (14). Questa 
impostazione, a ben vedere, anzich� ambire al ripristino della legalit� violata 
a seguito di un�aggiudicazione illegittima, finisce con l�assegnare una posi- 
(13) Cfr. PELLEGRINO, La Plenaria e le �tentazioni� dell�incidentale, 2011, in www.giustizia-amministrativa.it; 
ROMEI, op. cit., 249. 
(14) In tal senso PROTTO, Ordine di esame del ricorso principale e incidentale in materia di appalti pubblici: 
la parola al giudice comunitario, in Urb. e app., n. 4/2012, 440, e in www.giustizia-amministrativa.it.
34 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2016 
zione privilegiata proprio al soggetto che, con il suo contegno, ha causato 
quella illegittimit�, in nome dell�asserito principio della solerte esecuzione 
dell�opera (15). 
Tale conclusione non pu� non valere anche nell�ipotesi in cui i partecipanti 
alla procedura ad evidenza pubblica siano pi� di due. Anche in questo 
caso, non pu� escludersi in via generalizzata l�insussistenza della titolarit�, da 
parte di entrambi i ricorrenti, dell�interesse minore e strumentale all�indizione 
di una ulteriore gara e, conseguentemente, la presenza di un vantaggio per entrambi 
i ricorrenti; difatti, a fronte di tale doppia esclusione all�Amministrazione 
resta pur sempre attribuita la facolt� di decidere di procedere alla 
riedizione della gara qualora ritenga che le (eventuali) offerte non escluse non 
siano comunque idonee ad assicurare l�interesse pubblico alla scelta del miglior 
contraente possibile per l�esecuzione dell�opera. 
Il principio affermato con forza dalla Corte di giustizia sconfessa anche 
gli ultimi arresti dell�Adunanza Plenaria (16) - successivi all�ordinanza di rimessione 
del Consiglio di giustizia amministrativa - con cui i Giudici di Palazzo 
Spada avevano cercato di mediare alle discordanti posizioni assunte dalla 
giurisprudenza (e dalla stessa Plenaria), valorizzando il profilo cronologicoseguenziale 
cui impinge il vizio lamentato dalle parti (17) (18). 
In senso contrario, infatti, la sentenza in commento precisa che l�obbligo 
di esaminare sempre e comunque entrambi i ricorsi grava in ogni caso sull�organo 
giudicante, indipendentemente dalla natura dei motivi di ricorso dai medesimi 
dedotti e dei vizi in essi prospettati. 
(15) In questo senso Cass. Civ., sez. un., 21 giugno 2012, n. 10294, in Giust. civ. Mass., 2012, 6, 
824, in Foro amm. CdS, 2012, 7-8, 1795 e in www.lexitalia.it, con note adesive di CAPPARELLI, Le Sezioni 
Unite bacchettano l�Adunanza Plenaria e di PELLEGRINO, Aggiudicatario iperprotetto. Il monito delle 
Sezioni Unite sull�incidentale. In dottrina, a sostegno della posizione, si vedano, altres�, F. FOLLIERI, op. 
cit.; D�ANCONA, Il rapporto tra ricorso incidentale e ricorso principale fra diritto interno e diritto dell�Unione 
Europea: note a margine delle pronunce della Cass. SS. UU. 21 giugno 2012 e del C.d.S., sez. 
III, 30 agosto 2012, n. 4656, in www.giustamm.it; nonch� ROMEI, op. cit., 249-251. 
(16) Cfr. sentenze 30 gennaio 2014, n. 7, in Foro amm. CdS, 2014, 2, 384 e in Dir. & Giust., 2014, 
3 febbraio, e 25 febbraio 2014, n. 9, in Foro amm. CdS, 2014, 2, 387. 
(17) In particolare, la Plenaria ha concluso nel senso che, se entrambe le offerte sono inficiate dal 
medesimo vizio che le rende inammissibili, apparirebbe prima facie contrario all�uguaglianza concorrenziale 
escludere solo l�offerta del ricorrente principale, dichiarandone inammissibile il ricorso e confermare, 
invece, l�offerta del ricorrente incidentale, bench� suscettibile di esclusione per la medesima 
ragione. In tali casi, essendo il vizio fatto valere da entrambi i contendenti il medesimo, non pu� ravvisarsi 
in concreto un problema di esame prioritario del ricorso incidentale rispetto al ricorso principale. Prioritario, 
in questo peculiare caso, � soltanto l�esame del vizio che, se sussistente, giustifica l�accoglimento 
di entrambi i ricorsi, mentre, se insussistente, determina la loro reciproca reiezione e la conferma dell�aggiudicazione. 
L�identit� del vizio, nella sua consistenza fattuale e nella sua speculare deduzione da 
ambedue le parti, comporta, quindi, che il suo accertamento e la relativa decisione di accoglimento siano 
automaticamente e logicamente predicabili indifferentemente per l�una o per l�altra parte del processo. 
(18) Circa la compatibilit� dei principi di cui alla Plenaria n. 9/2014 con il dettato della sentenza 
Fastweb cfr. Cons. St., sez. VI, 8 maggio 2014, n. 2362, in Foro amm., 2014, 5, 1444; T.A.R. Lombardia, 
Brescia, sez. II, 16 dicembre 2015, n. 1726, in www.giustizia-amministrativa.it. 
CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 35 
In conclusione, la soluzione indicata dal Giudice comunitario appare 
l�unica possibile per dare concreta attuazione ai principi, di matrice comunitaria, 
che costituiscono - specie a seguito dell�introduzione del nuovo codice 
dei contratti pubblici (19) che ne ha ulteriormente sottolineato la centralit� - 
la stella polare degli interventi legislativi nel settore dei contratti pubblici, i 
quali non possono in alcun modo recedere dinnanzi a quelli, seppur rilevanti, 
della celere esecuzione degli appalti pubblici, della ragionevole durata dei processi 
e del divieto di abuso del diritto di difesa. 
A fronte del rango dei principi in gioco, i timori - frutto di valutazioni di 
natura prettamente politica pi� che di speculazione giuridica - per i possibili 
danni all�economia pubblica non possono certamente giustificare il sacrificio 
delle istanze di legalit� (provenienti, in primis, proprio dalla societ� civile di 
cui la classe politica dovrebbe essere espressione) e l�annichilimento dei diritti 
individuali in nome di un�anacronistica visione dell�interesse pubblico, declinato 
quale mera pretesa dell�Autorit� a non veder leso l�assetto di interessi da 
essa stessa (anche illegittimamente) posto in essere. 
Corte di giustizia dell�Unione europea, Grande Sezione, sentenza 5 aprile 2016, causa 
C-689/13 - Pres. K. Lenaerts, Rel. E. Juh�sz, Avv. Gen. M. Wathelet - Domanda di pronuncia 
pregiudiziale proposta dal Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione siciliana (Italia) 
il 24 dicembre 2013 - PFE / Airgest. 
�Rinvio pregiudiziale - Appalti pubblici di servizi - Direttiva 89/665/CEE - Articolo 1, paragrafi 
1 e 3 - Procedure di ricorso - Ricorso di annullamento avverso il provvedimento di aggiudicazione 
di un appalto pubblico presentato da un offerente la cui offerta non � stata 
prescelta - Ricorso incidentale dell�aggiudicatario - Regola giurisprudenziale nazionale che 
impone di esaminare preliminarmente il ricorso incidentale e, se quest�ultimo risulta fondato, 
di dichiarare il ricorso principale irricevibile, senza esame nel merito - Compatibilit� con il 
diritto dell�Unione - Articolo 267 TFUE - Principio del primato del diritto dell�Unione - Principio 
di diritto enunciato con decisione dell�adunanza plenaria dell�organo giurisdizionale 
amministrativo supremo di uno Stato membro - Normativa nazionale che prevede il carattere 
vincolante di tale decisione per le sezioni del suddetto organo giurisdizionale - Obbligo della 
sezione investita di una questione attinente al diritto dell�Unione, in caso di disaccordo con 
la decisione dell�adunanza plenaria, di rinviare a quest�ultima tale questione - Facolt� o obbligo 
della sezione di adire la Corte in via pregiudiziale� 
1 La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull�interpretazione dell�articolo 1, paragrafo 
3, della direttiva 89/665/CEE del Consiglio, del 21 dicembre 1989, che coordina le disposizioni 
legislative, regolamentari e amministrative relative all�applicazione delle procedure di 
ricorso in materia di aggiudicazione degli appalti pubblici di forniture e di lavori (GU L 395, 
pag. 33), come modificata dalla direttiva 2007/66/CE del Parlamento europeo e del Consiglio 
(19) Il nuovo codice dei contratti pubblici � oggi contenuto nel d.lgs. 19 aprile 2016, n. 50, in 
Gazz. Uff. 19 aprile 2016, n. 91, S.O. n. 10.
36 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2016 
dell�11 dicembre 2007 (GU L 335, pag. 31; in prosieguo: la �direttiva 89/665�), dell�articolo 
267 TFUE, nonch� dei principi del primato e dell�effettivit� del diritto dell�Unione. 
2 Tale domanda � stata presentata nell�ambito di una controversia fra la Puligienica Facility 
Esco SpA (PFE) (in prosieguo: la �PFE�) e la Airgest SpA (in prosieguo: la �Airgest�), 
relativa alla legittimit� dell�attribuzione da parte di quest�ultima societ� di un appalto 
pubblico di servizi alla Gestione Servizi Ambientali Srl (GSA) (in prosieguo: la �GSA�) 
e alla Zenith Services Group Srl (ZS). 
Contesto normativo 
Diritto dell�Unione 
3 L�articolo 1 della direttiva 89/665, intitolato �Ambito di applicazione e accessibilit� delle 
procedure di ricorso�, cos� dispone: 
�1. La presente direttiva si applica agli appalti di cui alla direttiva 2004/18/CE del Parlamento 
europeo e del Consiglio, del 31 marzo 2004, relativa al coordinamento delle procedure 
di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, di forniture e di servizi [(GU L 
134, pag. 114)], a meno che tali appalti siano esclusi a norma degli articoli da 10 a 18 di 
tale direttiva. 
Gli appalti di cui alla presente direttiva comprendono gli appalti pubblici, gli accordi quadro, 
le concessioni di lavori pubblici e i sistemi dinamici di acquisizione. 
Gli Stati membri adottano i provvedimenti necessari per garantire che, per quanto riguarda 
gli appalti disciplinati dalla direttiva [2004/18], le decisioni prese dalle amministrazioni 
aggiudicatrici possano essere oggetto di un ricorso efficace e, in particolare, quanto pi� 
rapido possibile, secondo le condizioni previste negli articoli da 2 a 2 septies della presente 
direttiva, sulla base del fatto che hanno violato il diritto comunitario in materia di aggiudicazione 
degli appalti pubblici o le norme nazionali che lo recepiscono. 
(...) 
3. Gli Stati membri provvedono a rendere accessibili le procedure di ricorso, secondo 
modalit� dettagliate che gli Stati membri possono determinare, a chiunque abbia o abbia 
avuto interesse ad ottenere l�aggiudicazione di un determinato appalto e sia stato o rischi 
di essere leso a causa di una presunta violazione. 
(...)�. 
4 Ai sensi dell�articolo 2, paragrafo 1, della menzionata direttiva: 
�Gli Stati membri provvedono affinch� i provvedimenti presi in merito alle procedure di 
ricorso di cui all�articolo 1 prevedano i poteri che consentono di: 
(...) 
b) annullare o far annullare le decisioni illegittime (�); 
(...)�. 
Diritto italiano 
5 Il Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione siciliana � stato istituito con il decreto 
legislativo del 6 maggio 1948, n. 654 - Norme per l�esercizio nella Regione siciliana 
delle funzioni spettanti al Consiglio di Stato (GURI n. 135 del 12 giugno 1948). Nella 
suddetta regione esso esercita le medesime funzioni consultive e giurisdizionali spettanti 
al Consiglio di Stato. 
6 Il decreto legislativo del 2 luglio 2010, n. 104 - Attuazione dell�articolo 44 della legge 18 
giugno 2009, n. 69, recante delega al governo per il riordino del processo amministrativo 
(supplemento ordinario alla GURI n. 156 del 7 luglio 2010), concerne l�adozione del codice 
del processo amministrativo.
CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 37 
7 L�articolo 6 di detto codice dispone quanto segue: 
�1. Il Consiglio di Stato � organo di ultimo grado della giurisdizione amministrativa. 
(...) 
6. Gli appelli avverso le pronunce del Tribunale amministrativo regionale della Sicilia 
sono proposti al Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione siciliana, nel rispetto 
delle disposizioni dello statuto speciale e delle relative norme di attuazione�. 
8 L�articolo 42 del codice in parola, al paragrafo 1, recita: 
�Le parti resistenti e i controinteressati possono proporre domande il cui interesse sorge 
in dipendenza della domanda proposta in via principale, a mezzo di ricorso incidentale. 
(�)�. 
9 L�articolo 99 dello stesso codice � cos� formulato: 
�1. La sezione cui � assegnato il ricorso, se rileva che il punto di diritto sottoposto al suo 
esame ha dato luogo o possa dare luogo a contrasti giurisprudenziali, con ordinanza emanata 
su richiesta delle parti o d�ufficio pu� rimettere il ricorso all�esame dell�adunanza plenaria. 
L�adunanza plenaria, qualora ne ravvisi l�opportunit�, pu� restituire gli atti alla sezione. 
2. Prima della decisione, il presidente del Consiglio di Stato, su richiesta delle parti o 
d�ufficio, pu� deferire all�adunanza plenaria qualunque ricorso, per risolvere questioni 
di massima di particolare importanza ovvero per dirimere contrasti giurisprudenziali. 
3. Se la sezione cui � assegnato il ricorso ritiene di non condividere un principio di diritto 
enunciato dall�adunanza plenaria, rimette a quest�ultima, con ordinanza motivata, la 
decisione del ricorso. 
4. L�adunanza plenaria decide l�intera controversia, salvo che ritenga di enunciare il 
principio di diritto e di restituire per il resto il giudizio alla sezione remittente. 
5. Se ritiene che la questione � di particolare importanza, l�adunanza plenaria pu� comunque 
enunciare il principio di diritto nell�interesse della legge anche quando dichiara il 
ricorso irricevibile, inammissibile o improcedibile, ovvero l�estinzione del giudizio. In tali 
casi, la pronuncia dell�adunanza plenaria non ha effetto sul provvedimento impugnato�. 
10 Ai sensi dell�articolo 100 del codice del processo amministrativo: 
�Avverso le sentenze dei tribunali amministrativi regionali � ammesso appello al Consiglio 
di Stato, ferma restando la competenza del Consiglio di giustizia amministrativa per 
la Regione siciliana per gli appelli proposti contro le sentenze del Tribunale amministrativo 
regionale per la Sicilia�. 
11 Il decreto legislativo del 24 dicembre 2003, n. 373 - Norme di attuazione dello Statuto 
speciale della Regione siciliana concernenti l�esercizio nella regione delle funzioni spettanti 
al Consiglio di Stato (GURI n. 10 del 14 gennaio 2004, pag. 4), all�articolo 1, paragrafo 
2, prevede che le sezioni del Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione 
siciliana costituiscono sezioni staccate del Consiglio di Stato e, all� articolo 4, paragrafo 
3, che, in sede giurisdizionale, il Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione siciliana 
esercita le funzioni di giudice di appello contro le pronunce del Tribunale amministrativo 
regionale per la Sicilia. 
Procedimento principale e questioni pregiudiziali 
12 Con bando pubblicato il 18 gennaio 2012 la Airgest, societ� di gestione dell�Aeroporto 
civile di Trapani-Birgi (Italia), ha avviato una procedura aperta, avente ad oggetto l�affidamento 
del servizio di pulizia e manutenzione delle aree verdi presso tale aeroporto per 
un periodo di tre anni. L�importo dell�appalto in parola, esclusa l�imposta sul valore aggiunto, 
era pari a EUR 1 995 496,35 e il criterio di aggiudicazione previsto era quello
38 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2016 
dell�offerta economicamente pi� vantaggiosa. L�appalto � stato attribuito, con provvedimento 
di aggiudicazione definitiva del 22 maggio 2012, all�associazione temporanea di 
imprese creata fra la GSA e la Zenith Services Group Srl (ZS). 
13 La PFE, che aveva partecipato all�appalto e che si era classificata seconda, ha proposto 
un ricorso dinanzi al Tribunale amministrativo regionale per la Sicilia, chiedendo, inter 
alia, l�annullamento del provvedimento di aggiudicazione e, in via consequenziale, l�aggiudicazione 
dell�appalto a suo favore e la stipula del relativo contratto. Gli altri offerenti 
non hanno impugnato il provvedimento di aggiudicazione di cui trattasi. 
14 La GSA, capogruppo dell�associazione temporanea di imprese cui � stato affidato l�appalto, 
si � costituita in giudizio e ha interposto un ricorso incidentale basato sul difetto di 
interesse della PFE, ricorrente principale, alla coltivazione dell�impugnativa, giacch� quest�ultima 
non avrebbe soddisfatto i requisiti di ammissione alla gara d�appalto e, di conseguenza, 
avrebbe dovuto essere esclusa dal procedimento di aggiudicazione. Il Tribunale 
amministrativo regionale per la Sicilia ha esaminato gli argomenti delle due parti e ha 
accolto i due ricorsi. A seguito di tale decisione la Airgest, quale amministrazione aggiudicatrice, 
ha escluso le due ricorrenti nonch� tutti gli altri offerenti inizialmente inseriti 
nella graduatoria, a causa dell�inidoneit� delle rispettive offerte rispetto ai documenti di 
gara. Gli altri offerenti non avevano proposto ricorso avverso il provvedimento di aggiudicazione 
dell�appalto. � stata allora indetta una nuova procedura, negoziata, di attribuzione 
dell�appalto in parola. 
15 La PFE ha impugnato tale sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Sicilia 
dinanzi al Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione siciliana. Quanto alla GSA, 
essa ha interposto appello incidentale dinanzi a quest�ultimo organo giurisdizionale, adducendo, 
segnatamente, che il Tribunale amministrativo regionale per la Sicilia, procedendo 
alla disamina dei motivi dedotti nel ricorso principale, aveva disatteso i principi 
relativi all�ordine di esame dei ricorsi enunciati dalla sentenza del 7 aprile 2011, n. 4, 
dell�adunanza plenaria del Consiglio di Stato. Secondo detta sentenza, in caso di ricorso 
incidentale volto a contestare l�ammissibilit� del ricorso principale, il ricorso incidentale 
deve essere valutato prioritariamente, prima del ricorso principale. Nell�ordinamento giuridico 
nazionale un siffatto ricorso incidentale � qualificato come �escludente� o �paralizzante
� poich�, qualora ne constati la fondatezza, il giudice adito deve dichiarare 
inammissibile il ricorso principale senza esaminarlo nel merito. 
16 Il giudice del rinvio osserva che la Corte, nella sentenza Fastweb (C.100/12, 
EU:C:2013:448), pronunciata successivamente alla menzionata sentenza dell�adunanza 
plenaria del Consiglio di Stato, ha giudicato che l�articolo 1, paragrafo 3, della direttiva 
89/665 deve essere interpretato nel senso che osta ai principi, stabiliti da detta ultima sentenza, 
riportati al punto precedente della presente sentenza. La causa all�origine della sentenza 
Fastweb (C.100/12, EU:C:2013:448) riguardava due offerenti che erano stati 
selezionati dall�amministrazione aggiudicatrice e invitati a presentare delle offerte. A seguito 
del ricorso proposto dall�offerente la cui offerta non era stata prescelta, l�aggiudicatario 
aveva presentato un ricorso incidentale, con il quale faceva valere che l�offerta 
che non era stata prescelta avrebbe dovuto essere esclusa in quanto non rispettava uno 
dei requisiti minimi previsti dal piano di fabbisogni. 
17 Il giudice del rinvio si chiede, in primo luogo, se l�interpretazione fornita dalla Corte 
nella sentenza Fastweb (C.100/12, EU:C:2013:448) valga anche nella fattispecie in discussione, 
considerato che, nella causa all�origine della citata sentenza, le imprese parte-
CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 39 
cipanti alla gara erano solo due ed entrambe si trovavano portatrici di interessi contrapposti 
nel contesto del ricorso principale per annullamento presentato dall�impresa la cui 
offerta non era stata prescelta e del ricorso incidentale presentato dall�aggiudicatario, 
mentre, nel procedimento principale di cui alla presente fattispecie, le imprese partecipanti 
sono pi� di due, anche se soltanto due fra loro hanno proposto ricorso. 
18 In secondo luogo, il giudice del rinvio rileva che, conformemente all�articolo 1, paragrafo 
2, del decreto legislativo del 24 dicembre 2003, n. 373 - Norme di attuazione dello Statuto 
speciale della Regione siciliana concernenti l�esercizio nella regione delle funzioni spettanti 
al Consiglio di Stato, esso costituisce una sezione del Consiglio di Stato e che, in 
quanto tale, � un giudice nazionale avverso le cui decisioni non pu� proporsi un ricorso 
giurisdizionale di diritto interno ai sensi dell�articolo 267, terzo comma, TFUE. Orbene, 
in ragione della norma processuale ex articolo 99, paragrafo 3, del codice del processo 
amministrativo, esso sarebbe tenuto ad applicare i principi di diritto enunciati dall�adunanza 
plenaria del Consiglio di Stato, anche sulle questioni afferenti all�interpretazione 
e all�applicazione del diritto dell�Unione, fatta salva la facolt� della sezione, quando intenda 
discostarsi da detti principi, di rimettere le questioni in discussione all�adunanza 
plenaria onde sollecitare un revirement della sua giurisprudenza. 
19 Il giudice del rinvio, a tale riguardo, pone in rilievo i contrasti fra la sentenza n. 4 dell�adunanza 
plenaria del Consiglio di Stato, del 7 aprile 2011, e la sentenza Fastweb (C.100/12, 
EU:C:2013:448) per affermare che, nell�ipotesi in cui il vincolo procedurale descritto al 
punto precedente si applicasse parimenti alle questioni attinenti al diritto dell�Unione, il 
medesimo sarebbe incompatibile con il principio di competenza esclusiva della Corte in 
materia di interpretazione del diritto dell�Unione e con l�obbligo incombente a ogni organo 
giurisdizionale di ultima istanza degli Stati membri di adire la Corte ai fini di una pronuncia 
pregiudiziale, quando siano sollevate questioni di interpretazione di tale diritto. 
20 Alla luce delle suesposte considerazioni, il Consiglio di giustizia amministrativa per la 
Regione siciliana ha deciso di sospendere il giudizio e di sottoporre alla Corte le seguenti 
questioni pregiudiziali: 
�1) Se i principi dichiarati dalla [Corte di giustizia] con la sentenza [Fastweb (C.100/12, 
EU:C:2013:448)], con riferimento alla specifica ipotesi, oggetto di quel rinvio pregiudiziale, 
in cui due soltanto erano le imprese partecipanti a una procedura di affidamento di 
appalti pubblici, siano anche applicabili, in ragione di un sostanziale isomorfismo della 
fattispecie contenziosa, anche nel caso sottoposto al vaglio di questo Consiglio in cui le 
imprese partecipanti alla procedura di gara, sebbene ammesse in numero maggiore di 
due, siano state tutte escluse dalla stazione appaltante, senza che risulti l�intervenuta impugnazione 
di detta esclusione da parte di imprese diverse da quelle coinvolte nel presente 
giudizio, di guisa che la controversia che ora occupa questo Consiglio risulta di fatto circoscritta 
soltanto a due imprese; 
2) se, limitatamente alle questioni suscettibili di essere decise mediante l�applicazione 
del diritto dell�Unione europea, osti con l�interpretazione di detto diritto e, segnatamente 
con l�articolo 267 TFUE, l�articolo 99, comma 3, [codice del processo amministrativo], 
nella parte in cui tale disposizione processuale stabilisce la vincolativit�, per tutte le Sezioni 
e i Collegi del Consiglio di Stato, di ogni principio di diritto enunciato dall�adunanza 
plenaria, anche laddove consti in modo preclaro che detta adunanza abbia affermato, o 
possa aver affermato, un principio contrastante o incompatibile con il diritto dell�Unione 
europea; e, in particolare,
40 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2016 
� se la Sezione o il Collegio del Consiglio di Stato investiti della trattazione della 
causa, laddove dubitino della conformit� o compatibilit� con il diritto dell�Unione europea 
di un principio di diritto gi� enunciato dall�adunanza plenaria, siano tenuti a rimettere a 
quest�ultima, con ordinanza motivata, la decisione del ricorso, in ipotesi ancor prima di 
poter effettuare un rinvio pregiudiziale alla [Corte di giustizia] per accertare la conformit� 
e compatibilit� europea del principio di diritto controverso, ovvero se invece la Sezione 
o il Collegio del Consiglio di Stato possano, o piuttosto debbano, in quanto giudici nazionali 
di ultima istanza, sollevare autonomamente, quali giudici comuni del diritto dell�Unione 
europea, una questione pregiudiziale alla [Corte di giustizia] per la corretta 
interpretazione del diritto dell�Unione europea; 
� se - nell�ipotesi in cui la risposta alla domanda posta nel precedente [trattino] fosse 
nel senso di riconoscere a ogni Sezione e Collegio del Consiglio di Stato il potere/dovere 
di sollevare direttamente questioni pregiudiziali davanti alla [Corte di giustizia] ovvero, 
in ogni caso in cui la [Corte di giustizia] si sia comunque espressa, viepi� se successivamente 
all�adunanza plenaria del Consiglio di Stato, affermando la sussistenza di una difformit�, 
o di una non completa conformit�, tra la corretta interpretazione del diritto 
dell�Unione europea e il principio di diritto interno enunciato dall�adunanza plenaria � 
ogni Sezione e ogni Collegio del Consiglio di Stato, quali giudici comuni di ultima istanza 
del diritto dell�Unione europea possano o debbano dare immediata applicazione alla corretta 
interpretazione del diritto dell�Unione europea per come interpretato dalla [Corte di 
giustizia] o se, invece, anche in tali casi siano tenuti a rimettere, con ordinanza motivata, 
la decisione del ricorso all�adunanza plenaria, con l�effetto di demandare all�esclusiva 
valutazione di quest�ultima, e alla sua discrezionalit� giurisdizionale, l�applicazione del 
diritto dell�Unione europea, gi� vincolativamente dichiarato dalla [Corte di giustizia]; 
� se, infine, un�esegesi del sistema processuale amministrativo della Repubblica italiana 
nel senso di rimandare all�esclusiva valutazione dell�adunanza plenaria l�eventuale 
decisione in ordine al rinvio pregiudiziale alla [Corte di giustizia] - ovvero anche soltanto 
la definizione della causa, allorch� questa direttamente consegua all�applicazione di principi 
di diritto eurounitario gi� declinati dalla [Corte di giustizia] - non sia di ostacolo, oltre 
che con i principi di ragionevole durata del giudizio e di rapida proposizione di un ricorso 
in materia di procedure di affidamento degli appalti pubblici, anche con l�esigenza che il 
diritto dell�Unione europea riceva piena e sollecita attuazione da ogni giudice di ciascuno 
Stato membro, in modo vincolativamente conforme alla sua corretta interpretazione siccome 
stabilita dalla [Corte di giustizia], anche ai fini della massima estensione dei principi 
del cd. �effetto utile� e del primato del diritto dell�Unione europea sul diritto (non solo sostanziale, 
ma anche processuale) interno del singolo Stato membro (nella specie: sull�articolo 
99, comma 3, del codice del processo amministrativo della Repubblica italiana)�. 
Sulla prima questione 
21 Con detta questione il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l�articolo 1, paragrafi 1, 
terzo comma, e 3, della direttiva 89/665, debba essere interpretato nel senso che osta a 
che un ricorso principale proposto da un offerente, il quale abbia interesse a ottenere l�aggiudicazione 
di un determinato appalto e che sia stato o rischi di essere leso a causa di 
una presunta violazione del diritto dell�Unione in materia di appalti pubblici o delle norme 
che recepiscono tale diritto, e diretto a ottenere l�esclusione di un altro offerente, sia dichiarato 
irricevibile in applicazione di norme processuali nazionali che prevedono l�esame 
prioritario del ricorso incidentale presentato da detto altro offerente.
CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 41 
22 Il giudice del rinvio desidera accertare, in particolare, se l�interpretazione dell�articolo 1, 
paragrafo 3, della direttiva 89/665 data dalla Corte nella sentenza Fastweb (C.100/12, 
EU:C:2013:448) si applichi nell�ipotesi in cui le imprese partecipanti alla procedura di gara 
controversa, sebbene ammesse inizialmente in numero maggiore di due, siano state tutte 
escluse dall�amministrazione aggiudicatrice senza che un ricorso sia stato proposto dalle 
imprese diverse da quelle - nel numero di due . coinvolte nel procedimento principale. 
23 Al riguardo � d�uopo ricordare che, secondo le disposizioni dell�articolo 1, paragrafi 1, terzo 
comma, e 3, della menzionata direttiva, affinch� i ricorsi contro le decisioni adottate da 
un�amministrazione aggiudicatrice possano essere considerati efficaci, devono essere accessibili 
per lo meno a chiunque abbia o abbia avuto interesse a ottenere l�aggiudicazione di un 
determinato appalto e sia stato o rischi di essere leso a causa di una presunta violazione. 
24 Al punto 33 della sentenza Fastweb (C.100/12, EU:C:2013:448) la Corte ha considerato 
che il ricorso incidentale dell�aggiudicatario non pu� comportare il rigetto del ricorso di 
un offerente escluso nell�ipotesi in cui la legittimit� dell�offerta di entrambi gli operatori 
venga contestata nell�ambito del medesimo procedimento, in quanto in una situazione 
del genere ciascuno dei concorrenti pu� far valere un analogo interesse legittimo all�esclusione 
dell�offerta degli altri, che pu� indurre l�amministrazione aggiudicatrice a constatare 
l�impossibilit� di procedere alla scelta di un�offerta regolare. 
25 Al punto 34 della succitata sentenza la Corte ha pertanto interpretato l�articolo 1, paragrafo 
3, della direttiva 89/665 nel senso che tale disposizione osta a che il ricorso di un offerente 
la cui offerta non � stata prescelta sia dichiarato inammissibile in conseguenza dell�esame 
preliminare dell�eccezione di inammissibilit� sollevata nell�ambito del ricorso incidentale 
dell�aggiudicatario, senza che ci si pronunci sulla conformit� delle due offerte in discussione 
con le specifiche tecniche indicate nel piano di fabbisogni. 
26 La sentenza in parola costituisce una concretizzazione dei requisiti posti dalle disposizioni 
del diritto dell�Unione citate al punto 23 della presente sentenza, in circostanze nelle quali, 
a seguito di una procedura di aggiudicazione di un appalto pubblico, due offerenti presentano 
ricorsi diretti ad ottenere la reciproca esclusione. 
27 In una situazione siffatta ciascuno dei due offerenti ha interesse a ottenere l�aggiudicazione 
di un determinato appalto. Da un lato, infatti, l�esclusione di un offerente pu� far s� che 
l�altro ottenga l�appalto direttamente nell�ambito della stessa procedura. D�altro lato, nell�ipotesi 
di un�esclusione di entrambi gli offerenti e dell�indizione di una nuova procedura 
di aggiudicazione di un appalto pubblico, ciascuno degli offerenti potrebbe parteciparvi 
e, quindi, ottenere indirettamente l�appalto. 
28 L�interpretazione, ricordata ai punti 24 e 25 della presente sentenza, formulata dalla Corte 
nella sentenza Fastweb (C.100/12, EU:C:2013:448) � applicabile in un contesto come 
quello del procedimento principale. Da un lato, infatti, ciascuna delle parti della controversia 
ha un analogo interesse legittimo all�esclusione dell�offerta degli altri concorrenti. 
D�altro lato, come rilevato dall�avvocato generale al paragrafo 37 delle sue conclusioni, 
non � escluso che una delle irregolarit� che giustificano l�esclusione tanto dell�offerta 
dell�aggiudicatario quanto di quella dell�offerente che contesta il provvedimento di aggiudicazione 
dell�amministrazione aggiudicatrice vizi parimenti le altre offerte presentate 
nell�ambito della gara d�appalto, circostanza che potrebbe comportare la necessit� per 
tale amministrazione di avviare una nuova procedura. (C.100/12, EU:C:2013:448). 
30 Tenuto conto delle suesposte considerazioni, occorre rispondere alla prima questione sottoposta 
dichiarando che l�articolo 1, paragrafi 1, terzo comma, e 3, della direttiva 89/665
42 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2016 
deve essere interpretato nel senso che osta a che un ricorso principale proposto da un offerente, 
il quale abbia interesse a ottenere l�aggiudicazione di un determinato appalto e 
che sia stato o rischi di essere leso a causa di una presunta violazione del diritto dell�Unione 
in materia di appalti pubblici o delle norme che traspongono tale diritto, e diretto 
a ottenere l�esclusione di un altro offerente, sia dichiarato irricevibile in applicazione di 
norme processuali nazionali che prevedono l�esame prioritario del ricorso incidentale presentato 
da detto altro offerente. 
Sulla seconda questione 
Sulla prima parte 
31 Con la prima parte della seconda questione il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se 
l�articolo 267 TFUE debba essere interpretato nel senso che osta ad una disposizione di 
diritto nazionale nei limiti in cui quest�ultima sia interpretata nel senso che, relativamente 
a una questione vertente sull�interpretazione o della validit� del diritto dell�Unione, una 
sezione di un organo giurisdizionale di ultima istanza, qualora non condivida l�orientamento 
definito da una decisione dell�adunanza plenaria di tale organo, � tenuta a rinviare 
la questione all�adunanza plenaria e non pu� pertanto adire la Corte ai fini di una pronuncia 
in via pregiudiziale. 
32 Come ripetutamente dichiarato dalla Corte, i giudici nazionali hanno la pi� ampia facolt� 
di sottoporre alla Corte una questione di interpretazione delle disposizioni pertinenti del 
diritto dell�Unione (v., in tal senso, sentenza Rheinm�hlen-D�sseldorf, 166/73, 
EU:C:1974:3, punto 3), laddove tale facolt� si trasforma in obbligo per i giudici che decidono 
in ultima istanza, fatte salve le eccezioni riconosciute dalla giurisprudenza della 
Corte (v., in tal senso, sentenza Cilfit e a., 283/81, EU:C:1982:335, punto 21 e dispositivo). 
Una norma di diritto nazionale non pu� impedire a un organo giurisdizionale nazionale, 
a seconda del caso, di avvalersi della facolt� di cui trattasi (v., in tal senso, 
sentenze Rheinm�hlen-D�sseldorf, 166/73, EU:C:1974:3, punto 4; Melki e Abdeli, 
C.188/10 e C.189/10, EU:C:2010:363, punto 42, nonch� Elchinov, C.173/09, 
EU:C:2010:581, punto 27) o di conformarsi a suddetto obbligo. 
33 Tanto detta facolt� quanto detto obbligo sono, difatti, inerenti al sistema di cooperazione 
fra gli organi giurisdizionali nazionali e la Corte, instaurato dall�articolo 267 TFUE, e 
alle funzioni di giudice incaricato dell�applicazione del diritto dell�Unione affidate dalla 
citata disposizione agli organi giurisdizionali nazionali. 
34 Di conseguenza, qualora un organo giurisdizionale nazionale investito di una controversia 
ritenga che, nell�ambito della medesima, sia sollevata una questione vertente sull�interpretazione 
o sulla validit� del diritto dell�Unione, ha la facolt� o l�obbligo, a seconda del 
caso, di adire la Corte in via pregiudiziale, senza che detta facolt� o detto obbligo possano 
essere ostacolati da norme nazionali di natura legislativa o giurisprudenziale. 
35 Nel caso di specie, una disposizione di diritto nazionale non pu� impedire a una sezione di un 
organo giurisdizionale di ultima istanza, la quale debba affrontare una questione di interpretazione 
della direttiva 89/665, di rivolgersi alla Corte affinch� si pronunci in via pregiudiziale. 
36 Tenuto conto del complesso delle suesposte considerazioni occorre rispondere alla prima 
parte della seconda questione dichiarando che l�articolo 267 TFUE deve essere interpretato 
nel senso che osta a una disposizione di diritto nazionale nei limiti in cui quest�ultima 
sia interpretata nel senso che, relativamente a una questione vertente sull�interpretazione 
o sulla validit� del diritto dell�Unione, una sezione di un organo giurisdizionale di ultima 
istanza, qualora non condivida l�orientamento definito da una decisione dell�adunanza
CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 43 
plenaria di tale organo giurisdizionale, � tenuta a rinviare la questione all�adunanza plenaria 
e non pu� pertanto adire la Corte ai fini di una pronuncia in via pregiudiziale. 
Sulla seconda e sulla terza parte 
37 Con la seconda e la terza parte della seconda questione, che occorre esaminare congiuntamente, 
il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l�articolo 267 TFUE debba essere 
interpretato nel senso che, dopo aver ricevuto la risposta della Corte ad una questione di 
interpretazione del diritto dell�Unione dal medesimo sottopostale, o allorch� la giurisprudenza 
della Corte ha gi� fornito una risposta chiara alla suddetta questione, detto giudice 
del rinvio debba esso stesso fare tutto il necessario affinch� sia applicata tale interpretazione 
del diritto dell�Unione. 
38 In proposito � d�uopo ricordare che una sentenza con la quale la Corte si pronunzia in via 
pregiudiziale vincola il giudice nazionale, per quanto concerne l�interpretazione o la validit� 
degli atti delle istituzioni dell�Unione in questione, per la definizione della controversia 
principale (v. sentenza Elchinov, C.173/09, EU:C:2010:581, punto 29 e 
giurisprudenza citata). Di conseguenza, il giudice nazionale che abbia assolto, quale giudice 
di ultima istanza, il suo obbligo di rinvio pregiudiziale alla Corte a titolo dell�articolo 
267, terzo comma, TFUE, � vincolato, ai fini della soluzione della controversia principale, 
dall�interpretazione delle disposizioni in questione fornita dalla Corte e deve eventualmente 
discostarsi dalla giurisprudenza nazionale che ritenga non conforme al diritto dell�Unione 
(v., in tal senso, sentenza Elchinov, C.173/09, EU:C:2010:581, punto 30). 
39 Va del pari ricordato che l�effetto utile dell�articolo 267 TFUE sarebbe attenuato se al 
giudice nazionale fosse impedito di applicare, immediatamente, il diritto dell�Unione in 
modo conforme ad una pronuncia o alla giurisprudenza della Corte (v., in tal senso, sentenza 
Simmenthal, 106/77, EU:C:1978:49, punto 20). 
40 Il giudice nazionale incaricato di applicare, nell�ambito della propria competenza, le 
norme del diritto dell�Unione ha l�obbligo di garantire la piena efficacia di tali norme, 
disapplicando all�occorrenza, di propria iniziativa, qualsiasi contraria disposizione della 
legislazione nazionale, anche posteriore, senza doverne chiedere o attendere la previa rimozione 
in via legislativa o mediante qualsiasi altro procedimento costituzionale (v., in 
primo luogo, sentenze Simmenthal, 106/77, EU:C:1978:49, punti 21 e 24 e, da ultimo, 
A, C.112/13, EU:C:2014:2195, punto 36 nonch� la giurisprudenza ivi citata). 
41 Sarebbe difatti incompatibile con gli obblighi che derivano dalla natura stessa del diritto 
dell�Unione qualsiasi disposizione di un ordinamento giuridico nazionale o qualsiasi 
prassi, legislativa, amministrativa o giudiziaria, la quale porti ad una riduzione dell�efficacia 
del diritto dell�Unione per il fatto di negare al giudice competente ad applicare questo 
diritto il potere di compiere, all�atto stesso di tale applicazione, tutto quanto � 
necessario per disapplicare le disposizioni legislative nazionali che eventualmente ostino 
alla piena efficacia delle norme dell�Unione (v. sentenze Simmenthal, EU:C:1978:49, 
punto 22, A, C.112/13, EU:C:2014:2195, punto 37 e giurisprudenza ivi citata). 
42 Tenuto conto delle suesposte considerazioni, occorre rispondere alla seconda e terza parte 
della seconda questione dichiarando che l�articolo 267 TFUE deve essere interpretato nel 
senso che, dopo aver ricevuto la risposta della Corte ad una questione vertente sull�interpretazione 
del diritto dell�Unione da essa sottopostale, o allorch� la giurisprudenza della 
Corte ha gi� fornito una risposta chiara alla suddetta questione, una sezione di un organo 
giurisdizionale di ultima istanza deve essa stessa fare tutto il necessario affinch� sia applicata 
tale interpretazione del diritto dell�Unione.
44 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2016 
Sulle spese 
43 Nei confronti delle parti nel procedimento principale la presente causa costituisce un incidente 
sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le 
spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar 
luogo a rifusione. 
Per questi motivi, la Corte (Grande Sezione) dichiara: 
1) L�articolo 1, paragrafi 1, terzo comma, e 3, della direttiva 89/665/CEE del Consiglio, 
del 21 dicembre 1989, che coordina le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative 
relative all�applicazione delle procedure di ricorso in materia di aggiudicazione 
degli appalti pubblici di forniture e di lavori, come modificata dalla 
direttiva 2007/66/CE del Parlamento europeo e del Consiglio dell�11 dicembre 2007, 
deve essere interpretato nel senso che osta a che un ricorso principale proposto da 
un offerente, il quale abbia interesse a ottenere l�aggiudicazione di un determinato 
appalto e che sia stato o rischi di essere leso a causa di una presunta violazione del 
diritto dell�Unione in materia di appalti pubblici o delle norme che traspongono tale 
diritto, e diretto a ottenere l�esclusione di un altro offerente, sia dichiarato irricevibile 
in applicazione di norme processuali nazionali che prevedono l�esame prioritario 
del ricorso incidentale presentato da detto altro offerente. 
2) L�articolo 267 TFUE deve essere interpretato nel senso che osta a una disposizione 
di diritto nazionale nei limiti in cui quest�ultima sia interpretata nel senso che, relativamente 
a una questione vertente sull�interpretazione o sulla validit� del diritto 
dell�Unione, una sezione di un organo giurisdizionale di ultima istanza, qualora non 
condivida l�orientamento definito da una decisione dell�adunanza plenaria di tale 
organo, � tenuta a rinviare la questione all�adunanza plenaria e non pu� pertanto 
adire la Corte ai fini di una pronuncia in via pregiudiziale. 
3) L�articolo 267 TFUE deve essere interpretato nel senso che, dopo aver ricevuto la 
risposta della Corte di giustizia dell�Unione europea ad una questione vertente sull�interpretazione 
del diritto dell�Unione da essa sottopostale, o allorch� la giurisprudenza 
della Corte di giustizia dell�Unione europea ha gi� fornito una risposta chiara 
alla suddetta questione, una sezione di un organo giurisdizionale di ultima istanza 
deve essa stessa fare tutto il necessario affinch� sia applicata tale interpretazione del 
diritto dell�Unione.
CONTENZIOSO NAZIONALE 
Le confessioni religiose e lo Stato, 
sulle intese di cui all�art. 8, co. 3, Cost. 
CORTE COSTITUZIONALE, SENTENZA 10 MARZO 2016 N. 52 
Con la sentenza n. 52 del 10 marzo 2016 la Corte Costituzionale, in accoglimento 
del ricorso per conflitto proposto dall�Avvocatura generale dello 
Stato contro le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, ha statuito quanto 
segue �dichiara che non spettava alla Corte di cassazione affermare la sindacabilit� 
in sede giurisdizionale della delibera con cui il Consiglio dei ministri 
ha negato all�Unione degli Atei e degli Agnostici Razionalisti l�apertura 
delle trattative per la stipulazione dell�intesa di cui all�art. 8, terzo comma, 
della Costituzione e, per l�effetto, annulla la sentenza della Corte di cassazione, 
sezioni unite civili, 28 giugno 2013, n. 16305 �. 
Si pubblicano il testo del ricorso ed il testo della memoria depositata in 
vista dell�udienza di discussione. 
Avvocatura Generale dello Stato 
CT 8073/04 Avv. G. Palatiello
ECC.MA CORTE COSTITUZIONALE 
RICORSO 
del Presidente del Consiglio dei Ministri (C.F. 80188230587) e del Consiglio dei Ministri, in 
persona del Presidente in carica, entrambi rappresentati e difesi dall�Avvocatura Generale 
dello Stato, PEC roma@mailcert.avvocaturastato.it, presso i cui uffici ex lege sono domiciliati 
in Roma alla Via dei Portoghesi n. 12; 
avente ad oggetto 
conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato 
nei confronti della Corte Suprema di Cassazione � Sezioni Unite Civili in relazione alla sentenza 
n. 16305/13 in data 12 marzo/28 giugno 2013 (doc. 4). con la quale � stato respinto il 
ricorso per motivi attinenti alla giurisdizione proposto dalla scrivente difesa erariale nell�in-
46 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2016 
teresse del Governo avverso la decisione del Consiglio di Stato, Sezione Quarta, n. 6083/2011 
che, in riforma della favorevole sentenza del TAR (recante declaratoria di inammissibilit� del 
ricorso introduttivo per difetto assoluto di giurisdizione ex art. 31 del R.D. n. 1054/1924, ora 
art. 7, co. 1, ultimo periodo del D.Lgs. n. 104/10), aveva affermato la sindacabilit�, ad opera 
del giudice amministrativo, della deliberazione del Consiglio dei Ministri di non avviare le 
trattative per la stipula dell�intesa ex art. 8, co. 3, Cost. 
FATTO 
Con il ricorso dinanzi al Tar per il Lazio, sede di Roma, notificato il 3 febbraio 2004, depositato 
il successivo 19 febbraio ed iscritto al n. 1762/2004 di R.G., l�Unione degli Atei e degli Agnostici 
Razionalisti (d�ora in poi UAAR), associazione non riconosciuta di �atei ed agnostici� 
costituita con atto notarile del 13 marzo 1991, ha chiesto l�annullamento della delibera del 
Consiglio dei Ministri in data 27 novembre 2003 (e della conseguente nota del Sottosegretario 
di Stato alla Presidenza del Consiglio in data 5 dicembre 2003), con la quale il Governo, recependo 
e facendo proprio il parere reso dall�Avvocatura Generale dello Stato, ha deciso di 
non avviare le trattative finalizzate alla conclusione dell�intesa ai sensi dell�art. 8, comma 3, 
della Costituzione, ritenendo, in sostanza, che la professione dell�ateismo non possa essere 
assimilata ad una �confessione religiosa� nell�accezione recepita dal legislatore costituente. 
In particolare nell�estratto del verbale della riunione del Consiglio dei Ministri del 27 novembre 
2003 (doc. 1) si legge testualmente quanto segue: �in merito alla richiesta avanzata dall�Unione 
degli atei e degli agnostici razionalisti, il Consiglio dei Ministri - nel condividere il 
parere espresso dall�Avvocatura generale dello Stato - si pronuncia collegialmente per il diniego 
all�avvio delle procedure finalizzate alla conclusione di un�intesa ai sensi dell�articolo 
8 della Costituzione�. 
OMISSIS 
IL PRESIDENTE: BERLUSCONI 
IL SEGRETARIO: LETTA� 
Con sentenza n. 12359/08 depositata il 31 dicembre 2008 (doc. 2), il TAR per il Lazio, sezione 
I, nel condividere l�eccezione pregiudiziale formulata dall�Avvocatura dello Stato, ha dichiarato 
il ricorso inammissibile per difetto assoluto di giurisdizione ai sensi dell�art. 31 r.d. 26 
giugno 1924, n. 1054 ritenendo che la determinazione impugnata rivestisse natura di atto politico 
�non giustiziabile�. 
L�UAAR si � appellata al Consiglio di Stato che, con la decisione della Sez. IV, n. 6083/11, 
depositata il 18 novembre 2011 (doc. 3), ha accolto il gravame e, per l�effetto, in integrale riforma 
della sentenza del TAR, ha affermato la giurisdizione del giudice amministrativo nella 
controversia, rimettendo le parti dinanzi al primo giudice ex art. 105 c.p.a. 
Secondo il Consiglio di Stato, �l�organizzazione richiedente� sarebbe titolare di un interesse 
giuridicamente rilevante ad essere qualificata come confessione religiosa; �l�accertamento 
preliminare se l�organizzazione richiedente sia o meno riconducibile alla categoria delle confessioni 
religiose� costituirebbe mera espressione di discrezionalit� tecnica della P.A. e, pertanto, 
sarebbe sindacabile dal giudice amministrativo in sede di giurisdizione generale di 
legittimit�; �di conseguenza, quanto meno l�avvio delle trattative pu� addirittura considerarsi 
obbligatorio sol che si possa pervenire a un giudizio di qualificabilit� del soggetto istante 
come confessione religiosa, salva restando da un lato la facolt� di non stipulare l�intesa all�esito 
delle trattative ovvero - come gi� detto - di non tradurre in legge l�intesa medesima, e 
dall�altro lato la possibilit�, nell�esercizio della discrezionalit� tecnica cui si � accennato, di 
escludere motivatamente che il soggetto interessante presenti le caratteristiche che le con-
CONTENZIOSO NAZIONALE 47 
sentirebbero di rientrare fra le �confessioni religiose� (ci� che, del resto, � quanto avvenuto 
proprio nel caso di specie)� (cfr. punti 8 e 9 della motivazione). 
Con ricorso notificato il 9 febbraio 2012, UAAR ha riassunto il giudizio dinanzi al TAR. 
Con ricorso straordinario ex art. 111, u.c., Cost., notificato il 26/27 marzo 2013, l�Avvocatura 
Generale dello Stato nella veste ut supra ha impugnato dinanzi alle Sezioni Unite della Corte 
di Cassazione la predetta decisione del Consiglio di Stato deducendo, con un unico, articolato, 
motivo (rubricato �Violazione e/o falsa applicazione dell�art. 31 r.d. 26 giugno 1924, n. 1054 
(ora art. 7, co. 1, ultimo periodo, d.lgs 2 luglio 2010 n. 104), in relazione agli artt. 111, u.c., 
Cost., 110 d.lgs n. 104/2010 e 362, co. 1, cpc. Inammissibilit� dell�originario ricorso di prime 
cure per difetto assoluto di giurisdizione� ) che, contrariamente a quanto opinato dal giudice 
amministrativo d�appello, il rifiuto, da parte del Governo, di avviare le trattative per la conclusione 
dell�intesa ex art. 8, co. 3, Cost. rientra nel novero degli �atti politici� assolutamente 
insindacabili in sede giurisdizionale ai sensi dell�art. 31 r.d. n. 1054/1924 (e oggi art. 7, comma 
1, ultimo periodo, c.p.a. di cui al D.lgs. 2 luglio 2010, n. 104). 
Con sentenza n. 16305/13, depositata il 28 giugno 2013 (doc. 4), le Sezioni Unite civili della 
Corte di Cassazione hanno respinto il ricorso del Governo, ritenendo che �l�assenza di normazione 
specifica non � di per s� un impedimento a contrastare in sede giurisdizionale il rifiuto 
di intesa che sia fondato sul mancato riconoscimento, in capo al richiedente, della natura 
di confessione religiosa�. 
Sarebbe, dunque, �nel giusto� la sentenza del Consiglio di Stato �quando sostiene che rientra 
tutt�al pi� nell�ambito della discrezionalit� tecnica l�accertamento preliminare relativo alla 
qualificazione dell�istante come confessione religiosa�. 
Poste tali premesse, le Sezioni Unite Civili hanno quindi statuito che qualsiasi soggetto istante 
sarebbe portatore di una pretesa costituzionalmente tutelata (e quindi azionabile in giudizio) 
all�apertura delle trattative per la stipula dell�intesa di cui all�art. 8, comma 3, Cost. e all�implicito 
riconoscimento della qualit� di confessione religiosa; sicch� il Governo avrebbe l�obbligo 
giuridico di avviare le trattative ex art. 8, co. 3, cit. per il solo fatto che una qualsiasi 
associazione (o organizzazione) lo richieda. 
L�apertura della trattativa per la conclusione dell�intesa ex art. 8, comma 3, Cost. sarebbe in 
ogni caso doverosa per il Governo, a prescindere dalle evenienze suscettibili di verificarsi nel 
prosieguo dell�iter legislativo. 
A giudizio della S.C. andrebbe, infatti, �ribadita la distinzione: l'apertura della trattativa � 
dovuta in relazione alla possibile intesa, disciplinata, nel procedimento, secondo i canoni 
dell'attivit� amministrativa; la legge di approvazione segue le regole e le possibili vicende, 
ordinarie o conflittuali, proprie degli atti di normazione. 
La Corte di Cassazione non deve e non vuole pronunciarsi sulla esistenza di un diritto alla 
chiusura della trattativa o all'esercizio dell'azione legislativa: esula dall'ambito decisionale 
che � qui configurato. 
Per la decisione della causa � sufficiente stabilire che le variabili fattuali della seconda fase 
non incidono sulla natura della situazione giuridica che sta alla base della bilateralit� pattizia 
voluta dal costituente. Negare la sindacabilit� del diniego di apertura della trattativa per il 
fatto che questa � inserita nel procedimento legislativo significa privare il soggetto istante di 
tutela e aprire la strada, come ha indicato il C.d.S., a una discrezionalit� foriera di discriminazioni� 
(v. pag. 10 della motivazione). 
Con sentenza n. 7068/14 depositata il 3 luglio 2014 (doc. 6), non notificata, il TAR per il 
Lazio, Roma, sezione I - ritenendo la propria giurisdizione in ossequio a quanto statuito dalle
48 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2016 
Sezioni Unite della Corte di Cassazione - ha respinto il ricorso nel merito, escludendo che 
UAAR possa essere qualificata come confessione religiosa (cfr. punto 4.4. della motivazione). 
Cionondimeno, il Governo non ritiene di poter condividere i principi affermati dalle Sezioni 
Unite civili della Corte Suprema di Cassazione in quanto, a norma degli artt. 8, co. 3, 92 e 95 
Cost. e dell�art. 2, co. 3, lett. l) della Legge n. 400/1988, il rifiuto di avviare le trattative finalizzate 
alla conclusione dell�intesa ex art. 8, comma 3, Cost. (a prescindere dalle ragioni addotte 
a sostegno del diniego) � un �atto politico� ex art. 31 del R.D. n. 1054/1924, ora art. 7, 
co. 1, ultimo periodo del D.Lgs. n. 104/10, un atto, cio�, palesemente estraneo alla funzione 
amministrativa, costituente, invece, espressione della funzione di indirizzo politico che la Costituzione 
repubblicana attribuisce al Governo medesimo nella materia religiosa (cfr. artt. 7, 
8, co. 3, 92 e 95 Cost.). 
Giusta deliberazione del Consiglio dei Ministri in data 31 luglio 2014, (doc. 5), l�Avvocatura 
Generale dello Stato eleva, pertanto, con il presente ricorso, conflitto ai sensi degli artt. 37 e 
seguenti della legge 11 marzo 1953, n. 87, per violazione degli articoli 8, comma 3, 92 e 95 
della Costituzione e delle conferenti disposizioni di legge ordinaria che ne costituiscono attuazione 
(art. 2, co. 3, lett. l) della Legge n. 400/1988, nonch� l� art. 31 del R.D. n. 1054/1924, 
ora art. 7, co. 1, ultimo periodo del D.Lgs. n. 104/10). 
DIRITTO 
1. Sull�ammissibilit� del ricorso. 
1.1. Sotto il profilo soggettivo. 
Pacifica � la competenza del Presidente del Consiglio dei Ministri a dichiarare definitivamente 
la volont� del potere esecutivo cui egli appartiene ex art. 92, comma primo Cost. (cfr., ex plurimis, 
Corte Cost. ord. n. 25/1977). 
Nella fattispecie, poi, il rifiuto di avviare le trattative finalizzate alla stipula dell�intesa ex art. 
8, comma 3, Cost., di cui si assume la assoluta insindacabilit� ad opera dei giudici comuni, � 
stato opposto (con deliberazione del 27 novembre 2003) dal Consiglio dei Ministri a cui sono, 
appunto, riservate, dalla legge ordinaria (cfr. art. 2, co. 3, lett. l) della Legge n. 400/1988), le 
determinazioni sulle intese di cui all�art. 8, comma 3, Cost. 
Ne consegue la spettanza della qualificazione di potere dello Stato in capo al Consiglio dei 
Ministri ed al suo Presidente, entrambi ricorrenti. 
Sul versante della legittimazione passiva, le Sezioni Unite civili della Corte Suprema di Cassazione 
- che, come avvenuto nella specie, si siano pronunciate sulla giurisdizione a seguito 
di ricorso straordinario ex art. 111, u.c., Cost. - sono indubitabilmente competenti a dichiarare 
in via definitiva la volont� del potere giudiziario, tenuto conto della c.d. �efficacia pan processuale� 
che assiste questo tipo di pronunce, in grado di vincolare tutti i giudici comuni anche 
in altro processo (cfr., ex plurimis, Cass. S.U. 13768/05), come, peraltro, oggi espressamente 
previsto dall�art. 59, comma primo, secondo periodo, della L. 69/2009. 
Di talch� anche la spettanza, in capo alle Sezioni Unite Civili della Corte Suprema di Cassazione, 
della qualificazione di potere dello Stato deve ritenersi del tutto pacifica. 
1.2. Sotto il profilo oggettivo. 
Le Sezioni Unite della S.C. - nello statuire, con la suindicata pronuncia n. 16305/13, la sindacabilit�, 
ad opera del giudice comune (nella specie individuato nel giudice amministrativo), 
del diniego, opposto dal Consiglio dei Ministri, all�avvio delle trattative per la stipula dell�intesa 
di cui all�art. 8, co. 3, Cost. - hanno illegittimamente esercitato il loro potere giurisdizionale, 
arrecando un grave vulnus, quantomeno sotto il profilo della sua menomazione, alla 
funzione di indirizzo politico, come tale assolutamente libera nel fine (e quindi insuscettibile
CONTENZIOSO NAZIONALE 49 
di controllo da parte dei giudici comuni ex art. 31 del R.D. n. 1054/1924, ora art. 7, co. 1, ultimo 
periodo del D.Lgs. n. 104/10), che la Costituzione assegna al Governo in materia religiosa 
(cfr. artt. 7, 8, co. 3, 92 e 95 Cost.). 
Non vi � dubbio, pertanto, che, anche sotto il profilo oggettivo, ricorrano i presupposti di cui 
all�art. 37 della legge n. 87/1953 citata. 
2. Nel merito: violazione degli articoli 8, comma 3, 92 e 95 della Costituzione e delle conferenti 
disposizioni di legge ordinaria che ne costituiscono attuazione (art. 2, co. 3, lett. l) 
della Legge n. 400/1988, nonch� l�art. 31 del R.D. n. 1054/1924, ora art. 7, co. 1, ultimo 
periodo del D.Lgs. n. 104/10). 
2.1. Come esposto nella parte in fatto, con la sentenza n. 16305 del 2013 le Sezioni Unite 
Civili della Suprema Corte di Cassazione hanno sostanzialmente ritenuto che la mera apertura 
della trattativa per la conclusione dell�intesa ex art. 8, comma 3, Cost. sarebbe in ogni caso 
doverosa per il Governo, a prescindere dalle evenienze suscettibili di verificarsi nel prosieguo 
dell�iter legislativo. 
A giudizio della S.C., infatti, la �possibile intesa� <<sarebbe: n.d.r.>> disciplinata, nel procedimento, 
secondo i canoni dell'attivit� amministrativa�. 
Da tale premessa, le Sezioni Unite hanno poi tratto la conseguenza che �l'apertura della trattativa� 
<<finalizzata alla possibile intesa: n.d.r.>> � dovuta� (cio� doverosa per il Governo 
sol che un qualsivoglia soggetto collettivo o organizzazione lo richieda); di contro, �(�..) la 
legge di approvazione segue le regole e le possibili vicende, ordinarie o conflittuali, proprie 
degli atti di normazione. 
Non vi sarebbe, poi, la necessit� di pronunciarsi in ordine all��esistenza di un diritto alla 
chiusura della trattativa o all'esercizio dell'azione legislativa�: tale questione, ad avviso della 
Corte di Cassazione, esulerebbe dall�ambito della decisione a cui era chiamata; e ci� in quanto, 
appunto, �le variabili fattuali della seconda fase <<id est: di quella fase successiva alla eventuale 
conclusione dell�intesa: n.d.r.>> non incidono sulla natura della situazione giuridica 
che sta alla base della bilateralit� pattizia voluta dal Costituente�, cio� sul preteso �diritto�, 
in capo al soggetto richiedente, all�apertura della trattativa per la conclusione dell�intesa ex 
art. 8 co. 3 Cost. 
Tali assunti non possono essere condivisi. 
Ed invero, l�art. 8, comma 3, Cost. (a mente del quale i rapporti delle confessioni religiose 
diverse dalla cattolica �con lo Stato sono regolati per legge sulla base di intese con le relative 
rappresentanze) � norma sulla produzione giuridica, cio� una norma sulle fonti, parallela a 
quella prevista dall�art. 7, comma 2, Cost. per le modifiche della legge di esecuzione dei Patti 
Lateranensi (Balladore Pallieri; Mortati; A. Rav�; d�Avack). 
Le intese ex art. 8 comma 3 della Cost. si inseriscono, costituendone un imprescindibile presupposto 
legittimante, nell�iter legislativo preordinato all�emanazione della legge regolatrice 
dei rapporti tra Stato e la confessione religiosa; e pertanto non possono che partecipare della 
stessa natura (di atto politico libero) che connota le successive fasi dell�iter legis: (si veda, al 
riguardo, Cass., S.U. n. 2439/2008 che ha dichiarato l�insindacabilit�, da parte dei giudici comuni, 
degli atti facenti parte dell�iter formativo di una legge regionale). 
Detto avviso � condiviso da autorevole dottrina, secondo cui �le intese, invero, sono dirette 
all�emanazione di una legge. Esse, perci�, non toccano la responsabilit� dell�amministrazione, 
bens� la responsabilit� politica del governo, organo competente, tra l�altro, a intrattenere rapporti 
con gli ordinamenti esterni allo Stato. Le intese non sono negozi che debbano essere valutati 
sotto il profilo della conformit� a preesistenti regole giuridiche o a princ�pi di buona
50 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2016 
amministrazione, come accadrebbe se fossero accordi stipulati a livello burocratico, ma sono 
accordi che devono essere valutati sotto il profilo dell�opportunit� politica e del rispetto della 
Costituzione� (FINOCCHIARO, �Diritto ecclesiastico�, Torino, 2003, 134; in termini analoghi 
CARDIA, �Manuale di diritto ecclesiastico�, 1996, 224, per il quale �l�Intesa ha un indubbio 
valore politico perch� investe la responsabilit� dell�Esecutivo sia all�atto della scelta di trattare 
con una determinata confessione, sia nel corso del negoziato e sino alla sua conclusione� ). 
Poich�, dunque, contrariamente a quanto opinato dalla Corte di Cassazione, le intese ex art. 
8, co. 3. Cost. sono atti (non amministrativi, ma) politici diretti all�emanazione di una legge, 
il Governo (salva l� eventuale responsabilit� politica nei confronti del Parlamento e, in ultima 
analisi, del corpo elettorale) non ha alcun obbligo giuridico di avviare le relative trattative, 
cos� come, dopo aver concluso l�intesa, ben potrebbe astenersi dall� esercitare l�iniziativa occorrente 
per l�emanazione della legge. 
� infatti innegabile che l�omesso esercizio della facolt� di iniziativa legislativa nella materia 
religiosa rientri nel novero delle determinazioni politiche (ex art. 71 Cost.) non soggette al 
controllo dei giudici comuni. 
Orbene, se il Governo, anche dopo l�eventuale stipula dell�intesa, � libero di non dare seguito 
alla stessa, omettendo di esercitare l�iniziativa occorrente per l�emanazione della legge ex art. 
8, co. 3, Cost., a maggior ragione deve ritenersi libero - nell�esercizio di valutazioni politiche 
assolutamente sottratte al sindacato dei giudici comuni perch� afferenti ad attribuzioni costituzionalmente 
garantite in materia religiosa (cfr. artt. 8, co. 3, 92 e 95 Cost.) - di non avviare 
alcuna trattativa, ove, come avvenuto nella specie, ritenga comunque di non addivenire all�intesa 
de qua agitur con il soggetto richiedente. 
Le Sezioni Uniti Civili della Corte di Cassazione, pur sembrando ammettere, in tesi, che non 
vi sia un �diritto alla chiusura della trattativa� gi� avviata, e che, del pari, non sia configurabile 
un diritto �all�esercizio dell�azione legislativa� (dopo l�eventuale conclusione dell�intesa), 
hanno poi ritenuto tali questioni irrilevanti ai fini della soluzione della controversia, 
<<addirittura estranee al thema decidendum>>, poich� le evenienze successive all�apertura 
delle trattative sarebbero mere �variabili fattuali� che non inciderebbero �sulla natura della 
situazione giuridica che sta alla base della bilateralit� pattizia voluta dal costituente�, cio� 
sul preteso �diritto�, in capo al soggetto richiedente, all�apertura della trattativa per la conclusione 
dell�intesa ex art. 8 co. 3 Cost. 
Siffatto argomentare della Suprema Corte di Cassazione conferma la fondatezza del presente 
ricorso per conflitto: se, infatti, il Governo, subito dopo l�asserito e supposto �doveroso� avvio 
delle trattative (magari il giorno stesso�..), pu� (come, in effetti, pu�) insindacabilmente �recedere� 
dalle trattative medesime o, comunque, dopo aver raggiunto l�intesa, � libero (come, 
in effetti, �) di non esercitare l�iniziativa necessaria per il recepimento in legge dell�intesa, 
ci� significa che il preteso �diritto� <<alla semplice apertura delle trattative>> �, in realt�, 
sottoposto alla condizione (risolutiva) �meramente potestativa� della positiva valutazione politica 
del Governo; e �un diritto� di tal fatta � un �non-diritto�, cio� un interesse di mero fatto 
non qualificato, privo di protezione giuridica; di talch�, anche, per questa via, appare confermata 
la natura �politica� (e, quindi, l�assoluta insindacabilit� giurisdizionale) del rifiuto di 
avviare le trattative per la conclusione dell�intesa ex art. 8, co. 3, Cost. 
Le tesi che qui si propugnano ricevono decisivo conforto dalla sentenza n. 346/2002 di codesta 
Ecc.ma Corte che ha, appunto, evidenziato che il Governo �non � vincolato oggi a norme 
specifiche per quanto riguarda l�obbligo, su richiesta della confessione, di negoziare e di 
stipulare l�intesa� (cfr. punto 2, terzo capoverso, della motivazione).
CONTENZIOSO NAZIONALE 51 
Del resto, con la recente sentenza n. 81 del 2012, resa in sede di conflitto di attribuzioni, codesta 
Ecc.ma Corte ha, altres�, riconosciuto la perdurante �esistenza di spazi riservati alla 
scelta politica� (cfr. punto 4.2. della motivazione). 
2.2 Alla luce delle considerazioni che precedono, deve, dunque, ritenersi, contrariamente a 
quanto statuito dalle Sezioni Unite Civili della Suprema Corte di Cassazione, che il rifiuto 
del Consiglio dei Ministri di avviare le trattative per la conclusione dell�intesa ex art. 8, comma 
3, Cost., costituisca (alla medesima stregua dell�avvio delle trattative e/o della eventuale stipula 
dell�intesa, ove essa venga raggiunta) un atto espressione della fondamentale funzione 
di direzione e di indirizzo politico, in quanto tale libera nel fine (ed insuscettibile di controllo 
ad opera dei giudici comuni ex art. 31 del R.D. n. 1054/1924, ora art. 7, co. 1, ultimo periodo 
del D.Lgs. n. 104/10), che la Costituzione assegna al Governo con riferimento al fenomeno 
religioso (cfr. artt. 8, co. 3, 92 e 95 Cost.). 
Tale funzione di indirizzo politico de qua agitur (in quanto costituzionalmente garantita) non 
tollera interferenze da parte del potere giudiziario: sarebbe, invero, abnorme la sentenza del 
giudice amministrativo che �annullasse� il diniego di avvio delle trattative per la stipula dell�intesa 
ex art. 8, comma 3, Cost., imponendo, in virt� del c.d. effetto conformativo del giudicato, 
al Governo di riesaminare la questione o, peggio, di concludere l�intesa con un 
determinato soggetto richiedente. 
L�art. 2, comma 3, lett. l), della Legge 23 agosto 1988 n. 400 - nella misura in cui estende la 
deliberazione del Consiglio dei Ministri, prevista per atti pacificamente �politici� <<come 
quelli di cui alle lett. a), b), g), h) i)>> anche agli �atti concernenti i rapporti previsti dall�articolo 
8 della Costituzione�, fornisce un solido e (decisivo) argomento nella direzione della 
natura �politica� anche di questi ultimi. 
**** 
Ritenuto quanto precede, il Presidente del Consiglio dei Ministri ed il Consiglio dei Ministri, 
in persona del Presidente in carica, chiedono che l�Ecc.ma Corte adita dichiari che non spetta 
alla Corte Suprema di Cassazione - Sezioni Unite Civili di affermare la sindacabilit�, ad opera 
dei giudici comuni, del rifiuto del Consiglio dei Ministri di avviare le trattative finalizzate 
alla conclusione dell�intesa di cui all�art. 8, co. 3, Cost. 
* * * 
Si depositano: 
1. verbale della riunione del Consiglio dei Ministri del 27 novembre 2003; 
2. sentenza del TAR per il Lazio, sezione I, n. 12359/08 depositata il 31 dicembre 2008; 
3. sentenza del Consiglio di Stato, Sez. IV, n. 6083/11, depositata il 18 novembre 2011; 
4. Cass. S.U., sentenza n. 16305/13 in data 12 marzo/28 giugno 2013; 
5. deliberazione del Consiglio dei Ministri in data 31 luglio 2014; 
6. sentenza del TAR per il Lazio, sezione I, n. 7068/14 depositata il 3 luglio 2014. 
Roma, 17 settembre 2014 
Il Vice Avvocato Generale dello Stato 
Salvatore Messineo 
L�Avvocato dello Stato 
Giovanni Palatiello
52 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2016 
CT 8073/04 - Avv. G. Palatiello 
Avvocatura Generale dello Stato 
ECC.MA CORTE COSTITUZIONALE 
Conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato n. 5/2014 Reg. Confl. 
udienza pubblica del 26 gennaio 2016 
MEMORIA 
nell'interesse del Presidente del Consiglio dei Ministri e del Consiglio dei Ministri, entrambi 
con l'Avvocatura Generale dello Stato; 
ricorrenti 
contro 
Corte di Cassazione - Sezioni Unite Civili; 
resistente 
e nei confronti di 
Unione degli Atei e degli Agnostici Razionalisti (breviter: UAAR), con l�Avv. Prof. Stefano 
Grassi e l�Avv. Fabio Corvaia; 
interveniente ad opponendum 
����� 
Codesta Ecc.ma Corte Costituzionale, con ordinanza n. 40 del 25 febbraio - 17 marzo 
2015, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale, I serie speciale del 25 marzo 2015, n. 12, ha dichiarato 
ammissibile, ai sensi dell'art. 37 della Legge 11 marzo 1953, n. 87, il ricorso per conflitto 
di attribuzione tra poteri dello Stato, promosso dal Presidente del Consiglio dei Ministri 
e dal Consiglio dei Ministri nei confronti della Corte di Cassazione - Sezioni Unite Civili in 
relazione alla sentenza Cass. S.U. n. 16305/2013. 
Come disposto da codesta Ecc.ma Corte, in data 19 marzo 2015 i ricorrenti hanno notificato 
il ricorso e la suddetta ordinanza n. 40/2015 alla Corte di Cassazione, provvedendo poi, in 
data 9 aprile 2015, al tempestivo deposito degli stessi, unitamente alla prova dell'avvenuta 
notifica, nella cancelleria della Corte Costituzionale. 
Il ricorso per conflitto � stato poi pubblicato nella Gazzetta Ufficiale, I serie speciale del 22 
aprile 2015, n. 16, pagine 55 e ss. 
Allo stato non risulta che la resistente Corte di Cassazione abbia depositato controdeduzioni 
scritte. 
Ha spiegato, invece, intervento ad opponendum l'Unione degli Atei e degli Agnostici 
Razionalisti (breviter UAAR), tramite atto del 13 aprile 2015 e successiva memoria integrativa 
dell�11 maggio 2015. 
In vista dell'udienza pubblica del 26 gennaio 2016, fissata per la discussione del ricorso 
per conflitto, il Presidente del Consiglio dei Ministri ed il Consiglio dei Ministri, ut supra 
rappresentati e difesi, intendono sottoporre al vaglio di codesta Ecc.ma Corte, le seguenti, ulteriori, 
considerazioni giuridiche, anche in replica alle eccezioni e difese svolte dall�interveniente. 
��� 
1. Nel proprio atto di intervento UAAR ha, innanzitutto, eccepito l�inammissibilit� del conflitto, 
in quanto volto - a suo dire - a censurare un presunto error in iudicando in cui sarebbe 
incorsa la Corte di Cassazione, risolvendosi cos�, secondo l�interveniente, in un mezzo atipico 
di impugnazione della decisione del giudice di legittimit�.
CONTENZIOSO NAZIONALE 53 
Tale eccezione � infondata. 
Ed invero codesta Ecc.ma Corte ha costantemente affermato che anche gli atti giurisdizionali 
sono suscettibili di essere posti a base di un conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato 
quando, tra l�altro, �sia messa in questione l�esistenza stessa del potere giurisdizionale nei 
confronti del soggetto ricorrente� (cfr., tra le tante, le sentenze n. 130 del 2009, n. 326 e n. 
276 del 2003; n. 72 del 2012) ed a condizione che avverso l�atto giurisdizionale siano stati 
esperiti �i consueti rimedi previsti dagli ordinamenti processuali delle diverse giurisdizioni� 
(cfr. le sentenze n. 81 del 2012 e nn. 2 e 150 del 2007). 
Nella fattispecie le suddette condizioni, richieste dalla costante giurisprudenza costituzionale 
ai fini della ammissibilit� di un conflitto tra poteri dello Stato avente ad oggetto un atto giurisdizionale, 
sono state ampiamente soddisfatte e rispettate ove si consideri che: 
a) con il proposto ricorso per conflitto il Presidente del Consiglio dei Ministri ha inequivocabilmente 
inteso contestare in radice la sussistenza - in capo a tutti i giudici comuni 
- del potere giurisdizionale di sindacare il rifiuto del Consiglio dei Ministri di avviare 
le trattative finalizzate alla conclusione dell�intesa di cui all�art. 8, co. 3, Cost.; 
b) in precedenza, avverso la decisione n. 6083/2011 del Consiglio di Stato, sez. IV, (con 
cui � stata affermata la sindacabilit�, ad opera del giudice amministrativo, del predetto 
rifiuto), il Governo ha proposto ricorso straordinario dinanzi alle Sezioni Unite della 
Corte di Cassazione ex art. 111, comma 8, Cost. ed art. 362, comma 1, c.p.c. con il quale 
si �, appunto, sostenuto, che tale rifiuto configura, invece, un atto politico assolutamente 
insindacabile in sede giurisdizionale ai sensi dell�art. 31 r.d. n. 1054/1924 (ed oggi ai 
sensi dell�art. 7, comma 1, ultimo periodo, c.p.a. di cui al Dlgs. n. 104/2010). 
A tale ultimo, riguardo, anzi, il Presidente del Consiglio dei Ministri si � attenuto ai principi 
affermati dalla sentenza n. 81 del 2012 di codesta Ecc.ma Corte che - decidendo su un conflitto 
proposto dalla Regione Campania in relazione ad una decisione del Consiglio di Stato, confermativa 
di una sentenza del Tar con la quale era stato annullato il decreto del Presidente 
della Giunta Regionale di nomina di un assessore - ha, appunto, ritenuto inammissibile il ricorso 
perch� la Regione non aveva esperito i �(�.) rimedi predisposti dall�ordinamento nel 
caso di indebito sindacato del giudice amministrativo sui cosiddetti atti politici (�.). Non risulta 
che la ricorrente abbia impugnato per presunto difetto assoluto di giurisdizione la sentenza 
del Consiglio di Stato, cos� come previsto dall�art. 111, ottavo comma, della 
Costituzione, con ricorso ai sensi dell�art. 362, primo comma, del codice di procedura civile� 
(v. punto 3, alla fine, delle considerazioni in diritto). 
Da quanto esposto discende che il proposto conflitto, contrariamente a quanto dedotto ed eccepito 
dall�interveniente, deve ritenersi pienamente ammissibile. 
2. Nel merito l�interveniente sostiene, in estrema sintesi, che l�interesse del soggetto confessionale 
�ad entrare in trattative� con lo Stato per la conclusione di un�intesa ai sensi dell�art. 
8, co. 3, Cost., sarebbe un interesse protetto da norme della Costituzione e della CEDU; di 
talch� il soggetto confessionale avrebbe diritto di azione dinanzi ai giudici comuni a tutela 
del suddetto �interesse� rispetto alle determinazioni adottate dall�amministrazione in materia 
di intese, che costituirebbero, dunque, non atti politici, ma atti di alta amministrazione, connotati 
- al pi� - da discrezionalit� tecnica e, come tali, sindacabili in sede giurisdizionale. 
Tali assunti non possono essere condivisi. 
2.1) Ed invero, codesta Ecc.ma Corte Costituzionale, con la citata sentenza n. 81 del 2012, 
resa proprio in sede di conflitto di attribuzioni, ha riconosciuto la perdurante �esistenza di 
spazi riservati alla scelta politica� (cfr. punto 4.2. della motivazione).
54 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2016 
La pi� recente giurisprudenza amministrativa ha individuato il �suum� dell�atto politico nella 
�sussistenza di una libert� nel fine che impedisce, in ragione dell�assenza del necessario parametro 
giuridico, l�estrinsecazione del sindacato giurisdizionale� (cos� Cons. Stato, Sez. V, 
27 novembre 2012, n. 6002; si vedano anche, Cons. Stato, Sez. IV, 4 maggio 2012, n. 2588; 
nonch� Cons. Stato, Sez. V, 6 ottobre 2009 n. 6094). 
In sostanza �l�atto politico��.. � libero nel fine, (�) a differenza degli atti amministrativi, 
realizza interessi generali e non settoriali� ed �, inoltre, caratterizzato dalla �mancanza di 
parametri giuridici� (cos� Cons. Stato, sez. V, 27 luglio 2011, n. 4502), alla stregua dei quali 
poter esercitare il controllo da parte del giudice che, di conseguenza, � escluso in radice. 
2.2.) Cos� descritti i tratti salienti dell� �atto politico�, come ricostruiti dalla prevalente giurisprudenza 
amministrativa, nella fattispecie viene innanzitutto in rilievo l�art. 95, co. 1, Cost. 
in base al quale il Governo in carica elabora una �politica generale� sotto la direzione e la 
responsabilit� del Presidente del Consiglio del Ministri il quale deve mantenere �l�unit� dell�indirizzo 
politico� della compagine governativa. 
Tale �politica generale� - che deve ottenere e mantenere la fiducia delle Camere del Parlamento 
ex art. 94, co. 1, Cost. -, � ovviamente libera nei fini e, proprio in quanto �generale�, 
assume tra i suoi oggetti, tra l�altro, anche i rapporti con le confessioni ex artt. 7, co. 2, e 8, 
co. 3, Cost., quali elementi fondativi dell�intera comunit� nazionale. 
Alla luce delle considerazioni che precedono deve, dunque, ritenersi che, in base al combinato 
disposto degli artt. 95, co. 1, 7, co. 2, e 8, co. 3 della Costituzione, letti in stretta relazione 
con l�art. 94, co. 1, Cost., il Governo, nell'ambito del rapporto fiduciario con il Parlamento, � 
libero di determinare il proprio indirizzo politico, tra l�altro, nella materia religiosa in generale, 
ed ecclesiastica in particolare, nella quale ultima sono sicuramente incluse le trattative per la 
stipula dei Patti con la Chiesa Cattolica ex art. 7, co. 2, Cost., e delle intese con le altre confessioni 
di cui all�art. 8, co. 3, Cost. (1). 
Per quello che in questa sede interessa, allo stato, le trattative per la stipula delle intese di cui 
all�art. 8, co. 3, Cost. risultano prive di una qualsivoglia disciplina legislativa tesa a limitare, 
nel merito, la libert� politica del Governo. 
2.3.) Da quanto sin qui esposto discende, per logica conseguenza, che nel novero degli �atti 
politici�, sottratti in via assoluta al sindacato giurisdizionale, rientra, senza alcun dubbio, 
anche il rifiuto del Consiglio dei Ministri di avviare le trattative per la conclusione dell�intesa 
ex art. 8, comma 3, Cost., trattandosi (alla medesima stregua dell�avvio delle trattative e/o 
della eventuale stipula dell�intesa, ove essa venga raggiunta) di un atto: 
a) costituente espressione della fondamentale funzione di direzione e di indirizzo politico, in 
quanto tale libera nel fine, che la Costituzione (cfr. artt. 95, co. 1, 7, co. 2, 8, co. 3, e 94, co. 
1, Cost.) assegna al Governo con riferimento alla materia ecclesiastica (la quale rappresenta, 
come si � visto, elemento fondativo e qualificante dell�intera comunit� nazionale); 
b) adottato, altres�, in assenza di qualsivoglia parametro o vincolo giuridico, idoneo a circoscrivere 
e/o a limitare le valutazioni in materia dell�Esecutivo (2). 
(1) G. CASUSCELLI - S. DOMIANELLO, Intese con le confessioni religiose diverse dalla cattolica, in Le fonti 
e i principi del diritto ecclesiastico, Torino 2002, pp. 48 e ss. sottolineano come la competenza del Governo 
in materia di intese trovi specifico fondamento nell�art. 95 della Costituzione, il quale delinea un 
modello di indirizzo politico in materia ecclesiastica ancorato al rapporto fiduciario con il Parlamento. 
(2) In dottrina riconducono esplicitamente il diniego di avvio delle trattative di cui all�art. 8, co. 3, cost. 
alla categoria dell�atto politico i seguenti autori: M. MIRABELLA, La fase decisoria del procedimento
CONTENZIOSO NAZIONALE 55 
Tali assunti ricevono decisivo conforto dalla sentenza n. 346/2002 della Corte Costituzionale, 
che ha, appunto, evidenziato che il Governo �non � vincolato oggi a norme specifiche per 
quanto riguarda l�obbligo, su richiesta della confessione, di negoziare e di stipulare l�intesa� 
(cfr. punto 2, terzo capoverso, della motivazione), in tal modo confermando la mancanza, in 
materia di intese ex art. 8, co. 3, Cost., di parametri e/o di vincoli giuridici e, dunque, l�impossibilit�, 
in via astratta, di ammettere un sindacato giurisdizionale, ad opera dei giudici comuni, 
sulle relative determinazioni del Governo (cos� anche Cons. Stato, sez. V, n. 4502/2011 cit.). 
L�art. 2, comma 3, lett. l), della Legge 23 agosto 1988 n. 400 - a mente del quale �Sono sottoposti 
alla deliberazione del Consiglio dei Ministri (�..) gli atti concernenti i rapporti previsti 
dall�articolo 8 della Costituzione� - si limita a riservare all�organo politico la competenza 
in subiecta materia, senza, quindi, introdurre alcun vincolo sostanziale alle scelte del Governo, 
che rimangono del tutto libere, salva la responsabilit� politica nei confronti del Parlamento e, 
in ultima analisi, del corpo elettorale. 
Ed anzi tale art. 2, comma 3, L. n. 400/1988, nella misura in cui estende la deliberazione del 
Consiglio dei Ministri, prevista per atti pacificamente �politici� <<come quelli di cui alle lett. 
a), b), g), h) i)>> anche agli �atti concernenti i rapporti previsti dall�articolo 8 della Costituzione�, 
fornisce un solido e (decisivo) argomento nella direzione della natura �politica� 
anche di questi ultimi. 
3.) Al fine di tutelare e garantire il libero esercizio, da parte del Governo, della funzione di 
indirizzo politico in materia ecclesiastica, espressamente riconosciutagli dalla Costituzione 
(ex artt. 7, co. 2, 8, co. 3, 94, co. 1, e 95 co. 1 Cost.), occorre ritenere che il diniego di avvio 
delle trattative per la stipula dell�intesa ex art. 8, co. 3, Cost. sia sottratto in termini assoluti 
al sindacato dei giudici comuni. 
La sentenza che �annullasse� il diniego di stipula dell�intesa ex art. 8, co. 3, Cost., imponendo, 
in virt� del c.d. effetto conformativo del giudicato, al Governo di riesaminare la questione o, 
peggio, di concludere l�intesa con una dato soggetto religioso costituirebbe, infatti, una inammissibile 
interferenza nell'indirizzo politico del Governo in materia ecclesiastica (come si � 
visto, costituzionalmente garantito) e, dunque, nel rapporto fiduciario tra il potere Esecutivo 
ed il Parlamento (anch�esso presidiato dalla Costituzione; cfr. art. 94, co. 1, Cost.). 
4.) Che il diniego del Consiglio dei Ministri di avviare le trattative finalizzate alla conclusione 
dell�intesa di cui all�art. 8, co. 3, Cost. rivesta natura di atto politico, assolutamente insindacabile 
da parte dei giudici comuni, risulta, altres�, confermato dal rapporto intercorrente, in 
base al dettato costituzionale, tra l�intesa e la successiva legge volta a disciplinare i rapporti 
tra lo Stato ed il soggetto religioso �stipulante�. 
amministrativo - approfondimenti. L�atto amministrativo, in Manuale di diritto amministrativo a cura 
di M. MIRABELLA, A. ALTIERI E P.M. ZERMAN, Milano 2012, p. 484; G. TROPEA, Genealogia, comparazione 
e decostruzione di un problema ancora aperto: l�atto politico, in Dir. Amm., 2012, p. 396; E. VITALI, 
La Costituzione italiana e il fenomeno religioso, in Manuale breve di diritto ecclesiastico, a cura 
di E. VITALI, A.G. CHIZZONITI, Milano, 2007, p. 38, il quale sottolinea come la decisione sull�apertura 
delle trattative debba, appunto, qualificarsi come politica poich� il Governo non avrebbe l�obbligo di 
rispondere positivamente alla richiesta di apertura di dette trattative e, anche qualora decidesse di avviarle, 
non sarebbe comunque tenuto a stipulare l�intesa; G.B. VARNIER, La prospettiva pattizia, in 
AA.VV., Principio pattizio e realt� religiose minoritarie, a cura di V. PARLATO e G.B. VARNIER, Torino 
1995, p. 4.; F.F. PAGANO, Gli atti emanati dal Governo nell�esercizio del potere politico nella pi� recente 
giurisprudenza tra separazione dei poteri e bilanciamenti costituzionali in Riv. Dir. Pubblico n. 3/2013, 
p. 882 e ss.
56 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2016 
Nel ricorso introduttivo si � evidenziato, con il conforto di autorevole dottrina, che �le intese 
ex art. 8 comma 3 della Cost. si inseriscono, costituendone un imprescindibile presupposto 
legittimante, nell�iter legislativo preordinato all�emanazione della legge regolatrice dei rapporti 
tra Stato e confessione acattolica; e pertanto non possono che partecipare della stessa 
natura (di atto politico libero) che connota le successive fasi dell�inter legis: (si veda, al riguardo, 
Cass., S.U. n. 2439/2008 che ha dichiarato l�insindacabilit�, da parte dei giudici comuni, 
degli atti facenti parte dell�iter formativo di una legge regionale)�. 
In questa sede, anche al fine di replicare alle deduzioni svolte sul punto dall�interveniente, si 
ritiene opportuno rimarcare che nella prassi costituzionale la legge ex art. 8, co. 3, Cost. �sulla 
base di intese� � divenuta �legge di ratifica�, nel senso che il nesso tra intesa e legge si atteggia 
come relazione di necessaria identit� dei contenuti, per cui le disposizioni della prima vengono 
trasfuse, tal quali (e cio� articolo per articolo), nella seconda, al punto che si dubita finanche 
dell�ammissibilit� di emendamenti parlamentari al testo dell�intesa, come sottoposto dal Governo 
all�approvazione della Camere (3); ed � stato, anzi sostenuto, che il potere di emendamento 
delle Camere potrebbe concretarsi solo come richiesta di una nuova trattativa (4). 
Poich�, dunque, il testo dell�intesa viene trasfuso, tal quale, nella legge, che, dunque, � legge 
di mera ratifica o di mera approvazione, ne consegue che, contrariamente a quanto opinato 
dall�interveniente, il sub-procedimento di intesa non pu� non partecipare della stessa natura 
(di atto politico libero) dell�atto legislativo all�adozione del quale � preordinato (5). 
In altri termini, l�intesa � atto (non autonomo, in s� compiuto, ma) preparatorio, base della 
legge, e quindi, elemento sub-procedimentale, che partecipa, in sostanza ed in definitiva, della 
discrezionalit� politica propria dell�iter legislativo (6). 
4.1.) D�altro canto, non � un caso che la migliore dottrina annoveri la legge sulle intese di cui 
all�art. 8, co. 3, Cost. nella categoria delle c.d. �leggi rinforzate�, la cui approvazione deve 
essere preceduta, in base al dettato costituzionale, da particolari adempimenti che ne aggravano 
l�iter formativo rispetto a quello ordinario (7). 
Nel caso della legge ex art. 8, co. 3, Cost. l� �aggravamento procedimentale� consiste, appunto, 
nella previa intesa - e nelle trattative che la precedono - tra il Governo ed il soggetto confessionale. 
Anche in tale prospettiva risulta, dunque, ulteriormente confermato che il sub-procedimento 
di intesa (nel quale sono incluse anche le relative trattative) costituisce parte integrante dell�iter 
formativo della legge, alla cui approvazione esso � preordinato; tantՏ che, come si � evidenziato 
infra, secondo la comune opinione dei costituzionalisti, il Parlamento sarebbe obbligato 
a recepire tal quale l�articolato dell�intesa nella legge, che, se difforme dal testo dell�intesa, 
sarebbe, addirittura, viziata da incostituzionalit�. 
4.2.) Se, dunque, il sub-procedimento di intesa (nel quale sono ovviamente ricomprese le re- 
(3) cfr. RANDAZZO, La legge �sulla base� di intese tra Governo, Parlamento e Corte Costituzionale. 
Legge di approvazione? in Quaderni eccl., 2001, I, 222. 
(4) cfr. LONG, Concordati e intese tra �legge formale� e �tautologia legislativa�, in Quaderni cost., 
1985, III, 587-588. 
(5) Cfr. F. BERTOLINI, Principio pattizio o obbligo del Governo di avviare le trattative per la stipula dell�intesa 
con la Confessione religiosa?, in www.forumcostituzionale.it. 
(6) Cfr. N. COLAIANNI, Diritto Pubblico delle religioni: eguaglianza e differenze nello Stato costituzionale, 
Bologna, 2012, p. 114. 
(7) cfr. CRISAFULLI, Gerarchia e competenza nel sistema costituzionale delle fonti, in Riv. trim. dir. 
pubbl., 1960, 787-790 e pi� di recente PALADIN, Le fonti del diritto italiano, Bologna, 1996, 195.
CONTENZIOSO NAZIONALE 57 
lative trattative) costituisce parte integrante del procedimento di formazione della legge ex 
art. 8, co. 3, Cost., condividendo la natura (di atto politico libero) che connota le successive 
fasi dell�iter legis, ne deriva che il soggetto religioso il quale aspiri alla stipula della predetta 
intesa << costituente, come sopra si � rilevato, espressione della fondamentale funzione di 
direzione e di indirizzo politico, in quanto tale libera nel fine, che la Costituzione (cfr. artt. 
95, co. 1, 7, co. 2, 8, co. 3, e 94, co. 1, Cost.) assegna al Governo con riferimento alla materia 
ecclesiastica>> non � portatore di alcuna situazione soggettiva giuridicamente qualificata all�apertura 
delle trattative (8), ma, tutt�al pi�, di un� aspirazione di mero fatto, a cui l�ordinamento 
non appresta alcuna protezione; il che, in termini processuali, si traduce, appunto, in 
difetto assoluto di giurisdizione. 
4.2.1). Sotto altro profilo, e ad ulteriore conferma della fondatezza delle tesi sino ad ora esposte, 
si osserva che le intese de quibus sono suscettibili di dar vita a �normative negoziate� e 
�differenziate�, derogatorie rispetto al diritto comune (9). 
Di conseguenza, l�avvio e la conclusione delle trattative - lungi dall�essere espressione di 
mera discrezionalit� tecnica - presuppongono, da parte del Governo, valutazioni di opportunit� 
politica che sfuggono necessariamente ad un controllo in termini di stretta legittimit�. 
5) Di contro, nessuno dei parametri costituzionali invocati dall�interveniente appare idoneo a 
fondare, in capo al soggetto religioso, una pretesa giuridicamente tutelata all�avvio delle trattative 
per la conclusione dell�intesa ex art. 8, co. 3, Cost., in grado di limitare il libero esercizio, 
da parte del Governo, della funzione di indirizzo politico che la Costituzione gli attribuisce 
in materia ecclesiastica. 
5.1.) Una siffatta pretesa non �, innanzitutto, desumibile dalla garanzia di eguale libert� davanti 
alla legge di cui al comma 1 dell�art. 8 Cost., che vale per tutte le confessioni, anche per quelle 
che non abbiano stipulato l�intesa di cui al comma terzo. 
Al riguardo, codesta Ecc.ma Corte Costituzionale ha, infatti, chiarito che �l'aver stipulato 
l'intesa prevista dall'art. 8, terzo comma, della Costituzione per regolare in modo speciale i 
rapporti con lo Stato non pu� (�) costituire l'elemento di discriminazione nell'applicazione 
di una disciplina, posta da una legge comune, volta ad agevolare l'esercizio di un diritto di 
libert� dei cittadini (�)�. �L�agevolazione non pu� <<dunque: n.d.r.>> essere subordinata 
alla condizione che il culto si riferisca ad una confessione religiosa la quale abbia chiesto e 
ottenuto la regolamentazione dei propri rapporti con lo Stato ai sensi dell'art. 8, terzo comma, 
della Costituzione� (cfr. Corte Cost. sent. n. 195/1993 che ha dichiarato l�illegittimit� di una 
legge regionale nella parte in cui prevedeva contributi pubblici per la costruzione di edifici di 
culto solo in favore delle confessioni religiose diverse dalla cattolica che avessero gi� stipulato 
l�intesa con lo Stato). 
Tali principi sono stati poi ribaditi dal Giudice delle Leggi nella citata sentenza n. 346/2002, 
dove si legge che �le intese� di cui all�art. 8, comma 3, sono lo �strumento previsto dalla Costituzione 
per la regolazione dei rapporti delle confessioni religiose con lo Stato per gli aspetti 
che si collegano alle specificit� delle singole confessioni o che richiedono deroghe al diritto 
comune: non sono e non possono essere, invece, una condizione imposta dai poteri pubblici 
alle confessioni per usufruire delle libert� di organizzazione e di azione, loro garantita dal 
(8) A fronte di una funzione politica non �, infatti, possibile configurare �una situazione di interesse 
protetto a che gli atti in cui essa si manifesta assumano o non assumano un determinato contenuto� 
(cos� Cass., S.U., 8157/02). 
(9) Cos� F.F. PAGANO, Gli atti emanati dal Governo nell�esercizio del potere politico... cit., 887.
58 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2016 
primo e dal secondo comma dello stesso art. 8, n� per usufruire di norme di favore riguardanti 
le confessioni religiose�. 
Se, dunque, la mancanza dell�intesa non incide in alcun modo sulla garanzia di eguale libert� 
ex art. 8, comma 1, (nel senso che il Legislatore, ceteris paribus, non pu� escludere da vantaggi 
o da discipline di favore una data confessione acattolica solo perch� non abbia regolamentato 
i propri rapporti con lo Stato ai sensi dell�art. 8, co. 3, cost.), siffatta garanzia non 
pu� essere richiamata, sul piano logico, prima ancora che giuridico, per inferirne un preteso 
obbligo, per il Governo, di avviare le trattative per la stipula dell�intesa de qua con qualsivoglia 
soggetto religioso che lo richieda. 
5.2) Per ci� che, invece, concerne l�autonomia organizzativa di cui all�art. 8, co. 2, Cost., 
giova rilevare che, come affermato da codesta Ecc.ma Corte con la sentenza n. 43/1988, �al 
riconoscimento, da parte dell�art. 8, secondo comma, Cost., della capacit� delle confessioni 
religiose, diverse dalla cattolica, di dotarsi di propri statuti, corrisponde l'abbandono, da 
parte dello Stato, della pretesa di fissarne direttamente per legge i contenuti�. 
�Tale autonomia istituzionale (...) esclude ogni possibilit� di ingerenza dello Stato nell'emanazione 
delle disposizioni statutarie delle confessioni religiose� , ma non � certamente idonea 
a far sorgere, in capo al Governo, un obbligo giuridico di avviare le trattative per la eventuale 
stipula dell�intesa ex art. 8, co. 3, Cost., per il solo fatto che un soggetto confessionale lo richieda; 
e ci� per l�ovvia considerazione che l�autonomia statutaria attiene esclusivamente al 
profilo dell�auto organizzazione dell�ente privato e non pu�, di certo, essere fonte di obblighi 
giuridici di facere in capo a soggetti (per giunta pubblici) estranei a quella organizzazione. 
5.3) Infine, contrariamente a quanto ritenuto dall�interveniente, lo strumento pattizio di cui 
all�art. 8, co. 3, Cost. � previsto al fine di evitare che lo Stato possa disciplinare �unilateralmente� 
i rapporti con la confessione acattolica, ma ci� non significa che il Governo abbia 
l�obbligo giuridico di avviare le trattative per il solo fatto che un qualsivoglia soggetto religioso 
lo richieda. 
Risulta, dunque, anche per tale via, confermato che le confessioni religiose diverse dalla cattolica 
non dispongono di strumenti giuridici per obbligare lo Stato a negoziare e a stipulare 
l'accordo di cui al terzo comma dell�art. 8 Cost. 
6.) L�interveniente - quale fondamento giuridico della asserita pretesa qualificata del soggetto 
confessionale all�apertura delle trattative con lo Stato per la stipula dell�intesa di cui all�art. 
8, co. 3, Cost. - richiama, altres�, gli articoli 9, 11 e 14 della CEDU. 
Sennonch� le disposizioni della CEDU - nel significato loro attribuito dalla Corte di Strasburgo 
- hanno il rango di legge ordinaria e quindi non si collocano a livello costituzionale 
(cfr., tra le tante, sent. n. 349 del 2007). 
Ne consegue che, ove la norma della Convezione si ponga eventualmente in conflitto con 
altre norme della Costituzione, queste ultime prevalgono e deve essere esclusa l�idoneit� delle 
norme convenzionali ad integrare, quali norme interposte, il parametro costituzionale di cui 
all�art. 117, co. 1, Cost.. (cfr. sent. n. 80 del 2011). 
6.1) Applicando tali, pacifici, principi nella fattispecie, deve, dunque, ritenersi che le invocate 
disposizioni costituzionali di cui agli artt. 95, co. 1, 7, co. 2, 8, co. 3, e 94, co. 1, Cost. (che, 
come si � visto, attribuiscono al Governo una fondamentale funzione di indirizzo politico - 
del tutto libera nei fini - nella materia religiosa ed ecclesiastica, a fronte della quale la posizione 
dei soggetti confessionali che aspirino all�apertura delle trattative per la stipula 
dell�intesa ex art. 8, co. 3, Cost. assume la consistenza di interesse di mero fatto, privo di protezione 
giuridica), prevalgano sulle (in tesi contrarie) disposizioni della CEDU richiamate
CONTENZIOSO NAZIONALE 59 
dall�interveniente, escludendone, per l�effetto, l�applicabilit� nel presente giudizio per conflitto. 
6.1.1) Tale conclusione �, del resto, coerente con il �tono� costituzionale dell�odierno conflitto, 
nel senso che quest�ultimo deve essere risolto esclusivamente alla stregua di disposizioni di 
rango costituzionale (appunto, nella specie, gli artt. 95, co. 1, 7, co. 2, 8, co. 3, e 94, co. 1, 
Cost.) e non in base a disposizioni aventi il rango di mera legge ordinaria (e cio� le norme 
della CEDU richiamate dall�interveniente), confliggenti con il dettato costituzionale. 
7). La questione di legittimit� costituzionale, prospettata dall�interveniente, dell�art. 7, comma 
1, ultimo periodo, c.p.a. di cui al Dlgs. n. 104/2010, nella parte in cui prevede la non impugnabilit� 
in sede giurisdizionale degli atti politici, � irrilevante nella presente sede perch� l�insindacabilit�, 
ad opera dei giudici comuni, del diniego de quo agitur discende, innanzitutto, 
dalle su descritte attribuzioni costituzionali del Governo in materia ecclesiastica, rispetto alle 
quali il cit. art. 7, co 1, cit. ha valenza meramente attuativa. 
P.T.M. 
Si confida nell�accoglimento del ricorso. 
Roma, 4 gennaio 2016 
l�Avvocato dello Stato 
Giovanni Palatiello 
Corte Costituzionale, sentenza 10 marzo 2016 n. 52 - Pres. Cartabia, Red. Zanon - Giudizio 
per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato sorto a seguito della sentenza della Corte di 
cassazione, sezioni unite civili, 28 giugno 2013, n. 16305, promosso dal Presidente del Consiglio 
dei ministri (avv. Stato G. Palatiello). Interveniente: Unione degli Atei e degli Agnostici 
Razionalisti (UAAR) (avv.ti F. Corvaja e S. Grassi). 
Ritenuto in fatto 
1.� Con ricorso depositato in data 22 settembre 2014, il Presidente del Consiglio dei 
ministri, in proprio e a nome del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall�Avvocatura 
generale dello Stato, ha sollevato conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato nei confronti 
della Corte di cassazione, sezioni unite civili, in relazione alla sentenza 28 giugno 2013, n. 
16305, con la quale � stato respinto il ricorso per motivi attinenti alla giurisdizione, proposto 
dallo stesso Presidente del Consiglio avverso la sentenza del Consiglio di Stato, sezione quarta, 
18 novembre 2011, n. 6083. 
Espone il ricorrente che l�Unione degli Atei e degli Agnostici Razionalisti (d�ora in 
avanti �UAAR�), associazione non riconosciuta, costituita con atto notarile nel 1991, aveva 
proposto ricorso avanti al Tribunale amministrativo regionale del Lazio chiedendo l�annullamento 
della delibera del Consiglio dei ministri del 27 novembre 2003, la quale, recependo il 
parere dell�Avvocatura generale dello Stato, decideva di non avviare le trattative finalizzate 
alla conclusione dell�intesa ai sensi dell�art. 8, terzo comma, della Costituzione, ritenendo 
che la professione di ateismo non potesse essere assimilata ad una confessione religiosa. 
Con sentenza 31 dicembre 2008, n. 12539, il TAR Lazio, sezione prima, dichiarava 
inammissibile, per difetto assoluto di giurisdizione, il ricorso proposto dall�UAAR avverso 
la deliberazione del Consiglio dei ministri, ritenendo che la determinazione impugnata abbia 
natura di atto politico �non giustiziabile� (ai sensi dell�art. 31 del regio decreto 26 giugno
60 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2016 
1924, n. 1054, recante �Approvazione del testo unico delle leggi sul Consiglio di Stato�, ora 
art. 7, comma 1, ultimo periodo, del decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104, denominato 
�Attuazione dell�articolo 44 della legge 18 giugno 2009, n. 69, recante delega al governo per 
il riordino del processo amministrativo�). 
Il Consiglio di Stato, sezione quarta, con sentenza n. 6083 del 2011, riformando la decisione 
di primo grado, affermava, invece, la giurisdizione del giudice amministrativo, ritenendo 
che la scelta relativa all�avvio delle trattative non abbia natura politica, ma presenti i tratti tipici 
della discrezionalit� valutativa come ponderazione di interessi: da un lato, quello dell�associazione 
istante ad addivenire all�intesa, dall�altro, l�interesse pubblico alla selezione dei soggetti 
con cui avviare le trattative. Secondo il Consiglio di Stato, l�accertamento circa la riconduzione 
dell�organizzazione richiedente alla categoria delle �confessioni religiose� non sarebbe insindacabile, 
e quanto meno l�avvio delle trattative sarebbe obbligatorio qualora si pervenisse ad 
un giudizio di qualificabilit� del soggetto istante come confessione religiosa, salva restando la 
facolt� del Governo di non stipulare l�intesa all�esito delle trattative ovvero di non tradurre in 
legge l�intesa medesima. Le parti venivano quindi rimesse avanti al primo giudice. 
Avverso tale decisione, il Presidente del Consiglio dei ministri proponeva ricorso ai 
sensi dell�art. 111, ultimo comma, della Costituzione, alle sezioni unite della Corte di cassazione, 
sostenendo che il rifiuto di avviare le trattative per la conclusione dell�intesa ex art. 8, 
terzo comma, Cost. debba qualificarsi �atto politico�, come tale insindacabile. 
Le sezioni unite della Corte di cassazione, con la ricordata sentenza n. 16305 del 2013 
- che ha dato origine al presente conflitto - respingevano il ricorso, affermando che l�accertamento 
preliminare relativo alla qualificazione dell�istante come confessione religiosa costituisca 
esercizio di discrezionalit� tecnica da parte dell�amministrazione, come tale sindacabile 
in sede giurisdizionale. 
Ponendo in relazione il primo comma dell�art. 8 Cost., che garantisce l�eguaglianza delle 
confessioni religiose davanti alla legge, con il successivo terzo comma, che assegna all�intesa 
la regolazione dei rapporti tra lo Stato e le confessioni diverse da quella cattolica, la Corte di 
cassazione riteneva che la stipulazione dell�intesa sia volta anche alla migliore realizzazione 
dei valori di eguaglianza tra confessioni religiose. Per tale ragione, assumeva che l�attitudine 
di un culto a stipulare le intese con lo Stato non possa essere rimessa all�assoluta discrezionalit� 
del potere esecutivo, pena - appunto - il sacrificio dell�eguale libert� tra confessioni religiose. 
Pur non ritenendolo un argomento decisivo, la Corte di cassazione osservava, tra 
l�altro, che le intese �si stanno atteggiando, nel tempo, in guisa di normative �per adesione�, 
innaturalmente uniformandosi a modelli standardizzati�. Ne conseguirebbe che il Governo 
avrebbe l�obbligo giuridico di avviare le trattative ex art. 8 Cost. per il solo fatto che una qualsiasi 
associazione lo richieda, e a prescindere dalle evenienze che si possano verificare nel 
prosieguo dell�iter legislativo. 
Successivamente a tale pronuncia, il TAR Lazio, sezione prima, con sentenza 3 luglio 
2014, n. 7068, respingeva nel merito il ricorso dell�UAAR, escludendo che la valutazione 
compiuta dal Governo in ordine al carattere non confessionale dell�Associazione ricorrente 
sia �manifestamente inattendibile o implausibile, risultando viceversa coerente con il significato 
che, nell�accezione comune, ha la religione�. 
Cionondimeno, il Presidente del Consiglio dei ministri, non condividendo i principi affermati 
dalle sezioni unite della Corte di cassazione e ritenendo che il rifiuto di avviare le 
trattative finalizzate alla stipulazione dell�intesa sia un atto politico, espressione della funzione 
di indirizzo politico che la Costituzione assegna al Governo in materia religiosa e, come tale,
CONTENZIOSO NAZIONALE 61 
sottratto al sindacato giurisdizionale, ha sollevato conflitto di attribuzione tra poteri nei confronti 
della Corte di cassazione. 
In ordine all�ammissibilit� del conflitto, il ricorrente sostiene che sarebbe pacifica la legittimazione 
soggettiva del Presidente del Consiglio dei ministri a dichiarare definitivamente 
la volont� del potere cui appartiene, ai sensi dell�art. 92, primo comma, Cost. Nel caso di specie, 
poich� il rifiuto all�avvio delle trattative sarebbe stato opposto dal Consiglio dei ministri, 
al quale - ai sensi dell�art. 2, comma 3, lettera l), della legge 23 agosto 1988, n. 400 (Disciplina 
dell�attivit� di Governo e ordinamento della Presidenza del Consiglio dei Ministri) - sono riservate 
le determinazioni sulle intese, ne conseguirebbe la qualificazione di potere dello Stato 
in capo al Consiglio dei ministri e al suo Presidente. 
In ordine alla legittimazione passiva, le sezioni unite della Corte di cassazione sarebbero 
competenti a dichiarare la definitiva volont� del potere giudiziario, in considerazione dell�efficacia 
vincolante per tutti i giudici comuni, anche in altri processi, delle decisioni da essa assunte 
in ordine alla giurisdizione a seguito di ricorso ai sensi dell�art. 111, ultimo comma, Cost. 
Quanto al profilo oggettivo, il ricorrente osserva come la Corte di cassazione, con la 
sentenza n. 16305 del 2013, avrebbe illegittimamente esercitato il suo potere giurisdizionale, 
menomando la funzione di indirizzo politico che la Costituzione assegna al Governo in materia 
religiosa (artt. 7, 8, terzo comma, 92 e 95 Cost.), funzione �assolutamente libera nel fine� e 
quindi �insuscettibile di controllo da parte dei giudici comuni�. 
Nel merito, il ricorrente osserva come non possa essere condivisa la conclusione delle 
sezioni unite in ordine alla doverosit� dell�avvio delle trattative per la conclusione dell�intesa 
ex art. 8, terzo comma, Cost. 
Tale ultima disposizione, infatti, costituirebbe norma sulle fonti, dal momento che le intese 
integrerebbero il presupposto per l�avvio del procedimento legislativo finalizzato all�approvazione 
della legge che regola i rapporti tra Stato e confessione religiosa, e pertanto 
parteciperebbero della stessa natura, di atto politico libero, delle successive fasi dell�iter legis. 
La dottrina avrebbe, altres�, chiarito che le intese, in quanto dirette all�approvazione di una 
legge, coinvolgerebbero la responsabilit� politica del Governo, ma non la responsabilit� dell�amministrazione. 
In sostanza - sostiene il ricorrente - poich� l�omesso esercizio della facolt� di iniziativa 
legislativa in materia religiosa rientra tra le determinazioni politiche sottratte al controllo dei 
giudici comuni, cos� come il Governo � libero di non dare seguito alla stipulazione dell�intesa 
omettendo di esercitare l�iniziativa per l�approvazione della legge prevista dall�art. 8, terzo 
comma, Cost., a maggior ragione dovrebbe essere libero, nell�esercizio delle sue valutazioni 
politiche, di non avviare alcuna trattativa. Ancora, si osserva che se il Governo pu� recedere 
dalle trattative o comunque � libero, pur dopo aver stipulato l�intesa, di non esercitare l�iniziativa 
legislativa per il recepimento dell�intesa con legge, ci� significa che il preteso �diritto� 
all�apertura delle trattative �, in realt�, un �interesse di mero fatto non qualificato, privo di 
protezione giuridica�. 
Tale conclusione troverebbe conferma nella sentenza della Corte costituzionale n. 346 
del 2002, ove si afferma che il Governo non � vincolato a norme specifiche per quanto riguarda 
l�obbligo di negoziare e stipulare l�intesa. � menzionata anche la sentenza di questa Corte n. 
81 del 2012, che avrebbe riconosciuto l�esistenza di spazi riservati alla scelta politica. 
Infine, il ricorrente afferma che il rifiuto del Consiglio dei ministri di avviare le trattative 
per la conclusione dell�intesa sarebbe espressione della fondamentale funzione di direzione 
ed indirizzo politico del Governo. �[A]bnorme�, pertanto, sarebbe la sentenza del giudice
62 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2016 
amministrativo che annullasse il diniego di avvio delle trattative, imponendo al Governo di 
riesaminare la questione o di concludere l�intesa con un determinato soggetto. 
Conseguentemente, � chiesto alla Corte costituzionale di dichiarare che non spetta alla 
Corte di cassazione, sezioni unite civili, affermare la sindacabilit�, ad opera dei giudici comuni, 
del rifiuto del Consiglio dei ministri di avviare le trattative finalizzate alla conclusione 
dell�intesa di cui all�art. 8, terzo comma, Cost. 
2.� Il conflitto � stato dichiarato ammissibile da questa Corte con ordinanza n. 40 del 2015. 
3.� � intervenuta in giudizio, in data 14 aprile 2015, l�Unione degli Atei e degli Agnostici 
Razionalisti (UAAR), chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile e, in subordine, 
infondato. 
L�UAAR premette di essere legittimata ad intervenire, poich� l�esito del giudizio costituzionale 
potrebbe compromettere definitivamente l�azione proposta innanzi al giudice amministrativo. 
L�interveniente - parte del giudizio definito con la sentenza delle sezioni unite 
della Corte di cassazione - � ora ricorrente di fronte al Consiglio di Stato, presso il quale ha 
appellato la sentenza del TAR Lazio n. 7068 del 2014. 
L�interveniente, anzitutto, eccepisce l�inammissibilit� del ricorso, poich� diretto a far 
valere un mero error in iudicando da parte del giudice ordinario. La Corte di cassazione 
avrebbe, infatti, risolto una questione di giurisdizione, e tale competenza sarebbe fatta espressamente 
salva dall�art. 37, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla 
costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), secondo il quale �[r]estano ferme 
le norme vigenti per le questioni di giurisdizione�. Il ricorso del Presidente del Consiglio dei 
ministri sarebbe quindi volto a trasformare il conflitto tra poteri in un mezzo di gravame atipico 
avverso le pronunce giudiziarie (viene ricordato quanto deciso da questa Corte, in un 
caso asseritamente analogo, con sentenza n. 81 del 2012). 
Nel merito, a sostegno dell�infondatezza del ricorso, l�UAAR osserva che i parametri 
costituzionali indicati dal ricorrente (artt. 7, 8, 92 e 95 Cost.) non fonderebbero alcuna competenza 
costituzionale del Governo attinente alla decisione di stipulare l�intesa: l�art. 7 Cost. 
riguarderebbe i rapporti tra Stato e Chiesa cattolica; l�art. 8 Cost. non assegnerebbe al Governo 
la prerogativa di stipulare l�intesa, in quanto � solo la legge ordinaria - in particolare l�art. 2, 
comma 3, lettera l), della legge n. 400 del 1988 - ad attribuire tale competenza al Consiglio 
dei ministri (� ricordato, peraltro, che, in precedenza, essa spettava al Ministro dell�interno); 
l�art. 92 Cost. regolerebbe solo il procedimento di formazione del Governo; l�art. 95 Cost., 
infine, sancirebbe il principio di responsabilit� del Presidente e del Consiglio dei ministri, responsabilit� 
che � anche di tipo giuridico. 
L�UAAR ritiene, piuttosto, che �il problema della impugnabilit� degli atti relativi alle 
trattative per l�intesa ex art. 8, terzo comma, Cost. vada riguardato muovendo dalla verifica 
della sussistenza - naturalmente in chiave di mera prospettazione - di una situazione giuridica 
soggettiva in capo alla confessione istante�. L�art. 8, terzo comma, Cost. non avrebbe soltanto 
il significato di negare allo Stato la possibilit� di introdurre una disciplina unilaterale, ma 
avrebbe anche la funzione di dare riconoscimento alla pretesa di una confessione di minoranza 
di concludere con lo Stato un�intesa, o almeno di avviare le trattative, allo scopo di conseguire 
una condizione di �eguale libert�� con le altre confessioni di analoga natura. Ricordando che 
il principio di laicit� dello Stato ha, quali corollari, l�equidistanza e l�imparzialit� verso tutte 
le confessioni, l�UAAR assume che da ci� derivi, logicamente, che gli organi statali sono tenuti 
a prendere in considerazione le richieste di intesa provenienti da soggetti legittimati, e a non 
discriminare le confessioni nell�accesso ai benefici connessi con la stipulazione di un�intesa.
CONTENZIOSO NAZIONALE 63 
La qualificazione della pretesa di una confessione religiosa di negoziare un�intesa con 
lo Stato in termini di posizione soggettiva protetta sarebbe inoltre confermata dalla giurisprudenza 
della Corte europea dei diritti dell�uomo, la quale, in pi� occasioni, avrebbe riconosciuto 
come interesse tutelato dagli artt. 9, 11 e 14 della Convenzione europea per la salvaguardia 
dei diritti dell�uomo e delle libert� fondamentali (d�ora in avanti �CEDU�), firmata a Roma 
il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848, l�aspirazione 
della confessione religiosa a concludere accordi con lo Stato per accedere ad uno status pi� 
favorevole, ed avrebbe chiarito come la garanzia di un�equa opportunit� nell�accesso al regime 
privilegiato da parte di confessioni di minoranza rappresenti una condizione necessaria per la 
legittimit� convenzionale di regimi paraconcordatari analoghi a quello italiano. 
Una volta riconosciuto che la confessione religiosa � titolare della pretesa di addivenire 
all�intesa, tale pretesa deve essere inderogabilmente assicurata in sede giurisdizionale ai sensi 
degli artt. 24 e 113 Cost., e degli artt. 6 e 13 della CEDU. 
La difesa dell�UAAR aggiunge che appare dubbia la stessa sussistenza, nell�attuale ordinamento 
costituzionale, di atti dell�esecutivo del tutto immuni da ogni sindacato giurisdizionale, 
mentre, invece, possono esservi spazi di discrezionalit� riservati al potere politico e 
come tali non sindacabili (viene ricordata, sul punto, la sentenza di questa Corte n. 81 del 
2012). Seguendo questa impostazione, la questione dovrebbe consistere nel verificare se le 
censure svolte nel ricorso dell�UAAR innanzi al giudice amministrativo avessero denunciato 
la violazione di norme giuridiche ovvero avessero preteso di sindacare una discrezionalit� 
politica. Ma tale valutazione, riguardando un problema di mera interpretazione di parametri 
di legittimit�, non dovrebbe essere sindacabile in un conflitto tra poteri. 
In ogni caso, di fronte al giudice amministrativo sarebbero stati dedotti solo profili di 
legittimit�, tra i quali - per quanto qui in particolare rileva - la valutazione preliminare compiuta 
dal Consiglio dei ministri in ordine all�idoneit� dell�UAAR ad essere qualificata come 
�confessione religiosa� ai sensi dell�art. 8 Cost., valutazione che sarebbe priva di qualsiasi 
politicit�, trattandosi di un giudizio che sia l�amministrazione, sia i giudici, sono chiamati ad 
operare ai pi� diversi fini. 
N�, infine, gli atti impugnati dall�UAAR in sede giurisdizionale potrebbero essere qualificati 
�atti politici� ai sensi dell�art. 7, comma 1, del d.lgs. n. 104 del 2010, difettando sia il 
requisito soggettivo, poich� la competenza ad assumere la decisione non � attribuita al Governo 
dalla Costituzione, ma dalla legge ordinaria; sia il requisito oggettivo, in quanto la determinazione 
del Consiglio dei ministri non avrebbe attinenza con la direzione suprema e 
generale dello Stato, ma con la sola �cura concreta dell�interesse religioso delle minoranze 
confessionali, tramite la conclusione di negozi di diritto pubblico�. 
Contesta, infine, la difesa dell�UAAR che la decisione di non avviare le trattative partecipi 
della natura di atto politico proprio della legge di approvazione dell�intesa: l�intesa rimane 
esterna al procedimento legislativo, in quanto precede la relativa iniziativa, e in quanto 
sopravvive al procedimento legislativo e alla stessa legislatura. Per questa ragione la giurisdizione 
comune dovrebbe arrestarsi a partire dall�iniziativa legislativa, ma non prima. 
N� sarebbe convincente osservare che il Governo pu� comunque astenersi dall�esercitare 
l�iniziativa legislativa, poich� quest�ultima non � �riservata� a tale organo, come dimostrano 
alcuni progetti di legge di iniziativa parlamentare, avviati sulla base di intese. 
4.� In data 12 maggio 2015 la difesa dell�UAAR ha depositato ulteriore memoria, ove 
ribadisce le conclusioni gi� formulate. 
In particolare, essa contesta l�argomento - addotto dal ricorrente - secondo cui vi sarebbe
64 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2016 
la necessit� di preservare la libert� della �politica ecclesiastica� del Governo: tale nozione 
sembrerebbe fondarsi sull�idea che il Governo sia libero di favorire questo o quel culto secondo 
contingenti ed insindacabili ragioni di opportunit� politica, mentre - come gi� argomentato 
nella prima memoria - il sistema dei rapporti tra Stato e confessioni religiose si fonda 
sull�imperativo di laicit� dello Stato, da cui deriva la necessaria equidistanza e imparzialit� 
dello stesso verso tutte le religioni. N� basterebbe che dei criteri di selezione degli interlocutori 
il Governo risponda sul piano della responsabilit� politica, poich� qui vengono in gioco i 
diritti delle minoranze confessionali, �rispetto alle quali i meccanismi della rappresentanza e 
della responsabilit� politica, connotati dalla logica maggioritaria, non costituiscono, per definizione, 
uno strumento di tutela effettivo�. 
In secondo luogo, la difesa dell�UAAR insiste nell�escludere che l�intesa con le confessioni 
religiose, atto presupposto del procedimento legislativo che segue, assorba da quest�ultimo 
una dimensione politica che non le spetta. Afferma di non condividere l�argomento 
secondo cui, se il Governo � libero di non concludere l�intesa e di non esercitare l�iniziativa 
legislativa, non potrebbe neppure esservi una pretesa giustiziabile in capo alla confessione 
istante ad ottenere l�avvio delle trattative. I due piani - a suo avviso - andrebbero tenuti distinti: 
non sarebbe, cio�, corretto estendere il trattamento tipico della legge (e dell�iniziativa legislativa) 
ad un atto che si colloca a monte dell�iniziativa legislativa stessa e che rimane imputabile 
all�esecutivo. 
5.� Nell�imminenza dell�udienza pubblica, in data 31 dicembre 2015, la difesa dell�UAAR 
ha ancora depositato memoria, insistendo per il rigetto del conflitto. 
Dopo aver ribadito l�eccezione di inammissibilit� del conflitto, in quanto volto a lamentare 
un error in iudicando delle sezioni unite della Corte di cassazione, l�interveniente sottolinea 
che l�UAAR ha contestato di fronte al giudice amministrativo la mancata qualificazione 
della richiedente come confessione religiosa, e che tale potere del Governo non pu� essere ricondotto 
all�esercizio di una funzione di indirizzo politico. 
La difesa dell�UAAR ricorda come l�art. 7 del d.lgs. n. 104 del 2010, interpretato alla 
luce dell�art. 113 Cost., sottragga al controllo giurisdizionale non atti, ma �i soli profili specificamente 
politici contenuti in atti che rimangono comunque impugnabili�. Una contraria 
lettura di tale disposizione sarebbe lesiva degli artt. 24 e 113 Cost., oltre che dell�art. 117, 
primo comma, Cost., in riferimento agli artt. 6 e 13 della CEDU. La tesi che sostiene l�insindacabilit� 
degli atti politici si porrebbe dunque in frontale contrasto con le acquisizioni del 
diritto costituzionale europeo e del particolare contributo dato ad esso dalla Costituzione italiana 
e dalla stessa Corte costituzionale (� ricordata, sul punto, la sentenza di questa Corte n. 
238 del 2014). 
L�interveniente aggiunge che una valutazione politica sull�intesa spetterebbe semmai alle 
Camere, in sede di approvazione della legge ex art. 8, comma terzo, Cost., e non al Governo. 
Infine, oltre a ribadire che l�intesa sta fuori dal procedimento legislativo e non pu� partecipare 
della natura �politica� della legge, la difesa dell�UAAR conclude osservando che, in 
linea generale, lo stesso esercizio della funzione legislativa, come non esclude la permanenza 
di situazioni soggettive, cos� non esclude l�azionabilit� di una loro tutela giurisdizionale. 
6.� In data 5 gennaio 2016, il Presidente del Consiglio dei ministri ha depositato memoria, 
insistendo per l�accoglimento del ricorso e svolgendo osservazioni in ordine alle argomentazioni 
dell�interveniente UAAR. 
Il ricorrente osserva, anzitutto, che non vi sarebbero problemi di ammissibilit� del conflitto, 
in quanto il ricorso - pur rivolto avverso una pronuncia giudiziaria - � preordinato a
CONTENZIOSO NAZIONALE 65 
contestare la sussistenza in radice del potere giurisdizionale. Il Governo, inoltre, prima di ricorrere 
alla Corte costituzionale, ha esaurito i rimedi giurisdizionali comuni. 
Nel merito, esso ribadisce che il rifiuto del Consiglio dei ministri di avviare le trattative 
per la conclusione dell�intesa ex art. 8, terzo comma, Cost. rientrerebbe nel novero degli atti 
politici, in quanto espressione della fondamentale funzione di direzione e di indirizzo politico, 
assegnata al Governo ai sensi degli artt. 7, secondo comma, 8, terzo comma, 94, primo comma, 
e 95, primo comma, Cost. Inoltre, poich� le trattative per la stipulazione delle intese non sono 
normativamente disciplinate, non vi sarebbe un parametro o vincolo legislativo idoneo a circoscrivere 
e/o limitare le valutazioni in materia dell�esecutivo. Tale assunto sarebbe confermato 
da quanto stabilito da questa Corte nella sentenza n. 346 del 2002. 
In secondo luogo, il ricorrente osserva che, posto che la legge di approvazione delle intese 
dovrebbe avere �identit� di contenuti� con queste ultime, il procedimento finalizzato alla 
stipulazione dell�intesa non potrebbe che partecipare della natura di �atto politico libero� propria 
della legge. 
D�altro canto - osserva il ricorrente - la legge sulle intese � annoverata, non a caso, nella 
categoria delle cosiddette leggi rinforzate, e ci� ulteriormente confermerebbe che il sub-procedimento 
di intesa (nel quale sono incluse anche le trattative) costituisce parte integrante 
dell�iter formativo della legge, alla cui approvazione esso � preordinato. Tale conclusione sarebbe 
ulteriormente rafforzata dalla circostanza che le intese possono dare vita a normative 
�differenziate�, per le quali si impongono �valutazioni di opportunit� politica�. 
In terzo luogo, argomenta la difesa del ricorrente come dall�art. 8 Cost. non possa dedursi 
un �diritto� delle confessioni religiose all�avvio delle trattative, n� un corrispondente diritto 
potrebbe venire ricavato dalla CEDU, le cui disposizioni avrebbero �il rango di legge ordinaria
� e dovrebbero perci� recedere davanti alle previsioni costituzionali (le sole, in base alle 
quali risolvere il conflitto). 
Infine, sarebbe irrilevante, ai fini della risoluzione del conflitto, una questione di legittimit� 
costituzionale - asseritamente prospettata dall�interveniente - vertente sull�art. 7, comma 
1, ultimo periodo, del d.lgs. n. 104 del 2010, posto che l�insindacabilit� della decisione del 
Governo discenderebbe dalle pi� volte ricordate disposizioni costituzionali, di cui il citato 
art. 7 sarebbe mera attuazione. 
Considerato in diritto 
1.� Il ricorso per conflitto di attribuzione fra poteri dello Stato � proposto dal Presidente 
del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall�Avvocatura generale dello Stato, in proprio 
e a nome del Consiglio dei ministri, contro la Corte di cassazione, sezioni unite civili, in 
relazione alla sentenza 28 giugno 2013, n. 16305, con la quale � stato respinto il ricorso per 
motivi attinenti alla giurisdizione proposto dallo stesso Presidente del Consiglio avverso la 
sentenza del Consiglio di Stato, sezione quarta, 18 novembre 2011, n. 6083. 
Nel ricorso alle sezioni unite della Corte di cassazione, il Presidente del Consiglio aveva 
lamentato il difetto assoluto di giurisdizione e la violazione e/o falsa applicazione dell�art. 7, 
comma 1, ultimo periodo, del decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104 (Attuazione dell�articolo 
44 della legge 18 giugno 2009, n. 69, recante delega al governo per il riordino del processo 
amministrativo), in relazione alla delibera attraverso la quale il Consiglio dei ministri, in data 
27 novembre 2003, decideva di non avviare le trattative finalizzate alla conclusione dell�intesa, 
ai sensi dell�art. 8, terzo comma, della Costituzione, con l�Unione degli Atei e degli Agnostici 
Razionalisti (d�ora in avanti �UAAR�), ritenendo che la professione di ateismo, affermata dall�associazione 
in questione, non consenta la sua assimilazione ad una confessione religiosa.
66 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2016 
La Corte di cassazione, rigettando il ricorso, affermava che l�accertamento preliminare 
relativo alla qualificazione dell�istante come confessione religiosa costituisce esercizio di discrezionalit� 
tecnica da parte dell�amministrazione, come tale sindacabile in sede giurisdizionale. 
Ponendo in relazione il primo comma dell�art. 8 Cost., che garantisce l�eguaglianza 
delle confessioni religiose davanti alla legge, con il successivo terzo comma, che assegna all�intesa 
la regolazione dei rapporti tra Stato e confessioni diverse da quella cattolica, la Corte 
di cassazione riteneva che la stipulazione dell�intesa sia volta anche alla migliore realizzazione 
dei valori di eguaglianza tra confessioni religiose. Per tale ragione, assumeva che l�attitudine 
di un culto a stipulare le intese con lo Stato non possa essere rimessa all�assoluta discrezionalit� 
del potere esecutivo, pena - appunto - il sacrificio dell�eguale libert� tra confessioni religiose. 
Pur non ritenendolo un argomento decisivo, la Corte di cassazione osservava, tra 
l�altro, che le intese �si stanno atteggiando, nel tempo, in guisa di normative �per adesione�, 
innaturalmente uniformandosi a modelli standardizzati�. Ne conseguirebbe che il Governo 
avrebbe l�obbligo giuridico di avviare le trattative ex art. 8 Cost. per il solo fatto che un�associazione 
lo richieda, e a prescindere dalle evenienze che si possano verificare nel prosieguo 
dell�iter legislativo. 
Il ricorrente, nell�articolare le proprie censure nei confronti della pronuncia del giudice 
di legittimit�, sostiene che essa avrebbe menomato la funzione d�indirizzo politico, che la Costituzione 
assegna al Governo in materia religiosa (artt. 7, 8, terzo comma, 92 e 95 Cost.), 
funzione �assolutamente libera nel fine� e quindi �insuscettibile di controllo da parte dei giudici 
comuni�. 
Rileva, in particolare, come non possa in alcun modo sostenersi la tesi della doverosit� 
dell�avvio delle trattative per la conclusione dell�intesa ex art. 8, terzo comma, Cost. Tale ultima 
disposizione, infatti, costituirebbe norma sulle fonti, dal momento che le intese integrerebbero 
il presupposto per l�avvio del procedimento legislativo finalizzato all�approvazione 
della legge che regola i rapporti tra Stato e confessione religiosa, e pertanto parteciperebbero 
della stessa natura, di atto politico libero, delle successive fasi dell�iter legis. Le intese, in 
quanto dirette all�approvazione di una legge, coinvolgerebbero la responsabilit� politica del 
Governo, ma non la responsabilit� dell�amministrazione. 
In sostanza - sostiene il ricorrente - poich� l�omesso esercizio della facolt� di iniziativa 
legislativa in materia religiosa rientra tra le determinazioni politiche sottratte al controllo dei 
giudici comuni, cos� come il Governo � libero di non dare seguito alla stipulazione dell�intesa, 
omettendo di esercitare l�iniziativa per l�approvazione della legge prevista dall�art. 8, terzo 
comma, Cost., a maggior ragione dovrebbe essere libero, nell�esercizio delle sue valutazioni 
politiche, di non avviare alcuna trattativa. Ancora, si osserva che se il Governo pu� recedere 
dalle trattative o comunque � libero, pur dopo aver stipulato l�intesa, di non esercitare l�iniziativa 
legislativa per il recepimento dell�intesa con legge, ci� significa che il preteso �diritto� 
all�apertura delle trattative �, in realt�, un �interesse di mero fatto non qualificato, privo di 
protezione giuridica�. 
Conseguentemente, � chiesto alla Corte costituzionale di dichiarare che non spetta alla 
Corte di cassazione, sezioni unite civili, affermare la sindacabilit�, ad opera dei giudici comuni, 
del rifiuto del Consiglio dei ministri di avviare le trattative finalizzate alla conclusione 
dell�intesa di cui all�art. 8, terzo comma, Cost. 
2.� In via preliminare, deve essere dichiarato ammissibile l�intervento, spiegato nel presente 
giudizio, dall�UAAR, parte resistente nel giudizio in cui � stata resa l�impugnata sentenza 
della Corte di cassazione.
CONTENZIOSO NAZIONALE 67 
Nei giudizi per conflitto di attribuzione non �, di norma, ammesso l�intervento di soggetti 
diversi da quelli legittimati a promuovere il conflitto o a resistervi. Tale regola, tuttavia, non 
opera quando la pronuncia resa nel giudizio costituzionale potrebbe precludere la tutela giudiziaria 
della situazione giuridica soggettiva vantata dall�interveniente, senza che gli sia data 
la possibilit� di far valere le proprie ragioni (da ultimo, sentenze n. 144 del 2015, n. 222 e n. 
221 del 2014, pronunciate in conflitti fra poteri dello Stato, e sentenze n. 107 del 2015, n. 279 
del 2008, n. 195 del 2007 e n. 386 del 2005, rese in conflitti tra enti). Tale � la situazione dell�UAAR 
nel giudizio in esame, poich� l�accoglimento del ricorso impedirebbe all�interveniente 
di giovarsi di una pronuncia giudiziaria, al fine di ottenere l�apertura delle trattative 
preordinate alla stipulazione di un�intesa ai sensi dell�art. 8, terzo comma, Cost. 
3.� Va confermata, ai sensi dell�art. 37 della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla 
costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), l�ammissibilit� del conflitto - 
gi� dichiarata da questa Corte, in sede di prima e sommaria delibazione, con l�ordinanza n. 
40 del 2015 - sussistendone i presupposti soggettivi e oggettivi. 
3.1.� Con riguardo al profilo soggettivo, deve essere ribadita la legittimazione a proporre 
il ricorso del Presidente del Consiglio dei ministri, sia in proprio, sia in rappresentanza del 
Consiglio dei ministri. 
Il Presidente del Consiglio dei ministri � l�organo competente a dichiarare la volont� 
del Governo: il potere esecutivo, infatti, non � un �potere diffuso�, ma si concentra nell�intero 
Governo, in nome dell�unit� di indirizzo politico e amministrativo affermata dall�art. 95, primo 
comma, Cost. (sentenza n. 69 del 2009 e ordinanze n. 221 del 2004 e n. 123 del 1979). E le 
determinazioni concernenti i rapporti previsti dall�art. 8 Cost. sono espressamente assegnate 
al Consiglio dei ministri dall�art. 2, comma 3, lettera l), della legge 23 agosto 1988, n. 400 
(Disciplina dell�attivit� di Governo e ordinamento della Presidenza del Consiglio dei ministri), 
ovvero proprio dalla legge che d� attuazione all�art. 95 Cost., definendo l�organizzazione e le 
attribuzioni del Governo. 
Nel conflitto in esame, va riconosciuta la legittimazione attiva anche del Presidente del 
Consiglio dei ministri in proprio, poich� nel procedimento di stipulazione delle intese - e in 
particolare nella fase iniziale di cui qui si discute, quando cio� si tratta di individuare l�interlocutore 
e avviare le trattative - la Presidenza del Consiglio assume autonomo rilievo, come 
� stabilito nell�art. 2, comma 1, lettera e), del decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 303 (Ordinamento 
della Presidenza del Consiglio dei Ministri, a norma dell�articolo 11 della legge 
15 marzo 1997, n. 59), in cui si afferma che il Presidente del Consiglio si avvale della Presidenza 
del Consiglio nei rapporti tra il Governo e le confessioni religiose ai sensi dell�art. 8, 
terzo comma, Cost., e come � confermato dalla prassi. 
Non sussistono dubbi nemmeno sulla legittimazione della Corte di cassazione ad essere 
parte di un conflitto tra poteri dello Stato, a fronte della costante giurisprudenza di questa 
Corte, che tale legittimazione riconosce ai singoli organi giurisdizionali in quanto competenti, 
in posizione di piena indipendenza garantita dalla Costituzione, a dichiarare definitivamente, 
nell�esercizio delle relative funzioni, la volont� del potere cui appartengono (ex multis, con 
specifico riferimento alla legittimazione della Corte di cassazione, sentenze n. 29 e n. 24 del 
2014, n. 320 del 2013 e n. 333 del 2011). 
3.2.� L�ammissibilit� del conflitto deve essere confermata anche sotto il profilo oggettivo, 
in quanto il ricorso, per quanto promosso avverso una decisione giudiziaria, non lamenta un 
error in iudicando (sentenza n. 81 del 2012), ma prospetta un conflitto �per la delimitazione 
della sfera di attribuzioni determinata per i vari poteri da norme costituzionali� (art. 37, primo
68 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2016 
comma, della legge n. 87 del 1953). Infatti, il ricorrente non chiede a questa Corte di riesaminare 
la decisione con la quale la Corte di cassazione ha risolto un conflitto di giurisdizione attraverso 
l�interpretazione di fonti primarie. Se questa fosse la richiesta, ne conseguirebbe l�inammissibilit� 
del conflitto, non potendo quest�ultimo istituto trasformarsi in un improprio mezzo d�impugnazione 
di decisioni giudiziarie (sentenza n. 259 del 2009 e ordinanza n. 117 del 2006). Il 
ricorrente contesta, invece, l�esistenza stessa del potere giurisdizionale nei propri confronti (sentenze 
n. 88 del 2012, n. 195 del 2007 e n. 276 del 2003) e, dunque, lamenta il superamento, per 
mezzo della sentenza delle sezioni unite della Corte di cassazione, dei limiti che tale potere incontra 
nell�ordinamento, a garanzia delle attribuzioni costituzionali del Governo. 
N� rileva che oggetto del ricorso per conflitto sia una sentenza resa in un giudizio volto 
a dirimere una questione di giurisdizione ai sensi dell�art. 111, ultimo comma, Cost., come 
eccepito dalla parte interveniente, ad avviso della quale le questioni di giurisdizione non potrebbero 
mai essere oggetto di un conflitto costituzionale. � ben vero che, nel disciplinare 
l�istituto del conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato, l�art. 37, secondo comma, della 
legge n. 87 del 1953 precisa che �[r]estano ferme le norme vigenti per le questioni di giurisdizione
�; ma la disposizione da ultimo citata � appunto preordinata soltanto ad assicurare la 
persistenza, nell�ordinamento, della competenza della Corte di cassazione a dirimere i conflitti 
di giurisdizione, non, invece, ad escludere che la Corte costituzionale possa essere chiamata 
a decidere un conflitto tra poteri, quando il vizio denunciato sia comunque destinato a ripercuotersi 
sulla corretta delimitazione di attribuzioni costituzionali. Del resto, regolamento di 
giurisdizione e ricorso per conflitto tra poteri sono due rimedi distinti, operanti su piani diversi. 
Da un lato, non si pu� escludere che essi siano attivati entrambi, di fronte ad una pronuncia 
giudiziaria alla quale siano contemporaneamente imputabili l�erronea applicazione delle 
norme sulla giurisdizione e l�invasivit� in sfere d�attribuzione costituzionale (sentenze n. 259 
del 2009 e n. 150 del 1981); dall�altro, ben pu� accadere che oggetto del ricorso, come in 
questo caso, sia proprio una pronuncia della Corte di cassazione, resa in sede di regolamento 
di giurisdizione ex art. 111, ultimo comma, Cost. 
Non �, pertanto, fondata l�eccezione d�inammissibilit� del ricorso, prospettata dalla parte 
interveniente. 
4.� Il ricorrente chiede che questa Corte, decidendo il conflitto, stabilisca che non spetta 
alla Corte di cassazione affermare la sindacabilit� da parte dei giudici comuni del diniego, 
opposto dal Consiglio dei ministri, alla richiesta del soggetto interveniente di avviare le trattative 
finalizzate alla conclusione dell�intesa, ai sensi dell�art. 8, terzo comma, Cost. 
Le opposte tesi che questa Corte � chiamata a valutare possono cos� riassumersi: da una 
parte, si ritiene che il diniego di avvio delle trattative, opposto dal Governo alla richiesta di 
un�associazione, non potrebbe essere oggetto di sindacato in sede giudiziaria, a pena della lesione 
della sfera di attribuzioni costituzionali dello stesso Governo, definite dagli artt. 8, terzo 
comma, e 95 Cost.; dall�altra, si ritiene invece che tale sindacabilit� dovrebbe essere affermata, 
poich� l�azionabilit� della pretesa giuridica all�avvio delle trattative stesse sarebbe corollario 
dell�eguale libert� di cui godono, ai sensi dell�art. 8, primo comma, Cost., tutte le confessioni 
religiose, e servirebbe a impedire che un�assoluta discrezionalit� governativa in materia dia 
luogo ad arbitrarie discriminazioni. 
Quanto all�esistenza di una situazione giuridica soggettiva, in ipotesi tutelata dall�ordinamento, 
consistente nella pretesa alla conclusione delle trattative o, addirittura, alla presentazione 
del disegno di legge sulla base dell�intesa stipulata, il ricorrente la contesta in radice; 
mentre l�interveniente ritiene che - con riferimento al procedimento per la stipulazione del-
CONTENZIOSO NAZIONALE 69 
l�intesa - la giurisdizione del giudice comune dovrebbe arrestarsi a partire dal momento in 
cui l�iniziativa legislativa sulla base dell�intesa sia esercitata, ma non prima: non escludendo, 
cos�, la configurabilit� della pretesa soggettiva ora in questione, e di un sindacato del giudice 
su di essa. La sentenza delle sezioni unite della Corte di cassazione, dalla quale origina il conflitto, 
afferma di non doversi pronunciare, nella risoluzione del regolamento di giurisdizione, 
sull�esistenza di un �diritto alla chiusura della trattativa�, o all�esercizio dell�iniziativa legislativa 
successiva all�eventuale stipulazione dell�intesa. 
Questa Corte ritiene, invece, che, per la soluzione del conflitto, pur delimitato nei termini 
anzidetti, non siano secondarie considerazioni in ordine all�effettiva configurabilit� di una 
pretesa giustiziabile alla conclusione delle trattative, mentre restano estranee all�oggetto del 
conflitto valutazioni sugli adempimenti governativi successivi alla conclusione dell�intesa 
stessa, e sulle caratteristiche del procedimento che, ai sensi dell�art. 8, terzo comma, Cost., 
conduce all�approvazione della legge destinata, sulla base dell�intesa, a regolare i rapporti tra 
lo Stato e la confessione non cattolica. 
5.� Il ricorso � fondato, nei sensi di seguito precisati. 
5.1.� La soluzione del presente conflitto non pu� prescindere da considerazioni attinenti 
alla natura e al significato che, nel nostro ordinamento costituzionale, assume l�intesa per la 
regolazione dei rapporti tra lo Stato e le confessioni religiose diverse da quella cattolica, ai 
sensi dell�art. 8, terzo comma, Cost. 
Il significato della disposizione costituzionale consiste nell�estensione, alle confessioni 
non cattoliche, del �metodo della bilateralit��, in vista dell�elaborazione della disciplina di 
ambiti collegati ai caratteri peculiari delle singole confessioni religiose (sentenza n. 346 del 
2002). Le intese sono perci� volte a riconoscere le esigenze specifiche di ciascuna delle confessioni 
religiose (sentenza n. 235 del 1997), ovvero a concedere loro particolari vantaggi o 
eventualmente a imporre loro particolari limitazioni (sentenza n. 59 del 1958), ovvero ancora 
a dare rilevanza, nell�ordinamento, a specifici atti propri della confessione religiosa. Tale significato 
dell�intesa, cio� il suo essere finalizzata al riconoscimento di esigenze peculiari del 
gruppo religioso, deve restare fermo, a prescindere dal fatto che la prassi mostri una tendenza 
alla uniformit� dei contenuti delle intese effettivamente stipulate, contenuti che continuano 
tuttavia a dipendere, in ultima analisi, dalla volont� delle parti. 
Ci� che la Costituzione ha inteso evitare � l�introduzione unilaterale di una speciale e 
derogatoria regolazione dei rapporti tra lo Stato e la singola confessione religiosa, sul presupposto 
che la stessa unilateralit� possa essere fonte di discriminazione: per questa fondamentale 
ragione, gli specifici rapporti tra lo Stato e ciascuna singola confessione devono essere retti 
da una legge �sulla base di intese�. 
� essenziale sottolineare, nel solco della giurisprudenza di questa Corte, che, nel sistema 
costituzionale, le intese non sono una condizione imposta dai pubblici poteri allo scopo di consentire 
alle confessioni religiose di usufruire della libert� di organizzazione e di azione, o di giovarsi 
dell�applicazione delle norme, loro destinate, nei diversi settori dell�ordinamento. A 
prescindere dalla stipulazione di intese, l�eguale libert� di organizzazione e di azione � garantita 
a tutte le confessioni dai primi due commi dell�art. 8 Cost. (sentenza n. 43 del 1988) e dall�art. 
19 Cost., che tutela l�esercizio della libert� religiosa anche in forma associata. La giurisprudenza 
di questa Corte � anzi costante nell�affermare che il legislatore non pu� operare discriminazioni 
tra confessioni religiose in base alla sola circostanza che esse abbiano o non abbiano regolato i 
loro rapporti con lo Stato tramite accordi o intese (sentenze n. 346 del 2002 e n. 195 del 1993). 
Allo stato attuale del diritto positivo, non risultano perci� corretti alcuni assunti dai quali
70 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2016 
muovono sia la sentenza delle sezioni unite della Corte di cassazione che ha dato origine al 
presente conflitto, sia il soggetto interveniente. Non pu� affermarsi, infatti, che la mancata 
stipulazione di un�intesa sia, di per s�, incompatibile con la garanzia di eguaglianza tra le confessioni 
religiose diverse da quella cattolica, tutelata dall�art. 8, primo comma, Cost. 
Nel nostro ordinamento non esiste una legislazione generale e complessiva sul fenomeno 
religioso, alla cui applicazione possano aspirare solo le confessioni che stipulano un accordo 
con lo Stato. Peraltro, la necessit� di una tale pervasiva disciplina legislativa non � affatto imposta 
dalla Costituzione, che tutela al massimo grado la libert� religiosa. E sicuramente la 
Costituzione impedisce che il legislatore, in vista dell�applicabilit� di una determinata normativa 
attinente alla libert� di culto, discrimini tra associazioni religiose, a seconda che abbiano 
o meno stipulato un�intesa. 
Con riferimento agli ordinamenti che, invece, subordinano l�accesso alla disciplina prevista 
per le associazioni religiose ad un riconoscimento pubblico, o a quelli ove si riscontra, 
comunque, un pi� dettagliato assetto normativo in tema di associazioni e confessioni religiose, 
la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell�uomo (sentenze 12 marzo 2009, G�tl 
contro Austria e L�ffelmann contro Austria; sentenza 19 marzo 2009, Lang contro Austria; 
sentenza 9 dicembre 2010, Savez crkava �Rije. .ivota� e altri contro Croazia; sentenza 25 
settembre 2012 Jehovas Zeugen in �sterreich contro Austria) ha potuto identificare casi nei 
quali un�applicazione discriminatoria della normativa comporta una violazione degli artt. 9 e 
14 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell�uomo e delle libert� fondamentali, 
firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 
1955, n. 848. Nel nostro ordinamento, invece, caratterizzato dal principio di laicit� e, quindi, 
di imparzialit� ed equidistanza rispetto a ciascuna confessione religiosa (sentenze n. 508 del 
2000 e n. 329 del 1997), non � in s� stessa la stipulazione dell�intesa a consentire la realizzazione 
dell�eguaglianza tra le confessioni: quest�ultima risulta invece complessivamente tutelata 
dagli artt. 3 e 8, primo e secondo comma, Cost., dall�art. 19 Cost., ove � garantito il diritto 
di tutti di professare liberamente la propria fede religiosa, in forma individuale o associata, 
nonch� dall�art. 20 Cost. 
Per queste ragioni, non � corretto sostenere che l�art. 8, terzo comma, Cost. sia disposizione 
procedurale meramente servente dei - e perci� indissolubilmente legata ai - primi due 
commi, e quindi alla realizzazione dei principi di eguaglianza e pluralismo in materia religiosa 
in essi sanciti. Il terzo comma, invece, ha l�autonomo significato di permettere l�estensione 
del �metodo bilaterale� alla materia dei rapporti tra Stato e confessioni non cattoliche, ove il 
riferimento a tale metodo evoca l�incontro della volont� delle due parti gi� sulla scelta di avviare 
le trattative. 
Diversa potrebbe essere la conclusione, anche in ordine alla questione posta dal presente 
conflitto, se il legislatore decidesse, nella sua discrezionalit�, di introdurre una compiuta regolazione 
del procedimento di stipulazione delle intese, recante anche parametri oggettivi, 
idonei a guidare il Governo nella scelta dell�interlocutore. Se ci� accadesse, il rispetto di tali 
vincoli costituirebbe un requisito di legittimit� e di validit� delle scelte governative, sindacabile 
nelle sedi appropriate (sentenza n. 81 del 2012). 
5.2.� La decisione del presente conflitto richiede preliminarmente di stabilire se nel nostro 
ordinamento sia configurabile una pretesa giustiziabile all�avvio delle trattative - preordinate 
alla conclusione di un�intesa ex art. 8, terzo comma, Cost. - con conseguente 
sindacabilit�, da parte dei giudici comuni, del diniego eventualmente opposto dal Governo, a 
fronte di una richiesta avanzata da un�associazione che alleghi il proprio carattere religioso.
CONTENZIOSO NAZIONALE 71 
Ritiene questa Corte che ragioni istituzionali e costituzionali ostino alla configurabilit� 
di una siffatta pretesa. 
Vi osta, innanzitutto, il riferimento al metodo della bilateralit�, immanente alla ratio del 
terzo comma dell�art. 8 Cost., che - tanto pi� in assenza di una specifica disciplina procedimentale 
- pretende una concorde volont� delle parti, non solo nel condurre e nel concludere 
una trattativa, ma anche, prima ancora, nell�iniziarla. L�affermazione di una sindacabilit� in 
sede giudiziaria del diniego di avvio delle trattative - con conseguente possibilit� di esecuzione 
coattiva del riconosciuto �diritto�, e del correlativo obbligo del Governo, all�avvio di quelle 
- inserirebbe, invece, un elemento dissonante rispetto al metodo della bilateralit�, ricavabile 
dalla norma costituzionale in esame. 
In secondo luogo, un�autonoma pretesa giustiziabile all�avvio delle trattative non � configurabile 
proprio alla luce della non configurabilit� di una pretesa soggettiva alla conclusione 
positiva di esse. 
La sentenza impugnata afferma di non doversi pronunciare su tale ultimo aspetto; 
mentre l�interveniente - asserendo che la giurisdizione del giudice comune dovrebbe arrestarsi 
solo a partire dal momento in cui l�iniziativa legislativa sulla base dell�intesa, ormai 
conclusa, sia esercitata - sembra per vero intendere che una siffatta pretesa, sotto il controllo 
del giudice comune, sarebbe configurabile. Il ricorrente, per parte sua, sottolinea di poter 
recedere, in qualunque momento, dalle trattative, ricavandone che il preteso �diritto� all�apertura 
di esse sarebbe, in realt�, un �interesse di mero fatto non qualificato, privo di 
protezione giuridica�. 
Orbene - essendo caratteristica del procedimento il suo scopo unitario, in tal caso la stipulazione 
dell�intesa, ed essendo l�apertura del negoziato strutturalmente e funzionalmente 
collegata a tale atto finale - risulta contraddittorio negare l�azionabilit� di un �diritto� all�intesa, 
quale risultato finale delle trattative, e al contempo affermare la giustiziabilit� del diniego 
all�avvio delle stesse: giacch� non si comprende a che scopo imporre l�illusoria apertura di 
trattative di cui non si assume garantita giudizialmente la conclusione. 
Di converso, e conseguentemente, � proprio la non configurabilit� di una pretesa alla 
conclusione positiva del negoziato e quindi alla stipulazione dell�intesa, a svuotare di significato 
l�affermazione di una pretesa soltanto al suo avvio. Non si vedrebbe, del resto, in quali 
forme giudiziali e con quali strumenti tale stipulazione potrebbe essere garantita all�associazione 
richiedente e imposta al Governo. 
La non giustiziabilit� della pretesa all�avvio delle trattative, inoltre, si fonda su ulteriori 
argomenti del massimo rilievo istituzionale e costituzionale. 
Per il Governo, l�individuazione dei soggetti che possono essere ammessi alle trattative, 
e il successivo effettivo avvio di queste, sono determinazioni importanti, nelle quali sono gi� 
impegnate la sua discrezionalit� politica, e la responsabilit� che normalmente ne deriva in 
una forma di governo parlamentare. 
Vi � qui, in particolare, la necessit� di ben considerare la serie di motivi e vicende, che 
la realt� mutevole e imprevedibile dei rapporti politici interni ed internazionali offre copiosa, 
i quali possono indurre il Governo a ritenere non opportuno concedere all�associazione, che 
lo richiede, l�avvio delle trattative. 
A fronte di tale estrema variet� di situazioni, che per definizione non si presta a tipizzazioni, 
al Governo spetta una discrezionalit� ampia, il cui unico limite � rintracciabile nei principi 
costituzionali, e che potrebbe indurlo a non concedere nemmeno quell�implicito effetto 
di �legittimazione� in fatto che l�associazione potrebbe ottenere dal solo avvio delle trattative.
72 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2016 
Scelte del genere, per le ragioni che le motivano, non possono costituire oggetto di sindacato 
da parte del giudice. 
Questa Corte ha gi� affermato che, in una situazione normativa in cui la stipulazione 
delle intese � rimessa non solo alla iniziativa delle confessioni interessate, ma anche al consenso 
del Governo, quest�ultimo �non � vincolato oggi a norme specifiche per quanto riguarda 
l�obbligo, su richiesta della confessione, di negoziare e di stipulare l�intesa� (sentenza n. 346 
del 2002). Ci� dev�essere in questa sede confermato, considerando altres� che lo schema procedurale, 
unicamente ricavabile dalla prassi fin qui seguita nella stipulazione d�intese, non 
pu� dare origine a vincoli giustiziabili. 
Negando l�avvio alle trattative, il Governo non sfuggirebbe, tuttavia, ad ogni imputazione 
di responsabilit�. L�art. 2, comma 3, lettera l), della legge n. 400 del 1988 sottopone 
alla deliberazione dell�intero Consiglio dei ministri �gli atti concernenti i rapporti previsti 
dall�articolo 8 della Costituzione�. E poich� tra questi atti � sicuramente ricompresa la deliberazione 
di diniego di avvio delle trattative, � giocoforza riconoscere che anche di tale decisione 
il Governo risponde di fronte al Parlamento, con le modalit� attraverso le quali la 
responsabilit� politica dell�esecutivo � attivabile in una forma di governo parlamentare. La 
riserva di competenza a favore del Consiglio dei ministri, in ordine alla decisione di avviare 
o meno le trattative, ha l�effetto di rendere possibile, secondo i principi propri del governo 
parlamentare, l�effettivit� del controllo del Parlamento fin dalla fase preliminare all�apertura 
vera e propria delle trattative, controllo ben giustificato alla luce dei delicati interessi protetti 
dal terzo comma dell�art. 8 Cost. 
In definitiva, un insieme complesso di ragioni, apprezzabili su piani diversi, inducono 
a giudicare non fondata la tesi esposta nella sentenza delle sezioni unite della Corte di cassazione 
e negli scritti difensivi dell�interveniente. Tutte queste ragioni, invece, convergono nel 
far ritenere che, alla luce di un ragionevole bilanciamento dei diversi interessi protetti dagli 
artt. 8 e 95 Cost., non sia configurabile - in capo ad una associazione che ne faccia richiesta, 
allegando la propria natura di confessione religiosa - una pretesa giustiziabile all�avvio delle 
trattative ex art. 8, terzo comma, Cost. 
Dal disconoscimento dell�esistenza di tale pretesa, discende l�accoglimento del ricorso 
per conflitto, nei termini che verranno di seguito precisati. 
5.3.� Spetta, dunque, al Consiglio dei ministri valutare l�opportunit� di avviare trattative 
con una determinata associazione, al fine di addivenire, in esito ad esse, alla elaborazione bilaterale 
di una speciale disciplina dei reciproci rapporti. Di tale decisione - e, in particolare, 
per quel che in questa sede interessa, della decisione di non avviare le trattative - il Governo 
pu� essere chiamato a rispondere politicamente di fronte al Parlamento, ma non in sede giudiziaria. 
Non spettava perci� alla Corte di cassazione, sezioni unite civili, affermare la sindacabilit� 
di tale decisione ad opera dei giudici comuni. 
Va, tuttavia, precisato che - cos� come la valutazione riservata al Governo � strettamente 
riferita e confinata all�oggetto di cui si controverte nel presente conflitto, cio� alla decisione 
se avviare le trattative in parola - allo stesso modo l�atto di diniego di cui si ragiona non pu� 
produrre, nell�ordinamento giuridico, effetti ulteriori rispetto a quelli cui � preordinato. 
Tale atto - nella misura e per la parte in cui si fondi sul presupposto che l�interlocutore 
non sia una confessione religiosa, come avvenuto nel caso da cui origina il presente conflitto 
- non determina ulteriori conseguenze negative, diverse dal mancato avvio del negoziato, sulla 
sfera giuridica dell�associazione richiedente, in virt� dei principi espressi agli artt. 3, 8, 19 e 
20 Cost.
CONTENZIOSO NAZIONALE 73 
Le confessioni religiose, a prescindere dalla circostanza che abbiano concluso un�intesa, 
sono destinatarie di una serie complessa di regole, in vari settori. E la giurisprudenza di questa 
Corte afferma che, in assenza di una legge che definisca la nozione di �confessione religiosa�, 
e non essendo sufficiente l�auto-qualificazione, �la natura di confessione potr� risultare anche 
da precedenti riconoscimenti pubblici, dallo statuto che ne esprima chiaramente i caratteri, o 
comunque dalla comune considerazione�, dai criteri che, nell�esperienza giuridica, vengono 
utilizzati per distinguere le confessioni religiose da altre organizzazioni sociali (sentenza n. 
195 del 1993; in termini analoghi, sentenza n. 467 del 1992). 
In questo contesto, l�atto governativo di diniego all�avvio delle trattative, nella parte in 
cui nega la qualifica di �confessione religiosa� all�associazione richiedente, non pu� avere 
efficacia esterna al procedimento di cui all�art. 8, terzo comma, Cost., e non pu� pregiudicare 
ad altri fini la sfera giuridica dell�associazione stessa. 
Un eventuale atto lesivo, adottato in contesti ovviamente distinti rispetto a quello ora in 
questione, potr� essere oggetto di controllo giudiziario, nelle forme processuali consentite 
dall�ordinamento, allo scopo di sindacare la mancata qualificazione di confessione religiosa 
che pretendesse di fondarsi sull�atto governativo. 
Nel delicato ambito del pluralismo religioso disegnato dalla Costituzione, non sono infatti 
configurabili �zone franche� dal sindacato del giudice, che � posto a presidio dell�uguaglianza 
di tutte le confessioni garantita dagli artt. 3, 8, 19 e 20 Cost. 
In definitiva, un conto � l�individuazione, in astratto, dei caratteri che fanno di un gruppo 
sociale con finalit� religiose una confessione, rendendola, come tale, destinataria di tutte le 
norme predisposte dal diritto comune per questo genere di associazioni. Un altro conto � la 
valutazione del Governo circa l�avvio delle trattative ex art. 8, terzo comma, Cost., nel cui 
ambito ricade anche l�individuazione, in concreto, dell�interlocutore. Quest�ultima � scelta 
nella quale hanno peso decisivo delicati apprezzamenti di opportunit�, che gli artt. 8, terzo 
comma, e 95 Cost. attribuiscono alla responsabilit� del Governo. 
In quest�ambito circoscritto, e solo in esso, appartiene dunque al Consiglio dei ministri 
discrezionalit� politica, sotto il sempre possibile controllo del Parlamento, cui non pu� sovrapporsi 
il sindacato del giudice. 
Va, pertanto, annullata l�impugnata sentenza della Corte di cassazione, sezioni unite civili. 
P E R Q U E S T I M O T I V I 
LA C O RT E C O S T I T U Z I O N A L E 
dichiara che non spettava alla Corte di cassazione affermare la sindacabilit� in sede giurisdizionale 
della delibera con cui il Consiglio dei ministri ha negato all�Unione degli Atei e 
degli Agnostici Razionalisti l�apertura delle trattative per la stipulazione dell�intesa di cui all�art. 
8, terzo comma, della Costituzione e, per l�effetto, annulla la sentenza della Corte di 
cassazione, sezioni unite civili, 28 giugno 2013, n. 16305. 
Cos� deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 
27 gennaio 2016.
74 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2016 
Una vittoria nel contrasto alla grande evasione. 
Il chiarimento della Cassazione sulla 
�clausola del rendimento minimo garantito� 
NOTA A CASSAZIONE CIVILE, SEZIONE V, SENTT. 1 APRILE 2016 NN. 6330, 6331 
Carlo Maria Pisana* 
Segnalo le due importanti sentenze nn. 6330/16 e 6331/16 depositate il 
1� aprile 2016, con cui la Suprema Corte ha preso posizione in ordine al meccanismo 
evasivo della c.d. �clausola del rendimento minimo garantito�. 
Si tratta della clausola, non frequentissima ma rilevabile nelle compravendite 
di complessi immobiliari compiute dai fondi di investimento, con cui 
il cedente garantisce al cessionario di ricavare un determinato importo minimo 
dalle locazioni delle unit� immobiliari. L�istituto contrattuale, non riportabile 
a un negozio tipico ma di per s� legittimo e meritevole di tutela ex art. 1322 
c.c., nel suo utilizzo distorto � divenuto uno dei pi� avanzati strumenti di evasione 
fiscale. 
Con le sentenze in rassegna la Corte statuisce inequivocabilmente �La 
clausola di redditivit� minima garantita ... ha contenuto incerto ed aleatorio 
per sua stessa natura, poich� ha proprio lo scopo di intervenire per ripristinare 
il sinallagma contrattuale, solo nel caso in cui si verifichi la sproporzione 
tra la redditivit� garantita e quella effettiva� (sent. 6331/16). 
L�importo in gioco? 63 milioni di euro per limitarsi soltanto alle due cause 
discusse il 18 dicembre 2015, ma l�insieme di cause vertenti sul meccanismo 
in parola � di gran lunga superiore. 
Il rilievo giuridico della pronuncia pu� essere meglio compreso con un 
breve cenno ai fatti di causa. 
La vicenda si inserisce nel quadro delle operazioni poste in essere da alcuni 
imprenditori poi designati nel gergo giornalistico come �furbetti del quartierino� 
probabilmente al fine di finanziare le pi� vaste operazioni mobiliari 
assurte alle cronache poste in essere nella primavera del 2005. 
Semplificando in massimo grado, gli imprenditori di riferimento hanno: 
- acquistato mediante societ� veicolo da soggetti esterni complessi immobiliari 
siti in Roma, Milano e altre citt� italiane; 
- contestualmente o poco dopo rivenduto a prezzo enormemente maggiorato 
l�immobile, a volte con un passaggio intermedio ad un'altra societ� facente 
capo a s� medesimi, ad un operatore finanziario; 
- quest�ultimo a sua volta ne ha retrocesso la disponibilit� ad altre societ� 
facenti capo al medesimo imprenditore in forma di leasing. 
(*) Avvocato dello Stato.
CONTENZIOSO NAZIONALE 75 
Tale modus procedendi ha assicurato un flusso di liquidit� nell�immeditato, 
ma determinato ingenti plusvalenze a carico della societ� veicolo. 
Al fine di sottrarre alla tassazione le plusvalenze realizzate, i diversi 
�gruppi� imprenditoriali coinvolti hanno elaborato varie strategie innovative. 
Tra quelle pi� efficaci si situa la �clausola del rendimento minimo garantito�. 
Secondo questo schema, la societ� veicolo venditrice, gravata della plusvalenza 
nell�operazione sopra descritta, si obbligava nel contratto di vendita, 
talvolta soltanto in un preliminare, al pagamento all�acquirente di un rendimento 
minimo garantito per otto o pi� anni pari alla differenza tra quanto 
avrebbe ritratto l�acquirente dalle locazioni e un importo determinato (fissato 
per� in misura molto superiore all�importo in concreto ritraibile). 
Tale passivit�, di importo molto vicino a quello della cessione, veniva poi 
portata in deduzione per intero nell�anno in corso, sul cui esercizio avrebbe 
gravato la plusvalenza, che ne risultava per l�effetto �neutralizzata�. 
La CTR, seguendo l�impostazione del contribuente, aveva affermato la 
deducibilit� in forza del principio di correlazione tra costi e ricavi, spingendosi 
ad affermare che i costi in parola sarebbero persino �certi e determinabili�. 
La Corte, aderendo alla nostra prospettazione, premette che la deduzione 
dei costi pu� riconoscersi soltanto allorch� essi siano certi e determinabili (par. 
3.3, sent. n. 6330/16), richiedendosi il concorso di entrambi i requisiti, dei 
quali il primo si riferisce al��an� e il secondo al �quantum� e precisato che 
comunque la �determinabilit� non pu� essere rimessa alla mera volont� delle 
parti� , conclude che tali costi non possono ritenersi n� certi n� determinabili 
ai fini dell�art. 109 Tuir. 
�Nel caso di specie , mancando la prova dei suddetti requisiti nell�esercizio 
di riferimento ... e trattandosi anzi di costi futuri eventualmente sostenibili 
negli esercizi successivi ...�. 
Il ragionamento della Corte riprende l�argomentazione �a fortiori� del 
nostro ricorso che desume l�indeducibilit� dei costi in parola dal precedente 
gi� formatosi in materia di indeducibilit� degli accantonamenti riferiti all�adempimento 
di clausole di rendimento minimo garantito in una compravendita 
dell�Enasarco (Cass. civ. Sez. V, Sent., 12 febbraio 2013, n. 3368). 
Cassazione civile, Sezione V, sentenza 1 aprile 2016 n. 6330 - Pres. S. Di Amato, Rel. G. 
Iofrida, P.M. T. Basile (difforme) - Agenzia entrate (avv. Stato C.M. Pisana) c. Sviluppo 43 
srl (avv.ti G. Tasco e G. Pozzi). 
Ritenuto in fatto 
L'Agenzia delle Entrate propone ricorso per cassazione, affidato a tre motivi, nei confronti 
della Sviluppo 43 srl, avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale del Lazio 
n. 482/14/2013, depositata in data 17/09/2013. 
La controversia concerne l'impugnazione di un avviso di accertamento, per maggiori IRPEG
76 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2016 
ed IRAP, relative al periodo d'imposta 1/07/2003 - 30/06/2004, emesso a carico della societ� 
Sviluppo 43 srl (controllata dalla societ� di diritto lussemburghese Statuto Lux Holding s.a.r.l.), 
per effetto della ripresa a tassazione di elementi negativi di reddito, indebitamente dedotti ai 
fini delle Imposte Dirette, consistenti nel riporto di perdite fiscali, derivanti dalla gestione della 
partecipazione nella "Telit mobile terminals spa", e nella deduzione come costo, nell'esercizio 
suddetto, dell'intera somma dovuta in forza di una clausola, apposta nel contralto di compravendita 
di un complesso immobiliare sito in Milano ed assunta dalla Sviluppo 43, quale venditore, 
in favore della societ� acquirente, di "rendimento minimo garantito" per otto anni (in 
misura pari alla differenza tra quanto sarebbe stato ritratto dalle locazioni ed un tetto prefissato), 
nonch� per effetto della ripresa a tassazione di elementi positivi non dichiarati (la differenza 
tra gli interessi percepiti al tasso di interesse dichiarato del 2% e quello "normale", ritenuto 
dall'Ufficio erariale, pari al 4,3%), derivanti da finanziamenti infragruppo, in violazione della 
regola del transfer pricing. 
Con la sentenza qui impugnata � stata confermata la decisione di primo grado, che aveva, in 
parte, accolto il ricorso della contribuente (annullando l'atto impositivo limitatamente al primo 
rilievo, inerente la deduzione, a mezzo compensazione, di perdite pregresse, ed al secondo 
rilievo, riguardante l'asserita antieconomicit� dell'operazione immobiliare e la deduzione del 
costo derivante dalla clausola contrattuale di rendimento minimo garantito). 
In particolare, i giudici d'appello, nel respingere sia il gravame principale dell'Agenzia sia 
quello incidentale della societ� contribuente, hanno anzitutto sostenuto, quanto all'appello 
dell'Ufficio, che, in relazione al rilievo concernente gli asseriti costi derivanti dal contratto di 
compravendita immobiliare sottoposto alla condizione del c.d. "minimo garantito", trattavasi 
di contratto frequente nella prassi commerciale e rispondente ad un interesse economico di 
entrambe le parti (anche della venditrice, la quale aveva conseguito "una ingente liquidit�, 
altrimenti non ottenibile"), i costi detratti erano "certi nell'an e nel quantum e correttamente 
riportati nel bilancio di competenza" e le somme derivanti dalla clausola erano "tassate per 
IRES ed IRAP, in capo alla societ� acquirente". In relazione, poi, al rilievo concernente il disconoscimento 
del riporto delle perdite generate dalla partecipazione nella Telit, non ricorreva, 
secondo la C.T.R., "la seconda condizione ostativa al riporto ex art. 84, comma 3, del TUIR, 
avendo la societ� dimostrato di non avere mai modificato l'attivit� principale". 
Esaminato, quindi, il gravame incidentale della contribuente, la C.T.R., nel respingerlo, ha 
affermato che il rilievo riguardante i proventi non dichiarati, a seguito di operazioni rientranti, 
secondo l'Ufficio, nel c.d. transfer pricing, andava confermato, non apparendo "convincente 
la ricostruzione del contribuente". 
L'intimata Sviluppo 43 srl ha depositato controricorso e ricorso incidentale, affidato ad un 
motivo. 
Considerato in diritto 
1. L'Agenzia delle Entrate ricorrente lamenta: 1) con il primo motivo, in relazione al primo 
rilievo presente nell'avviso di accertamento impugnato, concernente il disconoscimento del 
riporto delle perdite generate dalla partecipazione al capitale Telit, ai sensi dell' art. 84, comma 
3, del TUIR, la nullit� della sentenza, ex art. 360 c.p.c., n. 4, per carenza assoluta di motivazione, 
in violazione dell'art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, comma 2 e D.Lgs. n. 546 del 1992, 
art. 36, comma 2, n. 4; 2) con il secondo motivo, in relazione al secondo rilievo, riguardante 
l'operazione di vendita di complesso immobiliare e gli effetti della clausola contrattuale di 
"rendimento minimo garantito", la violazione e falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, 
degli artt. 109 e 107 del TUIR, atteso che, da un lato, perch� un elemento reddituale, in par-
CONTENZIOSO NAZIONALE 77 
ticolare un costo, acquisti rilievo ai fini fiscali, occorre la concorrenza di due elementi, la certezza, 
non soggetta a condizioni, dell'esistenza dell'elemento e l'obiettiva determinabilit� riguardo 
all'ammontare, laddove, nella fattispecie, la certezza e determinabilit� del costo in 
oggetto poteva raggiungersi soltanto alla fine di ciascun anno, a seguito del raffronto tra quanto 
effettivamente incassato dalle locazioni e la cifra fissa garantita dalla societ� venditrice (nella 
specie, "Euro 3.075.000,00" oltre adeguamenti), e, dall'altro lato, l'accantonamento "per altri 
rischi", iscritto in bilancio, dell'intero importo dovuto nell'arco temporale di otto anni non 
rientrava nelle tassative ipotesi di cui all' art. 107 del TUIR; 3) con il terzo motivo, in relazione 
sempre al secondo rilievo contestato dall'ufficio, l'insufficiente motivazione e comunque 
"l'omesso esame" circa un punto deciso e controverso, ex art. 360 c.p.c., n. 5, avendo la C.T.R. 
trascurato di considerare specifici elementi fattuali (quali: il confronto tra i costi sostenuti ed 
i ricavi dell'intera operazione; l'erroneit� dei calcoli dedotti dalla contribuente per sostenere 
la convenienza economica dell'operazione), che, se esaminati, avrebbero evidenziato l'antieconomicit� 
dell'operazione. 
(...) 
3.3. Il secondo motivo � invece fondato. 
Questa Corte ha gi� chiarito che "in tema di imposte sui redditi d'impresa, le garanzie del 
rendimento locativo minimo (nella specie, assunte con autonoma obbligazione contrattuale 
dal venditore di immobili all'acquirente degli stessi ed in relazione alla gestione pattuita a 
carico del primo) non rientrano tra gli accantonamenti tassativamente previsti dalle disposizioni 
sulla determinazione del reddito d'impresa, sicch� gli oneri in parola, realizzando costi 
futuri, sono deducibili solo "se e nella misura in cui sono sostenuti, secondo i criteri di cui al 
D.P.R. n. 917 del 1986, art. 75 mancando i requisiti di certezza e obiettiva determinabilit� di 
costi non ancora effettivamente sostenuti e di cui � assolutamente incerto il sostenimento. Infatti, 
componenti positivi o negativi che concorrono a formare il reddito possono essere imputati 
all'anno di esercizio in cui ne diviene certa l'esistenza o determinabile in modo obiettivo 
l'ammontare, qualora di tali qualit� fossero privi nel corso dell'esercizio di competenza" 
(Cass. 3368/2013; Cass. 9068/2015; Cass. 13252/2015). 
� pacifico, risultando non specificamente contestato dalla controricorrente quanto affermato 
dalla ricorrente a pag. 8 del ricorso, che la contribuente ha imputato, a fronte dei ricavi della 
vendita, i costi, inerenti alle garanzie del rendimento locativo minimo, iscrivendo, in bilancio, 
come "costo" l'importo maturato a titolo di rendimento garantito fino al 30/06/2004 e come 
"accantonamento per altri rischi", l'importo residuo che sarebbe stato corrisposto nei successivi 
otto anni a tale titolo. 
Al riguardo, va innanzitutto considerato che il D.P.R. n. 917 del 1986, art. 75 (attuale art. 109) 
nel testo vigente ratione temporis stabilisce, al comma 5, che "le spese e gli altri componenti 
negativi diversi dagli interessi passivi, tranne gli oneri fiscali, contributivi e di utilit� sociale, 
sono deducibili se e nella misura in cui si riferiscono ad attivit� o beni da cui derivano ricavi 
o altri proventi che concorrono a formare il reddito (...)". 
Tale disposizione � stata costantemente interpretata da questa Corte nel senso che i costi, per 
essere ammessi in deduzione quali componenti negativi del reddito di impresa, debbono soddisfare 
i requisiti di effettivit�, inerenza, certezza, determinatezza (o determinabilit�) e competenza 
(Cass. n. 10167 del 2012; nn. 3258, 12503 e 24429 del 2013; nn. 1565, 13806 e 21184 
dei 2014; nn. 426, 1011 e 7214 del 2015). 
Peraltro, dal primo comma della stessa norma - per cui i ricavi, le spese e gli altri componenti 
positivi e negativi, per i quali le precedenti norme del presente capo non dispongono diversa-
78 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2016 
mente, concorrono a formare il reddito nell'esercizio di competenza; tuttavia i ricavi, le spese 
e gli altri componenti di cui nell'esercizio di competenza non sia ancora certa l'esistenza o determinabile 
in modo obiettivo l'ammontare concorrono a formarlo nell'esercizio in cui si verificano 
tali condizioni - si desume che, in mancanza di diverse disposizioni specifiche, 
laddove vi sia incertezza nell'an o indeterminabilit� nel quantum, il principio di cassa soppianta 
quello di competenza. 
In altri termini, i componenti negativi che concorrono a formare il reddito possono essere imputati 
all'anno di esercizio in cui ne diviene certa l'esistenza - o determinabile in modo obiettivo 
l'ammontare - qualora di tali qualit� fossero privi nel corso dell'esercizio di competenza 
(Cass. n. 3368 del 2013 citata). 
Dunque, dalla complessiva prescrizione dell'art. 75 cit., si desume che, per le spese e gli altri 
componenti negativi di cui non sia ancora certa l'esistenza o determinabile in modo obiettivo 
l'ammontare, il legislatore prevede una deroga al principio della Competenza, consentendo la 
loro deducibilit� nel diverso esercizio nel quale si raggiunge la certezza della loro esistenza 
ovvero la determinabilit�, in modo obiettivo, del relativo ammontare (Cass. n. 17568 del 2007). 
Peraltro, tale determinabilit� non pu� essere rimessa alla mera volont� delle parti, con una 
scelta discrezionale dell'esercizio cui imputare il costo (Cass. n. 24526 del 2009), ma deve 
essere desumibile dall'indicazione contrattuale del corrispettivo e da ulteriori elementi (cfr., 
da ultimo, Cass. n. 9068 del 2015). 
Quanto poi allo specifico disposto dell'art. 73, comma 4, vecchio T.U.I.R. (attuale art. 107) - 
per cui "non sono ammesse deduzioni per accantonamenti diversi da quelli espressamente 
considerati dalle disposizioni del presente capo" (il capo 6, che disciplina analiticamente le 
ipotesi legali di accantonamenti fiscalmente rilevanti) - esso fissa la regola tassativa della inderogabilit� 
degli accantonamenti fiscalmente deducibili - gli accantonamenti riflettono, in 
generale, la stima di passivit� probabili, dovute in forza di obbligazioni gi� assunte; si tratta 
cio� di una norma che mira a contemperare i principi di certezza, caratteristici del sistema tributario, 
e le esigenze di valutazione fiscale di poste meramente prudenziali. 
Invero, alcuni costi possono essere imputati al conto economico attraverso un accantonamento 
per "rischi ed oneri", vale a dire stanziando, fin dall'esercizio di competenza, a carico del risultato 
di gestione, le risorse economiche (cio� la quota di reddito) per far fronte a tali costi; 
in questo modo, quando essi si manifesteranno in concreto, non andranno a carico del risultato 
dell'esercizio successivo, ma saranno, quanto meno nei limiti dello stanziamento in bilancio, 
coperti utilizzando l'apposito fondo accantonato nello stato patrimoniale. 
Tuttavia, sotto il profilo fiscale, la disciplina degli accantonamenti riflette esigenze prevalenti 
di certezza e di univocit�, che richiedono di derogare alla tendenziale dipendenza del reddito 
imponibile dall'utile civile, prevedendo un regime differenziato per il corrispondente periodo 
d'imposta, in forza del principio di tassativit� degli accantonamenti fiscalmente deducibili 
previsto dall'art. 73 (oggi 107), quarto comma, Tuir . 
Ove dunque si tratti di accantonamenti, non rientranti tassativamente tra le ipotesi previste 
dalle disposizioni sulla determinazione del reddito d'impresa, i corrispondenti oneri sono deducibili 
esclusivamente se e nella misura in cui siano effettivamente sostenuti, secondo i criteri 
di cui all'art. 75 cit., mentre per i costi non ancora effettivamente sostenuti - e di cui � incerto 
il sostenimento - difettano i requisiti di certezza e obiettiva determinabilit�. 
In tal senso si � da tempo affermato che i componenti negativi che concorrono a formare il 
reddito devono essere imputati all'anno di esercizio in cui ne diviene certa l'esistenza o determinabile 
in modo obiettivo l'ammontare, qualora di tali qualit� essi siano privi nel corso del-
CONTENZIOSO NAZIONALE 79 
l'ordinario esercizio di competenza (Cass. n. 8250 del 2008). Tra l'altro, il concorso dei suddetti 
due requisiti � assolutamente necessario, atteso che il primo si riferisce all'an, in termini di 
certezza giuridica del titolo (Cass. n. 10988 del 2007) ed il secondo al quantum, in termini di 
agevole e ragionevole liquidabilit� (Cass. n. 3401 del 1997 e n. 24526 del 2009). 
Nel caso di specie, mancando la prova dei suddetti requisiti nell'esercizio di riferimento 
(2003/2004) e trattandosi anzi di costi futuri eventualmente sostenibili negli esercizi successivi 
(a seguito del raffronto tra quanto effettivamente incassato dalle locazioni e la cifra fissa garantita 
dalla societ� venditrice, cifra peraltro suscettibile anche di "eventuale adeguamento", 
pag. 23 del ricorso), la ripresa a tassazione risulta legittima (cfr. Cass. n. 3368 del 2013 e n. 
26534 del 2014). 
3.4. Il terzo motivo (a prescindere dai rilievi di inammissibilit�, mossi dalla controricorrente, 
peraltro fondati, in base al nuovo dettato dell'art. 360 c.p.c., n. 5 e dell'art. 348 ter c.p.c., 
comma 5 (c.d. "doppia conforme", cfr. Cass.S.U. 8053-8954 del 2014 e, sulla decorrenza della 
novella, Cass. 5528/2014 e 26860/2014), � assorbito. 
4. L'unico motivo del ricorso incidentale della societ�, in relazione al terzo rilievo contenuto 
nell'avviso di accertamento impugnato (riguardante l'omessa dichiarazione di componenti positivi 
di reddito correlati a finanziamenti infragruppo a tasso di interesse attivo del 2%, inferiore 
a quello mediamente praticato in Italia alle imprese mediante il ricorso al credito 
bancario) ed alla nullit� della sentenza per carenza di motivazione, � infondato. 
Invero, la CTR, pur avendo sinteticamente affermato, al riguardo, nella parte motivazionale 
"in diritto", ch'e non appariva "convincente la ricostruzione del contribuente", nella parte relativa 
al "fatto", ha precisato quale era la giustificazione offerta dalla contribuente, avendo la 
societ� contestato il "valore normale", applicato dall'Ufficio per l'applicazione della regola 
del c.d. transfer pricing e la rideterminazione degli interessi attivi, dei tassi mediamente praticati 
in Italia per finanziamenti (pari al 4,3%), invocando un minor valore (pari al 3,03%), 
dedotto dalla "media ponderata dei tassi di interesse sostenuti dalla societ� ricorrente per 
ottenere i capitali presi a mutuo", e che detta deduzione era stata gi� ritenuta carente di prova, 
in primo grado. 
Non ricorre pertanto, richiamato quanto gi� affermato in relazione al primo motivo del ricorso 
principale, l'invocato vizio di nullit� della sentenza per carenza assoluta di motivazione. 
5. Per tutto quanto sopra esposto, il ricorso principale deve essere accolto, limitatamente al 
secondo motivo, respinto il primo ed assorbito il terzo motivo, mentre va respinto il ricorso 
incidentale. 
La sentenza impugnata deve essere pertanto cassata, quanto al motivo accolto, e, decidendo 
nel merito, non essendovi necessit� di ulteriori accertamenti in fatto, va respinto il ricorso introduttivo 
della contribuente, in relazione al secondo rilievo, correlato alla c.d. clausola del 
minimo garantito, ed al terzo rilievo, riguardante i proventi non dichiarati, presenti nell'avviso 
di accertamento impugnato. 
Ricorrono giusti motivi, tenuto conto dell'esito complessivo del giudizio e delle questioni di 
diritto controverse, per compensare integralmente tra le parti le spese dell'intero giudizio. 
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma l quater, la ricorrente incidentale 
� tenuta a versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per 
l'impugnazione. 
P.Q.M. 
La Corte accoglie il ricorso principale, limitatamente al secondo motivo, respinto il primo ed 
assorbito il terzo; respinge il ricorso incidentale; cassa la sentenza impugnata, quanto al motivo
80 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2016 
accolto, e, decidendo nel merito, respinge il ricorso introduttivo della contribuente, in relazione 
al secondo rilievo, correlato alla c.d. clausola del minimo garantito, ed al terzo rilievo, riguardante 
i proventi non dichiarati, presenti nell'avviso di accertamento impugnato. 
Dichiara integralmente compensate tra le parti le spese dell'intero giudizio. 
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, la ricorrente incidentale 
� tenuta a versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per 
l'impugnazione. 
Cos� deciso in Roma, il 18 dicembre 2015 e, previa riconvocazione del Collegio in medesima 
composizioone, il 26 febbraio 20156.
CONTENZIOSO NAZIONALE 81 
Il danno da svalutazione per ritardato adempimento di una 
obbligazione pecuniaria: la specialit� della fattispecie tributaria 
CASSAZIONE CIVILE, SEZ. VI - T, ORDINANZA 20 APRILE 2016 N. 7803 
Carlo Maria Pisana* 
Segnalo la recente ordinanza Cass. 20 aprile 2016 n. 7803 in tema di pretesa 
del contribuente al maggior danno ex art. 1224 comma 2 cc in relazione 
a rimborsi Irpeg ottenuti in ritardo. 
La societ� aveva impugnato il silenzio serbato dall�Amm.ne a fronte di 
un�istanza di rimborso, chiedendo altres� la rivalutazione del credito. La Ctp 
in primo grado aveva riconosciuto il diritto al rimborso, ma negato la rivalutazione. 
A seguito dell�appello dell�Ufficio, la Ctr ha accolto l�appello incidentale 
della societ�, accordando anche il c.d. maggior danno ex art. 1224 c.c. 
In relazione a tale fattispecie, la Corte accoglie il nostro ricorso, condividendo 
la tesi volta a evidenziare la specialit� del regime dell�art. 44 del d.P.R. 
602/73 (1). Tale norma disciplina le conseguenze del ritardo nel rimborso al 
contribuente, che abbia pagato un�imposta in eccesso, in modo del tutto differenziato 
rispetto alla disciplina di diritto comune, prevedendo l�attribuzione 
di una somma (contenuta) a titolo di emolumento per l�attesa. Ci� sembrerebbe 
escludere il ricorso alla disciplina generale dell�art. 1224 comma 2 c.c. 
Nella fattispecie, la Corte, come nel caso deciso con decisione Cass. civ. 
Sez. V, 12 febbraio 2014, n. 3124, non si spinge per� ad escludere del tutto 
l�applicazione dell�istituto civilistico, ma afferma che �stante la speciale disciplina 
del dpr 29 settembre 1973, n. 602, art. 44 ... il creditore non pu� limitarsi 
ad allegare la sua qualit� di imprenditore e a dedurre il fenomeno 
inflattivo come fatto notorio, ma deve fornire indicazioni in ordine al danno 
subito ... e fornirne prova rigorosa�. La Corte richiama inoltre l�orientamento 
pi� rigoroso assunto in tema di maggior danno anche in materia extratributaria. 
(*) Avvocato dello Stato. 
(1) Art. 44 del dpr 602/73: �Il contribuente che abbia effettuato versamenti diretti o sia stato 
iscritto a ruolo per un ammontare di imposta superiore a quello effettivamente dovuto per lo stesso periodo 
ha diritto, per la maggior somma effettivamente pagata, all'interesse del 1 per cento per ognuno 
dei semestri interi, escluso il primo, compresi tra la data del versamento o della scadenza dell'ultima 
rata del ruolo in cui � stata iscritta la maggiore imposta e la data dell'ordinativo emesso dall'intendente 
di finanza o dell'elenco di rimborso. 
L'interesse di cui al primo comma � dovuto, con decorrenza dal secondo semestre successivo alla presentazione 
della dichiarazione, anche nelle ipotesi previste nell' art. 38 , quinto comma e nell' art. 41 , 
secondo comma. 
L'interesse � calcolato dall'ufficio delle imposte, che lo indica nello stesso elenco di sgravio, o dall'intendente 
di finanza ed � a carico dell'ente destinatario del gettito dell'imposta�. 
82 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2016 
Cassazione civile, Sez. VI - T, ordinanza 20 aprile 2016, n. 7803 - Pres. Iacobellis, Rel. 
Cigna - Agenzia delle Entrate (avv. gen. Stato) c. S.I. s.p.a.(avv. E. Della Valle). 
L'Agenzia delle Entrate ricorre, affidandosi a due motivi, per la cassazione della sentenza con 
la quale la Commissione Tributaria Regionale Lazio ha: 1) rigettato l'appello proposto dall'Ufficio 
avverso la sentenza con cui la CTP di Roma aveva accolto (ad esclusione della richiesta 
di rivalutazione monetaria) il ricorso proposto dalla S.I. S.p.A. avverso silenzio rifiuto 
formatosi su istanza di rimborso IRPEG 2002; 2) accolto l'appello incidentale proposto dalla 
societ�, ritenendo dovuta la rivalutazione monetaria; la CTR, in particolare, per quanto ancora 
rileva, ha evidenziato che la rivalutazione monetaria era dovuta al riconoscimento del maggior 
danno corrispondente alla differenza tra il tasso di rendimento netto dei titoli di Stato di durata 
non superiore ai 12 mesi ed il tasso degli interessi legali determinato per ogni anno ex art. 
1284 c.c. ; tanto "in considerazione che la pi� comune e prudente forma di investimento del 
denaro ha una sua redditivit� superiore al tasso legale", e precisando che parte contribuente 
aveva "dimostrato documentalmente il maggior danno richiesto oltre gli interessi". 
Il contribuente resiste con controricorso e, in seguito al deposito della relazione, con memoria 
ex art. 380 bis c.p.c. 
Con il primo motivo di ricorso l'Agenzia denunziando - ex art. 360 c.p.c. , n. 3 - violazione e 
falsa applicazione dell'art. 1224 c.c., comma 2 e art. 2697 c.c., nonch� del D.P.R. n. 602 del 
1973, art. 44, sostiene che in tema di obbligazioni pecuniarie costituite da crediti di imposta 
"la specialit� della fattispecie tributaria impone un'interpretazione restrittiva dell'art. 1224 
c.c., comma 2; pertanto, il creditore non pu� limitarsi ad allegare la sua qualit� di imprenditore 
ed a dedurre il fenomeno inflattivo come fatto notorio, ma deve, alla stregua dei principi generali 
dell'art. 2697 c.c. , fornire indicazioni in ordine al danno subito per l'indisponibilit� del 
denaro, a cagione dell'inadempimento, ed a offrirne prova rigorosa". 
Con il secondo motivo di ricorso l'Agenzia denunziando - ex art. 360 c.p.c., n. 4 - nullit� della 
sentenza per carenza della motivazione in violazione dell'art. 132 c.p.c. e violazione e falsa 
applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 1, comma 2 e art. 36, comma 2, n. 4, sostiene 
che, in ordine alla ricorrenza della prova dell'allegato maggior danno, la sentenza impugnata 
era da ritenersi radicalmente priva di motivazione, atteso che, nonostante il contribuente avesse 
sostenuto in diritto che il maggior danno poteva essere riconosciuto in via presuntiva, si era 
limitata ad affermare che parte contribuente aveva dimostrato documentalmente il maggior 
danno richiesto oltre gli interessi. 
Detti motivi, da valutarsi congiuntamente in quanto tra loro connessi, sono fondati. 
Come gi� chiarito da questa Corte, invero, "nel caso di ritardato adempimento di una obbligazione 
pecuniaria il danno da svalutazione monetaria non � "in re ipsa", ma pu� essere liquidato 
soltanto ove il creditore deduca e dimostri che un tempestivo adempimento gli avrebbe 
consentito di impiegare il denaro in modo tale da elidere gli effetti dell'inflazione. Tale principio 
trova applicazione anche alle pretese restitutorie vantate dal contribuente nei confronti 
dell'erario, rispetto alle quali peraltro - in considerazione della specificit� della disciplina dell'obbligazione 
tributaria - la prova del danno da svalutazione monetaria deve essere valutata 
con particolare rigore da parte del giudice di merito" (Cass. sez. unite 16871/2007); siffatto 
principio � stato in seguito ribadito da Cass. 26403/2010; Cass. 27305/2014 e 3124/2014; in 
particolare, con quest'ultima statuizione questa Corte ha precisato che "in tema di obbligazioni 
pecuniarie costituite dai crediti di imposta, cui non sono applicabili l'art. 1224 cod. civ. , 
comma 1 e art. 1284 cod. civ. , stante la speciale disciplina del D.P.R. 29 settembre 1973, n.
CONTENZIOSO NAZIONALE 83 
602, art. 44 - relativa a tutti gli interessi dovuti dall'amministrazione finanziaria in dipendenza 
di un rapporto giuridico tributario - la specialit� della fattispecie tributaria impone un'interpretazione 
restrittiva dell'art. 1224 cod. civ. , comma 2; pertanto, il creditore non pu� limitarsi 
ad allegare la sua qualit� di imprenditore e a dedurre il fenomeno inflattivo come fatto notorio, 
ma deve, alla stregua dei principi generali dell'art. 2697 cod. civ. , fornire indicazioni in ordine 
al danno subito per l'indisponibilit� del denaro, a cagione dell'inadempimento, ed ad offrirne 
prova rigorosa". Nel caso di specie non � stato dedotto dalla parte contribuente (v. appello incidentale, 
trascritto in ricorso in ossequio al principio di autosufficienza) che l'adempimento 
avrebbe consentito di impiegare il denaro in modo tale da elidere gli effetti dell'inflazione; la 
impugnata sentenza della CTR, essendosi limitata ad affermare che parte contribuente aveva 
dimostrato documentalmente il maggior danno richiesto oltre gli interessi, non ha fatto corretta 
applicazione del "particolare rigore" richiesto dalla Corte nella valutazione della prova del 
maggior danno, e va quindi cassata. 
In conclusione, pertanto, in accoglimento del ricorso, va cassata l'impugnata sentenza, con 
rinvio - per nuova valutazione in ordine alla sussistenza ed alla liquidazione del maggior 
danno - alla CTR Lazio, diversa composizione. 
P.Q.M. 
La Corte accoglie il ricorso; cassa l'impugnata sentenza, con rinvio alla CTR Lazio, diversa 
composizione, che provveder� anche alla regolamentazione delle spese del presente giudizio 
di legittimit�. 
Cos� deciso in Roma, il 17 marzo 2016.
84 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2016 
Gli effetti della sentenza di cassazione con rinvio sul titolo esecutivo 
NOTA A CASSAZIONE CIVILE, SEZ. III, SENTENZA 3 APRILE 2015 N. 6822 
Adriana Lagioia* 
SOMMARIO: 1. La vicenda giudiziaria - 2. Il principio del nulla executio sine titulo alla 
luce dell�evoluzione normativa: le vicende di successione e di trasformazione del titolo esecutivo 
- 3. L�effetto devolutivo dell�appello - 4. Evoluzione giurisprudenziale in tema di cassazione 
con rinvio - 5. Considerazioni conclusive. 
1. La vicenda giudiziaria. 
Con la sentenza in oggetto � stato riaffermato il principio secondo cui la 
cassazione con rinvio della sentenza che costituisce titolo esecutivo giudiziale 
comporta l�estinzione della procedura esecutiva per difetto sopravvenuto del 
titolo. Come si avr� modo di chiarire, la giurisprudenza dell�ultimo quinquennio 
non si � mostrata univoca sul punto. 
In talune pronunce, la Corte si � discostata dall�orientamento espresso in 
questa pronuncia, paventando plurime soluzioni, tra cui la reviviscenza del titolo 
esecutivo costituito dalla sentenza di primo grado o la coesistenza, all�interno 
del titolo, delle statuizioni di prime e seconde cure. 
La pronuncia in questione si pone in aperto contrasto con i principi sanciti 
nel 2013 dalle sentenze nn. 3074 e 3280, escludendo pertanto che sino alla 
definizione del giudizio di rinvio possa determinarsi una reviviscenza del titolo 
esecutivo contenuto nella sentenza cassata. 
Al fine di analizzare la problematica degli effetti della cassazione con rinvio 
sul titolo esecutivo, sar� necessario fare riferimento anche ai casi in cui il titolo 
esecutivo sia costituito da una sentenza di appello. Proprio questo era il caso oggetto 
delle sentenze �gemelle� del 2013 richiamate dalla presente pronuncia. 
Occorrer� dunque partire dai fenomeni di trasformazione e successione 
del titolo esecutivo per poi analizzare la problematica relativa all�effetto devolutivo 
della sentenza di appello, dando conto degli orientamenti giurisprudenziali 
sul punto. 
2. Il principio del nulla executio sine titulo alla luce dell�evoluzione normativa: 
le vicende di successione e di trasformazione del titolo esecutivo. 
In ossequio al principio nulla executio sine titulo, � del tutto pacifico 
che l�esistenza del titolo esecutivo al momento dell�inizio dell�esecuzione 
sia condizione necessaria ma non sufficiente per la legittimit� della procedura 
esecutiva. Perch� questa sia legittima, � necessario che il titolo esecutivo per- 
(*) Dottore in Giurisprudenza, ammessa alla pratica forense presso l�Avvocatura dello Stato.
CONTENZIOSO NAZIONALE 85 
manga per tutta la durata dell�esecuzione sino al suo momento conclusivo. 
Se nel codice civile del 1942 il rispetto di questo principio risultava pi� 
agevole, considerato il fatto che i provvedimenti giurisdizionali cui era attribuita 
efficacia esecutiva presentavano un connotato di maggior stabilit�, va 
rilevato che il quadro legislativo delineato dalle riforme del 1990 e del 1995 
(1) � stato, sotto questo profilo, foriero di numerose problematiche. 
L�aver introdotto i provvedimenti anticipatori e, soprattutto, l�aver attribuito 
alle sentenze di primo grado efficacia esecutiva a prescindere da una domanda 
di parte ha dato ingresso nel nostro sistema a titoli esecutivi �instabili� 
e quindi suscettibili di �trasformazioni� nel corso della procedura esecutiva 
(2). � con questi mutamenti che deve confrontarsi l�ancora vigente principio: 
se prima di queste riforme, l�eventualit� che il titolo esecutivo fosse diverso 
dalla sentenza di appello riguardava solo il caso del decreto ingiuntivo o eventualmente 
delle sentenze di primo grado munite di provvisoria efficacia esecutiva, 
attualmente titolo esecutivo possono essere anche i provvedimenti di 
condanna aventi forma di ordinanza che precedono la definizione del giudizio 
con sentenza e, pi� ampiamente rispetto al passato, le stesse sentenze di primo 
grado (3). Analoghe riflessioni possono essere effettuate in relazione all�introduzione 
nel sistema processuale, ad opera della legge 18 giugno 2009, n. 
69, del processo sommario di cognizione, con - tra le altre - la finalit� di �agevolare� 
la formazione del titolo esecutivo. 
Alla luce di questi mutamenti, il quesito di fondo che la giurisprudenza 
si � posta � se la previsione secondo cui il titolo esecutivo debba esistere dall�inizio 
alla fine dell�esecuzione sia da intendersi nel senso che � imprescindibile 
che questo resti lo stesso, oppure se sia possibile configurare dei processi 
di trasformazione. 
Invero, la successione e la trasformazione del titolo esecutivo non sono 
positivamente regolate dal codice di rito civile se non nel peculiare caso del 
decreto ingiuntivo, regolato dall�art. 653 co. 2 c.p.c. (4). 
La disposizione riguarda i casi in cui la sentenza che definisce il giudizio 
di opposizione in parte conferma e in parte riforma la pretesa risultante dal 
decreto ingiuntivo. In altre parole, il giudizio di opposizione conferma l�esi- 
(1) Il riferimento riguarda la legge 26 novembre 1990, n. 353, che ha introdotto gli artt. 186 bis e 
ter c.p.c. e, relativamente ai provvedimenti cautelari, l�art. 669 duodeces c.p.c. e la legge del 18 ottobre 
1995, n. 432, che ha introdotto l�art. 186 quater c.p.c. 
(2) Sul punto, si veda diffusamente B. CAPPONI, Vicende del titolo esecutivo nell�esecuzione forzata, 
in Corriere giur., 2012, p. 1512 e ss. 
(3) Giova specificare che anche prima della riforma dell�art. 282 c.p.c., il titolo esecutivo poteva 
essere costituito dalla sentenza di primo grado, se la stessa fosse stata munita della formula di provvisoria 
esecutivit�. 
(4) Quest�ultimo dispone che �se l�opposizione � accolta solo in parte, il titolo esecutivo � costituito 
esclusivamente dalla sentenza, ma gli atti di esecuzione gi� compiuti in base al decreto conservano 
i loro effetti nei limiti della somma o della quantit� ridotta�.
86 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2016 
stenza di un credito, ma lo determina in misura diversa rispetto a quella risultante 
dal decreto. 
Se si considerano le caratteristiche peculiari del decreto ingiuntivo, � 
chiara la ratio di questa previsione: considerato il fatto che, se non integralmente 
confermato nel giudizio di opposizione, il decreto ingiuntivo � destinato 
ad essere dichiarato nullo o revocato con effetti ex tunc, la disposizione, in ossequio 
al principio di conservazione degli atti processuali, ha fatto s� che gli 
atti esecutivi compiuti in dipendenza di un decreto ingiuntivo non integralmente 
confermato restassero comunque validi perch� giustificati �a ritroso� 
dalla sentenza che accerta l�esistenza del credito, ma in misura minore rispetto 
a quella determinata dal decreto. 
Il quesito che la giurisprudenza si � posta � se, in mancanza di una disciplina 
positiva dei casi di successione o trasformazione del titolo esecutivo, la previsione 
relativa al decreto ingiuntivo potesse considerarsi di portata generale. Plurime 
pronunce della Corte di Cassazione hanno dato risposta positiva, stabilendo 
che �la norma del capoverso dell�art. 653 c.p.c., sebbene dettata in materia di 
opposizione a decreto ingiuntivo, costituisce espressione di un principio generale 
valido per tutte le ipotesi in cui un provvedimento giurisdizionale provvisoriamente 
esecutivo, posto in esecuzione, venga modificato solo 
quantitativamente da un successivo provvedimento anch�esso esecutivo, sicch�, 
iniziata l�esecuzione in base a sentenza di primo grado munita di clausola di 
provvisoria esecuzione, ove sopravvenga sentenza di appello che riformi la precedente 
decisione in senso soltanto quantitativo, il processo esecutivo non resta 
caducato, ma prosegue senza soluzione di continuit�, nei limiti fissati dal nuovo 
titolo e con persistente efficacia, entro gli stessi, degli atti del titolo originario 
qualora la modifica sia in aumento, nel qual caso, per ampliare l�oggetto della 
procedura gi� intrapresa, il creditore ha l�onere di dispiegare l�intervento in 
base al nuovo titolo esecutivo costituito dalla sentenza di appello� (5). 
L�estensione dell�ambito di applicazione dell�art. 653 co. 2 c.p.c. non ha 
riguardato solo il caso in cui la sentenza di appello fosse di riforma di quella 
di primo grado, bens� ha ricompreso anche i casi in cui la sentenza di appello 
(o la sentenza che definisce l�opposizione a decreto ingiuntivo) fosse del tutto 
confermativa della sentenza di primo grado (o del decreto ingiuntivo). 
In altre parole, anche nel caso in cui la successione di titoli esecutivi sia avvenuta 
per il tramite di una sentenza totalmente confermativa di quella di primo 
grado o del decreto ingiuntivo, non si avr� una caducazione della procedura esecutiva 
fino ad allora svolta, bens� la prosecuzione della stessa, sulla base del 
�nuovo� titolo esecutivo, da intendersi come un continuum del precedente (6). 
(5) Cass., Sez. III, 18 aprile 2012, n. 6072, in Giust. civ. Mass., 2012, 4, p. 511. 
(6) Si veda, B. CAPPONI, Manuale di diritto dell�esecuzione civile, 2012, Giappichelli, p. 122 e 
ss.
CONTENZIOSO NAZIONALE 87 
Da queste riflessioni si pu� trarre la conclusione che il principio nulla 
executio sine titulo consenta che la procedura esecutiva abbia inizio con un titolo 
e prosegua con un titolo �diverso�, sostitutivo del precedente. 
Nella pronuncia che si osserva, il titolo esecutivo � costituito da una sentenza 
di primo grado. 
Tuttavia, per garantire una maggior completezza della trattazione, appare 
comunque opportuno soffermarsi sulla pi� ampia problematica relativa al caso 
in cui il titolo esecutivo che determina la successione sia una sentenza di secondo 
grado e quindi sul dibattito relativo all�effetto devolutivo dell�appello. 
3. L�effetto devolutivo dell�appello. 
L�effetto sostitutivo della sentenza di appello non � disciplinato positivamente. 
Esso trae le mosse dall�originaria configurazione dell�appello come 
mezzo di gravame illimitato quanto a censure deducibili ed avente ad oggetto 
il rapporto giuridico controverso gi� deciso in primo grado (7). In quest�ottica, 
i motivi di impugnazione non avevano la funzione di delimitare l�oggetto della 
controversia rispetto al primo grado, ma solo quella di individuare i capi della 
sentenza di primo grado impugnati. E dunque, il giudizio instaurato in appello 
era a tutti gli effetti un novum iudicium, poich� il giudice di secondo grado disciplinava 
nuovamente il rapporto oggetto della controversia con riferimento 
a tutte questioni afferenti al capo impugnato (8). 
Quindi, �anche quando il giudice d�appello conferma la sentenza impugnata, 
ci� vuol dire che egli pronunzia una sentenza con contenuto identico a 
quella o perfino che nella parte dispositiva vi si riferisce, ma non che quella 
conservi la sua efficacia; la sentenza, che contiene la decisione e spiega effetto 
imperativo, � anche in tal caso soltanto la sentenza d�appello� (9). 
Questa concezione dell�appello come secondo grado di giudizio in senso 
pieno � stata posta in dubbio da una parte della dottrina e della giurisprudenza 
che, sulla base delle riforme legislative che hanno interessato questo mezzo 
di gravame, ha ritenuto che il giudizio di appello, da novum iudicium fosse diventato 
una revisio prioris instantiae. 
In particolare, ci si riferisce alla modifica dell�art. 342 c.p.c. (10) per effetto 
della quale � disposto l�obbligo di motivazione dell�appello a pena di 
inammissibilit� e l�obbligo di indicare le parti della sentenza oggetto di impugnazione, 
nonch� l�esposizione degli errori commessi dal primo giudice 
in fatto o in diritto e la loro rilevanza ai fini della decisione impugnata (11). 
(7) Sull�appello, si veda P. D�ONOFRIO, Appello, in Dig. It. I, Giappichelli, 195, p. 725 e ss. 
(8) Sul punto, si veda diffusamente, A. CERINO CANOVA, Le impugnazioni civili. Struttura e funzione, 
Cedam, 1973, p. 584. 
(9) F. CARNELUTTI, Sistema del diritto processuale civile, I, Cedam, 1936. 
(10) Ad opera del decreto legge 22 giugno 2012, n. 83, convertito in legge 7 agosto 2012, n. 134.
88 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2016 
Inoltre, a un ripensamento rispetto alla concezione dell�appello come giudizio 
di merito di secondo grado sull�analoga questione di diritto pendente in 
primo grado - sempre nei limiti dei capi impugnati - ha contribuito la riforma 
della legge n. 353 del 1990 che ha reso pi� stringente rispetto al passato la disciplina 
del cd. divieto di nova (12). 
Una parte della dottrina (13) ha ritenuto che le riforme relative all�appello 
non incidessero sulla sua natura devolutiva. Con riferimento all�obbligo di 
motivazione, � stato affermato dalla dottrina prevalente e dalla giurisprudenza 
che anche dopo le modifiche introdotte dal decreto legge n. 83 del 2012, l�appello 
resta un mezzo di impugnazione a critica libera con devoluzione automatica, 
anche se nei limiti delle specifiche censure che non necessitano 
peraltro di un particolare rigorismo formale, quanto piuttosto della precisa individuazione 
delle questioni investite dal gravame. 
Considerazioni in parte analoghe sono state svolte rispetto al divieto di 
nova, che, a parere della dottrina prevalente, non comporta una ridiscussione 
dell�effetto devolutivo e l�eliminazione dell�effetto sostitutivo della sentenza 
d�appello, poich� lo stesso trova la propria ragion d�essere nel principio della 
domanda, valido anche per il secondo grado di impugnazione. � sulla base di 
questo principio che viene sancita la decadenza di domande ed eccezioni non 
riproposte in appello. 
L�appello � dunque �l�unico gravame in senso stretto che esiste nel nostro 
ordinamento; come tale, esso � il mezzo di impugnazione che introduce il giudizio 
di secondo grado, ossia una fase del processo, nella quale il giudizio pu� 
venire rinnovato, non come semplice riesame della sentenza di primo grado, ma 
come nuovo esame della causa, nei limiti delle specifiche censure contenute 
nella domanda d�appello o meglio - dopo le modifiche apportate all�art. 342 
c.p.c. dall�art. 54 del D.L. 22 giugno 2012 n. 83 (conv. alla l. 7 agosto 2012 n. 
(11) La formulazione previgente dell�art. 342 c.p.c. si limitava a disporre che l�atto di appello dovesse 
contenere i motivi specifici dell�impugnazione. 
(12) L�art. 345 c.p.c., nella formulazione previgente al 1990 disponeva: �Non sono ammessi nuovi 
mezzi di prova e non possono essere prodotti nuovi documenti, salvo che il collegio non li ritenga indispensabili 
ai fini della decisione della causa ovvero che la parte dimostri di non aver potuto proporli o 
produrli nel giudizio di primo grado per causa ad essa non imputabile. Pu� sempre deferirsi il giuramento 
decisorio�. Attualmente, dopo la riforma della legge n. 69 del 2009, l�articolo dispone: �Nel giudizio 
d'appello non possono proporsi domande nuove e, se proposte, debbono essere dichiarate 
inammissibili d'ufficio. Possono tuttavia domandarsi gli interessi [c.c. 1282], i frutti [c.c. 820] e gli accessori 
maturati dopo la sentenza impugnata, nonch� il risarcimento dei danni sofferti dopo la sentenza 
stessa. 
Non possono proporsi nuove eccezioni, che non siano rilevabili anche d'ufficio. 
Non sono ammessi nuovi mezzi di prova e non possono essere prodotti nuovi documenti, salvo che la 
parte dimostri di non aver potuto proporli o produrli nel giudizio di primo grado per causa ad essa non 
imputabile. Pu� sempre deferirsi il giuramento decisorio�. 
(13) Si veda, ex plurimis, C. MANDRIOLI, Diritto processuale civile, Tomo II, 2015, Giappichelli, 
p. 490 e ss. 
CONTENZIOSO NAZIONALE 89 
134) - nei limiti dei �motivi� che sono in essa esplicitati. Perci�, con l�esclusione 
di quei capi o punti della decisione di primo grado che non siano stati investiti 
dall�appello, la sentenza di secondo grado � destinata ad eventualmente sostituirsi 
a quella di primo grado nel determinare un nuovo regolamento della controversia. 
Di qui il carattere �sostitutivo� dell�impugnazione di cui trattasi� (14). 
E quindi, �in relazione alla natura di gravame che caratterizza l�appello, 
ed al fatto che esso introduce un riesame non della sentenza di primo grado, 
ma (nei limiti della domanda di appello) della stessa controversia che fu esaminata 
in primo grado, si pu� dire che l�oggetto del giudizio d�appello �, sia 
pure nei limiti delle censure �motivate� contenute nella domanda di appello, 
quello stesso della causa gi� decisa in primo grado� (15). 
Contrariamente alle considerazioni finora svolte, una parte della dottrina 
e della giurisprudenza, muovendo dagli stessi interventi legislativi sull�appello, 
ha ritenuto che essi sancissero il passaggio definitivo dell�appello da novum 
iudicium a revisio prioris instantiae, sottraendogli cos� sia l�effetto devolutivo 
che quello sostitutivo (16). 
Si intende facilmente come la ridiscussione della natura di gravame puro 
dell�appello abbia importanti ricadute sul titolo esecutivo. All�eliminazione 
dell�effetto devolutivo segue anche quella dell�effetto sostitutivo della sentenza 
di appello e dunque l�impossibilit� che quest�ultima si sostituisca a quella di 
primo grado come titolo esecutivo. Al fine di approfondire la questione, si ritiene 
opportuno analizzare i principali interventi giurisprudenziali sul punto. 
Le pronunce della Suprema Corte hanno trattato la problematica relativa all�effetto 
sostitutivo dell�appello in relazione al caso di cassazione con rinvio 
della sentenza. Si � cercato quindi di comprendere quali fossero gli effetti della 
cassazione con rinvio della sentenza sul titolo e sulla procedura esecutiva, sia 
nei casi in cui essa fosse iniziata prima della pronuncia di cassazione con rinvio, 
che nel caso in cui fosse stata intrapresa in un momento successivo. 
4. Evoluzione giurisprudenziale in tema di cassazione con rinvio. 
Fino al 2013, malgrado la concezione di novum iudicium dell�appello 
fosse stata messa seriamente in discussione, la giurisprudenza di legittimit� 
ha continuato in varie pronunce a ribadire l�effetto sostitutivo delle sentenze 
di appello di merito a quelle di primo grado come titolo esecutivo. 
(14) C. MANDRIOLI, Op. ult. cit., p. 494. 
(15) C. MANDRIOLI, Op. ult. cit., p. 412. 
(16) In tal senso si veda, A. TEDOLDI, I motivi specifici e le nuove prove in appello dopo la novella 
�iconoclastica� del 2012, in Riv. dir. proc., 2013, p. 145; A. BRIGUGLIO, Un approccio minimalista alle 
nuove disposizioni sull�ammissibilit� dell�appello, ibidem, p. 573. In giurisprudenza, ex multis, si veda 
Cass. Sez. Un., 23 dicembre 2005, n. 28498, in Foro it., 2006, I, c. 1433 che in relazione all�onere probatorio 
dell�appellante, ha ritenuto che lo stesso non riguardi, a differenza del primo grado, il rapporto 
giuridico controverso come si desumerebbe dall�effetto devolutivo dell�appello, bens� sia limitato alla 
fondatezza dei motivi specifici. 
90 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2016 
Come si diceva, queste pronunce si sono concentrate sul problema degli 
effetti delle sentenze di cassazione con rinvio sul titolo esecutivo e quindi sui 
limiti del cd. effetto espansivo esterno della sentenza di cassazione, disciplinato 
dall�art. 336 co. 2 c.p.c. In altre parole, il problema da cui hanno tratto le 
mosse queste pronunce � quello di capire se, una volta cassata con rinvio la 
sentenza di appello confermativa o riformativa di quella di primo grado, vi sarebbe 
stata una �reviviscenza� della sentenza di prime cure come titolo esecutivo, 
oppure se la procedura esecutiva sarebbe risultata caducata a causa di 
mancanza del titolo. Accanto a questi quesiti, vi era anche quello relativo alla 
sorte degli atti esecutivi gi� compiuti. 
Al fine di analizzare le posizioni giurisprudenziali principali sul punto, 
si deve innanzitutto distinguere tra le sentenze d�appello integralmente confermative 
nel merito (17) di quelle di primo grado da quelle parzialmente riformative 
(e quindi parzialmente confermative). Inoltre, si deve scindere il 
caso in cui il soggetto abbia iniziato l�esecuzione sulla base della sentenza di 
primo grado, da quello in cui invece gli atti esecutivi siano stati posti in essere 
solo dopo la pronuncia di seconde cure. 
Con riferimento alla prima distinzione, la Cassazione, sia nel 2009 (18) 
che nel 2013 (19) ha affermato che �la cassazione con rinvio della sentenza di 
secondo grado che abbia confermato quella di primo grado, posta a fondamento 
di un�azione esecutiva, produce effetti analoghi alla sentenza di secondo 
grado di riforma della prima, per come � normativamente sancito anche dall�equiparazione 
di cui all�art. 336 comma 2, ultimo inciso. Non vi � dubbio 
che gli atti pre-esecutivi ed esecutivi che siano stati posti in essere dopo la 
pronuncia della sentenza di appello cassata siano da questa dipendenti e vengano 
travolti ai sensi della norma da ultimo citata, anche quando si tratti di 
cassazione con rinvio al giudice di appello ai sensi dell�art. 383 c.p.c.� (20). 
Nella sentenza n. 2955 del 2013, la Corte ha esaminato anche la seconda 
distinzione, ossia quella tra l�inizio dell�esecuzione prima e dopo la sentenza 
di appello cassata, estendendo il perimetro applicativo dell�art. 336 co. 2 c.p.c. 
(17) Fino alle sentenze gemelle nn. 3074 e 3280 del 2013 - che verranno approfondite nel proseguo 
della trattazione - per le sentenze appello di rito era ritenuto pacifico che le stesse non si sostituissero a 
quelle di primo grado e che dunque il titolo esecutivo restasse la sentenza di prime cure. 
(18) Cass. Sez. III, 27 marzo 2009, n. 7537, in Giust. civ. Mass., 2009, 3, p. 541. 
(19) Cass. Sez. III, 7 febbraio 2013, n. 2955, in C.E.D. Cass., n. 625370. 
(20) Alle stesse conclusioni � giunta la Corte di Cassazione nella sentenza 12 marzo 2013, n. 
6113, in Giust. Civ. mass. 2013, la quale ha affermato che �Come � giurisprudenza di questa Corte da 
cui non � il caso di discostarsi e che va ribadita, nell�ipotesi in cui la sentenza di appello che ha riformato 
quella di primo grado venga cassata con rinvio, non si ha una riviviscenza di quella di primo grado, 
posto che la sentenza del giudice di rinvio non si sostituisce ad altra precedente ma interviene direttamente 
sulla domanda proposta dalle parti, con la conseguenza che non sar� pi� possibile procedere in 
executivis sulla base di quella di primo grado, potendo una nuova esecuzione fondarsi esclusivamente 
sulla sentenza del giudice emessa in sede rescissoria�. 
CONTENZIOSO NAZIONALE 91 
anche oltre la sentenza di secondo grado, disponendo che gli effetti della sentenza 
di cassazione con rinvio, nel caso di sentenze confermative, travolgano 
anche gli atti esecutivi compiuti dopo la sentenza di primo grado, poich� �solo 
formalmente gli atti esecutivi appaiono come �dipendenti� dalla sentenza di 
primo grado. Ed invero, poich� � da ritenersi, per quanto sopra, che la sentenza 
di secondo grado si sia sostituita a quella di primo grado anche come titolo 
esecutivo, ed anche quando sia sopravvenuta nel corso del processo esecutivo, 
la sua cassazione con rinvio comporta la caducazione del titolo esecutivo, in 
ragione di quanto previsto dall�art. 336 c.p.c., comma 2, ult. inciso�. 
Questo dunque l�assetto risultante dalla giurisprudenza di legittimit� fino 
al 2013. 
Nello stesso anno, due sentenze gemelle della Corte di Cassazione (21) 
hanno capovolto l�assetto sinora delineato e la stessa concezione tradizionale 
dell�appello, definita dalla Corte di legittimit� come �tralaticia�. 
Muovendo dal caso di cassazione con rinvio di una sentenza di appello 
di merito confermativa di una sentenza di primo grado, la Cassazione contesta 
l�idea tradizionale secondo cui la sentenza di secondo grado confermativa nel 
merito diventi l�unico titolo posto alla base dell�esecuzione e che dunque, qualora 
si inizi l�esecuzione dopo la definizione del secondo grado di giudizio, 
vada notificata, come titolo esecutivo, unicamente la sentenza di appello. 
Spiega la Cassazione che, accogliendo la concezione devolutiva dell�appello, 
ne deriverebbe che nei casi di cassazione con rinvio della sentenza di seconde 
cure, risulterebbe un difetto ab origine del titolo esecutivo da cui conseguirebbe 
la caducazione dello stesso. 
La Corte sostiene che nessun effetto sostitutivo si determina con la sentenza 
di secondo grado confermativa. Al contrario, il titolo esecutivo risulter�, 
sia nel caso di sentenza confermativa che riformativa, dalla combinazione 
delle due sentenze. E ci� perch� vi sarebbe una �incongruenza della stessa tesi 
di fondo dell�efficacia sostitutiva della sentenza confermativa: in effetti se vi 
� tale efficacia sostitutiva ed alle parole si deve dare un senso, allora la sostituzione 
come titolo della sentenza d�appello a quella di primo grado non pu� 
che determinare l�affrancarsi del nuovo titolo da quello che sostituisce. Il che 
dovrebbe comportare che la pretesa esecutiva estrinsecatasi sulla base della 
sentenza di primo grado dovrebbe sempre considerarsi tamquam non esset, 
perch� ha avuto luogo sulla base di un titolo che non cՏ pi�, essendone sopravvenuto 
uno nuovo. La conseguenza paradossale sarebbe che l�esecuzione 
pregressa, avvenuta sulla base della sentenza di primo grado si sarebbe dovuta 
ritenere automaticamente caducata: questo sarebbe stato l�effetto dell�attribuzione 
all�effetto sostitutivo di un valore assoluto�. Alla luce di ci�, la Cassa- 
(21) Sez. III, 8 febbraio 2013, n. 3074 e Sez. III, 12 febbraio 2013, n. 3280, in Foro It., 2013, 10, 
c. 2900 con nota di N. MINAFRA. 
92 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2016 
zione propone di intendere la sostituzione solo come �a far tempo dalla sopravvenienza 
della sentenza di appello� e quindi non incidente sulla pretesa 
esecutiva pregressa. 
Dalla concezione del titolo esecutivo come combinazione tra la sentenza di 
primo e di secondo grado, la Cassazione fa discendere la conseguenza che nei 
casi di cassazione con rinvio la caducazione coinvolga solo gli atti esecutivi direttamente 
dipendenti dalla sentenza di secondo grado, ma non anche quelli dipendenti 
dalla prima. Ci� perch� la sentenza di primo grado non � scomparsa dal 
panorama giuridico, bens� ha continuato ad esistere affiancandosi a quella di secondo 
grado, risultando quindi il titolo esecutivo dalla combinazione delle due. 
La Corte estende queste considerazioni anche alle sentenze di rito, ritenendo, 
con riferimento a queste ultime, che i giudici dell�esecuzione �per fornire 
l�apprezzamento sull�esistenza e il modo di essere della pretesa esecutiva 
ed esercitare i loro poteri non possono utilizzare solo la sentenza di primo 
grado, poich� intanto essa ha visto conservata la sua efficacia di titolo esecutivo, 
in quanto � stata �confermata� dalla pronuncia sull�appello in rito�. 
In conclusione, nei casi di sentenze confermative - sia nel rito che nel 
merito - delle sentenze di primo grado, il titolo esecutivo risulter� dalla combinazione 
delle due sentenze e dunque, la Cassazione con rinvio interverr�, 
con la caducazione, solo sugli atti dipendenti dalla sentenza cassata, mentre 
l�esecuzione potr� riprendere dall�ultimo atto dipendente dalla sentenza di 
primo grado. La Cassazione specifica inoltre che siffatte considerazioni resterebbero 
invariate anche nei casi in cui vi sia una sospensione dell�efficacia 
del titolo esecutivo ex art. 283 c.p.c. Ci� perch� �una volta sopravvenuta la 
sentenza di conferma della sentenza di primo grado, il relativo provvedimento 
sarebbe gi� stato travolto e legittimamente la pretesa esecutiva sarebbe stata 
esercitata sempre sulla base della combinazione fra la sentenza di primo grado 
e quella di appello�. 
Prosegue la Cassazione affermando che, nei casi in cui la procedura esecutiva 
sia iniziata sulla base della sentenza di primo grado e non sia intervenuta 
(o perch� non richiesta o perch� rigettata) una sospensione ex art. 283 c.p.c. 
dell�efficacia del titolo esecutivo, l�art. 336 co. 2 c.p.c. - nei casi di cassazione 
con rinvio della sentenza di appello di rito o di merito - interverrebbe solo 
sugli atti esecutivi strettamente dipendenti dalla sentenza di secondo grado e 
non anche su quelli compiuti prima della sua emanazione. �Se si ritenesse che 
la cassazione con rinvio estenda i suoi effetti all�esecuzione quanto agli atti 
compiuti fino al momento della sentenza d�appello riformata, si avrebbe che 
essi verrebbero caducati pur non essendosi basati - legittimamente - sulla dimensione 
assunta dalla pretesa esecutiva a far tempo dalla pronuncia di quella 
sentenza, bens� soltanto sulla forza esecutiva della sentenza di primo grado�. 
Dunque, qualora dopo la sentenza di primo grado siano stati posti in essere 
atti esecutivi ulteriori in dipendenza dalla sentenza di appello poi cassata,
CONTENZIOSO NAZIONALE 93 
essi dovranno ritenersi caducati, ma ci� non comporter� in alcun modo la caducazione 
di tutta la pretesa esecutiva, non essendo mai venuta meno la sentenza 
di primo grado posta a suo fondamento. 
La Suprema Corte analizza anche il caso in cui la sospensione dell�efficacia 
esecutiva del titolo ex art. 283 c.p.c. sia disposta dal giudice del rinvio. 
Essa afferma che �occorre ritenere che il potere di sospensione ai sensi dell�art. 
283 del giudice di rinvio, concernendo anche l�esecutivit� della sentenza di 
primo grado, si presta ad essere utilizzato anche quando l�esecuzione sia gi� 
compiuta sulla base di essa e, dunque, in funzione di possibile rimozione degli 
effetti gi� verificatisi per il tramite dell�esecuzione e non caducati ai sensi 
dell�art. 336 co. 2�. Malgrado la riforma dell�art. 283 c.p.c. (22), a parere della 
Corte non si pu� comunque ritenere che l�effetto prodotto da questa modifica 
sia quello di escludere che il giudice di appello possa intervenire sull�esecutivit� 
della sentenza anche una volta che il processo esecutivo abbia avuto inizio. 
E dunque, il giudice del rinvio, per mezzo dello strumento di cui all�art. 283 
c.p.c., ha la possibilit� di sospendere l�esecuzione in modo pieno, ossia con 
effetto di rimozione dell�esecuzione gi� avvenuta. 
A parere della Corte, la soluzione tradizionale che ricollega alla cassazione 
della sentenza di appello una caducazione dell�intera procedura esecutiva 
sarebbe in contrasto con il principio di parit� delle armi e quindi con l�art. 111 
co. 2 Cost. poich� si perverrebbe all�arresto della procedura esecutiva senza 
che vi sia stato ancora il vaglio del giudice del rinvio. 
In ultima analisi, la Corte di legittimit� analizza la posizione del giudice 
dell�opposizione al precetto o all�esecuzione, affermando che nel caso in cui 
il precetto, non seguito dall�esecuzione, sia stato intimato sulla base della combinazione 
tra sentenza di primo e secondo grado, ci� comporter�, nel caso di 
cassazione con rinvio, una caducazione del precetto ex art. 336 co. 2 c.p.c. E 
dunque, il giudice di opposizione al precetto dovr� considerare come fatto sopravvenuto 
la caducazione del titolo esecutivo accogliendo l�opposizione. Allo 
stesso modo, nel caso in cui l�esecuzione abbia avuto inizio successivamente 
alla sentenza di appello, il giudice di opposizione all�esecuzione non potr� che 
accogliere l�opposizione per le stesse ragioni. 
Al contrario, quando sulla base della sentenza di primo grado sia stato 
intimato il precetto o siano stati posti in essere atti esecutivi, il giudice di opposizione 
al precetto o all�esecuzione, nel caso di cassazione con rinvio della 
sentenza di appello, considerer� caducati solo gli atti esecutivi posti in dipendenza 
della sentenza di secondo grado, ma non caducher� la pretesa esecutiva. 
Sempre in relazione alla posizione del giudice dell�opposizione all�esecuzione, 
la Corte conclude affermando che nel caso in cui il giudice del rinvio 
(22) Legge 26 novembre 1990, n. 353. La riforma ha eliminato ogni riferimento all�ipotesi di revoca 
della provvisoria esecutivit� della sentenza di primo grado.
94 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2016 
abbia sospeso l�efficacia esecutiva ex art. 283 c.p.c., il giudice dell�esecuzione 
non potr� che accogliere l�opposizione dichiarando che il diritto di procedere 
all�esecuzione non esiste in quel momento, proprio in ragione della sospensione 
di efficacia esecutiva del titolo. Nel caso in cui invece la sospensione 
sia stata negata oppure non sia stata richiesta, il giudice dovrebbe rendere una 
decisione di rigetto dell�opposizione, dichiarando allo stato l�esistenza del diritto 
di procedere all�esecuzione. 
La posizione assunta dalla Corte di Cassazione nel 2013 ha creato molte 
perplessit�, pur essendo rimasta pressoch� isolata nel panorama giurisprudenziale. 
L�assunto posto alla base di questa pronuncia � la traslazione dell�appello 
dal modello di gravame puro a mezzo di impugnazione, dovuto, a parere della 
Corte, a tutte le modifiche che dal 1990 hanno interessato il secondo grado di 
giudizio. In particolare, ci� che � stato modificato, a parere della Corte, � proprio 
l�oggetto dell�appello che non � pi� il rapporto controverso oggetto del 
giudizio di primo grado, bens� la parte della sentenza di primo grado di cui si 
chiede la censura. 
Come ovvio, considerare l�appello non pi� come mezzo di gravame, bens� 
come mezzo di impugnazione in senso stretto, comporta la compromissione 
del suo carattere sostitutivo e dunque la concezione del titolo esecutivo come 
mixtum tra la sentenza di primo e secondo grado. 
Tuttavia, come argomentato da una parte della dottrina (23), tutti i mezzi 
di impugnazione hanno come finalit� principale la �rimozione� del provvedimento 
impugnato, cui tuttavia segue la sostituzione del provvedimento rimosso 
con una nuova statuizione. E dunque, pur essendo l�appello, in quanto 
impugnazione, diretto alla rimozione di una o pi� parti della sentenza di primo 
grado, esso continua ad avere ad oggetto l�originaria controversia proposta in 
primo grado, naturalmente nei limiti dell�effetto devolutivo. 
Dunque, ci� che la dottrina ha sostenuto � che non vi sono elementi per 
stabilire che le modifiche legislative in tema di appello abbiano comportato 
la perdita del suo carattere sostitutivo (24). 
Alla medesima conclusione � giunta anche la giurisprudenza di poco successiva 
(25) che, con riferimento al caso in cui una sentenza di appello statuisca 
sulla inidoneit� della sentenza di primo grado a costituire titolo esecutivo, 
afferma: �nell'ipotesi di esecuzione fondata su titolo esecutivo costituito da 
(23) F. DANOVI, Note sull�effetto sostitutivo dell�appello, in Riv. dir. proc., 2009, p. 1469; N. RASCIO, 
L�oggetto dell�appello civile, Napoli, 1996, passim; C. CONSOLO, Spiegazioni di diritto processuale 
civile, II ed., III, Giappichelli, 2012, p. 281 e ss. 
(24) Sulla natura dell�appello, si veda G. BALENA, Le novit� relative all�appello nel d.l. n. 83/2012, 
in Giust. proc. civ., 2013, p. 23 e ss.; C. CONSOLO, Nuovi ed indesiderabili esercizi normativi sul processo 
civile: le impugnazioni a rischio di �svaporamento� in Corr. giur., 2012, p. 1135 e R. POLI, Il nuovo 
giudizio in appello, in Riv. dir. proc., 2013, p. 133. 
(25) Sez. lav., 8 luglio 2013, n. 16934, in Giust. mass., 2013.
CONTENZIOSO NAZIONALE 95 
una sentenza di primo grado, la riforma in appello di tale sentenza determina 
il venir meno del titolo esecutivo, atteso che l'appello ha carattere sostitutivo 
e, pertanto, la sentenza di secondo grado � destinata a prendere il posto della 
sentenza di primo grado; anche nell'ipotesi in cui la sentenza d'appello fosse 
a sua volta cassata con rinvio, non si avrebbe una reviviscenza della sentenza 
di primo grado, posto che la sentenza del giudice di rinvio non si sostituisce 
ad altra precedente pronuncia, riformandola o modificandola, ma statuisce direttamente 
sulle domande delle parti, con la conseguenza che non sarebbe mai 
pi� possibile procedere in executivis sulla base della sentenza di primo grado 
(riformata della sentenza d'appello cassata con rinvio), potendo una nuova esecuzione 
fondarsi soltanto, eventualmente, sulla sentenza del giudice di rinvio�. 
Con questa pronuncia dunque, non solo viene riconfermato l�effetto devolutivo 
del secondo grado di giudizio, ma anche l�esclusione della �reviviscenza� della 
sentenza di primo grado a seguito della cassazione con rinvio. 
Suddetto orientamento viene riconfermato, sia pur nei diversi termini descritti, 
anche dalla sentenza in oggetto. 
5. Considerazioni conclusive. 
Dovendo trarre le somme dall�analisi finora svolta, � possibile affermare 
che la sentenza in esame ha il merito di chiarire gli effetti della sentenza di 
cassazione con rinvio sul titolo esecutivo. 
All�interno della questione, si innestano due differenti problematiche: 
l�una � quella relativa alla portata dell�art. 336 c.p.c. e l�altra riguarda il fenomeno 
di successione del titolo esecutivo. 
Il quesito relativo agli effetti della cassazione con rinvio sul titolo esecutivo 
si � sempre mostrato di difficile risoluzione. In primo luogo, i problemi 
interpretativi derivano dal fatto che il fenomeno di successione del titolo esecutivo 
non � positivamente regolato, se non nel caso di cui all�art. 653 co. 2 
c.p.c., da cui la giurisprudenza ha tratto una �regola� con applicazione pi� 
ampia rispetto al solo decreto ingiuntivo. A ci� si aggiunga il fatto che quando 
il titolo esecutivo � costituito dalla sentenza di appello, alle questioni gi� menzionate 
se ne aggiunge una ulteriore, relativa alla natura del secondo grado di 
giudizio, da taluni inteso come una revisio prioris istantiae invece che come 
un novum iudicium. 
L�enunciazione della presente sentenza ripristina l�orientamento prevalente 
precedente al 2013, anche se alla luce del permanente contrasto interpretativo, 
appare opportuno la rimessione della questione alle Sezioni Unite. 
96 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2016 
Cassazione civile, Sezione Terza, sentenza 3 aprile 2015 n. 6822 - Pres. G. Salm�, Rel. R. 
Frasca, P.M. R. Finocchi Ghersi (cessazione della materia del contendere) - A. srl. (avv. D. 
Zurru) c. Tessiture P.R. spa (avv. ti G. Gobbi, M. Franchina). 
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO 
�1. La s.r.l. A. ha proposto ricorso straordinario per cassazione contro la s.p.a. Tessiture P. R. 
avverso la sentenza del 28 ottobre 2011, con la quale il Tribunale di Bergamo ha accolto, con 
conseguente annullamento del provvedimento opposto, un'opposizione ai sensi dell'art. 617 
c.p.c., proposta nel maggio del 2010 dalla detta s.p.a. per l'annullamento dell'ordinanza pronunciata 
il 26 aprile 2009, con cui lo stesso Tribunale in funzione di giudice della procedura 
esecutiva per espropriazione mobiliare, iscritta al n. r.g. 2454 del 2008 ed introdotta dalla medesima 
sulla base di titolo esecutivo rappresentato dalla sentenza n. 89 del 2007, emessa dal 
Tribunale di Bergamo, Sezione Distaccata di elusone, e recante condanna al pagamento delle 
spese giudiziali, aveva dichiarato la nullit� della procedura esecutiva "con la conseguente estinzione" 
della stessa, in ragione della sopravvenienza della sentenza n. 635 del 2010, con cui lo 
stesso Tribunale di Bergamo aveva accolto un'opposizione ai sensi degli artt. 617 e 615 c.p.c., 
proposta dalla s.p.a., sentenza peraltro impugnata dinanzi alla Corte d'Appello di Brescia. 
�2. Al ricorso, che propone sette motivi, i primi quattro dei quali articolati in distinte censure, 
ha resistito con controricorso la A. 
�3. Parte ricorrente ha depositato memoria. 
MO T I V I DELLA D E C I S I O N E 
�1. Il Collegio rileva che con la sua memoria parte ricorrente ha evidenziato che, nelle more 
fra la proposizione del ricorso e l'odierna udienza, � intervenuta la sentenza n. 19876 del 29 
agosto 2013, con la quale questa Corte - investita dalla A. del ricorso iscritto al n.r.g. 26456 
del 2007 avverso la sentenza n. 89 del 12 luglio 2007 del Tribunale di Bergamo, Sezione Distaccata 
di elusone, costituente il titolo esecutivo posto a base dell'esecuzione forzata iscritta 
al n.r. 2454 del 2008 ed oggetto del giudizio cui si riferisce il ricorso che si giudica - ha disposto 
la cassazione con rinvio di detta sentenza, sebbene in relazione ad una sola delle censure 
accolte e, quindi, parzialmente. 
Sulla base di tale sopravvenienza la ricorrente sostiene che sarebbe cessata la materia del contendere, 
in quanto il processo di esecuzione forzata iscritto al n.r. 2454 del 2008 ed oggetto 
dell'opposizione agli atti costituente la controversia cui si riferisce l'odierno ricorso � venuto 
meno, onde non vi sarebbe pi� interesse delle parti a discutere sulla legittimit� dell'ordinanza 
la cui legittimit� ne � oggetto. 
�2. La prospettazione della ricorrente � corretta. 
Va considerato che, ancorch� la cassazione della sentenza costituente il titolo esecutivo sia 
stata soltanto parziale, come emerge dalla sua lettura, ai sensi dell'art. 336 c.p.c., comma 1, 
essa ha travolto in ogni caso la statuizione sulle spese di quella sentenza, in quanto quest'ultima 
� una parte della sentenza, che per il suo carattere meramente accessorio all'intera decisione, 
supponeva che essa permanesse nella sua integralit�. 
Ne segue che nel giudizio di rinvio dovr� in ogni caso seguire, all'esito della pronuncia sull'oggetto 
di esso, una nuova statuizione sulle spese, che dovr� essere resa necessariamente all'esito 
della valutazione complessiva ai sensi dell'art. 91 e ss., dell'esito della decisione e, quindi, sar� 
del tutto nuova, senza alcuna possibilit� che possa, quando sar� resa, rivivere quella posta a 
base della sentenza cassata (il che esclude che rilevi in questo giudizio la giurisprudenza di cui 
a Cass. n. 3074 e 3280 del 2013, per poter reputare che l'esecuzione iniziata e seguita per le
CONTENZIOSO NAZIONALE 97 
spese della sentenza cassata possa restare ferma nei suoi effetti prima della cassazione in attesa 
della decisione del giudice di rinvio e dei suoi successivi esiti). Nel caso di specie, del resto, la 
sentenza cassata era rappresentata da sentenza di rigetto di un'opposizione a precetto e, quindi, 
da una sentenza che sul merito aveva natura di decisione di mero accertamento, onde la statuizione 
sulle spese posta a base dell'esecuzione rappresentava l'unico aspetto condannatorio per 
cui la sentenza stessa avrebbe potuto farsi valere ed era stata fatta valere come titolo esecutivo. 
Da tanto discende che il titolo esecutivo su cui si fondava l'esecuzione in relazione alla quale 
venne proposta l'opposizione agli atti decisa con la sentenza impugnata con il ricorso oggi in 
esame � venuto meno, con la conseguenza che il relativo giudizio � rimasto privo, sebbene in 
via sopravvenuta, di oggetto: tale oggetto, infatti, era rappresentato dalla valutazione della legittimit� 
di un atto, l'ordinanza dichiarativa dell'estinzione, che rappresentava espressione di 
una valutazione da parte del Giudice dell'Esecuzione del Tribunale di Bergamo su un particolare 
aspetto del quomodo della pretesa esecutiva basata sul titolo esecutivo irrimediabilmente 
venuto meno. � allora palese che, il venir meno del titolo posto a base dell'esecuzione 
� situazione che rende la contesa fra le parti sulla legittimit� di quell'aspetto del tutto priva 
del requisito dell'interesse, dato che esso sussisteva in ragione della circostanza che l'ordinanza 
de qua era un atto di realizzazione dell'esercizio della pretesa esecutiva basata sul titolo stesso: 
venuto meno tale titolo emerge automaticamente che non v'� ragione di una pronuncia che 
accerti la legittimit� o meno dell'ordinanza ai fini della sorte del processo esecutivo, dato che, 
essendo venuto meno l'atto fondante di tale processo e, dunque, restando caducata l'attivit� 
svolta in quest'ultimo, difetta qualsiasi interesse al detto accertamento. 
Ne segue che il presente ricorso dev'essere dichiarato inammissibile in ragione dell'inesistenza 
del requisiti dell'interesse a coltivarlo, residuando soltanto la necessit� di valutare la soccombenza 
su di esso in via virtuale ai fini del regolamento delle spese giudiziali. 
Il principio di diritto che viene in rilievo � il seguente: "La caducazione del titolo esecutivo 
costituito da una condanna alle spese accessoria a sentenza di rigetto di un'opposizione 
a precetto, per effetto di cassazione con rinvio di tale sentenza, comportando, ai sensi 
dell'art. 336 c.p.c., comma 2, la perdita di efficacia della statuizione sulle spese e, quindi, 
del titolo in base al quale sono stati compiuti gli atti della relativa procedura di esecuzione, 
determina la cessazione della materia del contendere sul giudizio di opposizione 
agli atti esecutivi concernente tale procedura e, quindi, sul ricorso avverso la sentenza 
pronunciata riguardo ad essa, del quale la Corte di cassazione sia stata investita. Ne 
segue che la Corte - sempre che non vi sia rinuncia al ricorso - deve rilevare la detta cessazione 
come fatto oggettivo incidente sull'interesse alla definizione del ricorso, il quale 
dev'essere, pertanto, dichiarato inammissibile per sopravvenuta carenza di interesse, 
salva la valutazione della soccombenza virtuale ai fini del regolamento delle spese del 
giudizio di cassazione". 
�3. L'assenza di deduzioni nella memoria della ricorrente riguardo alla decisione sulle spese 
in applicazione del principio della soccombenza virtuale e di una correlata istanza perch� si 
proceda alla sua valutazione, induce il Collegio a compensare le spese del giudizio di cassazione 
senza procedere all'esame del ricorso ai fini della individuazione di detta soccombenza. 
P.Q.M. 
La Corte dichiara inammissibile il ricorso per sopravvenuta carenza di interesse. Compensa 
le spese del giudizio di cassazione. 
Cos� deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Terza Civile, il 9 dicembre 
2014.
98 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2016 
L�imparzialit� del giudice e la �societ� democratica europea� 
NOTA A CONSIGLIO DI STATO, SEZ. TERZA, SENTENZA 27 LUGLIO 2015 N. 3679 
Chiara Bianco* 
SOMMARIO: 1. Considerazioni introduttive - 2. Il fatto - 3. La questione di legittimit� costituzionale: 
il legislatore italiano non avrebbe considerato il criterio del giudice naturale - 
4. L�interpretazione finalistica del Consiglio di Stato. 
1. Considerazioni introduttive. 
La lettura della sentenza del Consiglio di Stato n. 3679 del 27 luglio 2015 
� un�occasione per tentare di ricostruire un�immagine dell�ordinamento giuridico 
italiano, analizzando in particolare le caratteristiche attribuite al giudice 
nazionale dal sistema europeo. Lo studio di un tale tema, analizzando la posizione 
di un operatore giuridico particolarmente atteggiato quale il giudice nazionale 
(1), risulta complesso in ragione dell�esistenza di una rete di relazioni 
e rapporti tra fonti, organi e procedure. Il carattere relazionale dell�ordinamento 
si mostra in maniera peculiare nell�ambito applicativo (2) delle norme 
ed in particolare nella procedura (3) di interpretazione che vede il giudice na- 
(*) Laureata in Giurisprudenza, ammessa alla pratica forense presso l�Avvocatura dello Stato. 
(1) La peculiare posizione del giudice si pone nel contesto applicativo inteso in senso ampio: �Tra 
i diversi tipi di operatori giuridici si � soliti ricordare soprattutto: il legislatore, il giudice (o, pi� in generale, 
il magistrato), il giurista teorico. Ma quest�elenco � tutt�altro che esaustivo. Sono da considerare 
operatori giuridici anche i rappresentanti e i funzionari delle pubbliche amministrazioni, alcune categorie 
di liberi professionisti - come gli avvocati e i notai - e gli stessi privati nell�esercizio della propria 
autonomia negoziale. Cos� allargato l�elenco non deve sembrare pletorico. Ogni genere di attivit� sociale 
� suscettibile di assumere rilevanza giuridica e, chiunque sia partecipe di un qualsiasi tipo di attivit� 
avente rilevanza giuridica va qualificato come operatore giuridico. (�) Ogni operatore giuridico 
compie, necessariamente un�attivit� interpretativa. O, per dirla con altre parole, ogni tipo di attivit� 
interpretativa include degli atti ermeneutici� V. MARINELLI, Studi sul diritto vivente, Jovene editore, 
Napoli, 2011, p. 4. 
(2) La valorizzazione del contesto applicativo � funzionale all�individuazione del risultato pratico 
che l�operatore intende raggiungere, pur nella consapevolezza che �il rapporto fra interpretazione e 
applicazione, (�) non � una congiunzione occasionale ma un nesso di inscindibilit�: che nel diritto non 
vi sia applicazione senza interpretazione pu� apparire chiaro, fino alla banalit�; meno chiaro, ma altrettanto 
vero � per� anche l�inverso: che non cՏ interpretazione senza applicazione� G. ZAGREBELSKY, 
La legge e la sua giustizia, Il Mulino, 2008, p. 161. 
(3) La prima fase di tale procedura � costituita proprio dall�obbligo di risolvere il conflitto per 
mezzo dell�interpretazione conforme; esperito inutilmente il tentativo, la seconda fase della procedura 
prevede due meccanismi quali la disapplicazione, che pone la norma configgente (alle sole norme comunitarie) 
in uno stato di quiescenza, e l�accesso della questione alla Corte Costituzionale, in grado di 
porre nel nulla le norme. E. LAMARQUE, I giudici italiani e l�interpretazione conforme al diritto dell�Unione 
europea e alla Convenzione europea dei diritti dell�uomo, in CAPPUCCIO L., LAMARQUE E. (a 
cura di), Dove va il sistema italiano accentrato di controllo di costituzionalit�? Ragionando intorno al 
libro di Victor Ferreres Comella Constitutional Courts and Democratic Values, Editoriale Scientifica, 
2013, pp. 241- 302. Si evidenzia che l�obbligo di interpretazione adeguatrice deve essere inteso come
CONTENZIOSO NAZIONALE 99 
zionale chiamato a servirsi dei principi radicati nella Costituzione e dei principi 
elaborati in sede europea. Il carattere normativo dell�esperienza interpretativa 
delle Corti europee, la CGUE e la Corte di Strasburgo, nonch� la tendenziale 
omogeneit� dei principi e delle soluzioni permettono di conferire all�analisi 
un senso unitario (4). Lo studio sar� inoltre circoscritto alla ricerca del senso 
attribuito dall�ordinamento al valore (5) dell�imparzialit� del giudice che il 
Consiglio di Stato ha analizzato in riferimento allo specifico principio del giudice 
naturale, precostituito per legge. A tali fini sar� illustrato il complesso 
fatto che in materia di aiuti di Stato ha condotto il Consiglio di Stato ad indicare 
un�interpretazione adeguata dell�imparzialit�. 
Al fine di una lettura accurata della sentenza del Consiglio di Stato n. 
3679 del 27 luglio 2015 � necessario considerare la peculiare natura dei principi 
giuridici: �norme senza fattispecie normativa predeterminata e a prescrizione 
generica� (6) grazie alla quale l�ordinamento giuridico pu� essere 
definito un sistema aperto, plasmabile alle concrete esigenze storiche e sociali. 
La stessa Corte costituzionale, con la meno recente sentenza n. 108/1962, 
aveva evidenziato una tale natura dei principi di imparzialit� e di indipendenza 
del giudice ritenendo che �Non � contestabile che il requisito dell'indipendenza 
� difficilmente configurabile in termini precisi, perch� la sua regolamentazione 
propone problemi diversi secondo la diversit� delle strutture 
statali e le epoche storiche� osservando inoltre che �non consente uniformit�, 
dovendo adeguarsi alla variet� dei tipi di giurisdizione�. Oltre al contenuto 
aperto dei principi, la Corte costituzionale ha chiarito che indipendenza ed imparzialit� 
sono valori comuni, in senso pi� ampio, alla giurisdizione: �esistono 
principi e valori, che attengono a tutte le giurisdizioni: ad esempio il principio 
dell�indipendenza dei giudici vale per tutte le giurisdizioni ordinarie e speciali. 
un �obbligo di mezzo e non di risultato� pertanto l�interprete opera nella consapevolezza che esistono 
anche altre tecniche di adeguamento, non dovendo individuare un risultato interpretativo a tutti i costi. 
G. PISTORIO, Interpretazione e giudice. Il caso dell�interpretazione conforme a diritto dell�Unione europea, 
Napoli, Editoriale Scientifica, 2012. 
(4) L. TORCHIA, Lezioni di diritto amministrativo progredito, Bologna, Il Mulino, 2010, p. 399. 
L�Autrice in particolare riconosce come, a seguito dell�equiparazione giuridica della Carta Nizza ai Trattati, 
le due Corti tendano ad offrire uno standardizzato grado di tutela. L�adesione a valori giuridici comuni 
rappresenta una base per maggiori relazioni e convergenze di opinioni mentre il rischio della 
disparit� di trattamento � affrontato regolando i rapporti tra le Corti sulla base del principio di sussidiariet� 
e del mutuo recepimento delle soluzioni interpretative. 
(5) Il tema dell�imparzialit� � complesso in ragione dell�intrinseca ambivalenza della nozione che 
pu� infatti assumere una portata sia oggettiva che morale. Tali concetti devono essere intesi in rapporto 
di dipendenza: affinch� la responsabilit� morale sia posta in funzione dell�imparzialit�, �a monte deve 
essere rispettata l�indipendenza del magistrato�. L�imparzialit�, in riferimento ad entrambi i profili, 
non � un dato scontato ma un valore da perseguire e tutelare. M. CHIAVARIO, Indipendenza e responsabilit� 
del magistrato: il contributo del Giuliani �interdisciplinare�, Rivista di Diritto Processuale, 2012, 
vol. 67, fasc. 3, pp. 668 - 678. 
(6) V. MANES, Il giudice nel labirinto. Profili delle intersezioni tra diritto penale e fonti sovranazionali, 
Dike, Roma, 2014, p. 37.
100 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2016 
Se la giurisdizione speciale venisse ritenuta tale per carente attuazione di alcuni 
di tali principi e valori, si verserebbe certamente in errore, dopo l�entrata 
in vigore della Costituzione. Tali principi non attengono alla giurisdizione ordinaria 
ma al concetto stesso �generale� di giurisdizione; sicch� i procedimenti 
disciplinati in violazione dei predetti principi non possono qualificarsi 
n� �ordinari� n� �speciali� in quanto ancor prima non costituiscono organi 
o procedimenti giurisdizionali � (7). In altre parole la Corte costituzionale ha 
chiarito che l�indeterminatezza (8) � una qualifica propria della giurisdizione; 
un tale attributo, qualificando l�elemento generale finisce per caratterizzare 
anche gli specifici principi che compongono il senso della giurisdizione. Tale 
caratteristica pu� tuttavia essere intesa come un valore: permette infatti di ripensare 
le questioni che l�attualit� pone, interpretando i dati nell�ottica dei 
presupposti culturali (9) nell�ambito del quale si animano. La sentenza in 
esame � quindi occasione per mostrare come il giudice nazionale contribuisca 
all�elaborazione di un �Diritto costituzionale europeo�, definizione che delimita 
quello stesso spazio giuridico nominato - per mezzo del linguaggio metaforico 
- �societ� democratica europea� (10) . 
Ci� premesso risulta possibile illustrare il fatto (11) che ha dato al Consiglio 
di Stato l�occasione di interpretare gli specifici principi (12) che confi- 
(7) Sent. Corte cost. 13 novembre 1962 n. 92; Sent. Corte cost. 16 giugno 1964 n. 43. 
(8) N. PICARDI, Alle origini della giurisdizione statale, in F. CERRONE (a cura di), Alessandro Giuliani: 
l�esperienza giuridica tra logica ed etica, Giuffr� editore, 2012, p. 785 ss. 
L�Autore evidenzia che sia la nozione di �giustizia� che la nozione di �giurisdizione� sono confuse (�n� 
del tutto chiare, n� del tutto oscure�) e che nel tempo hanno assunto valenze e significati diversi. L�Autore 
in particolare attribuisce un valore relativo alle definizioni elaborate ritenendole parziali ed approssimative 
poich� ognuna riflette solo uno dei particolari aspetti che compongono le nozioni in esame. 
(9) N. PICARDI, Alle origini della giurisdizione statale, in F. CERRONE (a cura di), Alessandro Giuliani: 
l�esperienza giuridica tra logica ed etica, op. cit., p. 785 ss. 
(10) Con l�immagine della �societ� democratica europea� sono stati espressamente delimitati gli 
spazi regolati dall�art. 8, 9, 11 CEDU, una parte della dottrina ha per� tentato di ampliare i confini di 
una tale nozione. G. REPETTO, Per un�ermeneutica della rilevanza. La teoria dell�argomentazione di 
Alessandro Giuliani e il suo contributo allo studio della giurisprudenza della Corte europea dei diritti 
dell�uomo, in F. CERRONE (a cura di), Alessandro Giuliani: l�esperienza giuridica tra logica ed etica, 
Giuffr� editore, 2012, p. 575 ss. Evidenziata la natura metaforica della �societ� democratica europea� 
nonch� l�intrinseca indeterminatezza della nozione di giurisdizione, pu� sorgere un confronto in ragione 
della comune instabilit� concettuale. L�esistenza di un elemento comune pone i due concetti in una relazione 
di somiglianza rilevante; una tale assimilazione � funzionale all�individuazione di un comune 
metodo di ricerca del significato attuale, nella cornice del �Diritto costituzionale europeo�. 
(11) Il complesso dei ragionamenti dei giuristi non pu� prescindere dalla ricognizione del fatto, 
soprattutto quando il giurista � chiamato ad interpretare le norme in un contesto operativo che impone 
il richiamo alle norme europee e alla metodologia delle Corti sovranazionali. L�esperienza applicativa 
europea mostra infatti al giurista come la rivalutazione del momento pratico e l�elaborazione scientifica 
non possano essere scisse. G. RIPETTO, Per un�ermeneutica della rilevanza. La teoria dell�argomentazione 
di Alessandro Giuliani e il suo contributo allo studio della giurisprudenza della Cedu, in F. CERRONE 
(a cura di), Alessandro Giuliani: l�esperienza giuridica tra logica ed etica, op. cit., p. 575 ss. 
(12) Il Consiglio di Stato ha illustrato l�interpretazione conforme delle norme censurate non solo 
rispetto al parametro europeo ma anche alla Costituzione. In particolare ha richiamato il principio del
CONTENZIOSO NAZIONALE 101 
gurano la prismatica nozione di giurisdizione, tra i quali figura il principio 
dell�imparzialit� del giudice. 
2. Il fatto. 
Con la decisione 2000/394/CE, in data 25 novembre 1999, la Comunit� 
europea qualificava come aiuti di stato i benefici contributivi introdotti dal legislatore 
nel periodo 1995/1997 (con l�art. 5 bis del d.l. n. 96/95, convertito 
dalla l. n. 206/95 e con l�art. 27 del d.l. n. 669/96, convertito dalla l. n. 30/97 
che a sua volta rinviava al decreto ministeriale del 5 agosto 1994) in favore di 
datori di lavoro che svolgevano la propria attivit� nelle citt� di Chioggia e Vicenza. 
I benefici in questione risultavano incompatibili con il mercato comune 
in quanto le imprese della laguna beneficiarie �venivano a trovarsi in una situazione 
pi� vantaggiosa rispetto alle imprese concorrenti che dovevano sostenere 
la totalit� degli oneri, con il risultato che la concorrenza e gli scambi 
ne risultavano alterati�. La Commissione affidava perci� all�Italia l�obbligo 
di adottare tutti i provvedimenti necessari per il recupero degli aiuti dichiarati 
incompatibili con il mercato comune per mezzo di procedure di diritto nazionale. 
Nel settembre 2000 la decisione era stata impugnata da numerose imprese 
interessate innanzi al Tribunale di Lussemburgo che, avendo selezionato quattro 
cause pilota, respingeva i ricorsi. Anche la CGUE respingeva le impugnazioni 
con la sentenza C-71/09 del 9 giungo 2011 ed illustrato �il principio 
dell�istruttoria caso per caso � (13), evidenziava che una tale attivit� � attribuita 
allo Stato italiano. L�obbligo in questione era stato adempiuto elaborando 
un procedimento di recupero degli aiuti incompatibili affidato all�I.N.P.S. che 
in una prima fase aveva operato tramite cartelle esattoriali ai sensi del d.lgs. 
n. 46/1999. Tali cartelle erano state impugnate davanti al giudice del lavoro 
presso il Tribunale di Venezia con atti di opposizione, attivando articolati procedimenti 
che nella generalit� di casi erano ancora in corso al momento delle 
definitiva pronuncia sulle cause pilota della Corte di giustizia europea C-71/09 
del 9 giugno 2011. La CGUE, con sentenza C-302-09 del 6 ottobre 2009, stabiliva 
che lo Stato italiano era venuto meno agli obbligo di adottare le misure 
necessarie al recupero dei benefici in questione; pertanto con la legge 24 dicembre 
2012 n. 228 recante �Disposizioni per la formazione del bilancio angiudice 
naturale precostituito per legge per dimostrare la legittimit� sia della questione del riparto di 
giurisdizione che dell�estinzione ex lege delle procedure esistenti; ha inoltre negato la violazione del 
principio del contraddittorio, l�inversione dell�onere probatorio; ha illustrato l�interpretazione europea 
del principio del giudicato elaborata proprio in materia di aiuti di Stato. Ha infine confutato la questione 
della prescrizione del diritto al recupero dei benefici. 
(13) L�istruttoria, caso per caso, �si risolve logicamente in ambiti vincolati a presupposti fattuali 
e giuridici, certo riferiti alla posizione di ciascuna singola impresa, ma non tali da mettere in discussione, 
surrettiziamente, le chiare conclusioni della Decisione della Commissione europea e l�indirizzo 
generale delle corti comunitarie, assolutamente vincolanti per lo Stato italiano in ordine al carattere 
distorsivo della concorrenza degli aiuti concessi� (Cons. Stato n. 2401/2015).
102 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2016 
nuale e pluriennale dello Stato� venivano prese iniziative funzionali all�adempimento. 
In particolare, all�articolo 1, co. 351 e ss., sono state poste nel nulla 
sia l�azione di recupero precedentemente svolta dall�Inps che le conseguenti 
cause in corso presso il giudice ordinario. La competenza istruttoria � stata 
comunque attribuita all�INPS che, sulla base delle informazioni trasmesse 
dalle imprese e del parere espresso dall�AGCM, con l�avviso di addebito procedeva 
al recupero delle somme dovute. La giurisdizione veniva attribuita ex 
lege al giudice amministrativo. Nell�ambito di un tale ed articolato contesto 
l�INPS ha proposto ricorso presso il Consiglio di Stato n. RG 9315 del 2014, 
avverso la sentenza breve del Tar Veneto, Sez. I, n. 1150/2014. Con la sentenza 
impugnata il Tar Veneto ha ritenuto infatti che il ricorso proposto in primo 
grado dall�impresa beneficiaria avverso l�avviso di addebito fosse fondato, 
�assumendo la sussistenza di un difetto di istruttoria da parte dell�Amministrazione 
per non aver compiuto alcuna attivit� di verifica preordinata all�accertamento, 
in ciascuna fattispecie concreta, della idoneit� delle agevolazioni 
fiscali alla produzione di un effetto distorsivo della concorrenza nel mercato 
interno, contravvenendo, pertanto, alla littera legis del testo di legge n. 
228/2012�. L�appello � stato ritenuto fondato, anche sulla base della precedente 
sentenza 13 maggio 2015 n. 2401, a cui il Consiglio di Stato ha inteso 
conformarsi ai sensi dell�art. 88, comma 2, c.p.a in ragione dei numerosi 
aspetti comuni tra le molteplici cause attinenti alla stessa vicenda ed in particolare 
per l�omogeneit� del settore - quello alberghiero (14) - in cui le vicende 
sono sorte. In primo luogo il Consiglio di Stato ha aderito all�interpretazione 
dei principi generali in materia di aiuti di stato e alla definizione della natura 
dell�obbligo di assicurare l�esecuzione della decisione europea come �obbligo 
di risultato e il recupero non deve essere solo effettivo, ma immediato�. Definiti 
i principi generali, il Consiglio di Stato espone �la sequenza di decisioni 
amministrative e giurisdizionali adottate in attuazione dei medesimi principi 
dai competenti organi della Unione europea nella concreta vicenda in esame 
con conseguente individuazione dei compiti che ne risultano in capo allo Stato 
italiano, tenendo conto che nella presente causa si discute della legittimit� 
degli atti con i quali si � inteso dare loro attuazione�. Riesaminato per tali 
fini il fatto, si rileva che la natura delle decisioni europee ha carattere �ultimativo, 
definitivo e penetrante nel merito delle singole questioni� tanto da 
rendere evidente che allo Stato italiano sono stati attribuiti compiti meramente 
esecutivi, riguardanti esclusivamente il �recupero gli aiuti di Stato definitiva- 
(14) �Quanto specificatamente al settore alberghiero, occorre considerare che la disciplina degli 
aiuti di Stato, cos� come � stata elaborata dalla Commissione europea in applicazione dell' art. 107 (ex 
87) del Trattato, non prende in considerazione le attivit� turistiche, ed in specie quelle alberghiere, con 
l�effetto che in tale settore non possono che essere applicati gli orientamenti elaborati con riferimento 
a tutte le altre attivit� economiche. Le attivit� turistiche, in quanto attivit� di impresa, vengono quindi 
equiparate alle attivit� delle imprese del settore manifatturiero� (Cons. di Stato n. 2401/2015).
CONTENZIOSO NAZIONALE 103 
mente giudicati illegittimi dalla Corte di Giustizia limitandosi a verificare la 
situazione individuale di ciascuna impresa� mentre �non spettano allo Stato 
italiano le valutazioni concernenti le finalit� o le motivazioni dell�aiuto�. Alla 
luce di tali premesse il Consiglio di Stato ha ritenuto che le procedure straordinarie 
predisposte ad hoc dalla della legge n. 228 del 2012 (legge finanziaria 
per il 2013), art. 1 co. 351, basata su criteri di fattibilit� e massima accelerazione 
nei tempi, siano legittime e giustificate anche dal prolungato stato di 
inadempienza in cui versava l�Italia. Il Consiglio di Stato pertanto ha poi analizzato 
le modalit� di svolgimento di tali compiti da parte dell�INPS, essendo 
la controversia decisa dal Tar Veneto incentrata sulla carenza di istruttoria e 
sul difetto di motivazione degli atti di addebito. In tale sede, a seguito di un 
accurato esame, il provvedimento di primo grado � stato censurato dimostrando 
la piena legittimit� dell�istruttoria in quanto svolta in conformit� a 
quanto tassativamente previsto dai commi 351 ss. della legge n. 228/2012; parimenti 
� stata illustrata la legittimit� delle motivazioni adottate negli avvisi 
di addebito. Il Consiglio di Stato rigetta infine l�eccezione di prescrizione del 
diritto al recupero dello sgravio in ragione della �diretta applicazione delle 
disposizioni della legge n. 228/2012, commi 351 e seguenti, che hanno tra 
l�altro posto nel nulla l�azione di recupero precedentemente svolta dall�Inps� 
e sulla base di un esame della giurisprudenza europea di riferimento. Anche 
in merito al giudicato interno e sul rispetto delle norme interne, la Sezione richiama 
l�orientamento del giudice europeo applicato costantemente dalla 
Corte di Cassazione secondo la quale �l�obbligatoriet� del recupero, da parte 
dello Stato membro, non consente al giudice nazionale alcuna diversa valutazione 
al punto che nemmeno il giudicato di diritto interno (ex 2909 c.c.) pu� 
impedire il recupero privando la pronunzia giurisdizionale di quel carattere 
di immutabilit� nel tempo che la caratterizzava. Inoltre la conformazione del 
diritto interno al diritto comunitario deve trovare attuazione anche con riguardo 
alle regole, processuali o procedimentali (quali ad esempio quelle 
poste della legge n. 241 del 1990) che di tale diritto comunitario possono impedire 
una piena applicazione. Conseguentemente l�unica chiave interpretativa 
della normativa di diritto interno, anche con riferimento a profili di 
legittimit� costituzionale delle norme nazionali, ruota attorno alla prevalenza 
del diritto comunitario sulla norma nazionale e sul fine precipuo di garantire 
l'esecuzione immediata ed effettiva della decisione di recupero per realizzare 
la certezza delle norme comunitarie che permettono una interpretazione conforme 
in tutti gli Stati membri. Inoltre, in ossequio al principio di supremazia 
del diritto comunitario, riconosciuto da tutti gli Stati membri, con perdita a 
favore delle istituzioni comunitarie della propria sovranit� legislativa, le sentenze 
della Corte di Giustizia hanno effetti vincolanti per i giudici nazionali 
chiamati a pronunziarsi sulle singole fattispecie recando norme integrative 
dell�ordinamento comunitario�.
104 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2016 
3. La questione di legittimit� costituzionale: il legislatore italiano non avrebbe 
considerato il criterio del giudice naturale. 
Uno spazio autonomo � stato riservato poi all�esame di una serie di questioni 
di legittimit� costituzionale dell�art. 1, commi 355 e 356, della legge n. 
228/2012 e dell�art. 49 della legge n. 234/2012 per contrasto con gli artt. 3, 
24, 25, 101, 111 della Costituzione. Le violazioni inoltre emergerebbero dal 
contrasto con il diritto �ad un processo giusto ed equo cos� come sancito dalla 
norma convenzionale di cui all�art. 6 della CEDU, l�illegittimit� costituzionale 
della legge n. 228/2012 per contrasto con l�art. 117 c. 1 Cost., quale norma 
interposta con la disposizione convenzionale CEDU�. In senso unitario la 
norma censurata non sarebbe compatibile con la nozione di giurisdizione, in 
relazione agli specifici profili che la animano: l�attribuzione della giurisdizione 
ad un giudice unico, l�imparzialit�, la perdita del diritto all�azione in ragione 
dell�estinzione dei giudizi ope legis, l�asserita inversione dell�onere probatorio, 
la violazione della ragionevole durata del processo. Il Consiglio di Stato, in 
una visione pur unitaria e sistematica, ha chiarito la legittimit� costituzionale 
delle disposizioni introduttive della procedura di recupero grazie ad un�interpretazione 
adeguata delle singole questioni. In tale contesto � stata censurata 
l�attribuzione della giurisdizione al giudice amministrativo poich� oltre a sottrarre 
le controversie in questione al giudice ordinario, inteso come giudice 
naturale, il legislatore avrebbe anche individuato il giudice ex post facto, violando 
il principio del giudice precostituito per legge. In altre parole l�imparzialit� 
del giudice � stata intesa in riferimento alle specifiche qualifiche della 
naturalit� e della precostituzione dell�organo giudicante. In merito alla prospettata 
violazione dell�art. 25 della Costituzione il Consiglio di Stato ha evidenziato 
che tale valutazione si basa su �un�interpretazione distorta e 
strumentale del dettato costituzionale ed in particolare dell�art. 25, primo co., 
della Carta fondamentale�. Nel caso in esame infatti, la devoluzione al giudice 
amministrativo delle controversie in esecuzione di una decisione di recupero 
�confermano il ruolo neutrale del giudice amministrativo, supremo garante 
del pubblico potere in una materia ove gli interessi della collettivit�, orientati 
al recupero di somme illegittimamente erogate, appaiano prioritari e tutelabili 
soltanto attraverso l�esercizio di speciali poteri valutativi, costituzionalmente 
allo stesso riservati�. In altre parole, il Consiglio di Stato non ravvisa nella 
norma in esame la violazione del principio dell�imparzialit� del giudice, in riferimento 
allo specifico profilo della precostituzione del giudice rispetto al 
fatto oggetto di controversia. L�attrazione delle controversie che possono sorgere 
a seguito dell�applicazione della procedura di recupero dei benefici indebitamente 
versati nella sfera di operativit� del giudice amministrativo risulta 
del resto giustificata dall�esigenza di adempiere con immediatezza ed efficacia 
agli obblighi comunitari.
CONTENZIOSO NAZIONALE 105 
4. L�interpretazione finalistica del Consiglio di Stato. 
Il Consiglio di Stato ha elaborato un�interpretazione adeguata a Costituzione 
(15) delle norme poste in attuazione degli obblighi europei sulla base di 
una valutazione finalistica (16) del principio del giudice naturale. Si tratta del 
resto di un criterio impiegato in molti casi dalla Corte costituzionale, secondo 
il quale non � ammissibile che la decisione di un giudice diverso da quello che 
risulta dall�automatica applicazione dei criteri precostituiti produca un risultato, 
anche ipoteticamente, non omogeneo a quello che si sarebbe ottenuto 
presso il giudice naturale (17). In riferimento alle norme censurate sussisterebbe 
una violazione del principio costituzionale soltanto se il giudice amministrativo 
ed il giudice ordinario non garantissero un grado di tutela omogeneo. 
Sul punto si osserva che la scelta del legislatore di attribuire la giurisdizione 
al giudice amministrativo risponde all�esigenza di garantire l��istruttoria caso 
per caso�, non solo in adempimento all�obbligo di attuazione ma anche in funzione 
della pi� adeguata tutela (18). Il principio del giudice naturale cos� inteso 
tenderebbe inoltre a censurare le sole ipotesi di sostituzione del �giudice� come 
persona fisica. La difficile definizione dei confini di un tale principio, suscettibile 
di interpretazione ora soggettiva ora oggettiva, sarebbe del resto conseguente 
al carattere polisemico della parola �giudice� nonch� all�uso 
ambivalente della nozione. Proprio in ragione di una tale ampiezza terminologica 
si animano le questioni applicative che potrebbero essere superate separando 
i diversi profili. In riferimento all�accezione soggettiva le norme in 
esame non appaiono censurabili; la norma � invece occasione per animare una 
riflessione, in termini oggettivi, sul riparto di giurisdizione. La correttezza 
dell�impostazione finalistica emerge anche dal punto di vista dell�esigenza di 
tutela, nell�ottica del risultato, alla base dell�art. 25 della Costituzione: i principi 
di terziet� ed imparzialit� del giudice impongono che le decisioni siano 
(15) Il giudice nazionale ha del resto �tre cappelli�, essendo tenuto a fornire un�interpretazione 
delle leggi che sia adeguata alla Costituzione, al diritto dell�Unione europea ed al diritto internazionale. 
Tali strumenti interpretativi non sono gerarchizzati: nei �casi difficili�, quelli in cui le soluzioni interpretative 
non sono omogenee, la scelta della via interpretativa da percorrere appare perci� ardua. In altre 
parole, non sempre l�interpretazione conforme alla fonti sovranazionali coincide all�interpretazione costituzionalmente 
orientata in ragione dell�uniformit� di principi alla base dei diversi sistemi giuridici a 
confronto. G. PISTORIO, Interpretazione e giudice. Il caso dell�interpretazione conforme a diritto dell�Unione 
europea, Napoli, Editoriale Scientifica, 2012, p. 377. 
(16) A. PIZZORUSSO, Giudice naturale, in Enc. giur. Treccani, Vol. XV, 1989. 
(17) A. PIZZORUSSO, Giudice naturale, op. cit. L�Autore in particolare richiama la sent. Corte cost. 
n. 56/1967. 
(18) Nella sentenza si legge che �La complessit� della materia relativa alla possibile distorsione 
della concorrenza, il panorama normativo e giurisprudenziale di riferimento anche in relazione alle 
implicazioni di carattere internazionale, ha spinto il legislatore ad individuare nel giudice amministrativo 
la sede giurisdizionale pi� opportuna per la trattazione di quei giudizi, contraddistinti da un temperamento 
del principio dispositivo tipico del sindacato giurisdizionale ordinario�.
106 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2016 
prevedibili e non sospette (19). A tal fine la disciplina positiva offre una serie 
di strumenti per prevedere l�esito della controversia indipendentemente dalla 
persona del giudice, dalla parti e dalle loro qualit�; tra i vari strumenti non 
pu� che ritenersi incluso anche il criterio del giudice naturale e precostituito 
per legge inteso in senso finalistico. Il Consiglio di Stato ha valorizzato la 
scelta del legislatore sulla base di una valutazione delle caratteristiche del sindacato 
del giudice amministrativo e delle modalit� di tutela cos� garantite in 
una materia dai confini incerti. Al fine di illustrare il ragionamento del Consiglio 
di Stato risulta utile richiamare brevemente le caratteristiche fondamentali 
delle modalit� di recupero degli aiuti di Stato. L�accertamento della 
sussistenza dell�obbligo di recupero in sede europea costituisce titolo giuridico 
per l�azione restitutoria, secondo lo schema dell�art. 2033 c.c. Il recupero non 
integra una sanzione ma il mero ripristino della situazione esistente sul mercato 
interno precedente alla concessione e deve essere effettuato senza indugio, per 
mezzo di un procedimento predisposto dallo Stato membro (20). Si evidenzia 
che, anche in materia di aiuti di Stato, � operativo un rigido controllo della 
fase di attuazione alla stregua del quale, seppure lo Stato membro � vincolato 
ad un obbligo di risultato, l�Unione si riserva di valutare anche le precise modalit� 
di adempimento (21). In merito alla tutela giurisdizionale le soluzioni 
(19) G. COSTANTINO, La prevedibilit� delle decisioni tra uguaglianza e appartenenza, Riv. Dir. 
proc. Civ., 2015, 3, p. 646. 
Chiarendo il significato e la funzione della prevedibilit� dell�esito giudiziario, l�Autore riconosce come 
la nozione si presti ad essere valutata in senso oggettivo: in riferimento all�accertamento dei fatti e all�applicazione 
delle norme. Il profilo soggettivo invece, assume rilevanza proprio in riferimento alla diversa 
questione dell�imparzialit� e della terziet� del giudice. Comune a tali e diversi ambiti � il fine: 
l�efficienza della giustizia, che necessita della cooperazione di tutte le figure professionali chiamate alla 
costruzione e alla manutenzione della �cattedrale della giustizia�. 
(20) �Il recupero - che non integra una sanzione, bens� il mero ripristino della situazione esistente 
sul mercato interno precedentemente alla concessione dell�aiuto, ai sensi dell�articolo 14, paragrafo 3 
del Regolamento di procedura va effettuato senza indugio secondo le procedure previste dalla legge 
dello Stato membro, ove ne consentano l�esecuzione immediata ed effettiva. In conclusione, l�accertamento 
della sussistenza dell�obbligo di recupero avvenuta in sede comunitaria, integra il titolo giuridico 
per l�esercizio della relativa azione restitutoria alla stregua del pagamento di indebito di cui all�articolo 
2033 cod. civ.� (Cons. Stato n. 2848/2015). La sentenza citata tratta l�interessante tema della possibilit� 
di invocare, in caso di benefici qualificati dalla Commissione come aiuti di Stato, il legittimo affidamento. 
Illustrata la funzione e l�origine pretoria del principio, il Consiglio di Stato esprime una posizione 
negativa, chiarendo che �la Corte di Giustizia UE ha costantemente sostenuto che il beneficiario di un 
aiuto concesso illegittimamente non pu� invocare il legittimo affidamento contro un ordine di recupero 
della Commissione, quando un operatore economico intelligente sarebbe stato in grado di accertarsi 
se l�aiuto riscosso era stato o meno notificato oppure se sia stata la stessa Commissione a fornire precise 
assicurazioni che una determinata misura non costituisse aiuto di Stato oppure che non fosse soggetta 
alla clausola sospensiva di cui all�articolo 108, paragrafo 3 del Trattato�. 
(21) In altre parole, il rischio dell�inadeguatezza delle soluzioni grava integralmente sullo Stato 
membro, le cui modalit� di adempimento sono valutate in sede europea sulla base della pi� adeguata 
tutela dell�interesse dell�Unione. La legge 234/2012 ha perci� correttamente apportato �modifiche alle 
procedure, relative sia alla fase ascendente sia alla fase discendente del diritto UE, (�) allo scopo di 
rimediare alle criticit� emerse nella prassi degli ultimi anni. Si spiegano cos� in questi termini le norme
CONTENZIOSO NAZIONALE 107 
caso per caso adottate in sede di attuazione, in assenza di una norma espressa, 
non erano omogenee. Ai fini del riparto di giurisdizione assumeva particolare 
rilievo la natura (22) del beneficio, che finiva per determinare la giurisdizione 
ora del giudice tributario (23) ora del giudice ordinario Sezione lavoro (24) 
oppure del giudice amministrativo. In ragione di una tale incertezza, lo stesso 
legislatore � intervenuto nell�ambito della legge 234/2012 che regola in generale 
la fase di attuazione degli obblighi comunitari, recependo un orientamento 
della giurisprudenza che attribuisce al giudice amministrativo la giurisdizione 
in materia di recupero degli aiuti di Stato (25). Lo stesso Consiglio di Stato 
nella sentenza n. 2401/2015 ha chiarito che �La giurisdizione esclusiva prefigurata 
nell�art. 49 l. 234/2012 va inquadrata alla luce della sua formula caratterizzante: 
��gli atti e i provvedimenti adottati in esecuzione di una 
decisione di recupero di cui all'articolo 14 del regolamento (CE) n. 659/1999 
del Consiglio, del 22 marzo 1999..�, ��a prescindere dalla forma dell�aiuto 
e dal soggetto che l�ha concesso.. La variet� delle forme di aiuto e l�intreccio 
in materia di aiuti di Stato, con un intero capo della legge, l'ottavo, ad essi dedicato, con disposizioni 
del tutto inedite rispetto al quadro normativo previgente� C. FAVILLI, Ancora una riforma delle norme 
sulla partecipazione dell�Italia alla formazione e all�attuazione delle politiche dell�Unione europea, 
Riv. dir. internaz., fasc. 3, 2013, pag. 701. 
(22) �L'azione di recupero dipende dal tipo di aiuto concesso, non ne � indifferente: la restituzione 
di una elargizione statale indebita realizza una fattispecie affatto diversa dal pagamento ora per allora 
di una prestazione illegittimamente esentata o ridotta. In entrambi i casi per il diritto europeo si � di 
fronte ad un aiuto di Stato da recuperare, ma la natura, la struttura e il contenuto del recupero a cui 
deve procedere lo Stato interessato sono eterogenee. Ci� che appare, dunque, come un fenomeno unitario 
per il diritto europeo (che considera esclusivamente gli esiti economici tanto dell'aiuto quanto del rimedio) 
non lo � per il diritto nazionale (che non pu� non considerare la diversit� fenomenologica degli 
aiuti di Stato concretamente concessi); la configurazione giuridica del rapporto tra lo Stato e le imprese 
tenute alla restituzione di aiuti incompatibili varia in relazione alla tipologia di aiuto concesso� G. 
ZANCHI, L�aiuto di Stato incompatibile, il suo recupero e il diritto privato, Europa e Diritto Privato, 
fasc. 3, 2014, pag. 1051. 
(23) La Dottrina ha chiarito la distinzione tra gli aiuti diretti dagli aiuti indiretti; mentre nel primo 
caso � l'attribuzione di un beneficio selettivo ad un'impresa pu� essere conseguenza dell'adozione di 
un provvedimento amministrativo (�) che l'Amministrazione concedente pu� in linea di principio revocare 
o annullare� nel secondo caso, la relazione si instaura con l'applicazione della disciplina impositiva 
di tariffe, tributi o contributi. G. ZANCHI, L�aiuto di Stato incompatibile, il suo recupero e il diritto 
privato, op.cit. Si chiarisce che la disciplina degli aiuti di Stato ha interessato in maniera sempre pi� 
ampia l�operatore tributario: se in origine erano suscettibili di essere definite tali solo le agevolazioni, 
ad oggi tale impostazione � riduttiva: �non sono pi� le agevolazioni il fulcro della disciplina degli aiuti 
di Stato, ma tutti i trattamenti impositivi (potenzialmente) discriminatori o anticoncorrenziali, che possano 
essere qualificati come aiuti di Stato. Oggetto di tale divieto divengono, pertanto, le disposizioni 
di ogni sistema tributario, i tributi, l'insieme di tributi che potenzialmente possano presentare tutti i requisiti 
della fattispecie e produrre un effetto selettivo, discriminatorio o anticoncorrenziale. Il passaggio 
in esame, gi� latente in alcuni precedenti della Corte di Giustizia, si � conclamato nella sentenza Gibilterra, 
molto importante nella ambito della presente indagine� R. MICELI, La metamorfosi del divieto 
di aiuti di Stato nella materia tributaria, Rivista di Diritto Tributario, fasc. 1, 2015, pag. 31. 
(24) Sulla base delle norme del rito sommario di cognizione. 
(25) Alle liti in questione, di natura impugnatoria, oppositiva, si applica il rito abbreviato (art. 
109 c.p.a).
108 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2016 
di norme, di ordinamenti, di amministrazioni e di situazioni giuridiche concrete, 
spiega, in termini costituzionali (art. 103 Cost.), la scelta da parte del 
legislatore della attribuzione della giurisdizione esclusiva ad un giudice unico 
delimitando, d�altro canto, alcuni limiti di tale giurisdizione che pur sempre 
opera entro un ambito preciso atteso che gli atti ed i provvedimenti nazionali 
di recupero sono adottati, per definizione dell�art. 48 e dell�art. 49 l. 234/2012, 
in esecuzione di una decisione di recupero della Commissione europea�. La 
norma oggetto di censura risulta pertanto coerente ed omogenea all�indicazione 
generale della legge 234/2012 che, radicando tutti i giudizi in questione 
innanzi al giudice amministrativo, ha donato chiarezza (26) ad una materia 
sul punto incerta. La scelta del legislatore oggetto di censura, essendo conforme 
alla ratio dell�art. 49 legge 234/2012, ha un intento sistematico: ricondurre 
la particolare vicenda del recupero dei benefici illegittimamente concessi 
ai lavoratori di Chioggia e Vicenza alla regola generale. Il legislatore criticato 
perci� lungi dal violare il principio del giudice precostituito per legge lo considera 
invece quale criterio (27) normativo, funzionale a garantire la prevedibilit� 
dell�esito giudiziario nell�ottica della pi� adeguata tutela. Del resto, pur 
in assenza di un intervento legislativo ad hoc in punto di giurisdizione, l�operatore 
giuridico avrebbe potuto ricostruire la regola (28) sulla base delle indicazioni 
della giurisprudenza e della generale soluzione indicata nella legge 
(26) Del resto � la stessa tensione alla certezza del diritto che impone, sotto il profilo tecnico, da 
una parte la chiarezza della legge, dall�altra la costanza e la coerenza dei giudizi. G. TARELLO, Storia 
della cultura giuridica moderna, Il Mulino, 1976, p. 293. 
(27) A. PIZZORUSSO, Giudice naturale, op. cit. 
(28) Seppure avesse ragionato in termini di eccezione rispetto alla regola generale contenuta nella 
legge 234/2012, si noti che �la tendenza a ragionare per eccezione tipica del �modello giuridico� 
esprime propensioni inevitabilmente centrifughe rispetto alla regola (�) Nella prospettiva dell�eccezione 
gli eventi sono infatti necessariamente e sempre unici ma questa unicit�, lungi dall�esprimere percentualmente 
la limitatezza del loro rilievo, sul piano generale indicano piuttosto la loro capacit� di ridefinire 
esattamente dal lato opposto i complessi contesti nel cui ambito si colloca la regola� A. DE NITTO, 
Ancora su scienza e tecnica nella giurisprudenza, in F. CERRONE (a cura di), Alessandro Giuliani: il 
giurista e l�interpretazione tra logica ed etica, op. cit. p. 154. Si evidenzia che la riflessione dell�Autore 
� posta nell�ambito della trattazione del diverso tema relativo all�uso della tecnica del precedente ed � 
presentata in tale nota come una mera suggestione di carattere metodologico. Abilita probabilmente un 
tale collegamento la somiglianza, in ordine alla configurazione dei casi di �effetto giuridico sopravvenuto�, 
tra l�ipotesi di un mutamento di giurisprudenza e dell�entrata in vigore di una norma nuova. In 
un contesto in cui il giurista teorico analizza con maggiore interesse le caratteristiche del �diritto giudiziario�, 
in ragione dell�analogia in ordine agli effetti del mutamento, sarebbe opportuno estendere le tutele 
e le garanzie elaborate all�ipotesi di mutamento del legislatore. S. TURATTO, Overrulling in materia 
processuale e principio del giusto processo, Nuove leggi civ. comm., 2015, 6, 1149. Nel caso in esame 
il problema non si pone tuttavia neppure in quest�ottica poich� l�intervento legislativo ha regolato una 
realt� dai confini incerti; non esistendo una regola predeterminata in punto di giurisdizione, si procedeva 
in via interpretativa sulla base del criterio della natura dell�aiuto. Peraltro il legislatore � intervenuto 
�per riportare a normalit�, all�interno dell�ordinamento giuridico nazionale e comunitario, una situazione 
di prolungata e risalente inadempienza dello Stato italiano (la Commissione si era pronunziata il 
25 novembre 1999) suscettibile di determinare pesanti conseguenze sanzionatorie a carico dell�Italia 
da parte della stessa Unione Europea� (Sent. Cons. Stato in esame).
CONTENZIOSO NAZIONALE 109 
234/2012. Anche l�elemento temporale (29) ha rilevanza nell�ambito della procedura 
di interpretazione adeguata alla Costituzione delle norme censurate: 
l�esigenza di procedere in maniera efficace ed immediata (30) emerge non 
solo dal carattere risalente della vicenda ma soprattutto dall�insufficienza delle 
soluzioni adottate dallo Stato italiano. L�ottica temporale e funzionalista, imposta 
del resto dalla sussistenza di obblighi comunitari la cui violazione comporta 
l�infrazione dello Stato, pu� indurre a considerare la questione del riparto 
di giurisdizione come un elemento di rigidit�, �sicch� essa male risponde talora 
alle esigenze particolari dei tempi, dei luoghi e delle persone� (31). In 
altre parole il legislatore ha in ogni caso garantito la tutela giurisdizionale dei 
beneficiari e ci� ridimensiona, per le ragioni sopra espose, la questione dell�inadeguatezza 
della norma al criterio del giudice naturale, esaurendosi in una 
questione interna di riparto della giurisdizione. Il legislatore non ha negato la 
giurisdizione e perci� il diritto all�azione, ha invece uniformato una situazione 
caratterizzata da incertezza alla regola generale. Un tale ridimensionamento 
si pone nella consapevolezza che le questioni �interne� (32) non per questo 
(29) Il caso in esame mostra come �la temporalit� non � quindi una dimensione che opera nello 
sfondo delle dinamiche interpretative�. G. REPETTO, Per un�ermeneutica della rilevanza. La teoria dell�argomentazione 
di Alessandro Giuliani e il suo contributo allo studio della giurisprudenza della Corte 
europea dei diritti dell�uomo, op. cit., p. 578. 
(30) Il legislatore ha �posto disposizioni di carattere straordinario ed emergenziale e meramente 
attuativo ed esecutivo, a fronte delle stringenti sollecitazioni della Corte di Giustizia e della Commissione 
europea (comunicazione del 10.7.2012)�. Il regolamento in attuazione dell�art. 108 FUE, all'art. 
14, par. 2, reg. 659/99 stabilisce infatti che �il recupero va effettuato senza indugio secondo le procedure 
previste dalla legge dello Stato membro interessato, a condizione che esse consentano l'esecuzione immediata 
ed effettiva della decisione della Commissione�. 
(31) E.P. CASELLI, Magistratura, Digesto italiano, Vol. XV, 8 dicembre 1903. La fissit� e l�indeclinabilit� 
della giurisdizione � un carattere comune a tutti gli stati continentali poich� tutti hanno subito 
arbitri dei principi in materia di giustizia mentre �d� il benefizio, talora pi� teorico che pratico, d�una 
grande fissit� e certezza nello svolgimento della funzione giurisdizionale della magistratura d� per� 
alla medesima rigidit�, pesantezza, lentezza d�azione sicch� essa male risponde talora alle esigenze 
particolari dei tempi, dei luoghi e delle persone�. 
(32) Con pi� ampie criticit� la questione pu� essere posta in riferimento alla natura �interna� del 
principio di intangibilit� del giudicato e alle nuove riflessioni che un tale limite ha animato in sede di interazione 
del sistema nazionale con il sistema europeo. Proprio la materia degli aiuti di Stato � un osservatorio 
delle �rivestizioni� del principio del giudicato ed in particolare dell�elaborazione del principio 
del giudicato a formazione progressiva. M. LEMBO, I rapporti tra giudicato nazionale e diritto dell�Unione 
nella giurisprudenza della CGUE, Dir. e Prat. Trib., 2015, 6, p. 936. Nell�ambito del caso in 
esame � stata prospettata l�illegittimit� della norma anche in riferimento a tale profilo afferente alla giurisdizione. 
La sentenza del Consiglio di Stato 2401/2015 sul punto ha chiarito che Sul giudicato interno 
e sul rispetto delle norme interne, la Sezione richiama l�orientamento del giudice comunitario (v. Corte 
di Giustizia, 18 luglio 2007, in causa C-119/05, Lucchini; Corte di Giustizia, 3 settembre 2009, in causa 
C-2/08, Olimpiclub) applicato dalla Corte di Cassazione con numerose pronunzie (Cass. sez. un. n. 
26948 del 2006; n. 6756 del 2012; n. 6538 del 2012; n. 7162 del 2013 ed altre) che ha rilevato che l�obbligatoriet� 
del recupero, da parte dello Stato membro, non consente al giudice nazionale alcuna diversa 
valutazione al punto che nemmeno il giudicato di diritto interno (ex 2909 c.c.) pu� impedire il recupero 
privando la pronunzia giurisdizionale di quel carattere di immutabilit� nel tempo che la caratterizzava. 
Inoltre la conformazione del diritto interno al diritto comunitario deve trovare attuazione anche con ri-
110 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2016 
scolorano alla luce delle nuove questioni che l�interazione tra sistemi anima 
sulla base del principio di prevalenza dell�ordinamento comunitario. Il Consiglio 
di Stato, sulla base del ragionamento gi� illustrato nell�ambito della sentenza 
n. 2401/2015, ha correttamente affrontato la questione del riparto di 
giurisdizione nella consapevolezza che essa implica il delicato tema del rapporto 
(33) tra autonomia procedurale dello Stato membro ed obbligo di interpretazione 
conforme. Del resto, anche la questione di legittimit� costituzionale 
della norma � stata elaborata sulla base di un tale contrasto che il remittente 
tuttavia ha reputato insanabile (34). Il Consiglio di Stato ha invece illustrato 
che �il giudice nazionale non � competente a sindacare nel merito la compatibilit� 
dell�aiuto di Stato con il diritto comunitario; la valutazione � riservata 
alla Commissione e poi alla Corte di Giustizia. In questi casi lo Stato italiano 
non ha di norma la possibilit� di operare una valutazione difforme da quella 
operata in sede comunitaria poich� l�interesse da bilanciare con le aspettative 
delle imprese destinatarie degli aiuti ha carattere sovranazionale e riguarda 
l�attuazione di vincoli di matrice comunitaria: la vera questione, la compatibilit� 
o meno dell�aiuto di Stato, si consuma soprattutto nella giurisdizione e 
nel diritto dell�Unione con l�effetto che la giurisdizione amministrativa � concorrente, 
ma subordinata alla giurisdizione della Corte di Giustizia. In ogni 
caso il legislatore ha configurato l�aiuto di Stato come una materia particolare, 
delimitata ed unitaria, grazie alla formula dell�art. 49 �a prescindere 
dalla forma dell�aiuto e dal soggetto che l�ha concesso�, nella prospettiva di 
un�unica norma di riferimento posta dall�art. 108 del TFUE, preordinata alla 
guardo alle regole, processuali o procedimentali (quali ad esempio quelle poste della legge n. 241 del 
1990) che di tale diritto comunitario possono impedire una piena applicazione. Conseguentemente 
l�unica chiave interpretativa della normativa di diritto interno, anche con riferimento a profili di legittimit� 
costituzionale delle norme nazionali, ruota attorno alla prevalenza del diritto comunitario sulla 
norma nazionale e sul fine precipuo di garantire l'esecuzione immediata ed effettiva della decisione di 
recupero per realizzare la certezza delle norme comunitarie che permettono una interpretazione conforme 
in tutti gli Stati membri. Inoltre, in ossequio al principio di supremazia del diritto comunitario, riconosciuto 
da tutti gli Stati membri, con perdita a favore delle istituzioni comunitarie della propria sovranit� 
legislativa, le sentenze della Corte di Giustizia hanno effetti vincolanti per i giudici nazionali chiamati 
a pronunziarsi sulle singole fattispecie recando norme integrative dell�ordinamento comunitario�. 
(33) La connessione � ambigua e lascia �aperti margini di incertezza piuttosto rilevanti. Interpretazione 
conforme e autonomia procedurale sono del resto due tra i meccanismi di funzionamento 
del diritto europeo ove maggiore � il problema della garanzia della certezza del diritto. Vi sono, peraltro, 
altri significativi punti in comune tra i due strumenti. Entrambi fanno leva sull'idea del giudice interno 
come organo dell'ordine giudiziario europeo. Entrambi in qualche modo sono ricondotti al sistema dei 
Trattati e al principio di leale cooperazione� S.C. MATTEUCCI, Obbligo di interpretazione conforme a 
diritto UE e principio di autonomia procedurale in relazione al diritto amministrativo nazionale, Rivista 
Italiana di Diritto Pubblico Comunitario, fasc. 6, 2014, pag. 1175. 
(34) Il procedimento di interpretazione conforme rappresenta invece uno strumento interpretativo 
ulteriore e funzionale alla ricerca di soluzioni che permettono di �salvare� la disposizione che appare illegittima. 
Una tale considerazione potrebbe concretizzare la nota indicazione della stessa Corte costituzionale: 
�le leggi non si dichiarano costituzionalmente illegittime perch� � possibile darne interpretazioni 
incostituzionali ma perch� � possibile darne interpretazioni costituzionali� (Corte. cost. n. 356/1996).
CONTENZIOSO NAZIONALE 111 
tutela della concorrenza ed alla protezione dei rapporti di mercato effettivi e 
non lesivi del diritto d�impresa�. Pertanto il principio del primato si mostra in 
materia di aiuti di Stato sia sul piano normativo, assumendo carattere preminente 
l�art. 108 TFUE, sia sul piano giurisdizionale. La giurisdizione interna, 
che sia attribuita al giudice ordinario oppure al giudice amministrativo, � chiamata 
a mostrarsi in applicazione del procedimento di interpretazione conforme 
ed � in ogni caso subordinata alla giurisdizione della CGUE. Inoltre il giudice 
ordinario ed il giudice amministrativo sono alla stesso modo chiamati a sollevare 
la questione pregiudiziale di interpretazione, ex art. 267 TFUE, grazie 
alla quale la CGUE attribuisce alla disposizione europea un significato autentico 
che orienta ed uniforma le scelte applicative del giudice nazionale (35). 
Per tali ragioni la questione cos� prospettata non assume rilievo: nell�ottica 
dell�operatore giuridico europeo il valore dell�imparzialit� si concretizza nella 
neutralit� del giudice, il quale, al di l� della questione interna del riparto di 
giurisdizione, deve apparire come �supremo garante del pubblico potere, in 
una materia ove gli interessi della collettivit�, orientati al recupero di somme 
illegittimamente erogate, appaiono prioritari e tutelabili soltanto attraverso 
l�esercizio di speciali poteri valutativi, costituzionalmente allo stesso riservati� 
(36). Il Consiglio di Stato, in conformit� alle indicazioni fornite con la 
sentenza n. 2401/2015, ha perci� correttamente interpretato il problema dell�interazione 
della norma processuale nazionale con il sistema europeo. Il principio 
di prevalenza dell�ordinamento comunitario si � concretizzato 
nell�operativit� del procedimento di interpretazione conforme della norma processuale 
ai principi europei (37), per mezzo dei quali nell�ordinamento italiano 
transita un sistema di valori e di interessi sovranazionali che in materia di aiuti 
di Stato compongono l�immagine del mercato unico europeo. In altre parole, 
il Consiglio di Stato ha adempiuto, in riferimento al criterio del giudice naturale, 
all�obbligo di attivare la procedura di interpretazione adeguatrice delle 
norme censurate (38). 
(35) A. GIULIANI, Le disposizioni sulla legge in generale: gli articoli da 1 a 15, in Trattato di Diritto 
privato. La tutela dei diritti, P. RESCIGNO (a cura di), Torino, Utet, 1998. 
(36) Cons. Stato n. 2401/2015. 
(37) �Si tratta di ricercare una �interpretazione� della regole di procedura che non ostacoli l'applicazione 
del diritto materiale UE da parte delle corte. Parte della dottrina a tale riguardo ha impiegato 
il termine �funzionalizzazione� di tali regole al diritto UE come forma specifica che assume la tecnica 
dell'interpretazione conforme nell'ambito del principio di autonomia procedurale� S.C. MATTEUCCI, 
Obbligo di interpretazione conforme a diritto UE e principio di autonomia procedurale in relazione al 
diritto amministrativo nazionale, op. cit. 
(38) Infatti, �anche nel giudizio di non manifesta infondatezza, tentare di ricondurre ad unitariet� 
la complessit� dell�ordinamento nel momento del suo effettivo riscontro, individuando dalla disposizione 
quella sola norma che pu� trarsi sul piano della giuridica esistenza. La quale non potr� che essere l�interpretazione 
conforme a Costituzione� G. CARAPEZZA FIGLIA, Il giudice e la Costituzione tra �non manifesta 
infondatezza� e �interpretazione adeguatrice� in P. FEMIA (a cura di), Interpretazione a fini 
applicativi e legittimit� costituzionale, Edizioni Scientifiche italiane, 2006, p. 508.
112 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2016 
Si segnala infine che la questione dell�imparzialit� dell�organo giudicante 
� stata di recente affrontata anche dalla giustizia tributaria. Con l�ordinanza n. 
280/3/2014, la Commissione tributaria provinciale di Reggio Emilia ha infatti 
rimesso alla Corte costituzionale una serie di questioni di legittimit� costituzionale 
di un complesso di norme che configurano l�imparzialit� e l�indipendenza 
del giudice tributario in relazione all�art. 6 CEDU e all�interpretazione 
che di tale norma � fornita dalla Corte di Strasburgo. In particolare la Corte di 
Strasburgo ha interpretato il valore dell�indipendenza nel senso che possono 
esistere �condizioni esteriori�, a livello di �mere apparenze�, che possono 
compromettere o pregiudicare l�amministrazione imparziale della giustizia 
(39). Nel caso Delcourt (40) la Corte ha trovato l�occasione per affermare che 
�justice must not only be done; it must also been seen to been done�: sulla 
base di una tale interpretazione del valore dell�imparzialit�, il sistema tributario 
italiano non garantirebbe rimedi specifici a tutela delle apparenze. 
Consiglio di Stato, Sezione Terza, sentenza 27 luglio 2015 n. 3679 - Pres. Romeo, Est. Palanza 
- Istituto Nazionale Previdenza Sociale (avv.ti A. Sgroi, L. Maritato, C. D�Alosio, E. 
De Rose) c. Soc. C. & D.O. s.r.l. (avv.ti M.E. Verino, L. Tosi, N. Bardino). 
(...) 
FATTO e DIRITTO 
I fatti di causa possono essere sintetizzati come segue: 
Con l�art. 5 bis del d.l. n. 96/95, convertito dalla l. n. 206/95 e con l�art. 27 del d.l. n. 669/96, 
convertito dalla l. n. 30/97 che a sua volta rinviava al decreto ministeriale del 5 agosto 1994, 
il legislatore italiano ha introdotto una serie di benefici contributivi nel periodo 1995/1997 in 
favore dei datori di lavoro che svolgevano la loro attivit� nelle citt� di Chioggia e Venezia. 
Di tali benefici non veniva data preventiva comunicazione alla Commissione europea al fine 
di valutarne la compatibilit� con la disciplina comunitaria in materia di aiuti di stato. 
La Comunit� europea, venuta a conoscenza della erogazione di tali benefici, avviava un procedimento 
che si � concluso con la decisione del 25 novembre 1999 (2000/394/CE). Nella 
predetta decisione si � statuito che i benefici fruiti dalle aziende ai sensi della sopradetta legislazione 
e dell�art. 1 del d.m. 5.8.1994 sono aiuti di stato e sono incompatibili con il mercato 
comune quando sono stati accordati ad imprese che non sono piccole e medie imprese e che 
sono localizzate al di fuori delle zone aventi diritto alla deroga prevista. 
(39) L.P. COMOGLIO, Precostituzione, indipendenza ed imparzialit� del giudice, in E. FAZZALARI 
(a cura di) Diritto processuale civile e Corte Costituzionale, Edizioni Scientifiche Italiane, 2006, p. 95; 
l�Autore richiama in nota la sentenza CEDU, 26 ottobre 1984, Cubber. 
(40) Corte Cedu sent. 17 gennaio 1970. L�esigenza che sia garantita l�apparenza di indipendenza 
dell�organo giudicante � stata affermata - in questo caso - in sede penale; l�applicazione di tale principio 
in materia penale � stata fornita invece nel caso Ocalan, sent. 12 maggio 2005. In particolare � stato 
stabilito che l�apparenza di indipendenza non sia garantita considerando soltanto la composizione dell�organo 
giudicante quando si pronuncia sulla condanna dell�imputato. Per conformarsi ai requisiti dell�art. 
6 in materia di indipendenza, il tribunale contestato deve infatti apparire indipendente dal potere 
esecutivo o legislativo in ciascuna delle fasi del procedimento.
CONTENZIOSO NAZIONALE 113 
Tale Decisione della Commissione europea era stata assunta a conclusione di una articolata e 
dialettica fase istruttoria in cui era intervenuto, non solo lo Stato italiano con le proprie osservazioni 
e chiarimenti, ma anche il Comune di Venezia ed il comitato �Venezia vuole vivere� 
che aveva presentato uno studio effettuato dal Coses (consorzio per la ricerca e la formazione) 
inteso a dimostrare le difficolt� che le imprese operanti nella laguna incontravano rispetto alle 
imprese della terraferma concludendo per l�assenza di un effetto reale o anche potenziale di 
distorsione della concorrenza. 
La stessa Commissione insistentemente chiedeva all�Italia ulteriori notizie e chiarimenti. 
La Decisione della Commissione europea del 25 novembre 1999 (punti 61 e ss. e paragrafo 
V, Conclusioni), dopo avere esaminato, sia alcuni casi particolari ad essa sottoposti, sia le 
problematiche di carattere generale del regime di aiuti, statuiva che le imprese della laguna, 
di norma, venivano a trovarsi in una situazione pi� vantaggiosa rispetto alle imprese concorrenti 
che dovevano sostenere la totalit� degli oneri, con il risultato che la concorrenza e gli 
scambi ne risultavano alterati. 
In alcuni casi in cui la Commissione aveva avuto la concreta disponibilit� dei dati di fatturato 
aziendale e del flusso di origine dei clienti e dunque era possibile una analisi individuale, caso 
per caso. Lo stesso organo ha giudicato sistematicamente irrilevanti, tranne sporadiche eccezioni, 
tutte le pur articolate argomentazioni presentate, ritenendo assorbente, ai fini della applicazione 
della normativa in esame, la considerazione della astratta potenzialit� dell�aiuto a 
incidere sugli scambi comunitari. 
Solo in specifici casi gli aiuti concessi dallo Stato italiano venivano considerati in astratto 
compatibili con il mercato comune, se accordati alle piccole e medie imprese (PMI) ai sensi 
della disciplina comunitaria degli aiuti di Stato alle piccole e medie imprese, alle imprese che 
non corrispondevano a tale definizione, localizzate in una zona ammissibile alla deroga di cui 
all�art. 87, paragrafo 3, lett. c), del Trattato, a qualsiasi altra impresa che assumeva categorie 
di lavoratori con particolari difficolt� di inserimento o di reinserimento nel mercato di lavoro 
secondo gli orientamenti comunitari in materia di occupazione (punto 105). 
A ci� doveva aggiungersi il criterio de minimis, come criterio di ordine generale escludente 
l�obbligo di recupero (punto 110). 
Sulla base di tale decisione la Commissione affidava all�Italia l�obbligo di adottare tutti i provvedimenti 
necessari per recuperare presso i beneficiari gli aiuti dichiarati incompatibili con il 
mercato comune secondo le procedure del diritto nazionale e con relativi interessi a decorrere 
dalla data in cui le somme erano state poste a disposizione dei beneficiari fino al loro effettivo 
recupero. 
La decisione veniva notificata allo Stato Italiano il 10 gennaio 2000. 
Tale decisione veniva impugnata da numerose imprese interessate (59) nel settembre 2000 davanti 
al Tribunale di Lussemburgo, il quale selezionava 4 cause pilota (promosse rispettivamente 
da Hotel Cipriani, Italgas, Coopservice e Comitato �Venezia vuole vivere�), in quanto ritenute 
riepilogative delle questioni proposte dalle varie aziende ricorrenti. Con sentenza del 28 novembre 
2008 (T-254/00) il Tribunale di Lussemburgo, decidendo le cause pilota, le respingeva. 
La sentenza del Tribunale di Lussemburgo veniva impugnata dalle ricorrenti delle cause pilota, 
ma la Corte di Giustizia respingeva le impugnazioni proposte con sentenza C-71/09 del 9 giugno 
2011 specificando che: 
a) nel caso di un programma di aiuti la Commissione studia le caratteristiche del programma 
di cui trattasi per valutare nella motivazione della sua stessa decisione se, in base alle modalit� 
previste da tale programma, esso assicuri un vantaggio sensibile ai beneficiari rispetto ai loro
114 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2016 
concorrenti e sia tale da giovare essenzialmente a imprese che partecipino agli scambi tra 
Stati membri (punto 63 della sentenza 9 giugno 2011); 
b) se in base alla valutazione di cui sopra la Commissione reputa un regime di aiuti incompatibile 
con il mercato comune e per l�effetto ordina il recupero degli aiuti illegittimamente erogati 
�... spetta poi allo Stato membro verificare la situazione individuale di ciascuna impresa 
interessata da una simile operazione di recupero� (punto 64 della sentenza 9 giugno 2011); 
c) prima di procedere al recupero, in particolare, �le Autorit� nazionali devono necessariamente 
verificare in ciascun caso individuale, se l�agevolazione concessa pu�, in capo al suo 
beneficiario, falsare la concorrenza ed incidere sugli scambi intracomunitari� (punto 115); 
d) spetta alle �autorit� nazionali�previamente dimostrare alla luce delle considerazioni esposte 
ai punti 113-121, che le agevolazioni concesse costituiscono, in capo ai beneficiari, aiuti 
di stato� (punto 183). 
In concomitanza con la sopra richiamata sentenza della Corte di Giustizia, il Tribunale di Lussemburgo 
ha ordinato la riapertura degli altri procedimenti (altri rispetto alle cause pilota) e 
con successiva ordinanza ha respinto i ricorsi. 
Appellate le ordinanze del Tribunale, la Corte di Giustizia, con ordinanza del 4 settembre 
2014, ha respinto le impugnazioni ribadendo �il principio della istruttoria caso per caso� di 
cui alla sopra citata sentenza del 9 giugno 2011 e che �Le autorit� nazionali erano tenute a 
verificare in ciascun caso individuale se le agevolazioni concesse fossero idonee a falsare la 
concorrenza e ad incidere sugli scambi comunitari�. 
A seguito della decisione della Commissione europea lo Stato italiano ha avviato il procedimento 
di recupero degli aiuti incompatibili affidandolo all�I.N.P.S. (d�ora in poi, per comodit� 
solo INPS, Inps o Istituto), il quale in una prima fase ha operato tramite cartelle esattoriali ai 
sensi del d.lgs. n. 46/1999. 
Tali cartelle venivano impugnate davanti al giudice del lavoro presso il Tribunale di Venezia 
con atti di opposizione. Ne seguivano articolati procedimenti che nella generalit� di casi erano 
ancora in corso al momento delle definitiva pronuncia sulle cause pilota della Corte di giustizia 
europea C- 71/09 del 9.6.2011. 
Con successiva sentenza C-302-09 del 6.10.2009 la medesima Corte di giustizia dichiarava che: 
�La Repubblica italiana, non avendo adottato, nei termini stabiliti, tutte le misure necessarie a 
recuperare presso i beneficiari gli aiuti concessi in base al regime di aiuti dichiarato illegittimo 
e incompatibile con il mercato comune dalla decisione della Commissione 25 novembre 1999, 
2000/394/CE, relativa alle misure di aiuto in favore delle imprese nei territori di Venezia e di 
Chioggia previste dalle leggi n. 30/1997 e n. 206/1995, recanti sgravi degli oneri sociali, � venuta 
meno agli obblighi ad essa incombenti ai sensi dell�art. 5 di detta decisione�. 
Lo Stato italiano assumeva conseguenti e adeguate iniziative per adempiere alle precise indicazioni 
contenute nella sentenza definitiva della Corte di giustizia sulla vicenda. Il 1� gennaio 
2013 entrava in vigore la legge 24 dicembre 2012 n. 228 recante �Disposizioni per la formazione 
del bilancio annuale e pluriennale dello Stato� il cui articolo 1, co 351 e ss., ha tra 
l�altro posto nel nulla l�azione di recupero precedentemente svolta dall�Inps e le conseguenti 
cause in corso presso il giudice ordinario. 
In base alla procedura definita dalle disposizioni appena richiamate l�Istituto inviava alle imprese 
un formulario per la valutazione della compatibilit� con il mercato comune degli aiuti 
concessi alle imprese operanti nei territori di Venezia e Chioggia nel periodo 1.7.1994 - 
30.12.1997, prescrivendo alle imprese di fornire gli elementi, corredati da idonea documentazione, 
necessari per la identificazione dell�aiuto anche con riferimento alla sua idoneit� a
CONTENZIOSO NAZIONALE 115 
falsare la concorrenza e incidere sugli scambi comunitari. L�Istituto comunque decideva di 
intraprendere d�ufficio, anche al di l� della acquisizione del formulario, una istruttoria preordinata 
all�azione di recupero di cui � causa. Alcune imprese impugnavano il formulario, che 
veniva annullato dal TAR, con sentenza poi passata in giudicato, essendo stato il successivo 
appello dell�INPS giudicato irricevibile per tardivit� dal Consiglio di Stato. 
Nella istruttoria l�Inps si � comunque attenuta alle indicazioni fornite nel parere espresso 
dall�Autorit� garante della concorrenza e del mercato ai sensi dell�art. 22 della legge n. 
287/1990, come prescritto dal comma 354 dell�art. 1 della legge n. 228 del 2012. In tale parere 
venivano individuati i mercati rilevanti e gli ambiti merceologici di massima in cui erano 
attive le imprese che all�epoca dei fatti avevano fruito delle agevolazioni di cui � causa. 
La Autorit� aveva assunto, quale costante parametro di valutazione, l�idoneit� delle suddette 
agevolazioni ad influenzare la domanda anche transfrontaliera, ritenendo tuttavia che non 
erano in grado di influenzare le dinamiche concorrenziali ed il commercio intracomunitario, 
gli sgravi contributivi a favore delle imprese che all�epoca dei fatti soddisfacevano una domanda 
tipicamente locale o per i cui beni e servizi offerti non erano ravvisabili flussi di import/
export come la ristorazione, i servizi di barbiere, parrucchiere, attivit� di panificazione, 
attivit� di giardinaggio. 
Infine, all�esito di tale istruttoria, condotta nei termini prescritti dalla legge n. 228, sulla base 
delle informazioni trasmesse dalle imprese e del parere espresso dall�AGCM, l�Inps, con l�avviso 
di addebito oggetto di impugnazione in primo grado davanti al Tar Veneto, procedeva al 
recupero delle somme dovute. 
Con la sentenza impugnata il Tar Veneto riteneva che il ricorso fosse fondato con riferimento 
ai motivi di gravame con cui le ricorrenti lamentavano la violazione dell�art. 1, commi 351 e 
segg., della legge n. 228 del 2012, nonch� per carenza di istruttoria e di motivazione in quanto 
l�Inps, prima di procedere al recupero, non avrebbe in concreto verificato se gli sgravi concessi 
erano idonei effettivamente a falsare la concorrenza ed incidere negativamente sugli scambi 
comunitari generando una distorsione della libera concorrenza con specifico riferimento alla 
situazione di mercato esistente al momento di operativit� dell�agevolazione stessa. 
Per il Tar era insufficiente l�affermazione contenuta negli impugnati avvisi di addebito secondo 
cui risulterebbe �valutata l�idoneit� dell�agevolazione fruita dall�impresa in indirizzo a falsare 
od a minacciare la concorrenza ed incidere sugli scambi comunitari�, trattandosi di dichiarazione 
meramente tautologica e di stile, in quanto priva di ogni riscontro valutativo dal quale 
si potesse desumere l�iter motivazionale che aveva condotto a ritenere la contestata agevolazione 
alla stregua di un aiuto di Stato in contrasto con la normativa comunitaria. 
Il Tar quindi accoglieva il ricorso assumendo la sussistenza di un difetto di istruttoria da parte 
dell�Amministrazione per non aver compiuto alcuna attivit� di verifica preordinata all�accertamento, 
in ciascuna fattispecie concreta, della idoneit� delle agevolazioni fiscali alla produzione 
di un effetto distorsivo della concorrenza nel mercato interno, contravvenendo, pertanto, 
alla littera legis del testo di legge n. 228/2012. Venivano di conseguenza assorbite le ulteriori 
doglianze proposte da parte ricorrente. 
L�Inps in proprio e quale mandatario di Societ� Cartolarizzazione dei crediti Inps (S.C.C.I. 
s.p.a.) ha presentato appello per la riforma della sentenza del Tar. 
Nell�atto di appello l�Istituto evidenzia i criteri alla base del formulario per la redazione del 
quale l�Inps ha sentito le categorie interessate con un incontro in data 14 febbraio 2013 e si � 
avvalsa della Direzione Servizi Pubblici Locali e Promozione della Concorrenza della Autorit� 
garante della concorrenza e del mercato.
116 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2016 
L�appellante eccepisce l�erroneit� della pronunzia del giudice di prime cure nella parte in cui 
ritiene il difetto di istruttoria ritenuto dal Tar. 
Parte appellata si � costituita nel giudizio di appello contestando puntualmente le ragioni addotte 
dall�Inps e riproponendo i motivi e le eccezioni dedotte in primo grado non esaminate 
e/o assorbite dal primo giudice. 
In sede cautelare questo Consiglio di Stato ha disposto la sospensione della sentenza appellata 
con l�ordinanza 12 dicembre 2014 n. 5667. 
In vista dell�udienza di trattazione parte appellata ha depositato memorie e documentazione 
difensiva. 
2. � L�appello � fondato sulla base delle motivazioni seguenti che richiamano anche quelle di 
cui alla precedente sentenza 13 maggio 2015 n. 2401, decisa da questa Sezione nella stessa 
udienza e a cui questa sentenza intende conformarsi ai sensi dell�art. 88, comma 2, c.p.a con 
riferimento ai numerosi aspetti generali comuni tra le molteplici cause attinenti alla stessa vicenda 
o almeno nell�ambito di gruppi omogenei tra esse. In particolare vengono in rilievo gli 
aspetti propriamente riguardanti il settore alberghiero, nel quale rientra l�azienda di cui alla 
presente causa e quella di cui alla richiamata sentenza n. 2401. 
3. � Alla motivazione della sentenza n. 2401 si fa in particolare riferimento per le premesse 
generali e comuni alle controversie generate dalla vicenda esposta al punto 1 ed in particolare 
per la esposizione della normativa (artt. 107, artt. 108 e 109 TFUE etc ) e della giurisprudenza 
della Unione europea sul regime proprio degli �aiuti di Stato� nel diritto della 
Unione europea oltre che per le questioni comuni al settore alberghiero. Non risultano infatti 
contestate nel presente giudizio le conclusioni a cui queste premesse conducono nel senso 
che al giudice nazionale � del tutto preclusa la valutazione della compatibilit� dell�aiuto 
con il mercato comune in base ai criteri enunciati dall�art. 107 (ex 87) del Trattato, trattandosi 
di compito che spetta in via esclusiva solo alla Commissione europea sotto il controllo 
del giudice comunitario. Ai fini della definizione dell�ambito proprio del presente giudizio, 
devono, quindi, essere tassativamente delimitati i compiti che spettano allo Stato italiano e 
corrispondentemente quelli del giudice nazionale nel controllo di legittimit� degli atti sulla 
base delle decisioni concretamente assunte dagli organi della Unione europea compresi 
quelli che ne hanno verificato in ambito giurisdizionale la legittimit�. Dalla ricognizione 
svolta con particolare ampiezza nella sentenza n. 2401 risulta che lo Stato membro, destinatario 
di una Decisione che gli impone di recuperare aiuti illegittimi, � tenuto, ai sensi 
dell�art. 249, quarto co., Trattato CE ad adottare ogni misura idonea ad assicurare la esecuzione 
della Decisione; si tratta di un obbligo di risultato e il recupero non deve essere solo 
effettivo, ma immediato. N� potrebbero addursi impossibilit� impreviste o imprevedibili di 
recupero, tali non essendo n� le difficolt� giuridiche, ed in specie procedurali e conseguenti 
a provvedimenti cautelari o giudiziari anche passati in giudicato, n� pratiche, n� politiche. 
Il concetto di impossibilit� assoluta � stato costantemente interpretato in maniera restrittiva 
dalle Corti comunitarie ed � stato escluso che la impossibilit� possa essere rinvenuta nella 
normativa nazionale sulla prescrizione (cfr. Comunicazione della Commissione 2007 C 
272/05 punti 18-20) o su qualsiasi altra normativa interna tale da rendere difficoltoso o impossibile 
il recupero. 
4. � Definiti i principi generali (anche con il rinvio alla precedente sentenza n. 2401), viene 
di seguito esposta la sequenza di decisioni amministrative e giurisdizionali adottate in attuazione 
dei medesimi principi dai competenti organi della Unione europea nella concreta vicenda 
in esame con conseguente individuazione dei compiti che ne risultano in capo allo Stato ita-
CONTENZIOSO NAZIONALE 117 
liano, tenendo conto che nella presente causa si discute della legittimit� degli atti con i quali 
si � inteso dare loro attuazione: 
- nel caso in esame le misure di aiuto disposte dallo Stato italiano avevano riguardato: a) gli 
sgravi contributivi di cui all�art. 1 del decreto del ministero del Lavoro del 5 agosto 1994 in 
favore delle imprese situate a Venezia e Chioggia; b) lo sgravio totale degli oneri sociali di 
cui all�articolo 2 del decreto del 5 agosto 1994 per i nuovi posti di lavoro creati nelle imprese 
situate a Venezia a Chioggia; 
- le autorit� italiane, prima della Decisione finale del novembre 1999, avevano rappresentato 
alla Commissione che gli sgravi contributivi erano stati concessi per ovviare ai sovraccosti 
sostenuti dalle imprese operanti nelle isole della laguna quali, tra altri, costi di localizzazione 
elevati, costi aggiuntivi derivanti dal rispetto dei vincoli architettonici e paesaggistici, oneri 
logistici, disagi ambientali, invecchiamento e calo demografico della popolazione, regresso 
delle attivit� industriali, trasformazione di Venezia in citt� museo priva di vitalit� e potenzialit� 
di sviluppo ecc.; 
- l�intervento pubblico, secondo l�intendimento del legislatore italiano, aveva la finalit� di ripristinare 
parzialmente le condizioni di concorrenza tra imprese e avrebbe consentito alle 
stesse imprese di confrontarsi con le altre su un piano di parit�; 
- la Commissione europea si era quindi pronunciata sulla legittimit� degli sgravi alla stregua 
della disciplina sugli aiuti di Stato, affermando che: 
a) le misure adottate costituivano un regime di aiuti di Stato ai sensi dell�art. 107 (87), paragrafo 
1, del Trattato comportando per l�Inps perdite di contributi, (il che equivaleva ad utilizzazione 
di risorse pubbliche), mentre le imprese, per effetto delle disposte misure, venivano 
a trovarsi in una situazione di sostanziale vantaggio rispetto alle imprese concorrenti che dovevano 
sostenere la totalit� degli oneri; 
b) inoltre le imprese beneficiarie erano per lo pi� imprese manifatturiere e nel settore dei servizi, 
con intensi scambi con gli Stati membri che venivano avvantaggiati, mentre le possibilit� di 
altre imprese stabilite negli Stati membri di esportare i loro prodotti ne risultavano diminuite; 
c) il carattere compensatorio dell�intervento non escludeva che si trattasse di aiuto di Stato e 
che il Trattato non mirava alla salvaguardia di una situazione di perfetta parit� teorica tra imprese 
che invece operavano in un contesto reale e non in un mercato perfetto nel quale le condizioni 
che si trovavano ad affrontare erano assolutamente identiche. 
- di conseguenza l�articolo 1 della parte dispositiva della Decisione della Commissione del 
1999 disponeva che in alcuni casi gli aiuti potevano considerarsi compatibili quando erano 
accordati alle piccole e medie imprese, o ad imprese localizzate in zona ammissibile alla deroga 
di cui all�art. 87 paragrafo 3, lettera c), del Trattato (gli aiuti destinati ad agevolare lo 
sviluppo di talune attivit� o di talune regioni economiche, sempre che non alterassero le condizioni 
degli scambi in misura contraria al comune interesse) ovvero a qualsiasi altra impresa 
che assumeva categorie di lavoratori con particolare difficolt� di inserimento o di reinserimento 
nel mercato del lavoro. Per il resto, gli aiuti erano incompatibili ed andavano recuperati 
da parte dello Stato italiano (articolo 5); 
- i ricorrenti davanti la Corte di giustizia non hanno dimostrato l�esistenza di circostanze particolari 
che consentissero di affermare che, nonostante la natura di aiuti al funzionamento 
degli aiuti di cui trattasi, la Commissione avrebbe dovuto astenersi dall�ordinarne il recupero. 
La sentenza affermava anche che neppure la Commissione, nel corso del procedimento di 
esame, aveva ricevuto alcuna informazione specifica relativa a tali imprese dalla quale potesse 
sorgere l�obbligo procedurale di prendere in considerazione la loro situazione individuale;
118 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2016 
- poich� la Decisione della Commissione europea si era occupata delle caratteristiche generali 
del regime di aiuti in questione, anche in relazione al loro carattere multisettoriale, sullo Stato 
italiano veniva imposto un onere di verificazione della concreta situazione individuale di ciascuna 
impresa beneficiaria dell�agevolazione ed interessata dalle operazioni di recupero; 
- infatti, lo Stato italiano informava la Commissione europea che su un totale di circa 2.000 
imprese beneficiarie, solo gli aiuti percepiti da 517 imprese sarebbero illegittimi; 
- come ricordato nella parte espositiva la decisione della Commissione era impugnata da 59 
imprese. Il Tribunale e poi la Corte di giustizia della Unione europea decidevano respingendo 
i ricorsi per 4 cause pilota ( Hotel Cipriani, Italgas, Coopservice e Comitato �Venezia vuole 
vivere�). Conclusivamente la Corte di giustizia con la sentenza 9 giugno 2011 specificava 
che la Commissione aveva valutato la legittimit� del programma e ordinato il recupero degli 
aiuti illegittimamente erogati e che spetta poi allo Stato membro di verificare la situazione 
individuale di ciascuna impresa interessata da una simile operazione di recupero; 
- nel frattempo, dal 2000 al 2011, mentre si svolgevano le cause presso gli organi giudiziari 
della Unione europea, lo Stato italiano procedeva al recupero degli aiuti incompatibili affidandolo 
all�I.N.P.S. che ha operato tramite cartelle esattoriali ai sensi del d.lgs. n. 46/1999, 
impugnate davanti al giudice del lavoro presso il Tribunale di Venezia con atti di opposizione. 
La massima parte di tali cause erano ancora pendenti al momento della conclusione del giudizio 
presso la Corte di giustizia; 
- si � quindi determinata, per varie ragioni, anche legittime, una situazione di gravissimo contrasto 
con lo spirito e la lettera della disciplina europea in tema di divieto di aiuti di Stato e di 
recupero delle somme erogate e con la decisione nel frattempo assunta dalla Corte di giustizia 
in merito alla stessa vicenda, in quanto a distanza di 11 anni dalla decisione della Commissione 
l�azione di recupero non vi � stato alcun recupero delle somme versate, salvo sporadici casi 
di spontaneo adempimento; 
- tale situazione � giuridicamente definita nell�ambito dell�Unione europea dagli organi competenti 
ed in via ultimativa dalla sentenza della Corte di giustizia del 6 ottobre 2011 nella 
causa C-302/09, che dichiara che lo Stato italiano � venuto meno agli obblighi ad esso incombenti 
ai sensi dell�art. 5 della decisione della Commissione 25 novembre 1999, 
2000/394/CE. Sono seguite le conseguenti comunicazioni della Commissione che in data 
10.7.2012, constatato il persistente inadempimento hanno sollecitato lo Stato italiano al recupero 
e in data 20.11.2013 ha proposto alla Corte di Giustizia di comminare, nei confronti 
dell�Italia, una sanzione pecuniaria nella forma di: a) una somma forfettaria calcolata sulla 
base di euro 24.578,40 per ogni giorno trascorso tra la data della prima sentenza ex art. 258 
TFUE (6.10.2011); b) una penalit� di mora giornaliera pari a euro 187.264,00 dal giorno in 
cui la Corte di Giustizia pronuncer� la seconda sentenza fino al completo adempimento; 
- con la legge n. 228/2012 (legge di stabilit� per il 2013), all� articolo 1, commi da 351 a 356, si 
� inteso dare un seguito adeguato a tali determinazioni assumendo comportamenti proporzionati 
alle difficolt� fino ad allora incontrate che avevano impedito il recupero. Viene perci� introdotta 
una disciplina del tutto speciale e straordinaria allo scopo di chiudere una situazione critica di 
grave ritardo e di rispondere alla indifferibile e ultimativa sollecitazione rivolta allo Stato italiano 
dalla Corte di giustizia, come espressa nella comunicazione della Commissione europea del 
10.7.2012, che ha escluso, tra l�altro, che ostacoli di ordine giudiziario possano valere per lo 
Stato italiano come esimente dell�obbligo di assicurare la restituzione dell�aiuto di stato illegale. 
5. � La sequenza delle decisioni assunte nell�ambito della Unione europea, con il loro carattere 
ultimativo, definitivo e penetrante nel merito delle singole questioni, consente di determinare
CONTENZIOSO NAZIONALE 119 
al di fuori di ogni ragionevole dubbio i compiti meramente esecutivi che spettano allo Stato 
italiano e di conseguenza l�ambito del presente giudizio nella valutazione di legittimit� degli 
atti posti in essere nella esecuzione di tali compiti nel rigoroso rispetto delle competenze che 
spettano ai diversi livelli nella specifica materia e del principio di legalit� che presiede all�esercizio 
di tali competenze nei diversi ordinamenti. Di conseguenza: 
- spettano allo Stato italiano esclusivamente i compiti relativi al recupero gli aiuti di Stato definitivamente 
giudicati illegittimi dalla Corte di Giustizia limitandosi a verificare la situazione 
individuale di ciascuna impresa e in specie se la situazione di ogni singola impresa prevede 
aspetti che possano escludere in ciascun caso che si sia determinato quel �vantaggio sensibile 
ai beneficiari rispetto ai loro concorrenti� e che il vantaggio sia tale da giovare essenzialmente 
a imprese che partecipino agli scambi tra Stati membri (punto 63 della sentenza 9 giugno 2011); 
- non spettano allo Stato italiano le valutazioni concernenti le finalit� o le motivazioni dell�aiuto, 
intere tipologie di imprese ovvero la comune localizzazione delle stesse e ogni altra 
qualificazione che per il suo carattere macroscopico e collettivo si deve considerare rientrante 
nelle decisioni gi� assunte dai competenti organi della Unione europea la cui legittimit� � gi� 
stata verificata dalle Corti competenti. 
6. � Come gi� detto, la sentenza della Corte di Giustizia europea del 9 giugno 2011 accerta in 
via definitiva l�incompatibilit� degli aiuti con il mercato comune consolidando definitivamente 
tutte le valutazioni di competenza dell�Unione europea da cui scaturiscono le azioni esecutive 
di competenza dello Stato italiano. La successiva sentenza del 6 ottobre 2011 trae le conseguenze 
della precedente sentenza e del prolungato stato di inadempienza in cui versa l�Italia 
per il periodo che intercorre dal 2001 al 2011 e lo condanna per non aver adottato le misure 
necessarie a recuperare gli aiuti dichiarati illegittimi e incompatibili con il mercato comune. 
Pertanto, nel contesto sopra delineato sono evidenti le premesse che giustificano e legittimano, 
anche sul piano costituzionale, le procedure straordinarie predisposte ad hoc dalla della legge 
n. 228 del 2012 (legge finanziaria per il 2013), art. 1 co. 351 e ss. Tali disposizioni definiscono 
concrete e realistiche modalit� per lo svolgimento dei compiti che spettano allo Stato italiano 
come chiariti dalla sentenza del 9 giugno 2011, secondo criteri di fattibilit� e massima accelerazione 
nei tempi: 
- tali compiti sono circoscritti anche in via legislativa in piena conformit� con la sentenza n. 
9 giugno 2011 alla sola verifica delle singole imprese quanto alla �idoneit� dell�agevolazione 
concessa, in ciascun caso individuale a falsare la concorrenza ed incidere sugli scambi intracomunitari�; 
- l�attuazione di tale compito all�INPS viene accompagnata dalla definizione di procedure obbligatorie 
tassative e perentorie nei termini e nelle modalit�, tali da rendere fattibile l�accertamento 
individuale sulla illiceit� o meno dell�aiuto e da giungere in ogni caso ad un esito; 
- � attribuito infatti alle imprese beneficiarie l�obbligo di fornire esse stesse entro 30 giorni 
gli elementi e la documentazione necessaria per la identificazione dell�aiuto di Stato illegale 
�anche con riferimento alla idoneit� dell�agevolazione concessa, in ciascun caso individuale 
a falsare la concorrenza ed incidere sugli scambi intracomunitari�; 
- ne consegue secondo la stessa legge che, sulla base di una istruttoria cos� semplificata e dei 
parametri di giudizio forniti da un apposito parere dell�AGCM, l�INPS deve limitarsi ad accertare 
se le informazioni e la documentazione fornita dalle imprese contengano elementi che 
escludono la illiceit� degli aiuti nel caso singolo e in caso contrario procedere senz�altro al 
recupero. Infatti, se le informazioni o i documenti non sono trasmessi entro il termine previsto 
dalla legge la idoneit� dell�aiuto � presunta;
120 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2016 
- vale a dire che le valutazioni generali che hanno condotto a considerare illegittimo l�aiuto 
nelle sue linee generali e la casistica che pu� condurre ad escludere singole imprese, sulla 
base delle loro caratteristiche individuali restano a tutti gli effetti quelli stabiliti dagli organi 
della Unione europea nelle diverse fasi fino alle sentenze conclusive e definitive della Corte 
di Giustizia, con le specificazioni ai fini dell�applicazione nel contesto italiano fornite da un 
organismo tecnico specializzato in tema di concorrenza come AGCM; 
- all�INPS spetta la meccanica applicazione dei parametri stabiliti dagli organi della UE e 
dell�AGCM alle imprese individuali giovandosi della esperienza e conoscenza propria dell�INPS 
che sono quelle proprie di organismo esattoriale verso le singole imprese e che dunque 
� specializzato nella conoscenza e nella interazione con le singole imprese. 
7. � Sullo svolgimento di tali compiti, secondo le procedure definite dai commi 351 ss. della 
legge n. 228/2012 (oltre che sugli aspetti di costituzionalit� e gli effetti di ordine temporale 
inclusa la prescrizione di tale normativa), si incentra il presente giudizio in appello che attiene 
in primo luogo alla loro attuazione. Infatti, il Tar Veneto ha accolto il ricorso per la violazione 
dell�art. 1, commi 351 e ss. della legge n. 228 del 2012, da cui consegue la carenza di istruttoria 
e di motivazione degli atti di addebito adottati dall�Inps, che, prima di procedere al recupero, 
non avrebbe in concreto verificato se gli sgravi concessi erano idonei effettivamente a falsare 
la concorrenza ed incidere negativamente sugli scambi comunitari generando una distorsione 
della libera concorrenza con specifico riferimento alla situazione di mercato esistente al momento 
di operativit� dell�agevolazione stessa. Per il Tar era insufficiente l�affermazione contenuta 
negli impugnati avvisi di addebito secondo cui risulterebbe �valutata l�idoneit� 
dell�agevolazione fruita dall�impresa in indirizzo a falsare od a minacciare la concorrenza 
ed incidere sugli scambi comunitari�, trattandosi di dichiarazione meramente tautologica e 
di stile. Pertanto, nel riesame delle conclusioni del TAR, sono esaminate nei sottopunti seguenti 
del presente punto 7 e nel punto 8 le principali questioni sollevate dall�appello dell�INPS 
avverso i motivi del ricorso di primo grado accolti dal Tar per l�annullamento 
dell�avviso di addebito impugnato oltre alle ragioni con le quali la azienda in questa causa 
appellata insiste sui predetti motivi. Nei punti successivi all�8 sono invece esaminati e respinti 
gli altri motivi respinti o considerati assorbiti validamente riproposti in appello dalla appellata 
ai sensi dell�art. 101, comma 2, c.p.a.. 
7.1. � La prima e principale argomentazione per l�accoglimento del ricorso in primo grado da 
parte del Tar - contestata dall�INPS nell�appello e riproposta con ampia argomentazione nelle 
memorie dell�appellata - verte sulla asserita carenza di istruttoria da parte dell�INPS. La istruttoria 
individuale � in base alle esposte premesse il compito attribuito allo Stato italiano e per 
esso all�INPS coadiuvato dal parere AGCM, ma tale compito � rigorosamente delimitato e 
circoscritto agli aspetti residuali rispetto a quanto stabilito dalla Decisione e dalle successive 
pronunzie del giudice comunitario, che ne hanno convalidato la piena legittimit� fino alla 
condanna dello Stato italiano per il mancato recupero dei aiuti illegali a distanza di molti anni 
dall�accertamento della illegalit�. 
7.2. - Il Tar non ha infatti adeguatamente considerato che, a monte della attivit� svolta dall�INPS, 
si pongono tutte le determinazioni gi� assunte in sede europea con riferimento all�aiuto 
di stato in oggetto che si riferiscono esplicitamente a tutte le caratteristiche generali del programma 
considerato illecito aiuto di Stato con riferimento alle imprese localizzate nei comuni 
di Venezia e Chioggia. Tali caratteristiche gi� definite e vagliate in sede europea includono 
quindi con tutta evidenza la localizzazione e le principali tipologie di imprese, che sono state 
quindi filtrate dalla Commissione e soprattutto dalle diverse pronunce degli organi giurisdi-
CONTENZIOSO NAZIONALE 121 
zionali, che hanno sancito pochissimi casi di esclusione, per lo pi� prontamente applicati dall�INPS. 
7.3. - In base a tali tassative indicazioni non spetta all�INPS di accertare se l�aiuto di stato in 
questione sia - in generale o in via collettiva per i principali gruppi o tipologie di impresa 
coinvolte - in grado di alterare la concorrenza negli scambi intracomunitari perch� ci� � proprio 
il nucleo essenziale di quanto gi� stato definitivamente deciso in sede europea. All�INPS 
spetta solo di accertare se con riferimento ad ogni singola impresa concorrano elementi specifici, 
individuali e particolari che alla luce dei parametri e della casistica fissati in sede europea 
siano in grado di escludere che quella singola impresa possa alterare gli scambi 
infracomunitari. In altre parole, l�ambito di accertamento che viene rimesso all�INPS � estremamente 
ristretto concernendo solo le caratteristiche individuali di ogni singola impresa. Ne 
consegue che la istruttoria assume quel grado di automaticit� che risulta con massima evidenza 
dalla procedura introdotta dalla legge n. 228, per la quale nel maggior numero dei casi l�istruttoria 
si risolve nell�accertamento negativo della inesistenza di cause escludenti della generale 
illiceit� dell�aiuto gi� dichiarata dalla Commissione e convalidata dagli organi giurisdizionali 
della Unione europea ovvero addirittura nella inesistenza presunta di tali cause in mancanza 
dell�invio di informazioni o documentazione da parte di singole imprese. La legge n. 228 prevede, 
in immediata risposta alla sentenza della Corte di Giustizia europea del 6 ottobre 2011 
di condanna dell�Italia per il mancato recupero degli aiuti in questione, una procedura concentrata 
semplificata e finalizzata all�adempimento degli obblighi gravanti sull�Italia nella 
considerazione dell�estremo ritardo in cui si svolge. 
7.4. � La legge n. 228 prescrive tassativamente che l�INPS si limiti a compiere tale accertamento 
sulla base degli ulteriori parametri forniti dal parere dell�AGCM, delle informazioni e 
della documentazione che l�impresa ha l�obbligo di trasmettergli, ritenendosi altrimenti provata 
l�illiceit� dell�aiuto. Il comma 354 definisce attivit� istruttoria solo gli atti con i quali si 
richiedono e acquisiscono le informazioni e la valutazione concernente un�unica questione: 
se �dalle informazioni o dalla documentazione sia emersa o sia presunta l�idoneit� della agevolazione 
a falsare o minacciare la concorrenza e incidere sugli scambi comunitari�. L�unica 
questione che l�INPS deve valutare � quindi se �emergono� dalla documentazione trasmessa 
elementi che, sulla base della casistica indicata dalla Commissione europea o dall�AGCM, 
escludono una o pi� condizioni di illiceit� dell�aiuto. L�uso del verbo �emergere�, nella disposizione 
citata, ha una precisa e rilevante implicazione ai fini di causa nel senso di non richiedere 
all�Inps una specifica attivit� di indagine, in quanto i dati rilevanti devono 
�emergere� dalla documentazione trasmessa dalle interessate con riferimento alla posizione 
specifica e individuale di ciascuna. Essendo questa la definizione legislativa della �istruttoria� 
� evidente che in capo all�INPS � stato posto un accertamento materiale assai limitato, privo 
di qualsiasi discrezionalit� e attinente alle competenze che l�INPS possiede e che non riguardano 
la materia della concorrenza, ma la conoscenza delle singole imprese e la capacit� di interagire 
con ciascuna di esse in materia di pagamenti. Del resto, non essendo l�INPS un ente 
preposto alla tutela della concorrenza, appare del tutto ragionevole che i compiti ad esso affidati 
fossero limitati a valutare solo l�applicabilit� di parametri da altri stabiliti alle caratteristiche 
dichiarate e dimostrate dalle imprese, che in questo caso si riferiscono alle esimenti 
della illiceit� dell�aiuto per evidente inidoneit� a influire sugli scambi infracomunitari. 
7.5. - Si pu� quindi affermare che nel caso in esame l�istruttoria si risolve nella applicazione 
pedissequa e meccanica della casistica presentata dalle Corti europee e, in subordine, per ulteriori 
concrete esplicitazioni dall�AGCM, salvo che le imprese non presentino esse stesse
122 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2016 
elementi nuovi. Nei casi in cui tale evenienza si � verificata sia pure con ritardo nel corso del 
presente giudizio la Sezione ha difatti disposto con apposita ordinanza collegiale una riapertura 
della istruttoria all�INPS. 
7.6. � Cos� definite e delimitate, da decisioni dell�Unione europea e dalla normativa legislativa 
introdotta ad hoc, le questioni in causa, � evidente che la localizzazione e la natura delle 
attivit� svolte dalle imprese non possono essere considerate nel presente giudizio come esimenti 
essendo gi� state valutate dalla Commissione e dalla Corte di Giustizia europea che 
hanno concluso per la idoneit� degli aiuti in questione ad alterare la concorrenza. Allo stesso 
modo sono altrettanto estranee al presente giudizio altre problematiche generali del regime 
di aiuti come il fatto che gli sgravi, andando ad avvantaggiare le imprese che operavano nelle 
citt� interessate, potevano essere goduti da qualsiasi altra impresa che avesse localizzato i 
propri lavoratori nella medesima citt�. Siffatte questioni sono state, infatti, esaminate in ogni 
ragionevole prospettiva e in tutte le possibili implicazioni, a monte, dalla Commissione europea 
e successivamente dal Giudice comunitario e respinte con motivazioni che, per quanto 
aventi una portata generale e astratta, inerendo al regime di aiuti e non ai singoli aiuti, non lasciano 
trapelare spazi di accoglimento dato che i singoli casi individuali perfettamente rientrano 
nella regola generale. Con l�effetto che, salvo casi particolari che possono rinvenirsi 
nelle strettissime maglie della Decisione della Commissione nonch� nelle pronunzie dei giudici 
comunitari, avvalendosi dei medesimi criteri metodologici utilizzati nelle stesse, la attivit� 
istruttoria ai fini del recupero non poteva che svolgersi sulla ricorrenza di quei casi di compatibilit� 
che proprio la Commissione aveva ritenuto come non contrastanti con la normativa 
comunitaria. 
7.7. � Una altra autonoma questione che concerne l�istruttoria � la lamentata incongruenza 
della redazione del formulario trasmesso dall�Inps alle imprese, che per questa ragione � stato 
annullato in alcuni casi con sentenza del Tar Veneto, passata in giudicato. Su questo punto 
occorre confermare la valutazione espressa in precedenti ordinanze della Sezione nei casi interessati. 
Secondo le richiamate ordinanze: �l�intervenuto annullamento del formulario redatto 
dall�Inps di intesa con l� AGCM (nei casi di cui alle sentenze Tar Veneto n. 1052/2013 e Cons. 
Stato n. 1553/2014) non incide sul dato di fatto che gli atti depositati dall�Inps dimostrano 
l�effettivo svolgimento dell�istruttoria, essendo il formulario un mero strumento e quindi un 
atto endoprocedimentale, non previsto come tale dalla legge, che richiede solo l�acquisizione 
degli elementi e della documentazione da parte delle singole imprese. Tale acquisizione risulta 
nel caso in esame dimostrata agli atti, salva la valutazione relativa alla pertinenza, esattezza 
e sufficienza dei contenuti di ciascuna istruttoria da rinviare all�esame di merito�. L�annullamento 
del formulario � pertanto irrilevante, dal momento che esso realizzava una mera semplificazione 
procedurale, attinente ad un aspetto meramente organizzativo per di pi� a 
beneficio delle imprese, che dovevano comunque trasmettere all�Inps le informazioni e la documentazione 
come di fatto hanno fatto, anche se fuori da termini e precise procedure. Secondo 
le pi� volte citate disposizioni della legge n. 228 erano comunque le singole imprese 
che dovevano trasmettere le informazioni che ritenevano utili all�INPS per dimostrare la loro 
eventuale estraneit� a scambi di rango intracomunitario e quindi la non idoneit� dei contributi 
ricevuti a provocare una distorsione della concorrenza. Le norme di legge dovevano essere 
comunque applicate dalle imprese, dato che si rivolgevano direttamente a loro e prevedevano 
che, in caso di rifiuto o omissione senza giustificato motivo, a fornire le informazioni o esibire 
i documenti, l�idoneit� dell�agevolazione a falsare o a minacciare la concorrenza ҏ presunta� 
(co. 353). Di fronte ad una disciplina finalizzata alla accelerazione delle procedure di recupero
CONTENZIOSO NAZIONALE 123 
delle somme, dopo un periodo cos� lungo di estenuante confronto tra tutte le parti in gioco in 
sede europea e nazionale, non possono essere seriamente opposte le garanzie partecipative, 
di cui alla legge n. 241 del 1990, o la irreperibilit� dei documenti in contrasto con l�art. 2220 
c.c. In particolare, sull�onere di mantenere le scritture contabili � sufficiente rilevare che la 
impresa non poteva certo affermare la propria posizione soggettiva al diritto agli sgravi contributivi 
invocando sic et simpliciter l'insussistenza dell'obbligo di conservare le scritture contabili 
oltre dieci anni (Cass. civile sez. I 26 gennaio 2011 n. 1842 ). In ogni caso la impresa 
non poteva non essere a conoscenza della Decisione della Commissione europea del 1999 e 
dunque era tenuta, per ci� solo, a mantenere i documenti che in ipotesi avrebbero consentito 
di dimostrare la non incidenza degli sgravi contributivi sulla concorrenza. 
7.8. � Sempre sulle questioni concernenti l�attivit� istruttoria con particolare riferimento alla 
presente causa, occorre considerare il caso specifico del settore alberghiero. Vanno dunque 
precisate le determinazioni gi� assunte dagli organi competenti in sede europea con riferimento 
al settore alberghiero nell�ambito della presente vicenda per come sono state poi precisate 
con riferimento all�ordinamento italiano dal parere dell�AGCM. � stato precisato dalla Corte 
di Giustizia del 9 giugno 2011 che la disciplina degli aiuti di Stato, cos� come � stata elaborata 
dalla Commissione europea in applicazione dell'art. 107 (ex 87) del Trattato, non prende in 
considerazione le attivit� turistiche, ed in specie quelle alberghiere, con l�effetto che in tale 
settore non possono che essere applicati gli orientamenti elaborati con riferimento a tutte le 
altre attivit� economiche. Le attivit� turistiche, in quanto attivit� di impresa, vengono quindi 
equiparate alle attivit� delle imprese del settore manifatturiero. Se � vero che per quanto riguarda 
le strutture ricettive, in generale, l'individuazione da parte del consumatore-cliente 
dell'albergo � secondaria rispetto alla scelta della meta di destinazione, in particolare per il 
turismo che interessa la citt� di Venezia, dove � determinante il richiamo eccezionale della 
citt� d'arte, della Mostra del cinema o di particolari eventi, tuttavia non pu�, nel contempo, 
non rilevarsi che le censure che avrebbero potuto giustificare un trattamento differenziato del 
settore turistico-alberghiero, sono state direttamente o indirettamente esaminate e respinte 
dalla Commissione europea prima, e dal giudice comunitario dopo, con riferimento, alla posizione 
del tutto emblematica e riepilogativa delle possibili particolarit�, dell�hotel Cipriani, 
quest�ultimo situato in un contesto del tutto particolare caratterizzato dall�evidente limitazione 
all�entrata nel mercato di nuove imprese alberghiere. In nessun caso la Commissione europea 
ed il giudice comunitario hanno inteso ritenere che gli aiuti al Cipriani, per la localizzazione 
geografica esclusiva dell�albergo e per il tipo di prodotto offerto nella citt� di Venezia, non 
potessero determinare una distorsione della concorrenza. Lo stesso ragionamento riguarda 
anche la societ� alberghiera appellata, dato che il ragionamento stesso � stato sviluppato con 
riferimento alla categoria di impresa cui essa appartiene e cio� con riferimento alla industria 
alberghiera di fascia alta, come ha precisato il parere dell�AGCM. In generale, per gli alberghi, 
secondo la giurisprudenza comunitaria, il fatto di trovarsi nella citt� di Venezia o sulle isole 
della laguna pu� offrire grande libert� nella fissazione dei prezzi e rappresentare un vantaggio 
concorrenziale significativo. Inoltre si osserva che i costi supplementari sostenuti per i disagi 
lagunari sono ampiamente compensati dai prezzi pi� alti ed in definitiva dalla attrazione unica 
della citt� lagunare. Deve, infine, considerarsi che per gli alberghi di fascia alta localizzati in 
citt� dotate, per ragioni diverse, di attrattivit� e prestigio, si manifesta una ampia potenzialit� 
di concorrenza per la ospitalit� connessa alla organizzazione di eventi internazionali per loro 
natura collocabili alternativamente in sedi anche molto distanti e a questi fini competitive fra 
loro.
124 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2016 
7.9. - In conclusione, per quanto concerne la legittimit� della istruttoria svolta, si potrebbe 
anche osservare che, come emerge dalla documentazione in atti, l�Inps ha effettuato una attivit� 
istruttoria improntata a caratteri di concreta fattibilit� tenuto conto della mole della posizioni 
da esaminare; l�attivit� istruttoria ha comportato l�audizione delle imprese che lo 
avevano richiesto o il reperimento da parte dell�Inps di ulteriore documentazione al fine di 
inquadrare le problematiche pur a fronte dell�elevato numero delle imprese beneficiarie dell�aiuto. 
L�Inps ha fornito alla predetta Autorit� garante per la concorrenza e per il mercato 
l�elenco delle aziende beneficiarie degli sgravi contributivi e in potenza destinatarie del recupero 
con specifica indicazione dei settori economici e delle attivit� da ciascuna effettivamente 
esercitate. L�Istituto � stato invitato dall�Autorit� sopradetta ad utilizzare, quale modello guida 
per la predisposizione della richiesta di informazioni prevista dalla legge n. 228/2012, il �Formulario 
per la comunicazione di una operazione di concentrazione� in uso presso l�Autorit�; 
la motivazione di tale scelta era riposta nella analogia della materia e nelle tipologie di settori 
di attivit� in cui le imprese operavano. Inviato tale formulario ed acquisite le risposte dalle 
imprese, l�Inps le ha verificate, comunque reperendo, circostanza non irrilevante nella vicenda, 
anche d�ufficio, la documentazione afferente alla singola posizione individuale o per settori 
di attivit�. 
8. � Dopo aver analizzato le argomentazioni del Tar e le questioni sollevate dalla appellata in 
ordine alla carenza dell�attivit� istruttoria e, in contrasto con tutte queste, avere dimostrato la 
piena legittimit� dell�istruttoria in quanto svolta in conformit� a quanto tassativamente previsti 
dai commi 351 ss. della legge n. 228/2012, con analoghe motivazioni pu� affermarsi anche 
la legittimit� delle sommarie motivazioni adottate negli avvisi di addebito, nelle quali per le 
ragioni ampiamente dette e ripetute deve considerarsi sufficiente il richiamo alle decisioni assunte 
dagli organi della Unione europea e al parere AGCM, tranne il caso che l�azienda abbia 
prospettato effettive condizioni individuali che la esentino dalla illiceit� dell�aiuto e quindi 
non rientrino nelle motivazioni generali gi� contenute nelle decisioni degli organi della Unione 
europea o nel parere AGCM, appositamente richiamati nella pur stringata motivazione standard. 
Tale circostanza nel caso in esame non si verifica e quindi la motivazione che richiama 
le decisioni sovraordinate � certamente sufficiente e legittima. In base alla giurisprudenza di 
questa Sezione del Consiglio di Stato, l�obbligo di motivazione di provvedimenti esecutivi di 
decisioni sovraordinate va inquadrato, senza formalismi, nel contesto complessivo del procedimento 
nell�ambito del quale si devono collocare, logicamente e giuridicamente, tutti i presupposti 
che hanno presidiato l�attivit� procedimentale. Una volta delimitato l�ambito di 
accertamento rimesso all�INPS appare evidente che nel caso in esame la motivazione risulta 
del tutto sufficiente rispetto ai fini. Essa, infatti, avrebbe dovuto indicare le eventuali ragioni 
riscontrate dall�INPS e giudicate idonee ad impedire il recupero dell�aiuto gi� dichiarato illegittimo 
dai competenti organi dell�Unione europea. Non essendo state evidenziate circostanze 
individuali particolari che consentissero di individuare delle eccezioni alla situazione definita 
a livello europeo, l�INPS non aveva aspetti da motivare se non quello unico relativo alla mancata 
rappresentazione di elementi idonei a configurare una ipotesi esimente rispetto alla situazione 
definita dalle competenti istituzioni europee. Si pu� dunque affermare che nel caso 
in esame � la stessa legge che presuppone una motivazione solo nei casi in cui siano forniti 
elementi in grado di modificare i compiti dell�INPS imponendogli attivit� ulteriore rispetto 
alla mera esecuzione meccanica. 
9. � Deve essere autonomamente esaminato il motivo di appello concernente la questione di 
legittimit� costituzionale dell�art. 1, commi 355 e 356, della legge n. 228/2012 e dell�art. 49
CONTENZIOSO NAZIONALE 125 
della legge n. 234/2012 per contrasto con gli artt. 3, 24, 25, 101, 111. Si eccepisce anche la 
violazione del diritto ad un processo giusto ed equo cos� come sancito dalla norma convenzionale 
di cui all�art. 6 della CEDU, l�illegittimit� costituzionale della legge n. 228/2012 per contrasto 
con l�art. 117 c.1 Cost., quale norma interposta con la disposizione convenzionale CEDU. 
Tali censure sono manifestamente infondate. 
9.1. � In primo luogo deve osservarsi che questo motivo di appello censura in termini di incostituzionalit� 
proprio quegli aspetti straordinari della procedura predisposta ad hoc dalla 
legge n. 228/2012 per la soluzione della situazione di inadempienza dell�Italia nei confronti 
della Unione europea che si � determinata nell�ambito della vicenda in esame. � proprio questa 
situazione che infatti legittima misure straordinarie quali quelle adottate allo scopo di rispettate 
norme fondamentali dei Trattati europei, che concorrono a definire il quadro delle norme di 
rango costituzionale in determinate materie tra quella degli aiuti di Stato. Inoltre le censure 
avanzate per incostituzionalit� contraddicono quelle in precedenza proposte per violazione 
della medesima legge n. 228 e costituiscono un�implicita ammissione da parte dell�appellata 
che la legge � stata formulata proprio nei termini in cui � stata correttamente interpretata e 
applicata. Per questo se ne afferma l�incostituzionalit�, la cui manifesta infondatezza � di seguito 
dimostrata. 
9.2. � Per quanto attiene alla giurisdizione esclusiva prefigurata nell�art. 49 della legge n. 
234/2012, va premesso che essa va inquadrata alla luce della sua formula caratterizzante: �� 
gli atti e i provvedimenti adottati in esecuzione di una decisione di recupero di cui all'articolo 
14 del regolamento (CE) n. 659/1999 del Consiglio, del 22 marzo 1999..�, ��a prescindere 
dalla forma dell�aiuto e dal soggetto che l�ha concesso�. La variet� delle forme di aiuto e 
l�intreccio di norme, di ordinamenti, di amministrazioni e di situazioni giuridiche concrete, 
spiega, in termini costituzionali (art. 103 Cost.), la scelta da parte del legislatore della attribuzione 
della giurisdizione esclusiva ad un giudice unico delimitando, d�altro canto, alcuni 
limiti di tale giurisdizione che pur sempre opera entro un ambito preciso atteso che gli atti ed 
i provvedimenti nazionali di recupero sono adottati, per definizione dell�art. 48 e dell�art. 49 
della legge n. 234/2012, �in esecuzione� di una decisione di recupero della Commissione europea. 
Quindi suppongono come gi� decisa e come legittima la necessit� del recupero, dando 
adito solo ai presupposti fattuali dell�esecuzione atteso che, come pi� volte rilevato, il giudice 
nazionale non � competente a sindacare nel merito la compatibilit� dell�aiuto di Stato con il 
diritto comunitario; la valutazione � riservata alla Commissione e poi alla Corte di Giustizia. 
In questi casi lo Stato italiano non ha di norma la possibilit� di operare una valutazione difforme 
da quella operata in sede comunitaria poich� l�interesse da bilanciare con le aspettative 
delle imprese destinatarie degli aiuti ha carattere sovranazionale e riguarda l�attuazione di 
vincoli di matrice comunitaria: la vera questione, la compatibilit� o meno dell�aiuto di Stato, 
si consuma soprattutto nella giurisdizione e nel diritto dell�Unione con l�effetto che la giurisdizione 
amministrativa � concorrente, ma subordinata alla giurisdizione della Corte di Giustizia. 
In ogni caso il legislatore ha configurato l�aiuto di Stato come una materia particolare, 
delimitata ed unitaria, grazie alla formula dell�art. 49 �a prescindere dalla forma dell�aiuto e 
dal soggetto che l�ha concesso�, nella prospettiva di un�unica norma di riferimento posta 
dall�art. 108 del TFUE, preordinata alla tutela della concorrenza ed alla protezione dei rapporti 
di mercato effettivi e non lesivi del diritto d�impresa. 
9.3. - La doglianza relativa al mancato ossequio al principio del giudice naturale precostituito 
per legge si basa su una interpretazione distorta e strumentale del dettato costituzionale ed in 
particolare dell�art. 25, primo co., della Carta fondamentale. � pur vero che tale principio ha
126 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2016 
rilievo determinante per assicurare al cittadino l�imparzialit� del giudice, sottraendo la giustizia 
ad ogni possibilit� di arbitrio in quanto solo attraverso un giudice precostituito per legge 
che l�ordinamento pu� razionalmente garantire la neutralit� delle proprie sentenze. Tuttavia, 
nel caso oggetto del presente giudizio, l�art. 49 della legge n. 234/2012, imponendo la devoluzione 
in via esclusiva al giudice amministrativo delle controversie in esecuzione di una decisione 
di recupero, ha confermato il ruolo neutrale del giudice amministrativo di supremo 
garante del pubblico potere in una materia ove gli interessi della collettivit�, orientati al recupero 
di somme illegittimamente erogate, appaiono prioritari e tutelabili soltanto attraverso 
l�esercizio di speciali poteri valutativi, costituzionalmente allo stesso riservati. 
9.4. - L�estinzione ope legis dei processi pendenti alla data di entrata in vigore della legge n. 
228/2012 (art. 1, comma 356) � conseguenza necessitata dalla pronuncia della Corte di Giustizia 
del 9 giugno 2011 nella parte in cui ha previsto l�obbligo, da parte delle autorit� nazionali, 
prima di procedere al recupero di un aiuto, di verificare, in ciascun caso individuale, se 
l�agevolazione concessa potesse, in capo al suo beneficiario, falsare o meno la concorrenza 
ed incidere sugli scambi intracomunitari. La complessit� della materia relativa alla possibile 
distorsione della concorrenza, il panorama normativo e giurisprudenziale di riferimento anche 
in relazione alle implicazioni di carattere internazionale, ha spinto il legislatore ad individuare 
nel giudice amministrativo la sede giurisdizionale pi� opportuna per la trattazione di quei giudizi, 
contraddistinti da un temperamento del principio dispositivo tipico del sindacato giurisdizionale 
ordinario. La previa estinzione di diritto dei processi ancora sub iudice 
rappresentava quindi il necessario presupposto processuale ai fini della realizzazione di una 
nuova istruttoria rispondente alle istanze di verifica �caso per caso� imposte dalla pronuncia 
della Corte di Giustizia e che soltanto l�esercizio di un potere pubblicistico poteva nel concreto 
garantire. Ed infatti, come gi� rilevato anche nella ordinanza cautelare della Sezione (n. 
5667/2014), la legge n. 228 del 2012 art. 1 co. da 351 a 356 ha posto disposizioni di carattere 
straordinario ed emergenziale e meramente attuativo ed esecutivo, a fronte delle stringenti 
sollecitazioni della Corte di Giustizia e della Commissione europea (comunicazione del 
10.7.2012) per riportare a normalit�, all�interno dell�ordinamento giuridico nazionale e comunitario, 
una situazione di prolungata e risalente inadempienza dello Stato italiano (la Commissione 
si era pronunziata il 25 novembre 1999) suscettibile di determinare pesanti 
conseguenze sanzionatorie a carico dell�Italia da parte della stessa Unione Europea. 
9.5. - In sintesi la previsione di una procedura istruttoria diretta ad accertare l�assenza di potenzialit� 
dell�impresa di alterare la concorrenza � atta a fare venire meno le basi del precedente 
contenzioso e rende giustificato l�intervento del legislatore senza vanificare la esigenza 
del giusto processo e del contraddittorio delle parti e senza lesione del diritto di difesa in sede 
giurisdizionale nei confronti degli atti di recupero disposti fino ad allora dall�Inps. 
9.6. - Egualmente infondate sono le censure di incostituzionalit� dovute alla asserita inversione 
dell�onere probatorio operata dalla legge n. 228/2012 definita abnorme dagli appellati. La 
normativa interna in esame (co. 351), infatti, ha garantito libert� di scelta da parte delle imprese 
in relazione ai documenti da depositare, con il solo monito che un ingiustificato rifiuto 
od una altrettanta ingiustificata omissione in tale senso, sarebbero stati posti a fondamento di 
una presunzione iuris tantum circa la idoneit� della agevolazione a falsare la concorrenza, incidendo 
sugli scambi comunitari. Come gi� rilevato, l�onere della prova attraverso cui dimostrare 
la liceit� dell�aiuto concesso, non poteva che gravare sulle stesse imprese beneficiarie. 
La regola del diritto europeo � nel senso che chi ha usufruito di un aiuto deve collaborare con 
l�autorit� amministrativa per consentire la verifica della legittimit� di tale fruizione, in specie
CONTENZIOSO NAZIONALE 127 
quando l�aiuto non � stato previamente notificato, regola che non ha alcun effetto derogatorio 
rispetto al codice civile ed � conforme alla regola interna, costantemente applicata dal giudice 
nazionale, secondo la quale � onere del datore di lavoro che intende usufruire della riduzione 
contributiva in forza di una legge speciale che riconosca lo sgravio contributivo, a dovere 
provare i fatti costitutivi del proprio diritto. Infatti, l�obbligo di collaborazione da parte di imprese 
beneficiarie di sgravi contributivi � disciplinato dall�ordinamento interno all�art. 59, decimo 
co., del dPR 6 marzo 1978 n. 218 che prevede �Gli imprenditori sono tenuti a fornire 
all�Inps tutte le notizie e le documentazioni necessarie a dimostrare il diritto all�applicazione 
degli sgravi e l�esatta determinazione degli stessi�. Ne deriva che le conseguenze poste dalla 
legge alla mancata collaborazione del datore di lavoro o alla comunicazione di dati incompleti 
non danno luogo ad un abnorme inversione dell�onere probatorio, come reiteratamente sostenuto 
dalla appellata con censure di merito e di illegittimit� costituzionale della legge n. 
228/2012, ma vanno a svantaggio del datore di lavoro e non gi� dello Stato tenuto alla attivit� 
di verifica, il quale, peraltro, in tale occasione opera come longa manus della stessa Commissione 
europea. Si aggiunga ancora che il Reg. CE n.1/2003 del Consiglio precisa che: �Nel 
conformarsi ad una decisione della Commissione le imprese non possono essere costrette ad 
ammettere di avere commesso un�infrazione, ma sono in ogni caso tenute a rispondere a quesiti 
concreti e a fornire documenti, anche se tali informazioni possono essere utilizzate per 
accertare contro di esse o contro un�altra impresa l�esistenza di una infrazione�. 
9.7. - Parimenti infondate sono le questioni sollevate in merito alla violazione da parte dell�art. 
1 commi 355 e 356 della legge 228/2012, in riferimento all�art. 117 c. 1 Cost. per contrasto 
con l�art. 6 CEDU. Le garanzie offerte dalla norma convenzionale summenzionata, cos� come 
interpretata dalla Corte di Strasburgo, vanno nella direzione di consentire alle parti, durante 
lo svolgimento di un dato iter processuale, la facolt� di influire direttamente sugli esiti della 
decisione attraverso l�esercizio del diritto al contraddittorio. Secondo un costante indirizzo 
giurisprudenziale, infatti, la parit� delle armi tra le parti deve inevitabilmente realizzarsi sin 
dalla fase procedimentale e ci� pure ove sia previsto un successivo riesame in sede giurisdizionale. 
La Corte CEDU ha adottato in numerose sue pronunce un approccio flessibile fondato 
sulla considerazione unitaria del procedimento amministrativo e della successiva fase giurisdizionale: 
in sostanza, stando a tale impostazione, tutte le volte in cui non viene data concreta 
attuazione alle garanzie dell�art. 6 CEDU nel corso del procedimento amministrativo (ossia 
nella sede nella quale l�autorit� amministrativa pu� incidere significativamente sugli interessi 
delle parti), assume rilevanza la successiva fase processuale come luogo di possibile correzione, 
sia pure ex post e in via eventuale, dei presunti deficit di tutela che si siano verificati 
in sede procedimentale. In tal senso va letto l�intervento del Legislatore nazionale che, alla 
luce del dictum europeo relativo alle modalit� di recupero degli aiuti illegittimi �caso per 
caso�, ha radicato la competenza delle relative controversie dinanzi al giudice amministrativo 
imponendo il compimento ex novo di una istruttoria per favorire l�individuazione delle specificit� 
dei singoli casi cos� come richiesto dalla pronuncia della Corte di Giustizia. Alle imprese 
coinvolte nell�attivit� di recupero delle agevolazioni � stato consentito, dunque, di 
rappresentare in giudizio tutti i fatti costitutivi delle proprie pretese in attuazione del superiore 
diritto al contraddittorio. 
9.8. - Ne pu� intendersi integrata la violazione della Convenzione CEDU avuto riguardo al 
principio di ragionevole durata del processo. La Corte CEDU ha pi� volte avuto modo di indicare 
vari criteri al fine di stabilire se in concreto sussista una violazione in tal senso; in specie, 
la particolare complessit� del caso che pu� verificarsi in considerazione, per esempio. del
128 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2016 
numero delle parti, dello ius superveniens, di eventuali contrasti giurisprudenziali irrisolti, 
del comportamento giudiziario tenuto nel corso del procedimento dal soggetto che poi lamenta 
l�eccessiva durata del procedimento. La materia oggetto del presente giudizio, stante le modifiche 
normative intervenute in attuazione della pronuncia della Corte di Giustizia, ben si 
identifica nei casi summenzionati, di particolare complessit� e di comportamenti dilatori propri 
dei soggetti che poi si lamentano della irragionevole durata dei processi e porta, in conclusione, 
ad escludere la violazione degli artt. 111 e 117 c.1 Cost. in relazione all�art. 6 CEDU. 
10. � Tra i motivi di appello da respingere vi � la asserita prescrizione del diritto di recupero 
dello sgravio contributivo in questione in diretta applicazione delle disposizioni della legge 
n. 228/2012, commi 351 e seguenti, che hanno tra l�altro posto nel nulla l�azione di recupero 
precedentemente svolta dall�Inps. 
10.1. � In particolare il comma 356 afferma che: �i processi pendenti alla data di entrata in 
vigore della presente legge e aventi ad oggetto il recupero degli aiuti di cui al comma 351 si 
estinguono di diritto. L�estinzione � dichiarata con decreto anche d�ufficio. Le sentenze eventualmente 
emesse, fatta eccezione per quelle passate in giudicato, restano prive di effetti.� 
Contrariamente a quanto sembra affermare l�appellante, � del tutto evidente come da questa 
norma non possa derivare una retroattiva reviviscenza della prescrizione come si sarebbe verificata 
nel caso di prolungata inerzia dell�ente creditore. L�estinzione degli atti non cancella 
il fatto che l�ente ha costantemente agito per perseguire il recupero e ha regolarmente contrastato 
le iniziative giudiziarie in opposizione assunte dalle imprese debitrici. L�intervenuta 
estinzione dei processi in relazione ad un mutamento del riparto di giurisdizione in materia 
non influisce sugli effetti interruttivi della prescrizione che tali comportamenti comportano 
con esclusivo riferimento alla non inerzia della parte. 
10.2. � Al riguardo, l'art. 15 del Reg. CE n. 659/1999 ha disposto che i poteri della Commissione 
europea, finalizzati al recupero di aiuti di Stato, sono soggetti a un periodo limite di 
dieci anni decorrenti dal giorno in cui l'aiuto � stato concesso al beneficiario. Tale termine, 
stante il richiamato principio di generale prevalenza del diritto comunitario, produce effetti 
anche di diritto interno, escludendo in radice la applicabilit� di disposizioni potenzialmente 
incompatibili. Con l�effetto che la normativa nazionale sulla prescrizione va comunque disapplicata 
per contrasto con il principio di effettivit� proprio del diritto comunitario, qualora 
impedisca il recupero di un aiuto di Stato dichiarato incompatibile con decisione della Commissione 
europea divenuta definitiva (cfr. Cass. n. 23418/2010). 
10.3. - La Corte di Giustizia, nella sentenza 20 marzo 1997 in causa C-24/95 Alcan (punti 34- 
37), ha statuito che ��quando l�autorit� nazionale lascia scadere il termine stabilito dal diritto 
nazionale per la revoca della decisione di concessione, la situazione non pu� essere 
equiparata a quella in cui un operatore economico ignora se l�amministrazione competente 
intende pronunziarsi e il principio della certezza del diritto impone che si metta fine a questa 
incertezza allo scadere di un determinato termine. Considerata la mancanza di potere discrezionale 
dell�autorit� nazionale, il beneficiario dell�aiuto illegittimamente attribuito cessa di 
trovarsi nell�incertezza non appena la Commissione adotta una decisione che dichiari l�incompatibilit� 
dell�aiuto e ne ordini il recupero. Il principio della certezza del diritto non pu� 
quindi precludere la restituzione dell�aiuto per il fatto che le autorit� nazionali si sono conformate 
con ritardo alla decisione che impone la restituzione. In caso contrario il recupero 
delle somme indebitamente versate diverrebbe praticamente impossibile e le disposizioni comunitarie 
relative agli aiuti di Stato sarebbero private di ogni effetto utile�. 
10.4. - Sempre sul termine di prescrizione di dieci anni, di cui al richiamato art. 15 del Rego-
CONTENZIOSO NAZIONALE 129 
lamento CE n. 659 del 1999 per l'esercizio dei poteri della Commissione europea per il recupero 
degli aiuti, la Corte di Cassazione ha condivisibilmente osservato che se � vero che lo 
stesso termine concerne i rapporti tra Commissione e Stati membri (Corte Cost. ord. n. 125 
del 2009), quel termine non � senza conseguenze nell'ambito nazionale dei rapporti tra Stato 
e beneficiario dell�aiuto. Proprio perch� l'adozione da parte della Commissione di una Decisione 
che dichiari l'incompatibilit� dell'aiuto e ne ordini il recupero, determina per il beneficiario 
dell'aiuto illegittimamente attribuito, la cessazione dello stato di incertezza che giustifica 
l'esistenza di un termine di prescrizione, divengono rilevanti nell'ordinamento nazionale l'interruzione 
del termine di prescrizione che � connessa all'inizio dell'azione della Commissione 
e la sospensione del medesimo termine per il tempo in cui la decisione della Commissione � 
oggetto di un procedimento dinanzi alla Corte di giustizia delle Comunit� europee, previste 
nel regolamento comunitario (cos� Cass. n.23418 del 2010; n. 7162/2013 c.). 
10.5. - Gi� in precedenti ordinanze riguardanti cause analoghe questa Sezione, quanto alla 
questione della prescrizione, richiamava la giurisprudenza della Corte di Cassazione da ultimo 
citata in materia di restituzione di aiuti di stato illegittimi per confermare che: "il diritto dello 
Stato di recuperare il vantaggio si prescrive in dieci anni - art. 2946 c.c.-, con decorrenza 
dal provvedimento della Commissione UE che accerta l'infrazione ovvero dall'emanazione 
della Corte di giustizia che definisce la relativa controversia". 
10.6. - Altrimenti, per quanto riguarda l'ordinamento italiano, coincidendo il termine ordinario 
di prescrizione nel diritto nazionale (dieci anni ex art. 2946 c.c.) con il termine di prescrizione 
assegnato dal diritto comunitario alla Commissione per iniziare l'azione di recupero degli aiuti 
(dieci anni ex art. 15 del regolamento n. 659 del 1999), l'impossibilit� dell'effettivo recupero 
dell'aiuto illegale ben potrebbe essere la regola e non l�eccezione. La Cassazione ha quindi 
affermato il seguente principio di diritto al quale la Sezione intende conformarsi: "In tema di 
recupero di aiuti di Stato, la normativa nazionale sulla prescrizione deve essere disapplicata 
per contrasto con il principio di effettivit� proprio del diritto comunitario, qualora tale normativa 
impedisca il recupero di un aiuto di Stato dichiarato incompatibile con decisione della 
Commissione divenuta definitiva" (Cass. Civ. n. 23418/2010 cit). 
11. � In ordine all�ulteriore motivo - richiamato in appello dall�appellata tra quelli assorbiti 
dal TAR - relativo all�affidamento del datore di lavoro, la Corte di Giustizia CE, come sopra 
gi� rilevato, ha affermato che uno Stato membro, le cui autorit� abbiano concesso un aiuto in 
violazione delle norme procedurali di cui all'art. 88 CE, non pu� invocare il legittimo affidamento 
dei beneficiari per sottrarsi all'obbligo di adottare i provvedimenti necessari ai fini dell'esecuzione 
di una decisione della Commissione con cui quest'ultima ordina la ripetizione 
dell'aiuto. Ammettere tale possibilit� significherebbe, infatti, privare di effetto utile le norme 
di cui agli artt. 87 CE e 88 CE, in quanto le autorit� nazionali potrebbero far valere in tal 
modo il proprio illegittimo comportamento, al fine di vanificare l'efficacia delle decisioni 
emanate dalla Commissione in virt� di tali disposizioni del Trattato (Corte di Giustizia CE 7 
marzo 2002, C-310/99). 
12. � Sul giudicato interno e sul rispetto delle norme interne, la Sezione richiama l�orientamento 
del giudice comunitario (v. Corte di Giustizia, 18 luglio 2007, in causa C-119/05, Lucchini; 
Corte di Giustizia, 3 settembre 2009, in causa C-2/08, Olimpiclub) applicato dalla Corte 
di Cassazione con numerose pronunzie (Cass. sez. un. n. 26948 del 2006; n. 6756 del 2012 ; 
n. 6538 del 2012; n. 7162 del 2013 ed altre) che ha rilevato che l�obbligatoriet� del recupero, 
da parte dello Stato membro, non consente al giudice nazionale alcuna diversa valutazione al 
punto che nemmeno il giudicato di diritto interno (ex 2909 c.c.) pu� impedire il recupero pri-
130 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2016 
vando la pronunzia giurisdizionale di quel carattere di immutabilit� nel tempo che la caratterizzava. 
Inoltre la conformazione del diritto interno al diritto comunitario deve trovare attuazione 
anche con riguardo alle regole, processuali o procedimentali (quali ad esempio quelle 
poste della legge n. 241 del 1990) che di tale diritto comunitario possono impedire una piena 
applicazione. Conseguentemente l�unica chiave interpretativa della normativa di diritto interno, 
anche con riferimento a profili di legittimit� costituzionale delle norme nazionali, ruota 
attorno alla prevalenza del diritto comunitario sulla norma nazionale e sul fine precipuo di 
garantire l'esecuzione immediata ed effettiva della decisione di recupero per realizzare la certezza 
delle norme comunitarie che permettono una interpretazione conforme in tutti gli Stati 
membri. Inoltre, in ossequio al principio di supremazia del diritto comunitario, riconosciuto 
da tutti gli Stati membri, con perdita a favore delle istituzioni comunitarie della propria sovranit� 
legislativa, le sentenze della Corte di Giustizia hanno effetti vincolanti per i giudici 
nazionali chiamati a pronunziarsi sulle singole fattispecie recando norme integrative dell�ordinamento 
comunitario. 
13. � Quanto alle argomentazioni secondo le quali i contributi oggetto di recupero da parte 
dell�Inps avrebbero costituito costi fiscalmente deducibili dal reddito prodotto negli anni dal 
1995 al 1997, avendo la impresa dedotto minori costi e conseguentemente pagato pi� imposte 
di quelle che in assenza dello sgravio sarebbero risultate dovute, la Sezione � del parere che 
siffatto genere di richieste non possano essere indirizzate all�Inps ma all�Agenzia delle Entrate. 
� infatti il contribuente ad essere tenuto a chiedere all'erario eventuali rimborsi fiscali per 
somme eventualmente corrisposte in eccesso; dunque, non pu� essere posta a carico dell�Inps 
l�azione di ripetizione al netto delle eventuali imposte pagate in eccesso. 
14. � Ferma la fondatezza dell�appello relativamente alla necessit� del recupero dell�aiuto e 
specificatamente la necessit� del recupero del capitale, occorre considerare che per gli interessi, 
l�art. 1 co. 354 della legge 228 del 2012 ha previsto il calcolo sulla base delle disposizioni di 
cui al Capo V del Regolamento (CE) n. 794/2004 della Commissione del 21 aprile 2004, maturati 
dalla data in cui si � fruito dell�agevolazione e sino alla data del recupero effettivo. 
14.1. - La appellata ha lamentato che il Regolamento di cui sopra � applicabile, per sua stessa 
prescrizione (art. 13 ), solo alle decisioni di recupero notificate in epoca successiva alla sua 
entrata in vigore avvenuta il 20 maggio 2004, mentre la decisione di recupero � stata notificata 
allo Stato italiano in data 10 gennaio 2000 e dunque in epoca anteriore alla entrata in vigore 
del ridetto Regolamento. 
14.2. - L�Inps a sua volta ha ribadito che la normativa interna ha previsto la quantificazione 
degli interessi sulla base del Regolamento CE n. 794/2004 sostenendo quindi che le relative 
eccezioni non sono fondate. 
14.3. - La Sezione richiama in proposito quanto statuito dalla Corte di Cassazione, Sezione 
tributaria, con ordinanza n. 3006 del 14 novembre 2013 pubblicata l�11 febbraio 2014 in fattispecie 
assimilabile a quella in esame, con la quale � stato chiesto, ai sensi dell'art. 267 del 
Trattato sul funzionamento dell'Unione europea alla Corte di Giustizia dell�Unione europea, 
di pronunziarsi in via pregiudiziale sulla seguente questione: "se l'art. 14 del Regolamento 
(CE) n. 659/1999 del Consiglio del 22 marzo 1999, recante modalit� di applicazione dell'art. 
93 del trattato CE, e gli artt. 9, 11 e 13 del Regolamento (CE) n. 794/2004 della Commissione 
del 21 aprile 2004, recante disposizioni di esecuzione del regolamento predetto, devono essere 
interpretati nel senso che ostano ad una legislazione nazionale che, in relazione ad un'azione 
di recupero di un aiuto di Stato conseguente ad una decisione della Commissione notificata 
in data 7 giugno 2002, stabilisca che gli interessi sono determinati in base alle disposizioni
CONTENZIOSO NAZIONALE 131 
del capo 5^ del citato Regolamento n. 794/2004 (cio�, in particolare, agli artt. 9 e 11), e, 
quindi, con applicazione del tasso di interesse in base al regime degli interessi composti". 
14.4. - La imminente Decisione della Corte di Giustizia, attese le conclusioni gi� rassegnate 
da parte dell�Avvocato generale, appare rilevante anche sulla questione in esame relativa al 
calcolo degli interessi. Va pertanto confermato l�orientamento gi� espresso dalla Sezione con 
la ordinanza 11 dicembre 2014 n. 5667 adottata da questa Sezione in questo stesso giudizio 
in base al quale in attesa della decisione della Corte di giustizia sulla questione gi� sollevata 
e dunque sulla normativa da applicare ratione temporis ai fini della determinazione degli interessi, 
la decisione su questo solo punto deve restare sospesa accogliendosi l�appello in questa 
fase limitatamente al recupero delle somme per la parte capitale, esclusi quindi gli interessi. 
15. - Conclusivamente la Sezione: 
a) in riforma della sentenza appellata accoglie l'appello dell�Inps quanto al recupero della 
sorte capitale dell'aiuto che dovr� essere integralmente restituita dalla appellata; respinge in 
parte qua il ricorso di primo grado; 
b) sospende in parte qua il giudizio ai sensi degli articoli 79 e 80 c.p.a. quanto al recupero 
degli interessi ex Reg. CE n.794/2004 in attesa della Decisione della Corte di Giustizia della 
CE investita dalla Corte di Cassazione con ordinanza n. 3006 del 14 novembre 2013; 
c) rinvia al definitivo la regolazione delle spese per il presente grado del giudizio. 
P.Q.M. 
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza): 
a) in riforma della sentenza appellata accoglie l'appello dell�Inps quanto al recupero della 
sorte capitale dell'addebito che dovr� essere integralmente restituita dalla appellata; respinge 
in parte qua il ricorso di primo grado; 
b) sospende in parte qua il giudizio ai sensi degli articoli 79 e 80 c.p.a. al solo fine del recupero 
degli interessi ex Reg. CE n. 794/2004 in attesa della Decisione della Corte di Giustizia della 
CE investita dalla Corte di Cassazione con ordinanza n. 3006 del 14 novembre 2013; 
c) rinvia al definitivo la regolazione delle spese per il presente grado del giudizio. 
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorit� amministrativa. 
Cos� deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 12 marzo e del 1� aprile 2015.
132 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2016 
Lo stato della giurisprudenza del Consiglio di Stato sulla 
ammissibilit� delle notifiche pec nel processo amministrativo 
e ... 
CONSIGLIO DI STATO, SEZIONE VI, SENTENZA 28 MAGGIO 2015 N. 2682; SEZIONE III, SENTENZA 14 
SETTEMBRE 2015 N. 4270; SEZIONE V, SENTENZA 22 OTTOBRE 2015 N. 4863; SEZIONE III, 
SENTENZA 14 GENNAIO 2016 N. 91; SEZIONE III, SENTENZA 20 GENNAIO 2016 N. 189 
Marco La Greca* 
Solo un anno fa, con la sentenza n. 2682 del 28 maggio 2015, il Consiglio 
di Stato, sezione VI, aveva, per la prima volta, preso posizione rispetto alla 
controversa questione relativa alla ammissibilit� o meno (prima della emanazione 
delle regole tecniche di cui all�art. 13 dell�All. 2 al CPA) delle notifiche 
a mezzo pec nel processo amministrativo, esprimendosi in senso favorevole. 
Nei mesi successivi, il Consiglio di Stato, sezione III, con sentenza n. 
4270 del 14 settembre 2015 (resa, tra l�altro, nell�appello proposto dall�Avvocatura 
dello Stato e nel quale era stata depositata, a sostegno della ammissibilit� 
dello strumento, la memoria pubblicata in questa Rassegna 2015, vol. 
3, p. 291 (1)) e sezione V, con sentenza 4863 del 22 ottobre 2015, nonch�, ad 
inizio anno, di nuovo la sezione III, con sentenza n. 91 del 14 gennaio 2016, 
aveva ribadito l�assunto della ammissibilit� dello strumento telematico, in 
buona sostanza richiamando quanto gi� esposto nella precedente pronuncia. 
Da ultimo, poi, con sentenza n. 189 del 20 gennaio 2016, il Consiglio di 
Stato, ancora sezione III, � giunto a conclusioni opposte, affermando addirittura 
l�inesistenza (e non, come affermato dalla prevalente giurisprudenza dei 
T.a.r. contraria alla ammissibilit� delle notifiche a mezzo pec, la nullit�) della 
notifica a mezzo pec, cos� capovolgendo l�orientamento precedente, sia pure 
senza mai fare espresso riferimento ad esso. 
Di seguito si riportano, delle varie sentenze succitate, i passaggi nei quali 
viene affrontato il tema in esame, rispetto al quale occorre precisare che, a seguito 
della recente emanazione delle regole e delle specifiche tecniche sul processo 
amministrativo telematico, adottate con DPCM 16 febbraio 2016 n. 40, 
in vigore dal 5 aprile 2016, ma, ai sensi dell�art. 21, comma 1, dello stesso decreto, 
applicabili solo �a partire dal 1� luglio 2016, data di introduzione del 
processo amministrativo telematico�, il problema � risolto favorevolmente 
per il futuro, mantenendo tuttavia la sua rilevanza per le notifiche eseguite in 
precedenza e sino a tale data. 
(*) Avvocato dello Stato. 
(1) Memoria Ct 23074/2014 avv. Marco La Greca, erroneamente ivi indicata con Ct 33318/14.
CONTENZIOSO NAZIONALE 133 
Consiglio di Stato, Sezione VI, sentenza 28 maggio 2015 n. 2682 - Pres. S. Baccarini, Est. 
M. Buricelli. 
(...) 
4.1. � anzitutto infondato, e perci� il Collegio pu� esimersi dal sottoporre a disamina le 
obiezioni svolte in rito sul punto dall�appellato Gruppo I., il motivo d�appello della C. imperniato 
sull�affermata irricevibilit� del ricorso al Tar del Gruppo I. a causa della tardivit� 
della notifica - asseritamente nulla, in quanto effettuata per mezzo della posta elettronica 
certificata (PEC) - mancando, cos� si sostiene nell�appello, la prova del momento e della 
regolarit� della notificazione dell�atto introduttivo del giudizio di primo grado (che risulta 
depositato presso la segreteria del Tribunale amministrativo soltanto il 23 ottobre 2014, 
ovverosia oltre il termine di 30 giorni di cui all�art. 120, comma 5, del c.p.a.), in assenza 
dell�autorizzazione presidenziale di cui all�art. 52, comma 2, del c.p.a. , alla notificazione 
del ricorso via PEC. 
L�appellante muove dall�assunto che l�art. 46 del d.l. 24 giugno 2014, n. 90, convertito con 
modificazioni nella l. 11 agosto 2014, n. 114, nell�aggiungere all�art. 16 quater del d.l. 18 ottobre 
2012, n. 179, convertito con modificazioni nella l. 17 dicembre 2012, n. 221, aggiunto 
dall'articolo 1, comma 19, l. 24 dicembre 2012, n. 228, un nuovo comma 3 bis, in base al 
quale �le disposizioni dei commi 2 e 3 non si applicano alla giustizia amministrativa�, 
avrebbe sancito l�inapplicabilit�, al processo amministrativo, del meccanismo della notificazione 
in via telematica - a mezzo PEC dell�atto introduttivo del giudizio da parte degli avvocati 
(in mancanza dell�espressa autorizzazione presidenziale di cui all�art. 52, comma 2, del c.p.a.). 
In particolare, nell�appello si enuncia la tesi per cui nel processo amministrativo il legale non 
pu� certificare la conformit� delle copie di documenti spediti per via telematica e che la notifica 
per il destinatario del ricorso non si perfeziona nel momento in cui si genera la ricevuta, 
dato che regole tecniche e procedure utilizzate nel processo civile e disciplinate dal regolamento 
approvato con il d.m. 3 aprile 2013, n. 48, �non si applicano alla giustizia amministrativa�, 
che ne � stata espressamente esclusa. 
La premessa interpretativa e le conclusioni non convincono. 
In realt�, il sopra citato art. 46 esclude l�applicazione, al processo amministrativo, dei commi 
2 e 3 non della l. 21 gennaio 1994, n. 53, ma dell�art. 16 quater del d.l. n. 179 del 2012, conv. 
con mod. nella l. n. 221 del 2012 il quale, al comma 2, demanda a un decreto del Ministro 
della giustizia l'adeguamento alle nuove disposizioni delle regole tecniche gi� dettate col d.m. 
21 febbraio 2011, n. 44, mentre al comma 3 stabilisce che le disposizioni del comma 1 "acquistano 
efficacia a decorrere dal quindicesimo giorno successivo alla pubblicazione nella 
Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana del decreto di cui al comma 2". 
La mancata autorizzazione presidenziale ex art. 52, comma 2, del c.p.a. non pu� considerarsi 
ostativa alla validit� ed efficacia della notificazione del ricorso a mezzo PEC atteso che nel 
processo amministrativo trova applicazione immediata la l. n. 53 del 1994 (e, in particolare, 
per quanto qui pi� interessa, gli articoli 1 e 3 bis della legge stessa), nel testo modificato dall�art. 
25 comma, 3, lett. a) della l. 12 novembre 2011, n. 183, secondo cui l�avvocato �pu� 
eseguire la notificazione di atti in materia civile, amministrativa e stragiudiziale [�] a mezzo 
della posta elettronica certificata�. 
Nel processo amministrativo telematico (PAT) - contemplato dall�art. 13 delle norme di attuazione 
di cui all�Allegato 2 al cod. proc. amm. - � ammessa la notifica del ricorso a mezzo 
PEC anche in mancanza dell�autorizzazione presidenziale ex art. 52, comma 2, del c.p.a., 
disposizione che si riferisce a �forme speciali� di notifica, laddove invece la tendenza del
134 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2016 
processo amministrativo, nella sua interezza, a trasformarsi in processo telematico, appare 
ormai irreversibile (sull�ammissibilit� e sull�immediata operativit� della notifica del ricorso 
a mezzo PEC nel processo amministrativo vanno segnalate le recentissime sentenze del Tar 
Campania - Napoli, n. 923 del 6 febbraio 2015 e del Tar Calabria - Catanzaro, n. 183 del 4 
febbraio 2015). 
Se con riguardo al PAT lo strumento normativo che contiene le regole tecnico - operative resta 
il DPCM al quale fa riferimento l�art. 13 dell�Allegato al c.p.a., ci� non esclude per� l�immediata 
applicabilit� delle norme di legge vigenti sulla notifica del ricorso a mezzo PEC. 
Sulle regole tecnico - operative applicabili, viene in rilievo il d.P.R. n. 68 del 2005, al quale 
fa riferimento l�art. 3 bis della l. n. 53 del 1994. 
Nel caso in esame le norme di legge suddette, e l�art. 136 del c.p.a., risultano essere state osservate 
dal Gruppo I. 
Considerato dunque che: 
- risultano rispettate le previsioni di cui alla l. n. 53 del 1994 e all�art. 136 del c.p.a.; 
- i risultati della procedura comparativa erano stati pubblicati nel sito web dell�Istituto il 2 
settembre 2014 e la notifica del ricorso di primo grado alla Chiarandini risulta regolarmente 
eseguita il 15 ottobre 2014; 
- trova applicazione anche al �rito appalti�, in mancanza di disposizioni di segno contrario, 
la norma di carattere generale sulla sospensione feriale dei termini di cui all�art. 1 della l. n. 
742 del 1969; 
il primo motivo d�appello va respinto. (...). 
Consiglio di Stato, Sezione III, sentenza 14 settembre 2015 n. 4270 - Pres. G.P. Cirillo, 
Est. R. Capuzzi. 
(...) 
3. � La Sezione deve esaminare in via prioritaria la eccezione avanzata dall�appellato di nullit� 
della notifica dell�Avvocatura dello Stato in quanto effettuata per mezzo della posta elettronica 
certificata (PEC) inviata al procuratore costituito nel giudizio di prime cure. 
Deduce l�appellato, richiamando la sentenza del Tar Lazio, sede di Roma della Sez. III ter del 
13 gennaio 2015 n.396 che nel processo amministrativo non � ancora consentito agli avvocati 
notificare l�atto introduttivo del giudizio con modalit� telematiche in mancanza di espressa 
autorizzazione presidenziale ai sensi dell�art. 52 co. 2 c.p.c. 
L�assunto non pu� essere condiviso. 
Al riguardo il Collegio ritiene di aderire per relationem al recentissimo precedente di questo 
Consiglio di Stato, Sez. VI n. 2682 del 28 maggio 2015 secondo il quale: �La mancata autorizzazione 
presidenziale ex art. 52, co. 2, del c.p.a. non pu� considerarsi ostativa alla validit� 
ed efficacia della notificazione del ricorso a mezzo PEC atteso che nel processo amministrativo 
trova applicazione immediata la l. n. 53 del 1994 (ed in particolare� gli articoli 1 e 3 
bis della legge stessa), nel testo modificato dall�art. 25 co. 3, lett. a) della l. 12 novembre 
2011, n. 183, secondo cui l�avvocato �pu� eseguire la notificazione di atti in materia civile, 
amministrativa e stragiudiziale� a mezzo della posta elettronica certificata�. 
�Nel processo amministrativo telematico (PAT) contemplato dall�art. 13 delle norme di attuazione 
di cui all�Allegato 2 al cod. proc. amm. � ammessa la notifica del ricorso a mezzo PEC 
anche in mancanza dell�autorizzazione presidenziale ex art. 52, co. 2, del c.p.a., disposizione
CONTENZIOSO NAZIONALE 135 
che si riferisce a �forme speciali� di notifica, laddove invece la tendenza del processo amministrativo, 
nella sua interezza, a trasformarsi in processo telematico, appare ormai irreversibile�. 
�Se con riguardo al PAT lo strumento normativo che contiene le regole tecnico - operative 
resta il DPCM al quale fa riferimento l�art. 13 dell�Allegato al c.p.a. , ci� non esclude per� 
l�immediata applicabilit� delle norme di legge vigenti sulla notifica del ricorso a mezzo PEC�. 
Sulla base di tale precedente l�eccezione proposta dall�appellato deve essere respinta�. (...). 
Consiglio di Stato, Sezione V, sentenza 22 ottobre 2015, n. 4863 - Pres. C. Saltelli, Est. S. 
Guadagno. 
(...) 
2. Va rigettata la prima censura di carattere preliminare, con cui si assume la nullit� della notifica 
a mezzo pec. (Posta elettronica certificata). Al riguardo il Collegio condivide l�orientamento 
giurisprudenziale (C.S., sez. VI, n. 2682/2015), che esclude la nullit� della notifica del 
ricorso con tali modalit�, effettuata in assenza dell�autorizzazione presidenziale di cui all�art. 
52, comma 2, del c.p.a. 
Non merita accoglimento l�assunto che l�art. 46 del d. l. 24 giugno 2014, n. 90, convertito 
con modificazioni nella l. 11 agosto 2014, n. 114, nell�aggiungere all�art. 16 quater del d. l. 
18 ottobre 2012, n. 179, convertito con modificazioni nella l. 17 dicembre 2012, n. 221, aggiunto 
dall'articolo 1, comma 19, l. 24 dicembre 2012, n. 228, un nuovo comma 3 bis, in base 
al quale �le disposizioni dei commi 2 e 3 non si applicano alla giustizia amministrativa�, 
avrebbe sancito l�inapplicabilit�, al processo amministrativo, del meccanismo della notificazione 
in via telematica �a mezzo PEC dell�atto introduttivo del giudizio da parte degli avvocati 
(in mancanza dell�espressa autorizzazione presidenziale di cui all�art. 52, comma 2, del c.p.a.). 
In realt�, il sopra citato art. 46 esclude l�applicazione, al processo amministrativo, dei commi 
2 e 3 non della l. 21 gennaio 1994, n. 53, ma dell�art. 16 quater del d. l. n. 179 del 2012, conv. 
con mod. nella l. n. 221 del 2012 il quale, al comma 2, demanda a un decreto del Ministro 
della giustizia l'adeguamento alle nuove disposizioni delle regole tecniche gi� dettate col d.m. 
21 febbraio 2011, n. 44, mentre al comma 3 stabilisce che le disposizioni del comma 1 "acquistano 
efficacia a decorrere dal quindicesimo giorno successivo alla pubblicazione nella 
Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana del decreto di cui al comma 2". 
La mancata autorizzazione presidenziale ex art. 52, comma 2, del c.p.a. non pu� considerarsi 
ostativa alla validit� ed efficacia della notificazione del ricorso a mezzo PEC atteso che nel 
processo amministrativo trova applicazione immediata la l. n. 53 del 1994 (e, in particolare, 
per quanto qui pi� interessa, gli articoli 1 e 3 bis della legge stessa), nel testo modificato dall�art. 
25 comma, 3, lett. a) della l. 12 novembre 2011, n. 183, secondo cui l�avvocato �pu� 
eseguire la notificazione di atti in materia civile, amministrativa e stragiudiziale [�] a mezzo 
della posta elettronica certificata�. 
Nel processo amministrativo telematico (PAT) � contemplato dall�art. 13 delle norme di attuazione 
di cui all�Allegato 2 al cod. proc. amm. - � ammessa la notifica del ricorso a mezzo 
PEC anche in mancanza dell�autorizzazione presidenziale ex art. 52, comma 2, del c.p.a., disposizione 
che si riferisce a �forme speciali� di notifica, laddove invece la tendenza del processo 
amministrativo, nella sua interezza, a trasformarsi in processo telematico, appare ormai 
irreversibile (in tal senso anche C.S., sez. III, 4270/2015). 
3. Il ricorso di primo grado era ed � stato validamente notificato ed � quindi ammissibile (...).
136 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2016 
Consiglio di Stato, Sezione III, sentenza 14 gennaio 2016, n. 91 - Pres. P.G. Lignani, Est. 
P. Ungari. 
(...) 
�9. Il Collegio osserva anzitutto, quanto alla validit� della notifica del ricorso introduttivo, 
che l�orientamento del TAR � stato sconfessato dalle recenti pronunce di questo Consiglio, 
secondo le quali la mancata autorizzazione presidenziale ex art. 52, comma 2, cod. proc. amm. 
non pu� considerarsi ostativa alla validit� ed efficacia della notificazione del ricorso a mezzo 
posta elettronica certificata (PEC), atteso che nel processo amministrativo trova applicazione 
immediata la legge 53/1994 (ed in particolare gli articoli 1 e 3 bis), nel testo modificato dall�art. 
25 comma 3, lett. a) della legge 183/2011, secondo cui l�avvocato �pu� eseguire la notificazione 
di atti in materia civile, amministrativa e stragiudiziale� a mezzo della posta 
elettronica certificata� (cfr. Cons. Stato, V, n. 4863/2015; III, n. 4270/2015 e VI, n. 2682/2015). 
10. Tale orientamento merita di essere condiviso. 
Pertanto, risultando fondate le censure dedotte riguardo alla pronuncia in rito, occorre esaminare 
quelle rivolte nei confronti del provvedimento impugnato�. (...). 
Consiglio di Stato, sezione III, sentenza 20 gennaio 2016 n. 189 - Pres. G. Romeo, Est. S. 
Cacace. 
(...) 
2. � L�appello � irricevibile. 
Esso risulta invero notificato alla Regione Autonoma della Sardegna, alla Provincia di Cagliari 
ed al Comune di Quartu Sant�Elena in data 4 febbraio 2015, vale a dire il giorno successivo 
alla scadenza del termine di impugnazione di cui all�art. 92, comma 3, c.p.a., cadente nel caso 
all�esame, tenuto conto della sospensione dei termini processuali prevista dal comma 2 dell�art. 
54 c.p.a., il giorno 3 febbraio 2015. 
N� ad impedire tale declaratoria pu� valere la tempestiva notifica dell�appello stesso effettuata 
in data 3 febbraio 2015 alla societ� appellata mediante posta elettronica certificata ai 
sensi della legge n. 53/1994, ritenendo il Collegio siffatta modalit� di notifica non utilizzabile 
nel processo amministrativo, essendo, comՏ noto, esclusa, in base al disposto di cui all'art. 
16-quater, comma 3-bis, del D.L. n. 179/12 come convertito dalla legge 17 dicembre 2012, 
n. 221, l'applicabilit� alla giustizia amministrativa delle disposizioni idonee a consentire 
l'operativit� nel processo civile del meccanismo di notificazione in argomento (ovvero i 
commi 2 e 3 del medesimo art. 16-quater), solo allՎsito della cui adozione, si badi, detto 
meccanismo ha acquistato effettiva efficacia nel processo civile e penale (cos� come, per i 
giudizii dinanzi alla Corte dei conti, si � reso necessario stabilire le regole tecniche ed operative 
in materia di utilizzo della posta elettronica certificata anche per l�effettuazione di notificazioni 
relative a procedimenti giurisdizionali con recente decreto del Presidente 21 
ottobre 2015 in G.U. n. 256 del 3 novembre 2015); e ci� tenuto conto della mancanza di un 
apposito Regolamento, che, analogamente al D.M. 3 aprile 2013, n. 48 concernente le regole 
tecniche per l'adozione nel processo civile e nel processo penale delle tecnologie dell'informazione 
e della comunicazione, detti (essendo del tutto impensabile che prescrizioni tecniche 
siano all�uopo necessarie per il processo civile e penale e non per quello amministrativo) le 
relative regole tecniche anche per il processo amministrativo e che non pu� che individuarsi 
nel D.P.C.M. previsto dall�art. 13 dell�All. 2 al c.p.a. (v. anche l'art. 38, comma 1, D.L. 24
CONTENZIOSO NAZIONALE 137 
giugno 2014, n. 90, convertito, con modificazioni, dalla L. 11 agosto 2014, n. 114), allo stato 
non ancora intervenuto ed al quale il legislatore ha implicitamente ma chiaramente riguardo 
laddove, nell�escludere l�applicazione al processo amministrativo del comma 3 dell�art. 16- 
quater cit., da un lato afferma l�applicabilit� al processo amministrativo dello strumento della 
notifica telematica (del resto prevista dagli articoli 1 e 3-bis della legge n. 53 del 1994), dall�altro 
non disconosce certo la necessit� di regole tecniche anche per il processo amministrativo, 
che, sulla scorta dell�assenza di potere regolamentare del Ministro della Giustizia 
con riferimento al processo amministrativo (donde la previsione del comma 3-bis cit. di inapplicabilit� 
alla giustizia amministrativa del comma 2, che tale potere conferisce), non possono 
essere che quelle di cui all�emanando, citato, D.P.C.M. (di cui il ricordato art. 38 del successivo 
D.L. n. 90/2014 ribadisce appunto l�esigenza, fissandone per la prima volta i termini 
per l�emanazione), solo allՎsito del quale l�intero processo amministrativo digitale avr� una 
completa regolamentazione e la notifica del ricorso a mezzo PEC potr� avere effettiva operativit� 
ed abbandonare l�inequivocabile ed ineludibile carattere di specialit� oggi affermato 
dall�art. 52, comma 2, c.p.a., che prevede per il suo utilizzo, facendo all�uopo espresso riferimento 
all�art. 151 c.p.c., una specifica autorizzazione presidenziale, del tutto mancante nel 
caso all�esame. 
Tale carattere non pu� certo invero oggi negarsi in virt� di una affermata tendenza del processo 
amministrativo a trasformarsi in processo telematico, atteso che siffatta �tendenza� rappresenta 
allo stato un mero orientamento, che deve comunque tradursi in regole tecnico-operative concrete, 
demandate appunto al sopra indicato strumento regolamentare, in assenza delle quali il 
Giudice amministrativo non pu� certo sostituirsi al legislatore statuendo l�ordinaria applicabilit� 
di una forma di notifica allo stato ancora non tipizzata. 
N� a sanare l�invalidit� di tale notifica pu� valere la successiva costituzione in giudizio del 
soggetto destinatario della stessa, atteso che vertesi in ipotesi di inesistenza della notifica 
(in quanto trattasi di modalit� di notificazione priva di qualsivoglia espressa previsione normativa 
circa l�idoneit� della forma prescelta a configurare un tipico atto di notificazione 
come delineato dalla legge; tipicit�, questa, che non consente nemmeno di poter ravvisare 
nella fattispecie un�ipotesi di errore scusabile), in alcun modo sanabile; quand�anche, tuttavia, 
si volesse ritenere che una notifica eseguita mediante ricorso ad una forma non utilizzabile 
in quanto non espressamente prevista come tale nel paradigma legislativo degli 
atti di notifica valga a concretizzare non una ipotesi di inesistenza ma piuttosto di nullit� 
della stessa, comunque in tal caso, sulla scorta dell�art. 44, comma 3, c.p.a., la costituzione 
dell�intimato � s� idonea a sanare la nullit� medesima, ma, a differenza che nel processo civile, 
con efficacia ex nunc, ossia con salvezza delle eventuali decadenze gi� maturate in 
danno del notificante prima della costituzione in giudizio del destinatario della notifica, ivi 
compresa la scadenza del termine di impugnazione, cadente nel caso di specie, come sՏ 
detto, al 3 febbraio 2015, laddove la costituzione dell�appellata � intervenuta con atto in 
data 20 febbraio 2015. (...).
138 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2016 
... il dies a quo per le notifiche pec nel processo civile 
Si pubblica la memoria depositata avanti alla Corte di cassazione, sezione 
VI tributaria, con la quale � stata sostenuta la tesi contraria alle conclusioni 
cui era di recente pervenuta la stessa sezione VI della Corte di cassazione con 
ordinanza n. 14368 del 9 luglio 2015 - in base alla quale le notifiche a mezzo 
pec sarebbero divenute ammissibili, nel processo civile, solo a decorrere dal 
15 maggio 2014. L�Avvocatura dello Stato ha sostenuto, al contrario, l'ammissibilt� 
delle notifiche telematiche, previste dalla legge 21 gennaio 1994, n. 53, 
sin dalla entrata in vigore delle modifiche introdotte dall'art. 25 della legge 25 
novembre 2011, n. 183. La data in cui, poi, hanno acquisito efficacia le modifiche 
succcessivamente introdotte dall'art. 16 quater del D.L. 18 ottobre 2012, 
n. 179, come inserito dall�art. 1, comma 19, n. 2, della legge n. 228/2012, va 
individuata nel 24 maggio 2013 (ovvero �il quindicesimo giorno successivo 
alla pubblicazione nella Gazzetta ufficiale�, avvenuta il 9 maggio 2013, del 
D.m. n. 48/2013, di modifica dell�art. 18 del D.M. n. 44/2011, contententi le 
"regole tecniche" del processo civile telematico) e non, come ritenuto nell�ordinanza 
in esame, nel 15 maggio 2014 (data verosimilmente calcolata avendo 
riguardo alla pubblicazione delle "specifiche tecniche" di cui all'art. 34 dello 
stesso D.M. n. 44/2011, adottate con provvedimento dirigenziale del 16 aprile 
2014, pubblicate il 30 aprile 2014). 
CT 35282/13 - 632 
AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO 
CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE 
MEMORIA 
Sezione VI 
Udienza del 9 dicembre 2015 � C.R. Dr. Giuseppe Caracciolo 
per 
l�Agenzia delle Entrate (C.F. 06363391001), in persona del Direttore pro tempore, rappresentata 
e difesa dall�Avvocatura Generale dello Stato (C.F. 80224030587), presso cui � domiciliata 
in Roma, via dei Portoghesi n. 12 (pec: ags.rm@mailcert.avvocaturastato.it, telefax n. 
06/96514000); 
- resistente - 
contro 
M.F.; 
- ricorrente - 
NEL RICORSO (R.G. N. 19370/13) EX ADVERSO PROPOSTO PER LA 
CASSAZIONE 
della sentenza della Commissione Tributaria Regionale di Milano - n. 121/38/12, depositata 
in data 19 settembre 2012. 
* * * 
La presente memoria viene redatta per sostenere la validit� della notifica del controricorso, 
effettuata a mezzo pec il 25 ottobre 2013. 
CONTENZIOSO NAZIONALE 139 
� noto, al riguardo, il contrario avviso espresso da codesta Sezione VI con ordinanza 9 
luglio 2015, n. 14368. 
Con tale ordinanza � stato, in buona sostanza, affermato che le notifiche a mezzo pec 
sarebbero divenute uno strumento validamente utilizzabile solo a decorrere dal 15 maggio 
2014, data di entrata in vigore delle specifiche tecniche adottate dal Ministero della giustizia, 
con provvedimento del 16 aprile 2014, ai sensi dell�art. 34 del D.M. n. 44/2011; tale data segnerebbe, 
infatti, il momento di intervenuta efficacia delle modifiche legislative introdotte, 
riguardo alle notifiche a mezzo pec, dalla legge n. 228/2012. D�altra parte, sempre secondo 
quanto esposto in tale ordinanza, la previgente disciplina, introdotta dall�art. 25 della legge 
n. 183/2011, non sarebbe stata direttamente applicabile, tenuto conto che l�articolo 3, comma 
3 bis, della legge n. 53/1994 (comma per l�appunto introdotto dal citato art. 25 della legge n. 
183/2011), avrebbe imposto all�Avvocato, secondo la ricostruzione offerta nell�ordinanza in 
questione, di �procedere avvalendosi dell�opera dell�ufficiale giudiziario ai sensi dell�art. 
149 bis c.p.c.�, articolo che rinviava, a sua volta, �ad un decreto ministeriale di cui mancava 
l�emanazione�; nemmeno erano invocabili, si afferma ancora nell�ordinanza in esame, le specifiche 
tecniche allora vigenti, adottate con provvedimento del luglio 2011, stante la mancanza 
di previsioni relative alle notifiche a mezzo pec. 
Per tali ragioni, le notifiche a mezzo pec effettuate prima del 15 maggio 2014 sarebbero 
affette da nullit�. 
Ritiene l�esponente Avvocatura che il riferito orientamento sia suscettibile di rivisitazione 
alla luce di quanto si va di seguito ad esporre. 
Come � noto, l�attuale sistema di notifiche via pec � il frutto di diversi interventi normativi 
di rango primario succedutisi, a partire dall�art. 25 della legge n. 183/2011, sul tessuto 
della citata legge n. 53/1994, relativa alla �facolt� di notificazione di atti civili, amministrativi 
e stragiudiziali per gli avvocati e procuratori legali� ed in origine volta a disciplinare, precipuamente, 
la notifica �a mezzo del servizio postale, secondo le modalit� previste dalla legge 
20 novembre 1982, n. 890�, da parte dell�avvocato a ci� autorizzato dal Consiglio dell�ordine 
di appartenenza. 
Per effetto dell�art. 25 della legge n. 183/2011, la legge n. 53/1994 venne modificata 
nel senso che l�Avvocato, gi� autorizzato dal Consiglio dell�ordine ad effettuare le notifiche 
a mezzo del servizio postale, poteva, altres�, procedere alla notifica �a mezzo della posta elettronica 
certificata� (art. 1 ed art. 4, comma 1), consistente nell�invio di un messaggio di posta 
elettronica certificata, con allegato l�atto da notificarsi, da un avvocato ad un altro avvocato, 
il cui indirizzo di posta elettronica certificata, comunicato al Consiglio dell�ordine (art. 5, 
comma 1, nel testo allora vigente), risultasse da �pubblici elenchi� (art. 3, comma 3 bis). 
Stabiliva poi il citato art. 3, comma 3 bis, non che l�avvocato dovesse, come ritenuto 
dall�ordinanza in esame, �procedere avvalendosi dell�opera dell�ufficiale giudiziario ai sensi 
dell�art. 149 bis c.p.c.�, ma, con rinvio assai pi� limitato circa gli effetti, che il notificante 
dovesse procedere �con le modalit� previste dall�art. 149 bis del codice di procedura civile, 
in quanto compatibili�. Il rinvio in quanto compatibile non poteva ovviamente riferirsi al fatto 
di avvalersi dell�opera dell�ufficiale giudiziario, trattandosi di rinvio, per l�appunto, non compatibile 
con il sistema di notifiche pec disegnato dalla legge n. 183/2011, consistente, come 
si � visto, in una notifica eseguita direttamente dall�Avvocato, avvalendosi della posta elettronica 
certificata anzich� del tradizionale servizio postale (o della ulteriore modalit� di notifica 
�diretta�, a mani del destinatario, prevista dall�art. 4, comma 1, della legge n. 53/1994), 
prescindendo del tutto dall�opera dell�ufficiale giudiziario. 
140 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2016 
Il rinvio alludeva dunque, semmai, alle modalit� operative con cui si eseguiva la notifica 
(avuto riguardo, per esempio, al previsto invio dell�atto e della relazione di notifica, come 
documenti separati, da un indirizzo pec ad un indirizzo pec risultante da pubblici elenchi) ed 
al momento perfezionativo della notifica (che la disposizione codicistica individuava in quello 
in cui �il gestore� avesse �reso disponibile il documento informatico nella casella di posta 
elettronica del destinatario�). Era invece da escludere, come gi� osservato, la compatibilit� 
del riferimento all�opera dell�ufficiale giudiziario ed alle disposizioni direttamente derivanti 
da esso (come per esempio il fatto che l�atto da notificarsi, che nell�articolo 149 bis c.p.c. si 
supponeva consegnato all�ufficiale giudiziario, dovesse poi consistere in una sua copia informatica 
e non, come invece � ben possibile rispetto alla notifica eseguita direttamente dall�avvocato, 
anche dal suo originale informatico). 
La notifica a mezzo pec, secondo quanto stabilito dall�articolo 5, comma 1, della n. 
53/1994, nel testo risultante a seguito delle modifiche introdotte dall�art. 25 della legge n. 
183/2011, doveva poi essere eseguita �nel rispetto della normativa, anche regolamentare, 
concernente la sottoscrizione, la trasmissione e la ricezione dei documenti informatici�. 
La disciplina di rango primario era dunque integrata dalla normativa regolamentare, 
che, per quanto specificatamente concerne la notificazione di atti in materia civile, andava 
innanzi tutto individuata nel D.M. 21 febbraio 2011, n. 44, ovvero il regolamento recante 
�le regole tecniche per l�adozione nel processo civile e nel processo penale, delle tecnologie 
dell�informazione e della comunicazione, in attuazione dei principi previsti dal decreto legislativo 
7 marzo 2005, n. 82, e successive modificazioni, ai sensi dell�articolo 4, commi 1 
e 2, del dectreto � legge 29 dicembre 2009, n. 193, convertito nella legge 22 febbraio 2010, 
n. 24� (per comodit� di consultazione da parte del collegio si deposita copia del D.M. n. 
44/2011 nel testo originario). 
In particolare, la fattispecie era (ed � tuttora, sia pure, per quanto si vedr� pi� avanti, 
con disposizioni successivamente modificate) regolata dall�art. 18 del D.M. n. 44/ 2011, significativamente 
rubricato �notificazioni per via telematica tra avvocati�, in base al quale, 
con una disciplina di ulteriore dettaglio rispetto a quanto stabilito dalla legge, la notifica a 
mezzo pec consisteva nell�invio di un messaggio di posta elettronica certificata con, in allegato, 
l�atto da notificarsi, mentre la relazione di notificazione doveva essere inserita nel testo 
del messaggio; il citato articolo 18 prevedeva, altres�, che la notifica si intendeva �perfezionata 
nel momento in cui� veniva �generata la ricevuta di avvenuta consegna breve da parte del 
gestore di posta elettronica certificata del destinatario�. 
La legge n. 53/1994 ed il D.M. n. 44/2011 dettavano dunque la completa disciplina relativa 
alle notifiche a mezzo pec. 
Vi erano, a dire il vero, delle potenziali divergenze tra l�art. 149 bis c.p.c. e la specifica 
normativa regolamentare, limitatamente alla parte in cui la relazione di notificazione, secondo 
quanto previsto dall�art. 18 del D.M. n. 44/2011, doveva essere inserita nel testo del messaggio, 
mentre nella disposizione codicistica doveva essere firmata ed allegata al messaggio come 
documento distinto dall�atto oggetto di notificazione. 
Poich�, peraltro, la legge n. 53/1994 rinviava all�art. 149 bis cpc con la clausola �in 
quanto compatibile�, ed al tempo stesso rinviava, o meglio imponeva il rispetto della specifica 
�normativa, anche regolamentare concernente� proprio �la sottoscrizione, la trasmissione e 
la ricezione dei documenti informatici�, il contrasto, in realt� solo apparente, andava probabilmente 
risolto, rispetto alla detta divergenza, nel senso di attribuire prevalenza alla normativa 
dettata dall�art. 18 del D.M. n. 44/2011, come richiamata, attraverso il programmato rispetto
CONTENZIOSO NAZIONALE 141 
della �normativa anche regolamentare�, dall�art. 3, comma 3 bis, della legge n. 53/1994. 
Il quadro normativo rilevante ai fini delle notifiche via pec era dunque rappresentato 
dalle disposizioni sin qui illustrate. 
Vi erano poi, come ricordato nell�ordinanza in esame, le specifiche tecniche adottate, ai 
sensi dell�art. 34 del d.m. n. 44/2011, con provvedimento direttoriale del 18 luglio 2011 (pubblicate 
nella Gazzetta ufficiale 29 luglio 2011, n. 175, e che, per comodit� di consultazione, 
si depositano con la presente memoria). Si trattava, peraltro, di disposizioni che non rilevavano 
(e, per la verit�, come pi� avanti si vedr� ancora, tuttora non rilevano, neanche nel testo considerato 
nell�ordinanza di cui sopra) rispetto alle notifiche eseguite a mezzo pec, delle quali 
non si occupavano, essendo tese a disciplinare il processo telematico sul piano strettamente 
informatico (formati degli atti e dei documenti, protocolli di comunicazioni, messaggi di errore 
dei depositi telematici). 
Risulter� evidente, da quanto precede, che le notifiche a mezzo pec erano in realt� utilizzabili 
gi� nella vigenza della legge n. 183/2011. In tal senso, del resto, si era espressa codesta 
Suprema Corte, affermando, con la sentenza 28 novembre 2013, sent. n. 26696, l�obbligo di 
procedere alla �notifica in forma telematica� nell�ipotesi considerata dall�art. 366, secondo 
comma, c.p.c., e dunque ove il ricorrente, pur non avendo eletto domicilio a Roma, avesse 
per� indicato l�indirizzo di pec. 
Ad ogni buon conto, la disciplina applicabile al controricorso notificato dall�esponente 
Avvocatura in data 25 ottobre 2013 non � quella dettata dalla legge n. 183/2011 e dall�originario 
testo del D.M. n. 44/2011, che pure, come si � visto, era suscettibile di immediata applicazione, 
nel periodo di sua vigenza, senza la necessit� di adozione di ulteriori regole di 
dettaglio, ma, sulla base di quanto si andr� ad esporre nel prosieguo, della disciplina modificata 
dalla legge 24 dicembre 2012, n. 228 e che l�ordinanza di codesta Sezione ha ritenuto essere 
divenuta efficace solo in data 15 maggio 2014. 
Si tratta di una disciplina che, intervenendo sul D.L. 18 ottobre 2012, n. 179, appena 
convertito dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221, ha dettato disposizioni, incidenti ancora sul 
tessuto della legge n. 53/1994, volte per certi versi a semplificare e per altri a disciplinare pi� 
nel dettaglio le concrete modalit� con cui eseguire tali notifiche telematiche. 
In particolare, per effetto delle modifiche apportate alla legge n. 53/1994 dall�art. 16 
quater del D.L. n. 179/2012 (articolo inserito dall�art. 1, comma 19, n. 2, della legge n. 
228/2012), � stato stabilito che la notifica via pec deve essere effettuato da e verso un indirizzo 
risultante da un pubblico elenco (art. 3 bis, comma 1, della legge n. 53/1994, nel 
testo vigente a seguito della legge n. 228/2012), mentre originariamente si faceva riferimento, 
ma solo per il destinatario, all�indirizzo comunicato al consiglio dell�ordine e risultante 
da un pubblico elenco (art. 5, comma 1, ed art. 3, comma 3 bis, nel testo risultante 
a seguito della legge n. 183/2011), dal momento che il notificante poteva invece utilizzare 
un qualunque indirizzo pec; � poi stato escluso, ma solo per le notifiche pec, non anche 
per quelle a mezzo del servizio postale, l�obbligo di annotazione sul registro cronologico 
di cui all�art. 8 della stessa legge n. 53/1994 (art. 8, comma 4 bis, nel testo vigente a seguito 
della legge n. 228/2012)); � inoltre stato espressamente previsto che la notifica a mezzo 
pec si esegue inviando un messaggio di posta elettronica certificata ad un altro indirizzo 
di posta elettronica certificata (entrambi, come si � visto, risultati da pubblici elenchi), 
con, in allegato, l�atto da notificarsi e la relazione di notifica in due file distinti, sottoscritti 
con firma digitale (in precedenza, come si � visto, la relazione di notifica, secondo quanto 
previsto dall�art. 18 del D.M. n. 44/2011, doveva essere inserita nel testo del messaggio).
142 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2016 
L�articolo 3 bis, comma 3, della legge n. 53/1994, sempre nel testo risultante a seguito 
della legge n. 228/2012, ha inoltre espressamente stabilito che �la notifica si perfeziona, 
per il soggetto notificante, nel momento in cui viene generata la ricevuta di accettazione 
prevista dall'articolo 6, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica 11 febbraio 
2005, n. 68, e, per il destinatario, nel momento in cui viene generata la ricevuta di avvenuta 
consegna prevista dall'articolo 6, comma 2, del decreto del Presidente della Repubblica 
11 febbraio 2005, n. 68�. 
Lo stesso art. 3 bis ha poi analiticamente previsto, al comma 4 ed al comma 5, i dati che 
devono essere riportati, rispettivamente, nell�oggetto del messaggio e nella relazione di notificazione 
(si tratta di dati volti a correttamente individuare l�oggetto della notificazioni ed i 
relativi dati, sia del mittente che del destinatario). 
Le modifiche normative sin qui illustrate, introdotte dall�art. 1, comma 19, n. 2, della 
legge n. 228/2012, inserite con l�art. 16 quater, comma 1, del D.L. 179/2012, sono confluite 
nella legge n. 53/1994. 
Tanto chiarito circa la portata innovativa delle disposizioni introdotte dalla legge n. 
228/2012, si fa ulteriormente osservare che lo stesso articolo 16 quater aveva parallelamente 
stabilito (comma 2) l�obbligo di procedere, �con decreto del Ministero della giustizia, da 
adottarsi entro centottanta giorni dall�entrata in vigore della legge di conversione� all�adeguamento 
delle regole tecniche di cui al decreto del Ministero della giustizia 21 febbraio 
2011, n. 44�, e (comma 3), che �le disposizioni di cui al comma 1�, in vigore dal 1^ 
gennaio 2013, avrebbero tuttavia �acquistato efficacia a decorrere dal quindicesimo giorno 
successivo alla pubblicazione nella Gazzetta ufficiale della Repubblica Italiana del decreto 
di cui al comma 2�. 
Si tratta dunque di stabilire quale sia il decreto la cui adozione, con la relativa pubblicazione 
sulla gazzetta ufficiale, ha determinato l�efficacia delle disposizioni introdotte dalla 
legge n. 228/2012, modificatrici della disciplina delle notifiche a mezzo pec. 
Ritiene l�ordinanza in esame che tale decreto sia quello del 16 aprile 2014 con cui sono 
state adottate le specifiche tecniche previste dall�art. 34 del D.M. n. 44/2011. 
Vi � motivo di ritenere che l�ordinanza in questione non abbia colto nel segno. 
Come si � visto, l�art. 16 quater, comma 2, del D.L. 179/2012, aveva chiaramente stabilito 
che dovesse procedersi all�adeguamento non delle specifiche ma �delle regole tecniche 
di cui al decreto del Ministro della giustizia 21 febbraio 2011, n. 44�. 
A tale adeguamento, del resto, ancora secondo quanto previsto dall�art. 16 quater, 
comma 2, doveva procedersi con �decreto del Ministro della giustizia�. 
Le regole tecniche di cui al D.M. n. 44/2011 sono per l�appunto adottate con decreto 
del Ministro della giustizia, laddove, per contro, le specifiche tecniche, previste dall�art. 
34 dello stesso D.M. n. 44/2011 e ad esso subordinate, �sono stabilite dal responsabile 
per i sistemi informativi automatizzati del Ministero della giustizia�, dunque con decreto 
dirigenziale. 
Al di l� dei dati testuali e formali, pure decisivi, milita, peraltro, a sostegno della tesi 
qui sostenuta, anche un elemento di natura sostanziale. 
La necessit� di subordinare l�efficacia delle modifiche legislative all�adozione dell�adeguamento 
delle regole tecniche dipendeva dal fatto che le prime avevano dettato disposizioni 
che ora risultavano in contrasto con le previgenti regole tecniche, appunto, di cui al D.M. n. 
44/2011, un contrasto che rendeva complicato il compito dell�interprete, dal momento che la 
legge continuava a prevedere (art. 3 bis, comma 1, della legge n. 53/1994, nel testo risultante
CONTENZIOSO NAZIONALE 143 
a seguito delle modifiche introdotte dalla legge n. 228/2012) �il rispetto della normativa, 
anche regolamentare, concernetne la sottoscrizione, la trasmissione, e la ricezione dei documenti 
informatici�. 
In via esemplificativa si consideri che per effetto delle modifiche introdotte dalle legge 
n. 228/2012, e come si � visto, la relazione di notificazione doveva essere inviata come allegato 
distinto dall�atto e sottoscritto con firma digitale, laddove, per contro, l�art. 18 del D.M. n. 
44/2011 prevedeva che la relazione di notifica fosse semplicemente contenuta nel testo del 
messaggio, dunque senza la firma digitale del notificante. Ancora si consideri che in base all�art. 
3 bis, comma 2, della legge n. 53/1994, veniva stabilita la scissione del momento perfezionativo 
della notifica per il mittente e per il destinatario, mentre l�articolo 18, nel dettare 
analoga disposizione sul perfezionamento della notifica, lo individuava nel momento in cui 
veniva generata la ricevuta di avvenuta consegna da parte del gestore della pec del destinatario, 
senza distinguere tra notificante e destinatario. Infine, e sempre in via esemplificativa, si consideri 
ancora che l�articolo 18 intendeva disciplinare, come reso palese dalla sua rubrica, la 
sola �notifica telematica tra avvocati�, laddove, invece, a seguito delle modifiche alla legge 
n. 53/1994, introdotte dalla legge n. 228/2012, eliminato il riferimento, contenuto nel previgente 
articolo 5, comma 1, all�indirizzo comunicato dal destinatario �al proprio ordine�, la 
notifica a mezzo pec era divenuto uno strumento utilizzabile dagli avvocati nei confronti di 
chiunque fosse titolare di un indirizzo pec (anche un�impresa, una societ�, una pubblica amministrazione) 
risultante da uno dei registri pubblici tassativamente indicati dall�art. 16 ter 
del D.L. 179/2012 (e dunque, in ipotesi, anche nei confronti di una persona fisica, nei limiti 
di attivazione del relativo registro pubblico). 
Di qui la necessit�, prima che le modifiche legislative appena introdotte divenissero efficaci, 
che la normativa regolamentare cui le norme di rango primario rinviavano fosse coordinata 
con esse. 
Non vi era, per contro, nessuna necessit� di adeguamento delle specifiche tecniche del 
luglio 2011, rispetto alle quali non era rinvenibile alcun incoerenza con la disciplina di rango 
primario, proprio perch�, come correttamente rilevato, in tale parte, dall�ordinanza in esame, 
dette specifiche tecniche non si occupavano in alcun modo delle notifiche telematiche. 
Orbene, tanto chiarito circa il fatto che il decreto condizionante l�efficacia delle modifiche 
introdotte alla legge n. 53/1994 dalla legge n. 228/2012 fosse quello di adeguamento 
del D.M. n. 44/2011, e non delle specifiche tecniche del 18 luglio 2011, non pu� 
non constatarsi che tale decreto � quello adottato con D.M. 3 aprile 2013, n. 48 (�Regolamento 
recante modifiche al D.M. n. 44/2011, concernente le regole tecniche per l'adozione 
nel processo civile e nel processo penale delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione�), 
pubblicato nella gazzetta ufficiale del 9 maggio 2013, n. 107, con cui sono 
state per l�appunto dettate disposizioni di adeguamento dell�articolo 18 del D.M. n. 
44/2011 alla nuova disciplina legislativa (per comodit� di consultazione da parte del collegio 
si deposita copia del D.M. n. 44/2011 nel testo risultante a seguito delle modifiche 
introdotte dal D.M. n. 48/2013). 
Le disposizioni relative alle notifiche a mezzo pec introdotte dalla legge n. 228/2012, 
entrate in vigore, come ricordato, il 1^ gennaio 2013, sono dunque divenute efficaci il 24 
maggio 2013 (ovvero �il quindicesimo giorno successivo alla pubblicazione nella Gazzetta 
ufficiale� del D.M. n. 48/2013, di modifica dell�art. 18 del D.M. n. 44/2011, avvenuta il 9 
maggio 2013) e non, come ritenuto nell�ordinanza in esame, il 15 maggio 2014; tale termine 
� stato evidentemente calcolato avendo riguardo alla pubblicazione delle nuove specifiche
144 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2016 
tecniche adottate con provvedimento dirigenziale (non del Ministro) del 16 aprile 2014, 
pubblicato il 30 aprile 2014. Si tratta, tuttavia, di un aggiornamento che non rileva in alcun 
modo rispetto alle notifiche telematiche eseguite dagli avvocati, argomento del quale tali, 
aggiornate specifiche tecniche si occupano solo in due disposizioni: in primo luogo nell�articolo 
19, per dettare norme attuative delle notifiche telematiche eseguite non dagli avvocati 
ma dagli ufficiali giudiziari (sebbene, si rammenta, le stesse notifiche non siano state ancora 
attivate) e, in secondo luogo, nell�art. 19 bis, con riferimento alle notifiche telematiche eseguite 
dagli avvocati ma sotto il diverso e qui non rilevante profilo del deposito telematico 
delle notifiche stesse, dal momento che nella presente causa si � proceduto al deposito cartaceo 
di quanto notificato a mezzo pec, secondo quanto previsto dall�art. 9, comma 1 bis, 
della legge n. 53/1994. 
Nel caso di specie la notifica a mezzo pec, effettuata nel mese di ottobre del 2013, � 
stata dunque eseguita nel rispetto della normativa, sia di rango primario che regolamentare, 
applicabile ratione temporis. 
Sono state dunque rispettare le disposizioni di rango primario contenute nella legge n. 
53/1994, nel testo risultante a seguito delle modifiche introdotte dalla legge n. 228/2012, e, 
secondo quanto appena visto, divenute efficaci il 24 maggio 2014; sono state, altres�, rispettare 
le disposizioni dettate dalla normativa regolamentare e, in particolare, dall�articolo 18 del 
D.M. n. 44/2011, nel testo risultante a seguito delle modifiche introdotte dal D.M. n. 48/2013. 
L�atto � stato dunque notificato come originale informatico sottoscritto con firma digitale 
ed allegato al messaggio di pec unitamente alla relazione di notifica, quest�ultima redatta 
come documento informatico separato, parimenti sottoscritto con firma digitale ed allegato 
allo stesso messaggio di pec. 
Nella predisposizione del messaggio, della relazione di notifica e del messaggio da spedire, 
quest�ultimo anche per il relativo oggetto, si � proceduto nel rispetto di quanto previsto 
dalla disciplina appliccabile ratione temporis. 
Ai sensi dell�art. 9, comma 1 bis, della legge n. 53/1994, non potendosi procedere al 
deposito telematico di quanto notificato via pec (non essendo stato ancora attivato il processo 
telematico avanti a codesta Suprema Corte), l�Amministrazione si � costituita depositando 
copia cartacea del messaggio spedito, dell�atto, della relazione di notifica, della ricevuta di 
accettazione e della ricevute di consegna, il tutto dichiarato conforme ai rispettivi originali 
cartacei. 
Ai sensi del novellato art. 18 del D.M. n. 44/2011, la prova dell�avvenuta notificazione 
� stata fornita con la ricevuta di avvenuta consegna �completa� (in luogo di quella �breve� 
prevista dal previgente articolo 18). 
Circa i registri di riferimento, pur non essendo ancora entrate in vigore, alla data di esecuzione 
della notifica a mezzo pec, le limitazioni previsti dall�art. 16 ter del D.L. 179/2012 
che ha tassativamente individuato, con decorrenza dal 15 dicembre 2013, i registri pubblici 
di riferimento per le notificazioni a mezzo pec, e dunque, in ipotesi, potendosi fare riferimento 
anche ad altri registri, si � comunque utilizzato, come indirizzo mittente, quello presente su 
Reginde, ovvero il registro previsto dall�art. 7 del D.M. n. 44/2011 per il processo civile telematico, 
e, quanto al destinatario, l�indirizzo pec indicato dell�atto, del quale si � comunque 
verificata, dichiarandolo nella relazione di notifica, la presenza sullo stesso Reginde. 
Per quanto precede, ritiene l�esponente Avvocatura che la notifica a mezzo pec del controricorso, 
effettuata con le modalit� sin qui esposte e risultanti dal fascicolo di causa debba 
essere considerata come validamente eseguita.
CONTENZIOSO NAZIONALE 145 
Circa il ricorso della controparte, si confida, come del resto proposto dalla relazione depositata 
ai sensi dell�art. 380 bis c.p.c., che sia dichiarato inammissibile o comunque che 
venga respinto, richiamandosi anche, a sostegno, quanto esposto in sede di controricorso. 
* * * 
Si depositano: 
1) D.M. 21 febbraio 2011, n. 44, nel testo originario; 
2) Specifiche tecniche del 18 luglio 2011 (pubblicate in G.U. 29 luglio 2011, n. 175); 
3) D.M. 21 febbraio 2011, n 44, nel testo risultante a seguito delle modifiche introdotte 
dal D.M. n. 48/2013; 
4) Specifiche tecniche del 16 aprile 2014 (pubblicati in G.U. 30 aprile 2014, n. 99). 
Roma, 3 dicembre 2015 
Marco La Greca 
Avvocato dello Stato
146 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2016 
Una pronuncia del Consiglio di Stato 
su l�onere di autonoma impugnazione e 
su la distanza delle sale giochi da luoghi sensibili 
CONSIGLIO DI STATO, SEZIONE TERZA, SENTENZA 10 FEBBRAIO 2016 N. 579 
Wally Ferrante* 
Segnalo la sentenza del Consiglio di Stato, sez. III del 10 febbraio 2016, 
n. 579 per due motivi: 1) uno processuale da tenere in considerazione per evitare 
pronunce di inammissibilit� e 2) uno sostanziale, essendo stati affermati 
importanti principi in tema di distanze delle sale giochi da luoghi sensibili. 
1) Il Consiglio di Stato ha respinto con diversa motivazione l�appello del 
Comune di Bologna, al quale avevo aderito in rappresentanza del Ministero 
dell�Interno, costituito anche in primo grado nella medesima posizione processuale 
del Comune in una causa vertente sull�autorizzazione al trasferimento 
di una sala giochi in altra sede. 
Il Consiglio di Stato ha affermato �l�inammissibilit� della costituzione in 
giudizio, con memoria non notificata, della Questura (rectius del Ministero 
dell�interno) in quanto soggetto avente l�onere di proporre appello e non legittimato 
ad assumere nel giudizio di impugnazione una posizione adesiva di 
mero interveniente al fine di rimuovere una soccombenza �principale� sancita 
dalla decisione di primo grado�. 
In realt�, di proposito non avevo ritenuto di proporre autonomo appello 
per il Ministero dell�Interno, non intendendo censurare, nelle memorie depositate, 
statuizioni della sentenza di primo grado diverse da quelle censurate 
dal Comune di Bologna, avendo chiesto la riforma della sentenza del TAR 
esattamente negli stessi limiti chiesti dall�ente locale. 
Analogo comportamento processuale avevo tenuto in diversi altri casi (ad 
esempio nel contenzioso elettorale in cui il Ministero dell�interno era dalla 
stessa parte degli appellanti eletti che avevano interesse al mantenimento dei 
risultati delle elezioni annullate dal TAR) e il Consiglio di Stato non aveva mai 
evidenziato la necessit� per il Ministero di proporre autonoma impugnazione. 
2) Il Consiglio di Stato ha sostanzialmente condiviso la tesi sostenuta 
nell�appello del Comune, al quale il Ministero dell�Interno aveva aderito, modificando 
conseguentemente la motivazione della sentenza del TAR, accogliendo 
tuttavia uno dei motivi del ricorso introduttivo che era stato dichiarato 
assorbito dal giudice di primo grado. 
In particolare, il Consiglio di Stato ha ritenuto che �le misure volte alla 
(*) Avvocato dello Stato.
CONTENZIOSO NAZIONALE 147 
prevenzione ed al contrasto di forme di dipendenza dal gioco d�azzardo 
lecito (c.d. ludopatia o GAP - gioco d�azzardo patologico), come quella in 
questione - consistente nella imposizione di una distanza minima delle sale 
giochi e scommesse dai luoghi c.d. sensibili, vale a dire nei quali si presume 
la presenza di soggetti appartenenti alle categorie pi� vulnerabili o comunque 
in condizioni contingenti di difese ridotte rispetto alla tentazione del gioco 
d�azzardo ed all�illusione di poter conseguire attraverso di esso facili guadagni 
- rientrino principalmente nella materia della tutela della salute. 
La Corte Costituzionale, con riferimento alle disposizioni della l.p. Bolzano 
13/2010, che prevedono limiti di distanza delle sale da gioco rispetto ai 
luoghi sensibili, ha escluso la violazione dell�art. 117, secondo comma, lettera 
h), della Costituzione, ossia della potest� legislativa esclusiva dello 
Stato in materia di ordine pubblico e sicurezza (sent. n. 300/2011)�. 
Quanto alla necessit� di pianificare forme di progressiva ricollocazione 
dei punti della rete fisica di raccolta del gioco che risultano territorialmente 
prossimi a luoghi sensibili, fissando parametri di distanza validi per l�intero 
territorio nazionale (art. 7, comma 10 del D.L. 158 del 2012 - c.d. Decreto 
Balduzzi - convertito con L. n. 189 del 2012 e art. 14, comma 2 lett. e) della 
legge delega 11 marzo 2014, n. 23), il Consiglio di Stato ha affermato che �la 
circostanza che la fissazione di �parametri di distanza da luoghi sensibili 
validi per l'intero territorio nazionale�, non sia ancora avvenuta, non impedisce 
l�esercizio dei concorrenti poteri, rivolti alle medesime finalit�, 
delle Regioni e degli Enti locali. 
Per le considerazioni esposte, sembra evidente che l�art. 6 della l.r. Emilia 
Romagna 5/2013, nel richiedere che le �previsioni urbanistico-territoriali in 
ordine alla localizzazione delle sale da gioco� siano adottate �nel rispetto 
delle pianificazioni� statali, non attribuisce a queste ultime il valore di presupposto 
necessario, ma richiede soltanto che le previsioni dettate nell�esercizio 
del potere di pianificazione comunale non si pongano in contrasto con 
le previsioni stabilite a livello nazionale�. 
Alla luce di quanto sopra, il Consiglio di Stato ha espressamente affermato 
che �la prospettazione dell�appello risulta pertanto fondata�. 
Nell�esaminare i motivi del ricorso di primo grado rimasti assorbiti, il 
Consiglio di Stato ha tuttavia accolto il motivo attinente al contenuto della misura 
di salvaguardia, affermando che �la Regione Emilia Romagna non ha stabilito 
una distanza minima, cos� onerando gli enti locali di individuarla, 
contemperando gli interessi in gioco in relazione alle caratteristiche che assumono 
nello specifico contesto sociale di applicazione. 
Pertanto, il Comune di Bologna avrebbe dovuto analizzare in modo approfondito 
l�incidenza delle ludopatie nel proprio territorio, valutare in relazione 
ad essa quale distanza di rispetto poteva ritenersi astrattamente adeguata 
alla consistenza del fenomeno da contrastare, e verificare se, in relazione alla
148 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2016 
diffusione dei siti sensibili, una simile distanza fosse misura proporzionata e 
sostenibile, in quanto tale da non impedire di fatto nuove ubicazioni per gli 
esercizi commerciali del settore e la disponibilit� di sedi alternative in vista di 
possibili trasferimenti degli esercizi in attivit�. 
Pu� convenirsi che, al riguardo, si trattasse di esercitare una discrezionalit� 
piuttosto ampia, limitatamente sindacabile. 
Tuttavia, nel caso in esame, non � stato argomentato dal Comune appellante, 
n� risulta dalla documentazione in atti, che valutazioni di tal genere 
siano state compiute�. 
Pertanto, il Consiglio di Stato, nel citare numerose leggi regionali che 
hanno fissato la distanza minima delle sale da gioco da luoghi sensibili in 
500 metri (o in taluni casi in 300 metri) ha ritenuto che il Comune di Bologna 
non avesse sufficientemente istruito e motivato la scelta di fissare 
detta distanza minima in 1000 metri (compiendo invero un sindacato non 
proprio �limitato�). 
Alla luce di quanto sopra, al fine di scongiurare nuovi analoghi contenziosi, 
ho ribadito alle amministrazioni interessate l�esigenza, sempre pi� attuale 
e gi� rappresentata in altro simile caso, di sollecitare l�adozione di una 
norma statale che fissi a livello nazionale una distanza minima delle sale 
da gioco da luoghi sensibili. 
Consiglio di Stato, Sezione Terza, sentenza 10 febbraio 2016 n. 579 - Pres. M. Lipari, Est. 
P. Ungari - Comune di Bologna (avv.ti G. Carestia, A. Labriola, G. Stella Richter) c. SNA 
Scommesse S.r.l. (avv.ti A. Meneghello, C. Fedeli). Interveniente Ministero Interno, Questura 
di Bologna (avv. gen. Stato). 
FATTO e DIRITTO 
1. La controversia origina dal diniego di autorizzazione, adottato ex art. 88 TULPS in data 24 
febbraio 2014 dalla Questura di Bologna, al trasferimento della sala scommesse e giochi mediante 
videoterminali (VLT) della societ� SNA Scommesse S.r.l., odierna appellata. 
2. Il divieto � stato adottato in quanto la nuova ubicazione (come segnalato nel parere della 
Polizia Municipale in data 21 gennaio 2014) non rispetta �la distanza minima di 1.000 metri, 
misurata sul percorso pedonale pi� breve che collega i rispettivi punti di accesso pi� vicini 
dai seguenti luoghi sensibili: asili, scuole di ogni ordine e grado, luoghi di culto, ospedali, 
case di cura, camere mortuarie, caserme e strutture protette in genere�, cos� come richiesto 
dall�art. 23, comma 3, del Regolamento di Polizia Urbana del Comune di Bologna, (introdotto 
con delibera di C.C. n. 256645 in data 11 novembre 2013). 
3. Il diniego � stato impugnato dalla societ�, unitamente alla disposizione regolamentare presupposta. 
Dopo l�originaria instaurazione del giudizio presso il TAR del Lazio, il TAR Emilia Romagna 
(indicato come competente da questa Sezione con ordinanza n. 4088/2014), con la sentenza 
appellata (II, n. 396/2015), ha accolto il ricorso, ritenendo che l�art. 23, comma 3, del Reg. 
P.U. sia illegittimo, in mancanza del necessario presupposto costituito dagli adempimenti pre-
CONTENZIOSO NAZIONALE 149 
visti, a livello dell�Amministrazione centrale, dall�art. 7 del d.l. 158/2012, convertito in legge 
189/2012, il cui rispetto � previsto dall�art. 6 della l.r. Emilia-Romagna 5/2013. 
4. Il TAR (esaminando ed accogliendo, nel senso indicato, uno dei motivi del ricorso introduttivo, 
ed assorbendo gli altri) ha sottolineato la piena ragionevolezza della scelta del legislatore 
nazionale, in quanto finalizzata a pianificare ed omogeneizzare, con efficacia su tutto 
il territorio nazionale, l�introduzione di limiti distanziometrici aventi non gi� carattere urbanistico 
ma chiara natura di ordine pubblico. 
5. � utile precisare fin d�ora che l�art. 7, comma 10, del d.l. 158/2012 (c.d. decreto Balduzzi), 
come modificato dalla legge di conversione n. 189/2012 (la cui epigrafe comprende ��misure 
di prevenzione per contrastare la ludopatia ...�), prevede che �L'Amministrazione autonoma dei 
monopoli di Stato e, a seguito della sua incorporazione, l'Agenzia delle dogane e dei monopoli, 
tenuto conto degli interessi pubblici di settore, sulla base di criteri, anche relativi alle distanze 
da istituti di istruzione primaria e secondaria, da strutture sanitarie e ospedaliere, da luoghi di 
culto, da centri socio-ricreativi e sportivi, definiti con decreto del Ministro dell'economia e delle 
finanze, di concerto con il Ministro della salute, previa intesa sancita in sede di Conferenza unificata 
(�)provvede a pianificare forme di progressiva ricollocazione dei punti della rete fisica 
di raccolta del gioco praticato mediante gli apparecchi di cui all'articolo 110, comma 6, lettera 
a), del testo unico di cui al regio decreto n. 773 del 1931, e successive modificazioni, che risultano 
territorialmente prossimi ai predetti luoghi. Le pianificazioni operano relativamente alle concessioni 
di raccolta di gioco pubblico bandite successivamente alla data di entrata in vigore 
della legge di conversione del presente decreto e valgono, per ciascuna nuova concessione, in 
funzione della dislocazione territoriale degli istituti scolastici primari e secondari, delle strutture 
sanitarie ed ospedaliere, dei luoghi di culto esistenti alla data del relativo bando. (�)�. 
6. E che, in analoga prospettiva, l�art. 6, comma 2, della l.r. Emilia Romagna 5/2013 (�Norme 
per il contrasto, la prevenzione, la riduzione del rischio della dipendenza dal gioco d'azzardo 
patologico, nonch� delle problematiche e delle patologie correlate�), ha stabilito che �Al fine 
di perseguire le finalit� di cui all'articolo 1 della presente legge e gli obiettivi di cui all'articolo 
2 della legge regionale 24 marzo 2000, n. 20 (Disciplina generale sulla tutela e l'uso del territorio), 
i Comuni possono dettare, nel rispetto delle pianificazioni di cui all'articolo 7, comma 
10, del decreto legge n. 158 del 2012, convertito dalla legge n. 189 del 2012, previsioni urbanistico-
territoriali in ordine alla localizzazione delle sale da gioco�. 
7. Nell�appello, il Comune di Bologna sostiene, essenzialmente, che: 
(a) � l�art. 7, comma 10, del d.l. 158/2012, ha ad oggetto la tutela della salute (sotto forma di 
prevenzione delle ludopatie) e non l�ordine pubblico, quindi rientra nella potest� legislativa 
di cui all�art. 117, terzo comma, Cost.; l�art. 6 della l.r. Emilia Romagna 5/2013 consente ai 
Comuni di dettare criteri per la localizzazione delle sale gioco; non essendo stati ancora definiti 
il decreto interministeriale e le conseguenti pianificazioni statale; esiste dunque il potere comunale 
di disciplinare la materia, tanto pi� che l�art. 7 prevede la rilocalizzazione dei punti 
della rete di raccolta, cos� presupponendo la legittimit� delle pianificazioni locali previgenti; 
(b) � il TAR ha superato i limiti della giurisdizione, allorch�, ritenendo necessaria una disciplina 
uniforme dei limiti di distanza su tutto il territorio nazionale, ha escluso attualmente il 
potere degli enti locali in materia, da ritenersi viceversa compreso nelle funzioni di pianificazione 
e governo del territorio loro attribuite. 
Il Comune ripropone anche le eccezioni e difese (relative alle censure dedotte da controparte 
e) non esaminate dal TAR. 
8. Si � costituita in giudizio la Questura di Bologna, chiedendo l�accoglimento dell�appello.
150 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2016 
9. Si � parimenti costituita in giudizio la societ� appellata, controdeducendo puntualmente ai 
motivi di appello e riproponendo, ex art. 101, comma 2, cod. proc. amm., le censure non esaminate 
in primo grado. 
9.1. Nel difendere le argomentazioni svolte dal TAR sulla necessaria pregiudizialit� degli adempimenti 
previsti dalla normativa statale, l�appellata ribadisce che le disposizioni �urbanistico-territoriali� 
previste dalla norma regionale non possono essere contenute in un regolamento di polizia 
urbana, espressione non della potest� urbanistica, bens� di quella in materia di incolumit� pubblica 
e decoro urbano (tantՏ vero, che il Comune di Bologna, con delibera di C.C. del 20 aprile 2015, 
ha poi introdotto identica norma nell�art. 32, comma 6, del nuovo regolamento edilizio urbano). 
9.2. L�art. 23, comma 3, cit., non pu� operare che per l�avvenire e con riferimento alle sale scommesse 
di nuova apertura, con esclusione delle autorizzazioni esistenti (e dei relativi trasferimenti), 
pena la violazione del principio di irretroattivit� degli atti amministrativi; � discriminatorio applicare 
la distanza minima a casi, come quello in esame, di autorizzazione al trasferimento da 
un sito precluso, in quanto non rispetta la distanza minima, ad un altro sito precluso. 
9.3. Posto che la distanza tra i vecchi e nuovi locali � di circa 200 metri, e che la nuova sede, 
rispetto alla vecchia, ha dai medesimi siti sensibili circa le medesime distanze (insufficienti, 
rispetto a quella minima prescritta dall�art. 23, comma 3), � evidente che il trasferimento non 
arreca alcun pregiudizio aggiuntivo ed ulteriore ai frequentatori di detti luoghi sensibili, e 
quindi il diniego si risolve in una ingiustificata compromissione della libert� di iniziativa economica, 
in contrasto con il canone del buon andamento di cui all�art. 97 Cost. e con i criteri 
di economicit� ed efficacia, di cui all�art. 1 della legge 241/1990. 
9.4. Nell�ipotesi in cui si ritenga applicabile anche alle sale esistenti, l�art. 23, comma 3, � illegittimo 
per la mancanza di una disciplina transitoria, che tenga conto delle iniziative imprenditoriali 
gi� avviate, secondo il principio della �progressiva riallocazione� delle sale, 
nell�ottica del contemperamento dei contrapposti interessi, sancito dall�art. 7, comma 10, del 
d.l. 158/2012; a tal fine, va tenuto conto che il procedimento di autorizzazione al trasferimento 
� stato complesso ed � iniziato prima dell�entrata in vigore della modifica regolamentare (in 
data 8 agosto 2013, mediante la c.i.la. per i nuovi locali, cui ha fatto seguito in data 8 gennaio 
2014 l�autorizzazione dell�Agenzia dogane e monopoli, cos�cch� solo in data 10 gennaio 2014 
� stato possibile presentare l�istanza per l�autorizzazione ex art. 88 TULPS). 
9.5. L�individuazione della distanza minima di 1.000 metri e dei luoghi c.d. sensibili sono irragionevoli, 
e comunque sono avvenute senza una specifica approfondita istruttoria e senza 
adeguata motivazione (in particolare, circa l�incidenza del nuovo limite di distanza in ordine 
alla localizzazione delle sale), in violazione dell�art. 41 Cost. e del principio di buon andamento 
ed imparzialit� della P.A.; l�indicazione quali luoghi sensibili dei luoghi di culto, delle 
caserme, delle camere mortuarie e dei cimiteri (questi ultimi, non considerati dalla norma statale), 
la mancanza di una previa mappatura dei luoghi sensibili, e la ricomprensione in essi 
della categoria, generica, delle �strutture protette in genere�, impedisce una pianificazione 
delle attivit� imprenditoriali; non si � tenuto conto che proprio alle agenzie di scommesse 
sono assegnate dalla normativa funzioni di tutela del giocatore (art. 1, comma 78, lettera b), 
punti 13 e 14, legge 220/2010) e di presidio di legalit� sul territorio (art. 38, d.l. 223/2006, 
conv. in legge 248/2006), e che i dati dell�Osservatorio epidemiologico dipendenze patologiche 
dell�Universit� di Bologna, come divulgati dal dott. Pavarin, dimostrano che le ludopatie 
hanno un�incidenza limitata nella citt�; mentre (in base ad uno studio dell�arch. Rubini) la 
presenza di 498 luoghi sensibili preclude l�ubicazione delle sale in un�area dalla superficie 
totale di 65 kmq, pari al 47% dell�area totale racchiusa tra il semianello della tangenziale nord
CONTENZIOSO NAZIONALE 151 
e la zona collinare a sud, vale a dire la zona nevralgica in cui � concentrata la popolazione residente 
e dunque la potenziale utenza delle sale scommesse. 
9.6. Il diniego di autorizzazione ex art. 88 TULPS � inficiato da invalidit� derivata. 
10. La societ� appellata e la Questura hanno depositato memorie e memorie di replica. 
11. Il Collegio rileva anzitutto l�inammissibilit� della costituzione in giudizio, con memoria 
non notificata, della Questura, in quanto soggetto avente l�onere di proporre appello e non legittimato 
ad assumere nel giudizio di impugnazione una posizione adesiva di mero interveniente 
al fine di rimuovere una soccombenza �principale� sancita dalla decisione di primo grado. 
12. Occorre poi sottolineare che, nelle more del giudizio: 
- sono state rilasciate alla societ� appellata le autorizzazioni n. 309 e n. 181 in data 18 maggio 2015; 
- in data 3 giugno 2015 � entrato in vigore il nuovo Regolamento Edilizio Urbano, approvato 
con delibera di C.C. n. 201 del 20 aprile 2015, che, all�art. 32, comma 6, contiene una previsione 
della distanza minima pressoch� identica a quella annullata. 
13. Nella memoria di replica, la societ� appellata ne fa discendere il sopravvenuto difetto di 
interesse del Comune all�appello. 
L�eccezione va disattesa. 
Il Collegio non ritiene che si sia verificata l�improcedibilit� del ricorso, in quanto il rilascio 
delle autorizzazioni - come, del resto, espressamente sottolineato dalla Questura di Bologna 
con nota in data 23 settembre 2015 - � avvenuto in doverosa esecuzione della sentenza di 
primo grado, ed in quanto il Comune mantiene l�interesse a rivendicare la legittimit� della 
disposizione regolamentare precedente e dei provvedimenti adottati sulla base di essa, anche 
nella prospettiva di eventuali pretese risarcitorie. 
14. Nel merito, la soluzione data dal TAR non convince. 
14.1. Deve ritenersi che misure volte alla prevenzione ed al contrasto di forme di dipendenza 
dal gioco d�azzardo lecito (c.d. ludopatia o GAP - gioco d�azzardo patologico), come quella 
in questione - consistente nella imposizione di una distanza minima delle sale giochi e scommesse 
dai luoghi c.d. sensibili, vale a dire nei quali si presume la presenza di soggetti appartenenti 
alle categorie pi� vulnerabili o comunque in condizioni contingenti di difese ridotte 
rispetto alla tentazione del gioco d�azzardo ed all�illusione di poter conseguire attraverso di 
esso facili guadagni - rientrino principalmente nella materia della tutela della salute. 
La Corte Costituzionale, con riferimento alle disposizioni della l.p. Bolzano 13/2010, che prevedono 
limiti di distanza delle sale da gioco rispetto ai luoghi sensibili, ha escluso la violazione 
dell�art. 117, secondo comma, lettera h), della Costituzione, ossia della potest� legislativa 
esclusiva dello Stato in materia di ordine pubblico e sicurezza (sent. n. 300/2011). 
Ci�, precisando che tali disposizioni �sono dichiaratamente finalizzate a tutelare soggetti ritenuti 
maggiormente vulnerabili, o per la giovane et� o perch� bisognosi di cure di tipo sanitario 
o socio assistenziale, e a prevenire forme di gioco cosiddetto compulsivo, nonch� ad 
evitare effetti pregiudizievoli per il contesto urbano, la viabilit� e la quiete pubblica�, mentre 
la materia ordine pubblico e sicurezza, secondo la consolidata giurisprudenza della stessa 
Corte, �attiene alla �prevenzione dei reati ed al mantenimento dell�ordine pubblico�, inteso 
questo quale �complesso dei beni giuridici fondamentali e degli interessi pubblici primari 
sui quali si regge la civile convivenza nella comunit� nazionale��, e �La semplice circostanza 
che la disciplina normativa attenga a un bene giuridico fondamentale non vale, dunque, di 
per s�, a escludere la potest� legislativa regionale o provinciale, radicando quella statale�; 
per concludere nel senso della legittimit� delle suddette disposizioni provinciali, in quanto 
�hanno riguardo a situazioni che non necessariamente implicano un concreto pericolo di
152 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2016 
commissione di fatti penalmente illeciti o di turbativa dell�ordine pubblico, inteso nei termini 
dianzi evidenziati, preoccupandosi, piuttosto, delle conseguenze sociali dell�offerta dei giochi 
su fasce di consumatori psicologicamente pi� deboli, nonch� dell�impatto sul territorio dell�afflusso 
a detti giochi degli utenti� e che �non incidono direttamente sulla individuazione 
ed installazione dei giochi leciti, ma su fattori (quali la prossimit� a determinati luoghi e la 
pubblicit�) che potrebbero, da un canto, indurre al gioco un pubblico costituito da soggetti 
psicologicamente pi� vulnerabili od immaturi e, quindi, maggiormente esposti alla capacit� 
suggestiva dell�illusione di conseguire, tramite il gioco, vincite e facili guadagni; dall�altro, 
influire sulla viabilit� e sull�inquinamento acustico delle aree interessate� (sent. cit.). 
In sostanza (come espressamente sottolineato da TAR Lombardia, II, n. 1761/2015, con riferimento 
ad analoghe disposizioni della l.r. Lombardia n. 8/2013; da TAR Lazio, II, n. 2729/2014, 
con riferimento alla l.r. Liguria 17/2012; e da TRGA Trento, n. 206/2013, con riferimento alla 
l.p. Trento 9/2000), la Corte ha ritenuto che le disposizioni sui limiti di distanza imposti alle sale 
da gioco siano dirette al perseguimento di finalit� anzitutto di carattere socio-sanitario (come tali 
estranee rispetto alla materia della tutela dell�ordine pubblico, rimessa in via esclusiva allo Stato). 
A dette finalit� si affiancano finalit� attinenti al governo del territorio, sotto i profili della salvaguardia 
del contesto urbano e dell�ordinata viabilit�, oltre che al contenimento dell�inquinamento 
acustico. 
I poteri in questione incidono dunque, in netta prevalenza, in materie oggetto di potest� legislativa 
concorrente, nelle quali la Regione, ai sensi dell�art. 117, terzo comma, Cost., pu� legiferare 
nel rispetto dei principi fondamentali della legislazione statale. 
14.2. Dall�art. 7, comma 10, del d.l. 158/2012, si trae il principio della legittimit� di misure 
di pianificazione delle ubicazioni consentite alle sale giochi e scommesse basate su distanze 
minime da rispettare (definite dalla citata giurisprudenza �prevenzione logistica� delle ludopatie), 
non anche quello della necessit� della previa definizione di dette pianificazioni o dei 
relativi criteri orientativi a livello nazionale. 
Pu� convenirsi con la prevalente giurisprudenza che si � occupata della questione, nel senso 
che la disciplina statale e quella regionale siano reciprocamente coerenti rispetto all�obiettivo 
da perseguire, utilizzando strumenti analoghi con analoghe finalit� di prevenzione (oltre alle 
sentenze succitate, cfr. anche TAR Lombardia, I, n. 1613/2015). 
Non appare invece condivisibile la opposta interpretazione, sulla base della quale il TAR 
Lecce ha sollevato la questione di legittimit� costituzionale dell�art. 7 della l.r. Puglia 43/2013 
(che prevede analoga distanza minima), per contrasto con gli artt. 117, terzo comma, e secondo 
comma, lettera h), Cost. (cfr. ord. I, n. 2959/2015). 
D�altra parte, la disciplina statale, demandando all�Agenzia delle dogane e dei monopoli, sulla 
base di criteri da stabilire con decreto interministeriale, la pianificazione della �progressiva� 
ricollocazione di esercizi legittimamente insediati dopo la sua entrata in vigore, sembra presupporre 
anche la legittimit� di pianificazioni adottate prima della sua piena attuazione. 
Che questo sia il significato implicito della disciplina statale lo conferma la legge delega in 
materia fiscale 23/2014, che comprende, all�art. 14, comma 1, la delega al �riordino delle disposizioni 
vigenti in materia di giochi pubblici, riordinando tutte le norme in vigore in un 
codice delle disposizioni sui giochi�, la quale, pur essendo orientata dai principi e criteri direttivi 
secondo i quali occorre �introdurre e garantire l'applicazione di regole trasparenti e uniformi 
nell'intero territorio nazionale in materia di titoli abilitativi all'esercizio dell'offerta di 
gioco, di autorizzazioni e di controlli, garantendo forme vincolanti di partecipazione dei comuni 
competenti per territorio al procedimento di autorizzazione e di pianificazione, che tenga
CONTENZIOSO NAZIONALE 153 
conto di parametri di distanza da luoghi sensibili validi per l'intero territorio nazionale, della 
dislocazione locale di sale da gioco e di punti di vendita in cui si esercita come attivit� principale 
l'offerta di scommesse su eventi sportivi e non sportivi, nonch� in materia di installazione 
degli apparecchi idonei per il gioco lecito di cui all'articolo 110, comma 6, lettere a) e b), del 
testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, di cui al regio decreto 18 giugno 1931, n. 773, e 
successive modificazioni, comunque con riserva allo Stato della definizione delle regole necessarie 
per esigenze di ordine e sicurezza pubblica�, prevede anche espressamente che debba 
assicurarsi �la salvaguardia delle discipline regolatorie nel frattempo emanate a livello locale 
che risultino coerenti con i princ�pi delle norme di attuazione della presente lettera�. 
14.3. Anche la Corte Costituzionale, nel giudicare inammissibili (a causa della inadeguata valutazione 
della rilevanza nel giudizio a quo e di possibili soluzioni ermeneutiche alternative) 
le questioni di costituzionalit� sollevate dal TAR Piemonte nei confronti degli artt. 42 e 50, 
del d.lgs. 267/2000, e dell�art. 31, comma 2, del d.l. 201/2011, convertito dalla legge 214/2011 
(nella parte in cui tali disposizioni non prevedono la competenza dei Comuni ad adottare atti 
normativi e provvedimentali volti a limitare l�uso degli apparecchi da gioco di cui all�art. 110, 
comma 6, del TULPS), ha sottolineato che il giudice rimettente �omette di considerare che 
il potere di limitare la distribuzione sul territorio delle sale da gioco attraverso l'imposizione 
di distanze minime rispetto ai cosiddetti luoghi sensibili, potrebbe altres� essere ricondotto 
alla potest� degli enti locali in materia di pianificazione e governo del territorio, rispetto alla 
quale la Costituzione e la legge ordinaria conferiscono al Comune le relative funzioni� (sent. 
n. 220/2014); richiamando, a supporto di tale tesi, l�orientamento di questo Consiglio secondo 
il quale l�esercizio del potere di pianificazione non pu� essere inteso solo come un coordinamento 
delle potenzialit� edificatorie connesse al diritto di propriet�, ma deve essere ricostruito 
come intervento degli enti esponenziali sul proprio territorio, in funzione dello sviluppo complessivo 
ed armonico del medesimo, che tenga conto sia delle potenzialit� edificatorie dei 
suoli, sia di valori ambientali e paesaggistici, sia di esigenze di tutela della salute e quindi 
della vita salubre degli abitanti (cfr. Cons. Stato, IV, n. 2710/2012). 
14.4. In conclusione sul punto, la circostanza che la fissazione di �parametri di distanza da luoghi 
sensibili validi per l'intero territorio nazionale�, non sia ancora avvenuta, non impedisce l�esercizio 
dei concorrenti poteri, rivolti alle medesime finalit�, delle Regioni e degli Enti locali. 
Per le considerazioni esposte, sembra evidente che l�art. 6 della l.r. Emilia Romagna 5/2013, nel richiedere 
che le �previsioni urbanistico-territoriali in ordine alla localizzazione delle sale da gioco� 
siano adottate �nel rispetto delle pianificazioni� statali, non attribuisce a queste ultime il valore di 
presupposto necessario, ma richiede soltanto che le previsioni dettate nell�esercizio del potere di 
pianificazione comunale non si pongano in contrasto con le previsioni stabilite a livello nazionale. 
N� a diversa conclusione pu� condurre il fatto che l�Assemblea regionale, con atto di indirizzo-
ordine del giorno sul gioco d�azzardo patologico in data 2 luglio 2013, e pubblicato sul 
B.U.R. contestualmente alla l.r. 5/2013, abbia invitato il Governo a dare attuazione all�art. 7, 
comma 10, del d.l. 158/2012, posto che la esigenza, ivi indicata, di �fornire agli enti del governo 
territoriale una cornice normativa nazionale qualificata dalla certezza, che consenta 
di adottare atti normativi e pianificatori efficaci e non censurabili sotto il profilo della legittimit�� 
risulta strettamente collegata alla �progressiva ricollocazione� dei punti della rete fisica 
di raccolta del gioco, prevista dalla norma statale (ed estranea alla questione in esame), 
e che comunque l�esigenza di certezza non � incompatibile con la volont� di consentire da 
subito ai Comuni di pianificare le ubicazioni. 
15. La prospettazione dell�appello risulta pertanto fondata.
154 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2016 
16. Occorre di conseguenza esaminare le doglianze non esaminate dal TAR e riproposte dalla 
societ� appellata. 
16.1. Quanto all�esenzione per le autorizzazioni al trasferimento delle sale esistenti, sembra 
evidente che, in assenza di disciplina transitoria, la norma regolamentare si applichi a tutte le 
nuove domande di rilascio di autorizzazioni di p.s., che, ex art. 11 del regolamento di cui al 
r.d. 635/1940, devono essere valutate alla luce dei parametri pro-tempore vigenti. 
La circostanza che il verbale della commissione consiliare affari generali e istituzionali del 4 
novembre 2013 riporti la dichiarazione dell�assessore Monti, nel senso che �i locali � dovranno 
rispettare una distanza minima � questo per le nuove autorizzazioni, mentre per 
quelle gi� esistenti non varr� il limite della distanza �� non costituisce una sorta di �interpretazione 
autentica� in senso contrario, posto che (a parte la limitata rilevanza che avrebbe 
la singola opinione), trattandosi di applicare distanze minime, il riferimento alle autorizzazioni 
non pu� essere inteso disgiuntamente ai locali cui le autorizzazioni si riferiscono. 
16.2. Non vi � violazione del principio di irretroattivit�. 
Sembra evidente che, se, per l�esigenza di contemperare la prevenzione delle ludopatie con 
la salvaguardia delle attivit� economiche in essere, la norma sulle distanze minima non � retroattiva 
(nel senso che non incide sulle autorizzazioni in essere, ma soltanto su quelle richieste 
successivamente alla sua entrata in vigore), non per questo l�esistenza di un�autorizzazione 
pregressa giustifica una deroga permanente, che sottragga l�operatore all�applicazione della 
disciplina regolamentare a tutela della salute, quale che siano le vicende e le ubicazioni future 
del suo esercizio commerciale. Altrimenti, oltre a vanificare la portata della disciplina di tutela, 
si determinerebbe nel settore, attraverso la sorta di contingentamento o comunque la forte valorizzazione 
delle autorizzazioni preesistenti che ne conseguirebbero, una distorsione della 
concorrenza maggiore di quella che potrebbe essere imputata alle distanze minime. In altri 
termini, non � una comparazione tra vecchia e nuova ubicazione che viene demandata all�Amministrazione, 
in quanto la comparazione tra i contrapposti interessi l�ha gi� compiuta 
la norma regolamentare stabilendo la distanza minima, applicabile ad ogni nuova domanda 
di autorizzazione o di modifica dell�autorizzazione per trasferimento della sede. 
16.3. Il principio della �progressivit�� della riallocazione, � affermato dalla legge statale in 
relazione alle ubicazioni legittimamente assentite che risultassero contrastanti con le norme 
di salvaguardia successivamente definite attraverso la pianificazione di settore, quindi va a 
temperare un�ipotesi di limitazione delle attivit� economiche in essere ben maggiore di quella 
oggetto della controversia. Per il resto, ogni disciplina di tutela, ad effetti limitativi delle attivit� 
umane determina una cesura tra attivit�/ubicazioni autorizzate ed attivit�/ubicazioni (ancora) 
non autorizzate, senza che dai principi generali discenda la necessit� di far salvi i 
procedimenti autorizzatori in itinere e, in generale, di stabilire una disciplina transitoria. 
16.4. Appare invece fondata la censura rivolta al contenuto della misura di salvaguardia. 
Non tanto sotto il profilo dell�ampliamento delle categorie dei siti sensibili rispetto a quelle 
contemplate dal d.l. 158/2012, che nel caso in esame non assume rilevanza decisiva, posto 
che la nuova ubicazione prescelta dall�appellata non rispetta la distanza minima anche rispetto 
a due sedi scolastiche, categoria menzionata dalla legge statale. Quanto invece sotto il profilo 
dell�irragionevolezza della distanza minima di 1.000 metri, e del difetto di istruttoria e di motivazione 
in ordine all�effetto sostanzialmente preclusivo di nuove attivit� che avrebbe nello 
specifico contesto urbano di Bologna. 
La difesa del Comune ne eccepisce l�inammissibilit�, in quanto comporterebbero una sostituzione 
del giudice nell�esercizio di scelte di merito.
CONTENZIOSO NAZIONALE 155 
Il Collegio non � di questo avviso. 
Nel caso in esame, se l�effetto dissuasivo della distanza dalle sale giochi dei (luoghi in cui si 
trovano di regola i) soggetti da tutelare risponde ad un criterio presuntivo generalmente condiviso, 
manca una regola tecnica cui fare riferimento per misurare l�efficacia di una determinata 
distanza. 
Posto, dunque, che l�imposizione di una distanza di rispetto costituisce in via di principio uno 
strumento idoneo e necessario per tutelare l�interesse pubblico primario (prevenzione delle 
ludopatie), e che la massimizzazione della cura di tale interesse condurrebbe ad imporre distanze 
molto ampie, l�individuazione di una distanza, piuttosto che un�altra, discende invece 
dall�esercizio di una discrezionalit� amministrativa, che effettui la ponderazione con i contrapposti 
interessi allo svolgimento delle attivit� lecite di gioco e scommessa, alla luce dei 
canoni della adeguatezza e della proporzionalit�. 
In particolare, risponde ad un�esigenza di ragionevolezza che, in esito ad una valutazione dei 
comportamenti dei soggetti pi� vulnerabili e dell�incidenza del fenomeno delle ludopatie in 
un determinato contesto, venga stabilita dalla legge una distanza minima fissa, presuntivamente 
idonea ad assicurare un effetto dissuasivo, proteggendo i frequentatori dei c.d. siti sensibili; 
oppure, che la legge indichi detta distanza di rispetto nella sua misura massima, ovvero 
nella sua misura minima, consentendo alle Amministrazioni territoriali e locali di valutare le 
rispettive situazioni e di individuare conseguentemente come adeguate distanze diverse purch� 
rispettose del limite. 
Senza pretesa di esaustivit�: una distanza minima di cinquecento metri � prescritta dall�art. 4 
della l.r. Toscana 57/2013, dall�art. 7 della l.r. Puglia 43/2013 e dall�art. 6 della l.r. Basilicata 
30/2014; una distanza minima di trecento metri � invece prescritta dall�art. 5-bis della l.p. 
Bolzano 13/1992, dall�art. 13-bis della l.p. Trento 9/2000, dall�art. 5 della l.r. Liguria 13/2015 
e dall�art. 3 della l.r. Abruzzo 40/2013; una distanza minima, determinata dalla Giunta regionale, 
ma comunque non superiore a cinquecento metri, � prevista dall�art. 5, comma 1, della 
l.r. Lombardia 8/2013, e dall�art. 6 della l.r. Friuli VG n. 1/2014, analogo potere � attribuito 
ai Comuni dall�art. 6 della l.r. Umbria 21/2014, mentre l�art. 4 della l.r. Valle d�Aosta 14/2015 
prevede la stessa distanza, ma consente ai Comuni di stabilire una distanza maggiore; infine, 
l�art. 20 della l.r. Veneto 6/2015, senza individuare una distanza di riferimento, attribuisce ai 
Comuni il potere di stabilire la distanza minima. 
La Regione Emilia Romagna non ha stabilito una distanza minima, cos� onerando gli enti locali 
di individuarla, contemperando gli interessi in gioco in relazione alle caratteristiche che 
assumono nello specifico contesto sociale di applicazione. 
Pertanto, il Comune di Bologna avrebbe dovuto analizzare in modo approfondito l�incidenza 
delle ludopatie nel proprio territorio, valutare in relazione ad essa quale distanza di rispetto 
poteva ritenersi astrattamente adeguata alla consistenza del fenomeno da contrastare, e verificare 
se, in relazione alla diffusione dei siti sensibili, una simile distanza fosse misura proporzionata 
e sostenibile, in quanto tale da non impedire di fatto nuove ubicazioni per gli 
esercizi commerciali del settore e la disponibilit� di sedi alternative in vista di possibili trasferimenti 
degli esercizi in attivit�. 
Pu� convenirsi che, al riguardo, si trattasse di esercitare una discrezionalit� piuttosto ampia, 
limitatamente sindacabile. 
Tuttavia, nel caso in esame, non � stato argomentato dal Comune appellante, n� risulta dalla 
documentazione in atti, che valutazioni di tal genere siano state compiute. 
La difesa del Comune richiama (oltre che, genericamente, un atto di indirizzo della Regione,
156 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2016 
da cui il Comune avrebbe tratto i dati di un censimento sul gioco d�azzardo effettuato su scala 
nazionale dalla Presidenza del Consiglio e dell�indagine conoscitiva curata da Eurispes e dalla 
Onlus Telefono Azzurro circa il coinvolgimento dei bambini) il verbale della seduta del Consiglio 
comunale in cui � stata approvata la modifica regolamentare; ma dalla lettura degli interventi, 
assai estesi, dell�assessore competente e dei rappresentanti di tutte le forze politiche, 
non si evincono considerazioni specifiche e basate su argomenti non esclusivamente di natura 
politica, circa l�adeguatezza e l�incidenza concreta sul territorio della distanza minima di 1.000 
metri contenuta nella proposta da approvare. 
Per contro, come sopra esposto, a corredo della censura la societ� appellata ha prospettato 
elementi (non espressamente confutati dalla difesa del Comune) che, unitamente alla considerazione 
dei meno impegnativi limiti di distanza adottati in altre Regioni, appaiono tali da 
poter mettere seriamente in discussione la ragionevolezza, adeguatezza e proporzionalit� della 
decisione di stabilire una distanza di 1.000 metri. 
17. Infine, per quanto esposto, la pianificazione comunale prevista dalla l.r. 5/2013 si concretizza 
in disposizioni �urbanistico-territoriali�, aventi finalit� di tutela della salute, ma anche 
di qualit� ambientale urbana in senso lato. 
La differenza, rispetto ad una disciplina come quella del regolamento di polizia urbana, oltre 
che nelle finalit� di cura di interessi pubblici (in quel caso, concernenti l�incolumit� pubblica 
ed il decoro urbano) che la ispirano, sta nel fatto che per il regolamento edilizio, quale componente 
della pianificazione urbanistica generale, la l.r. 20/2000 prevede un procedimento 
che comprende fasi di partecipazione idonee a far emergere la effettiva consistenza degli interessi 
in gioco, cos� da consentire valutazioni complete e razionali. 
Proprio ci� che, per quanto esposto, non risulta essere avvenuto ai fini dell�adozione della 
norma regolamentare oggetto della controversia. 
Va aggiunto che non sembra che l�esame di questo profilo di censura (in quanto non dedotto 
con appello incidentale) debba ritenersi precluso dalla circostanza che il TAR (nell�accogliere 
il motivo di ricorso incentrato sulla mancata attuazione dell�art. 7, comma 10, del d.l. 
158/2011) ha accennato anche alla riconducibilit� della norma regolamentare impugnata a finalit� 
di ordine pubblico, posto che comunque � mancata in primo grado una espressa considerazione 
della natura della potest� esercitata, e che non vi � corrispondenza biunivoca tra la 
potest� pianificatoria e le molteplici finalit� perseguibili. 
Anche sotto questo profilo (cfr., supra, 9.1.), pertanto, il ricorso introduttivo � fondato ed 
avrebbe dovuto essere accolto. 
18. Dalla fondatezza dei profili di censura esaminati per ultimi, discende che la sentenza di 
primo grado merita di essere confermata, per quanto riguarda l�accoglimento del ricorso introduttivo, 
ma con la diversa motivazione sopra esposta. 
19. Le spese del doppio grado di giudizio, stante la relativa novit� delle questioni affrontate, 
possono essere integralmente compensate tra le parti. 
P.Q.M. 
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza), definitivamente pronunciando 
sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge e conferma, con diversa motivazione, la 
sentenza appellata. 
Spese compensate. 
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorit� amministrativa. 
Cos� deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 14 gennaio 2016.
CONTENZIOSO NAZIONALE 157 
La giurisprudenza amministrativa e i vincoli paesaggistici 
CONSIGLIO DI STATO, SEZ. SESTA, SENTENZA 7 MARZO 2016 N. 914 
La sentenza in rassegna che si pone nel solco della giurisprudenza amministrativa 
sull�agro romano precisa che il Ministero ha potere autonomo, 
oltre a quello sostitutivo delle regioni inerti, in tema di vincoli paesaggistici 
confutando la tesi del T.a.r. Lazio che aveva ritenuto configurarsi solo un potere 
sostitutivo. 
Si pubblica l�appello interposto dall�Amministrazione statale avverso la 
pronuncia del T.a.r. Lazio. 
CT 2307/2011 - sez. IV - avv. Scino 
AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO 
ECC.MO CONSIGLIO DI STATO 
RICORSO IN APPELLO E CONTESTUALE ISTANZA EX ART. 98 C.P.A. 
Per il MINISTERO DEI BENI E DELLE ATTIVIT� CULTURALI E DEL TURISMO (C.F. 80188210589), 
con riferimento alla Direzione generale per i beni culturali e paesaggistici del Lazio, in persona 
del Ministro p.t., rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, Fax 
06/96514000, presso i cui uffici domicilia in Roma alla Via dei Portoghesi, n. 12, PEC 
ags_rm2@mailcert.avvocaturastato.it; 
appellante 
contro 
G.S. S.a.s., in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa dall'avv. Angelo Di Silvio 
ed elettivamente domiciliata presso lo Studio dell�avv. Enrico Valentini in Roma, Viale 
delle Milizie, n. 34; 
appellata 
e per quanto di interesse 
ASSOCIAZIONE SVILUPPO SOSTENIBILE ALFINA, in persona del rappresentante legale pro tempore, 
rappresentata e difesa dagli avv.ti Michele Venturiello e Maria Grazia Carcione ed elettivamente 
domiciliata presso lo Studio del primo dei suindicati difensori in Roma, Largo 
Messico, n. 6; 
per l'annullamento e/o la riforma 
della sentenza del TAR del Lazio, sez. II-quater, n. 10436, depositata il 29.07.2015, non notificata. 
*** 
FATTO 
1. � La G.S. S.a.s. � una societ� operante nel settore delle attivit� estrattive autorizzata allo 
svolgimento di attivit� estrattiva di basalto in localit� �Le Greppie� nel Comune di Acquapendente 
(Viterbo) dal 1988. Nel ricorso intoduttivo in primo grado la predetta Societ� ha riferito 
di avere acquistato nel 2005 i terreni confinanti con l�attuale cava �Le Greppie� di 
talch�, non essendo stati opposti dal Comune ostacoli all�attivit� estrattiva derivanti da vincoli 
ostativi, essa redigeva il progetto di ampliamento del sito della cava e provvedeva ad avviare 
una operazione di ammodernamento delle attrezzature produttive. 
Ha riferito ancora la societ� ricorrente che nel marzo 2010, mentre si era prossimi al rilascio
158 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2016 
dell�autorizzazione all�ampliamento della cava ed alla conseguente stipula della nuova convenzione, 
il Comune di Acquapendente riferiva della intenzione da parte del Ministero per i 
beni e le attivit� culturali (d�ora in poi, per brevit� e con riferimento all�attuale denominazione 
corretta, MIBACT) di notificare una proposta di vincolo che avrebbe ricompreso anche l�area 
della cava, circostanza che si verific� nel corso del successivo mese di maggio quando il MIBACT 
comunic� al Comune la proposta di dichiarazione di vincolo paesaggistico, con conseguente 
sospensione del rilascio di titoli autorizzativi sull�area interessata dal vincolo. Tale 
proposta rimase senza definizione per scadenza dei termini di cui all�art. 140 del decreto legislativo 
n. 42 del 2004. 
Successivamente il MIBACT, con la nota prot. n. 0017580 dell'11 novembre 2010 dava avvio 
ad una nuova procedura con l�adozione di una nuova proposta sulla medesima area, denominata 
"Altopiano dell'Alfina" come apliamento del vincolo, D.M. 22 maggio 1985, "Monte 
Rufeno e Valle della Paglia" ex artt. 136, lett. d), 138, comma 3, 141, comma 1, D.Lgs. 
42/2004 (all. 1). 
L'ambito paesaggistico interessato dalla proposta di ampliamento abbraccia un territorio vasto 
del quale la cava attualmente ne occupa una porzione lmitata come si evince dalla planimetria 
esplicativa (all. 13) e come descritto nella definizione del perimetro (all. 13 bis). 
Tale proposta veniva fatta oggetto del gravame originario del giudizio davanti al TAR del 
LAZIO, sez. II-quaer, con prospettazione dei seguenti motivi di gravame: 
1) abuso di potere da parte del Ministero essendosi quest�ultimo assunto competenze proprie 
della Regione Lazio ed avendo reiterato una proposta di vincolo ormai decaduta con conseguente 
applicazione delle misure di salvaguardia (che nella specie impedirebbero alla ricorrente 
di dare esecuzione ai lavori di ampliamento della cava); 
2) la nuova proposta di vincolo, trattandosi di una mera reiterazione della precedente gi� scaduta 
per decorrenza dei termini, avrebbe dovuto contenere una specifica motivazione circa le 
ragioni che sorreggevano la scelta di reiterare la proposta; al contrario il provvedimento qui 
impugnato non cita neppure il precedente procedimento; 
3) la proposta di vincolo nella realt� � tesa a garantire il raggiungimento di interessi privati 
opposti rispetto a quelli vantati dalla Societ� ricorrente, con l�unico obiettivo di impedire a 
quest�ultima di realizzare l�ampliamento della cava; 
4) per la ragione appena espressa il provvedimento deve considerarsi adottato in sviamento 
di potere; 
5) violazione degli artt. 141-bis e 156 del d.lgs. n. 42 del 2004, atteso che dette norme introducono 
un mero potere sostitutivo del Ministero subordinato all�inerzia protratta dalle commissioni 
provinciali ovvero dalla Regione, avendo quindi il legislatore inteso limitare le 
competenze ministeriali ed attribuendo un ruolo primario alle valutazioni regionali anche in 
funzione degli obiettivi di pianificazione paesaggistica. Nel caso di specie invece, a fronte di 
una iniziativa privata perch� fosse proposta l�imposizione del vincolo sull�area in questione 
avanzata nel 2006 e dopo che il Piano territoriale paesaggistico nel 2007 ha qualificato la 
zona come �agricola�, senza che i rappresentanti del Ministero che avevano partecipato ai lavori 
per la redazione del Piano avessero sollevato alcuna contestazione in merito, di talch� il 
Ministero avrebbe potuto e/o dovuto provvedere in via sostitutiva rispetto al contenuto del 
Piano, soltanto in data 19 aprile 2010 la proposta di vincolo veniva reiterata e successivamente, 
una volta scaduti i termini per l�adozione del relativo provvedimento definitivo, ancora reiterata 
in data 11 novembre 2010; 
6) violazione di legge per mancata convocazione della conferenza di servizi in quanto, posto
CONTENZIOSO NAZIONALE 159 
che l�obiettivo dell�intervento ministeriale � quello di tutelare l�altopiano dell�Alfina e che 
tale zona interessa sia la Regione Lazio che la Regione Umbria, avrebbe dovuto essere inserito 
all�interno del procedimento di proposta del vincolo un momento di confronto tra le amministrazioni 
interessate per il tramite della convocazione di una conferenza di servizi. 
Seguono altre censure con le quali la societ� ricorrente articola ipotesi di eccesso di potere 
per illogicit� e contrariet�, difetto di istruttoria e travisamento dei fatti. 
Alla domanda di annullamento dell�atto impugnato veniva fatta seguire una domanda risarcitoria. 
2. � Con ricorso recante motivi aggiunti la societ� ricorrente ha chiesto l�annullamento del decreto 
di dichiarazione di notevole interesse pubblico dell�area sita nel Comune di Acquapendente 
denominata �Altopiano dell�Alfina ampliamento del vincolo �Monte Rufeno e Valle del 
Paglia��, di cui al D.M. 22 maggio 1985, emanato dalla Direzione generale per i beni culturali 
e paesaggistici del Lazio del MIBACT, in data 12 maggio 2011 e pubblicato in data 16 maggio 
2011 sulla Gazzetta Ufficiale-Serie Generale-parte prima n. 112 nonch� del parere reso dal Comitato 
scientifico per i Beni architettonici e paesaggistici emesso in data 9 maggio 2011. 
Nei confronti di tale atto, con il quale si � completata la procedura avviata con la proposta impugnata 
con il ricorso principale, la societ� ricorrente ha dedotto i seguenti motivi di censura: 
1) illegittimit� per violazione dell�art. 141, comma 2, del d. lgs. n. 42 del 2004 nonch� del 
d.PR. n. 233 del 2007 in quanto il comitato tecnico scientifico che ha espresso il proprio avviso 
obbligatorio per come stabilito dall�art. 141, comma 2, del d. lgs. n. 42 del 2004 vedeva tra i 
suoi componenti quale vice presidente, facente per� le funzioni di presidente (atteso che il 
presidente in carica, arch. G.C., era assente in quanto si era nella specie astenuto per conflitto 
di interessi con il fratello, arch. L.C., promotore dell�iniziativa di richiedere la dichiarazione 
di notevole interesse dell�area in questione), l�arch. R.M. che era in quiescenza dal 2010 e 
quindi privo di potere di rappresentanza dell�ente, con la conseguenza che la sua presenza nel 
Comitato ne ha inficiato i lavori e le decisioni facendo venir meno il numero legale dell�organo 
collegiale, quanto alla valida e completa presenza dei componenti sia per lo svolgimento dei 
lavori dell�organo medesimo sia con riguardo alla decisione assunta. D�altronde l�affermazione 
proveniente dal Ministero che il Comitato operasse in regime di �prorogatio� renderebbe 
addirittura nullo il parere espresso dal Comitato medesimo; 
2) venivano poi reiterati i motivi di censura dedotti con il ricorso principale sostenendone 
l�incidenza patologica in via derivata nei confronti del successivo atto impugnato con i motivi 
aggiunti. 
3. � Si � costituito in entrambi i giudizi l'intestata Amministrazione contestando analiticamente 
le avverse prospettazioni e chiedendo la reiezione dei gravami, attesa la correttezza delle procedure 
svolte dai competenti uffici ministeriali. 
� intervenuta in giudizio, ad opponendum, l�Associazione sviluppo sostenibile Alfina. 
Con ordinanza n. 1547 del 29 aprile 2011, non ravvisando profili di �periculum in mora�, la 
Sezione ha respinto l�istanza cautelare avanzata dalla ricorrente. 
Con sentenza n. 10436, depositata il 29 luglio 2015, il TAR del Lazio, sez. II-quater (all. 1), 
ha accolto parzialmente le pretese avanzate dalla ricorrente, annullando gli atti impugnati 
negli stretti limiti e sulla base della seguente e assorbente motivazione: 
"[...] dalla documentazione prodotta emerge che autonomamente il Ministero ha dato corso 
al potere sostitutivo previsto dal decreto legislativo n. 42 del 2004 per la dichiarazione di notevole 
interesse pubblico dell�intera area dell�Altopiano dell�Alfina, successivamente alla 
scadenza del termine per la definizione della procedura ordinaria e nonostante fosse noto ai 
competenti uffici ministeriali che ai sensi del PTPR del 2007 l�area in questione era stata
160 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2016 
qualificata in termini di �zona agricola� assente da vincoli, tanto � vero che il Comune di 
Acquapendente il 17 dicembre 2012, sulla scorta della suindicata qualificazione dell�area, 
autorizzava l�odierna ricorrente ad un parziale ampliamento della cava. 
Il provvedimento con il quale si � avviata la seconda procedura sostitutiva da parte del Ministero 
(impugnato con il ricorso principale) e il successivo provvedimento di dichiarazione definitiva 
dell�area di interesse pubblico (impugnato con motivi aggiunti) non fanno alcun riferimento 
alle ragioni che hanno indotto il Ministero, nonostante fosse stata lasciata cadere nel nulla la 
prima procedura per decorso dei termini, a riproporre un procedimento di dichiarazione di interesse 
pubblico dell�Altopiano dell�Alfina, esercitando peraltro il potere in via sostitutiva nei 
confronti della Regione Lazio e nonostante fosse stato gi� adottato un PTPR. 
� pur vero che, in virt� delle disposizioni legislative pi� sopra ricordate, in capo al Ministero, 
in attuazione dell�art. 9 Cost., deve essere riconosciuto un autonomo potere di disporre 
il vincolo paesaggistico su un�area (rispetto al corrispondente potere regionale 
previsto dal decreto legislativo n. 42 del 2004) mediante determinazioni che hanno �ipso 
iure� l�effetto della conseguente e corrispondente integrazione del piano regionale, qualora 
(come nel caso di specie) esso sia stato gi� emanato, purtuttavia tale potere deve essere 
esercitato nel pi� rigoroso rispetto del principio di leale collaborazione tra enti, in relazione 
al quale al Ministero non � impedito di imporre la dichiarazione, ma ci� deve avvenire attraverso 
un procedimento che consenta agli enti coinvolti di partecipare pienamente all�esercizio 
dell�azione autoritativa, venendo comunque a conoscenza delle ragioni che 
hanno indotto il Ministero alla decisione" (Par. 6.) 
In definitiva, dalla motivazione richiamata, secondo il giudice di primo grado la correttezza 
della procedura in oggetto sarebbe inficiata sotto un duplice profilo: 
- Difetto di motivazione. Il MIBACT avrebbe provocato una riedizione della procedura volta 
all'imposizione del vincolo paesaggistico sull'area denominata "Altopiano dell'Alfina" senza 
esplicitare adeguatamente le ragioni sottese a tale nuova iniziativa. 
- Eccesso di potere. Il riesercizio del potere amministrativo sarebbe avvenuto in via sostitutiva 
rispetto alla Regione Lazio, in spregio all'esigenza di leale collaborazione che le norme della 
procedura in esame (art. 136 ss. del D.Lgs. citato) impongono, in particolare senza aver prima 
recepito il relativo "parere obbligatorio" di cui all'art. 138, comma 3, D.Lgs. 42/04. In tale 
contesto si aggiungerebbe la circostanza che gli atti impugnati (la proposta di vincolo paesaggistico 
ed il successivo decreto di dichiarazione di notevole interesse pubblico dell'area 
suddetta) sono intervenuti nonostante fosse gi� stato adottato un PTPR (Piano Territoriale 
Paesaggistico Regionale) del 2007 che qualificava espressamente l'area in questione in termini 
di "zona agricola", esente da vincoli. 
*** 
Tale motivazione non pu� essere condivisa e, pertanto, la sentenza su indicata merita di essere 
riformata per i seguenti motivi di: 
DIRITTO 
1. Sul potere del MIBACT, di dichiarazione del notevole interesse pubblico di beni paesaggistici 
(art. 183, co. 3, D.Lgs. 42/2004). 
1.1. L'assunto da cui muove la pronuncia impugnata, secondo cui il potere ministeriale di imposizione 
del vincolo paesaggistico avrebbe natura sostitutiva delle attribuzioni originariamente 
spettanti all'Ente regionale appare errato alla luce del costante orientamento della 
giurisprudenza e contrastante con i principi costituzionali in materia (art. 9 Cost.).
CONTENZIOSO NAZIONALE 161 
I provvedimenti impugnati sono stati emanati ai sensi dell'art. 141, comma 2, del Codice, sulla 
base dei relativi articoli 136, 138, 139 e 140, e perci� nell'esercizio del potere del Ministero 
di dichiarare il notevole interesse pubblico di beni paesaggistici ad esso attribuito dall'art. 
138, comma 3. 
Tale potere � autonomo rispetto a quello attribuito alle Regioni per corrispondenti esigenze 
di tutela, considerato che: 
a) nell'ambito della disciplina dell'iter di formazione della dichiarazione di notevole interesse 
pubblico, la medesima disposizione prevede che comunque � "Fatto salvo il potere del Ministero" 
su proposta motivata del soprintendente, previo parere della regione interessata, "di dichiarare 
il notevole interesse pubblico degli immobili e delle aree di cui all'articolo 136"; 
b) ai sensi dell'art. 140, comma 2, del Codice (richiamato dall'art. 141 concernente i provvedimenti 
ministeriali), la dichiarazione determinata dal Ministero diviene "parte integrante del 
piano paesaggistico" di cui all'art. 135 "e non � suscettibile di rimozioni o modifiche nel corso 
del procedimento di redazione o revisione del piano medesimo". 
"In considerazione della titolarit� in capo allo Stato dei poteri sussistenti in materia (sulla 
base in primis dell'art. 9 della Costituzione), la normativa del Codice ha dunque stabilito 
espressamente l'autonomia del potere ministeriale di disporre il vincolo paesaggistico (rispetto 
al corrispondente potere attribuito alla Regione sulla base della legislazione trasfusa 
nel Codice del 2004), mediante determinazioni che hanno ipso iure l'effetto della conseguente 
e corrispondente integrazione del piano regionale, qualora gi� emanato". (Cons. Stato, sez. 
VI, 11 gennaio 2013, n. 118; nello stesso senso Cons. Stato, sez. VI, 11 gennaio 2013, n. 120; 
TAR Lazio, n. 36851/2010). 
Sulla base di quanto sopra si � pertanto conlcuso che: 
"a) l'esercizio della potest� di determinazione del vincolo attribuita al Ministero dall'art. 138, 
comma 3, in quanto autonoma ai sensi del quadro normativo sopra delineato (e attribuita 
alla autorit� statale in doverosa attuazione dell'art. 9 della Costituzione), non � condizionata 
alla previa inerzia della Regione, essendo altres� estranea alla tematica (come nel caso di 
specie, n.d.r.) la previsione dell'art. 143, comma 2, del Codice, poich� relativa al diverso procedimento 
della elaborazione del piano paesaggistico; 
b) il principio di leale cooperazione tra le amministrazioni pubbliche, e in particolare tra il 
Ministero e le Regioni, posto dall'art. 133 del Codice si concreta, nella specie, nella disciplina 
di cui al medesimo comma 3 dell'art. 138, che prevede il parere obbligatorio ma non vincolante 
della Regione (da rendere entro trenta giorni dalla richiesta), e di cui all'art. 141 che, 
nel richiamare l'applicazione degli articoli 139 e 140, inserisce nell'iter di formazione del 
provvedimento ministeriale le modalit� partecipative ivi definite (in particolare dei Comuni 
interessati), con la proposizione di osservazioni da valutare, oltre la previsione del parere del 
competente Comitato tecnico scientifico" (Cons. Stato, n. 118/2013, cit.) 
Tale assetto, peraltro, si pone in conformit� a quanto gi� da tempo stabilito in materia dalla 
Corte Costituzionale (gi� a partire da C. cost., 24 luglio 1998, n. 334). 
1.2. Sulla base delle considerazioni svolte, � manifesto che il potere assegnato al MIBACT
162 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2016 
dall'art. 138, co. 3, D.Lgs. 42/04 non � un potere sostitutivo, bens� un "autonomo poteredovere 
d'intervento". 
Ci� chiarito, non trovano fondamento le censure mosse nella motivazione della sentenza impugnata 
(Par. 6 della sentenza, citato in fatto) secondo cui non vi sarebbe stato alcun coinvolgimento 
degli Enti Territoriali interessati, ed in particolare della Regione Lazio. 
Nel caso di specie si osserva che � stato scrupolosamente rispettato l'iter dettato dall'art. 141, 
D.Lgs. 42/04 (che, come detto, disciplina la procedura per l'esercizio del potere del Ministero 
ex art. 138, comma 3), e con specifica attenzione agli aspetti della procedura che qui interessano 
si osserva quanto segue. 
L'area in esame � stata considerata omogenea dal punto di vista delle qualit� paesaggistiche. 
Pertanto per perseguire gli obiettivi di tutela si � reso necessario che anche il PTPR venisse 
adeguato. 
Il PTPR � stato adottato con atti della Giunta Regionale del 27 luglio 2007, n. 556 e del 21 dicembre 
2007, n. 1025, e pubblicato nel Supplemento n. 14 del BUR n. 6 del 14 febbraio 2008. 
Il suddetto Piano classifica la zona interessata in "sistema del paesaggio agrario", dividendo il 
territorio in due ambiti di paesaggio: agrario di rilevante valore e paesaggio agrario di valore. 
L'obiettivo della presente tutela � di ottenere un territorio che sia sottoposto a disposizioni normative 
che mantengano le qualit� prevalentemente naturalistiche correlando le attivit� che si 
possono svolgere. La normativa adottata, anche se trattasi di ambito agrario non garantisce il 
raggiungimento degli obiettivi che la tutela si prefigge, pertanto si rende necessaria una valutazione 
pi� restrittiva ed omogenea. A tal fine si � proposto che l'intero territorio sia considerato 
come inserito nel sistema paesaggio naturale e ambito di paesaggio naturale agrario. 
In ossequio all'art. 138, comma 3, D.Lgs. 42/04, la Soprintendenza per i Beni Architettonici 
e Paesaggistici per le provincie di Roma, Frosinone, Latina, Rieti e Viterbo ha tempestivamente 
inviato, con nota del 28 ottobre 2010 - prot. n. 0016128 alla Regione Lazio la proposta 
di dichiarazione di notevole interesse pubblico, a cui quest'ultimo Ente, con nota del 9 novembre 
2010 - prot. n. 30142 (all. 14), "esamaniata la documentazione di supporto allegata 
alla richiesta di parere" ha espresso "condivisione sull'individuazione dell'ambito da tutelare 
e dei contenuti della proposta medesima" prendendo "favorevolmente atto che, per quanto 
attiene alla specifica disicplina dettata ai sensi dell'art. 140, c. 2 del Codice, sono state introdotte 
norme coerenti con l'articolato del Piano Territoriale Paesaggistico del Lazio". 
Alla luce di quanto dedotto non trova fondamento quanto affermato dal giudice di prime cure 
secondo cui il potere ministeriale sarebbe stato esercitato in via sostitutiva senza un adeguato 
coinvolgimento dell'Ente regionale interessato. 
2. Sulla motivazione della riedizione del procedimento amministrativo. 
2.1. In merito all'asserita carenza di motivazione, si ricorda che la giurisprudenza ha pacificamente 
stabilito che al "procedimento di competenza di integrazione degli elenchi delle bellezze 
ambientali (antenato dell'odierno istituto di dichiarazione di notevole interesse, n.d.r.) non sono 
applicabili le norme procedimentali previste dagli art. 2 ss. L. 29 giugno 1939 n. 1497, n� possono 
ritenersi applicabili le forme di partecipazione contemplate dalla L. 7 agosto 1990 n. 241, 
atteso che l'art. 13 di detta legge esclude l'operativit� delle norme in materia di partecipazione 
al procedimento in presenza di attivit� della p.a. diretta all'emanazione di atti normativi, amministrativi 
generali di pianificazione e di programmazione, per i quali restano ferme le particolari 
norme che ne regolano la formazione [...]" (Cons. Stato, sez. VI, 8 aprile 2002, n. 1898). 
Corrobora la natura di atto amministrativo a contenuto generale propria del provvedimento 
di dichiarazione di notevole interesse pubblico la copiosa e unanime giurisprudenza che ha
CONTENZIOSO NAZIONALE 163 
qualificato come tali tutti i provvedimenti della P.A. in materia di pianificazione e tutela del 
territorio (cfr. Cons. Stato, sez. V, 3 maggio 2006, n. 2471; Cons. Stato, sez. IV, 17 aprile 
2003, n. 2004; Cons. Stato, sez. V, 26 maggio 2003, n. 2852). 
A ulteriore prova della natura di atto a contenuto generale tipica della dichiarazione di notevole 
interesse pubblico, � sufficiente constatare: 
la natura di atto d'ufficio, e non su istanza privata, della dichiarazione; 
la notevole estensione del territorio considerato nella proposta; 
il numero indeterminato dei soggetti su cui detta dichiarazione � destinata ad incidere; 
la natura generale delle prescrizioni contenute nella dichiarazione; 
le forme di pubblicit�, tipiche degli atti a contenuto generale (e non di quelli destinati ad incidere 
direttamente su un determinato soggetto), che il D.Lgs. 42/2004 prescrive per il procedimento 
di dichiarazione di notevole interesse, visto che: 1. la "[...]proposta di dichiarazione 
di notevole interesse pubblico di cui all'articolo 138 ...(omissis)... � pubblicata per novanta 
giorni all'albo pretorio e depositata a disposizione del pubblico presso gli uffici dei comuni 
interessati"; 2. "dell'avvenuta proposta e relativa pubblicazione � data notizia su almeno due 
quotidiani diffusi nella regione interessata, nonch� su un quotidiano a diffusione nazionale" 
(avvenute peraltro in data 11 febbraio 2011); 3. la dichiarazione di notevole interesse pubblico 
adottata dal Ministero � pubblicata "nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana e nel 
Bollettino ufficiale della Regione". 
2.2. Ad ogni buon conto, qualora (nonostante quanto sopra) si disconoscesse la natura di atto 
a contenuto generale della dichiarazione di notevole interesse pubblico, occorrerebbe comunque 
rilevare che: 
1) il procedimento iniziato con la proposta del 11 novembre 2010 � assolutamente autonomo 
dal precedente, come dimostra anche: la richiesta di un nuovo parere alla Regione Lazio sulla 
proposta di dichiarazione (All. 14, sopra richiamato); la diversa attivit� istruttoria che ne sta 
alla base, viste le modifiche sull'uso dei luoghi. 
Sotto tale ultimo profilo occorre evidenziare che nell'avvio della procedura in esame si esplicita 
che si procede nuovamente "in considerazione di una migliore definizione dei parametri 
di tutela" (all. 1) e questo si evidenzia mettendo a raffronto gli obiettivi di tutela, i quali fanno 
parte della documentazione allegata e inoltrata al Comune di Acquapendente, i quali sono 
stati meglio definiti rispetto alla prima stesura (all. 8 e 8 bis). Ci� � scaturito dalla necessit� 
emersa durante l'ultima fase di ricognizione, anche in seguito a osservazioni pervenute, di 
tutti gli elementi a disposizione della Soprintendenza per mettere in condizione il Ministero 
di emanare la dichiarazione di particolare interesse dell'area in questione. Difatti si � svolta 
una riunione presso la Soprintendenza tra i funzionari di questo Ufficio e il Sindaco del Comune 
di Acquapendente, accompagnato da un suo legale. nel corso del quale � stato richiesto, 
tra l'altro, il certificato di destinazione urbanistica (all. 9) che il Comune ha inoltrato, per il 
tramite dell'Avv. X.S., con la nota n. prot. 0015493 del 25 ottobre 2010 (all. 10). Si deve notare 
che i termini della procedura cadevano proprio il 23 ottobre 2010. 
2) Le motivazioni (all. 11) della proposta di ampliamento del vincolo paesaggistico della zona 
"Monte Rufeno e Valle della Paglia", di cui al D.M. 22 maggio 1985 (GU supplemento ordinario 
al n. 176 del 27 luglio 1985) chiariscono ampiamente in ordine alle ragioni che hanno 
indotto il MIBACT ad avanzare la proposta di dichiarazione. 
Si riportano di seguito alcuni passaggi di queste: 
- il territorio "si presenta come un mosaico di aree coltivate, casali storici e aree boschive e rappresenta 
quindi uno degli ultimi esempi regionali di realt� agricola in equilibrio con l'ambiente;
164 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2016 
- l'area considerata � caratterizzata "da una struttura litologica di vulcaniti piroclastiche basaltiche 
ad alta permeabilit� e fessurazione"; 
- "il confronto tra la carta storica ottocentesca e quella attuale evidenzia la presenza di un 
territorio che ha modificato il proprio assetto in misura minima, quasi totalmente integro nei 
suoi caratteri originari. L'IGM del 1883 evidenzia ancor meglio l'andamento orografico e 
morfologico dell'area che si pu� mettere a confonto con l'attuale CTR". 
*** 
ISTANZA CAUTELARE DI SOSPENSIONE DELL'ESECUTIVIT� 
DELLA SENTENZA EX ART. 98 C.P.A 
Per quanto attiene al fumus boni juris si rimanda alla lettura dei motivi sopra esposti in fatto 
e in diritto. 
In merito al periculum in mora si osserva quanto segue: 
La sentenza impugnata ha annullato, con efficacia ex tunc, la proposta ed il successivo decreto 
di dichiarazione di notevole interesse pubblico dell�area sita nel Comune di Acquapendente 
denominata �Altopiano dell�Alfina ampliamento del vincolo �Monte Rufeno e Valle del Paglia� 
�, di cui al D.M. 22 maggio 1985, lasciando al contempo l'Autorit� ministeriale libera 
di riesercitare il relativo potere conformemente a quanto statuito (adeguata motivazione sulle 
ragioni della reiterazione e previa acquisizione del previsto parere regionale). 
Orbene, nelle more della definizione del giudizio, ed in attesa della riapertura del procedimento 
amministrativo, si palesa l'esigenza di scongiurare il pericolo che, in assenza del vincolo 
paesaggistico suddetto, l'Autorit� comunale proceda al rilascio delle autorizzazioni richieste 
dalla Societ� ricorrente ovvero che queste rivivano automaticamente, e che, pertanto, quest'ultima 
conduca attivit� estrattiva di cava nella zona interessata, producendosi cos� un danno 
irreparabile rappresentato dalla compromissione dell'integrit� paesaggistica e ambientale del 
bene che il MIBACT intende tutelare. 
I suesposti argomenti appaiono sufficienti per fondare, ai sensi dell'art. 98 c.p.a., una misura 
cautelare che sospenda l'esecutivit� della pronuncia. 
*** 
P.Q.M. 
Voglia codesto Ecc.mo Collegio, previa sospensione dell�esecutivit�, annullare la sentenza 
impugnata, con ogni conseguenza di legge anche in ordine a spese, competenze ed onori. 
Roma, 
Mario Antonio Scino 
Avvocato dello Stato 
RELATA DI NOTIFICA 
Ad istanza come in atti io sottoscritto Ufficiale giudiziario addetto all�UNEP presso la Corte 
di Appello di Roma ho notificato copia conforme del suesteso ricorso in appello al Consiglio 
di Stato a : 
- G.S. S.a.s., in persona del legale rappresentante, elettivamente domiciliata presso lo Studio 
dell�avv. Enrico Valentini in Roma, Viale delle Milizie, n. 34; 
- ASSOCIAZIONE SVILUPPO SOSTENIBILE ALFINA, in persona del rappresentante legale pro tempore, 
ed elettivamente domiciliata presso lo Studio dell'avv. Michele Venturiello in Roma, 
Largo Messico, n. 6. 
Data: 
R.n.crong.:
CONTENZIOSO NAZIONALE 165 
Consiglio di Stato, Sezione Sesta, sentenza 7 marzo 2016 n. 914 - Pres. G. Severini, Est. 
B. Lageder - Ministero beni ed attivit� culturali e turismo (avv. Stato M.A. Scino) c. G.S. s.a.s 
(avv. P. Marzola). 
(...) 
1. PREMESSO che, giusta segnalazione alle parti all�odierna udienza cautelare, sussistono i 
presupposti per decidere la controversia con sentenza in forma semplificata ai sensi dell�art. 
60 Cod. proc. amm. (con la precisazione, quanto alle esigenze di tutela cautelare, che le stesse 
devono ritenersi superate dall�adozione di una nuova proposta di vincolo in data 13 ottobre 
2015, con conseguente operativit� delle misure di salvaguardia ex art. 139, comma 4, d.lgs. 
n. 42 del 2004); 
2. RITENUTA l�infondatezza dell�eccezione pregiudiziale di inammissibilit� dell�appello per 
intervenuta acquiescenza - sollevata dalla parte appellata sotto il profilo della sopravvenuta 
adozione da parte del Ministero, in data 13 ottobre 2015, di una nuova, identica proposta di 
notevole interesse pubblico, ex art. 136 d.lgs. n. 42 del 2004, dell�area in questione -, trattandosi, 
invero, di riedizione del potere in seguito alla qui appellata sentenza del Tribunale amministrativo 
regionale, di annullamento con remand all�Amministrazione, e non potendosi 
all�esecuzione della sentenza di primo grado, provvisoriamente esecutiva, riconnettere valenza 
di acquiescenza, con la precisazione che la parte, la quale eccepisca l�inammissibilit� dell�appello 
per intervenuta acquiescenza, � onerata di allegare e provare atti espressi, inequivocabili 
e spontanei, posti in essere dall�appellante in epoca successiva alla pubblicazione della sentenza 
di primo grado ad essa sfavorevole, assolutamente incompatibili con la volont� di impugnarla: 
onere di allegazione e di prova, nella specie non assolto, non essendo dal tenore 
degli atti sopravvenuti (v. doc. 2 e 3 prodotti in allegato alla memoria di costituzione in appello) 
evincibile siffatta inequivoca ed espressa volont� di acquietarsi alla sentenza, tanto pi� 
che nella missiva del 10 ottobre 2015, diretta al Comune di Acquapendente, il Ministero ha 
dichiarato espressamente che �l�Avvocatura proceder� in tempi brevi a notificare l�appello, 
chiedendo altres� la sospensione dell�esecutivit� della sentenza�; 
3. RILEVATO, in linea di fatto, che il Tribunale amministrativo regionale per il Lazio con la 
sentenza in epigrafe ha accolto il ricorso n. 1158 del 2011 (integrato da motivi aggiunti), proposto 
dalla G.S. s.a.s. - nella sua qualit� di impresa operante nel settore delle attivit� estrattive, 
autorizzata allo svolgimento di attivit� estrattiva di basalto in localit� �Greppie� nel Comune 
di Acquapendente (Viterbo) sin dal 1988, ed acquirente, nel 2005, di terreni confinanti con l�attuale 
cava in funzione di un suo ampliamento - avverso la proposta e il successivo decreto del 
Ministero per i beni e per le attivit� culturali, Direzione generale per i beni culturali e paesaggistici 
del Lazio, del 12 maggio 2011, aventi ad oggetto la dichiarazione di notevole interesse 
pubblico ex art. 136, lett. d), d.lgs. n. 42 del 2004 dell�area denominata �Altopiano dell�Alfina 
- Ampliamento del vincolo �Monte Rufeno e Valle del Paglia� DM 22.05.1985�; 
4. CONSIDERATO, in particolare, che l�ad�to Tribunale amministrativo regionale, in accoglimento 
del ricorso, provvedeva come segue: 
- ravvisava integrati (i) il vizio di difetto di motivazione, sotto il profilo che il Ministero 
avrebbe provocato una riedizione della procedura del vincolo paesaggistico senza esplicitare 
adeguatamente le ragioni sottese a tale nuova iniziativa, nonostante che la precedente procedura 
(sfociata in una proposta di vincolo nel mese di maggio 2010) fosse stata lasciata cadere per 
decorso dei termini, e (ii) il vizio di violazione del principio di leale collaborazione con gli 
enti locali coinvolti, in quanto il riesercizio del potere amministrativo sarebbe avvenuto in via
166 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2016 
sostitutiva rispetto alla Regione Lazio senza acquisizione del parere obbligatorio ex art. 138, 
comma 3, d.lgs. n. 42 del 2004 e gli atti impugnati (proposta e decreto) sarebbero intervenuti 
nonostante che nel 2007 fosse gi� stato adottato un Piano territoriale paesaggistico regionale 
che qualificava espressamente l�area in questione come �zona agricola� esente da vincoli; 
- affermava, di conseguenza, la necessit� di rinnovare la procedura svolta, �mantenendo indenne 
la posizione di tutti i soggetti pubblici coinvolti e/o interessati ed alla quale deve accompagnarsi 
una adeguata motivazione tecnico-giuridica delle scelte che verranno operate dal Ministero e 
dagli altri enti (�) coinvolti nella procedura� (v. cos�, testualmente, l�appellata sentenza); 
5. RITENUTA la fondatezza dell�appello interposto dall�Amministrazione statale avverso tale 
sentenza, in quanto: 
- i provvedimenti impugnati sono stati emanati ai sensi del combinato disposto degli artt. 141, 
comma 2, 136, 138, 139 e 140 d.lgs. n. 42 del 2004, e perci� nell�esercizio del potere del Ministero 
di dichiarare il notevole interesse pubblico di beni paesaggistici, attribuito all�Amministrazione 
statale dall�art. 138, comma 3; 
- secondo consolidato orientamento di questa Sezione (v., per tutte, sentenze 11 gennaio 2013, 
n. 118 e n. 120), tale potere � autonomo - e non meramente sostitutivo, come assunto nell�appellata 
sentenza - rispetto a quello attribuito alle regioni per corrispondenti esigenze di tutela, 
poich�, in primo luogo, nell�ambito della disciplina dell�iter di formazione della dichiarazione 
di notevole interesse pubblico, la medesima disposizione prevede che comunque � �Fatto 
salvo il potere del Ministero (su proposta motivata del Soprintendente e previo parere della 
regione interessata; n.d.e.) di dichiarare il notevole interesse pubblico degli immobili e delle 
aree di cui all'articolo 136�, e, in secondo luogo, ai sensi dell�art. 140, comma 2, d.lgs. n. 42 
del 2004 (richiamato dall�art. 141, concernente i provvedimenti ministeriali), la dichiarazione 
determinata dal Ministero diviene �parte integrante del piano paesaggistico� di cui all�art. 
135 �e non � suscettibile di rimozioni o modifiche nel corso del procedimento di redazione o 
revisione del piano medesimo�; 
- in considerazione della titolarit�, in capo allo Stato, dei poteri in materia paesaggistica (sulla 
base in primis dell�art. 9 della Costituzione), la normativa del Codice ha dunque stabilito espressamente 
l�autonomia del potere ministeriale di disporre il vincolo paesaggistico (rispetto al 
corrispondente potere attribuito alla regione sulla base della legislazione trasfusa nel d.lgs. n. 
42 del 2004), mediante determinazioni che hanno ipso iure l�effetto della conseguente e corrispondente 
integrazione del Piano regionale, qualora - come nel caso di specie - gi� emanato; 
- non �, pertanto, condivisibile la qualificazione del potere ministeriale come meramente sostitutivo 
(v. punto 6. a pp. 15 e 16 dell�appellata sentenza), trattandosi per contro di potere 
autonomo (v. sopra); 
- n� si ravvisa la violazione del principio di leale collaborazione tra enti, essendo stato acquisito 
il parere (obbligatorio, ma non vincolante) della Regione Lazio, la quale con atto del 9 
novembre 2010, �esaminata la documentazione di supporto allegata alla richiesta di parere�, 
ha espresso �condivisione sull�individuazione dell�ambito da tutelare e dei contenuti della 
proposta medesima�, prendendo �favorevolmente atto che, per quanto attiene alla specifica 
disciplina dettata ai sensi dell�art. 140, co. 2, del Codice, sono state introdotte norme coerenti 
con l�articolato del Piano Territoriale Paesaggistico del Lazio�, e in particolare concordando, 
�per l�ambito individuato, sull�applicazione della disciplina di tutela e di uso del Paesaggio 
Naturale Agrario con le modifiche normative proposte�; 
- a fronte dell�autonomia del nuovo procedimento, non esisteva un obbligo motivazionale 
specifico in relazione alla procedura pregressa, non definita per decorso dei termini, mentre
CONTENZIOSO NAZIONALE 167 
la proposta e il decreto di vincolo qui impugnati sono sorretti da puntuale e approfondita istruttoria 
e motivazione, idonee a sorreggerne la portata dispositiva (v. infra sub 6.); 
- per le esposte ragioni e contrariamente a quanto ritenuto dal Tribunale amministrativo regionale, 
deve concludersi nel senso dell�inconsistenza dei vizi di cui sopra sub 4. (i) e 4. (ii), nonch� 
dei vizi di eccesso di potere riproposti nella memoria di costituzione in appello 4.1), 4.2) 
4.5) (sotto i profili di abuso dell�asserito potere sostitutivo e di omessa informazione in ordine 
al pregresso procedimento ed al relativo esito, nonch� di contraddittoriet�), presupponenti la - 
qui esclusa - qualificazione del potere ministeriale come potere sostitutivo e non autonomo; 
6. RILEVATO che, in reiezione degli altri motivi assorbiti ed espressamente riproposti nel 
presente grado nella memoria di costituzione in appello (per gli effetti di cui all�art. 101, 
comma 2, Cod. proc. amm.), s�impongono le seguenti considerazioni: 
- in reiezione dei motivi di eccesso di potere per travisamento, irragionevolezza e sviamento 
- di cui sub punti 4.3) �Eccesso di potere per travisamento dei fatti ed irragionevolezza della 
scelta discrezionale della p.a.�, 4.4) �Eccesso di potere consistente nello sviamento della 
causa tipica dell�atto impugnato�, 4.6) �Eccesso di potere della pubblica amministrazione 
in particolare disparit� di trattamento e contraddittoriet� dell�attivit� del Ministero�, 4.8) 
�Eccesso di potere consistente nella falsit� dei presupposti, travisamento, erronea valutazione 
dei fatti, illogicit� e contraddittoriet� della motivazione nonch� del comportamento della pubblica 
amministrazione� e 4.9) �Eccesso di potere per illogicit� e contraddittoriet� del comportamento 
del Ministero� della memoria di costituzione in appello -, � sufficiente rilevare, 
per un verso, che l�adombrato sviamento in funzione del perseguimento di asseriti interessi 
privati � rimasto privo di riscontri oggettivi precisi, gravi e concordanti, e, per altro verso, 
che la delimitazione dei confini di una zona da sottoporre a vincolo paesaggistico quale �bellezza 
d�insieme� ex art. 136, comma 1, lett. d), d.lgs. n. 42 (che non richiede necessariamente 
l�omogeneit� dei singoli elementi, nel senso che non ogni singolo elemento compreso nell�area 
assoggettata al vincolo deve presentare i caratteri della bellezza naturale) costituisce tipica 
espressione di una valutazione di discrezionalit� tecnica, non sindacabile se non sotto i profili 
della manifesta illogicit�, incongruit�, irragionevolezza o arbitrariet�, nella specie non ravvisabili 
alla luce del tenore puntuale e circostanziato delle relazioni e della documentazione planimetrica 
e fotografica richiamate ed allegate quali parti integranti (d)ai provvedimenti qui 
impugnati (v., in particolare, l�art. 2 del decreto di vincolo del 12 maggio 2011, in G.U. n. 
112 del 16 maggio 2011); 
- quanto ai dedotti vizi procedimentali, dalla documentazione versata in giudizio si evince la 
conformit� dell�azione amministrativa (compresa l�attivit� consultiva del comitato scientifico 
ex art. 141, comma 2) alla disciplina speciale dettata dagli artt. 136 ss. d.lgs. n. 42 del 2004, 
da ritenersi prevalente sulla disciplina generale ex l. n. 241 del 1990; 
7. RITENUTO conclusivamente che, per le esposte ragioni, in riforma dell�appellata sentenza, 
il ricorso di primo grado debba essere respinto, a spese del doppio grado di giudizio interamente 
compensate tra le parti; 
P.Q.M. 
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando 
sul ricorso, come in epigrafe proposto (ricorso n. 8815 del 2015), lo accoglie e, per l�effetto, 
in riforma dell�impugnata sentenza, respinge il ricorso di primo grado; dichiara le spese del 
doppio grado di giudizio interamente compensate tra le parti. 
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall�autorit� amministrativa. 
Cos� deciso in Roma, nella camera di consiglio del giorno 1� dicembre 2015.
PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 
Diniego della concessione della cittadinanza 
iure matrimoni: il giudice competente 
PARERE 14/04/2015-178316, AL 48965/14, AVV. ILIA MASSARELLI 
Con la nota che si riscontra, codesto Ufficio ha richiesto alla Scrivente 
parere in merito alla possibilit� di esperire ricorso straordinario al Capo dello 
Stato avverso i provvedimenti di diniego di concessione della cittadinanza per 
matrimonio di cui all'art. 5 l. 91/92. 
Pi� in particolare, si � chiesto di chiarire se la proponibilit� del suddetto ricorso 
debba essere limitata ai soli casi di diniego della cittadinanza disposti ai 
sensi dell'art. 6 lett. c) (motivi inerenti la sicurezza della Repubblica) della 1. 
91/92 o possa essere estesa anche ai casi in cui il rigetto sia altrimenti motivato. 
In un'ottica di rimeditazione e superamento della posizione espressa dalla 
Scrivente nei precedenti pareri citati nella nota che si riscontra, la soluzione 
del citato quesito si ritiene debba individuarsi alla luce della non meno problematica 
questione relativa al riparto di giurisdizione in materia di controversie 
concernenti l'acquisto della cittadinanza iure matrimonii. 
Con riferimento a tale questione, invero, gi� la Corte di Cassazione, sin 
dal lontano 1993 con la sentenza n. 7441, era intervenuta a qualificare l'acquisto 
della cittadinanza iuris communicatione come "un diritto soggettivo dello 
straniero che possegga i requisiti legali e nei cui confronti non sussistano le 
cause preclusive indicate dalla legge", precisando a tal fine che lo stesso "affievolisce 
ad interesse legittimo solo in presenza dell'esercizio, da parte della 
pubblica amministrazione, del potere discrezionale di valutare l'esistenza di 
motivi inerenti alla sicurezza della Repubblica che ostino a detto acquisto, con 
la conseguenza che, una volta precluso l'esercizio di tale potere - a seguito 
dell'inutile decorso del termine previsto (un anno dalla presentazione dell'istanza, 
in base all'art. 4 comma 2, legge n. 123 del 1983, elevato a due anni, 
per il primo triennio di applicazione di detta legge, in forza dell'art. 6 legge
170 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2016 
citata, e definitivamente, in forza dell'art. 8, comma 2, legge n. 91 del 1992 -, 
in caso di mancata emissione del decreto di acquisto della cittadinanza, come 
di rigetto della relativa istanza, ove si contesti la ricorrenza degli altri presupposti 
tassativamente indicati dalla legge, sussiste il diritto soggettivo, all'emanazione 
dello stesso, per il richiedente che pu� adire il giudice ordinario 
per far dichiarare, previa verifica dei requisiti di legge, che egli � cittadino". 
Salvo, dunque, che nel caso di rigetto dell'istanza per motivi inerenti alla 
sicurezza della Repubblica per il quale era competente il giudice amministrativo, 
negli altri casi di diniego - a detta della Corte - la giurisdizione apparteneva 
al giudice ordinario in virt� dell'esistenza di un vero e proprio diritto 
soggettivo in capo allo straniero richiedente. 
Il medesimo orientamento si � poi andato consolidando anche nella giurisprudenza 
del Consiglio di Stato laddove si � affermato che "delle cause che 
precludono l'acquisto della cittadinanza italiana "iuris communicatione" da 
parte del coniuge - straniero o apolide - di un cittadino italiano, � demandata 
alla valutazione discrezionale dell'amministrazione, solo quella prevista dall'art. 
6 comma 1 lett. c) 1. 5 febbraio 1992 n. 91 relativa all'esistenza di comprovati 
motivi inerenti alla sicurezza della Repubblica, nei cui confronti il 
diritto del richiedente si affievolisce ad interesse legittimo, mentre tale valutazione 
non ha ragion d'essere per quanto attiene alle altre cause preclusive 
dell'acquisto della cittadinanza; ne consegue, che in caso di diniego basato 
sull'esistenza di una condanna della richiedente sussiste la giurisdizione del 
giudice ordinario (Cons. Stato Sez. IV, 15 dicembre 2000, n. 6707). 
A tale proposito, infatti, il Consiglio di Stato ha precisato che l'art. 6, 
comma 1, lettera c) della L. n. 91/1992, nel precludere l'acquisto della cittadinanza 
allo straniero nell'ipotesi di sussistenza di comprovati motivi inerenti alla 
sicurezza della Repubblica, circoscrive fattispecie ampiamente discrezionali di 
cause preclusive, che, implicando una valutazione dell�Anministrazione, circa 
la sussistenza dei motivi, risultano idonee a degradare ad interesse legittimo il 
diritto soggettivo ad acquistare lo status di cittadino italiano, con conseguente 
sussistenza della giurisdizione del Giudice Amministrativo (V. ex multis: Consiglio 
di Stato Sez. VI, Sent. n. 5680 del 2 novembre 2007; Sez. VI, sent. n. 
1355 del 22 marzo 2007; Sez. VI, Sent. n. 1173 del 2 marzo 2009; Sez. VI, 
Sent., 31 marzo 2009, n. 1891; Cons. Stato Sez. VI, 24 marzo 2014, n. 1404). 
Alla luce di tali pronunce, � stato dunque tracciato un chiaro ed univoco 
riparto di giurisdizione in materia di controversie concernenti l'acquisto della 
cittadinanza iure matrimonii, in forza del quale la giurisdizione del giudice 
amministrativo � circoscritta alle sole ipotesi in cui il diniego dell'istanza 
sia motivato ai sensi della lett. c) dell'art. 6, 1. 91/92, spettando invece al 
giudice ordinario la giurisdizione in tutti gli altri casi in cui il rigetto sia diversamente 
motivato. 
E proprio tale riparto deve necessariamente essere tenuto in considera-
PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 171 
zione al fine di delimitare i casi di esperibilit� del ricorso straordinario al Presidente 
della Repubblica avverso i citati provvedimenti di rigetto. 
Considerato, infatti, che l'art. 7, co. 8 del codice del processo amministrativo 
statuisce espressamente che "il ricorso straordinario al Presidente 
della Repubblica � ammesso unicamente per le controversie devolute alla giurisdizione 
amministrativa", in materia di acquisto della cittadinanza iure matrimonii, 
di conseguenza, solo i provvedimenti di rigetto adottati per il motivo 
di cui alla lett. c) dell'art. 6, 1. 91/92 saranno suscettibili di impugnazione con 
ricorso straordinario al Capo dello Stato, essendo le relative controversie devolute 
alla giurisdizione del giudice amministrativo. 
Diversamente, il suddetto rimedio non sar� in alcun modo esperibile a 
fronte di provvedimenti che, rigettando la richiesta di cittadinanza per motivi 
diversi, potranno, invece, essere azionati esclusivamente dinanzi al giudice 
ordinario. 
E tali conclusioni appaiono perfettamente conformi: 
- tanto al dettato della norma che circoscrive le ipotesi di proponibilit� 
del ricorso straordinario al Capo dello Stato; 
- quanto alle considerazioni espresse dalla giurisprudenza in merito al riparto 
di giurisdizione in materia di acquisto della cittadinanza per matrimonio. 
Contra, non appaiono parimenti conformi alla normativa esaminata n� in 
alcun modo coerenti con il contenuto delle richiamate pronunce quei pareri 
che il Consiglio di Stato, contraddicendo le proprie pronunce in sede giurisdizionale, 
ha reso invece in sede consultiva in occasione della proposizione di 
ricorsi straordinari al Capo dello Stato avverso provvedimenti di diniego della 
cittadinanza pronunciati per motivi diversi da quelli di cui alla citata lett. c). 
In tali casi, infatti, a fronte della legittima censura mossa dal Ministero convenuto 
circa l'inammissibilit� dei predetti ricorsi in quanto aventi ad oggetto 
provvedimenti impugnabili dinnanzi al giudice ordinario, il Consiglio di Stato, 
nel dichiarare l'ammissibilit� di tali ricorsi, ha affermato che "quando c'� un 
provvedimento amministrativo che rigetti una domanda di concessione della 
cittadinanza non c'� ragione perch� l'interessato non possa impugnarlo con 
qualsiasi provvedimento con il quale la pubblica autorit� decide, valendosi di 
pubblici poteri, su posizioni giuridiche dei privati; tanto pi� che nella valutazione 
delle condizioni per la concessione della cittadinanza vi � sempre, da parte 
dell'Amministrazione, una valutazione relativa a motivi di sicurezza dello Stato, 
per cui in ogni caso essa esercita anche un potere discrezionale" (Parere del 
C.d.S. n. 3122\14; nello stesso senso, pareri del C.d.S. n. 2181\14 e n. 4090\14). 
� evidente che un siffatto ragionamento del Consiglio di Stato appare 
quantomeno privo di fondamento logico-normativo: 
- da un lato, infatti, nel momento in cui afferma che a fronte di un provvedimento 
amministrativo non possa precludersi all'interessato di impugnarlo 
"come qualsiasi provvedimento con il quale la pubblica autorit� decide, va-
172 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2016 
lendosi di pubblici poteri su posizioni giuridiche dei privati", si pone in contrasto 
con la stessa norma di legge che limita la possibilit� di impugnare i provvedimenti 
amministrativi con il rimedio del ricorso straordinario al Capo dello 
Stato alle sole controversie devolute alla giurisdizione amministrativa; 
- dall'altro lato, ritenendo che sussista sempre un potere discrezionale in 
capo all'Amministrazione in sede di valutazione delle condizioni legittimanti 
l'acquisto della cittadinanza italiana, si pone in netta contraddizione con quanto 
dallo stesso asserito nelle pronunce giurisdizionali in cui correttamente e logicamente 
ha individuato nelle sole ipotesi di rigetto di cui alla lett. c), dell'art. 
6 lo spazio per una valutazione discrezionale da parte della P.A. 
Non ritenendo dunque condivisibile il nuovo orientamento affermato dal 
Consiglio di Stato in sede consultiva ed in conformit� a quanto previsto dalla 
vigente disciplina, ad avviso della Scrivente il rimedio del ricorso straordinario 
al Presidente della Repubblica si ritiene esperibile esclusivamente avverso i 
provvedimenti di rigetto della richiesta di cittadinanza per matrimonio per il 
motivo di cui alla lett. c), art. 6, 1. 91/92. 
Sebbene l'avvenuta "giurisdizionalizzazione" dell'istituto del ricorso straordinario 
al Capo dello Stato - affermata dalle Sezioni Unite della Cassazione 
nella famosa sentenza n. 23464/2012 - consentirebbe l'impugnazione del decreto 
presidenziale per motivi di giurisdizione, ai sensi dell'art. 362 c. 1 c.p.c., 
si ritiene preferibile, sotto il profilo anche dell'opportunit�, che il Ministero, 
convenuto in sede di ricorso straordinario proposto avverso decreti di rigetto 
adottati per motivi diversi da quelli previsti alla lett. C) dell'art. 6 L. 91/92, 
chieda la trasposizione del ricorso straordinario nella sede giurisdizionale del 
Tar cos� come previsto dal D.Lgs. n. 1199/1071 e dal codice del processo amministrativo 
(il cui articolo 48 consente ad ogni parte, anche all'Amministrazione 
statale, di chiedere la trasposizione - sul punto sent. C.d.S. n. 4650/2013). 
Sar� poi onere del ricorrente, qualora persista il suo interesse ad una pronuncia, 
riproporre la domanda all'Autorit� Giudiziaria nel termine perentorio 
stabilito dalla legge: scelta difensiva che, considerato l'orientamento 
dell'A.G.A. in materia, consentir� all'Amministrazione di ottenere la pronuncia 
di inammissibilit� per difetto di giurisdizione ovvero di proporre regolamento 
preventivo di giurisdizione per avere dalla Suprema Corte una pronuncia definitiva 
sul punto. 
Tutto ci� premesso, si resta a disposizione per eventuali ulteriori chiarimenti. 
Il presente parere � passato all'esame del Comitato Consultivo, che si � 
espresso in conformit� nella seduta del 27 marzo 2015. 
PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 173 
Spettanza dei contributi per l�eliminazione di barriere 
architettoniche in caso di decesso del portatore di handicap 
PARERE 09/09/2015-398092, AL 21468/15, AVV. ETTORE FIGLIOLIA 
Con la nota che si riscontra, cui ha fatto seguito l'ulteriore nota del 16 
giugno 2015 corredata della documentazione richiesta, codesto Ministero ha 
sottoposto alla valutazione in linea legale di questa Avvocatura Generale la 
problematica inerente alla eventuale spettanza, al tutore o al curatore, del contributo 
economico per la realizzazione di opere "direttamente finalizzate al 
superamento e all'eliminazione di barriere architettoniche", nel caso in cui si 
verifichi il decesso del portatore di handicap e la domanda del contributo sia 
stata presentata da chi esercita la potest�, la tutela, la curatela, o dall'onerato 
alla spesa cos� come previsto al punto 4 della circolare di codesto Dicastero 
n. 1669 del 22 giugno 1989. 
Orbene, ritiene questa Avvocatura Generale di dover anzitutto affrontare 
la questione relativa all'esatta portata della l. n. 13/1989, onde trarne le necessarie 
conclusioni relativamente al pagamento di detto contributo nelle suesposte 
particolari circostanze. 
In particolare, la finalit� della legge de qua �, come � noto, quella di assicurare 
l'accessibilit�, l'adattabilit� e la visitabilit� degli edifici, con ci� prescindendo 
dall'esistenza di un diritto reale o personale di godimento da parte di un 
soggetto diversamente abile, essendo unicamente rilevante l'obiettiva attitudine 
dell'edificio, anche privato, ad essere fruito da parte di qualsiasi soggetto. 
Conformemente alla finalit� cos� individuata, non � necessaria la presenza 
di persona con handicap nel condominio ai fini dell'applicazione dei cosiddetti 
incentivi reali al superamento delle barriere architettoniche (artt. 2-7 della L. 
n. 13/89), in quanto ci� che rileva � garantire l'effettivo svolgimento della vita 
di relazione da parte del soggetto diversamente abile anche al di fuori della 
sua abitazione. � in questo senso che la legge medesima e la giurisprudenza 
amministrativa hanno elevato il livello di tutela di tali soggetti, non pi� relegandolo 
ad un ristretto ambito soggettivo ed individuale, ma viceversa considerandolo 
come un interesse primario dell'intera collettivit�, da soddisfare con 
interventi mirati a rimuovere situazioni preclusive dello sviluppo della persona 
e dello svolgimento di una normale vita di relazione (ex multis; Cons. Stato 
VI, 29 gennaio 2013, n. 543; T.a.r. Campania, Napoli, sez. IV, n. 5343/2011). 
Per converso, a diverse conclusioni deve giungersi con riguardo all'aspetto 
relativo agli incentivi economici (artt. 8-12), oggetto del quesito de 
quo, che invece richiedono l'effettiva residenza del soggetto diversamente abile 
nell'edificio di interesse: ed infatti per tale profilo valgono le disposizioni di 
cui ai citati artt. 8 e 12, nonch� quelle recate dalla Circolare del Ministero dei 
Lavori Pubblici (n. 1669 del 22 giugno 1989 punto 4) che recita che "l'ammi-
174 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2016 
nistrazione comunale effettua un immediato accertamento sull'ammissibilit� 
della domanda, subordinata alla presenza di tutte le indicazioni e documentazioni, 
alla sussistenza in capo al richiedente di tutti i requisiti necessari per 
la concessione del contributo...", con la possibilit� di opporre diniego alla realizzazione 
di interventi destinati ad eliminare o superare le barriere architettoniche 
anche su beni soggetti a tutela "solo nei casi in cui non sia possibile 
realizzare le opere senza un serio pregiudizio per il bene tutelato", con conseguente 
obbligo per l'Amministrazione, in caso di pronuncia negativa, di 
esternare la natura e la gravit� del pregiudizio rilevato "... in rapporto al complesso 
in cui l'opera si colloca e con riferimento a tutte le alternative eventualmente 
prospettate all'interessato". 
Ove quindi la domanda sia stata correttamente corredata della documentazione 
attestante la ricorrenza dei requisiti necessari, e le attivit� di demolizione 
o abbattimento delle barriere non pregiudichino il bene a cui l'opera fa 
riferimento, nella vigenza delle obbligazioni assunte per la realizzazione dei 
lavori occorrenti, appare dovuta, ad avviso della Scrivente, la erogazione del 
contributo per il pagamento degli oneri relativi ai lavori commissionati, anche 
nel particolare caso in cui si verifichi il decesso del portatore di handicap e la 
richiesta sia stata presentata dall'esercente la potest�, tenuto conto che la ratio 
della normativa de qua � proprio quella di elargire il contributo al soggetto 
che ha effettivamente sostenuto la spesa, per la causale di che trattasi. 
� opinione infatti di questo G.U. che, alla stregua del pertinente contrasto 
normativo, la "ratio legis" sia nel senso che con la esecuzione oggettiva delle 
opere occorrenti all'abbattimento delle barriere architettoniche, ed ovviamente 
nella ricorrenza di tutte le condizioni normativamente previste, sorga la pretesa 
tutelata al pagamento del contributo in questione. 
Ci� premesso, in tali circostanze, colui che, nel rispetto di tutti i presupposti 
normativamente previsti, si sia legittimamente fatto carico della spesa 
relativa alla realizzazione dei lavori previsti, ha diritto al relativo contributo e 
vanta, pertanto, un legittimo affidamento all'erogazione della prestazione da 
parte dell'Amministrazione, non potendo la circostanza della sopravvenuta e 
imprevedibile morte del soggetto portatore di handicap costituire motivo ostativo 
alla erogazione del contributo medesimo. 
Nei sensi suesposti � la richiesta consultazione, restando a disposizione 
per quant'altro dovesse occorrere. 
Sulle questioni di cui al presente parere si � espresso in conformit� il Comitato 
Consultivo di questa Avvocatura nella seduta dell�8 settembre 2015.
PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 175 
Problematiche interpretative relative alla equiparazione 
delle vittime del terrorismo ai grandi invalidi di guerra 
PARERE 28/10/2015-482067, AL 28802/15, AVV. ROBERTA TORTORA 
Con la nota in riferimento codesta Amministrazione propone alla Scrivente 
alcune problematiche interpretative concernenti i commi 1 e 2 dell�art. 4 della 
legge n. 206/2004, che cos� dispongono: �1. Coloro che hanno subito un'invalidit� 
permanente pari o superiore all'80 per cento della capacit� lavorativa, 
causata da atti di terrorismo e dalle stragi di tale matrice, sono equiparati, ad 
ogni effetto di legge, ai grandi invalidi di guerra di cui all'articolo 14 del testo 
unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 23 dicembre 1978, n. 
915. A tale fine � autorizzata la spesa di 126.432 euro per l'anno 2004, di 
128.960 euro per l'anno 2005 e di 131.539 euro a decorrere dall'anno 2006. 
2. A tutti coloro che hanno subito un'invalidit� permanente pari o superiore 
all'80 per cento della capacit� lavorativa, causata da atti di terrorismo 
e dalle stragi di tale matrice, � riconosciuto il diritto immediato alla pensione 
diretta, in misura pari all'ultima retribuzione percepita integralmente dall'avente 
diritto e rideterminata secondo le previsioni di cui all'articolo 2, 
comma 2. Per tale finalit� � autorizzata la spesa di 156.000 euro a decorrere 
dall'anno 2004. Agli effetti di quanto disposto dal presente comma, � indifferente 
che la posizione assicurativa obbligatoria inerente al rapporto di lavoro 
dell'invalido sia aperta al momento dell'evento terroristico o successivamente. 
In nessun caso sono opponibili termini o altre limitazioni temporali alla titolarit� 
della posizione e del diritto al beneficio che ne consegue�. 
Il primo quesito proposto riguarda il significato da attribuire all�espressione 
�sono equiparati�, contenuta nel primo comma: ci si chiede, cio�, se 
tale equiparazione debba comportare il riconoscimento, in aggiunta i trattamenti 
gi� in godimento a titolo di vittime del terrorismo, anche del trattamento 
pensionistico di guerra, ovvero se l�equiparazione riguardi i trattamenti fruiti 
in base ai rispettivi titoli. 
A tale proposito si ritiene che l�intenzione del legislatore fosse quella di 
equiparare il regime giuridico delle due categorie (le vittime del terrorismo ed 
i grandi invalidi di guerra), ma non quella di cumulare le due provvidenze n� 
quella di attribuire alle vittime del terrorismo una provvidenza ulteriore ed aggiuntiva 
rispetto a quelle gi� loro spettanti. 
A tale conclusione pu� pervenirsi, innanzitutto, avendo riguardo alla lettera 
della norma, che stabilisce un�equiparazione ma non attribuisce espressamente 
le provvidenze spettanti ai grandi invalidi di guerra. 
Peraltro anche dai lavori preparatori della legge (Resoconto della I Commissione 
permanente - Affari costituzionali, della Presidenza del Consiglio e 
Interni, relazione dell�On. le Giovanni Mongiello) emerge che l�equiparazione
176 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2016 
con i grandi invalidi di guerra � riconosciuta �ai fini delle speciali provvidenze 
a questi attribuite dagli articoli 14 e seguenti del testo unico sulle pensioni di 
guerra approvato con decreto del Presidente della Repubblica n. 915 del 
1978�. Ci� significa che non si � inteso attribuire un ulteriore trattamento pensionistico, 
ma solo attribuire anche alle vittime del terrorismo le �speciali provvidenze� 
in godimento ai grandi invalidi di guerra. 
Del resto la suesposta interpretazione � l�unica che determina un�effettiva 
equiparazione delle vittime del terrorismo ai grandi invalidi di guerra: infatti, 
qualora venisse riconosciuta una duplicazione del trattamento pensionistico 
alle sole vittime del terrorismo si verificherebbe un evidente vantaggio, con 
conseguente disparit� di trattamento, per le vittime del terrorismo rispetto ai 
grandi invalidi di guerra, i quali continuano a percepire un solo trattamento 
pensionistico. Dunque non si verificherebbe un�equiparazione, bens� si attribuirebbe 
un ingiustificato vantaggio ad una sola categoria. 
Un ulteriore elemento a suffragio di tale interpretazione pu� essere desunto 
dall�esiguit� dello stanziamento previsto, che sarebbe stato assai pi� 
consistente qualora il legislatore avesse inteso riconoscere ai beneficiari una 
doppia pensione. 
Pertanto � da ritenersi che l�equiparazione riguardi solo i trattamenti fruiti 
dalle due categorie, ma che alle vittime del terrorismo non spetti il riconoscimento 
di un trattamento pensionistico ulteriore (quello spettante ai grandi invalidi 
di guerra). 
Non si pone, pertanto, un problema di cumulo tra trattamenti pensionistici 
diversi. 
L�equiparazione, quindi, deve essere intesa nel senso che � necessario 
estendere alle vittime del terrorismo il complesso delle indennit� accessorie 
ed assistenziali previste per i grandi invalidi di guerra, in presenza delle medesime 
condizioni previste per la loro erogazione. 
Cos� alle vittime di atti di terrorismo o di stragi di tale matrice con invalidit� 
permanente superiore all�80% spetta l�assegno di superinvalidit� o assegno 
integrativo di cui all�art. 15 D.P.R. 915/1978, a norma del quale ai gradi 
invalidi di guerra, oltre alla pensione, compete, qualora siano affetti da lesioni 
o infermit� elencate nella tabella E, annessa al medesimo D.P.R. n. 915/1978, 
un assegno per superinvalidit�, non riversibile, mentre, qualora le lesioni o infermit� 
non rientrino tra quelle previste dalla tabella E, ma comunque l�invalido 
abbia i requisiti per godere di una pensione di 1^ categoria, spetta un 
assegno integrativo, non riversibile, in misura pari alla met� dell'assegno di 
superinvalidit� previsto nella lettera H della tabella E. 
Allo stesso modo alle vittime di atti di terrorismo o di stragi di tale matrice 
con invalidit� permanente superiore all�80% spettano gli assegni di cumulo 
previsti per i grandi invalidi di guerra per il caso in cui con una invalidit� ascrivibile 
alla 1� categoria della tabella A coesistano altre infermit�.
PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 177 
Anche l�assegno sostitutivo dell�accompagnatore di cui all�art. 21 del 
D.P.R. n. 915/1978 dovr� essere corrisposto, ricorrendone i requisiti, anche 
alle vittime di atti di terrorismo o di stragi di tale matrice con invalidit� permanente 
superiore all�80%. 
Del resto le problematiche evidenziate da codesta Amministrazione in ordine 
alla specificit� delle infermit� che danno titolo all�erogazione dell�assegno 
sostitutivo dell�accompagnatore appaiono del tutto superabili, considerato 
che dette infermit� specifiche possono essere causate anche da atti terroristici. 
Infatti, l�art. 1 L. n. 288/2002 riconosce il diritto all�assegno sostitutivo dell�accompagnatore 
�ai grandi invalidi affetti dalle infermit� di cui alle lettere 
A), numeri 1), 2), 3) e 4), secondo comma, e A-bis) della tabella E allegata al 
medesimo testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 915 
del 1978�, individuando, cos� le seguenti specifiche patologie, la cui presenza 
determina il diritto all�assegno de quo: 
�1) Alterazioni organiche e irreparabili di ambo gli occhi che abbiano 
prodotto cecit� bilaterale assoluta e permanente. 
2) Perdita anatomica o funzionale di quattro arti fino al limite della perdita 
totale delle due mani e dei due piedi insieme. 
3) Lesioni del sistema nervoso centrale (encefalo e midollo spinale) che 
abbiano prodotto paralisi totale dei due arti inferiori e paralisi della vescica 
e del retto (paraplegici rettovescicali). 
4) Alterazioni delle facolt� mentali tali da richiedere trattamenti sanitari 
obbligatori in condizioni di degenza nelle strutture ospedaliere pubbliche o 
convenzionate [anche successivamente alla dimissione �quando la malattia 
mentale determini gravi e profondi perturbamenti della vita organica e sociale 
e richieda il trattamento sanitario obbligatorio presso i centri di sanit� mentale 
e finch� dura tale trattamento�]. 
1) La perdita di ambo gli arti superiori fino al limite della perdita delle 
due mani. 
2) La disarticolazione di ambo le cosce o l'amputazione di esse con la impossibilit� 
assoluta e permanente dell'applicazione di apparecchio di protesi�. 
Si tratta, dunque, di patologie tassativamente individuate, che ben possono 
verificarsi anche a seguito di atti terroristici. Ove ci� avvenga, alla vittima 
spetter� l�assegno in questione. 
Proprio dalla circostanza che la corresponsione del predetto assegno non 
� connessa ad una determinata percentuale di invalidit�, bens� alla presenza 
di specifiche patologie discende l�irrilevanza dei diversi criteri di calcolo della 
percentuale di invalidit� previsti per le pensioni di guerra rispetto alle pensioni 
riconosciute alle vittime del terrorismo. 
Per le provvidenze per le quali, invece, rilevi la percentuale di invalidit� 
riconosciuta, trover� applicazione l�art. 3 del D.P.R. n. 181/2009, recante il 
�Regolamento recante i criteri medico-legali per l'accertamento e la deter-
178 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2016 
minazione dell'invalidit� e del danno biologico e morale a carico delle vittime 
del terrorismo e delle stragi di tale matrice, a norma dell'articolo 6 della legge 
3 agosto 2004, n. 206�, il quale cos� dispone: �Per l'accertamento dell'invalidit� 
si procede tenendo conto che la percentuale d'invalidit� permanente 
(IP), riferita alla capacit� lavorativa, � attribuita scegliendo il valore pi� favorevole 
tra quello determinato in base alle tabelle per i gradi di invalidit� e 
relative modalit� d'uso approvate, in conformit� all�articolo 3, comma 3, della 
legge 29 dicembre 1990, n. 407, con il decreto del Ministro della sanit� in 
data 5 febbraio 1992, e successive modificazioni, pubblicato nel supplemento 
ordinario alla Gazzetta Ufficiale n. 47 del 26 febbraio 1992, e quello determinato 
in base alle tabelle A, B, E ed F1 annesse al decreto del Presidente 
della Repubblica 23 dicembre 1978, n. 915, e successive modificazioni, e relativi 
criteri applicativi. Alla classifica di cui alle categorie della tabella A e 
alla tabella B sono equiparate le fasce percentuali d'invalidit� permanente, 
riferite alla capacit� lavorativa, secondo le corrispondenze indicate nella tabella 
in allegato 1. Alle invalidit� o mutilazioni di prima categoria della tabella 
A che risultino contemplate anche nella tabella E corrisponde una 
invalidit� permanente non inferiore al 100%�. 
Quanto alle problematiche concernenti la misura (ingente) degli oneri destinati 
a gravare sulla finanza pubblica, valuter� codesta Amministrazione la necessit� 
di apportare modifiche normative al fine di assicurare la copertura finanziaria. 
Sul presente parere si � pronunciato il Comitato Consultivo dell�Avvocatura 
dello Stato, che si � espresso in conformit�. 
Sul principio di onnicomprensivit� del trattamento 
economico dirigenziale di cui all�art. 24, D.lgs 165/2001 
PARERE 18/11/2015-521594, AL 34140/15, AVV. MARCO STIGLIANO MESSUTI 
Con la nota che si riscontra, codesto Dipartimento chiede di conoscere 
l'avviso dello scrivente in ordine al seguente quesito: "Se il compenso liquidato 
dal Tar/Consiglio di Stato ad un funzionario ovvero dirigente dell'amministrazione 
nella qualit� di Commissario ad acta, nominato ai sensi dell'art. 114 
CPA, nel giudizio di ottemperanza, sia o meno soggetto al principio di onnicomprensivit� 
del trattamento economico di cui all'art. 24, D.lgs 165/2001". 
Al riguardo codesto Dipartimento ha evidenziato due diversi orientamenti 
espressi rispettivamente dal Dipartimento della Funzione pubblica e dalla Ragioneria 
generale dello Stato. 
Il primo con nota prot. n. 13262/2013 del 19 marzo 2013 ha escluso che
PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 179 
l�incarico del Commissario ad acta ricada nella disciplina dell�onnicomprensivit� 
del trattamento economico. 
Il secondo con nota MEF - RGS, prot. n. 62978 del 22 luglio 2013, investito 
della questione dallo stesso Dipartimento per la Funzione Pubblica, ritiene per 
contro, che la fattispecie sia da ricondurre al regime dell�onnicomprensivit�. 
Ad avviso dello scrivente si reputa opportuno, preliminarmente, chiarire 
quale ruolo e quale funzione assolva il Commissario ad acta nominato in sede 
di giudizio di ottemperanza e quale sia la natura degli atti dallo stesso adottati. 
Sul punto dopo un originario contrasto in giurisprudenza, dove si contrapponevano 
due tesi, di cui la prima qualificava il Commissario ad acta quale 
"organo straordinario dell'amministrazione" e, la seconda quale "ausiliario 
del giudice", � maturato un definitivo arresto giurisprudenziale su tale seconda 
opzione ermeneutica. 
Si � pervenuti pertanto alla enunciazione del principio per cui il commissario 
ad acta � organo del Giudice dell'ottemperanza e le sue determinazioni 
vanno adottate esclusivamente in funzione dell'esecuzione del giudicato, e non 
in funzione degli interessi pubblici il cui perseguimento costituisce il normale 
canone di comportamento dell'Amministrazione sostituita. Da ci� consegue 
che i suoi provvedimenti sono immediatamente esecutivi e non sono assoggettati 
all'ordinario regime dei controlli (interni ed esterni) degli atti dell'Amministrazione 
presso la quale lo stesso si insedia, ma vanno sottoposti 
unicamente all'immanente controllo dello stesso Giudice. 
Il principio da ultimo enunciato � confermato espressamente nella nuova 
formulazione del comma VI dell�art. 114, del D.Lgs. 2 luglio 2010, n. 104 
(comma cos� sostituito dall'art. 1, comma 1, lett. dd, n. 2 del D.Lgs. 15 novembre 
2011, n. 195): �il giudice conosce di tutte le questioni relative all'ottemperanza, 
nonch�, tra le parti nei cui confronti si � formato il giudicato, di quelle inerenti 
agli atti del commissario ad acta. Avverso gli atti del commissario ad acta le 
stesse parti possono proporre, dinanzi al giudice dell'ottemperanza, reclamo, che 
� depositato, previa notifica ai controinteressati, nel termine di sessanta giorni�. 
Le parti interessate possono e devono quindi rivolgersi al giudice, affinch� 
venga verificata rispondenza dei provvedimenti adottati dal Commissario ad 
acta alle disposizioni impartite in sede di ottemperanza, nonch� ai principi vigenti 
in materia: l�attivit� del commissario ad acta quindi, non ha natura 
prettamente amministrativa, perch� si fonda sull�ordine del giudice, ed � la 
stessa che avrebbe potuto realizzare direttamente il giudice. 
Va altres� sottolineato che l'incarico di Commissario ad acta, ha la valenza 
di un "munus pubblico", da cui ne consegue la doverosit� dell'espletamento 
dello stesso non potendo il soggetto nominato sottrarsi per libera scelta, pena 
la rilevanza penale della fattispecie ai sensi degli artt. 328 e 366 c.p. 
Della correttezza di tale approdo costituisce conferma, sul piano del diritto 
positivo, l�art. 57, del DPR 30 maggio 2002 n. 115 (Testo unico delle dispo-
180 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2016 
sizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia) dedicato 
proprio alla �equiparazione del commissario ad acta agli ausiliari del magistrato�, 
in quanto ivi si � previsto che �al commissario ad acta si applica la 
disciplina degli ausiliari del magistrato, per l'onorario, le indennit� e spese 
di viaggio e per le spese sostenute per l'adempimento dell'incarico�. 
Peraltro, l'art. 21 del cpa nel disporre che "nell'ambito della propria giurisdizione, 
il giudice amministrativo, se deve sostituirsi all'amministrazione, 
pu� nominare come proprio ausiliario un commissario ad acta" implica un 
deciso mutamento di prospettiva nello specifico settore della disciplina degli 
organi chiamati a svolgere funzioni di tipo collaborativo rispetto all'esercizio 
proprio della funzione giusdicente. 
La norma permette senz'altro di ritenere che il Commissario ad acta si atteggia 
quale "ausiliario" del giudice, ossia organo che, per quanto si desume 
dalla stessa disposizione normativa, agisce quale longa manus del giudice, la 
cui volont� di attuazione della norma nel caso concreto � chiamato a esternare. 
In questa prospettiva, del resto, assume particolare rilevanza anche lo specifico 
ambito di giurisdizione entro il quale si svolge la funzione ascritta al 
commissario ad acta. 
Si tratta, infatti, di giurisdizione di merito, ambito entro il quale si colloca 
il giudizio di ottemperanza coltivato al fine di dare esecuzione integrale al comando 
recato in sentenza. 
Ma proprio il fatto che si verte in ambito di giurisdizione di merito implica 
la concreta possibilit�, per il giudice, di sostituirsi all'amministrazione. 
Ne deriva che la statuizione del giudice si invera nella determinazione 
del commissario ad acta, la quale integra senz'altro, attraverso la nomina compiuta 
nel corso del giudizio di ottemperanza, la volont� di attuazione della 
norma nel caso concreto. 
Questo comporta che la P.A. � tenuta a conformarsi in tutto e per tutto alle 
determinazioni del commissario ad acta, attraverso le quali si manifesta la volont� 
di esercizio della funzione giurisdizionale nella fattispecie concreta (Cfr. 
Consiglio di Stato, sezione IV, 13 gennaio 2015, n. 52; Tar Calabria, Reggio 
Calabria, 1 febbraio 2013, n. 85; Tar Puglia, Lecce, 24 febbraio 2011, n. 367). 
Sulla base delle suesposte necessarie premesse, si ritiene possano trarsi 
le necessarie conclusioni in ordine al quesito posto con la nota in riferimento. 
Il Commissario ad acta, ha quindi chiarito la giurisprudenza, agisce quale 
longa manus del giudice; � organo del Giudice dell'ottemperanza e le sue determinazioni 
vanno adottate esclusivamente in funzione dell'esecuzione del 
giudicato, e non in funzione degli interessi pubblici il cui perseguimento costituisce 
il normale canone di comportamento della Amministrazione sostituita. 
Il principio di onnicomprensivit� del trattamento economico dirigenziale 
di cui all'art. 24, D.lgs 165/2001, concerne tutti gli incarichi conferiti ai dirigenti 
in ragione del loro ufficio e/o su designazione dell'amministrazione di
PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 181 
appartenenza, trattandosi di attivit� connesse in misura pi� o meno diretta al 
rapporto organico tra pubblico dipendente ed amministrazione datrice di lavoro 
e pertanto deve trattarsi di compiti o mansioni cui il dirigente non pu� sottrarsi 
perch� rientranti nei normali compiti di servizio (Cass. sez. lavoro, 24 febbraio 
2011, n. 4531; Consiglio di Stato, sez. V, 2 ottobre 2002, n. 5163; Tar Basilicata 
14 febbraio 2014, n. 127; Consiglio di Stato, Commissione speciale per il pubblico 
impiego parere n. 173/2005; e da ultimo, Consiglio di Stato, sezione IV, 
23 febbraio 2015, n. 859 secondo cui sfugge al principio di onnicomprensivit� 
il compenso percepito dal dirigente per la partecipazione quale componente 
di una commissione di accordo bonario ex art. 240, D.lgs 163/2006). 
L'interpretazione del principio di onnicomprensivit� dato dalla giurisprudenza, 
sia civile che amministrativa, trova conferma nella Direttiva del Ministro 
della Funzione Pubblica del 1 marzo 2000 con la quale � stato precisato: "si 
intendono conferiti in ragione dell'ufficio, anche gli incarichi conferiti da terzi 
consequenziali a quello conferito presso di essi dall'amministrazione o su designazione 
di essa e comunque gli incarichi il cui svolgimento � collegato alla 
rappresentanza di interessi dell'amministrazione. Sono invece esclusi gli incarichi 
semplicemente autorizzati, non rientranti nelle ipotesi di cui sopra". 
Peraltro, la Direttiva del Ministero dei Lavori Pubblici del 21 giugno 1999 
(in GU 3 febbraio 2000, n. 27), recante "regolamento dei conferimenti e delle 
autorizzazioni di incarichi nei confronti dei dipendenti del Ministero dei lavori 
Pubblici", all'art. 5, dispone che per gli incarichi conferiti da organi della giurisdizione 
l'autorizzazione "non trova luogo". 
Appare pertanto chiaro che il discrimine al fine di valutare se il compenso 
previsto per un incarico sia soggetto o meno al regime di onnicomprensivit� 
� dato dalla rappresentanza o meno di interessi dell'amministrazione. 
L'incarico di commissario ad acta conferito dall'autorit� giudiziaria, per 
le ragioni suesposte, proprio perch� � finalizzato all'esecuzione del giudicato e 
non alla cura degli interessi pubblici dell'amministrazione interessata deve ritenersi 
escluso dal principio di onnicomprensivit� del trattamento retributivo. 
Tale conclusione consente di superare l'obiezione della Ragioneria Generale 
dello Stato che sembra invece ritenere che l'incarico "� collegato alla rappresentanza 
di interessi dell'amministrazione e quindi riconducibile ai doveri 
di ufficio", considerazione quest'ultima disattesa dalla recente giurisprudenza. 
Peraltro si osserva che in linea con quanto affermato dal Dipartimento 
della Funzione Pubblica, si colloca il parere reso dalla stessa in ordine agli incarichi 
di Commissario ad acta ovvero commissario straordinario negli enti 
locali di cui agli artt. 136 e seg. TU 267/2000. 
Il Dipartimento (parere del 30 gennaio 2002 reso alla Prefettura di Avellino) 
ha correttamente osservato che tale tipo di incarico, proprio perch� conferito 
"ratione officii" e quindi nei compiti istituzionali previsti dal TU degli 
enti locali, rientra nel regime di onnicomprensivit� del trattamento retributivo.
182 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2016 
Da ultimo deve ritenersi che la circostanza che la nomina a Commissario 
ad acta sia stata effettuata dal Presidente del Consiglio dei lavori Pubblici, 
non sposta i termini della questione. 
Infatti quest'ultimo ha agito in esecuzione dell'ordinanza del Consiglio di 
Stato, sezione IV, 17 maggio 2011, n. 2992 la quale cos� recita: "� opportuno 
procedere alla nomina di un nuovo commissario ad acta, nella persona del 
Presidente del Consiglio dei Lavori Pubblici, con facolt� di delega ad un componente 
del medesimo organo in possesso delle competenze professionali idonee 
per l'esecuzione della sentenza". 
Appare evidente che la delega esercitata nel caso di specie non riconduce 
le funzioni svolte dal Commissario ad acta nell'ambito dei propri doveri di 
ufficio, in quanto � comunque imposta dall'organo giurisdizionale ed � finalizzata 
esclusivamente all'esecuzione del giudicato. 
Da ultimo va osservato che la mancata esecuzione sia da parte dell'amministrazione 
che del dirigente responsabile, di una sentenza passata in giudicato, 
che legittima il soggetto destinatario della favorevole sentenza di 
ricorrere al giudizio di ottemperanza ed all'eventuale nomina del Commissario 
ad acta, pu� essere fonte di responsabilit� di carattere risarcitorio per l'amministrazione 
ai sensi dell'art. 112, III comma cpa e di responsabilit� amministrativa/
patrimoniale per il dirigente che era tenuto a dare esecuzione alla 
decisione oggetto di ottemperanza. 
Sul presente parere � stato sentito il Comitato Consultivo che, nella seduta 
del 13 novembre 2015, si � espresso in conformit�. 
Acquisto e trasferimento tramite permuta di beni 
immobili tra Stato e Provincia Autonoma di Bolzano. 
Il quadro normativo attualmente vigente 
PARERE 20/11/2015-525489-525490, AL 29734/15, AVV. MASSIMO SAVATORELLI 
1. Con la nota indicata in epigrafe l�Avvocatura Distrettuale di Trento, 
destinataria di una richiesta di parere formulata dalla Direzione Regionale del 
Trentino-Alto Adige della Agenzia del Demanio relativamente all�atto di permuta 
di beni immobili tra Stato e Provincia Autonoma di Bolzano, ha ipotizzato 
per lo stesso una soluzione sulla quale, in considerazione della 
complessit�, delicatezza e rilevanza di massima del quesito, chiede di conoscere 
l�avviso di questa Avvocatura Generale.
PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 183 
1.1. Espone, in proposito, l�Avvocatura Distrettuale che, gi� nel 2011, 
venne sottoscritto tra il Ministero dell'Interno, l'Agenzia del Demanio e la Provincia 
autonoma di Bolzano un Protocollo d'intesa per la razionalizzazione e 
la riallocazione delle sedi della Polizia di Stato e dei Carabinieri nel Comune 
di Bressanone e in altri Comuni della provincia di Bolzano. 
L'intesa raggiunta - integrante, nella sostanza, un accordo ex art. 15 L. n. 
241/90 - tendeva a far conseguire allo Stato la propriet� di immobili di soggetti 
terzi, pubblici e privati, attualmente condotti in locazione passiva dal Ministero 
dell'Interno ed adibiti a caserme dell'Arma dei Carabinieri o della Polizia di 
Stato; gli stessi dovevano essere acquistati dalla Provincia autonoma di Bolzano 
dai proprietari; quindi, previa eventuale ristrutturazione e messa a norma, ceduti 
allo Stato a fronte della cessione alla Provincia stessa di immobili statali non 
pi� utilizzati per attivit� istituzionali. Sul piano negoziale, pertanto, l'operazione 
concordata si realizzava attraverso la conclusione, in successione, di contratti 
tra loro funzionalmente collegati (acquisto della propriet� da parte della Provincia 
autonoma di Bolzano degli immobili attualmente condotti in locazione dall'Amministrazione 
dell'Interno e successive permute con gli immobili statali). 
Dal punto di vista economico, l'accordo di programma risultava (e risulta) 
pertanto estremamente vantaggioso per lo Stato nella misura in cui: 
a) esonera lo Stato dai costi e dagli esborsi - nell'attuale contingenza economica 
non sostenibili - connessi all'acquisizione diretta degli immobili in parola 
dai rispettivi proprietari - con i quali sarebbe impossibile realizzare 
permuta alcuna, non avendo gli stessi, a differenza della Provincia, alcun interesse 
alla permuta con immobili statali; 
b) garantisce comunque, attraverso la permuta con la Provincia, l'acquisto, 
da parte dello Stato, della propriet� degli immobili in discorso nonch� l'esecuzione, 
a spese e cura dell'Ente provinciale, delle opere e dei lavori eventualmente necessari 
per renderli pienamente idonei e funzionali alla loro destinazione d'uso; 
c) elimina ogni onere connesso alla locazione degli edifici consentendo, 
per il futuro, un risparmio di spesa; 
d) assicura e rende stabile, nei termini e nella consistenza attuali, la presenza 
e la diffusione sul territorio provinciale delle Forze dell'Ordine. 
Per altro verso, l'intervento, nel quadro di tale programma negoziale, appariva 
(e appare) di interesse per la Provincia, che - in un�ottica di collaborazione 
tra soggetti pubblici - non solo consegue la propriet� di immobili che 
possono essere destinati alla soddisfazione di gi� individuati interessi pubblici 
istituzionali, ma soddisfa anche un proprio autonomo interesse, concorrente e 
coincidente con quello dello Stato, di garantire la presenza delle Forze di polizia 
sul proprio territorio. 
1.2. Coerentemente con il disegno perseguito con il menzionato Protocollo 
d�intesa, nel 2013 l'Agenzia del demanio sottoponeva al parere di legalit� 
dell�Avvocatura distrettuale di Trento un atto destinato a dare attuazione alla
184 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2016 
prima fase del Protocollo stesso, con acquisto di quattro edifici all�epoca condotti 
in locazione dal Ministero degli Interni (nei quali risultano ubicati le caserme 
dei Carabinieri di Badia, Chiusa e Valle Aurina/Cadipietra e il 
Commissariato della Polizia di Stato di Bressanone ed il locale Distaccamento 
della Polizia stradale) e cessione di tre compendi statali (Carceri mandamentali 
di Bressanone, immobile "ex ANAS" di Bolzano ed immobile "ex Villa Italia" 
di Merano) alla Provincia a fronte del trasferimento dei primi. 
L�Avvocatura distrettuale di Trento, pur introducendo alla bozza d�atto 
trasmessa talune integrazioni anche alla luce della normativa all�epoca vigente, 
lo approvava in linea legale con ampia e articolata motivazione. 
Detta ipotesi di accordo, tuttavia, non veniva mai perfezionata. 
1.3. Con nota 29 aprile 2015 n. 2015/1313 l'Agenzia del demanio ha ora 
nuovamente interessato l�Avvocatura distrettuale di Trento sottoponendo ad 
esame di legalit� una nuova bozza di atto la quale, ricollegandosi anch'essa al 
Protocollo d'intesa concluso nel 2011, riproduce, nella sostanza, lo (gi� approvato) 
schema negoziale del 2013 circoscrivendo peraltro l'operazione a due 
soli immobili: l�edificio, attualmente di propriet� della K.B. & C. s.a.s., sito 
in Bressanone e condotto in locazione dal Ministero dell'Interno quale sede 
dei locali Commissariato della Polizia di Stato e Distaccamento della Polizia 
stradale, da un lato; e l'immobile di propriet� statale ubicato a Bolzano e denominato 
"Ex ANAS, via Cassa di Risparmio 21�, dall'altro. 
Il nuovo atto si compone di due parti, la prima delle quali disciplinante 
l'acquisizione da parte della Provincia autonoma di Bolzano della propriet� 
dell'immobile privato sito in Bressanone; la seconda regolante la permuta tra 
detto immobile, divenuto di proprieta provinciale, e quello di proprieta statale 
ubicato a Bolzano. 
A cagione del diverso valore degli immobili permutandi, lo scambio di beni 
tra lo Stato e la Provincia prevede un conguaglio a favore dello Stato di � 5.880,00= 
destinato ad essere versato dalla Provincia contestualmente alla stipula dell'atto. 
2. Al fine di rendere il parere richiesto si rende pregiudizialmente necessaria 
una puntuale disamina del quadro normativo attualmente vigente - in parte 
difforme da quello in vigore all�epoca in cui fu reso il precedente parere. 
Occorre in particolare darsi carico, per un verso, della normativa regolante 
l�acquisto di immobili da parte dello Stato e degli enti pubblici; per altro 
verso, di quella - anche di rango costituzionale - che disciplina il regime delle 
propriet� immobiliari dello Stato nel territorio della Regione Trentino-Alto Adige 
e della Provincia di Bolzano. � evidente che eventuali incertezze sulla 
realizzabilit� in linea legale dell�operazione come oggi concepita potrebbero 
essere ostative al rilascio del richiesto visto in linea legale. 
3.1. Sotto un primo profilo, va considerato che � oggi venuto meno, al 31 
dicembre 2013, il divieto di acquisto di immobili a titolo oneroso per tutte le 
Amministrazioni pubbliche inserite nel conto economico consolidato della p.A.
PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 185 
stabilito dall'art. 12, comma 1-quater, del D.L. n. 98/2011 (norma che era stata 
oggetto di esame nel precedente parere reso dall�Avvocatura distrettuale). 
La validit� dell'atto ora all'esame va invece esaminata alla stregua dei limiti 
stabiliti, rispettivamente con decorrenza 1 gennaio 2012 e 1 gennaio 2014, 
dai commi 1, 1-bis e 1-ter del medesimo art. 12. 
La prima di tali disposizioni dispone, per quanto qui interessa, che "a decorrere 
dal 10 gennaio 2012 le operazioni di acquisto e vendita di immobili, effettuate 
sia in forma diretta sia indiretta, da parte delle amministrazioni in-serite nel conto 
economico consolidato della pubblica amministrazione, come individuate dall'Istituto 
nazionale di statistica (ISTAT) ai sensi del comma 3 dell'articolo 1 della 
legge 31 dicembre 2009, n. 196, con l'esclusione degli enti territoriali, degli enti 
previdenziali e degli enti del servizio sanitario nazionale, nonch� del Ministero 
degli affari esteri con riferimento ai beni ubicati all'estero, sono subordinate alla 
verifica del rispetto dei saldi strutturali di finanza pubblica da attuarsi con decreto 
di natura non regolamentare del Ministro dell�economia e delle finanze". 
Il successivo comma 1-bis stabilisce invece, sempre per quanto qui interessa, 
che "a decorrere dal 10 gennaio 2014 nel caso di operazioni di acquisto 
di immobili, ferma restando la verifica del rispetto dei saldi strutturali di finanza 
pubblica, l�emanazione del decreto previsto dal comma 1 � effettuata 
anche sulla base della documentata indispensabilit� e indilazionabilit� attestata 
dal responsabile del procedimento. La congruit� del prezzo � attestata 
dall'Agenzia del demanio, previo rimborso delle spese fatto salvo quanto previsto 
dal contratto di servizi stipulato ai sensi dell'articolo 59 del decreto legislativo 
30 luglio 1999, n. 300, e successive modificazioni". 
Il comma 1-ter dispone infine che "a decorrere dal 10 gennaio 2014 al 
fine di pervenire a risparmi di spesa ulteriori rispetto a quelli previsti dal patto 
di stabilit� interno, gli enti territoriali e gli enti del Servizio sanitario nazionale 
effettuano operazioni di acquisto di immobili solo ove ne siano comprovate 
documentalmente l�indispensabilit� e l�indilazionabilit� attestate dal responsabile 
del procedimento. La congruit� del prezzo � attestata dall'Agenzia del 
demanio, previo rimborso delle spese. Delle predette operazioni � data preventiva 
notizia, con l�indicazione del soggetto alienante e del prezzo pattuito, 
nel sito internet istituzionale dell'ente". 
In definitiva, e riassumendo, alla stregua della riportata disciplina: 
i) a decorrere dal 1 gennaio 2012 le operazioni di acquisto e di vendita di 
immobili da parte delle Amministrazioni pubbliche diverse dagli enti territoriali, 
dagli enti previdenziali, dagli enti del Servizio Sanitario Nazionale e dal 
Ministero degli Affari Esteri - limitatamente, per quest�ultimo, ai beni immobili 
ubicati all'estero - sono subordinate: 
a) alla verifica del rispetto dei saldi strutturali di finanza pubblica (comma 
1) e, a decorrere dal 1 gennaio 2014 e relativamente alle sole operazioni di acquisto, 
altres�
186 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2016 
b) alla documentata indispensabilit� e indilazionabilit� dell'operazione 
attestata dal responsabile del procedimento e 
c) alla attestazione, da parte dell'Agenzia del demanio, della congruit� 
del prezzo (comma 1-bis); 
ii) a decorrere dal 1 gennaio 2014 le operazioni di acquisto di immobili 
da parte degli enti territoriali e degli enti del Servizio Sanitario Nazionale sono 
condizionate: 
a) alla documentata indispensabilit� e indilazionabilit� dell'operazione 
attestata dal responsabile del procedimento e 
b) alla attestazione, da parte dell'Agenzia del demanio, della congruit� 
del prezzo (comma 1-ter). 
3.2. Una prima indagine riguarda la validit� dell�atto di compravendita 
che la Provincia autonoma di Bolzano andr� a concludere con il privato proprietario 
dell�immobile attualmente condotto in locazione dall�Amministrazione 
degli Interni, e destinato alla successiva permuta. 
Bench�, infatti, quest�ultima, sia estranea a detto negozio, � incontestabile 
che un eventuale vizio che affliggesse lo stesso - rientrando nel complesso 
schema negoziale costituito dai contratti funzionalmente collegati di cui si � 
sopra riferito - non potrebbe che ricadere sulla validit� ed efficacia del connesso 
atto di acquisto da parte dello Stato (e, per esso, dell�Agenzia del demanio). 
Orbene, sembra che la validit� della compravendita non possa essere contestata. 
Infatti, l'acquisto disciplinato nella Parte I dell'atto in esame � anche adesso 
consentito, quanto alla Provincia, dall'art. 8 della Legge provinciale 17 
settembre 2013, n. 12, il quale esplicitamente esclude le "acquisizioni di immobili 
finanziati in tutto o in parte dalla Provincia autonoma" - che pure figura 
anche oggi tra le Amministrazioni pubbliche inserite nel conto economico consolidato 
della pubblica Amministrazione (v., da ultimo, il comunicato ISTAT 
del 30 settembre 2015) - dall'applicazione dell'intero art. 12 del D.L. n. 
98/2011 e, quindi, anche dei limiti alle operazioni di acquisto degli enti territoriali 
ora stabiliti, con decorrenza 1 gennaio 2014, dal comma 1-ter del citato 
decreto-legge. 
Tutto ci� consente dunque di ritenere legittima la compravendita in questione 
escludendo di conseguenza riflessi negativi sulla validit� della permuta 
destinata ad essere conclusa sul presupposto di quella. 
Come gi� evidenziato nella precedente consultazione, appare comunque 
opportuno menzionare nelle premesse dell'atto anche la L.P. n. 12/2013 la quale, 
come s'� detto, legittima, sul piano normativo, l'acquisizione immobiliare 
finanziata dalla Provincia. 
3.3. Pi� complessa � invece la disamina riferita alla (successiva) permuta 
progettata tra lo Stato e la Provincia autonoma di Bolzano, posto che la legittimit� 
della stessa va valutata non soltanto alla luce delle norme limitative
PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 187 
di cui ai commi 1 e 1-bis del gi� citato art. 12 del d.l. n. 98/2011, ma, ancor 
prima, alla stregua delle previsioni, contenute nello Statuto, nelle relative Disposizioni 
di attuazione e nelle norme statali, che regolano il trasferimento 
alle Province autonome di Trento e di Bolzano dei beni immobili demaniali e 
patrimoniali dello Stato e della Regione. 
3.3.1.1. Sotto questo profilo vengono dunque in primo luogo in considerazione 
gli artt. 67 e 68 del d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670 - recante approvazione 
del Testo Unico delle leggi costituzionali concernenti lo Statuto speciale 
per il Trentino-Alto Adige - i quali, per quanto qui interessa, rispettivamente 
stabiliscono che: 
a) "i beni immobili patrimoniali dello Stato situati nella regione sono trasferiti 
al patrimonio della regione" (art. 67, comma 2); 
b) "nelle norme di attuazione della presente legge saranno determinate le modalit� 
per la consegna da parte dello Stato dei beni suindicati" (art. 67, comma 3); 
c) "le province, in corrispondenza delle nuove materie attribuite alla loro 
competenza, succedono, nell'ambito del proprio territorio, nei beni e nei 
diritti demaniali e patrimoniali di natura immobiliare dello Stato e nei beni e 
diritti demaniali e patrimoniali della regione, esclusi in ogni caso quelli relativi 
al demanio militare, a servizi di carattere nazionale e a materie di competenza 
regionale" (art. 68). 
L'art. 108, comma 3, del d.P.R. n. 670/1972 rimette poi a specifiche 
norme di attuazione la determinazione dei beni di cui all'art. 68 che passano 
alle province, nonche le modalit� per la consegna dei beni stessi. 
In attuazione delle norme statutarie test� citate � stato perci� emanato il 
d.P.R. 20 gennaio 1973, n. 115 il quale, come poi novellato, integrato e modificato 
dal D.Lgs. 21 dicembre 1998, n. 495, ha appunto disciplinato il trasferimento 
alle province autonome di Trento e di Bolzano dei beni demaniali e 
patrimoniali dello Stato e della Regione. 
Le norme di attuazione identificano i beni e i diritti demaniali e patrimoniali 
di natura immobiliare dello Stato (v. artt. 1, 2, 8 e 9) nonch� i beni e i diritti 
demaniali e patrimoniali della Regione (v. art. 4) da trasferire alle due 
Province autonome nonche il procedimento amministrativo da seguire per l'individuazione 
- mediante elenchi da formarsi d'intesa tra le parti - e il successivo 
trasferimento - mediante redazione di un semplice verbale di consegna - di 
detti beni e diritti (v. artt. 3, 5, 6 e 8). 
In particolare, l�art. 9 del d.P.R. n. 115/1973 - nel testo cosi sostituito 
dall'art. 1 del d.lgs. n. 495/1998 - dispone che "ai sensi dell'articolo 67, secondo 
comma, e 68 del decreto del Presidente della Repubblica 31 agosto 1972, 
n. 670, i beni e i diritti di natura immobiliare costituenti il patrimonio disponibile 
dello Stato, che non siano trasferibili alla regione in corrispondenza 
alle funzioni ad essa attribuite dallo statuto di autonomia, sono trasferiti alle 
province di Trento e di Bolzano secondo le modalit� previste nell'articolo 8".
188 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2016 
L'art. 11, comma 3, del d.P.R. n. 115/1973 (come novellato) prevede infine 
una ricognizione periodica, a cadenza quinquennale, ai sensi e per gli effetti 
dei citati artt. 67 e 68 dello Statuto speciale di autonomia, dei "beni non 
pi� necessari per la difesa dello Stato o per servizi di carattere nazionale", 
da trasferire alla regione o alle province territorialmente interessate secondo i 
criteri di cui all'art. 9 considerando comunque non pi� necessari "i beni non 
utilizzati in tutto o in parte prevalente da almeno dieci anni, salvo che sia stata 
decisa nelle forme di legge la ripresa della loro utilizzazione per la difesa o 
per servizi di carattere nazionale". 
Il quadro normativo di derivazione statutaria si completa poi con la previsione 
di cui all'art. 2 del D.Lgs. n. 495/1998 a mente del quale, oltre ai beni 
immobili e ai diritti reali immobiliari dello Stato indicati negli elenchi allegati 
allo stesso decreto legislativo (comma 1), sono altresi trasferiti alle province 
autonome "i beni appartenenti alle amministrazioni dello Stato, anche ad ordinamento 
autonomo, che alla data del 1 luglio 1998 risultino non utilizzati per 
attivit� istituzionali da almeno venti anni". 
3.3.1.2. Dal complesso delle riportate disposizioni risulta dunque che l'individuazione 
dei beni e dei diritti dello Stato suscettibili di trasferimento alle Province 
autonome di Trento e di Bolzano avviene secondo due distinte modalit�. 
3.3.1.3. Nel primo caso, l'individuazione � operata direttamente dalle 
norme statutarie o da quelle di attuazione, le quali identificano non soltanto le 
categorie (astratte) di beni statali da trasferire, ma anche i beni stessi che vengono 
a tal fine indicati in appositi elenchi allegati allo stesso decreto presidenziale 
o legislativo di attuazione (art. 1 del d.P.R. n. 115/1973 e art. 2, 
comma 1, del D.Lgs. n. 495/1998). 
In questa ipotesi pu� ritenersi che, trattandosi di beni gi� specificamente e 
puntualmente individuati dalla legge, il diritto delle Province al trasferi-mento 
sorga immediatamente, per effetto della sola e semplice inclusione dei beni 
negli elenchi allegati ai decreti di attuazione delle previsioni statutarie. In questo 
contesto, i verbali di consegna assolvono pertanto alla mera funzione di trasferire 
alle Province il possesso di beni la cui propriet�, in conformit� ai principi e alle 
regole del sistema tavolare vigente nei territori dell'ex Impero austro-ungarico (v. 
r.d. 28 marzo 1929, n. 499), passer� peraltro agli Enti terri-toriali solo al momento 
dell'iscrizione del verbale - il quale, per espressa previ-sione di legge, costituisce 
titolo per l'intavolazione (v. artt. 6, comma 1, 8, comma 3, 11, comma 3, d.P.R. 
n. 115/1973 e 2, comma 2, d.P.R. n. 495/1998) - nel libro fondiario. 
3.3.1.4. Nel secondo caso, lo Statuto o le norme di attuazione si limitano 
invece ad indicare soltanto la categoria o la natura dei beni statali da trasferire. 
Qui, la concreta individuazione � poi rimessa ad intese tra le Amministrazioni 
dello Stato e le Province di volta in volta interessate ed agli elenchi di beni in 
esito a dette intese a tal fine formati (artt. 8 e 9 del d.P.R. n. 115/1973 e art. 2, 
comma 2, del D.Lgs. n. 495/1998).
PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 189 
In questa ipotesi, trattandosi di beni determinati solo nel genere (per categorie 
o secondo la natura), � ragionevole ritenere che il diritto delle Province 
al trasferimento sorger� solo all'esito del procedimento di 
individuazione e con riferimento ai (soli) beni effettivamente inclusi negli 
elenchi a tal fine formati d'intesa tra le parti, conformemente, del resto, alla 
regola generale di diritto comune (v. art. 1378 cod. civ.). 
Regola generale che, nella fattispecie, va peraltro coordinata con l'altra, 
di diritto speciale, test� ricordata, di cui all'art. 2 del R.D. n. 499/1929 in base 
alla quale nel regime tavolare l'acquisto del diritto di propriet� presuppone comunque 
la previa intavolazione del relativo titolo (nella specie costituito, come 
s'� detto, dal verbale di consegna). 
Ma non solo, poich� la stessa individuazione pu� essere per cosi dire statica 
o dinamica, a seconda che essa si riferisca ai beni appartenenti alle indicate 
tipologie o aventi comunque le prescritte caratteristiche alla data di entrata 
in vigore delle norme statutarie o di attuazione, ovvero ad una diversa data 
specificamente determinata (v., ancora una volta, l'art. 2, comma 2, del d.lgs. 
n. 495/1998 che fa riferimento ai beni statali che alla data del 1 luglio 1998 
non risultino utilizzati per attivit� istituzionali da almeno un ventennio), ovvero 
ancora a beni da identificarsi, alla stregua dei requisiti di legge, in esito a periodiche 
ricognizioni (cos� l'art. 11, comma 3, del d.P.R. n. 115/1973). 
3.3.2. Il complesso normativo appena illustrato - e la "riserva di acquisizione" 
dei beni statali a favore delle Province autonome sancita dallo Statuto 
e dalle disposizioni di derivazione statutaria - trova conferma nella legislazione 
nazionale la quale ribadisce che "i beni immobili ed i diritti reali sugli immobili 
appartenenti allo Stato, situati nei territori delle regioni a statuto speciale, 
nonch� delle province autonome di Trento e di Bolzano, sono trasferiti al patrimonio 
dei predetti enti territoriali nei limiti e secondo quanto previsto dai 
rispettivi statuti. Detti beni non possono essere conferiti nei fondi di cui al 
comma 86, n� alienati o permutati" (cos� l'art. 3, comma 114, della 1. 23 dicembre 
1996, n. 662). 
4. Questo essendo il quadro normativo, occorre dunque ora stabilire se 
l'atto all'esame e, ancor prima, il Protocollo d'intesa del quale esso costituisce 
attuazione, siano o meno compatibili con le norme di rango paracostituzionale 
- lo Statuto di autonomia e le Disposizioni di attuazione - od ordinario - la 
legge statale - in precedenza richiamate. 
Ove, infatti, si ritenesse che il contratto di permuta si pone in contrasto 
con le norme di cui sopra o perch� direttamente confliggente con esse o perch� 
strumento per eluderne l'applicazione, potrebbe ravvisarsene la nullit� ex art. 
1418, comma 1, cod. civ. o ex artt. 1344 e 1418, comma 2, cod. civ. perch� 
contrastante con norme imperative ovvero perch� in frode alla legge. 
In tal caso, il contratto di permuta eventualmente concluso rimarrebbe 
esposto ad azione di nullit�, poich� potrebbe sostenersi che la Provincia ha
190 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2016 
acquistato a titolo oneroso un bene patrimoniale disponibile dello Stato in ipotesi 
non pi� necessario a fini pubblici statali - come appunto quello, gi� sede 
degli uffici dell'ANAS di Bolzano, oggetto della permuta progettata - che, ai 
sensi del combinato disposto degli artt. 9 e 11, comma 3, del D.P.R. n. 
115/1973, la stessa aveva diritto di acquisire ex lege e a titolo gratuito: e pretendere 
quindi, ex artt. 2037 e 2033 cod. civ., e salvi gli effetti dell'usucapione 
e della prescrizione dell'azione di ripetizione eventualmente medio tempore 
maturate (v. art. 1422 cod. civ.), la restituzione dell'immobile indebitamente 
trasferito in permuta allo Stato (e del conguaglio pagato). 
Tale tesi appare tuttavia superabile alla luce delle considerazioni che seguono. 
La vicenda traslativa all'esame pu� infatti ragionevolmente ritenersi 
esulare dall'ambito di applicazione della normativa richiamata. 
5. E, invero, malgrado il richiamo al d.P.R. n. 115/1973 contenuto nel preambolo 
del Protocollo d'intesa di cui essa costituisce sviluppo ed attuazione, 
l�atto di cui si tratta sfugge, proprio per le connotazioni contrattuali ed onerose 
che lo caratterizzano, all'ambito di applicazione del complesso normativo di 
cui al D.P.R. n. 115/1973 e al d.lgs. n. 495/1998 il quale disciplina al contrario 
il trasferimento, ex lege e a titolo gratuito, dallo Stato alle Province autonome 
di Trento e di Bolzano, di beni immobili statali individuati, d'intesa tra le parti, 
all'esito del procedimento amministrativo di ricognizione previsto e regolato 
dalla richiamata normativa di attuazione dello Statuto speciale di autonomia. 
5.1. Per un verso, va preso atto che siffatto modulo procedimentale - destinato 
a concludersi con l'individuazione concordata dei beni e dei diritti immobiliari 
statali da trasferire alle Province autonome e la cui attivazione resta 
pur sempre rimessa all'autonoma e concorde iniziativa delle parti - non si � 
allo stato realizzato, e in ogni caso non ha riguardato i beni di cui si tratta. 
I beni e i diritti in questione debbono pertanto ritenersi pienamente e liberamente 
disponibili e negoziabili inter partes nelle forme proprie e tipiche 
del diritto comune. 
Va infatti rammentato che, secondo quanto chiarito in precedenza, nel 
caso di beni, come nel caso, diversi da quelli specificamente indicati negli elenchi 
allegati ai decreti di attuazione dello Statuto di autonomia, il diritto al 
trasferimento delle Province sorge solo e soltanto al momento in cui, all'esito 
del procedimento amministrativo all'uopo previsto, le parti provvedono, d'intesa 
tra loro, all'individuazione e all'inclusione negli elenchi a tal fine formati 
dei beni in concreto da trasferire. 
Ragion per cui prima di quel momento - prima, cio�, del perfezionamento 
della fattispecie costitutiva del diritto al trasferimento - non esiste alcuna 
posizione giuridica soggettiva delle Province meritevole di tutela e i beni statali 
rientrano pertanto pienamente nella disponibilit� dello Stato. 
Ci�, anche alla luce del principio generale (in linea con il gi� rammenta-
PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 191 
to disposto dell�art. 11, comma 3, del d.P.R. n. 115/1973) secondo il quale, 
fino all�avvenuta identificazione in contraddittorio dei beni da trasferirsi, � 
pur sempre consentito allo Stato di individuare tra i beni di propriet� 
temporaneamente non utilizzati quelli che si rivelino suscettibili di 
(nuova) utilizzazione per fini di utilit� statale. 
Non ha poi certamente secondario rilievo la circostanza che la Provincia, 
nella valutazione dell�interesse pubblico di propria competenza, ha sempre 
ritenuto pacificamente non applicabili nella fattispecie le disposizioni su cui 
si � fin qui discusso, ritenendo il bene non solo di propriet� dello Stato, ma 
anche liberamente dallo stesso disponibile, e ravvisando altres� un forte interesse 
alla conclusione dell�operazione. 
5.2. N�, per la medesima ragione, pare assumere valenza ostativa al divisato 
negozio la norma di cui al comma 114 dell'art. 3 della L. n. 662/1996 la 
quale, dopo aver ribadito in termini generali e riferiti a tutte le Regioni a statuto 
speciale quanto gi� stabilito dallo Statuto del Trentino Alto Adige e dalle relative 
norme di attuazione in tema di trasferimento alle Province autonome di 
Trento e di Bolzano dei beni demaniali e patrimoniali dello Stato ubicati nel 
territorio della Regione, pone un divieto di alienazione o di permuta. 
Esso infatti, avuto riguardo alla ratio della disposizione e al contesto normativo-
statutario cui la stessa fa esplicito riferimento, sembra logicamente riguardare 
unicamente l'alienazione o la permuta a favore di soggetti terzi diversi 
da quelli che sono, per volont� del Legislatore statutario e nazionale, gli unici, 
legittimi destinatari dei trasferimenti aventi ad oggetto le realit� in esame - 
vale a dire, a seconda dei casi, le Regioni a Statuto speciale o le Province autonome 
di Trento e di Bolzano. Un tale divieto, dunque, non preclude che al 
medesimo risultato le parti (e, segnatamente, la Provincia autonoma, che se 
ne accolla il relativo costo) decidano nella loro autonomia di pervenire - eventualmente 
anche a titolo oneroso, qualora l'interesse pubblico, come nel caso, 
consigli - secondo schemi negoziali di diritto privato, raggiungendo pertanto 
le comuni finalit� in termini temporali assai pi� contenuti. 
Le argomentazioni che precedono inducono dunque a superare i dubbi di 
validit� del negozio sotto i profili ora esaminati. 
6. N� appaiono in alcun modo ostativi alla apposizione del visto di legalit� 
i problemi derivanti dai commi 1 e 1-bis dell'art. 12 del D.L. n. 98/2011 con 
riguardo alla circostanza che, in ragione del diverso valore degli immobili permutati, 
lo scambio di beni tra lo Stato e la Provincia si concluderebbe con un 
saldo attivo a favore dello Stato di � 5.880,00= destinato ad essere ripianato 
dalla Provincia in numerario contestualmente alla stipula dell'atto. 
Effettivamente, la rilevata disparita di valori, peraltro assolutamente marginale 
nel quadro economico complessivo dell'operazione, esclude che la permuta 
in parola possa definirsi "pura", essendo comunque previsto un sia pur 
modesto conguaglio a favore dello Stato.
192 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2016 
Cionondimeno questa Avvocatura ritiene che tale circostanza non sia di 
impedimento alla conclusione del contratto, atteso che i limiti alle operazioni 
di acquisto e di vendita di immobili - e la permuta �, a tutti gli effetti, un atto 
che comporta, contestualmente e reciprocamente, la cessione e l'acquisizione 
di beni - ora stabiliti dai commi 1 e 1-bis dell'art. 12 cit. ben possono ritenersi 
non operanti n� relativamente alle permute a parit� di prezzo, n� relativamente 
alle permute con conguaglio di prezzo a favore dell'Amministrazione pubblica. 
L'esclusione delle permute senza conguaglio dall'ambito di applicazione 
delle citate disposizioni pare invero difficilmente revocabile in dubbio per due 
ordini di ragioni tra loro intimamente correlate e connesse. 
In primo luogo, perch� le permute c.d. pure, essendo finanziariamente neutre, 
sono prive, per definizione, di qualsiasi incidenza sui saldi strutturali di finanza 
pubblica; in secondo luogo, perch�, se le permute a parita di prezzo 
sfuggivano - per l'anzidetta ragione - al divieto - assoluto - di acquisto stabilito 
dal comma 1-quater dell'art. 12 del d.l. n. 98/2011 come autenticamente interpretato 
dall'art. 10-bis del d.l. n. 35/2013, a fortiori deve ritenersi che, una volta 
venuto meno quel divieto, esse non soggiacciano neppure ai limiti alle operazioni 
di acquisto e vendita ora stabiliti dai commi 1 e 1-bis del citato decreto legge. 
Ma, ad avviso di questa Avvocatura, anche le permute nelle quali, e come 
nella fattispecie, sia previsto un conguaglio a favore dell'Amministrazione statale 
esulano dall'ambito di applicazione di quei limiti nella misura in cui, a ben vedere, 
risultano anch'esse finanziariamente neutre non comportando alcun esborso 
di denaro pubblico da parte dell'amministrazione permutante e, quindi, ancora 
una volta, alcun negativo riflesso sui saldi strutturali di finanza pubblica. 
E se � vero che il minor valore del bene acquisito in permuta comporta 
una diminuzione del valore complessivo del patrimonio immobiliare pubblico, 
� per� altrettanto vero che tale diminuzione patrimoniale � integralmente compensata 
dal conguaglio previsto. 
Del resto, i limiti stabiliti dalle norme in commento paiono - esclusivamente 
- riferiti ad operazioni immobiliari - di vendita o di acquisto - che comportano 
non soltanto un'immediata ed effettiva incidenza negativa sui saldi 
strutturali di finanza pubblica, ma anche un concreto esborso di denaro pubblico, 
com'� reso evidente dal ripetuto riferimento in quelle norme contenuto ad 
un elemento quale il prezzo - la cui congruit� deve formare oggetto di attestazione 
da parte dell'Agenzia del demanio ed il cui ammontare deve essere reso 
noto mediante pubblicazione sul sito internet istituzionale dell'ente acquirente 
- tipico della compravendita ed estraneo allo schema negoziale della permuta. 
Per queste ragioni appare perci� sostanzialmente rispettata la ratio del 
divieto di acquisto e vendita di immobili a titolo oneroso - e della correlata 
deroga relativamente alle permute a parit� di prezzo nonche delle permute 
senza oneri a carico del bilancio dello Stato - individuabile nell'esigenza di 
garantire e presidiare l'invarianza dei saldi di bilancio evitando ogni operazione
PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 193 
negoziale che comporti o possa comportare - come le compravendite e le permute 
con un conguaglio a carico dell'amministrazione pubblica - esborsi di 
danaro pubblico: e per questo aspetto la permuta in parola, prevedendo un 
conguaglio a favore dello Stato, rappresenta perci� un'operazione priva, in definitiva, 
di impatti sui saldi strutturali di finanza pubblica del tipo di quelle 
contemplate dall'Allegato A del D.M. 16 marzo 2012 di attuazione del comma 
1 dell'art. 12 del citato d.l. n. 98/2011. 
Il D.M. in questione prevede, tra l'altro - art. 2, comma 7 -, che "le disposizioni 
di cui all'art. 12, comma 1, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, 
con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, non si applicano 
alle procedure di vendita e di acquisto in corso, avviate ... per effetto di delibere 
assunte, entro il 31 dicembre 2011, dai competenti organi dei predetti enti e che 
individuino con esattezza i compendi immobiliari oggetto delle operazioni". 
Nulla esclude peraltro che l'operazione in parola - assimilabile, come s'� 
detto, a quelle prive di impatto sui saldi strutturali di finanza pubblica previste 
dall'Allegato A al D.M. 16 marzo 2012 - formi oggetto, al pari di quelle, e come 
previsto dall'art. 2, comma 5, del D.M. citato, di preventiva comunicazione 
al Ministero dell'economia e delle finanze - Dipartimento del tesoro e Dipartimento 
della Ragioneria generale dello Stato - e di successiva attuazione in assenza 
di osservazioni nel termine di trenta giorni dalla relativa comunicazione. 
7.1. Con riferimento, poi, alla bozza d'atto trasmessa, giova osservare che 
non vi si rinviene una clausola contenente una condizione sospensiva analoga 
a quella contenuta nella bozza predisposta nel 2013. 
Tale pattuizione risulta invece, ad avviso di questa Avvocatura, necessaria, 
nella misura in cui essa rafforza e garantisce la posizione dello Stato 
subordinando l'efficacia del trasferimento alla Provincia del bene di propriet� 
statale alla previa intavolazione, a favore dello Stato, dell'immobile di propriet� 
provinciale oggetto di permuta nonch� all'accertamento, in via formale, 
dell'avveramento di tutte le altre condizioni allora indicate (accatastamento 
nella categoria B 1, verifica di idoneit� alla destinazione sotto il profilo urbanistico 
ed edilizio, regolare esecuzione di lavori eventualmente pattuiti). 
7.2. Alla luce delle osservazioni tutte svolte nella trattazione che precede 
appare inoltre vivamente raccomandabile che, nelle premesse dell�atto, si 
indichi espressamente: 
� che la Provincia ravvisa nella realizzazione dell�operazione in discorso 
uno specifico interesse anche ad essa proprio con riferimento (oltre che 
all�acquisizione di immobili da destinarsi a fini pubblici) alla tutela dell�ordine 
pubblico, che viene meglio perseguita attraverso una ottimale presenza 
sul territorio delle Forze dell�ordine (presenza, appunto, favorita dall�acquisto 
dell�immobile da destinarsi poi ad uso statale mediante il previsto trasferimento 
in permuta); 
� che le parti si danno reciprocamente atto che i beni statali oggetto della
194 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2016 
successiva permuta esulano dal campo di applicazione delle norme statali e 
regionali, e in particolare dello Statuto di autonomia, del DPR n. 115/73 e delle 
norme collegate e derivate che regolano il trasferimento alla Regione e alle 
Province autonome di Trento e Bolzano dei beni e dei diritti immobiliari dello 
Stato, rinunciando espressamente ad avanzare e formulare, anche in futuro, 
qualsiasi pretesa, domanda ed eccezione al riguardo. 
Sul presente parere, considerati i profili di massima, � stato sentito il Comitato 
consultivo dell�Avvocatura dello Stato, il quale, alle sedute del 21 settembre 
2015 e del 26 ottobre 2015, si � espresso in conformit�. 
Soggetti tenuti al rilascio della documentazione 
antimafia in caso di partecipazioni societarie indirette 
PARERE 26/11/2015-536024, AL 35225/15, AVV. MARIO ANTONIO SCINO 
1. Quesito 
Si fa riferimento alla nota in oggetto, con cui codesta Amministrazione 
ha chiesto un parere della Scrivente in merito all�ambito di operativit�, sul 
piano della sfera soggettiva, della prescrizione contenuta nell�art. 85, comma 
2, lett. c), D.Lgs. n. 159/2011 la quale, in materia di soggetti tenuti al rilascio 
della documentazione antimafia, fa riferimento al �socio di maggioranza in 
caso di societ� con un numero di soci pari o inferiore a quattro�. 
In ordine a tale disposizione, in particolare, si chiede di sapere se la norma 
trovi applicazione anche nel caso delle partecipazioni societarie indirette, ossia 
nel caso in cui il controllo societario � esercitato a sua volta da altre societ� di 
capitali: pi� esattamente �[�] nel caso in cui la partecipazione maggioritaria 
risulti detenuta da un organismo societario, a sua volta con un capitale suddiviso 
tra non oltre quattro soci, di cui uno di maggioranza�. 
2. Normativa 
In primo luogo, occorre fare puntuale rimando alla normativa di riferimento 
in materia, al fine di individuare la ratio della norma a partire dalla 
quale delineare la portata applicativa della stessa sotto il profilo soggettivo. 
Si fa riferimento, in particolare, al D.Lgs. 6 settembre 2011 n. 159 recante 
�Codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, nonch� nuove disposizioni 
in materia di documentazione antimafia, a norma degli articoli 1 e 
2 della legge 13 agosto 2010, n. 136�. 
L�art. 85 cit. individua infatti i �Soggetti sottoposti alla verifica antimafia�
PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 195 
e dispone, al comma 2, che �la documentazione antimafia, se si tratta di associazioni, 
imprese, societ�, consorzi e raggruppamenti temporanei di imprese, deve 
riferirsi, oltre che al direttore tecnico, ove previsto: [�] c) per le societ� di capitali, 
anche al socio di maggioranza in caso di societ� con un numero di soci pari 
o inferiore a quattro, ovvero al socio in caso di societ� con socio unico; [�]�. 
Prima di entrare nel merito del quesito prospettato, occorre fare puntuale 
riferimento ad un'altra disposizione, seppur de relato, che concorre a delineare 
un quadro normativo pi� ampio, all�interno del quale muovere le argomentazioni 
necessarie a risolvere il quesito interpretativo in oggetto. 
In tal senso si segnala che l�art. 85 cit., al comma 2-quater (inserito dall�art. 
2, comma 1, lett. b), n. 2), D.Lgs. 15 novembre 2012, n. 218), dispone 
che �Per le societ� di capitali di cui alle lettere b) e c) del comma 2, concessionarie 
nel settore dei giochi pubblici, oltre a quanto previsto nelle medesime 
lettere, la documentazione antimafia deve riferirsi anche a soci persone fisiche 
che detengano, anche indirettamente, una partecipazione al capitale o al patrimonio 
superiore al 2 per cento, nonch� ai direttori generali e ai soggetti responsabili 
delle sedi secondarie o delle stabili organizzazioni in Italia di 
soggetti non residenti. Nell'ipotesi in cui i soci persone fisiche detengano la 
partecipazione superiore alla predetta soglia mediante altre societ� di capitali, 
la documentazione deve riferirsi anche al legale rappresentante e agli eventuali 
componenti dell�organo di amministrazione della societ� socia, alle persone 
fisiche che, direttamente o indirettamente, controllano tale societ�, nonch� ai 
direttori generali e ai soggetti responsabili delle sedi secondarie o delle stabili 
organizzazioni in Italia di soggetti non residenti. La documentazione di cui al 
periodo precedente deve riferirsi anche al coniuge non separato�. 
3. Considerazioni 
Con riferimento al merito del quesito in esame ed alla soluzione interpretativa 
ivi prospettata, secondo la quale le questioni interpretative legate all�applicazione 
delle disposizioni del D.Lgs. n. 159/2011 (c.d. �codice Antimafia�) 
troverebbero un fondamento alla possibile interpretazione estensiva delle disposizioni 
antimafia con una combinata lettura alle disposizioni contenute nel 
D.Lgs. n. 163/2006 (c.d. �codice dei contratti pubblici�), si prende atto che 
tale indicazione ermeneutica si muove secondo una logica di eadem ratio tra 
le due normative in questione: sottoporre a controlli pi� capillari le societ� 
con un numero di soci non superiore a quattro. In tal senso, si richiama l�orientamento 
del Consiglio di Stato secondo cui � rinvenibile nella disciplina del 
codice dei contratti pubblici una finalit� volta ad �assicurare che non partecipino 
alle gare n� stipulino contratti con le amministrazioni pubbliche, societ� 
di capitali con due o tre soci per le quali non siano attestati i previsti requisiti 
di idoneit� morale in capo ai soci aventi un potere necessariamente condizionante 
le decisioni di gestione della societ�� (Cons. di Stato, Ad. Plen., 6 no-
198 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2016 
rappresenta che tale disposizione, in virt� di una formulazione precisa e puntuale, 
costituisce elemento imprescindibile per ricostruire, secondo canoni di legalit� e 
tipicit� dell�azione amministrativa in materia, la specifica volont� del Legislatore, 
sia sul piano dell�interpretazione letterale, sia sul piano logico sistematico. 
Ed infatti, l�art. 85, comma 2, lett. c), cit., non menziona espressamente 
le c.d. �partecipazioni indirette�: la norma utilizza l�espressione �socio di 
maggioranza�. Tale ultima qualificazione soggettiva evidentemente deve essere 
intesa non gi� nel suo ristretto significato secondo la disciplina propria 
delle societ� di capitale, ai sensi del codice civile, bens� nella sua portata reale 
della lotta alla criminalit� organizzata, intendendo evidentemente il Legislatore 
perseguire le persone fisiche che, esercitando il controllo societario, condizionano, 
mediante il sistema delle partecipazioni di maggioranza, le determinazioni 
degli organi di amministrazione delle societ�. 
Nello specifico settore dei concessionari di giochi pubblici, evidentemente 
ritenuto meritevole di una peculiare attenzione estendendo l�operativit� 
delle relative misure, il Legislatore ha per� espressamente individuato l�obbligo 
di acquisire la documentazione antimafia anche nel caso di �soci persone 
fisiche che detengono, anche indirettamente, una partecipazione al capitale o 
al patrimonio superiore al 2 per cento�. 
L�elemento di novit� va qui riferito alla soglia del 2%, e non anche alla 
circostanza che essa possa essere detenuta indirettamente, trattandosi di una 
precisazione formale ultronea rispetto al sistema dei controlli societari reali 
rilevanti ai fini della materia, ed espressamente indicata solo in ragione dell�esiguit� 
della misura per la quale trova applicazione la specifica disciplina 
indicata dall�art. 85 cit. 
Ed infatti, la funzione della documentazione antimafia, costituita dalla 
comunicazione antimafia e dall�informazione antimafia (art. 84, comma 1, 
decreto cit.), � sempre pi� preordinata, anche dopo le recenti novelle, ad anticipare 
la tutela della sicurezza e dell�ordine pubblico nella lotta alla criminalit� 
organizzata; si rammenta, poi, che il D.Lgs. 159/2011, introducendo il 
Codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, ha modificato, 
aggiornato ed integrato la disciplina della documentazione antimafia, frutto 
di una stratificazione normativa intervenuta negli anni, rafforzandone la ratio 
consistente nella lotta alla criminalit� mafiosa, interesse quest�ultimo preminente 
e prevalente nei confronti di qualsiasi altro interesse, sia esso pubblico 
o privato (cfr. sentenza Cons. di Stato, Sez. III, n. 240 del 23 aprile 2014). La 
riforma, come noto, peraltro ha inciso anche sulla individuazione del giudice 
territorialmente competente a decidere sulla documentazione antimafia e ci� 
in quanto ora l�informativa prefettizia spiega i propri effetti su tutto il territorio 
nazionale (cfr. C.d.S., Ad. Plen., n. 17/2014: �[�] Deve inoltre considerarsi 
che gi� questa Adunanza Plenaria aveva evidenziato come l�interpretazione 
degli effetti territorialmente limitati e non di portata generale dell�interdittiva
PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 199 
fosse da riferirsi al previgente assetto normativo e avrebbe potuto mutare a seguito 
dell�entrata in vigore del d.lgs n. 159/2011, che introduce �molteplici profili 
di novit�, con riguardo, tra l�altro, agli effetti soggettivi, alla durata e alla 
pubblicit� delle informative� (Ad. Plen. n. 3/2013 e n. 4/2013). Infatti, l�art. 91 
del d.lgs n. 159/2011 prevede che l�informazione interdittiva sia provvedimento 
da cui possono sorgere una serie di provvedimenti ulteriori, adottati da altri 
enti, e non tutti predeterminabili a priori nel loro contenuto�. 
Ne consegue che, proprio in quanto il sistema ha optato per una anticipazione 
delle misure di prevenzione, il principio di legalit�, e con esso di tipicit� 
delle scelte effettuate in sede legislativa, risulta preminente nella corretta individuazione 
ed applicazione dei canoni ermeneutici volti a tracciare la concreta 
sfera di operativit� soggettiva delle disposizioni sopra richiamate. 
Pertanto, l�attuale tenore letterale dell�art. 85, comma 2, c), del Codice 
antimafia gi� consente in via interpretativa di poter estendere i controlli anche 
alle partecipazioni indirette nel caso di controlli societari a catena; ad ogni 
modo, una siffatta interpretazione della citata disposizione di legge rischia di 
trovare limite in una interpretazione meramente letterale, anch�essa possibile, 
improntata a principi di semplificazione, mancando un intervento del Legislatore 
di portata analoga a quella di cui all�art. 85, comma 2-quater, cit., inserito 
dall�art. 2, comma 1, lett. b), n. 2), D.Lgs. 15 novembre 2012, n. 218 
per il solo settore dei concessionari di giochi pubblici. 
Conseguentemente, ove si ritenga preminente applicare le misure di tutela 
individuate nel Codice Antimafia sarebbe del tutto opportuno che, analogamente 
al comma 2-quater, cit., il Legislatore intervenga individuando espressamente 
anche le partecipazioni indirette tra quelle per cui � richiesta la 
documentazione antimafia, e ci� al fine di precludere l�uso delle partecipazioni 
indirette quale espediente pratico utilizzato dal reale socio di controllo per eludere 
di fatto le necessarie e dovute verifiche che l�ordinamento giuridico nazionale 
intende approntare per la lotta alla criminalit�. 
4. Conclusioni 
Sulla base delle precedenti considerazioni, si pu� postulare un�interpretazione 
estensiva dell�art. 85, comma 2, lett. c), del Codice Antimafia, anche 
alle partecipazioni indirette per ratio legis propria del d.lgs. n. 159/2011, sulla 
falsariga dell�applicazione anch�essa estensiva dell�art. 38, comma 1, lettera 
c) del Codice dei contratti pubblici, ricorrendo nell�ordinamento giuridico le 
medesime esigenze sociali di tutela e prevenzione della sicurezza e ripercorrendo 
gli stessi percorsi ermeneutici fatti propri dal Consiglio di Stato (Ad. 
Plen., 6 novembre 2013, n. 24) e dall�ANAC (parere precontenzioso n. 73 del 
28 ottobre 2014), pur nella pacifica autonomia e differenza di sfera di operativit� 
del Codice antimafia e del Codice dei contratti pubblici. 
Nondimeno si sottolinea l�opportunit� di un intervento normativo ad hoc
200 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2016 
per garantire l�applicazione dell�art. 85, comma 2, lett. c), D.lgs. 159/2011, in 
riferimento alla locuzione �socio di maggioranza in caso di societ� con un numero 
di soci pari o inferiore a quattro�, in modo estensivo, in modo da rendere 
palese l�intenzione del Legislatore, anche in considerazione di quanto enunciato 
nel comma 2-quater dell�art. 85, cit., in tema di societ� concessionarie 
nel settore dei giochi pubblici che estende le misure �(�) ai soci persone fisiche 
che detengono, anche indirettamente, una partecipazione al capitale o 
al patrimonio superiore al 2 per cento (�)�. 
In attesa di un siffatto intervento del legislatore, anche al fine di dare uniformit� 
di applicazione pratica sul territorio nazionale e coordinare le attivit� 
amministrative, nonch� in chiave di deflazione del contenzioso innanzi al Giudice 
amministrativo, secondo la prospettiva evidenziata nella richiesta di parere 
si ritiene plausibile che, a regime vigente, laddove il socio di maggioranza 
sia una persona giuridica, le verifiche antimafia ex art. 83, cit., debbano svolgersi 
tanto nei confronti degli organi ordinariamente scrutinabili facenti parte 
la societ� che detiene la maggioranza del capitale sociale dell�impresa nei cui 
confronti si deve acquisire la documentazione antimafia che nei confronti del 
socio persona fisica detentore della maggioranza delle quote. 
Si suggerisce infine di condividere le soluzioni suindicate con le altre Istituzioni 
preposte alla cura di interessi similari, e con cui ordinariamente codesta 
Amministrazione � usualmente in raccordo per uniformare la propria azione 
(ANAC, DIA, DNA). 
In tal senso si � espresso il Comitato consultivo nella seduta del 13 novembre 
2015. 
Disciplina dell�edilizia residenziale 
a favore di dipendenti pubblici 
PARERE 09/12/2015-554402, AL 33969/15, AVV. ETTORE FIGLIOLIA 
Si riscontra la nota in epigrafe, e preso atto dei chiarimenti forniti con la successiva 
nota del 10 novembre u.s., e dei contenuti della documentazione alla 
stessa nota allegata, si rappresenta che, ad avviso di questa Avvocatura Generale, 
ove gli attuali fruitori degli alloggi di che trattasi dovessero chiedere l�applicazione 
del D.M. n. 185/2014 al fine di conseguire la ridefinizione in termini pi� 
favorevoli del canone locativo, nulla osterebbe, in assenza oltretutto di contrarie 
disposizioni dello stesso decreto, all�accoglimento della relativa istanza. 
Invero, va rilevato che con il Decreto Ministeriale del 2014 test� citato 
si � proceduto alla sostituzione del precedente D.M. n. 215/2002 con il quale
PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 201 
erano stati stabiliti i limiti di reddito ed i criteri per l�assegnazione degli alloggi 
e la determinazione dei canoni locativi, in sostanziale attuazione dei 
principi statuiti dalla giurisprudenza amministrativa in punto di modalit� di 
determinazione del canone di locazione di detti alloggi, tenuto conto dell�intervenuto 
annullamento giurisdizionale del D.M. n. 8346/2011, integrativo 
del precedente D.M. 215/2002, recante la specificazione dei parametri per 
addivenire alla determinazione dei canoni in questione, sicch�, trattandosi di 
atti amministrativi di contenuto normativo, lo stesso annullamento giurisdizionale 
produce un effetto diffuso per tutti i soggetti interessati, stante la 
stessa esigenza, in termini di interesse pubblico, di omogeneit� della disciplina 
relativa al contesto. 
Ed infatti, � innegabile che la ratio della complessiva regolamentazione 
di questo settore corrisponde alle finalit� pubblicistiche dei programmi di cui 
all�art. 18 D.L. 152/1991, correttamente individuate dal TAR Lazio con la sentenza 
n. 17/2013 confermata dal Consiglio di Stato con la decisione n. 
1125/2014, e cio� quella di favorire la mobilit� del personale con priorit� per 
i dipendenti pubblici trasferiti per esigenze di servizio, ratio che verrebbe sostanzialmente 
frustrata laddove si realizzassero disparit� di trattamento nell�ambito 
delle medesime categorie di beneficiari che potrebbero verificarsi 
rispetto alle sedi di servizio ubicate in Comuni con diversa densit� abitativa, 
nella considerazione che detto canone � calcolato anche con riferimento al 
prezzo di cessione degli alloggi. 
Per quanto precede, l�interpretazione sistematica del D.M. 185/2014 deve 
essere condotta alla luce delle finalit� perseguite dall�Amministrazione in ottemperanza 
ai principi statuiti dalla giustizia amministrativa, nel senso di assicurare 
la vigenza di una disciplina comune a tutti i soggetti fruitori degli 
alloggi de quibus, tenendo nella debita considerazione la ineludibile esigenza, 
lumeggiata dallo stesso Consiglio di Stato con la sentenza n. 1125/2014, che 
l�entit� del reddito quale requisito per l�accesso costituisca criterio anche per 
la fissazione del canone, s� da evitare che �il dipendente che si � aggiudicato 
in ragione del basso reddito il diritto ad essere assegnatario� non si trovi a 
disporre di un reddito inadeguato per corrispondere il canone. 
In via generale, a conferma delle superiori argomentazioni, vanno richiamate 
le convincenti motivazioni espresse in fattispecie analoghe dalla giurisprudenza 
amministrativa (TAR Lazio, Sez. II bis, 15 aprile 2014, n. 6800) 
alla stregua delle quali per definire il costo di locazione deve essere considerato 
quello effettivo sostenuto dal soggetto beneficiario del contributo pubblico, 
sicch� � di tutta evidenza che il costruttore ove il canone di locazione 
dovesse invece essere parametrato al prezzo di cessione degli alloggi definito 
al lordo del finanziamento regionale, otterrebbe una inammissibile duplicazione 
del beneficio stesso, sia all�atto della corresponsione del prezzo della 
costruzione, sia al momento della riscossione dei canoni.
202 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2016 
Nei sensi suesposti � la richiesta consultazione. 
Sulle questioni oggetto del presente parere si � pronunciato in conformit� 
il Comitato Consultivo di questa Avvocatura. 
Prestazioni previdenziali erogate da Stazione appaltante a 
fronte di irregolare posizione contributiva dell�impresa fallita 
PARERE 14/12/2015-562411, AL 22627/15, AVV. GIACOMO AIELLO 
Con la nota che si riscontra codesta Avvocatura ha richiesto l�avviso della 
Scrivente in merito all�individuazione del soggetto legittimato a ricevere il pagamento 
dei corrispettivi contrattuali in relazione a prestazioni rese da una ditta 
incaricata dalla Direzione Generale per la gestione e la manutenzione degli edifici 
giudiziari di Napoli per la realizzazione di un sistema di consultazione al pubblico 
per l�accesso agli uffici ed ai servizi del nuovo palazzo di giustizia di Napoli. 
In particolare, tenuto conto che in data 11 giugno 2013 il Tribunale di 
Roma dichiarava il fallimento del contraente privato e che il documento di regolarit� 
contributiva (DURC), acquisito dalla stazione appaltante ai sensi 
dell�art. 6 d.P.R. n. 207/2010, evidenziava la posizione irregolare dell�impresa 
nei confronti dell�INAIL per il mancato pagamento di premi assicurativi, nonch� 
nei confronti dell�INPS per un importo complessivo pari a 28.539,42 Euro, 
si richiede se possa trovare applicazione l�art. 4, comma 2 del d.P.R sopra citato, 
il quale dispone che: �in caso di ottenimento da parte del soggetto responsabile 
del procedimento del documento unico di regolarit� contributiva 
che segnali un'inadempienza contributiva relativa a uno o pi� soggetti impiegati 
nell'esecuzione del contratto, il medesimo trattiene dal certificato di pagamento 
l'importo corrispondente all'inadempienza. Il pagamento di quanto 
dovuto per le inadempienze accertate mediante il documento unico di regolarit� 
contributiva � disposto dai soggetti di cui all'articolo 3, comma 1, lettera 
b), direttamente agli enti previdenziali e assicurativi�. 
L�applicabilit� di tale intervento sostitutivo si rivela problematica nel caso 
di specie, nel quale l�impresa appaltatrice ha emesso fattura a fronte dei servizi 
resi il 31 maggio 2013 ed in seguito � stata dichiarata fallita dal Tribunale civile 
di Roma in data 11 giugno 2013: risulta infatti che il Curatore fallimentare 
ha pi� volte diffidato l�Amministrazione al pagamento del credito ritenuto di 
spettanza dell�impresa fallita e a non dare seguito all�intervento sostitutivo, 
sul presupposto che quest�ultimo avrebbe sottratto poste creditorie, in violazione 
del principio della par condicio creditorum.
PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 203 
Successivamente anche l�INAIL e l�INPS hanno manifestato l�intento di 
rifiutare il pagamento dei crediti previdenziali, aderendo alla nota di codesto 
Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali (prot. n. 0052752 in data 1 aprile 
2014) con cui si subordina l�ammissibilit� dell�intervento sostitutivo a quelle 
ipotesi in cui la procedura concorsuale sia finalizzata alla prosecuzione dell�attivit� 
aziendale, come ad esempio nelle ipotesi di concordato preventivo, 
mentre sarebbe da escludere nel fallimento, in quanto, se applicata, determinerebbe 
la lesione della par condicio creditorum. 
Codesta Avvocatura ritiene invece che la soluzione da seguire sia quella 
di privilegiare comunque il pagamento degli enti previdenziali rispetto all�interesse 
dei creditori insinuati nel passivo fallimentare. 
Tale ultima soluzione appare, ad avviso della Scrivente, la pi� corretta 
alla stregua delle considerazioni che seguono. 
L�articolo 4, comma 2, del d.P.R. 207/2010 introduce un particolare meccanismo 
attraverso il quale, in presenza di un documento unico di regolarit� 
contributiva che evidenzi irregolarit� nei versamenti dovuti agli Istituti e/o 
alle Casse Edili, le stazioni appaltanti possono sostituirsi al debitore principale 
versando - in tutto o in parte - le somme dovute in forza del contratto di appalto 
direttamente ai predetti Istituti e Casse. 
L�articolo 4, che si riferisce appunto all�ipotesi dell�irregolarit� del DURC 
dovuta ad un�inadempienza contributiva relativa ad uno o pi� soggetti impiegati 
nell�esecuzione del contratto impone addirittura alla stazione appaltante 
di trattenere, dalle somme dovute all�appaltatore, gli importi da stornare in favore 
degli enti previdenziali. 
Trattasi all�evidenza di una tutela perfino rafforzata rispetto alla diversa 
ipotesi contemplata nell�art. 5 del medesimo regolamento di esecuzione che, 
a proposito del ritardo nel pagamento delle retribuzioni ai lavoratori impiegati 
nell�esecuzione del contratto prevede una mera facolt� del committente, e non 
gi� un obbligo come la norma sopra richiamata, dell�Amministrazione di pagare 
le retribuzioni arretrate direttamente ai lavoratori. 
Obiettivo della norma �, dunque, attraverso la soddisfazione della pretesa 
creditoria degli enti nei cui confronti l'operatore economico ha maturato un'esposizione 
debitoria, quello di assicurare il ripristino della regolarit� contributiva 
del medesimo, in un�ottica di tutela del sistema previdenziale ed assicurativo 
generale la cui tenuta economica � considerata di preminente rilievo siccome 
posta a presidio dell�intera collettivit� dei lavoratori che vi risultano iscritti. 
Pi� in particolare, le disposizioni citate assicurano la soddisfazione del 
preminente interesse pubblico alla garanzia della completa erogazione di 
quanto dovuto al lavoratore, conformemente all�art. 38 Cost. attraverso 
l�adempimento di un�obbligazione che, pur essendo diretto ad un soggetto 
terzo rispetto al contratto di appalto pubblico, ha piena efficacia liberatoria 
nei confronti del committente debitore.
204 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2016 
Le richiamate disposizioni del Regolamento di esecuzione del Codice dei 
contratti sembrano del resto costituire un�attuazione del generale principio 
contenuto nell�art. 1676 c.c. che, come noto, attribuisce ai lavoratori il potere 
di proporre un�azione diretta contro il committente per conseguire quanto � 
loro dovuto dall�appaltatore fino a concorrenza del credito da quest�ultimo 
vantato verso il committente. 
In proposito � stato rilevato che �nell�ottica di ampliare le garanzie dei 
lavoratori, l�art. 5 del Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e 
forniture, in attuazione delle Direttive UE (Regolamento e capitolati -L. n. 
109/94, art. 3; L. 537/93, art. 6, comma 9), nel testo risultante dalle modifiche 
introdotte - appunto nel suddetto senso garantista - dal D.Lgs. 31 luglio 2007, 
n. 113 (vigenti a decorrere dal 1 agosto 2007), stabilisce che il regolamento 
di attuazione ed esecuzione del codice stesso debba dettare disposizioni, fra 
l'altro, per: a) la inclusione, tra i requisiti soggettivi rilevanti per la scelta 
dell'appaltatore, anche della regolarit� contributiva; b) l'intervento sostitutivo 
della stazione appaltante in caso di inadempienza retributiva e contributiva 
dell'appaltatore; c) la tutela dei diritti dei lavoratori, secondo quanto gi� previsto 
ai sensi del regolamento recante capitolato generale di appalto dei lavori 
pubblici, approvato con D.M. lavori pubblici 19 aprile 2000, n.145. Pertanto, 
il D.P.R. 5 ottobre 2010, n. 207 (recante il Regolamento di esecuzione ed attuazione 
del suddetto codice) nel titolo II, relativo alla "Tutela dei lavoratori 
e regolarit� contributiva" prevede: - all'art. 4 la disciplina in materia di "Intervento 
sostitutivo della stazione appaltante in caso di inadempienza contributiva 
dell'esecutore e del subappaltatore (D.M. LL.PP. n. 145 del 2000, art. 
7)"; - all'art. 6 la disciplina del "Documento unico di regolarit� contributiva", 
che attesta contestualmente la regolarit� di un operatore economico per 
quanto concerne gli adempimenti INPS, INAIL, nonch� cassa edile per i lavori, 
verificati sulla base della rispettiva normativa di riferimento; - all'art. 5 
la disciplina in materia di "Intervento sostitutivo della stazione appaltante in 
caso di inadempienza retributiva dell'esecutore e del subappaltatore. (�). 
Dall'insieme di tali disposizioni si desume che a garanzia dei crediti retributivi 
e contributivi dei lavoratori impegnati negli appalti - o nei subappalti - pubblici 
sono previsti specifici strumenti che, se attivati nei tempi e nei modi prescritti, 
consentono agli interessati di avere direttamente dall'amministrazione 
committente il pagamento delle retribuzioni dovute dal loro datore di lavoro 
anche in corso d'opera. Al contempo, con l'attivazione di tale tutela speciale, 
il lavoratore pu� consentire al committente di applicare le opportune sanzioni 
(se crede) al datore di lavoro inadempiente ed ottenere un ristoro pieno del 
proprio credito per le retribuzioni corrisposte ai lavoratori (�). Negli appalti 
pubblici il disvalore dello scorretto comportamento tenuto dal datore di lavoro 
- in violazione del principio di cui all'art. 36 Cost. - non ha rilievo soltanto 
nel rapporto interno tra privati, ma comporta anche la lesione degli interessi
PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 205 
pubblici al cui migliore perseguimento � preordinata la complessiva disciplina 
regolatrice degli appalti pubblici� (Cfr. Cass. Civ. Sez. Lav. n. 15432/2014). 
Dunque, bench� la disposizione di cui all�art. 4, cit. si esprima sinteticamente 
nei termini di �destinatario del pagamento dell�importo trattenuto�, 
deve ritenersi, in virt� della ratio sottesa all�istituto in questione, che lo stesso 
contempli un�ipotesi di novazione soggettiva dal punto di vista del creditore. 
Si tratta ora di verificare se l�intervenuto fallimento dell�appaltatore, in 
questo caso successivo al momento della liquidazione del credito nei confronti 
della committente, impedisca l�intervento sostitutivo dell�amministrazione, 
come sopra descritto, dovendo, nel bilanciamento degli interessi in gioco, ricevere 
maggiore tutela i creditori della massa fallimentare rispetto ai pagamenti 
dovuti dal committente debitore. Pi� in particolare si deve quindi 
stabilire se le disposizioni della legge fallimentare debbano derogare a quelle 
contenute nel codice degli appalti in virt� della specialit� delle prime rispetto 
a queste ultime. 
Pur non essendosi rinvenuti precedenti negli esatti termini, si ritiene che 
la giurisprudenza di legittimit� abbia gi� individuato dei criteri ermeneutici 
utili alla soluzione della questione esaminata. 
Con riguardo al rapporto tra l�azione di cui all�art. 1676 c.c. e la procedura 
fallimentare, la Corte di Cassazione ha messo in luce il fatto che detta azione 
non incide sul patrimonio dell�appaltatore fallito, ma di quello di un terzo (il 
committente). Ci� equivale a dire che i crediti dei lavoratori derivanti dalle irregolarit� 
contributive, addebitate al datore di lavoro, divengono immediatamente 
esigibili nei confronti del committente, con la conseguenza che il loro 
pagamento non passa attraverso il patrimonio del datore di lavoro. Da ci� deriva 
l�ulteriore conseguenza dell�irrilevanza dell�eventuale fallimento del datore 
di lavoro, in quanto il curatore fallimentare non potrebbe ottenere quanto 
lo stesso fallito non poteva a sua volta esigere. 
Il medesimo Giudice di legittimit� ha peraltro ritenuto l�assetto giuridico 
derivante dall�applicazione dell�art. 1676 c.c. coerente con il dettato costituzionale, 
in quanto lo specifico beneficio correlato alla preferenza dei crediti 
dei lavoratori rispetto a quelli della massa fallimentare, appare giustificato dal 
superiore interesse all�attuazione di principi contenuti negli artt. 4 e 36 Cost. 
(Cfr. Cass. Lav. 24 ottobre 2007, n. 22304/2007). 
Questi principi hanno trovato recente applicazione in una sentenza del 
Tribunale di Roma resa proprio rispetto alla vicenda del fallimento (..), che 
ha portato alla condanna del committente pubblico che aveva ritenuto di dover 
privilegiare l�estinzione del debito nei confronti della curatela fallimentare 
(Cfr. Trib. Roma 15 novembre 2014, n. 8189/2014). 
Diversamente opinando, si perverrebbe del resto all�assurda situazione 
nella quale l�Amministrazione pagherebbe il proprio debito nei confronti della 
curatela fallimentare, senza alcun effetto liberatorio rispetto alle possibili pre-
206 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2016 
tese azionate dai dipendenti dell�appaltatore fallito, i quali, pur essendo assisiti 
dal privilegio di cui all�art. 2751-bis c.c. ben potrebbero vedere mortificate le 
ragioni creditorie nell�ipotesi di insufficienza dell�attivo fallimentare. 
A diverse conclusioni dovrebbe pervenirsi nel caso in cui il credito nei 
confronti dell�appaltatore sorga successivamente al fallimento dell�appaltatore, 
in quanto � evidente che in questa ipotesi detto credito potrebbe trovare soddisfazione 
solo attraverso l�insinuazione nel passivo fallimentare con il privilegio 
previsto dagli artt. 2753 e 2754 cc. 
La rilevanza di massima della questione esaminata ha suggerito l�opportunit� 
di estendere questa consultazione anche a codesto Ministero. 
Sul presente parere � stato sentito il Comitato consultivo che, nella seduta 
del 3 dicembre 2015, si � espresso in conformit�. 
Autorizzazioni per gli ambulatori e 
regime sanzionatorio delle violazioni 
PARERE 14/12/2015-562614, AL 41948/15, AVV. FRANCESCO SCLAFANI 
Con la nota che si riscontra, � stato chiesto il parere di questa Avvocatura 
in merito al rapporto tra l�art. 193 T.U. Leggi Sanitarie e l�art. 12 della Legge 
regionale del Lazio n. 4/2003 per quanto concerne la disciplina autorizzativa 
degli ambulatori e il regime sanzionatorio delle relative violazioni. 
In particolare codesta Amministrazione chiede di conoscere l�avviso della 
scrivente sui seguenti quesiti: 
1) �se le leggi regionali e le relative normative di attuazione riempiano 
ed in parte sostituiscano oggi l�art. 193 T.U. Sanit� pubblica; 
2) se l�utilizzo di spazi ulteriori rispetto a quelli della planimetria autorizzata 
o l�esercizio di prestazioni e attivit� mediche diverse e/o ulteriori rispetto 
a quelle autorizzate rappresentino fattispecie cui comminare la sanzione 
amministrativa di cui all�art. 193 4� comma primo periodo T.U. sanit� pubblica 
e all�art. 12 2� comma L.R. n. 4/2003, oppure la sanzione amministrativa 
di cui all�art. 193 4� comma secondo e terzo periodo e all�art. 12, 1� comma 
L.R. n. 4/2003� . 
Con l�istituzione del servizio sanitario nazionale, la legge n. 833/1978 ha 
devoluto alle singole regioni il compito di disciplinare il regime autorizzatorio 
e di vigilanza sulle istituzioni sanitarie di carattere privato. 
Ci� emerge dall�art. 43, primo comma, l. n. 833/1978 in cui si legge che 
�la legge regionale disciplina l�autorizzazione e la vigilanza sulle istituzioni
PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 207 
sanitarie di carattere privato� tra le quali rientrano gli ambulatori ai sensi 
dell�art. 4, comma 2, l. n. 412/1991 (secondo il quale �dette istituzioni sanitarie 
(gli ambulatori) sono sottoposte al regime di autorizzazione e vigilanza 
sanitaria di cui all�art. 43 della legge 23 dicembre 1978, n. 833�). 
Con tale disposizione la l. n. 833/1978 ha voluto sostituire il regime autorizzatorio 
e sanzionatorio di cui al T.U. delle Leggi Sanitarie del 1934 con 
un nuovo regime di competenza regionale. 
Peraltro, l�art. 8-ter d.lgs. 502/1992, dopo aver ribadito che la realizzazione 
di strutture e l�esercizio di attivit� sanitarie e sociosanitarie sono subordinate 
ad autorizzazione, dispone che spetta alle regioni determinare modalit� 
e termini per la richiesta e il rilascio dell�autorizzazione alla realizzazione di 
strutture e all�esercizio di attivit� sanitaria e sociosanitaria. 
Che si tratti della sostituzione di un regime statale con un regime regionale 
- peraltro in linea con la riforma del Titolo V della Costituzione - risulta 
anche dal fatto che il citato art. 43 l. 833/1978 contiene una disciplina transitoria 
secondo la quale fino all�emanazione della legge regionale restano in vigore 
alcune disposizioni, anche del T.U. delle leggi sanitarie (artt. 194, 195, 
196, 197 e 198), �intendendosi sostituiti al Ministero della Sanit� la regione 
e al medico provinciale e al prefetto il presidente della giunta regionale�. 
Tra le suddette norme del T.U. delle leggi sanitarie non viene richiamato 
l�art. 193 il quale pertanto � rimasto in vigore anche dopo l�emanazione delle 
varie leggi regionali; ci� in quanto tale norma disciplina un reato e le regioni 
non possono legiferare in materia penale. Sul punto Cass. Pen. Sez. III, 12 
gennaio 1998, n. 2688 ha sottolineato che, a seguito della istituzione del servizio 
sanitario nazionale, ex l. 833/1978, che con l�art. 43 ha devoluto alle regioni 
il compito di disciplinare le autorizzazioni relative alle istituzioni 
sanitarie di carattere privato, si � venuto a limitare l�ambito di applicazione 
dell�art. 193 T.U. leggi sanitarie soltanto a quelle attivit� per le quali le diverse 
leggi regionali continuano a richiedere un provvedimento permissivo. 
Tuttavia, ai fini del parere richiesto, rileva in particolare il quarto comma 
dell�art. 193 T.U. leggi sanitarie che presenta problemi di compatibilit� o coordinamento 
con l�art. 12, primo e secondo comma L.R. Lazio n. 4/2003. Tale disposizione 
del T.U. cit. non contiene una norma penale in quanto opera 
�indipendentemente dal procedimento penale� e disciplina l�esercizio delle funzioni 
amministrative concernenti la vigilanza sul rispetto del regime autorizzatorio 
prevedendo la chiusura delle strutture sanitarie aperte senza autorizzazione 
o in violazione delle prescrizioni contenute nell�atto di autorizzazione. 
Ebbene, per quanto concerne il primo quesito, si osserva che l�art. 43 l. 
833/1978 ha devoluto alla competenza regionale la disciplina sia dell�autorizzazione 
che della vigilanza sulle istituzioni sanitarie di carattere privato. Pertanto, 
deve ritenersi che con l�entrata in vigore della L.R. Lazio n. 4/2003 le 
sanzioni amministrative per l�esercizio dell�attivit� sanitaria e socio-sanitaria
208 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2016 
in assenza o in violazione dell�autorizzazione siano quelle previste dall�art. 
12, primo e secondo comma, L.R. cit. e non dall�art. 193, quarto comma T.U. 
leggi sanitarie. Ci� in quanto l�esercizio della potest� sanzionatoria rientra 
nell�ambito dell�attivit� di vigilanza. 
Sul secondo quesito si osserva quanto segue. 
L�esercizio di prestazioni diverse rispetto a quelle autorizzate rientra nella 
previsione del primo comma dell�art. 12 L.R. cit. che riguarda espressamente 
le attivit� diverse. 
L�esercizio di prestazioni ulteriori rispetto a quelle autorizzate, pur non 
essendo letteralmente contemplato dall�art. 12, deve ritenersi assimilabile all�esercizio 
di una attivit� diversa da quella autorizzata in quanto anche qui 
l�autorizzazione cՏ ma l�attivit� svolta non � conforme a quella autorizzata. 
Infine, l�esercizio dell�attivit� autorizzata ma su spazi ulteriori rispetto alla 
planimetria indicata nell�autorizzazione, deve ritenersi anch�esso assimilabile 
all�esercizio di un�attivit� diversa da quella autorizzata e quindi soggetto alla 
disciplina di cui al primo comma dell�art. 12 L.R. cit. Ci� perch�, analogamente 
a quanto osservato per le attivit� ulteriori, anche in tal caso l�autorizzazione 
cՏ ma l�attivit� svolta non � conforme a quella autorizzata. Deve ritenersi infatti 
che il concetto di diversit� non riguardi solo il tipo di attivit�, bens� ogni 
difformit� rilevante rispetto alle prescrizioni contenute nell�atto autorizzativo. 
Tale interpretazione, non solo � compatibile con la lettera della norma 
dove non viene specificato il tipo di diversit�, ma � conforme anche alla ratio 
dell�art. 12 L.R. cit. che prevede due illeciti amministrativi di differente gravit� 
a cui corrisponde un diverso regime sanzionatorio: a) il primo comma riguarda 
la fattispecie meno grave di colui che ottiene l�autorizzazione ma non la rispetta 
perch� non svolge l�attivit� autorizzata, bens� un�attivit� diversa (per 
tipo, modalit� di esercizio, estensione degli spazi utilizzati, ecc.); b) il secondo 
comma riguarda la fattispecie pi� grave di colui che invece non si sottopone 
nemmeno al regime autorizzatorio ed esercita l�attivit� sanitaria o socio-sanitaria 
in totale carenza della prescritta autorizzazione. 
Infine, il diverso grado di offensivit� delle suddette tre fattispecie non impedisce 
che siano ricondotte ad un�unica tipologia di illecito in quanto il legislatore 
regionale ha previsto un range sanzionatorio abbastanza ampio (euro 
5.000 - 50.000) nel quale pu� essere individuata la giusta sanzione. 
Il presente parere � stato sottoposto al Comitato Consultivo dell�Avvocatura 
dello Stato, ai sensi dell�art. 26 legge n. 103/1979, il quale si � espresso 
in conformit�.
PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 209 
�Estensione soggettiva� della chiamata 
diretta nelle assunzioni protette 
PARERE 11/01/2016-7883, AL 35772/15, AVV. MARCO CORSINI 
Con nota n. 43470 del 25 settembre 2015 viene chiesto il parere di questa 
Avvocatura in merito all�istanza di assunzione (ex articolo 132, comma 1, lettera 
b), d.lgs. 217/2005) presentata dalla figlia di un Vigile del Fuoco, riconosciuto 
dal 1992 permanentemente non idoneo al servizio d�istituto. 
Il quesito sostanzialmente investe l�estensione soggettiva della disciplina 
dell�assunzione per chiamata diretta nominativa, ossia la possibilit� di riconoscere 
il suddetto beneficio non solo ai fig N� si rinvengono in giurisprudenza, 
pure in presenza della stessa previsione contenuta nelle norme 
previgenti, precedenti utili a chiarire il dubbio. 
Poich� peraltro trattasi di situazione presente anche nella legislazione generale 
in materia di pubblico impiego, cui la presente disciplina settoriale pu� 
essere ricondotta, potrebbe non essere inutile attingere ai principi affermati 
nell�interpretazione di quelle norme. 
Anche esse, infatti, nel regolare le assunzioni obbligatorie nella pubblica 
amministrazione, parlano semplicemente di figli di invalidi di guerra, di servizio 
e di lavoro, nonch� di figli delle vittime del terrorismo, della criminalit� 
organizzata o del dovere; nulla chiarendo in merito alla possibilit� di estendere 
anche ai figli nati successivamente all�evento invalidante i benefici derivanti 
dalle assunzioni protette. 
Il solo precedente giurisprudenziale rinvenuto in materia - unico, a quanto 
consta, e risalente al lontano 1979 - sembrerebbe aver riconosciuto il diritto al 
collocamento obbligatorio anche a coloro che siano stati concepiti posteriormente 
al fatto che ha prodotto l�invalidit� del genitore. E la ragione risiederebbe 
nell�assunto che la mancata riproduzione nella legge abrogatrice (la n. 482/1968) 
dell�inciso �purch� concepiti prima del fatto che ha prodotto l�invalidit� del genitore�, 
contenuto nella legge n. 365/1958 abrogata (legge per l�Opera nazionale 
per gli orfani di guerra), ne avrebbe comportato l�incompatibilit� con la normativa 
sopravvenuta (Cons. Stato, sez. VI, 26 ottobre 1979 n. 365). 
Tuttavia, il citato precedente giurisprudenziale - come detto risalente nel 
tempo - non sembra del tutto convincente. 
La normativa sull�assunzione diretta costituisce rilevante deroga alle norme 
anche di matrice costituzionale che vogliono il pubblico concorso come modalit� 
di accesso ordinaria agli uffici della pubblica amministrazione; modalit� 
posta a presidio di quei principi - come l�imparzialit� e il buon andamento - che 
da sempre guidano l�agire amministrativo. Di qui l�esigenza che le eventuali 
deroghe, peraltro consentite dallo stesso art. 97 della Costituzione (IV comma), 
oltre ad avere necessariamente fonte legislativa, siano intese ed interpretate in
210 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2016 
modo rigoroso onde limitare l�eccezione ad ipotesi strettamente individuate. 
Cos� come non assume apprezzabile rilievo in chiave interpretativa la 
normativa - anche recente (art. 5, commi 3-bis e 3-ter della legge 206/2004 
come introdotti dalla legge n. 147/2013 in materia di assegno vitalizio, e art. 
3, comma 1-ter della stessa legge 206/2004 come introdotto dalla legge 
190/2014 in materia contributiva) - che, con riferimento alle vittime del dovere 
in forza dell�equiparazione legislativa alle vittime del terrorismo, e quindi in 
un ambito interferente con il pubblico impiego, consente con determinati temperamenti 
che i benefici previdenziali accordati al coniuge ed ai figli spettino 
anche se il matrimonio � stato contratto o i figli sono nati successivamente all�evento. 
Anzi, il fatto che laddove il legislatore lo ha voluto lo ha espressamente 
previsto induce ulteriormente a ritenere che in difetto di esplicita 
formulazione in tal senso la norma in questione non possa che applicarsi ai 
figli esistenti al momento dell�evento invalidante. 
Il beneficio previdenziale, peraltro, non ha la stessa natura di quello occupazionale 
e non � attribuito - come questo - in deroga al principio dell�accesso 
concorsuale al pubblico impiego. 
Ora, se � vero che la ratio della disciplina dell�assunzione diretta nel 
Corpo dei Vigili del Fuoco prevista dall�art. 132, comma 1, lettera b) del 
D.Lgs. 217/2005 risiede nel perseguimento di una finalit� solidaristica, essendo 
volta a �compensare� il venir meno dell�apporto di chi non sia pi� in 
grado di essere impiegato nell�Amministrazione di appartenenza (TAR Lazio 
- Roma, sez. I bis, 28 agosto 2015 n. 10953, anche se non mancano pronunce 
che ravvisano una natura premiale tuttavia scarsamente comprensibile), una 
corretta interpretazione di tale norma dovrebbe essere nel senso di riferire il 
beneficio alla situazione familiare cos� come �fotografata� al momento dell�evento 
invalidante. 
� in quel momento, infatti, che viene a mancare il sostegno assicurato dal 
dipendente divenuto permanentemente invalido, ed � allora che scatta il dovere 
solidaristico del datore di lavoro, essendo i famigliari viventi a quell�epoca - 
esattamente come i fratelli ed il coniuge, ugualmente considerati dalla norma 
beneficiante - coloro i quali risentono nell�immediato le conseguenze pi� negative 
dell�evento sul duplice piano morale ed economico. 
Un possibile sostegno interpretativo in tal senso potrebbe ravvisarsi anche 
nell�elemento testuale, laddove la norma in esame - nel prevedere il beneficio 
dell�assunzione diretta in favore dei famigliari del dipendente �divenuto� permanente 
inabile al servizio - sembra riferirsi alla situazione in atto al momento 
del verificarsi dell�evento, cio� ai famigliari esistenti quando il dipendente diviene 
invalido. 
E d�altra parte, se non si propendesse per un�interpretazione restrittiva 
della norma beneficante, l�esposizione dello Stato sarebbe teoricamente non 
limitata nel tempo e nella quantit�, e non vi sarebbe possibilit� di contenerne
PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 211 
i riflessi. Ad esempio, il beneficio dell�assunzione diretta potrebbe in astratto 
essere invocata anche dal coniuge di seconde nozze contratte dopo, o da figli 
adottati successivamente, dilatando senza limite neppure temporale una situazione 
che � e deve restare eccezionale. 
Il che senza contare che la stessa espressione �figli�, a prescindere dalle 
considerazioni che precedono, � suscettibile di un�estensione che nemmeno il 
legislatore del 2005 aveva considerato, attesa l�equiparazione ormai totale che 
la legge n. 219/2012 ha sancito tra i figli nati nel matrimonio e fuori da esso. 
A parere di questo Ufficio, quindi, pur in un quadro che potrebbe evolvere 
in senso contrario, sembra opportuno insistere per un�interpretazione restrittiva 
della norma in discorso, dato anche il riflesso di carattere generale e di principio 
che la questione pu� assumere, con riserva di nuovo esame qualora la 
giurisprudenza dovesse indurre a migliore riflessione sulla posizione attualmente 
assunta. 
Sulla questione ora trattata, attesa la sua rilevanza di massima, � stato 
sentito il Comitato Consultivo dell�Avvocatura dello Stato che nella seduta 
del 17 dicembre 2015 si � espresso in conformit�. 
�Presupposti e requisiti� ai fini del rimborso 
delle spese legali ex art. 18 D.L. n. 67/1997 
PARERE 09/02/2016-59779, AL 34232/15, AVV. MARIO ANTONIO SCINO 
1. Quesito 
Si fa riferimento alla nota in oggetto, con cui codesta Amministrazione 
ha chiesto alla Scrivente il riesame del parere di congruit� reso dall�Avvocatura 
Distrettuale di Napoli in data 9 aprile 2014 (Cs 13054/2011, Avv. Paladino) 
con il quale veniva rigettata l�istanza di rimborso delle spese legali sostenute 
dagli Ispettori Capo della Polizia (...) in conseguenza del loro coinvolgimento 
nel procedimento penale n. 30294/07 dinanzi al Tribunale di Napoli. 
Gli ispettori Capo in oggetto erano stati destinatari dell�accusa di fare 
parte di un�associazione per delinquere insediatasi nel territorio vesuviano, 
che si avvaleva dell�opera di funzionari comunali, membri della Polizia di 
Stato, dipendenti Enel e privati cittadini per favorire l�ingresso e l�illegale permanenza 
sul territorio nazionale di clandestini da adottare come manodopera 
all�interno del c.d. mercato nero, attraverso la sottoscrizione di false certificazioni 
da presentare all�Ufficio Immigrazione. 
214 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2016 
risponde un diritto automatico del dipendente interessato, dovendosi viceversa 
desumere da uno specifico e motivato apprezzamento che l�Amministrazione 
deve effettuare nel suo esclusivo interesse, in quanto trattasi di valutazione finalizzata 
ad assicurare un corretto e ragionevole impiego delle risorse erariali. 
In tal senso si precisa che il legislatore, nel porre a carico dell�erario una spesa 
ulteriore, ha dovuto ponderare le esigenze economiche dei dipendenti coinvolti 
in un procedimento per ragioni di servizio con quelle di limitazione degli oneri 
posti a carico dell�Amministrazione, tenendo in debito conto le esigenze di finanza 
pubblica che impediscono di gravare l�erario di oneri eccedenti quanto 
necessario e sufficiente per soddisfare gli interessi che sottostanno all�istituto 
del rimborso delle spese. 
4. Giurisprudenza 
Si richiamano le principali massime poste a fondamento dell�indirizzo 
restrittivo adottato dall�Avvocatura dello Stato. 
In particolare, la Suprema Corte a Sezioni Unite ha di recente precisato 
che �il pubblico funzionario ingiustamente accusato per fatti inerenti a compiti 
e responsabilit� dell'ufficio ha diritto, ai sensi dell'art. 18 del d.l. 25 marzo 
1997, n. 67, conv. con modif. dalla legge 23 maggio 1997, n. 135, al rimborso 
delle spese sostenute per la sua difesa, la cui entit� va riconosciuta nei limiti 
dello "strettamente necessario" secondo il parere di congruit�, di natura consultiva, 
dell'Avvocatura erariale, che - nella prospettiva di un contemperamento 
tra le esigenze di salvaguardia della spesa pubblica e di protezione del 
dipendente - non pu� limitarsi ad una applicazione pedissequa delle tariffe 
forensi, ancorata ai minimi tariffari, n� mirare a tenere indenne da ogni costo 
l'interessato, ma, nel valutare le necessit� difensive del funzionario in relazione 
alle accuse mosse ed ai rischi del processo penale, nonch� la conformit� 
della parcella del difensore alla tariffa professionale o ai parametri vigenti, 
deve considerare ogni elemento nel rispetto di principi di affidamento, ragionevolezza 
e tutela effettiva dei diritti riconosciuti dalla Costituzione� (Cass., 
S.U., n. 13861 del 6 luglio 2015, Rv. 635924; v. anche Cass., Sez. Lavoro, 
Sent. n. 1418 del 23 gennaio 2007, Rv. 594309; anche Cass., n. 9173/13). 
In considerazione dell�asserita non automaticit� del diritto al rimborso in 
capo al dipendente, si evidenzia che questo consegue all�esito di un�attenta 
valutazione da parte dell�Amministrazione circa la sussistenza dei predetti requisiti 
ex lege. In particolare, in linea con quanto recentemente statuito dal 
T.A.R. Lazio, Latina, Sez. I, 25 febbraio 2015, n. 187, si evidenzia che la 
tutela approntata dal citato art. 18 subordina il diritto al rimborso alla ricorrenza 
di un presupposto giuridico (la sentenza o provvedimento che esclude 
la responsabilit�), nonch� a due requisiti, uno soggettivo (la qualit� di dipendente 
di un'Amministrazione statale) ed uno oggettivo (il nesso tra i fatti e/o 
atti, da cui � originato il giudizio, e l'espletamento del servizio o l'assolvimento
PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 215 
di obblighi istituzionali), al fine di riconoscere le spese legali sopportate solo 
ai soggetti che abbiano agito in nome e per conto, oltre che nell'interesse, dell'Amministrazione, 
con la conseguenza che il requisito in questione pu� reputarsi 
sussistente solo quando sia possibile imputare gli effetti dell'agire del 
pubblico dipendente direttamente all'Amministrazione di appartenenza 
(T.A.R. Lazio, Roma, Sez. II, 7 febbraio 2014, n. 1487). 
Si � altres� specificato che, ai fini dell'applicabilit� dell'art. 18, cit., � richiesto 
un nesso di strumentalit� diretto tra l'adempimento del dovere e il compimento 
dell'atto o condotta, nel senso che il dipendente pubblico non avrebbe 
assolto ai suoi compiti se non ponendo in essere quel determinato atto o condotta. 
Non pu�, invece, darsi rilevanza ad una connessione con il fatto di reato 
di tipo soggettivo ed indiretto in quanto lo spazio di applicazione della tutela 
legale si dilaterebbe eccessivamente, ben oltre i confini segnati dal predetto 
art. 18 (cfr. C.d.S., Sez. III, 10 dicembre 2013, n. 5919). 
Il giudizio di connessione tra la condotta attribuita al dipendente e l'assolvimento, 
da parte sua, dei compiti istituzionali, andr� effettuato in concreto, 
facendo riferimento al giudizio di fatto formulato dall'organo giudicante che 
ha emanato il provvedimento conclusivo del giudizio (cfr. T.A.R. Lazio, Latina, 
Sez. I, 12 marzo 2014, n. 195). 
Altro requisito indispensabile ai fini della concessione del beneficio del 
rimborso � l�assenza, in riferimento alla fattispecie concreta, di un conflitto 
di interessi tra dipendente e Amministrazione. Il rapporto di immedesimazione 
organica che lega l�Amministrazione al titolare di un proprio organo comporta, 
infatti, l�imputazione alla prima degli atti compiuti dal secondo nell�espletamento 
delle competenze demandategli. In materia di rimborso delle spese legali 
sostenute dal dipendente di un�Amministrazione per la propria difesa in 
un procedimento penale, il conflitto d'interessi � rilevante indipendentemente 
dall'esito del giudizio penale e dalla relativa formula di assoluzione. Ne consegue 
che non compete il rimborso delle spese legali qualora il giudice penale 
abbia evidenziato che i fatti ascrittigli esulavano dalla funzione svolta e costituivano 
grave violazione dei doveri d�ufficio (Cass., Sez. Lavoro, Sent. n. 
2297 del 3 febbraio 2014, Rv. 630383). 
In considerazione di quanto illustrato, secondo l�opinione maggioritaria 
non deve ritenersi che tale meccanismo giuridico sia onnicomprensivo e illimitato; 
il rapporto di immedesimazione organica si interrompe, infatti, allorquando 
la persona fisica titolare dell�organo abbia agito per fini estranei ai 
compiti affidati e quindi alla funzione attribuita ex lege alla P.A. In tal senso, 
anche la giurisprudenza amministrativa secondo la quale �al dipendente pubblico 
assolto in sede penale per non aver commesso il fatto, non spetta la refezione 
delle spese di lite da parte dell�amministrazione di appartenenza [...] 
qualora i fatti contestati in sede penale (esempio truffa aggravata a danno 
della p.a.) evidenzino un conflitto di interessi con l�ente� (T.A.R. Toscana,
218 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2016 
Verso una nuova concezione dell�alloggio 
di servizio: l��housing sociale� 
PARERE 15/02/2016-70512, AL 31865/15, AVV. MARCO CORSINI 
Con nota 18 agosto 2015 n. 40/169-11-2-1976 codesto Comando chiede 
il parere della Scrivente in merito ad un�operazione immobiliare, con risvolti 
urbanistici, diretta a realizzare una caserma ed annessi appartamenti destinati 
a militari dell�Arma in Roma, localit� Infernetto. 
L�operazione � dichiaratamente finalizzata a risolvere il gravoso e costante 
problema del reperimento di abitazioni a condizioni sostenibili per il 
proprio personale nelle grandi citt�, in presenza delle attuali gravose condizioni 
di mercato. E come tale, chiaramente, esso incontra il forte interesse di codesta 
Amministrazione. 
L�intervento, sulla scorta degli elementi desumibili dalla bozza di convenzione 
qui trasmessa e dal successivo documento fatto pervenire per le vie 
brevi, dovrebbe articolarsi secondo le seguenti fasi: 
a) un soggetto privato, proprietario di un�area sita in Roma, si impegna: 
- a progettare, e costruire su quell�area e con risorse esclusivamente proprie, 
secondo le prescrizioni e le esigenze dell�Amministrazione, un edificio 
da adibire a caserma ed uno o pi� edifici contenenti un certo numero di alloggi 
ad uso abitativo; 
- a cedere solo ad appartenenti all�Arma dei Carabinieri individuati dall�Arma 
stessa, per un prezzo concordato con l�Amministrazione, il diritto di 
superficie - di durata limitata - dei costruendi alloggi; 
- a cedere gratuitamente allo Stato la propriet� piena della caserma; 
- a cedere gratuitamente allo Stato la nuda propriet� dell�area su cui insisteranno 
le residenze. 
b) l�Amministrazione dal canto suo, sulla base del riconosciuto carattere 
di pubblica utilit� dell�operazione, si impegna ad attivare le procedure di cui 
al DPR 383/1994 relativamente alla conformit� urbanistica dell�intervento. 
Viene delineato in sostanza un procedimento negoziale complesso, che presenta 
elementi propri di distinte fattispecie negoziali, e che nel suo complesso 
mira a realizzare gli interessi eterogenei di tutti coloro che partecipano al procedimento, 
beneficiando dei suoi effetti sia immediati che differiti nel tempo. 
Si tratta di un tema di interesse generale che pu� riguardare diverse pubbliche 
amministrazioni (oltre alla Difesa ed ai Vigili del Fuoco, anche le Forze 
di Polizia e gli Agenti di Custodia) e che come tale va trattato con il dovuto 
approfondimento. 
Per analizzarne i contenuti e la portata, sembra indispensabile partire dal 
dato normativo. 
Con riferimento all�Amministrazione della Difesa, l�art. 398 del DPR
PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 219 
90/2010 (Testo Unico delle disposizioni regolamentari in materia di ordinamento 
militare), al fine di assicurare la mobilit� del personale militare e civile e di provvedere 
alle connesse esigenze alloggiative in funzione del nuovo modello organizzativo 
delle Forze Armate, prevede un programma infrastrutturale in cui la 
costruzione di alloggi di servizio, oltre che secondo lo schema realizzativo proprio 
dei lavori pubblici (anche in finanza di progetto), e quindi in alternativa ad esso, 
pu� essere attuata �� attraverso altre forme negoziali previste dal diritto privato�. 
Il successivo art. 401 include espressamente tra le forme del diritto privato 
�la stipula di atti negoziali con soggetti � privati che si impegnano a realizzare, 
a proprie spese e senza oneri per l�Amministrazione, su aree ad essi appartenenti 
e contestualmente cedute in propriet� all�Amministrazione, alloggi da alienare, 
unitamente al diritto di superficie al personale dipendente dal Ministero della 
Difesa e da questi individuato, con vincolo di destinazione ad alloggio di servizio� 
per la durata massima di novanta anni, al termine dei quali gli alloggi 
confluiscono nella piena propriet� e disponibilit� dell�Amministrazione�. 
Si tratta di tutta evidenza di uno sforzo che il legislatore ha compiuto, facendo 
ricorso a risorse e iniziative private e a schemi inusuali rispetto a quelli 
tradizionalmente conosciuti, per superare l�attuale congiuntura in cui massima 
� l�esigenza abitativa del proprio personale (peraltro, in linea con la generale 
crisi di disponibilit� di alloggi a prezzo o canone sostenibili) e nel contempo 
minima, per non dire inesistente, � l�esistenza di risorse pubbliche. Si potrebbe 
definire insomma come una forma negoziale alternativa di realizzazione di alloggi 
di servizio. 
Viene cos� ad essere (emergenzialmente?) ampliata la tradizionale concezione 
dell�alloggio di servizio come definita dalla giurisprudenza, connotata 
essenzialmente dall�essere il bene di propriet� pubblica, destinato 
funzionalmente e temporaneamente ad esigenze di servizio e come tale oggetto 
normalmente di concessione o locazione (Cons. Stato, VI, 16 settembre 
2004 n. 5999; Cons. Stato, VI, 14 ottobre 2004 n. 6669; TAR Puglia, Bari, 
27 giugno 2011 n. 990). 
Di tal che, deve ritenersi che alloggi costruiti ai sensi delle norme ora ricordate, 
anche se realizzati da privati e con risorse private, su aree inizialmente 
private ma contestualmente cedute in propriet� all�Amministrazione, e vendute 
in diritto di superficie a personale dipendente di quella Amministrazione sulla 
base di titolo convenzionale con l�Amministrazione stessa per soddisfare esigenze 
abitative del suo personale, possono a buon titolo essere considerati - 
in quanto espressamente definiti alloggi di servizio - opere rispondenti a fini 
di interesse pubblico. 
Occorre tuttavia valutare se tale normativa specificamente dettata per le 
Forze Armate - che per� non si applicherebbe ex se all�Arma dei Carabinieri 
in forza del limite contenuto nel comma 3 dell�art. 398 del DPR 90/2010 - 
possa costituire paradigma generale utilizzabile anche a favore di altri enti.
220 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2016 
Come sՏ detto in precedenza, lo schema delineato dalle norme sull�ordinamento 
militare realizza una fattispecie negoziale atipica, da valutare alla 
stregua delle regole di autonomia di cui all�art. 1322 del codice civile, e da ritenere 
coerente con esse purch� diretto a realizzare interessi meritevoli di tutela 
secondo l�ordinamento giuridico. 
Le considerazioni che precedono inducono a ritenere l�interesse perseguito 
indubbiamente lecito, e quindi meritevole di riconoscimento e di tutela. 
Quanto all�Amministrazione, la costruzione degli alloggi senza oneri e 
spese risponde al canone organizzativo del �buon andamento� consacrato nell�art. 
97 della Costituzione, tenuto conto che l�attuale congiuntura economica 
non consente con certezza la loro realizzazione con l�utilizzo di risorse pubbliche. 
E d�altra parte, il soddisfacimento delle esigenze abitative del personale 
dipendente rientrante in fasce di reddito medio basse, per migliorarne le condizioni 
di vita ma soprattutto di lavoro in funzione dell�espletamento del servizio 
nelle grandi citt�, dove notoriamente l�offerta di abitazioni a basso costo 
� estremamente scarsa, costituisce una finalit� di interesse pubblico storicamente 
gi� perseguita dallo Stato. Trattasi nella fattispecie di un interesse specificamente 
intestato all�Amministrazione stessa nella cura del benessere (non 
gi� generale e sociale, ma) del proprio personale in servizio presso una determinata 
localit�, consentendogli l�accesso (altrimenti non conseguibile anche 
per la conclamata insufficienza degli alloggi di servizio in concreto disponibili 
o comunque non realizzabili per la carenza di risorse) ad una casa dignitosa, 
anche se non qualificabile come alloggio di servizio in senso proprio. 
Quanto al soggetto proponente, l�intrapresa costituisce legittima esplicazione 
della libert� di iniziativa economica tutelata dall�art. 41, comma 1, della 
Costituzione, che nella fattispecie si realizza attraverso un�operazione immobiliare 
in sinergia con l�Amministrazione ed in collaborazione con essa per il 
raggiungimento di un interesse pubblico. 
Quanto infine ai dipendenti assegnatari, individuati attraverso una selezione 
guidata dall�Amministrazione secondo propri criteri, il beneficio derivante 
dall�operazione coincide con la possibilit� di accesso ad una abitazione 
dignitosa acquistabile con il proprio risparmio (secondo il dettato dell�art. 47 
della Costituzione). 
In questa prospettiva, la costruzione degli alloggi in questione con le modalit� 
esaminate realizza finalit� riconducibili al c.d. �housing sociale�, istituto 
che - nell�evoluzione della disciplina urbanistica - si concreta nell�offerta di 
nuovi alloggi (in affitto ma anche in vendita) destinati a soggetti che per ragioni 
di reddito sono esclusi dall�accesso all�edilizia residenziale pubblica ma 
non sono tuttavia in grado di sostenere i costi del libero mercato. E come � 
noto, nell�attuale concezione giuridica, politica e sociale � ritenuto di interesse 
pubblico l�accesso ad una casa dignitosa per coloro che non riescono a sostenere 
i prezzi di mercato, in una situazione in cui la sostanziale assenza di sov-
PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 221 
venzioni pubbliche impedisce allo Stato di intervenire direttamente per assicurare 
quell�interesse. 
La normativa vigente espressamente riconduce l�alloggio sociale ai servizi 
di interesse economico generale (art. 1 DM 22 aprile 2008) e di conseguenza 
assumono valore tutte le disposizioni urbanistiche che assimilano 
l�housing sociale agli standard pubblici. 
La giurisprudenza ha espressamente affermato la connotazione di interesse 
pubblico negli interventi di housing sociale (Cons. Stato, AP 30 gennaio 
2014 n. 7), riconoscendo che essi possono essere ben realizzati con forme di 
partenariato publico-privato e/o con programmi a struttura trilaterale realizzati 
da operatore economico, utenti e pubblica amministrazione. 
Di tal che non sembra improprio definire gli alloggi in questione, attesa 
la loro inscindibile connessione funzionale con il pubblico impiego, come alloggi 
sociali di servizio; beni che - se realizzati con le modalit� ora in esame 
- sono inizialmente privati di interesse pubblico, ma sono destinati a divenire 
nel tempo pubblici a tutti gli effetti, anche sotto l�aspetto dominicale. 
E ci� sia che essi siano realizzati a vantaggio del personale delle Forze 
Armate in virt� della norma che espressamente lo consente, sia in via generale 
se realizzati da altre amministrazioni utilizzando l�esaminato schema procedimentale 
e convenzionale. 
La natura esclusivamente privata dell�iniziativa immobiliare, la considerazione 
dell�assenza in capo all�Amministrazione di oneri finanziari (non viene 
infatti impegnato in nessun caso denaro pubblico, n� a titolo di corrispettivo 
n� ad altri fini, la chiara estraneit� dello schema in questione rispetto alle figure 
dell�appalto e della concessione anche in finanza di progetto - rispetto alle 
quali, anzi, esso si pone in aperta alternativa - sembrano escludere la necessit� 
del previo esperimento di procedure di natura concorsuale. 
Tuttavia, evidenti ragioni di imparzialit� e trasparenza dell�azione amministrativa, 
suggeriscono l�opportunit� - tutte le volte che l�area prescelta non 
presenti motivati caratteri di infungibilit� quanto a localizzazione - di osservare 
cautele procedimentali volte a garantire la preventiva pubblicit� ed una possibilit� 
di comparazione, i cui criteri devono essere oggettivamente determinati, 
fra pi� proposte onde consentire la scelta della soluzione 
complessivamente migliore. 
Ci� premesso, il tema che torna all�attenzione della Scrivente attiene all�utile 
esperibilit�, nel caso di realizzazione dell�intervento da parte di un soggetto 
privato con le caratteristiche sopra descritte, dello strumento previsto 
dall�art. 3 del DPR 383/1994 qualora non vi sia conformit� tra l�intervento 
stesso e le vigenti previsioni urbanistiche. 
Un intervento di analoghe caratteristiche � stato attivato anche dai Vigili 
del Fuoco - su conforme parere di questa Avvocatura reso con nota 25 luglio 
2009 n. 229385 - ed ha avuto esito positivo in sede di conferenza dei servizi,
222 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2016 
dove il Comune di Roma ha espresso parere favorevole in virt� di deliberazione 
dell�Assemblea Capitolina n. 10/2010. 
Il DPR n. 383/1994, � bene ricordarlo, disciplina le opere da eseguirsi da 
amministrazioni statali o comunque esistenti su aree del demanio statale e 
delle opere pubbliche di interesse statale, da realizzarsi dagli enti istituzionalmente 
competenti. L�art. 3 del decreto prevede (cos� come prevedeva con contenuto 
e formulazione sostanzialmente analoghi l�art. 81 del DPR 616/1977) 
che, nel caso in cui l�opera non sia conforme agli strumenti urbanistici ed edilizi 
vigenti nel territorio ove essa deve essere realizzata, l�approvazione del 
relativo progetto � demandata ad una conferenza dei servizi cui partecipano 
la regione ed il comune interessati, e l�approvazione cos� intervenuta sostituisce 
ad ogni effetto di legge - e quindi anche in variante o in deroga allo strumento 
urbanistico stesso (Cons. Stato, VI, 12 gennaio 2011 n. 114) - ogni 
intesa, parere, autorizzazione, approvazione e nulla osta previsti dalle leggi 
statali e regionali. 
Nel corso degli anni sono intervenute diverse pronunce giurisprudenziali 
che hanno interpretato l�art. 3 del DPR n. 383/1994, ma nessuna con affermazioni 
specificamente dedicate al suo presupposto oggettivo. Fa eccezione il 
precedente di cui a Cons. Stato, V, 19 marzo 1991 n. 298 che � intervenuto 
tuttavia in fattispecie notevolmente diversa, in cui l�interesse statale dell�opera 
realizzata dal privato per fini immediatamente propri non era stato neppure 
implicitamente affermato dalla Pubblica Amministrazione. 
Acquista dunque decisivo rilievo quanto ritenuto dal Consiglio di Stato 
in sede consultiva laddove, su specifico quesito formulato dal Ministero dei 
lavori pubblici in merito all�analoga disposizione di cui all�art. 81 del DPR 
616/1977, si � affermato che la corretta interpretazione della norma deve privilegiare 
la sua ratio, dando preferenza all�aspetto funzionale piuttosto che a 
quello soggettivo. �Pertanto, quando l�opera sia destinata a soddisfare in 
modo duraturo ed esclusivo le esigenze dell�amministrazione statale pu� apparire 
secondario il fatto che essa venga eseguita sopra un immobile attualmente 
non di propriet� dello Stato e ad iniziativa di altro soggetto� (Cons. 
Stato, II, 20 novembre 1991 n. 240). 
Ne deriva - sempre secondo l�Organo consultivo - l�applicabilit� della 
norma anche nei casi in cui il fabbricato sia costruito o sia in corso di costruzione 
da privato su terreno privato e sia poi ceduto in propriet� o semplicemente 
promesso in vendita all�amministrazione, purch� sia garantito comunque, nelle 
more dell�acquisto della propriet� pubblica, la destinazione permanente del fabbricato 
alla realizzazione dei fini istituzionali dell�Amministrazione. 
Occorre dunque valutare se l�intervento proposto, del quale si sono tratteggiate 
le caratteristiche di interesse pubblico, soddisfi i requisiti affermati, 
quali: l�acquisizione finale del bene alla propriet� pubblica, e nelle more la 
sua destinazione permanente ai fini istituzionali dell�Amministrazione.
PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 223 
Sotto il primo profilo, la cessione immediata alla propriet� pubblica dell�area 
su cui insister� il fabbricato e la durata definita del diritto di superficie 
(che appare pertanto necessaria, dovendosi evitare diritti di estensione temporale 
illimitata) sembrano in grado di garantire l�acquisto finale in capo al 
soggetto pubblico per consolidazione ex art. 954 del codice civile. 
Sotto il secondo profilo, a prescindere dal dato formale (qui non trascurabile) 
che � la stessa Pubblica Amministrazione ad attestare il proprio interesse 
datoriale e a qualificarlo come conforme ai suoi fini istituzionali, le considerazioni 
che precedono paiono perfettamente in grado di attestare la funzionalit� 
immediata dell�intervento ai fini dell�Amministrazione, ovviamente se - come 
si dir� appresso - siano garantite precise condizioni di vincolo. 
Onde, sembra corretto ritenere che l�interesse statale qualificante l�intervento, 
sia perfettamente in linea con i presupposti di applicabilit� dell�art. 3 
del DPR 383/1994 enunciati dal Consiglio di Stato. 
E ci� a prescindere dall�essere (o dal dover essere) gli alloggi collegati 
con rapporto di accessoriet� - nella pratica non sempre evidente nella sua effettivit� 
- ad opere tipicamente pubbliche, quali caserme, asili, mense; opere 
che, se realizzate unitamente alle residenze, possono semmai accentuare la 
presenza dell�interesse statale, ma non costituirne l�oggetto principale. 
� appena il caso di precisare, per fugare ogni ombra di dubbio, che anche 
queste ultime opere, in quanto realizzate e trasferite a titolo gratuito, sono 
estranee alla disciplina dell�appalto di lavori pubblici e non soggiacciono alle 
relative regole dell�evidenza pubblica. 
*** *** *** 
L�orientamento positivo qui espresso non pu� prescindere dalla rassicurante 
considerazione che l�applicazione dell�art. 3 del DPR 383/1994, ancorch� 
estensivamente inteso come nell�indicazione del Consiglio di Stato, mentre 
risponde a soddisfare l�interesse dell�Amministrazione statale non comprime 
o pregiudica in modo irreparabile il vero interesse urbanistico alla corretta gestione 
del proprio territorio che appartiene agli enti locali e territoriali e che 
continua ad essere dai medesimi liberamente apprezzabile e tutelabile. 
In ogni caso infatti, la loro partecipazione al procedimento mediante l�intervento 
alla conferenza dei servizi consente la valutazione finale, anche politica, 
della compatibilit� dell�interesse statale perseguito con il singolo 
intervento con le esigenze del territorio, in coerenza con la naturale plasmabilit� 
dello strumento urbanistico ai mutevoli bisogni della collettivit� locale. 
*** *** *** 
Conseguenza non eludibile di quanto sin qui detto, per tutti gli interventi 
e per tutte le Amministrazioni che li propongono, l�esigenza, che emerge anche 
da ulteriori contributi consultivi nel frattempo emersi (v. Cons. Stato, Commiss. 
Speciale 11 maggio 2009 n. 1096, tuttavia nella diversa ipotesi di alloggi 
situati all�interno di infrastrutture militari) che il tenore delle clausole conven-
224 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2016 
zionali tra il privato e l�Amministrazione, nonch� tra lo stesso privato e i dipendenti 
acquirenti del diritto di superficie sulle abitazioni, sia tale da garantire 
- pur nella discrezionalit� e nell�autonomia negoziale spettante al contraente 
pubblico - modalit� che assicurino effettivamente il mantenimento della destinazione 
del bene al servizio, ed il rispetto dell�interesse statale cos� come 
definito dalle norme. 
In questa prospettiva vanno rivalutati, nei limiti sopra precisati, i profili 
di criticit� espressi con i pareri precedentemente resi dalla Scrivente a codesta 
Amministrazione con le note del 9 maggio 2012 n. 182855, e del 5 marzo 
2013 n. 99968. 
Particolare rilievo, se non addirittura decisiva rilevanza, per la sussistenza 
effettiva dell�interesse statale che legittima l�applicabilit� delle norme di cui sopra, 
e soprattutto dell�art. 3 del DPR 383/1994, assume l�aspetto convenzionale. 
E cos�, unitamente alla definizione del prezzo di acquisto dell�alloggio 
(che ovviamente deve essere �concordato� in modo da collocarsi in una fascia 
inferiore ai valori di mercato tale da essere sostenibile dai livelli reddituali del 
personale dipendente), dovr� porsi attenzione alla presenza di un contenuto 
minimo di clausole che: 
a) fissino una durata del diritto di superficie coerente con l�indicazione normativa 
laddove essa vi sia, con esclusione quindi di diritti illimitati nel tempo, 
non idonei a garantire la confluenza finale del bene nella pubblica propriet�; 
b) demandino all�Amministrazione la determinazione in capo al personale 
dei requisiti soggettivi per l�acquisto; 
c) disciplinino i divieti o comunque i vincoli di modo e di tempo per le 
successive alienazioni che garantiscano la permanenza della destinazione 
dell�alloggio alle esigenze di servizio; 
d) prevedano la trascrizione ex art. 2645 ter del codice civile del vincolo 
di destinazione dell�alloggio alle esigenze di servizio, al fine della sua opponibilit� 
a terzi indipendentemente dalla durata del diritto di superficie; 
e) prevedano il ripristino dell�originaria destinazione urbanistica qualora 
l�iniziativa - per qualunque ragione - non dovesse arrivare a compimento. 
Sul punto, si riservano migliori approfondimenti ed eventualmente ulteriori 
indicazioni in presenza degli schemi degli atti negoziali. 
*** *** *** 
Sulle questioni trattate, attesa la loro rilevanza di massima, � stato sentito 
il Comitato Consultivo dell�Avvocatura dello Stato che nelle sedute dell�11 
gennaio 2016 e del 10 febbraio 2016 si � espresso in conformit�.
PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 225 
Effetti del giudicato penale sui dipendenti delle p.a.: 
distinguo tra reato consumato o tentato 
PARERE RESO IN VIA ORDINARIA DEL 28/12/2015-582635, AL 43914/15, AVV. DIANA RANUCCI 
1) Con la nota in riscontro codesta Direzione chiede di conoscere il parere 
della Scrivente in merito ai criteri applicativi dell�istituto della sospensione del 
pubblico dipendente a seguito di condanna non definitiva previsto dall�art. 4, 
comma 1, L. n. 97/2001 - recante �Norme sul rapporto tra procedimento penale 
e procedimento disciplinare ed effetti del giudicato penale nei confronti dei dipendenti 
delle amministrazioni pubbliche� - che dispone la sospensione (obbligatoria) 
dal servizio nel caso in cui un dipendente pubblico riporti una 
condanna, anche non definitiva, per taluno dei reati elencati tassativamente all�articolo 
3, comma 1, della stessa legge (come modificata da ultimo dalla L. n. 
190/2012), ancorch� sia stata concessa la sospensione condizionale della pena. 
In dettaglio, codesta Direzione chiede di sapere se la disposizione sia applicabile 
anche quando la condanna sia comminata in relazione al delitto tentato: 
nella specie infatti il dipendente � stato condannato per il reato di tentata 
concussione. 
A parere della Scrivente la disposizione di cui all�art. 3 deve ritenersi 
applicabile ai reati ivi previsti, sia nella forma consumata che tentata. 
Vero � che secondo la giurisprudenza il tentativo costituisce una figura autonoma 
rispetto alla fattispecie consumata (cfr. Cass. pen., Sez. II, n. 22628/2001 
e, pi� in generale, sull�autonomia del tentativo, Cass. pen., Sez. II, n. 7741/1998). 
Devesi tuttavia rilevare che la concezione autonomistica si � sviluppata 
in ambito penalistico e trova la sua ratio nella esigenza di giustificare la punibilit� 
di un fatto che, sia negli elementi oggettivi che soggettivi, in nulla � 
identico al delitto consumato. 
In altri termini se il delitto tentato non fosse costruito come figura autonoma 
di reato esso non sarebbe mai punibile, in quanto gli elementi costitutivi 
del reato tentato sono del tutto differenti da quelli del reato consumato. 
� chiaro dunque come non sia possibile utilizzare sul piano amministrativo 
la concezione penale del tentativo, trattandosi di ambiti completamente 
diversi sia per ratio che per funzione. 
A parere della Scrivente infatti, sotto il profilo che qui interessa dell�illecito 
disciplinare, il delitto tentato ed il delitto consumato non possono che ricevere 
lo stesso trattamento. 
Tanto perch� la ratio delle disposizioni recate dagli artt. 3 e 4, L. 97/2001 
� evidentemente la tutela del buon andamento della P.A. e la necessit� di sanzionare 
disciplinarmente fatti di rilievo penale idonei ad esporre la pubblica 
amministrazione al cd. strepitus fori, interessi che possono essere lesi in ugual 
modo sia dal reato consumato che tentato.
226 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2016 
In questo senso si � di recente espresso il Consiglio di Stato, secondo cui 
�non si pu� distinguere, con riguardo ad ipotesi di reato particolarmente 
gravi, come la concussione, la fattispecie del delitto tentato da quella del delitto 
consumato, ai fini dell�applicazione del provvedimento di sospensione 
dal servizio ex art. 4, comma 1, legge n. 97/2001�, (Cons. St., ord. n. 
1522/2014). 
Conformi T.A.R. Lombardia (TAR Brescia, ordinanza 23 luglio 2004, n. 
1306) e TAR Puglia (n. 1139/1994) che esattamente valorizzano la pericolosit� 
sociale del comportamento attuato, insita anche nel reato tentato, e l�interruzione 
del rapporto fiduciario intercorrente tra amministrazione e dipendente 
pubblico a seguito del tentato reato. 
La Scrivente condivide tale orientamento giurisprudenziale, perfettamente 
in linea con la ratio legis, per cui esprime il parere che deve ritenersi applicabile 
l�istituto della sospensione cautelare di cui all�articolo 4, comma 1, L. n. 
97/2001 anche al reato tentato. 
2) Codesta Direzione rappresenta ancora che, in relazione alla medesima 
vicenda soggettiva in esame, il dipendente � stato a suo tempo gi� sottoposto 
ad un procedimento disciplinare conclusosi con la sanzione della �censura�. 
Chiede quindi di conoscere l�avviso di questa Avvocatura circa il potere/dovere 
di attivare un secondo procedimento disciplinare. 
Sul punto si osserva che il fatto che vi sia gi� stato un procedimento disciplinare 
�, ai fini dell�art. 4 in esame, completamente ininfluente, atteso che, 
come chiarito dalla giurisprudenza: �La sospensione obbligatoria dal servizio 
disposta in conseguenza di una condanna penale non si identifica con una 
sanzione di natura disciplinare, assolvendo invece ad una funzione cautelare 
o preventiva, in quanto sia l'interesse al buon andamento della pubblica amministrazione 
che il rapporto di fiducia dei cittadini verso quest'ultima sarebbero 
compromessi dalla permanenza in servizio di un dipendente condannato, 
sia pure in via non definitiva, per taluno dei delitti richiamati dall'art. 4 Legge 
n. 97/2001� (T.A.R. Campania Napoli, Sez. VI, 22 settembre 2015, n. 4578). 
Ci� esclude quindi che possa ipotizzarsi una duplicazione di procedimenti 
disciplinari per uno stesso fatto. 
Ed infatti, in caso di condanna anche non definitiva di un pubblico dipendente 
per alcuno dei delitti previsti dall'art. 3, comma 1 (peculato, concussione, 
corruzione per un atto d'ufficio, etc.), ancorch� sia concessa la 
sospensione condizionale della pena, il dipendente deve essere comunque sospeso 
dal servizio, atteso che da un lato la norma in esame non prevede alcuna 
discrezionalit� per l'Amministrazione di applicare o meno la sanzione della 
sospensione cautelare, e dall�altro che, essendo tipizzate le ipotesi di reato in 
presenza delle quali si applica la sospensione, la locuzione "sono sospesi" dal 
servizio non pu� che essere interpretata come una ipotesi di "sospensione obbligatoria". 

PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 227 
Ne consegue che, in presenza di una condanna penale non definitiva 
emessa in ragione di uno o pi� reati enumerati dall'art. 3 della legge richiamata, 
la pubblica amministrazione non ha n� la facolt� di valutare la gravit� o meno 
del fatto-reato, perch� la valutazione � stata operata a priori dal legislatore, n� 
ha la facolt�, in presenza di tale fatto, di valutare se sospendere o meno dovendo 
esclusivamente sospendere. 
Tale soluzione si impone qualora si considerino le ricordate finalit� pubblicistiche 
cui risponde l�istituto della sospensione obbligatoria che, come 
detto, � posto nell'interesse pubblico, a tutela del principio di buon andamento 
della Pubblica Amministrazione sancito all�articolo 97 della Costituzione, e 
tende ad evitare il pregiudizio alla regolarit� del servizio ed al prestigio dell'Amministrazione 
che deriverebbe dalla permanenza in servizio di soggetti 
condannati, anche in via non definitiva, per reati contro la P.A.; � evidente infatti 
che tali interessi sarebbero frustrati dalla permanenza in servizio di un dipendente 
condannato, sia pure in via non definitiva, per taluno dei particolari 
delitti elencati all�articolo 3 della L. n. 97 del 2001, cui evidentemente il legislatore 
riconnette a priori un giudizio di peculiare disvalore. 
Ricorrendo le condizioni di legge, alla P.A. � quindi inibita alcuna valutazione 
discrezionale, poich� tale valutazione � effettuata direttamente dal legislatore, 
rendendosi necessaria la �sospensione ope legis dal servizio, in 
riferimento a quei delitti per i quali la semplice sussistenza di un�accusa in 
capo ai pubblici impiegati fa sorgere nell�opinione pubblica il sospetto di inquinamento 
dell�intero apparato� (cos� Corte Cost. sentenza 3 maggio 2002, 
n. 145, in riferimento all�articolo 4, comma 1, della L. n. 97/2001, nella parte 
in cui esclude una valutazione discrezionale dell�amministrazione; nello stesso 
senso Cons. Stato, sez. V, 15 novembre 2012, n. 5774). 
In conclusione, anche qualora l�amministrazione abbia gi� valutato la responsabilit� 
del dipendente sotto il profilo disciplinare, la sola condanna per 
uno dei reati elencati all�articolo 3, L. n. 97/2001, ancorch� non definitiva, 
rende necessaria la sospensione cautelare obbligatoria dal servizio a tutela 
degli interessi sopra indicati.
LEGISLAZIONE ED ATTUALIT� 
Tributi locali comunali e modelli di local tax a confronto 
Guglielmo Bernabei* 
La legge di Stabilit� 2016 non apporta le novit� sperate in tema di imposizione immobiliare 
locale. La definizione di una autentica forma di service tax sembra abbandonata e il 
tutto si conclude con l�abolizione del prelievo sull�abitazione principale e con l�abolizione 
dell�Imu agricola. Ne consegue che la necessit� di risorse stabili da parte degli enti locali richiede 
un ripensamento generale delle modalit� di finanziamento. In questo lavoro si argomenta 
sul concetto di Local Tax e si presentano alcune ipotesi di possibile articolazione. 
SOMMARIO: 1. Premessa - 2. Tassazione locale e teoria del beneficio - 3. Iuc e Local Tax 
- 4. Modelli di detrazione per Local Tax - 5. Local Tax e spazi di manovra dei Comuni - 5.1 
Imposte sul patrimonio immobiliare e possibili nuove entrate per i Comuni - 5.2 Local Tax 
minimale - 5.3 Local Tax: verso l�aggregazione Imu e Tasi - 6. Obiettivo Local Tax. 
1. Premessa. 
La legge di Stabilit� 2016 non apporta le novit� sperate in tema di imposizione 
immobiliare locale. La definizione di una autentica forma di service 
tax sembra abbandonata e il tutto si conclude con l�abolizione del prelievo 
sull�abitazione principale e con l�abolizione dell�Imu agricola. 
Questo dato conferma che, negli ultimi anni, gli stringenti vincoli di bilancio 
hanno imposto un costante aumento della pressione fiscale mediante 
manovre sulle imposte comunali. Gli enti locali sono stati sempre pi� chiamati 
a fornire un contributo determinante alla politiche di aggiustamento fiscale 
imposte dal rispetto di rigidi parametri europei. 
Pertanto, la riflessione proposta � partita dai principi di semplificazione 
locale, ovvero la riduzione del numero delle imposte sulla stessa base impo- 
(*) Dottore di ricerca in diritto costituzionale - guglielmo.bernabei@unife.it 
230 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2016 
nibile, dall�equit� fiscale orizzontale, ovvero un trattamento fiscale omogeneo 
a parit� di base imponibile, dall�armonizzazione fiscale verticale, ovvero la 
riduzione la stratificazione di strategie fiscali diverse sulla stessa base imponibile, 
dalla competizione fiscale orizzontale, ovvero il contenimento della 
mobilit� della base imponibile (1). 
Attraverso l�analisi di questi principi (2) ora si possono meglio delineare 
le possibili soluzioni argomentando sulla istituzione di un modello di Local 
Tax come principale tributo locale, tendenzialmente unico, conferendo centralit� 
all�imposta sul patrimonio immobiliare. Non pu� sfuggire che, procedendo 
in questo modo, va posta particolare attenzione sui possibili strumenti 
di equit� nella articolazione dell�imposta, confrontando poi le implicazioni in 
termini di gettito per ente e di pressione fiscale locale. Si pu� affermare, infatti, 
che una imposta locale deve rispettare i caratteri specifici legati alla tipologia 
di spesa pubblica che va a finanziare, una spesa destinata a coprire i costi di 
produzione e fornitura di servizi pubblici locali (3). 
Il Comune � l�ente pubblico sulla frontiera dell�attivit� economico-sociale 
e svolge un ruolo insostituibile per la crescita del territorio in cui opera. 
Quindi, il costo sociale della tassazione locale deve sempre essere rapportato 
ai benefici che la collettivit� locale pu� conseguire con la spesa pubblica municipale. 
L�imposizione locale �, poi, chiamata a riflettere i caratteri dell�economia 
del territorio sul quale opera; la struttura del fisco locale finisce per 
assumere caratteri diversi a seconda che si sia in presenza di un sistema economico 
locale agricolo e/o montano, industriale, terziario, amministrativistico 
o turistico (4). Questo inevitabilmente comporta un ventaglio di strumenti di 
imposizione locale, entrate tributarie e extratributarie, adeguatamente ampio 
da ricomprendere tutte le esigenze municipali (5). 
(1) C. AGNOLETTI, C. BOCCI, C. FERRETTI e P. LATTARULLO �Quanto ci costa la Tasi�, in 
www.lavoce.info, 19.12.2013. (2) C. COSCIANI, L'imposta ordinaria sul patrimonio nella teoria finanziaria, 
1940, pp. 154-155. 
(3) E. CORALI, Federalismo fiscale e Costituzione, Milano, Giuffr�, 2010, 127. 
(4) L. DE STEFANI, Mini-Imu, gli ultimi chiarimenti dell�Economia, in Il Sole 24 Ore, 14.01.2014. 
(5) C. DOSI - G. MURARO, Finanza municipale e fiscalit� immobiliare: ipotesi di riforma, in Rivista 
italiana di diritto finanziario e scienza della finanze, 1996, 01, 3, dove si rileva che ҏ noto che la spesa 
locale pro-capite � tipicamente correlata positivamente al reddito medio individuale, mentre, per quanto 
riguarda la dimensione demografica, la spesa, in generale, esibisce un andamento parabolico: in una 
prima fase si osserva infatti una diminuzione fino ad un certo livello di popolazione spiegata dalle economie 
di scala; ad essa segue una aumento continuo, dovuto non tanto al generarsi di diseconomie di 
scala nella fornitura dei singoli servizi, che generalmente continuano ad esibire costi medi decrescenti, 
quanto al crescere, nelle comunit� pi� ampie, della gamma dei bisogni da soddisfare mediante l�offerta 
di servizi collettivi. L�espansione della spesa nelle comunit� pi� ampie � peraltro da ricollegarsi anche 
alle cosiddette funzioni urbane centrali: i centri maggiori forniscono infatti numerosi beni e servizi collettivi 
di cui beneficiano anche le aree circostanti, sollevando cos� i Comuni pi� piccoli dalla necessit� 
di effettuare spese in questi settori�. 
LEGISLAZIONE ED ATTUALIT� 231 
2. Tassazione locale e teoria del beneficio. 
Al fine di realizzare una logica di collegamento tra tipologie di entrate e 
spesa pubblica locale, l�imposizione locale dovrebbe prevalentemente basarsi 
sul criterio del beneficio o della controprestazione (6). 
In tal senso, gi� l�art. 2, comma 2, della legge delega 42/2009 indicava, alla 
lettera �p�, tra i principi fondamentali della tassazione locale la �tendenziale correlazione 
tra prelievo fiscale e beneficio connesso alle funzioni esercitate sul territorio 
in modo da favorire la corrispondenza tra responsabilit� finanziaria e 
amministrativa�. Ne consegue che questo principio lega il tributo ai vantaggi direttamente 
attribuiti agli individui dalla spesa pubblica locale che finanzia i servizi 
pubblici locali in un�ottica di efficienza nella allocazione delle risorse (7). 
Pertanto, rientrano in questa categoria i tributi commutativi, ossia le forme 
di tassazione selettiva come le tasse dei servizi a domanda individuale, le tariffe 
e le rette, e gli oneri di urbanizzazione. Si tratta di risorse destinate al finanziamento 
di servizi divisibili. Allo stesso modo, il principio della 
controprestazione pu� valere anche per il finanziamento dei servizi indivisibili. 
Sotto questo aspetto, tuttavia, il rilievo critico emerge dalla non compatibilit� 
del principio con il sistema degli incentivi individuali. Una idea alternativa 
pu� essere quella di individuare una imposta la cui base imponibile sia capace 
di approssimare individualmente il beneficio dei servizi pubblici (8). 
Anche l�imposizione immobiliare, pur non essendo un tributo commutativo, 
dovrebbe essere correlata al valore dei servizi erogati dal Comune, dato 
che la base imponibile, compreso il valore immobiliare, dipende sicuramente 
dalle infrastrutture pubbliche in cui � collocato l�immobile soggetto a imposta 
e alla gestione dei relativi servizi, come, ad esempio, la viabilit�, le fognature, 
i servizi sociali. Ne deriva che il valore dell�immobile capitalizza il valore dei 
servizi pubblici indivisibili forniti dal territorio (9). 
Va, inoltre, ricordato che uno strumento di tassazione collegato al beneficio 
della spesa � l�imposizione di scopo per finanziare investimenti pubblici 
che adeguano il capitale sociale di una municipalit�. Per tassazione di scopo 
si intende, dunque, il ricorso a forme di imposizione per lo specifico finanziamento 
di opere pubbliche. In ambito comunale si pensi al sistema viario locale, 
ai restauri, ai parchi, ai progetti di salvaguardia ambientale, alle infrastrutture 
per le dotazioni di servizi di pubblica utilit�, come reti, acquedotti, impianti 
(6) P. LIBERATI - M. PARADISO, Teoria positiva del beneficio e finanza locale responsabile. La lezione 
di Sergio Steve, in Riv. Dir. Fin. Sc. Fin., 2013, n. 3, I, p. 257. 
(7) S. PELLEGRINO, A. ZANARDI, Legge di stabilit�: il conto delle imposte sugli immobili, in 
www.lavoce.info.it. 
(8) D. COLOMBO, M. MOBILI, Manovra anti-tasse da 27 miliardi via la tasi, sgravi sugli investimenti, 
in il Sole 24 Ore. 
(9) G. MURARO, Il riordino dell�imposizione sugli immobili, in La finanza pubblica, Rapporto 
2009, Bologna 2009, p. 325.
232 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2016 
di smaltimento, tranvie, e infrastrutture sociali, come residenze assistenziali 
per anziani e portatori di handicap, o persone non auto-sufficienti. 
Queste forme di imposizione esulano dal ricorso ordinario alla imposizione 
fiscale, intesa come tributi propri ed entrate patrimoniali, costituendo, 
invece, forme di tassazione con caratteristiche di straordinariet� (10). 
Un modello di imposta locale ispirata al principio del beneficio dovrebbe, 
inoltre, contenere i caratteri di concorrenza fiscale orizzontale, che si traduce 
in riduzione di tassazione su basi imponibili molto mobili rispetto ad enti limitrofi, 
per attirare insediamenti ed attivit� economiche. In questo aspetto risiede 
l�idea che una imposta locale di siffatta natura dovrebbe presentare il 
requisito della esportazione fiscale, mediante la quale si pone su agenti economici 
�di passaggio�, ossia non direttamente beneficiari dei servizi pubblici 
locali, il peso della tassazione locale. 
Va, tuttavia, rilevato che l�esportazione fiscale viola il principio di responsabilit� 
politica nei confronti dei cittadini-elettori-contribuenti, separando 
i beneficiari della spesa da coloro che pagano le imposte. 
L�eventuale divieto di esportazione fiscale non dovrebbe impedire di gravare 
sui non-residenti, quando questi impongono costi di cogestione e ambientali 
ai residenti. � il caso, ad esempio, della tassazione che grava sui turisti 
delle citt� d�arte, i quali non sono diretti beneficiari della spesa pubblica locale, 
ma, in qualit� di utilizzatori finali dei servizi locali della citt� in cui sono ospiti, 
innalzano la componente della spesa locale stessa che va a coprire i costi di 
manutenzione (11). 
Una buona imposta locale dovrebbe, poi, avere una base imponibile distribuita 
in modo non troppo difforme sul territorio nazionale, per non dover 
essere corretta da meccanismi di perequazione, basati sui differenziali di capacit� 
fiscale, troppo ampi. Sul punto, il reddito pro capite, ossia il reddito da 
lavoro e profitti, � tendenzialmente pi� sperequato del consumo procapite, 
mentre il valore procapite delle propriet� immobiliari � abbastanza uniforme 
sul territorio (12). 
Ne consegue che questo requisito va a vantaggio delle imposte sui patrimoni 
immobiliari se il meccanismo di accertamento avvicina i valori imponibili 
a quelli effettivi di mercato. Inoltre, al fine di raggiungere obiettivi di 
(10) M. BASILAVECCHIA, La difficile evoluzione della fiscalit� locale, in Corriere Tributario n. 
36/2013 pag. 2819; L. LOVECCHIO, Le modifiche all�impianto dell�Imu in attesa delle innovazioni di sistema 
alla tassazione locale immobiliare, in Corriere Tributario n. 36/2013 p. 2821. 
(11) L. SALVINI, Federalismo fiscale e tassazione sugli immobili, in Rassegna Tributaria, n. 6, 
2010, 1607. 
(12) J. SAWICKI, Imu, �patrimoniale�, Costituzione e autonomie territoriali: qualche osservazione 
comparativa, in Osservatorio costituzonale, 2013; inoltre cfr. G.F. FERRARI, Il federalismo fiscale nella 
prospettiva comparatistica, in Studi in onore di Luigi Arcidiacono, III, Torino, 2010, p. 1332 il quale sottolinea 
che �il prelievo sulla propriet� immobiliare � tradizionalmente tipico del governo locale o al pi� 
di quello regionale intermedio�.
LEGISLAZIONE ED ATTUALIT� 233 
efficienza, l�imposta locale non dovrebbe eccedere in articolazioni di aliquote 
e di detrazioni per scopi di redistribuzione verticale. Infatti, le politiche redistributive, 
con finalit� di equit� verticale, come la progressivit� delle imposte 
sul reddito, i sussidi e gli istituti di contrasto alla povert�, vanno ricompresi 
negli ambiti di intervento del governo centrale (13). 
Infine, va salvaguardato il principio della separazione delle basi imponibili 
per livelli di governo e la conseguente autonomia tributaria. Questo principio 
va posto alla base del concetto di tributo proprio comunale, ossia di un 
tributo la cui base imponibile � esclusiva del livello di governo locale (14). 
Non necessariamente tutti i tributi comunali devono essere propri, ma certamente 
un criterio di razionalit� consiglia che una quota importante di entrate 
comunali abbia questo requisito. L�esistenza di tributi propri si giustifica sia 
sulla base della prevalenza del principio del beneficio sia sulla base del principio 
della trasparenza. Si ricorda che non sono entrate proprie le addizionali 
su basi imponibili condivise da pi� livelli di governo, come il reddito. 
La condivisione di basi imponibili su diversi livelli di governo genera 
una competizione di tipo verticale, per esempio tra lo Stato e gli enti locali, 
per ottenere il gettito su basi imponibili comuni. 
In linea con una ragionevole applicazione del principio della separazione, 
sarebbe opportuno concentrare la tassazione sul reddito nei primi due livelli, 
Stato e Regioni, e l�imposizione immobiliare nel terzo, ossia i Comuni. 
Infatti, l�imposizione del patrimonio immobiliare con un tributo municipale 
proprio permette di sviluppare una gamma ampia di aliquote autonome 
dello stesso. 
3. Iuc e Local Tax. 
I requisiti dell�imposta locale muovono nella direzione di caratterizzare il 
fisco municipale con l�imposizione immobiliare. A livello teorico, tale imposta 
dovrebbe costituire una quota rilevante delle entrate tributarie municipali. Tra i 
Paesi dell�Unione europea molti hanno un tributo municipale sugli immobili. 
Tuttavia, il modello al quale ispirarsi dovrebbe essere la Council Tax britannica, 
un�imposta che utilizza la base imponibile immobiliare in relazione 
alla capitalizzazione dei servizi pubblici dell�ente locale comunale (15). 
(13) L. LOVECCHIO, Verso l�unitariet� della disciplina IMU, ma la semplificazione � ancora lontana, 
in Corriere Tributario, n. 5/2014, pp. 383 e ss., Ipsoa Editore. 
(14) F. CERISANO, B. MIGLIORINI, Legge di stabilit�, dal Trise alla Iuc, in Italia Oggi, 26.11.2013. 
(15) E. MARCHETTI, R. LUPI, L�abitazione principale nell�Imu: cosa cambia davvero rispetto all�Ici?, 
in Dialoghi Tributari, n. 4/2012, pp. 405 e ss., Ipsoa Editore: �� dopo una breve parentesi di quattro anni 
la �prima casa� � stata assoggettata di nuovo a una imposta immobiliare ordinaria. Dall�Ici all�Imu, tuttavia, 
il �ritorno� al passato per gli italiani non � stato indolore; sono infatti aumentate le aliquote, diminuite le 
fattispecie agevolabili e incrementati in modo esponenziale i dubbi su alcuni profili �border line� risolti nella 
precedente disciplina e lasciati all�inventiva degli interpreti in quella attuale. Un caso particolare riguarda 
la questione normativa della definizione stessa di prima casa con riflessi a dir poco paradossali ��.
234 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2016 
Sulla base della legislazione attualmente vigente in Italia, si � rilevato 
che all�interno dell�imposta unica comunale (Iuc) si collocano la Tari, un�imposta 
di scopo destinata alla copertura dei costi del servizio rifiuti, l�Imu, 
un�imposta patrimoniale applicabile su tutte le tipologie di immobili tranne le 
abitazioni principali inserite nelle categorie A/2-A/7, e la Tasi, una potenziale 
service tax destinabile al finanziamento dei servizi comunali indivisibili. La 
legge di Stabilit� 2014 (16) prevedeva l�imposizione Tasi anche delle abitazioni 
principali, carattere che � stato abolito dalla legge di Stabilit� 2016 (17). 
(16) S. CINIERI, Stabilit� 2014: dal 1� gennaio arriva la nuova Iuc, in Ipsoa Quotidiano, 
27.12.2013. 
(17) Con l'approvazione della legge di Stabilit� 2016, le novit� principali riguardano le modifiche 
introdotte per l�Imu e la Tasi ma in un contesto che non prevede, nemmeno a livello embrionale, la configurazione 
di una Local Tax. 
Di particolare importanza � la cancellazione per 19 milioni di italiani della Tasi, la tassa sulla prima 
casa, eccetto ville, castelli e immobili di pregio artistico o storico. 
Si tratta di uno sconto che vale 3,7 miliardi, e comprende anche i terreni agricoli. Sar� possibile cancellare 
il 50% dell�Imu anche per la seconda casa data in comodato a figli o genitori, con due �paletti�: il comodato 
dovr� essere registrato e si dovr� possedere al massimo una prima casa oltre quella data al parente. 
Sconto Tasi anche per i coniugi separati. Inoltre i macchinari fissi non saranno pi� conteggiati per il calcolo 
delle imposte immobiliari. 
Si introduce una riduzione del 50% della base imponibile Imu (in luogo dell�esenzione introdotta dal 
Senato in prima lettura) per gli immobili dati in comodato d�uso a figli o genitori. 
Il beneficio si applica purch� il contratto sia registrato e il comodante possieda un solo immobile in 
Italia e risieda anagraficamente, nonch� dimori abitualmente, nello stesso Comune in cui � sito l�immobile 
concesso in comodato. Al contempo, si estende detto beneficio anche al caso in cui il comodante, 
oltre all�immobile concesso in comodato, possieda nello stesso Comune un altro immobile adibito a 
propria abitazione principale (non di lusso). 
Si sospende, per l�anno 2016, l�efficacia delle leggi regionali e delle deliberazioni comunali per la parte 
in cui aumentano i tributi e le addizionali attribuite ai medesimi enti territoriali, in luogo di vietare la 
deliberazione di tali aumenti. 
Quest�ultimi sono rapportati ai livelli di aliquote applicabili per l�esercizio 2015 (anzich� essere comparati 
ai livelli di aliquote deliberate, entro la data del 30 luglio 2015, per l�esercizio 2015). In tal modo, 
la sospensione degli aumenti di aliquote riguarda anche gli enti che hanno gi� deliberato in tal senso all�entrata 
in vigore della legge di Stabilit�. 
Si mantiene, inoltre, ferma la possibilit� per i Comuni, per il 2016, di maggiorare dello 0,8 per mille 
l�aliquota Tasi per gli immobili non esentati. Si elimina cos� la condizione, originariamente prevista, secondo 
cui tale aumento doveva essere stato deliberato, per l�anno 2015, entro il 30 settembre 2015 e nel 
rispetto dei vincoli posti dalla legge di Stabilit� 2014. 
Viene richiesta tuttavia una espressa delibera del Consiglio comunale. Per effetto delle modifiche in 
commento, inoltre, viene espunta la disposizione che, con riferimento al 2015, manteneva come valide 
le deliberazioni relative a regolamenti, aliquote e tariffe di tributi adottate dai comuni entro il 30 settembre 
2015, ove fossero state espletate le procedure di pubblicazione previste dalla legge. 
La legge di Stabilit� in oggetto ha definitivamente confermato l�esenzione per i terreni agricoli ubicati 
in comuni montani e parzialmente montani (questi ultimi solo se posseduti da coltivatori diretti e Iap) 
ed � introdotta l�esenzione per tutti i terreni agricoli posseduti e condotti da coltivatori diretti e Iap. 
Infine, � risolto il problema degli �imbullonati� cio� quei macchinari e impianti ancorati al suolo e che 
fino al 2015 partecipavano alla stima della rendita catastale del fabbricato aziendale (cat. D ed E) di cui 
erano parte. 
Infatti, dal 1 gennaio 2016, ai fini della determinazione della rendita catastale degli immobili strumentali 
censiti alle categorie D ed E occorre tener conto solo del suolo e delle costruzioni, nonch� degli elementi
LEGISLAZIONE ED ATTUALIT� 235 
Nello specifico, la Tari ha una propria autonomia per quanto riguarda le 
aliquote e i regolamenti comunali che la disciplinano, mentre il combinato 
Imu-Tasi per le tipologie di immobili diverse dalle prime abitazioni prevede 
una aliquota massima dell�1,06%. La normativa in vigore per l�anno 2015 
(18), prevedeva anche una maggiorazione sull�aliquota Tasi concessa ai Comuni 
dello 0,08% da spalmare, a discrezione, su tutte le tipologie di immobili, 
con possibilit� di alzare l�aliquota massima sulle �seconde case� e gli immobili 
commerciali oltre l�1,06%. Si � evidenziato che il gettito della maggiorazione 
doveva confluire a finanziare detrazioni sulle abitazioni principali con effetti 
equivalenti a quelli previsti dalla normativa Imu per l�anno 2012. Ad esempio, 
per i Comuni che hanno applicato la Tasi solo sulle prime case, per l�anno 
2015, l�aliquota massima applicabile � stata dello 0,33%. 
Un modello di Local Tax, nelle vesti di service tax (19), dovrebbe gravare 
in parte sul proprietario e in parte sull�utilizzatore dell�immobile, al fine di finanziare 
interamente il costo dei servizi comunali divisibili. Una ipotesi minimale 
di Local Tax andrebbe a comprendere, da un lato, tutto il gettito della 
tassazione patrimoniale sugli immobili e escludere, dall�altro, l�applicazione, 
da parte dei Comuni, dell�addizionale Irpef. La Local Tax minimale si potrebbe, 
dunque, attestare su una dimensione che va dal 42 al 52% del totale 
delle entrate correnti di natura tributaria ed extratributaria. Occorre poi riflettere 
sulla natura dei tributi locali; le entrate da Tari e quelle extratributarie provengono 
da tributi puramente commutativi, ossia strettamente legati al 
principio del beneficio. Ad esempio, l�imposta di soggiorno � un tributo di 
scopo e, quindi, anch�esso fa riferimento al Tax-Benefit. La legge istitutiva ne 
impone la destinazione a finalit� di sviluppo turistiche e di manutenzione della 
citt� soggetta ai costi indiretti del turismo. Legate ai costi sociali di cogestione 
e sfruttamento della citt� sono anche i contrassegni ZTL e le sanzioni amministrative 
per violazioni del codice della strada. 
Poich� l�imposizione immobiliare dovrebbe essere correlata ai servizi 
prestati dal Comune, solo l�addizionale Irpef � un tributo specificatamente basato 
sul principio della capacit� contributiva. Ne consegue che, dato che la 
stessa addizionale non sarebbe pi� applicata con la Local Tax, la tassazione 
municipale diventerebbe interamente basata sul principio del beneficio. 
ad essi strutturalmente connessi che ne accrescono la qualit� e l�utilit�, nei limiti dell�ordinario apprezzamento. 
Restano, invece, espressamente fuori dalla stima i macchinari, congegni, attrezzature ed altri 
impianti, funzionali allo specifico processo produttivo. 
(18) P. MIRTO, Mini Imu, sanzioni fino al 30 per cento per i contribuenti �ritardatari�, in Il Sole 
24 Ore, 27.01.2014: �� il mancato pagamento della mini-Imu entro il 24 gennaio comporta l�applicazione 
delle sanzioni. L�omesso versamento � soggetto a sanzione del 30 per cento oltre ad altri accessori. 
Difatti, il Comune potr� notificare un atto di accertamento, chiedendo l�imposta non versata, gli interessi, 
la sanzione e le spese di notifica: il conto rischia di essere salato ��. 
(19) V. MELIS, Iuc e �service tax� aprono l�agenda 2014, in Il Sole 24 Ore, 6.1.2014.
236 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2016 
Tuttavia, nella definizione di Local Tax emergono una serie di problematiche. 
La prima concerne la possibile applicazione della Local Tax anche agli 
inquilini, oltre che ai proprietari. In linea di principio questo dato sarebbe auspicabile, 
trattandosi di service tax costruita sul principio del beneficio ma, di 
fatto, l�esperienza della Tasi non depone a favore di questa soluzione. Il mercato 
degli affitti, infatti, distorto e conflittuale, non permette di attribuire in 
modo lineare ai locatari la quota di contribuzione al finanziamento dei servizi 
indivisibili. La seconda problematica riguarda la discriminazione di aliquota e 
l�applicazione di detrazioni sulla base della categoria degli immobili. Particolare 
attenzione va, quindi, posta ai proprietari di abitazione principale, confrontandosi 
due posizioni: da una parte, l�esenzione totale della tassazione 
sull�abitazione principale; dall�altra, una rimodulazione dell�imposta secondo 
lo schema della no tax area o del modello di detrazione fissa, in modo da escludere 
da Local Tax le case di valore medio basso. Inoltre, deduzione e detrazione 
potrebbe essere costruite anche in relazione alle ipotesi di mutuo ipotecario 
che ha consentito l�acquisizione dell�immobile; ad esempio, una coppia di giovani 
sposi con figli minori e casa di propriet� di medio valore, gravata da mutuo 
ipotecario, potrebbero beneficiare dell�esenzione da Local Tax. 
La maggiore incertezza che incombe sulla struttura di aliquota per un 
modello di Local Tax concerne l�avvio di una significativa riforma del catasto, 
con l�applicazione di un metodo diverso di valutazione del valore patrimoniale 
a partire dal valore di mercato al metro quadro. L�introduzione di nuovi 
criteri per la determinazione della rendita comporterebbe un aumento importante 
e generalizzato della base imponibile delle imposte immobiliari, a conferma 
della distanza attuale tra tariffe d�estimo e valori di mercato. Con 
riferimento alle seconde case, quelle che, con ogni probabilit�, andrebbero a 
subire una rivalutazione pi� alta sarebbero quelle situate in localit� a prevalente 
vocazione turistica. 
Tuttavia, se � pi� consono muoversi in un contesto caratterizzato dall�invarianza 
di gettito, la revisione della base imponibile non tanto dovrebbe portare 
ad una riduzione dell�aliquota quanto ad una diversa distribuzione del 
carico fiscale sui singoli proprietari in misura proporzionale rispetto ai coefficienti 
di rivalutazione. Anche per verificare gli effetti distributivi della rivalutazione 
sar� decisivo il criterio mediante il quale sar� applicato il vincolo 
dell�invarianza di gettito a livello comunale o a livello nazionale. Nel primo 
caso, la nuova base imponibile dovrebbe ristabilire una maggiore equit� tra i 
contribuenti, senza per� consentire una piena risoluzione delle diseguaglianze 
tra i territori; nel secondo caso, i Comuni avrebbero una variazione di gettito, 
positiva o negativa, rispetto alla situazione attuale, con conseguenti problemi 
di compensazione attraverso trasferimenti orizzontali.
LEGISLAZIONE ED ATTUALIT� 237 
4. Modelli di detrazioni per Local Tax. 
Il tema relativo alle detrazioni su Local Tax, in riferimento all�abitazione 
principale, merita un particolare approfondimento sia perch� rappresenta un 
nodo centrale per gli enti locali e i cittadini, in termini di entrate per i primi, 
di pressione fiscale per i secondi, sia perch� pu� essere utilizzato come strumento 
ai fini di una maggiore equit� del prelievo fiscale. Come � stato disciplinato 
in sede di legge di Stabilit� 2014 per la Tasi, cos� lo schema pu� essere 
riproposto in vista dell�introduzione di una Local Tax. I possibili margini di 
manovra da concedere ai Comuni attraverso l�allentamento dei vincoli sulle 
aliquote massime devono essere destinati alla predisposizioni di modelli di 
detrazioni a favore di famiglie e dei ceti pi� deboli, senza comportare un aumento 
complessivo della pressione fiscale. In questo senso ai Comuni andrebbe 
concessa ampia autonomia sia per l�individuazione dei destinatari delle 
potenziali agevolazioni sia per l�individuazione dei criteri con cui assegnarle. 
I modelli di detrazioni adottabili per la Local Tax possono prevedere: 
� detrazioni in somma fissa, quando a tutti gli immobili viene concesso 
un identico sconto d�imposta; 
� detrazioni legate alla rendita catastale, quando si applicano agevolazioni 
variabili sulla base della quantificazione della rendita catastale dell�immobile 
affinch� a rendite basse possano corrispondere detrazioni pi� 
consistenti; 
� detrazioni legate al reddito del nucleo familiare, quando si prevedono 
sconti solo se il reddito del nucleo familiare sia inferiore ad una determinata 
soglia predeterminata; 
� aliquote a scaglioni, quando a livelli diversi di rendita catastale pu� 
corrispondere, anzich� una detrazione, una diversa aliquota; 
� detrazioni legate alle caratteristiche del nucleo familiare, quando si 
condizionano le detrazioni a requisiti quali, ad esempio, l�et� anagrafica, la 
percentuale di handicap, il valore Isee; 
� agevolazioni per i figli, quando si applica un extra sulla detrazione di 
base in corrispondenza del numero di figli conviventi e al di sotto di un soglia 
di et�; 
� agevolazioni legate a pi� requisiti, quando si collegano detrazioni o 
aliquote differenziate a un insieme di condizioni diverse. 
Un modello di Local tax costruito in questi termini potrebbe gravare sulla 
stessa base imponibile della Iuc e prevedere una aliquota standard per l�abitazione 
principale del 3,3 per mille. I modelli di detrazioni prospettati vanno ora 
messi a confronto come criteri alternativi. L�ipotesi pi� plausibile presuppone 
il ripristino della detrazione standard gi� prevista originariamente per l�Imu, 
200 euro pi� 50 euro per ciascun figlio convivente fino a 26 anni di et�, che 
potrebbe essere accompagnata da altre forme di sgravio affidate ai Comuni e 
basate comunque sull�indicatore Isee. La definizione, invece, di detrazioni dif-
238 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2016 
ferenziate in relazione alla base imponibile rappresenta un criterio pi� equo 
da un punto di vista territoriale ma pi� iniquo nella prospettiva di una forma 
di tassazione commisurata al principio della controprestazione. Infatti, questa 
seconda ipotesi, pur garantendo una platea di esenzioni equamente distribuita 
sul territorio nazionale, avvantaggia, con detrazioni pi� elevate, i proprietari 
di abitazioni di maggior valore e quindi, presumibilmente, localizzate in contesti 
con una migliore offerta di servizi. 
5. Local Tax e spazi di manovra dei Comuni. 
In tema di riordino della fiscalit� locale, le questioni principali in vista 
della configurazione di un modello credibile di Local Tax riguardano il trasferimento 
ai Comuni di alcuni prelievi minori sul patrimonio attualmente percepiti 
dallo Stato, la delineazione di una struttura semplice e minimale di Local 
Tax e l�esenzione, totale o parziale, del prelievo sulla abitazione principale. 
5.1 Imposte sul patrimonio immobiliare e possibili nuove entrate per i Comuni. 
Il patrimonio immobiliare � oggetto di imposta in diverse forme: lo scambio, 
la produzione di reddito, il valore immobiliare e il gettito ricavato � destinato 
allo Stato o ai Comuni. All�interno di questa articolazione � possibile 
operare una ulteriore semplificazione al fine di ottenere una ricomposizione 
dei gettiti tra amministrazione centrale e locale. 
Sono distinguibili sei categorie di imposte gravanti sugli immobili: 
� imposte di natura �reddituale�, il cui presupposto � il reddito prodotto 
dal proprietario del bene, Irpef e Ires; 
� imposte di natura �patrimoniale�, il cui presupposto � la propriet� o il 
possesso del bene, Imu; 
� imposte sui servizi pubblici resi ai proprietari degli immobili, Tasi; 
� imposte sul trasferimento degli immobili a titolo oneroso, Iva, ipotecaria, 
catastale; 
� imposte sul trasferimento degli immobili a titolo gratuito, successioni 
e donazioni; 
� imposte sulle locazioni, cedolare secca. 
Il gettito complessivo � pressoch� invariato tra il 2012 e il 2014, evidenziando 
una contenuta elasticit� del ciclo economico. I dati sottolineano gli effetti 
delle modifiche dell�Imu, l�eliminazione del prelievo sull�abitazione 
principale nel 2013, l�introduzione della Tasi nel 2014. 
Un eventuale intervento su questi cespiti comporterebbe una ricomposizione 
del gettito per livello di governo a favore degli enti locali, ipotesi che, 
per essere sostenibile, deve essere accompagnata dal trasferimento di altre imposte 
allo Stato. Gli importi interessati non sembrano in grado di giustificare 
una operazione cos� complessa e, inoltre, sarebbe del tutto impropria una aggregazione 
nella Local Tax, per la diversa natura dell�imposta.
LEGISLAZIONE ED ATTUALIT� 239 
5.2 Local Tax minimale. 
Una delle ipotesi pi� rilevanti si basa sull�obiettivo di separazione delle 
strategie fiscali sulla stessa base imponibile. La ricerca di spazi di manovra 
tributaria consistenti per gli enti locali, il passaggio da un sistema di finanza 
derivata ad un pi� concreto federalismo fiscale hanno indotto un assetto della 
fiscalit� condiviso tra livelli di governo, in contraddizione con i principi classici 
della finanza locale in materia (20). 
In particolare, la prospettiva di ricondurre nella Local Tax l�imposta sul 
patrimonio ad uso produttivo risponderebbe al principio di assegnare l�intero 
patrimonio immobiliare alla politiche locali. Contemporaneamente, il trasferimento 
dell�addizionale Irpef nella potest� statale avrebbe come conseguenza 
la riconduzione delle politiche redistributive in capo allo Stato e alle Regioni. 
Il gettito dell�Imposta sul patrimonio ad uso produttivo � stata nel 2014 
di 3,7 miliardi di euro, mentre il gettito dell�addizionale Irpef � stata pari a 4,4 
miliardi. Il trasferimento dei gettiti tra Stato e Comuni comporterebbe una 
compensazione dello Stato a favore dei Comuni per circa 0,7 miliardi mediante 
un Fondo di riequilibrio. Questa impostazione permetterebbe di mantenere 
nell�ordine: parit� di pressione fiscale totale, parit� di pressione fiscale per 
base imponibile e parit� di gettito per ente percettore. 
Molto pi� delicata, tuttavia, appare la questione per i singoli enti locali. 
Infatti, l�effetto lordo della manovra sugli enti � riconducibile a due fattori che 
possono agevolare o penalizzare le singole amministrazioni locali a parit� di 
gettito aggregato: 
� la diversa base imponibile dei Comuni tra patrimonio ad uso produttivo 
e reddito imponibile ai fini Irpef; 
� la trasformazione dell�addizionale Irpef, ad aliquote variabili, in 
un'unica sovraimposta Irpef determinata come aliquota implicita o media. 
Nella prima ipotesi, la disponibilit� del gettito derivante dal patrimonio 
ad uso produttivo, in luogo del gettito Irpef, comporta maggiori risorse ai Comuni; 
nella seconda, i bilanci dei Comuni con prelievi al di sotto (al di sopra) 
della media saranno avvantaggiati (svantaggiati) dalla manovra, sempre a parit� 
di gettito aggregato. Le differenze positive o negative di pressione fiscale 
sono da attribuirsi alle politiche pregresse degli enti locali e alle strategie verso 
i propri cittadini, e potranno essere compensate dai Comuni stessi traslando 
la politica da una base imponibile all�altra, oppure agendo sulla Local Tax invece 
che sull�addizionale. 
(20) L. SALVINI, L�Imu nel quadro del sistema fiscale, in Rass. Trib., 2012, pagg. 689-700; E. PISCINO, 
L�Imu alla luce della circolare ministeriale, in La Finanza locale, n. 3/2012, pagg. 22-38; F. MICONI, 
L�Imu nel fallimento e nelle altre procedure concorsuali: riflessioni a margine dei triuti sul 
possesso (rectius sul patrimonio), in Riv. Dir. Trib., 2014, I, pag. 135.
240 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2016 
In sintesi, i Comuni che applicano un basso prelievo Irpef potranno continuare 
la propria strategia fiscale riducendo le aliquote della Local Tax, mentre 
i Comuni che applicano elevate aliquote Irpef saranno costretti, per motivi di 
bilancio, ad aumentare il prelievo sulla Local Tax. 
Al fine di salvaguardare i bilanci dei singoli enti comunali, si potr� ritenere 
opportuno, almeno in una fase transitoria, compensare le differenze 
tra le capacit� di gettito delle diverse basi imponibili, attraverso la costituzione 
di un Fondo di solidariet� comunale. In esso confluiranno le risorse 
aggiuntive percepite da alcune amministrazioni. A questo si affiancher� il 
Fondo di riequilibrio Stato-Comuni, per la parte di maggior gettito Irpef aggregato. 
La natura del fondo di solidariet� � analoga a quella dell�analogo 
fondo introdotto in occasione della fiscalizzazione dei trasferimenti statali 
a vantaggio dell�Imu (21). 
5.3 Local Tax: verso l�aggregazione Imu e Tasi. 
Il modello oggi pi� accreditato � quello che configura la Local Tax come 
una aggregazione tra Imu e Tasi, con un esteso ed omogeneo sistema di detrazioni 
capace di alleggerirne il peso sull�abitazione principale. 
Al fine di offrire un quadro di sintesi, � opportuno riassumere i punti di 
questo nuovo modello di imposta. 
� Detrazione di 200 euro sull�abitazione principale: questa detrazione 
era gi� presente nella disciplina Imu del 2012 e andrebbe a sostituire le detrazioni 
previste dalle manovre comunali sulla Tasi 2014. 
� Detassazione delle abitazioni gravate da mutuo: l�effetto del mancato 
gettito sarebbe in larga parte ridotto dalla sovrapposizione della detrazione di 
cui al punto precedente. 
� Rivalutazione del catasto: questa operazione potrebbe avere un effetto 
molto forte sui gettiti degli enti locali e sui prelievi delle famiglie. La rivalutazione 
media sarebbe di circa 5,6 volte il valore attuale; ne consegue che potrebbe 
assumere questa dimensione anche l�aumento del prelievo, con rivalutazioni 
massime consistenti. Questa misura andrebbe vista in un�ottica di correzione di 
precedenti iniquit�, tuttavia gli importi che ne deriverebbero non sarebbero sostenibili 
in un contesto di congiuntura economica negativa e di un livello di 
pressione fiscale gi� elevato. Valida sarebbe, pertanto, l�ipotesi di imporre il 
vincolo a parit� di gettito e, in questo modo, l�intervento avrebbe solo una rilevanza 
perequativa, senza aumentare la pressione fiscale complessiva. In questo 
caso, l�elemento critico della manovra sarebbe costituito dalla variazione del 
gettito per Comune, pi� che dalla variazione della pressione fiscale. Molti Co- 
(21) A. PETRETTO, P. LATTARULLO, Verso l�istituzione della Local Tax in Italia, presentazione della 
IV Conferenza sulla Finanza e l�Economia locale, Stabilit�, equit�, sviluppo. Il contributo dei Comuni, 
Roma 2015.
LEGISLAZIONE ED ATTUALIT� 241 
muni vedrebbero, infatti, diminuire il loro gettito a vantaggio delle aree turistiche 
e urbane. L�attuale difficolt� di gestione dei bilanci degli enti locali, a seguito 
delle restrizioni dovute ai vincoli di finanza pubblica, rendono difficile 
affrontare altre ipotesi di decurtazione. Contemporaneamente, i profondi cambiamenti 
in ribasso dei valori immobiliari costringono ad un rinvio dell�operazione 
di rivalutazione catastale ad una fase di maggiore stabilit� economica. 
� Esenzione dell�abitazione principale: questa ipotesi ritorna periodicamente 
nel dibattito socio-economico-politico. Oltre al fatto che, come si � avuto 
modo di argomentare nel corso di questo lavoro, alla luce delle innovazioni 
portate dalla legge di Stabilit� 2016, � il concetto stesso di Local Tax che necessariamente 
si lega all�abitazione principale, resta il nodo di evidenziare le 
possibili alternative e le modalit� di finanziamento di uno sgravio fiscale cos� 
importante. A titolo di esempio, si ricorda che il gettito Tasi sull�abitazione 
principale � stato di 3,4 miliardi di euro nel 2014 e il gettito Imu nel 2012 � 
stato di 4 miliardi di euro. Risulta, pertanto, evidente che l�imposta sulla abitazione 
principale ha rappresentato un prelievo significativo per i bilanci familiari. 
A conferma di questo aspetto, si sottolinea che nel 2014 il versamento 
medio per contribuente della Tasi sull�abitazione principale � stato pari a 194 
euro. Per i Comuni l�imposta sulla abitazione principale ha costituito una fonte 
considerevole di entrate fiscali e, spesso, sono stati ampiamente utilizzati i margini 
di prelievo resi disponibili a vantaggio degli enti locali. Inoltre, dal punto 
di vista della sostenibilit� dei bilanci dei Comuni, il mancato gettito proveniente 
dall�abitazione principale penalizzer� soprattutto quei Comuni caratterizzati da 
una maggiore densit� abitativa, come le aree urbane, mentre l�aumento del prelievo 
sulle abitazioni diverse dalla principale andr� a favore delle aree turistiche. 
6. Obiettivo Local Tax. 
In conclusione, la prospettiva di un modello di Local Tax parte dal presupposto 
che si tratti, a tutti gli effetti, di un�imposta comunale. Il suo gettito, 
cio�, deve finire tutto nelle casse delle amministrazioni locali, comprendendo 
anche quella parte di Imu pagata da capannoni, alberghi e centri commerciali, 
che attualmente confluisce nelle casse statali. Il punto di arrivo �, dunque, 
quello di una esclusiva competenza dei sindaci sul gettito delle tasse locali. 
Altro elemento portante della nuova configurazione della tassazione locale, 
riguarda il grado di autonomia che i sindaci avrebbero nello stabilire il 
livello di pressione fiscale. Da una parte infatti vi � l�esigenza di evitare il florilegio 
di aliquote e di detrazioni che ha portato, nell�ultimo anno, tra Tasi e 
Imu alla emanazione di pi� di 200mila livelli diversi di imposizione locale. 
Una vera e propria babele tributaria un cui freno potrebbe essere rappresentato 
dalla definizione di una serie limitata di macrocategorie entro le quali i singoli 
Comuni potranno stabilire aliquote diversificate. Si andrebbe ad esempio dalle 
prime case alle seconde abitazioni, dagli immobili in affitto a quelli disabitati.
242 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2016 
Ultimo tassello di cui tenere conto nella definizione del modello di Local 
Tax consiste nel considerare il numero di imposte attualmente esistenti che 
dovrebbero essere aggregate. 
Una ipotesi di riordino strutturale implicherebbe che, nella Local Tax confluirebbero, 
oltre a Imu e Tasi, che fino al 2015 hanno tendenzialmente prodotto 
un gettito di circa 18,8 miliardi di euro, anche la tassa sui rifiuti, ossia 
la Tari, il cui valore � pari a 7,3 miliardi, l�imposta sulla pubblicit� del valore 
di 426 milioni, la tassa sull�occupazione di spazi e aree pubbliche con altri 
218 milioni, l�imposta di soggiorno pari a 105 milioni e quella di scopo con 
altri 14 milioni. 
Il tutto per una sorta di mega imposta dal gettito complessivo di circa 31 
miliardi di euro. Il sistema di finanza locale, pertanto, necessita di riforme incisive 
e profonde. 
Ne consegue che, nell�ottica delle analisi svolte nel corso di questo studio, 
� auspicabile che la Local Tax venga definita attorno ai seguenti principi di base: 
� una aliquota ragionevole; 
� una sicura incidenza delle risorse ricavate sullo sviluppo locale; 
� una appropriata indicazione del livello di amministrazione cui attribuire 
la gestione del tributo, fatte salve specifiche forme di collaborazione tra 
livelli nell�utilizzo dei proventi; 
� precisa definizione di soglie di riduzione e/o esenzione. 
Questo schema permette di definire il ruolo delle amministrazioni comunali 
secondo tre linee di sviluppo: erogazione di servizi, veicolo per l�investimento 
in infrastrutture, luogo di partecipazione democratica. 
Il governo locale, pertanto, deve assumere sempre pi� un ruolo strategico. 
Questo aspetto, infatti, pu� aiutare a rafforzare la relazione tra il singolo cittadino 
e lo Stato attraverso misure atte a garantire al cittadino stesso la possibilit� 
di influenzare l�ente locale e le relative scelte pubbliche. Ne deriva che 
la problematica che maggiormente limita il governo locale � l�elevato grado 
di controllo centrale. Questo fattore comporta elementi di confusione circa la 
responsabilit�, centrale o locale, della erogazione dei servizi. 
Pertanto, la costrizione di un modello di Local Tax richiede una pi� chiara 
identificazione dei livelli di responsabilit�, di una maggiore flessibilit� sia in 
tema di entrate che di gestione dei servizi, di migliori incentivi al potenziamento 
della crescita locale. 
L�inserimento, in un siffatto contesto, di una Local Tax permetterebbe 
un migliore uso del potere regolamentare degli enti locali e una trasparenza 
attorno alle modalit� mediante le quali sono finanziati i servizi locali. 
Il sistema di finanza locale va riorganizzato secondo una �efficienza allocativa�, 
ovvero una efficienza capace di indirizzare l�azione verso le priorit� 
locali, il che, per�, esige che si abbia una precisa conoscenza preventiva delle 
esigenze locali. 
LEGISLAZIONE ED ATTUALIT� 243 
Enti locali: il responsabile del servizio finanziario, titolare 
del fondamentale interesse pubblico di tutela della gestione 
finanziaria, anche ... attraverso lo strumento ricorsuale 
Salvatore La Fauci* 
Per finalit� di tutela della gestione finanziaria, le deliberazioni che incidano 
su di essa possono essere impugnate o da singoli consiglieri o anche, in 
base all�art. 153 del d.lgs. n. 267/2000, dal Responsabile del servizio finanziario, 
in rappresentanza dell�ente locale. Si tratta di un�importante norma che 
costituisce una naturale, logica e necessitata eccezione rispetto alla generale 
regola della titolarit� della legittimazione a ricorrere. 
SOMMARIO: 1. Premessa - 2. La portata applicativa dell�art. 153 del d.lgs. 267/2000 - 3. 
Coordinamento tra artt. 153 e 107 del d.lgs 267/2000 - 4. Ambiti di riferimento di eventuali 
azioni ricorsuali - 5. Autonomia degli ambiti di rappresentanza - 6. Correlazioni con la legge 
20/1994. 
1. Premessa. 
Potendo la potest� autorizzatoria del Consiglio Comunale nei confronti 
della gestione (potest� naturalmente esistente pure in ipotesi di atti di Giunta, 
visto l�art. 125 del d.lgs. 267/2000) anche esprimersi con modalit� lesive della 
gestione stessa (e con possibili ripercussioni pure sugli equilibri generali del 
comparto pubblico, specie in ipotesi di inosservanza di principi di coordinamento 
della finanza pubblica), il legislatore, con l�art. 153 del d.lgs. 267/2000, 
ha previsto gli strumenti attraverso i quali il Responsabile del servizio finanziario 
pone in essere le azioni di tutela eventualmente necessarie. 
2. La portata applicativa dell�art. 153 del d.lgs. 267/2000. 
Gli strumenti previsti dall�art. 153 del d.lgs. 267/2000 comprendono anche 
il ricorso amministrativo o giurisdizionale, come si legge chiaramente nella 
specificazione in autonomia che � contenuta nel comma 4, dopo le integrazioni 
inserite dal d.l. 174/2012: �, infatti, una specificazione che ha reso pi� esplicito 
il preesistente comma 1, il quale afferma che al servizio finanziario competono 
il coordinamento e la gestione dell�attivit� finanziaria (sono compiti che, in 
quanto tali, rientrano in una sfera di autonomia automaticamente correlata alla 
titolarit� di ogni conseguente azione di tutela della gestione). 
Nel tener presente che il comma 4 dell�art. 49 � una preesistente e basilare 
regola procedimentale (poi anch�essa opportunamente inserita, nel d.lgs. 
(*) Avvocato del Foro di Messina.
244 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2016 
267/2000, dal d.l. 174/2012) di garanzia della potest� autorizzatoria del Consiglio 
comunale nei confronti della gestione, ci rendiamo conto della consequenzialit� 
dell�art. 153, che individua, nel Responsabile del servizio 
finanziario, il portatore del fondamentale interesse pubblico di tutela della gestione 
finanziaria. 
3. Coordinamento tra artt. 153 e 107 del d.lgs. 267/2000. 
L�art. 153 del TUEL � da leggersi in automatico coordinamento col precedente 
art. 107 (valido, nei comuni privi di dirigenza, ai sensi del successivo 
109, c. 2), il quale, contenendo la normativa che, nel 1997 (riforma Bassanini), 
ha separato nettamente il ruolo dirigenziale da quello politico, determina, in 
capo al primo, un�autonomia che fa s� che la rappresentanza in giudizio del 
Comune possa, negli ambiti non meramente politici, indifferentemente essere 
dell�organo tecnico o di quello politico. 
Se � dell�organo politico, infatti, non viene negato il principio di separazione 
delle competenze tra ambito tecnico ed ambito politico, venendo 
tale principio affermato dal comma 1 dell�art. 49 del TUEL, che rende obbligatorio 
il parere di regolarit� tecnica sulle proposte di deliberazione non 
di mero indirizzo (comprese, quindi, quelle di costituzione in giudizio), 
dopo le quali l�eventuale applicazione del successivo comma 4 � espressione 
della logica stessa dell�assetto di competenze e di responsabilit� che 
riguarda gli enti locali. 
Va, al tempo stesso, osservato che non possono esserci dubbi circa l�impossibilit�, 
da parte di responsabili di settori diversi da quello finanziario, di 
attivare azioni ricorsuali contro atti ritenuti lesivi di interessi dell�ente, che investano 
gli ambiti di riferimento. 
L�art. 153 fa, infatti, riferimento al responsabile del servizio finanziario 
per la tutela della gestione finanziaria e ci� non � un limite dell�ordinamento, 
considerato che gli atti irregolari lesivi sono quelli che incidono illegittimamente 
sui conti pubblici, quale che sia l�ambito di provenienza. 
4. Ambiti di riferimento di eventuali azioni ricorsuali. 
� chiaro che, anche al di fuori della gestione finanziaria, eventuali deliberazioni 
ritenute invalide possono non essere attuate dall�organo tecnico, opponendosi 
al razionale esercizio delle attivit� di valutazione, di giudizio, di 
conoscenza, di cui all�art. 107 del d.lgs. 267/2000, fermi ovviamente restando 
gli esiti dei controlli interni e/o esterni che ne potranno conseguire. 
Ed � altrettanto chiaro che, ove invece vengano attuate, potranno, in applicazione 
dell�art. 147 bis, c. 1, del d. lgs. 267/2000, non essere rese esecutive, 
non essendoci irregolarit� tecnica che, in ambito di atti aventi riflessi finanziari, 
non sia anche contabile. 
Nel concreto, per�, tutto ci� pu� incontrare un limite nella possibilit� che
LEGISLAZIONE ED ATTUALIT� 245 
i beneficiari individuati da deliberazioni non attuate dall�organo tecnico ricorrano 
validamente contro il comune. 
Ad esempio, il contrasto di deliberazioni col parere di regolarit� contabile 
previsto dall�art. 49, c. 1, non intacca le posizioni giuridiche soggettive 
degli interessati, se le deliberazioni stesse non siano state ritirate d�ufficio: 
si tratta di una delle dinamiche che, sulla base di tutte le valutazioni di ciascun 
caso specifico, pu� far ritenere necessaria, al Responsabile del servizio 
finanziario, l�impugnazione degli atti, in via, come gi� detto, amministrativa 
o giurisdizionale. 
Altra possibile dinamica: deliberate modifiche (ovviamente rispetto alle 
proposte effettuate ai sensi dell�art. 49, c. 1, del d.lgs. 267/2000) di relazioni 
di bilancio, dalle quali sia, a scapito di importanti vincoli finanziari, materialmente 
impossibile, da parte del responsabile del servizio finanziario, il discostamento 
operativo (un possibile caso concreto: negazione, mediante 
deliberazione, di specifici indici di criticit� finanziaria, con formale improcedibilit� 
di successivi atti correttivi). 
�, pertanto, coerente e completo l�assetto normativo che determina la generale 
portata applicativa dell�art. 153 del d.lgs. 267/2000. 
5. Autonomia degli ambiti di rappresentanza. 
�, cos�, chiaro che, in ipotesi di discordanza tra organo politico e Responsabile 
del servizio finanziario (per ritenuta illegittimit� di deliberazioni non 
conformi alle relative proposte), la rappresentanza tecnica costituisce necessariamente 
una scelta autonoma di quest�ultimo, se l�azione in giudizio sia ritenuta 
necessaria per salvaguardare l�ente da conseguenze lesive della gestione 
finanziaria, indipendentemente dalla circostanza che i relativi atti siano stati 
approvati nella sfera di legittimazione derivante dall�art. 49, c. 4, o siano, invece, 
formalmente illegittimi o nulli (ovviamente, la problematica pu� sorgere 
anche in ipotesi di decreto ingiuntivo, se ci sia volont� dell�organo politico di 
non proporre opposizione). 
Al di fuori di questa ipotesi di discordanza (ipotesi in cui, sul piano giuridico, 
il Comune, identificandosi, per finalit� di sua tutela, solo nella propria 
rappresentanza tecnica, rende sottostante quella politica), vale ovviamente 
l�individuazione, nello Statuto, degli ambiti di rappresentanza politica e di 
quelli di rappresentanza tecnica, essendo solo ereditato dalla precedente normativa 
l�andamento generalizzato che vede affidata la rappresentanza legale 
dell�ente al Sindaco, indipendentemente dagli ambiti di riferimento. 
Infatti, dopo la modifica apportata dalla legge 127/1997 all�art. 51 della 
legge 142/1990 (articolo corrispondente all�attuale 107 del TUEL), la figura 
dirigenziale si �, come gi� detto, autonomamente aggiunta, sul piano della rappresentanza 
interna ed esterna dell�ente, a quella politica. 
Va osservato, a questo proposito, che, se venisse accolto il diverso con-
246 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2016 
cetto di divisione della rappresentanza tecnica da quella politica che, di fatto, 
anche in questo specificissimo ambito trova spesso affermazione, il contrasto 
con l�art. 107 non sarebbe limitato a se stesso, perch�, sul versante finanziario, 
si tradurrebbe in materiale inapplicabilit� dell�art. 153, in ordine al potere di 
autonoma tutela di cui si � detto, con automatica limitazione dello stesso, incompatibile 
con la ratio della norma. 
Diviene, infatti, impossibile affermare il concetto stesso di tutela della 
gestione finanziaria, se si sostiene l�esclusivit� della rappresentanza in giudizio 
dell�ente in capo all�organo politico: argomentare in questi termini significa 
respingere l�impianto normativo che � contenuto nell�art. 153. 
Pertanto, negli ambiti di rappresentanza tecnica eventualmente individuati 
dallo Statuto, la costituzione in giudizio dell�ente potr�, per finalit� di semplificazione 
dell�attivit� amministrativa, essere disposta non con deliberazione, 
ma con determinazione, stante comunque la possibilit� dell�organo politico di 
applicare l�art. 49, c. 4, per sostanziale analogia, nel caso specifico, tra determinazione 
e proposta di deliberazione. 
6. Correlazioni con la legge 20/1994. 
Ci si chiede quali possano essere le conseguenze, sul piano della responsabilit� 
amministrativa, di eventuali atti annullati per illegittimit�, a seguito 
di azione ricorsuale autonomamente intrapresa dal Responsabile del servizio 
finanziario, sulla base della legittimazione che gli � riconosciuta dall�art. 153 
del TUEL. 
Al di fuori, ovviamente, dell�eventuale riscontro del dolo o della colpa 
grave, potrebbero anche esserci i presupposti concreti per la positiva valutazione, 
da parte della magistratura contabile, del momento dell�attivit� amministrativa, 
del fine perseguito e dei vantaggi comunque conseguiti dalla 
collettivit�. 
Va sottolineata, al riguardo, la componente legata alla validit� o meno 
della motivazione che pu� essere riscontrata in atti che, di fatto, affermino la 
prevalenza dell�interesse pubblico specifico sull�interesse pubblico generico 
dettato dalla norma che � stata disattesa. 
La mancata acquisizione di entrate potrebbe essere un esempio in ordine 
ad ipotesi di aiuti finalizzati al sostegno di interessi privati che, producendo 
benefici concreti in via generale, siano sottostanti all�interesse pubblico territoriale.

LEGISLAZIONE ED ATTUALIT� 247 
Il trasporto pubblico locale: la qualificazione dell�attivit� 
in termini di servizio pubblico e il contratto di servizio 
Ivan Michele Triolo* 
SOMMARIO: 1. Premessa: dalla nozione di servizio pubblico a quella di servizio pubblico 
locale - 1.1. L�indefettibilit� dell�intervento pubblico e il concetto di adeguatezza del mercato 
di riferimento - 2. Il concetto di trasporto pubblico locale - 3. Il decentramento amministrativo: 
il decreto legislativo 19 novembre 1997, n. 422 e l�avvento del contratto di servizio - 
3.1. Le origini dell�istituto del contratto di servizio e l�attuale disciplina nell�ordinamento 
comunitario - 3.2. Il contratto di servizio nell�ordinamento italiano - 3.3. La natura giuridica 
del contratto di servizio e le tipologie applicabili al settore del trasporto pubblico locale. 
1. Premessa: dalla nozione di servizio pubblico a quella di servizio pubblico 
locale. 
Ci� che maggiormente caratterizza il trasporto pubblico locale non � tanto 
la modalit� (1) di svolgimento dello stesso, quanto la qualificazione dell�attivit� 
di trasporto in termini di servizio pubblico. � tale qualificazione che comporta 
l�assoggettamento di una determinata attivit� di trasporto ad un regime 
del tutto peculiare, ed � quindi opportuno cercare di capire cosa si intenda - 
oggi - per servizio pubblico locale. 
L�operazione non � delle pi� semplici. Non esiste, infatti, nel nostro ordinamento, 
una compiuta definizione legislativa di servizio pubblico e di servizio 
pubblico locale (2). 
Per quanto riguarda i servizi pubblici, si pu� affermare che essi consistano 
in una serie di prestazioni di vario tipo, nella gran parte dei casi volte a garantire 
diritti costituzionalmente tutelati (si pensi all�istruzione, alle prestazioni 
(*) Dottore in Giurisprudenza, ammesso alla pratica forense presso l�Avvocatura distrettuale di Bologna. 
(1) Le modalit� di svolgimento del servizio di trasporto pubblico locale possono essere molteplici, 
come specificato dall�art. 1 del d.lgs. 19 novembre 1997, n. 422, il quale al comma 2 richiama �[�] 
l�insieme dei sistemi di mobilit� terrestri, marittimi, lagunari, lacuali, fluviali e aerei [�]�. 
(2) In questi termini, G. PALLIGGIANO, L�evoluzione legislativa della gestione dei servizi pubblici locali 
dalla legge Giolitti al Testo unico degli enti locali, relazione al convegno La riforma dei servizi pubblici 
locali di rilevanza economica, Vallo della Lucania, 26 giugno 2009, in www.giustizia-amministrativa.it. A 
livello normativo, l�art. 1, comma 1 della l. 12 giugno 1990, n. 146, relativa all�esercizio del diritto di 
sciopero nei servizi pubblici essenziali, si limita a definire questi ultimi come �[�] quelli volti a garantire 
il godimento dei diritti della persona, costituzionalmente tutelati, alla vita, alla salute, alla 
libert� ed alla sicurezza, alla libert� di circolazione, all�assistenza e previdenza sociale, all�istruzione 
ed alla libert� di comunicazione�. Per quanto riguarda i servizi pubblici locali, l�art. 112 del d.lgs. 18 
agosto 2000, n. 267, recante il �Testo unico delle leggi sull�ordinamento degli enti locali�, individua 
tali servizi in quelli che �abbiano per oggetto produzione di beni ed attivit� rivolte a realizzare fini 
sociali e a promuovere lo sviluppo economico e civile delle comunit� locali�. Infine, celebre � l�affermazione 
di chi colloca la nozione di servizio pubblico �tra quelle pi� tormentate�: cos� M.S. GIANNINI, 
Il pubblico potere, Il Mulino, Bologna, 1986, 69 ss.
248 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2016 
sanitarie, all�assistenza sociale e cos� via), o a soddisfare esigenze che la pubblica 
autorit� ritiene indispensabili. Si tratta, dunque, di attivit� a carattere necessario 
che devono essere svolte in concreto e in modo continuativo, che 
hanno una dimensione universale con riferimento ad un determinato contesto 
socio-territoriale, e che sono accessibili in principio a tutti i consociati (3). 
� compito dei pubblici poteri garantire il corretto svolgimento di tali attivit�, 
provvedendovi direttamente ovvero affidando l�espletamento del servizio 
a soggetti di natura privatistica o pubblicistica, formalmente o 
sostanzialmente esterni all�apparato pubblico. Nel caso di affidamento esterno, 
l�attivit� dei pubblici poteri si limita alla regolazione delle modalit� di svolgimento 
del servizio ed al relativo controllo. L�attivit� di regolazione, in particolare, 
consiste nell�imporre ai soggetti esercenti alcuni obblighi di servizio 
pubblico. Sono da intendere come tali quegli obblighi che - al fine di salvaguardare 
i propri interessi commerciali - non verrebbero assunti affatto dal 
soggetto esercente, o non verrebbero assunti nella stessa misura (4). Tra essi 
rientra il c.d. obbligo di servizio universale, di derivazione comunitaria, volto 
a garantire �un insieme minimo di servizi di una qualit� determinata [�] a 
tutti gli utenti a prescindere dalla loro ubicazione geografica e, tenuto conto 
delle condizioni nazionali specifiche, ad un prezzo ragionevole� (5). 
Sin dal XIX secolo, con riguardo alla nozione di servizio pubblico, dottrina 
e giurisprudenza hanno elaborato diverse teorie, nel tentativo di trovare 
una compiuta definizione e, allo stesso tempo, di adeguarla alle diverse realt� 
sociali e politiche. Si � cos� passati da una concezione soggettiva del servizio 
pubblico, che definiva tale qualsiasi attivit� svolta dall�Amministrazione che 
non fosse pubblica funzione e - quindi - non avesse carattere autoritativo, ad 
una concezione soggettiva temperata, che identificava la pubblicit� del servizio 
nella imputabilit� dello stesso all�Amministrazione, escludendo la necessit� 
di una gestione diretta ed ammettendo la partecipazione di soggetti privati. 
Fino all�affermazione ultima di una concezione oggettiva del servizio pubblico, 
in cui non rileva la natura del soggetto esercente, bens� l�idoneit� dell�attivit� 
svolta a soddisfare alcuni bisogni essenziali dei cittadini (6). La 
(3) In questi termini, V. CERULLI IRELLI, Lineamenti di diritto amministrativo, II ed., Giappichelli, 
Torino, 2011, 238. 
(4) Cos�, ancora, V. CERULLI IRELLI, Lineamenti di diritto amministrativo, cit., 238. Inoltre, il regolamento 
(CE) n. 1370/2007 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 ottobre 2007, relativo ai servizi 
pubblici di trasporto di passeggeri su strada e per ferrovia, all�art. 2, lett. e), definisce l�obbligo di 
servizio pubblico come �l�obbligo definito o individuato da un�autorit� competente al fine di garantire 
la prestazione di servizi di trasporto pubblico di passeggeri di interesse generale che un operatore, ove 
considerasse il proprio interesse commerciale, non si assumerebbe o non si assumerebbe nella stessa 
misura o alle stesse condizioni senza compenso�. 
(5) Direttiva 2002/21/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 7 marzo 2002, che istituisce 
un quadro normativo comune per le reti ed i servizi di comunicazione elettronica (direttiva quadro), art. 
2, lett. j).
LEGISLAZIONE ED ATTUALIT� 249 
concezione oggettiva del servizio pubblico, inoltre, risulta essere avvalorata 
dal disposto dell�art. 43 della Costituzione (7). 
� a tale concezione oggettiva che ci si � riferiti nella definizione tracciata 
in precedenza, ed � la stessa a cui fanno riferimento il legislatore nazionale, 
quello comunitario, nonch� la giurisprudenza (8). 
Parzialmente diverso � il discorso per i servizi pubblici locali. Come sostenuto 
da autorevole dottrina, �sembra un paradosso, e forse in parte lo �, 
ma [�] oggi la parentela (non tanto di disciplina quanto concettuale) del concetto 
del servizio pubblico nazionale e del servizio pubblico locale � una parentela 
molto lontana� (9). 
I servizi pubblici locali sono attivit� di natura imprenditoriale che si caratterizzano 
per essere immediatamente e direttamente finalizzate alla soddisfazione 
di un bisogno primario (10) della collettivit� (locale) di riferimento 
(11). Si tratta di una categoria aperta - priva di elencazione normativa - che 
comprende un�insieme di attivit� fra loro molto diverse, ed il cui comune denominatore 
� la diretta soddisfazione di interessi e bisogni della collettivit�, 
�che si presenta quindi quale contraente dell�erogatore del servizio� (12). 
Inoltre, sulla base di quella che, nelle originarie intenzioni del legislatore, 
sarebbe dovuta essere la disciplina generale dei servizi pubblici locali, ossia 
gli art. 112 e ss. del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 (recante il �Testo 
unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali�) e successive modificazioni, 
occorre distinguere tra servizi pubblici locali aventi rilevanza economica 
(art. 113, d.lgs. n. 267/2000) e servizi pubblici locali non aventi rilevanza economica 
(art. 113 bis, d.lgs. n. 267/2000). 
(6) Sulle diverse concezioni di servizio pubblico, si veda la sintetica ma chiara ricostruzione elaborata 
in L. GIZZI, Trasporto a fune: servizio pubblico o attivit� economica privata?, 2013, reperibile 
in www.giustizia-amministrativa.it. 
(7) In questi termini, A. CLARONI, Il trasporto pubblico locale. Funzione sociale e processi di riforma 
del settore, Libreria Bonomo Editrice, Bologna, 2012, 14. Inoltre, sul ruolo dell�art. 43 Cost. nell�individuazione 
di una nozione oggettiva di servizio pubblico, si veda U. POTOTSCHNIG, I pubblici 
servizi, Cedam, Padova, 1964, 48 ss. 
(8) Tra le pronunce pi� recenti sulla identificazione giuridica di un servizio pubblico, si veda Consiglio 
di Stato, Sez. VI, 5 aprile 2012, n. 2021, in www.dirittodeiservizipubblici.it, in cui si afferma che 
�[�] per identificare giuridicamente un servizio pubblico, non � indispensabile a livello soggettivo la 
natura pubblica del gestore, mentre � necessaria la vigenza di una norma legislativa che, alternativamente, 
ne preveda l�obbligatoria istituzione e la relativa disciplina oppure che ne rimetta l�istituzione 
e l�organizzazione all�Amministrazione�. 
(9) M. DUGATO, I servizi pubblici locali, in Associazione per gli studi e le ricerche parlamentari, 
n. 15/2004, 75. 
(10) Il pi� delle volte, o addirittura potremmo dire sempre, si tratta di un bisogno costituzionalmente 
tutelato. Basti pensare al trasporto pubblico locale, il quale � diretto a soddisfare (o meglio, a garantire) 
la libert� di circolazione degli individui, tutelata dall�art. 16 della Costituzione. 
(11) In questi termini, M. DUGATO, I servizi pubblici locali, in S. CASSESE (a cura di), Trattato di 
Diritto Amministrativo, Diritto Amministrativo Speciale, Tomo III, Giuffr�, Milano, 2003, 2582. 
(12) M. DUGATO, I servizi pubblici locali, in Associazione per gli studi e le ricerche parlamentari, 
cit., 76.
250 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2016 
Dei secondi il presente contributo non si occupa specificamente. Basti qui 
dire, citando una recente sentenza del Consiglio di Stato, che si tratta di quei 
�servizi che sono resi agli utenti in chiave meramente erogativa e che, inoltre, 
non richiedono una organizzazione di impresa in senso obiettivo� (13) (l�esempio, 
divenuto ormai classico, � quello dei servizi socio-assistenziali). Tali servizi, 
in seguito all�annullamento dell�art. 113 bis del d.lgs. n. 267/2000, ad 
opera della sentenza della Corte costituzionale n. 272 del 27 luglio 2004, sono 
oggetto delle singole discipline regionali, seppur sotto un pi� o meno penetrante 
controllo statale relativo ai livelli essenziali delle prestazioni (14). 
Ci� che qui interessa, invece, sono i servizi pubblici aventi rilevanza economica, 
tra cui va senza dubbio annoverato il trasporto pubblico locale (15). 
Il concetto di rilevanza economica, anch�esso privo di definizione legislativa 
(16), � stato oggetto di un intenso dibattito dottrinale e giurisprudenziale, 
sin dall�originaria qualificazione in termini di rilevanza industriale (17). 
A tal proposito, sono state avanzate diverse ipotesi classificatorie (18). 
Una prima ipotesi ha portato ad identificare la rilevanza economica con 
la remunerativit� dell�attivit�, cio� con la capacit� di produrre lucro (19). La 
seconda ipotesi, invece, ha posto a fondamento della distinzione tra rilevanza 
economica e non un criterio soggettivo, in base al quale farebbero parte dei 
servizi della prima categoria quelli che l�Ente locale - nella propria discrezionalit� 
- intende organizzare e gestire in regime di profitto (20). 
(13) Consiglio di Stato, Sez. V, sent. 23 ottobre 2012, n. 5409, in www.giustizia-amministrativa.it. 
(14) In base all�art. 117, comma 2, lett. m) della Costituzione, rientra tra le materie di competenza 
legislativa esclusiva dello Stato la �determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i 
diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale�. 
(15) In questi termini, A. CLARONI, Il trasporto pubblico locale. Funzione sociale e processi di 
riforma del settore, cit., 18. 
(16) TAR Sardegna, Sez. I, sentenza 2 agosto 2005, n. 1729, in federalismi.it, ha precisato che 
�la nozione di servizio pubblico locale di rilevanza economica e, per converso, quella di servizio privo 
di siffatta rilevanza, dev�essere ricostruita in via interpretativa, mancando una disposizione normativa 
che ne fornisca la definizione�. 
(17) Gli artt. 113 e 113 bis, prima di essere modificati ad opera dell�art. 14 del d.l. 30 settembre 
2003, n. 269, facevano riferimento, rispettivamente, ai servizi pubblici con rilevanza industriale ed ai 
servizi pubblici privi di detta rilevanza. 
(18) Per una chiara sintesi si veda la ricostruzione (qui richiamata) elaborata in M. DUGATO, I servizi 
pubblici locali, in S. CASSESE (a cura di), Trattato di Diritto Amministrativo, Diritto Amministrativo 
Speciale, cit., 2590. 
(19) Il ricorso al criterio della remunerativit� � stato contestato dalla giurisprudenza amministrativa. 
Si veda Cons. di Stato, Sez. V, sent. 10 settembre 2010, n. 6529, in www.giustizia-amministrativa.it, 
che richiama i principi espressi dalla Corte costituzionale nella sentenza 27 luglio 2004, n. 272. Il Consiglio 
di Stato afferma che, per qualificare le due categorie di servizi pubblici locali in esame, �[�] occorre 
far ricorso ad un criterio [�] che tenga conto delle peculiarit� del caso concreto, quali la concreta 
struttura del servizio, le concrete modalit� del suo espletamento, i suoi specifici connotati economicoorganizzativi, 
la natura del soggetto chiamato ad espletarlo, la disciplina normativa del servizio�. 
(20) Cos�, M. DUGATO, I servizi pubblici locali, in S. CASSESE (a cura di), Trattato di Diritto Amministrativo, 
Diritto Amministrativo Speciale, cit., 2590.
LEGISLAZIONE ED ATTUALIT� 251 
Una terza ipotesi - che, come sostenuto da eminente dottrina, sembra essere 
la pi� accreditata (21) - ha individuato la rilevanza economica facendo leva 
sul dato obiettivo della riforma operata dall�art. 35 della legge 28 dicembre 
2001, n. 448. Con tale norma il legislatore aveva inciso profondamente sulla 
disciplina originaria dei servizi pubblici locali di cui al d.lgs. n. 267/2000, riscrivendo 
il testo dell�art. 113 e introducendo ex novo l�art. 113 bis. Il risultato 
della riforma, in definitiva, era stato l�introduzione nel nostro ordinamento 
della distinzione tra servizi a rilevanza industriale (oggi rilevanza economica) 
e servizi privi di detta rilevanza. La nuova disciplina cos� introdotta, individuava 
l�elemento di maggior distinzione tra servizi industriali e non industriali 
nella necessaria separazione - per i primi - tra la gestione del servizio e la propriet� 
delle reti, degli impianti e delle altre dotazioni patrimoniali. Proprio 
sulla base del dettato normativo della riforma citata, questa terza ipotesi classificatoria 
ha riconosciuto rilevanza economica a quei servizi che per essere 
esercitati necessitano di reti, impianti e altre dotazioni patrimoniali. 
Infine, sulla scorta della giurisprudenza costituzionale, amministrativa, 
nonch� della Corte di giustizia dell�Unione europea, � possibile avanzare una 
quarta ipotesi che individua quale fondamento della rilevanza economica di 
un�attivit� lo �[�] scopo precipuamente lucrativo, la [�] assunzione dei rischi 
connessi a tale attivit� ed anche l�eventuale finanziamento pubblico dell�attivit� 
in questione� (22), nonch� l�idoneit� ad essere svolta in un regime 
di libera concorrenza (23). In base a tale quarta ipotesi, il servizio pubblico 
locale di rilevanza economica � stato definito come un �servizio destinato a 
(21) In questi termini, ancora, M. DUGATO, I servizi pubblici locali, in S. CASSESE (a cura di), Trattato 
di Diritto Amministrativo, Diritto Amministrativo Speciale, cit., 2590, che attribuisce maggior fondamento 
proprio a tale ipotesi classificatoria. 
(22) Corte di giustizia CE, sentenza 22 maggio 2003, causa C-18/01, richiamata da Corte costituzionale, 
27 luglio 2004, n. 272, in www.cortecostituzionale.it. In questi termini anche TAR Sardegna, 
Sez. I, sentenza 2 agosto 2005, n. 1729, gi� citato, secondo cui la distinzione tra servizi a rilevanza economica 
e non � �[�] legata all�impatto che l�attivit� pu� avere sull�assetto della concorrenza ed ai suoi 
caratteri di redditivit�; di modo che deve ritenersi di rilevanza economica il servizio che si innesta in un 
settore per il quale esiste, quantomeno in potenza, una redditivit�, e quindi una competizione sul mercato 
e ci� ancorch� siano previste forme di finanziamento pubblico, pi� o meno ampie, dell�attivit� in questione 
[�]�. Cos� anche Corte costituzionale, 17 novembre 2010, n. 325, in www.cortecostituzionale.it, che 
comparando la nozione di servizio pubblico locale di rilevanza economica con quella comunitaria di 
servizio di interesse economico generale (SIEG), sottolinea come entrambe le nozioni facciano �riferimento 
[�] ad un servizio che: a) � reso mediante un�attivit� economica (in forma pubblica o privata), 
intesa in senso ampio, come �qualsiasi attivit� che consista nell�offrire beni o servizi su un determinato 
mercato� [�]; b) fornisce prestazioni considerate necessarie (dirette, cio�, a realizzare anche �fini sociali�) 
nei confronti di una indifferenziata generalit� di cittadini, a prescindere dalle loro particolari 
condizioni [�]�. 
(23) La sentenza della Corte costituzionale n. 272 del 27 luglio 2004, per avallare la legittimit� 
costituzionale dell�art. 113 del d.lgs. n. 267/2000, ha fatto leva proprio sulla competenza legislativa esclusiva 
dello Stato nella materia trasversale della tutela della concorrenza, la quale attrae sicuramente 
i servizi pubblici locali aventi rilevanza economica.
252 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2016 
fornire prestazioni considerate necessarie e, dunque, dirette a realizzare anche 
�fini sociali�, nei confronti di una indifferenziata generalit� di cittadini, reso 
attraverso un�attivit� economica intesa in senso ampio, ossia volta ad offrire 
beni o servizi su un determinato mercato, e la cui gestione deve, di regola, avvenire 
mediante affidamento, tramite procedure competitive ad evidenza pubblica, 
a soggetti terzi in un�ottica di tutela della concorrenza� (24). 
L�inquadramento di un�attivit� nell�ambito dei servizi pubblici locali 
comporta la sua sottoposizione ad un peculiare regime giuridico che, negli ultimi 
anni, � stato sottoposto ad un intenso processo di riforma volto ad aprire 
al libero mercato il settore di cui trattasi. Tentativi di liberalizzazione che, tuttavia, 
sono stati frenati dai noti esiti referendari e giurisprudenziali del biennio 
2011-2012 (25). 
Per quanto riguarda lo specifico settore del trasporto pubblico locale, occorre 
sottolineare come esso sia stato interessato da un processo riformatore in 
qualche modo precursore di quello che - negli ultimi anni - ha interessato la 
materia dei servizi pubblici locali nel suo complesso. Fin dal 1997, infatti, si � 
affermata per il trasporto pubblico locale una chiara politica legislativa che ha 
scelto �come modello applicabile alla gestione del servizio quello della concorrenza 
�per il mercato� realizzata attraverso lo strumento della gara� (26). 
Il rapporto tra la disciplina generale e quella settoriale � stato cos� interessato 
da una continua alternanza tra inclusione ed esclusione del trasporto pubblico 
locale dall�ambito dei modelli organizzativi dei servizi pubblici locali (27). 
1.1. L�indefettibilit� dell�intervento pubblico e il concetto di adeguatezza del 
mercato di riferimento. 
Sono stati individuati tre caratteri fondamentali che definiscono la qualificazione 
in chiave di servizio pubblico (a rilevanza economica) di una determinata 
attivit�. Deve trattarsi di un�attivit� suscettibile di essere organizzata in 
forma d�impresa, diretta alla immediata soddisfazione di un bisogno primario 
della collettivit�, ed esercitata direttamente nei confronti della collettivit� stessa. 
Tuttavia, questi elementi da soli non sono sufficienti per la complessa 
qualificazione di un�attivit� in termini di servizio pubblico locale (28). � ne- 
(24) A. CLARONI, Il trasporto pubblico locale. Funzione sociale e processi di riforma del settore, 
cit., 25. 
(25) Ci si riferisce all�abrogazione dell�art. 23 bis del d.l. 25 giugno 2008, n. 112, in seguito al referendum 
del 12-13 giugno 2011, ed all�annullamento dell�art. 4 del d.l. 13 agosto 2011, n. 138, a seguito 
della sentenza della Corte costituzionale n. 199 del 20 luglio 2012. 
(26) A. CABIANCA, Profili evolutivi delle modalit� di gestione del trasporto pubblico locale: verso 
un mutamento di "paradigma"?, in Ist. federalismo, n. 5-6/2010, 589. 
(27) In questi termini, ancora, A. CABIANCA, Profili evolutivi delle modalit� di gestione del trasporto 
pubblico locale: verso un mutamento di "paradigma"?, cit., 589. 
(28) In questi termini, M. DUGATO, I servizi pubblici locali, in Associazione per gli studi e le ricerche 
parlamentari, cit., 77.
LEGISLAZIONE ED ATTUALIT� 253 
cessario, infatti, un ulteriore carattere che pu� essere compreso pi� a fondo 
grazie ad un semplice esempio. 
Si prenda in considerazione l�esempio - al limite della semplificazione - 
di due linee di trasporto. La prima molto trafficata, servita da diverse imprese 
di trasporto, tra cui quella riconducibile direttamente o indirettamente all�Ente 
locale. La seconda marginale, che magari collega un piccolo Comune montano 
con una citt� di pi� grandi dimensioni, in cui il servizio viene esercitato unicamente 
dall�Ente locale, risultando la linea poco attrattiva dal punto di vista 
commerciale a causa del basso tasso di utenza. Se nel primo caso si eliminasse 
l�intervento dell�Ente locale, il bisogno primario di mobilit� dei cittadini non 
rimarrebbe di certo insoddisfatto, essendo la tratta servita da pi� imprese (si 
potrebbero avanzare alcune considerazioni sulle tariffe di accesso al servizio 
di trasporto, ma non � ci� che qui interessa). La medesima sottrazione dell�intervento 
pubblico nel secondo caso, invece, darebbe luogo a risultati del tutto 
differenti. In questo caso, infatti, a causa della bassa attrattivit� commerciale 
della linea, sarebbe impossibile per i consociati soddisfare il proprio bisogno 
di mobilit�, o comunque sarebbe impossibile soddisfarlo a tariffe accessibili. 
Il quarto elemento necessario affinch� un�attivit� economica esercitata dall�Ente 
locale possa qualificarsi in termini di servizio pubblico attiene, dunque, 
alla �indefettibilit� dell�intervento pubblico ai fini della soddisfazione del bisogno 
primario. In altri termini, [�] � necessario che l�intervento dell�ente 
locale sia indispensabile per l�adeguata soddisfazione del bisogno� (29). 
� quindi servizio pubblico locale solamente quell�attivit� economica diretta 
alla soddisfazione di un bisogno primario della collettivit� che, in mancanza dell�intervento 
pubblico, rimarrebbe assolutamente o relativamente insoddisfatto. 
Ci� che entra in gioco � quel concetto che � stato definito, da autorevole 
dottrina, della �adeguatezza del mercato� (30). Se il mercato � adeguato per 
garantire la compiuta soddisfazione del bisogno, l�intervento dell�Ente locale 
non pu� essere giustificato in termini di servizio pubblico. L�Ente potr� comunque 
svolgere quella determinata attivit� economica, ma questa non sar� 
sottoposta al regime giuridico peculiare che riguarda i servizi pubblici locali. 
Se, al contrario, il mercato � assente - o comunque � inadeguato - e di conseguenza 
non garantisce la soddisfazione del bisogno, l�attivit� economica svolta 
dall�Ente si qualificher� certamente quale servizio pubblico locale. 
Come si pu� facilmente intuire, il concetto di adeguatezza del mercato � 
assolutamente dinamico (31), sia nel tempo che nello spazio, esattamente come 
(29) M. DUGATO, I servizi pubblici locali, in Associazione per gli studi e le ricerche parlamentari, 
cit., 77. 
(30) M. DUGATO, I servizi pubblici locali, in Associazione per gli studi e le ricerche parlamentari, 
cit., 78. 
(31) In questi termini, M. DUGATO, I servizi pubblici locali, in S. CASSESE (a cura di), Trattato di 
Diritto Amministrativo, Diritto Amministrativo Speciale, cit., 2582.
254 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2016 
la qualificazione di un bisogno della collettivit� quale primario o secondario. 
Ci� che si qualifica come servizio pubblico in un determinato contesto territoriale, 
potr� non esserlo con riferimento ad un altro contesto, e viceversa. 
Inoltre, il concetto di adeguatezza del mercato non pu� che porsi in stretto 
collegamento con il principio di uguaglianza sostanziale di cui all�art. 3, comma 
2 della Costituzione (32). Infatti, quand�anche il mercato fosse adeguato come 
offerta per la soddisfazione del bisogno, occorre chiedersi a che prezzo ci� avverrebbe 
per la collettivit�. Le tariffe di accesso al servizio potrebbero essere 
troppo elevate per le fasce pi� deboli della popolazione, che sarebbero cos� 
escluse dal servizio. Un mercato adeguato, dunque, non � quello che garantisce 
la mera soddisfazione del bisogno in termini di offerta, ma � quel mercato che 
garantisce la soddisfazione del bisogno nonch� l�accessibilit� diffusa al servizio, 
indipendentemente dalla condizione economica degli utenti (33). 
Infine, la qualificazione, nei termini esposti, di un�attivit� economica in 
chiave di servizio pubblico locale ne determina la titolarit� esclusiva in capo 
all�Ente di riferimento, il quale dovr� garantirne l�erogazione a prescindere 
dal modello di gestione adottato (34). 
2. Il concetto di trasporto pubblico locale. 
Dopo questa dovuta premessa, � finalmente possibile chiarire cosa si intenda, 
alla luce delle considerazioni svolte, per trasporto pubblico locale. 
In questo caso, la definizione viene fornita direttamente dal legislatore, 
il quale definisce i servizi pubblici di trasporto regionale e locale al secondo 
comma dell�art. 1 del decreto legislativo 19 novembre 1997, n. 422 (35), recante 
il conferimento alle Regioni ed agli Enti locali di funzioni e compiti in 
materia di trasporto pubblico locale. Secondo la norma citata, sono servizi 
(32) Secondo cui �� compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, 
che, limitando di fatto la libert� e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della 
persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e 
sociale del Paese�. 
(33) In questi termini, M. DUGATO, I servizi pubblici locali, in Associazione per gli studi e le ricerche 
parlamentari, cit., 79. 
(34) In questi termini, M. DUGATO, I servizi pubblici locali, in S. CASSESE (a cura di), Trattato di 
Diritto Amministrativo, Diritto Amministrativo Speciale, cit., 2592. 
(35) Sulla riforma operata dal d.lgs. n. 422/1997 si veda, tra gli altri, A. CLARONI, Le regole di accesso 
al mercato dei servizi di trasporto pubblico locale, in S. ZUNARELLI, A. ROMAGNOLI, A. CLARONI, 
Diritto pubblico dei trasporti, Libreria Bonomo Editrice, Bologna, 2013, 180 ss.; A. CLARONI, Il trasporto 
pubblico locale. Funzione sociale e processi di riforma del settore, cit., 67 ss.; S. BUSTI, Profilo 
storico della disciplina del trasporto pubblico locale, in A. CLARONI (a cura di), La disciplina del trasporto 
pubblico locale: recenti sviluppi e prospettive, in Quaderni del Dipartimento di Scienze Giuridiche 
dell�Universit� degli Studi di Trento, 96/2011, 11 ss.; A. CABIANCA, Profili evolutivi delle modalit� 
di gestione del trasporto pubblico locale: verso un mutamento di "paradigma"?, cit., 589 ss.; N. RANGONE, 
I trasporti pubblici di linea, in S. CASSESE (a cura di), Trattato di Diritto Amministrativo, Diritto 
Amministrativo Speciale, Tomo III, Giuffr�, Milano, 2003, 2309 ss.; C. BURLANDO, Sviluppi della riforma 
del TPL in Italia, in Trasporti: diritto, economia, politica, n. 88/2002, 33 ss.
LEGISLAZIONE ED ATTUALIT� 255 
pubblici di trasporto regionale e locale �[�] i servizi di trasporto di persone 
e merci, che non rientrano tra quelli di interesse nazionale tassativamente individuati 
dall'articolo 3; essi comprendono l'insieme dei sistemi di mobilit� 
terrestri, marittimi, lagunari, lacuali, fluviali e aerei che operano in modo 
continuativo o periodico con itinerari, orari, frequenze e tariffe prestabilite, 
ad accesso generalizzato, nell'ambito di un territorio di dimensione normalmente 
regionale o infraregionale�. 
Come si pu� notare dal testo della norma, il legislatore compie un�individuazione 
in un certo senso residuale dei servizi pubblici di trasporto regionale 
e locale, escludendo da tale novero quelli �di interesse nazionale� individuati 
tassativamente dall�art. 3 del d.lgs. n. 422/1997, a tenore del quale costituiscono 
servizi pubblici di trasporto di interesse nazionale �[�] a) i servizi di trasporto 
aereo, ad eccezione dei collegamenti che si svolgono esclusivamente nell'ambito 
di una regione e dei servizi elicotteristici; b) i servizi di trasporto marittimo, ad 
eccezione dei servizi di cabotaggio che si svolgono prevalentemente nell'ambito 
di una regione; c) i servizi di trasporto automobilistico a carattere internazionale, 
con esclusione di quelli transfrontalieri, e le linee interregionali che collegano 
pi� di due regioni; d) i servizi di trasporto ferroviario internazionali e 
quelli nazionali di percorrenza medio-lunga caratterizzati da elevati standards 
qualitativi [�]; e) i servizi di collegamento via mare fra terminali ferroviari; f) 
i servizi di trasporto di merci pericolose, nocive ed inquinanti�. 
Inoltre, dal testo dell�art. 1, comma 2 del d.lgs. n. 422/1997, emerge che 
le attivit� di trasporto pubblico di interesse regionale e locale vanno inquadrate 
nella categoria dei cc.dd. servizi di linea, ossia di quei servizi di trasporto che 
si caratterizzano per la �[�] predeterminazione del tragitto, degli orari e, pi� 
in generale, delle caratteristiche delle prestazioni [�]� (36). La predeterminazione 
delle caratteristiche del servizio � direttamente collegata alla qualificazione 
dell�attivit� di trasporto in termini di servizio pubblico, ed � quindi 
funzionale ad assicurare, con regolarit� e continuit�, la soddisfazione del bisogno 
di mobilit� (37) dei consociati. 
Dunque, riprendendo le considerazioni svolte in merito alla nozione di 
servizio pubblico locale, affinch� l�attivit� di trasporto possa soddisfare pienamente 
il bisogno primario di mobilit� dei cittadini, sia in termini di garanzia 
del servizio che in termini di accessibilit� allo stesso, � necessario che i pubblici 
poteri provvedano alla predeterminazione di tutte le caratteristiche del 
servizio stesso. 
(36) N. RANGONE, I trasporti pubblici di linea, in S. CASSESE (a cura di), Trattato di Diritto Amministrativo, 
Diritto Amministrativo Speciale, cit., 2265. 
(37) Sul diritto alla mobilit� quale funzione sociale del servizio di trasporto pubblico locale, si 
veda A. CLARONI, Il trasporto pubblico locale. Funzione sociale e processi di riforma del settore, cit., 
26-35.
256 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2016 
3. Il decentramento amministrativo: il decreto legislativo 19 novembre 1997, 
n. 422 e l�avvento del contratto di servizio. 
A met� degli anni �90, la crisi finanziaria in cui versava il trasporto pubblico 
locale rese manifesta l�esigenza di una profonda riforma del settore, che 
si caratterizzava ormai per scarsa produttivit�, cronica perdita di efficacia e di 
efficienza, elevato costo del lavoro derivante dall�eccessivo numero di addetti 
(basti pensare che il costo del personale rappresentava circa il 70% dei costi 
totali). Dal punto di vista dei ricavi, invece, pesavano la scarsa qualit� del trasporto 
pubblico e l�aumento della motorizzazione privata (38). A ci� si aggiungeva 
altres� l�elevato volume di risorse pubbliche assorbite dal settore 
(39). Si pensi che, nel solo 1997, anno della riforma, i costi delle imprese operanti 
nel trasporto pubblico locale ammontavano ad una cifra superiore ai 9000 
miliardi di lire (40). 
Per quanto concerne l�aumento della motorizzazione privata, si ritiene interessante 
richiamare l�osservazione di quella dottrina secondo cui tale fenomeno 
deriverebbe anche �[�] dall�inefficacia dei mezzi di trasporto collettivo, 
i quali, tuttavia, sono inefficaci per almeno due cause riconducibili all�aumento 
del trasporto individuale: [da un lato] la congestione generata dai mezzi privati 
ricade maggiormente sui mezzi di trasporto pubblico [�] e determina a sua 
volta aumenti nell�uso dei mezzi individuali [�]; [dall�altro lato] la riduzione 
dei ricavi delle aziende di TPL e le conseguenti minori disponibilit� finanziarie 
generano minori investimenti [�]. Quindi, se � vero che l�aumento nella circolazione 
privata deriva dall�inefficacia del trasporto collettivo, � vero anche 
che tale aumento genera inefficacia nel trasporto collettivo� (41). 
Alla luce della situazione sin qui descritta, � evidente come il legislatore 
del 1997 sia intervenuto con l�obiettivo di incrementare l�efficacia e l�efficienza 
dell�intero settore, superando gli assetti monopolistici presenti nella 
gestione dei servizi (42), e cercando di riportare ad un livello accettabile il 
rapporto ricavi/costi delle imprese operanti nel trasporto pubblico locale, in 
modo da aumentare, in definitiva, la qualit� dei servizi offerti agli utenti (43). 
(38) Cos�, C. BURLANDO, Sviluppi della riforma del TPL in Italia, in Trasporti: diritto, economia, 
politica, n. 88/2002, 34-36. 
(39) In questi termini, A. CLARONI, Il trasporto pubblico locale. Funzione sociale e processi di 
riforma del settore, cit., 71. 
(40) C. BURLANDO, Sviluppi della riforma del TPL in Italia, cit., 37, tab. 1.1, che elabora i dati 
economico finanziari delle imprese di TPL associate a Federtrasporti (oggi Asstra). 
(41) C. BURLANDO, Sviluppi della riforma del TPL in Italia, cit., 33-34. 
(42) Obiettivo espressamente posto dall�art. 4, comma 4, lett. b), della legge n. 59/1997. 
(43) In questi termini, ancora, C. BURLANDO, Sviluppi della riforma del TPL in Italia, cit., 34-35, 
secondo cui �L�esigenza di una ristrutturazione del comparto del TPL in Italia nasce fondamentalmente 
da un triplice obiettivo: incremento dell�efficacia (attraverso un miglioramento nella qualit� dei servizi 
e un recupero di quote di mercato); incremento di efficienza (attraverso un risanamento finanziario); 
mobilit� sostenibile (attraverso un riequilibrio modale e la riduzione delle emissioni)�.
LEGISLAZIONE ED ATTUALIT� 257 
La delega contenuta nella legge n. 59/1997 (c.d. Bassanini) � stata attuata 
- con riferimento al settore in esame - mediante l�emanazione del gi� citato decreto 
legislativo 19 novembre 1997, n. 422, recante il titolo �Conferimento alle 
regioni ed agli enti locali di funzioni e compiti in materia di trasporto pubblico 
locale, a norma dell�art. 4, comma 4, della legge 15 marzo 1997, n. 59�, modificato 
successivamente dal decreto legislativo 20 settembre 1999, n. 400. 
Il d.lgs. n. 422/1997 rappresenta, tutt�oggi, la disciplina statale fondamentale 
per il settore del trasporto pubblico locale, unitamente alle varie leggi 
regionali di attuazione ed alle disposizioni generali in materia di servizi pubblici 
locali a rilevanza economica, a cui si affiancano - prevalendo su alcuni 
aspetti - le disposizioni dettate dal diritto europeo in materia di trasporto pubblico 
di passeggeri. 
Il decreto in esame, oltre a ridefinire l�assetto organizzativo del trasporto 
pubblico locale, � stato per certi aspetti anticipatorio rispetto alle scelte di politica 
legislativa che hanno interessato il pi� ampio settore dei servizi pubblici 
locali nel nuovo millennio (44). I punti su cui ha inciso il d.lgs. n. 422/1997 
possono essere cos� schematizzati: 
a) introduzione della gi� citata distinzione tra servizi pubblici di trasporto 
di interesse regionale e locale (art. 1) e servizi pubblici di trasporto di interesse 
nazionale (art. 3); 
b) introduzione della �[�] separazione funzionale tra le attivit� di indirizzo, 
programmazione e controllo del trasporto pubblico locale, che rimangono 
di competenza delle regioni e degli enti locali [art. 5], e l�attivit� di 
gestione del suddetto servizio pubblico [�]� (45); 
c) previsione della scelta concorrenziale del gestore del servizio di trasporto 
pubblico locale mediante gara ad evidenza pubblica (art. 18). 
d) definizione contrattuale del �[�] rapporto tra il soggetto programmatore 
(ente locale) e il soggetto produttore del servizio [�]� (46), mediante 
lo strumento del contratto di servizio pubblico (art. 19). 
Quest�ultimo non � che un istituto di derivazione comunitaria sapientemente 
definito dalla giurisprudenza amministrativa - con la nota sentenza del 
TAR Piemonte del 10 giugno 2010, n. 2750 - come �[�] il rapporto mediante 
il quale un ente pubblico affida ad un erogatore (il gestore) lo svolgimento di 
determinati servizi pubblici, con contestuale ed eventuale trasferimento di pubbliche 
funzioni, nonch� di beni pubblici strumentali allo svolgimento del servizio 
affidato e con l�individuazione di specifici obblighi standard di servizio 
(44) Per il rapporto tra TPL e disciplina dei servizi pubblici locali si veda, tra gli altri, A. CABIANCA, 
Profili evolutivi delle modalit� di gestione del trasporto pubblico locale: verso un mutamento di "paradigma"?, 
cit., 593-601. 
(45) A. CLARONI, Le regole di accesso al mercato dei servizi di trasporto pubblico locale, cit., 
183. 
(46) C. BURLANDO, Sviluppi della riforma del TPL in Italia, cit., 49.
258 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2016 
pubblico: le parti sono individuate da un lato nell�amministrazione pubblica 
affidante e, dall�altro, nel soggetto gestore del servizio affidato, affidatario�. 
3.1. Le origini dell�istituto del contratto di servizio e l�attuale disciplina nell�ordinamento 
comunitario. 
Come gi� detto, l�istituto del contratto di servizio pubblico trae origine 
dall�ordinamento comunitario, e in particolare dal regolamento (CEE) n. 
1893/1991 del Consiglio, del 20 giugno 1991, di modifica al regolamento 
(CEE) n. 1191/1969 del Consiglio, del 26 giugno 1969, relativo all�azione 
degli Stati membri in materia di obblighi inerenti alla nozione di servizio pubblico 
nel settore dei trasporti per ferrovia, su strada e per via navigabile (47), 
oggi entrambi abrogati e sostituiti dal regolamento (CE) n. 1370/2007 del Parlamento 
europeo e del Consiglio, del 23 ottobre 2007, relativo ai servizi pubblici 
di trasporto di passeggeri su strada e per ferrovia. 
Occorre ricordare, brevemente, che con la nozione di obblighi di servizio 
pubblico (48), si intendono quegli obblighi che, al fine di salvaguardare i propri 
interessi commerciali, non verrebbero assunti affatto dal soggetto esercente, o 
non verrebbero assunti nella stessa misura (49). Per tale motivo, dunque, si 
rende necessaria la loro imposizione ad opera della pubblica Autorit�, al fine 
di salvaguardare interessi generali considerati preminenti rispetto all�interesse 
commerciale del soggetto esercente. Inoltre, con specifico riferimento al settore 
del trasporto pubblico di passeggeri, il regolamento (CE) n. 1370/2007, all�art. 
2, lett. e), definisce l�obbligo di servizio pubblico come �l�obbligo definito o 
individuato da un�autorit� competente al fine di garantire la prestazione di servizi 
di trasporto pubblico di passeggeri di interesse generale che un operatore, 
ove considerasse il proprio interesse commerciale, non si assumerebbe o non 
si assumerebbe nella stessa misura o alle stesse condizioni senza compenso�. 
Ci� premesso, il reg. (CEE) n. 1191/1969 imponeva agli Stati membri di 
sopprimere gli obblighi di servizio pubblico nei trasporti per ferrovia, su strada 
e per via navigabile, salvo il caso in cui il loro mantenimento risultasse ne- 
(47) In questi termini, A. MOZZATI, Il contratto di servizio nell�ordinamento comunitario, cit., 
731. 
(48) Per un approfondimento sul tema, si veda, tra gli altri, S. ZUNARELLI, Il sostegno finanziario 
pubblico ai servizi di trasporto, in S. ZUNARELLI, A. ROMAGNOLI, A. CLARONI, Diritto pubblico dei trasporti, 
Libreria Bonomo Editrice, Bologna, 2013, 229 ss.; L. DE LUCIA, La regolazione amministrativa 
dei servizi di pubblica utilit�, Giappichelli, Torino, 2002; A. PERICU, Impresa e obblighi di servizio pubblico. 
L'impresa di gestione di servizi pubblici locali, Giuffr�, Milano, 2001. 
(49) Cos�, V. CERULLI IRELLI, Lineamenti di diritto amministrativo, II ed., Giappichelli, Torino 
2011, 238. Inoltre, il regolamento (CE) n. 1370/2007 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 ottobre 
2007, relativo ai servizi pubblici di trasporto di passeggeri su strada e per ferrovia, all�art. 2, lett. 
e), definisce l�obbligo di servizio pubblico come �l�obbligo definito o individuato da un�autorit� competente 
al fine di garantire la prestazione di servizi di trasporto pubblico di passeggeri di interesse generale 
che un operatore, ove considerasse il proprio interesse commerciale, non si assumerebbe o non 
si assumerebbe nella stessa misura o alle stesse condizioni senza compenso�.
LEGISLAZIONE ED ATTUALIT� 259 
cessario per fornire alla collettivit� servizi di trasporto �sufficienti� (50), e 
prevedendo in tal caso una compensazione economica a favore delle imprese 
erogatrici (51). Tuttavia, mancava nel regolamento in parola una disciplina 
chiara degli strumenti mediante i quali le amministrazioni potessero imporre 
tali obblighi di servizio pubblico e - conseguentemente - riconoscere alle imprese 
le compensazioni economiche (52). 
Per ovviare a tale mancanza, il regolamento in esame veniva emendato 
dal reg. (CEE) n. 1893/1991, a tenore del quale si prevedeva la possibilit� - 
per le amministrazioni pubbliche - di concludere contratti di servizio pubblico 
con le imprese di trasporto, al fine di �[�] garantire servizi di trasporto sufficienti 
tenendo conto segnatamente dei fattori sociali, ambientali e di assetto 
del territorio o per offrire particolari condizioni tariffarie a favore di determinate 
categorie di passeggeri [�]� (53). Il predetto regolamento, inoltre, 
conteneva una prima disciplina sul contenuto del contratto di servizio, la quale 
- tuttavia - appariva nel complesso alquanto scarna (54). 
Una compiuta sistemazione della materia si � avuta con l�emanazione del 
regolamento (CE) n. 1370/2007 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 
23 ottobre 2007, relativo ai servizi pubblici di trasporto di passeggeri su strada 
e per ferrovia, che ha abrogato il precedente reg. (CEE) n. 1191/1969. Ai sensi 
dell�art. 3 del reg. (CE) n. 1370/2007, l�Amministrazione che intende concedere 
al gestore del servizio di trasporto, scelto mediante procedura concorrenziale, 
�[�] un diritto di esclusiva e/o una compensazione di qualsivoglia 
natura a fronte dell�assolvimento di obblighi di servizio pubblico deve farlo 
nell�ambito di un contratto di servizio pubblico�. Come emerge dal testo citato, 
nelle situazioni previste dalla norma il regolamento in esame rende obbligatoria 
l�adozione del contratto di servizio. 
Il regolamento in parola, inoltre, fornisce una precisa definizione del contratto 
di servizio pubblico, definito dall�art. 2, lett. i) come �[�] uno o pi� 
atti giuridicamente vincolanti che formalizzano l�accordo tra una autorit� 
competente e un operatore di servizio pubblico mediante il quale all�operatore 
stesso � affidata la gestione e la fornitura dei servizi di trasporto pubblico di 
passeggeri soggetti agli obblighi di servizio pubblico [�]�. 
L�art. 4 del regolamento in esame detta la disciplina del contenuto obbli- 
(50) In questi termini, C. INGRATOCI, Sulla natura giuridica del contratto di servizio pubblico nel 
settore dei trasporti, cit., 962. 
(51) Regolamento (CEE) n. 1191/1969, art. 14, comma 2. 
(52) In questi termini, A. MOZZATI, Il contratto di servizio nell�ordinamento comunitario, cit., 
733. 
(53) In questi termini, ancora, A. MOZZATI, Il contratto di servizio nell�ordinamento comunitario, 
cit., 733. 
(54) Cos�, M.P. GENESIN, Sulla natura giuridica del contratto di servizio nel settore dei servizi 
pubblici locali di rilevanza economica, cit., 3086.
260 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2016 
gatorio dei contratti di servizio pubblico e della durata degli stessi. A tenore 
del par. 1, dell�art. 4, i �[�] contratti di servizio pubblico [�]: 
a) definiscono con chiarezza gli obblighi di servizio pubblico che l�operatore 
del servizio pubblico deve assolvere e le zone geografiche interessate; 
b) stabiliscono in anticipo, in modo obiettivo e trasparente: i) i parametri 
in base ai quali deve essere calcolata l�eventuale compensazione; e ii) la natura 
e la portata degli eventuali diritti di esclusiva concessi; in modo da impedire 
una compensazione eccessiva [�]; 
c) definiscono le modalit� di ripartizione dei costi connessi alla fornitura 
di servizi. Tali costi possono comprendere, in particolare, le spese per il personale, 
per l�energia, gli oneri per le infrastrutture, la manutenzione e la riparazione 
dei veicoli adibiti al trasporto pubblico, del materiale rotabile e 
delle installazioni necessarie per l�esercizio dei servizi di trasporto di passeggeri, 
i costi fissi e un rendimento adeguato del capitale. 
Infine, i contratti di servizio �[�] definiscono le modalit� di ripartizione 
dei ricavi derivanti dalla vendita dei titoli di viaggio che possono essere trattenuti 
dall�operatore del servizio pubblico, riversati all�autorit� competente 
o ripartiti fra di loro�. 
I successivi paragrafi 3 e 4 della norma in commento riguardano invece la 
durata dei contratti di servizio pubblico, i quali �[�] sono conclusi per una 
durata determinata non superiore a dieci anni per i servizi di trasporto con 
autobus e a 15 anni per i servizi di trasporto di passeggeri per ferrovia o altri 
modi di trasporto su rotaia. La durata dei contratti di servizio pubblico relativi 
a pi� modi di trasporto �, al massimo, di 15 anni se i trasporti per ferrovia o 
altri modi di trasporto su rotaia rappresentano oltre il 50% del valore dei servizi 
di cui trattasi�. Tuttavia, la durata del contratto pu� essere prorogata sino 
al massimo del 50% qualora ci� sia giustificato dai costi di erogazione del servizio 
nelle Regioni ultra-periferiche, ovvero dalle modalit� di ammortamento 
dei beni; in quest�ultimo caso, inoltre, se gli investimenti si presentano come 
eccezionali e se il contratto � stato aggiudicato mediante gara ad evidenza pubblica, 
la durata pu� essere anche superiore a quella risultante dalla proroga, 
purch� l�Autorit� compente trasmetta alla Commissione - entro un anno dalla 
stipula - il contratto di servizio unitamente agli elementi che ne giustificano la 
durata superiore (55). Come osservato da autorevole dottrina, �[�] la trasmissione 
del contratto alla Commissione consente di sorvolare sui dubbi interpretativi 
che potrebbero sorgere in merito alla indeterminatezza del concetto di 
eccezionalit� previsto, dalla norma, in relazione all�investimento sostenuto dall�operatore 
di servizio pubblico, nonch� in relazione alla indefinita quantificazione 
della �durata superiore� ascrivibile al contratto medesimo� (56). 
(55) In questi termini, A. CABIANCA, Il trasporto pubblico locale alla difficile ricerca di un �centro 
di gravit��, tra disciplina di settore, servizi pubblici locali e normativa comunitaria, cit., 57.
LEGISLAZIONE ED ATTUALIT� 261 
Il regolamento (CE) n. 1370/2007 pone una disciplina della durata del 
contratto di servizio pubblico in evidente contrasto rispetto a quanto disposto 
dall�art. 18, comma 1, del d.lgs. n. 422/1997, il quale fissa un termine massimo 
generale di nove anni, e un termine minimo di sei anni (rinnovabili di altri sei) 
per i servizi di trasporto pubblico ferroviario. Come rilevato in dottrina, e conformemente 
alla giurisprudenza comunitaria e costituzionale in materia (57), 
in questi casi deve farsi applicazione del criterio generale di risoluzione delle 
antinomie tra norme comunitarie immediatamente applicabili e norme interne: 
in altri termini, si deve procedere alla non applicazione delle seconde in favore 
delle prime (58). Dunque, nel caso di specie, le Autorit� competenti all�affidamento 
dei contratti di servizio pubblico dovranno applicare l�art. 4 del regolamento 
(CE) n. 1370/2007, il quale, come detto, prevede una durata 
massima di dieci anni per i servizi prestati mediante autobus, e di quindici 
anni per i servizi su rotaia. 
3.2. Il contratto di servizio nell�ordinamento italiano. 
Nell�ordinamento interno, il contratto di servizio � stato introdotto per la 
prima volta, con riferimento ai servizi pubblici locali - e, segnatamente, ai servizi 
di trasporto - proprio dal decreto legislativo 19 novembre 1997, n. 422 
(59). Successivamente, tale istituto � stato esteso al settore della distribuzione 
del gas naturale, ai sensi del decreto legislativo 23 maggio 2000, n. 164, fino 
alla generale estensione all�intero universo dei servizi pubblici locali avvenuta 
ad opera dell�art. 35 della legge n. 448/2001 (60). 
Ai sensi dell�art. 18, comma 1 del d.lgs. n. 422/1997, �L�esercizio dei servizi 
di trasporto pubblico regionale e locale, con qualsiasi modalit� effettuati e in 
qualsiasi forma affidati, � regolato, a norma dell�articolo 19, mediante contratti 
di servizio [�]�. Il decreto in esame ha dunque previsto il contratto di servizio 
quale strumento di generale applicazione - nonch� obbligatorio - per regolare 
l�esercizio dei servizi di trasporto pubblico regionale e locale (61). Sull�obbligatoriet� 
del contratto di servizio si � espressa in passato la giurisprudenza am- 
(56) A. CLARONI, Le regole di accesso al mercato dei servizi di trasporto pubblico locale, cit., 
222. 
(57) Si vedano, in particolare, Corte di giustizia CE, sentenza 9 marzo 1978, causa C-106/77 (c.d. 
Simmenthal) in www.giurcost.org, e Corte costituzionale, sentenza 5 giugno 1984, n. 170 (c.d. Granital) 
in www.cortecostituzionale.it. 
(58) Cos�, ancora, A. CABIANCA, Il trasporto pubblico locale alla difficile ricerca di un �centro 
di gravit��, tra disciplina di settore, servizi pubblici locali e normativa comunitaria, cit., 62-63. 
(59) In questi termini, A. CLARONI, Il trasporto pubblico locale. Funzione sociale e processi di 
riforma del settore, cit., 97, che richiama G. PIPERATA, Tipicit� e autonomia nei servizi pubblici locali, 
Giuffr�, Milano, 2005, 321-322. 
(60) Cos�, M.P. GENESIN, Sulla natura giuridica del contratto di servizio nel settore dei servizi 
pubblici locali di rilevanza economica, cit., 3088. 
(61) Cos�, ancora, M.P. GENESIN, Sulla natura giuridica del contratto di servizio nel settore dei 
servizi pubblici locali di rilevanza economica, cit., 3088.
262 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2016 
ministrativa, e in particolare il TAR Molise, con la sentenza 11 aprile 2002, n. 
303, secondo cui deve ritenersi illegittima �[�] l�autorizzazione di un servizio 
di autolinea il cui esercizio non � stato regolato da un contratto di servizio�. 
Di notevole importanza � la previsione del secondo comma dell�art. 19, a tenore 
del quale viene sancita la nullit� dei contratti di servizio pubblico per i quali 
non � assicurata, al momento della loro stipula, la corrispondenza tra gli importi 
dovuti dall�Ente pubblico all�impresa di trasporto per le prestazioni oggetto del 
contratto e le risorse effettivamente disponibili. Tali importi, inoltre, ai sensi del 
quarto comma della norma citata, �[�] possono essere soggetti a revisione annuale 
con modalit� determinate nel contratto stesso allo scopo di incentivare miglioramenti 
di efficienza [�] in misura non maggiore al tasso programmato di 
inflazione, salvo l�eventuale recupero delle differenze in caso di rilevante scostamento 
dal tasso effettivo di inflazione, a parit� di offerta di trasporto�. 
Sul piano dell�incremento dell�efficienza nel settore dei trasporti, il quinto 
comma dell�art. 19 stabilisce che i contratti di servizio devono avere �[�] caratteristiche 
di certezza finanziaria e copertura di bilancio [e devono] prevedere 
un progressivo incremento del rapporto tra ricavi da traffico e costi 
operativi, rapporto che, al netto dei costi di infrastruttura, dovr� essere pari 
almeno allo 0,35 a partire dal 1 gennaio 2000�. 
Infine, per quanto riguarda la durata dei contratti di servizio pubblico, 
l�art. 18, comma 1 del d.lgs. n. 422/1997 fissa una termine massimo generale 
di nove anni. La medesima norma prevede tuttavia un�eccezione per i contratti 
relativi ai servizi di trasporto pubblico ferroviario, che al fine di garantire l�efficace 
pianificazione del servizio, degli investimenti e del personale, devono 
avere una durata minima non inferiore a sei anni rinnovabili di altri sei. Tuttavia, 
come si � gi� argomentato, le disposizioni sulla durata - e non solo - 
sono ormai oggetto di disapplicazione in favore delle norme contenute nel regolamento 
(CE) n. 1370/2007. 
3.3. La natura giuridica del contratto di servizio e le tipologie applicabili al 
settore del trasporto pubblico locale. 
Per quanto riguarda la natura giuridica del contratto di servizio pubblico, 
sull�argomento si � autorevolmente espressa la giurisprudenza amministrativa 
con la gi� citata sentenza del TAR Piemonte del 10 giugno 2010, n. 2750 (62), 
che ha esaminato la questione facendo un confronto tra le tesi elaborate in proposito 
dalla dottrina, ossia la tesi privatistica e quella pubblicistica. 
Dopo aver ricondotto il contratto di servizio nell�ambito del diritto pub- 
(62) Sulla sentenza TAR Piemonte, Sez. I, 10 giugno 2010, n. 2750, si vedano le gi� citate note 
di M.P. GENESIN, Sulla natura giuridica del contratto di servizio nel settore dei servizi pubblici locali 
di rilevanza economica, cit., 3081 ss.; e di C. INGRATOCI, Sulla natura giuridica del contratto di servizio 
pubblico nel settore dei trasporti, cit., 960 ss.
LEGISLAZIONE ED ATTUALIT� 263 
blico, qualificandolo quale contratto ad oggetto pubblico - cio� funzionale 
all�esercizio di un�attivit� pubblica (63) - la sentenza citata ha individuato 
nell�accordo amministrativo di cui all�art. 11 della legge 7 agosto 1990, n. 
241, la figura di riferimento che consente tale qualificazione pubblicistica (64). 
In particolare, il contratto di servizio va ricondotto alla categoria degli accordi 
sostitutivi necessari, rappresentando l�unica modalit� tipizzata di esercizio del 
potere amministrativo, per la costituzione-regolazione del rapporto tra gestore 
e Amministrazione, e non un�alternativa al provvedimento finale (65). 
Si ritiene utile riportare qui le parole del Collegio, secondo cui i contratti 
di servizio pubblico �[�] non sono, in realt�, negozi di diritto privato, ma cc.dd. 
contratti ad oggetto pubblico; in particolare, essi ricadrebbero nella categoria 
degli accordi sostitutivi di provvedimento, in quanto sostitutivi del provvedimento 
concessorio, precedentemente sussistente e regolante i rapporti gestore- 
Amministrazione; tali accordi, quindi, ricadono nella giurisdizione esclusiva 
del G.A. ai sensi dell�art. 11 della l. 241 del 1990. La particolarit� degli accordi 
in esame � quella di appartenere alla species dei cc.dd. �accordi necessari�, 
species tipica del settore dei servizi pubblici locali, nella quale � il legislatore 
stesso ad imporre la conclusione di un accordo in luogo del provvedimento�. 
In conclusione, non resta che soffermarsi sulle tipologie di contratto di 
servizio che trovano applicazione nel settore dei servizi pubblici di trasporto. 
La dottrina individua generalmente due tipologie contrattuali, il contratto 
di servizio gross cost e il contratto di servizio net cost, che si differenziano in 
relazione a due parametri fondamentali: il rischio industriale ed il rischio commerciale 
(66). Il rischio industriale attiene all�eventualit� che i costi di esercizio 
eccedano quelli previsti, mentre il rischio commerciale � connesso alla possibilit� 
che i ricavi tariffari effettivi siano inferiori a quelli preventivati (67). 
La tipologia di contratto gross cost addossa al soggetto gestore-affidatario 
il solo rischio industriale, permanendo quello commerciale in capo all�Amministrazione 
affidante, la quale dovr� erogare direttamente al gestore un corrispettivo 
- pattuito ex ante e indicato nel contratto - a copertura integrale degli 
oneri di servizio (68). Come � stato attentamente osservato, la tipologia in questione 
corrisponderebbe alla nozione comunitaria di appalto (69). 
Il contratto net cost, invece, addossa al soggetto gestore-affidatario, che 
(63) Cos�, A. CLARONI, Il trasporto pubblico locale. Funzione sociale e processi di riforma del 
settore, cit., 99. 
(64) In questi termini, M.P. GENESIN, Sulla natura giuridica del contratto di servizio nel settore 
dei servizi pubblici locali di rilevanza economica, cit., 3100. 
(65) Cos�, ancora, M.P. GENESIN, Sulla natura giuridica del contratto di servizio nel settore dei 
servizi pubblici locali di rilevanza economica, cit., 3101. 
(66) In questi termini, A. CLARONI, Il trasporto pubblico locale. Funzione sociale e processi di 
ri-forma del settore, cit., 103. 
(67) Cos�, ancora, A. CLARONI, Il trasporto pubblico locale. Funzione sociale e processi di riforma 
del settore, cit., 103-104.
264 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2016 
percepisce i proventi tariffari, sia il rischio industriale che quello commerciale, 
prevedendo che l�Amministrazione affidante eroghi al gestore un corrispettivo 
- pattuito ex ante e indicato nel contratto - a copertura della differenza tra i 
costi di esercizio e i ricavi di traffico previsti (70). Eminente dottrina ha tuttavia 
osservato come la tipologia di contratto net cost corrisponda all�istituto 
della �concessione di servizi�, in base al quale la controprestazione a favore 
del concessionario-gestore consiste unicamente nel diritto di gestire e sfruttare 
economicamente il servizio - in questo caso di trasporto pubblico regionale e 
locale - percependo i relativi proventi tariffari, con l�aggiunta eventuale di un 
prezzo pattuito con l�Amministrazione qualora al concessionario venga imposto 
di praticare prezzi inferiori a quelli ordinari di mercato, ovvero qualora 
si tratti di assicurare determinati standard di qualit� del servizio stesso (71). 
� evidente come un contratto gross cost comporti il rischio intrinseco che 
il soggetto gestore-affidatario ponga in essere una politica gestionale mirata 
al mero contenimento dei costi, senza stimolarlo ad un incremento della qualit� 
e dell�efficienza del servizio, e di conseguenza delle entrate tariffarie (72). Per 
queste ragioni sono state elaborate nella prassi una serie di fattispecie contrattuali 
intermedie alle due principali, tra cui il c.d. contratto gross cost incentivante. 
Si tratta di una tipologia di contratto di servizio che �[�] al normale 
regime contrattuale del gross cost [�] associa una serie di clausole (c.d. di 
bonus/malus) strettamente connesse ai ricavi da traffico. In tale contesto, attraverso 
l�individuazione di parametri incentivanti, al raggiungimento (o 
meno) dei quali pu� corrispondere il percepimento di un premio (che, generalmente, 
si traduce nel percepimento di parte dei ricavi da traffico) ovvero, 
in caso contrario, l�applicazioni di penali, l�affidatario � stimolato ad offrire 
all�utenza un servizio pi� efficiente ed efficace e, conseguentemente, ad incrementare 
i ricavi� (73). Mediante tale �correttivo� apportato al contratto 
gross cost, le Amministrazioni affidanti cercano di annullare le potenziali conseguenze 
negative collegate a tale tipologia contrattuale, in modo da garantire 
alla collettivit� un servizio efficace ed efficiente. 
(68) Cos�, A. CLARONI, Il trasporto pubblico locale. Funzione sociale e processi di riforma del 
settore, cit., 104. 
(69) Cos�, A. NICOTERA, L�affidamento in house del servizio di trasporto pubblico locale, in A. 
CLARONI, La disciplina del trasporto pubblico locale: recenti sviluppi e prospettive, in Quaderni del 
Dipartimento di Scienze Giuridiche dell�Universit� degli Studi di Trento, 96/2011, 101. 
(70) In questi termini, A. CLARONI, La regolamentazione del trasporto pubblico locale in Italia, 
in S. ZUNARELLI (a cura di), Il diritto del mercato del trasporto, in F. GALGANO (a cura di), Trattato di 
diritto commerciale e di diritto pubblico dell�economia, Vol. 49, Cedam, Padova, 2008, 171. 
(71) Cos�, S. BUSTI, Profilo storico della disciplina del trasporto pubblico locale, cit., 46. 
(72) Cos�, A. CLARONI, Il trasporto pubblico locale. Funzione sociale e processi di riforma del 
settore, cit., 104. 
(73) A. CLARONI, Le regole di accesso al mercato dei servizi di trasporto pubblico locale, cit., 
213.
CONTRIBUTI DI DOTTRINA 
Profili problematici della tutela processuale in tema 
di pensioni ordinarie dinanzi alla Corte dei Conti 
Adolfo Mutarelli* 
SOMMARIO: 1. Cenni minimi intorno alla giurisdizione pensionistica della Corte dei Conti 
dei pubblici dipendenti (privatizzati e non) - 2. Evoluzione del processo pensionistico - 3. 
Prescrizione ed incompetenza territoriale - 4. Termini di proposizione dell�appello - 5. Brevi 
considerazioni conclusive. 
1. Cenni minimi intorno alla giurisdizione pensionistica della Corte dei Conti 
dei pubblici dipendenti (privatizzati e non). 
In materia di previdenza del lavoro pubblico (1) non si riscontra l�identit� 
tra giudice del rapporto e giudice della sicurezza sociale che contraddistingue 
il rapporto di lavoro privato. A sua volta nello stesso ambito del lavoro pubblico 
la giurisdizione sul rapporto � ripartita tra giudice ordinario per i rapporti 
di lavoro pubblico privatizzati e giurisdizione amministrativa esclusiva per i 
rapporti relativi alle c.d. categorie escluse come individuate nell�art. 1, comma 
4, d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165 (2). 
Tale diversificato regime si ricompone in unit� per le controversie di previdenza 
obbligatorie che, per i lavoratori privatizzati e non, rientrano nella 
giurisdizione esclusiva della Corte dei Conti in abito di giudice del rapporto 
(*) Gi� Avvocato dello Stato. 
(1) L�ambito della giurisdizione della Corte dei Conti in subiecta materia abbraccia sia la materia 
delle pensioni ordinarie (civili e militari) che le pensioni di guerra. In proposito � agevole il rinvio a F. 
GARRI - G. DAMMICO - A. LUPI - P. DELLA VENTURA - L. VENTURINI, I giudizi innanzi alla Corte dei 
conti, Giuffr�, Milano, 2007 passim. 
(2) Per un�accurata analisi delle categorie escluse � agevole il rinvio a M. GERARDO, Controversie 
escluse dalla cognizione del giudice ordinario in funzione di giudice del lavoro, in Il Processo nelle 
controversie di lavoro pubblico, in M. GERARDO - A. MUTARELLI, Giuffr�, Milano, 2012, p. 69 ss.
266 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2016 
pensionistico, ricomprendendosi in tali controversie, a norma degli artt. 13 e 
62 del r.d. 12 luglio 1934, n. 1214, tutte quelle concernenti la sussistenza del 
diritto, la misura e la decorrenza della pensione dei pubblici dipendenti, comprese 
quelle nelle quali si alleghi, a fondamento della pretesa, l'inadempimento 
o l'inesatto adempimento della prestazione pensionistica da parte 
dell'ente obbligato, ancorch� non sia in contestazione il diritto al trattamento 
di quiescenza nelle sue varie componenti e la legittimit� dei provvedimenti 
che tale diritto attribuiscono e ne determinano l'importo, e comprese quelle 
di risarcimento danni per l'inadempimento delle suddette obbligazioni (3) 
nonch� le azioni volte al recupero di ratei di pensione gi� erogati (4) e le 
azioni di rivalsa intraprese dal datore di lavoro nei confronti del lavoratore 
fruitore di un trattamento pensionistico superiore al dovuto determinato da 
errate comunicazioni effettuate dal datore di lavoro all�ente erogatore del trattamento 
previdenziale (5). 
Appare necessario avvertire che, per le pensioni ordinarie, l�ambito della 
giurisdizione pensionistica della Corte dei Conti non abbraccia solo le controversie 
concernenti pensioni a carico totale o parziale dello Stato (art. 62, 
r.d. 12 luglio 1034, n. 1214), e delle Regioni, ma anche quelle relative agli 
iscritti alle diverse Casse e Istituti di previdenza confluiti nell�INPDAP, a sua 
volta confluita nell�INPS (art. 21, comma 1, d.l. 6 dicembre 2011, n. 201, convertito 
dalla l. 22 dicembre 2011, n. 214, c.d. riforma Monti-Fornero) e infine 
tutti i rapporti pensionistici in cui lo Stato concorra con altri enti (pubblici o 
privati) posti in relazione di strumentalit�. La competenza della Corte � stata 
confermata anche per le controversie pensionistiche di ex dipendenti pubblici 
sottoposti al regime di contrattualizzazione a seguito della privatizzazione (6) 
e anche nei confronti di lavoratori di enti trasformati in societ� private allorch� 
il trattamento pensionistico sia alimentato dallo Stato (7). Sicch�, � evidente 
(3) In tal senso da ultimo Cass., Sez. Un., ord. 27 febbraio 2013, n. 4853. Il Consiglio di Stato, in 
pi� occasioni, ha affermato che rientra nella giurisdizione della Corte dei Conti ogni contestazione in 
ordine alla legittimit� o meno del discusso recupero di ratei di pensione e che la giurisdizione esclusiva 
in materia di pensioni dei pubblici dipendenti si estende in via orizzontale anche alle controversie relative 
ad atti di recupero di ratei di pensione erogati e non dovuti, venendo in discussione l�an o il quantum 
del trattamento pensionistico (cfr. Cons. St., Sez. IV 25, giugno 2010, n. 4108; Sez. V, 23 novembre 
2010, n. 8156; in tema di demarcazione tra la giurisdizione amministrativa e quella contabile cfr. in particolare, 
Cons. St., Sez. VI, 21 dicembre 2012, n. 6641 e Sez. IV, 15 febbraio 2013, n. 923). 
(4) Cass., 10 giugno 2004, n. 11025. 
(5) Cass., Sez. Un., 10 marzo 2015, n. 11769. 
(6) Corte Cost., 10 maggio 2002, n. 185; Cass., Sez. Un., 25 giugno 2002, n. 9285. 
(7) Cass., Sez. Un., 10 febbraio 2007, n. 221 secondo cui <<la controversia proposta da dipendenti 
in servizio e da lavoratori gi� pensionati della spa Ferrovie dello Stato, in tema di benefici previdenziali 
in favore dei lavoratori esposti all'amianto ex art. 13 della legge n. 257 del 1992, � devoluta alla giurisdizione 
della Corte dei conti, in quanto la devoluzione alla giurisdizione contabile della materia relativa 
al trattamento di quiescenza dei dipendenti della azienda autonoma delle Ferrovie dello Stato, stabilita 
dagli artt. 13 e 62 del r.d. n. 1214 del 1934, � rimasta immutata nonostante l'entrata in vigore della legge
CONTRIBUTI DI DOTTRINA 267 
che il c.d. �blocco di materia� non � stato perseguito con riguardo al soggetto 
(attivo o passivo) del rapporto ovvero alla natura giuridica del rapporto (8) 
stesso, ma con esclusivo riferimento al dato fattuale che il trattamento erogato 
sia a totale o parziale carico del bilancio pubblico. 
2. Evoluzione del processo pensionistico. 
Alla delineata continuit� della giurisdizione nella materia pensionistica 
ha corrisposto viceversa la progressiva evoluzione del relativo processo che, 
originariamente modellato sul tipo del ricorso ad impulso di ufficio, ha finito 
con l�assumere nel tempo la fisionomia propria del processo di parte (9) a carattere 
dispositivo, con conseguente ineludibile applicabilit� dei principi inseriti 
nell�art. 111 Cost. dalla l. cost. 23 dicembre 1999, n. 2. L�originario 
impianto del disegno normativo alla base del processo pensionistico ha via 
via perduto il carattere di corpus compiuto ed unitario, attraverso interventi 
normativi che hanno realizzato tale evoluzione e che di fatto hanno scandito 
il passaggio verso un rito composito posto a presidio della sicurezza sociale 
piuttosto che a presidio della sicurezza della spesa previdenziale. 
Un primo intervento di riforma dell�assetto originario del processo in 
esame - storicamente disciplinato dal regolamento di procedura per i giudizi 
dinanzi alla Corte dei Conti (r.d. 13 agosto 1933, n. 1038 (10)) e dal Testo 
Unico delle leggi sulla Corte dei Conti (r.d. 12 luglio 1934, n. 1214) - � stato 
realizzato con il d.l. 15 novembre 1993, n. 453, convertito dalla l. 14 gennaio 
1994, n. 19. Quale risposta all�enorme arretrato (e all�inefficienza della giustizia 
pensionistica al tempo accentrata solo presso le Sezioni Centrali della 
Corte dei Conti) la riforma istitu� le sezioni regionali fissando in tre i componenti 
del collegio giudicante, disponendo altres� l�abrogazione delle norme 
n. 210 del 1985 istitutiva dell'Ente Ferrovie dello Stato ed anche dopo la trasformazione dell'ente in societ� 
per azioni. Ci� in quanto il trattamento pensionistico dei ferrovieri continua ad essere alimentato 
parzialmente dallo Stato, che, ai sensi dell'art. 210, ultimo comma, del d.P.R. n. 1092 del 1973, partecipa 
alla copertura del fabbisogno con contributo pari, annualmente, alla differenza tra le spese e le entrate 
del fondo stesso, senza che il sistema pensionistico dei ferrovieri sia stato inciso dal trasferimento delle 
posizioni assicurative del personale delle Ferrovie dello Stato dal soppresso Fondo pensioni al Fondo 
speciale costituito presso l�INPS ai sensi dell'art. 43 della legge n. 488 del 1999>>. Da ultimo in tal 
senso Cass., Sez. Un., Ord. 27 febbraio 2013, n. 4853. Per il personale delle Poste Italiane s.p.a. C. conti, 
Sez. App. Sicilia, 1 marzo 2002, n. 27/A in Riv. Corte conti, fasc. 2, 2002, p. 244. 
(8) In giurisprudenza si � affermato che il principio secondo cui l'attribuzione al giudice ordinario 
della giurisdizione in tema di rapporto di lavoro, non seguita dal mutamento della disciplina pubblicistica 
previdenziale e pensionistica, non incide sulla preesistente giurisdizione della Corte dei conti che resta 
ferma. In tal senso Corte Cost., 10 maggio 2002, n. 185, Cass., Sez. Un. 25 giugno 2002, n. 9285; C. 
conti, Sez. Riun., 9 agosto 2001, n. 10973. 
(9) P. VIRGA, La tutela giurisdizionale nei confronti della Pubblica Amministrazione, IV ed., Giuffr�, 
Milano, 2003, p. 278. 
(10) C. Cost., 12 aprile 1973, n. 41 ha implicitamente riconosciuto valore di legge al r.d. 13 agosto 
1933, n. 1038, emanato in attuazione della delega contenuta nell'art. 32 della legge 3 aprile 1933, n. 
255.
268 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2016 
che prevedevano le conclusioni e l�intervento del procuratore generale (11) e 
la conseguente abolizione delle funzioni istruttorie del pubblico ministero (12), 
imprimendo per tal via la svolta in senso dispositivo del processo pensionistico 
quale giudizio di parti in contraddittorio ancora prima che tali principi trovassero 
custodia costituzionale nell�art. 111 Cost. L�art. 6, comma 7, l. n. 19/1994 
modellava inoltre il contenuto del ricorso introduttivo in linea con quanto previsto 
per il processo del lavoro dall�art. 414 c.p.c., (forse) inavvertitamente 
ponendo le premesse della manovra di avvicinamento a tale processo che trover� 
compimento con la l. 21 luglio 2000, n. 205. 
Tale ultimo intervento normativo ha infatti poi introdotto (art. 5, comma 
1) la monocraticit� dell�organo giudicante (confermata poi anche per la fase 
cautelare dalla lett. a) dell�art. 42, comma 1, l. 19 giugno 2009, n. 69) prevedendo 
altres� espressamente che <<innanzi al giudice unico delle pensioni si 
applicano gli artt. 420, 421, 429, 430 e 431 del codice di procedura civile>> 
(art. 5, comma 2). Tale ultima innovazione ha evidentemente comportato una 
pi� forte accentuazione del carattere dispositivo del processo pensionistico, 
quale processo di parti, secondo il modello tipico del processo del lavoro. 
L�evoluzione cos� delineata non deve per� far ritenere che tale rinvio automatico 
alle norme sul processo del lavoro (non filtrato, cio�, da un esame di 
compatibilit� e non imposto dall�esistenza di eventuali lacune) consenta ex se 
il travaso di altre norme di tale processo non espressamente richiamate. A una 
tale conclusione osta non solo la considerazione di carattere logico secondo 
cui ubi lex voluit dixit, ubi noluit tacuit quanto piuttosto l�esistenza dell�art. 
26, r.d. 13 agosto 1933, n. 1038 per il quale <<nei procedimenti contenziosi 
di competenza della Corte dei Conti si osservano le norme e i termini della 
procedura civile in quanto siano applicabili e non siano modificati dalle disposizioni 
del presente regolamento>>. 
Tale rinvio, come quello contenuto nell�art. 208 del coevo Testo Unico sulle 
acque pubbliche (r.d. 11 dicembre 1933, n. 1775), � oramai ritenuto pacificamente 
di carattere dinamico, riferito cio� al codice di procedura civile vigente e 
non all�abrogato codice del 1865 (13). Forse pi� correttamente pu� ritenersi che 
(11) � corretta l�osservazione che la partecipazione del Procuratore Generale non rispondeva alle 
esigenze privatistiche di una parte processuale bens� ad esigenze pubblicistiche di controllo della spesa 
previdenziale per garantirne la coerenza con le esigenze della finanza statale, in tal senso M. ANDREIS, 
Il giudice unico delle pensioni, in Il nuovo processo amministrativo dopo la la l. 21 luglio 2005, n. 205, 
Giuffr�, Milano, 2001, p. 382. 
(12) F. ROSELLI, Le controversie in materia di previdenza e assistenza sociale, Utet, Torino, 1995, 
p. 302 e ss. 
(13) Appare corretto rammentare che sino a met� degli anni 60 ai rinvii della specie era stato riconosciuto 
carattere statico (Cass., 25 maggio 1965, n. 1029, in Foro it., 1965, I, c. 1921) con orientamento 
decisamente poi mutato negli anni, in particolare per quanto concerne Il Tribunale Superiore delle 
Acque Pubbliche (Cass., Sez. Un., 29 ottobre 1981, n. 5693, in Foro it., 1982, I, c. 75 con nota di F. PIETROSANTI; 
Trib. Sup. acque pubb., 14 luglio 1979, n. 21, in Giust. civ., 1979, I, p. 1791) ed ancora di re-
CONTRIBUTI DI DOTTRINA 269 
la ricordata previsione dell�art. 26, pi� che un rinvio in senso tecnico, contiene 
l�enunciazione del principio di applicabilit� delle norme del codice di procedura 
civile come corpus normativo speciale rispetto alle norme che presiedono al processo 
dinanzi alla Corte dei Conti. Legge generale che, ovviamente, non pu� che 
essere quella in vigore al momento in cui il singolo procedimento si svolge (14). 
In questo senso deve pertanto condividersi che il rinvio di cui all�art. 26 
citato va inteso come affermazione positiva della collocazione del giudizio 
contabile nell�ambito dei principi e delle regole dell�ordinario giudizio civile, 
salve le particolari disposizioni dettate in funzione della particolare specificit� 
della materia oggetto del processo pensionistico (15). 
Entrambi i richiamati rinvii (art. 26, r.d. n. 1038/1933 e art. 208, r.d. n. 
1775/1933) subordinano l�applicabilit� delle norme del processo civile all�identico 
presupposto dell�inesistenza di una specifica disposizione all�interno 
del relativo complesso normativo con il comune limite della c.d. 
compatibilit� applicativa. Trattasi pertanto non di applicazione diretta dei 
principi propri del processo civile quale diritto processuale comune e trasversale, 
quanto piuttosto d�integrazione analogica da compiere con avvertita cautela 
e che pu� ritenersi consentita solo laddove le norme oggetto 
dell�integrazione non abbiano struttura e funzione tali da farle apparire dettate 
con esclusivo riferimento all�ordinario processo civile ed applicabili sempre 
che non contrastino con i principi propri del processo celebrato dinanzi alla 
Corte dei Conti. Solo nella riferita prospettiva pu� ritenersi feconda l�osmosi 
tra processo civile e processo dinanzi alla Corte dei Conti che a sua volta, 
come il processo civile, conosce al proprio interno una pluralit� di riti retti 
da principi propri e da principi tra loro comuni. 
cente per la Corte dei Conti (C. conti, Sez. Giur. Piemonte, 24 settembre 2014, n. 113). Con la richiamata 
sentenza 5693/1981, le Sezioni Unite evidenziarono come a rinvii della specie deve riconoscersi carattere 
dinamico in quanto in caso contrario �il sistema rischierebbe altrimenti di rimanere frantumato in una 
pluralit� di schemi gi� in s� deprecabile, e inoltre suscettibile di creare difficolt� applicative�. 
(14) Proprio per la natura dinamica del rinvio di cui all�art. 26, r.d. 1038/1933 la Corte dei Conti 
� giunta ad applicare alla misura del sequestro cautelare contabile il reclamo ex art. 669-terdecies c.p.c.: 
C. conti, Sez. Riun., 28 giugno 1994, n. 6/QM, in Riv. Corte conti, 1994, fasc. 4, p. 51, con soluzione 
poi ratificata con l�intervento della l. 205/2000 che al punto 1 dell�art. 5 ha previsto espressamente la 
reclamabilit� dinanzi al collegio dei provvedimenti cautelari emessi dal giudice unico. In prosieguo di 
tempo, in senso conforme ad una sollecitazione in tal senso avanzata (mi sia consentito il rinvio in proposito 
a A. MUTARELLI, Sull�applicabilit� dell�art. 669-terdecies c.p.c. al processo cautelare davanti al 
T.S.A.P., in Corr. Giur., 1997, p. 40 e ss), il carattere dinamico del rinvio al reclamo cautelare ha consentito 
che il reclamo cautelare conquistasse anche il processo amministrativo dinanzi al Tribunale Superiore 
delle Acque Pubbliche, quale giudice degli interessi legittimi in unico grado: Trib. Sup. acque 
pubb., 28 maggio 2001, in Foro it., 2002, I, c. 462, con nota di A. MUTARELLI, L�art. 669 terdecies c.p.c. 
conquista il processo amministrativo dinanzi al Tribunale Superiore delle acque pubbliche. Per analisi 
storica dell�evoluzione della tutela cautelare dinanzi al TSPA: G. MASTRANGELO, I Tribunali delle acque 
pubbliche, Ipsoa, Milano, 2009, p. 240 e ss. 
(15) M. RISTUCCIA, Applicabilit� dei principi del giusto processo al giudizio contabile, in Riv. 
Corte conti, 2000, fasc. 3, p. 200 e, in particolare, p. 202.
270 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2016 
La chiarezza degli obiettivi, come spesso avviene, non si traduce sol per 
questo in semplicit� del percorso integrativo, che nel caso di specie deve tener 
conto da un lato dei principi comuni dei riti celebrati dinanzi alla Corte dei 
Conti (16), dell�affinit� storica con la giurisdizione esclusiva dinanzi alla giustizia 
amministrativa (essendo entrambe nate a struttura impugnatoria) dall�altro 
del carattere non monolitico del processo civile e, particolarmente per 
quanto concerne il giudizio pensionistico, dell�esigenza di scegliere la fonte 
integrativa nel processo ordinario ovvero in quello del lavoro. Scelta, quest�ultima, 
apparentemente di elezione teorica ma che presenta significative 
quanto intuitive ricadute sul piano della concreta disciplina del processo. 
Il nodo da sciogliere dunque � costituito dall�interrogativo se il (pi� recente) 
rinvio ope legis a talune norme del processo del lavoro non abbia elevato 
proprio tale processo a fonte di integrazione analogica ai sensi dell�art. 
26, r.d. 1038/1933. Per evidenti motivi di economia del presente contributo si 
esamineranno nei successivi paragrafi solo i profili pi� controversi e le posizioni 
assunte al riguardo hinc et inde con riferimento a taluni specifici temi di 
maggior interesse e rilievo pratico per �l�utenza previdenziale�. 
3. Prescrizione e incompetenza territoriale. 
Un tema di particolare rilievo, su cui pu� dirsi che non si � raggiunta una 
soluzione pacificante, � l�individuazione del termine ultimo in cui deve (o 
meno) essere sollevata l�eccezione di prescrizione. Tale problematica, anche 
per il suo significativo rilievo economico, � divenuto un terreno di verifica (se 
non di scontro) alla luce del quale stabilire se esista o meno nel processo pensionistico 
un termine di decadenza per tale eccezione e, in tal caso, quale sia 
il termine concretamente applicabile. 
Secondo un primo orientamento sposato in un primo tempo dalle Sezioni 
Riunite della Corte dei Conti, l�eccezione di prescrizione doveva ritenersi soggetta 
al regime preclusivo dell�art. 416 c.p.c. in quanto al processo dinanzi 
alla Corte dei Conti andavano estese le norme del c.d. rito lavoro anche non 
richiamate nell�art. 5, l. 205/2000, a condizione che fosse configurabile un 
rapporto di strumentalit� necessaria tra le stesse (17). In chiave dichiaratamente 
sintonica venne in una successiva decisione, sempre a Sezioni Riunite, 
espressamente precisato che in virt� del rinvio dinamico dell�art. 26, r.d. 
1038/1933 doveva trovare applicazione l�art. 416, comma 2, c.p.c., anche se 
non richiamato dall�art. 5, l. 205/2000, in virt� del rapporto di complementariet� 
e strumentalit� con l�art. 420 c.p.c. (18). 
(16) Per una accurata disamina degli istituti del processo contabile tuttora applicabili al processo 
pensionistico si rinvia a M. SCIASCIA, Manuale di diritto processuale contabile, Giuffr�, Milano, 2012, 
pp. 892-894. 
(17) C. conti, Sez. Riun., 24 gennaio 2002, n. 2/QM, in Foro Amm. - Cons.Stato, 2002, p. 219, 
con nota di M. ARRIGUCCI.
CONTRIBUTI DI DOTTRINA 271 
Passaggio obbligato di tale orientamento � lo spostamento del baricentro 
del processo pensionistico verso il processo speciale del lavoro che, all�indomani 
del rinvio alle norme di tale processo da parte dell�art. 5, l. n. 
205/2000, viene ritenuto presentare maggiori profili di affinit� con tale rito 
piuttosto che con quello ordinario (19). � peraltro evidente come in tale contesto 
al rinvio dinamico dell�art. 26, r.d. n. 1038/1933, viene inevitabilmente 
assegnato un ruolo integrativo attraverso un processo, quello del lavoro, inesistente 
nel 1933, con cui tuttavia pu� dirsi che il processo pensionistico rivelasse 
delle similitudini strutturali ben prima del rinvio del ricordato art. 
5, l. n. 205/2000 (20). 
In prosieguo di tempo le Sezioni Riunite hanno rivisitato il proprio precedente 
(oramai) consolidato orientamento ed hanno affermato l�inapplicabilit� 
del termine preclusivo di cui all�art. 416 c.p.c. in quanto non richiamato 
dall�art. 5, l. 205/2000 (art. 12 delle preleggi c.c.), nonch� l�inapplicabilit� 
dell�art. 167 c.p.c. in quanto tale disposizione non sarebbe compatibile con la 
struttura del procedimento pensionistico e, quindi, non sussumibile in virt� 
del rinvio dinamico di cui all�art. 26, r.d. n. 1038/1933 (21). Sicch� il convenuto 
(rectius: la parte tenuta all�obbligazione previdenziale) sarebbe abilitato 
a proporre le eccezioni processuali e di merito non rilevabili d�ufficio anche 
con memoria depositata oltre i termini stabiliti nel decreto di fissazione di 
udienza ed anche all�udienza di discussione della causa (22), con facolt� altres� 
di modificare le eccezioni gi� proposte a prescindere dall�esistenza dei gravi 
motivi di cui all�art. 420 c.p.c. (23). Ci� evidentemente in quanto il rapporto 
di complementariet� necessaria che lega nel processo del lavoro l�art. 420 
c.p.c. all�art. 416 c.p.c. non impone di ritenere che tale complementariet� 
debba sussistere in modo indissolubile anche in un processo segnatamente diverso 
come quello pensionistico. 
Il predetto orientamento costituisce di fatto una trincea posta a difesa della 
spesa previdenziale consentendo una tutela della parte convenuta fortemente 
differenziata rispetto alla tutela offerta nel processo ordinario, del lavoro (e 
previdenziale). 
In proposito non convince l�iter argomentativo proposto nei delineati percorsi 
giurisprudenziali n�, tantomeno, la ritenuta applicabilit� dell�art. 416 c.p.c. 
(18) C. conti, Sez. Riun., 3 marzo 2004, n. 4/QM, in D. & G., 2004, 46, p. 77, con nota di A. BRIGUORI. 
(19) V. TENORE, La nuova Corte dei Conti (responsabilit�, pensione e controlli), Giuffr�, Milano, 
2013, p. 964. 
(20) Gi� prima della legge 205/2005 il rito dinanzi alla Corte dei Conti si caratterizzava per un 
potere sindacatorio attenuato nella ricerca delle prove, per la mancanza di un�articolazione del processo 
in fase istruttoria e fase decisoria; nell�impianto ordinario, gi� prima dell�introduzione del codice di rito 
del 1942, era altres� prevista la lettura del dispositivo. 
(21) C. conti, Sez. Riun., 21 febbraio 2008, n. 2/QM, in Riv. Corte conti, 2008, fasc. 1, p. 35. 
(22) C. conti, Sez. III App., 7 giugno 2007, n. 159/A; C. conti, Sez. II centr., 14 dicembre 2006, n. 472. 
(23) C. conti, Sez. I App., 9 novembre 2007, n. 413/A.
272 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2016 
quale espressione di un principio immanente all�ordinamento processualcivilistico 
secondo cui le eccezioni non rilevabili d�ufficio devono soggiacere, per 
ragioni di economia processuale, alla sanzione della loro decadenza (24). Cos� 
come non convince che la ritenuta inapplicabilit� dell�art. 416 c.p.c. passi per 
un ingiustificato depotenziamento del richiamo espresso all�art. 420 c.p.c. La 
problematica va, pertanto, analizzata portando l�indagine sul campo dell�esistenza 
delle norme concretamente applicabili e della loro compatibilit� (25). 
Deve in primo luogo osservarsi che in assenza dell�espresso richiamo dell�art. 
416 c.p.c. da parte dell�art. 5, l. n. 205/2000, appare virtuosa ma non convincente 
forzatura ritenerne l�applicabilit� derivata per complementariet� 
necessaria con l�art. 420 c.p.c. In realt� tale ultima disposizione, tesa evidentemente 
a mitigare il rigore dei termini preclusivi sanciti dall�art. 416 c.p.c., 
pi� che posta in rapporto di strumentalit� necessaria con l�art. 416 c.p.c. appare 
coerente con il principio di completezza degli atti introduttivi ed � assunta a 
presidio di esigenze di ordine pubblico attinenti al processo (quali i principi 
di concentrazione e di immediatezza in funzione di garanzia dello svolgimento 
del processo in tempi ragionevoli). In funzione cio� dell�attuazione di principi 
costituzionali oramai propri di ogni processo (art. 111 Cost.) e di tutela del 
cittadino nel processo. 
Del resto, da un lato, la modifica delle domande e delle eccezioni � subordinata 
all�esistenza di �gravi motivi� e alla �previa autorizzazione del giudice� 
(art. 420, comma 1 c.p.c.) e, dall�altro, l�eventuale violazione di proporre 
domande nuove � sanzionata con l�inammissibilit� rilevabile ex officio e deducibile 
per la prima volta anche in sede di legittimit� (26). Il rapporto di strumentalit� 
va pertanto pi� opportunamente colto tra i principi di tali norme 
piuttosto che tra le norme stesse. Deve d�altro canto valorizzarsi il rilievo che 
le norme del processo del lavoro richiamate dall�art. 5, l. n. 295/2000, attengono 
tutte alla fase di trattazione del giudizio lasciando inalterata la fase introduttiva 
e di costituzione delle parti in giudizio. 
Se il mancato richiamo dell�art. 416 c.p.c. ne esclude pertanto la applicabilit� 
automatica, non inibisce all�interprete di individuare, questa volta in 
virt� del rinvio dinamico dell�art. 26, r.d. n. 1038/1938, altre disposizioni coe- 
(24) In tal senso in giurisprudenza da ultimo, C. conti, Sez. Giur. Lazio, 18 luglio 2014, n. 596. 
Invero anche la dottrina che propone l�applicabilit� dell�art. 167 c.p.c. parte pi� dal presupposto della 
irretrattabile evoluzione dell�ordinamento processuale che dall�esame di compatibilit� di tale norma con 
il processo pensionistico (M. SCIASCIA, Manuale di diritto processuale contabile, Giuffr�, Milano, 2012, 
pp. 915-916; V. TENORE, La nuova Corte dei conti, cit., p. 960). 
(25) Per un�acuta analisi della nozione di �compatibilit�� sotto il profilo processuale: TOMMASEO, 
Variazione sulla clausola di compatibilit�, in Riv. dir. proc., 1993, p. 695 e ss. Quanto all�esame della 
problematica circa l�ammissibilit� della c.d. compatibilit� parziale consentita dall�art. 669-quartedecies 
c.p.c.: A. MUTARELLI, Processo cautelare e misure fiscali ex art. 26 l. 4/1929, in Corr. giur., 1994, p. 
1372. 
(26) Cass., Sez. lav., 5 luglio 2007, n. 15147.
CONTRIBUTI DI DOTTRINA 273 
renti con la ricordata funzione assegnata dall�ordinamento all�art. 420 c.p.c., 
da applicarsi previa verifica di compatibilit� con il processo pensionistico e 
che possano ritenersi in rapporto di strumentalit� con l�art. 420 c.p.c. (espressamente 
richiamato dall�art. 5, l. n. 205/2000). 
Il riferimento naturale � all�art. 167 c.p.c. che contempla la decadenza 
del convenuto dalle domande ed eccezioni non rilevabili d�ufficio ove non 
proposte nella comparsa di costituzione tempestivamente depositata (27). In 
tale indagine deve innanzitutto evidenziarsi, come � pacifico, che il bacino 
elettivo di integrazione del processo pensionistico sia costituto dal processo 
ordinario, unico procedimento disciplinato dal codice di procedura civile del 
1865, e del resto � altrettanto pacifico in dottrina che la costituzione dell�amministrazione 
debba avvenire con comparsa �negli stessi modi e forme� dell�art. 
166 c.p.c. (28). D�altra parte l�art. 167 c.p.c. � in rapporto di strumentalit� 
con l�art. 183 c.p.c. che consente di �precisare e modificare le domande, le 
eccezioni e le conclusioni gi� formulate� senza il filtro dei gravi motivi e dell�autorizzazione 
del giudice richiesti dall�art. 420 c.p.c. 
N� in senso contrario pu� ritenersi che l�applicabilit� dell�art. 167 c.p.c. 
sia incompatibile con l�art. 8, r.d. n. 1038/1933 secondo cui <<I termini stabiliti 
per la proposizione dei gravami sono perentori. Le decadenze hanno 
luogo di diritto e devono pronunciarsi anche d'ufficio. Gli altri termini sono 
regolativi del procedimento e l'inosservanza di essi importa le conseguenze 
che sono indicate nei vari casi. Quando non siano indicate, provveder� il giudice>>. 
Appare infatti del tutto erronea l�interpretazione secondo cui tale disposizione 
dimostrerebbe che il processo pensionistico non tollera decadenze 
diverse da quelle afferenti a gravami. 
In primo luogo, sotto il profilo letterale, � evidente che la formula �termini 
regolativi del procedimento� non involge eventuali termini stabiliti per 
le eccezioni di parte, tantՏ che in mancanza di previsione di �conseguenze 
[��] provveder� il giudice�. In secondo luogo non pu� riconoscersi rilievo 
ostativo alla circostanza che l�art. 4, r.d. n. 1038/1933 si limita a precisare che 
�lo scambio delle comparse, memorie e risposte tra le parti si effettua mediante 
deposito in segreteria� senza prevedere decadenze processuali. � infatti 
sin troppo evidente che il predetto complesso normativo costituito dal r.d. 
1038/1933 con il rinvio dell�art. 26 intendesse per l�appunto permeare il processo 
pensionistico con i principi propri del processo ordinario quale legge 
processuale generale (29). 
(27) P. SANDULLI - A.M. SOCCI, Il processo del lavoro, Giuffr�, Milano, 2010, p. 576. 
(28) M. SCIASCIA, Manuale di diritto processuale contabile, cit., p. 915; V. TENORE, La nuova 
Corte dei conti, cit., p. 960. 
(29) Seppur con riferimento all�evoluzione del processo amministrativo � consueto il rinvio a M. 
NIGRO, Giustizia amministrativa, III ed., Il Mulino, 1983, pp. 325-326 e a G. VERDE, Norme processuali 
ordinarie e processo amministrativo, in Foro it., 1985, V, c. 157.
274 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2016 
N� peraltro deve sfuggire che il rinvio alle norme del codice di procedura 
civile del citato art. 26 � diverso dal coevo rinvio contenuto nell�art. 208, r.d 
1775/1933 in quanto il primo fa esplicito riferimento non solo alle norme del 
rito civile ma anche ai �termini� del processo civile sicch�, rispetto a tale specifica 
formulazione del rinvio non � dato distinguere tra termini perentori e 
ordinatori. L�intento era infatti proprio quello di colmare il processo contabile 
con i termini del processo civile, quale disciplina processuale generale del processo. 
Appare pertanto evidente che, anche sotto tale profilo, deve ritenersi 
l�applicabilit� al processo pensionistico dell�art. 167 c.p.c. e dei suoi termini. 
Diversamente opinando dovrebbe ritornarsi a riconoscere carattere statico 
(e non dinamico) al rinvio di cui al ricordato art. 26, riportando il processo 
pensionistico al codice di procedura del 1865 con buona pace dei principi costituzionali 
oramai propri di ogni processo socialmente civile ad onta dell�evoluzione 
registrata dalla disciplina del processo pensionistico e dello stesso 
processo in generale. 
Ovviamente il dibattito in ordine alla tempestivit� dell�eccezione di prescrizione 
parte dall�implicito presupposto dell�applicabilit� al processo pensionistico 
dell�art. 2938 c.c., secondo cui il giudice non pu� rilevare la 
prescrizione non opposta (30). In proposito � agevole osservare che, ancora 
di recente, parte della giurisprudenza postula l�officiosit� del rilievo valorizzando 
oltre ogni limite il potere sindacatorio che competerebbe al giudice delle 
pensioni in virt� del quale potrebbe conoscere del rapporto controverso indipendentemente 
dalla stessa allegazione delle parti (31). 
Tale orientamento, peraltro superato in giurisprudenza (32), non tiene 
conto che per effetto del rinvio automatico dell�art. 5, l. n. 205/2000, la diretta 
applicabilit� dell�art. 421 c.p.c. ha grandemente ridimensionato il potere sindacatorio 
avendo oramai il giudizio una forte connotazione dispositiva alla 
luce della quale al giudice non � consentito di ampliare il tema decisorio oltre 
i limiti dell�art. 112 c.p.c. (33). 
Problematica del tutto analoga si registra in tema di competenza territoriale 
che, per i giudizi pensionistici dinanzi alla Corte dei Conti va determinata 
in base alla residenza del ricorrente all�atto della proposizione del ricorso (art. 
5 c.p.c.). Trattasi, ad eccezione di qualche isolata pronunzia (34), di compe- 
(30) Per uno specifico esame delle problematiche proprie del processo civile in ordine all�eccezione 
di prescrizione sia consentito il rinvio a A. MUTARELLI, Modo di far valere la prescrizione, in A. 
MUTARELLI - M. GERARDO, Prescrizione e decadenza, Giappichelli, Torino, 2015, p. 97 e ss. 
(31) C. conti, Sez. II centr., 29 novembre 2001, n. 367/A, in Riv. Corte conti, 2001, fasc. 6, p. 172. 
(32) C. conti, Sez. Riun., 27 maggio 2004, n. 7/QM, in Foro amm. - Cons. Stato, 2004, p. 2966. 
(33) Per l�ammissibilit� dell�emissione di ordinanze di somme non contestate (art. 186-bis c.p.c.): 
A. MUTARELLI, Profili critici della tutela processuale in tema di pensioni ordinarie garantita dalla Corte 
dei Conti, in L�accesso alla sicurezza sociale. Diritti soggetti e tutela processuale, (a cura di M. ESPOSITO 
e G. DELLA PIETRA), Giappichelli, 2015, Torino, p. 125. 
(34) C. conti, Sez. giur. Campania, 7 dicembre 2002, n. 1820.
CONTRIBUTI DI DOTTRINA 275 
tenza derogabile e come tale non rilevabile d�ufficio ma dal solo resistente che 
dovr� eccepirla, a pena di decadenza (art. 38 c.p.c.), nella comparsa di costituzione 
e risposta depositata nei termini di cui all�art. 167 c.p.c. (35) e dovr� 
contenere altres� l�espressa indicazione del giudice ritenuto competente (36). 
4. Termini di proposizione dell�appello. 
Occorre in primo luogo rilevare che sia la dottrina che la giurisprudenza, 
indipendentemente dalla ritenuta affinit� con il processo del lavoro, sono unanimi 
nel ritenere che al processo pensionistico si applica la sospensione feriale 
di cui all�art. 1, l. 7 ottobre 1969, n. 742 (37) propria del rito ordinario e non 
del rito del lavoro che � ad essa sottratto (38). Tale condivisibile opzione appare 
evidentemente poco coerente con l�orientamento di chi postula la generalizzata 
applicabilit� per affinit� al processo pensionistico delle norme del 
processo del lavoro. 
Viceversa vi � ampio e acceso contrasto sul termine applicabile per la 
proposizione dell�appello, che � divenuto solo di recente proponibile avverso 
le sentenze in primo grado della Corte dei Conti a seguito (art. 1, comma 5, 
del d.l. 15 novembre, n. 453, convertito dalla l. n. 19/1994) e che risulta peraltro 
consentito �per i soli motivi di diritto�. Evidente, in quest�ultima previsione, 
l�intento di evitare la proliferazione di appelli con effetto devolutivo 
che avrebbe comportato la concentrazione nella sola sede centrale di tutto il 
contenzioso impugnatorio. 
Quanto ai termini, il comma 5-bis del ricordato art. 1 stabilisce che l�appello 
� proponibile dalle parti �entro sessanta giorni dalla notificazione o, comunque, 
entro un anno dalla pubblicazione� della decisione. Atteso il tenore 
letterale della disposizione vi � dibattito intorno al termine applicabile ai giudizi 
instauranti a far tempo dalla data del 4 luglio 2009. 
� dubbio infatti se debba ritenersi che tale previsione si limiti in sostanza 
a rinviare all'analoga norma dell'art. 327 c.p.c., con la conseguente dimidiazione 
dei termini disposta dall�art. 46, l. 18 giugno 2009, n. 69 o, viceversa, 
se il mancato espresso rinvio all�art. 327 c.p.c. ne inibisca l�applicazione al 
processo contabile. 
(35) C. conti, Sez. Riun. 31 marzo 2004, n. 5/QM, in Foro amm. - Cons. Stato, 2004, p. 2956; C. 
conti, Sez. Riun., 28 novembre 2003, n. 19, in Riv. Corte conti, 2003, fasc. 6, p. 58. 
(36) L'eccezione, per la sua formulazione, non necessita di formule sacramentali (essendo sufficiente 
che dalle ragioni addotte per dimostrare l'incompetenza del giudice adito risulti quale altro giudice 
sia dalla parte ritenuto competente) e pertanto richiede l'indicazione del giudice al quale debba essere 
attribuita la competenza: cos� GIONFRIDA, voce Competenza civile, in ED, VIII, Milano, 1961. In giurisprudenza 
in tal senso C. conti, Sez. Riun., 7 marzo 2002, n. 5, in Riv. Corte conti, 2002, fasc. 2, p. 95. 
(37) D. CROCCO, Il giudizio pensionistico di appello innanzi alla Corte dei conti, Jovene, 2013, 
p. 22. V. TENORE, La nuova Corte dei conti, cit., p. 967. C. conti, Sez. II centr., 4 ottobre 2010, n. 
370/QM, in Riv. Corte conti, 2010, fasc. 5, p. 140. 
(38) C. conti, Sez. II centr., 10 novembre 2003, n. 306 e 4 ottobre 2010, n. 370/A.
276 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2016 
La dottrina appare divisa sul punto, talora propendendo per la applicabilit� 
tout-court dell�art. 327 c.p.c. sulla base della sola considerazione che l�abbreviazione 
� utile ai tempi del processo (39), ovvero dando per presunta la generalizzata 
applicazione dell�art. 327 c.p.c. in guisa di principio processuale 
comune (40). In altri casi l�esistenza della problematica non sembra del tutto 
avvertita dandosi per scontata l�applicabilit� del termine annuale, quale termine 
lungo per l�impugnazione (41) ovvero valorizzandosi prevalentemente il tenore 
letterale della previsione di cui al comma 5-bis dell�art. 1 gi� sopra ricordato 
(42). In tale ultimo senso appare orientata la giurisprudenza che valorizza a tale 
fine il rilievo dell�esistenza della specifica previsione del termine di un anno 
per l�appello senza alcun rinvio all�art. 327 c.p.c. (vecchio o nuovo testo) (43). 
Deve in proposito osservarsi che anche l�esame di tale vexata quaestio 
passa inevitabilmente per lo snodo normativo costituito dal rinvio al codice 
di procedura civile contenuto nell�art. 26, r.d. n. 1038/1033 che non sembra 
consentire alcun innesto automatico al processo pensionistico delle norme del 
codice di procedura civile, dovendo sempre preventivamente effettuarsi una 
valutazione di compatibilit� con la struttura del processo al fine anche di verificare 
�che non esista gi� una specifica disciplina di settore� (44). 
Nel caso di specie la disciplina di settore � costituita per l�appunto dal 
ricordato art. 1, l. 15 novembre 1993, n. 453, convertito dalla l. n. 19/1994, 
che contiene una disciplina dell�appello e dei suoi effetti del tutto sagomata 
sul processo pensionistico. Cos� in tema di soggetti legittimati all�impugnazione, 
di motivi di impugnazione circoscritti ai �soli motivi di diritto�, di previsione 
di rinvii espressi a specifiche disposizioni normative nonch� di 
disposizioni di carattere organizzativo delle sezioni della Corte dei Conti. 
Il predetto complesso normativo ha pertanto dettato una disciplina completa 
dell�appello tenuto conto che tale strumento di impugnazione costituiva 
una novit� nell�ambito del giudizio dinanzi alla Corte dei Conti. Tale considerazione 
chiarisce il motivo per cui la nuova fase impugnatoria � stata introdotta 
senza alcun rinvio al codice di procedura civile essendo evidente l�intento 
di dettare una disciplina esaustiva continuando a consentire il ricorso suppletivo 
al codice di rito solo attraverso l�art. 26, r.d. n. 1038/1933. Nella delineata 
prospettiva ermeneutica � necessario verificare se la previsione di uno specifico 
corpus normativo per l�appello dinanzi alla Corte dei Conti, con la specifica 
espressa previsione del termine di un anno per impugnare costituisca o 
(39) S. IMPERIALI, I lineamenti essenziali dell�appello davanti alla Corte dei Conti, in 
www.amcortedeiconti.it. 
(40) M. SCIASCIA, Manuale di diritto processuale contabile, cit., p. 970. 
(41) V. TENORE, La nuova Corte dei conti, cit., p. 1017. 
(42) D. CROCCO, Il giudizio pensionistico di appello davanti alla Corte dei Conti, cit., pp. 21-25. 
(43) C. conti, Sez. giur. app. Sicilia, 5 giugno 2013, n. 186. 
(44) C. conti, Sez. Riun., 21 febbraio 2008, n. 2/QM.
CONTRIBUTI DI DOTTRINA 277 
meno un insormontabile dato ostativo all�applicazione, a mezzo dell�art. 26, 
r.d. n. 1038/1933, dell�art. 327 c.p.c. secondo cui il rinvio alle norme e termini 
del codice di rito � consentito �in quanto siano applicabili e non siano modificati 
dalle norme del presente regolamento�. 
Ad una pi� attenta analisi pu� forse ritenersi che la soluzione del quesito 
non debba necessariamente passare per il filtro dell�art. 26 citato, in quanto le 
norme che hanno introdotto e regolato l�appello nel processo dinanzi alla Corte 
dei Conti costituiscono un corpus del tutto autonomo dal �presente regolamento� 
(art. 26, r.d. 1038/1933) che non � stato dalle stesse in alcun modo modificato. 
Tuttavia all�inapplicabilit� dell�art. 327 c.p.c. pu� giungersi pi� fondatamente 
considerando che tale norma non pu� ritenersi aver abrogato in parte 
qua la previsione del termine annuale previsto per l�appello nei processi dinanzi 
alla Corte dei Conti, non tanto per la specialit� di tale processo, quanto 
per il significativo rilievo che l�art. 44 della ricordata l. 69/2009, nel modificare 
varie norme del libro secondo del codice di procedura civile (tra cui l�art. 327 
c.p.c. riducendo il termine di impugnazione da un anno a sei mesi), ha espressamente 
previsto al punto 24 che il solo primo comma dell�art. 291 c.p.c. potesse 
applicarsi al giudizio amministrativo e a quello contabile con ci� 
escludendo che tali modifiche potessero integrare, agli effetti dell�art. 15 delle 
disposizioni della legge in generale, una nuova disciplina della materia. La 
previsione del termine annuale per l�appello dinanzi alla Corte dei Conti non 
pu� ritenersi pertanto scalfita dalla disciplina successiva dei termini dell�impugnazione 
del processo civile quand�anche de iure condendo deve convenirsi 
che non sia ragionevole la conservazione di un termine (oramai) cos� lungo 
per l�impugnazione delle sentenze (45). 
5. Brevi considerazioni conclusive. 
In tale prospettiva deve convenirsi che sul piano sistematico sono venute 
meno le stesse ragioni che militavano per una giurisdizione speciale per le pensioni 
dei pubblici dipendenti e che lo stesso controllo della spesa previdenziale 
pubblica � oramai obiettivo ragionevolmente e pi� efficacemente perseguibile 
con ben altri strumenti. Del resto, la previsione di una giurisdizione specifica 
per le pensioni dei pubblici dipendenti distinta rispetto a quella del rapporto 
costituisce un isolato primato dell�ordinamento italiano e non pu� ritenersi peraltro 
assistita da garanzia costituzionale, che copre in via diretta solo la materia 
di contabilit� pubblica e non anche la materia pensionistica compresa <<nelle 
altre specificate dalla legge>> (ex art. 103, comma 2, Cost.) (46). 
(45) Del resto � pacifico che il termine di 6 mesi di cui al novellato art. 327 c.p.c. si applica, 
sempre con decorrenza 4 luglio 2009, anche al processo tributario come disciplinato dal d.lgs. 31 dicembre 
1992, n. 546. 
(46) V. GUCCIONE, voce Corte dei Conti, in EGT, 1988, p. 11.
278 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2016 
Gli evidenti profili di discrasia esistenti tra processo previdenziale dinanzi 
alla Corte dei Conti e davanti al giudice ordinario rende palese la necessit� 
che si proceda in tempi serrati verso una omogeneizzazione della disciplina, 
nel dichiarato obiettivo di garantire ai lavoratori, con oneri previdenziali a carico 
pubblico o meno, una parit� (se non identit�) di tutela processuale. Peraltro 
la privatizzazione gi� attuata imporrebbe una concentrazione di giurisdizione 
in favore del giudice ordinario, con salvezza (al pi�) dei soli c.d. rapporti 
esclusi dalla privatizzazione che potrebbero rimanere sotto l�egida della Corte 
dei Conti. Tuttavia ci�, verosimilmente, non avverr� e proseguir�, pertanto, la 
bigamia processuale del dipendente privatizzato tra giudice del rapporto e giudice 
della previdenza con le conseguenti problematiche sui talora incerti confini 
di un tale distinguo. 
Tuttavia l�analisi dei pur limitati profili di dibattito esaminati nel presente 
lavoro deve rendere consapevoli che � maturo il tempo per por mano ad 
un�opera di codificazione o, quanto meno, di consolidazione dei riti celebrati 
davanti alla Corte dei Conti e, in particolare, di quello c.d. pensionistico, la 
cui disciplina deve essere marcatamente ispirata all�attuazione all�interno di 
tale processo dei consolidati principi costituzionali, al fine di conformare un 
processo, seppur differenziato, non difforme da tali principi e da quelli realizzati 
nel processo previdenziale del giudice ordinario. Una tale esigenza non 
sembra per�, allo stato, avvertita, in quanto la giurisdizione della Corte dei 
Conti continua ad essere concepita come sicurezza e controllo della spesa previdenziale 
piuttosto che come sicurezza previdenziale, secondo un�ottica ancora 
(forse) troppo vicina all�amministrazione che alla giurisdizione. � 
auspicabile che passi sempre pi� decisi vengano in via pretoria compiuti dalla 
stessa Corte dei Conti affinch�, come gi� a suo tempo in tema di applicabilit� 
del reclamo ex art. 669-terdecies c.p.c. (47), possa giocare di anticipo sul legislatore, 
imprimendo una svolta alla propria giurisprudenza in modo tale da 
renderla sempre di pi� interprete e autrice di una tale evoluzione costituzionalmente 
orientata. In tale prospettiva il rinvio dell�art. 26, r.d. n. 1038/1933, 
potr� essere usato in senso pi� dinamico e divenire nello stesso tempo grimaldello 
e saldatore dell�azione conformativa di un processo sempre meno contabile 
e sempre pi� civile. 
(47) Per un�analisi dell�evoluzione della tutela cautelare dinanzi alla Corte dei Conti � agevole il 
rinvio a P. NOVELLI, I provvedimenti cautelari nei giudizi contabili, cit., passim nonch� alla precedente 
nota n. 15.
CONTRIBUTI DI DOTTRINA 279 
La destinazione patrimoniale nel transito da moduli tipici a forme 
atipiche di esercizio dell�impresa: l�archetipo del contratto di rete 
Francesco Maria Ciaralli* 
Simone D�Orsi** 
SOMMARIO: 1. Introduzione - 2. Il contratto di rete nel novero delle figure di collaborazione 
imprenditoriale - 3. Il contratto di rete come modello transtipico - 4. Il contratto di rete 
nel novero di quelli plurilateriali con comunione di scopo - 5. La rinnovata centralit� dell�autonomia 
privata alla luce del principio di sussidiariet� - 6. Il superamento della concezione 
personalistica del patrimonio e l�emersione di moduli atipici - 7. La rete-contratto quale 
fenomeno di autonomia patrimoniale priva di soggettivit� giuridica - 8. Rilievi conclusivi. 
1. Introduzione. 
Il presente studio, condotto nell�ambito della Scuola di Dottorato in �Diritto 
ed Impresa� dell�Universit� Luiss Guido Carli, persegue un duplice obiettivo. 
Da un lato, si propone di prendere in esame l�emersione di moduli atipici 
di esercizio dell�impresa, fortemente innovativi rispetto alla sistematica tradizionale 
recepita nel Codice civile vigente ed ereditata dal Codice di commercio 
del 1882, viceversa incentrata sulla tipicit�. 
Dall�altro lato, il presente lavoro ambisce a porre in luce un fenomeno di 
rilevanza generale nell�ordinamento civilistico: il superamento della concezione 
personalistica del patrimonio, con il conseguente riconoscimento legislativo 
della piena autonomia patrimoniale ad enti privi di personalit� giuridica. 
Tali linee di ricerca convergono nell�analisi di un istituto giuridico di recente 
introduzione, il contratto di rete, che costituisce il punto di emersione 
delle maggiori tensioni che innervano i rapporti tra la dogmatica tradizionale 
e le nuove esigenze di collaborazione imprenditoriale, poste dalla pratica degli 
affari e recepite dal legislatore (1). 
2. Il contratto di rete nel novero delle figure di collaborazione imprenditoriale. 
I contratti di collaborazione nell�attivit� d�impresa, il cui numero � andato 
progressivamente aumentando, sollevano numerose questioni. In particolare, 
ci� � vero per il contratto di rete. 
(*) Dottorando di Ricerca in �Diritto ed Impresa� presso l�Universit� Luiss Guido Carli di Roma, gi� 
praticante forense presso l�Avvocatura Generale dello Stato e tirocinante presso il Consiglio di Stato. 
(**) Dottorando di Ricerca in �Diritto ed Impresa� presso l�Universit� Luiss Guido Carli di Roma. 
Il dott. Ciaralli ha curato i paragrafi 1, 5, 6, 7 e 8; il dott. D�Orsi i paragrafi da 2 a 4. 
(1) Il contratto di rete, introdotto dall�art. 3 del d.l. 10 febbraio 2009, n. 5, convertito con modificazioni 
dalla legge 9 aprile 2009, n. 33, � stato oggetto di molteplici interventi di riforma. L�istituto de 
quo � esaminato, nel prosieguo dell�articolo, nei suoi tratti di pi� rilevante novit�, con peculiare riguardo 
agli aspetti di rilievo sistematico e propedeutici all�esame del nuovo regime di responsabilit� patrimoniale 
introdotto per il contratto di rete.
280 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2016 
Quello della collaborazione imprenditoriale � un fenomeno sempre pi� 
diffuso, molto sviluppato gi� da lunga data soprattutto nel Nord Est Italia ed 
in particolare tra le P.M.I., che per tale via cercano di ridurre i costi al fine di 
poter competere con le imprese di maggiori dimensioni. Il fenomeno, sorto 
nella prassi, si � avvalso in primo luogo dei modelli contrattuali tradizionali, 
quindi in particolare di quello consortile e di quello societario, cui col tempo 
si sono affiancate figure negoziali inedite. 
Del resto, l�interesse per nuove forme di collaborazione � andato crescendo 
anche nel settore pubblico, dove si � fatta sempre pi� impellente l�esigenza 
di individuare strumenti di coordinamento nell�attivit� di diverse 
amministrazioni, al fine di ridurre la spesa: si pensi al fenomeno, sempre pi� 
rilevante, delle centrali di acquisto, che acquistando beni in grandi quantit� 
riescono a spuntare sul mercato prezzi inferiori rispetto a quelli che le singole 
amministrazioni sarebbero costrette a pagare. 
Con il tempo, dunque, il legislatore � intervenuto con frequenza sempre 
maggiore a disciplinare la collaborazione tra imprese; in particolare, la disciplina 
che maggiormente ha stimolato l�interesse degli interpreti � stata quella 
del contratto di rete, regolato dal d.l. 5 del 2009 e modificata a pi� riprese, in 
particolare con la l. 122 del 2010. 
Minore si � rivelato l�interesse degli operatori nei primi anni dall�introduzione 
dell�istituto: fino al 2011 risultavano essere non numerosissimi, soltanto 
162, i contratti di rete stipulati. 
Il contratto di rete � definito dall�art. 3, comma 4 ter, del d.l. del 2009 come 
quello attraverso il quale �pi� imprenditori perseguono lo scopo di accrescere, 
individualmente e collettivamente, la propria capacit� innovativa e la propria 
competitivit� sul mercato e a tal fine si obbligano, sulla base di un programma 
comune di rete, a collaborare in forme e in ambiti predeterminati attinenti all'esercizio 
delle proprie imprese ovvero a scambiarsi informazioni o prestazioni 
di natura industriale, commerciale, tecnica o tecnologica ovvero ancora ad esercitare 
in comune una o pi� attivit� rientranti nell'oggetto della propria impresa�. 
Oltre che per questa indicazione, di cui si avverte la vaghezza, la disciplina 
del contratto di rete � piuttosto scarna; essa impone soltanto che il contratto sia 
redatto per atto pubblico o per scrittura privata autenticata e che venga iscritto 
nel registro delle imprese dai soggetti che partecipano alla rete (2). 
(2) Peraltro, in dottrina (A. CAPRARA, Il contratto di rete e gli adempimenti pubblicitari, in Giur. 
Comm., 2015, I, p. 113 e ss.), si � osservato come gli adempimenti pubblicitari mutino a seconda della 
struttura che le parti intendano dare alla rete, nonch�, in caso di costituzione di un fondo patrimoniale, 
dello specifico regime dei beni conferiti. Secondo C. CAMARDI, Dalle reti di imprese al contratto di rete 
nella recente prospettiva legislativa, in Contratti, 2009, p. 930, la forma ҏ scritta (atto pubblico o scrittura 
privata autenticata), a contenuto prescrittivo vincolato - come solitamente si prevede per questa 
nuova �generazione� di contratti tra imprenditori�. L�affermazione richiama la rilevanza del tema del 
c.d. �terzo contratto�, sottolineata pure da M. ORLANDI, Condizioni generali di contratto e reti atipiche, 
P. IAMICELI (a cura di), in Le imprese e i contratti di rete, Torino, 2009, p. 92.
CONTRIBUTI DI DOTTRINA 281 
Dalle norme che regolano il contenuto obbligatorio del contratto, si desume 
poi che sono necessarie: i) la predisposizione di un programma comune 
e ii) la designazione di un organo comune, incaricato di rappresentare la rete 
ed eseguire il programma, eventualmente anche attraverso l�istituzione di un 
fondo patrimoniale comune o, per le sole societ� per azioni, mediante la costituzione 
di patrimoni destinati ad un specifico affare. 
3. Il contratto di rete come modello transtipico. 
Muovendo da queste poche regole, in dottrina si � coniata per quello di 
rete l�espressione di �contratto transtipico� (3) e si � parlato di �tipizzazione 
anomala� (4). Entrambe le espressioni sono state utilizzate per indicare che il 
contratto di rete, in quanto tipizzato in maniera leggera (o debole), pu� sia appartenere 
ad un tipo gi� esistente (5) che rappresentare esso stesso un nuovo 
tipo contrattuale. Si tratta di una definizione senz�altro eccentrica per chi sia 
abituato a pensare che un contratto possa essere tipico o meno, senza possibilit� 
di tinte �sfocate� e gradazioni della tipicit�. � perci� opportuno vagliare 
innanzitutto la correttezza di quest�espressione. 
L�esigenza nasce dalla considerazione secondo cui �la giurisprudenza, 
posta di fronte ad un concreto contratto, ove appena diventi rilevante statuire 
sulla natura del contratto stesso, fa di tutto per ricondurre la fattispecie ad 
un tipo� (6); � questa quella che si � soliti indicare come �mentalit� tipizzante� 
(7) del giurista. In ci� non sembra di essersi allontanati molto dal principio 
romanistico della tipicit� dei negozi. 
La questione � rilevante in quanto se un contratto presenta gli elementi 
indicati dal legislatore, esso � sussumibile nel tipo, con la conseguenza che ad 
esso sono ricondotti gli effetti che la norma ricollega all�appartenenza al tipo 
stesso. Inoltre, e forse soprattutto, dalla riconduzione al tipo deriva l�esigenza 
di rispettare i requisiti, anzitutto quelli formali, imposti per i negozi riconducibili 
al tipo. 
Anzitutto, bisogna intendersi su quale delle possibili accezioni della tipicit� 
sia quella assunta da chi fa riferimento al contratto di rete come transtipico. 
(3) F. CAFAGGI, Introduzione, in F. CAFAGGI (a cura di), in Il contratto di rete, Bologna, 2009, p. 
24; E. BRIGANTI, La nuova legge sui contratti di rete tra le imprese: osservazioni e spunti, in Notariato, 
2010, II, p. 191 ss., che parla di contratto transtipico proprio in quanto leggero. 
(4) F. MACARIO, �Il contratto� e la �rete�: brevi note sul riduzionismo legislativo, in F. MACARIO 
- C. SCOGNAMIGLIO (a cura di), Reti di imprese e contratto di rete, in I contratti, 2009, 953. 
(5) Sembrano riconoscere solo questa ipotesi M. MALTONI - P. SPADA, Il �contratto di rete�, in 
Studio n. 1-2011/I del Consiglio Nazionale del Notariato, p. 4. 
Questa possibilit� � espressamente riconosciuta anche da G. VILLA, Reti di imprese e contratto plurilaterale, 
in Giur. comm., 2010, VI, p. 944 ss. 
(6) R. SACCO, Autonomia contrattuale e tipi, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1966, 790. 
(7) M. GIORGIANNI, Riflessioni sulla �tipizzazione� dei contratti agrari, in Riv. dir. agr. 1969, I, 153.
282 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2016 
� perci� necessaria una definizione della categoria, che non la confonda 
con la mera nominativit�. 
Secondo l�opinione in passato nettamente prevalente (8), l�elemento identificativo 
del tipo sarebbe rappresentato dalla causa del contratto: ci� implica 
che nel tipo del contratto di rete andrebbero ricondotti tutti i contratti aventi 
la funzione di perseguire la funzione economico - sociale espressa dall�art. 3, 
comma 4 ter, del d.l. 5 del 2009. 
In questa prospettiva, non si vedrebbe perch� negare al contratto di rete 
la natura di contratto tipico. Esso sarebbe il modello entro cui collocare tutti i 
contratti che rispondano a tale causa. 
Questa tesi � stata sottoposta a critiche negli anni �70 del secolo scorso; 
in particolare, in un noto scritto intitolato proprio Il tipo contrattuale (9), si � 
proposto di individuare l�elemento determinante la tipicit� nei tratti peculiari 
e caratterizzanti di ciascuna figura contrattuale e non pi� soltanto nella causa. 
Muovendo da questa premessa, sarebbe pi� difficile riconoscere la tipicit� 
del contratto di rete, dal momento che in effetti non � facile individuare specifici 
elementi in grado di distinguerlo dagli altri tipi contrattuali esistenti (10). 
Tuttavia, le conclusioni non possono essere cos� nette, e proprio la cautela 
da osservare pu� spiegare il ricorso alla formula �transtipico�. Ad esempio, 
si � sostenuto che gli elementi differenziali potrebbero appartenere non solo 
all�area della fattispecie, ma anche a quella degli effetti (11). Cos� ragionando, 
si potrebbe rinvenire nel contratto di rete un elemento differenziale idoneo a 
conferire tipicit� al modello. Si allude a quello che sembrerebbe essere l�effetto 
principale del contratto di rete: la possibilit� di beneficiare di taluni vantaggi 
di natura fiscale. Un�efficace critica a questo ragionamento potrebbe tuttavia 
essere quella che rileva come cos� argomentando si rischierebbe di offrire una 
risposta tautologica ed inutile al problema: apparterrebbero al tipo solamente 
i contratti che possano essere ammessi alle agevolazioni; se non che l�ammissione 
alle agevolazioni pu� essere semmai un punto d�arrivo, non di partenza. 
Soprattutto, per�, occorre rilevare come a seconda della nozione di tipicit� 
che si assume, il contratto di rete possa essere considerato quale nuovo tipo 
contrattuale o meno. 
In entrambi i casi non sembrerebbe infondata la premessa da cui muove 
la tesi della transtipicit�: il contratto di rete, sia assumendo l�una che l�altra 
delle nozioni di tipicit� riferite, potrebbe appartenere sia ad un diverso tipo 
(8) Tra le opinioni pi� autorevoli, quelle di E. BETTI, Teoria generale del negozio giuridico, Torino, 
1960, pp. 185-186, e F. SANTORO PASSARELLI, Dottrine generali del diritto civile, Napoli, 1964, 173. 
(9) G. DE NOVA, Il tipo contrattuale, Padova, 1974, 70 ss. 
(10) G. VETTORI, Il contratto di rete e sviluppo dell�impresa, in Persona e mercato (rivista on 
line), pp. 4-5, ricorre alla formula di �contratto transtipico� proprio richiamando l�opinione di G. De 
Nova sulla categoria della tipicit�. 
(11) G. DE NOVA, Il tipo contrattuale, cit., 70 ss.
CONTRIBUTI DI DOTTRINA 283 
che essere un contratto non ancora tipizzato (12). Il contratto di rete rappresenta 
dunque un esempio emblematico della possibilit� per il concetto di tipicit� 
di operare su pi� livelli, suscettibili di sovrapporsi tra loro. Contraria a 
quest�ipotesi di lavoro � una parte della dottrina (13), che propone di considerare 
tipico il contratto di rete, ma non transtipico; si vorrebbero cos� delimitarne 
i confini in maniera netta ed in modo da evitare ogni sovrapposizione 
con altre discipline contrattuali, in modo da mantenere distinti i tipi. 
Il tema � complicato dal fatto che la riflessione civilistica sulla nozione 
di tipicit� pare essersi sviluppata con riferimento soprattutto ai contratti di 
scambio. 
4. Il contratto di rete nel novero di quelli plurilaterali con comunione di scopo. 
La questione porta ad emersione l�ulteriore problema della struttura del 
contratto di rete. Questo pu� essere modellato secondo tre schemi, alternativi 
o anche suscettibili di intrecciarsi tra loro (14). 
Il primo � quello di una molteplicit� di rapporti paralleli, una pluralit�, 
dunque, di contratti tra loro solo formalmente distinti e separati - ad esempio 
la molteplicit� di rapporti che pu� correre tra un unico produttore e la pluralit� 
di soggetti cui sono concesse le licenze di sfruttamento del prodotto. 
Il secondo schema � formato da una molteplicit� di rapporti bilaterali - 
ad esempio pi� rapporti di subfornitura all�interno di una stessa filiera. 
Il terzo richiama invece la struttura del contratto plurilaterale, e quindi di 
un accordo che vincola tutti i soggetti della rete - ad esempio un unico rapporto 
avente ad oggetto le diverse fasi di produzione di un unico bene affidate a diverse 
imprese. 
Sicuramente il terzo modello � quello che suscita maggiore interesse ed 
i problemi pi� consistenti. Problematica � la stessa categoria civilistica del 
contratto plurilaterale. Si � sostenuto che dall�art. 1420 cod. civ. e da disposizioni 
analoghe (1446, 1459, 1466) si trae come al centro della nozione di contratto 
plurilaterale vi sia non un elemento strutturale, e cio� quanti sono i 
soggetti dell�accordo, ma uno funzionale, e cio� il perseguimento di uno scopo 
comune. Plurilaterale sembra essere, nel linguaggio del codice, il contratto 
con comunione di scopo (15). 
(12) Del resto, lo stesso G. DE NOVA, Il tipo contrattuale, cit., 78, affermava che �un elemento, 
per poter essere tratto distintivo di un tipo, non � necessario che sia presente solo in quel tipo: � sufficiente 
che sia tratto distintivo nei confronti di un altro tipo, e quindi pu� essere presente in pi� tipi (ovviamente, 
non pu� esserlo in tutti). [�] I tratti distintivi, per essere tali, dovranno rispondere ad un 
unico requisito, quello di essere essenziali del tipo: essenziali nel senso che la loro assenza non consenta 
di sussumere il contratto nel tipo legale, s� che il contratto dovr� essere ascritto ad altro tipo, o essere 
qualificato atipico�. 
(13) G.D. MOSCO, Frammenti ricostruttivi sul contratto di rete, in Giur. Comm., 2010, I, p. 839 ss. 
(14) G. VILLA, Reti di imprese e contratto plurilaterale, in Giur. comm., 2010, VI, p. 944 ss. 
(15) G. VILLA, Reti di imprese e contratto plurilaterale, cit., p. 944 ss.
284 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2016 
Questa impostazione � figlia del dibattito sviluppatosi negli anni Venti e 
Trenta sulla configurabilit� stessa di contratti tra pi� di due parti. Da un lato, 
stava l�opinione secondo cui il contratto avrebbe dovuto essere necessariamente 
bilaterale (16) e dall�altra quella secondo cui invece anche i negozi tra 
pi� di due parti avrebbero potuto essere catalogati tra i contratti (17). Dietro 
queste differenti vedute stava a sua volta il dibattito tra chi riconduceva gli 
enti associativi entro la dimensione istituzionale e chi invece in quella contrattuale. 
Il legislatore, ponendo fine al dibattito, opt� per ricondurre il fenomeno 
associativo entro lo schema contrattuale, disciplinando sotto il nome del 
contratto plurilaterale quello con comunione di scopo. 
Di conseguenza, si potrebbe dire che nei contratti di rete, anche quando 
stipulati solamente tra due parti ed anche quando aventi funzione di scambio, 
sia possibile ravvisare un rapporto plurilaterale nell�accezione appena indicata, 
in quanto gli interessi delle parti convergono verso il medesimo fine. Del resto, 
in favore di contratti plurilaterali nel senso del codice intercorrenti anche solo 
tra due soggetti si era espressa pure una dottrina pi� risalente (18). La rilevanza 
del problema pu� tuttavia essere ridimensionata se si considera che le regole 
che il codice civile detta per i contratti plurilaterali non sembrano poter prescindere 
dalla pluralit� delle parti. Si pensi, a modo d�esempio, proprio all�art. 
1420; ebbene, esso dispone che nei contratti plurilaterali �la nullit� che colpisce 
il vincolo di una sola delle parti non importa nullit� del contratto, salvo 
che la partecipazione di essa debba, secondo le circostanze, considerarsi essenziale�: 
appare evidente come una regola di tale tenore presupponga necessariamente 
la presenza di almeno tre parti. Pi� significativa pu� essere un�altra 
conclusione, e cio� quella che pone in luce come le regole dei contratti plurilaterali 
sarebbero suscettibili di applicazione anche nei casi in cui la rete sia 
realizzata mediante un fascio di rapporti bilaterali di scambio, uniti dall�essere 
strumentali all�esistenza della rete, sicch�, per fare ancora riferimento all�art. 
1420 cod. civ., il venir meno di uno di tali rapporti non necessariamente dovrebbe 
minare l�esistenza della rete, se essa pu� comunque realizzare lo scopo 
per cui � costituita; quest�opinione � stata espressa in tempi molto recenti (19). 
5. La rinnovata centralit� dell�autonomia privata alla luce del principio di 
sussidiariet�. 
Occorre inoltre tenere presente che gli strumenti organizzativi dell�attivit� 
di impresa, ontologicamente idonei a coinvolgere gli interessi di molteplici 
categorie di operatori (ceto creditorio, lavoratori, stakeholders, etc.), 
(16) F. MESSINEO, Il negozio giuridico plurilaterale, in Annalia Univ. Cattolica, 1926-1927, 53 ss. 
(17) T. ASCARELLI, Contratto plurilaterale e negozio plurilaterale, in Foro Lomb., 1932, 439 ss. 
(18) T. ASCARELLI Contratto plurilaterale e negozio plurilaterale, cit., 1932, 439 ss. 
(19) G. VILLA, Reti di imprese e contratto plurilaterale, cit., p. 944 ss.
CONTRIBUTI DI DOTTRINA 285 
sono il campo sul quale meglio pu� cogliersi la contrapposizione tra la cittadella 
dell�autonomia privata ed il primato della legge (20). Tale risalente 
contrapposizione � stata superata da un�evoluzione storica culminata nell�introduzione 
in Costituzione del principio di sussidiariet� orizzontale, alla 
cui stregua lo Stato e gli enti locali �favoriscono l�autonoma iniziativa dei 
cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attivit� di interesse generale� 
(art. 118, c. 4, Cost., come sostituito dalla legge costituzionale 18 
ottobre 2001, n. 3) (21). 
In virt� della menzionata disposizione, dunque, si � attribuita alla competenza 
primaria dell�autonomia negoziale la disciplina dei beni privati (come 
intesi dalle pronunce della Corte costituzionale nn. 300 e 301 del 2013), sicch� 
in tale ambito l�etero-normazione dei pubblici poteri � legittima solo ove l�autoregolamentazione 
dei privati si riveli insufficiente (22). 
Di tale principio pare possibile cogliere le ricadute proprio osservando la 
disciplina del contratto di rete. Come gi� sottolineato, questo, in quanto caratterizzato 
proprio dallo scopo comune, d� vita ad un fenomeno che nei suoi 
tratti essenziali pu� rievocare quello pi� risalente delle societ� e dei consorzi. 
Tuttavia, da questi modelli esso si differenzia per la sua struttura estremamente 
elastica (23). Infatti, mentre la disciplina dei consorzi e delle societ� 
� articolata e segnata dalla presenza di forme organizzative rigide - per quanto 
sia nota la costante espansione degli spazi lasciati all�autonomia privata -, la 
struttura del contratto di rete � molto duttile, o meglio non tipizzata dal legislatore. 
Unico elemento davvero rilevante per l�ordinamento pare essere il perseguimento 
del fine indicato dalla legge (24); per il resto, le parti godono della 
pi� ampia libert�: possono, in via esemplificativa, decidere di dare vita o meno 
ad un nuovo soggetto giuridico, di costituire o meno un patrimonio autonomo, 
di dare vita o meno ad un�organizzazione di tipo corporativo. 
(20) Per la nozione di cittadella dell�autonomia privata si veda, sia pure in diverso ambito, PROSSER, 
The Assault upon the Citadel, 69 Yale L.J. 1099, (1960). 
(21) Per la nozione di cittadella dell�autonomia privata si veda P. FAVA, Lineamenti storici, comparati 
e costituzionali del sistema contrattuale verso la European Private Law, in P. FAVA (a cura di), Il 
Contratto, Milano, 2012. Di tale nozione ha fatto uso la giurisprudenza di legittimit�, soprattutto nell�enucleare 
i limiti del sindacato giudiziale sullo scambio contrattuale (cfr. Cass. civ., Sez. I, 24 settembre 
1999, n. 10511). L�idea che ne � alla base adombra la concezione dell�autonomia privata come un noyau 
dur di facolt� riservate ai privati, residuando per il resto la competenza generale dell�ordinamento. 
(22) In tal senso si veda M. NUZZO, Contratto di rete: piano industriale e disciplina dei contratti 
di attuazione, in M. NUZZO (a cura di), Il principio di sussidiariet� nel diritto privato, Torino, 2014. 
L�Autore ritiene che, alla stregua della disciplina costituzionale, l�intervento pubblico con riferimento 
a beni privati sia legittimo �solo quando in concreto l�autonomia dei privati sia incapace di realizzare 
una sintesi dei diversi interessi in gioco che risulti conforme ai fini per cui quella competenza primaria 
� ad essi attribuita� (M. NUZZO, cit., p. 26) . 
(23) Le differenze con le societ�, i consorzi ed altre figure affini sono poste in luce da F. GUERRERA, 
La governance nei contratti di rete, in Studi della Fondazione Italiana del Notariato, p. 1. 
(24) M. MALTONI - P. SPADA, Il �contratto di rete�, cit., p. 4.
286 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2016 
La questione si ricollega alla funzione che l�istituto ha nel nostro ordinamento, 
probabilmente pi� limitata di quanto si potrebbe in un primo momento 
pensare. 
Infatti, � stato sostenuto in dottrina (25) che la disciplina non sembra preoccuparsi 
tanto di regolare un nuovo tipo contrattuale, quanto di ricollegare a 
molteplici modelli contrattuali, che presentino determinate caratteristiche, la 
concessione di determinati benefici, di natura anche fiscale. 
Se davvero si dovesse concludere cos�, non sarebbe neppure pi� vera l�affermazione 
secondo cui il legislatore avrebbe introdotto uno strumento di collaborazione 
nell�attivit� d�impresa. Sarebbe vero, invece, che � stato introdotto 
uno strumento v�lto all�individuazione dei soggetti meritevoli di beneficiare 
di taluni vantaggi fiscali. Ci� pu� legarsi, forse, anche alla considerazione iniziale 
secondo cui sono state le imprese di dimensioni medie o ridotte �le pi� 
colpite dalla crisi� finanziaria del 2008 e dunque quelle che il legislatore ha 
presumibilmente voluto sostenere disciplinando il contratto di rete. A tal fine 
si sono introdotti prima i distretti produttivi e poi le reti d�imprese; entrambe 
le figure, apparse gi� ad inizio Novecento nel mondo dell�economia, sono state 
disciplinate dal legislatore solo molti anni dopo. 
In conclusione, si potrebbero riprendere gli spunti offerti proprio da un recente 
testo (26), nel quale si indaga la rilevanza del principio di sussidiariet� 
nel diritto civile. Ad una simile indagine non pu� restare - ed in effetti non � restata 
- estranea la disciplina del contratto di rete: il forte arretramento dello Stato 
a tutto favore dell�autonomia privata rappresenta un caso paradigmatico di applicazione 
del principio di sussidiariet� orizzontale, in ragione del quale la legge 
lascia agli operatori la definizione, ad esempio, della struttura della rete. 
Tale rivoluzione copernicana ha inciso anche sull�aspetto della destinazione 
patrimoniale, particolarmente sensibile atteso che involge - attraverso 
il connesso meccanismo della limitazione di responsabilit�, derogativa 
della generale disposizione dell�art. 2740 cod. civ. - gli interessi del ceto 
creditorio (27). 
(25) M. MALTONI - P. SPADA, Il �contratto di rete�, cit., p. 1. Cos�, gli Autori, anche in Il �contratto 
di rete�: dialogo tra un notaio e un professore su una legge recente, in Riv. dir. priv., 2011, p. 499 ss. 
(26) M. NUZZO, Contratto di rete: piano industriale e disciplina dei contratti di attuazione, in M. 
NUZZO (a cura di), Il principio di sussidiariet� nel diritto privato, Torino, 2014. 
(27) La destinazione patrimoniale costituisce fenomeno di particolare rilevanza, atteso che postula 
un bilanciamento tra la libert� propria dell�autonomia negoziale e la tutela degli interessi dei terzi che 
sono coinvolti dall�atto di autonomia (cfr. M. BIANCA, La destinazione patrimoniale nella disciplina dei 
contratti di rete, Torino, 2014). L�Autrice rilegge la relazione tra i menzionati interessi proprio alla luce 
del principio di sussidiariet� orizzontale, sicch� �l�atto di autonomia negoziale che deriva dall�applicazione 
di questo principio � un atto che realizza ontologicamente non solo gli interessi delle parti che 
lo pongono in essere, ma anche gli interessi della collettivit�, in quanto � atto che svolge una funzione 
vicaria rispetto allo Stato� (M. BIANCA, cit., p. 36). Proprio in virt� di tale funzione, � legittimo comprimere 
gli interessi dei terzi creditori a soddisfarsi su tutto il patrimonio del debitore, secondo lo schema 
residuale della garanzia patrimoniale generica.
CONTRIBUTI DI DOTTRINA 287 
6. Il superamento della concezione personalistica del patrimonio e l�emersione 
di moduli atipici. 
Con riferimento alla responsabilit� patrimoniale del debitore si � assistito 
al progressivo superamento della teoria personalistica del patrimonio, la cui 
scaturigine risale alle istanze liberali sottese alla codificazione napoleonica, 
secondo le quali il patrimonio era considerato un riflesso, necessariamente 
unico e indivisibile, della soggettivit� giuridica, in contrapposizione alla mancanza 
di una nozione unitaria di soggetto di diritto e patrimonio che caratterizzava 
l�ancien r�gime (28). 
Il disancoramento della responsabilit� patrimoniale dalla prospettiva personalistica 
ha conosciuto uno snodo importante nell�introduzione nel corpo 
del codice civile dell�art. 2645-ter, che consente la trascrizione degli atti di 
destinazione per la realizzazione di interessi meritevoli di tutela (29). 
Riveste tuttavia interesse ancora maggiore, in considerazione della sua 
inerenza all�esercizio dell�impresa, la disciplina del contratto di rete che, alla 
D�altra parte, la necessit� che la limitazione della responsabilit� patrimoniale, corollario della destinazione, 
sia ancorata alla soddisfazione di interessi di peculiare rilievo � altres� posta dalla Relazione al codice 
civile, n. 1124, ove si afferma che i meccanismi di finanziamento si basano sulla valutazione della consistenza 
patrimoniale del debitore, e dunque l�interesse a favorire la concessione del credito � funzionalmente 
collegato alla garanzia per i creditori di soddisfare il proprio diritto su tutti i beni del debitore. 
Tale ricostruzione appare, tuttavia, fortemente ridimensionata alla luce della recente evoluzione normativa. 
Si ha riguardo, in particolare, all�introduzione nel codice civile dell�art. 2645-ter, che consente la 
trascrizione di atti di destinazione di beni immobili o mobili registrati, volti alla realizzazione di interessi 
meritevoli di tutela ai sensi dell�art. 1322, secondo comma, cod. civ. 
Il testo originario del progetto di legge faceva riferimento agli scopi: a) di favorire l�autosufficienza 
economia di soggetti portatori di gravi handicap, nonch� b) di favorire il mantenimento, l�istruzione e 
il sostegno economico dei discendenti (art. 1, Progetto di legge n. 3972, Disciplina della destinazione 
di beni in favore di soggetti portatori di gravi handicap per favorirne l�autosufficienza). La versione 
definitiva della proposizione normativa, menzionando l�art. 1322, comma secondo, cod. civ., implica 
che la destinazione patrimoniale possa essere impiegata per perseguire qualsiasi scopo meritevole di tutela, 
con connessa limitazione della responsabilit� patrimoniale. 
(28) Il dogma �un soggetto, un patrimonio, una responsabilit�� assurge, secondo la risalente dottrina 
francese, a vero e proprio principio costituzionale, atteso che �l�id�e de patrimoine se d�duit directement 
de celle de la personalit�� (G. AUBRY - G. RAU, Cours de droit civile francais d�apres la 
m�thode de Zacharie, Paris, 1873, p. 229 ss.). Gli Autori ritengono che, attesa l�unitariet� del concetto 
di soggettivit� giuridica che connota tutti i consociati, la responsabilit� patrimoniale debba necessariamente 
essere unitaria e indivisibile, in quanto proiezione della personalit�. 
Occorre nondimeno segnalare che la dottrina italiana, gi� sotto la vigenza del Codice Pisanelli del 1865, 
aveva posto in evidenza che un soggetto di diritto ben pu� essere titolare di pi� masse patrimoniali, ciascuna 
con proprio trattamento e sorte giuridica (F. FERRARA SR., Trattato di diritto civile italiano, Roma, 
1921, p. 875, citato da M. NUZZO, cit., p. 108). Il principale esempio positivo veniva ravvisato nell�eredit� 
accettata con beneficio d�inventario, che non si confonde con il residuo patrimonio dell�erede ed i cui 
creditori possono soddisfarsi solo intra vires hereditatis. 
Per quanto concerne la teoria personalistica della destinazione patrimoniale, devesi menzionare per la 
dottrina tedesca K. HELLWIG, Lehrbuch des deutschen ZivilprozeBrechrechts, Neudruck der Ausgabe 
Leipzig, 1913; per la dottrina italiana pu� farsi riferimento a G. BONELLI, La personalit� giuridica dei 
beni in liquidazione giudiziale, in Riv. it. sc. giur., vol. VI, fasc. II, 1889. 
(29) Vedasi supra, nota 25.
288 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2016 
stregua di quanto dispone l�art. 3, comma 4-ter, del d.l. 5 del 2009, come pi� 
volte modificato, prevede alternativamente l�istituzione di un fondo patrimoniale 
comune, non dotato di soggettivit� giuridica per espressa previsione normativa, 
cui si applicano gli artt. 2614 e 2615 cod. civ. dettati in tema di 
consorzi con attivit� esterna (c.d. rete-contratto), ovvero l�acquisto di soggettivit� 
giuridica della rete a s�guito dell�iscrizione nella sezione ordinaria del 
registro delle imprese nella cui circoscrizione ha sede (c.d. rete-soggetto). 
L�analisi della disciplina normativa del contratto di rete consente di apprezzare 
taluni elementi di sicura rilevanza sistematica. 
7. La rete-contratto quale fenomeno di autonomia patrimoniale priva di soggettivit� 
giuridica. 
In primo luogo, ferma restando la tassativa indicazione degli obiettivi 
strategici cui il contratto di rete deve essere preordinato, il legislatore rimette 
all�autonomia privata - proprio in considerazione della funzione cui assolve il 
contratto di rete (incremento della competitivit� e della capacit� innovativa 
delle imprese aderenti) - l�intera definizione organizzativa della complessa 
operazione fondata su molteplici contratti tra loro collegati (30). 
In tale ambito emerge il regime della responsabilit� patrimoniale della 
rete-contratto, cui si applicano le norme stabilite per i consorzi con attivit� 
esterna, alla cui stregua per le obbligazioni contratte dall�organo comune in 
relazione al programma di rete, i terzi possono far valere i loro diritti esclusivamente 
sul fondo comune. Simmetricamente, per la durata della rete le imprese 
partecipanti non possono chiedere la divisione del fondo ed i relativi 
creditori particolari non possono far valere i loro diritti sullo stesso (31). 
(30) La consistente autonomia organizzativa rimessa ai privati trova nella predeterminazione legislativa 
degli obiettivi del contratto di rete un vero e proprio contraltare sistematico, con la conseguenza 
che il Giudice potr� riqualificare, al di l� del nomen juris utilizzato dalle parti, il contratto qualora non 
sia funzionalmente volto a perseguire gli obiettivi prefissati. 
Sul piano delle finalit� stabilite dal legislatore, con il contratto di rete pi� imprenditori perseguono lo 
scopo di accrescere, individualmente e collettivamente, la propria capacit� innovativa e la propria competitivit� 
sul mercato e a tal fine si obbligano, sulla base di un programma comune di rete, a collaborare 
in forme e in ambiti predeterminati attinenti all�esercizio delle proprie imprese ovvero a scambiarsi informazioni 
o prestazioni di natura industriale, commerciale, tecnica o tecnologica ovvero ancora ad 
esercitare in comune una o pi� attivit� rientranti nell�oggetto della propria impresa. 
Autorevole dottrina ha rilevato come gli stessi obiettivi del contratto di rete richiedano di lasciare ampio 
spazio all�autonomia privata nella conformazione del contratto. Proprio in ragione di ci�, ҏ tassativo 
che il contratto sia inteso a questo scopo determinante e comune che penetra nella sua causa� (A. GENTILI, 
Il contratto di rete dopo la l. n. 122 del 2010, in Contratti, 2011, p. 620. 
(31) Al fondo patrimoniale comune trovano applicazione gli artt. 2614 e 2615, comma 2, cod. 
civ., in materia di consorzi con attivit� esterna. Si stabilisce inoltre che per le obbligazioni assunte dall�organo 
comune per conto dei singoli imprenditori aderenti alla rete, rispondano questi ultimi solidalmente 
col fondo comune. Si versa, dunque, in un�ipotesi di solidariet� ad interesse unisoggettivo, con 
la conseguenza che, nei rapporti interni tra fondo patrimoniale e singolo aderente, il peso economico 
deve gravare esclusivamente su quest�ultimo.
CONTRIBUTI DI DOTTRINA 289 
Da ci� consegue che tramite il contratto di rete i partecipanti possono avvalersi 
della limitazione della responsabilit� patrimoniale come se dessero 
luogo ad un consorzio con attivit� esterna, salvo poter combinare modelli organizzativi 
propri anche di altre figure tipiche (32). 
Inoltre, atteso che i partecipanti possono scegliere di non attribuire soggettivit� 
giuridica al fondo comune, viene in rilievo una forma di stabile coordinamento 
di base negoziale tra imprese che rimangono distinti centri di 
imputazione soggettiva. Infatti, l�organo comune della rete agisce in rappresentanza 
degli imprenditori partecipanti, cui direttamente si riconduce la titolarit� 
delle situazioni giuridiche; solo con l�acquisto della soggettivit�, al 
contrario, si stabilisce che l�organo comune agisca in rappresentanza della rete 
per se considerata. 
La rete-contratto d� quindi luogo ad un patrimonio autonomo, destinato 
al perseguimento di un determinato programma di rete, privo di personalit� 
giuridica. Per l�effetto, si delinea la rilevanza sistematica del collegamento negoziale 
posto alla base della rete, il quale si contrappone sia al modello tradizionale 
dei contratti di scambio sia a quello dei contratti associativi finalizzati 
alla creazione di un ens tertium. 
Emerge altres� la differenza strutturale che intercorre tra il patrimonio autonomo 
che gemma dal contratto di rete ed il patrimonio destinato ad uno specifico 
affare di cui all�art. 2447-bis. Nel caso della rete-contratto difetta, infatti, 
un soggetto rispetto al quale configurare una separazione endo-societaria e cui 
ricondurre la titolarit� del patrimonio, con conseguente inapplicabilit� dell�art. 
2447-quinquies, c. 3, che stabilisce la responsabilit� illimitata della societ� 
per le obbligazioni derivanti da fatto illecito. 
Risulta ancora pi� rilevante notare che, alla stregua dei concreti dati normativi, 
il legislatore sembra aver considerato l�acquisto della soggettivit� giuridica 
come uno svantaggio anzich� un privilegio. Infatti, la rete-soggetto non 
pu� giovarsi, pena la violazione del diritto euro-unitario in materia di aiuti di 
Stato, della agevolazione fiscale consistente nella sospensione d�imposta della 
quota di utili destinati alla costituzione del fondo comune (33). 
Proprio a tal proposito si riscontra, significativamente, un eloquente equivoco 
tra il legislatore nazionale e la Commissione europea che aveva posto 
come condizione di compatibilit� dell�agevolazione con l�art. 107 del Trattato 
(32) La teoria dell�as if trova autorevole riconoscimento nella dottrina anglosassone a proposito 
dei clusters; vedasi M.E. PORTER, Clusters and the new economics of competition, in Harvard Business 
Review, 1998, p. 77 ss. 
(33) Depone in questo senso la circolare dell�Agenzia delle Entrate 20/E del 18 giugno 2013, alla 
cui stregua �l�acquisizione della soggettivit� giuridica delle reti in esame comporta l�esistenza di un 
soggetto dotato di capacit� giuridica tributaria autonoma rispetto alla capacit� giuridica delle singole 
imprese partecipanti: ai fini del prelievo fiscale, infatti, la rete-soggetto, in quanto entit� distinta dalle 
imprese partecipanti, esprime una propria forza economica ed � in grado di realizzare, in modo unitario 
e autonomo, il presupposto di imposta�.
290 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2016 
proprio la mancanza di �un fondo con responsabilit� separata�. Di conseguenza 
la Commissione, riscontrato il carattere solo eventuale dell�acquisto 
di soggettivit� giuridica da parte della rete, ha concluso nel senso che il diritto 
dell�Unione non osta alla misura agevolativa prevista, con ci� mostrando di 
non distinguere ancora tra soggettivit� ed autonomia patrimoniale (34). 
Inoltre, la rete-contratto si rivela ontologicamente esclusa dall�assoggettabilit� 
a procedure concorsuali, atteso che trattasi di un fenomeno negoziale 
dotato di un patrimonio che non risponde per un ammontare superiore a quello 
conferito; del pari, le imprese partecipanti sono correlativamente escluse proprio 
in forza del regime di limitazione della responsabilit� patrimoniale di cui 
all�art. 2615 cod. civ. Maggiori profili problematici si schiudono, invece, con 
riferimento alla rete-soggetto, posto che in tal caso si configura un�entit� soggettiva 
idonea a svolgere attivit� di impresa ad essa imputata. 
8. Rilievi conclusivi. 
� dunque evidente che, per ragioni fiscali, concorsuali, oltre che funzionalmente 
collegate agli obiettivi stessi della rete, il legislatore medesimo sembra 
indurre le imprese a dar vita a reti-contratto anzich� a reti-soggetto, potendo 
nel primo caso beneficiare dei vantaggi della responsabilit� limitata pur mantenendo 
la propria autonomia come distinti centri di imputazione soggettiva. 
La conclusione deve ricongiungersi, quindi, alle osservazioni svolte all�inizio: 
� proprio la rinnovata funzione di interesse generale dell�autonomia 
privata, valorizzata dal principio di sussidiariet� orizzontale di cui all�art. 
118 Cost., a giustificare sul piano della meritevolezza degli interessi la limitazione 
della responsabilit� patrimoniale, nonch� il superamento della tralatizia 
teoria personalistica del patrimonio, concretati nella disciplina della 
rete-contratto (35). 
(34) La Commissione osserva che �la particolarit� del contratto di rete � che le imprese partecipanti 
mantengono la loro autonomia sotto il profilo giuridico e ottengono i vantaggi previsti beneficiando 
direttamente dell�agevolazione� C(2010) 8939 del 26 gennaio 2011. 
(35) � rilevante notare la portata sistematica della rete-soggetto; rispetto alla tradizionale bipartizione 
tra contratti di scambio, necessariamente bilaterali, e contratti plurilaterali associativi volti alla 
creazione di un nuovo soggetto, emerge il contratto di rete che d� luogo ad una organizzazione stabile, 
dotata di autonomia patrimoniale ma sprovvista di personalit�. 
Proprio l�autonomia organizzativa riconosciuta alle imprese aderenti fa s� che il programma di rete possa 
essere attuato attraverso un collegamento negoziale, volto a disciplinare la partecipazione alla rete delle 
varie imprese; ci� pone, in punto di qualificazione e meritevolezza dell�operazione complessiva, i problemi 
affrontati dalla giurisprudenza con riferimento al fenomeno del nexus of contracts. Si veda in proposito 
M. NUZZO, Contratto di rete, cit., p. 27 ss.
CONTRIBUTI DI DOTTRINA 291 
Crisi della legge e decretazione d�urgenza 
Guglielmo Bernabei* 
SOMMARIO: 1. La crisi della legge - 2. La legge generale ed astratta - 3. Legis latio, legis 
executio ed amministrazione diretta - 4. Distinzione della funzione legislativa ed amministrativa 
nella Costituzione - 5. Incidenza del ruolo del decreto-legge sulla forma di governo e riflessi 
sulla forma di Stato. 
1. La crisi della legge. 
Il sistema delle fonti si caratterizza per una complessit� tale da rendere 
problematico l�uso stesso del termine �sistema� (1). La struttura dell�ordinamento 
giuridico (2), illuministicamente progettata attorno al ruolo essenziale 
della legge, tende oggi a regredire verso forme poco armoniche, perdendo la 
sua originaria razionalizzazione; da alcuni anni, infatti, si assiste, con una crescita 
preoccupante, ad una trasformazione della funzione legislativa, dove la 
produzione normativa governativa tende ad assumere un ruolo sempre pi� rilevante, 
sia per numero di provvedimenti adottati sia per la consistenza degli 
interventi realizzati. A questo si aggiunge un processo di cambiamento del sistema 
giuridico caratterizzato dalla moltiplicazione e dalla frammentazione 
delle fonti del diritto, dove diviene evanescente la coerente prevedibilit� delle 
conseguenze giuridiche dell�azione umana; in tale contesto si evidenzia il fatto 
che la legge formale non riesce adeguatamente a svolgere un compito di effettiva 
regolazione della complessa fenomenologia delle fonti del diritto (3). 
Il continuo ricorso alla decretazione d�urgenza (4), dunque, sta divenendo 
(*) Dottore di ricerca in diritto costituzionale - guglielmo.bernabei@unife.it 
(1) Cfr. G. SILVESTRI, La ridefinizione del sistema delle fonti: osservazioni critiche, in Pol. dir. 
1987, p. 149, il quale afferma che �sembra seriamente scosso quel principio di tassativit� e tipicit� delle 
fonti che � stato considerato tradizionalmente una garanzia propria dello stato di diritto, riflettentesi 
nella elencazione �tabellare� degli atti e dei fatti riconosciuti come validi portatori di regole giuridiche 
dotate di diversa �forza� in termini relativi�. 
(2) Cfr. R. BIN, Atti normativi e norme programmatiche, Milano, 1988; cfr. G. PITRUZZELLA, Quali 
poteri normativi per l�autonomia locale?, in Le Regioni, 2008, p. 3, il quale afferma che ҏ difficilmente 
contestabile come coerenza e completezza dell�ordinamento giuridico siano i risultati dell�attivit� dell�interprete 
e che quindi lo stesso atteggiarsi delle fonti del diritto a �sistema� sia il �prodotto� e non gi� 
il dato di partenza dell�attivit� interpretativa�. 
(3) Cfr. F. BILANCIA, La crisi dell�ordinamento giuridico dello Stato rappresentativo, Padova, 
2000, p. 283, il quale sostiene che �se esiste un diritto obiettivo, un materiale giuridico avente una natura 
specifica (propria), pu� porsi, infatti, innanzitutto il problema della sua definizione, della individuazione 
delle caratteristiche essenziali di tale realt�, delle qualit� materiali di questo fenomeno per isolare uno 
specifico oggetto di studio della scienza giuridica (e giuspubblicistica in particolare)�. 
(4) Cfr. S. RODOT�, L�abuso dei decreti-legge, fenomenologia dei decreti, in Politica del diritto, 
1980, p. 380; cfr. F. MODUGNO - A. CELOTTO, Rimedi all�abuso del decreto-legge, in Giur. cost., 1992, 
p. 3249; cfr. Q. CAMERLENGO, Il decreto-legge e le disposizioni �eccentriche�introdotte in sede di conversione, 
in Rass. Parlam., 2011, p. 110 ss; V. ANGIOLINI, Attivit� legislativa del Governo e giustizia
292 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2016 
sempre pi� indice di una crisi profonda dell�autorit� politica nel nostro ordinamento 
costituzionale; le forme moderne di indebolimento della centralit� della 
legge statale possono essere identificate anche nella maggiore incisivit� delle 
fonti locali e nella prevalenza del diritto comunitario su quello nazionale (5). 
Cos�, pi� aumentano i soggetti dotati di potest� legislativa (6), pi� aumenta 
il numero delle norme prodotte e pi� difficile risulta conservare un certo 
grado di armonia nel sistema normativo; a questo si aggiunge, poi, la proliferazione 
delle leggi, la loro rapidit� di mutamento (7), la frammentazione e la 
stratificazione delle norme, l�ambiguit� di linguaggio, l�eccessivo ricorso all�abrogazione 
implicita (8). L�effetto di questi fattori produce un ordinamento 
poco governato e riconoscibile, influendo negativamente sulla certezza del diritto, 
sull�equilibrio dei poteri costituzionali, sull�efficienza della giustizia e 
sul rapporto tra governati e governanti, contribuendo alla disaffezione alla 
legge ed alla sua inosservanza. In un contesto simile cresce la pressione dei 
gruppi organizzati e degli enti esponenziali degli interessi di categoria, i quali, 
costituzionale, in Riv. dir. cost., 1996, p. 238; cfr. C. ESPOSITO, Decreto-legge, in Enc. dir., 1962, ora in 
Diritto costituzionale vivente: Capo dello Stato ed altri saggi, a cura di D. NOCILLA, Milano, 1992, p. 
235. In tema di decretazione d�urgenza poi si ricorda, ex multis, cfr. G. VIESTE, Il decreto-legge, Napoli, 
1967; V. DI CIOLO, Questioni in tema di decreto-legge, Milano, 1970; cfr. A. CELOTTO, L�abuso del decreto-
legge. Profili teorici, evoluzione storica e analisi morfologica, vol. I, Padova, 1997; cfr. A. CONCARO, 
Il sindacato di costituzionalit� sul decreto-legge, Milano, 2000; cfr. A. SIMONCINI, Le funzioni 
del decreto-legge. La decretazione d�urgenza dopo la sentenza n. 360/1996 della Corte costituzionale, 
Milano, 2003; cfr. A. GHIRIBELLI, Decretazione d�urgenza e qualit� della produzione normativa, Milano, 
2011; cfr. G. ZAGREBELSKY, Manuale di diritto costituzionale, vol. I, Il sistema delle fonti del diritto, 
Torino 1988, (1990) p. 182; cfr. G. MARAZZITA, L�emergenza costituzionale, definizione e modelli, Milano, 
2003; cfr. G. RAZZANO, L�amministrazione dell�emergenza, profili costituzionali, Bari, 2010. 
(5) Cfr. F. MODUGNO - D. NOCILLA, Crisi della legge e sistema delle fonti, in Dir. soc., 1989, p. 424, 
i quali parlano di �accerchiamento della legge da ogni lato�. Cfr. S. MANCINI, I regolamenti degli enti 
locali tra riserva di competenza e �preferenza� in un multilevel system of government, in Le Regioni, 
2008, p. 120, il quale afferma che �la principale sfida che attende nel prossimo futuro il sistema delle fonti 
� pertanto quella dell�armonizzazione dei rapporti tra una pluralit� di atti normativi prodotti dai diversi 
ordinamenti che compongono il pi� vasto �ordinamento repubblicano�, all�interno di ciascuno dei quali 
� destinato a svilupparsi un �microsistema� di fonti del diritto. Armonizzazione che dovr� muovere non 
pi� dall�ottica gerarchico-piramidale, bens� da quella �integrativa� implicata dal modello multilevel�. 
(6) Cfr. F. MODUGNO, Legge (Diritto costituzionale), in Enc. Dir., vol. XXIII, Milano, 1973, p. 
873, il quale afferma che �la crisi della legge, intesa questa come la fonte suprema e per antonomasia 
dell�ordinamento giuridico, proprio nel momento in cui l�estensione del suffragio all�intero popolo 
avrebbe dovuto realizzarsi il suo massimo trionfo. Ma il moltiplicarsi degli interventi legislativi, e la 
correlativa necessit� di trasferire una parte di essi al governo e persino ad altri soggetti, ha determinato 
invece quella pluralit� di fonti e persino di �leggi� che caratterizza sempre di pi� gli ordinamenti giuridici 
a partire dal primo dopoguerra�. 
(7) Cfr F. CARNELUTTI, La crisi della legge, in Riv. dir. Pubbl., 1930, p. 429, dove si rileva che �la 
legge � fatta non solo per comandare, ma per durare. Non pu� essere, naturalmente, eterna; ma deve essere 
longeva. Ogni mutamento della legge rappresenta un turbamento di equilibri, uno sconvolgimento 
di previsioni, un rallentamento di iniziative. Peggio ogni mutamento, il quale non segua nei limiti normali 
della mutabilit�, fa perdere la fiducia nella stabilit� della legge, che � lo stato d�animo indispensabile 
per la prosperit� sociale�. 
(8) Cfr. M. PAGANO, Introduzione alla legimatica. L�arte di preparare le leggi, Milano, 2001, p. 10.
CONTRIBUTI DI DOTTRINA 293 
grazie al loro peso politico, riescono ad essere rappresentati all�interno del 
percorso della legislazione (9). 
La compresenza, nella determinazione degli obiettivi di politica legislativa, 
di interessi sempre pi� ampi ed articolati provoca il fenomeno che 
vede la legge come �anima del contratto� (10), lontana dall�essere misura 
tendenzialmente astratta dell�operare altrui, fino a divenire misura reale, che 
insegue i fatti nei quali si realizza un conflitto, anzich� prevederli e previamente 
regolarli. 
Spetta infatti all�Amministrazione, e non al legislatore parlamentare, l�intervento 
dinanzi al fatto materiale integrante un concreto conflitto di interessi 
e in questo fatto vi � il presupposto della sua legittimazione. 
Occorre, quindi, un lavoro scientifico in grado di operare una ridefinizione 
delle competenze del potere legislativo e di quello esecutivo-amministrativo, 
in modo da recuperare, sul piano del diritto positivo, il valore pratico 
e il senso giuridico della distinzione dei livelli di mediazione degli interessi 
coinvolti. Il legislatore ha rimesso pressoch� completamente all�amministrazione 
il compito della regolazione delle molteplici esigenze contrapposte, fino 
a diventare la sede reale del confronto e della sintesi degli interessi, ponendo 
inevitabilmente la questione dell�equilibrio tra i poteri dello Stato (11). 
Un tentativo concreto di analisi della crisi del sistema, che ha portato a 
considerare il decreto-legge un mezzo ordinario di produzione normativa (12), 
pu� consistere nella costatazione della mancanza di effettivit� come causa 
della situazione attuale (13) e questo ha provocato un rapido processo di delegittimazione 
della norma giuridica, contribuendo, in questo modo, alla destrutturazione 
ed allo svuotamento della efficacia regolativa dell�ordinamento 
(9) Cfr. D. VAIANO, La riserva di funzione amministrativa, Milano, 1996, pag. 273. 
(10) Cfr. D. NOCILLA, Crisi della legge e tecnica legislativa, in Quaderni dell�associazione per 
gli studi e le ricerche parlamentari, Seminari 1989-1990, Milano, 1991, p. 79. 
(11) Si ricordi che gi� nel 1979 il Ministro per la Funzione Pubblica, Massimo Saverio Giannini, 
trasmetteva al Parlamento il �Rapporto sui principali problemi dell�amministrazione dello Stato�, noto 
oggi come �Rapporto Giannini�, indicando tra le principali disfunzioni della Pubblica Amministrazione 
la cattiva qualit� delle leggi che regolano l�organizzazione e l�attivit� amministrativa. La Commissione 
Barettoni Arleri, istituita in seguito alla presentazione del �Rapporto Giannini�, si occup� soprattutto 
della fattibilit� legislativa. Nella relazione finale vengono indicate tre cause che provocano una difficile 
attuazione delle leggi e della carente copertura finanziaria delle stesse: la copertura amministrativa della 
legge intesa quale idoneit� degli apparati amministrativi all�applicabilit� specifica di quanto dispone la 
norma; la progettazione legislativa, ossia la tecnica di redazione degli atti normativi-drafting; la fattibilit� 
quale valutazione preventiva degli impatti della norma sui destinatari della stessa e del contesto normativo 
di riferimento. 
(12) Cfr. G. SILVESTRI, Alcuni profili problematici dell�attuale dibattito sui decreti-legge, in Politica 
del diritto, 1996, p. 421. 
(13) Cfr. A. CATANIA, Riconoscimento e potere: studi di filosofia del diritto, Napoli, 1996, p. 50, il 
quale afferma che �l�ordinamento � giuridico nella misura in cui � effettivo, e pu� riconoscersi l�effettivit� 
solo quando la maggior parte delle norme dell�ordinamento sono efficaci, cio� quando la condotta umana 
disciplinata dalle norme coincide in una certa misura con il comportamento reale degli uomini�.
294 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2016 
giuridico globalmente inteso (14). Questa situazione � causata principalmente 
dalla crisi di legittimazione del sistema politico-istituzionale che ha contagiato 
il suo tipico prodotto normativo, ossia la legge. La perdita di valore del carattere 
formale, tipico degli atti normativi, in fase di produzione del diritto, ha 
come conseguenza l�attenuazione della certezza e della stabilit� in fase di applicazione. 
Infatti, la procedura negoziata dei contenuti normativi prosegue 
anche in sede applicativo-interpretativa (15), ridimensionando l�effetto di stabilizzazione 
delle regole giuridiche, le quali, invece, andrebbero incentivate 
anche mediante un costante e credibile intervento di sistemazione giurisprudenziale. 
Ma se questa opera di sistemazione si incrina e non risulta pi� possibile 
trovare in essa un dato oggettivo di riferimento, un prodotto regolativo 
affrancato dal caso concreto, viene meno un�altra forma di tutela dell�ordinamento. 
La casistica sostituisce il sistema, ma non diviene sistema anch�essa. 
Le norme giuridiche, quindi, risultano efficaci non solo perch� ritenute 
valide in quanto poste con procedimento legislativo formalmente corretto, ma 
anche in quanto effettivamente vigenti nell�ordinamento; in questo senso, �la 
validit� di un ordinamento giuridico, che regola il comportamento di determinati 
uomini, si trova in un sicuro rapporto di dipendenza col fatto che il comportamento 
reale di questi uomini corrisponde all�ordinamento giuridico o 
anche alla sua efficacia� (16). 
Altro aspetto che ha contribuito al proliferare del decreto-legge concerne 
il carente ordinamento dei rapporti tra i tipi di atti normativi e, pi� in generale, 
tra le fonti (17); infatti, accanto all�inflazione normativa si manifesta la moltiplicazione 
delle tipologie di atto normativo. 
� la legge parlamentare che, come tipologia, ha perso la sua inconfondibile 
e originaria unitariet�, fino a parlare ormai di una �categorizzazione� della 
stessa legge formale (18). In questo senso, a titolo di esemplificazione, si sono 
individuate le seguenti tipologie: leggi-provvedimento, leggi meramente formali, 
leggi di interpretazione autentica, leggi di sanatoria, leggi rinforzate, 
leggi atipiche, leggi contratto, leggi incentivo, leggi di programmazione, leggi 
(14) Cfr. F. BILANCIA, La crisi dell�ordinamento giuridico dello Stato rappresentativo, cit., p. 301, 
dove si sostiene che �non � un caso, infatti, che a crollare sotto il fatto della disapplicazione/inefficacia 
non siano state soltanto le norme precettive verso i consociati, ma anche le norme relative ai rapporti 
con le istituzioni politiche e gli organi pubblici�. 
(15) Cfr. M. AINIS, La legge oscura. Come e perch� non funziona, Roma-Bari, 2002, p. 198, il 
quale afferma che �l�asse dello lotta politica si sposta fatalmente dall�approvazione all�applicazione 
della legge�. 
(16) H. KELSEN, La dottrina pura del diritto, Torino, 1956, p. 77. 
(17) Cfr. F. MODUGNO, A mo� di introduzione. Considerazioni sulla �crisi� della legge, in Trasformazioni 
della funzione legislativa, II, Crisi della legge e sistema delle fonti, a cura di F. MODUGNO, 
Milano, 2001, p. 30. 
(18) Cfr. G. ZAGREBELSKY, Manuale di diritto costituzionale, I, Il sistema delle fonti del diritto, 
Torino, 1990, p. 156.
CONTRIBUTI DI DOTTRINA 295 
di finanza, leggi speciali, leggi di principio o leggi quadro, leggi procedimentali, 
leggi periodiche specializzate (19). 
Questo elenco conferma che siamo dinanzi non solo ad una crisi della 
legge come fonte principale del diritto, ma ad un cedimento del sistema delle 
fonti che non � pi� in grado di individuare nella legge lo strumento pi� idoneo 
a porre le regole di formazione e di trasformazione dell�ordinamento. 
Si tratta, dunque, di una crisi politica della legge, di un cedimento dello 
Stato rappresentativo quale fondamento politico della legge stessa. Tale aspetto 
� amplificato dall�indebolimento del tradizionale schema gerarchico, ormai 
incapace di funzionare nell�ordinamento giuridico italiano nel quale la legge 
non � pi� una fonte nettamente differenziata e non costituisce pi� il perno del 
sistema; inoltre anche l�introduzione della costituzione rigida rappresenta un 
elemento di perturbazione del sistema (20) stesso. 
Il principio gerarchico �, quindi, fortemente integrato dal criterio della 
competenza proprio perch� la legge non � pi� categoria unitaria, n� � pi� atto 
normativo primario per eccellenza, vi sono altri atti, nel nostro caso i decretilegge, 
che dovrebbero occupare una spazio differenziato e distinto per modalit� 
di intervento, preciso e circoscritto, e contenuto, provvedimentale, da 
quello propriamente conosciuto come appartenente alla legge. 
Pertanto, al fine di comprendere il significato autentico del termine �crisi� 
� utile riferirsi all�originale greco, dove l�espressione prevede anche la traduzione 
come �scelta� (21). 
Crisi della legge diviene dunque una problema di scelta della legge, di 
quale atto normativo primario sia meglio in grado (22), proprio per le sue caratteristiche 
intrinseche ed estrinseche, di fronteggiare in modo pi� appropriato 
la disciplina di una certa situazione, verificandosi il trasferimento dalla sede 
parlamentare ad altra sede del potere di produzione normativa. In questo senso 
il criterio di competenza diviene principio di organizzazione degli atti giuridici 
e, in particolare, degli atti costitutivi dell�ordinamento, trovando nella Costituzione 
il suo esclusivo ed esaustivo fondamento; gli atti posti gerarchicamente 
sullo stesso piano della legge formale, a maggior ragione dopo la riforma del 
Titolo V, non devono interferire reciprocamente, essendo rivolti a disciplinare 
(19) Cfr. F. MODUGNO, A mo� di introduzione. Considerazioni sulla �crisi� della legge, cit., p. 32. 
(20) Cfr. F. MODUGNO, A mo� di introduzione. Considerazioni sulla �crisi� della legge, cit., p. 59, 
il quale afferma che la costituzione rigida �introduce un elemento di complicazione aggiungendo un 
nuovo gradino allo schema gerarchico classico legge-regolamento-usi e pregiudica il carattere di fonte 
suprema che prima spettava alla legge. E poi, soprattutto, perch� la costituzione si distingue dalla legge 
non solo per la forma, distinta e superiore, ma anche per il suo contenuto, proprio in quanto legge fondamentale, 
scaturigine ultima dell�ordo ordinans, principio ordinatore dell�ordinamento�. 
(21) Cfr. F. MODUGNO, A mo� di introduzione. Considerazioni sulla �crisi� della legge, cit., p. 61. 
(22) C. MORTATI, Contenuto e forma nella qualificazione e nel trattamento degli atti normativi, 
in Riv. trim. dir. pubbl., 1970, p. 23. Inoltre cfr. A. PIZZORUSSO, I controlli sul decreto-legge in rapporto 
alla forma di governo, in Politica del diritto, 1981, p. 303.
296 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2016 
materie o ambiti, come il caso dei fatti emergenziali, separati tra loro dalle rispettive 
competenze (23). 
Secondo questa impostazione, dunque, la legge formale non pu�, pena la illegittimit� 
costituzionale, intervenire in materie o incidere su situazioni, la disciplina 
o la cura dei quali � costituzionalmente riservata ad altre tipologie di atti. 
Il dato che emerge � quello di un sistema policratico in ricerca di un proprio 
equilibrio; i rapporti tra diritto e politica, il passaggio dal mondo del potere 
reale, dal pregiuridico, al mondo della realt� giuridica ha bisogno di un 
nuovo inquadramento. Un assetto equilibrato del sistema delle fonti passa, 
necessariamente, per una ricomposizione dei rapporti tra i poteri dello Stato, 
con particolare riferimento ai soggetti dotati di potest� normativa, ordinati 
secondo criteri di competenza rigorosamente determinati secondo il canone 
chi e come fa che cosa. 
Questa �razionalizzazione dei poteri� pu� essere in grado di produrre soluzioni 
normative capaci di riacquistare la loro qualit� pi� importante: la stabilit�. 
� dunque necessario ritornare, come gi� in passato si era prospettato 
(24), ad un sistema nel quale la norma riassuma come suo contenuto il �fatto� 
dedotto dalla realt� sociale attraverso la mediazione delle forze politiche, in 
modo che questo �fatto�, qualificato giuridicamente, sia obiettivizzato, immobilizzato 
dentro la sua �forma�. 
Viceversa, la capillare negoziazione nel particolare dei contenuti degli 
atti normativi, favorita dalla dislocazione diffusa delle sedi della loro approvazione, 
finisce per rendere addirittura disponibile l�interpretazione e l�applicazione 
da parte degli stessi soggetti che ne sono gli autori. In questo modo, 
il diritto inteso come materiale giuridico perde progressivamente il proprio 
carattere impersonale ed obiettivo per assumere una connotazione convenzionale 
e, come tale, pienamente disponibile dai propri autori (25). Perde valore 
la certezza del diritto in termini di prevedibilit� e di obiettivit� delle situazioni 
da disciplinare (26). La regolazione giuridica degli interessi generali, un tempo 
affidata al diritto obiettivo in linea con i valori sviluppatisi dal principio di le- 
(23) Cfr. R. BIN, La funzione amministrativa nel nuovo Titolo V della Costituzione, in Le Regioni, 
2002, p. 365 ss. 
(24) T. MARTINES, Contributo ad una teoria giuridica delle forze politiche, Milano, 1957, p. 308. 
(25) Cfr. F. BILANCIA, La crisi dell�ordinamento giuridico dello Stato rappresentativo, cit., p. 357, 
dove si precisa che �la stessa applicazione del diritto diviene, cos�, politicamente oggetto di negoziazione�. 
Inoltre cfr. G. ZAGREBELSKY, Il sistema delle fonti, Torino, 1987, p. 20 ss. 
(26) Cfr. G. PITRUZZELLA, Quali poteri normativi per l�autonomia locale?, cit., p. 9, il quale afferma 
che �se il pluralismo delle fonti, la crisi dei tradizionali criteri di soluzione delle antinomie, la 
complessit� dell�ordinamento e la difficolt� di mantenere il valore della certezza del diritto sono dati 
ineliminabili, sembra pure attendibile chiedersi se oltre un certo livello di complessit� e di articolazione 
del sistema delle fonti non sia pi� possibile porre argini efficaci all�alluvione normativa. Con la conseguenza 
di determinare un grado talmente elevato di incertezza sul diritto vigente da porre in pericolo la 
stessa tutela dei diritti, che hanno trovato sempre la prima garanzia nella distinzione tra la posizione 
preventiva della norma giuridica e la sua concreta applicazione, in sede giudiziaria o amministrativa�.
CONTRIBUTI DI DOTTRINA 297 
galit�, � oggi affidato a soluzioni normative nella disponibilit� degli stessi interessi 
particolari regolati, e di conseguenza, risulta facile e politicamente conveniente 
ricorrere a strumenti rapidi come i decreti-legge. 
La soluzione alla crisi della legge, quindi, non pu� consistere nella progressiva 
affermazione della capacit� legiferante dell�Esecutivo, fenomeno che 
tende oggi ad assumere i connotati tipici di un inedito ed autonomo centro di 
produzione normativa, con conseguente drastica compressione della sfera di 
intervento costituzionalmente attribuita alle Camere (27). Il processo di alterazione 
delle dinamiche costituzionali si sta pericolosamente avvicinando ad 
un punto di non ritorno, sottoponendo a continue �prove di resistenza� (28) la 
forma di governo delineata dalla Costituzione. 
La legge formale necessita di ritrovare la propria identit� nella relazione 
specifica con un determinato contenuto prescrittivo, che costituisce, secondo 
i canoni di un ordinamento giuridico che davvero voglia essere positivo, la 
norma giuridica stricto sensu, differenziata dai contenuti propri di altri atti 
normativi, in grado di prescrivere regolarit� di comportamenti e di predisporre 
astrattamente lo schema di essi. 
2. La legge generale ed astratta. 
Occorre quindi ricostruire brevemente i caratteri della legge per poterla 
distinguere (29) dagli altri atti che stanno sul suo medesimo piano gerarchico. 
L�alterazione del sistema e la mancanza di razionalizzazione tra le varie fonti 
del diritto hanno fatto perdere le caratteristiche che deve connotare la legge 
prodotta mediante il procedimento parlamentare, restituendole anche la sua 
dimensione storica. 
Gi� i principi ispiratori della Rivoluzione francese consentivano la limitazione 
dei diritti individuali unicamente mediante la legge come �espressione 
della volont� generale�, secondo il disposto dell�art. 6 della Dichiarazione dei 
diritti dell�uomo e del cittadino del 1789, oppure mediante la decisione individualizzante 
del giudice (30). 
(27) Cfr. C. DE FIORES, Trasformazioni della funzione legislativa, in Trasformazioni della funzione 
legislativa, II, Crisi della legge e sistema delle fonti, a cura di F. MODUGNO, Milano, 2001, p. 176. Inoltre 
cfr. G. ARCONZO, Contributo allo studio sulla funzione legislativa provvedimentale, Milano, 2013, p. 32 ss. 
(28) Cfr. L. PALADIN, Forma italiana di governo ed appartenenza dell�Italia all�Unione europea, 
in Quad. cost., 1994, p. 403. 
(29) Cfr. S. SPUNTARELLI, L�amministrazione per legge, Milano, 2007, p. 73, dove si ricorda che 
�nell�area continentale europea la tradizione del volontarismo esalta la volont� dell�autorit� quale fonte 
degli atti giuridici e contribuisce all�affermazione nello Stato assoluto del concetto di legge quale voluntas 
del sovrano; quest�ultima � norma e giurisdizione. Inoltre, il potere del sovrano viene giustificato 
in virt� della finzione della volontaria scelta da parte dei consociati di affidare al potere politico, di 
natura artificiale, la propria sicurezza, non per consenso - come nel pensiero di Locke - ma sulla base 
di un patto o contratto�. 
(30) Cfr. J.J. ROUSSEAU, Il contratto sociale, Milano, 2001, Libro II, cap. 74, il quale afferma che 
�la volont� � generale o non esiste: essa � quella del corpo del popolo o non esiste: essa � quella del
298 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2016 
Se la legge � davvero espressione della volont� generale, allora dovr� 
avere anche un carattere generale, e, in questo senso, la legge � tale a condizione 
che sia rivolta alla generalit� e rechi un contenuto astratto. In un contesto 
caratterizzato dalla generalit� ed astrattezza della legge, al potere esecutivo 
spettano solo atti particolari che non rientrano nella competenza della legge, 
con una netta separazione degli ambiti di intervento. 
Si sottolinea dunque il concetto che la legge generale ed astratta � 
l�espressione della sovranit� della nazione, antitetica al particolarismo (31). 
Da questa affermazione emerge che l�azione concreta dello Stato deve 
essere preceduta da prescrizioni di ordine generale ed astratto, alle quali � tenuta 
a conformarsi. Uno dei pilastri dello Stato di diritto consiste proprio nel 
fatto che non pu� esserci una pena, un tributo o un altro onere qualsiasi fissato 
individualmente secondo il capriccio del momento di colui che detiene il potere. 
Sono infatti le norme generali che pongono in astratto i casi in cui ognuno 
� sottoposto a determinati obblighi, in modo che ciascuno abbia la garanzia 
che soltanto se si trova in quelle condizioni gli sar� richiesto l�adempimento 
di quell�obbligo, e che il medesimo adempimento sar� dovuto da parte di tutti 
coloro che verranno a trovarsi nella stessa situazione (32). 
Si respinge, nell�ottica del presente lavoro, la teoria della legge in senso 
solo formale, la quale qualifica l�atto legislativo sulla base di criteri formali, 
come la deliberazione da parte dell�organo titolare della funzione legislativa 
di una atto predisposto attraverso il procedimento legislativo e avente forma 
di legge, anche se a contenuto sostanzialmente particolare; si vuole pertanto 
riaffermare il principio per cui solo un atto con forma di legge, o l�atto dell�Esecutivo 
a seguito di delega, pu� recare una norma giuridica dotata di generalit�, 
astrattezza, innovativit� al preesistente ordinamento, all�interno di un 
contesto di equiparazione tra normazione e legislazione (33). Non pu� essere 
corpo del popolo o solamente una parte. Nel primo caso questa volont� dichiarata � un vero e proprio 
atto di sovranit� e fa legge, nel secondo � soltanto una volont� particolare o un atto della magistratura; 
tutt�al pi� pu� essere un decreto�. 
(31) Cfr. A. AMORTH, Dallo Stato assoluto allo Stato costituzionale, (1948), ora in Scritti giuridici, 
1940-1948, vol. II, Milano, 1999, p. 1010, il quale rileva che il principio della sovranit� nazionale costituisce 
il contributo sostanziale dato dalla Rivoluzione francese all�ordinamento dello Stato costituzionale. 
Esso �segna il passaggio dall�appartenenza del potere politico dalla Dinastia alla Nazione e, 
per essa, in concreto, alla sua rappresentanza� e �va messo in relazione con quella enunciazione della 
dichiarazione dei diritti che definisce la legge come �espressione della volont� generale� (articolo sesto)�. 
(32) Cfr. G. BALLADORE PALLIERI, Appunti sulla divisione dei poteri nella vigente Costituzione 
italiana, in Riv. trim. dir. Pubbl., 1952, p. 816. 
(33) Cfr. V. CRISAFULLI, Atto normativo, cit., p. 239, il quale rileva che �nel quadro della tradizionale 
concezione statualistica del diritto, e identificandosi la norma giuridica con la norma posta, direttamente 
o indirettamente dallo Stato, la figura dell�atto normativo� trova �dapprima origine nella 
elaborazione dottrinale della figura della legge: di quell�atto dello Stato, cio�, che fuori di ogni dubbio 
ed a prima vista, si presenta, modernamente, come diretto a costituirne l�ordinamento, a dettare il sistema 
regolatore della condotta dei consociati, a definire e garantire le libert� individuali, e quindi come fonte 
del diritto, quasi per antonomasia�. Cfr. F. MODUGNO, Legge (Diritto costituzionale), cit., p. 890, il quale
CONTRIBUTI DI DOTTRINA 299 
ritenuto requisito della legge un comando emanato dagli organi legislativi ma 
non riferito ad una classe di comportamenti, non configurante, quindi, una tipicit� 
astratta di essi (34). 
La generalit�, nel momento stesso in cui � considerata condizione della 
certezza del diritto, � giudicata fondamento delle garanzie di tutela dei diritti 
che dalla legge si attendono. 
Come fonte principale del diritto oggettivo, la legge deve distinguersi 
dalle altre fonti come pronuncia solenne di una proposizione giuridica compiuta 
da organi a ci� destinati e in forme predeterminate. In tal modo, essa si 
mostra come il pi� elaborato prodotto della riflessione giuridica e manifesta, 
al massimo livello, i caratteri del diritto (35), evidenziandone l�astrattezza, 
che da un lato conferisce alla legge rigidit� e una complessa applicazione alla 
realt� storica, e dall�altro le attribuisce certezza (36). 
Questa impostazione con l�avvento dello Stato sociale e l�espansione 
dell�intervento pubblico nell�economia ha perso consistenza, producendo profonde 
alterazioni tanto nei rapporti tra Stato e societ� quanto nei meccanismi 
di produzione e regolazione normativa. La legge ha assunto un ruolo sempre 
pi� legato ad una funzione attributiva e regolativa di risorse economiche, compito 
incompatibile con la generalit� ed astrattezza, fino a confondersi con l�amministrazione 
concreta delle esigenze dei consociati (37). 
Settori della societ� civile penetrano nello Stato, rivendicando riconosciafferma 
che �la funzione legislativa era sinonimo di funzione normativa, ossia della identificazione di 
legislazione e normazione, contrapposta all�esecuzione o amministrazione, propria e riservata al cosiddetto 
potere esecutivo, la legge sostanziale comprendeva qualsiasi atto di contenuto normativo, accomunando, 
sotto il profilo sostanziale, leggi e regolamenti. Essa [�] rappresentava cio� la pi� evidente 
delle deroghe ad una rigorosa separazione delle funzioni�. Cfr. G. JELLINEK, Legge e decreto, a cura di 
FORTE, Milano, 1997, p. 206, dove si sottolinea che �leggi nel senso dell�ordinamento costituzionale 
sono quegli atti di volont� di uno Stato che il Governo, a seconda della forma di Stato, o non pu� affatto 
porre in essere ovvero lo pu� non senza la partecipazione di organi diretti costituzionalmente determinati. 
Nella repubblica costituzionale di oggi il Governo, con l�eccezione del diritto di iniziativa, non ha affatto 
una partecipazione positiva alla legislazione, che poggia piuttosto, a seconda del diritto e del suo esercizio, 
sulle Camere o sugli altri organi diretti dello Stato�. 
(34) S. SPUNTARELLI, La ratio della legge regionale in sostituzione di provvedimento amministrativo: 
tre argomentazioni non condivisibili di una sentenza della Corte costituzionale, in Giur. cost., 2003, p. 849. 
(35) Cfr. F. BILANCIA, La crisi dell�ordinamento giuridico dello Stato rappresentativo, cit. p. 324, 
il quale afferma che �tra i criteri sostanziali di identificazione degli atti normativi, infatti, la generalit� ed 
astrattezza finiranno con l�occupare un posto di primo piano, proprio in virt� della loro valenza politica, 
per il fatto cio� di disporre in modo eguale per tutti e di garantire il rispetto di criteri oggettivi di razionalit� 
e giustizia. La centralit� della legge nel sistema politico, pertanto, ha condizionato - gi� prima dell�ingresso 
sulla scena politica delle costituzioni rigide - la sua sovranit� in materia di produzione normativa�. 
(36) Cfr. G. FASS�, Legge, cit., p. 793. Inoltre cfr. A. SIMONCINI, La legge senza valore (ovvero 
della necessit� di un giudizio sulla ragionevolezza delle scelte normative), in Giur. Cost., 1999, II, p. 
2029. 
(37) Cfr. G. FONTANA, Crisi della legge e negoziazione legislativa nella transizione istituzionale 
italiana, in Trasformazioni della funzione legislativa, II, Crisi della legge e sistema delle fonti, a cura 
di F. MODUGNO, Milano, 2001, p. 126.
300 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2016 
menti economici e normativi perseguiti mediante procedimenti negoziali di 
decisione legislativa; in questo modo � proprio tale tendenza corporativa a favorire 
la frammentazione e la personalizzazione della legge, provocando la 
sua sostanziale riduzione a provvedimento (38). 
La funzione originaria e tradizionale della legge parlamentare come garanzia 
delle libert� individuali ha ceduto il passo a favore di una legislazione 
settoriale (39), dalla prospettiva limitata, unicamente predisposta ad occuparsi 
della situazione contingente, ma priva di un disegno generale e di ampio respiro 
(40). Il fenomeno della negoziazione legislativa, pertanto, oltre a provocare 
la perdita della generalit�, dell�astrattezza e della sovranit� della legge, 
ridimensiona il ruolo delle Camere, le quali, rinunciando a disciplinare determinati 
rapporti sociali, finiscono per accettare la forte attenuazione del carattere 
imperativo delle proprie determinazioni legislative a vantaggio di nuovi 
modelli di decisione di tipo consensuali, procedurali e riflessivi. 
Per ovviare a queste situazioni degenerative va nuovamente posta l�attenzione 
sulla struttura della norma che si evidenzia nello studio dei caratteri 
della prescrizione giuridica. 
Si ricordi quanto la dottrina classica ha sostenuto sul concetto di norma 
intesa come giudizio di dovere, dove �il senso in cui la proposizione giuridica 
unisce una fattispecie come condizione con l�altra come conseguenza giuridica� 
� il dovere (41). Il comando generale non concerne una pluralit� di persone 
o di azioni, determinato o determinabile, ma riguarda un ambito di 
persone o azioni indeterminato o indeterminabile (42). 
L�elemento essenziale della legge consiste, dunque, nella novit� del precetto, 
nell�effetto innovativo che questo produce, determinando una modificazione 
delle condizioni giuridiche esistenti, in quanto regola i rapporti in esse 
contemplati; siamo dinanzi ad un atto creativo di nuovo diritto nei confronti 
di una universalit� di soggetti e di situazioni, in grado di far sorgere diritti ed 
(38) Cfr. P. CAPOTOSTI, Concertazione e riforma dello stato sociale, in Quad. cost., 1999, p. 485. 
(39) Cfr. N. LIPARI, La formazione negoziale del diritto, in Rivista di diritto civile, 4/1987, p. 312, 
dove si sostiene che �nel momento in cui lo stato sociale, superando l�originaria tendenza compensativa 
verso le categorie pi� emarginate e sfruttate, si � venuto trasformando in Stato erogatore universale di 
garanzie economiche e di sicurezze esistenziali, il meccanismo ha inevitabilmente incentivato la spinta 
rivendicativa dei gruppi forti o meglio organizzati, anche in funzione della loro rilevanza politica, ed ha 
comunque indotto un effetto di moltiplicatore nei modi di produzione delle regole assunte come formale 
strumento di garanzia delle nuove conquiste�. 
(40) Cfr. N. BOBBIO, Dalla struttura alla funzione, Milano, 1977, p. 108. 
(41) Cfr. H. KELSEN, Problemi fondamentali della dottrina del diritto pubblico, a cura di CARRINO, 
Napoli, 1991, p. 12, il quale afferma che �la norma, come giudizio di dovere si contrappone alla legge 
naturale� e, ivi p. 15, l�imputazione � �la legalit� specifica del diritto [�] il legame esistente tra gli elementi 
racchiusi all�interno della proposizione giuridica [�] quel legame che viene posto grammaticalmente 
dal �deve��. In tal senso, ivi, p. 12, �nella proposizione giuridica ad una determinata condizione 
viene ricollegata una determinata conseguenza�. 
(42) Cfr D. DONATI, I caratteri della legge in senso materiale, in Riv. trim. dir. Pubbl. 1910, p. 299.
CONTRIBUTI DI DOTTRINA 301 
obblighi che in precedenza non sussistevano, costituendo l�ordinamento giuridico 
dello Stato. Il criterio della novit� (43) della legge va compreso se si 
considera la relazione intercorrente tra l�effetto e il contenuto precettivo della 
legge, nell�ottica di una considerazione dinamica del sistema giuridico; si richiede, 
infatti, che l�effetto precettivo che ne deriva trovi nella legge la sua 
preventiva determinazione, in modo che sia dalla legge stessa costituito, previsto 
e disposto. In tal senso, la novit�, intesa come costitutivit� della fattispecie, 
e la generalit�, compresa come ripetitibilit�, insieme concorrono ad 
integrare la nozione di disporre, in contrapposizione al provvedere (44). 
Nel campo del diritto, la generalit� della norma risponde ad esigenze di 
certezza e di giustizia sostanziale (45). Secondo questa impostazione, la generalit� 
va posta in relazione con l�efficacia costitutiva dell�ordinamento dello 
Stato, attribuita specificamente alla legge parlamentare cos� da rappresentare un 
riflesso dell�oggettivit� dell�ordinamento stesso, il quale, nel suo insieme ed in 
ogni sua parte, si impone indistintamente a tutti i soggetti che vi sono compresi. 
Per quanto concerne l�astrattezza, essa va intesa nel senso di essere �astraente 
da tutto ci� che costituisce l�individualit�, irriducibile a tipo, di ogni manifestazione 
di attivit�� (46), � sempre distaccata dall�azione che concretamente 
la realizza; si configura, dunque, come un precetto posto in ipotesi, in ordine a 
un caso possibile, anzich� in ordine a un caso esistente. Questa impostazione, 
secondo autorevole dottrina (47), ha il pregio di rivelare la risoluzione dell�astrattezza 
nella generalit� che rappresenta il punto centrale della questione: l�astrattezza 
come riferibilit� della norma ad una classe di azioni conformi ad un tipo. 
Viceversa, disposizioni temporanee ed eccezionali, come quelle che dovrebbero 
contraddistinguere la natura provvedimentale della decretazione d�urgenza, 
rivolte a fronteggiare esigenze contingenti, prive di generalit�, pur 
concorrendo a costituire il sistema del diritto statale, mantengono, all�interno 
di questo, una propria specifica individualit� originaria e restano, pertanto, legate 
ai presupposti di fatto che ne determinano l�emanazione. 
(43) Cfr. V. CRISAFULLI, Atto normativo, cit., p. 243. 
(44) Cfr. A. CIOFFI, Dovere di provvedere e P.A., Milano, 2005, p. 56 ss. 
(45) Cfr. F. RIMOLI, Certezza del diritto e moltiplicazione delle fonti: spunti per un�analisi, in 
Trasformazioni della funzione legislativa, II, Crisi della legge e sistema delle fonti, a cura di F. MODUGNO, 
Milano, 2001, p. 80, il quale afferma che �la certezza dei rapporti giuridici, dunque, ancor prima 
che la certezza (o la chiarezza, ad essa strumentale) delle norme, costituisce esigenza primaria della vita 
sociale. E tuttavia, il ruolo di stabilizzazione delle aspettative di comportamento cui il diritto in via di 
medium intersistemico deve assolvere non potrebbe ritenersi realizzato allorch� fosse, per ipotesi, conseguita 
una totale prevedibilit� delle decisioni assunte, e, con questa, la completa assimilazione tra legge 
giuridica e legge di casusalit��. 
(46) A.E. CAMMARATA, Limiti tra formalismo e dommatica, Catania, 1936, p. 36. 
(47) Cfr. F. CARNELUTTI, Teoria generale del diritto, Roma, 1951, p. 42, il quale sostiene che �poich� 
il precetto concreto non si pone se non per quel caso, che esiste ed esistendo ne provoca la posizione, 
si dice anche �specifico� o �speciale�; poich�, d�altra parte, il precetto astratto si pone per ogni caso, il 
quale sia conforme all�ipotesi (�), si dice anche precetto �generico� o �generale� �.
302 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2016 
3. Legis latio, legis executio ed amministrazione diretta. 
� la Costituzione stessa ad assegnare alla legge parlamentare il carattere 
di primariet� che le vale come elemento distintivo proprio (48); questa impostazione 
va ripresa per sottolineare la capacit� rappresentativa del Parlamento, 
la sua struttura, il suo ruolo nel sistema politico-istituzionale, cos� come era 
stato pensato e voluto dai Costituenti. 
Occorre rifarsi alla effettiva idoneit� delle Camere a divenire il centro di 
determinazione dell�indirizzo politico nell�attivit� di predisposizione degli 
strumenti di innovazione dell�ordinamento, evidenziando la reale capacit� del 
Parlamento di assumere su di s� il difficile compito di elaborare la sintesi degli 
interessi politici rilevanti nelle relazioni politico-sociali. Spetta al Parlamento 
controllare il Governo e chiederne il dovuto rendiconto del suo operato, secondo 
l�impostazione autentica del parlamentarismo, e non viceversa, come 
troppo spesso accade in un sistema politico che ormai ha smarrito il senso 
della giusta collocazione del proprio ruolo. 
L�atto tipico parlamentare, la legge, � tenuto a produrre gli equilibri di 
valore che costituiscono il fondamento della convivenza civile, la ratio della 
funzione legislativa. L�elemento centrale �, dunque, quello della rappresentanza, 
come carattere proprio e non fungibile del Parlamento; la giurisprudenza 
costituzionale (49) ha fortemente insistito sul significato unico del rapporto 
di rappresentanza politico-parlamentare, sottolineando la relazione tra popolo 
ed unit� politica della nazione. Quindi, � proprio questa �funzione di rappresentanza 
nazionale� (50), indicativa della originalit� del nome proprio �Parlamento� 
che pone il concetto di �legge della Repubblica�, affinch� in capo 
ad essa sia mantenuta e salvaguardata la titolarit� della funzione di selezione 
e di filtro degli interessi propri della collettivit� nazionale, tradotti nelle procedure 
legali idonee a concretizzare le soluzioni individuate in strumenti ed 
atti tipici dell�istituzione parlamentare, qualificati dai requisiti formali e, secondo 
l�impostazione accolta in questo lavoro, sostanziali che ad essi assegna 
l�ordinamento costituzionale. 
�, quindi, la legge in senso forte, l�atto politico dell�istituzione pi� rappresentativa 
(51), ad assumere il compito di governare il conflitto politico-so- 
(48) Cfr. F. BILANCIA, Il paradigma della legge statale: i riflessi del nuovo art. 117, comma 2, 
sull�art. 70 Cost., in Trasformazioni della funzione legislativa, III.1, Rilevanti novit� in tema di fonti 
del diritto dopo la riforma del titolo V della II parte della Costituzione, a cura di MODUGNO, Milano, 
2003, pp. 26 e 32, dove si sottolinea che �legge e Parlamento hanno sempre assunto il medesimo ruolo 
e subito le stesse sorti nell�evoluzione degli ordinamenti e delle forme di Stato, procedendo di pari passo 
nell�alternarsi del primato e declino della rappresentanza, in una con le degenerazioni dei sistemi politici, 
i fenomeni di integrazioni inter e sovrastatale e, ora, con l�affermazione in Italia dei pi� accentuati caratteri 
del sistema delle autonomie politiche�. 
(49) Cfr. Corte cost., sent. n. 496/2000, in Giur. cost., 2000, p. 3798. 
(50) Cfr. Corte cost., sent. n. 106/2002, in Giur. cost., 2002, p. 873.
CONTRIBUTI DI DOTTRINA 303 
ciale che deve, poi, trovare una sua composizione nell�ordinamento giuridico 
generale. Questa legge, per volont� della stessa Carta costituzionale, vede giustapporre 
a s� altri atti normativi posti sul suo stesso livello gerarchico; da qui 
deriva un potenziale conflitto di funzioni, qualitativamente disomogenee, le 
quali possono trovare un ordine secondo i criteri della competenza. Il valore 
della rappresentanza (52), pertanto, svolge un ruolo importante nel segnare la 
distinzione tra l�istituzione che compete il disporre, le Camere, e l�istituzione 
che compete il provvedere, l�Esecutivo. In questa distinzione risiede l�articolazione 
tra produzione ed applicazione del diritto, dove gi� autorevole dottrina 
aveva rafforzato la concezione dell�amministrazione come esecuzione, intuendo 
inoltre le potenzialit� dell�amministrazione diretta (53). 
Questa impostazione � funzionale alla comprensione della concezione 
dell�ordinamento giuridico inteso come un sistema genetico di norme che �ha 
fatto scendere in campo con forza [�] questa teoria dei gradi del diritto come 
teoria della dinamica del diritto, relativizzando il contrasto, irrigidito quale 
contrasto assoluto, tra legge ed esecuzione, produzione del diritto e applicazione 
del diritto� (54) . 
In tal senso, il presunto contrasto tra legis latio e legis executio non ha 
ragione di sussistere, trasformandosi in una relazione ordinata tra due momenti 
distinti ma non distanti; questa relazione, quindi, evidenzia quanto il carattere 
provvedimentale dell�Amministrazione conduca ad un concretizzarsi della 
norma generale rispetto alla fattispecie condizionante, viene posta un norma 
individuale che concerne uno specifico e particolare accadimento o situazione, 
necessitante di un intervento regolativo. Siamo dinanzi al manifestarsi dell�amministrazione 
diretta, la quale pone direttamente i fini di cura civile e sociale 
che la norma generale ha individuato come ambiti ampi ed indeterminati. 
L�affermazione dello Stato amministrativo esalta il ruolo di una �amministrazione 
statale diretta che guadagna importanza nella stessa misura in cui 
lo Stato diventa cosciente dei propri compiti sociali e interviene nella vita sociale 
con le sue funzioni assistenziali ed economiche� (55). 
(51) Cfr. F. BILANCIA, Il paradigma della legge statale: i riflessi del nuovo art. 117, comma 2, 
sull�art. 70 Cost., cit., p. 36. 
(52) Cfr. F. BILANCIA, Sul concetto di legge politica: una prospettiva d�analisi, in Trasformazioni 
della funzione legislativa, I, Vincoli alla funzione legislativa, a cura di MODUGNO, Milano, 1999, p. 212, 
il quale precisa che �la legge deve il suo ruolo tuttora, formalmente, centrale nel sistema, al fatto di essere 
l�atto politicamente pi� rappresentativo della volont� dei cittadini, in una con la sua attitudine a prodursi 
secondo un procedimento quanto mai trasparente e partecipato dai pi� diffusi e variegati interessi�. 
(53) Cfr. H. KELSEN, La dottrina dei tre poteri o funzioni dello Stato, in Il primato del parlamento, 
a cura di GERACI, Milano, 1972, p. 84, dove si rileva che �l�idea guida che sola pu� costituire la spina 
dorsale della teoria delle funzioni� dello Stato consiste nella distinzione fra legis latio e legis executio; 
inoltre, �la dottrina dei tre poteri dello Stato �, giuridicamente, la dottrina dei diversi stadi della creazione 
e applicazione dell�ordinamento giuridico statale�. 
(54) Cfr. H. KELSEN, Problemi fondamentali della dottrina del diritto pubblico, a cura di CARRINO, 
Napoli, 1991, p. 21.
304 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2016 
Ricordando quanto in precedenza affermato in tema di norma generale e 
norma individuale, � possibile ora affermare che alle Camere spetta una funzione 
legislativa �pi� generale�, che sia, cio�, espressione dei valori incardinati 
nella nozione costituzionale di Repubblica. Questa impostazione intende anche 
prevenire il rischio che il ruolo della legge appaia sempre pi� spesso come 
strumentale alla realizzazione di finalit� elaborate altrove e ad essa imposti in 
virt� dei vincoli derivanti dall�ordinamento giuridico italiano nel contesto dei 
processi di integrazione sovranazionali. Da questo si rafforza la posizione qui 
avanzata di comprendere e di impostare alla luce del criterio della competenza 
il sistema delle fonti del diritto, in modo particolare nel rapporto tra atti posti 
a livello di fonti primarie. 
L�argomentazione, dunque, anche alla luce della riforma del Titolo V, assume 
una ampiezza rilevante e constata che il modello italiano delle fonti primarie 
ha ormai assunto il connotato della separazione delle competenze, 
protetto dal sistema di garanzie giurisdizionali di legittimit� costituzionale. La 
legge parlamentare, dunque, in termini concreti e non in un ottica meramente 
formale o simbolica, � chiamata sempre pi� a facilitare il processo di integrazione 
politica al fine di coordinare il maggior numero di interessi particolari. 
In questa direzione dovr� procedere la riflessione circa il ruolo della legge 
e del decreto-legge nell�attuale sistema delle fonti, secondo problematiche che 
implichino l�analisi dei ruoli e degli strumenti per la risoluzione di una complessa 
questione giuridica: la delimitazione e il contenuto delle sfere di intervento 
delle diverse fonti ritenute di volta in volta competenti. 
4. Distinzione della funzione legislativa ed amministrativa nella costituzione. 
Si � finora evidenziato quanto sia concreto il rischio di una rottura, poi 
difficilmente ricomponibile, dell�unit� del sistema delle fonti; si nota, infatti, 
che ormai si va smarrendo la stessa natura di atto normativo in quanto tale, non 
pi� collocabile nello spettro delle categorie del disporre e del provvedere (56). 
Occorre, quindi, ripartire dalla Costituzione per rimarcare la distinzione tra la 
funzione legislativa e quella amministrativa, quale principio affermatosi nella 
cultura giuridica in chiave garantista, la quale pone come ineliminabile la considerazione 
che amministrazione e legislazione sono tenute distinte sulla base 
del concetto fondamentale per cui �l�azione dello Stato debba essere preceduta 
da statuizioni di ordine astratto e generale, e debba a queste conformarsi� (57). 
Il testo costituzionale sottolinea la distinzione organica tra potere legislativo 
ed esecutivo-amministrativo, e questo � testimoniato dall�articolazione prevista 
(55) Cfr. KELSEN, Giurisdizione e amministrazione, in Il primato del parlamento, cit., p. 156, dove 
l�Autore teme l�amministrazione al di fuori del diritto quanto S. Romano teme una legislazione che intervenga 
illimitatamente sull�amministrazione, avvertendo entrambi la tensione tra legislativo ed esecutivo. 
(56) Cfr. F. BILANCIA, Sul concetto di legge politica: una prospettiva d�analisi, cit., p. 215.
CONTRIBUTI DI DOTTRINA 305 
dagli artt. 70 e seguenti, da un lato, e dagli artt. 92 e 97, dall�altro. Emerge 
quindi una competenza generale del potere legislativo a disciplinare le modalit� 
e gli spazi di intervento del potere amministrativo, ma senza entrare nel dettaglio 
di una attivit� che � riservata all�organo esecutivo; in questo modo, il potere 
legislativo non � tenuto a prendere provvedimenti in qualunque campo a tal 
punto da consentirgli di esercitare anche la funzione amministrativa. 
Nel corso della prassi repubblicana, si � invece assistito ad un rovesciamento 
della prospettiva, fino a svilupparsi una progressiva confusione di ruoli 
tra il Parlamento che intende allargare il proprio intervento sull�amministrazione, 
in modo diretto tramite il fenomeno delle leggi-provvedimento, e il Governo 
che aumenta il ricorso alla decretazione d�urgenza (58). 
Il problema dell�estensione di queste due diverse funzioni risulta centrale 
non solo per il corretto articolarsi del sistema delle fonti ma anche per il mantenimento 
di un adeguato equilibrio della forma di governo. 
Risulta, dunque, necessario rifarsi a quella parte del pensiero giuridico 
(59) che vede nel rapporto tra legislativo ed esecutivo una subordinazione 
dell�amministrazione alla legge in modo che sia l�attivit� amministrativa stessa 
a trovare nella legge il proprio fondamento e limite. Una corretta relazione tra 
legislazione ed amministrazione ha bisogno di ritornare a porre al centro tematiche 
classiche, quali il principio di legalit� (60), la divisione dei poteri, la 
riserva di legge e la generalit� ed astrattezza della legge parlamentare. 
Secondo questa impostazione, tra ci� che si prevede in via generale e ci� 
che si cura in concreto si instaura un rapporto che ha il suo punto di equilibrio 
nella garanzia che la costituzione, modificazione ed estinzione di situazioni 
giuridiche soggettive avvenga nello specifico grazie all�opera di un organo di 
esecuzione che proceda alla verifica della ricorrenza dei presupposti di applicazione 
della previsione legislativa alla situazione data, in modo da ottenere 
la raffrontabilit� del provvedimento concreto rispetto alla previsione astratta 
che ne regola le modalit� di adozione ed esercizio. 
(57) Cfr. G. BALLADORE PALLIERI, Appunti sulla divisione dei poteri nella vigente Costituzione 
italiana, in Riv. trim. dir. Pubbl., 1952, p. 815, il quale prosegue affermando che �uno dei pilastri del 
moderno Stato di diritto � senza dubbio questo: che non vi sia una pena, un tributo, un onere qualsiasi 
fissato individualmente per me o per altro cittadino secondo il capriccio del momento di colui che ha il 
compito di imporlo�. 
(58) Cfr. F. RUFFILLI, Il governo parlamentare nell�Italia repubblicana dopo quarant�anni, in Dir. 
e Soc., 1987, p. 239. 
(59) Cfr. R. GUASTINI, Legalit� (principio di), in Dig. Disc. Pubbl., vol. IX, Torino, p. 87; cfr. RANELLETTI, 
Principi di diritto amministrativo, I, Napoli, 1912, p. 269; cfr. SATTA, Principio di legalit� e 
pubblica amministrazione nello Stato democratico, Padova, 1969, p. 101; cfr. BASSI, Principio di legalit� 
e poteri amministrativi impliciti, Milano, 2001, p. 105. 
(60) Cfr. S. SPUNTARELLI, L�amministrazione per legge, Milano, 2007, p. 105, dove si sottolinea 
che �in particolare, dalla regola per cui la validit� dell�esercizio del potere si misura sulla legge deriva 
il principio di preferenza di legge che progressivamente assoggetta le manifestazioni di volont� del 
potere pubblico al principio di legalit��.
306 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2016 
L�impostazione qui affermata consente di ricollocare la legge formale nella 
sua dimensione consona, intendendola quale ratio, ordine, struttura razionale 
e coerente, alla quale il potere amministrativo deve ricondurre le proprie manifestazioni 
particolari (61). Lo Stato ha mezzi specifici per intervenire in settori 
particolari della vita economica e sociale, e questi strumenti sono dati all�interno 
della sua attivit� amministrativa, idonei a regolare situazioni precise e 
circoscritte, riservando alla legge il compito di perseguire interessi unitari. 
Proprio sulla base di quanto riportato pu� affermarsi che � il sistema normativo, 
quale delineato dalla Carta costituzionale, a stabilire oggetto e confini 
tra legislazione ed amministrazione, e non la prassi, la realt� istituzionale o l�interpretazione 
giuridica. Le norme costituzionali sull�imparzialit� e sulla responsabilit� 
amministrativa assegnano all�amministrazione un ruolo tale da far s� 
che il legame istaurato tra attivit� amministrativa ed ordinamento generale permetta 
che la prima realizzi il secondo (62). Inoltre, la Costituzione pone una 
attenzione evidente per la collettivit�, e in questo senso l�amministrare � uno 
degli strumenti della democrazia e dell�esercizio della sovranit� popolare �nelle 
forme e nei limiti della Costituzione� (63); pertanto, nello stesso momento in 
cui la Carta costituzionale impone compiti da realizzare riempie l�esercizio 
delle funzioni pubbliche di contenuti che diventano la misura della legittimit� 
e della responsabilit� del loro esercizio (64). La disciplina di queste funzioni 
pubbliche � rimessa alla legge, che ordina l�attivit� amministrativa proprio grazie 
alla sua supremazia su qualsivoglia altro atto dell�ordinamento in quanto 
(61) Cfr. R. GUASTINI, Legalit� (principio di), cit., p. 85, il quale rileva che �generalmente parlando, 
�legalit�� significa conformit� alla legge. Si dice �principio di legalit�� quel principio in virt� 
del quale �i pubblici poteri sono soggetti alla legge�, di tal che ogni loro atto deve essere conforme alla 
legge, a pena di invalidit�. Detto altrimenti: � invalido ogni atto dei pubblici poteri che non sia conforme 
alla legge�. 
(62) Cfr. G. MARONGIU, Funzione amministrativa e ordinamento democratico, (1992), ora in La 
democrazia come problema, I. Diritto, amministrazione ed economia, tomo II, Bologna, 1994, p. 461, 
il quale afferma che il legame diretto � istaurato �per il tramite di una situazione doverosa che rende 
l�intera attivit� amministrativa, in quanto tale, nel suo nucleo costitutivo, funzione dell�ordinamento generale�; 
inoltre l�Autore sostiene che �il punto dirimente rispetto alla spiegazione tradizionale � costituito 
dal fatto che l�amministrazione, prima di appartenere, di essere parte di un ordinamento parziale, appartiene, 
per cos� dire, all�ordinamento giuridico generale, proprio in quanto funzione, essenziale ai fini 
del pieno dispiegarsi e realizzarsi dell�ordinamento stesso�. Quindi, il rapporto con la direzione politica 
�non � un rapporto di dipendenza privo di una sua qualificazione�, ma si tratta di un rapporto che raccorda 
la funzione amministrativa alla funzione di governo che necessita di una �reciproca autonomia e 
di una specifica diversit� funzionale�. 
(63) Cfr. U. ALLEGRETTI, Pubblica amministrazione e ordinamento democratico, in Foro it., 1984, 
V, p. 205. 
(64) Cfr. U. ALLEGRETTI, Amministrazione pubblica e costituzione, Padova, 1996, p. 20, il quale 
rileva che �costituzionale vuol dire ci� che � essenziale all�essere di un certo ordinamento e della vita 
associata di cui esso � la espressione giuridica, e ci� che � essenziale non � dato solo dall�organizzazione 
di vertice, dalle istituzioni di governo, n� inoltre solo dai diritti e dalla situazioni soggettive fondamentali, 
ma anche da tutto quell�insieme di istituzioni e di funzioni che interessano i problemi vitali dell�uomo, 
la soddisfazione quotidiana dei bisogni�.
CONTRIBUTI DI DOTTRINA 307 
essa � riferibile alla volont� popolare mediante l�istituto della rappresentanza. 
A questo va aggiunto il ruolo peculiare che il Governo assume nell�esperienza 
del cosiddetto �Stato sociale� dove � richiesto un ripensamento delle 
forme attraverso le quali si esercitano i poteri normativi e si svolge l�intera attivit� 
politica statale (65). 
Se si pone attenzione alle pi� rilevanti novit� che contraddistinguono gli 
atti con forza di legge si pu� osservare che i cambiamenti importanti riguardano 
i contenuti e gli oggetti assunti dal decreto-legge. Mediante questo strumento, 
e sfruttando la ormai cronica situazione di instabilit� economica, si 
cercano di introdurre, almeno teoricamente, effetti pi� immediati e concreti 
nella redistribuzione del reddito e nell�attribuzione di risorse. Interventi di 
questo genere operati dall�Esecutivo evidenziano la problematica compatibilit� 
tra Stato di diritto e Stato sociale (66), dove emerge la questione della socialit� 
posta in termini di una �ripartizione regolata dallo Stato, il quale corregge il 
meccanismo di ripartizione dei rapporti sociali a favore di determinate persone 
o gruppi di persone� (67). 
In un tale contesto di delicato equilibrio di logica economica, la combinazione 
tra Stato di diritto e Stato sociale induce il Governo ad operare direttamente, 
mediante piani di ripartizione e di composizione degli interessi in 
contrasto adottati con il ricorso alla decretazione d�urgenza. Gli obiettivi che 
di volta in volta il Governo si pone se da un lato possono connotarsi per la 
loro natura concreta dall�altro pongono alcuni interrogativi non marginali: � 
infatti discutibile che misure di ampio respiro, atte ad incidere stabilmente 
nell�ordinamento, introducendo regole di comportamento sulla cui base i singoli 
poi saranno tenuti a modificare le proprie ricchezze, intenzioni e capacit�, 
possano venire disciplinate dalla decretazione d�urgenza, ossia da uno strumento, 
per sua stessa definizione, provvisorio. 
Ancora una volta, e a maggior ragione in situazioni di emergenza economica, 
l�intervento governativo nell�ambito dello Stato sociale dovrebbe attenersi 
a limiti precisi, e l�eventuale disuguaglianza di fatto che ne dovesse 
(65) Cfr. P. BARCELLONA, Dallo Stato sociale allo Stato immaginario, Torino, 1994, p. 207 secondo 
il quale �le modificazioni connesse all�intervento pubblico e all�attribuzione allo Stato di compiti di regolazione 
del ciclo economico hanno inciso profondamente sulla funzione dell�attivit� legislativa�. 
(66) Cfr. E. FORSTHOFF, Concetto e natura dello stato sociale di diritto, ora in Stato di diritto in 
trasformazione, a cura di AMIRANTE, Milano, 1973, p. 40, dove l�autore rileva che �per rispondere a 
questo interrogativo occorre tener presente che - per dirla in modo elementare - un mezzo Stato di diritto 
ed un mezzo Stato sociale non fanno uno Stato sociale di diritto. Con ci� intendiamo dire: non esiste 
nessuna soluzione di compromesso che possa realizzarsi in modo da minimizzare gli ostacoli da una 
parte e dall�altra. Si tratta piuttosto di considerare lo Stato di diritto nel suo pieno rigore e di controllare, 
sulla base dei suoi concetti, forme ed istituti, se ed in che misura esso si accordi con le esigenze ed i 
contenuti dello Stato sociale e conseguentemente possa accoglierli�. 
(67) Cfr. E. FORSTHOFF, La Repubblica federale tedesca come stato di diritto e stato sociale, in 
Riv. trim. dir. pubbl., 1956, p. 554.
308 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2016 
derivare deve mantenere, come suo presupposto imprescindibile, l�intento di 
ristabilire, quanto pi� possibile, equilibri violati e pacificare conflitti sociali 
per sopperire, in un contesto circoscritto, ad incapacit� o ritardi o assenze che 
la situazione di straordinaria necessit� ha reso ineludibili. 
Si profila dunque l�idea che il ricorso all�emanazione di decreti-legge, 
pur lasciandosi definire come un effetto o una concretizzazione dello Stato sociale, 
non � soltanto una conseguenza di quest�ultimo, e ne � testimone il fatto 
che i decreti-legge continuano ad essere emanati anche nel contesto odierno 
di crisi dello Stato sociale (68). 
Gli argomenti sopra esposti sottolineano il tema di fondo di questo studio: 
continuare a considerare la sistematicit� delle fonti (69) un elemento essenziale 
della certezza del diritto in modo tale che ogni variazione delle fonti deve essere 
riconducibile al sistema mediante interpretazioni certe e stabili (70). 
5. Incidenza del ruolo del decreto-legge sulla forma di governo e riflessi sulla 
forma di Stato. 
L�alterazione del sistema delle fonti causato dall�abuso del ricorso alla 
decretazione d�urgenza presenta una ricaduta negativa anche sulla forma di 
governo. La scelta del costituente per un sistema di governo parlamentare � 
intesa nel senso di considerare con particolare attenzione la delicata ripartizione 
dei poteri di adottare atti di rango primario, in modo che questi siano 
attribuiti in via permanente al Parlamento e solo in via eccezionale, dinanzi a 
situazioni non ordinarie o su delega, al Governo. Quest�ultimo, infatti, proprio 
per il suo carattere rappresentativo soltanto derivato, risulta, in via generale, 
assegnatario di poteri normativi di tipo secondario (71), in linea con la sua natura 
di organo amministrativo, seppur collocato nella posizione di vertice della 
Pubblica Amministrazione. 
Di fronte alla difficolt� manifestata dalla funzione legislativa parlamen- 
(68) Cfr. S. FOIS, Analisi delle problematiche fondamentali dello �Stato sociale�, in Dir. e soc., 
1999, p. 163. 
(69) Cfr. M. DOGLIANI, L�indirizzo politico, Napoli, 1985, p. 23, il quale afferma che �le risposte 
alla domanda su quali siano state le cause che hanno provocato la crisi della fiducia nella autonoma capacit� 
prescrittiva della Costituzione, e cio� nella rilevanza e nella efficacia giuridico-politica dell�attivit� 
di interpretazione, intesa come individuazione/enunciazione, delle regole costituzionali e costituzionalmente 
derivate, potrebbero dunque essere ritrovate in questo duplice ordine di considerazioni: nelle modificazioni 
strutturali conseguenti alla �complessificazione� dell�ordinamento ad opera della legislazione 
delle emergenze, e, fondamentalmente, nel disgregarsi del delicato equilibrio su cui era fondata la cultura 
della �costituzione da attuare�, sotto l�urto di impostazioni che ripropongono come esclusivo lo schema 
della integrazione sostanziale�. 
(70) Cfr. P. CIARLO, Parlamento, Governo e fonti normative, in Dir. amm., 1998, p. 384. 
(71) Cfr. A. CELOTTO, L�abuso del decreto-legge. I profili teorici, evoluzione storica e analisi 
morfologica, Padova, 1997, p. 327, il quale rileva che �la forma di governo parlamentare disegnata dalla 
Costituzione del 1948, nei fatti, � riuscita ad essere applicata solo per una ventina d�anni, nei quali - 
non a caso - il decreto-legge � stato utilizzato in maniera conforme alla Carta costituzionale�. 
CONTRIBUTI DI DOTTRINA 309 
tare a gestire il sistema costituzionale nel suo complesso (72) si � ricorso ad 
altri strumenti di produzione giuridica, adattando, e distorcendo, istituti originariamente 
volti ad altri fini; in tal modo si � arrivati a ritenere il decreto-legge 
una forma di iniziativa legislativa rinforzata (73), flessibile, di facile utilizzo 
e di grandissima efficacia (74). 
Questo fenomeno comporta un pericoloso capovolgimento di ruoli tra 
Governo e Parlamento e provoca una doppia espropriazione sostanziale (75) 
di prerogative proprie delle Camere, sia perch� la sostituzione della disciplina 
governativa a quella parlamentare avviene in modo ordinario, ossia senza la 
sussistenza dei requisiti costituzionali della necessit� e dell�urgenza, sia perch� 
il fatto di dedicare una quota sempre pi� ampia del proprio tempo all�esame 
dei decreti-legge limita grandemente la possibilit� del Parlamento di attendere 
alla legislazione corrente. 
Cos�, la competenza normativa tra Camere e Governo non viene pi� ripartita 
secondo il disegno costituzionale, in quanto entrambi ormai dispongono 
del potere di emanare atti di rango primario in base ai medesimi criteri di opportunit�, 
utilizzando due procedimenti che, vista la prassi, finiscono per divergere 
unicamente per aspetti formali e procedurali, la maggiore o minore 
celerit�, e non per quelli contenutistici, tanto da rendere ordinaria la fonte straordinaria 
e straordinaria quella ordinaria (76). 
Questo insieme di elementi incide profondamente sulla forma di governo 
e la conseguenza � quella di consentire all�Esecutivo di appropriarsi, di fatto 
(72) Cfr. E. CHELI, L�ampliamento dei poteri normativi dell�esecutivo nei principali ordinamenti 
occidentali, in Riv. trim. dir. pubbl., 1959, p. 513, dove si sottolinea, quale �causa tecnica� del pi� generale 
ampliamento dei poteri normativi dell�Esecutivo, la lentezza dei procedimenti di formazione della 
legge e la scarsa attitudine della classe politica parlamentare ad affrontare la regolazione di materie di 
natura prevalentemente tecnica. 
(73) Cfr. A. PREDIERI, Il Governo colegislatore, in CAZZOLA - PREDIERI - PRIULLA, Il decreto-legge 
fra Governo e Parlamento, Milano, 1975, p. XX. 
(74) Cfr. C. CHIMENTI, Addio prima Repubblica. Lineamenti della forma di governo italiana 
nell�esperienza di undici legislature, Torino, 1995, p. 189, il quale evidenzia che il decreto-legge �ha 
completamente perso le sue connotazioni costituzionali di urgenza oggettiva, ed � diventato da un 
lato un manifesto dell�indirizzo politico che il Governo tenta di �imporre� al Parlamento (non solo 
all�opposizione ma anche ad una maggioranza sempre pi� riottosa), e dall�altro un �acceleratore� 
della sua azione amministrativa che pone alle Camere lo spiacevole dilemma fra ratificare o apparire 
come causa di vuoti normativi, e quindi di ingovernabilit��. Cfr. M. RAVERAIRA, Il problema del sindacato 
di costituzionalit� sui presupposti della �necessit� ed urgenza� dei decreti-legge, in Giur. 
Cost., 1982, I, p. 1434, dove lucidamente si osserva che �l�abuso della decretazione d�urgenza, venendo 
a mutare esclusivamente in via di fatto i rapporti tra gli organi costituzionali in ordine all�attivit� 
legislativa�, generi anche una serie di inconvenienti pratici, che certamente � non risolvono le difficolt� 
che rendono attualmente poco funzionale e produttiva l�attivit� del Parlamento, anzi sembrano 
aggravarle�. 
(75) Cfr. S. RODOT�, L�abuso dei decreti-legge-Fenomenologia dei decreti, in Pol. del diritto, 
1980, p. 381. 
(76) Cfr. S. LABRIOLA, Il Governo della Repubblica, organi e poteri: commento alla Legge 400/88, 
Rimini, 1997, p. 162.
310 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2016 
(77), della potest� legislativa parlamentare; la prassi vede sempre pi� spesso 
proporre una nuova tipologia di decretazione d�urgenza, riassunta nella formula 
�decreto-legge ordinario� (78), il quale rappresenta �il punto di emersione 
pi� difettoso di una democrazia mediatoria e assembleare� (79), dove 
Governo, maggioranza ed opposizione, anche mediante un abbondante utilizzo 
di emendamenti, danno origine a vere e proprie �forme di colegislazioni governativo-
parlamentari� (80). 
Questo quadro sottolinea quanto l�istituto regolato dall�art. 77 Cost. abbia 
subito una vera e propria mutazione genetica (81). Attraverso la considerazione, 
affermatisi nella quotidianit� istituzionale, che la decretazione d�urgenza 
sia una fonte ordinaria, continua (82), normalizzata, abitudinaria, concorrenziale 
rispetto alla legge parlamentare, e l�unico elemento eccezionale risiede 
nel procedimento di emanazione e conversione (83). 
Si tratta di una progressiva e costante degenerazione che ha condotto ad 
una radicale trasformazione della natura dell�istituto, che, in via di fatto si � 
venuto a sdoppiare in due figure (84); accanto al decreto-legge conforme all�art. 
77 Cost., che vuole delineare un atto avente forza di legge, indifferibile 
ma provvisorio, si � affermata una seconda tipologia di decretazione d�urgenza, 
che col tempo ha soppiantato la prima, fondata su una interpretazione 
estensiva finalizzata a riscontrare nel decreto-legge un atto di mera anticipazione 
legislativa, destinato ad introdurre nell�ordinamento una disciplina immediata 
e tendenzialmente stabile. 
Si � dunque formata quasi una convenzione costituzionale (85), che ha 
riconosciuto come fonte, quantitativamente prevalente rispetto alla stessa legge 
(77) Cfr. V. ANGIOLINI, Attivit� legislativa del governo e giustizia costituzionale, in Riv. dir. cost., 
1996, p. 248, il quale sottolinea quanto questa modifica sia fondata sulla �pura effettivit� politica e sociale�. 
(78) Cfr. V. CRISAFULLI, Lezioni di diritto costituzionale, II, 1, VI edizione, Padova, 1993, p. 106, 
dove si configura l�ipotesi della creazione di una nuova forma di fonte, un decreto-legge �ordinario�, 
distinto e differenziato da quello dell�art. 77. 
(79) Cfr. A. DI GIOVINE, La decretazione d�urgenza in Italia tra paradossi, ossimori e prospettive 
di riforma, in Studi parlamentari e di politica costituzionale, 1996, n. 111, pp. 5-26. 
(80) Cfr. G. PITRUZZELLA, La lunga transizione: la forma di governo nell�XI e nell�XII legislatura, 
in Dir. pubbl., 1996, p. 429. 
(81) Cfr. A. RUGGERI, La Corte e le mutazioni genetiche dei decreti-legge, in Riv. Dir. Cost., 1996, 
p. 251.
(82) Cfr. G. BERTI, Manuale di interpretazione costituzionale, III edizione, Padova, 1994, p. 175, 
dove l�autore afferma che �la pratica della decretazione normativa � tanto ripetuta da apparire continua�, 
per cui ҏ ancora pi� evidente che la previsione dell�art. 77 � nient�altro che la prefigurazione di un procedimento 
legislativo alternativo, in cui la iniziativa del governo non � diretta a rendere possibile o a 
promuovere il dibattito parlamentare su un disegno di legge, ma a precostituire una legge, obbligando 
il parlamento a pronunciarsi su di essa, approvandola o disapprovandola o modificandola nel termine 
di 60 giorni dalla pubblicazione�. 
(83) Cfr. L. PALADIN, Atti legislativi e rapporti fra i poteri, in Quad. Cost., 1996, p. 14, il quale 
rileva che �di veramente straordinario � non rimane null�altro che il procedimento seguito dal Governo, 
al di fuori delle vie normali della funzione legislativa�. 
(84) Cfr. A. CELOTTO, L�abuso del decreto-legge, cit., p. 310.
CONTRIBUTI DI DOTTRINA 311 
formale, un nuovo tipo di decreto-legge, di natura ordinaria, che costituisce 
un diverso procedimento di formazione della legge (86). 
Come risulta da questa ricostruzione, l�effetto di una degenerazione di 
tale portata � devastante sul sistema delle fonti e, di conseguenza, la forma di 
governo ne esce modificata profondamente, superando l�assetto delineato e 
voluto dalla Costituzione formale (87). 
Si � ampiamente perduta la centralit� del Parlamento, il quale ha cooperato 
a codesta erosione del proprio ruolo di legislatore, �assecondando la conversione 
del decreto-legge e non reagendo innanzi alla loro reiterazione, 
delegando molto e a lungo, rinnovando le deleghe medesime, tollerando la 
prassi dei cosiddetti decreti correttivi� (88). La sopravvenuta centralit� del decreto-
legge, adottato senza i presupposti di straordinaria necessit� ed urgenza 
(89) e privo, in gran parte, di un contenuto prettamente provvedimentale, provoca 
pericolosi squilibri nella separazione dei poteri forieri di disordine istituzionale 
e normativo (90), con forti impatti su valori costituzionalmente 
tutelati (91). 
(85) Cfr. C. FRESA, Provvisoriet� con forza di legge e gestione degli stati di crisi, Padova, 1981, 
p. 154, dove si sostiene che il consenso sul ricorso alla decretazione d�urgenza � inteso come �una sorta 
di svigorimento della forma, per la quale il decreto-legge, da strumento derogatorio ed eccezionale di 
produzione normativa, � divenuto una ordinaria fonte di produzione del diritto�. 
(86) Cfr. G.U. RESCIGNO, Le tecniche legislative oggi in Italia, in VISINTINI, (a cura di), Analisi di 
leggi campione. Problemi di tecnica legislativa, Padova, 1995, p. 739, il quale sottolinea come �oggi in 
Italia non si legifera pi� mediante leggi discusse e approvate in Parlamento, ma mediante decreti-legge 
del Governo, a cui segue talvolta e con molto ritardo, l�approvazione del Parlamento (il quale comunque 
delibera sopra decisioni gi� adottate e gi� applicate)�. 
(87) Cfr. A. PIZZORUSSO, Ripensando i controlli sui decreti legge alla luce dell�esperienza recente, 
in Pol. del diritto, n. 3/1995, p. 373, il quale ricorda che �la difficolt� di conciliare il riconoscimento all�esecutivo 
del potere di decretazione d�urgenza con i principi del governo parlamentare si era manifestato 
gi� nel periodo della monarchia liberale quando i decreti legge venivano giustificati con 
argomentazioni di vario tipo�. 
(88) Cfr. V. ANGIOLINI, Attivit� legislativa del governo e giustizia costituzionale, cit., p. 208. 
(89) Cfr. S. BOCCALATTE, Tra norma e realt�: riflessioni sulla motivazione del decreto-legge alla 
luce della sentenza n. 171/2007, in www.federalismi.it, 5 settembre 2007; cfr. A. CELOTTO, Carlo Esposito, 
le �condiscendenti elaborazioni dei costituzionalisti� e il sindacato sui presupposti del decretolegge, 
in Giur. cost., 2008, p. 1502 ss.; cfr. R. ROMBOLI, Ancora una dichiarazione di incostituzionalit� 
di un decreto-legge (e della legge di conversione) per evidente mancanza dei presupposti: qualche interrogativo 
sul significato e sugli effetti di alcune affermazioni della Corte, in Foro.it, 2008, I, p. 3044 
ss.; cfr. A. RUGGERI, �Evidente mancanza� dei presupposti fattuali e disomogeneit� dei decreti-legge 
(a margine di Corte cost., n. 128 del 2008), ivi, p. 3048 ss. 
(90) Cfr. P. CARNEVALE, Considerazioni sulle pi� recenti decisioni della Corte costituzionale in 
tema di sindacato sui presupposti del decreto-legge (sent. nn. 171 del 2007 e 128 del 2008). Per un tentativo 
di lettura combinata, in forum costituzionale.it; cfr. G. SILVESTRI, Alcuni profili problematici dell�attuale 
dibattito sui decreti-legge, in Pol. del diritto, 1996, p. 426. 
(91) Cfr. L. PALADIN, Atti legislativi del Governo e rapporti fra i poteri, in Quad. cost. 1996, p. 7, 
dove si sottolinea che �la Costituzione formale non � stata affatto soppiantata da una incompatibile costituzione 
materiale; ma viene interpretata ed applicata, sul piano dell�effettivit� giuridica, nel senso di 
far salva - in larghissima misura - la decretazione legislativa d�urgenza, malgrado si tratti del fattore maggiormente 
anomalo e discutibile, se confrontato con qualsiasi altro tipo di atto o di fatto normativo�.
312 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2016 
Alcune considerazioni finali vanno poste anche per quanto riguarda i riflessi 
sulla forma di Stato, volendo sottolineare come tale degenerazione incide 
sulla relazione tra cittadino ed autorit� pubblica. Il rischio concreto � quello 
di intaccare principi fondamentali dell�ordinamento, sanciti a livello costituzionale, 
come il principio di tutela delle minoranze e quello di legalit�. Infatti, 
le minoranze possono partecipare all�iter della decretazione d�urgenza in maniera 
molto limitata, soltanto in sede di conversione, con una forte compressione 
dei loro spazi, dato anche il frequente ricorso alla questione di fiducia 
da parte dell�Esecutivo. 
Il principio di legalit� � sostanzialmente svuotato (92), a fronte dell�assenza 
di qualsivoglia esigenza di urgenza e in presenza di testi estremamente 
articolati ed eterogenei (93); questo determina effetti irreversibili, con grave 
nocumento alla certezza del diritto. 
Ritorna quindi il tema della sovranit� popolare: il principio di legalit� per 
potersi realizzare compiutamente necessita che l�atto normativo prodotto provenga 
dall�organo pi� rappresentativo della volont� popolare (94). Il riequilibrio 
dei rapporti tra Governo e Parlamento non implica un aumento di poteri 
dell�Esecutivo; al contrario, nel caso dell�adozione di atti di rango primario � 
necessario un contenimento. 
La mancata presa di coscienza di cosa effettivamente si intenda per �fatto 
emergenziale� ha finito per consentire al Governo di oltrepassare i limiti di 
elasticit� che una Costituzione rigida pu� tollerare (95). In situazioni di emergenza 
il bisogno di rispondere in maniera rapida ed efficace alla �domanda di 
decisione� rischia di disarticolare il concetto stesso di diritto, inteso come �sistema 
razionale di statuizioni predeterminate� (96). 
Infatti, l�insorgere dell�emergenza pone la questione della modificabilit� 
dell�ordinamento giuridico e dell�esistenza di limiti assoluti a tale modifica- 
(92) Cfr. A. CELOTTO, L�abuso del decreto-legge, cit., p. 345. 
(93) Cfr. A. CELOTTO, L�abuso delle forme della conversione (affinamenti nel sindacato sul decreto-
legge), in Giur. it, 2012, p. 2493; cfr. S.M. CICCONETTI, Obbligo di omogeneit� del decreto-legge 
e della legge di conversione?, in Giur. cost., 2012, p. 2492; cfr. A. GHIRIBELLI, I limiti al potere emendativo 
nel procedimento di conversione in legge alla luce della sentenza della Corte costituzionale n. 
22/2012, in Rass. Parlam., 2012, p. 649; cfr. M. MANETTI, La via maestra che dall�inemendabilit� dei 
decreti-legge conduce all�illegittimit� dei maxi-emendamenti, in Giur. cost., 2012, p. 292; cfr. V. MARCEN�, 
L�eterogeneit� delle disposizioni come �male� da elusione delle fonti sulla produzione del decreto-
legge, in forumcostituzionale.it; cfr. E. ROSSI, Il fine meritevole giustifica l�utilizzo elastico dei 
mezzi: la Corte e la �ridondanza�, in Giur. cost., 2012, p. 298; cfr. R. ZACCARIA, L�omogeneit� dei decreti-
legge: vincolo per il Parlamento o anche per il Governo?, in Giur. cost., 2012, p. 283. 
(94) Cfr. A. PIZZORUSSO, Sistema delle fonti e forma di stato e di governo, in Quad. cost., 1986, 
p. 220.
(95) Cfr. A. PACE, Divagazioni sui decreti-legge non convertiti, in Pol. del diritto, 1995, p. 398, 
dove si sottolinea che non pu� essere consentita una dichiarata elusione di una norma, tale da rovesciare 
il senso di una disposizione costituzionale, a meno che non si voglia trasformare la Costituzione repubblicana 
da rigida a flessibile. 
(96) Cfr. G. MARAZZITA, L�emergenza costituzionale. Definizioni e modelli, Milano, 2003, p. 37.
CONTRIBUTI DI DOTTRINA 313 
zione. Il diritto, pertanto, si trova dinanzi alla sfida di predeterminare e disciplinare 
ci� che, per sua stessa natura, risulta essere frutto dell�imprevedibilit�. 
E in questo senso il rapporto tra autorit� chiamata ad intervenire e cittadini 
corre il pericolo di venire eccessivamente compromesso. I fatti emergenziali 
non possono avere il requisito della regolarit�, eppure, pi� di altri accadimenti, 
richiedono un sistema di regole capace di guidare l�intervento dell�autorit� secondo 
criteri e modalit� costituzionalmente legittime. 
Il tema dunque � la tutela della forma di Stato in tempo d�emergenza, e 
gi� in sede costituente era stato appropriatamente osservato che lo strumento 
del decreto-legge aveva come scopo preciso quello di �adeguare l�ordinamento 
giuridico alle repentine evoluzioni della situazione sociale. Esso fu proposto 
come un valido strumento tecnico al fine di garantire la certezza preventiva 
del diritto. I vantaggi propri della certezza preventiva del diritto vengono meno 
ogni qual volta un ordinamento giuridico non possiede gli strumenti operativi 
necessari a far fronte a nuove ed urgenti situazioni sociali da regolamentare� 
(97). La misura emergenziale prevista dall�art. 77 Cost. necessit� di una interpretazione 
che consideri insieme i principi sia della forma di governo sia 
della forma di Stato: si corre infatti il rischio che questi tipi di interventi, invece 
di garantire la tutela di determinati valori e di interessi primari anche in circostanze 
straordinarie, siano impiegati strumentalmente per introdurre nuovi valori 
o per negare quelli fino ad allora garantiti. I poteri d�emergenza, proprio 
per la loro caratteristica di derogare il sistema ordinario delle fonti del diritto, 
possono avanzare la pretesa di non sottostare a limitazioni di sorta, ritenendo 
lecito sacrificare tutto ci� che la necessit� impone (98). 
(97) Cfr. G. TARANTINO, Necessit� e decreto legge nell�assemblea costituente: la posizione di Giuseppe 
Codacci-Pisanelli, Milano, 1986, p. 27. 
(98) Cfr. A. PACE, Instaurazione di una nuova Costituzione. Profili di teoria costituzionale, Relazione 
al Convegno annuale dell�Associazione italiana dei costituzionalisti tenuto a Torino il 25 e 26 ottobre 
1996, ora in Quad. cost., 1/1997, p. 17, dove si riflette sulla distinzione tra potere costituente 
(potere di mero fatto) e funzioni sovrane (poteri giuridici) e sulla insostenibilit� della tesi che una costituzione 
possa istituzionalmente attribuire a chiunque il potere costituente.
RECENSIONI 
GUGLIELMO BERNABEI (*), GIACOMO MONTANARI (**), Tributi 
Propri e Autonomie Locali. Difficile sviluppo di un sistema di 
finanza propria degli enti locali. Seconda edizione. 
PRIMICERI EDITORE, 2016, P. 450 
PREMESSA ALLA SECONDA EDIZIONE 
Uno degli aspetti pi� critici di una indagine attenta sul sistema dei tributi propri e delle 
autonomie locali deriva dal fatto che, nel nostro ordinamento, permane una situazione di 
�complessiva indecisione� sul modello finanziario degli enti locali, soggetto a continue oscillazioni 
tra due poli antitetici, ossia quello della finanza propria e quello della finanza di trasferimento, 
tra i quali non � tuttora possibile tracciare una precisa linea di demarcazione. 
Ancora oggi, infatti, la Costituzione repubblicana, nonostante le revisioni intercorse in materia 
di finanza locale, prevede per gli enti locali entrambe le forme di provvista finanziaria, senza 
per� precisarne il reciproco rapporto, ossia senza indicare elementi idonei a definire il concorso 
che ciascuna di essa deve avere nella struttura finanziaria locale. 
In tal senso, i processi di federalismo fiscale, avviati e non conclusi, uniti all�asserita 
intenzione di rafforzare autonomia e decentramento non hanno concretamente determinato 
significativi rafforzamenti dello spazio di autonomia finanziaria locale. 
Al contrario, � facilmente rilevabile che si � proceduto ad una semplice trasformazione 
delle modalit� e degli strumenti attraverso i quali lo Stato esercita le proprie prerogative in 
materia di controllo finanziario sugli enti locali. 
Il percorso di attuazione della riforma del Titolo V, avviata nell�ormai lontano 2001, 
(*) Dottore di ricerca e cultore della materia in diritto costituzionale, diritto regionale e degli enti locali 
presso l�Universit� di Ferrara. 
(**) Laureato in Giurisprudenza presso l�Universit� di Ferrara, specializzato presso la scuola di specializzazione 
per le professioni legali dell�Universit� di Padova ed esperto di diritto tributario degli enti 
locali e di finanza locale. 
I due autori, oltre a numerose pubblicazioni sul tema della finanza locale, sono collaboratori delle riviste 
"Tributi Locali e Regionali", "Tributi & Bilancio" e "Innovazione e Diritto. Rivista di diritto tributario, 
dell'economia e del lavoro" dell'Universit� di Napoli Federico II.
316 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2016 
non ha mai realmente trovato piena applicazione. I diversi decreti delegati che si sono susseguiti 
negli ultimi anni si sono mossi prevalentemente su un piano ancora troppo generale, 
rinviando ad altri provvedimenti, poi non adottati, di natura amministrativa e regolamentare, 
la disciplina di procedure di notevole rilevanza nell�ottica del raggiungimento delle finalit� 
della riforma. 
Inoltre, le rigorose misure di finanza pubblica, realizzate con atti di decretazione d�urgenza 
a partire dal 2011, in un contesto di grave crisi economica, hanno avuto un impatto negativo 
sul piano dell�attuazione della legge n. 42 del 2009, restringendo gli spazi di autonomia 
finanziaria e tributaria che faticosamente gli enti locali si erano ritagliati nel corso del decennio 
precedente. I decreti sulla cosiddetta spending review hanno, poi, rappresentato uno strumento 
di forte impatto sul controllo della spesa pubblica nei confronti di tutti gli enti territoriali. Tali 
provvedimenti, adottati da un legislatore incerto e spesso confuso, si sono posti in una logica 
opposta rispetto al modello prefigurato dal riformato Titolo V della Costituzione e dalla legge 
delega 42/2009, sulla spinta di una situazione emergenziale che non ha inteso valorizzare l�autonomia 
locale, preferendo muoversi secondo l�indirizzo di una ricentralizzazione dei poteri 
statali in tema di coordinamento della finanza locale. In questa direzione, gli interventi pi� 
significativi si sono avuti col decreto-legge n. 201/2011, �Salva Italia�, convertito con modificazioni 
nella legge n. 214/2011, col decreto-legge n. 52/2012, Disposizioni urgenti per la 
razionalizzazione della spesa pubblica, convertito con modificazioni nella legge n. 94/2012, 
e dal decreto-legge n. 95/2012, Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica, 
convertito con modificazioni nella legge n. 135/2012. Tali provvedimenti hanno introdotto 
nel nostro ordinamento una serie di norme, poi rafforzate in sede di legge di Stabilit� per gli 
anni 2013, 2014, 2015 e 2016, finalizzati a ridurre la spesa pubblica. Si � verificata una progressiva 
riduzione dei trasferimenti dallo Stato centrale agli enti locali. Sottrazione di risorse 
economiche che hanno creato non poche difficolt� nel funzionamento dell�ente locale stesso 
e nella gestione del territorio da esso governato. 
Non essendo pensabile per un Comune poter continuare a svolgere le proprie funzioni 
in assenza di risorse adeguate, il legislatore ha stabilito che quanto veniva a mancare nelle 
casse comunali, a seguito di tagli ai trasferimenti, doveva essere raccolto con l�imposizione 
fiscale locale. Pertanto, a partire dal 2012 con l�introduzione dell�Imu e, a seguire, con l�aggiunta 
della Tasi e della Tari, l�ente locale comunale deve soddisfare le proprie esigenze di 
gestione. 
La diminuzione dei trasferimenti dallo Stato si � tradotto in un aumento della pressione 
fiscale sui cittadini ma non si � avuto un tangibile beneficio per il Comune, sempre teso tra 
una politica di mantenimento e di miglioramento dei servizi e l�attenzione a non procedere 
ad ulteriori aumenti della pressione fiscale locale. 
In tema di tassazione immobiliare, il legislatore ha inteso perseguire due obiettivi: da 
un lato, il riequilibrio strutturale dei conti pubblici per ridurre rapidamente il peso del debito, 
dall�altro, una ricomposizione del prelievo da attuarsi riducendo il carico fiscale sulle imprese 
e sul fattore lavoro aumentando la pressione sul patrimonio immobiliare. Gli immobili sono 
stati visti come la materia ideale per individuare una imposta di tipo patrimoniale posta a base 
di una imposizione ispirata dal principio di territorialit�. 
Tuttavia, gli interventi normativi non hanno tenuto nella giusta considerazione le differenziazioni 
a livello dimensionale e territoriale degli enti locali. Il livello e la composizione 
delle entrate e delle spese dei Comuni presenta, infatti, una forte variabilit� legata all�eterogeneit� 
delle loro caratteristiche orografiche, demografiche, economiche e sociali. 
RECENSIONI 317 
Queste sono alla base di domande differenziate di servizi da parte dei cittadini e, nello 
stesso tempo, condizionano i costi della fornitura dei medesimi servizi. L�emergenza della 
crisi economica ha indotto il legislatore statale a considerare le autonomie locali come centri 
di spesa, fattori di espansione del deficit e del debito pubblico e non come enti portatori di interessi 
collettivi e dotati di una propria autonomia. Ne � derivato un forte impedimento per 
gli enti locali al reperimento di risorse aggiuntive con le quali esercitare la propria autonomia 
finanziaria e tributaria. 
Anche le posizioni assunte dalla Corte costituzionale hanno sostanzialmente avallato 
l�indirizzo �accentratore� esercitato dallo Stato, sebbene i giudici costituzionali abbiano sottolineato 
la �temporaneit�� di determinati interventi macroeconomici. In tal senso la Corte 
ha avuto modo di affermare, nella sentenza n. 193 del 2012, che �i principi fondamentali in 
materia di coordinamento della finanza pubblica possono certamente prevedere misure restrittive 
di contenimento della spesa pubblica indirizzate agli enti locali, ma trattandosi di misure 
eccezionali e adottate in un contesto emergenziale, il legislatore non pu� esprimersi come 
se tali norme dovessero trovare applicazione per un tempo indeterminato�. 
Questo dato conferma che la grave recessione economica � stata un fattore determinante 
nel frenare il cammino verso il federalismo fiscale, che gi� di per s� aveva mostrato tutti i caratteri 
di una partenza incerta, con scarse prospettive di compimento. 
Questa seconda edizione del testo, mantenendo lo schema, peculiare della prima edizione, 
di una rassegna ragionata, ha inteso approfondire le innovazioni apportate dalla legge 
di Stabilit� 2016, indagando pi� a fondo sulle strutturali lacune che il nostro ordinamento 
presenta in merito alla configurazione di un�autentica Local Tax, che ancora tarda a definirsi. 
La legge di Stabilit� 2016, infatti, non apporta le novit� sperate in tema di imposizione immobiliare 
locale. La definizione di una autentica forma di service tax sembra abbandonata e 
il tutto si conclude con l�abolizione del prelievo sull�abitazione principale e con l�abolizione 
dell�Imu agricola. 
Non siamo dinanzi alla soppressione totale della Tasi, che si continua ad applicare sugli 
immobili diversi dall�abitazione principale, venendo meno quel collegamento con il costo dei 
servizi indivisibili forniti dai Comuni, i cui primi utilizzatori sono sicuramente i titolari di 
abitazione principale. 
La presente edizione si propone, pertanto, di rileggere il percorso dei tributi locali immobiliari, 
fino a prospettare le caratteristiche di un vero modello di Service Tax. In quest�ottica 
si � posta particolare attenzione ai sistemi vigenti nelle Province autonome di Trento e 
Bolzano, oltre a confermare l�aspetto comparatistico, adottando come paradigma la Council 
tax inglese. 
Una importante novit� della seconda edizione consiste nel capitolo introduttivo. 
Autorevoli e rinomati studiosi e operatori del settore, tra i massimi esperti in materia di 
finanza locale, hanno inteso apportare il loro contributo, arricchendo il testo con le proprie 
considerazioni e valutazioni sulle questioni aperte dal difficile sviluppo di un sistema di finanza 
propria degli enti locali. 
A (in ordine alfabetico) Andrea Ferri, Luigi Lovecchio, Giorgio Macciotta, Pasquale 
Mirto, Giancarlo Pola e Francesco Tuccio, importanti interpreti del complesso ambito delle 
autonomie locali, porgiamo il nostro sentito ringraziamento per le argomentazioni esposte, il 
supporto offerto e le indicazioni suggerite nella redazione di questa nuova edizione. 
Allo stesso modo un ringraziamento sentito va all�ANUTEL, Associazione Nazionale 
degli Uffici Tributi degli Enti Locali, e all�IFEL, Istituto per la Finanza e l�Economia Locale,
318 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2016 
Fondazione istituita dall�Associazione Nazionale dei Comuni Italiani (ANCI), per il contributo 
di sostegno e di promozione del testo. 
Infine, un pensiero specifico va alla Fondazione ASTRID, Fondazione per l�Analisi, gli 
Studi e le Ricerche sulla Riforma delle Istituzioni Democratiche e sulla innovazione nelle amministrazioni 
pubbliche, e, in modo particolare, al suo direttore, Vittorio Campione, per la fiducia 
accordataci e l�attenzione con la quale � stata seguita la presente ricerca. 
Tutti questi centri di studio sono stati preziosi compagni di viaggio nel complesso percorso 
di indagine delle autonomie locali. 
Marzo 2016 
Guglielmo Bernabei 
Giacomo Montanari
RECENSIONI 319 
INDICE 
�TRIBUTI PROPRI E AUTONOMIE LOCALI 
Difficile sviluppo di un sistema di finanza propria degli enti locali� 
PREMESSA ALLA SECONDA EDIZIONE 
PREMESSA ALLA PRIMA EDIZIONE 
INTRODUZIONE 
Andrea Ferri �Federalismo fiscale italiano: un cantiere ancora aperto�. 
Luigi Lovecchio �Finanza locale e problemi applicativi�. 
Giorgio Macciotta �Decentramento istituzionale: una via pi� dichiarata che tentata�. 
Pasquale Mirto �Iuc: tributo o semplice acronimo?�. 
Giancarlo Pola �Ruolo dei tributi immobiliari nel sistema locale italiano�. 
Francesco Tuccio �Legge di Stabilit� 2016 e la grande assente: la Local Tax�. 
I. EVOLUZIONE DEL SISTEMA DI AUTONOMIA LOCALE NELL�ORDINAMENTO 
COSTITUZIONALE ITALIANO 
1. Stato federale, Stato regionale e Federalismo fiscale. 
2. Evoluzione del sistema di autonomia locale. 
3. Il sistema di finanza locale prefigurato dalla Riforma del Titolo V: tratti generali. 
4. Il coordinamento della finanza pubblica nel processo di attuazione del Titolo V. 
II. AUTONOMIA TRIBUTARIA E POTERE REGOLAMENTARE DEGLI ENTI LOCALI 
1. Il Federalismo fiscale. 
2. Finanza municipale: linee di sviluppo. 
3. Potest� normativa in materia di tributi propri degli enti locali. 
4. Condizione attuale del potere regolamentare degli enti locali. 
5. Potest� regolamentare in materia di accertamento e Riscossione. 
6. Osservazioni. 
III. TRIBUTI IMMOBILIARI E AUTONOMIE LOCALI: UNA RIFORMA MANCATA 
1. Premessa. 
2. Cedolare secca sugli affitti. 
3. Tasi-Imu e Service Tax: difficile sviluppo dei tributi locali. 
3.1 Il contesto di riferimento. 
3.2 Uno sviluppo difficile. 
3.3 Tasi-Imu, prima casa e Legge di Stabilit� 2016. 
3.4 Tasi-Imu e immobili in comodato d�uso. 
3.5 Imu e immobili di lusso adibiti a prima casa. 
3.6 Imu e possibili rilievi di legittimit� costituzionale. 
3.7 Una service tax mascherata. 
3.8 Corte Costituzionale sentenza n. 155/2015. 
4. Tari. 
4.1 Premessa. 
4.2 La disciplina della Tari. 
4.3 Incerto fondamento della tassazione dei rifiuti solidi urbani. 
5. Tari e natura giuridica. 
5.1 Premessa.
320 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2016 
5.2 La nozione di tributo negli orientamenti della giurisprudenza costituzionale e di legittimit�. 
5.3 Sentenza della Corte di Cassazione n. 12035/2015 e natura della Tari. 
6. Commento a Commissione tributaria provinciale di Lecce, sentenza n. 1891/2015. 
6.1 Premessa. 
6.2 Fatti di causa e la decisione. 
6.3 Riflessioni a margine della pronuncia. 
7. Imu agricola. 
7.1 Tasi e terreni agricoli. 
7.2 Imu agricola: imposizione e forme di esenzione. 
7.3 Imposizione fiscale locale e settore agricolo. 
8. Assetto della finanza locale e introduzione della Iuc: questione aperta. 
IV. IL CONSOLIDAMENTO DELL�ASSETTO FINANZIARIO DELLA PROVINCIA AUTOTONOMA 
DI BOLZANO 
1. Premessa 
2. Il consolidamento dell�assetto finanziario della Provincia autonoma di Bolzano. 
3. La finanza propria. 
4. Il caso Imi. 
V. PROVINCIA AUTONOMA DI TRENTO E AUTONOMIA FINANZIARIA: IL CASO IMIS 
1. Premessa. 
2. Autonomia finanziaria. 
3. La finanza propria. 
4. Il caso Imis. 
5. Tari e disciplina nel Comune di Trento. 
5.1 Premessa. 
5.2 Tariffa rifiuti e disciplina della Provincia autonoma di Trento. 
5.3 Tari e Comune di Trento. 
5.4 Natura corrispettiva Tari trentina. 
VI. FEDERALISMO FISCALE E PROSPETTIVA COMPARATISTICA: COUNCIL TAX 
1. Premessa. 
2. Federalismo fiscale e prospettiva comparatistica. 
3. L�esperienza del Regno Unito: la Council tax. 
VII. MODELLI DI LOCAL TAX A CONFRONTO 
1. Premessa. 
2. Tassazione locale e teoria del beneficio. 
3. Iuc e Local Tax. 
4. Modelli di detrazione per Local Tax. 
5. Local Tax e spazi di manovra dei Comuni. 
5.1 Imposte sul patrimonio immobiliare e possibili nuove entrate per i Comuni. 
5.2 Local Tax minimale. 
5.3 Local Tax: verso l�aggregazione Imu e Tasi. 
6. Obiettivo Local Tax. 
APPENDICE NORMATIVA 
APPENDICE GIURISPRUDENZIALE
Finito di stampare nel mese di maggio 2016 
Stabilimenti Tipografici Carlo Colombo S.p.A. 
Vicolo della Guardiola n. 22 - 00186 Roma