ANNO LXVIII - N. 1 GENNAIO - MARZO 2016 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO PUBBLICAZIONE TRIMESTRALE DI SERVIZIO COMITATO SCIENTIFICO: Presidente: Michele Dipace. Componenti: Franco Coppi - Giuseppe Guarino - Natalino Irti - Eugenio Picozza - Franco Gaetano Scoca. DIRETTORE RESPONSABILE: Giuseppe Fiengo - CONDIRETTORI: Maurizio Borgo, Danilo Del Gaizo, Stefano Varone. COMITATO DI REDAZIONE: Giacomo Aiello - Lorenzo DAscia - Gianni De Bellis - Francesco De Luca - Wally Ferrante - Sergio Fiorentino - Paolo Gentili - Maria Vittoria Lumetti - Francesco Meloncelli - Marina Russo. CORRISPONDENTI DELLE AVVOCATURE DISTRETTUALI: Andrea Michele Caridi - Stefano Maria Cerillo - Pierfrancesco La Spina - Marco Meloni - Maria Assunta Mercati - Alfonso Mezzotero - Riccardo Montagnoli - Domenico Mutino - Nicola Parri - Adele Quattrone - Pietro Vitullo. HANNO COLLABORATO INOLTRE AL PRESENTE FASCICOLO: Guglielmo Bernabei, Chiara Bianco, Francesco Maria Ciaralli, Marco Corsini, Eugenio De Bonis, Simone DOrsi, Ettore Figliolia, Salvatore La Fauci, Adriana Lagioia, Marco La Greca, Ilia Massarelli, Massimo Massella Ducci Teri, Giacomo Montanari, Adolfo Mutarelli, Giovanni Palatiello, Carlo Maria Pisana, Diana Ranucci, David Romei, Massimo Salvatorelli, Mario Antonio Scino, Francesco Sclafani, Marco Stigliano Messuti, Antonio Tallarida, Roberta Tortora, Ivan Michele Triolo. Email giuseppe.fiengo@avvocaturastato.it maurizio.borgo@avvocaturastato.it danilo.delgaizo@avvocaturastato.it stefano.varone@avvocaturastato.it ABBONAMENTO ANNUO .............................................................................. 40,00 UN NUMERO .............................................................................................. 12,00 Per abbonamenti ed acquisti inviare copia della quietanza di versamento di bonifico bancario o postale a favore della Tesoreria dello Stato specificando codice IBAN: IT 42Q 01000 03245 348 0 10 2368 05, causale di versamento, indirizzo ove effettuare la spedizione, codice fiscale del versante. I destinatari della rivista sono pregati di comunicare eventuali variazioni di indirizzo AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO RASSEGNA - Via dei Portoghesi, 12, 00186 Roma E-mail: rassegna@avvocaturastato.it - Sito www.avvocaturastato.it Stampato in Italia - Printed in Italy Autorizzazione Tribunale di Roma - Decreto n. 11089 del 13 luglio 1966 INDICE - SOMMARIO TEMI ISTITUZIONALI Giudizi in grado di appello dinnanzi alle Commissioni Tributarie Regionali concernenti il contributo unificato dovuto per i ricorsi dinnanzi al giudice amministrativo. Art. 11 comma 2 D.Lgs. n. 546/1992. Patrocinio dellAvvocatura dello Stato, Circolare AGS prot. 164766 del 6 aprile 2016 n. 16 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Eugenio De Bonis, Sul parere di congruit dellAvvocatura dello Stato in caso di liquidazione delle spese legali da parte del giudice contabile Giacomo Aiello, Laccesso al patrocinio erariale degli enti pubblici locali dotati di autonomia funzionale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE Antonio Tallarida, Il ruolo delle Regioni nellordinamento comunitario. Il caso Italia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . David Romei, La Corte di giustizia UE boccia il Consiglio di Stato sullordine di esame dei ricorsi (C. giustiza UE, Grande Sez., sent. 5 aprile 2016, causa C-689/13) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . CONTENZIOSO NAZIONALE Giovanni Palatiello, Le confessioni religiose e lo Stato, sulle intese di cui allart. 8, co. 3, Cost. (C. cost., sent. 10 marzo 2016 n. 52). . . . . . . . . . . Carlo Maria Pisana, Una vittoria nel contrasto alla grande evasione. Il chiarimento della Cassazione sulla clausola del rendimento minimo garantito (Cass. civ., Sez. V, sentt. 1 aprile 2016 nn. 6330, 6331) . . . . . . Carlo Maria Pisana, Il danno da svalutazione per ritardato adempimento di una obbligazione pecuniaria: la specialit della fattispecie tributaria (Cass. civ., Sez. VI - T, ord. 20 aprile 2016 n. 7803) . . . . . . . . . . . . . . . . Adriana Lagioia, Gli effetti della sentenza di cassazione con rinvio sul titolo esecutivo (Cass. civ., Sez. III, sent. 3 aprile 2015 n. 6822) . . . . . . . . Chiara Bianco, Limparzialit del giudice e la societ democratica europea (Cons. St., Sez. III, sent. 27 luglio 2015 n. 3679) . . . . . . . . . . . . Marco La Greca, Lo stato della giurisprudenza del Consiglio di Stato sulla ammissibilit delle notifiche pec nel processo amministrativo e ... (Cons. St., Sez. VI, sent. 28 maggio 2015 n. 2682; Sez. III, sent. 14 settembre 2015 n. 4270; Sez. V, sent. 22 ottobre 2015 n. 4863; Sez. III, sent. 14 gennaio 2016 n. 91; Sez. III, sent. 20 gennaio 2016 n. 189) . . . . . . . . ... il dies a quo per le notifiche pec nel processo civile . . . . . . . . . . . . . . Wally Ferrante, Una pronuncia del Consiglio di Stato sullonere di autonoma impugnazione e sulla distanza delle sale giochi da luoghi sensibili (Cons. St., Sez. III, sent. 10 febbraio 2016 n. 579) . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 1 3 6 15 27 45 74 81 84 98 132 138 146 Mario Antonio Scino, La giurisprudenza amministrativa e i vincoli paesaggistici (Cons. St., Sez. VI, sent. 7 marzo 2016 n. 914) . . . . . . . . . . . . I PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO Ilia Massarelli, Diniego della concessione della cittadinanza iure matrimoni: il giudice competente . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Ettore Figliolia, Spettanza dei contributi per leliminazione di barriere architettoniche in caso di decesso del portatore di handicap . . . . . . . . . Roberta Tortora, Problematiche interpretative relative alla equiparazione delle vittime del terrorismo ai grandi invalidi di guerra . . . . . . . . . . . . . Marco Stigliano Messuti, Sul principio di omnicomprensivit del trattamento economico dirigenziale di cui allart. 24, D.lgs. 165/2001 . . . . . . Massimo Salvatorelli, Acquisto e trasferimento tramite permuta di beni immobili tra Stato e Provincia Autonoma di Bolzano. Il quadro normativo attualmente vigente. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Mario Antonio Scino, Soggetti tenuti al rilascio della documentazione antimafia in caso di partecipazioni societarie indirette . . . . . . . . . . . . . . Ettore Figliolia, Disciplina delledilizia residenziale a favore di dipendendi pubblici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Giacomo Aiello, Prestazioni previdenziali erogate da Stazione appaltante a fronte di irregolare posizione contributiva dellimpresa fallita . . . . . . Francesco Sclafani, Autorizzazioni per gli ambulatori e regime sanzionatorio delle violazioni. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Marco Corsini, Estensione soggettiva della chiamata diretta nelle assunzioni protette . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Mario Antonio Scino, Presupposti e requisiti ai fini del rimborso delle spese legali ex art. 18 D.L. n. 67/1997. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Marco Corsini, Verso una nuova concezione dellalloggio di servizio: lhousing sociale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Diana Ranucci, Effetti del giudicato penale sui dipendenti delle p.a.: distinguo tra reato consumato o tentato . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . LEGISLAZIONE ED ATTUALIT Guglielmo Bernabei, Tributi locali comunali e modelli di local tax a confronto. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Salvatore La Fauci, Enti locali: il responsabile finanziario, titolare del fondamentale interesse pubblico di tutela della gestione finanziaria anche ... attraverso lo strumento ricorsuale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Ivan Michele Triolo, Il trasporto pubblico locale: la qualificazione dellattivit in termini di servizio pubblico e il contratto di servizio . . . . . . pag. 157 169 173 175 178 182 194 200 202 206 209 211 218 225 229 243 247 CONTRIBUTI DI DOTTRINA Adolfo Mutarelli, Profili problematici della tutela processuale in tema di pensioni ordinarie dinanzi alla Corte dei Conti. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Francesco Maria Ciaralli, Simone DOrsi, La destinazione patrimoniale nel transito da moduli tipici a forme atipiche di esercizio dellimpresa: larchetipo del contratto di rete . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Guglielmo Bernabei, Crisi della legge e decretazione durgenza . . . . . . RECENSIONI Guglielmo Bernabei, Giacomo Montanari, Tributi propri e Autonomie Locali. Difficile sviluppo di un sistema di finanza propria degli enti locali. Seconda edizione, Primiceri Editore, 2016 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 265 279 291 315 TEMI ISTITUZIONALI Avvocatura Generale dello Stato CIRCOLARE N. 16/2016 Oggetto: Giudizi in grado di appello dinnanzi alle Commissioni Tributarie Regionali concernenti il contributo unificato dovuto per i ricorsi dinnanzi al giudice amministrativo. Art. 11 comma 2 D.Lgs. n. 546/1992. Patrocinio dellAvvocatura dello Stato. Com' noto l'art. 11 comma 2 del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, (Disposizioni sul processo tributario) - a seguito della modifica introdotta dall'art. 9, comma 1, lett. d), n. 1), del D.Lgs. 24 settembre 2015, n. 156 - prevede che "L'ufficio dell'Agenzia delle entrate e dell'Agenzia delle dogane e dei monopoli di cui al decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300 nonch dell'agente della riscossione, nei cui confronti proposto il ricorso, sta in giudizio direttamente o mediante la struttura territoriale sovraordinata. Stanno altres in giudizio direttamente le cancellerie o segreterie degli uffici giudiziari per il contenzioso in materia di contributo unificato". La novella ha pertanto modificato - con decorrenza dal 1 gennaio 2016 - la precedente formulazione della norma che sembrava limitare al solo primo grado la possibilit per le cancellerie o segreterie di uffici giudiziari, per le cause in tema di contributo unificato, di stare in giudizio senza difesa tecnica. Il Segretariato Generale della Giustizia Amministrativa ha evidenziato come tale mutato contesto normativo presenti profili di criticit con riferimento al contenzioso concernente gli organi di giustizia amministrativa (in particolare le segreterie di T.A.R. e Consiglio di Stato). In tale ambito risultano infatti ancora irrisolte alcune questioni delicate e di non irrilevante complessivo valore economico. Oltre al problema della debenza del contributo unificato sui ricorsi proposti dalle ONLUS (questione sulla quale si sta cercando di ottenere in tempi brevi un pronunciamento della Corte di Cassazione), particolarmente delicate appaiono le questioni concernenti la debenza del contributo unificato con riguardo ai motivi aggiunti al ricorso; sul punto - com' noto - la Corte di Giustizia dell'Unione Europea, con la sentenza 6 ottobre 2015 (in causa C- 61/14), ha stabilito che la decisione sulla loro assoggettabilit a contributo unificato rimessa al giudice nazionale, che a tal fine dovr valutare la loro effettiva distinzione rispetto al ricorso 2 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2016 principale e l'idoneit a determinare un "ampliamento considerevole dell'oggetto della controversia gia pendente". Altre tematiche di rilievo riguardano infine il regime delle esenzioni. Tanto premesso, considerata la delicatezza delle questioni suddette e l'assenza di precedenti giurisprudenziali sul punto, si ritiene opportuno che la difesa in grado di appello - almeno fino a che le questioni pi delicate non vengano risolte con orientamento sufficientemente consolidato - continui ad essere assicurata dall'Avvocatura dello Stato in relazione alle seguenti controversie: - ricorsi in materia di appalti (rito applicabile ed importi dovuti); - debenza del contributo unificato in relazione ai motivi aggiunti al ricorso principale (in seguito alla sentenza della Corte di Giustizia del 6 ottobre 2015 in causa C-61/14); - esenzione in base all'art. 73 co. 1 della L. 219/1981 (terremoto1980); - esenzione per le ONULS; - esenzione per i ricorsi in materia di ore di sostegno. In relazione a quanto sopra si ritiene pertanto che debba darsi positivo riscontro alla richiesta di patrocinio che sar formulata dalle Segreterie degli organi di Giustizia Amministrativa, interessando la Scrivente per qualsiasi problematica particolare che dovesse emergere. Al fine di monitorare il contenzioso sulle varie questioni, si invita a tenere informata la Scrivente sull'esito dei suddetti giudizi, inviando le decisioni all'indirizzo PEC della sezione prima (sezione1@mailcert.avvocaturastato.it) facendo rifcrimento al Cs. 12205/16 (avv. De Socio). L'AVVOCATO GENERALE DELLO STATO Massimo Massella Ducci Teri TEMI ISTITUZIONALI 3 Sul parere di congruit dellAvvocatura dello Stato in caso di liquidazione delle spese legali da parte del giudice contabile PARERE RESO DAL COMITATO CONSULTIVO IN DATA 13/01/2016-13436, AL 39972/15, AVV. EUGENIO DE BONIS Con la nota sopra indicata codesta Amministrazione ha chiesto il parere della Scrivente sulla legittimit del rimborso delle spese legali sostenute dalla dipendente indicata in oggetto, per difendersi nel giudizio di responsabilit dinanzi alla Corte dei Conti conclusosi con la sentenza n. 480/2015 della Sez. Giurisdizionale per la Regione Abruzzo che ha assolto la Sig.ra dagli addebiti contestati. La questione risulta gi affrontata pi volte da precedenti pareri di questa Avvocatura e, da ultimo, dalla circolare n. 31/2014 dellAvvocato Generale dello Stato. In una prima fase sulla questione che si pone in questa sede (se ed in che misura il dipendente abbia diritto alla liquidazione delle spese legali in caso di definitivo proscioglimento, quando tali spese siano state liquidate da parte del giudice contabile in sentenza), la Scrivente si espressa, diffusamente, con il parere n. 4097 del 5 gennaio 2012, (in relazione al CS 36085/11) affermando la rimborsabilit delle spese de quibus anche in misura diversa da quella stabilita dal giudice contabile. Successivamente allorientamento assunto sulla questione, intervenuta la sentenza della Corte di Cassazione sez. lavoro n. 19195/13, che si occupata proprio della possibilit o meno di un rimborso di spese legali a carico dellAmministrazione ulteriore rispetto alla liquidazione stabilita nella sentenza. In tale pronuncia la Suprema Corte afferma testualmente: Il rimborso giudiziale costituisce infatti uno strumento prettamente processuale con cui si tutela concretamente il diritto alla difesa affermato dallart. 24 Cost.. Ed ancora: La valutazione che compie il giudice contabile, allesito della definizione del rapporto dedotto, riguarda nel suo complesso il regolamento delle spese del giudizio in ragione dello sviluppo e della conclusione del processo in particolare pronunciando sullammissibilit e i limiti di riconoscimento delle spese legali per come risultano dalla documentazione allegata dal convenuto. La natura processuale della richiesta del rimborso delle spese comporta che non pu ammettersi neppure una sopravvivenza integrativa del rimborso extragiudiziale a fronte di uneventuale incongrua liquidazione delle spese ad opera del giudice contabile. Pertanto, conclude la decisione, Dopo lentrata in vigore dellart. 10 bis, co. 10 d.l. n. 203/05 (convertito con modificazioni in legge n. 248/05), in caso di proscioglimento nel merito del convenuto in giudizio per responsabilit amministrativo - contabile innanzi alla Corte dei Conti, spetta esclusivamente a detto giudice, con la sentenza che definisce il giudizio, liquidare - ai sensi e con le modalit di cui allart. 91 c.p.c. e a 4 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2016 carico dellamministrazione di appartenenza - lammontare delle spese di difesa del prosciolto, senza successiva possibilit per questultimo di chiedere in separata sede allamministrazione medesima la liquidazione di dette spese, neppure in via integrativa della liquidazione operata dal giudice contabile. Tale principio si applica anche in ipotesi di compensazione delle spese disposta dal giudice contabile nel vigore del testo del cit. art. 10 bis, co. 10 d.l. n. 203/05 anteriormente alla novella di cui allart. 17 d.l. n. 78/09, convertito, con modificazioni, in legge n. 102/09. Alla luce di tale decisione, con circolare n. 31/2014 dellAvvocato Generale dello Stato stata disposta la sospensione della formulazione dei pareri di competenza della Scrivente in merito alle istanze di rimborso delle spese legali relative a giudizi di responsabilit di dipendenti statali celebrati dinanzi alla Corte dei Conti e conclusi con lassoluzione, e ci in relazione ai contrastanti orientamenti sulla predetta questione. Considerato quanto sopra ed in mancanza di interventi del legislatore o successivi rilevanti decisioni giurisprudenziali, si deve escludere, allo stato, la possibilit per lAmministrazione di sostituirsi al giudice contabile nella valutazione delle spese legali rimborsabili riconoscendo al dipendente somme ulteriori rispetto a quelle liquidate in sentenza. Infatti la citata sentenza della Corte di Cassazione sez. lavoro n. 19195/13 esclude che tale facolt sia esercitata da soggetto diverso dal giudice contabile, giacch nei giudizi innanzi alla Corte dei Conti spetta esclusivamente a detto giudice, con la sentenza che definisce il giudizio, liquidare - ai sensi e con le modalit di cui allart. 91 c.p.c. e a carico dellamministrazione di appartenenza - lammontare delle spese di difesa del prosciolto. In tale contesto resta da verificare il ruolo del parere dellAvvocatura dello Stato che continua ad essere previsto dalla legge nella procedura di rimborso. Infatti, lart. 10 bis comma 10 D.L. 248/05 dispone: Le disposizioni dell'articolo 3, comma 2-bis, del decreto-legge 23 ottobre 1996, n. 543, convertito, con modificazioni, dalla legge 20 dicembre 1996, n. 639, e dell'articolo 18, comma 1, del decreto-legge 25 marzo 1997, n. 67, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 maggio 1997, n. 135, si interpretano nel senso che il giudice contabile, in caso di proscioglimento nel merito, e con la sentenza che definisce il giudizio, ai sensi e con le modalit di cui all'articolo 91 del codice di procedura civile, non pu disporre la compensazione delle spese del giudizio e liquida l'ammontare degli onorari e diritti spettanti alla difesa del prosciolto, fermo restando il parere di congruit dell'Avvocatura dello Stato da esprimere sulle richieste di rimborso avanzate all'amministrazione di appartenenza. Giova precisare che il divieto per il giudice contabile di disporre la compensazione delle spese di giudizio stato inserito dal legislatore con articolo 17, comma 30-quinquies, del D.L. 1 luglio 2009, n. 78 inserito dallart. 1 della legge 3 agosto 2009, n. 102, in sede di conversione. TEMI ISTITUZIONALI 5 Questa Avvocatura, nellattuale quadro normativo e giurisprudenziale, in attesa di un eventuale ulteriore intervento chiarificatore del legislatore, ritiene, con esclusivo riferimento alla particolare ipotesi di proscioglimento nel giudizio davanti alla Corte dei Conti, che il parere dellAvvocatura dello Stato abbia una funzione c.d. formale atteso che il legislatore, con la norma interpretativa del 2005, cos come interpretata dalla citata giurisprudenza di legittimit, ha inteso demandare direttamente allOrgano giurisdizionale (il giudice contabile) lattivit di liquidazione e commisurazione delle spese legali. Il parere di congruit dellAvvocatura, comunque contemplato dalle richiamate disposizioni, appare nella fattispecie, ridimensionato al ruolo di riscontro formale, sul piano amministrativo, della conformit della richiesta di rimborso rispetto alla misura liquidata in sentenza, nonch, eventualmente, per valutare la congruit degli oneri accessori non espressamente indicati nella sentenza (rimborso forfettario, Iva, Cpa), ovvero la rimborsabilit di spese strettamente connesse alla difesa nel giudizio, ma sostenute successivamente. LAmministrazione, peraltro, considerato che si tratta di spese predeterminate nel loro ammontare e quindi facilmente verificabili, potr accertare direttamente la congruit di tali voci, interessando la Scrivente solo in caso di dubbi sullentit delle stesse, e potr quindi liquidare al dipendente limporto stabilito dalla Corte dei Conti in sentenza oltre le spese vive od accessori di certa spettanza. Si osserva, da ultimo, per ragioni di completezza, che il dipendente che non condividesse lammontare delle somme liquidate dal giudice contabile e, per leffetto, allo stesso rimborsabili dallAmministrazione, ha lonere di impugnare la decisione sotto tale profilo in quanto la statuizione costituisce un autonomo capo della decisione idoneo al giudicato sostanziale. In sintesi, in mancanza di impugnazione del relativo capo della decisione, la liquidazione del giudice contabile rappresenta ex lege la misura del diritto al rimborso delle spese legali da parte dellAmministrazione. Per quanto sopra esposto la Scrivente ritiene che la dipendente abbia diritto al rimborso delle sole spese liquidate nella sentenza e delle spese vive successive, se documentate, oltre accessori di legge e semprech lAmministrazione non ne abbia gi disposto il pagamento sulla base della sentenza, difettando in tal caso il presupposto stesso per il rimborso. Si resta a disposizione per ogni eventuale chiarimento. Sui profili di massima della questione stato sentito il Comitato Consultivo di questa Avvocatura che, nella seduta dell11 gennaio 2016, si espresso in conformit. 6 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2016 Laccesso al patrocinio erariale degli enti pubblici locali dotati di autonomia funzionale PARERE RESO DAL COMITATO CONSULTIVO IN DATA 15/02/2016-70476, AL 47683/15, AVV. GIACOMO AIELLO Con la nota che si riscontra codesta Avvocatura ha richiesto lavviso della Scrivente in merito a due questioni sollevate dalla Camera di Commercio di Vicenza. In particolare, con il primo quesito si richiede se, in relazione al compito di emettere ordinanze-ingiunzioni in materia di sicurezza elettrica dei prodotti, ai sensi della Legge n. 791/1977, la circostanza che le somme siano di spettanza dellErario comporti che la Camera di Commercio possa godere del patrocinio dellAvvocatura dello Stato nei giudizi di opposizione al provvedimento sanzionatorio incardinati avanti allAutorit Giudiziaria. Al riguardo, Codesta Avvocatura osserva innanzitutto che la potest sanzionatoria in questione deve ritenersi globalmente trasferita alle Camere di Commercio, laddove lo Stato si pone solo come lente nel cui bilancio far affluire gli importi delle sanzioni; in secondo luogo sottolinea che, in relazione a quanto disposto dallart. 43 RD n. 1611/1933, non si rinviene alcuna norma che abbia autorizzato il patrocinio di cui si discute, e che le Camere di Commercio non compaiono nellelenco dei patrocini autorizzati. Per tali ragioni, viene affermato che, allo stato attuale, lAvvocatura non pu assumere il patrocinio della Camera di Commercio. Ad avviso della Scrivente, tali considerazioni possono essere condivise. Le funzioni di accertamento e sanzione (in precedenza assegnate agli Uffici provinciali per l'industria, il commercio e l'artigianato) sono attribuite alle Camere di Commercio dalle disposizioni contenute nel d.lgs. 112/1998. In particolare, nonostante qualche incertezza interpretativa iniziale, il riconoscimento di tali funzioni stato sancito dallintervento del Consiglio di Stato e dalla successiva giurisprudenza formatasi in materia. Il Consiglio di Stato con parere reso allAdunanza della sezione prima del 4 dicembre 2002 (n. sezione 3832/02) dirime il contrasto insorto sul punto tra Ministero dellInterno e lallora Ministero delle Attivit Produttive evidenziando che: - la disposizione di cui allart. 42, comma 1, d.lgs. 112/1998 (che ha abrogato il preesistente potere sanzionatorio in capo agli UU.PP.I.C.A.) deve essere in stretta correlazione con la previsione di cui allart. 20 del medesimo articolato normativo che attribuisce, senza deroghe, tutte le funzioni svolte in precedenza dagli uffici metrici provinciali e dagli UU.PP.I.C.A. alle Camere di Commercio; - la conclusione non viene smentita dalla previsione di cui allart. 9, c. 4, del D.P.R. 558/1999 che assegna funzioni sanzionatorie alle C.C.A. solo in tema di imprese di installazioni di impianti ma, al contrario, avvalora, secondo TEMI ISTITUZIONALI 7 il C.D.S. la tesi che il trasferimento globale delle funzioni comporti anche il trasferimento della potest sanzionatoria; - in relazione alle modalit di devoluzione dei proventi opera ancora la disposizione di cui allart. 29 l. 689/1981 che rinvia alle previgenti disposizioni relative alle singole materie con la conseguenza che i proventi delle sanzioni devono riversarsi allErario (eccettuati quelli attribuiti alla potest decisoria della Regione in quanto rientranti nelle materie di cui al novellato art. 117 Cost.). Le argomentazioni del Consiglio di Stato sono state condivise dalla successiva giurisprudenza di legittimit secondo la quale In tema di sanzioni amministrative, debbono ritenersi trasferite alle camere di commercio tutte le funzioni di accertamento, di contestazione e di irrogazione di sanzioni prima svolte dagli Uffici provinciali per l'industria, il commercio e l'artigianato (U.P.I.C.A.), in ragione del combinato disposto degli artt. 20, 42 e 1, comma 4, d.lg. 31 marzo 1998 n. 112, i quali prevedono, rispettivamente, l'attribuzione alle camere di commercio delle funzioni esercitate dagli U.P.I.C.A., l'abrogazione delle norme ivi elencate "nella parte in cui individuano l'ufficio provinciale per l'industria, il commercio e l'artigianato come organo competente per l'irrogazione delle sanzioni pecuniarie" e il divieto di interpretare "le norme del presente d.lg.... nel senso della attribuzione allo Stato, alle sue amministrazioni o enti pubblici nazionali, di funzioni e compiti, trasferiti, delegati o comunque attribuiti alle regioni, agli enti locali e alle autonomie funzionali dalle disposizioni vigenti alla data di entrata in vigore del presente decreto legislativo" (Cassazione civile, sez. II, 21 dicembre 2011, n. 28037; Cassazione civile, sez. II, 20 marzo 2007, n. 6559; Cassazione civile, sez. II, 9 dicembre 2005, n. 27293 che, sul piano processuale, parla di successione a titolo universale nel processo ex art. 110 c.p.c.). La ricostruzione sopra effettuata individua la fonte attributiva del potere e le modalit di devoluzione dei proventi che, come spiegato dal Consiglio di Stato ed evidenziato anche nella nota della Camera di Commercio di Vicenza sono riversati allErario e riversati con modello F23. Per quanto attiene alla natura giuridica delle Camere di commercio occorre rammentare che l'articolo 1, comma 1, del Decreto Legislativo 15 febbraio 2010, n. 23 (Riforma dell'ordinamento relativo alle camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura, in attuazione dell'articolo 53 della legge 23 luglio 2009 n. 99 ), nel novellare l'articolo 1 della legge n. 580 del 1993, le definisce non pi come enti autonomi di diritto pubblico, bens come enti pubblici dotati di autonomia funzionale che svolgono [] sulla base del principio di sussidiariet di cui allart. 118 della Costituzione, funzioni di interesse generale per il sistema delle imprese, curandone lo sviluppo nellambito delle economie locali. In virt della nuova qualificazione, da una parte si riconoscono le Camere di commercio quali enti dotati di autonomia funzionale, sancendo cos la loro 8 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2016 natura di organismi esponenziali degli interessi del sistema delle imprese, dotati di autonomia normativa e regolamentare; dallaltra si lega la peculiare natura di questi soggetti al principio di sussidiariet, dando conferma a quelle tesi che in seguito alla riforma costituzionale del Titolo V del 2001 avevano riconosciuto tali soggetti come delle esplicitazioni della sussidiariet orizzontale. Al riguardo, pu richiamarsi la sentenza 8 novembre 2002 n. 477, con cui la Corte Costituzionale aveva qualificato le Camere di Commercio come enti pubblici locali dotati di autonomia funzionale che entrano a pieno titolo, formandone parte costituente, nel sistema degli enti locali secondo lo schema dellarticolo 118 della Costituzione. Per la dottrina, oltre alle Camere di Commercio, industria, artigianato ed agricoltura sono enti pubblici dotati di autonomia funzionale anche le Universit degli Studi, le quali, in un'ottica di decentramento amministrativo, con le Regioni e gli Enti locali, sono dotati del conferimento di funzioni e compiti amministrativi da parte dello Stato (A.M. POGGI, Le autonomie funzionali tra sussidiariet verticale e sussidiariet orizzontale, Milano, Giuffr, 2001). Se, dunque, sia le Universit che le Camere di Commercio rientrano nellambito degli enti pubblici dotati di autonomia funzionale, appare possibile richiamare la sentenza delle Sezioni Unite della Cassazione, n. 10700 del 10 maggio 2006, nella quale, prima di fissare il principio di diritto, la Corte ha esaminato la disciplina della rappresentanza e difesa in giudizio delle amministrazioni pubbliche disegnato dal r.d. 30 ottobre 1933 n. 1611 (T.U. delle leggi sulla rappresentanza e difesa in giudizio dello Stato e sull'ordinamento dell'Avvocatura dello Stato), chiarendo i termini essenziali della fondamentale dicotomia esistente tra patrocinio ope legis (artt. 1-11, T.U. 1161/33) e il patrocinio facoltativo o autorizzato (art. 43, T.U. 1161/33) dellAvvocatura dello Stato. La prima forma di rappresentanza e difesa in giudizio prevista direttamente dalla legge (art. 1, T.U. 1161/33) per le amministrazioni dello Stato, le quali conseguentemente sono domiciliate (appunto) ope legis presso lAvvocatura dello Stato (art. 11, T.U. 1161/33). Il principio su cui si fonda il patrocinio dellAvvocatura dello Stato dunque impostato su base soggettiva, per cui esso discende in via automatica dalla natura dellente e dalla sua appartenenza alla categoria delle Amministrazioni dello Stato. Il diverso profilo oggettivo, che tiene invece conto del tipo di attivit svolta dallente riguardata nei suoi aspetti finalistici, anche di tutela degli interessi pubblici, non pu quindi mai costituire di per s il tramite di accesso al patrocinio erariale, potendo caso mai essere valutato ai fini della concessione del patrocinio previsto dallart. 43 T.U. 1161/33. Il c.d. patrocinio facoltativo o autorizzato riguarda le amministrazioni pubbliche non statali ed enti sovvenzionati, sottoposti a tutela o vigilanza dello Stato: in questi casi, lAvvocatura potr assumere la rappresentanza e difesa TEMI ISTITUZIONALI 9 in giudizio sempre che ne sia autorizzata da disposizioni di legge, di regolamento o di altro provvedimento approvato con regio decreto, senza necessit del mandato ad litem (art. 45, T.U. 1161/33). Il c.d. patrocinio facoltativo non si fonda su criteri di carattere sostanziale (lespletamento di una funzione nellinteresse dello Stato) ma, al contrario, prescinde da una simile verifica ammettendosi solo ed esclusivamente laddove sussista un provvedimento che conferisca lo ius postulandi. In altri termini, la previsione di cui allart. 43 T.U. 1611/1933, nellimporre il rilascio di unapposita autorizzazione da parte della legge o di un regolamento o di altro provvedimento approvato con regio decreto, ancora lo ius postulandi ad un dato formale ed ossia la sussistenza di atto di espressa abilitazione al patrocinio. La sussistenza di un dato sostanziale come linteresse perseguito dallEnte sembra rilevare soltanto come fattore impeditivo, da valutarsi in un momento necessariamente successivo e con una verifica legata al caso concreto. Difatti, la previsione di cui allart. 43, comma 3, t.u. dispone espressamente: salve le ipotesi di conflitto, ove tali amministrazioni ed enti intendano in casi speciali non avvalersi della Avvocatura dello Stato, debbono adottare apposita motivata delibera da sottoporre agli organi di vigilanza. Il Legislatore conferisce, pertanto, rilievo allinteresse perseguito ma al solo fine di escludere il patrocinio laddove lente sia gi legittimato ad avvalersi in ragione di una specifica previsione abilitatrice ma, in relazione ad un caso concreto, si trovi in posizione di conflittualit con lo Stato. Pertanto, il sistema normativo descritto consente di concludere che lo svolgimento di un compito nellinteresse dello Stato costituisca condizione necessaria ma non sufficiente per laccesso al patrocinio erariale mentre, per converso, se ne esclude loperativit ove tale patrocinio sia gi stato concesso da un disposizione abilitativa ma, nel concreto, linteresse perseguito sia in contrasto con quello erariale. Ci posto la Cassazione, superando la precedente giurisprudenza che considerava come organo statale le Universit, ha qualificato gli Atenei come ente pubblico autonomo. Quanto al problema specifico della rappresentanza e difesa in giudizio degli Atenei, la Suprema Corte ha inquadrato gli Atenei nellambito degli enti in favore dei quali, ai sensi dellart. 43, R.D. 30 ottobre 1933, n. 1611, lAvvocatura pu assumere la rappresentanza e difesa in giudizio sempre che ne sia autorizzata da disposizioni di legge, di regolamento o di altro provvedimento approvato con regio decreto. Alla luce della comune natura di enti pubblici dotati di autonomia funzionale, che caratterizza gli Atenei e le Camere di Commercio, sembra dunque possibile estendere le conclusioni cui giunta la Corte di Cassazione nella sentenza sopra citata anche alle Camere di Commercio. 10 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2016 Ci posto, allo stato attuale, mancando una specifica autorizzazione, non appare possibile per lAvvocatura dello Stato assumere il patrocinio della Camera di Commercio di Vicenza. Con il secondo quesito, la Camera di Commercio di Vicenza chiede, in relazione alla Legge n. 689/1981, se il principio del carattere personale della responsabilit da illecito amministrativo e il principio della responsabilit solidale della persona giuridica rivestano ancora un carattere esclusivo. Lenunciata estraneit dellAvvocatura allassistenza legale della Camera di Commercio, potrebbe esimere dalla risposta al secondo quesito sollevato con la nota che si riscontra, la rilevanza giuridica del tema trattato, induce tuttavia la Scrivente ad esprimersi anche su tale punto, rimettendosi a codesta Consorella la valutazione dellopportunit del successivo inoltro del parere, anche per motivi di semplice garbo istituzionale, allEnte che ne ha fatto richiesta. In particolare, tale quesito viene posto in relazione alla sentenza n. 347/2015, con cui il Giudice di Pace di Bassano del Grappa ha affermato che il modello di illecito amministrativo di cui alla Legge n. 689/1981 sarebbe stato superato dal D.Lgs. n. 231/2001 per quanto concerne le persone giuridiche, affermando che, con tale intervento normativo, nata una forma di responsabilit autonoma e diretta del soggetto collettivo, destinatario della norma sanzionatrice. Al riguardo, occorre evidenziare che lillecito amministrativo dipendente da reato dellente, previsto dal D.Lgs. 231/2001, si distingue dallillecito amministrativo puro di cui alla L. n. 689/1981, atteso che ne differente non soltanto la disciplina sostanziale, ma anche quella procedurale e processuale. Il richiamato decreto legislativo stato adottato in attuazione delle previsioni di cui alla legge 29 settembre 2000, n. 300 che reca la "Ratifica ed esecuzione dei seguenti Atti internazionali elaborati in base all'articolo K.3 del Trattato sull'Unione europea: a) Convenzione sulla tutela finanziaria delle Comunit europee, fatta a Bruxelles il 26 luglio 1995, del suo primo Protocollo fatto a Dublino il 27 settembre 1996, del Protocollo concernente l'interpretazione in via pregiudiziale, da parte della Corte di Giustizia delle Comunit europee, di detta Convenzione, con annessa dichiarazione, fatto a Bruxelles il 29 novembre 1996; b) nonch della Convenzione relativa alla lotta contro la corruzione nella quale sono coinvolti funzionari delle Comunit europee o degli Stati membri dell'Unione europea, fatta a Bruxelles il 26 maggio 1997 e c) della Convenzione OCSE sulla lotta alla corruzione di pubblici ufficiali stranieri nelle operazioni economiche internazionali, con annesso, fatta a Parigi il 17 settembre 1997", cui si aggiunge la "Delega al Governo per la disciplina della responsabilit amministrativa delle persone giuridiche e degli enti privi di personalit giuridica". Il secondo protocollo della Convenzione sulla tutela degli interessi finanziari delle Comunit europee (art. 3, secondo Protocollo Addizionale, 19 giugno 1997), a sua volta, aveva previsto lobbligo, per ciascuno Stato mem- TEMI ISTITUZIONALI 11 bro, di introdurre la responsabilit delle persone giuridiche per i delitti di frode, corruzione attiva e riciclaggio di danaro, consumati o tentati da determinati soggetti a beneficio delle persone giuridiche stesse; inoltre, lobbligo di prevedere una responsabilit delle persone giuridiche era espressamente contemplato dallart. 2 della Convenzione OCSE sulla lotta alla corruzione di pubblici ufficiali stranieri nelle operazioni economiche internazionali . Il sopra citato secondo Protocollo Addizionale ha il fine di proteggere gli interessi finanziari della Comunit europea da atti compiuti da persona fisica per conto di persone giuridiche e da atti finalizzati al riciclaggio dei proventi di attivit illecite. La normativa contenuta nel d.lgs. 231/2001 nasce dallesigenza di recepire nellordinamento italiano le Convenzioni sopra indicate e mira a colmare un'evidente lacuna normativa del nostro ordinamento, tanto pi evidente in quanto la responsabilit della societas gi una realt in molti Paesi dell'Europa (cos in Francia, Regno Unito, Olanda, Danimarca, Portogallo, Irlanda, Svezia, Finlandia). Dunque, l'intervento normativo appare giustificato dalla necessit di esercitare la delega suddetta e si pone in sintonia con l'ordinamento Comunitario, le cui linee di tendenza rimarcano appunto l'esigenza di prevedere forme di responsabilit delle persone giuridiche. Si tratta, con ogni evidenza, di un modello di responsabilit volta a superare, in sostanza, il precedente sistema nel quale vigeva il principio societas delinquere non potest. Ora, nonostante lassenza di una espressa qualificazione della responsabilit dellente come penale e a prescindere dal vasto dibattito dottrinale e giurisprudenziale sul punto, non sembra potersi dubitare di come la portata delle nuovi previsioni sia comunque circoscritta allo specifico settore oggetto di regolazione. Lo conferma la circostanza che la nuova normativa opera in limitati ambiti dello stesso terreno di elettiva applicazione ed ossia il diritto penale. Difatti, le disposizioni del d.lgs. 231/2001 trovano applicazione solo con riferimento ai reati indicati nellarticolato normativo e ai soggetti destinatari delle previsioni (art. 1, comma 2). Inoltre, la normativa impone la coesistenza di due presupposti: uno di tipo oggettivo e laltro di tipo soggettivo. Per quanto riguarda il presupposto oggettivo, occorre che il reato sia stato commesso nellinteresse o a vantaggio dellente (come recita lart. 5 d.lgs. 231/01). Invece il presupposto soggettivo, indispensabile per evitare lingresso inopportuno nel nostro ordinamento di una responsabilit di tipo oggettivo (come ad es. quella esistente in Francia, in cui la responsabilit dellente deriva automaticamente dal fatto illecito dellamministratore), coincide con la c.d. culpa in vigilando, consistente nellassenza dei modelli di organizzazione, gestione e controllo idonei a prevenire i reati. Ora, appare evidente e viene del resto notato dalla dottrina, come il modello di cui al d.lgs. 231/2001 costituisca ancora un microcosmo (sebbene in espansione, secondo VIGAN, Responsabilit da reato degli enti. I problemi 12 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2016 sul tappeto a dieci anni dal d.lgs. n. 231/2001, in Libro dell'anno del Diritto 2012), nei cui soli confini si afferma la responsabilit diretta dellente, subordinata alla ricorrenza dei presupposti sopra individuati. Ebbene, se questa forma di responsabilit non ha vis espansiva automatica nello stesso settore di elettiva applicazione (il sistema penale), appare arduo ritenere un modello generale volto a superare gli altri e diversi sistemi di responsabilit amministrativa previsti dallordinamento. Ne consegue che il Dlgs n. 231/01 non ha determinato il venir meno del carattere personale della responsabilit amministrativa di cui alla L. n. 689/1981. Conseguentemente, le Camere di Commercio e le altre autorit preposte sono tenute a sanzionare gli amministratori delle societ, in solido con queste ultime, non potendo comminare la sanzione direttamente nei confronti della persona giuridica. Tale interpretazione risulta anche confermata dalla Suprema Corte, la quale ha affermato che: In tema di sanzioni amministrative, secondo la disciplina della L. 24 novembre 1981, n. 689 l'autore della violazione rientrante nell'ambito di applicazione della legge, e quindi il diretto destinatario dell'ordinanza ingiunzione che irroga la sanzione pecuniaria e ne intima il pagamento, pu essere soltanto la persona fisica, mentre la circostanza che tale persona fisica abbia agito come organo o rappresentante di una persona giuridica spiega rilievo solo al diverso fine della responsabilit solidale di quest'ultima, ai sensi dell'art. 6 della legge citata (Cass. 21 settembre 2000, n. 12497; Cass. 5 luglio 1997 n. 6055; Cass. 30 ottobre 1986 n. 6369). Tale principio trova la propria giustificazione nel fatto che per l'assoggettamento diretto a sanzione amministrativa sono richieste la capacit di intendere e di volere (L. n. 689 del 1981, art. 2) e l'elemento soggettivo della colpa o del dolo, con la conseguente rilevanza dell'errore (art. 3), nell'intrasmissibilit agli eredi dell'obbligazione sanzionatoria (art. 7), nella considerazione che tra i criteri per l'applicazione delle sanzioni amministrative sono previsti elementi riferibili alla persona fisica (art. 11: la "personalit" dell'autore della violazione e le "sue condizioni economiche" ). Ne segue che per quanto concerne le sanzioni amministrative disciplinate dalla L. n. 681/1981, in tanto la persona giuridica o l'ente privo di personalit giuridica, chiamati a rispondere ai sensi della L. n. 689 del 1981, art. 6, comma 3, possono essere destinatari di una sanzione amministrativa, in quanto sia fatta valere nei loro confronti la responsabilit solidale con la persona fisica autore della violazione. In nessun caso questi soggetti possono essere chiamati a rispondere della sanzione amministrativa in qualit di autore dell'illecito amministrativo e la qualit di responsabile solidale della persona giuridica o dell'ente privo di personalit giuridica deve risultare dall'ordinanza-ingiunzione con cui viene applicata la sanzione. TEMI ISTITUZIONALI 13 Invero la L. n. 689 del 1981, art. 6, comma 3 prevede che "se la violazione commessa dal rappresentante o dal dipendente di una persona giuridica o di un ente privo di personalit giuridica o, comunque, di un imprenditore nell'esercizio delle proprie funzioni o incombenze, la persona giuridica o l'ente o l'imprenditore obbligato in solido con l'autore della violazione al pagamento della somma da questo dovuta". L'assoggettamento a sanzione dell'obbligato solidale (sia esso una persona fisica come l'imprenditore individuale o un soggetto collettivo) non presuppone necessariamente l'identificazione dell'autore della violazione alla quale la sanzione stessa si riferisce. L'autonomia delle posizioni dei due obbligati si desume chiaramente dalla L. n. 89 del 1981, art. 14, che, dopo avere posto il principio che la violazione deve essere contestata immediatamente o notificata sia al trasgressore che all'obbligato solidale, prevede, nell'ultimo comma, che la omissione di tale attivit comporta l'estinzione della obbligazione a favore del solo soggetto nei cui confronti l'omissione stessa si verificata, onde tale estinzione non impedisce l'assoggettamento a sanzione dell'altro obbligato (che abbia ricevuto la tempestiva contestazione). Non vi quindi un legame necessario tra le due obbligazioni, l'una potendo sussistere anche se l'altra si estinta (cos Cass. 23 aprile 1991, n. 4405). In nessun caso, tuttavia, alla persona giuridica che, per quanto s' detto, pu essere chiamata a rispondere soltanto quale responsabile solidale della violazione, l'illecito pu essere addebitato nella diversa qualit di autore della stessa (Cass. civ. Sez. I, 28 aprile 2006, n. 9880). Alla stregua di quanto precede si ritiene pertanto che, al di fuori della solidariet con il trasgressore persona fisica o delle specifiche ipotesi disciplinate nel Dlgs. n. 231/01, non sia configurabile una responsabilit della persona giuridica immediata e diretta per lillecito amministrativo ed in tal senso la sentenza del Giudice di pace di Bassano del Grappa del 24 luglio 2015, n. 347 non appare condivisibile. Sul presente parere stato sentito il Comitato consultivo che, nella seduta del 10 febbraio 2016, si espresso in conformit. CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE Il ruolo delle Regioni nellordinamento dellUnione europea. Il caso Italia Antonio Tallarida* SOMMARIO: 1. Le Regioni al tempo del Trattato di Roma - 2. Primi passi delle Regioni in Europa - 3. Il Trattato di Maastricht e i successivi svolgimenti - 4. Il principio di sussidiariet - 5. Il Comitato delle Regioni - 6. Learly warning system - 7. La soluzione italiana - 8. Il nuovo Senato della Repubblica - 9. LEuropa delle Regioni. 1. Le Regioni al tempo del Trattato di Roma. Non cՏ da meravigliarsi se allatto della nascita della Comunit Economica Europea nessuna menzione fosse riservata alle Regioni e alle altre collettivit territoriali, a parte un breve cenno nel Preambolo alla finalit di ridurre le disparit fra le differenti regioni e il ritardo di quelle meno favorite. Solo gli Stati membri infatti erano stati gli artefici della nuova costruzione e solo essi si ritenevano i protagonisti e i responsabili della politica comunitaria. A questa natura verticistica delliniziativa sovranazionale si aggiungeva il fatto che allepoca, a parte la Repubblica Federale Tedesca, nessun altro Paese membro aveva nel proprio ordinamento regioni operanti (quelle italiane, salvo le regioni a statuto speciale, erano solo nella Carta). Anche nella coscienza dei popoli e nei territori la Comunit era ancora una realt lontana e poco avvertita, nonostante lopera illuminata di alcune menti preveggenti (Jean Monnet, Altiero Spinelli). A tale proposito si parlato di cecit regionale, Landesblindheit, o di indifferenza dellordinamento comunitario nei confronti delle articolazioni interne degli Stati. Eppure, nella storia del Continente non sono mancate esperienze di grandi (*) Gi Vice Avvocato Generale dello Stato. 16 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2016 formazioni nel cui ambito hanno convissuto e proliferato entit territoriali con propri autonomi ordinamenti, come avvenuto sotto legida di un diritto comune tra il 1100 e 1500 in unEuropa unita come non mai culturalmente, integrando genti diversissime per tradizioni, culture e radici etniche (1). Ad ogni modo, nel prosieguo del tempo, anche per il mutare delle situazioni politiche e lingresso di nuovi Stati ad articolazione interna complessa, si venuta maggiormente avvertendo lesigenza di dare pi spazio alle collettivit regionali, anche se non era agevole raggiungere una definizione univoca di queste. Andandosi infatti dai Lnder tedeschi alle nostre Regioni, passando per le Comunidades autonomes spagnole, per non parlare delle nazioni del Regno Unito, risultava effettivamente difficile enucleare tratti comuni delle collettivit territoriali. Si dovr aspettare la Carta comunitaria della regionalizzazione, approvata con la Risoluzione del Parlamento Europeo del 18 novembre 1988, per avere una prima definizione dei requisiti generali che devono avere queste collettivit per acquisire rilevanza ai fini comunitari. 2. Primi passi delle Regioni in Europa. LAtto Unico Europeo del 17-28 febbraio 1986, con lart. 23, introduce nel Trattato, alla parte III, un apposito Titolo V - Coesione economica sociale, che nellintento di promuovere uno sviluppo armonioso dellinsieme della Comunit, prevede una politica volta a ridurre il divario tra le diverse regioni ed il ritardo di quelle meno favorite, da realizzarsi attraverso lazione dei Fondi a finalit strutturale, della BEI e degli altri strumenti finanziari esistenti. In particolare il Fondo europeo di sviluppo regionale destinato a contribuire alla correzione dei principali squilibri regionali esistenti nella Comunit, partecipando allo sviluppo e alladeguamento strutturale delle regioni in ritardo di sviluppo nonch alla riconversione delle regioni industriali in declino (art. 130 C). In questa fase le Regioni, in coerenza con quanto indicato nel Preambolo del Trattato, sono viste piuttosto come un ostacolo da superare sulla strada della crescita armoniosa della Comunit che come protagoniste o comprimarie della politica economica comunitaria. Tuttavia questo primo riconoscimento dellapporto delle Regioni alla politica di coesione economica e sociale viene ad aprire un nuovo scenario, anche sotto la spinta della aumentata rilevanza del peso delle collettivit regionali e locali nei singoli Stati membri e della maturata consapevolezza che gran parte delle disposizioni comunitarie destinata ad essere attuata in sede nazionale proprio da tali enti. Esso era stato preceduto da tutta una serie di atti volti a coinvolgere le (1) M. ASCHERI, Il modello del diritto comune, in Atti del Convegno internazionale Il diritto privato regionale nella prospettiva europea, Macerata 2005. CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 17 collettivit regionali nella elaborazione e gestione dei programmi di sviluppo comunitari, quali la Dichiarazione comune di Parlamento, Consiglio, Commissione del 19 giugno 1984 o i Programmi integrati mediterranei (P.I.M.) di cui al Reg. 2088/85 CEE. Si perviene cos alla decisione n. 88/1988 del 24 giugno 1988 della Commissione europea che istituisce un Consiglio consultivo degli enti regionali e locali, composto di 42 membri nominati su proposta di varie Associazioni, con il compito di esprimere pareri in materia di politica regionale, a richiesta della Commissione. 3. Il Trattato di Maastricht e i successivi sviluppi. Dopo lunghe trattative, il processo cos avviato trova significativo sbocco nella firma del Trattato di Maastricht, sullUnione Europea (1992), che pone i due capisaldi del nuovo ruolo delle Regioni in sede comunitaria: il principio di sussidiariet e il Comitato delle Regioni. A questi si aggiunge la modifica del livello di rappresentanza degli Stati membri nel Consiglio. Si prevede infatti che in Consiglio possa intervenire un rappresentante a livello ministeriale abilitato ad impegnare il Governo (art. 230 del TUE), ricomprendendo quindi anche i ministri regionali l dove esistono. Il tutto per aumentare il tasso di democraticit delle Istituzioni europee attraverso una maggiore partecipazione degli esponenti delle collettivit regionali e locali. Seguiranno, sulla stessa linea di tendenza, gli sviluppi costituiti dai Trattati di Amsterdam (1997), Nizza (2000), Lisbona (2007), senza dimenticare le occasioni perdute della Dichiarazione di Laeken (2001), sul futuro dellEuropa e della Costituzione europea di Roma (2004), abbandonata per mancata ratifica da parte della Francia e dei Paesi Bassi. Ma vediamo partitamente i nuovi Istituti, che interagiscono tra loro, con il risultato che la posizione delle Regioni ne risulta alla fine rafforzata. 4. Il principio di sussidiariet. Partendo dal presupposto che lintervento dellUnione giustificato solo se e nei limiti in cui esso pi utile per conseguire i risultati della politica perseguita, il Trattato di Maastricht gi nel Preambolo afferma la finalit che le decisioni siano prese il pi vicino possibile ai cittadini, conformemente al principio di sussidiariet e con lart. 5 introduce nel TUE un nuovo art. 3 B del seguente tenore: Nei settori che non sono di sua esclusiva competenza, la Comunit interviene soltanto se e nella misura in cui gli obiettivi dellazione prevista non possono essere sufficientemente realizzati dagli Stati membri e possono dunque, a motivo delle dimensioni o degli effetti dellazione in questione, essere realizzati meglio a livello comunitario (2 co.). Il principio, che trovava qualche anticipazione in materia ambientale (2), (2) V. art. 130 R dellAtto Unico Europeo del 1986. 18 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2016 ha avuto una rapida diffusione, anche se la sua corretta applicazione presuppone lesatta individuazione, non sempre agevole, dei settori non di competenza esclusiva della Comunit e la completa valutazione degli effetti della politica da realizzare. Esso comunque, per la sua rispondenza anche allinteresse degli Stati membri di non vedersi privati di spazi di intervento e di sovranit, ha avuto grande applicazione negli ordinamenti nazionali, come quello italiano dove ha trovato esplicito accoglimento prima a livello di legislazione ordinaria (l. n. 59 del 1997) e poi costituzionale (v. oltre par. 7) Il principio, nellimpostazione europea, si completa con il principio di proporzionalit, nel senso che Lazione della Comunit non va al di l di quanto necessario per il raggiungimento degli obiettivi del presente trattato (3 co.). Rimane invece in secondo piano il principio di prossimit, pur menzionato nella parte soprariportata del Preambolo e nellart. 1.2 del TUE. Ed proprio su questo punto che si sviluppa lazione delle Regioni diretta a rivendicare un ruolo pi importante per le loro realt. Bisogna per attendere il Trattato di Amsterdam del 1997 per vedere approvato il primo Protocollo sullapplicazione dei principi di sussidiariet e di proporzionalit nellambito del quale le Regioni ottengono che 4) Le motivazioni di ciascuna proposta di normativa comunitaria sono esposte, onde giustificare la conformit ai principi di sussidiariet e proporzionalit, anche se ancora il Protocollo si esprime solo con riferimento agli Stati membri, di cui va peraltro salvaguardata lorganizzazione ed il funzionamento dei sistemi giuridici (punto 7 del Protocollo) e vanno tenuti in debito conto gli oneri gravanti sugli enti locali (punto 9). poco rispetto a quanto chiedevano le Regioni, ma comunque importante che la motivazione sulla conformit al principio di sussidiariet venga dora in poi a far parte della proposta della Commissione sottoposta allesame del Parlamento europeo e del Consiglio (punti 10-12 del Protocollo). Non cՏ dubbio infatti che lapplicazione del principio di sussidiariet abbia rappresentato il principale strumento utilizzato dal Comitato delle Regioni per portare avanti la propria aspirazione di contare sempre di pi nellUnione. Ma il Trattato di Lisbona (2007) che, recuperando alcuni esiti della Costituzione europea del 2004, mai potuta entrare in vigore, riscrive in senso regionalistico il principio di sussidiariet, cos modificando lart. 5 del TUE: 1. La delimitazione delle competenze dell Unione si fonda sul principio di attribuzione. Lesercizio delle competenze dell Unione si fonda sui principi di sussidiariet e proporzionalit 3. In virt del principio di sussidiariet, nei settori che non sono di sua competenza esclusiva, lUnione interviene soltanto se e in quanto gli obiettivi dellazione prevista non possono essere conseguiti in misura sufficiente dagli Stati membri, n a livello centrale n a livello regionale e locale, ma possono, CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 19 a motivo della portata e degli effetti dellazione in questione, essere conseguiti meglio a livello dellUnione. Le istituzioni dellUnione applicano il principio di sussidiariet conformemente al protocollo sullapplicazione dei principi di sussidiariet e di proporzionalit. I parlamenti nazionali vigilano sul rispetto del principio di sussidiariet secondo la procedura prevista in detto protocollo. La specificazione, nella nuova formulazione, del livello regionale e locale porta alla definitiva emersione del principio di prossimit, segnando un ulteriore punto a favore del sistema regionale e territoriale. Nella stessa linea, il Protocollo di applicazione dei principi di sussidiariet e di proporzionalit, allegato al nuovo Trattato, aggiorna e integra quello del 1997, prescrivendo che i progetti di atti legislativi devono essere preceduti da ampie consultazioni che devono tener conto della dimensione regionale e locale delle azioni previste (art. 2) e devono essere accompagnati da una scheda contenente gli elementi atti a consentire la valutazione del rispetto del principio di sussidiariet e il relativo impatto economico (art. 5). Tali atti sono trasmessi anche ai Parlamenti nazionali che entro 8 settimane hanno la possibilit di presentare un parere motivato e di consultare alloccorrenza i Parlamenti regionali con poteri legislativi (art. 6). Allesito di queste procedure la Commissione pu modificare o ritirare la proposta, indicandone le ragioni (art. 7). Infine demandato alla Corte di Giustizia il potere di pronunciarsi sui ricorsi per violazione del principio di sussidiariet (art. 8). Le disposizioni del protocollo sono applicate da tutte le istituzioni dellUnione (art. 5.4 TUE) e dai Parlamenti nazionali (art. 12, lett. b, TUE). Con queste previsioni nasce il sistema di allerta precoce (v. oltre par. 6), finalizzato a coinvolgere i Parlamenti nazionali e le collettivit regionali e territoriali gi nella fase di predisposizione della normativa comunitaria. 5. Il Comitato delle Regioni. Il Comitato delle Regioni stato istituito dal Trattato di Maastricht come organo consultivo (art. 6.2), al posto del precedente Consiglio consultivo, ma rispetto a questo pi caratterizzato politicamente. Esso infatti - nella configurazione assunta con il Trattato di Lisbona - ha una dimensione pi ampia (350 membri), tale da consentire una maggiore partecipazione democratica. I membri sono nominati su proposta degli Stati e devono essere rappresentanti di collettivit regionali o locali e titolari di un mandato elettorale o responsabili politicamente dinanzi ad unassemblea eletta (art. 300.3 TFUE). La perdita o la cessazione di tale mandato ne comporta automaticamente la decadenza (art. 305). Tuttavia i membri non sono vincolati da alcun mandato imperativo e devono agire nellesclusivo interesse dellUnione (art. 300.4). Il Comitato, che ha unarticolazione interna complessa (Ufficio di Presidenza, Assemblea, Commissioni, gruppi politici), chiamato ad esprimere pa- 20 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2016 rere in alcune materie di interesse regionale, con parere facoltativo o obbligatorio ma non vincolante. Pu per rendere parere anche su propria iniziativa. Il Comitato, appena istituito, ha subito interpretato la propria funzione in modo molto fattivo, adoperandosi per cercar di conseguire la propria equiparazione alle altre istituzioni europee, lampliamento dei settori di competenza, la legittimazione a ricorrere alla Corte di Giustizia e altri obiettivi minori, aspirazioni queste che per hanno incontrato la resistenza degli Stati membri motivata dallintento di non appesantire liter decisionale e di non rafforzare troppo la posizione interna delle proprie entit territoriali. Il Trattato di Amsterdam (1997) si limitato ad ampliare le materie in cui era richiesto il parere del Comitato (3), a renderne destinatario anche il Parlamento europeo e ad adottare il primo Protocollo sullapplicazione dei principi di sussidiariet e di proporzionalit mentre il Trattato di Nizza (2000) introduce il requisito, per la nomina a componente del Comitato, della titolarit di un mandato elettorale. Ma con il Trattato di Lisbona (2007) che il Comitato riceve la propria legittimazione politica se non istituzionale. Infatti, viene mancato lobiettivo di essere riconosciuto come istituzione europea al pari delle altre menzionate nellart. 4.2 del TUE, ma ottiene lallineamento della propria durata a quella delle istituzioni europee (5 anni), la trasformazione da facoltativa in obbligatoria della consultazione da parte del Parlamento europeo e soprattutto la legittimazione a ricorrere alla Corte di Giustizia a tutela delle proprie prerogative (art. 263.3 TFUE) e per violazione del principio di sussidiariet (art. 8, co. 2, del nuovo Protocollo sullapplicazione del suddetto principio). Il Comitato divenuto cos il rappresentante e garante degli interessi territoriali in Europa, funzione questa che esercita attivamente, attraverso una serie di accordi e strumenti operativi che gli consentono di attuare una specie di democrazia di prossimit (4). In particolare il Comitato ha stipulato una serie di accordi di cooperazione, con la Commissione (2012), con il Parlamento europeo (2014) e con il CALRE (Conferenza delle Assemblee Legislative dEuropa) rinnovato nel 2015. Esso inoltre, per meglio assolvere al suo compito, si avvale della rete di subsidiarity morning network (SMN) per lo scambio di contatti con le assemblee, i governi e gli enti regionali ed ha istituito la banca dati REGPEX. Inoltre ha creato la Piattaforma di monitoraggio Europa 2020, che una rete di regioni (3) Le principali materie in cui ora richiesto il parere del Comitato sono: le reti di trasporto, la coesione economica e sociale, listruzione, la cultura, la sanit, loccupazione e la formazione professionale, lambiente. (4) L. FROSINA, Regioni e Unione europea dopo il Trattato di Lisbona. Il Comitato delle Regioni, i Parlamenti regionali e le sfide della multilevel governance, in Atti del Convegno Parlamenti substatali tra dimensione nazionale ed europea, Camera dei Deputati 2015. CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 21 e citt per contribuire al dibattito sulla crescita intelligente e sostenibile dellUE e monitorare lattuazione della strategia di Europa 2020. La sua posizione pertanto divenuta centrale per assicurare il dialogo interistituzionale tra i vari livelli, per fungere da intermediario tra UE ed entit territoriali intermedie e concorrere al progressivo processo di democratizzazione dellUnione. 6. Learly warning system. Il meccanismo di allerta preventiva che consente il coinvolgimento attivo dei Parlamenti nazionali e regionali stato introdotto dal Trattato di Lisbona con il Protocollo sullapplicazione della sussidiariet. A tal fine la Commissione europea non solo deve inviare al Comitato delle Regioni il programma annuale di lavoro ma prima di proporre un atto legislativo deve avviare, come dianzi ricordato, ampie consultazioni - di norma delegate al Comitato delle Regioni - nelle quali si deve tener conto della dimensione regionale e locale delle azioni previste. Tutte le istituzioni europee poi titolari di iniziativa legislativa devono trasmettere i progetti legislativi e relativa scheda ai Parlamenti nazionali che nel termine di 8 settimane possono - previa alloccorrenza consultazione dei Parlamenti regionali con poteri legislativi - inviare un parere motivato sulle ragioni per cui si ritiene che il progetto non conforme al principio di sussidiariet. Se i pareri contrari superano una soglia determinata il progetto riesaminato o ritirato. La violazione del principio pu essere dedotta davanti alla Corte di Giustizia dagli Stati membri e dal Comitato delle regioni. Le Regioni non sono legittimate ad interloquire direttamente con le Istituzioni europee ma devono farlo attraverso gli Stati nazionali o il Comitato delle regioni. La loro posizione si comunque rafforzata rispetto al passato, essendo il loro coinvolgimento espressamente previsto nel Protocollo a cui rinvia il Trattato ed incentivato dalla stessa Unione. Di conseguenza tutti gli Stati membri si sono affrettati a prevedere forme di comunicazione degli atti e di compartecipazione al processo decisionale europeo, con lindubbio vantaggio di avvicinare le Istituzioni europee ai territori e alle popolazioni dellUnione. 7. La soluzione italiana. In parallelo con levoluzione comunitaria, anche lItalia, come gli altri Stati membri, si attivata per riprodurre nel proprio ordinamento le novit introdotte dallUnione nei riguardi delle collettivit regionali e locali. Si pertanto formalmente introdotto il principio di sussidiariet, si procedimentalizzata la partecipazione delle regioni ed enti locali al processo decisionale europeo, si istituzionalizzato il ruolo del Ministro per gli affari regionali, si disciplinato il complesso delle Conferenze Stato - Regioni - Autonomie, si istituzionalizzato il ruolo del Ministro per gli affari regionali, 22 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2016 come Presidente della Conferenza Stato-Regioni e organo di raccordo con il sistema delle Autonomie, si potenziato il ruolo interno delle Regioni mediante limplementazione delle relative competenze. In particolare, il principio di sussidiariet stato prima recepito a livello di legislazione ordinaria, con la legge Bassanini (l. 15 marzo 1997, n. 59, art. 4) e poi costituzionalizzato con la legge di riforma (l. cost. 18 ottobre 2001, n. 3), che rompendo il tradizionale parallelismo tra competenze legislative e competenze amministrative, ha attribuito tutte le funzioni amministrative, che non necessitano di un esercizio unitario, agli enti territoriali in applicazione del principio di sussidiariet (art. 118 Cost.) e ha generalizzato le funzioni legislative delle Regioni (art. 117). Il potere sostitutivo va esercitato nel rispetto del principio di sussidiariet e di quello di leale collaborazione (art. 120). La legge Bassanini ha anche previsto una ridefinizione e un ampliamento delle Conferenze tra Stato, Regioni ed enti locali (art. 9), attuato dal d. lgs. 28 agosto 1997, n. 281, al fine di garantire la partecipazione delle regioni e delle province autonome di Trento e Bolzano a tutti i processi decisionali di interesse regionale, interregionale e infraregionale e a quelli di recepimento comunitario (art. 2). La Conferenza Stato-Regioni chiamata a riunirsi in sessione comunitaria almeno due volte lanno e a designare i componenti regionali in seno alla Rappresentanza italiana presso lUnione europea (art. 5). La successiva novella costituzionale ha poi costituzionalizzato la dimensione comunitaria delle Regioni, attribuendo loro in legislazione concorrente i rapporti con lUE e prevedendo la loro partecipazione sia alla fase ascendente che discendente, nel rispetto della disciplina procedurale stabilita con legge dello Stato (art. 117 Cost.) (5). La successiva legge di adeguamento (legge La Loggia, 5 giugno 2003, n. 131), ha regolato la partecipazione delle Regioni, nelle materie di propria competenza, nelle delegazioni del Governo alle attivit del Consiglio e dei gruppi di lavoro e ai comitati del Consiglio e della Commissione, anche come capi delegazione (art. 5). In seguito la legge 24 dicembre 2012, n. 234, ha riscritto le regole della partecipazione regionale al procedimento decisionale comunitario prevedendo, in applicazione espressa del Protocollo sulla sussidiariet, la consultazione da parte delle Camere dei consigli regionali (art. 8), la trasmissione alle Istituzioni europee delle relative osservazioni (art. 9), il coinvolgimento di Regioni, province autonome ed enti locali nel Comitato tecnico di valutazione degli atti dellUE (art. 19), le modalit di partecipazione delle regioni e delle autonomie locali alla fase ascendente del processo formativo decisionale comunitario attraverso la convocazione periodica della sessione europea delle Conferenze (5) In passato, la possibilit per le Regioni di recepire direttamente le direttive europee era stata oggetto di limitazioni legislative e di contrasti dottrinali; v. C. Cost., 14 aprile 1996, n. 126. CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 23 Stato-Regioni e Stato-Citt e attraverso la trasmissione dei progetti normativi alla Conferenza delle Regioni e alla Conferenza dei Presidenti delle assemblee legislative (artt. 24 e 25), nonch lindicazione dei membri italiani del Comitato delle Regioni da parte della Conferenza delle Regioni e Province autonome, della Conferenza dei presidenti delle assemblee legislative delle regioni e province autonome, e di ANCI, UPI e UNCEM (art. 27) e le modalit di recepimento delle direttive europee da parte di regioni e province autonome (art. 40). Sono infine regolati i ricorsi delle Camere alla Corte di Giustizia per violazione del principio di sussidiariet (artt. 23 e 42) mentre quelli richiesti dalle Regioni restano disciplinati dallart. 5 della legge n. 131/2005. Come contrappeso dei maggiori poteri regionali viene disciplinato il potere sostitutivo dello Stato (art. 41) e viene previsto il diritto di rivalsa nei confronti delle regioni inadempienti (art. 43). Resta inoltre fermo il potere dello Stato di impugnare avanti alla Corte Costituzionale le leggi regionali che violano i vincoli comunitari (artt. 117 e 134 Cost.) (6). Per parte loro le Regioni hanno in gran parte inserito nei propri statuti, riformati dopo la legge cost. n. 1 del 1999, specifiche disposizioni sui rapporti con lUnione europea (7) ed hanno adottato il sistema di recepimento delle direttive mediante una legge comunitaria regionale a cadenza periodica (8). 8. Il nuovo Senato della Repubblica. Il quadro che risulta dalle disposizioni sopra ricordate evidenzia il nuovo ruolo assunto dalle Regioni in sede nazionale per quanto attiene alle competenze in materia comunitaria e le proietta con pi efficacia in ambito europeo. Tuttavia esso non completamente esaustivo delle attese delle Regioni ed autonomie locali. Infatti mancava a livello centrale una istituzione rappresentativa del sistema regionale, tale non essendo n la Commissione bicamerale per gli affari regionali, menzionata in Costituzione (art. 126) e rivisitata dalla l. cost. n. 3 del 2001 (art. 11), in quanto si trattava pur sempre di un organismo non rappresentativo delle Regioni, n la Conferenza Stato-Regioni, che un organismo amministrativo misto, essendo composto di rappresentanti statali e regionali (e questi solo a livello di esecutivi). A questa carenza, che costituiva una accentuata debolezza della riforma (6) A. ESPOSITO, La legge 24 dicembre 2012 n. 234, sulla partecipazione dellItalia alla formazione e allattuazione della normativa e delle politiche dellUnione europea, in Federalismi.it, 2013, n. 2. (7) B. SARDELLA, La dimensione comunitaria dei nuovi Statuti regionali in Istituzioni del Federalismo, 2007, nn. 3-4, 431. (8) G. SAPUTELLI, Il ruolo della legge comunitaria regionale nel sistema multilivello, tra soluzioni pensate e concreto utilizzo, in ISSiRFA.cnr.it, 2012; C. BERTOLINO, Il ruolo delle Regioni nellattuazione del diritto comunitario, in Regioni, 2009, n. 6, 1249; v. anche C. Cost., 1 dicembre 2006, n. 398, sulla prima legge comunitaria della regione Friuli-Venezia Giulia. 24 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2016 del 2001, ha inteso porre rimedio la nuova riforma costituzionale approvata a maggioranza assoluta il 12 aprile 2016 ma non ancora promulgata in quanto soggetta a referendum confermativo (9). La riforma prevede, accanto ad una ridistribuzione dei poteri legislativi tra Stato e Regioni, conseguente alla soppressione della legislazione concorrente, la trasformazione del Senato della Repubblica in una Camera che - ferma la denominazione attuale - rappresenta le istituzioni territoriali e gli altri enti costitutivi della Repubblica. Concorre allesercizio della funzione legislativa nei casi e secondo le modalit stabiliti dalla Costituzione, nonch allesercizio delle funzioni di raccordo tra lo Stato, gli altri enti costitutivi della Repubblica e lUnione europea. Partecipa alle decisioni dirette alla formazione e allattuazione degli atti normativi e delle politiche dellUnione europea. Valuta le politiche pubbliche e lattivit delle pubbliche amministrazioni e verifica limpatto delle politiche dellUnione europea sui territori (art. 1). Larticolo successivo specifica che i 95 senatori rappresentativi delle istituzioni territoriali sono eletti, in conformit alle scelte espresse dagli elettori, dai Consigli regionali e da quelli delle Province autonome di Trento e di Bolzano tra i propri componenti e nella misura di uno per ciascuno tra i Sindaci dei Comuni dei rispettivi territori, e decadono in caso di cessazione della carica elettiva regionale o locale (art. 2). I senatori non sono legati da vincoli di mandato (art. 8). evidente una certa assonanza con il Comitato delle Regioni con cui condivide la natura rappresentativa delle istituzioni territoriali e il collegamento dei componenti con la carica elettiva di appartenenza, ma rispetto a questo, che svolge solo funzioni consultive sia pure incisive, dotato di funzioni legislative che esercita con varie modalit in materia costituzionale o di interesse regionale e locale o in materia comunitaria. In questultimo campo, che costituisce un ambito essenziale delle sue competenze, il Senato svolge funzioni legislative insieme alla Camera, tra laltro per la legge che stabilisce le norme generali, le forme e i termini della partecipazione dellItalia alla formazione e allattuazione della normativa e delle politiche dellUnione europea, e per le leggi di cui agli articoli 80, primo periodo, ... 117, quinto e nono comma, 120, secondo comma (art. 10), mentre viene soppressa la Commissione parlamentare per le questioni regionali (art. 36). Per tutte le altre leggi, di competenza della sola Camera, il Senato pu chiedere di esaminarle e pu proporre modifiche da sottoporre alla Camera per leventuale approvazione, il che rilevante specialmente per le materie passate dalla legislazione concorrente a quella statale esclusiva. Una minor somiglianza il Senato lha con il Bundesrat tedesco, sia per la (9) Il testo della legge costituzionale pubblicato nella G.U. n. 88 del 26 aprile 2016. CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 25 diversa struttura federale di quello Stato, sia perch, pur essendo rappresentativo dei Lnder ed esercitando poteri legislativi, i suoi componenti non sono elettivi ma sono nominati dai Governi locali verso i quali rispondono essendo legati da vincoli di mandato politico. Per di pi ogni delegazione esprime un solo voto. Inoltre sulle questioni comunitarie esso si pronuncia a mezzo di una Commissione speciale che vale per lintero organo. Naturalmente linserimento nellordinamento costituzionale di un organo rappresentativo delle istituzioni regionali e locali non pu non comportare la conseguente necessit di apportare aggiustamenti e modificazioni allassetto istituzionale su cui dovr misurarsi il legislatore ordinario. Infatti, dal riconosciuto concorso allesercizio delle funzioni di raccordo tra lo Stato, gli altri enti costitutivi della Repubblica e lUnione europea discende la necessit di un suo coinvolgimento diretto nelle procedure di consultazione svolte dal Comitato delle Regioni; dalla funzione autonoma di verifica dellimpatto delle politiche dellUnione sui territori deriva la sua legittimazione ad intervenire nel procedimento di allerta precoce, attuato in applicazione del principio di sussidiariet; dalla affermata partecipazione alle procedure di formazione ed attuazione degli atti e politiche dellUnione discende la sua abilitazione a esprimere parere sugli atti trasmessi dalle Istituzioni europee e a concorrere allesercizio della funzione legislativa in materia comunitaria non solo nellapprovazione della legge di procedura e di quelle sul potere sostitutivo ma anche in tutti i casi di recepimento diretto da parte della Camera. Quanto alla designazione dei componenti italiani del Comitato delle Regioni difficilmente il Senato potr esserne tenuto fuori, trattandosi di nomina di competenza del Governo (art. 1). Dovranno anche essere definiti i suoi rapporti con le Conferenze Stato- Regioni-Autonomie locali. Peraltro il nuovo organismo, che nelle intenzioni del Legislatore avrebbe dovuto rafforzare il ruolo delle Regioni in Italia e in Unione europea, dotandole di uno strumento di raccordo a livello nazionale e superando lo squilibrio oggi esistente a favore degli esecutivi regionali, in realt rischia di non conseguire lobiettivo per la perdita di autorevolezza (il Presidente non pi la seconda carica dello Stato) e loggettivo indebolimento dello stesso (a causa del diminuito peso politico, non votando la fiducia al Governo e della ridotta potest legislativa) e per il generale depotenziamento dellintero sistema regionale, privato di molte e importanti competenze legislative e gravato dalla clausola di supremazia, in nome di un reintrodotto interesse nazionale (10). 9. LEuropa delle Regioni. Nonostante lindubbio rafforzamento delle Regioni e delle collettivit territoriali conseguito al Trattato di Lisbona in sede europea e al parallelo evolversi della dimensione comunitaria delle stesse nellambito degli ordinamenti 26 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2016 nazionali, il raggiungimento della meta, ossia di quellEuropa delle Regioni vagheggiata da pi parti, appare ancora lontano. Se vero che si passati dalla indifferenza verso le regioni del Trattato di Roma alla espressa inclusione del rispetto delle autonomie regionali e locali tra i principi fondamentali dellUnione europea (art. 4 TUE), anche vero che la previsione del Terzo livello rimasta allo stato di organo consultivo, sia pur dotato di ampi poteri di interferenza, anche di propria iniziativa ma mai vincolanti. Per arrivare ad unEuropa in cui le collettivit territoriali contino sempre di pi, in cui le decisioni siano prese sempre pi vicino ai suoi cittadini, in cui questi possano interagire sui meccanismi di produzione normativa, in cui la struttura sia pi democratica e trasparente, necessario compiere altri passi in avanti, anzitutto dotando il livello sub-statale di un organismo non solo rappresentativo ma che possa intervenire in modo determinante nel processo decisionale, trasformando il Comitato delle Regioni in Camera delle regioni. Occorre poi ulteriormente rafforzare la collaborazione tra Parlamenti nazionali e assemblee e consigli regionali, in modo che siano questi a determinare effettivamente la posizione nazionale nelle materie di competenza regionale. Bisogna infine che la rete di cooperazione e informazione tra i parlamenti regionali dei vari Stati serva a formare una opinione condivisa cos da pesare maggiormente nel processo decisionale dellUnione. In cambio le regioni devono assumersi la responsabilit delle loro iniziative e rinunciare a posizioni troppo localistiche. Solo cos alle Regioni sar possibile di assumere un ruolo attivo e determinante nella costruzione di politiche di coesione territoriale e di una nuova Europa non della burocrazia ma del cittadino, che si riconosce nelle sue istituzioni territoriali. CՏ per un rischio in tutto questo, che cio il rafforzarsi delle autonomie regionali in sede nazionale e il loro trasformarsi in sistemi pseudofederali possa avere come esito non unEuropa delle Regioni, parte integrante e qualificante dellUnione, ma unEuropa di staterelli, piccoli e divisi, tra loro gelosi, che condannerebbe allinsignificanza politica lUnione, rendendola incapace di affrontare le sfide che propone un mondo e uneconomia globalizzati. (10) Per una critica alla riforma (definitauna potenziale fonte di nuove disfunzioni del sistema istituzionale) e al Senato (considerato estremamente indebolito, privo delle funzioni essenziali per realizzare un vero regionalismo cooperativo) al punto di ritenere che anche il condivisibile obiettivo del superamento del c.d. bicameralismo perfetto sia stato perseguito in modo incoerente e sbagliato, v. il Documento di 56 costituzionalisti (da Amirante a Zagrebelsky), pubblicato in www.freenewsonline.it/?p=20377 e in www.lastampa.it/2016/04/22/italia/politica/il-documento-dicostituzionalisti- sulla-riforma-costituzionale-kx4tkWutrnQ1h24sW1zeSM/pagina.htm. In senso favorevole, invece, v. S. CASSESE, La riforma costituzionale. Un necessario passo avanti, in Corriere della sera, 6 maggio 2016, p. 24. CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 27 La Corte di giustizia UE boccia il Consiglio di Stato sullordine di esame dei ricorsi NOTA A CORTE DI GIUSTIZIA UE, GRANDE SEZIONE, SENTENZA 5 APRILE 2016, CAUSA C-689/13 David Romei* SOMMARIO: 1. La vicenda - 2. Lordine di esame del ricorso principale ed incidentale. Il quadro giurisprudenziale anteriore allordinanza di rimessione del Consiglio di Giustizia amministrativa - 3. La soluzione adottata dalla Corte di Giustizia. 1. La vicenda. Con bando pubblicato il 18 gennaio 2012 la societ di gestione dellAeroporto civile di Trapani avviava una procedura aperta per laffidamento del servizio di pulizia e manutenzione delle aree verdi presso il relativo scalo aeroportuale per un periodo di tre anni. Lappalto veniva aggiudicato definitivamente con provvedimento del 22 maggio 2012. La seconda classificata proponeva ricorso dinanzi al Tribunale amministrativo regionale per la Sicilia, chiedendo, inter alia, lannullamento del provvedimento di aggiudicazione e, in via consequenziale, laggiudicazione dellappalto a suo favore e la stipula del relativo contratto. Gli altri offerenti non proponevano impugnazione avverso il provvedimento di aggiudicazione di cui trattasi. LA.T.I. aggiudicataria si costituiva in giudizio, interponendo ricorso incidentale basato sul difetto di interesse della ricorrente principale alla coltivazione dellimpugnativa, giacch questultima non avrebbe soddisfatto i requisiti di ammissione alla gara dappalto e, di conseguenza, avrebbe dovuto essere esclusa dal procedimento di aggiudicazione. Il T.A.R. Sicilia, sede di Palermo, accoglieva entrambi i ricorsi, sicch la societ di gestione procedeva ad escludere le due ricorrenti, nonch tutti gli altri offerenti inizialmente inseriti nella graduatoria, a causa dellinidoneit delle rispettive offerte rispetto ai documenti di gara, indicendo una nuova procedura di gara. Entrambe le imprese proponevano appello avverso la sentenza di primo grado. In particolare, lA.T.I. aggiudicataria, a sostegno della propria impugnativa, adduceva che il T.A.R., procedendo alla disamina dei motivi dedotti nel ricorso principale, aveva disatteso i principi relativi allordine di esame dei ricorsi enunciati dalla sentenza del 7 aprile 2011, n. 4, dellAdunanza Plenaria, secondo cui, in caso di ricorso incidentale volto a contestare lammissibilit del ricorso principale, il ricorso incidentale deve essere valutato prioritariamente, prima del ricorso principale. (*) Avvocato del libero Foro, gi praticante forense presso lAvvocatura dello Stato. 28 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2016 La Corte di giustizia amministrativa per la regione Sicilia (1), sospendeva il giudizio dappello al fine di sottoporre alla Corte di Giustizia UE, tra le altre, la questione pregiudiziale sul quesito se i principi dichiarati dalla [Corte di giustizia] con la sentenza [Fastweb (C-100/12, EU:C:2013:448)], con riferimento alla specifica ipotesi, oggetto di quel rinvio pregiudiziale, in cui due soltanto erano le imprese partecipanti a una procedura di affidamento di appalti pubblici, siano anche applicabili, in ragione di un sostanziale isomorfismo della fattispecie contenziosa, anche nel caso sottoposto al vaglio di questo Consiglio in cui le imprese partecipanti alla procedura di gara, sebbene ammesse in numero maggiore di due, siano state tutte escluse dalla stazione appaltante, senza che risulti lintervenuta impugnazione di detta esclusione da parte di imprese diverse da quelle coinvolte nel presente giudizio, di guisa che la controversia che ora occupa questo Consiglio risulta di fatto circoscritta soltanto a due imprese. 2. Lordine di esame del ricorso principale ed incidentale. Il quadro giurisprudenziale anteriore allordinanza di rimessione del Consiglio di Giustizia amministrativa. ComՏ noto, la problematica relativa allordine di esame del ricorso principale e di quello incidentale (2), data la sua complessit e la sua accentuata rilevanza specie sotto il profilo delle ricadute economiche, stata ripetutamente affrontata dalla giurisprudenza (3), tantՏ che, gi antecedentemente allordinanza di rimessione della questione da parte del Consiglio di giustizia amministrativa per la regione Sicilia, lAdunanza Plenaria aveva avuto modo di pronunciarsi ben due volte sul tema, approdando, peraltro, a conclusioni diametralmente opposte. Nella prima pronuncia del 2008 (4), la Plenaria enucleava i criteri da se- (1) Cfr. ord. 17 ottobre 2013, n. 848, in www.giustizia-amministrativa.it. (2) Per un approfondimento sul tema sia consentito rinviare a ROMEI, Lordine logico di esame del ricorso principale ed incidentale alla luce dei recenti arresti dellAdunanza Plenaria, in Rass. avv. St., 2015, 1, 236 e ss. Sullargomento si vedano, altres, GIOVAGNOLI, Il ricorso incidentale, in GIOVAGNOLI - FRATINI, Il ricorso incidentale e i motivi aggiunti nel giudizio di primo grado e in appello, Milano, Giuffr, 2008; CAPONIGRO, Il rapporto di priorit logica tra ricorso principale e ricorso incidentale nel processo amministrativo, in www.giustizia-amministrativa.it; VILLATA - BERTONAZZI, Art. 42, in Il processo amministrativo. Commentario al d.lgs. 104/2010, a cura di QUARANTA - LOPILATO, Milano, Giuffr, 2010; FERRARI Il ricorso incidentale nel processo amministrativo: principi consolidati e problematiche irrisolte, in Dir. proc. amm., 2007, IV, 1058; TROPEA, Il ricorso incidentale nel processo amministrativo, Reggio Calabria, Edizioni Scientifiche Italiane, 2007. (3) Cfr., tra le pi recenti, Cons. St., sez. VI, 29 gennaio 2016, n. 367, in Riv. inter. dir. delluomo, 2016, 15 febbraio; id., sez. IV, 8 settembre 2015, n. 4170, in Foro amm., 2015, 9, 2248; id., sez. III, 22 luglio 2015, n. 3638, in Banca dati De Jure; id., sez. VI, 10 febbraio 2015, n. 713, in Foro amm., 2015, 2, 493; id., sez. III, 12 dicembre 2014, n. 6134, in Banca dati De Jure; id., sez. VI, 20 ottobre 2014, n. 5170, in Foro amm., 2014, 10, 2580; T.A.R. Liguria, sez. II, 11 gennaio 2016, n. 16, ivi, 2016, 1; T.A.R. Emilia-Romagna, sez. II, 17 novembre 2015, n. 1008, in Banca dati De Jure; T.A.R. Campania, Salerno, sez. I, 9 novembre 2015, n. 2361, ivi. CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 29 guire nella definizione dellordine di esame del ricorso principale e di quello incidentale nei giudizi in materia di appalti pubblici tanto nelle ipotesi di gare in cui siano ammessi almeno tre offerenti, quanto in quelle in cui vi siano soltanto due partecipanti. Nel primo caso - sosteneva la Plenaria - il giudice dovr esaminare prima il ricorso incidentale (come, ad es., nellipotesi in cui laggiudicatario di una gara abbia dedotto lillegittimit dellatto che vi abbia ammesso il ricorrente principale). Infatti, nellipotesi di accoglimento del ricorso incidentale, limpresa ricorrente principale non pu pi essere annoverata tra i concorrenti alla gara e non pu conseguire non solo laggiudicazione, ma neppure la ripetizione della gara poich, pur se risultasse lillegittimit dellatto di ammissione dellaggiudicataria, lAmministrazione - salvo lesercizio del potere di autotutela - non potrebbe che prendere in considerazione le offerte presentate dalle altre imprese ammesse con atti divenuti inoppugnabili. Il ricorso principale dovr, dunque, essere dichiarato improcedibile per sopravvenuto difetto di legittimazione poich proposto da unimpresa che non pu ottenere alcuna utilit dal giudizio. Nulla osterebbe, per, a che il giudice proceda allesame preliminare del ricorso principale, ove questo sia infondato, al fine di dichiarare limprocedibilit del ricorso incidentale. Viceversa, nella seconda ipotesi, per i principi della parit delle parti e di imparzialit, quando le due uniche imprese ammesse alla gara abbiano ciascuna impugnato latto di ammissione dellaltra, le scelte del giudice non possono avere rilievo decisivo sullesito della lite, anche quando riguardino lordine di trattazione dei ricorsi: non si pu statuire che la fondatezza del ricorso incidentale - esaminato prima - preclude lesame di quello principale, ovvero che la fondatezza del ricorso principale - esaminato prima - preclude lesame di quello incidentale, poich entrambe le imprese sono titolari dellinteresse minore e strumentale allindizione di una ulteriore gara. Pertanto in tale ipotesi il giudice a) pu, per ragioni di economia processuale, esaminare con priorit il ricorso principale (quando la sua infondatezza comporta limprocedibilit di quello incidentale) ovvero quello incidentale (la cui infondatezza comporta lesame di quello principale); b) non pu, in base ai principi di parit delle parti e di imparzialit, determinare una soccombenza anche parziale in conseguenza dei criteri logici che ha seguito nellordine di trattazione delle questioni; c) qualunque sia il primo ricorso che esamini e ritenga fondato, deve tener conto dellinteresse strumentale di ciascuna impresa alla ripetizione della gara e deve esaminare anche laltro quando la (4) Sent. 10 novembre 2008, n. 11, in Foro amm. CdS, 2008, 11, 2939, con nota critica di CIMELLARO, Alcune note sulla parit delle parti nellAdunanza plenaria n. 11 del 2008, e ivi, 2008, 12, 3308, con nota di TROPEA, La plenaria prende posizione sui rapporti fra ricorso principale e ricorso incidentale (nelle gare con due soli concorrenti). 30 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2016 fondatezza di entrambi comporta lannullamento di tutti gli atti di ammissione alla gara e, per illegittimit derivata, anche dellaggiudicazione, col conseguente obbligo dellamministrazione di indirne una ulteriore (5). Dunque, ove si tratti di gare con due soli partecipanti, il giudice dovr valorizzare linteresse minore e strumentale alla ripetizione della gara, sicch non potr essere applicato il principio della improcedibilit del ricorso principale, in caso di accoglimento di quello incidentale, operante, invece, nelle gare con pi di due offerte ammesse (6). A soli tre anni dalla prima pronuncia, lAdunanza Plenaria, con sentenza del 7 aprile 2011, n. 4 (7), ha nuovamente affrontato la questione, questa volta pervenendo a conclusioni diametralmente opposte rispetto a quelle raggiunte nel 2008. In particolare, la Plenaria poneva a fondamento del proprio iter logicoargomentativo la considerazione per cui la mera partecipazione (di fatto) alla gara pubblica non pu costituire elemento sufficiente al riconoscimento della legittimazione al ricorso, atteso che questa deriva da una qualificazione di carattere normativo e postula un esito positivo del sindacato sulla ritualit dellammissione del soggetto ricorrente alla procedura selettiva, sicch la definitiva esclusione (o laccertamento dellillegittimit della partecipazione alla gara) impedisce di assegnare al concorrente la titolarit di una situazione sostanziale che lo abiliti ad impugnare gli esiti della procedura selettiva. Ci premesso, i Giudici di Palazzo Spada concludevano, affermando che lesame del ricorso incidentale diretto a contestare la legittimazione del ricorrente principale attraverso limpugnazione della sua ammissione alla procedura di gara (5) Cos Cons. St., ad. plen., n. 11/2008, cit. (6) Per un approfondito commento della pronuncia cfr. GIOVAGNOLI, Ricorso incidentale e parit delle parti (Relazione tenuta a Lecce, il 9 ottobre 2009, nel corso del Convegno Il Codice del processo amministrativo ), in www.giustizia-amministrativa.it; BENETAZZO, Lordine di esame del ricorso principale e del ricorso incidentale tra oscillazioni giurisprudenziali e questioni irrisolte, in www.federalismi.it; VILLATA, Riflessioni in tema di ricorso incidentale nel giudizio amministrativo di primo grado (con particolare riguardo alle impugnative delle gare contrattuali), in Dir. proc. amm., 2009, 285; PELLEGRINO, Ricorso incidentale e parit delle parti. La svolta della Plenaria. Nota a Adunanza Plenaria 10 novembre 2008, n. 11, in Riv. giur. edil., 2008, 1423; SQUAZZONI, Il rebus del presunto effetto paralizzante del ricorso incidentale nelle gare dappalto ove anche il ricorrente principale contesti la mancata esclusione del vincitore, in Dir. proc. amm., 2009, 151. (7) In Foro amm. CdS, 2011, 4, 1132, in Foro it., 2011, 6, III, 306, in Riv. giur. edil., 2011, 2-3, I, 570, e in Dir. proc. amm., 2011, 3, 1035, con note di SQUAZZONI, Ancora sullasserito effetto paralizzante del solo ricorso incidentale c.d. escludente nelle controversie in materia di gare. La Plenaria statuisce nuovamente sul rebus senza risolverlo; GIANNELLI, Il revirement della Plenaria in tema di ricorsi paralizzanti nelle gare a due: le nubi si addensano sulla nozione di interesse strumentale; F. FOLLIERI, Un ripensamento dellordine di esame dei ricorsi principale ed incidentale; MARINELLI, Ancora in tema di ricorso incidentale escludente e ordine di esame delle questioni (note brevi a margine di un grand arrt dellAdunanza Plenaria). Per un primo commento si veda, altres, TORREGROSSA, LAdunanza Plenaria rimedita le conclusioni alle quali era pervenuta con la pronuncia del 2008 in tema di rapporto tra ricorso principale e ricorso incidentale cd escludente o paralizzante, in www.ildirittoamministrativo.it. CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 31 deve sempre precedere quello del ricorso principale, anche nel caso in cui il ricorrente principale abbia un interesse strumentale alla rinnovazione dellintera procedura selettiva e indipendentemente dal numero dei concorrenti che vi hanno preso parte, dal tipo di censura prospettata con il ricorso incidentale e dalle richieste dellamministrazione resistente. Lesame prioritario del ricorso principale ammesso soltanto per ragioni di economia processuale nel caso in cui questo risulti manifestamente infondato, inammissibile, irricevibile o improcedibile (8). 3. La soluzione adottata dalla Corte di Giustizia. in questo articolato panorama giurisprudenziale che si innesta lordinanza di rimessione del Consiglio di giustizia amministrativa e, conseguentemente, la pronuncia in commento. A ben vedere i principi enucleati dalla Plenaria n. 4/2011 erano stati sin da subito messi in discussione dalla giurisprudenza successiva, tantՏ che la Corte di giustizia UE gi in precedenza era stata investita della questione pregiudiziale relativa al possibile contrasto tra i principi di parit delle parti, di non discriminazione e di tutela della concorrenza nei pubblici appalti sanciti dalla prima direttiva ricorsi n. 1989/665/CEE e dalla seconda direttiva ricorsi n. 2007/66/CE ed il diritto vivente derivante dalla predetta sentenza n. 4/2011 (9). La Corte di Giustizia delle Comunit Europee aveva affrontato la questione con sentenza della Sez. X, 4 luglio 2013, n. 100, in causa C-100/12 (c.d. sentenza Fastweb) (10), affermando il principio di diritto secondo cui le disposizioni delle direttive ricorsi devono essere interpretate nel senso che, se in un procedimento di ricorso, laggiudicatario che ha ottenuto lappalto e proposto ricorso incidentale solleva uneccezione di inammissibilit fondata sul difetto di legittimazione a ricorrere dellofferente che ha proposto il ricorso, con la motivazione che lofferta da questi presentata avrebbe dovuto essere esclusa dallautorit aggiudicatrice per non conformit alle specifiche tecniche indicate nel piano di fabbisogni, tal(i) disposizion(i) osta(no) al fatto che il suddetto ricorso sia dichiarato inammissibile in conseguenza dellesame preliminare di tale eccezione di inammissibilit senza pronunciarsi sulla conformit con le suddette specifiche tecniche sia dellofferta dellaggiudicatario che ha ottenuto lappalto, sia di quella dellofferente che ha proposto il ricorso principale. (8) Gi prima della sua pubblicazione, negli stessi termini della Plenaria, si sono espressi, tra gli altri, VILLATA - BERTONAZZI, op. cit., 422-423; TROPEA, Commento allart. 42, in CARINGELLA e PROTTO, Il Codice del nuovo processo amministrativo, Roma, 2010, 478. (9) Cfr. T.A.R. Piemonte, sez. II, ord. 9 febbraio 2012, n. 208, in Riv. it. dir. pubbl. comunit., 2012, 1, 209, e in Foro amm. TAR, 2012, 2, 333. (10) In Riv. it. dir. plub. com., 2013, 3-4, 795, con nota di E.M. BARBIERI, Legittimazione ed interesse a ricorrere in caso di ricorsi reciprocamente escludenti dopo una recente pronuncia comunitaria, in Dir. & Giust., 2013, 8 luglio, in Foro amm. CdS, 2013, 7-8, 1747, e in Guida al dir., 2013, 41, 104. 32 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2016 In sostanza, dunque, la Corte di Giustizia CE, sconfessando gli arresti della Plenaria n. 4/2011, si era condivisibilmente - seppur solo parzialmente - allineata alle conclusioni raggiunte dalla precedente sentenza della Plenaria n. 11/2008, affermando che, in caso di fondatezza di entrambi i ricorsi (principale ed incidentale) c.d. escludenti, necessario che il giudice tenga conto dellinteresse strumentale di ciascun concorrente alla ripetizione della gara, disponendo, di conseguenza, lannullamento di tutti gli atti di ammissione alla gara e, per illegittimit derivata, anche dellaggiudicazione, col conseguente obbligo dellAmministrazione di indirne una ulteriore (11) (12). La pronuncia in commento si pone nel solco tracciato dalla c.d. sentenza Fastweb, ai cui principi la Corte di giustizia UE conferma di aderire, ma, al contempo, ne amplia la portata, estendendone lapplicabilit a tutte le tipologie di controversie in materia di appalti pubblici, indipendentemente dal numero di partecipanti alla gara. In particolare, i giudici europei ribadiscono la contrariet ai principi sanciti dallart. 1, par. 3, della prima direttiva ricorsi n. 1989/665/CEE di una normativa nazionale in forza della quale il ricorso di un offerente la cui offerta non stata prescelta sia dichiarato inammissibile in conseguenza dellesame preliminare delleccezione di inammissibilit sollevata nellambito del ricorso incidentale dellaggiudicatario, senza che ci si pronunci sulla conformit delle due offerte in discussione con le specifiche tecniche indicate nel piano di fabbisogni. In tale situazione, infatti, ciascun offerente ha un identico interesse concreto ed attuale a ottenere lesclusione dellofferta degli altri concorrenti e, conseguentemente, laggiudicazione di un determinato appalto. Questultimo interesse, in particolare, potr essere realizzato, alternativamente, in due differenti modi: o in via diretta, a seguito dellesclusione di un offerente e della conseguente aggiudicazione diretta a favore dellaltro nellambito della medesima procedura; oppure, qualora entrambi i ricorrenti (principale ed incidentale) vengano esclusi, in via indiretta, attraverso lindizione di una nuova (11) Cfr., per una lettura favorevole della sentenza, E.M. BARBIERI, op. cit.; DANCONA, La tesi delleffetto paralizzante del ricorso incidentale rispetto al ricorso principale proposta dallAdunanza Plenaria del Consiglio di Stato non supera il vaglio della Corte di Giustizia, in www.giustizia-amministrativa.it; CAPONIGRO, Le azioni reciprocamente escludenti tra giurisprudenza europea e nazionale, in www.giustizia-amministrativa.it; TOSCHEI, Una scelta in linea con le proposizioni sviluppate dopo il varo della seconda direttiva ricorsi, in Guida al dir., 2013, 91; QUINTO, La Corte di Giustizia anticipa lAdunanza Plenaria, 2014, in www.giustizia-amministrativa.it; E. FOLLIERI, La legittimazione a ricorrere e lordine di trattazione dei motivi reciprocamente escludenti nelle controversie sugli appalti pubblici sono individuati negli interessi protetti dalle norme, in www.cameraamministrativa.it. Per una lettura in chiave critica della pronuncia vi vedano, invece, CACCIARI, Ricorso principale e ricorso incidentale: una questione davvero risolta dalla Corte di Giustizia?, 2013, in www.giustamm.it; PROVENZANO, Nota a Corte di Giustizia Unione Europea, Sezione decima, sentenza 4 luglio 2013, n. 100/2012, in www.ildirittoamministrativo.it. (12) Per una lettura combinata dei principi affermati dalla sentenza Fastweb con la Plenaria n. 4/2011 cfr. Cons. St., sez. VI, 30 settembre 2015, n. 4544, in Foro amm., 2015, 9, 2280. CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 33 procedura di gara a cui ciascun offerente pu partecipare e, quindi, ottenere lappalto. I principi su esposti - ed questo il maggior elemento di novit della pronuncia in commento - devono trovare applicazione non soltanto nel caso di gare con due soli offerenti, ma in tutte le controversie in materia di appalti pubblici a prescindere dal numero di partecipanti alla procedura di aggiudicazione nonch dal numero di partecipanti che hanno presentato ricorso e dalla natura dei motivi di ricorso dai medesimi dedotti. Dalla lettura della motivazione della sentenza in commento emerge chiaramente la volont della Corte di giustizia di scardinare definitivamente linterpretazione restrittiva fornita dal Consiglio di Stato nella sopracitata decisione del 2011, riaffermando prepotentemente la primazia del diritto e dei principi comunitari su quelle nazionali, anche di natura processuale. In realt, al di l di ogni considerazione di principio sul punto, la soluzione tracciata dal Giudice comunitario certamente condivisibile; difatti, come da pi parti evidenziato (13), la preferenza accordata dalla Plenaria n. 4/2011 al prioritario esame del ricorso incidentale e, quindi, implicitamente alla posizione del controinteressato (aggiudicatario della gara), pi che da ragioni di equit o di giustizia (sostanziale e/o processuale), sembra essere dettata da un favor per la tutela dellinteresse pubblico, individuato nella sollecita esecuzione dellappalto, oltre che nella necessit di evitare la proliferazione del contenzioso. Tale preferenza, per, si scontra irrimediabilmente con i principi di parit delle parti, non discriminazione e (soprattutto) tutela della concorrenza la cui attuazione deve rappresentare lobiettivo principale non soltanto del legislatore in sede di trasposizione della normativa sovranazionale, ma anche degli organi giurisdizionali chiamati ad applicarla. evidente allora che, a fronte di unaggiudicazione operata in favore di un soggetto illegittimamente ammesso alla gara, non pu che assume carattere preminente il perseguimento dei principi della par condicio competitorum e delleffettivit della tutela giurisdizionale, pienamente realizzabili unicamente attraverso la ripetizione delle procedure di gara. N, in senso contrario, vale obiettare che gli invocati principi comunitari andrebbero coniugati con quelli (certamente pur rilevanti) della celere esecuzione dei pubblici appalti, della lealt processuale, del divieto di abuso del diritto di difesa e della ragionevole durata dei processi (14). Questa impostazione, a ben vedere, anzich ambire al ripristino della legalit violata a seguito di unaggiudicazione illegittima, finisce con lassegnare una posi- (13) Cfr. PELLEGRINO, La Plenaria e le tentazioni dellincidentale, 2011, in www.giustizia-amministrativa.it; ROMEI, op. cit., 249. (14) In tal senso PROTTO, Ordine di esame del ricorso principale e incidentale in materia di appalti pubblici: la parola al giudice comunitario, in Urb. e app., n. 4/2012, 440, e in www.giustizia-amministrativa.it. 34 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2016 zione privilegiata proprio al soggetto che, con il suo contegno, ha causato quella illegittimit, in nome dellasserito principio della solerte esecuzione dellopera (15). Tale conclusione non pu non valere anche nellipotesi in cui i partecipanti alla procedura ad evidenza pubblica siano pi di due. Anche in questo caso, non pu escludersi in via generalizzata linsussistenza della titolarit, da parte di entrambi i ricorrenti, dellinteresse minore e strumentale allindizione di una ulteriore gara e, conseguentemente, la presenza di un vantaggio per entrambi i ricorrenti; difatti, a fronte di tale doppia esclusione allAmministrazione resta pur sempre attribuita la facolt di decidere di procedere alla riedizione della gara qualora ritenga che le (eventuali) offerte non escluse non siano comunque idonee ad assicurare linteresse pubblico alla scelta del miglior contraente possibile per lesecuzione dellopera. Il principio affermato con forza dalla Corte di giustizia sconfessa anche gli ultimi arresti dellAdunanza Plenaria (16) - successivi allordinanza di rimessione del Consiglio di giustizia amministrativa - con cui i Giudici di Palazzo Spada avevano cercato di mediare alle discordanti posizioni assunte dalla giurisprudenza (e dalla stessa Plenaria), valorizzando il profilo cronologicoseguenziale cui impinge il vizio lamentato dalle parti (17) (18). In senso contrario, infatti, la sentenza in commento precisa che lobbligo di esaminare sempre e comunque entrambi i ricorsi grava in ogni caso sullorgano giudicante, indipendentemente dalla natura dei motivi di ricorso dai medesimi dedotti e dei vizi in essi prospettati. (15) In questo senso Cass. Civ., sez. un., 21 giugno 2012, n. 10294, in Giust. civ. Mass., 2012, 6, 824, in Foro amm. CdS, 2012, 7-8, 1795 e in www.lexitalia.it, con note adesive di CAPPARELLI, Le Sezioni Unite bacchettano lAdunanza Plenaria e di PELLEGRINO, Aggiudicatario iperprotetto. Il monito delle Sezioni Unite sullincidentale. In dottrina, a sostegno della posizione, si vedano, altres, F. FOLLIERI, op. cit.; DANCONA, Il rapporto tra ricorso incidentale e ricorso principale fra diritto interno e diritto dellUnione Europea: note a margine delle pronunce della Cass. SS. UU. 21 giugno 2012 e del C.d.S., sez. III, 30 agosto 2012, n. 4656, in www.giustamm.it; nonch ROMEI, op. cit., 249-251. (16) Cfr. sentenze 30 gennaio 2014, n. 7, in Foro amm. CdS, 2014, 2, 384 e in Dir. & Giust., 2014, 3 febbraio, e 25 febbraio 2014, n. 9, in Foro amm. CdS, 2014, 2, 387. (17) In particolare, la Plenaria ha concluso nel senso che, se entrambe le offerte sono inficiate dal medesimo vizio che le rende inammissibili, apparirebbe prima facie contrario alluguaglianza concorrenziale escludere solo lofferta del ricorrente principale, dichiarandone inammissibile il ricorso e confermare, invece, lofferta del ricorrente incidentale, bench suscettibile di esclusione per la medesima ragione. In tali casi, essendo il vizio fatto valere da entrambi i contendenti il medesimo, non pu ravvisarsi in concreto un problema di esame prioritario del ricorso incidentale rispetto al ricorso principale. Prioritario, in questo peculiare caso, soltanto lesame del vizio che, se sussistente, giustifica laccoglimento di entrambi i ricorsi, mentre, se insussistente, determina la loro reciproca reiezione e la conferma dellaggiudicazione. Lidentit del vizio, nella sua consistenza fattuale e nella sua speculare deduzione da ambedue le parti, comporta, quindi, che il suo accertamento e la relativa decisione di accoglimento siano automaticamente e logicamente predicabili indifferentemente per luna o per laltra parte del processo. (18) Circa la compatibilit dei principi di cui alla Plenaria n. 9/2014 con il dettato della sentenza Fastweb cfr. Cons. St., sez. VI, 8 maggio 2014, n. 2362, in Foro amm., 2014, 5, 1444; T.A.R. Lombardia, Brescia, sez. II, 16 dicembre 2015, n. 1726, in www.giustizia-amministrativa.it. CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 35 In conclusione, la soluzione indicata dal Giudice comunitario appare lunica possibile per dare concreta attuazione ai principi, di matrice comunitaria, che costituiscono - specie a seguito dellintroduzione del nuovo codice dei contratti pubblici (19) che ne ha ulteriormente sottolineato la centralit - la stella polare degli interventi legislativi nel settore dei contratti pubblici, i quali non possono in alcun modo recedere dinnanzi a quelli, seppur rilevanti, della celere esecuzione degli appalti pubblici, della ragionevole durata dei processi e del divieto di abuso del diritto di difesa. A fronte del rango dei principi in gioco, i timori - frutto di valutazioni di natura prettamente politica pi che di speculazione giuridica - per i possibili danni alleconomia pubblica non possono certamente giustificare il sacrificio delle istanze di legalit (provenienti, in primis, proprio dalla societ civile di cui la classe politica dovrebbe essere espressione) e lannichilimento dei diritti individuali in nome di unanacronistica visione dellinteresse pubblico, declinato quale mera pretesa dellAutorit a non veder leso lassetto di interessi da essa stessa (anche illegittimamente) posto in essere. Corte di giustizia dellUnione europea, Grande Sezione, sentenza 5 aprile 2016, causa C-689/13 - Pres. K. Lenaerts, Rel. E. Juhsz, Avv. Gen. M. Wathelet - Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione siciliana (Italia) il 24 dicembre 2013 - PFE / Airgest. Rinvio pregiudiziale - Appalti pubblici di servizi - Direttiva 89/665/CEE - Articolo 1, paragrafi 1 e 3 - Procedure di ricorso - Ricorso di annullamento avverso il provvedimento di aggiudicazione di un appalto pubblico presentato da un offerente la cui offerta non stata prescelta - Ricorso incidentale dellaggiudicatario - Regola giurisprudenziale nazionale che impone di esaminare preliminarmente il ricorso incidentale e, se questultimo risulta fondato, di dichiarare il ricorso principale irricevibile, senza esame nel merito - Compatibilit con il diritto dellUnione - Articolo 267 TFUE - Principio del primato del diritto dellUnione - Principio di diritto enunciato con decisione delladunanza plenaria dellorgano giurisdizionale amministrativo supremo di uno Stato membro - Normativa nazionale che prevede il carattere vincolante di tale decisione per le sezioni del suddetto organo giurisdizionale - Obbligo della sezione investita di una questione attinente al diritto dellUnione, in caso di disaccordo con la decisione delladunanza plenaria, di rinviare a questultima tale questione - Facolt o obbligo della sezione di adire la Corte in via pregiudiziale 1 La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sullinterpretazione dellarticolo 1, paragrafo 3, della direttiva 89/665/CEE del Consiglio, del 21 dicembre 1989, che coordina le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative relative allapplicazione delle procedure di ricorso in materia di aggiudicazione degli appalti pubblici di forniture e di lavori (GU L 395, pag. 33), come modificata dalla direttiva 2007/66/CE del Parlamento europeo e del Consiglio (19) Il nuovo codice dei contratti pubblici oggi contenuto nel d.lgs. 19 aprile 2016, n. 50, in Gazz. Uff. 19 aprile 2016, n. 91, S.O. n. 10. 36 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2016 dell11 dicembre 2007 (GU L 335, pag. 31; in prosieguo: la direttiva 89/665), dellarticolo 267 TFUE, nonch dei principi del primato e delleffettivit del diritto dellUnione. 2 Tale domanda stata presentata nellambito di una controversia fra la Puligienica Facility Esco SpA (PFE) (in prosieguo: la PFE) e la Airgest SpA (in prosieguo: la Airgest), relativa alla legittimit dellattribuzione da parte di questultima societ di un appalto pubblico di servizi alla Gestione Servizi Ambientali Srl (GSA) (in prosieguo: la GSA) e alla Zenith Services Group Srl (ZS). Contesto normativo Diritto dellUnione 3 Larticolo 1 della direttiva 89/665, intitolato Ambito di applicazione e accessibilit delle procedure di ricorso, cos dispone: 1. La presente direttiva si applica agli appalti di cui alla direttiva 2004/18/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 31 marzo 2004, relativa al coordinamento delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, di forniture e di servizi [(GU L 134, pag. 114)], a meno che tali appalti siano esclusi a norma degli articoli da 10 a 18 di tale direttiva. Gli appalti di cui alla presente direttiva comprendono gli appalti pubblici, gli accordi quadro, le concessioni di lavori pubblici e i sistemi dinamici di acquisizione. Gli Stati membri adottano i provvedimenti necessari per garantire che, per quanto riguarda gli appalti disciplinati dalla direttiva [2004/18], le decisioni prese dalle amministrazioni aggiudicatrici possano essere oggetto di un ricorso efficace e, in particolare, quanto pi rapido possibile, secondo le condizioni previste negli articoli da 2 a 2 septies della presente direttiva, sulla base del fatto che hanno violato il diritto comunitario in materia di aggiudicazione degli appalti pubblici o le norme nazionali che lo recepiscono. (...) 3. Gli Stati membri provvedono a rendere accessibili le procedure di ricorso, secondo modalit dettagliate che gli Stati membri possono determinare, a chiunque abbia o abbia avuto interesse ad ottenere laggiudicazione di un determinato appalto e sia stato o rischi di essere leso a causa di una presunta violazione. (...). 4 Ai sensi dellarticolo 2, paragrafo 1, della menzionata direttiva: Gli Stati membri provvedono affinch i provvedimenti presi in merito alle procedure di ricorso di cui allarticolo 1 prevedano i poteri che consentono di: (...) b) annullare o far annullare le decisioni illegittime (); (...). Diritto italiano 5 Il Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione siciliana stato istituito con il decreto legislativo del 6 maggio 1948, n. 654 - Norme per lesercizio nella Regione siciliana delle funzioni spettanti al Consiglio di Stato (GURI n. 135 del 12 giugno 1948). Nella suddetta regione esso esercita le medesime funzioni consultive e giurisdizionali spettanti al Consiglio di Stato. 6 Il decreto legislativo del 2 luglio 2010, n. 104 - Attuazione dellarticolo 44 della legge 18 giugno 2009, n. 69, recante delega al governo per il riordino del processo amministrativo (supplemento ordinario alla GURI n. 156 del 7 luglio 2010), concerne ladozione del codice del processo amministrativo. CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 37 7 Larticolo 6 di detto codice dispone quanto segue: 1. Il Consiglio di Stato organo di ultimo grado della giurisdizione amministrativa. (...) 6. Gli appelli avverso le pronunce del Tribunale amministrativo regionale della Sicilia sono proposti al Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione siciliana, nel rispetto delle disposizioni dello statuto speciale e delle relative norme di attuazione. 8 Larticolo 42 del codice in parola, al paragrafo 1, recita: Le parti resistenti e i controinteressati possono proporre domande il cui interesse sorge in dipendenza della domanda proposta in via principale, a mezzo di ricorso incidentale. (). 9 Larticolo 99 dello stesso codice cos formulato: 1. La sezione cui assegnato il ricorso, se rileva che il punto di diritto sottoposto al suo esame ha dato luogo o possa dare luogo a contrasti giurisprudenziali, con ordinanza emanata su richiesta delle parti o dufficio pu rimettere il ricorso allesame delladunanza plenaria. Ladunanza plenaria, qualora ne ravvisi lopportunit, pu restituire gli atti alla sezione. 2. Prima della decisione, il presidente del Consiglio di Stato, su richiesta delle parti o dufficio, pu deferire alladunanza plenaria qualunque ricorso, per risolvere questioni di massima di particolare importanza ovvero per dirimere contrasti giurisprudenziali. 3. Se la sezione cui assegnato il ricorso ritiene di non condividere un principio di diritto enunciato dalladunanza plenaria, rimette a questultima, con ordinanza motivata, la decisione del ricorso. 4. Ladunanza plenaria decide lintera controversia, salvo che ritenga di enunciare il principio di diritto e di restituire per il resto il giudizio alla sezione remittente. 5. Se ritiene che la questione di particolare importanza, ladunanza plenaria pu comunque enunciare il principio di diritto nellinteresse della legge anche quando dichiara il ricorso irricevibile, inammissibile o improcedibile, ovvero lestinzione del giudizio. In tali casi, la pronuncia delladunanza plenaria non ha effetto sul provvedimento impugnato. 10 Ai sensi dellarticolo 100 del codice del processo amministrativo: Avverso le sentenze dei tribunali amministrativi regionali ammesso appello al Consiglio di Stato, ferma restando la competenza del Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione siciliana per gli appelli proposti contro le sentenze del Tribunale amministrativo regionale per la Sicilia. 11 Il decreto legislativo del 24 dicembre 2003, n. 373 - Norme di attuazione dello Statuto speciale della Regione siciliana concernenti lesercizio nella regione delle funzioni spettanti al Consiglio di Stato (GURI n. 10 del 14 gennaio 2004, pag. 4), allarticolo 1, paragrafo 2, prevede che le sezioni del Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione siciliana costituiscono sezioni staccate del Consiglio di Stato e, all articolo 4, paragrafo 3, che, in sede giurisdizionale, il Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione siciliana esercita le funzioni di giudice di appello contro le pronunce del Tribunale amministrativo regionale per la Sicilia. Procedimento principale e questioni pregiudiziali 12 Con bando pubblicato il 18 gennaio 2012 la Airgest, societ di gestione dellAeroporto civile di Trapani-Birgi (Italia), ha avviato una procedura aperta, avente ad oggetto laffidamento del servizio di pulizia e manutenzione delle aree verdi presso tale aeroporto per un periodo di tre anni. Limporto dellappalto in parola, esclusa limposta sul valore aggiunto, era pari a EUR 1 995 496,35 e il criterio di aggiudicazione previsto era quello 38 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2016 dellofferta economicamente pi vantaggiosa. Lappalto stato attribuito, con provvedimento di aggiudicazione definitiva del 22 maggio 2012, allassociazione temporanea di imprese creata fra la GSA e la Zenith Services Group Srl (ZS). 13 La PFE, che aveva partecipato allappalto e che si era classificata seconda, ha proposto un ricorso dinanzi al Tribunale amministrativo regionale per la Sicilia, chiedendo, inter alia, lannullamento del provvedimento di aggiudicazione e, in via consequenziale, laggiudicazione dellappalto a suo favore e la stipula del relativo contratto. Gli altri offerenti non hanno impugnato il provvedimento di aggiudicazione di cui trattasi. 14 La GSA, capogruppo dellassociazione temporanea di imprese cui stato affidato lappalto, si costituita in giudizio e ha interposto un ricorso incidentale basato sul difetto di interesse della PFE, ricorrente principale, alla coltivazione dellimpugnativa, giacch questultima non avrebbe soddisfatto i requisiti di ammissione alla gara dappalto e, di conseguenza, avrebbe dovuto essere esclusa dal procedimento di aggiudicazione. Il Tribunale amministrativo regionale per la Sicilia ha esaminato gli argomenti delle due parti e ha accolto i due ricorsi. A seguito di tale decisione la Airgest, quale amministrazione aggiudicatrice, ha escluso le due ricorrenti nonch tutti gli altri offerenti inizialmente inseriti nella graduatoria, a causa dellinidoneit delle rispettive offerte rispetto ai documenti di gara. Gli altri offerenti non avevano proposto ricorso avverso il provvedimento di aggiudicazione dellappalto. stata allora indetta una nuova procedura, negoziata, di attribuzione dellappalto in parola. 15 La PFE ha impugnato tale sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Sicilia dinanzi al Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione siciliana. Quanto alla GSA, essa ha interposto appello incidentale dinanzi a questultimo organo giurisdizionale, adducendo, segnatamente, che il Tribunale amministrativo regionale per la Sicilia, procedendo alla disamina dei motivi dedotti nel ricorso principale, aveva disatteso i principi relativi allordine di esame dei ricorsi enunciati dalla sentenza del 7 aprile 2011, n. 4, delladunanza plenaria del Consiglio di Stato. Secondo detta sentenza, in caso di ricorso incidentale volto a contestare lammissibilit del ricorso principale, il ricorso incidentale deve essere valutato prioritariamente, prima del ricorso principale. Nellordinamento giuridico nazionale un siffatto ricorso incidentale qualificato come escludente o paralizzante poich, qualora ne constati la fondatezza, il giudice adito deve dichiarare inammissibile il ricorso principale senza esaminarlo nel merito. 16 Il giudice del rinvio osserva che la Corte, nella sentenza Fastweb (C.100/12, EU:C:2013:448), pronunciata successivamente alla menzionata sentenza delladunanza plenaria del Consiglio di Stato, ha giudicato che larticolo 1, paragrafo 3, della direttiva 89/665 deve essere interpretato nel senso che osta ai principi, stabiliti da detta ultima sentenza, riportati al punto precedente della presente sentenza. La causa allorigine della sentenza Fastweb (C.100/12, EU:C:2013:448) riguardava due offerenti che erano stati selezionati dallamministrazione aggiudicatrice e invitati a presentare delle offerte. A seguito del ricorso proposto dallofferente la cui offerta non era stata prescelta, laggiudicatario aveva presentato un ricorso incidentale, con il quale faceva valere che lofferta che non era stata prescelta avrebbe dovuto essere esclusa in quanto non rispettava uno dei requisiti minimi previsti dal piano di fabbisogni. 17 Il giudice del rinvio si chiede, in primo luogo, se linterpretazione fornita dalla Corte nella sentenza Fastweb (C.100/12, EU:C:2013:448) valga anche nella fattispecie in discussione, considerato che, nella causa allorigine della citata sentenza, le imprese parte- CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 39 cipanti alla gara erano solo due ed entrambe si trovavano portatrici di interessi contrapposti nel contesto del ricorso principale per annullamento presentato dallimpresa la cui offerta non era stata prescelta e del ricorso incidentale presentato dallaggiudicatario, mentre, nel procedimento principale di cui alla presente fattispecie, le imprese partecipanti sono pi di due, anche se soltanto due fra loro hanno proposto ricorso. 18 In secondo luogo, il giudice del rinvio rileva che, conformemente allarticolo 1, paragrafo 2, del decreto legislativo del 24 dicembre 2003, n. 373 - Norme di attuazione dello Statuto speciale della Regione siciliana concernenti lesercizio nella regione delle funzioni spettanti al Consiglio di Stato, esso costituisce una sezione del Consiglio di Stato e che, in quanto tale, un giudice nazionale avverso le cui decisioni non pu proporsi un ricorso giurisdizionale di diritto interno ai sensi dellarticolo 267, terzo comma, TFUE. Orbene, in ragione della norma processuale ex articolo 99, paragrafo 3, del codice del processo amministrativo, esso sarebbe tenuto ad applicare i principi di diritto enunciati dalladunanza plenaria del Consiglio di Stato, anche sulle questioni afferenti allinterpretazione e allapplicazione del diritto dellUnione, fatta salva la facolt della sezione, quando intenda discostarsi da detti principi, di rimettere le questioni in discussione alladunanza plenaria onde sollecitare un revirement della sua giurisprudenza. 19 Il giudice del rinvio, a tale riguardo, pone in rilievo i contrasti fra la sentenza n. 4 delladunanza plenaria del Consiglio di Stato, del 7 aprile 2011, e la sentenza Fastweb (C.100/12, EU:C:2013:448) per affermare che, nellipotesi in cui il vincolo procedurale descritto al punto precedente si applicasse parimenti alle questioni attinenti al diritto dellUnione, il medesimo sarebbe incompatibile con il principio di competenza esclusiva della Corte in materia di interpretazione del diritto dellUnione e con lobbligo incombente a ogni organo giurisdizionale di ultima istanza degli Stati membri di adire la Corte ai fini di una pronuncia pregiudiziale, quando siano sollevate questioni di interpretazione di tale diritto. 20 Alla luce delle suesposte considerazioni, il Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione siciliana ha deciso di sospendere il giudizio e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali: 1) Se i principi dichiarati dalla [Corte di giustizia] con la sentenza [Fastweb (C.100/12, EU:C:2013:448)], con riferimento alla specifica ipotesi, oggetto di quel rinvio pregiudiziale, in cui due soltanto erano le imprese partecipanti a una procedura di affidamento di appalti pubblici, siano anche applicabili, in ragione di un sostanziale isomorfismo della fattispecie contenziosa, anche nel caso sottoposto al vaglio di questo Consiglio in cui le imprese partecipanti alla procedura di gara, sebbene ammesse in numero maggiore di due, siano state tutte escluse dalla stazione appaltante, senza che risulti lintervenuta impugnazione di detta esclusione da parte di imprese diverse da quelle coinvolte nel presente giudizio, di guisa che la controversia che ora occupa questo Consiglio risulta di fatto circoscritta soltanto a due imprese; 2) se, limitatamente alle questioni suscettibili di essere decise mediante lapplicazione del diritto dellUnione europea, osti con linterpretazione di detto diritto e, segnatamente con larticolo 267 TFUE, larticolo 99, comma 3, [codice del processo amministrativo], nella parte in cui tale disposizione processuale stabilisce la vincolativit, per tutte le Sezioni e i Collegi del Consiglio di Stato, di ogni principio di diritto enunciato dalladunanza plenaria, anche laddove consti in modo preclaro che detta adunanza abbia affermato, o possa aver affermato, un principio contrastante o incompatibile con il diritto dellUnione europea; e, in particolare, 40 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2016 se la Sezione o il Collegio del Consiglio di Stato investiti della trattazione della causa, laddove dubitino della conformit o compatibilit con il diritto dellUnione europea di un principio di diritto gi enunciato dalladunanza plenaria, siano tenuti a rimettere a questultima, con ordinanza motivata, la decisione del ricorso, in ipotesi ancor prima di poter effettuare un rinvio pregiudiziale alla [Corte di giustizia] per accertare la conformit e compatibilit europea del principio di diritto controverso, ovvero se invece la Sezione o il Collegio del Consiglio di Stato possano, o piuttosto debbano, in quanto giudici nazionali di ultima istanza, sollevare autonomamente, quali giudici comuni del diritto dellUnione europea, una questione pregiudiziale alla [Corte di giustizia] per la corretta interpretazione del diritto dellUnione europea; se - nellipotesi in cui la risposta alla domanda posta nel precedente [trattino] fosse nel senso di riconoscere a ogni Sezione e Collegio del Consiglio di Stato il potere/dovere di sollevare direttamente questioni pregiudiziali davanti alla [Corte di giustizia] ovvero, in ogni caso in cui la [Corte di giustizia] si sia comunque espressa, viepi se successivamente alladunanza plenaria del Consiglio di Stato, affermando la sussistenza di una difformit, o di una non completa conformit, tra la corretta interpretazione del diritto dellUnione europea e il principio di diritto interno enunciato dalladunanza plenaria ogni Sezione e ogni Collegio del Consiglio di Stato, quali giudici comuni di ultima istanza del diritto dellUnione europea possano o debbano dare immediata applicazione alla corretta interpretazione del diritto dellUnione europea per come interpretato dalla [Corte di giustizia] o se, invece, anche in tali casi siano tenuti a rimettere, con ordinanza motivata, la decisione del ricorso alladunanza plenaria, con leffetto di demandare allesclusiva valutazione di questultima, e alla sua discrezionalit giurisdizionale, lapplicazione del diritto dellUnione europea, gi vincolativamente dichiarato dalla [Corte di giustizia]; se, infine, unesegesi del sistema processuale amministrativo della Repubblica italiana nel senso di rimandare allesclusiva valutazione delladunanza plenaria leventuale decisione in ordine al rinvio pregiudiziale alla [Corte di giustizia] - ovvero anche soltanto la definizione della causa, allorch questa direttamente consegua allapplicazione di principi di diritto eurounitario gi declinati dalla [Corte di giustizia] - non sia di ostacolo, oltre che con i principi di ragionevole durata del giudizio e di rapida proposizione di un ricorso in materia di procedure di affidamento degli appalti pubblici, anche con lesigenza che il diritto dellUnione europea riceva piena e sollecita attuazione da ogni giudice di ciascuno Stato membro, in modo vincolativamente conforme alla sua corretta interpretazione siccome stabilita dalla [Corte di giustizia], anche ai fini della massima estensione dei principi del cd. effetto utile e del primato del diritto dellUnione europea sul diritto (non solo sostanziale, ma anche processuale) interno del singolo Stato membro (nella specie: sullarticolo 99, comma 3, del codice del processo amministrativo della Repubblica italiana). Sulla prima questione 21 Con detta questione il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se larticolo 1, paragrafi 1, terzo comma, e 3, della direttiva 89/665, debba essere interpretato nel senso che osta a che un ricorso principale proposto da un offerente, il quale abbia interesse a ottenere laggiudicazione di un determinato appalto e che sia stato o rischi di essere leso a causa di una presunta violazione del diritto dellUnione in materia di appalti pubblici o delle norme che recepiscono tale diritto, e diretto a ottenere lesclusione di un altro offerente, sia dichiarato irricevibile in applicazione di norme processuali nazionali che prevedono lesame prioritario del ricorso incidentale presentato da detto altro offerente. CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 41 22 Il giudice del rinvio desidera accertare, in particolare, se linterpretazione dellarticolo 1, paragrafo 3, della direttiva 89/665 data dalla Corte nella sentenza Fastweb (C.100/12, EU:C:2013:448) si applichi nellipotesi in cui le imprese partecipanti alla procedura di gara controversa, sebbene ammesse inizialmente in numero maggiore di due, siano state tutte escluse dallamministrazione aggiudicatrice senza che un ricorso sia stato proposto dalle imprese diverse da quelle - nel numero di due . coinvolte nel procedimento principale. 23 Al riguardo duopo ricordare che, secondo le disposizioni dellarticolo 1, paragrafi 1, terzo comma, e 3, della menzionata direttiva, affinch i ricorsi contro le decisioni adottate da unamministrazione aggiudicatrice possano essere considerati efficaci, devono essere accessibili per lo meno a chiunque abbia o abbia avuto interesse a ottenere laggiudicazione di un determinato appalto e sia stato o rischi di essere leso a causa di una presunta violazione. 24 Al punto 33 della sentenza Fastweb (C.100/12, EU:C:2013:448) la Corte ha considerato che il ricorso incidentale dellaggiudicatario non pu comportare il rigetto del ricorso di un offerente escluso nellipotesi in cui la legittimit dellofferta di entrambi gli operatori venga contestata nellambito del medesimo procedimento, in quanto in una situazione del genere ciascuno dei concorrenti pu far valere un analogo interesse legittimo allesclusione dellofferta degli altri, che pu indurre lamministrazione aggiudicatrice a constatare limpossibilit di procedere alla scelta di unofferta regolare. 25 Al punto 34 della succitata sentenza la Corte ha pertanto interpretato larticolo 1, paragrafo 3, della direttiva 89/665 nel senso che tale disposizione osta a che il ricorso di un offerente la cui offerta non stata prescelta sia dichiarato inammissibile in conseguenza dellesame preliminare delleccezione di inammissibilit sollevata nellambito del ricorso incidentale dellaggiudicatario, senza che ci si pronunci sulla conformit delle due offerte in discussione con le specifiche tecniche indicate nel piano di fabbisogni. 26 La sentenza in parola costituisce una concretizzazione dei requisiti posti dalle disposizioni del diritto dellUnione citate al punto 23 della presente sentenza, in circostanze nelle quali, a seguito di una procedura di aggiudicazione di un appalto pubblico, due offerenti presentano ricorsi diretti ad ottenere la reciproca esclusione. 27 In una situazione siffatta ciascuno dei due offerenti ha interesse a ottenere laggiudicazione di un determinato appalto. Da un lato, infatti, lesclusione di un offerente pu far s che laltro ottenga lappalto direttamente nellambito della stessa procedura. Daltro lato, nellipotesi di unesclusione di entrambi gli offerenti e dellindizione di una nuova procedura di aggiudicazione di un appalto pubblico, ciascuno degli offerenti potrebbe parteciparvi e, quindi, ottenere indirettamente lappalto. 28 Linterpretazione, ricordata ai punti 24 e 25 della presente sentenza, formulata dalla Corte nella sentenza Fastweb (C.100/12, EU:C:2013:448) applicabile in un contesto come quello del procedimento principale. Da un lato, infatti, ciascuna delle parti della controversia ha un analogo interesse legittimo allesclusione dellofferta degli altri concorrenti. Daltro lato, come rilevato dallavvocato generale al paragrafo 37 delle sue conclusioni, non escluso che una delle irregolarit che giustificano lesclusione tanto dellofferta dellaggiudicatario quanto di quella dellofferente che contesta il provvedimento di aggiudicazione dellamministrazione aggiudicatrice vizi parimenti le altre offerte presentate nellambito della gara dappalto, circostanza che potrebbe comportare la necessit per tale amministrazione di avviare una nuova procedura. (C.100/12, EU:C:2013:448). 30 Tenuto conto delle suesposte considerazioni, occorre rispondere alla prima questione sottoposta dichiarando che larticolo 1, paragrafi 1, terzo comma, e 3, della direttiva 89/665 42 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2016 deve essere interpretato nel senso che osta a che un ricorso principale proposto da un offerente, il quale abbia interesse a ottenere laggiudicazione di un determinato appalto e che sia stato o rischi di essere leso a causa di una presunta violazione del diritto dellUnione in materia di appalti pubblici o delle norme che traspongono tale diritto, e diretto a ottenere lesclusione di un altro offerente, sia dichiarato irricevibile in applicazione di norme processuali nazionali che prevedono lesame prioritario del ricorso incidentale presentato da detto altro offerente. Sulla seconda questione Sulla prima parte 31 Con la prima parte della seconda questione il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se larticolo 267 TFUE debba essere interpretato nel senso che osta ad una disposizione di diritto nazionale nei limiti in cui questultima sia interpretata nel senso che, relativamente a una questione vertente sullinterpretazione o della validit del diritto dellUnione, una sezione di un organo giurisdizionale di ultima istanza, qualora non condivida lorientamento definito da una decisione delladunanza plenaria di tale organo, tenuta a rinviare la questione alladunanza plenaria e non pu pertanto adire la Corte ai fini di una pronuncia in via pregiudiziale. 32 Come ripetutamente dichiarato dalla Corte, i giudici nazionali hanno la pi ampia facolt di sottoporre alla Corte una questione di interpretazione delle disposizioni pertinenti del diritto dellUnione (v., in tal senso, sentenza Rheinmhlen-Dsseldorf, 166/73, EU:C:1974:3, punto 3), laddove tale facolt si trasforma in obbligo per i giudici che decidono in ultima istanza, fatte salve le eccezioni riconosciute dalla giurisprudenza della Corte (v., in tal senso, sentenza Cilfit e a., 283/81, EU:C:1982:335, punto 21 e dispositivo). Una norma di diritto nazionale non pu impedire a un organo giurisdizionale nazionale, a seconda del caso, di avvalersi della facolt di cui trattasi (v., in tal senso, sentenze Rheinmhlen-Dsseldorf, 166/73, EU:C:1974:3, punto 4; Melki e Abdeli, C.188/10 e C.189/10, EU:C:2010:363, punto 42, nonch Elchinov, C.173/09, EU:C:2010:581, punto 27) o di conformarsi a suddetto obbligo. 33 Tanto detta facolt quanto detto obbligo sono, difatti, inerenti al sistema di cooperazione fra gli organi giurisdizionali nazionali e la Corte, instaurato dallarticolo 267 TFUE, e alle funzioni di giudice incaricato dellapplicazione del diritto dellUnione affidate dalla citata disposizione agli organi giurisdizionali nazionali. 34 Di conseguenza, qualora un organo giurisdizionale nazionale investito di una controversia ritenga che, nellambito della medesima, sia sollevata una questione vertente sullinterpretazione o sulla validit del diritto dellUnione, ha la facolt o lobbligo, a seconda del caso, di adire la Corte in via pregiudiziale, senza che detta facolt o detto obbligo possano essere ostacolati da norme nazionali di natura legislativa o giurisprudenziale. 35 Nel caso di specie, una disposizione di diritto nazionale non pu impedire a una sezione di un organo giurisdizionale di ultima istanza, la quale debba affrontare una questione di interpretazione della direttiva 89/665, di rivolgersi alla Corte affinch si pronunci in via pregiudiziale. 36 Tenuto conto del complesso delle suesposte considerazioni occorre rispondere alla prima parte della seconda questione dichiarando che larticolo 267 TFUE deve essere interpretato nel senso che osta a una disposizione di diritto nazionale nei limiti in cui questultima sia interpretata nel senso che, relativamente a una questione vertente sullinterpretazione o sulla validit del diritto dellUnione, una sezione di un organo giurisdizionale di ultima istanza, qualora non condivida lorientamento definito da una decisione delladunanza CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 43 plenaria di tale organo giurisdizionale, tenuta a rinviare la questione alladunanza plenaria e non pu pertanto adire la Corte ai fini di una pronuncia in via pregiudiziale. Sulla seconda e sulla terza parte 37 Con la seconda e la terza parte della seconda questione, che occorre esaminare congiuntamente, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se larticolo 267 TFUE debba essere interpretato nel senso che, dopo aver ricevuto la risposta della Corte ad una questione di interpretazione del diritto dellUnione dal medesimo sottopostale, o allorch la giurisprudenza della Corte ha gi fornito una risposta chiara alla suddetta questione, detto giudice del rinvio debba esso stesso fare tutto il necessario affinch sia applicata tale interpretazione del diritto dellUnione. 38 In proposito duopo ricordare che una sentenza con la quale la Corte si pronunzia in via pregiudiziale vincola il giudice nazionale, per quanto concerne linterpretazione o la validit degli atti delle istituzioni dellUnione in questione, per la definizione della controversia principale (v. sentenza Elchinov, C.173/09, EU:C:2010:581, punto 29 e giurisprudenza citata). Di conseguenza, il giudice nazionale che abbia assolto, quale giudice di ultima istanza, il suo obbligo di rinvio pregiudiziale alla Corte a titolo dellarticolo 267, terzo comma, TFUE, vincolato, ai fini della soluzione della controversia principale, dallinterpretazione delle disposizioni in questione fornita dalla Corte e deve eventualmente discostarsi dalla giurisprudenza nazionale che ritenga non conforme al diritto dellUnione (v., in tal senso, sentenza Elchinov, C.173/09, EU:C:2010:581, punto 30). 39 Va del pari ricordato che leffetto utile dellarticolo 267 TFUE sarebbe attenuato se al giudice nazionale fosse impedito di applicare, immediatamente, il diritto dellUnione in modo conforme ad una pronuncia o alla giurisprudenza della Corte (v., in tal senso, sentenza Simmenthal, 106/77, EU:C:1978:49, punto 20). 40 Il giudice nazionale incaricato di applicare, nellambito della propria competenza, le norme del diritto dellUnione ha lobbligo di garantire la piena efficacia di tali norme, disapplicando alloccorrenza, di propria iniziativa, qualsiasi contraria disposizione della legislazione nazionale, anche posteriore, senza doverne chiedere o attendere la previa rimozione in via legislativa o mediante qualsiasi altro procedimento costituzionale (v., in primo luogo, sentenze Simmenthal, 106/77, EU:C:1978:49, punti 21 e 24 e, da ultimo, A, C.112/13, EU:C:2014:2195, punto 36 nonch la giurisprudenza ivi citata). 41 Sarebbe difatti incompatibile con gli obblighi che derivano dalla natura stessa del diritto dellUnione qualsiasi disposizione di un ordinamento giuridico nazionale o qualsiasi prassi, legislativa, amministrativa o giudiziaria, la quale porti ad una riduzione dellefficacia del diritto dellUnione per il fatto di negare al giudice competente ad applicare questo diritto il potere di compiere, allatto stesso di tale applicazione, tutto quanto necessario per disapplicare le disposizioni legislative nazionali che eventualmente ostino alla piena efficacia delle norme dellUnione (v. sentenze Simmenthal, EU:C:1978:49, punto 22, A, C.112/13, EU:C:2014:2195, punto 37 e giurisprudenza ivi citata). 42 Tenuto conto delle suesposte considerazioni, occorre rispondere alla seconda e terza parte della seconda questione dichiarando che larticolo 267 TFUE deve essere interpretato nel senso che, dopo aver ricevuto la risposta della Corte ad una questione vertente sullinterpretazione del diritto dellUnione da essa sottopostale, o allorch la giurisprudenza della Corte ha gi fornito una risposta chiara alla suddetta questione, una sezione di un organo giurisdizionale di ultima istanza deve essa stessa fare tutto il necessario affinch sia applicata tale interpretazione del diritto dellUnione. 44 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2016 Sulle spese 43 Nei confronti delle parti nel procedimento principale la presente causa costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione. Per questi motivi, la Corte (Grande Sezione) dichiara: 1) Larticolo 1, paragrafi 1, terzo comma, e 3, della direttiva 89/665/CEE del Consiglio, del 21 dicembre 1989, che coordina le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative relative allapplicazione delle procedure di ricorso in materia di aggiudicazione degli appalti pubblici di forniture e di lavori, come modificata dalla direttiva 2007/66/CE del Parlamento europeo e del Consiglio dell11 dicembre 2007, deve essere interpretato nel senso che osta a che un ricorso principale proposto da un offerente, il quale abbia interesse a ottenere laggiudicazione di un determinato appalto e che sia stato o rischi di essere leso a causa di una presunta violazione del diritto dellUnione in materia di appalti pubblici o delle norme che traspongono tale diritto, e diretto a ottenere lesclusione di un altro offerente, sia dichiarato irricevibile in applicazione di norme processuali nazionali che prevedono lesame prioritario del ricorso incidentale presentato da detto altro offerente. 2) Larticolo 267 TFUE deve essere interpretato nel senso che osta a una disposizione di diritto nazionale nei limiti in cui questultima sia interpretata nel senso che, relativamente a una questione vertente sullinterpretazione o sulla validit del diritto dellUnione, una sezione di un organo giurisdizionale di ultima istanza, qualora non condivida lorientamento definito da una decisione delladunanza plenaria di tale organo, tenuta a rinviare la questione alladunanza plenaria e non pu pertanto adire la Corte ai fini di una pronuncia in via pregiudiziale. 3) Larticolo 267 TFUE deve essere interpretato nel senso che, dopo aver ricevuto la risposta della Corte di giustizia dellUnione europea ad una questione vertente sullinterpretazione del diritto dellUnione da essa sottopostale, o allorch la giurisprudenza della Corte di giustizia dellUnione europea ha gi fornito una risposta chiara alla suddetta questione, una sezione di un organo giurisdizionale di ultima istanza deve essa stessa fare tutto il necessario affinch sia applicata tale interpretazione del diritto dellUnione. CONTENZIOSO NAZIONALE Le confessioni religiose e lo Stato, sulle intese di cui allart. 8, co. 3, Cost. CORTE COSTITUZIONALE, SENTENZA 10 MARZO 2016 N. 52 Con la sentenza n. 52 del 10 marzo 2016 la Corte Costituzionale, in accoglimento del ricorso per conflitto proposto dallAvvocatura generale dello Stato contro le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, ha statuito quanto segue dichiara che non spettava alla Corte di cassazione affermare la sindacabilit in sede giurisdizionale della delibera con cui il Consiglio dei ministri ha negato allUnione degli Atei e degli Agnostici Razionalisti lapertura delle trattative per la stipulazione dellintesa di cui allart. 8, terzo comma, della Costituzione e, per leffetto, annulla la sentenza della Corte di cassazione, sezioni unite civili, 28 giugno 2013, n. 16305 . Si pubblicano il testo del ricorso ed il testo della memoria depositata in vista delludienza di discussione. Avvocatura Generale dello Stato CT 8073/04 Avv. G. Palatiello ECC.MA CORTE COSTITUZIONALE RICORSO del Presidente del Consiglio dei Ministri (C.F. 80188230587) e del Consiglio dei Ministri, in persona del Presidente in carica, entrambi rappresentati e difesi dallAvvocatura Generale dello Stato, PEC roma@mailcert.avvocaturastato.it, presso i cui uffici ex lege sono domiciliati in Roma alla Via dei Portoghesi n. 12; avente ad oggetto conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato nei confronti della Corte Suprema di Cassazione Sezioni Unite Civili in relazione alla sentenza n. 16305/13 in data 12 marzo/28 giugno 2013 (doc. 4). con la quale stato respinto il ricorso per motivi attinenti alla giurisdizione proposto dalla scrivente difesa erariale nellin- 46 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2016 teresse del Governo avverso la decisione del Consiglio di Stato, Sezione Quarta, n. 6083/2011 che, in riforma della favorevole sentenza del TAR (recante declaratoria di inammissibilit del ricorso introduttivo per difetto assoluto di giurisdizione ex art. 31 del R.D. n. 1054/1924, ora art. 7, co. 1, ultimo periodo del D.Lgs. n. 104/10), aveva affermato la sindacabilit, ad opera del giudice amministrativo, della deliberazione del Consiglio dei Ministri di non avviare le trattative per la stipula dellintesa ex art. 8, co. 3, Cost. FATTO Con il ricorso dinanzi al Tar per il Lazio, sede di Roma, notificato il 3 febbraio 2004, depositato il successivo 19 febbraio ed iscritto al n. 1762/2004 di R.G., lUnione degli Atei e degli Agnostici Razionalisti (dora in poi UAAR), associazione non riconosciuta di atei ed agnostici costituita con atto notarile del 13 marzo 1991, ha chiesto lannullamento della delibera del Consiglio dei Ministri in data 27 novembre 2003 (e della conseguente nota del Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio in data 5 dicembre 2003), con la quale il Governo, recependo e facendo proprio il parere reso dallAvvocatura Generale dello Stato, ha deciso di non avviare le trattative finalizzate alla conclusione dellintesa ai sensi dellart. 8, comma 3, della Costituzione, ritenendo, in sostanza, che la professione dellateismo non possa essere assimilata ad una confessione religiosa nellaccezione recepita dal legislatore costituente. In particolare nellestratto del verbale della riunione del Consiglio dei Ministri del 27 novembre 2003 (doc. 1) si legge testualmente quanto segue: in merito alla richiesta avanzata dallUnione degli atei e degli agnostici razionalisti, il Consiglio dei Ministri - nel condividere il parere espresso dallAvvocatura generale dello Stato - si pronuncia collegialmente per il diniego allavvio delle procedure finalizzate alla conclusione di unintesa ai sensi dellarticolo 8 della Costituzione. OMISSIS IL PRESIDENTE: BERLUSCONI IL SEGRETARIO: LETTA Con sentenza n. 12359/08 depositata il 31 dicembre 2008 (doc. 2), il TAR per il Lazio, sezione I, nel condividere leccezione pregiudiziale formulata dallAvvocatura dello Stato, ha dichiarato il ricorso inammissibile per difetto assoluto di giurisdizione ai sensi dellart. 31 r.d. 26 giugno 1924, n. 1054 ritenendo che la determinazione impugnata rivestisse natura di atto politico non giustiziabile. LUAAR si appellata al Consiglio di Stato che, con la decisione della Sez. IV, n. 6083/11, depositata il 18 novembre 2011 (doc. 3), ha accolto il gravame e, per leffetto, in integrale riforma della sentenza del TAR, ha affermato la giurisdizione del giudice amministrativo nella controversia, rimettendo le parti dinanzi al primo giudice ex art. 105 c.p.a. Secondo il Consiglio di Stato, lorganizzazione richiedente sarebbe titolare di un interesse giuridicamente rilevante ad essere qualificata come confessione religiosa; laccertamento preliminare se lorganizzazione richiedente sia o meno riconducibile alla categoria delle confessioni religiose costituirebbe mera espressione di discrezionalit tecnica della P.A. e, pertanto, sarebbe sindacabile dal giudice amministrativo in sede di giurisdizione generale di legittimit; di conseguenza, quanto meno lavvio delle trattative pu addirittura considerarsi obbligatorio sol che si possa pervenire a un giudizio di qualificabilit del soggetto istante come confessione religiosa, salva restando da un lato la facolt di non stipulare lintesa allesito delle trattative ovvero - come gi detto - di non tradurre in legge lintesa medesima, e dallaltro lato la possibilit, nellesercizio della discrezionalit tecnica cui si accennato, di escludere motivatamente che il soggetto interessante presenti le caratteristiche che le con- CONTENZIOSO NAZIONALE 47 sentirebbero di rientrare fra le confessioni religiose (ci che, del resto, quanto avvenuto proprio nel caso di specie) (cfr. punti 8 e 9 della motivazione). Con ricorso notificato il 9 febbraio 2012, UAAR ha riassunto il giudizio dinanzi al TAR. Con ricorso straordinario ex art. 111, u.c., Cost., notificato il 26/27 marzo 2013, lAvvocatura Generale dello Stato nella veste ut supra ha impugnato dinanzi alle Sezioni Unite della Corte di Cassazione la predetta decisione del Consiglio di Stato deducendo, con un unico, articolato, motivo (rubricato Violazione e/o falsa applicazione dellart. 31 r.d. 26 giugno 1924, n. 1054 (ora art. 7, co. 1, ultimo periodo, d.lgs 2 luglio 2010 n. 104), in relazione agli artt. 111, u.c., Cost., 110 d.lgs n. 104/2010 e 362, co. 1, cpc. Inammissibilit delloriginario ricorso di prime cure per difetto assoluto di giurisdizione ) che, contrariamente a quanto opinato dal giudice amministrativo dappello, il rifiuto, da parte del Governo, di avviare le trattative per la conclusione dellintesa ex art. 8, co. 3, Cost. rientra nel novero degli atti politici assolutamente insindacabili in sede giurisdizionale ai sensi dellart. 31 r.d. n. 1054/1924 (e oggi art. 7, comma 1, ultimo periodo, c.p.a. di cui al D.lgs. 2 luglio 2010, n. 104). Con sentenza n. 16305/13, depositata il 28 giugno 2013 (doc. 4), le Sezioni Unite civili della Corte di Cassazione hanno respinto il ricorso del Governo, ritenendo che lassenza di normazione specifica non di per s un impedimento a contrastare in sede giurisdizionale il rifiuto di intesa che sia fondato sul mancato riconoscimento, in capo al richiedente, della natura di confessione religiosa. Sarebbe, dunque, nel giusto la sentenza del Consiglio di Stato quando sostiene che rientra tuttal pi nellambito della discrezionalit tecnica laccertamento preliminare relativo alla qualificazione dellistante come confessione religiosa. Poste tali premesse, le Sezioni Unite Civili hanno quindi statuito che qualsiasi soggetto istante sarebbe portatore di una pretesa costituzionalmente tutelata (e quindi azionabile in giudizio) allapertura delle trattative per la stipula dellintesa di cui allart. 8, comma 3, Cost. e allimplicito riconoscimento della qualit di confessione religiosa; sicch il Governo avrebbe lobbligo giuridico di avviare le trattative ex art. 8, co. 3, cit. per il solo fatto che una qualsiasi associazione (o organizzazione) lo richieda. Lapertura della trattativa per la conclusione dellintesa ex art. 8, comma 3, Cost. sarebbe in ogni caso doverosa per il Governo, a prescindere dalle evenienze suscettibili di verificarsi nel prosieguo delliter legislativo. A giudizio della S.C. andrebbe, infatti, ribadita la distinzione: l'apertura della trattativa dovuta in relazione alla possibile intesa, disciplinata, nel procedimento, secondo i canoni dell'attivit amministrativa; la legge di approvazione segue le regole e le possibili vicende, ordinarie o conflittuali, proprie degli atti di normazione. La Corte di Cassazione non deve e non vuole pronunciarsi sulla esistenza di un diritto alla chiusura della trattativa o all'esercizio dell'azione legislativa: esula dall'ambito decisionale che qui configurato. Per la decisione della causa sufficiente stabilire che le variabili fattuali della seconda fase non incidono sulla natura della situazione giuridica che sta alla base della bilateralit pattizia voluta dal costituente. Negare la sindacabilit del diniego di apertura della trattativa per il fatto che questa inserita nel procedimento legislativo significa privare il soggetto istante di tutela e aprire la strada, come ha indicato il C.d.S., a una discrezionalit foriera di discriminazioni (v. pag. 10 della motivazione). Con sentenza n. 7068/14 depositata il 3 luglio 2014 (doc. 6), non notificata, il TAR per il Lazio, Roma, sezione I - ritenendo la propria giurisdizione in ossequio a quanto statuito dalle 48 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2016 Sezioni Unite della Corte di Cassazione - ha respinto il ricorso nel merito, escludendo che UAAR possa essere qualificata come confessione religiosa (cfr. punto 4.4. della motivazione). Cionondimeno, il Governo non ritiene di poter condividere i principi affermati dalle Sezioni Unite civili della Corte Suprema di Cassazione in quanto, a norma degli artt. 8, co. 3, 92 e 95 Cost. e dellart. 2, co. 3, lett. l) della Legge n. 400/1988, il rifiuto di avviare le trattative finalizzate alla conclusione dellintesa ex art. 8, comma 3, Cost. (a prescindere dalle ragioni addotte a sostegno del diniego) un atto politico ex art. 31 del R.D. n. 1054/1924, ora art. 7, co. 1, ultimo periodo del D.Lgs. n. 104/10, un atto, cio, palesemente estraneo alla funzione amministrativa, costituente, invece, espressione della funzione di indirizzo politico che la Costituzione repubblicana attribuisce al Governo medesimo nella materia religiosa (cfr. artt. 7, 8, co. 3, 92 e 95 Cost.). Giusta deliberazione del Consiglio dei Ministri in data 31 luglio 2014, (doc. 5), lAvvocatura Generale dello Stato eleva, pertanto, con il presente ricorso, conflitto ai sensi degli artt. 37 e seguenti della legge 11 marzo 1953, n. 87, per violazione degli articoli 8, comma 3, 92 e 95 della Costituzione e delle conferenti disposizioni di legge ordinaria che ne costituiscono attuazione (art. 2, co. 3, lett. l) della Legge n. 400/1988, nonch l art. 31 del R.D. n. 1054/1924, ora art. 7, co. 1, ultimo periodo del D.Lgs. n. 104/10). DIRITTO 1. Sullammissibilit del ricorso. 1.1. Sotto il profilo soggettivo. Pacifica la competenza del Presidente del Consiglio dei Ministri a dichiarare definitivamente la volont del potere esecutivo cui egli appartiene ex art. 92, comma primo Cost. (cfr., ex plurimis, Corte Cost. ord. n. 25/1977). Nella fattispecie, poi, il rifiuto di avviare le trattative finalizzate alla stipula dellintesa ex art. 8, comma 3, Cost., di cui si assume la assoluta insindacabilit ad opera dei giudici comuni, stato opposto (con deliberazione del 27 novembre 2003) dal Consiglio dei Ministri a cui sono, appunto, riservate, dalla legge ordinaria (cfr. art. 2, co. 3, lett. l) della Legge n. 400/1988), le determinazioni sulle intese di cui allart. 8, comma 3, Cost. Ne consegue la spettanza della qualificazione di potere dello Stato in capo al Consiglio dei Ministri ed al suo Presidente, entrambi ricorrenti. Sul versante della legittimazione passiva, le Sezioni Unite civili della Corte Suprema di Cassazione - che, come avvenuto nella specie, si siano pronunciate sulla giurisdizione a seguito di ricorso straordinario ex art. 111, u.c., Cost. - sono indubitabilmente competenti a dichiarare in via definitiva la volont del potere giudiziario, tenuto conto della c.d. efficacia pan processuale che assiste questo tipo di pronunce, in grado di vincolare tutti i giudici comuni anche in altro processo (cfr., ex plurimis, Cass. S.U. 13768/05), come, peraltro, oggi espressamente previsto dallart. 59, comma primo, secondo periodo, della L. 69/2009. Di talch anche la spettanza, in capo alle Sezioni Unite Civili della Corte Suprema di Cassazione, della qualificazione di potere dello Stato deve ritenersi del tutto pacifica. 1.2. Sotto il profilo oggettivo. Le Sezioni Unite della S.C. - nello statuire, con la suindicata pronuncia n. 16305/13, la sindacabilit, ad opera del giudice comune (nella specie individuato nel giudice amministrativo), del diniego, opposto dal Consiglio dei Ministri, allavvio delle trattative per la stipula dellintesa di cui allart. 8, co. 3, Cost. - hanno illegittimamente esercitato il loro potere giurisdizionale, arrecando un grave vulnus, quantomeno sotto il profilo della sua menomazione, alla funzione di indirizzo politico, come tale assolutamente libera nel fine (e quindi insuscettibile CONTENZIOSO NAZIONALE 49 di controllo da parte dei giudici comuni ex art. 31 del R.D. n. 1054/1924, ora art. 7, co. 1, ultimo periodo del D.Lgs. n. 104/10), che la Costituzione assegna al Governo in materia religiosa (cfr. artt. 7, 8, co. 3, 92 e 95 Cost.). Non vi dubbio, pertanto, che, anche sotto il profilo oggettivo, ricorrano i presupposti di cui allart. 37 della legge n. 87/1953 citata. 2. Nel merito: violazione degli articoli 8, comma 3, 92 e 95 della Costituzione e delle conferenti disposizioni di legge ordinaria che ne costituiscono attuazione (art. 2, co. 3, lett. l) della Legge n. 400/1988, nonch lart. 31 del R.D. n. 1054/1924, ora art. 7, co. 1, ultimo periodo del D.Lgs. n. 104/10). 2.1. Come esposto nella parte in fatto, con la sentenza n. 16305 del 2013 le Sezioni Unite Civili della Suprema Corte di Cassazione hanno sostanzialmente ritenuto che la mera apertura della trattativa per la conclusione dellintesa ex art. 8, comma 3, Cost. sarebbe in ogni caso doverosa per il Governo, a prescindere dalle evenienze suscettibili di verificarsi nel prosieguo delliter legislativo. A giudizio della S.C., infatti, la possibile intesa <> disciplinata, nel procedimento, secondo i canoni dell'attivit amministrativa. Da tale premessa, le Sezioni Unite hanno poi tratto la conseguenza che l'apertura della trattativa <> dovuta (cio doverosa per il Governo sol che un qualsivoglia soggetto collettivo o organizzazione lo richieda); di contro, (..) la legge di approvazione segue le regole e le possibili vicende, ordinarie o conflittuali, proprie degli atti di normazione. Non vi sarebbe, poi, la necessit di pronunciarsi in ordine allesistenza di un diritto alla chiusura della trattativa o all'esercizio dell'azione legislativa: tale questione, ad avviso della Corte di Cassazione, esulerebbe dallambito della decisione a cui era chiamata; e ci in quanto, appunto, le variabili fattuali della seconda fase <> non incidono sulla natura della situazione giuridica che sta alla base della bilateralit pattizia voluta dal Costituente, cio sul preteso diritto, in capo al soggetto richiedente, allapertura della trattativa per la conclusione dellintesa ex art. 8 co. 3 Cost. Tali assunti non possono essere condivisi. Ed invero, lart. 8, comma 3, Cost. (a mente del quale i rapporti delle confessioni religiose diverse dalla cattolica con lo Stato sono regolati per legge sulla base di intese con le relative rappresentanze) norma sulla produzione giuridica, cio una norma sulle fonti, parallela a quella prevista dallart. 7, comma 2, Cost. per le modifiche della legge di esecuzione dei Patti Lateranensi (Balladore Pallieri; Mortati; A. Rav; dAvack). Le intese ex art. 8 comma 3 della Cost. si inseriscono, costituendone un imprescindibile presupposto legittimante, nelliter legislativo preordinato allemanazione della legge regolatrice dei rapporti tra Stato e la confessione religiosa; e pertanto non possono che partecipare della stessa natura (di atto politico libero) che connota le successive fasi delliter legis: (si veda, al riguardo, Cass., S.U. n. 2439/2008 che ha dichiarato linsindacabilit, da parte dei giudici comuni, degli atti facenti parte delliter formativo di una legge regionale). Detto avviso condiviso da autorevole dottrina, secondo cui le intese, invero, sono dirette allemanazione di una legge. Esse, perci, non toccano la responsabilit dellamministrazione, bens la responsabilit politica del governo, organo competente, tra laltro, a intrattenere rapporti con gli ordinamenti esterni allo Stato. Le intese non sono negozi che debbano essere valutati sotto il profilo della conformit a preesistenti regole giuridiche o a princpi di buona 50 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2016 amministrazione, come accadrebbe se fossero accordi stipulati a livello burocratico, ma sono accordi che devono essere valutati sotto il profilo dellopportunit politica e del rispetto della Costituzione (FINOCCHIARO, Diritto ecclesiastico, Torino, 2003, 134; in termini analoghi CARDIA, Manuale di diritto ecclesiastico, 1996, 224, per il quale lIntesa ha un indubbio valore politico perch investe la responsabilit dellEsecutivo sia allatto della scelta di trattare con una determinata confessione, sia nel corso del negoziato e sino alla sua conclusione ). Poich, dunque, contrariamente a quanto opinato dalla Corte di Cassazione, le intese ex art. 8, co. 3. Cost. sono atti (non amministrativi, ma) politici diretti allemanazione di una legge, il Governo (salva l eventuale responsabilit politica nei confronti del Parlamento e, in ultima analisi, del corpo elettorale) non ha alcun obbligo giuridico di avviare le relative trattative, cos come, dopo aver concluso lintesa, ben potrebbe astenersi dall esercitare liniziativa occorrente per lemanazione della legge. infatti innegabile che lomesso esercizio della facolt di iniziativa legislativa nella materia religiosa rientri nel novero delle determinazioni politiche (ex art. 71 Cost.) non soggette al controllo dei giudici comuni. Orbene, se il Governo, anche dopo leventuale stipula dellintesa, libero di non dare seguito alla stessa, omettendo di esercitare liniziativa occorrente per lemanazione della legge ex art. 8, co. 3, Cost., a maggior ragione deve ritenersi libero - nellesercizio di valutazioni politiche assolutamente sottratte al sindacato dei giudici comuni perch afferenti ad attribuzioni costituzionalmente garantite in materia religiosa (cfr. artt. 8, co. 3, 92 e 95 Cost.) - di non avviare alcuna trattativa, ove, come avvenuto nella specie, ritenga comunque di non addivenire allintesa de qua agitur con il soggetto richiedente. Le Sezioni Uniti Civili della Corte di Cassazione, pur sembrando ammettere, in tesi, che non vi sia un diritto alla chiusura della trattativa gi avviata, e che, del pari, non sia configurabile un diritto allesercizio dellazione legislativa (dopo leventuale conclusione dellintesa), hanno poi ritenuto tali questioni irrilevanti ai fini della soluzione della controversia, <>, poich le evenienze successive allapertura delle trattative sarebbero mere variabili fattuali che non inciderebbero sulla natura della situazione giuridica che sta alla base della bilateralit pattizia voluta dal costituente, cio sul preteso diritto, in capo al soggetto richiedente, allapertura della trattativa per la conclusione dellintesa ex art. 8 co. 3 Cost. Siffatto argomentare della Suprema Corte di Cassazione conferma la fondatezza del presente ricorso per conflitto: se, infatti, il Governo, subito dopo lasserito e supposto doveroso avvio delle trattative (magari il giorno stesso..), pu (come, in effetti, pu) insindacabilmente recedere dalle trattative medesime o, comunque, dopo aver raggiunto lintesa, libero (come, in effetti, ) di non esercitare liniziativa necessaria per il recepimento in legge dellintesa, ci significa che il preteso diritto <> , in realt, sottoposto alla condizione (risolutiva) meramente potestativa della positiva valutazione politica del Governo; e un diritto di tal fatta un non-diritto, cio un interesse di mero fatto non qualificato, privo di protezione giuridica; di talch, anche, per questa via, appare confermata la natura politica (e, quindi, lassoluta insindacabilit giurisdizionale) del rifiuto di avviare le trattative per la conclusione dellintesa ex art. 8, co. 3, Cost. Le tesi che qui si propugnano ricevono decisivo conforto dalla sentenza n. 346/2002 di codesta Ecc.ma Corte che ha, appunto, evidenziato che il Governo non vincolato oggi a norme specifiche per quanto riguarda lobbligo, su richiesta della confessione, di negoziare e di stipulare lintesa (cfr. punto 2, terzo capoverso, della motivazione). CONTENZIOSO NAZIONALE 51 Del resto, con la recente sentenza n. 81 del 2012, resa in sede di conflitto di attribuzioni, codesta Ecc.ma Corte ha, altres, riconosciuto la perdurante esistenza di spazi riservati alla scelta politica (cfr. punto 4.2. della motivazione). 2.2 Alla luce delle considerazioni che precedono, deve, dunque, ritenersi, contrariamente a quanto statuito dalle Sezioni Unite Civili della Suprema Corte di Cassazione, che il rifiuto del Consiglio dei Ministri di avviare le trattative per la conclusione dellintesa ex art. 8, comma 3, Cost., costituisca (alla medesima stregua dellavvio delle trattative e/o della eventuale stipula dellintesa, ove essa venga raggiunta) un atto espressione della fondamentale funzione di direzione e di indirizzo politico, in quanto tale libera nel fine (ed insuscettibile di controllo ad opera dei giudici comuni ex art. 31 del R.D. n. 1054/1924, ora art. 7, co. 1, ultimo periodo del D.Lgs. n. 104/10), che la Costituzione assegna al Governo con riferimento al fenomeno religioso (cfr. artt. 8, co. 3, 92 e 95 Cost.). Tale funzione di indirizzo politico de qua agitur (in quanto costituzionalmente garantita) non tollera interferenze da parte del potere giudiziario: sarebbe, invero, abnorme la sentenza del giudice amministrativo che annullasse il diniego di avvio delle trattative per la stipula dellintesa ex art. 8, comma 3, Cost., imponendo, in virt del c.d. effetto conformativo del giudicato, al Governo di riesaminare la questione o, peggio, di concludere lintesa con un determinato soggetto richiedente. Lart. 2, comma 3, lett. l), della Legge 23 agosto 1988 n. 400 - nella misura in cui estende la deliberazione del Consiglio dei Ministri, prevista per atti pacificamente politici <> anche agli atti concernenti i rapporti previsti dallarticolo 8 della Costituzione, fornisce un solido e (decisivo) argomento nella direzione della natura politica anche di questi ultimi. **** Ritenuto quanto precede, il Presidente del Consiglio dei Ministri ed il Consiglio dei Ministri, in persona del Presidente in carica, chiedono che lEcc.ma Corte adita dichiari che non spetta alla Corte Suprema di Cassazione - Sezioni Unite Civili di affermare la sindacabilit, ad opera dei giudici comuni, del rifiuto del Consiglio dei Ministri di avviare le trattative finalizzate alla conclusione dellintesa di cui allart. 8, co. 3, Cost. * * * Si depositano: 1. verbale della riunione del Consiglio dei Ministri del 27 novembre 2003; 2. sentenza del TAR per il Lazio, sezione I, n. 12359/08 depositata il 31 dicembre 2008; 3. sentenza del Consiglio di Stato, Sez. IV, n. 6083/11, depositata il 18 novembre 2011; 4. Cass. S.U., sentenza n. 16305/13 in data 12 marzo/28 giugno 2013; 5. deliberazione del Consiglio dei Ministri in data 31 luglio 2014; 6. sentenza del TAR per il Lazio, sezione I, n. 7068/14 depositata il 3 luglio 2014. Roma, 17 settembre 2014 Il Vice Avvocato Generale dello Stato Salvatore Messineo LAvvocato dello Stato Giovanni Palatiello 52 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2016 CT 8073/04 - Avv. G. Palatiello Avvocatura Generale dello Stato ECC.MA CORTE COSTITUZIONALE Conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato n. 5/2014 Reg. Confl. udienza pubblica del 26 gennaio 2016 MEMORIA nell'interesse del Presidente del Consiglio dei Ministri e del Consiglio dei Ministri, entrambi con l'Avvocatura Generale dello Stato; ricorrenti contro Corte di Cassazione - Sezioni Unite Civili; resistente e nei confronti di Unione degli Atei e degli Agnostici Razionalisti (breviter: UAAR), con lAvv. Prof. Stefano Grassi e lAvv. Fabio Corvaia; interveniente ad opponendum Codesta Ecc.ma Corte Costituzionale, con ordinanza n. 40 del 25 febbraio - 17 marzo 2015, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale, I serie speciale del 25 marzo 2015, n. 12, ha dichiarato ammissibile, ai sensi dell'art. 37 della Legge 11 marzo 1953, n. 87, il ricorso per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato, promosso dal Presidente del Consiglio dei Ministri e dal Consiglio dei Ministri nei confronti della Corte di Cassazione - Sezioni Unite Civili in relazione alla sentenza Cass. S.U. n. 16305/2013. Come disposto da codesta Ecc.ma Corte, in data 19 marzo 2015 i ricorrenti hanno notificato il ricorso e la suddetta ordinanza n. 40/2015 alla Corte di Cassazione, provvedendo poi, in data 9 aprile 2015, al tempestivo deposito degli stessi, unitamente alla prova dell'avvenuta notifica, nella cancelleria della Corte Costituzionale. Il ricorso per conflitto stato poi pubblicato nella Gazzetta Ufficiale, I serie speciale del 22 aprile 2015, n. 16, pagine 55 e ss. Allo stato non risulta che la resistente Corte di Cassazione abbia depositato controdeduzioni scritte. Ha spiegato, invece, intervento ad opponendum l'Unione degli Atei e degli Agnostici Razionalisti (breviter UAAR), tramite atto del 13 aprile 2015 e successiva memoria integrativa dell11 maggio 2015. In vista dell'udienza pubblica del 26 gennaio 2016, fissata per la discussione del ricorso per conflitto, il Presidente del Consiglio dei Ministri ed il Consiglio dei Ministri, ut supra rappresentati e difesi, intendono sottoporre al vaglio di codesta Ecc.ma Corte, le seguenti, ulteriori, considerazioni giuridiche, anche in replica alle eccezioni e difese svolte dallinterveniente. 1. Nel proprio atto di intervento UAAR ha, innanzitutto, eccepito linammissibilit del conflitto, in quanto volto - a suo dire - a censurare un presunto error in iudicando in cui sarebbe incorsa la Corte di Cassazione, risolvendosi cos, secondo linterveniente, in un mezzo atipico di impugnazione della decisione del giudice di legittimit. CONTENZIOSO NAZIONALE 53 Tale eccezione infondata. Ed invero codesta Ecc.ma Corte ha costantemente affermato che anche gli atti giurisdizionali sono suscettibili di essere posti a base di un conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato quando, tra laltro, sia messa in questione lesistenza stessa del potere giurisdizionale nei confronti del soggetto ricorrente (cfr., tra le tante, le sentenze n. 130 del 2009, n. 326 e n. 276 del 2003; n. 72 del 2012) ed a condizione che avverso latto giurisdizionale siano stati esperiti i consueti rimedi previsti dagli ordinamenti processuali delle diverse giurisdizioni (cfr. le sentenze n. 81 del 2012 e nn. 2 e 150 del 2007). Nella fattispecie le suddette condizioni, richieste dalla costante giurisprudenza costituzionale ai fini della ammissibilit di un conflitto tra poteri dello Stato avente ad oggetto un atto giurisdizionale, sono state ampiamente soddisfatte e rispettate ove si consideri che: a) con il proposto ricorso per conflitto il Presidente del Consiglio dei Ministri ha inequivocabilmente inteso contestare in radice la sussistenza - in capo a tutti i giudici comuni - del potere giurisdizionale di sindacare il rifiuto del Consiglio dei Ministri di avviare le trattative finalizzate alla conclusione dellintesa di cui allart. 8, co. 3, Cost.; b) in precedenza, avverso la decisione n. 6083/2011 del Consiglio di Stato, sez. IV, (con cui stata affermata la sindacabilit, ad opera del giudice amministrativo, del predetto rifiuto), il Governo ha proposto ricorso straordinario dinanzi alle Sezioni Unite della Corte di Cassazione ex art. 111, comma 8, Cost. ed art. 362, comma 1, c.p.c. con il quale si , appunto, sostenuto, che tale rifiuto configura, invece, un atto politico assolutamente insindacabile in sede giurisdizionale ai sensi dellart. 31 r.d. n. 1054/1924 (ed oggi ai sensi dellart. 7, comma 1, ultimo periodo, c.p.a. di cui al Dlgs. n. 104/2010). A tale ultimo, riguardo, anzi, il Presidente del Consiglio dei Ministri si attenuto ai principi affermati dalla sentenza n. 81 del 2012 di codesta Ecc.ma Corte che - decidendo su un conflitto proposto dalla Regione Campania in relazione ad una decisione del Consiglio di Stato, confermativa di una sentenza del Tar con la quale era stato annullato il decreto del Presidente della Giunta Regionale di nomina di un assessore - ha, appunto, ritenuto inammissibile il ricorso perch la Regione non aveva esperito i (.) rimedi predisposti dallordinamento nel caso di indebito sindacato del giudice amministrativo sui cosiddetti atti politici (.). Non risulta che la ricorrente abbia impugnato per presunto difetto assoluto di giurisdizione la sentenza del Consiglio di Stato, cos come previsto dallart. 111, ottavo comma, della Costituzione, con ricorso ai sensi dellart. 362, primo comma, del codice di procedura civile (v. punto 3, alla fine, delle considerazioni in diritto). Da quanto esposto discende che il proposto conflitto, contrariamente a quanto dedotto ed eccepito dallinterveniente, deve ritenersi pienamente ammissibile. 2. Nel merito linterveniente sostiene, in estrema sintesi, che linteresse del soggetto confessionale ad entrare in trattative con lo Stato per la conclusione di unintesa ai sensi dellart. 8, co. 3, Cost., sarebbe un interesse protetto da norme della Costituzione e della CEDU; di talch il soggetto confessionale avrebbe diritto di azione dinanzi ai giudici comuni a tutela del suddetto interesse rispetto alle determinazioni adottate dallamministrazione in materia di intese, che costituirebbero, dunque, non atti politici, ma atti di alta amministrazione, connotati - al pi - da discrezionalit tecnica e, come tali, sindacabili in sede giurisdizionale. Tali assunti non possono essere condivisi. 2.1) Ed invero, codesta Ecc.ma Corte Costituzionale, con la citata sentenza n. 81 del 2012, resa proprio in sede di conflitto di attribuzioni, ha riconosciuto la perdurante esistenza di spazi riservati alla scelta politica (cfr. punto 4.2. della motivazione). 54 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2016 La pi recente giurisprudenza amministrativa ha individuato il suum dellatto politico nella sussistenza di una libert nel fine che impedisce, in ragione dellassenza del necessario parametro giuridico, lestrinsecazione del sindacato giurisdizionale (cos Cons. Stato, Sez. V, 27 novembre 2012, n. 6002; si vedano anche, Cons. Stato, Sez. IV, 4 maggio 2012, n. 2588; nonch Cons. Stato, Sez. V, 6 ottobre 2009 n. 6094). In sostanza latto politico.. libero nel fine, () a differenza degli atti amministrativi, realizza interessi generali e non settoriali ed , inoltre, caratterizzato dalla mancanza di parametri giuridici (cos Cons. Stato, sez. V, 27 luglio 2011, n. 4502), alla stregua dei quali poter esercitare il controllo da parte del giudice che, di conseguenza, escluso in radice. 2.2.) Cos descritti i tratti salienti dell atto politico, come ricostruiti dalla prevalente giurisprudenza amministrativa, nella fattispecie viene innanzitutto in rilievo lart. 95, co. 1, Cost. in base al quale il Governo in carica elabora una politica generale sotto la direzione e la responsabilit del Presidente del Consiglio del Ministri il quale deve mantenere lunit dellindirizzo politico della compagine governativa. Tale politica generale - che deve ottenere e mantenere la fiducia delle Camere del Parlamento ex art. 94, co. 1, Cost. -, ovviamente libera nei fini e, proprio in quanto generale, assume tra i suoi oggetti, tra laltro, anche i rapporti con le confessioni ex artt. 7, co. 2, e 8, co. 3, Cost., quali elementi fondativi dellintera comunit nazionale. Alla luce delle considerazioni che precedono deve, dunque, ritenersi che, in base al combinato disposto degli artt. 95, co. 1, 7, co. 2, e 8, co. 3 della Costituzione, letti in stretta relazione con lart. 94, co. 1, Cost., il Governo, nell'ambito del rapporto fiduciario con il Parlamento, libero di determinare il proprio indirizzo politico, tra laltro, nella materia religiosa in generale, ed ecclesiastica in particolare, nella quale ultima sono sicuramente incluse le trattative per la stipula dei Patti con la Chiesa Cattolica ex art. 7, co. 2, Cost., e delle intese con le altre confessioni di cui allart. 8, co. 3, Cost. (1). Per quello che in questa sede interessa, allo stato, le trattative per la stipula delle intese di cui allart. 8, co. 3, Cost. risultano prive di una qualsivoglia disciplina legislativa tesa a limitare, nel merito, la libert politica del Governo. 2.3.) Da quanto sin qui esposto discende, per logica conseguenza, che nel novero degli atti politici, sottratti in via assoluta al sindacato giurisdizionale, rientra, senza alcun dubbio, anche il rifiuto del Consiglio dei Ministri di avviare le trattative per la conclusione dellintesa ex art. 8, comma 3, Cost., trattandosi (alla medesima stregua dellavvio delle trattative e/o della eventuale stipula dellintesa, ove essa venga raggiunta) di un atto: a) costituente espressione della fondamentale funzione di direzione e di indirizzo politico, in quanto tale libera nel fine, che la Costituzione (cfr. artt. 95, co. 1, 7, co. 2, 8, co. 3, e 94, co. 1, Cost.) assegna al Governo con riferimento alla materia ecclesiastica (la quale rappresenta, come si visto, elemento fondativo e qualificante dellintera comunit nazionale); b) adottato, altres, in assenza di qualsivoglia parametro o vincolo giuridico, idoneo a circoscrivere e/o a limitare le valutazioni in materia dellEsecutivo (2). (1) G. CASUSCELLI - S. DOMIANELLO, Intese con le confessioni religiose diverse dalla cattolica, in Le fonti e i principi del diritto ecclesiastico, Torino 2002, pp. 48 e ss. sottolineano come la competenza del Governo in materia di intese trovi specifico fondamento nellart. 95 della Costituzione, il quale delinea un modello di indirizzo politico in materia ecclesiastica ancorato al rapporto fiduciario con il Parlamento. (2) In dottrina riconducono esplicitamente il diniego di avvio delle trattative di cui allart. 8, co. 3, cost. alla categoria dellatto politico i seguenti autori: M. MIRABELLA, La fase decisoria del procedimento CONTENZIOSO NAZIONALE 55 Tali assunti ricevono decisivo conforto dalla sentenza n. 346/2002 della Corte Costituzionale, che ha, appunto, evidenziato che il Governo non vincolato oggi a norme specifiche per quanto riguarda lobbligo, su richiesta della confessione, di negoziare e di stipulare lintesa (cfr. punto 2, terzo capoverso, della motivazione), in tal modo confermando la mancanza, in materia di intese ex art. 8, co. 3, Cost., di parametri e/o di vincoli giuridici e, dunque, limpossibilit, in via astratta, di ammettere un sindacato giurisdizionale, ad opera dei giudici comuni, sulle relative determinazioni del Governo (cos anche Cons. Stato, sez. V, n. 4502/2011 cit.). Lart. 2, comma 3, lett. l), della Legge 23 agosto 1988 n. 400 - a mente del quale Sono sottoposti alla deliberazione del Consiglio dei Ministri (..) gli atti concernenti i rapporti previsti dallarticolo 8 della Costituzione - si limita a riservare allorgano politico la competenza in subiecta materia, senza, quindi, introdurre alcun vincolo sostanziale alle scelte del Governo, che rimangono del tutto libere, salva la responsabilit politica nei confronti del Parlamento e, in ultima analisi, del corpo elettorale. Ed anzi tale art. 2, comma 3, L. n. 400/1988, nella misura in cui estende la deliberazione del Consiglio dei Ministri, prevista per atti pacificamente politici <> anche agli atti concernenti i rapporti previsti dallarticolo 8 della Costituzione, fornisce un solido e (decisivo) argomento nella direzione della natura politica anche di questi ultimi. 3.) Al fine di tutelare e garantire il libero esercizio, da parte del Governo, della funzione di indirizzo politico in materia ecclesiastica, espressamente riconosciutagli dalla Costituzione (ex artt. 7, co. 2, 8, co. 3, 94, co. 1, e 95 co. 1 Cost.), occorre ritenere che il diniego di avvio delle trattative per la stipula dellintesa ex art. 8, co. 3, Cost. sia sottratto in termini assoluti al sindacato dei giudici comuni. La sentenza che annullasse il diniego di stipula dellintesa ex art. 8, co. 3, Cost., imponendo, in virt del c.d. effetto conformativo del giudicato, al Governo di riesaminare la questione o, peggio, di concludere lintesa con una dato soggetto religioso costituirebbe, infatti, una inammissibile interferenza nell'indirizzo politico del Governo in materia ecclesiastica (come si visto, costituzionalmente garantito) e, dunque, nel rapporto fiduciario tra il potere Esecutivo ed il Parlamento (anchesso presidiato dalla Costituzione; cfr. art. 94, co. 1, Cost.). 4.) Che il diniego del Consiglio dei Ministri di avviare le trattative finalizzate alla conclusione dellintesa di cui allart. 8, co. 3, Cost. rivesta natura di atto politico, assolutamente insindacabile da parte dei giudici comuni, risulta, altres, confermato dal rapporto intercorrente, in base al dettato costituzionale, tra lintesa e la successiva legge volta a disciplinare i rapporti tra lo Stato ed il soggetto religioso stipulante. amministrativo - approfondimenti. Latto amministrativo, in Manuale di diritto amministrativo a cura di M. MIRABELLA, A. ALTIERI E P.M. ZERMAN, Milano 2012, p. 484; G. TROPEA, Genealogia, comparazione e decostruzione di un problema ancora aperto: latto politico, in Dir. Amm., 2012, p. 396; E. VITALI, La Costituzione italiana e il fenomeno religioso, in Manuale breve di diritto ecclesiastico, a cura di E. VITALI, A.G. CHIZZONITI, Milano, 2007, p. 38, il quale sottolinea come la decisione sullapertura delle trattative debba, appunto, qualificarsi come politica poich il Governo non avrebbe lobbligo di rispondere positivamente alla richiesta di apertura di dette trattative e, anche qualora decidesse di avviarle, non sarebbe comunque tenuto a stipulare lintesa; G.B. VARNIER, La prospettiva pattizia, in AA.VV., Principio pattizio e realt religiose minoritarie, a cura di V. PARLATO e G.B. VARNIER, Torino 1995, p. 4.; F.F. PAGANO, Gli atti emanati dal Governo nellesercizio del potere politico nella pi recente giurisprudenza tra separazione dei poteri e bilanciamenti costituzionali in Riv. Dir. Pubblico n. 3/2013, p. 882 e ss. 56 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2016 Nel ricorso introduttivo si evidenziato, con il conforto di autorevole dottrina, che le intese ex art. 8 comma 3 della Cost. si inseriscono, costituendone un imprescindibile presupposto legittimante, nelliter legislativo preordinato allemanazione della legge regolatrice dei rapporti tra Stato e confessione acattolica; e pertanto non possono che partecipare della stessa natura (di atto politico libero) che connota le successive fasi dellinter legis: (si veda, al riguardo, Cass., S.U. n. 2439/2008 che ha dichiarato linsindacabilit, da parte dei giudici comuni, degli atti facenti parte delliter formativo di una legge regionale). In questa sede, anche al fine di replicare alle deduzioni svolte sul punto dallinterveniente, si ritiene opportuno rimarcare che nella prassi costituzionale la legge ex art. 8, co. 3, Cost. sulla base di intese divenuta legge di ratifica, nel senso che il nesso tra intesa e legge si atteggia come relazione di necessaria identit dei contenuti, per cui le disposizioni della prima vengono trasfuse, tal quali (e cio articolo per articolo), nella seconda, al punto che si dubita finanche dellammissibilit di emendamenti parlamentari al testo dellintesa, come sottoposto dal Governo allapprovazione della Camere (3); ed stato, anzi sostenuto, che il potere di emendamento delle Camere potrebbe concretarsi solo come richiesta di una nuova trattativa (4). Poich, dunque, il testo dellintesa viene trasfuso, tal quale, nella legge, che, dunque, legge di mera ratifica o di mera approvazione, ne consegue che, contrariamente a quanto opinato dallinterveniente, il sub-procedimento di intesa non pu non partecipare della stessa natura (di atto politico libero) dellatto legislativo alladozione del quale preordinato (5). In altri termini, lintesa atto (non autonomo, in s compiuto, ma) preparatorio, base della legge, e quindi, elemento sub-procedimentale, che partecipa, in sostanza ed in definitiva, della discrezionalit politica propria delliter legislativo (6). 4.1.) Daltro canto, non un caso che la migliore dottrina annoveri la legge sulle intese di cui allart. 8, co. 3, Cost. nella categoria delle c.d. leggi rinforzate, la cui approvazione deve essere preceduta, in base al dettato costituzionale, da particolari adempimenti che ne aggravano liter formativo rispetto a quello ordinario (7). Nel caso della legge ex art. 8, co. 3, Cost. l aggravamento procedimentale consiste, appunto, nella previa intesa - e nelle trattative che la precedono - tra il Governo ed il soggetto confessionale. Anche in tale prospettiva risulta, dunque, ulteriormente confermato che il sub-procedimento di intesa (nel quale sono incluse anche le relative trattative) costituisce parte integrante delliter formativo della legge, alla cui approvazione esso preordinato; tantՏ che, come si evidenziato infra, secondo la comune opinione dei costituzionalisti, il Parlamento sarebbe obbligato a recepire tal quale larticolato dellintesa nella legge, che, se difforme dal testo dellintesa, sarebbe, addirittura, viziata da incostituzionalit. 4.2.) Se, dunque, il sub-procedimento di intesa (nel quale sono ovviamente ricomprese le re- (3) cfr. RANDAZZO, La legge sulla base di intese tra Governo, Parlamento e Corte Costituzionale. Legge di approvazione? in Quaderni eccl., 2001, I, 222. (4) cfr. LONG, Concordati e intese tra legge formale e tautologia legislativa, in Quaderni cost., 1985, III, 587-588. (5) Cfr. F. BERTOLINI, Principio pattizio o obbligo del Governo di avviare le trattative per la stipula dellintesa con la Confessione religiosa?, in www.forumcostituzionale.it. (6) Cfr. N. COLAIANNI, Diritto Pubblico delle religioni: eguaglianza e differenze nello Stato costituzionale, Bologna, 2012, p. 114. (7) cfr. CRISAFULLI, Gerarchia e competenza nel sistema costituzionale delle fonti, in Riv. trim. dir. pubbl., 1960, 787-790 e pi di recente PALADIN, Le fonti del diritto italiano, Bologna, 1996, 195. CONTENZIOSO NAZIONALE 57 lative trattative) costituisce parte integrante del procedimento di formazione della legge ex art. 8, co. 3, Cost., condividendo la natura (di atto politico libero) che connota le successive fasi delliter legis, ne deriva che il soggetto religioso il quale aspiri alla stipula della predetta intesa << costituente, come sopra si rilevato, espressione della fondamentale funzione di direzione e di indirizzo politico, in quanto tale libera nel fine, che la Costituzione (cfr. artt. 95, co. 1, 7, co. 2, 8, co. 3, e 94, co. 1, Cost.) assegna al Governo con riferimento alla materia ecclesiastica>> non portatore di alcuna situazione soggettiva giuridicamente qualificata allapertura delle trattative (8), ma, tuttal pi, di un aspirazione di mero fatto, a cui lordinamento non appresta alcuna protezione; il che, in termini processuali, si traduce, appunto, in difetto assoluto di giurisdizione. 4.2.1). Sotto altro profilo, e ad ulteriore conferma della fondatezza delle tesi sino ad ora esposte, si osserva che le intese de quibus sono suscettibili di dar vita a normative negoziate e differenziate, derogatorie rispetto al diritto comune (9). Di conseguenza, lavvio e la conclusione delle trattative - lungi dallessere espressione di mera discrezionalit tecnica - presuppongono, da parte del Governo, valutazioni di opportunit politica che sfuggono necessariamente ad un controllo in termini di stretta legittimit. 5) Di contro, nessuno dei parametri costituzionali invocati dallinterveniente appare idoneo a fondare, in capo al soggetto religioso, una pretesa giuridicamente tutelata allavvio delle trattative per la conclusione dellintesa ex art. 8, co. 3, Cost., in grado di limitare il libero esercizio, da parte del Governo, della funzione di indirizzo politico che la Costituzione gli attribuisce in materia ecclesiastica. 5.1.) Una siffatta pretesa non , innanzitutto, desumibile dalla garanzia di eguale libert davanti alla legge di cui al comma 1 dellart. 8 Cost., che vale per tutte le confessioni, anche per quelle che non abbiano stipulato lintesa di cui al comma terzo. Al riguardo, codesta Ecc.ma Corte Costituzionale ha, infatti, chiarito che l'aver stipulato l'intesa prevista dall'art. 8, terzo comma, della Costituzione per regolare in modo speciale i rapporti con lo Stato non pu () costituire l'elemento di discriminazione nell'applicazione di una disciplina, posta da una legge comune, volta ad agevolare l'esercizio di un diritto di libert dei cittadini (). Lagevolazione non pu <> essere subordinata alla condizione che il culto si riferisca ad una confessione religiosa la quale abbia chiesto e ottenuto la regolamentazione dei propri rapporti con lo Stato ai sensi dell'art. 8, terzo comma, della Costituzione (cfr. Corte Cost. sent. n. 195/1993 che ha dichiarato lillegittimit di una legge regionale nella parte in cui prevedeva contributi pubblici per la costruzione di edifici di culto solo in favore delle confessioni religiose diverse dalla cattolica che avessero gi stipulato lintesa con lo Stato). Tali principi sono stati poi ribaditi dal Giudice delle Leggi nella citata sentenza n. 346/2002, dove si legge che le intese di cui allart. 8, comma 3, sono lo strumento previsto dalla Costituzione per la regolazione dei rapporti delle confessioni religiose con lo Stato per gli aspetti che si collegano alle specificit delle singole confessioni o che richiedono deroghe al diritto comune: non sono e non possono essere, invece, una condizione imposta dai poteri pubblici alle confessioni per usufruire delle libert di organizzazione e di azione, loro garantita dal (8) A fronte di una funzione politica non , infatti, possibile configurare una situazione di interesse protetto a che gli atti in cui essa si manifesta assumano o non assumano un determinato contenuto (cos Cass., S.U., 8157/02). (9) Cos F.F. PAGANO, Gli atti emanati dal Governo nellesercizio del potere politico... cit., 887. 58 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2016 primo e dal secondo comma dello stesso art. 8, n per usufruire di norme di favore riguardanti le confessioni religiose. Se, dunque, la mancanza dellintesa non incide in alcun modo sulla garanzia di eguale libert ex art. 8, comma 1, (nel senso che il Legislatore, ceteris paribus, non pu escludere da vantaggi o da discipline di favore una data confessione acattolica solo perch non abbia regolamentato i propri rapporti con lo Stato ai sensi dellart. 8, co. 3, cost.), siffatta garanzia non pu essere richiamata, sul piano logico, prima ancora che giuridico, per inferirne un preteso obbligo, per il Governo, di avviare le trattative per la stipula dellintesa de qua con qualsivoglia soggetto religioso che lo richieda. 5.2) Per ci che, invece, concerne lautonomia organizzativa di cui allart. 8, co. 2, Cost., giova rilevare che, come affermato da codesta Ecc.ma Corte con la sentenza n. 43/1988, al riconoscimento, da parte dellart. 8, secondo comma, Cost., della capacit delle confessioni religiose, diverse dalla cattolica, di dotarsi di propri statuti, corrisponde l'abbandono, da parte dello Stato, della pretesa di fissarne direttamente per legge i contenuti. Tale autonomia istituzionale (...) esclude ogni possibilit di ingerenza dello Stato nell'emanazione delle disposizioni statutarie delle confessioni religiose , ma non certamente idonea a far sorgere, in capo al Governo, un obbligo giuridico di avviare le trattative per la eventuale stipula dellintesa ex art. 8, co. 3, Cost., per il solo fatto che un soggetto confessionale lo richieda; e ci per lovvia considerazione che lautonomia statutaria attiene esclusivamente al profilo dellauto organizzazione dellente privato e non pu, di certo, essere fonte di obblighi giuridici di facere in capo a soggetti (per giunta pubblici) estranei a quella organizzazione. 5.3) Infine, contrariamente a quanto ritenuto dallinterveniente, lo strumento pattizio di cui allart. 8, co. 3, Cost. previsto al fine di evitare che lo Stato possa disciplinare unilateralmente i rapporti con la confessione acattolica, ma ci non significa che il Governo abbia lobbligo giuridico di avviare le trattative per il solo fatto che un qualsivoglia soggetto religioso lo richieda. Risulta, dunque, anche per tale via, confermato che le confessioni religiose diverse dalla cattolica non dispongono di strumenti giuridici per obbligare lo Stato a negoziare e a stipulare l'accordo di cui al terzo comma dellart. 8 Cost. 6.) Linterveniente - quale fondamento giuridico della asserita pretesa qualificata del soggetto confessionale allapertura delle trattative con lo Stato per la stipula dellintesa di cui allart. 8, co. 3, Cost. - richiama, altres, gli articoli 9, 11 e 14 della CEDU. Sennonch le disposizioni della CEDU - nel significato loro attribuito dalla Corte di Strasburgo - hanno il rango di legge ordinaria e quindi non si collocano a livello costituzionale (cfr., tra le tante, sent. n. 349 del 2007). Ne consegue che, ove la norma della Convezione si ponga eventualmente in conflitto con altre norme della Costituzione, queste ultime prevalgono e deve essere esclusa lidoneit delle norme convenzionali ad integrare, quali norme interposte, il parametro costituzionale di cui allart. 117, co. 1, Cost.. (cfr. sent. n. 80 del 2011). 6.1) Applicando tali, pacifici, principi nella fattispecie, deve, dunque, ritenersi che le invocate disposizioni costituzionali di cui agli artt. 95, co. 1, 7, co. 2, 8, co. 3, e 94, co. 1, Cost. (che, come si visto, attribuiscono al Governo una fondamentale funzione di indirizzo politico - del tutto libera nei fini - nella materia religiosa ed ecclesiastica, a fronte della quale la posizione dei soggetti confessionali che aspirino allapertura delle trattative per la stipula dellintesa ex art. 8, co. 3, Cost. assume la consistenza di interesse di mero fatto, privo di protezione giuridica), prevalgano sulle (in tesi contrarie) disposizioni della CEDU richiamate CONTENZIOSO NAZIONALE 59 dallinterveniente, escludendone, per leffetto, lapplicabilit nel presente giudizio per conflitto. 6.1.1) Tale conclusione , del resto, coerente con il tono costituzionale dellodierno conflitto, nel senso che questultimo deve essere risolto esclusivamente alla stregua di disposizioni di rango costituzionale (appunto, nella specie, gli artt. 95, co. 1, 7, co. 2, 8, co. 3, e 94, co. 1, Cost.) e non in base a disposizioni aventi il rango di mera legge ordinaria (e cio le norme della CEDU richiamate dallinterveniente), confliggenti con il dettato costituzionale. 7). La questione di legittimit costituzionale, prospettata dallinterveniente, dellart. 7, comma 1, ultimo periodo, c.p.a. di cui al Dlgs. n. 104/2010, nella parte in cui prevede la non impugnabilit in sede giurisdizionale degli atti politici, irrilevante nella presente sede perch linsindacabilit, ad opera dei giudici comuni, del diniego de quo agitur discende, innanzitutto, dalle su descritte attribuzioni costituzionali del Governo in materia ecclesiastica, rispetto alle quali il cit. art. 7, co 1, cit. ha valenza meramente attuativa. P.T.M. Si confida nellaccoglimento del ricorso. Roma, 4 gennaio 2016 lAvvocato dello Stato Giovanni Palatiello Corte Costituzionale, sentenza 10 marzo 2016 n. 52 - Pres. Cartabia, Red. Zanon - Giudizio per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato sorto a seguito della sentenza della Corte di cassazione, sezioni unite civili, 28 giugno 2013, n. 16305, promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri (avv. Stato G. Palatiello). Interveniente: Unione degli Atei e degli Agnostici Razionalisti (UAAR) (avv.ti F. Corvaja e S. Grassi). Ritenuto in fatto 1. Con ricorso depositato in data 22 settembre 2014, il Presidente del Consiglio dei ministri, in proprio e a nome del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dallAvvocatura generale dello Stato, ha sollevato conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato nei confronti della Corte di cassazione, sezioni unite civili, in relazione alla sentenza 28 giugno 2013, n. 16305, con la quale stato respinto il ricorso per motivi attinenti alla giurisdizione, proposto dallo stesso Presidente del Consiglio avverso la sentenza del Consiglio di Stato, sezione quarta, 18 novembre 2011, n. 6083. Espone il ricorrente che lUnione degli Atei e degli Agnostici Razionalisti (dora in avanti UAAR), associazione non riconosciuta, costituita con atto notarile nel 1991, aveva proposto ricorso avanti al Tribunale amministrativo regionale del Lazio chiedendo lannullamento della delibera del Consiglio dei ministri del 27 novembre 2003, la quale, recependo il parere dellAvvocatura generale dello Stato, decideva di non avviare le trattative finalizzate alla conclusione dellintesa ai sensi dellart. 8, terzo comma, della Costituzione, ritenendo che la professione di ateismo non potesse essere assimilata ad una confessione religiosa. Con sentenza 31 dicembre 2008, n. 12539, il TAR Lazio, sezione prima, dichiarava inammissibile, per difetto assoluto di giurisdizione, il ricorso proposto dallUAAR avverso la deliberazione del Consiglio dei ministri, ritenendo che la determinazione impugnata abbia natura di atto politico non giustiziabile (ai sensi dellart. 31 del regio decreto 26 giugno 60 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2016 1924, n. 1054, recante Approvazione del testo unico delle leggi sul Consiglio di Stato, ora art. 7, comma 1, ultimo periodo, del decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104, denominato Attuazione dellarticolo 44 della legge 18 giugno 2009, n. 69, recante delega al governo per il riordino del processo amministrativo). Il Consiglio di Stato, sezione quarta, con sentenza n. 6083 del 2011, riformando la decisione di primo grado, affermava, invece, la giurisdizione del giudice amministrativo, ritenendo che la scelta relativa allavvio delle trattative non abbia natura politica, ma presenti i tratti tipici della discrezionalit valutativa come ponderazione di interessi: da un lato, quello dellassociazione istante ad addivenire allintesa, dallaltro, linteresse pubblico alla selezione dei soggetti con cui avviare le trattative. Secondo il Consiglio di Stato, laccertamento circa la riconduzione dellorganizzazione richiedente alla categoria delle confessioni religiose non sarebbe insindacabile, e quanto meno lavvio delle trattative sarebbe obbligatorio qualora si pervenisse ad un giudizio di qualificabilit del soggetto istante come confessione religiosa, salva restando la facolt del Governo di non stipulare lintesa allesito delle trattative ovvero di non tradurre in legge lintesa medesima. Le parti venivano quindi rimesse avanti al primo giudice. Avverso tale decisione, il Presidente del Consiglio dei ministri proponeva ricorso ai sensi dellart. 111, ultimo comma, della Costituzione, alle sezioni unite della Corte di cassazione, sostenendo che il rifiuto di avviare le trattative per la conclusione dellintesa ex art. 8, terzo comma, Cost. debba qualificarsi atto politico, come tale insindacabile. Le sezioni unite della Corte di cassazione, con la ricordata sentenza n. 16305 del 2013 - che ha dato origine al presente conflitto - respingevano il ricorso, affermando che laccertamento preliminare relativo alla qualificazione dellistante come confessione religiosa costituisca esercizio di discrezionalit tecnica da parte dellamministrazione, come tale sindacabile in sede giurisdizionale. Ponendo in relazione il primo comma dellart. 8 Cost., che garantisce leguaglianza delle confessioni religiose davanti alla legge, con il successivo terzo comma, che assegna allintesa la regolazione dei rapporti tra lo Stato e le confessioni diverse da quella cattolica, la Corte di cassazione riteneva che la stipulazione dellintesa sia volta anche alla migliore realizzazione dei valori di eguaglianza tra confessioni religiose. Per tale ragione, assumeva che lattitudine di un culto a stipulare le intese con lo Stato non possa essere rimessa allassoluta discrezionalit del potere esecutivo, pena - appunto - il sacrificio delleguale libert tra confessioni religiose. Pur non ritenendolo un argomento decisivo, la Corte di cassazione osservava, tra laltro, che le intese si stanno atteggiando, nel tempo, in guisa di normative per adesione, innaturalmente uniformandosi a modelli standardizzati. Ne conseguirebbe che il Governo avrebbe lobbligo giuridico di avviare le trattative ex art. 8 Cost. per il solo fatto che una qualsiasi associazione lo richieda, e a prescindere dalle evenienze che si possano verificare nel prosieguo delliter legislativo. Successivamente a tale pronuncia, il TAR Lazio, sezione prima, con sentenza 3 luglio 2014, n. 7068, respingeva nel merito il ricorso dellUAAR, escludendo che la valutazione compiuta dal Governo in ordine al carattere non confessionale dellAssociazione ricorrente sia manifestamente inattendibile o implausibile, risultando viceversa coerente con il significato che, nellaccezione comune, ha la religione. Cionondimeno, il Presidente del Consiglio dei ministri, non condividendo i principi affermati dalle sezioni unite della Corte di cassazione e ritenendo che il rifiuto di avviare le trattative finalizzate alla stipulazione dellintesa sia un atto politico, espressione della funzione di indirizzo politico che la Costituzione assegna al Governo in materia religiosa e, come tale, CONTENZIOSO NAZIONALE 61 sottratto al sindacato giurisdizionale, ha sollevato conflitto di attribuzione tra poteri nei confronti della Corte di cassazione. In ordine allammissibilit del conflitto, il ricorrente sostiene che sarebbe pacifica la legittimazione soggettiva del Presidente del Consiglio dei ministri a dichiarare definitivamente la volont del potere cui appartiene, ai sensi dellart. 92, primo comma, Cost. Nel caso di specie, poich il rifiuto allavvio delle trattative sarebbe stato opposto dal Consiglio dei ministri, al quale - ai sensi dellart. 2, comma 3, lettera l), della legge 23 agosto 1988, n. 400 (Disciplina dellattivit di Governo e ordinamento della Presidenza del Consiglio dei Ministri) - sono riservate le determinazioni sulle intese, ne conseguirebbe la qualificazione di potere dello Stato in capo al Consiglio dei ministri e al suo Presidente. In ordine alla legittimazione passiva, le sezioni unite della Corte di cassazione sarebbero competenti a dichiarare la definitiva volont del potere giudiziario, in considerazione dellefficacia vincolante per tutti i giudici comuni, anche in altri processi, delle decisioni da essa assunte in ordine alla giurisdizione a seguito di ricorso ai sensi dellart. 111, ultimo comma, Cost. Quanto al profilo oggettivo, il ricorrente osserva come la Corte di cassazione, con la sentenza n. 16305 del 2013, avrebbe illegittimamente esercitato il suo potere giurisdizionale, menomando la funzione di indirizzo politico che la Costituzione assegna al Governo in materia religiosa (artt. 7, 8, terzo comma, 92 e 95 Cost.), funzione assolutamente libera nel fine e quindi insuscettibile di controllo da parte dei giudici comuni. Nel merito, il ricorrente osserva come non possa essere condivisa la conclusione delle sezioni unite in ordine alla doverosit dellavvio delle trattative per la conclusione dellintesa ex art. 8, terzo comma, Cost. Tale ultima disposizione, infatti, costituirebbe norma sulle fonti, dal momento che le intese integrerebbero il presupposto per lavvio del procedimento legislativo finalizzato allapprovazione della legge che regola i rapporti tra Stato e confessione religiosa, e pertanto parteciperebbero della stessa natura, di atto politico libero, delle successive fasi delliter legis. La dottrina avrebbe, altres, chiarito che le intese, in quanto dirette allapprovazione di una legge, coinvolgerebbero la responsabilit politica del Governo, ma non la responsabilit dellamministrazione. In sostanza - sostiene il ricorrente - poich lomesso esercizio della facolt di iniziativa legislativa in materia religiosa rientra tra le determinazioni politiche sottratte al controllo dei giudici comuni, cos come il Governo libero di non dare seguito alla stipulazione dellintesa omettendo di esercitare liniziativa per lapprovazione della legge prevista dallart. 8, terzo comma, Cost., a maggior ragione dovrebbe essere libero, nellesercizio delle sue valutazioni politiche, di non avviare alcuna trattativa. Ancora, si osserva che se il Governo pu recedere dalle trattative o comunque libero, pur dopo aver stipulato lintesa, di non esercitare liniziativa legislativa per il recepimento dellintesa con legge, ci significa che il preteso diritto allapertura delle trattative , in realt, un interesse di mero fatto non qualificato, privo di protezione giuridica. Tale conclusione troverebbe conferma nella sentenza della Corte costituzionale n. 346 del 2002, ove si afferma che il Governo non vincolato a norme specifiche per quanto riguarda lobbligo di negoziare e stipulare lintesa. menzionata anche la sentenza di questa Corte n. 81 del 2012, che avrebbe riconosciuto lesistenza di spazi riservati alla scelta politica. Infine, il ricorrente afferma che il rifiuto del Consiglio dei ministri di avviare le trattative per la conclusione dellintesa sarebbe espressione della fondamentale funzione di direzione ed indirizzo politico del Governo. [A]bnorme, pertanto, sarebbe la sentenza del giudice 62 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2016 amministrativo che annullasse il diniego di avvio delle trattative, imponendo al Governo di riesaminare la questione o di concludere lintesa con un determinato soggetto. Conseguentemente, chiesto alla Corte costituzionale di dichiarare che non spetta alla Corte di cassazione, sezioni unite civili, affermare la sindacabilit, ad opera dei giudici comuni, del rifiuto del Consiglio dei ministri di avviare le trattative finalizzate alla conclusione dellintesa di cui allart. 8, terzo comma, Cost. 2. Il conflitto stato dichiarato ammissibile da questa Corte con ordinanza n. 40 del 2015. 3. intervenuta in giudizio, in data 14 aprile 2015, lUnione degli Atei e degli Agnostici Razionalisti (UAAR), chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile e, in subordine, infondato. LUAAR premette di essere legittimata ad intervenire, poich lesito del giudizio costituzionale potrebbe compromettere definitivamente lazione proposta innanzi al giudice amministrativo. Linterveniente - parte del giudizio definito con la sentenza delle sezioni unite della Corte di cassazione - ora ricorrente di fronte al Consiglio di Stato, presso il quale ha appellato la sentenza del TAR Lazio n. 7068 del 2014. Linterveniente, anzitutto, eccepisce linammissibilit del ricorso, poich diretto a far valere un mero error in iudicando da parte del giudice ordinario. La Corte di cassazione avrebbe, infatti, risolto una questione di giurisdizione, e tale competenza sarebbe fatta espressamente salva dallart. 37, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), secondo il quale [r]estano ferme le norme vigenti per le questioni di giurisdizione. Il ricorso del Presidente del Consiglio dei ministri sarebbe quindi volto a trasformare il conflitto tra poteri in un mezzo di gravame atipico avverso le pronunce giudiziarie (viene ricordato quanto deciso da questa Corte, in un caso asseritamente analogo, con sentenza n. 81 del 2012). Nel merito, a sostegno dellinfondatezza del ricorso, lUAAR osserva che i parametri costituzionali indicati dal ricorrente (artt. 7, 8, 92 e 95 Cost.) non fonderebbero alcuna competenza costituzionale del Governo attinente alla decisione di stipulare lintesa: lart. 7 Cost. riguarderebbe i rapporti tra Stato e Chiesa cattolica; lart. 8 Cost. non assegnerebbe al Governo la prerogativa di stipulare lintesa, in quanto solo la legge ordinaria - in particolare lart. 2, comma 3, lettera l), della legge n. 400 del 1988 - ad attribuire tale competenza al Consiglio dei ministri ( ricordato, peraltro, che, in precedenza, essa spettava al Ministro dellinterno); lart. 92 Cost. regolerebbe solo il procedimento di formazione del Governo; lart. 95 Cost., infine, sancirebbe il principio di responsabilit del Presidente e del Consiglio dei ministri, responsabilit che anche di tipo giuridico. LUAAR ritiene, piuttosto, che il problema della impugnabilit degli atti relativi alle trattative per lintesa ex art. 8, terzo comma, Cost. vada riguardato muovendo dalla verifica della sussistenza - naturalmente in chiave di mera prospettazione - di una situazione giuridica soggettiva in capo alla confessione istante. Lart. 8, terzo comma, Cost. non avrebbe soltanto il significato di negare allo Stato la possibilit di introdurre una disciplina unilaterale, ma avrebbe anche la funzione di dare riconoscimento alla pretesa di una confessione di minoranza di concludere con lo Stato unintesa, o almeno di avviare le trattative, allo scopo di conseguire una condizione di eguale libert con le altre confessioni di analoga natura. Ricordando che il principio di laicit dello Stato ha, quali corollari, lequidistanza e limparzialit verso tutte le confessioni, lUAAR assume che da ci derivi, logicamente, che gli organi statali sono tenuti a prendere in considerazione le richieste di intesa provenienti da soggetti legittimati, e a non discriminare le confessioni nellaccesso ai benefici connessi con la stipulazione di unintesa. CONTENZIOSO NAZIONALE 63 La qualificazione della pretesa di una confessione religiosa di negoziare unintesa con lo Stato in termini di posizione soggettiva protetta sarebbe inoltre confermata dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti delluomo, la quale, in pi occasioni, avrebbe riconosciuto come interesse tutelato dagli artt. 9, 11 e 14 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti delluomo e delle libert fondamentali (dora in avanti CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848, laspirazione della confessione religiosa a concludere accordi con lo Stato per accedere ad uno status pi favorevole, ed avrebbe chiarito come la garanzia di unequa opportunit nellaccesso al regime privilegiato da parte di confessioni di minoranza rappresenti una condizione necessaria per la legittimit convenzionale di regimi paraconcordatari analoghi a quello italiano. Una volta riconosciuto che la confessione religiosa titolare della pretesa di addivenire allintesa, tale pretesa deve essere inderogabilmente assicurata in sede giurisdizionale ai sensi degli artt. 24 e 113 Cost., e degli artt. 6 e 13 della CEDU. La difesa dellUAAR aggiunge che appare dubbia la stessa sussistenza, nellattuale ordinamento costituzionale, di atti dellesecutivo del tutto immuni da ogni sindacato giurisdizionale, mentre, invece, possono esservi spazi di discrezionalit riservati al potere politico e come tali non sindacabili (viene ricordata, sul punto, la sentenza di questa Corte n. 81 del 2012). Seguendo questa impostazione, la questione dovrebbe consistere nel verificare se le censure svolte nel ricorso dellUAAR innanzi al giudice amministrativo avessero denunciato la violazione di norme giuridiche ovvero avessero preteso di sindacare una discrezionalit politica. Ma tale valutazione, riguardando un problema di mera interpretazione di parametri di legittimit, non dovrebbe essere sindacabile in un conflitto tra poteri. In ogni caso, di fronte al giudice amministrativo sarebbero stati dedotti solo profili di legittimit, tra i quali - per quanto qui in particolare rileva - la valutazione preliminare compiuta dal Consiglio dei ministri in ordine allidoneit dellUAAR ad essere qualificata come confessione religiosa ai sensi dellart. 8 Cost., valutazione che sarebbe priva di qualsiasi politicit, trattandosi di un giudizio che sia lamministrazione, sia i giudici, sono chiamati ad operare ai pi diversi fini. N, infine, gli atti impugnati dallUAAR in sede giurisdizionale potrebbero essere qualificati atti politici ai sensi dellart. 7, comma 1, del d.lgs. n. 104 del 2010, difettando sia il requisito soggettivo, poich la competenza ad assumere la decisione non attribuita al Governo dalla Costituzione, ma dalla legge ordinaria; sia il requisito oggettivo, in quanto la determinazione del Consiglio dei ministri non avrebbe attinenza con la direzione suprema e generale dello Stato, ma con la sola cura concreta dellinteresse religioso delle minoranze confessionali, tramite la conclusione di negozi di diritto pubblico. Contesta, infine, la difesa dellUAAR che la decisione di non avviare le trattative partecipi della natura di atto politico proprio della legge di approvazione dellintesa: lintesa rimane esterna al procedimento legislativo, in quanto precede la relativa iniziativa, e in quanto sopravvive al procedimento legislativo e alla stessa legislatura. Per questa ragione la giurisdizione comune dovrebbe arrestarsi a partire dalliniziativa legislativa, ma non prima. N sarebbe convincente osservare che il Governo pu comunque astenersi dallesercitare liniziativa legislativa, poich questultima non riservata a tale organo, come dimostrano alcuni progetti di legge di iniziativa parlamentare, avviati sulla base di intese. 4. In data 12 maggio 2015 la difesa dellUAAR ha depositato ulteriore memoria, ove ribadisce le conclusioni gi formulate. In particolare, essa contesta largomento - addotto dal ricorrente - secondo cui vi sarebbe 64 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2016 la necessit di preservare la libert della politica ecclesiastica del Governo: tale nozione sembrerebbe fondarsi sullidea che il Governo sia libero di favorire questo o quel culto secondo contingenti ed insindacabili ragioni di opportunit politica, mentre - come gi argomentato nella prima memoria - il sistema dei rapporti tra Stato e confessioni religiose si fonda sullimperativo di laicit dello Stato, da cui deriva la necessaria equidistanza e imparzialit dello stesso verso tutte le religioni. N basterebbe che dei criteri di selezione degli interlocutori il Governo risponda sul piano della responsabilit politica, poich qui vengono in gioco i diritti delle minoranze confessionali, rispetto alle quali i meccanismi della rappresentanza e della responsabilit politica, connotati dalla logica maggioritaria, non costituiscono, per definizione, uno strumento di tutela effettivo. In secondo luogo, la difesa dellUAAR insiste nellescludere che lintesa con le confessioni religiose, atto presupposto del procedimento legislativo che segue, assorba da questultimo una dimensione politica che non le spetta. Afferma di non condividere largomento secondo cui, se il Governo libero di non concludere lintesa e di non esercitare liniziativa legislativa, non potrebbe neppure esservi una pretesa giustiziabile in capo alla confessione istante ad ottenere lavvio delle trattative. I due piani - a suo avviso - andrebbero tenuti distinti: non sarebbe, cio, corretto estendere il trattamento tipico della legge (e delliniziativa legislativa) ad un atto che si colloca a monte delliniziativa legislativa stessa e che rimane imputabile allesecutivo. 5. Nellimminenza delludienza pubblica, in data 31 dicembre 2015, la difesa dellUAAR ha ancora depositato memoria, insistendo per il rigetto del conflitto. Dopo aver ribadito leccezione di inammissibilit del conflitto, in quanto volto a lamentare un error in iudicando delle sezioni unite della Corte di cassazione, linterveniente sottolinea che lUAAR ha contestato di fronte al giudice amministrativo la mancata qualificazione della richiedente come confessione religiosa, e che tale potere del Governo non pu essere ricondotto allesercizio di una funzione di indirizzo politico. La difesa dellUAAR ricorda come lart. 7 del d.lgs. n. 104 del 2010, interpretato alla luce dellart. 113 Cost., sottragga al controllo giurisdizionale non atti, ma i soli profili specificamente politici contenuti in atti che rimangono comunque impugnabili. Una contraria lettura di tale disposizione sarebbe lesiva degli artt. 24 e 113 Cost., oltre che dellart. 117, primo comma, Cost., in riferimento agli artt. 6 e 13 della CEDU. La tesi che sostiene linsindacabilit degli atti politici si porrebbe dunque in frontale contrasto con le acquisizioni del diritto costituzionale europeo e del particolare contributo dato ad esso dalla Costituzione italiana e dalla stessa Corte costituzionale ( ricordata, sul punto, la sentenza di questa Corte n. 238 del 2014). Linterveniente aggiunge che una valutazione politica sullintesa spetterebbe semmai alle Camere, in sede di approvazione della legge ex art. 8, comma terzo, Cost., e non al Governo. Infine, oltre a ribadire che lintesa sta fuori dal procedimento legislativo e non pu partecipare della natura politica della legge, la difesa dellUAAR conclude osservando che, in linea generale, lo stesso esercizio della funzione legislativa, come non esclude la permanenza di situazioni soggettive, cos non esclude lazionabilit di una loro tutela giurisdizionale. 6. In data 5 gennaio 2016, il Presidente del Consiglio dei ministri ha depositato memoria, insistendo per laccoglimento del ricorso e svolgendo osservazioni in ordine alle argomentazioni dellinterveniente UAAR. Il ricorrente osserva, anzitutto, che non vi sarebbero problemi di ammissibilit del conflitto, in quanto il ricorso - pur rivolto avverso una pronuncia giudiziaria - preordinato a CONTENZIOSO NAZIONALE 65 contestare la sussistenza in radice del potere giurisdizionale. Il Governo, inoltre, prima di ricorrere alla Corte costituzionale, ha esaurito i rimedi giurisdizionali comuni. Nel merito, esso ribadisce che il rifiuto del Consiglio dei ministri di avviare le trattative per la conclusione dellintesa ex art. 8, terzo comma, Cost. rientrerebbe nel novero degli atti politici, in quanto espressione della fondamentale funzione di direzione e di indirizzo politico, assegnata al Governo ai sensi degli artt. 7, secondo comma, 8, terzo comma, 94, primo comma, e 95, primo comma, Cost. Inoltre, poich le trattative per la stipulazione delle intese non sono normativamente disciplinate, non vi sarebbe un parametro o vincolo legislativo idoneo a circoscrivere e/o limitare le valutazioni in materia dellesecutivo. Tale assunto sarebbe confermato da quanto stabilito da questa Corte nella sentenza n. 346 del 2002. In secondo luogo, il ricorrente osserva che, posto che la legge di approvazione delle intese dovrebbe avere identit di contenuti con queste ultime, il procedimento finalizzato alla stipulazione dellintesa non potrebbe che partecipare della natura di atto politico libero propria della legge. Daltro canto - osserva il ricorrente - la legge sulle intese annoverata, non a caso, nella categoria delle cosiddette leggi rinforzate, e ci ulteriormente confermerebbe che il sub-procedimento di intesa (nel quale sono incluse anche le trattative) costituisce parte integrante delliter formativo della legge, alla cui approvazione esso preordinato. Tale conclusione sarebbe ulteriormente rafforzata dalla circostanza che le intese possono dare vita a normative differenziate, per le quali si impongono valutazioni di opportunit politica. In terzo luogo, argomenta la difesa del ricorrente come dallart. 8 Cost. non possa dedursi un diritto delle confessioni religiose allavvio delle trattative, n un corrispondente diritto potrebbe venire ricavato dalla CEDU, le cui disposizioni avrebbero il rango di legge ordinaria e dovrebbero perci recedere davanti alle previsioni costituzionali (le sole, in base alle quali risolvere il conflitto). Infine, sarebbe irrilevante, ai fini della risoluzione del conflitto, una questione di legittimit costituzionale - asseritamente prospettata dallinterveniente - vertente sullart. 7, comma 1, ultimo periodo, del d.lgs. n. 104 del 2010, posto che linsindacabilit della decisione del Governo discenderebbe dalle pi volte ricordate disposizioni costituzionali, di cui il citato art. 7 sarebbe mera attuazione. Considerato in diritto 1. Il ricorso per conflitto di attribuzione fra poteri dello Stato proposto dal Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dallAvvocatura generale dello Stato, in proprio e a nome del Consiglio dei ministri, contro la Corte di cassazione, sezioni unite civili, in relazione alla sentenza 28 giugno 2013, n. 16305, con la quale stato respinto il ricorso per motivi attinenti alla giurisdizione proposto dallo stesso Presidente del Consiglio avverso la sentenza del Consiglio di Stato, sezione quarta, 18 novembre 2011, n. 6083. Nel ricorso alle sezioni unite della Corte di cassazione, il Presidente del Consiglio aveva lamentato il difetto assoluto di giurisdizione e la violazione e/o falsa applicazione dellart. 7, comma 1, ultimo periodo, del decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104 (Attuazione dellarticolo 44 della legge 18 giugno 2009, n. 69, recante delega al governo per il riordino del processo amministrativo), in relazione alla delibera attraverso la quale il Consiglio dei ministri, in data 27 novembre 2003, decideva di non avviare le trattative finalizzate alla conclusione dellintesa, ai sensi dellart. 8, terzo comma, della Costituzione, con lUnione degli Atei e degli Agnostici Razionalisti (dora in avanti UAAR), ritenendo che la professione di ateismo, affermata dallassociazione in questione, non consenta la sua assimilazione ad una confessione religiosa. 66 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2016 La Corte di cassazione, rigettando il ricorso, affermava che laccertamento preliminare relativo alla qualificazione dellistante come confessione religiosa costituisce esercizio di discrezionalit tecnica da parte dellamministrazione, come tale sindacabile in sede giurisdizionale. Ponendo in relazione il primo comma dellart. 8 Cost., che garantisce leguaglianza delle confessioni religiose davanti alla legge, con il successivo terzo comma, che assegna allintesa la regolazione dei rapporti tra Stato e confessioni diverse da quella cattolica, la Corte di cassazione riteneva che la stipulazione dellintesa sia volta anche alla migliore realizzazione dei valori di eguaglianza tra confessioni religiose. Per tale ragione, assumeva che lattitudine di un culto a stipulare le intese con lo Stato non possa essere rimessa allassoluta discrezionalit del potere esecutivo, pena - appunto - il sacrificio delleguale libert tra confessioni religiose. Pur non ritenendolo un argomento decisivo, la Corte di cassazione osservava, tra laltro, che le intese si stanno atteggiando, nel tempo, in guisa di normative per adesione, innaturalmente uniformandosi a modelli standardizzati. Ne conseguirebbe che il Governo avrebbe lobbligo giuridico di avviare le trattative ex art. 8 Cost. per il solo fatto che unassociazione lo richieda, e a prescindere dalle evenienze che si possano verificare nel prosieguo delliter legislativo. Il ricorrente, nellarticolare le proprie censure nei confronti della pronuncia del giudice di legittimit, sostiene che essa avrebbe menomato la funzione dindirizzo politico, che la Costituzione assegna al Governo in materia religiosa (artt. 7, 8, terzo comma, 92 e 95 Cost.), funzione assolutamente libera nel fine e quindi insuscettibile di controllo da parte dei giudici comuni. Rileva, in particolare, come non possa in alcun modo sostenersi la tesi della doverosit dellavvio delle trattative per la conclusione dellintesa ex art. 8, terzo comma, Cost. Tale ultima disposizione, infatti, costituirebbe norma sulle fonti, dal momento che le intese integrerebbero il presupposto per lavvio del procedimento legislativo finalizzato allapprovazione della legge che regola i rapporti tra Stato e confessione religiosa, e pertanto parteciperebbero della stessa natura, di atto politico libero, delle successive fasi delliter legis. Le intese, in quanto dirette allapprovazione di una legge, coinvolgerebbero la responsabilit politica del Governo, ma non la responsabilit dellamministrazione. In sostanza - sostiene il ricorrente - poich lomesso esercizio della facolt di iniziativa legislativa in materia religiosa rientra tra le determinazioni politiche sottratte al controllo dei giudici comuni, cos come il Governo libero di non dare seguito alla stipulazione dellintesa, omettendo di esercitare liniziativa per lapprovazione della legge prevista dallart. 8, terzo comma, Cost., a maggior ragione dovrebbe essere libero, nellesercizio delle sue valutazioni politiche, di non avviare alcuna trattativa. Ancora, si osserva che se il Governo pu recedere dalle trattative o comunque libero, pur dopo aver stipulato lintesa, di non esercitare liniziativa legislativa per il recepimento dellintesa con legge, ci significa che il preteso diritto allapertura delle trattative , in realt, un interesse di mero fatto non qualificato, privo di protezione giuridica. Conseguentemente, chiesto alla Corte costituzionale di dichiarare che non spetta alla Corte di cassazione, sezioni unite civili, affermare la sindacabilit, ad opera dei giudici comuni, del rifiuto del Consiglio dei ministri di avviare le trattative finalizzate alla conclusione dellintesa di cui allart. 8, terzo comma, Cost. 2. In via preliminare, deve essere dichiarato ammissibile lintervento, spiegato nel presente giudizio, dallUAAR, parte resistente nel giudizio in cui stata resa limpugnata sentenza della Corte di cassazione. CONTENZIOSO NAZIONALE 67 Nei giudizi per conflitto di attribuzione non , di norma, ammesso lintervento di soggetti diversi da quelli legittimati a promuovere il conflitto o a resistervi. Tale regola, tuttavia, non opera quando la pronuncia resa nel giudizio costituzionale potrebbe precludere la tutela giudiziaria della situazione giuridica soggettiva vantata dallinterveniente, senza che gli sia data la possibilit di far valere le proprie ragioni (da ultimo, sentenze n. 144 del 2015, n. 222 e n. 221 del 2014, pronunciate in conflitti fra poteri dello Stato, e sentenze n. 107 del 2015, n. 279 del 2008, n. 195 del 2007 e n. 386 del 2005, rese in conflitti tra enti). Tale la situazione dellUAAR nel giudizio in esame, poich laccoglimento del ricorso impedirebbe allinterveniente di giovarsi di una pronuncia giudiziaria, al fine di ottenere lapertura delle trattative preordinate alla stipulazione di unintesa ai sensi dellart. 8, terzo comma, Cost. 3. Va confermata, ai sensi dellart. 37 della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), lammissibilit del conflitto - gi dichiarata da questa Corte, in sede di prima e sommaria delibazione, con lordinanza n. 40 del 2015 - sussistendone i presupposti soggettivi e oggettivi. 3.1. Con riguardo al profilo soggettivo, deve essere ribadita la legittimazione a proporre il ricorso del Presidente del Consiglio dei ministri, sia in proprio, sia in rappresentanza del Consiglio dei ministri. Il Presidente del Consiglio dei ministri lorgano competente a dichiarare la volont del Governo: il potere esecutivo, infatti, non un potere diffuso, ma si concentra nellintero Governo, in nome dellunit di indirizzo politico e amministrativo affermata dallart. 95, primo comma, Cost. (sentenza n. 69 del 2009 e ordinanze n. 221 del 2004 e n. 123 del 1979). E le determinazioni concernenti i rapporti previsti dallart. 8 Cost. sono espressamente assegnate al Consiglio dei ministri dallart. 2, comma 3, lettera l), della legge 23 agosto 1988, n. 400 (Disciplina dellattivit di Governo e ordinamento della Presidenza del Consiglio dei ministri), ovvero proprio dalla legge che d attuazione allart. 95 Cost., definendo lorganizzazione e le attribuzioni del Governo. Nel conflitto in esame, va riconosciuta la legittimazione attiva anche del Presidente del Consiglio dei ministri in proprio, poich nel procedimento di stipulazione delle intese - e in particolare nella fase iniziale di cui qui si discute, quando cio si tratta di individuare linterlocutore e avviare le trattative - la Presidenza del Consiglio assume autonomo rilievo, come stabilito nellart. 2, comma 1, lettera e), del decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 303 (Ordinamento della Presidenza del Consiglio dei Ministri, a norma dellarticolo 11 della legge 15 marzo 1997, n. 59), in cui si afferma che il Presidente del Consiglio si avvale della Presidenza del Consiglio nei rapporti tra il Governo e le confessioni religiose ai sensi dellart. 8, terzo comma, Cost., e come confermato dalla prassi. Non sussistono dubbi nemmeno sulla legittimazione della Corte di cassazione ad essere parte di un conflitto tra poteri dello Stato, a fronte della costante giurisprudenza di questa Corte, che tale legittimazione riconosce ai singoli organi giurisdizionali in quanto competenti, in posizione di piena indipendenza garantita dalla Costituzione, a dichiarare definitivamente, nellesercizio delle relative funzioni, la volont del potere cui appartengono (ex multis, con specifico riferimento alla legittimazione della Corte di cassazione, sentenze n. 29 e n. 24 del 2014, n. 320 del 2013 e n. 333 del 2011). 3.2. Lammissibilit del conflitto deve essere confermata anche sotto il profilo oggettivo, in quanto il ricorso, per quanto promosso avverso una decisione giudiziaria, non lamenta un error in iudicando (sentenza n. 81 del 2012), ma prospetta un conflitto per la delimitazione della sfera di attribuzioni determinata per i vari poteri da norme costituzionali (art. 37, primo 68 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2016 comma, della legge n. 87 del 1953). Infatti, il ricorrente non chiede a questa Corte di riesaminare la decisione con la quale la Corte di cassazione ha risolto un conflitto di giurisdizione attraverso linterpretazione di fonti primarie. Se questa fosse la richiesta, ne conseguirebbe linammissibilit del conflitto, non potendo questultimo istituto trasformarsi in un improprio mezzo dimpugnazione di decisioni giudiziarie (sentenza n. 259 del 2009 e ordinanza n. 117 del 2006). Il ricorrente contesta, invece, lesistenza stessa del potere giurisdizionale nei propri confronti (sentenze n. 88 del 2012, n. 195 del 2007 e n. 276 del 2003) e, dunque, lamenta il superamento, per mezzo della sentenza delle sezioni unite della Corte di cassazione, dei limiti che tale potere incontra nellordinamento, a garanzia delle attribuzioni costituzionali del Governo. N rileva che oggetto del ricorso per conflitto sia una sentenza resa in un giudizio volto a dirimere una questione di giurisdizione ai sensi dellart. 111, ultimo comma, Cost., come eccepito dalla parte interveniente, ad avviso della quale le questioni di giurisdizione non potrebbero mai essere oggetto di un conflitto costituzionale. ben vero che, nel disciplinare listituto del conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato, lart. 37, secondo comma, della legge n. 87 del 1953 precisa che [r]estano ferme le norme vigenti per le questioni di giurisdizione ; ma la disposizione da ultimo citata appunto preordinata soltanto ad assicurare la persistenza, nellordinamento, della competenza della Corte di cassazione a dirimere i conflitti di giurisdizione, non, invece, ad escludere che la Corte costituzionale possa essere chiamata a decidere un conflitto tra poteri, quando il vizio denunciato sia comunque destinato a ripercuotersi sulla corretta delimitazione di attribuzioni costituzionali. Del resto, regolamento di giurisdizione e ricorso per conflitto tra poteri sono due rimedi distinti, operanti su piani diversi. Da un lato, non si pu escludere che essi siano attivati entrambi, di fronte ad una pronuncia giudiziaria alla quale siano contemporaneamente imputabili lerronea applicazione delle norme sulla giurisdizione e linvasivit in sfere dattribuzione costituzionale (sentenze n. 259 del 2009 e n. 150 del 1981); dallaltro, ben pu accadere che oggetto del ricorso, come in questo caso, sia proprio una pronuncia della Corte di cassazione, resa in sede di regolamento di giurisdizione ex art. 111, ultimo comma, Cost. Non , pertanto, fondata leccezione dinammissibilit del ricorso, prospettata dalla parte interveniente. 4. Il ricorrente chiede che questa Corte, decidendo il conflitto, stabilisca che non spetta alla Corte di cassazione affermare la sindacabilit da parte dei giudici comuni del diniego, opposto dal Consiglio dei ministri, alla richiesta del soggetto interveniente di avviare le trattative finalizzate alla conclusione dellintesa, ai sensi dellart. 8, terzo comma, Cost. Le opposte tesi che questa Corte chiamata a valutare possono cos riassumersi: da una parte, si ritiene che il diniego di avvio delle trattative, opposto dal Governo alla richiesta di unassociazione, non potrebbe essere oggetto di sindacato in sede giudiziaria, a pena della lesione della sfera di attribuzioni costituzionali dello stesso Governo, definite dagli artt. 8, terzo comma, e 95 Cost.; dallaltra, si ritiene invece che tale sindacabilit dovrebbe essere affermata, poich lazionabilit della pretesa giuridica allavvio delle trattative stesse sarebbe corollario delleguale libert di cui godono, ai sensi dellart. 8, primo comma, Cost., tutte le confessioni religiose, e servirebbe a impedire che unassoluta discrezionalit governativa in materia dia luogo ad arbitrarie discriminazioni. Quanto allesistenza di una situazione giuridica soggettiva, in ipotesi tutelata dallordinamento, consistente nella pretesa alla conclusione delle trattative o, addirittura, alla presentazione del disegno di legge sulla base dellintesa stipulata, il ricorrente la contesta in radice; mentre linterveniente ritiene che - con riferimento al procedimento per la stipulazione del- CONTENZIOSO NAZIONALE 69 lintesa - la giurisdizione del giudice comune dovrebbe arrestarsi a partire dal momento in cui liniziativa legislativa sulla base dellintesa sia esercitata, ma non prima: non escludendo, cos, la configurabilit della pretesa soggettiva ora in questione, e di un sindacato del giudice su di essa. La sentenza delle sezioni unite della Corte di cassazione, dalla quale origina il conflitto, afferma di non doversi pronunciare, nella risoluzione del regolamento di giurisdizione, sullesistenza di un diritto alla chiusura della trattativa, o allesercizio delliniziativa legislativa successiva alleventuale stipulazione dellintesa. Questa Corte ritiene, invece, che, per la soluzione del conflitto, pur delimitato nei termini anzidetti, non siano secondarie considerazioni in ordine alleffettiva configurabilit di una pretesa giustiziabile alla conclusione delle trattative, mentre restano estranee alloggetto del conflitto valutazioni sugli adempimenti governativi successivi alla conclusione dellintesa stessa, e sulle caratteristiche del procedimento che, ai sensi dellart. 8, terzo comma, Cost., conduce allapprovazione della legge destinata, sulla base dellintesa, a regolare i rapporti tra lo Stato e la confessione non cattolica. 5. Il ricorso fondato, nei sensi di seguito precisati. 5.1. La soluzione del presente conflitto non pu prescindere da considerazioni attinenti alla natura e al significato che, nel nostro ordinamento costituzionale, assume lintesa per la regolazione dei rapporti tra lo Stato e le confessioni religiose diverse da quella cattolica, ai sensi dellart. 8, terzo comma, Cost. Il significato della disposizione costituzionale consiste nellestensione, alle confessioni non cattoliche, del metodo della bilateralit, in vista dellelaborazione della disciplina di ambiti collegati ai caratteri peculiari delle singole confessioni religiose (sentenza n. 346 del 2002). Le intese sono perci volte a riconoscere le esigenze specifiche di ciascuna delle confessioni religiose (sentenza n. 235 del 1997), ovvero a concedere loro particolari vantaggi o eventualmente a imporre loro particolari limitazioni (sentenza n. 59 del 1958), ovvero ancora a dare rilevanza, nellordinamento, a specifici atti propri della confessione religiosa. Tale significato dellintesa, cio il suo essere finalizzata al riconoscimento di esigenze peculiari del gruppo religioso, deve restare fermo, a prescindere dal fatto che la prassi mostri una tendenza alla uniformit dei contenuti delle intese effettivamente stipulate, contenuti che continuano tuttavia a dipendere, in ultima analisi, dalla volont delle parti. Ci che la Costituzione ha inteso evitare lintroduzione unilaterale di una speciale e derogatoria regolazione dei rapporti tra lo Stato e la singola confessione religiosa, sul presupposto che la stessa unilateralit possa essere fonte di discriminazione: per questa fondamentale ragione, gli specifici rapporti tra lo Stato e ciascuna singola confessione devono essere retti da una legge sulla base di intese. essenziale sottolineare, nel solco della giurisprudenza di questa Corte, che, nel sistema costituzionale, le intese non sono una condizione imposta dai pubblici poteri allo scopo di consentire alle confessioni religiose di usufruire della libert di organizzazione e di azione, o di giovarsi dellapplicazione delle norme, loro destinate, nei diversi settori dellordinamento. A prescindere dalla stipulazione di intese, leguale libert di organizzazione e di azione garantita a tutte le confessioni dai primi due commi dellart. 8 Cost. (sentenza n. 43 del 1988) e dallart. 19 Cost., che tutela lesercizio della libert religiosa anche in forma associata. La giurisprudenza di questa Corte anzi costante nellaffermare che il legislatore non pu operare discriminazioni tra confessioni religiose in base alla sola circostanza che esse abbiano o non abbiano regolato i loro rapporti con lo Stato tramite accordi o intese (sentenze n. 346 del 2002 e n. 195 del 1993). Allo stato attuale del diritto positivo, non risultano perci corretti alcuni assunti dai quali 70 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2016 muovono sia la sentenza delle sezioni unite della Corte di cassazione che ha dato origine al presente conflitto, sia il soggetto interveniente. Non pu affermarsi, infatti, che la mancata stipulazione di unintesa sia, di per s, incompatibile con la garanzia di eguaglianza tra le confessioni religiose diverse da quella cattolica, tutelata dallart. 8, primo comma, Cost. Nel nostro ordinamento non esiste una legislazione generale e complessiva sul fenomeno religioso, alla cui applicazione possano aspirare solo le confessioni che stipulano un accordo con lo Stato. Peraltro, la necessit di una tale pervasiva disciplina legislativa non affatto imposta dalla Costituzione, che tutela al massimo grado la libert religiosa. E sicuramente la Costituzione impedisce che il legislatore, in vista dellapplicabilit di una determinata normativa attinente alla libert di culto, discrimini tra associazioni religiose, a seconda che abbiano o meno stipulato unintesa. Con riferimento agli ordinamenti che, invece, subordinano laccesso alla disciplina prevista per le associazioni religiose ad un riconoscimento pubblico, o a quelli ove si riscontra, comunque, un pi dettagliato assetto normativo in tema di associazioni e confessioni religiose, la giurisprudenza della Corte europea dei diritti delluomo (sentenze 12 marzo 2009, Gtl contro Austria e Lffelmann contro Austria; sentenza 19 marzo 2009, Lang contro Austria; sentenza 9 dicembre 2010, Savez crkava Rije. .ivota e altri contro Croazia; sentenza 25 settembre 2012 Jehovas Zeugen in sterreich contro Austria) ha potuto identificare casi nei quali unapplicazione discriminatoria della normativa comporta una violazione degli artt. 9 e 14 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti delluomo e delle libert fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848. Nel nostro ordinamento, invece, caratterizzato dal principio di laicit e, quindi, di imparzialit ed equidistanza rispetto a ciascuna confessione religiosa (sentenze n. 508 del 2000 e n. 329 del 1997), non in s stessa la stipulazione dellintesa a consentire la realizzazione delleguaglianza tra le confessioni: questultima risulta invece complessivamente tutelata dagli artt. 3 e 8, primo e secondo comma, Cost., dallart. 19 Cost., ove garantito il diritto di tutti di professare liberamente la propria fede religiosa, in forma individuale o associata, nonch dallart. 20 Cost. Per queste ragioni, non corretto sostenere che lart. 8, terzo comma, Cost. sia disposizione procedurale meramente servente dei - e perci indissolubilmente legata ai - primi due commi, e quindi alla realizzazione dei principi di eguaglianza e pluralismo in materia religiosa in essi sanciti. Il terzo comma, invece, ha lautonomo significato di permettere lestensione del metodo bilaterale alla materia dei rapporti tra Stato e confessioni non cattoliche, ove il riferimento a tale metodo evoca lincontro della volont delle due parti gi sulla scelta di avviare le trattative. Diversa potrebbe essere la conclusione, anche in ordine alla questione posta dal presente conflitto, se il legislatore decidesse, nella sua discrezionalit, di introdurre una compiuta regolazione del procedimento di stipulazione delle intese, recante anche parametri oggettivi, idonei a guidare il Governo nella scelta dellinterlocutore. Se ci accadesse, il rispetto di tali vincoli costituirebbe un requisito di legittimit e di validit delle scelte governative, sindacabile nelle sedi appropriate (sentenza n. 81 del 2012). 5.2. La decisione del presente conflitto richiede preliminarmente di stabilire se nel nostro ordinamento sia configurabile una pretesa giustiziabile allavvio delle trattative - preordinate alla conclusione di unintesa ex art. 8, terzo comma, Cost. - con conseguente sindacabilit, da parte dei giudici comuni, del diniego eventualmente opposto dal Governo, a fronte di una richiesta avanzata da unassociazione che alleghi il proprio carattere religioso. CONTENZIOSO NAZIONALE 71 Ritiene questa Corte che ragioni istituzionali e costituzionali ostino alla configurabilit di una siffatta pretesa. Vi osta, innanzitutto, il riferimento al metodo della bilateralit, immanente alla ratio del terzo comma dellart. 8 Cost., che - tanto pi in assenza di una specifica disciplina procedimentale - pretende una concorde volont delle parti, non solo nel condurre e nel concludere una trattativa, ma anche, prima ancora, nelliniziarla. Laffermazione di una sindacabilit in sede giudiziaria del diniego di avvio delle trattative - con conseguente possibilit di esecuzione coattiva del riconosciuto diritto, e del correlativo obbligo del Governo, allavvio di quelle - inserirebbe, invece, un elemento dissonante rispetto al metodo della bilateralit, ricavabile dalla norma costituzionale in esame. In secondo luogo, unautonoma pretesa giustiziabile allavvio delle trattative non configurabile proprio alla luce della non configurabilit di una pretesa soggettiva alla conclusione positiva di esse. La sentenza impugnata afferma di non doversi pronunciare su tale ultimo aspetto; mentre linterveniente - asserendo che la giurisdizione del giudice comune dovrebbe arrestarsi solo a partire dal momento in cui liniziativa legislativa sulla base dellintesa, ormai conclusa, sia esercitata - sembra per vero intendere che una siffatta pretesa, sotto il controllo del giudice comune, sarebbe configurabile. Il ricorrente, per parte sua, sottolinea di poter recedere, in qualunque momento, dalle trattative, ricavandone che il preteso diritto allapertura di esse sarebbe, in realt, un interesse di mero fatto non qualificato, privo di protezione giuridica. Orbene - essendo caratteristica del procedimento il suo scopo unitario, in tal caso la stipulazione dellintesa, ed essendo lapertura del negoziato strutturalmente e funzionalmente collegata a tale atto finale - risulta contraddittorio negare lazionabilit di un diritto allintesa, quale risultato finale delle trattative, e al contempo affermare la giustiziabilit del diniego allavvio delle stesse: giacch non si comprende a che scopo imporre lillusoria apertura di trattative di cui non si assume garantita giudizialmente la conclusione. Di converso, e conseguentemente, proprio la non configurabilit di una pretesa alla conclusione positiva del negoziato e quindi alla stipulazione dellintesa, a svuotare di significato laffermazione di una pretesa soltanto al suo avvio. Non si vedrebbe, del resto, in quali forme giudiziali e con quali strumenti tale stipulazione potrebbe essere garantita allassociazione richiedente e imposta al Governo. La non giustiziabilit della pretesa allavvio delle trattative, inoltre, si fonda su ulteriori argomenti del massimo rilievo istituzionale e costituzionale. Per il Governo, lindividuazione dei soggetti che possono essere ammessi alle trattative, e il successivo effettivo avvio di queste, sono determinazioni importanti, nelle quali sono gi impegnate la sua discrezionalit politica, e la responsabilit che normalmente ne deriva in una forma di governo parlamentare. Vi qui, in particolare, la necessit di ben considerare la serie di motivi e vicende, che la realt mutevole e imprevedibile dei rapporti politici interni ed internazionali offre copiosa, i quali possono indurre il Governo a ritenere non opportuno concedere allassociazione, che lo richiede, lavvio delle trattative. A fronte di tale estrema variet di situazioni, che per definizione non si presta a tipizzazioni, al Governo spetta una discrezionalit ampia, il cui unico limite rintracciabile nei principi costituzionali, e che potrebbe indurlo a non concedere nemmeno quellimplicito effetto di legittimazione in fatto che lassociazione potrebbe ottenere dal solo avvio delle trattative. 72 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2016 Scelte del genere, per le ragioni che le motivano, non possono costituire oggetto di sindacato da parte del giudice. Questa Corte ha gi affermato che, in una situazione normativa in cui la stipulazione delle intese rimessa non solo alla iniziativa delle confessioni interessate, ma anche al consenso del Governo, questultimo non vincolato oggi a norme specifiche per quanto riguarda lobbligo, su richiesta della confessione, di negoziare e di stipulare lintesa (sentenza n. 346 del 2002). Ci devessere in questa sede confermato, considerando altres che lo schema procedurale, unicamente ricavabile dalla prassi fin qui seguita nella stipulazione dintese, non pu dare origine a vincoli giustiziabili. Negando lavvio alle trattative, il Governo non sfuggirebbe, tuttavia, ad ogni imputazione di responsabilit. Lart. 2, comma 3, lettera l), della legge n. 400 del 1988 sottopone alla deliberazione dellintero Consiglio dei ministri gli atti concernenti i rapporti previsti dallarticolo 8 della Costituzione. E poich tra questi atti sicuramente ricompresa la deliberazione di diniego di avvio delle trattative, giocoforza riconoscere che anche di tale decisione il Governo risponde di fronte al Parlamento, con le modalit attraverso le quali la responsabilit politica dellesecutivo attivabile in una forma di governo parlamentare. La riserva di competenza a favore del Consiglio dei ministri, in ordine alla decisione di avviare o meno le trattative, ha leffetto di rendere possibile, secondo i principi propri del governo parlamentare, leffettivit del controllo del Parlamento fin dalla fase preliminare allapertura vera e propria delle trattative, controllo ben giustificato alla luce dei delicati interessi protetti dal terzo comma dellart. 8 Cost. In definitiva, un insieme complesso di ragioni, apprezzabili su piani diversi, inducono a giudicare non fondata la tesi esposta nella sentenza delle sezioni unite della Corte di cassazione e negli scritti difensivi dellinterveniente. Tutte queste ragioni, invece, convergono nel far ritenere che, alla luce di un ragionevole bilanciamento dei diversi interessi protetti dagli artt. 8 e 95 Cost., non sia configurabile - in capo ad una associazione che ne faccia richiesta, allegando la propria natura di confessione religiosa - una pretesa giustiziabile allavvio delle trattative ex art. 8, terzo comma, Cost. Dal disconoscimento dellesistenza di tale pretesa, discende laccoglimento del ricorso per conflitto, nei termini che verranno di seguito precisati. 5.3. Spetta, dunque, al Consiglio dei ministri valutare lopportunit di avviare trattative con una determinata associazione, al fine di addivenire, in esito ad esse, alla elaborazione bilaterale di una speciale disciplina dei reciproci rapporti. Di tale decisione - e, in particolare, per quel che in questa sede interessa, della decisione di non avviare le trattative - il Governo pu essere chiamato a rispondere politicamente di fronte al Parlamento, ma non in sede giudiziaria. Non spettava perci alla Corte di cassazione, sezioni unite civili, affermare la sindacabilit di tale decisione ad opera dei giudici comuni. Va, tuttavia, precisato che - cos come la valutazione riservata al Governo strettamente riferita e confinata alloggetto di cui si controverte nel presente conflitto, cio alla decisione se avviare le trattative in parola - allo stesso modo latto di diniego di cui si ragiona non pu produrre, nellordinamento giuridico, effetti ulteriori rispetto a quelli cui preordinato. Tale atto - nella misura e per la parte in cui si fondi sul presupposto che linterlocutore non sia una confessione religiosa, come avvenuto nel caso da cui origina il presente conflitto - non determina ulteriori conseguenze negative, diverse dal mancato avvio del negoziato, sulla sfera giuridica dellassociazione richiedente, in virt dei principi espressi agli artt. 3, 8, 19 e 20 Cost. CONTENZIOSO NAZIONALE 73 Le confessioni religiose, a prescindere dalla circostanza che abbiano concluso unintesa, sono destinatarie di una serie complessa di regole, in vari settori. E la giurisprudenza di questa Corte afferma che, in assenza di una legge che definisca la nozione di confessione religiosa, e non essendo sufficiente lauto-qualificazione, la natura di confessione potr risultare anche da precedenti riconoscimenti pubblici, dallo statuto che ne esprima chiaramente i caratteri, o comunque dalla comune considerazione, dai criteri che, nellesperienza giuridica, vengono utilizzati per distinguere le confessioni religiose da altre organizzazioni sociali (sentenza n. 195 del 1993; in termini analoghi, sentenza n. 467 del 1992). In questo contesto, latto governativo di diniego allavvio delle trattative, nella parte in cui nega la qualifica di confessione religiosa allassociazione richiedente, non pu avere efficacia esterna al procedimento di cui allart. 8, terzo comma, Cost., e non pu pregiudicare ad altri fini la sfera giuridica dellassociazione stessa. Un eventuale atto lesivo, adottato in contesti ovviamente distinti rispetto a quello ora in questione, potr essere oggetto di controllo giudiziario, nelle forme processuali consentite dallordinamento, allo scopo di sindacare la mancata qualificazione di confessione religiosa che pretendesse di fondarsi sullatto governativo. Nel delicato ambito del pluralismo religioso disegnato dalla Costituzione, non sono infatti configurabili zone franche dal sindacato del giudice, che posto a presidio delluguaglianza di tutte le confessioni garantita dagli artt. 3, 8, 19 e 20 Cost. In definitiva, un conto lindividuazione, in astratto, dei caratteri che fanno di un gruppo sociale con finalit religiose una confessione, rendendola, come tale, destinataria di tutte le norme predisposte dal diritto comune per questo genere di associazioni. Un altro conto la valutazione del Governo circa lavvio delle trattative ex art. 8, terzo comma, Cost., nel cui ambito ricade anche lindividuazione, in concreto, dellinterlocutore. Questultima scelta nella quale hanno peso decisivo delicati apprezzamenti di opportunit, che gli artt. 8, terzo comma, e 95 Cost. attribuiscono alla responsabilit del Governo. In questambito circoscritto, e solo in esso, appartiene dunque al Consiglio dei ministri discrezionalit politica, sotto il sempre possibile controllo del Parlamento, cui non pu sovrapporsi il sindacato del giudice. Va, pertanto, annullata limpugnata sentenza della Corte di cassazione, sezioni unite civili. P E R Q U E S T I M O T I V I LA C O RT E C O S T I T U Z I O N A L E dichiara che non spettava alla Corte di cassazione affermare la sindacabilit in sede giurisdizionale della delibera con cui il Consiglio dei ministri ha negato allUnione degli Atei e degli Agnostici Razionalisti lapertura delle trattative per la stipulazione dellintesa di cui allart. 8, terzo comma, della Costituzione e, per leffetto, annulla la sentenza della Corte di cassazione, sezioni unite civili, 28 giugno 2013, n. 16305. Cos deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 27 gennaio 2016. 74 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2016 Una vittoria nel contrasto alla grande evasione. Il chiarimento della Cassazione sulla clausola del rendimento minimo garantito NOTA A CASSAZIONE CIVILE, SEZIONE V, SENTT. 1 APRILE 2016 NN. 6330, 6331 Carlo Maria Pisana* Segnalo le due importanti sentenze nn. 6330/16 e 6331/16 depositate il 1 aprile 2016, con cui la Suprema Corte ha preso posizione in ordine al meccanismo evasivo della c.d. clausola del rendimento minimo garantito. Si tratta della clausola, non frequentissima ma rilevabile nelle compravendite di complessi immobiliari compiute dai fondi di investimento, con cui il cedente garantisce al cessionario di ricavare un determinato importo minimo dalle locazioni delle unit immobiliari. Listituto contrattuale, non riportabile a un negozio tipico ma di per s legittimo e meritevole di tutela ex art. 1322 c.c., nel suo utilizzo distorto divenuto uno dei pi avanzati strumenti di evasione fiscale. Con le sentenze in rassegna la Corte statuisce inequivocabilmente La clausola di redditivit minima garantita ... ha contenuto incerto ed aleatorio per sua stessa natura, poich ha proprio lo scopo di intervenire per ripristinare il sinallagma contrattuale, solo nel caso in cui si verifichi la sproporzione tra la redditivit garantita e quella effettiva (sent. 6331/16). Limporto in gioco? 63 milioni di euro per limitarsi soltanto alle due cause discusse il 18 dicembre 2015, ma linsieme di cause vertenti sul meccanismo in parola di gran lunga superiore. Il rilievo giuridico della pronuncia pu essere meglio compreso con un breve cenno ai fatti di causa. La vicenda si inserisce nel quadro delle operazioni poste in essere da alcuni imprenditori poi designati nel gergo giornalistico come furbetti del quartierino probabilmente al fine di finanziare le pi vaste operazioni mobiliari assurte alle cronache poste in essere nella primavera del 2005. Semplificando in massimo grado, gli imprenditori di riferimento hanno: - acquistato mediante societ veicolo da soggetti esterni complessi immobiliari siti in Roma, Milano e altre citt italiane; - contestualmente o poco dopo rivenduto a prezzo enormemente maggiorato limmobile, a volte con un passaggio intermedio ad un'altra societ facente capo a s medesimi, ad un operatore finanziario; - questultimo a sua volta ne ha retrocesso la disponibilit ad altre societ facenti capo al medesimo imprenditore in forma di leasing. (*) Avvocato dello Stato. CONTENZIOSO NAZIONALE 75 Tale modus procedendi ha assicurato un flusso di liquidit nellimmeditato, ma determinato ingenti plusvalenze a carico della societ veicolo. Al fine di sottrarre alla tassazione le plusvalenze realizzate, i diversi gruppi imprenditoriali coinvolti hanno elaborato varie strategie innovative. Tra quelle pi efficaci si situa la clausola del rendimento minimo garantito. Secondo questo schema, la societ veicolo venditrice, gravata della plusvalenza nelloperazione sopra descritta, si obbligava nel contratto di vendita, talvolta soltanto in un preliminare, al pagamento allacquirente di un rendimento minimo garantito per otto o pi anni pari alla differenza tra quanto avrebbe ritratto lacquirente dalle locazioni e un importo determinato (fissato per in misura molto superiore allimporto in concreto ritraibile). Tale passivit, di importo molto vicino a quello della cessione, veniva poi portata in deduzione per intero nellanno in corso, sul cui esercizio avrebbe gravato la plusvalenza, che ne risultava per leffetto neutralizzata. La CTR, seguendo limpostazione del contribuente, aveva affermato la deducibilit in forza del principio di correlazione tra costi e ricavi, spingendosi ad affermare che i costi in parola sarebbero persino certi e determinabili. La Corte, aderendo alla nostra prospettazione, premette che la deduzione dei costi pu riconoscersi soltanto allorch essi siano certi e determinabili (par. 3.3, sent. n. 6330/16), richiedendosi il concorso di entrambi i requisiti, dei quali il primo si riferisce alan e il secondo al quantum e precisato che comunque la determinabilit non pu essere rimessa alla mera volont delle parti , conclude che tali costi non possono ritenersi n certi n determinabili ai fini dellart. 109 Tuir. Nel caso di specie , mancando la prova dei suddetti requisiti nellesercizio di riferimento ... e trattandosi anzi di costi futuri eventualmente sostenibili negli esercizi successivi .... Il ragionamento della Corte riprende largomentazione a fortiori del nostro ricorso che desume lindeducibilit dei costi in parola dal precedente gi formatosi in materia di indeducibilit degli accantonamenti riferiti alladempimento di clausole di rendimento minimo garantito in una compravendita dellEnasarco (Cass. civ. Sez. V, Sent., 12 febbraio 2013, n. 3368). Cassazione civile, Sezione V, sentenza 1 aprile 2016 n. 6330 - Pres. S. Di Amato, Rel. G. Iofrida, P.M. T. Basile (difforme) - Agenzia entrate (avv. Stato C.M. Pisana) c. Sviluppo 43 srl (avv.ti G. Tasco e G. Pozzi). Ritenuto in fatto L'Agenzia delle Entrate propone ricorso per cassazione, affidato a tre motivi, nei confronti della Sviluppo 43 srl, avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale del Lazio n. 482/14/2013, depositata in data 17/09/2013. La controversia concerne l'impugnazione di un avviso di accertamento, per maggiori IRPEG 76 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2016 ed IRAP, relative al periodo d'imposta 1/07/2003 - 30/06/2004, emesso a carico della societ Sviluppo 43 srl (controllata dalla societ di diritto lussemburghese Statuto Lux Holding s.a.r.l.), per effetto della ripresa a tassazione di elementi negativi di reddito, indebitamente dedotti ai fini delle Imposte Dirette, consistenti nel riporto di perdite fiscali, derivanti dalla gestione della partecipazione nella "Telit mobile terminals spa", e nella deduzione come costo, nell'esercizio suddetto, dell'intera somma dovuta in forza di una clausola, apposta nel contralto di compravendita di un complesso immobiliare sito in Milano ed assunta dalla Sviluppo 43, quale venditore, in favore della societ acquirente, di "rendimento minimo garantito" per otto anni (in misura pari alla differenza tra quanto sarebbe stato ritratto dalle locazioni ed un tetto prefissato), nonch per effetto della ripresa a tassazione di elementi positivi non dichiarati (la differenza tra gli interessi percepiti al tasso di interesse dichiarato del 2% e quello "normale", ritenuto dall'Ufficio erariale, pari al 4,3%), derivanti da finanziamenti infragruppo, in violazione della regola del transfer pricing. Con la sentenza qui impugnata stata confermata la decisione di primo grado, che aveva, in parte, accolto il ricorso della contribuente (annullando l'atto impositivo limitatamente al primo rilievo, inerente la deduzione, a mezzo compensazione, di perdite pregresse, ed al secondo rilievo, riguardante l'asserita antieconomicit dell'operazione immobiliare e la deduzione del costo derivante dalla clausola contrattuale di rendimento minimo garantito). In particolare, i giudici d'appello, nel respingere sia il gravame principale dell'Agenzia sia quello incidentale della societ contribuente, hanno anzitutto sostenuto, quanto all'appello dell'Ufficio, che, in relazione al rilievo concernente gli asseriti costi derivanti dal contratto di compravendita immobiliare sottoposto alla condizione del c.d. "minimo garantito", trattavasi di contratto frequente nella prassi commerciale e rispondente ad un interesse economico di entrambe le parti (anche della venditrice, la quale aveva conseguito "una ingente liquidit, altrimenti non ottenibile"), i costi detratti erano "certi nell'an e nel quantum e correttamente riportati nel bilancio di competenza" e le somme derivanti dalla clausola erano "tassate per IRES ed IRAP, in capo alla societ acquirente". In relazione, poi, al rilievo concernente il disconoscimento del riporto delle perdite generate dalla partecipazione nella Telit, non ricorreva, secondo la C.T.R., "la seconda condizione ostativa al riporto ex art. 84, comma 3, del TUIR, avendo la societ dimostrato di non avere mai modificato l'attivit principale". Esaminato, quindi, il gravame incidentale della contribuente, la C.T.R., nel respingerlo, ha affermato che il rilievo riguardante i proventi non dichiarati, a seguito di operazioni rientranti, secondo l'Ufficio, nel c.d. transfer pricing, andava confermato, non apparendo "convincente la ricostruzione del contribuente". L'intimata Sviluppo 43 srl ha depositato controricorso e ricorso incidentale, affidato ad un motivo. Considerato in diritto 1. L'Agenzia delle Entrate ricorrente lamenta: 1) con il primo motivo, in relazione al primo rilievo presente nell'avviso di accertamento impugnato, concernente il disconoscimento del riporto delle perdite generate dalla partecipazione al capitale Telit, ai sensi dell' art. 84, comma 3, del TUIR, la nullit della sentenza, ex art. 360 c.p.c., n. 4, per carenza assoluta di motivazione, in violazione dell'art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, comma 2 e D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, comma 2, n. 4; 2) con il secondo motivo, in relazione al secondo rilievo, riguardante l'operazione di vendita di complesso immobiliare e gli effetti della clausola contrattuale di "rendimento minimo garantito", la violazione e falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, degli artt. 109 e 107 del TUIR, atteso che, da un lato, perch un elemento reddituale, in par- CONTENZIOSO NAZIONALE 77 ticolare un costo, acquisti rilievo ai fini fiscali, occorre la concorrenza di due elementi, la certezza, non soggetta a condizioni, dell'esistenza dell'elemento e l'obiettiva determinabilit riguardo all'ammontare, laddove, nella fattispecie, la certezza e determinabilit del costo in oggetto poteva raggiungersi soltanto alla fine di ciascun anno, a seguito del raffronto tra quanto effettivamente incassato dalle locazioni e la cifra fissa garantita dalla societ venditrice (nella specie, "Euro 3.075.000,00" oltre adeguamenti), e, dall'altro lato, l'accantonamento "per altri rischi", iscritto in bilancio, dell'intero importo dovuto nell'arco temporale di otto anni non rientrava nelle tassative ipotesi di cui all' art. 107 del TUIR; 3) con il terzo motivo, in relazione sempre al secondo rilievo contestato dall'ufficio, l'insufficiente motivazione e comunque "l'omesso esame" circa un punto deciso e controverso, ex art. 360 c.p.c., n. 5, avendo la C.T.R. trascurato di considerare specifici elementi fattuali (quali: il confronto tra i costi sostenuti ed i ricavi dell'intera operazione; l'erroneit dei calcoli dedotti dalla contribuente per sostenere la convenienza economica dell'operazione), che, se esaminati, avrebbero evidenziato l'antieconomicit dell'operazione. (...) 3.3. Il secondo motivo invece fondato. Questa Corte ha gi chiarito che "in tema di imposte sui redditi d'impresa, le garanzie del rendimento locativo minimo (nella specie, assunte con autonoma obbligazione contrattuale dal venditore di immobili all'acquirente degli stessi ed in relazione alla gestione pattuita a carico del primo) non rientrano tra gli accantonamenti tassativamente previsti dalle disposizioni sulla determinazione del reddito d'impresa, sicch gli oneri in parola, realizzando costi futuri, sono deducibili solo "se e nella misura in cui sono sostenuti, secondo i criteri di cui al D.P.R. n. 917 del 1986, art. 75 mancando i requisiti di certezza e obiettiva determinabilit di costi non ancora effettivamente sostenuti e di cui assolutamente incerto il sostenimento. Infatti, componenti positivi o negativi che concorrono a formare il reddito possono essere imputati all'anno di esercizio in cui ne diviene certa l'esistenza o determinabile in modo obiettivo l'ammontare, qualora di tali qualit fossero privi nel corso dell'esercizio di competenza" (Cass. 3368/2013; Cass. 9068/2015; Cass. 13252/2015). pacifico, risultando non specificamente contestato dalla controricorrente quanto affermato dalla ricorrente a pag. 8 del ricorso, che la contribuente ha imputato, a fronte dei ricavi della vendita, i costi, inerenti alle garanzie del rendimento locativo minimo, iscrivendo, in bilancio, come "costo" l'importo maturato a titolo di rendimento garantito fino al 30/06/2004 e come "accantonamento per altri rischi", l'importo residuo che sarebbe stato corrisposto nei successivi otto anni a tale titolo. Al riguardo, va innanzitutto considerato che il D.P.R. n. 917 del 1986, art. 75 (attuale art. 109) nel testo vigente ratione temporis stabilisce, al comma 5, che "le spese e gli altri componenti negativi diversi dagli interessi passivi, tranne gli oneri fiscali, contributivi e di utilit sociale, sono deducibili se e nella misura in cui si riferiscono ad attivit o beni da cui derivano ricavi o altri proventi che concorrono a formare il reddito (...)". Tale disposizione stata costantemente interpretata da questa Corte nel senso che i costi, per essere ammessi in deduzione quali componenti negativi del reddito di impresa, debbono soddisfare i requisiti di effettivit, inerenza, certezza, determinatezza (o determinabilit) e competenza (Cass. n. 10167 del 2012; nn. 3258, 12503 e 24429 del 2013; nn. 1565, 13806 e 21184 dei 2014; nn. 426, 1011 e 7214 del 2015). Peraltro, dal primo comma della stessa norma - per cui i ricavi, le spese e gli altri componenti positivi e negativi, per i quali le precedenti norme del presente capo non dispongono diversa- 78 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2016 mente, concorrono a formare il reddito nell'esercizio di competenza; tuttavia i ricavi, le spese e gli altri componenti di cui nell'esercizio di competenza non sia ancora certa l'esistenza o determinabile in modo obiettivo l'ammontare concorrono a formarlo nell'esercizio in cui si verificano tali condizioni - si desume che, in mancanza di diverse disposizioni specifiche, laddove vi sia incertezza nell'an o indeterminabilit nel quantum, il principio di cassa soppianta quello di competenza. In altri termini, i componenti negativi che concorrono a formare il reddito possono essere imputati all'anno di esercizio in cui ne diviene certa l'esistenza - o determinabile in modo obiettivo l'ammontare - qualora di tali qualit fossero privi nel corso dell'esercizio di competenza (Cass. n. 3368 del 2013 citata). Dunque, dalla complessiva prescrizione dell'art. 75 cit., si desume che, per le spese e gli altri componenti negativi di cui non sia ancora certa l'esistenza o determinabile in modo obiettivo l'ammontare, il legislatore prevede una deroga al principio della Competenza, consentendo la loro deducibilit nel diverso esercizio nel quale si raggiunge la certezza della loro esistenza ovvero la determinabilit, in modo obiettivo, del relativo ammontare (Cass. n. 17568 del 2007). Peraltro, tale determinabilit non pu essere rimessa alla mera volont delle parti, con una scelta discrezionale dell'esercizio cui imputare il costo (Cass. n. 24526 del 2009), ma deve essere desumibile dall'indicazione contrattuale del corrispettivo e da ulteriori elementi (cfr., da ultimo, Cass. n. 9068 del 2015). Quanto poi allo specifico disposto dell'art. 73, comma 4, vecchio T.U.I.R. (attuale art. 107) - per cui "non sono ammesse deduzioni per accantonamenti diversi da quelli espressamente considerati dalle disposizioni del presente capo" (il capo 6, che disciplina analiticamente le ipotesi legali di accantonamenti fiscalmente rilevanti) - esso fissa la regola tassativa della inderogabilit degli accantonamenti fiscalmente deducibili - gli accantonamenti riflettono, in generale, la stima di passivit probabili, dovute in forza di obbligazioni gi assunte; si tratta cio di una norma che mira a contemperare i principi di certezza, caratteristici del sistema tributario, e le esigenze di valutazione fiscale di poste meramente prudenziali. Invero, alcuni costi possono essere imputati al conto economico attraverso un accantonamento per "rischi ed oneri", vale a dire stanziando, fin dall'esercizio di competenza, a carico del risultato di gestione, le risorse economiche (cio la quota di reddito) per far fronte a tali costi; in questo modo, quando essi si manifesteranno in concreto, non andranno a carico del risultato dell'esercizio successivo, ma saranno, quanto meno nei limiti dello stanziamento in bilancio, coperti utilizzando l'apposito fondo accantonato nello stato patrimoniale. Tuttavia, sotto il profilo fiscale, la disciplina degli accantonamenti riflette esigenze prevalenti di certezza e di univocit, che richiedono di derogare alla tendenziale dipendenza del reddito imponibile dall'utile civile, prevedendo un regime differenziato per il corrispondente periodo d'imposta, in forza del principio di tassativit degli accantonamenti fiscalmente deducibili previsto dall'art. 73 (oggi 107), quarto comma, Tuir . Ove dunque si tratti di accantonamenti, non rientranti tassativamente tra le ipotesi previste dalle disposizioni sulla determinazione del reddito d'impresa, i corrispondenti oneri sono deducibili esclusivamente se e nella misura in cui siano effettivamente sostenuti, secondo i criteri di cui all'art. 75 cit., mentre per i costi non ancora effettivamente sostenuti - e di cui incerto il sostenimento - difettano i requisiti di certezza e obiettiva determinabilit. In tal senso si da tempo affermato che i componenti negativi che concorrono a formare il reddito devono essere imputati all'anno di esercizio in cui ne diviene certa l'esistenza o determinabile in modo obiettivo l'ammontare, qualora di tali qualit essi siano privi nel corso del- CONTENZIOSO NAZIONALE 79 l'ordinario esercizio di competenza (Cass. n. 8250 del 2008). Tra l'altro, il concorso dei suddetti due requisiti assolutamente necessario, atteso che il primo si riferisce all'an, in termini di certezza giuridica del titolo (Cass. n. 10988 del 2007) ed il secondo al quantum, in termini di agevole e ragionevole liquidabilit (Cass. n. 3401 del 1997 e n. 24526 del 2009). Nel caso di specie, mancando la prova dei suddetti requisiti nell'esercizio di riferimento (2003/2004) e trattandosi anzi di costi futuri eventualmente sostenibili negli esercizi successivi (a seguito del raffronto tra quanto effettivamente incassato dalle locazioni e la cifra fissa garantita dalla societ venditrice, cifra peraltro suscettibile anche di "eventuale adeguamento", pag. 23 del ricorso), la ripresa a tassazione risulta legittima (cfr. Cass. n. 3368 del 2013 e n. 26534 del 2014). 3.4. Il terzo motivo (a prescindere dai rilievi di inammissibilit, mossi dalla controricorrente, peraltro fondati, in base al nuovo dettato dell'art. 360 c.p.c., n. 5 e dell'art. 348 ter c.p.c., comma 5 (c.d. "doppia conforme", cfr. Cass.S.U. 8053-8954 del 2014 e, sulla decorrenza della novella, Cass. 5528/2014 e 26860/2014), assorbito. 4. L'unico motivo del ricorso incidentale della societ, in relazione al terzo rilievo contenuto nell'avviso di accertamento impugnato (riguardante l'omessa dichiarazione di componenti positivi di reddito correlati a finanziamenti infragruppo a tasso di interesse attivo del 2%, inferiore a quello mediamente praticato in Italia alle imprese mediante il ricorso al credito bancario) ed alla nullit della sentenza per carenza di motivazione, infondato. Invero, la CTR, pur avendo sinteticamente affermato, al riguardo, nella parte motivazionale "in diritto", ch'e non appariva "convincente la ricostruzione del contribuente", nella parte relativa al "fatto", ha precisato quale era la giustificazione offerta dalla contribuente, avendo la societ contestato il "valore normale", applicato dall'Ufficio per l'applicazione della regola del c.d. transfer pricing e la rideterminazione degli interessi attivi, dei tassi mediamente praticati in Italia per finanziamenti (pari al 4,3%), invocando un minor valore (pari al 3,03%), dedotto dalla "media ponderata dei tassi di interesse sostenuti dalla societ ricorrente per ottenere i capitali presi a mutuo", e che detta deduzione era stata gi ritenuta carente di prova, in primo grado. Non ricorre pertanto, richiamato quanto gi affermato in relazione al primo motivo del ricorso principale, l'invocato vizio di nullit della sentenza per carenza assoluta di motivazione. 5. Per tutto quanto sopra esposto, il ricorso principale deve essere accolto, limitatamente al secondo motivo, respinto il primo ed assorbito il terzo motivo, mentre va respinto il ricorso incidentale. La sentenza impugnata deve essere pertanto cassata, quanto al motivo accolto, e, decidendo nel merito, non essendovi necessit di ulteriori accertamenti in fatto, va respinto il ricorso introduttivo della contribuente, in relazione al secondo rilievo, correlato alla c.d. clausola del minimo garantito, ed al terzo rilievo, riguardante i proventi non dichiarati, presenti nell'avviso di accertamento impugnato. Ricorrono giusti motivi, tenuto conto dell'esito complessivo del giudizio e delle questioni di diritto controverse, per compensare integralmente tra le parti le spese dell'intero giudizio. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma l quater, la ricorrente incidentale tenuta a versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l'impugnazione. P.Q.M. La Corte accoglie il ricorso principale, limitatamente al secondo motivo, respinto il primo ed assorbito il terzo; respinge il ricorso incidentale; cassa la sentenza impugnata, quanto al motivo 80 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2016 accolto, e, decidendo nel merito, respinge il ricorso introduttivo della contribuente, in relazione al secondo rilievo, correlato alla c.d. clausola del minimo garantito, ed al terzo rilievo, riguardante i proventi non dichiarati, presenti nell'avviso di accertamento impugnato. Dichiara integralmente compensate tra le parti le spese dell'intero giudizio. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, la ricorrente incidentale tenuta a versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l'impugnazione. Cos deciso in Roma, il 18 dicembre 2015 e, previa riconvocazione del Collegio in medesima composizioone, il 26 febbraio 20156. CONTENZIOSO NAZIONALE 81 Il danno da svalutazione per ritardato adempimento di una obbligazione pecuniaria: la specialit della fattispecie tributaria CASSAZIONE CIVILE, SEZ. VI - T, ORDINANZA 20 APRILE 2016 N. 7803 Carlo Maria Pisana* Segnalo la recente ordinanza Cass. 20 aprile 2016 n. 7803 in tema di pretesa del contribuente al maggior danno ex art. 1224 comma 2 cc in relazione a rimborsi Irpeg ottenuti in ritardo. La societ aveva impugnato il silenzio serbato dallAmm.ne a fronte di unistanza di rimborso, chiedendo altres la rivalutazione del credito. La Ctp in primo grado aveva riconosciuto il diritto al rimborso, ma negato la rivalutazione. A seguito dellappello dellUfficio, la Ctr ha accolto lappello incidentale della societ, accordando anche il c.d. maggior danno ex art. 1224 c.c. In relazione a tale fattispecie, la Corte accoglie il nostro ricorso, condividendo la tesi volta a evidenziare la specialit del regime dellart. 44 del d.P.R. 602/73 (1). Tale norma disciplina le conseguenze del ritardo nel rimborso al contribuente, che abbia pagato unimposta in eccesso, in modo del tutto differenziato rispetto alla disciplina di diritto comune, prevedendo lattribuzione di una somma (contenuta) a titolo di emolumento per lattesa. Ci sembrerebbe escludere il ricorso alla disciplina generale dellart. 1224 comma 2 c.c. Nella fattispecie, la Corte, come nel caso deciso con decisione Cass. civ. Sez. V, 12 febbraio 2014, n. 3124, non si spinge per ad escludere del tutto lapplicazione dellistituto civilistico, ma afferma che stante la speciale disciplina del dpr 29 settembre 1973, n. 602, art. 44 ... il creditore non pu limitarsi ad allegare la sua qualit di imprenditore e a dedurre il fenomeno inflattivo come fatto notorio, ma deve fornire indicazioni in ordine al danno subito ... e fornirne prova rigorosa. La Corte richiama inoltre lorientamento pi rigoroso assunto in tema di maggior danno anche in materia extratributaria. (*) Avvocato dello Stato. (1) Art. 44 del dpr 602/73: Il contribuente che abbia effettuato versamenti diretti o sia stato iscritto a ruolo per un ammontare di imposta superiore a quello effettivamente dovuto per lo stesso periodo ha diritto, per la maggior somma effettivamente pagata, all'interesse del 1 per cento per ognuno dei semestri interi, escluso il primo, compresi tra la data del versamento o della scadenza dell'ultima rata del ruolo in cui stata iscritta la maggiore imposta e la data dell'ordinativo emesso dall'intendente di finanza o dell'elenco di rimborso. L'interesse di cui al primo comma dovuto, con decorrenza dal secondo semestre successivo alla presentazione della dichiarazione, anche nelle ipotesi previste nell' art. 38 , quinto comma e nell' art. 41 , secondo comma. L'interesse calcolato dall'ufficio delle imposte, che lo indica nello stesso elenco di sgravio, o dall'intendente di finanza ed a carico dell'ente destinatario del gettito dell'imposta. 82 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2016 Cassazione civile, Sez. VI - T, ordinanza 20 aprile 2016, n. 7803 - Pres. Iacobellis, Rel. Cigna - Agenzia delle Entrate (avv. gen. Stato) c. S.I. s.p.a.(avv. E. Della Valle). L'Agenzia delle Entrate ricorre, affidandosi a due motivi, per la cassazione della sentenza con la quale la Commissione Tributaria Regionale Lazio ha: 1) rigettato l'appello proposto dall'Ufficio avverso la sentenza con cui la CTP di Roma aveva accolto (ad esclusione della richiesta di rivalutazione monetaria) il ricorso proposto dalla S.I. S.p.A. avverso silenzio rifiuto formatosi su istanza di rimborso IRPEG 2002; 2) accolto l'appello incidentale proposto dalla societ, ritenendo dovuta la rivalutazione monetaria; la CTR, in particolare, per quanto ancora rileva, ha evidenziato che la rivalutazione monetaria era dovuta al riconoscimento del maggior danno corrispondente alla differenza tra il tasso di rendimento netto dei titoli di Stato di durata non superiore ai 12 mesi ed il tasso degli interessi legali determinato per ogni anno ex art. 1284 c.c. ; tanto "in considerazione che la pi comune e prudente forma di investimento del denaro ha una sua redditivit superiore al tasso legale", e precisando che parte contribuente aveva "dimostrato documentalmente il maggior danno richiesto oltre gli interessi". Il contribuente resiste con controricorso e, in seguito al deposito della relazione, con memoria ex art. 380 bis c.p.c. Con il primo motivo di ricorso l'Agenzia denunziando - ex art. 360 c.p.c. , n. 3 - violazione e falsa applicazione dell'art. 1224 c.c., comma 2 e art. 2697 c.c., nonch del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 44, sostiene che in tema di obbligazioni pecuniarie costituite da crediti di imposta "la specialit della fattispecie tributaria impone un'interpretazione restrittiva dell'art. 1224 c.c., comma 2; pertanto, il creditore non pu limitarsi ad allegare la sua qualit di imprenditore ed a dedurre il fenomeno inflattivo come fatto notorio, ma deve, alla stregua dei principi generali dell'art. 2697 c.c. , fornire indicazioni in ordine al danno subito per l'indisponibilit del denaro, a cagione dell'inadempimento, ed a offrirne prova rigorosa". Con il secondo motivo di ricorso l'Agenzia denunziando - ex art. 360 c.p.c., n. 4 - nullit della sentenza per carenza della motivazione in violazione dell'art. 132 c.p.c. e violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 1, comma 2 e art. 36, comma 2, n. 4, sostiene che, in ordine alla ricorrenza della prova dell'allegato maggior danno, la sentenza impugnata era da ritenersi radicalmente priva di motivazione, atteso che, nonostante il contribuente avesse sostenuto in diritto che il maggior danno poteva essere riconosciuto in via presuntiva, si era limitata ad affermare che parte contribuente aveva dimostrato documentalmente il maggior danno richiesto oltre gli interessi. Detti motivi, da valutarsi congiuntamente in quanto tra loro connessi, sono fondati. Come gi chiarito da questa Corte, invero, "nel caso di ritardato adempimento di una obbligazione pecuniaria il danno da svalutazione monetaria non "in re ipsa", ma pu essere liquidato soltanto ove il creditore deduca e dimostri che un tempestivo adempimento gli avrebbe consentito di impiegare il denaro in modo tale da elidere gli effetti dell'inflazione. Tale principio trova applicazione anche alle pretese restitutorie vantate dal contribuente nei confronti dell'erario, rispetto alle quali peraltro - in considerazione della specificit della disciplina dell'obbligazione tributaria - la prova del danno da svalutazione monetaria deve essere valutata con particolare rigore da parte del giudice di merito" (Cass. sez. unite 16871/2007); siffatto principio stato in seguito ribadito da Cass. 26403/2010; Cass. 27305/2014 e 3124/2014; in particolare, con quest'ultima statuizione questa Corte ha precisato che "in tema di obbligazioni pecuniarie costituite dai crediti di imposta, cui non sono applicabili l'art. 1224 cod. civ. , comma 1 e art. 1284 cod. civ. , stante la speciale disciplina del D.P.R. 29 settembre 1973, n. CONTENZIOSO NAZIONALE 83 602, art. 44 - relativa a tutti gli interessi dovuti dall'amministrazione finanziaria in dipendenza di un rapporto giuridico tributario - la specialit della fattispecie tributaria impone un'interpretazione restrittiva dell'art. 1224 cod. civ. , comma 2; pertanto, il creditore non pu limitarsi ad allegare la sua qualit di imprenditore e a dedurre il fenomeno inflattivo come fatto notorio, ma deve, alla stregua dei principi generali dell'art. 2697 cod. civ. , fornire indicazioni in ordine al danno subito per l'indisponibilit del denaro, a cagione dell'inadempimento, ed ad offrirne prova rigorosa". Nel caso di specie non stato dedotto dalla parte contribuente (v. appello incidentale, trascritto in ricorso in ossequio al principio di autosufficienza) che l'adempimento avrebbe consentito di impiegare il denaro in modo tale da elidere gli effetti dell'inflazione; la impugnata sentenza della CTR, essendosi limitata ad affermare che parte contribuente aveva dimostrato documentalmente il maggior danno richiesto oltre gli interessi, non ha fatto corretta applicazione del "particolare rigore" richiesto dalla Corte nella valutazione della prova del maggior danno, e va quindi cassata. In conclusione, pertanto, in accoglimento del ricorso, va cassata l'impugnata sentenza, con rinvio - per nuova valutazione in ordine alla sussistenza ed alla liquidazione del maggior danno - alla CTR Lazio, diversa composizione. P.Q.M. La Corte accoglie il ricorso; cassa l'impugnata sentenza, con rinvio alla CTR Lazio, diversa composizione, che provveder anche alla regolamentazione delle spese del presente giudizio di legittimit. Cos deciso in Roma, il 17 marzo 2016. 84 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2016 Gli effetti della sentenza di cassazione con rinvio sul titolo esecutivo NOTA A CASSAZIONE CIVILE, SEZ. III, SENTENZA 3 APRILE 2015 N. 6822 Adriana Lagioia* SOMMARIO: 1. La vicenda giudiziaria - 2. Il principio del nulla executio sine titulo alla luce dellevoluzione normativa: le vicende di successione e di trasformazione del titolo esecutivo - 3. Leffetto devolutivo dellappello - 4. Evoluzione giurisprudenziale in tema di cassazione con rinvio - 5. Considerazioni conclusive. 1. La vicenda giudiziaria. Con la sentenza in oggetto stato riaffermato il principio secondo cui la cassazione con rinvio della sentenza che costituisce titolo esecutivo giudiziale comporta lestinzione della procedura esecutiva per difetto sopravvenuto del titolo. Come si avr modo di chiarire, la giurisprudenza dellultimo quinquennio non si mostrata univoca sul punto. In talune pronunce, la Corte si discostata dallorientamento espresso in questa pronuncia, paventando plurime soluzioni, tra cui la reviviscenza del titolo esecutivo costituito dalla sentenza di primo grado o la coesistenza, allinterno del titolo, delle statuizioni di prime e seconde cure. La pronuncia in questione si pone in aperto contrasto con i principi sanciti nel 2013 dalle sentenze nn. 3074 e 3280, escludendo pertanto che sino alla definizione del giudizio di rinvio possa determinarsi una reviviscenza del titolo esecutivo contenuto nella sentenza cassata. Al fine di analizzare la problematica degli effetti della cassazione con rinvio sul titolo esecutivo, sar necessario fare riferimento anche ai casi in cui il titolo esecutivo sia costituito da una sentenza di appello. Proprio questo era il caso oggetto delle sentenze gemelle del 2013 richiamate dalla presente pronuncia. Occorrer dunque partire dai fenomeni di trasformazione e successione del titolo esecutivo per poi analizzare la problematica relativa alleffetto devolutivo della sentenza di appello, dando conto degli orientamenti giurisprudenziali sul punto. 2. Il principio del nulla executio sine titulo alla luce dellevoluzione normativa: le vicende di successione e di trasformazione del titolo esecutivo. In ossequio al principio nulla executio sine titulo, del tutto pacifico che lesistenza del titolo esecutivo al momento dellinizio dellesecuzione sia condizione necessaria ma non sufficiente per la legittimit della procedura esecutiva. Perch questa sia legittima, necessario che il titolo esecutivo per- (*) Dottore in Giurisprudenza, ammessa alla pratica forense presso lAvvocatura dello Stato. CONTENZIOSO NAZIONALE 85 manga per tutta la durata dellesecuzione sino al suo momento conclusivo. Se nel codice civile del 1942 il rispetto di questo principio risultava pi agevole, considerato il fatto che i provvedimenti giurisdizionali cui era attribuita efficacia esecutiva presentavano un connotato di maggior stabilit, va rilevato che il quadro legislativo delineato dalle riforme del 1990 e del 1995 (1) stato, sotto questo profilo, foriero di numerose problematiche. Laver introdotto i provvedimenti anticipatori e, soprattutto, laver attribuito alle sentenze di primo grado efficacia esecutiva a prescindere da una domanda di parte ha dato ingresso nel nostro sistema a titoli esecutivi instabili e quindi suscettibili di trasformazioni nel corso della procedura esecutiva (2). con questi mutamenti che deve confrontarsi lancora vigente principio: se prima di queste riforme, leventualit che il titolo esecutivo fosse diverso dalla sentenza di appello riguardava solo il caso del decreto ingiuntivo o eventualmente delle sentenze di primo grado munite di provvisoria efficacia esecutiva, attualmente titolo esecutivo possono essere anche i provvedimenti di condanna aventi forma di ordinanza che precedono la definizione del giudizio con sentenza e, pi ampiamente rispetto al passato, le stesse sentenze di primo grado (3). Analoghe riflessioni possono essere effettuate in relazione allintroduzione nel sistema processuale, ad opera della legge 18 giugno 2009, n. 69, del processo sommario di cognizione, con - tra le altre - la finalit di agevolare la formazione del titolo esecutivo. Alla luce di questi mutamenti, il quesito di fondo che la giurisprudenza si posta se la previsione secondo cui il titolo esecutivo debba esistere dallinizio alla fine dellesecuzione sia da intendersi nel senso che imprescindibile che questo resti lo stesso, oppure se sia possibile configurare dei processi di trasformazione. Invero, la successione e la trasformazione del titolo esecutivo non sono positivamente regolate dal codice di rito civile se non nel peculiare caso del decreto ingiuntivo, regolato dallart. 653 co. 2 c.p.c. (4). La disposizione riguarda i casi in cui la sentenza che definisce il giudizio di opposizione in parte conferma e in parte riforma la pretesa risultante dal decreto ingiuntivo. In altre parole, il giudizio di opposizione conferma lesi- (1) Il riferimento riguarda la legge 26 novembre 1990, n. 353, che ha introdotto gli artt. 186 bis e ter c.p.c. e, relativamente ai provvedimenti cautelari, lart. 669 duodeces c.p.c. e la legge del 18 ottobre 1995, n. 432, che ha introdotto lart. 186 quater c.p.c. (2) Sul punto, si veda diffusamente B. CAPPONI, Vicende del titolo esecutivo nellesecuzione forzata, in Corriere giur., 2012, p. 1512 e ss. (3) Giova specificare che anche prima della riforma dellart. 282 c.p.c., il titolo esecutivo poteva essere costituito dalla sentenza di primo grado, se la stessa fosse stata munita della formula di provvisoria esecutivit. (4) Questultimo dispone che se lopposizione accolta solo in parte, il titolo esecutivo costituito esclusivamente dalla sentenza, ma gli atti di esecuzione gi compiuti in base al decreto conservano i loro effetti nei limiti della somma o della quantit ridotta. 86 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2016 stenza di un credito, ma lo determina in misura diversa rispetto a quella risultante dal decreto. Se si considerano le caratteristiche peculiari del decreto ingiuntivo, chiara la ratio di questa previsione: considerato il fatto che, se non integralmente confermato nel giudizio di opposizione, il decreto ingiuntivo destinato ad essere dichiarato nullo o revocato con effetti ex tunc, la disposizione, in ossequio al principio di conservazione degli atti processuali, ha fatto s che gli atti esecutivi compiuti in dipendenza di un decreto ingiuntivo non integralmente confermato restassero comunque validi perch giustificati a ritroso dalla sentenza che accerta lesistenza del credito, ma in misura minore rispetto a quella determinata dal decreto. Il quesito che la giurisprudenza si posta se, in mancanza di una disciplina positiva dei casi di successione o trasformazione del titolo esecutivo, la previsione relativa al decreto ingiuntivo potesse considerarsi di portata generale. Plurime pronunce della Corte di Cassazione hanno dato risposta positiva, stabilendo che la norma del capoverso dellart. 653 c.p.c., sebbene dettata in materia di opposizione a decreto ingiuntivo, costituisce espressione di un principio generale valido per tutte le ipotesi in cui un provvedimento giurisdizionale provvisoriamente esecutivo, posto in esecuzione, venga modificato solo quantitativamente da un successivo provvedimento anchesso esecutivo, sicch, iniziata lesecuzione in base a sentenza di primo grado munita di clausola di provvisoria esecuzione, ove sopravvenga sentenza di appello che riformi la precedente decisione in senso soltanto quantitativo, il processo esecutivo non resta caducato, ma prosegue senza soluzione di continuit, nei limiti fissati dal nuovo titolo e con persistente efficacia, entro gli stessi, degli atti del titolo originario qualora la modifica sia in aumento, nel qual caso, per ampliare loggetto della procedura gi intrapresa, il creditore ha lonere di dispiegare lintervento in base al nuovo titolo esecutivo costituito dalla sentenza di appello (5). Lestensione dellambito di applicazione dellart. 653 co. 2 c.p.c. non ha riguardato solo il caso in cui la sentenza di appello fosse di riforma di quella di primo grado, bens ha ricompreso anche i casi in cui la sentenza di appello (o la sentenza che definisce lopposizione a decreto ingiuntivo) fosse del tutto confermativa della sentenza di primo grado (o del decreto ingiuntivo). In altre parole, anche nel caso in cui la successione di titoli esecutivi sia avvenuta per il tramite di una sentenza totalmente confermativa di quella di primo grado o del decreto ingiuntivo, non si avr una caducazione della procedura esecutiva fino ad allora svolta, bens la prosecuzione della stessa, sulla base del nuovo titolo esecutivo, da intendersi come un continuum del precedente (6). (5) Cass., Sez. III, 18 aprile 2012, n. 6072, in Giust. civ. Mass., 2012, 4, p. 511. (6) Si veda, B. CAPPONI, Manuale di diritto dellesecuzione civile, 2012, Giappichelli, p. 122 e ss. CONTENZIOSO NAZIONALE 87 Da queste riflessioni si pu trarre la conclusione che il principio nulla executio sine titulo consenta che la procedura esecutiva abbia inizio con un titolo e prosegua con un titolo diverso, sostitutivo del precedente. Nella pronuncia che si osserva, il titolo esecutivo costituito da una sentenza di primo grado. Tuttavia, per garantire una maggior completezza della trattazione, appare comunque opportuno soffermarsi sulla pi ampia problematica relativa al caso in cui il titolo esecutivo che determina la successione sia una sentenza di secondo grado e quindi sul dibattito relativo alleffetto devolutivo dellappello. 3. Leffetto devolutivo dellappello. Leffetto sostitutivo della sentenza di appello non disciplinato positivamente. Esso trae le mosse dalloriginaria configurazione dellappello come mezzo di gravame illimitato quanto a censure deducibili ed avente ad oggetto il rapporto giuridico controverso gi deciso in primo grado (7). In questottica, i motivi di impugnazione non avevano la funzione di delimitare loggetto della controversia rispetto al primo grado, ma solo quella di individuare i capi della sentenza di primo grado impugnati. E dunque, il giudizio instaurato in appello era a tutti gli effetti un novum iudicium, poich il giudice di secondo grado disciplinava nuovamente il rapporto oggetto della controversia con riferimento a tutte questioni afferenti al capo impugnato (8). Quindi, anche quando il giudice dappello conferma la sentenza impugnata, ci vuol dire che egli pronunzia una sentenza con contenuto identico a quella o perfino che nella parte dispositiva vi si riferisce, ma non che quella conservi la sua efficacia; la sentenza, che contiene la decisione e spiega effetto imperativo, anche in tal caso soltanto la sentenza dappello (9). Questa concezione dellappello come secondo grado di giudizio in senso pieno stata posta in dubbio da una parte della dottrina e della giurisprudenza che, sulla base delle riforme legislative che hanno interessato questo mezzo di gravame, ha ritenuto che il giudizio di appello, da novum iudicium fosse diventato una revisio prioris instantiae. In particolare, ci si riferisce alla modifica dellart. 342 c.p.c. (10) per effetto della quale disposto lobbligo di motivazione dellappello a pena di inammissibilit e lobbligo di indicare le parti della sentenza oggetto di impugnazione, nonch lesposizione degli errori commessi dal primo giudice in fatto o in diritto e la loro rilevanza ai fini della decisione impugnata (11). (7) Sullappello, si veda P. DONOFRIO, Appello, in Dig. It. I, Giappichelli, 195, p. 725 e ss. (8) Sul punto, si veda diffusamente, A. CERINO CANOVA, Le impugnazioni civili. Struttura e funzione, Cedam, 1973, p. 584. (9) F. CARNELUTTI, Sistema del diritto processuale civile, I, Cedam, 1936. (10) Ad opera del decreto legge 22 giugno 2012, n. 83, convertito in legge 7 agosto 2012, n. 134. 88 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2016 Inoltre, a un ripensamento rispetto alla concezione dellappello come giudizio di merito di secondo grado sullanaloga questione di diritto pendente in primo grado - sempre nei limiti dei capi impugnati - ha contribuito la riforma della legge n. 353 del 1990 che ha reso pi stringente rispetto al passato la disciplina del cd. divieto di nova (12). Una parte della dottrina (13) ha ritenuto che le riforme relative allappello non incidessero sulla sua natura devolutiva. Con riferimento allobbligo di motivazione, stato affermato dalla dottrina prevalente e dalla giurisprudenza che anche dopo le modifiche introdotte dal decreto legge n. 83 del 2012, lappello resta un mezzo di impugnazione a critica libera con devoluzione automatica, anche se nei limiti delle specifiche censure che non necessitano peraltro di un particolare rigorismo formale, quanto piuttosto della precisa individuazione delle questioni investite dal gravame. Considerazioni in parte analoghe sono state svolte rispetto al divieto di nova, che, a parere della dottrina prevalente, non comporta una ridiscussione delleffetto devolutivo e leliminazione delleffetto sostitutivo della sentenza dappello, poich lo stesso trova la propria ragion dessere nel principio della domanda, valido anche per il secondo grado di impugnazione. sulla base di questo principio che viene sancita la decadenza di domande ed eccezioni non riproposte in appello. Lappello dunque lunico gravame in senso stretto che esiste nel nostro ordinamento; come tale, esso il mezzo di impugnazione che introduce il giudizio di secondo grado, ossia una fase del processo, nella quale il giudizio pu venire rinnovato, non come semplice riesame della sentenza di primo grado, ma come nuovo esame della causa, nei limiti delle specifiche censure contenute nella domanda dappello o meglio - dopo le modifiche apportate allart. 342 c.p.c. dallart. 54 del D.L. 22 giugno 2012 n. 83 (conv. alla l. 7 agosto 2012 n. (11) La formulazione previgente dellart. 342 c.p.c. si limitava a disporre che latto di appello dovesse contenere i motivi specifici dellimpugnazione. (12) Lart. 345 c.p.c., nella formulazione previgente al 1990 disponeva: Non sono ammessi nuovi mezzi di prova e non possono essere prodotti nuovi documenti, salvo che il collegio non li ritenga indispensabili ai fini della decisione della causa ovvero che la parte dimostri di non aver potuto proporli o produrli nel giudizio di primo grado per causa ad essa non imputabile. Pu sempre deferirsi il giuramento decisorio. Attualmente, dopo la riforma della legge n. 69 del 2009, larticolo dispone: Nel giudizio d'appello non possono proporsi domande nuove e, se proposte, debbono essere dichiarate inammissibili d'ufficio. Possono tuttavia domandarsi gli interessi [c.c. 1282], i frutti [c.c. 820] e gli accessori maturati dopo la sentenza impugnata, nonch il risarcimento dei danni sofferti dopo la sentenza stessa. Non possono proporsi nuove eccezioni, che non siano rilevabili anche d'ufficio. Non sono ammessi nuovi mezzi di prova e non possono essere prodotti nuovi documenti, salvo che la parte dimostri di non aver potuto proporli o produrli nel giudizio di primo grado per causa ad essa non imputabile. Pu sempre deferirsi il giuramento decisorio. (13) Si veda, ex plurimis, C. MANDRIOLI, Diritto processuale civile, Tomo II, 2015, Giappichelli, p. 490 e ss. CONTENZIOSO NAZIONALE 89 134) - nei limiti dei motivi che sono in essa esplicitati. Perci, con lesclusione di quei capi o punti della decisione di primo grado che non siano stati investiti dallappello, la sentenza di secondo grado destinata ad eventualmente sostituirsi a quella di primo grado nel determinare un nuovo regolamento della controversia. Di qui il carattere sostitutivo dellimpugnazione di cui trattasi (14). E quindi, in relazione alla natura di gravame che caratterizza lappello, ed al fatto che esso introduce un riesame non della sentenza di primo grado, ma (nei limiti della domanda di appello) della stessa controversia che fu esaminata in primo grado, si pu dire che loggetto del giudizio dappello , sia pure nei limiti delle censure motivate contenute nella domanda di appello, quello stesso della causa gi decisa in primo grado (15). Contrariamente alle considerazioni finora svolte, una parte della dottrina e della giurisprudenza, muovendo dagli stessi interventi legislativi sullappello, ha ritenuto che essi sancissero il passaggio definitivo dellappello da novum iudicium a revisio prioris instantiae, sottraendogli cos sia leffetto devolutivo che quello sostitutivo (16). Si intende facilmente come la ridiscussione della natura di gravame puro dellappello abbia importanti ricadute sul titolo esecutivo. Alleliminazione delleffetto devolutivo segue anche quella delleffetto sostitutivo della sentenza di appello e dunque limpossibilit che questultima si sostituisca a quella di primo grado come titolo esecutivo. Al fine di approfondire la questione, si ritiene opportuno analizzare i principali interventi giurisprudenziali sul punto. Le pronunce della Suprema Corte hanno trattato la problematica relativa alleffetto sostitutivo dellappello in relazione al caso di cassazione con rinvio della sentenza. Si cercato quindi di comprendere quali fossero gli effetti della cassazione con rinvio della sentenza sul titolo e sulla procedura esecutiva, sia nei casi in cui essa fosse iniziata prima della pronuncia di cassazione con rinvio, che nel caso in cui fosse stata intrapresa in un momento successivo. 4. Evoluzione giurisprudenziale in tema di cassazione con rinvio. Fino al 2013, malgrado la concezione di novum iudicium dellappello fosse stata messa seriamente in discussione, la giurisprudenza di legittimit ha continuato in varie pronunce a ribadire leffetto sostitutivo delle sentenze di appello di merito a quelle di primo grado come titolo esecutivo. (14) C. MANDRIOLI, Op. ult. cit., p. 494. (15) C. MANDRIOLI, Op. ult. cit., p. 412. (16) In tal senso si veda, A. TEDOLDI, I motivi specifici e le nuove prove in appello dopo la novella iconoclastica del 2012, in Riv. dir. proc., 2013, p. 145; A. BRIGUGLIO, Un approccio minimalista alle nuove disposizioni sullammissibilit dellappello, ibidem, p. 573. In giurisprudenza, ex multis, si veda Cass. Sez. Un., 23 dicembre 2005, n. 28498, in Foro it., 2006, I, c. 1433 che in relazione allonere probatorio dellappellante, ha ritenuto che lo stesso non riguardi, a differenza del primo grado, il rapporto giuridico controverso come si desumerebbe dalleffetto devolutivo dellappello, bens sia limitato alla fondatezza dei motivi specifici. 90 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2016 Come si diceva, queste pronunce si sono concentrate sul problema degli effetti delle sentenze di cassazione con rinvio sul titolo esecutivo e quindi sui limiti del cd. effetto espansivo esterno della sentenza di cassazione, disciplinato dallart. 336 co. 2 c.p.c. In altre parole, il problema da cui hanno tratto le mosse queste pronunce quello di capire se, una volta cassata con rinvio la sentenza di appello confermativa o riformativa di quella di primo grado, vi sarebbe stata una reviviscenza della sentenza di prime cure come titolo esecutivo, oppure se la procedura esecutiva sarebbe risultata caducata a causa di mancanza del titolo. Accanto a questi quesiti, vi era anche quello relativo alla sorte degli atti esecutivi gi compiuti. Al fine di analizzare le posizioni giurisprudenziali principali sul punto, si deve innanzitutto distinguere tra le sentenze dappello integralmente confermative nel merito (17) di quelle di primo grado da quelle parzialmente riformative (e quindi parzialmente confermative). Inoltre, si deve scindere il caso in cui il soggetto abbia iniziato lesecuzione sulla base della sentenza di primo grado, da quello in cui invece gli atti esecutivi siano stati posti in essere solo dopo la pronuncia di seconde cure. Con riferimento alla prima distinzione, la Cassazione, sia nel 2009 (18) che nel 2013 (19) ha affermato che la cassazione con rinvio della sentenza di secondo grado che abbia confermato quella di primo grado, posta a fondamento di unazione esecutiva, produce effetti analoghi alla sentenza di secondo grado di riforma della prima, per come normativamente sancito anche dallequiparazione di cui allart. 336 comma 2, ultimo inciso. Non vi dubbio che gli atti pre-esecutivi ed esecutivi che siano stati posti in essere dopo la pronuncia della sentenza di appello cassata siano da questa dipendenti e vengano travolti ai sensi della norma da ultimo citata, anche quando si tratti di cassazione con rinvio al giudice di appello ai sensi dellart. 383 c.p.c. (20). Nella sentenza n. 2955 del 2013, la Corte ha esaminato anche la seconda distinzione, ossia quella tra linizio dellesecuzione prima e dopo la sentenza di appello cassata, estendendo il perimetro applicativo dellart. 336 co. 2 c.p.c. (17) Fino alle sentenze gemelle nn. 3074 e 3280 del 2013 - che verranno approfondite nel proseguo della trattazione - per le sentenze appello di rito era ritenuto pacifico che le stesse non si sostituissero a quelle di primo grado e che dunque il titolo esecutivo restasse la sentenza di prime cure. (18) Cass. Sez. III, 27 marzo 2009, n. 7537, in Giust. civ. Mass., 2009, 3, p. 541. (19) Cass. Sez. III, 7 febbraio 2013, n. 2955, in C.E.D. Cass., n. 625370. (20) Alle stesse conclusioni giunta la Corte di Cassazione nella sentenza 12 marzo 2013, n. 6113, in Giust. Civ. mass. 2013, la quale ha affermato che Come giurisprudenza di questa Corte da cui non il caso di discostarsi e che va ribadita, nellipotesi in cui la sentenza di appello che ha riformato quella di primo grado venga cassata con rinvio, non si ha una riviviscenza di quella di primo grado, posto che la sentenza del giudice di rinvio non si sostituisce ad altra precedente ma interviene direttamente sulla domanda proposta dalle parti, con la conseguenza che non sar pi possibile procedere in executivis sulla base di quella di primo grado, potendo una nuova esecuzione fondarsi esclusivamente sulla sentenza del giudice emessa in sede rescissoria. CONTENZIOSO NAZIONALE 91 anche oltre la sentenza di secondo grado, disponendo che gli effetti della sentenza di cassazione con rinvio, nel caso di sentenze confermative, travolgano anche gli atti esecutivi compiuti dopo la sentenza di primo grado, poich solo formalmente gli atti esecutivi appaiono come dipendenti dalla sentenza di primo grado. Ed invero, poich da ritenersi, per quanto sopra, che la sentenza di secondo grado si sia sostituita a quella di primo grado anche come titolo esecutivo, ed anche quando sia sopravvenuta nel corso del processo esecutivo, la sua cassazione con rinvio comporta la caducazione del titolo esecutivo, in ragione di quanto previsto dallart. 336 c.p.c., comma 2, ult. inciso. Questo dunque lassetto risultante dalla giurisprudenza di legittimit fino al 2013. Nello stesso anno, due sentenze gemelle della Corte di Cassazione (21) hanno capovolto lassetto sinora delineato e la stessa concezione tradizionale dellappello, definita dalla Corte di legittimit come tralaticia. Muovendo dal caso di cassazione con rinvio di una sentenza di appello di merito confermativa di una sentenza di primo grado, la Cassazione contesta lidea tradizionale secondo cui la sentenza di secondo grado confermativa nel merito diventi lunico titolo posto alla base dellesecuzione e che dunque, qualora si inizi lesecuzione dopo la definizione del secondo grado di giudizio, vada notificata, come titolo esecutivo, unicamente la sentenza di appello. Spiega la Cassazione che, accogliendo la concezione devolutiva dellappello, ne deriverebbe che nei casi di cassazione con rinvio della sentenza di seconde cure, risulterebbe un difetto ab origine del titolo esecutivo da cui conseguirebbe la caducazione dello stesso. La Corte sostiene che nessun effetto sostitutivo si determina con la sentenza di secondo grado confermativa. Al contrario, il titolo esecutivo risulter, sia nel caso di sentenza confermativa che riformativa, dalla combinazione delle due sentenze. E ci perch vi sarebbe una incongruenza della stessa tesi di fondo dellefficacia sostitutiva della sentenza confermativa: in effetti se vi tale efficacia sostitutiva ed alle parole si deve dare un senso, allora la sostituzione come titolo della sentenza dappello a quella di primo grado non pu che determinare laffrancarsi del nuovo titolo da quello che sostituisce. Il che dovrebbe comportare che la pretesa esecutiva estrinsecatasi sulla base della sentenza di primo grado dovrebbe sempre considerarsi tamquam non esset, perch ha avuto luogo sulla base di un titolo che non cՏ pi, essendone sopravvenuto uno nuovo. La conseguenza paradossale sarebbe che lesecuzione pregressa, avvenuta sulla base della sentenza di primo grado si sarebbe dovuta ritenere automaticamente caducata: questo sarebbe stato leffetto dellattribuzione alleffetto sostitutivo di un valore assoluto. Alla luce di ci, la Cassa- (21) Sez. III, 8 febbraio 2013, n. 3074 e Sez. III, 12 febbraio 2013, n. 3280, in Foro It., 2013, 10, c. 2900 con nota di N. MINAFRA. 92 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2016 zione propone di intendere la sostituzione solo come a far tempo dalla sopravvenienza della sentenza di appello e quindi non incidente sulla pretesa esecutiva pregressa. Dalla concezione del titolo esecutivo come combinazione tra la sentenza di primo e di secondo grado, la Cassazione fa discendere la conseguenza che nei casi di cassazione con rinvio la caducazione coinvolga solo gli atti esecutivi direttamente dipendenti dalla sentenza di secondo grado, ma non anche quelli dipendenti dalla prima. Ci perch la sentenza di primo grado non scomparsa dal panorama giuridico, bens ha continuato ad esistere affiancandosi a quella di secondo grado, risultando quindi il titolo esecutivo dalla combinazione delle due. La Corte estende queste considerazioni anche alle sentenze di rito, ritenendo, con riferimento a queste ultime, che i giudici dellesecuzione per fornire lapprezzamento sullesistenza e il modo di essere della pretesa esecutiva ed esercitare i loro poteri non possono utilizzare solo la sentenza di primo grado, poich intanto essa ha visto conservata la sua efficacia di titolo esecutivo, in quanto stata confermata dalla pronuncia sullappello in rito. In conclusione, nei casi di sentenze confermative - sia nel rito che nel merito - delle sentenze di primo grado, il titolo esecutivo risulter dalla combinazione delle due sentenze e dunque, la Cassazione con rinvio interverr, con la caducazione, solo sugli atti dipendenti dalla sentenza cassata, mentre lesecuzione potr riprendere dallultimo atto dipendente dalla sentenza di primo grado. La Cassazione specifica inoltre che siffatte considerazioni resterebbero invariate anche nei casi in cui vi sia una sospensione dellefficacia del titolo esecutivo ex art. 283 c.p.c. Ci perch una volta sopravvenuta la sentenza di conferma della sentenza di primo grado, il relativo provvedimento sarebbe gi stato travolto e legittimamente la pretesa esecutiva sarebbe stata esercitata sempre sulla base della combinazione fra la sentenza di primo grado e quella di appello. Prosegue la Cassazione affermando che, nei casi in cui la procedura esecutiva sia iniziata sulla base della sentenza di primo grado e non sia intervenuta (o perch non richiesta o perch rigettata) una sospensione ex art. 283 c.p.c. dellefficacia del titolo esecutivo, lart. 336 co. 2 c.p.c. - nei casi di cassazione con rinvio della sentenza di appello di rito o di merito - interverrebbe solo sugli atti esecutivi strettamente dipendenti dalla sentenza di secondo grado e non anche su quelli compiuti prima della sua emanazione. Se si ritenesse che la cassazione con rinvio estenda i suoi effetti allesecuzione quanto agli atti compiuti fino al momento della sentenza dappello riformata, si avrebbe che essi verrebbero caducati pur non essendosi basati - legittimamente - sulla dimensione assunta dalla pretesa esecutiva a far tempo dalla pronuncia di quella sentenza, bens soltanto sulla forza esecutiva della sentenza di primo grado. Dunque, qualora dopo la sentenza di primo grado siano stati posti in essere atti esecutivi ulteriori in dipendenza dalla sentenza di appello poi cassata, CONTENZIOSO NAZIONALE 93 essi dovranno ritenersi caducati, ma ci non comporter in alcun modo la caducazione di tutta la pretesa esecutiva, non essendo mai venuta meno la sentenza di primo grado posta a suo fondamento. La Suprema Corte analizza anche il caso in cui la sospensione dellefficacia esecutiva del titolo ex art. 283 c.p.c. sia disposta dal giudice del rinvio. Essa afferma che occorre ritenere che il potere di sospensione ai sensi dellart. 283 del giudice di rinvio, concernendo anche lesecutivit della sentenza di primo grado, si presta ad essere utilizzato anche quando lesecuzione sia gi compiuta sulla base di essa e, dunque, in funzione di possibile rimozione degli effetti gi verificatisi per il tramite dellesecuzione e non caducati ai sensi dellart. 336 co. 2. Malgrado la riforma dellart. 283 c.p.c. (22), a parere della Corte non si pu comunque ritenere che leffetto prodotto da questa modifica sia quello di escludere che il giudice di appello possa intervenire sullesecutivit della sentenza anche una volta che il processo esecutivo abbia avuto inizio. E dunque, il giudice del rinvio, per mezzo dello strumento di cui allart. 283 c.p.c., ha la possibilit di sospendere lesecuzione in modo pieno, ossia con effetto di rimozione dellesecuzione gi avvenuta. A parere della Corte, la soluzione tradizionale che ricollega alla cassazione della sentenza di appello una caducazione dellintera procedura esecutiva sarebbe in contrasto con il principio di parit delle armi e quindi con lart. 111 co. 2 Cost. poich si perverrebbe allarresto della procedura esecutiva senza che vi sia stato ancora il vaglio del giudice del rinvio. In ultima analisi, la Corte di legittimit analizza la posizione del giudice dellopposizione al precetto o allesecuzione, affermando che nel caso in cui il precetto, non seguito dallesecuzione, sia stato intimato sulla base della combinazione tra sentenza di primo e secondo grado, ci comporter, nel caso di cassazione con rinvio, una caducazione del precetto ex art. 336 co. 2 c.p.c. E dunque, il giudice di opposizione al precetto dovr considerare come fatto sopravvenuto la caducazione del titolo esecutivo accogliendo lopposizione. Allo stesso modo, nel caso in cui lesecuzione abbia avuto inizio successivamente alla sentenza di appello, il giudice di opposizione allesecuzione non potr che accogliere lopposizione per le stesse ragioni. Al contrario, quando sulla base della sentenza di primo grado sia stato intimato il precetto o siano stati posti in essere atti esecutivi, il giudice di opposizione al precetto o allesecuzione, nel caso di cassazione con rinvio della sentenza di appello, considerer caducati solo gli atti esecutivi posti in dipendenza della sentenza di secondo grado, ma non caducher la pretesa esecutiva. Sempre in relazione alla posizione del giudice dellopposizione allesecuzione, la Corte conclude affermando che nel caso in cui il giudice del rinvio (22) Legge 26 novembre 1990, n. 353. La riforma ha eliminato ogni riferimento allipotesi di revoca della provvisoria esecutivit della sentenza di primo grado. 94 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2016 abbia sospeso lefficacia esecutiva ex art. 283 c.p.c., il giudice dellesecuzione non potr che accogliere lopposizione dichiarando che il diritto di procedere allesecuzione non esiste in quel momento, proprio in ragione della sospensione di efficacia esecutiva del titolo. Nel caso in cui invece la sospensione sia stata negata oppure non sia stata richiesta, il giudice dovrebbe rendere una decisione di rigetto dellopposizione, dichiarando allo stato lesistenza del diritto di procedere allesecuzione. La posizione assunta dalla Corte di Cassazione nel 2013 ha creato molte perplessit, pur essendo rimasta pressoch isolata nel panorama giurisprudenziale. Lassunto posto alla base di questa pronuncia la traslazione dellappello dal modello di gravame puro a mezzo di impugnazione, dovuto, a parere della Corte, a tutte le modifiche che dal 1990 hanno interessato il secondo grado di giudizio. In particolare, ci che stato modificato, a parere della Corte, proprio loggetto dellappello che non pi il rapporto controverso oggetto del giudizio di primo grado, bens la parte della sentenza di primo grado di cui si chiede la censura. Come ovvio, considerare lappello non pi come mezzo di gravame, bens come mezzo di impugnazione in senso stretto, comporta la compromissione del suo carattere sostitutivo e dunque la concezione del titolo esecutivo come mixtum tra la sentenza di primo e secondo grado. Tuttavia, come argomentato da una parte della dottrina (23), tutti i mezzi di impugnazione hanno come finalit principale la rimozione del provvedimento impugnato, cui tuttavia segue la sostituzione del provvedimento rimosso con una nuova statuizione. E dunque, pur essendo lappello, in quanto impugnazione, diretto alla rimozione di una o pi parti della sentenza di primo grado, esso continua ad avere ad oggetto loriginaria controversia proposta in primo grado, naturalmente nei limiti delleffetto devolutivo. Dunque, ci che la dottrina ha sostenuto che non vi sono elementi per stabilire che le modifiche legislative in tema di appello abbiano comportato la perdita del suo carattere sostitutivo (24). Alla medesima conclusione giunta anche la giurisprudenza di poco successiva (25) che, con riferimento al caso in cui una sentenza di appello statuisca sulla inidoneit della sentenza di primo grado a costituire titolo esecutivo, afferma: nell'ipotesi di esecuzione fondata su titolo esecutivo costituito da (23) F. DANOVI, Note sulleffetto sostitutivo dellappello, in Riv. dir. proc., 2009, p. 1469; N. RASCIO, Loggetto dellappello civile, Napoli, 1996, passim; C. CONSOLO, Spiegazioni di diritto processuale civile, II ed., III, Giappichelli, 2012, p. 281 e ss. (24) Sulla natura dellappello, si veda G. BALENA, Le novit relative allappello nel d.l. n. 83/2012, in Giust. proc. civ., 2013, p. 23 e ss.; C. CONSOLO, Nuovi ed indesiderabili esercizi normativi sul processo civile: le impugnazioni a rischio di svaporamento in Corr. giur., 2012, p. 1135 e R. POLI, Il nuovo giudizio in appello, in Riv. dir. proc., 2013, p. 133. (25) Sez. lav., 8 luglio 2013, n. 16934, in Giust. mass., 2013. CONTENZIOSO NAZIONALE 95 una sentenza di primo grado, la riforma in appello di tale sentenza determina il venir meno del titolo esecutivo, atteso che l'appello ha carattere sostitutivo e, pertanto, la sentenza di secondo grado destinata a prendere il posto della sentenza di primo grado; anche nell'ipotesi in cui la sentenza d'appello fosse a sua volta cassata con rinvio, non si avrebbe una reviviscenza della sentenza di primo grado, posto che la sentenza del giudice di rinvio non si sostituisce ad altra precedente pronuncia, riformandola o modificandola, ma statuisce direttamente sulle domande delle parti, con la conseguenza che non sarebbe mai pi possibile procedere in executivis sulla base della sentenza di primo grado (riformata della sentenza d'appello cassata con rinvio), potendo una nuova esecuzione fondarsi soltanto, eventualmente, sulla sentenza del giudice di rinvio. Con questa pronuncia dunque, non solo viene riconfermato leffetto devolutivo del secondo grado di giudizio, ma anche lesclusione della reviviscenza della sentenza di primo grado a seguito della cassazione con rinvio. Suddetto orientamento viene riconfermato, sia pur nei diversi termini descritti, anche dalla sentenza in oggetto. 5. Considerazioni conclusive. Dovendo trarre le somme dallanalisi finora svolta, possibile affermare che la sentenza in esame ha il merito di chiarire gli effetti della sentenza di cassazione con rinvio sul titolo esecutivo. Allinterno della questione, si innestano due differenti problematiche: luna quella relativa alla portata dellart. 336 c.p.c. e laltra riguarda il fenomeno di successione del titolo esecutivo. Il quesito relativo agli effetti della cassazione con rinvio sul titolo esecutivo si sempre mostrato di difficile risoluzione. In primo luogo, i problemi interpretativi derivano dal fatto che il fenomeno di successione del titolo esecutivo non positivamente regolato, se non nel caso di cui allart. 653 co. 2 c.p.c., da cui la giurisprudenza ha tratto una regola con applicazione pi ampia rispetto al solo decreto ingiuntivo. A ci si aggiunga il fatto che quando il titolo esecutivo costituito dalla sentenza di appello, alle questioni gi menzionate se ne aggiunge una ulteriore, relativa alla natura del secondo grado di giudizio, da taluni inteso come una revisio prioris istantiae invece che come un novum iudicium. Lenunciazione della presente sentenza ripristina lorientamento prevalente precedente al 2013, anche se alla luce del permanente contrasto interpretativo, appare opportuno la rimessione della questione alle Sezioni Unite. 96 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2016 Cassazione civile, Sezione Terza, sentenza 3 aprile 2015 n. 6822 - Pres. G. Salm, Rel. R. Frasca, P.M. R. Finocchi Ghersi (cessazione della materia del contendere) - A. srl. (avv. D. Zurru) c. Tessiture P.R. spa (avv. ti G. Gobbi, M. Franchina). SVOLGIMENTO DEL PROCESSO 1. La s.r.l. A. ha proposto ricorso straordinario per cassazione contro la s.p.a. Tessiture P. R. avverso la sentenza del 28 ottobre 2011, con la quale il Tribunale di Bergamo ha accolto, con conseguente annullamento del provvedimento opposto, un'opposizione ai sensi dell'art. 617 c.p.c., proposta nel maggio del 2010 dalla detta s.p.a. per l'annullamento dell'ordinanza pronunciata il 26 aprile 2009, con cui lo stesso Tribunale in funzione di giudice della procedura esecutiva per espropriazione mobiliare, iscritta al n. r.g. 2454 del 2008 ed introdotta dalla medesima sulla base di titolo esecutivo rappresentato dalla sentenza n. 89 del 2007, emessa dal Tribunale di Bergamo, Sezione Distaccata di elusone, e recante condanna al pagamento delle spese giudiziali, aveva dichiarato la nullit della procedura esecutiva "con la conseguente estinzione" della stessa, in ragione della sopravvenienza della sentenza n. 635 del 2010, con cui lo stesso Tribunale di Bergamo aveva accolto un'opposizione ai sensi degli artt. 617 e 615 c.p.c., proposta dalla s.p.a., sentenza peraltro impugnata dinanzi alla Corte d'Appello di Brescia. 2. Al ricorso, che propone sette motivi, i primi quattro dei quali articolati in distinte censure, ha resistito con controricorso la A. 3. Parte ricorrente ha depositato memoria. MO T I V I DELLA D E C I S I O N E 1. Il Collegio rileva che con la sua memoria parte ricorrente ha evidenziato che, nelle more fra la proposizione del ricorso e l'odierna udienza, intervenuta la sentenza n. 19876 del 29 agosto 2013, con la quale questa Corte - investita dalla A. del ricorso iscritto al n.r.g. 26456 del 2007 avverso la sentenza n. 89 del 12 luglio 2007 del Tribunale di Bergamo, Sezione Distaccata di elusone, costituente il titolo esecutivo posto a base dell'esecuzione forzata iscritta al n.r. 2454 del 2008 ed oggetto del giudizio cui si riferisce il ricorso che si giudica - ha disposto la cassazione con rinvio di detta sentenza, sebbene in relazione ad una sola delle censure accolte e, quindi, parzialmente. Sulla base di tale sopravvenienza la ricorrente sostiene che sarebbe cessata la materia del contendere, in quanto il processo di esecuzione forzata iscritto al n.r. 2454 del 2008 ed oggetto dell'opposizione agli atti costituente la controversia cui si riferisce l'odierno ricorso venuto meno, onde non vi sarebbe pi interesse delle parti a discutere sulla legittimit dell'ordinanza la cui legittimit ne oggetto. 2. La prospettazione della ricorrente corretta. Va considerato che, ancorch la cassazione della sentenza costituente il titolo esecutivo sia stata soltanto parziale, come emerge dalla sua lettura, ai sensi dell'art. 336 c.p.c., comma 1, essa ha travolto in ogni caso la statuizione sulle spese di quella sentenza, in quanto quest'ultima una parte della sentenza, che per il suo carattere meramente accessorio all'intera decisione, supponeva che essa permanesse nella sua integralit. Ne segue che nel giudizio di rinvio dovr in ogni caso seguire, all'esito della pronuncia sull'oggetto di esso, una nuova statuizione sulle spese, che dovr essere resa necessariamente all'esito della valutazione complessiva ai sensi dell'art. 91 e ss., dell'esito della decisione e, quindi, sar del tutto nuova, senza alcuna possibilit che possa, quando sar resa, rivivere quella posta a base della sentenza cassata (il che esclude che rilevi in questo giudizio la giurisprudenza di cui a Cass. n. 3074 e 3280 del 2013, per poter reputare che l'esecuzione iniziata e seguita per le CONTENZIOSO NAZIONALE 97 spese della sentenza cassata possa restare ferma nei suoi effetti prima della cassazione in attesa della decisione del giudice di rinvio e dei suoi successivi esiti). Nel caso di specie, del resto, la sentenza cassata era rappresentata da sentenza di rigetto di un'opposizione a precetto e, quindi, da una sentenza che sul merito aveva natura di decisione di mero accertamento, onde la statuizione sulle spese posta a base dell'esecuzione rappresentava l'unico aspetto condannatorio per cui la sentenza stessa avrebbe potuto farsi valere ed era stata fatta valere come titolo esecutivo. Da tanto discende che il titolo esecutivo su cui si fondava l'esecuzione in relazione alla quale venne proposta l'opposizione agli atti decisa con la sentenza impugnata con il ricorso oggi in esame venuto meno, con la conseguenza che il relativo giudizio rimasto privo, sebbene in via sopravvenuta, di oggetto: tale oggetto, infatti, era rappresentato dalla valutazione della legittimit di un atto, l'ordinanza dichiarativa dell'estinzione, che rappresentava espressione di una valutazione da parte del Giudice dell'Esecuzione del Tribunale di Bergamo su un particolare aspetto del quomodo della pretesa esecutiva basata sul titolo esecutivo irrimediabilmente venuto meno. allora palese che, il venir meno del titolo posto a base dell'esecuzione situazione che rende la contesa fra le parti sulla legittimit di quell'aspetto del tutto priva del requisito dell'interesse, dato che esso sussisteva in ragione della circostanza che l'ordinanza de qua era un atto di realizzazione dell'esercizio della pretesa esecutiva basata sul titolo stesso: venuto meno tale titolo emerge automaticamente che non v' ragione di una pronuncia che accerti la legittimit o meno dell'ordinanza ai fini della sorte del processo esecutivo, dato che, essendo venuto meno l'atto fondante di tale processo e, dunque, restando caducata l'attivit svolta in quest'ultimo, difetta qualsiasi interesse al detto accertamento. Ne segue che il presente ricorso dev'essere dichiarato inammissibile in ragione dell'inesistenza del requisiti dell'interesse a coltivarlo, residuando soltanto la necessit di valutare la soccombenza su di esso in via virtuale ai fini del regolamento delle spese giudiziali. Il principio di diritto che viene in rilievo il seguente: "La caducazione del titolo esecutivo costituito da una condanna alle spese accessoria a sentenza di rigetto di un'opposizione a precetto, per effetto di cassazione con rinvio di tale sentenza, comportando, ai sensi dell'art. 336 c.p.c., comma 2, la perdita di efficacia della statuizione sulle spese e, quindi, del titolo in base al quale sono stati compiuti gli atti della relativa procedura di esecuzione, determina la cessazione della materia del contendere sul giudizio di opposizione agli atti esecutivi concernente tale procedura e, quindi, sul ricorso avverso la sentenza pronunciata riguardo ad essa, del quale la Corte di cassazione sia stata investita. Ne segue che la Corte - sempre che non vi sia rinuncia al ricorso - deve rilevare la detta cessazione come fatto oggettivo incidente sull'interesse alla definizione del ricorso, il quale dev'essere, pertanto, dichiarato inammissibile per sopravvenuta carenza di interesse, salva la valutazione della soccombenza virtuale ai fini del regolamento delle spese del giudizio di cassazione". 3. L'assenza di deduzioni nella memoria della ricorrente riguardo alla decisione sulle spese in applicazione del principio della soccombenza virtuale e di una correlata istanza perch si proceda alla sua valutazione, induce il Collegio a compensare le spese del giudizio di cassazione senza procedere all'esame del ricorso ai fini della individuazione di detta soccombenza. P.Q.M. La Corte dichiara inammissibile il ricorso per sopravvenuta carenza di interesse. Compensa le spese del giudizio di cassazione. Cos deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Terza Civile, il 9 dicembre 2014. 98 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2016 Limparzialit del giudice e la societ democratica europea NOTA A CONSIGLIO DI STATO, SEZ. TERZA, SENTENZA 27 LUGLIO 2015 N. 3679 Chiara Bianco* SOMMARIO: 1. Considerazioni introduttive - 2. Il fatto - 3. La questione di legittimit costituzionale: il legislatore italiano non avrebbe considerato il criterio del giudice naturale - 4. Linterpretazione finalistica del Consiglio di Stato. 1. Considerazioni introduttive. La lettura della sentenza del Consiglio di Stato n. 3679 del 27 luglio 2015 unoccasione per tentare di ricostruire unimmagine dellordinamento giuridico italiano, analizzando in particolare le caratteristiche attribuite al giudice nazionale dal sistema europeo. Lo studio di un tale tema, analizzando la posizione di un operatore giuridico particolarmente atteggiato quale il giudice nazionale (1), risulta complesso in ragione dellesistenza di una rete di relazioni e rapporti tra fonti, organi e procedure. Il carattere relazionale dellordinamento si mostra in maniera peculiare nellambito applicativo (2) delle norme ed in particolare nella procedura (3) di interpretazione che vede il giudice na- (*) Laureata in Giurisprudenza, ammessa alla pratica forense presso lAvvocatura dello Stato. (1) La peculiare posizione del giudice si pone nel contesto applicativo inteso in senso ampio: Tra i diversi tipi di operatori giuridici si soliti ricordare soprattutto: il legislatore, il giudice (o, pi in generale, il magistrato), il giurista teorico. Ma questelenco tuttaltro che esaustivo. Sono da considerare operatori giuridici anche i rappresentanti e i funzionari delle pubbliche amministrazioni, alcune categorie di liberi professionisti - come gli avvocati e i notai - e gli stessi privati nellesercizio della propria autonomia negoziale. Cos allargato lelenco non deve sembrare pletorico. Ogni genere di attivit sociale suscettibile di assumere rilevanza giuridica e, chiunque sia partecipe di un qualsiasi tipo di attivit avente rilevanza giuridica va qualificato come operatore giuridico. () Ogni operatore giuridico compie, necessariamente unattivit interpretativa. O, per dirla con altre parole, ogni tipo di attivit interpretativa include degli atti ermeneutici V. MARINELLI, Studi sul diritto vivente, Jovene editore, Napoli, 2011, p. 4. (2) La valorizzazione del contesto applicativo funzionale allindividuazione del risultato pratico che loperatore intende raggiungere, pur nella consapevolezza che il rapporto fra interpretazione e applicazione, () non una congiunzione occasionale ma un nesso di inscindibilit: che nel diritto non vi sia applicazione senza interpretazione pu apparire chiaro, fino alla banalit; meno chiaro, ma altrettanto vero per anche linverso: che non cՏ interpretazione senza applicazione G. ZAGREBELSKY, La legge e la sua giustizia, Il Mulino, 2008, p. 161. (3) La prima fase di tale procedura costituita proprio dallobbligo di risolvere il conflitto per mezzo dellinterpretazione conforme; esperito inutilmente il tentativo, la seconda fase della procedura prevede due meccanismi quali la disapplicazione, che pone la norma configgente (alle sole norme comunitarie) in uno stato di quiescenza, e laccesso della questione alla Corte Costituzionale, in grado di porre nel nulla le norme. E. LAMARQUE, I giudici italiani e linterpretazione conforme al diritto dellUnione europea e alla Convenzione europea dei diritti delluomo, in CAPPUCCIO L., LAMARQUE E. (a cura di), Dove va il sistema italiano accentrato di controllo di costituzionalit? Ragionando intorno al libro di Victor Ferreres Comella Constitutional Courts and Democratic Values, Editoriale Scientifica, 2013, pp. 241- 302. Si evidenzia che lobbligo di interpretazione adeguatrice deve essere inteso come CONTENZIOSO NAZIONALE 99 zionale chiamato a servirsi dei principi radicati nella Costituzione e dei principi elaborati in sede europea. Il carattere normativo dellesperienza interpretativa delle Corti europee, la CGUE e la Corte di Strasburgo, nonch la tendenziale omogeneit dei principi e delle soluzioni permettono di conferire allanalisi un senso unitario (4). Lo studio sar inoltre circoscritto alla ricerca del senso attribuito dallordinamento al valore (5) dellimparzialit del giudice che il Consiglio di Stato ha analizzato in riferimento allo specifico principio del giudice naturale, precostituito per legge. A tali fini sar illustrato il complesso fatto che in materia di aiuti di Stato ha condotto il Consiglio di Stato ad indicare uninterpretazione adeguata dellimparzialit. Al fine di una lettura accurata della sentenza del Consiglio di Stato n. 3679 del 27 luglio 2015 necessario considerare la peculiare natura dei principi giuridici: norme senza fattispecie normativa predeterminata e a prescrizione generica (6) grazie alla quale lordinamento giuridico pu essere definito un sistema aperto, plasmabile alle concrete esigenze storiche e sociali. La stessa Corte costituzionale, con la meno recente sentenza n. 108/1962, aveva evidenziato una tale natura dei principi di imparzialit e di indipendenza del giudice ritenendo che Non contestabile che il requisito dell'indipendenza difficilmente configurabile in termini precisi, perch la sua regolamentazione propone problemi diversi secondo la diversit delle strutture statali e le epoche storiche osservando inoltre che non consente uniformit, dovendo adeguarsi alla variet dei tipi di giurisdizione. Oltre al contenuto aperto dei principi, la Corte costituzionale ha chiarito che indipendenza ed imparzialit sono valori comuni, in senso pi ampio, alla giurisdizione: esistono principi e valori, che attengono a tutte le giurisdizioni: ad esempio il principio dellindipendenza dei giudici vale per tutte le giurisdizioni ordinarie e speciali. un obbligo di mezzo e non di risultato pertanto linterprete opera nella consapevolezza che esistono anche altre tecniche di adeguamento, non dovendo individuare un risultato interpretativo a tutti i costi. G. PISTORIO, Interpretazione e giudice. Il caso dellinterpretazione conforme a diritto dellUnione europea, Napoli, Editoriale Scientifica, 2012. (4) L. TORCHIA, Lezioni di diritto amministrativo progredito, Bologna, Il Mulino, 2010, p. 399. LAutrice in particolare riconosce come, a seguito dellequiparazione giuridica della Carta Nizza ai Trattati, le due Corti tendano ad offrire uno standardizzato grado di tutela. Ladesione a valori giuridici comuni rappresenta una base per maggiori relazioni e convergenze di opinioni mentre il rischio della disparit di trattamento affrontato regolando i rapporti tra le Corti sulla base del principio di sussidiariet e del mutuo recepimento delle soluzioni interpretative. (5) Il tema dellimparzialit complesso in ragione dellintrinseca ambivalenza della nozione che pu infatti assumere una portata sia oggettiva che morale. Tali concetti devono essere intesi in rapporto di dipendenza: affinch la responsabilit morale sia posta in funzione dellimparzialit, a monte deve essere rispettata lindipendenza del magistrato. Limparzialit, in riferimento ad entrambi i profili, non un dato scontato ma un valore da perseguire e tutelare. M. CHIAVARIO, Indipendenza e responsabilit del magistrato: il contributo del Giuliani interdisciplinare, Rivista di Diritto Processuale, 2012, vol. 67, fasc. 3, pp. 668 - 678. (6) V. MANES, Il giudice nel labirinto. Profili delle intersezioni tra diritto penale e fonti sovranazionali, Dike, Roma, 2014, p. 37. 100 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2016 Se la giurisdizione speciale venisse ritenuta tale per carente attuazione di alcuni di tali principi e valori, si verserebbe certamente in errore, dopo lentrata in vigore della Costituzione. Tali principi non attengono alla giurisdizione ordinaria ma al concetto stesso generale di giurisdizione; sicch i procedimenti disciplinati in violazione dei predetti principi non possono qualificarsi n ordinari n speciali in quanto ancor prima non costituiscono organi o procedimenti giurisdizionali (7). In altre parole la Corte costituzionale ha chiarito che lindeterminatezza (8) una qualifica propria della giurisdizione; un tale attributo, qualificando lelemento generale finisce per caratterizzare anche gli specifici principi che compongono il senso della giurisdizione. Tale caratteristica pu tuttavia essere intesa come un valore: permette infatti di ripensare le questioni che lattualit pone, interpretando i dati nellottica dei presupposti culturali (9) nellambito del quale si animano. La sentenza in esame quindi occasione per mostrare come il giudice nazionale contribuisca allelaborazione di un Diritto costituzionale europeo, definizione che delimita quello stesso spazio giuridico nominato - per mezzo del linguaggio metaforico - societ democratica europea (10) . Ci premesso risulta possibile illustrare il fatto (11) che ha dato al Consiglio di Stato loccasione di interpretare gli specifici principi (12) che confi- (7) Sent. Corte cost. 13 novembre 1962 n. 92; Sent. Corte cost. 16 giugno 1964 n. 43. (8) N. PICARDI, Alle origini della giurisdizione statale, in F. CERRONE (a cura di), Alessandro Giuliani: lesperienza giuridica tra logica ed etica, Giuffr editore, 2012, p. 785 ss. LAutore evidenzia che sia la nozione di giustizia che la nozione di giurisdizione sono confuse (n del tutto chiare, n del tutto oscure) e che nel tempo hanno assunto valenze e significati diversi. LAutore in particolare attribuisce un valore relativo alle definizioni elaborate ritenendole parziali ed approssimative poich ognuna riflette solo uno dei particolari aspetti che compongono le nozioni in esame. (9) N. PICARDI, Alle origini della giurisdizione statale, in F. CERRONE (a cura di), Alessandro Giuliani: lesperienza giuridica tra logica ed etica, op. cit., p. 785 ss. (10) Con limmagine della societ democratica europea sono stati espressamente delimitati gli spazi regolati dallart. 8, 9, 11 CEDU, una parte della dottrina ha per tentato di ampliare i confini di una tale nozione. G. REPETTO, Per unermeneutica della rilevanza. La teoria dellargomentazione di Alessandro Giuliani e il suo contributo allo studio della giurisprudenza della Corte europea dei diritti delluomo, in F. CERRONE (a cura di), Alessandro Giuliani: lesperienza giuridica tra logica ed etica, Giuffr editore, 2012, p. 575 ss. Evidenziata la natura metaforica della societ democratica europea nonch lintrinseca indeterminatezza della nozione di giurisdizione, pu sorgere un confronto in ragione della comune instabilit concettuale. Lesistenza di un elemento comune pone i due concetti in una relazione di somiglianza rilevante; una tale assimilazione funzionale allindividuazione di un comune metodo di ricerca del significato attuale, nella cornice del Diritto costituzionale europeo. (11) Il complesso dei ragionamenti dei giuristi non pu prescindere dalla ricognizione del fatto, soprattutto quando il giurista chiamato ad interpretare le norme in un contesto operativo che impone il richiamo alle norme europee e alla metodologia delle Corti sovranazionali. Lesperienza applicativa europea mostra infatti al giurista come la rivalutazione del momento pratico e lelaborazione scientifica non possano essere scisse. G. RIPETTO, Per unermeneutica della rilevanza. La teoria dellargomentazione di Alessandro Giuliani e il suo contributo allo studio della giurisprudenza della Cedu, in F. CERRONE (a cura di), Alessandro Giuliani: lesperienza giuridica tra logica ed etica, op. cit., p. 575 ss. (12) Il Consiglio di Stato ha illustrato linterpretazione conforme delle norme censurate non solo rispetto al parametro europeo ma anche alla Costituzione. In particolare ha richiamato il principio del CONTENZIOSO NAZIONALE 101 gurano la prismatica nozione di giurisdizione, tra i quali figura il principio dellimparzialit del giudice. 2. Il fatto. Con la decisione 2000/394/CE, in data 25 novembre 1999, la Comunit europea qualificava come aiuti di stato i benefici contributivi introdotti dal legislatore nel periodo 1995/1997 (con lart. 5 bis del d.l. n. 96/95, convertito dalla l. n. 206/95 e con lart. 27 del d.l. n. 669/96, convertito dalla l. n. 30/97 che a sua volta rinviava al decreto ministeriale del 5 agosto 1994) in favore di datori di lavoro che svolgevano la propria attivit nelle citt di Chioggia e Vicenza. I benefici in questione risultavano incompatibili con il mercato comune in quanto le imprese della laguna beneficiarie venivano a trovarsi in una situazione pi vantaggiosa rispetto alle imprese concorrenti che dovevano sostenere la totalit degli oneri, con il risultato che la concorrenza e gli scambi ne risultavano alterati. La Commissione affidava perci allItalia lobbligo di adottare tutti i provvedimenti necessari per il recupero degli aiuti dichiarati incompatibili con il mercato comune per mezzo di procedure di diritto nazionale. Nel settembre 2000 la decisione era stata impugnata da numerose imprese interessate innanzi al Tribunale di Lussemburgo che, avendo selezionato quattro cause pilota, respingeva i ricorsi. Anche la CGUE respingeva le impugnazioni con la sentenza C-71/09 del 9 giungo 2011 ed illustrato il principio dellistruttoria caso per caso (13), evidenziava che una tale attivit attribuita allo Stato italiano. Lobbligo in questione era stato adempiuto elaborando un procedimento di recupero degli aiuti incompatibili affidato allI.N.P.S. che in una prima fase aveva operato tramite cartelle esattoriali ai sensi del d.lgs. n. 46/1999. Tali cartelle erano state impugnate davanti al giudice del lavoro presso il Tribunale di Venezia con atti di opposizione, attivando articolati procedimenti che nella generalit di casi erano ancora in corso al momento delle definitiva pronuncia sulle cause pilota della Corte di giustizia europea C-71/09 del 9 giugno 2011. La CGUE, con sentenza C-302-09 del 6 ottobre 2009, stabiliva che lo Stato italiano era venuto meno agli obbligo di adottare le misure necessarie al recupero dei benefici in questione; pertanto con la legge 24 dicembre 2012 n. 228 recante Disposizioni per la formazione del bilancio angiudice naturale precostituito per legge per dimostrare la legittimit sia della questione del riparto di giurisdizione che dellestinzione ex lege delle procedure esistenti; ha inoltre negato la violazione del principio del contraddittorio, linversione dellonere probatorio; ha illustrato linterpretazione europea del principio del giudicato elaborata proprio in materia di aiuti di Stato. Ha infine confutato la questione della prescrizione del diritto al recupero dei benefici. (13) Listruttoria, caso per caso, si risolve logicamente in ambiti vincolati a presupposti fattuali e giuridici, certo riferiti alla posizione di ciascuna singola impresa, ma non tali da mettere in discussione, surrettiziamente, le chiare conclusioni della Decisione della Commissione europea e lindirizzo generale delle corti comunitarie, assolutamente vincolanti per lo Stato italiano in ordine al carattere distorsivo della concorrenza degli aiuti concessi (Cons. Stato n. 2401/2015). 102 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2016 nuale e pluriennale dello Stato venivano prese iniziative funzionali alladempimento. In particolare, allarticolo 1, co. 351 e ss., sono state poste nel nulla sia lazione di recupero precedentemente svolta dallInps che le conseguenti cause in corso presso il giudice ordinario. La competenza istruttoria stata comunque attribuita allINPS che, sulla base delle informazioni trasmesse dalle imprese e del parere espresso dallAGCM, con lavviso di addebito procedeva al recupero delle somme dovute. La giurisdizione veniva attribuita ex lege al giudice amministrativo. Nellambito di un tale ed articolato contesto lINPS ha proposto ricorso presso il Consiglio di Stato n. RG 9315 del 2014, avverso la sentenza breve del Tar Veneto, Sez. I, n. 1150/2014. Con la sentenza impugnata il Tar Veneto ha ritenuto infatti che il ricorso proposto in primo grado dallimpresa beneficiaria avverso lavviso di addebito fosse fondato, assumendo la sussistenza di un difetto di istruttoria da parte dellAmministrazione per non aver compiuto alcuna attivit di verifica preordinata allaccertamento, in ciascuna fattispecie concreta, della idoneit delle agevolazioni fiscali alla produzione di un effetto distorsivo della concorrenza nel mercato interno, contravvenendo, pertanto, alla littera legis del testo di legge n. 228/2012. Lappello stato ritenuto fondato, anche sulla base della precedente sentenza 13 maggio 2015 n. 2401, a cui il Consiglio di Stato ha inteso conformarsi ai sensi dellart. 88, comma 2, c.p.a in ragione dei numerosi aspetti comuni tra le molteplici cause attinenti alla stessa vicenda ed in particolare per lomogeneit del settore - quello alberghiero (14) - in cui le vicende sono sorte. In primo luogo il Consiglio di Stato ha aderito allinterpretazione dei principi generali in materia di aiuti di stato e alla definizione della natura dellobbligo di assicurare lesecuzione della decisione europea come obbligo di risultato e il recupero non deve essere solo effettivo, ma immediato. Definiti i principi generali, il Consiglio di Stato espone la sequenza di decisioni amministrative e giurisdizionali adottate in attuazione dei medesimi principi dai competenti organi della Unione europea nella concreta vicenda in esame con conseguente individuazione dei compiti che ne risultano in capo allo Stato italiano, tenendo conto che nella presente causa si discute della legittimit degli atti con i quali si inteso dare loro attuazione. Riesaminato per tali fini il fatto, si rileva che la natura delle decisioni europee ha carattere ultimativo, definitivo e penetrante nel merito delle singole questioni tanto da rendere evidente che allo Stato italiano sono stati attribuiti compiti meramente esecutivi, riguardanti esclusivamente il recupero gli aiuti di Stato definitiva- (14) Quanto specificatamente al settore alberghiero, occorre considerare che la disciplina degli aiuti di Stato, cos come stata elaborata dalla Commissione europea in applicazione dell' art. 107 (ex 87) del Trattato, non prende in considerazione le attivit turistiche, ed in specie quelle alberghiere, con leffetto che in tale settore non possono che essere applicati gli orientamenti elaborati con riferimento a tutte le altre attivit economiche. Le attivit turistiche, in quanto attivit di impresa, vengono quindi equiparate alle attivit delle imprese del settore manifatturiero (Cons. di Stato n. 2401/2015). CONTENZIOSO NAZIONALE 103 mente giudicati illegittimi dalla Corte di Giustizia limitandosi a verificare la situazione individuale di ciascuna impresa mentre non spettano allo Stato italiano le valutazioni concernenti le finalit o le motivazioni dellaiuto. Alla luce di tali premesse il Consiglio di Stato ha ritenuto che le procedure straordinarie predisposte ad hoc dalla della legge n. 228 del 2012 (legge finanziaria per il 2013), art. 1 co. 351, basata su criteri di fattibilit e massima accelerazione nei tempi, siano legittime e giustificate anche dal prolungato stato di inadempienza in cui versava lItalia. Il Consiglio di Stato pertanto ha poi analizzato le modalit di svolgimento di tali compiti da parte dellINPS, essendo la controversia decisa dal Tar Veneto incentrata sulla carenza di istruttoria e sul difetto di motivazione degli atti di addebito. In tale sede, a seguito di un accurato esame, il provvedimento di primo grado stato censurato dimostrando la piena legittimit dellistruttoria in quanto svolta in conformit a quanto tassativamente previsto dai commi 351 ss. della legge n. 228/2012; parimenti stata illustrata la legittimit delle motivazioni adottate negli avvisi di addebito. Il Consiglio di Stato rigetta infine leccezione di prescrizione del diritto al recupero dello sgravio in ragione della diretta applicazione delle disposizioni della legge n. 228/2012, commi 351 e seguenti, che hanno tra laltro posto nel nulla lazione di recupero precedentemente svolta dallInps e sulla base di un esame della giurisprudenza europea di riferimento. Anche in merito al giudicato interno e sul rispetto delle norme interne, la Sezione richiama lorientamento del giudice europeo applicato costantemente dalla Corte di Cassazione secondo la quale lobbligatoriet del recupero, da parte dello Stato membro, non consente al giudice nazionale alcuna diversa valutazione al punto che nemmeno il giudicato di diritto interno (ex 2909 c.c.) pu impedire il recupero privando la pronunzia giurisdizionale di quel carattere di immutabilit nel tempo che la caratterizzava. Inoltre la conformazione del diritto interno al diritto comunitario deve trovare attuazione anche con riguardo alle regole, processuali o procedimentali (quali ad esempio quelle poste della legge n. 241 del 1990) che di tale diritto comunitario possono impedire una piena applicazione. Conseguentemente lunica chiave interpretativa della normativa di diritto interno, anche con riferimento a profili di legittimit costituzionale delle norme nazionali, ruota attorno alla prevalenza del diritto comunitario sulla norma nazionale e sul fine precipuo di garantire l'esecuzione immediata ed effettiva della decisione di recupero per realizzare la certezza delle norme comunitarie che permettono una interpretazione conforme in tutti gli Stati membri. Inoltre, in ossequio al principio di supremazia del diritto comunitario, riconosciuto da tutti gli Stati membri, con perdita a favore delle istituzioni comunitarie della propria sovranit legislativa, le sentenze della Corte di Giustizia hanno effetti vincolanti per i giudici nazionali chiamati a pronunziarsi sulle singole fattispecie recando norme integrative dellordinamento comunitario. 104 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2016 3. La questione di legittimit costituzionale: il legislatore italiano non avrebbe considerato il criterio del giudice naturale. Uno spazio autonomo stato riservato poi allesame di una serie di questioni di legittimit costituzionale dellart. 1, commi 355 e 356, della legge n. 228/2012 e dellart. 49 della legge n. 234/2012 per contrasto con gli artt. 3, 24, 25, 101, 111 della Costituzione. Le violazioni inoltre emergerebbero dal contrasto con il diritto ad un processo giusto ed equo cos come sancito dalla norma convenzionale di cui allart. 6 della CEDU, lillegittimit costituzionale della legge n. 228/2012 per contrasto con lart. 117 c. 1 Cost., quale norma interposta con la disposizione convenzionale CEDU. In senso unitario la norma censurata non sarebbe compatibile con la nozione di giurisdizione, in relazione agli specifici profili che la animano: lattribuzione della giurisdizione ad un giudice unico, limparzialit, la perdita del diritto allazione in ragione dellestinzione dei giudizi ope legis, lasserita inversione dellonere probatorio, la violazione della ragionevole durata del processo. Il Consiglio di Stato, in una visione pur unitaria e sistematica, ha chiarito la legittimit costituzionale delle disposizioni introduttive della procedura di recupero grazie ad uninterpretazione adeguata delle singole questioni. In tale contesto stata censurata lattribuzione della giurisdizione al giudice amministrativo poich oltre a sottrarre le controversie in questione al giudice ordinario, inteso come giudice naturale, il legislatore avrebbe anche individuato il giudice ex post facto, violando il principio del giudice precostituito per legge. In altre parole limparzialit del giudice stata intesa in riferimento alle specifiche qualifiche della naturalit e della precostituzione dellorgano giudicante. In merito alla prospettata violazione dellart. 25 della Costituzione il Consiglio di Stato ha evidenziato che tale valutazione si basa su uninterpretazione distorta e strumentale del dettato costituzionale ed in particolare dellart. 25, primo co., della Carta fondamentale. Nel caso in esame infatti, la devoluzione al giudice amministrativo delle controversie in esecuzione di una decisione di recupero confermano il ruolo neutrale del giudice amministrativo, supremo garante del pubblico potere in una materia ove gli interessi della collettivit, orientati al recupero di somme illegittimamente erogate, appaiano prioritari e tutelabili soltanto attraverso lesercizio di speciali poteri valutativi, costituzionalmente allo stesso riservati. In altre parole, il Consiglio di Stato non ravvisa nella norma in esame la violazione del principio dellimparzialit del giudice, in riferimento allo specifico profilo della precostituzione del giudice rispetto al fatto oggetto di controversia. Lattrazione delle controversie che possono sorgere a seguito dellapplicazione della procedura di recupero dei benefici indebitamente versati nella sfera di operativit del giudice amministrativo risulta del resto giustificata dallesigenza di adempiere con immediatezza ed efficacia agli obblighi comunitari. CONTENZIOSO NAZIONALE 105 4. Linterpretazione finalistica del Consiglio di Stato. Il Consiglio di Stato ha elaborato uninterpretazione adeguata a Costituzione (15) delle norme poste in attuazione degli obblighi europei sulla base di una valutazione finalistica (16) del principio del giudice naturale. Si tratta del resto di un criterio impiegato in molti casi dalla Corte costituzionale, secondo il quale non ammissibile che la decisione di un giudice diverso da quello che risulta dallautomatica applicazione dei criteri precostituiti produca un risultato, anche ipoteticamente, non omogeneo a quello che si sarebbe ottenuto presso il giudice naturale (17). In riferimento alle norme censurate sussisterebbe una violazione del principio costituzionale soltanto se il giudice amministrativo ed il giudice ordinario non garantissero un grado di tutela omogeneo. Sul punto si osserva che la scelta del legislatore di attribuire la giurisdizione al giudice amministrativo risponde allesigenza di garantire listruttoria caso per caso, non solo in adempimento allobbligo di attuazione ma anche in funzione della pi adeguata tutela (18). Il principio del giudice naturale cos inteso tenderebbe inoltre a censurare le sole ipotesi di sostituzione del giudice come persona fisica. La difficile definizione dei confini di un tale principio, suscettibile di interpretazione ora soggettiva ora oggettiva, sarebbe del resto conseguente al carattere polisemico della parola giudice nonch alluso ambivalente della nozione. Proprio in ragione di una tale ampiezza terminologica si animano le questioni applicative che potrebbero essere superate separando i diversi profili. In riferimento allaccezione soggettiva le norme in esame non appaiono censurabili; la norma invece occasione per animare una riflessione, in termini oggettivi, sul riparto di giurisdizione. La correttezza dellimpostazione finalistica emerge anche dal punto di vista dellesigenza di tutela, nellottica del risultato, alla base dellart. 25 della Costituzione: i principi di terziet ed imparzialit del giudice impongono che le decisioni siano (15) Il giudice nazionale ha del resto tre cappelli, essendo tenuto a fornire uninterpretazione delle leggi che sia adeguata alla Costituzione, al diritto dellUnione europea ed al diritto internazionale. Tali strumenti interpretativi non sono gerarchizzati: nei casi difficili, quelli in cui le soluzioni interpretative non sono omogenee, la scelta della via interpretativa da percorrere appare perci ardua. In altre parole, non sempre linterpretazione conforme alla fonti sovranazionali coincide allinterpretazione costituzionalmente orientata in ragione delluniformit di principi alla base dei diversi sistemi giuridici a confronto. G. PISTORIO, Interpretazione e giudice. Il caso dellinterpretazione conforme a diritto dellUnione europea, Napoli, Editoriale Scientifica, 2012, p. 377. (16) A. PIZZORUSSO, Giudice naturale, in Enc. giur. Treccani, Vol. XV, 1989. (17) A. PIZZORUSSO, Giudice naturale, op. cit. LAutore in particolare richiama la sent. Corte cost. n. 56/1967. (18) Nella sentenza si legge che La complessit della materia relativa alla possibile distorsione della concorrenza, il panorama normativo e giurisprudenziale di riferimento anche in relazione alle implicazioni di carattere internazionale, ha spinto il legislatore ad individuare nel giudice amministrativo la sede giurisdizionale pi opportuna per la trattazione di quei giudizi, contraddistinti da un temperamento del principio dispositivo tipico del sindacato giurisdizionale ordinario. 106 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2016 prevedibili e non sospette (19). A tal fine la disciplina positiva offre una serie di strumenti per prevedere lesito della controversia indipendentemente dalla persona del giudice, dalla parti e dalle loro qualit; tra i vari strumenti non pu che ritenersi incluso anche il criterio del giudice naturale e precostituito per legge inteso in senso finalistico. Il Consiglio di Stato ha valorizzato la scelta del legislatore sulla base di una valutazione delle caratteristiche del sindacato del giudice amministrativo e delle modalit di tutela cos garantite in una materia dai confini incerti. Al fine di illustrare il ragionamento del Consiglio di Stato risulta utile richiamare brevemente le caratteristiche fondamentali delle modalit di recupero degli aiuti di Stato. Laccertamento della sussistenza dellobbligo di recupero in sede europea costituisce titolo giuridico per lazione restitutoria, secondo lo schema dellart. 2033 c.c. Il recupero non integra una sanzione ma il mero ripristino della situazione esistente sul mercato interno precedente alla concessione e deve essere effettuato senza indugio, per mezzo di un procedimento predisposto dallo Stato membro (20). Si evidenzia che, anche in materia di aiuti di Stato, operativo un rigido controllo della fase di attuazione alla stregua del quale, seppure lo Stato membro vincolato ad un obbligo di risultato, lUnione si riserva di valutare anche le precise modalit di adempimento (21). In merito alla tutela giurisdizionale le soluzioni (19) G. COSTANTINO, La prevedibilit delle decisioni tra uguaglianza e appartenenza, Riv. Dir. proc. Civ., 2015, 3, p. 646. Chiarendo il significato e la funzione della prevedibilit dellesito giudiziario, lAutore riconosce come la nozione si presti ad essere valutata in senso oggettivo: in riferimento allaccertamento dei fatti e allapplicazione delle norme. Il profilo soggettivo invece, assume rilevanza proprio in riferimento alla diversa questione dellimparzialit e della terziet del giudice. Comune a tali e diversi ambiti il fine: lefficienza della giustizia, che necessita della cooperazione di tutte le figure professionali chiamate alla costruzione e alla manutenzione della cattedrale della giustizia. (20) Il recupero - che non integra una sanzione, bens il mero ripristino della situazione esistente sul mercato interno precedentemente alla concessione dellaiuto, ai sensi dellarticolo 14, paragrafo 3 del Regolamento di procedura va effettuato senza indugio secondo le procedure previste dalla legge dello Stato membro, ove ne consentano lesecuzione immediata ed effettiva. In conclusione, laccertamento della sussistenza dellobbligo di recupero avvenuta in sede comunitaria, integra il titolo giuridico per lesercizio della relativa azione restitutoria alla stregua del pagamento di indebito di cui allarticolo 2033 cod. civ. (Cons. Stato n. 2848/2015). La sentenza citata tratta linteressante tema della possibilit di invocare, in caso di benefici qualificati dalla Commissione come aiuti di Stato, il legittimo affidamento. Illustrata la funzione e lorigine pretoria del principio, il Consiglio di Stato esprime una posizione negativa, chiarendo che la Corte di Giustizia UE ha costantemente sostenuto che il beneficiario di un aiuto concesso illegittimamente non pu invocare il legittimo affidamento contro un ordine di recupero della Commissione, quando un operatore economico intelligente sarebbe stato in grado di accertarsi se laiuto riscosso era stato o meno notificato oppure se sia stata la stessa Commissione a fornire precise assicurazioni che una determinata misura non costituisse aiuto di Stato oppure che non fosse soggetta alla clausola sospensiva di cui allarticolo 108, paragrafo 3 del Trattato. (21) In altre parole, il rischio dellinadeguatezza delle soluzioni grava integralmente sullo Stato membro, le cui modalit di adempimento sono valutate in sede europea sulla base della pi adeguata tutela dellinteresse dellUnione. La legge 234/2012 ha perci correttamente apportato modifiche alle procedure, relative sia alla fase ascendente sia alla fase discendente del diritto UE, () allo scopo di rimediare alle criticit emerse nella prassi degli ultimi anni. Si spiegano cos in questi termini le norme CONTENZIOSO NAZIONALE 107 caso per caso adottate in sede di attuazione, in assenza di una norma espressa, non erano omogenee. Ai fini del riparto di giurisdizione assumeva particolare rilievo la natura (22) del beneficio, che finiva per determinare la giurisdizione ora del giudice tributario (23) ora del giudice ordinario Sezione lavoro (24) oppure del giudice amministrativo. In ragione di una tale incertezza, lo stesso legislatore intervenuto nellambito della legge 234/2012 che regola in generale la fase di attuazione degli obblighi comunitari, recependo un orientamento della giurisprudenza che attribuisce al giudice amministrativo la giurisdizione in materia di recupero degli aiuti di Stato (25). Lo stesso Consiglio di Stato nella sentenza n. 2401/2015 ha chiarito che La giurisdizione esclusiva prefigurata nellart. 49 l. 234/2012 va inquadrata alla luce della sua formula caratterizzante: gli atti e i provvedimenti adottati in esecuzione di una decisione di recupero di cui all'articolo 14 del regolamento (CE) n. 659/1999 del Consiglio, del 22 marzo 1999.., a prescindere dalla forma dellaiuto e dal soggetto che lha concesso.. La variet delle forme di aiuto e lintreccio in materia di aiuti di Stato, con un intero capo della legge, l'ottavo, ad essi dedicato, con disposizioni del tutto inedite rispetto al quadro normativo previgente C. FAVILLI, Ancora una riforma delle norme sulla partecipazione dellItalia alla formazione e allattuazione delle politiche dellUnione europea, Riv. dir. internaz., fasc. 3, 2013, pag. 701. (22) L'azione di recupero dipende dal tipo di aiuto concesso, non ne indifferente: la restituzione di una elargizione statale indebita realizza una fattispecie affatto diversa dal pagamento ora per allora di una prestazione illegittimamente esentata o ridotta. In entrambi i casi per il diritto europeo si di fronte ad un aiuto di Stato da recuperare, ma la natura, la struttura e il contenuto del recupero a cui deve procedere lo Stato interessato sono eterogenee. Ci che appare, dunque, come un fenomeno unitario per il diritto europeo (che considera esclusivamente gli esiti economici tanto dell'aiuto quanto del rimedio) non lo per il diritto nazionale (che non pu non considerare la diversit fenomenologica degli aiuti di Stato concretamente concessi); la configurazione giuridica del rapporto tra lo Stato e le imprese tenute alla restituzione di aiuti incompatibili varia in relazione alla tipologia di aiuto concesso G. ZANCHI, Laiuto di Stato incompatibile, il suo recupero e il diritto privato, Europa e Diritto Privato, fasc. 3, 2014, pag. 1051. (23) La Dottrina ha chiarito la distinzione tra gli aiuti diretti dagli aiuti indiretti; mentre nel primo caso l'attribuzione di un beneficio selettivo ad un'impresa pu essere conseguenza dell'adozione di un provvedimento amministrativo () che l'Amministrazione concedente pu in linea di principio revocare o annullare nel secondo caso, la relazione si instaura con l'applicazione della disciplina impositiva di tariffe, tributi o contributi. G. ZANCHI, Laiuto di Stato incompatibile, il suo recupero e il diritto privato, op.cit. Si chiarisce che la disciplina degli aiuti di Stato ha interessato in maniera sempre pi ampia loperatore tributario: se in origine erano suscettibili di essere definite tali solo le agevolazioni, ad oggi tale impostazione riduttiva: non sono pi le agevolazioni il fulcro della disciplina degli aiuti di Stato, ma tutti i trattamenti impositivi (potenzialmente) discriminatori o anticoncorrenziali, che possano essere qualificati come aiuti di Stato. Oggetto di tale divieto divengono, pertanto, le disposizioni di ogni sistema tributario, i tributi, l'insieme di tributi che potenzialmente possano presentare tutti i requisiti della fattispecie e produrre un effetto selettivo, discriminatorio o anticoncorrenziale. Il passaggio in esame, gi latente in alcuni precedenti della Corte di Giustizia, si conclamato nella sentenza Gibilterra, molto importante nella ambito della presente indagine R. MICELI, La metamorfosi del divieto di aiuti di Stato nella materia tributaria, Rivista di Diritto Tributario, fasc. 1, 2015, pag. 31. (24) Sulla base delle norme del rito sommario di cognizione. (25) Alle liti in questione, di natura impugnatoria, oppositiva, si applica il rito abbreviato (art. 109 c.p.a). 108 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2016 di norme, di ordinamenti, di amministrazioni e di situazioni giuridiche concrete, spiega, in termini costituzionali (art. 103 Cost.), la scelta da parte del legislatore della attribuzione della giurisdizione esclusiva ad un giudice unico delimitando, daltro canto, alcuni limiti di tale giurisdizione che pur sempre opera entro un ambito preciso atteso che gli atti ed i provvedimenti nazionali di recupero sono adottati, per definizione dellart. 48 e dellart. 49 l. 234/2012, in esecuzione di una decisione di recupero della Commissione europea. La norma oggetto di censura risulta pertanto coerente ed omogenea allindicazione generale della legge 234/2012 che, radicando tutti i giudizi in questione innanzi al giudice amministrativo, ha donato chiarezza (26) ad una materia sul punto incerta. La scelta del legislatore oggetto di censura, essendo conforme alla ratio dellart. 49 legge 234/2012, ha un intento sistematico: ricondurre la particolare vicenda del recupero dei benefici illegittimamente concessi ai lavoratori di Chioggia e Vicenza alla regola generale. Il legislatore criticato perci lungi dal violare il principio del giudice precostituito per legge lo considera invece quale criterio (27) normativo, funzionale a garantire la prevedibilit dellesito giudiziario nellottica della pi adeguata tutela. Del resto, pur in assenza di un intervento legislativo ad hoc in punto di giurisdizione, loperatore giuridico avrebbe potuto ricostruire la regola (28) sulla base delle indicazioni della giurisprudenza e della generale soluzione indicata nella legge (26) Del resto la stessa tensione alla certezza del diritto che impone, sotto il profilo tecnico, da una parte la chiarezza della legge, dallaltra la costanza e la coerenza dei giudizi. G. TARELLO, Storia della cultura giuridica moderna, Il Mulino, 1976, p. 293. (27) A. PIZZORUSSO, Giudice naturale, op. cit. (28) Seppure avesse ragionato in termini di eccezione rispetto alla regola generale contenuta nella legge 234/2012, si noti che la tendenza a ragionare per eccezione tipica del modello giuridico esprime propensioni inevitabilmente centrifughe rispetto alla regola () Nella prospettiva delleccezione gli eventi sono infatti necessariamente e sempre unici ma questa unicit, lungi dallesprimere percentualmente la limitatezza del loro rilievo, sul piano generale indicano piuttosto la loro capacit di ridefinire esattamente dal lato opposto i complessi contesti nel cui ambito si colloca la regola A. DE NITTO, Ancora su scienza e tecnica nella giurisprudenza, in F. CERRONE (a cura di), Alessandro Giuliani: il giurista e linterpretazione tra logica ed etica, op. cit. p. 154. Si evidenzia che la riflessione dellAutore posta nellambito della trattazione del diverso tema relativo alluso della tecnica del precedente ed presentata in tale nota come una mera suggestione di carattere metodologico. Abilita probabilmente un tale collegamento la somiglianza, in ordine alla configurazione dei casi di effetto giuridico sopravvenuto, tra lipotesi di un mutamento di giurisprudenza e dellentrata in vigore di una norma nuova. In un contesto in cui il giurista teorico analizza con maggiore interesse le caratteristiche del diritto giudiziario, in ragione dellanalogia in ordine agli effetti del mutamento, sarebbe opportuno estendere le tutele e le garanzie elaborate allipotesi di mutamento del legislatore. S. TURATTO, Overrulling in materia processuale e principio del giusto processo, Nuove leggi civ. comm., 2015, 6, 1149. Nel caso in esame il problema non si pone tuttavia neppure in questottica poich lintervento legislativo ha regolato una realt dai confini incerti; non esistendo una regola predeterminata in punto di giurisdizione, si procedeva in via interpretativa sulla base del criterio della natura dellaiuto. Peraltro il legislatore intervenuto per riportare a normalit, allinterno dellordinamento giuridico nazionale e comunitario, una situazione di prolungata e risalente inadempienza dello Stato italiano (la Commissione si era pronunziata il 25 novembre 1999) suscettibile di determinare pesanti conseguenze sanzionatorie a carico dellItalia da parte della stessa Unione Europea (Sent. Cons. Stato in esame). CONTENZIOSO NAZIONALE 109 234/2012. Anche lelemento temporale (29) ha rilevanza nellambito della procedura di interpretazione adeguata alla Costituzione delle norme censurate: lesigenza di procedere in maniera efficace ed immediata (30) emerge non solo dal carattere risalente della vicenda ma soprattutto dallinsufficienza delle soluzioni adottate dallo Stato italiano. Lottica temporale e funzionalista, imposta del resto dalla sussistenza di obblighi comunitari la cui violazione comporta linfrazione dello Stato, pu indurre a considerare la questione del riparto di giurisdizione come un elemento di rigidit, sicch essa male risponde talora alle esigenze particolari dei tempi, dei luoghi e delle persone (31). In altre parole il legislatore ha in ogni caso garantito la tutela giurisdizionale dei beneficiari e ci ridimensiona, per le ragioni sopra espose, la questione dellinadeguatezza della norma al criterio del giudice naturale, esaurendosi in una questione interna di riparto della giurisdizione. Il legislatore non ha negato la giurisdizione e perci il diritto allazione, ha invece uniformato una situazione caratterizzata da incertezza alla regola generale. Un tale ridimensionamento si pone nella consapevolezza che le questioni interne (32) non per questo (29) Il caso in esame mostra come la temporalit non quindi una dimensione che opera nello sfondo delle dinamiche interpretative. G. REPETTO, Per unermeneutica della rilevanza. La teoria dellargomentazione di Alessandro Giuliani e il suo contributo allo studio della giurisprudenza della Corte europea dei diritti delluomo, op. cit., p. 578. (30) Il legislatore ha posto disposizioni di carattere straordinario ed emergenziale e meramente attuativo ed esecutivo, a fronte delle stringenti sollecitazioni della Corte di Giustizia e della Commissione europea (comunicazione del 10.7.2012). Il regolamento in attuazione dellart. 108 FUE, all'art. 14, par. 2, reg. 659/99 stabilisce infatti che il recupero va effettuato senza indugio secondo le procedure previste dalla legge dello Stato membro interessato, a condizione che esse consentano l'esecuzione immediata ed effettiva della decisione della Commissione. (31) E.P. CASELLI, Magistratura, Digesto italiano, Vol. XV, 8 dicembre 1903. La fissit e lindeclinabilit della giurisdizione un carattere comune a tutti gli stati continentali poich tutti hanno subito arbitri dei principi in materia di giustizia mentre d il benefizio, talora pi teorico che pratico, duna grande fissit e certezza nello svolgimento della funzione giurisdizionale della magistratura d per alla medesima rigidit, pesantezza, lentezza dazione sicch essa male risponde talora alle esigenze particolari dei tempi, dei luoghi e delle persone. (32) Con pi ampie criticit la questione pu essere posta in riferimento alla natura interna del principio di intangibilit del giudicato e alle nuove riflessioni che un tale limite ha animato in sede di interazione del sistema nazionale con il sistema europeo. Proprio la materia degli aiuti di Stato un osservatorio delle rivestizioni del principio del giudicato ed in particolare dellelaborazione del principio del giudicato a formazione progressiva. M. LEMBO, I rapporti tra giudicato nazionale e diritto dellUnione nella giurisprudenza della CGUE, Dir. e Prat. Trib., 2015, 6, p. 936. Nellambito del caso in esame stata prospettata lillegittimit della norma anche in riferimento a tale profilo afferente alla giurisdizione. La sentenza del Consiglio di Stato 2401/2015 sul punto ha chiarito che Sul giudicato interno e sul rispetto delle norme interne, la Sezione richiama lorientamento del giudice comunitario (v. Corte di Giustizia, 18 luglio 2007, in causa C-119/05, Lucchini; Corte di Giustizia, 3 settembre 2009, in causa C-2/08, Olimpiclub) applicato dalla Corte di Cassazione con numerose pronunzie (Cass. sez. un. n. 26948 del 2006; n. 6756 del 2012; n. 6538 del 2012; n. 7162 del 2013 ed altre) che ha rilevato che lobbligatoriet del recupero, da parte dello Stato membro, non consente al giudice nazionale alcuna diversa valutazione al punto che nemmeno il giudicato di diritto interno (ex 2909 c.c.) pu impedire il recupero privando la pronunzia giurisdizionale di quel carattere di immutabilit nel tempo che la caratterizzava. Inoltre la conformazione del diritto interno al diritto comunitario deve trovare attuazione anche con ri- 110 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2016 scolorano alla luce delle nuove questioni che linterazione tra sistemi anima sulla base del principio di prevalenza dellordinamento comunitario. Il Consiglio di Stato, sulla base del ragionamento gi illustrato nellambito della sentenza n. 2401/2015, ha correttamente affrontato la questione del riparto di giurisdizione nella consapevolezza che essa implica il delicato tema del rapporto (33) tra autonomia procedurale dello Stato membro ed obbligo di interpretazione conforme. Del resto, anche la questione di legittimit costituzionale della norma stata elaborata sulla base di un tale contrasto che il remittente tuttavia ha reputato insanabile (34). Il Consiglio di Stato ha invece illustrato che il giudice nazionale non competente a sindacare nel merito la compatibilit dellaiuto di Stato con il diritto comunitario; la valutazione riservata alla Commissione e poi alla Corte di Giustizia. In questi casi lo Stato italiano non ha di norma la possibilit di operare una valutazione difforme da quella operata in sede comunitaria poich linteresse da bilanciare con le aspettative delle imprese destinatarie degli aiuti ha carattere sovranazionale e riguarda lattuazione di vincoli di matrice comunitaria: la vera questione, la compatibilit o meno dellaiuto di Stato, si consuma soprattutto nella giurisdizione e nel diritto dellUnione con leffetto che la giurisdizione amministrativa concorrente, ma subordinata alla giurisdizione della Corte di Giustizia. In ogni caso il legislatore ha configurato laiuto di Stato come una materia particolare, delimitata ed unitaria, grazie alla formula dellart. 49 a prescindere dalla forma dellaiuto e dal soggetto che lha concesso, nella prospettiva di ununica norma di riferimento posta dallart. 108 del TFUE, preordinata alla guardo alle regole, processuali o procedimentali (quali ad esempio quelle poste della legge n. 241 del 1990) che di tale diritto comunitario possono impedire una piena applicazione. Conseguentemente lunica chiave interpretativa della normativa di diritto interno, anche con riferimento a profili di legittimit costituzionale delle norme nazionali, ruota attorno alla prevalenza del diritto comunitario sulla norma nazionale e sul fine precipuo di garantire l'esecuzione immediata ed effettiva della decisione di recupero per realizzare la certezza delle norme comunitarie che permettono una interpretazione conforme in tutti gli Stati membri. Inoltre, in ossequio al principio di supremazia del diritto comunitario, riconosciuto da tutti gli Stati membri, con perdita a favore delle istituzioni comunitarie della propria sovranit legislativa, le sentenze della Corte di Giustizia hanno effetti vincolanti per i giudici nazionali chiamati a pronunziarsi sulle singole fattispecie recando norme integrative dellordinamento comunitario. (33) La connessione ambigua e lascia aperti margini di incertezza piuttosto rilevanti. Interpretazione conforme e autonomia procedurale sono del resto due tra i meccanismi di funzionamento del diritto europeo ove maggiore il problema della garanzia della certezza del diritto. Vi sono, peraltro, altri significativi punti in comune tra i due strumenti. Entrambi fanno leva sull'idea del giudice interno come organo dell'ordine giudiziario europeo. Entrambi in qualche modo sono ricondotti al sistema dei Trattati e al principio di leale cooperazione S.C. MATTEUCCI, Obbligo di interpretazione conforme a diritto UE e principio di autonomia procedurale in relazione al diritto amministrativo nazionale, Rivista Italiana di Diritto Pubblico Comunitario, fasc. 6, 2014, pag. 1175. (34) Il procedimento di interpretazione conforme rappresenta invece uno strumento interpretativo ulteriore e funzionale alla ricerca di soluzioni che permettono di salvare la disposizione che appare illegittima. Una tale considerazione potrebbe concretizzare la nota indicazione della stessa Corte costituzionale: le leggi non si dichiarano costituzionalmente illegittime perch possibile darne interpretazioni incostituzionali ma perch possibile darne interpretazioni costituzionali (Corte. cost. n. 356/1996). CONTENZIOSO NAZIONALE 111 tutela della concorrenza ed alla protezione dei rapporti di mercato effettivi e non lesivi del diritto dimpresa. Pertanto il principio del primato si mostra in materia di aiuti di Stato sia sul piano normativo, assumendo carattere preminente lart. 108 TFUE, sia sul piano giurisdizionale. La giurisdizione interna, che sia attribuita al giudice ordinario oppure al giudice amministrativo, chiamata a mostrarsi in applicazione del procedimento di interpretazione conforme ed in ogni caso subordinata alla giurisdizione della CGUE. Inoltre il giudice ordinario ed il giudice amministrativo sono alla stesso modo chiamati a sollevare la questione pregiudiziale di interpretazione, ex art. 267 TFUE, grazie alla quale la CGUE attribuisce alla disposizione europea un significato autentico che orienta ed uniforma le scelte applicative del giudice nazionale (35). Per tali ragioni la questione cos prospettata non assume rilievo: nellottica delloperatore giuridico europeo il valore dellimparzialit si concretizza nella neutralit del giudice, il quale, al di l della questione interna del riparto di giurisdizione, deve apparire come supremo garante del pubblico potere, in una materia ove gli interessi della collettivit, orientati al recupero di somme illegittimamente erogate, appaiono prioritari e tutelabili soltanto attraverso lesercizio di speciali poteri valutativi, costituzionalmente allo stesso riservati (36). Il Consiglio di Stato, in conformit alle indicazioni fornite con la sentenza n. 2401/2015, ha perci correttamente interpretato il problema dellinterazione della norma processuale nazionale con il sistema europeo. Il principio di prevalenza dellordinamento comunitario si concretizzato nelloperativit del procedimento di interpretazione conforme della norma processuale ai principi europei (37), per mezzo dei quali nellordinamento italiano transita un sistema di valori e di interessi sovranazionali che in materia di aiuti di Stato compongono limmagine del mercato unico europeo. In altre parole, il Consiglio di Stato ha adempiuto, in riferimento al criterio del giudice naturale, allobbligo di attivare la procedura di interpretazione adeguatrice delle norme censurate (38). (35) A. GIULIANI, Le disposizioni sulla legge in generale: gli articoli da 1 a 15, in Trattato di Diritto privato. La tutela dei diritti, P. RESCIGNO (a cura di), Torino, Utet, 1998. (36) Cons. Stato n. 2401/2015. (37) Si tratta di ricercare una interpretazione della regole di procedura che non ostacoli l'applicazione del diritto materiale UE da parte delle corte. Parte della dottrina a tale riguardo ha impiegato il termine funzionalizzazione di tali regole al diritto UE come forma specifica che assume la tecnica dell'interpretazione conforme nell'ambito del principio di autonomia procedurale S.C. MATTEUCCI, Obbligo di interpretazione conforme a diritto UE e principio di autonomia procedurale in relazione al diritto amministrativo nazionale, op. cit. (38) Infatti, anche nel giudizio di non manifesta infondatezza, tentare di ricondurre ad unitariet la complessit dellordinamento nel momento del suo effettivo riscontro, individuando dalla disposizione quella sola norma che pu trarsi sul piano della giuridica esistenza. La quale non potr che essere linterpretazione conforme a Costituzione G. CARAPEZZA FIGLIA, Il giudice e la Costituzione tra non manifesta infondatezza e interpretazione adeguatrice in P. FEMIA (a cura di), Interpretazione a fini applicativi e legittimit costituzionale, Edizioni Scientifiche italiane, 2006, p. 508. 112 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2016 Si segnala infine che la questione dellimparzialit dellorgano giudicante stata di recente affrontata anche dalla giustizia tributaria. Con lordinanza n. 280/3/2014, la Commissione tributaria provinciale di Reggio Emilia ha infatti rimesso alla Corte costituzionale una serie di questioni di legittimit costituzionale di un complesso di norme che configurano limparzialit e lindipendenza del giudice tributario in relazione allart. 6 CEDU e allinterpretazione che di tale norma fornita dalla Corte di Strasburgo. In particolare la Corte di Strasburgo ha interpretato il valore dellindipendenza nel senso che possono esistere condizioni esteriori, a livello di mere apparenze, che possono compromettere o pregiudicare lamministrazione imparziale della giustizia (39). Nel caso Delcourt (40) la Corte ha trovato loccasione per affermare che justice must not only be done; it must also been seen to been done: sulla base di una tale interpretazione del valore dellimparzialit, il sistema tributario italiano non garantirebbe rimedi specifici a tutela delle apparenze. Consiglio di Stato, Sezione Terza, sentenza 27 luglio 2015 n. 3679 - Pres. Romeo, Est. Palanza - Istituto Nazionale Previdenza Sociale (avv.ti A. Sgroi, L. Maritato, C. DAlosio, E. De Rose) c. Soc. C. & D.O. s.r.l. (avv.ti M.E. Verino, L. Tosi, N. Bardino). (...) FATTO e DIRITTO I fatti di causa possono essere sintetizzati come segue: Con lart. 5 bis del d.l. n. 96/95, convertito dalla l. n. 206/95 e con lart. 27 del d.l. n. 669/96, convertito dalla l. n. 30/97 che a sua volta rinviava al decreto ministeriale del 5 agosto 1994, il legislatore italiano ha introdotto una serie di benefici contributivi nel periodo 1995/1997 in favore dei datori di lavoro che svolgevano la loro attivit nelle citt di Chioggia e Venezia. Di tali benefici non veniva data preventiva comunicazione alla Commissione europea al fine di valutarne la compatibilit con la disciplina comunitaria in materia di aiuti di stato. La Comunit europea, venuta a conoscenza della erogazione di tali benefici, avviava un procedimento che si concluso con la decisione del 25 novembre 1999 (2000/394/CE). Nella predetta decisione si statuito che i benefici fruiti dalle aziende ai sensi della sopradetta legislazione e dellart. 1 del d.m. 5.8.1994 sono aiuti di stato e sono incompatibili con il mercato comune quando sono stati accordati ad imprese che non sono piccole e medie imprese e che sono localizzate al di fuori delle zone aventi diritto alla deroga prevista. (39) L.P. COMOGLIO, Precostituzione, indipendenza ed imparzialit del giudice, in E. FAZZALARI (a cura di) Diritto processuale civile e Corte Costituzionale, Edizioni Scientifiche Italiane, 2006, p. 95; lAutore richiama in nota la sentenza CEDU, 26 ottobre 1984, Cubber. (40) Corte Cedu sent. 17 gennaio 1970. Lesigenza che sia garantita lapparenza di indipendenza dellorgano giudicante stata affermata - in questo caso - in sede penale; lapplicazione di tale principio in materia penale stata fornita invece nel caso Ocalan, sent. 12 maggio 2005. In particolare stato stabilito che lapparenza di indipendenza non sia garantita considerando soltanto la composizione dellorgano giudicante quando si pronuncia sulla condanna dellimputato. Per conformarsi ai requisiti dellart. 6 in materia di indipendenza, il tribunale contestato deve infatti apparire indipendente dal potere esecutivo o legislativo in ciascuna delle fasi del procedimento. CONTENZIOSO NAZIONALE 113 Tale Decisione della Commissione europea era stata assunta a conclusione di una articolata e dialettica fase istruttoria in cui era intervenuto, non solo lo Stato italiano con le proprie osservazioni e chiarimenti, ma anche il Comune di Venezia ed il comitato Venezia vuole vivere che aveva presentato uno studio effettuato dal Coses (consorzio per la ricerca e la formazione) inteso a dimostrare le difficolt che le imprese operanti nella laguna incontravano rispetto alle imprese della terraferma concludendo per lassenza di un effetto reale o anche potenziale di distorsione della concorrenza. La stessa Commissione insistentemente chiedeva allItalia ulteriori notizie e chiarimenti. La Decisione della Commissione europea del 25 novembre 1999 (punti 61 e ss. e paragrafo V, Conclusioni), dopo avere esaminato, sia alcuni casi particolari ad essa sottoposti, sia le problematiche di carattere generale del regime di aiuti, statuiva che le imprese della laguna, di norma, venivano a trovarsi in una situazione pi vantaggiosa rispetto alle imprese concorrenti che dovevano sostenere la totalit degli oneri, con il risultato che la concorrenza e gli scambi ne risultavano alterati. In alcuni casi in cui la Commissione aveva avuto la concreta disponibilit dei dati di fatturato aziendale e del flusso di origine dei clienti e dunque era possibile una analisi individuale, caso per caso. Lo stesso organo ha giudicato sistematicamente irrilevanti, tranne sporadiche eccezioni, tutte le pur articolate argomentazioni presentate, ritenendo assorbente, ai fini della applicazione della normativa in esame, la considerazione della astratta potenzialit dellaiuto a incidere sugli scambi comunitari. Solo in specifici casi gli aiuti concessi dallo Stato italiano venivano considerati in astratto compatibili con il mercato comune, se accordati alle piccole e medie imprese (PMI) ai sensi della disciplina comunitaria degli aiuti di Stato alle piccole e medie imprese, alle imprese che non corrispondevano a tale definizione, localizzate in una zona ammissibile alla deroga di cui allart. 87, paragrafo 3, lett. c), del Trattato, a qualsiasi altra impresa che assumeva categorie di lavoratori con particolari difficolt di inserimento o di reinserimento nel mercato di lavoro secondo gli orientamenti comunitari in materia di occupazione (punto 105). A ci doveva aggiungersi il criterio de minimis, come criterio di ordine generale escludente lobbligo di recupero (punto 110). Sulla base di tale decisione la Commissione affidava allItalia lobbligo di adottare tutti i provvedimenti necessari per recuperare presso i beneficiari gli aiuti dichiarati incompatibili con il mercato comune secondo le procedure del diritto nazionale e con relativi interessi a decorrere dalla data in cui le somme erano state poste a disposizione dei beneficiari fino al loro effettivo recupero. La decisione veniva notificata allo Stato Italiano il 10 gennaio 2000. Tale decisione veniva impugnata da numerose imprese interessate (59) nel settembre 2000 davanti al Tribunale di Lussemburgo, il quale selezionava 4 cause pilota (promosse rispettivamente da Hotel Cipriani, Italgas, Coopservice e Comitato Venezia vuole vivere), in quanto ritenute riepilogative delle questioni proposte dalle varie aziende ricorrenti. Con sentenza del 28 novembre 2008 (T-254/00) il Tribunale di Lussemburgo, decidendo le cause pilota, le respingeva. La sentenza del Tribunale di Lussemburgo veniva impugnata dalle ricorrenti delle cause pilota, ma la Corte di Giustizia respingeva le impugnazioni proposte con sentenza C-71/09 del 9 giugno 2011 specificando che: a) nel caso di un programma di aiuti la Commissione studia le caratteristiche del programma di cui trattasi per valutare nella motivazione della sua stessa decisione se, in base alle modalit previste da tale programma, esso assicuri un vantaggio sensibile ai beneficiari rispetto ai loro 114 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2016 concorrenti e sia tale da giovare essenzialmente a imprese che partecipino agli scambi tra Stati membri (punto 63 della sentenza 9 giugno 2011); b) se in base alla valutazione di cui sopra la Commissione reputa un regime di aiuti incompatibile con il mercato comune e per leffetto ordina il recupero degli aiuti illegittimamente erogati ... spetta poi allo Stato membro verificare la situazione individuale di ciascuna impresa interessata da una simile operazione di recupero (punto 64 della sentenza 9 giugno 2011); c) prima di procedere al recupero, in particolare, le Autorit nazionali devono necessariamente verificare in ciascun caso individuale, se lagevolazione concessa pu, in capo al suo beneficiario, falsare la concorrenza ed incidere sugli scambi intracomunitari (punto 115); d) spetta alle autorit nazionalipreviamente dimostrare alla luce delle considerazioni esposte ai punti 113-121, che le agevolazioni concesse costituiscono, in capo ai beneficiari, aiuti di stato (punto 183). In concomitanza con la sopra richiamata sentenza della Corte di Giustizia, il Tribunale di Lussemburgo ha ordinato la riapertura degli altri procedimenti (altri rispetto alle cause pilota) e con successiva ordinanza ha respinto i ricorsi. Appellate le ordinanze del Tribunale, la Corte di Giustizia, con ordinanza del 4 settembre 2014, ha respinto le impugnazioni ribadendo il principio della istruttoria caso per caso di cui alla sopra citata sentenza del 9 giugno 2011 e che Le autorit nazionali erano tenute a verificare in ciascun caso individuale se le agevolazioni concesse fossero idonee a falsare la concorrenza e ad incidere sugli scambi comunitari. A seguito della decisione della Commissione europea lo Stato italiano ha avviato il procedimento di recupero degli aiuti incompatibili affidandolo allI.N.P.S. (dora in poi, per comodit solo INPS, Inps o Istituto), il quale in una prima fase ha operato tramite cartelle esattoriali ai sensi del d.lgs. n. 46/1999. Tali cartelle venivano impugnate davanti al giudice del lavoro presso il Tribunale di Venezia con atti di opposizione. Ne seguivano articolati procedimenti che nella generalit di casi erano ancora in corso al momento delle definitiva pronuncia sulle cause pilota della Corte di giustizia europea C- 71/09 del 9.6.2011. Con successiva sentenza C-302-09 del 6.10.2009 la medesima Corte di giustizia dichiarava che: La Repubblica italiana, non avendo adottato, nei termini stabiliti, tutte le misure necessarie a recuperare presso i beneficiari gli aiuti concessi in base al regime di aiuti dichiarato illegittimo e incompatibile con il mercato comune dalla decisione della Commissione 25 novembre 1999, 2000/394/CE, relativa alle misure di aiuto in favore delle imprese nei territori di Venezia e di Chioggia previste dalle leggi n. 30/1997 e n. 206/1995, recanti sgravi degli oneri sociali, venuta meno agli obblighi ad essa incombenti ai sensi dellart. 5 di detta decisione. Lo Stato italiano assumeva conseguenti e adeguate iniziative per adempiere alle precise indicazioni contenute nella sentenza definitiva della Corte di giustizia sulla vicenda. Il 1 gennaio 2013 entrava in vigore la legge 24 dicembre 2012 n. 228 recante Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato il cui articolo 1, co 351 e ss., ha tra laltro posto nel nulla lazione di recupero precedentemente svolta dallInps e le conseguenti cause in corso presso il giudice ordinario. In base alla procedura definita dalle disposizioni appena richiamate lIstituto inviava alle imprese un formulario per la valutazione della compatibilit con il mercato comune degli aiuti concessi alle imprese operanti nei territori di Venezia e Chioggia nel periodo 1.7.1994 - 30.12.1997, prescrivendo alle imprese di fornire gli elementi, corredati da idonea documentazione, necessari per la identificazione dellaiuto anche con riferimento alla sua idoneit a CONTENZIOSO NAZIONALE 115 falsare la concorrenza e incidere sugli scambi comunitari. LIstituto comunque decideva di intraprendere dufficio, anche al di l della acquisizione del formulario, una istruttoria preordinata allazione di recupero di cui causa. Alcune imprese impugnavano il formulario, che veniva annullato dal TAR, con sentenza poi passata in giudicato, essendo stato il successivo appello dellINPS giudicato irricevibile per tardivit dal Consiglio di Stato. Nella istruttoria lInps si comunque attenuta alle indicazioni fornite nel parere espresso dallAutorit garante della concorrenza e del mercato ai sensi dellart. 22 della legge n. 287/1990, come prescritto dal comma 354 dellart. 1 della legge n. 228 del 2012. In tale parere venivano individuati i mercati rilevanti e gli ambiti merceologici di massima in cui erano attive le imprese che allepoca dei fatti avevano fruito delle agevolazioni di cui causa. La Autorit aveva assunto, quale costante parametro di valutazione, lidoneit delle suddette agevolazioni ad influenzare la domanda anche transfrontaliera, ritenendo tuttavia che non erano in grado di influenzare le dinamiche concorrenziali ed il commercio intracomunitario, gli sgravi contributivi a favore delle imprese che allepoca dei fatti soddisfacevano una domanda tipicamente locale o per i cui beni e servizi offerti non erano ravvisabili flussi di import/ export come la ristorazione, i servizi di barbiere, parrucchiere, attivit di panificazione, attivit di giardinaggio. Infine, allesito di tale istruttoria, condotta nei termini prescritti dalla legge n. 228, sulla base delle informazioni trasmesse dalle imprese e del parere espresso dallAGCM, lInps, con lavviso di addebito oggetto di impugnazione in primo grado davanti al Tar Veneto, procedeva al recupero delle somme dovute. Con la sentenza impugnata il Tar Veneto riteneva che il ricorso fosse fondato con riferimento ai motivi di gravame con cui le ricorrenti lamentavano la violazione dellart. 1, commi 351 e segg., della legge n. 228 del 2012, nonch per carenza di istruttoria e di motivazione in quanto lInps, prima di procedere al recupero, non avrebbe in concreto verificato se gli sgravi concessi erano idonei effettivamente a falsare la concorrenza ed incidere negativamente sugli scambi comunitari generando una distorsione della libera concorrenza con specifico riferimento alla situazione di mercato esistente al momento di operativit dellagevolazione stessa. Per il Tar era insufficiente laffermazione contenuta negli impugnati avvisi di addebito secondo cui risulterebbe valutata lidoneit dellagevolazione fruita dallimpresa in indirizzo a falsare od a minacciare la concorrenza ed incidere sugli scambi comunitari, trattandosi di dichiarazione meramente tautologica e di stile, in quanto priva di ogni riscontro valutativo dal quale si potesse desumere liter motivazionale che aveva condotto a ritenere la contestata agevolazione alla stregua di un aiuto di Stato in contrasto con la normativa comunitaria. Il Tar quindi accoglieva il ricorso assumendo la sussistenza di un difetto di istruttoria da parte dellAmministrazione per non aver compiuto alcuna attivit di verifica preordinata allaccertamento, in ciascuna fattispecie concreta, della idoneit delle agevolazioni fiscali alla produzione di un effetto distorsivo della concorrenza nel mercato interno, contravvenendo, pertanto, alla littera legis del testo di legge n. 228/2012. Venivano di conseguenza assorbite le ulteriori doglianze proposte da parte ricorrente. LInps in proprio e quale mandatario di Societ Cartolarizzazione dei crediti Inps (S.C.C.I. s.p.a.) ha presentato appello per la riforma della sentenza del Tar. Nellatto di appello lIstituto evidenzia i criteri alla base del formulario per la redazione del quale lInps ha sentito le categorie interessate con un incontro in data 14 febbraio 2013 e si avvalsa della Direzione Servizi Pubblici Locali e Promozione della Concorrenza della Autorit garante della concorrenza e del mercato. 116 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2016 Lappellante eccepisce lerroneit della pronunzia del giudice di prime cure nella parte in cui ritiene il difetto di istruttoria ritenuto dal Tar. Parte appellata si costituita nel giudizio di appello contestando puntualmente le ragioni addotte dallInps e riproponendo i motivi e le eccezioni dedotte in primo grado non esaminate e/o assorbite dal primo giudice. In sede cautelare questo Consiglio di Stato ha disposto la sospensione della sentenza appellata con lordinanza 12 dicembre 2014 n. 5667. In vista delludienza di trattazione parte appellata ha depositato memorie e documentazione difensiva. 2. Lappello fondato sulla base delle motivazioni seguenti che richiamano anche quelle di cui alla precedente sentenza 13 maggio 2015 n. 2401, decisa da questa Sezione nella stessa udienza e a cui questa sentenza intende conformarsi ai sensi dellart. 88, comma 2, c.p.a con riferimento ai numerosi aspetti generali comuni tra le molteplici cause attinenti alla stessa vicenda o almeno nellambito di gruppi omogenei tra esse. In particolare vengono in rilievo gli aspetti propriamente riguardanti il settore alberghiero, nel quale rientra lazienda di cui alla presente causa e quella di cui alla richiamata sentenza n. 2401. 3. Alla motivazione della sentenza n. 2401 si fa in particolare riferimento per le premesse generali e comuni alle controversie generate dalla vicenda esposta al punto 1 ed in particolare per la esposizione della normativa (artt. 107, artt. 108 e 109 TFUE etc ) e della giurisprudenza della Unione europea sul regime proprio degli aiuti di Stato nel diritto della Unione europea oltre che per le questioni comuni al settore alberghiero. Non risultano infatti contestate nel presente giudizio le conclusioni a cui queste premesse conducono nel senso che al giudice nazionale del tutto preclusa la valutazione della compatibilit dellaiuto con il mercato comune in base ai criteri enunciati dallart. 107 (ex 87) del Trattato, trattandosi di compito che spetta in via esclusiva solo alla Commissione europea sotto il controllo del giudice comunitario. Ai fini della definizione dellambito proprio del presente giudizio, devono, quindi, essere tassativamente delimitati i compiti che spettano allo Stato italiano e corrispondentemente quelli del giudice nazionale nel controllo di legittimit degli atti sulla base delle decisioni concretamente assunte dagli organi della Unione europea compresi quelli che ne hanno verificato in ambito giurisdizionale la legittimit. Dalla ricognizione svolta con particolare ampiezza nella sentenza n. 2401 risulta che lo Stato membro, destinatario di una Decisione che gli impone di recuperare aiuti illegittimi, tenuto, ai sensi dellart. 249, quarto co., Trattato CE ad adottare ogni misura idonea ad assicurare la esecuzione della Decisione; si tratta di un obbligo di risultato e il recupero non deve essere solo effettivo, ma immediato. N potrebbero addursi impossibilit impreviste o imprevedibili di recupero, tali non essendo n le difficolt giuridiche, ed in specie procedurali e conseguenti a provvedimenti cautelari o giudiziari anche passati in giudicato, n pratiche, n politiche. Il concetto di impossibilit assoluta stato costantemente interpretato in maniera restrittiva dalle Corti comunitarie ed stato escluso che la impossibilit possa essere rinvenuta nella normativa nazionale sulla prescrizione (cfr. Comunicazione della Commissione 2007 C 272/05 punti 18-20) o su qualsiasi altra normativa interna tale da rendere difficoltoso o impossibile il recupero. 4. Definiti i principi generali (anche con il rinvio alla precedente sentenza n. 2401), viene di seguito esposta la sequenza di decisioni amministrative e giurisdizionali adottate in attuazione dei medesimi principi dai competenti organi della Unione europea nella concreta vicenda in esame con conseguente individuazione dei compiti che ne risultano in capo allo Stato ita- CONTENZIOSO NAZIONALE 117 liano, tenendo conto che nella presente causa si discute della legittimit degli atti con i quali si inteso dare loro attuazione: - nel caso in esame le misure di aiuto disposte dallo Stato italiano avevano riguardato: a) gli sgravi contributivi di cui allart. 1 del decreto del ministero del Lavoro del 5 agosto 1994 in favore delle imprese situate a Venezia e Chioggia; b) lo sgravio totale degli oneri sociali di cui allarticolo 2 del decreto del 5 agosto 1994 per i nuovi posti di lavoro creati nelle imprese situate a Venezia a Chioggia; - le autorit italiane, prima della Decisione finale del novembre 1999, avevano rappresentato alla Commissione che gli sgravi contributivi erano stati concessi per ovviare ai sovraccosti sostenuti dalle imprese operanti nelle isole della laguna quali, tra altri, costi di localizzazione elevati, costi aggiuntivi derivanti dal rispetto dei vincoli architettonici e paesaggistici, oneri logistici, disagi ambientali, invecchiamento e calo demografico della popolazione, regresso delle attivit industriali, trasformazione di Venezia in citt museo priva di vitalit e potenzialit di sviluppo ecc.; - lintervento pubblico, secondo lintendimento del legislatore italiano, aveva la finalit di ripristinare parzialmente le condizioni di concorrenza tra imprese e avrebbe consentito alle stesse imprese di confrontarsi con le altre su un piano di parit; - la Commissione europea si era quindi pronunciata sulla legittimit degli sgravi alla stregua della disciplina sugli aiuti di Stato, affermando che: a) le misure adottate costituivano un regime di aiuti di Stato ai sensi dellart. 107 (87), paragrafo 1, del Trattato comportando per lInps perdite di contributi, (il che equivaleva ad utilizzazione di risorse pubbliche), mentre le imprese, per effetto delle disposte misure, venivano a trovarsi in una situazione di sostanziale vantaggio rispetto alle imprese concorrenti che dovevano sostenere la totalit degli oneri; b) inoltre le imprese beneficiarie erano per lo pi imprese manifatturiere e nel settore dei servizi, con intensi scambi con gli Stati membri che venivano avvantaggiati, mentre le possibilit di altre imprese stabilite negli Stati membri di esportare i loro prodotti ne risultavano diminuite; c) il carattere compensatorio dellintervento non escludeva che si trattasse di aiuto di Stato e che il Trattato non mirava alla salvaguardia di una situazione di perfetta parit teorica tra imprese che invece operavano in un contesto reale e non in un mercato perfetto nel quale le condizioni che si trovavano ad affrontare erano assolutamente identiche. - di conseguenza larticolo 1 della parte dispositiva della Decisione della Commissione del 1999 disponeva che in alcuni casi gli aiuti potevano considerarsi compatibili quando erano accordati alle piccole e medie imprese, o ad imprese localizzate in zona ammissibile alla deroga di cui allart. 87 paragrafo 3, lettera c), del Trattato (gli aiuti destinati ad agevolare lo sviluppo di talune attivit o di talune regioni economiche, sempre che non alterassero le condizioni degli scambi in misura contraria al comune interesse) ovvero a qualsiasi altra impresa che assumeva categorie di lavoratori con particolare difficolt di inserimento o di reinserimento nel mercato del lavoro. Per il resto, gli aiuti erano incompatibili ed andavano recuperati da parte dello Stato italiano (articolo 5); - i ricorrenti davanti la Corte di giustizia non hanno dimostrato lesistenza di circostanze particolari che consentissero di affermare che, nonostante la natura di aiuti al funzionamento degli aiuti di cui trattasi, la Commissione avrebbe dovuto astenersi dallordinarne il recupero. La sentenza affermava anche che neppure la Commissione, nel corso del procedimento di esame, aveva ricevuto alcuna informazione specifica relativa a tali imprese dalla quale potesse sorgere lobbligo procedurale di prendere in considerazione la loro situazione individuale; 118 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2016 - poich la Decisione della Commissione europea si era occupata delle caratteristiche generali del regime di aiuti in questione, anche in relazione al loro carattere multisettoriale, sullo Stato italiano veniva imposto un onere di verificazione della concreta situazione individuale di ciascuna impresa beneficiaria dellagevolazione ed interessata dalle operazioni di recupero; - infatti, lo Stato italiano informava la Commissione europea che su un totale di circa 2.000 imprese beneficiarie, solo gli aiuti percepiti da 517 imprese sarebbero illegittimi; - come ricordato nella parte espositiva la decisione della Commissione era impugnata da 59 imprese. Il Tribunale e poi la Corte di giustizia della Unione europea decidevano respingendo i ricorsi per 4 cause pilota ( Hotel Cipriani, Italgas, Coopservice e Comitato Venezia vuole vivere). Conclusivamente la Corte di giustizia con la sentenza 9 giugno 2011 specificava che la Commissione aveva valutato la legittimit del programma e ordinato il recupero degli aiuti illegittimamente erogati e che spetta poi allo Stato membro di verificare la situazione individuale di ciascuna impresa interessata da una simile operazione di recupero; - nel frattempo, dal 2000 al 2011, mentre si svolgevano le cause presso gli organi giudiziari della Unione europea, lo Stato italiano procedeva al recupero degli aiuti incompatibili affidandolo allI.N.P.S. che ha operato tramite cartelle esattoriali ai sensi del d.lgs. n. 46/1999, impugnate davanti al giudice del lavoro presso il Tribunale di Venezia con atti di opposizione. La massima parte di tali cause erano ancora pendenti al momento della conclusione del giudizio presso la Corte di giustizia; - si quindi determinata, per varie ragioni, anche legittime, una situazione di gravissimo contrasto con lo spirito e la lettera della disciplina europea in tema di divieto di aiuti di Stato e di recupero delle somme erogate e con la decisione nel frattempo assunta dalla Corte di giustizia in merito alla stessa vicenda, in quanto a distanza di 11 anni dalla decisione della Commissione lazione di recupero non vi stato alcun recupero delle somme versate, salvo sporadici casi di spontaneo adempimento; - tale situazione giuridicamente definita nellambito dellUnione europea dagli organi competenti ed in via ultimativa dalla sentenza della Corte di giustizia del 6 ottobre 2011 nella causa C-302/09, che dichiara che lo Stato italiano venuto meno agli obblighi ad esso incombenti ai sensi dellart. 5 della decisione della Commissione 25 novembre 1999, 2000/394/CE. Sono seguite le conseguenti comunicazioni della Commissione che in data 10.7.2012, constatato il persistente inadempimento hanno sollecitato lo Stato italiano al recupero e in data 20.11.2013 ha proposto alla Corte di Giustizia di comminare, nei confronti dellItalia, una sanzione pecuniaria nella forma di: a) una somma forfettaria calcolata sulla base di euro 24.578,40 per ogni giorno trascorso tra la data della prima sentenza ex art. 258 TFUE (6.10.2011); b) una penalit di mora giornaliera pari a euro 187.264,00 dal giorno in cui la Corte di Giustizia pronuncer la seconda sentenza fino al completo adempimento; - con la legge n. 228/2012 (legge di stabilit per il 2013), all articolo 1, commi da 351 a 356, si inteso dare un seguito adeguato a tali determinazioni assumendo comportamenti proporzionati alle difficolt fino ad allora incontrate che avevano impedito il recupero. Viene perci introdotta una disciplina del tutto speciale e straordinaria allo scopo di chiudere una situazione critica di grave ritardo e di rispondere alla indifferibile e ultimativa sollecitazione rivolta allo Stato italiano dalla Corte di giustizia, come espressa nella comunicazione della Commissione europea del 10.7.2012, che ha escluso, tra laltro, che ostacoli di ordine giudiziario possano valere per lo Stato italiano come esimente dellobbligo di assicurare la restituzione dellaiuto di stato illegale. 5. La sequenza delle decisioni assunte nellambito della Unione europea, con il loro carattere ultimativo, definitivo e penetrante nel merito delle singole questioni, consente di determinare CONTENZIOSO NAZIONALE 119 al di fuori di ogni ragionevole dubbio i compiti meramente esecutivi che spettano allo Stato italiano e di conseguenza lambito del presente giudizio nella valutazione di legittimit degli atti posti in essere nella esecuzione di tali compiti nel rigoroso rispetto delle competenze che spettano ai diversi livelli nella specifica materia e del principio di legalit che presiede allesercizio di tali competenze nei diversi ordinamenti. Di conseguenza: - spettano allo Stato italiano esclusivamente i compiti relativi al recupero gli aiuti di Stato definitivamente giudicati illegittimi dalla Corte di Giustizia limitandosi a verificare la situazione individuale di ciascuna impresa e in specie se la situazione di ogni singola impresa prevede aspetti che possano escludere in ciascun caso che si sia determinato quel vantaggio sensibile ai beneficiari rispetto ai loro concorrenti e che il vantaggio sia tale da giovare essenzialmente a imprese che partecipino agli scambi tra Stati membri (punto 63 della sentenza 9 giugno 2011); - non spettano allo Stato italiano le valutazioni concernenti le finalit o le motivazioni dellaiuto, intere tipologie di imprese ovvero la comune localizzazione delle stesse e ogni altra qualificazione che per il suo carattere macroscopico e collettivo si deve considerare rientrante nelle decisioni gi assunte dai competenti organi della Unione europea la cui legittimit gi stata verificata dalle Corti competenti. 6. Come gi detto, la sentenza della Corte di Giustizia europea del 9 giugno 2011 accerta in via definitiva lincompatibilit degli aiuti con il mercato comune consolidando definitivamente tutte le valutazioni di competenza dellUnione europea da cui scaturiscono le azioni esecutive di competenza dello Stato italiano. La successiva sentenza del 6 ottobre 2011 trae le conseguenze della precedente sentenza e del prolungato stato di inadempienza in cui versa lItalia per il periodo che intercorre dal 2001 al 2011 e lo condanna per non aver adottato le misure necessarie a recuperare gli aiuti dichiarati illegittimi e incompatibili con il mercato comune. Pertanto, nel contesto sopra delineato sono evidenti le premesse che giustificano e legittimano, anche sul piano costituzionale, le procedure straordinarie predisposte ad hoc dalla della legge n. 228 del 2012 (legge finanziaria per il 2013), art. 1 co. 351 e ss. Tali disposizioni definiscono concrete e realistiche modalit per lo svolgimento dei compiti che spettano allo Stato italiano come chiariti dalla sentenza del 9 giugno 2011, secondo criteri di fattibilit e massima accelerazione nei tempi: - tali compiti sono circoscritti anche in via legislativa in piena conformit con la sentenza n. 9 giugno 2011 alla sola verifica delle singole imprese quanto alla idoneit dellagevolazione concessa, in ciascun caso individuale a falsare la concorrenza ed incidere sugli scambi intracomunitari; - lattuazione di tale compito allINPS viene accompagnata dalla definizione di procedure obbligatorie tassative e perentorie nei termini e nelle modalit, tali da rendere fattibile laccertamento individuale sulla illiceit o meno dellaiuto e da giungere in ogni caso ad un esito; - attribuito infatti alle imprese beneficiarie lobbligo di fornire esse stesse entro 30 giorni gli elementi e la documentazione necessaria per la identificazione dellaiuto di Stato illegale anche con riferimento alla idoneit dellagevolazione concessa, in ciascun caso individuale a falsare la concorrenza ed incidere sugli scambi intracomunitari; - ne consegue secondo la stessa legge che, sulla base di una istruttoria cos semplificata e dei parametri di giudizio forniti da un apposito parere dellAGCM, lINPS deve limitarsi ad accertare se le informazioni e la documentazione fornita dalle imprese contengano elementi che escludono la illiceit degli aiuti nel caso singolo e in caso contrario procedere senzaltro al recupero. Infatti, se le informazioni o i documenti non sono trasmessi entro il termine previsto dalla legge la idoneit dellaiuto presunta; 120 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2016 - vale a dire che le valutazioni generali che hanno condotto a considerare illegittimo laiuto nelle sue linee generali e la casistica che pu condurre ad escludere singole imprese, sulla base delle loro caratteristiche individuali restano a tutti gli effetti quelli stabiliti dagli organi della Unione europea nelle diverse fasi fino alle sentenze conclusive e definitive della Corte di Giustizia, con le specificazioni ai fini dellapplicazione nel contesto italiano fornite da un organismo tecnico specializzato in tema di concorrenza come AGCM; - allINPS spetta la meccanica applicazione dei parametri stabiliti dagli organi della UE e dellAGCM alle imprese individuali giovandosi della esperienza e conoscenza propria dellINPS che sono quelle proprie di organismo esattoriale verso le singole imprese e che dunque specializzato nella conoscenza e nella interazione con le singole imprese. 7. Sullo svolgimento di tali compiti, secondo le procedure definite dai commi 351 ss. della legge n. 228/2012 (oltre che sugli aspetti di costituzionalit e gli effetti di ordine temporale inclusa la prescrizione di tale normativa), si incentra il presente giudizio in appello che attiene in primo luogo alla loro attuazione. Infatti, il Tar Veneto ha accolto il ricorso per la violazione dellart. 1, commi 351 e ss. della legge n. 228 del 2012, da cui consegue la carenza di istruttoria e di motivazione degli atti di addebito adottati dallInps, che, prima di procedere al recupero, non avrebbe in concreto verificato se gli sgravi concessi erano idonei effettivamente a falsare la concorrenza ed incidere negativamente sugli scambi comunitari generando una distorsione della libera concorrenza con specifico riferimento alla situazione di mercato esistente al momento di operativit dellagevolazione stessa. Per il Tar era insufficiente laffermazione contenuta negli impugnati avvisi di addebito secondo cui risulterebbe valutata lidoneit dellagevolazione fruita dallimpresa in indirizzo a falsare od a minacciare la concorrenza ed incidere sugli scambi comunitari, trattandosi di dichiarazione meramente tautologica e di stile. Pertanto, nel riesame delle conclusioni del TAR, sono esaminate nei sottopunti seguenti del presente punto 7 e nel punto 8 le principali questioni sollevate dallappello dellINPS avverso i motivi del ricorso di primo grado accolti dal Tar per lannullamento dellavviso di addebito impugnato oltre alle ragioni con le quali la azienda in questa causa appellata insiste sui predetti motivi. Nei punti successivi all8 sono invece esaminati e respinti gli altri motivi respinti o considerati assorbiti validamente riproposti in appello dalla appellata ai sensi dellart. 101, comma 2, c.p.a.. 7.1. La prima e principale argomentazione per laccoglimento del ricorso in primo grado da parte del Tar - contestata dallINPS nellappello e riproposta con ampia argomentazione nelle memorie dellappellata - verte sulla asserita carenza di istruttoria da parte dellINPS. La istruttoria individuale in base alle esposte premesse il compito attribuito allo Stato italiano e per esso allINPS coadiuvato dal parere AGCM, ma tale compito rigorosamente delimitato e circoscritto agli aspetti residuali rispetto a quanto stabilito dalla Decisione e dalle successive pronunzie del giudice comunitario, che ne hanno convalidato la piena legittimit fino alla condanna dello Stato italiano per il mancato recupero dei aiuti illegali a distanza di molti anni dallaccertamento della illegalit. 7.2. - Il Tar non ha infatti adeguatamente considerato che, a monte della attivit svolta dallINPS, si pongono tutte le determinazioni gi assunte in sede europea con riferimento allaiuto di stato in oggetto che si riferiscono esplicitamente a tutte le caratteristiche generali del programma considerato illecito aiuto di Stato con riferimento alle imprese localizzate nei comuni di Venezia e Chioggia. Tali caratteristiche gi definite e vagliate in sede europea includono quindi con tutta evidenza la localizzazione e le principali tipologie di imprese, che sono state quindi filtrate dalla Commissione e soprattutto dalle diverse pronunce degli organi giurisdi- CONTENZIOSO NAZIONALE 121 zionali, che hanno sancito pochissimi casi di esclusione, per lo pi prontamente applicati dallINPS. 7.3. - In base a tali tassative indicazioni non spetta allINPS di accertare se laiuto di stato in questione sia - in generale o in via collettiva per i principali gruppi o tipologie di impresa coinvolte - in grado di alterare la concorrenza negli scambi intracomunitari perch ci proprio il nucleo essenziale di quanto gi stato definitivamente deciso in sede europea. AllINPS spetta solo di accertare se con riferimento ad ogni singola impresa concorrano elementi specifici, individuali e particolari che alla luce dei parametri e della casistica fissati in sede europea siano in grado di escludere che quella singola impresa possa alterare gli scambi infracomunitari. In altre parole, lambito di accertamento che viene rimesso allINPS estremamente ristretto concernendo solo le caratteristiche individuali di ogni singola impresa. Ne consegue che la istruttoria assume quel grado di automaticit che risulta con massima evidenza dalla procedura introdotta dalla legge n. 228, per la quale nel maggior numero dei casi listruttoria si risolve nellaccertamento negativo della inesistenza di cause escludenti della generale illiceit dellaiuto gi dichiarata dalla Commissione e convalidata dagli organi giurisdizionali della Unione europea ovvero addirittura nella inesistenza presunta di tali cause in mancanza dellinvio di informazioni o documentazione da parte di singole imprese. La legge n. 228 prevede, in immediata risposta alla sentenza della Corte di Giustizia europea del 6 ottobre 2011 di condanna dellItalia per il mancato recupero degli aiuti in questione, una procedura concentrata semplificata e finalizzata alladempimento degli obblighi gravanti sullItalia nella considerazione dellestremo ritardo in cui si svolge. 7.4. La legge n. 228 prescrive tassativamente che lINPS si limiti a compiere tale accertamento sulla base degli ulteriori parametri forniti dal parere dellAGCM, delle informazioni e della documentazione che limpresa ha lobbligo di trasmettergli, ritenendosi altrimenti provata lilliceit dellaiuto. Il comma 354 definisce attivit istruttoria solo gli atti con i quali si richiedono e acquisiscono le informazioni e la valutazione concernente ununica questione: se dalle informazioni o dalla documentazione sia emersa o sia presunta lidoneit della agevolazione a falsare o minacciare la concorrenza e incidere sugli scambi comunitari. Lunica questione che lINPS deve valutare quindi se emergono dalla documentazione trasmessa elementi che, sulla base della casistica indicata dalla Commissione europea o dallAGCM, escludono una o pi condizioni di illiceit dellaiuto. Luso del verbo emergere, nella disposizione citata, ha una precisa e rilevante implicazione ai fini di causa nel senso di non richiedere allInps una specifica attivit di indagine, in quanto i dati rilevanti devono emergere dalla documentazione trasmessa dalle interessate con riferimento alla posizione specifica e individuale di ciascuna. Essendo questa la definizione legislativa della istruttoria evidente che in capo allINPS stato posto un accertamento materiale assai limitato, privo di qualsiasi discrezionalit e attinente alle competenze che lINPS possiede e che non riguardano la materia della concorrenza, ma la conoscenza delle singole imprese e la capacit di interagire con ciascuna di esse in materia di pagamenti. Del resto, non essendo lINPS un ente preposto alla tutela della concorrenza, appare del tutto ragionevole che i compiti ad esso affidati fossero limitati a valutare solo lapplicabilit di parametri da altri stabiliti alle caratteristiche dichiarate e dimostrate dalle imprese, che in questo caso si riferiscono alle esimenti della illiceit dellaiuto per evidente inidoneit a influire sugli scambi infracomunitari. 7.5. - Si pu quindi affermare che nel caso in esame listruttoria si risolve nella applicazione pedissequa e meccanica della casistica presentata dalle Corti europee e, in subordine, per ulteriori concrete esplicitazioni dallAGCM, salvo che le imprese non presentino esse stesse 122 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2016 elementi nuovi. Nei casi in cui tale evenienza si verificata sia pure con ritardo nel corso del presente giudizio la Sezione ha difatti disposto con apposita ordinanza collegiale una riapertura della istruttoria allINPS. 7.6. Cos definite e delimitate, da decisioni dellUnione europea e dalla normativa legislativa introdotta ad hoc, le questioni in causa, evidente che la localizzazione e la natura delle attivit svolte dalle imprese non possono essere considerate nel presente giudizio come esimenti essendo gi state valutate dalla Commissione e dalla Corte di Giustizia europea che hanno concluso per la idoneit degli aiuti in questione ad alterare la concorrenza. Allo stesso modo sono altrettanto estranee al presente giudizio altre problematiche generali del regime di aiuti come il fatto che gli sgravi, andando ad avvantaggiare le imprese che operavano nelle citt interessate, potevano essere goduti da qualsiasi altra impresa che avesse localizzato i propri lavoratori nella medesima citt. Siffatte questioni sono state, infatti, esaminate in ogni ragionevole prospettiva e in tutte le possibili implicazioni, a monte, dalla Commissione europea e successivamente dal Giudice comunitario e respinte con motivazioni che, per quanto aventi una portata generale e astratta, inerendo al regime di aiuti e non ai singoli aiuti, non lasciano trapelare spazi di accoglimento dato che i singoli casi individuali perfettamente rientrano nella regola generale. Con leffetto che, salvo casi particolari che possono rinvenirsi nelle strettissime maglie della Decisione della Commissione nonch nelle pronunzie dei giudici comunitari, avvalendosi dei medesimi criteri metodologici utilizzati nelle stesse, la attivit istruttoria ai fini del recupero non poteva che svolgersi sulla ricorrenza di quei casi di compatibilit che proprio la Commissione aveva ritenuto come non contrastanti con la normativa comunitaria. 7.7. Una altra autonoma questione che concerne listruttoria la lamentata incongruenza della redazione del formulario trasmesso dallInps alle imprese, che per questa ragione stato annullato in alcuni casi con sentenza del Tar Veneto, passata in giudicato. Su questo punto occorre confermare la valutazione espressa in precedenti ordinanze della Sezione nei casi interessati. Secondo le richiamate ordinanze: lintervenuto annullamento del formulario redatto dallInps di intesa con l AGCM (nei casi di cui alle sentenze Tar Veneto n. 1052/2013 e Cons. Stato n. 1553/2014) non incide sul dato di fatto che gli atti depositati dallInps dimostrano leffettivo svolgimento dellistruttoria, essendo il formulario un mero strumento e quindi un atto endoprocedimentale, non previsto come tale dalla legge, che richiede solo lacquisizione degli elementi e della documentazione da parte delle singole imprese. Tale acquisizione risulta nel caso in esame dimostrata agli atti, salva la valutazione relativa alla pertinenza, esattezza e sufficienza dei contenuti di ciascuna istruttoria da rinviare allesame di merito. Lannullamento del formulario pertanto irrilevante, dal momento che esso realizzava una mera semplificazione procedurale, attinente ad un aspetto meramente organizzativo per di pi a beneficio delle imprese, che dovevano comunque trasmettere allInps le informazioni e la documentazione come di fatto hanno fatto, anche se fuori da termini e precise procedure. Secondo le pi volte citate disposizioni della legge n. 228 erano comunque le singole imprese che dovevano trasmettere le informazioni che ritenevano utili allINPS per dimostrare la loro eventuale estraneit a scambi di rango intracomunitario e quindi la non idoneit dei contributi ricevuti a provocare una distorsione della concorrenza. Le norme di legge dovevano essere comunque applicate dalle imprese, dato che si rivolgevano direttamente a loro e prevedevano che, in caso di rifiuto o omissione senza giustificato motivo, a fornire le informazioni o esibire i documenti, lidoneit dellagevolazione a falsare o a minacciare la concorrenza ҏ presunta (co. 353). Di fronte ad una disciplina finalizzata alla accelerazione delle procedure di recupero CONTENZIOSO NAZIONALE 123 delle somme, dopo un periodo cos lungo di estenuante confronto tra tutte le parti in gioco in sede europea e nazionale, non possono essere seriamente opposte le garanzie partecipative, di cui alla legge n. 241 del 1990, o la irreperibilit dei documenti in contrasto con lart. 2220 c.c. In particolare, sullonere di mantenere le scritture contabili sufficiente rilevare che la impresa non poteva certo affermare la propria posizione soggettiva al diritto agli sgravi contributivi invocando sic et simpliciter l'insussistenza dell'obbligo di conservare le scritture contabili oltre dieci anni (Cass. civile sez. I 26 gennaio 2011 n. 1842 ). In ogni caso la impresa non poteva non essere a conoscenza della Decisione della Commissione europea del 1999 e dunque era tenuta, per ci solo, a mantenere i documenti che in ipotesi avrebbero consentito di dimostrare la non incidenza degli sgravi contributivi sulla concorrenza. 7.8. Sempre sulle questioni concernenti lattivit istruttoria con particolare riferimento alla presente causa, occorre considerare il caso specifico del settore alberghiero. Vanno dunque precisate le determinazioni gi assunte dagli organi competenti in sede europea con riferimento al settore alberghiero nellambito della presente vicenda per come sono state poi precisate con riferimento allordinamento italiano dal parere dellAGCM. stato precisato dalla Corte di Giustizia del 9 giugno 2011 che la disciplina degli aiuti di Stato, cos come stata elaborata dalla Commissione europea in applicazione dell'art. 107 (ex 87) del Trattato, non prende in considerazione le attivit turistiche, ed in specie quelle alberghiere, con leffetto che in tale settore non possono che essere applicati gli orientamenti elaborati con riferimento a tutte le altre attivit economiche. Le attivit turistiche, in quanto attivit di impresa, vengono quindi equiparate alle attivit delle imprese del settore manifatturiero. Se vero che per quanto riguarda le strutture ricettive, in generale, l'individuazione da parte del consumatore-cliente dell'albergo secondaria rispetto alla scelta della meta di destinazione, in particolare per il turismo che interessa la citt di Venezia, dove determinante il richiamo eccezionale della citt d'arte, della Mostra del cinema o di particolari eventi, tuttavia non pu, nel contempo, non rilevarsi che le censure che avrebbero potuto giustificare un trattamento differenziato del settore turistico-alberghiero, sono state direttamente o indirettamente esaminate e respinte dalla Commissione europea prima, e dal giudice comunitario dopo, con riferimento, alla posizione del tutto emblematica e riepilogativa delle possibili particolarit, dellhotel Cipriani, questultimo situato in un contesto del tutto particolare caratterizzato dallevidente limitazione allentrata nel mercato di nuove imprese alberghiere. In nessun caso la Commissione europea ed il giudice comunitario hanno inteso ritenere che gli aiuti al Cipriani, per la localizzazione geografica esclusiva dellalbergo e per il tipo di prodotto offerto nella citt di Venezia, non potessero determinare una distorsione della concorrenza. Lo stesso ragionamento riguarda anche la societ alberghiera appellata, dato che il ragionamento stesso stato sviluppato con riferimento alla categoria di impresa cui essa appartiene e cio con riferimento alla industria alberghiera di fascia alta, come ha precisato il parere dellAGCM. In generale, per gli alberghi, secondo la giurisprudenza comunitaria, il fatto di trovarsi nella citt di Venezia o sulle isole della laguna pu offrire grande libert nella fissazione dei prezzi e rappresentare un vantaggio concorrenziale significativo. Inoltre si osserva che i costi supplementari sostenuti per i disagi lagunari sono ampiamente compensati dai prezzi pi alti ed in definitiva dalla attrazione unica della citt lagunare. Deve, infine, considerarsi che per gli alberghi di fascia alta localizzati in citt dotate, per ragioni diverse, di attrattivit e prestigio, si manifesta una ampia potenzialit di concorrenza per la ospitalit connessa alla organizzazione di eventi internazionali per loro natura collocabili alternativamente in sedi anche molto distanti e a questi fini competitive fra loro. 124 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2016 7.9. - In conclusione, per quanto concerne la legittimit della istruttoria svolta, si potrebbe anche osservare che, come emerge dalla documentazione in atti, lInps ha effettuato una attivit istruttoria improntata a caratteri di concreta fattibilit tenuto conto della mole della posizioni da esaminare; lattivit istruttoria ha comportato laudizione delle imprese che lo avevano richiesto o il reperimento da parte dellInps di ulteriore documentazione al fine di inquadrare le problematiche pur a fronte dellelevato numero delle imprese beneficiarie dellaiuto. LInps ha fornito alla predetta Autorit garante per la concorrenza e per il mercato lelenco delle aziende beneficiarie degli sgravi contributivi e in potenza destinatarie del recupero con specifica indicazione dei settori economici e delle attivit da ciascuna effettivamente esercitate. LIstituto stato invitato dallAutorit sopradetta ad utilizzare, quale modello guida per la predisposizione della richiesta di informazioni prevista dalla legge n. 228/2012, il Formulario per la comunicazione di una operazione di concentrazione in uso presso lAutorit; la motivazione di tale scelta era riposta nella analogia della materia e nelle tipologie di settori di attivit in cui le imprese operavano. Inviato tale formulario ed acquisite le risposte dalle imprese, lInps le ha verificate, comunque reperendo, circostanza non irrilevante nella vicenda, anche dufficio, la documentazione afferente alla singola posizione individuale o per settori di attivit. 8. Dopo aver analizzato le argomentazioni del Tar e le questioni sollevate dalla appellata in ordine alla carenza dellattivit istruttoria e, in contrasto con tutte queste, avere dimostrato la piena legittimit dellistruttoria in quanto svolta in conformit a quanto tassativamente previsti dai commi 351 ss. della legge n. 228/2012, con analoghe motivazioni pu affermarsi anche la legittimit delle sommarie motivazioni adottate negli avvisi di addebito, nelle quali per le ragioni ampiamente dette e ripetute deve considerarsi sufficiente il richiamo alle decisioni assunte dagli organi della Unione europea e al parere AGCM, tranne il caso che lazienda abbia prospettato effettive condizioni individuali che la esentino dalla illiceit dellaiuto e quindi non rientrino nelle motivazioni generali gi contenute nelle decisioni degli organi della Unione europea o nel parere AGCM, appositamente richiamati nella pur stringata motivazione standard. Tale circostanza nel caso in esame non si verifica e quindi la motivazione che richiama le decisioni sovraordinate certamente sufficiente e legittima. In base alla giurisprudenza di questa Sezione del Consiglio di Stato, lobbligo di motivazione di provvedimenti esecutivi di decisioni sovraordinate va inquadrato, senza formalismi, nel contesto complessivo del procedimento nellambito del quale si devono collocare, logicamente e giuridicamente, tutti i presupposti che hanno presidiato lattivit procedimentale. Una volta delimitato lambito di accertamento rimesso allINPS appare evidente che nel caso in esame la motivazione risulta del tutto sufficiente rispetto ai fini. Essa, infatti, avrebbe dovuto indicare le eventuali ragioni riscontrate dallINPS e giudicate idonee ad impedire il recupero dellaiuto gi dichiarato illegittimo dai competenti organi dellUnione europea. Non essendo state evidenziate circostanze individuali particolari che consentissero di individuare delle eccezioni alla situazione definita a livello europeo, lINPS non aveva aspetti da motivare se non quello unico relativo alla mancata rappresentazione di elementi idonei a configurare una ipotesi esimente rispetto alla situazione definita dalle competenti istituzioni europee. Si pu dunque affermare che nel caso in esame la stessa legge che presuppone una motivazione solo nei casi in cui siano forniti elementi in grado di modificare i compiti dellINPS imponendogli attivit ulteriore rispetto alla mera esecuzione meccanica. 9. Deve essere autonomamente esaminato il motivo di appello concernente la questione di legittimit costituzionale dellart. 1, commi 355 e 356, della legge n. 228/2012 e dellart. 49 CONTENZIOSO NAZIONALE 125 della legge n. 234/2012 per contrasto con gli artt. 3, 24, 25, 101, 111. Si eccepisce anche la violazione del diritto ad un processo giusto ed equo cos come sancito dalla norma convenzionale di cui allart. 6 della CEDU, lillegittimit costituzionale della legge n. 228/2012 per contrasto con lart. 117 c.1 Cost., quale norma interposta con la disposizione convenzionale CEDU. Tali censure sono manifestamente infondate. 9.1. In primo luogo deve osservarsi che questo motivo di appello censura in termini di incostituzionalit proprio quegli aspetti straordinari della procedura predisposta ad hoc dalla legge n. 228/2012 per la soluzione della situazione di inadempienza dellItalia nei confronti della Unione europea che si determinata nellambito della vicenda in esame. proprio questa situazione che infatti legittima misure straordinarie quali quelle adottate allo scopo di rispettate norme fondamentali dei Trattati europei, che concorrono a definire il quadro delle norme di rango costituzionale in determinate materie tra quella degli aiuti di Stato. Inoltre le censure avanzate per incostituzionalit contraddicono quelle in precedenza proposte per violazione della medesima legge n. 228 e costituiscono unimplicita ammissione da parte dellappellata che la legge stata formulata proprio nei termini in cui stata correttamente interpretata e applicata. Per questo se ne afferma lincostituzionalit, la cui manifesta infondatezza di seguito dimostrata. 9.2. Per quanto attiene alla giurisdizione esclusiva prefigurata nellart. 49 della legge n. 234/2012, va premesso che essa va inquadrata alla luce della sua formula caratterizzante: gli atti e i provvedimenti adottati in esecuzione di una decisione di recupero di cui all'articolo 14 del regolamento (CE) n. 659/1999 del Consiglio, del 22 marzo 1999.., a prescindere dalla forma dellaiuto e dal soggetto che lha concesso. La variet delle forme di aiuto e lintreccio di norme, di ordinamenti, di amministrazioni e di situazioni giuridiche concrete, spiega, in termini costituzionali (art. 103 Cost.), la scelta da parte del legislatore della attribuzione della giurisdizione esclusiva ad un giudice unico delimitando, daltro canto, alcuni limiti di tale giurisdizione che pur sempre opera entro un ambito preciso atteso che gli atti ed i provvedimenti nazionali di recupero sono adottati, per definizione dellart. 48 e dellart. 49 della legge n. 234/2012, in esecuzione di una decisione di recupero della Commissione europea. Quindi suppongono come gi decisa e come legittima la necessit del recupero, dando adito solo ai presupposti fattuali dellesecuzione atteso che, come pi volte rilevato, il giudice nazionale non competente a sindacare nel merito la compatibilit dellaiuto di Stato con il diritto comunitario; la valutazione riservata alla Commissione e poi alla Corte di Giustizia. In questi casi lo Stato italiano non ha di norma la possibilit di operare una valutazione difforme da quella operata in sede comunitaria poich linteresse da bilanciare con le aspettative delle imprese destinatarie degli aiuti ha carattere sovranazionale e riguarda lattuazione di vincoli di matrice comunitaria: la vera questione, la compatibilit o meno dellaiuto di Stato, si consuma soprattutto nella giurisdizione e nel diritto dellUnione con leffetto che la giurisdizione amministrativa concorrente, ma subordinata alla giurisdizione della Corte di Giustizia. In ogni caso il legislatore ha configurato laiuto di Stato come una materia particolare, delimitata ed unitaria, grazie alla formula dellart. 49 a prescindere dalla forma dellaiuto e dal soggetto che lha concesso, nella prospettiva di ununica norma di riferimento posta dallart. 108 del TFUE, preordinata alla tutela della concorrenza ed alla protezione dei rapporti di mercato effettivi e non lesivi del diritto dimpresa. 9.3. - La doglianza relativa al mancato ossequio al principio del giudice naturale precostituito per legge si basa su una interpretazione distorta e strumentale del dettato costituzionale ed in particolare dellart. 25, primo co., della Carta fondamentale. pur vero che tale principio ha 126 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2016 rilievo determinante per assicurare al cittadino limparzialit del giudice, sottraendo la giustizia ad ogni possibilit di arbitrio in quanto solo attraverso un giudice precostituito per legge che lordinamento pu razionalmente garantire la neutralit delle proprie sentenze. Tuttavia, nel caso oggetto del presente giudizio, lart. 49 della legge n. 234/2012, imponendo la devoluzione in via esclusiva al giudice amministrativo delle controversie in esecuzione di una decisione di recupero, ha confermato il ruolo neutrale del giudice amministrativo di supremo garante del pubblico potere in una materia ove gli interessi della collettivit, orientati al recupero di somme illegittimamente erogate, appaiono prioritari e tutelabili soltanto attraverso lesercizio di speciali poteri valutativi, costituzionalmente allo stesso riservati. 9.4. - Lestinzione ope legis dei processi pendenti alla data di entrata in vigore della legge n. 228/2012 (art. 1, comma 356) conseguenza necessitata dalla pronuncia della Corte di Giustizia del 9 giugno 2011 nella parte in cui ha previsto lobbligo, da parte delle autorit nazionali, prima di procedere al recupero di un aiuto, di verificare, in ciascun caso individuale, se lagevolazione concessa potesse, in capo al suo beneficiario, falsare o meno la concorrenza ed incidere sugli scambi intracomunitari. La complessit della materia relativa alla possibile distorsione della concorrenza, il panorama normativo e giurisprudenziale di riferimento anche in relazione alle implicazioni di carattere internazionale, ha spinto il legislatore ad individuare nel giudice amministrativo la sede giurisdizionale pi opportuna per la trattazione di quei giudizi, contraddistinti da un temperamento del principio dispositivo tipico del sindacato giurisdizionale ordinario. La previa estinzione di diritto dei processi ancora sub iudice rappresentava quindi il necessario presupposto processuale ai fini della realizzazione di una nuova istruttoria rispondente alle istanze di verifica caso per caso imposte dalla pronuncia della Corte di Giustizia e che soltanto lesercizio di un potere pubblicistico poteva nel concreto garantire. Ed infatti, come gi rilevato anche nella ordinanza cautelare della Sezione (n. 5667/2014), la legge n. 228 del 2012 art. 1 co. da 351 a 356 ha posto disposizioni di carattere straordinario ed emergenziale e meramente attuativo ed esecutivo, a fronte delle stringenti sollecitazioni della Corte di Giustizia e della Commissione europea (comunicazione del 10.7.2012) per riportare a normalit, allinterno dellordinamento giuridico nazionale e comunitario, una situazione di prolungata e risalente inadempienza dello Stato italiano (la Commissione si era pronunziata il 25 novembre 1999) suscettibile di determinare pesanti conseguenze sanzionatorie a carico dellItalia da parte della stessa Unione Europea. 9.5. - In sintesi la previsione di una procedura istruttoria diretta ad accertare lassenza di potenzialit dellimpresa di alterare la concorrenza atta a fare venire meno le basi del precedente contenzioso e rende giustificato lintervento del legislatore senza vanificare la esigenza del giusto processo e del contraddittorio delle parti e senza lesione del diritto di difesa in sede giurisdizionale nei confronti degli atti di recupero disposti fino ad allora dallInps. 9.6. - Egualmente infondate sono le censure di incostituzionalit dovute alla asserita inversione dellonere probatorio operata dalla legge n. 228/2012 definita abnorme dagli appellati. La normativa interna in esame (co. 351), infatti, ha garantito libert di scelta da parte delle imprese in relazione ai documenti da depositare, con il solo monito che un ingiustificato rifiuto od una altrettanta ingiustificata omissione in tale senso, sarebbero stati posti a fondamento di una presunzione iuris tantum circa la idoneit della agevolazione a falsare la concorrenza, incidendo sugli scambi comunitari. Come gi rilevato, lonere della prova attraverso cui dimostrare la liceit dellaiuto concesso, non poteva che gravare sulle stesse imprese beneficiarie. La regola del diritto europeo nel senso che chi ha usufruito di un aiuto deve collaborare con lautorit amministrativa per consentire la verifica della legittimit di tale fruizione, in specie CONTENZIOSO NAZIONALE 127 quando laiuto non stato previamente notificato, regola che non ha alcun effetto derogatorio rispetto al codice civile ed conforme alla regola interna, costantemente applicata dal giudice nazionale, secondo la quale onere del datore di lavoro che intende usufruire della riduzione contributiva in forza di una legge speciale che riconosca lo sgravio contributivo, a dovere provare i fatti costitutivi del proprio diritto. Infatti, lobbligo di collaborazione da parte di imprese beneficiarie di sgravi contributivi disciplinato dallordinamento interno allart. 59, decimo co., del dPR 6 marzo 1978 n. 218 che prevede Gli imprenditori sono tenuti a fornire allInps tutte le notizie e le documentazioni necessarie a dimostrare il diritto allapplicazione degli sgravi e lesatta determinazione degli stessi. Ne deriva che le conseguenze poste dalla legge alla mancata collaborazione del datore di lavoro o alla comunicazione di dati incompleti non danno luogo ad un abnorme inversione dellonere probatorio, come reiteratamente sostenuto dalla appellata con censure di merito e di illegittimit costituzionale della legge n. 228/2012, ma vanno a svantaggio del datore di lavoro e non gi dello Stato tenuto alla attivit di verifica, il quale, peraltro, in tale occasione opera come longa manus della stessa Commissione europea. Si aggiunga ancora che il Reg. CE n.1/2003 del Consiglio precisa che: Nel conformarsi ad una decisione della Commissione le imprese non possono essere costrette ad ammettere di avere commesso uninfrazione, ma sono in ogni caso tenute a rispondere a quesiti concreti e a fornire documenti, anche se tali informazioni possono essere utilizzate per accertare contro di esse o contro unaltra impresa lesistenza di una infrazione. 9.7. - Parimenti infondate sono le questioni sollevate in merito alla violazione da parte dellart. 1 commi 355 e 356 della legge 228/2012, in riferimento allart. 117 c. 1 Cost. per contrasto con lart. 6 CEDU. Le garanzie offerte dalla norma convenzionale summenzionata, cos come interpretata dalla Corte di Strasburgo, vanno nella direzione di consentire alle parti, durante lo svolgimento di un dato iter processuale, la facolt di influire direttamente sugli esiti della decisione attraverso lesercizio del diritto al contraddittorio. Secondo un costante indirizzo giurisprudenziale, infatti, la parit delle armi tra le parti deve inevitabilmente realizzarsi sin dalla fase procedimentale e ci pure ove sia previsto un successivo riesame in sede giurisdizionale. La Corte CEDU ha adottato in numerose sue pronunce un approccio flessibile fondato sulla considerazione unitaria del procedimento amministrativo e della successiva fase giurisdizionale: in sostanza, stando a tale impostazione, tutte le volte in cui non viene data concreta attuazione alle garanzie dellart. 6 CEDU nel corso del procedimento amministrativo (ossia nella sede nella quale lautorit amministrativa pu incidere significativamente sugli interessi delle parti), assume rilevanza la successiva fase processuale come luogo di possibile correzione, sia pure ex post e in via eventuale, dei presunti deficit di tutela che si siano verificati in sede procedimentale. In tal senso va letto lintervento del Legislatore nazionale che, alla luce del dictum europeo relativo alle modalit di recupero degli aiuti illegittimi caso per caso, ha radicato la competenza delle relative controversie dinanzi al giudice amministrativo imponendo il compimento ex novo di una istruttoria per favorire lindividuazione delle specificit dei singoli casi cos come richiesto dalla pronuncia della Corte di Giustizia. Alle imprese coinvolte nellattivit di recupero delle agevolazioni stato consentito, dunque, di rappresentare in giudizio tutti i fatti costitutivi delle proprie pretese in attuazione del superiore diritto al contraddittorio. 9.8. - Ne pu intendersi integrata la violazione della Convenzione CEDU avuto riguardo al principio di ragionevole durata del processo. La Corte CEDU ha pi volte avuto modo di indicare vari criteri al fine di stabilire se in concreto sussista una violazione in tal senso; in specie, la particolare complessit del caso che pu verificarsi in considerazione, per esempio. del 128 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2016 numero delle parti, dello ius superveniens, di eventuali contrasti giurisprudenziali irrisolti, del comportamento giudiziario tenuto nel corso del procedimento dal soggetto che poi lamenta leccessiva durata del procedimento. La materia oggetto del presente giudizio, stante le modifiche normative intervenute in attuazione della pronuncia della Corte di Giustizia, ben si identifica nei casi summenzionati, di particolare complessit e di comportamenti dilatori propri dei soggetti che poi si lamentano della irragionevole durata dei processi e porta, in conclusione, ad escludere la violazione degli artt. 111 e 117 c.1 Cost. in relazione allart. 6 CEDU. 10. Tra i motivi di appello da respingere vi la asserita prescrizione del diritto di recupero dello sgravio contributivo in questione in diretta applicazione delle disposizioni della legge n. 228/2012, commi 351 e seguenti, che hanno tra laltro posto nel nulla lazione di recupero precedentemente svolta dallInps. 10.1. In particolare il comma 356 afferma che: i processi pendenti alla data di entrata in vigore della presente legge e aventi ad oggetto il recupero degli aiuti di cui al comma 351 si estinguono di diritto. Lestinzione dichiarata con decreto anche dufficio. Le sentenze eventualmente emesse, fatta eccezione per quelle passate in giudicato, restano prive di effetti. Contrariamente a quanto sembra affermare lappellante, del tutto evidente come da questa norma non possa derivare una retroattiva reviviscenza della prescrizione come si sarebbe verificata nel caso di prolungata inerzia dellente creditore. Lestinzione degli atti non cancella il fatto che lente ha costantemente agito per perseguire il recupero e ha regolarmente contrastato le iniziative giudiziarie in opposizione assunte dalle imprese debitrici. Lintervenuta estinzione dei processi in relazione ad un mutamento del riparto di giurisdizione in materia non influisce sugli effetti interruttivi della prescrizione che tali comportamenti comportano con esclusivo riferimento alla non inerzia della parte. 10.2. Al riguardo, l'art. 15 del Reg. CE n. 659/1999 ha disposto che i poteri della Commissione europea, finalizzati al recupero di aiuti di Stato, sono soggetti a un periodo limite di dieci anni decorrenti dal giorno in cui l'aiuto stato concesso al beneficiario. Tale termine, stante il richiamato principio di generale prevalenza del diritto comunitario, produce effetti anche di diritto interno, escludendo in radice la applicabilit di disposizioni potenzialmente incompatibili. Con leffetto che la normativa nazionale sulla prescrizione va comunque disapplicata per contrasto con il principio di effettivit proprio del diritto comunitario, qualora impedisca il recupero di un aiuto di Stato dichiarato incompatibile con decisione della Commissione europea divenuta definitiva (cfr. Cass. n. 23418/2010). 10.3. - La Corte di Giustizia, nella sentenza 20 marzo 1997 in causa C-24/95 Alcan (punti 34- 37), ha statuito che quando lautorit nazionale lascia scadere il termine stabilito dal diritto nazionale per la revoca della decisione di concessione, la situazione non pu essere equiparata a quella in cui un operatore economico ignora se lamministrazione competente intende pronunziarsi e il principio della certezza del diritto impone che si metta fine a questa incertezza allo scadere di un determinato termine. Considerata la mancanza di potere discrezionale dellautorit nazionale, il beneficiario dellaiuto illegittimamente attribuito cessa di trovarsi nellincertezza non appena la Commissione adotta una decisione che dichiari lincompatibilit dellaiuto e ne ordini il recupero. Il principio della certezza del diritto non pu quindi precludere la restituzione dellaiuto per il fatto che le autorit nazionali si sono conformate con ritardo alla decisione che impone la restituzione. In caso contrario il recupero delle somme indebitamente versate diverrebbe praticamente impossibile e le disposizioni comunitarie relative agli aiuti di Stato sarebbero private di ogni effetto utile. 10.4. - Sempre sul termine di prescrizione di dieci anni, di cui al richiamato art. 15 del Rego- CONTENZIOSO NAZIONALE 129 lamento CE n. 659 del 1999 per l'esercizio dei poteri della Commissione europea per il recupero degli aiuti, la Corte di Cassazione ha condivisibilmente osservato che se vero che lo stesso termine concerne i rapporti tra Commissione e Stati membri (Corte Cost. ord. n. 125 del 2009), quel termine non senza conseguenze nell'ambito nazionale dei rapporti tra Stato e beneficiario dellaiuto. Proprio perch l'adozione da parte della Commissione di una Decisione che dichiari l'incompatibilit dell'aiuto e ne ordini il recupero, determina per il beneficiario dell'aiuto illegittimamente attribuito, la cessazione dello stato di incertezza che giustifica l'esistenza di un termine di prescrizione, divengono rilevanti nell'ordinamento nazionale l'interruzione del termine di prescrizione che connessa all'inizio dell'azione della Commissione e la sospensione del medesimo termine per il tempo in cui la decisione della Commissione oggetto di un procedimento dinanzi alla Corte di giustizia delle Comunit europee, previste nel regolamento comunitario (cos Cass. n.23418 del 2010; n. 7162/2013 c.). 10.5. - Gi in precedenti ordinanze riguardanti cause analoghe questa Sezione, quanto alla questione della prescrizione, richiamava la giurisprudenza della Corte di Cassazione da ultimo citata in materia di restituzione di aiuti di stato illegittimi per confermare che: "il diritto dello Stato di recuperare il vantaggio si prescrive in dieci anni - art. 2946 c.c.-, con decorrenza dal provvedimento della Commissione UE che accerta l'infrazione ovvero dall'emanazione della Corte di giustizia che definisce la relativa controversia". 10.6. - Altrimenti, per quanto riguarda l'ordinamento italiano, coincidendo il termine ordinario di prescrizione nel diritto nazionale (dieci anni ex art. 2946 c.c.) con il termine di prescrizione assegnato dal diritto comunitario alla Commissione per iniziare l'azione di recupero degli aiuti (dieci anni ex art. 15 del regolamento n. 659 del 1999), l'impossibilit dell'effettivo recupero dell'aiuto illegale ben potrebbe essere la regola e non leccezione. La Cassazione ha quindi affermato il seguente principio di diritto al quale la Sezione intende conformarsi: "In tema di recupero di aiuti di Stato, la normativa nazionale sulla prescrizione deve essere disapplicata per contrasto con il principio di effettivit proprio del diritto comunitario, qualora tale normativa impedisca il recupero di un aiuto di Stato dichiarato incompatibile con decisione della Commissione divenuta definitiva" (Cass. Civ. n. 23418/2010 cit). 11. In ordine allulteriore motivo - richiamato in appello dallappellata tra quelli assorbiti dal TAR - relativo allaffidamento del datore di lavoro, la Corte di Giustizia CE, come sopra gi rilevato, ha affermato che uno Stato membro, le cui autorit abbiano concesso un aiuto in violazione delle norme procedurali di cui all'art. 88 CE, non pu invocare il legittimo affidamento dei beneficiari per sottrarsi all'obbligo di adottare i provvedimenti necessari ai fini dell'esecuzione di una decisione della Commissione con cui quest'ultima ordina la ripetizione dell'aiuto. Ammettere tale possibilit significherebbe, infatti, privare di effetto utile le norme di cui agli artt. 87 CE e 88 CE, in quanto le autorit nazionali potrebbero far valere in tal modo il proprio illegittimo comportamento, al fine di vanificare l'efficacia delle decisioni emanate dalla Commissione in virt di tali disposizioni del Trattato (Corte di Giustizia CE 7 marzo 2002, C-310/99). 12. Sul giudicato interno e sul rispetto delle norme interne, la Sezione richiama lorientamento del giudice comunitario (v. Corte di Giustizia, 18 luglio 2007, in causa C-119/05, Lucchini; Corte di Giustizia, 3 settembre 2009, in causa C-2/08, Olimpiclub) applicato dalla Corte di Cassazione con numerose pronunzie (Cass. sez. un. n. 26948 del 2006; n. 6756 del 2012 ; n. 6538 del 2012; n. 7162 del 2013 ed altre) che ha rilevato che lobbligatoriet del recupero, da parte dello Stato membro, non consente al giudice nazionale alcuna diversa valutazione al punto che nemmeno il giudicato di diritto interno (ex 2909 c.c.) pu impedire il recupero pri- 130 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2016 vando la pronunzia giurisdizionale di quel carattere di immutabilit nel tempo che la caratterizzava. Inoltre la conformazione del diritto interno al diritto comunitario deve trovare attuazione anche con riguardo alle regole, processuali o procedimentali (quali ad esempio quelle poste della legge n. 241 del 1990) che di tale diritto comunitario possono impedire una piena applicazione. Conseguentemente lunica chiave interpretativa della normativa di diritto interno, anche con riferimento a profili di legittimit costituzionale delle norme nazionali, ruota attorno alla prevalenza del diritto comunitario sulla norma nazionale e sul fine precipuo di garantire l'esecuzione immediata ed effettiva della decisione di recupero per realizzare la certezza delle norme comunitarie che permettono una interpretazione conforme in tutti gli Stati membri. Inoltre, in ossequio al principio di supremazia del diritto comunitario, riconosciuto da tutti gli Stati membri, con perdita a favore delle istituzioni comunitarie della propria sovranit legislativa, le sentenze della Corte di Giustizia hanno effetti vincolanti per i giudici nazionali chiamati a pronunziarsi sulle singole fattispecie recando norme integrative dellordinamento comunitario. 13. Quanto alle argomentazioni secondo le quali i contributi oggetto di recupero da parte dellInps avrebbero costituito costi fiscalmente deducibili dal reddito prodotto negli anni dal 1995 al 1997, avendo la impresa dedotto minori costi e conseguentemente pagato pi imposte di quelle che in assenza dello sgravio sarebbero risultate dovute, la Sezione del parere che siffatto genere di richieste non possano essere indirizzate allInps ma allAgenzia delle Entrate. infatti il contribuente ad essere tenuto a chiedere all'erario eventuali rimborsi fiscali per somme eventualmente corrisposte in eccesso; dunque, non pu essere posta a carico dellInps lazione di ripetizione al netto delle eventuali imposte pagate in eccesso. 14. Ferma la fondatezza dellappello relativamente alla necessit del recupero dellaiuto e specificatamente la necessit del recupero del capitale, occorre considerare che per gli interessi, lart. 1 co. 354 della legge 228 del 2012 ha previsto il calcolo sulla base delle disposizioni di cui al Capo V del Regolamento (CE) n. 794/2004 della Commissione del 21 aprile 2004, maturati dalla data in cui si fruito dellagevolazione e sino alla data del recupero effettivo. 14.1. - La appellata ha lamentato che il Regolamento di cui sopra applicabile, per sua stessa prescrizione (art. 13 ), solo alle decisioni di recupero notificate in epoca successiva alla sua entrata in vigore avvenuta il 20 maggio 2004, mentre la decisione di recupero stata notificata allo Stato italiano in data 10 gennaio 2000 e dunque in epoca anteriore alla entrata in vigore del ridetto Regolamento. 14.2. - LInps a sua volta ha ribadito che la normativa interna ha previsto la quantificazione degli interessi sulla base del Regolamento CE n. 794/2004 sostenendo quindi che le relative eccezioni non sono fondate. 14.3. - La Sezione richiama in proposito quanto statuito dalla Corte di Cassazione, Sezione tributaria, con ordinanza n. 3006 del 14 novembre 2013 pubblicata l11 febbraio 2014 in fattispecie assimilabile a quella in esame, con la quale stato chiesto, ai sensi dell'art. 267 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea alla Corte di Giustizia dellUnione europea, di pronunziarsi in via pregiudiziale sulla seguente questione: "se l'art. 14 del Regolamento (CE) n. 659/1999 del Consiglio del 22 marzo 1999, recante modalit di applicazione dell'art. 93 del trattato CE, e gli artt. 9, 11 e 13 del Regolamento (CE) n. 794/2004 della Commissione del 21 aprile 2004, recante disposizioni di esecuzione del regolamento predetto, devono essere interpretati nel senso che ostano ad una legislazione nazionale che, in relazione ad un'azione di recupero di un aiuto di Stato conseguente ad una decisione della Commissione notificata in data 7 giugno 2002, stabilisca che gli interessi sono determinati in base alle disposizioni CONTENZIOSO NAZIONALE 131 del capo 5^ del citato Regolamento n. 794/2004 (cio, in particolare, agli artt. 9 e 11), e, quindi, con applicazione del tasso di interesse in base al regime degli interessi composti". 14.4. - La imminente Decisione della Corte di Giustizia, attese le conclusioni gi rassegnate da parte dellAvvocato generale, appare rilevante anche sulla questione in esame relativa al calcolo degli interessi. Va pertanto confermato lorientamento gi espresso dalla Sezione con la ordinanza 11 dicembre 2014 n. 5667 adottata da questa Sezione in questo stesso giudizio in base al quale in attesa della decisione della Corte di giustizia sulla questione gi sollevata e dunque sulla normativa da applicare ratione temporis ai fini della determinazione degli interessi, la decisione su questo solo punto deve restare sospesa accogliendosi lappello in questa fase limitatamente al recupero delle somme per la parte capitale, esclusi quindi gli interessi. 15. - Conclusivamente la Sezione: a) in riforma della sentenza appellata accoglie l'appello dellInps quanto al recupero della sorte capitale dell'aiuto che dovr essere integralmente restituita dalla appellata; respinge in parte qua il ricorso di primo grado; b) sospende in parte qua il giudizio ai sensi degli articoli 79 e 80 c.p.a. quanto al recupero degli interessi ex Reg. CE n.794/2004 in attesa della Decisione della Corte di Giustizia della CE investita dalla Corte di Cassazione con ordinanza n. 3006 del 14 novembre 2013; c) rinvia al definitivo la regolazione delle spese per il presente grado del giudizio. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza): a) in riforma della sentenza appellata accoglie l'appello dellInps quanto al recupero della sorte capitale dell'addebito che dovr essere integralmente restituita dalla appellata; respinge in parte qua il ricorso di primo grado; b) sospende in parte qua il giudizio ai sensi degli articoli 79 e 80 c.p.a. al solo fine del recupero degli interessi ex Reg. CE n. 794/2004 in attesa della Decisione della Corte di Giustizia della CE investita dalla Corte di Cassazione con ordinanza n. 3006 del 14 novembre 2013; c) rinvia al definitivo la regolazione delle spese per il presente grado del giudizio. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorit amministrativa. Cos deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 12 marzo e del 1 aprile 2015. 132 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2016 Lo stato della giurisprudenza del Consiglio di Stato sulla ammissibilit delle notifiche pec nel processo amministrativo e ... CONSIGLIO DI STATO, SEZIONE VI, SENTENZA 28 MAGGIO 2015 N. 2682; SEZIONE III, SENTENZA 14 SETTEMBRE 2015 N. 4270; SEZIONE V, SENTENZA 22 OTTOBRE 2015 N. 4863; SEZIONE III, SENTENZA 14 GENNAIO 2016 N. 91; SEZIONE III, SENTENZA 20 GENNAIO 2016 N. 189 Marco La Greca* Solo un anno fa, con la sentenza n. 2682 del 28 maggio 2015, il Consiglio di Stato, sezione VI, aveva, per la prima volta, preso posizione rispetto alla controversa questione relativa alla ammissibilit o meno (prima della emanazione delle regole tecniche di cui allart. 13 dellAll. 2 al CPA) delle notifiche a mezzo pec nel processo amministrativo, esprimendosi in senso favorevole. Nei mesi successivi, il Consiglio di Stato, sezione III, con sentenza n. 4270 del 14 settembre 2015 (resa, tra laltro, nellappello proposto dallAvvocatura dello Stato e nel quale era stata depositata, a sostegno della ammissibilit dello strumento, la memoria pubblicata in questa Rassegna 2015, vol. 3, p. 291 (1)) e sezione V, con sentenza 4863 del 22 ottobre 2015, nonch, ad inizio anno, di nuovo la sezione III, con sentenza n. 91 del 14 gennaio 2016, aveva ribadito lassunto della ammissibilit dello strumento telematico, in buona sostanza richiamando quanto gi esposto nella precedente pronuncia. Da ultimo, poi, con sentenza n. 189 del 20 gennaio 2016, il Consiglio di Stato, ancora sezione III, giunto a conclusioni opposte, affermando addirittura linesistenza (e non, come affermato dalla prevalente giurisprudenza dei T.a.r. contraria alla ammissibilit delle notifiche a mezzo pec, la nullit) della notifica a mezzo pec, cos capovolgendo lorientamento precedente, sia pure senza mai fare espresso riferimento ad esso. Di seguito si riportano, delle varie sentenze succitate, i passaggi nei quali viene affrontato il tema in esame, rispetto al quale occorre precisare che, a seguito della recente emanazione delle regole e delle specifiche tecniche sul processo amministrativo telematico, adottate con DPCM 16 febbraio 2016 n. 40, in vigore dal 5 aprile 2016, ma, ai sensi dellart. 21, comma 1, dello stesso decreto, applicabili solo a partire dal 1 luglio 2016, data di introduzione del processo amministrativo telematico, il problema risolto favorevolmente per il futuro, mantenendo tuttavia la sua rilevanza per le notifiche eseguite in precedenza e sino a tale data. (*) Avvocato dello Stato. (1) Memoria Ct 23074/2014 avv. Marco La Greca, erroneamente ivi indicata con Ct 33318/14. CONTENZIOSO NAZIONALE 133 Consiglio di Stato, Sezione VI, sentenza 28 maggio 2015 n. 2682 - Pres. S. Baccarini, Est. M. Buricelli. (...) 4.1. anzitutto infondato, e perci il Collegio pu esimersi dal sottoporre a disamina le obiezioni svolte in rito sul punto dallappellato Gruppo I., il motivo dappello della C. imperniato sullaffermata irricevibilit del ricorso al Tar del Gruppo I. a causa della tardivit della notifica - asseritamente nulla, in quanto effettuata per mezzo della posta elettronica certificata (PEC) - mancando, cos si sostiene nellappello, la prova del momento e della regolarit della notificazione dellatto introduttivo del giudizio di primo grado (che risulta depositato presso la segreteria del Tribunale amministrativo soltanto il 23 ottobre 2014, ovverosia oltre il termine di 30 giorni di cui allart. 120, comma 5, del c.p.a.), in assenza dellautorizzazione presidenziale di cui allart. 52, comma 2, del c.p.a. , alla notificazione del ricorso via PEC. Lappellante muove dallassunto che lart. 46 del d.l. 24 giugno 2014, n. 90, convertito con modificazioni nella l. 11 agosto 2014, n. 114, nellaggiungere allart. 16 quater del d.l. 18 ottobre 2012, n. 179, convertito con modificazioni nella l. 17 dicembre 2012, n. 221, aggiunto dall'articolo 1, comma 19, l. 24 dicembre 2012, n. 228, un nuovo comma 3 bis, in base al quale le disposizioni dei commi 2 e 3 non si applicano alla giustizia amministrativa, avrebbe sancito linapplicabilit, al processo amministrativo, del meccanismo della notificazione in via telematica - a mezzo PEC dellatto introduttivo del giudizio da parte degli avvocati (in mancanza dellespressa autorizzazione presidenziale di cui allart. 52, comma 2, del c.p.a.). In particolare, nellappello si enuncia la tesi per cui nel processo amministrativo il legale non pu certificare la conformit delle copie di documenti spediti per via telematica e che la notifica per il destinatario del ricorso non si perfeziona nel momento in cui si genera la ricevuta, dato che regole tecniche e procedure utilizzate nel processo civile e disciplinate dal regolamento approvato con il d.m. 3 aprile 2013, n. 48, non si applicano alla giustizia amministrativa, che ne stata espressamente esclusa. La premessa interpretativa e le conclusioni non convincono. In realt, il sopra citato art. 46 esclude lapplicazione, al processo amministrativo, dei commi 2 e 3 non della l. 21 gennaio 1994, n. 53, ma dellart. 16 quater del d.l. n. 179 del 2012, conv. con mod. nella l. n. 221 del 2012 il quale, al comma 2, demanda a un decreto del Ministro della giustizia l'adeguamento alle nuove disposizioni delle regole tecniche gi dettate col d.m. 21 febbraio 2011, n. 44, mentre al comma 3 stabilisce che le disposizioni del comma 1 "acquistano efficacia a decorrere dal quindicesimo giorno successivo alla pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana del decreto di cui al comma 2". La mancata autorizzazione presidenziale ex art. 52, comma 2, del c.p.a. non pu considerarsi ostativa alla validit ed efficacia della notificazione del ricorso a mezzo PEC atteso che nel processo amministrativo trova applicazione immediata la l. n. 53 del 1994 (e, in particolare, per quanto qui pi interessa, gli articoli 1 e 3 bis della legge stessa), nel testo modificato dallart. 25 comma, 3, lett. a) della l. 12 novembre 2011, n. 183, secondo cui lavvocato pu eseguire la notificazione di atti in materia civile, amministrativa e stragiudiziale [] a mezzo della posta elettronica certificata. Nel processo amministrativo telematico (PAT) - contemplato dallart. 13 delle norme di attuazione di cui allAllegato 2 al cod. proc. amm. - ammessa la notifica del ricorso a mezzo PEC anche in mancanza dellautorizzazione presidenziale ex art. 52, comma 2, del c.p.a., disposizione che si riferisce a forme speciali di notifica, laddove invece la tendenza del 134 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2016 processo amministrativo, nella sua interezza, a trasformarsi in processo telematico, appare ormai irreversibile (sullammissibilit e sullimmediata operativit della notifica del ricorso a mezzo PEC nel processo amministrativo vanno segnalate le recentissime sentenze del Tar Campania - Napoli, n. 923 del 6 febbraio 2015 e del Tar Calabria - Catanzaro, n. 183 del 4 febbraio 2015). Se con riguardo al PAT lo strumento normativo che contiene le regole tecnico - operative resta il DPCM al quale fa riferimento lart. 13 dellAllegato al c.p.a., ci non esclude per limmediata applicabilit delle norme di legge vigenti sulla notifica del ricorso a mezzo PEC. Sulle regole tecnico - operative applicabili, viene in rilievo il d.P.R. n. 68 del 2005, al quale fa riferimento lart. 3 bis della l. n. 53 del 1994. Nel caso in esame le norme di legge suddette, e lart. 136 del c.p.a., risultano essere state osservate dal Gruppo I. Considerato dunque che: - risultano rispettate le previsioni di cui alla l. n. 53 del 1994 e allart. 136 del c.p.a.; - i risultati della procedura comparativa erano stati pubblicati nel sito web dellIstituto il 2 settembre 2014 e la notifica del ricorso di primo grado alla Chiarandini risulta regolarmente eseguita il 15 ottobre 2014; - trova applicazione anche al rito appalti, in mancanza di disposizioni di segno contrario, la norma di carattere generale sulla sospensione feriale dei termini di cui allart. 1 della l. n. 742 del 1969; il primo motivo dappello va respinto. (...). Consiglio di Stato, Sezione III, sentenza 14 settembre 2015 n. 4270 - Pres. G.P. Cirillo, Est. R. Capuzzi. (...) 3. La Sezione deve esaminare in via prioritaria la eccezione avanzata dallappellato di nullit della notifica dellAvvocatura dello Stato in quanto effettuata per mezzo della posta elettronica certificata (PEC) inviata al procuratore costituito nel giudizio di prime cure. Deduce lappellato, richiamando la sentenza del Tar Lazio, sede di Roma della Sez. III ter del 13 gennaio 2015 n.396 che nel processo amministrativo non ancora consentito agli avvocati notificare latto introduttivo del giudizio con modalit telematiche in mancanza di espressa autorizzazione presidenziale ai sensi dellart. 52 co. 2 c.p.c. Lassunto non pu essere condiviso. Al riguardo il Collegio ritiene di aderire per relationem al recentissimo precedente di questo Consiglio di Stato, Sez. VI n. 2682 del 28 maggio 2015 secondo il quale: La mancata autorizzazione presidenziale ex art. 52, co. 2, del c.p.a. non pu considerarsi ostativa alla validit ed efficacia della notificazione del ricorso a mezzo PEC atteso che nel processo amministrativo trova applicazione immediata la l. n. 53 del 1994 (ed in particolare gli articoli 1 e 3 bis della legge stessa), nel testo modificato dallart. 25 co. 3, lett. a) della l. 12 novembre 2011, n. 183, secondo cui lavvocato pu eseguire la notificazione di atti in materia civile, amministrativa e stragiudiziale a mezzo della posta elettronica certificata. Nel processo amministrativo telematico (PAT) contemplato dallart. 13 delle norme di attuazione di cui allAllegato 2 al cod. proc. amm. ammessa la notifica del ricorso a mezzo PEC anche in mancanza dellautorizzazione presidenziale ex art. 52, co. 2, del c.p.a., disposizione CONTENZIOSO NAZIONALE 135 che si riferisce a forme speciali di notifica, laddove invece la tendenza del processo amministrativo, nella sua interezza, a trasformarsi in processo telematico, appare ormai irreversibile. Se con riguardo al PAT lo strumento normativo che contiene le regole tecnico - operative resta il DPCM al quale fa riferimento lart. 13 dellAllegato al c.p.a. , ci non esclude per limmediata applicabilit delle norme di legge vigenti sulla notifica del ricorso a mezzo PEC. Sulla base di tale precedente leccezione proposta dallappellato deve essere respinta. (...). Consiglio di Stato, Sezione V, sentenza 22 ottobre 2015, n. 4863 - Pres. C. Saltelli, Est. S. Guadagno. (...) 2. Va rigettata la prima censura di carattere preliminare, con cui si assume la nullit della notifica a mezzo pec. (Posta elettronica certificata). Al riguardo il Collegio condivide lorientamento giurisprudenziale (C.S., sez. VI, n. 2682/2015), che esclude la nullit della notifica del ricorso con tali modalit, effettuata in assenza dellautorizzazione presidenziale di cui allart. 52, comma 2, del c.p.a. Non merita accoglimento lassunto che lart. 46 del d. l. 24 giugno 2014, n. 90, convertito con modificazioni nella l. 11 agosto 2014, n. 114, nellaggiungere allart. 16 quater del d. l. 18 ottobre 2012, n. 179, convertito con modificazioni nella l. 17 dicembre 2012, n. 221, aggiunto dall'articolo 1, comma 19, l. 24 dicembre 2012, n. 228, un nuovo comma 3 bis, in base al quale le disposizioni dei commi 2 e 3 non si applicano alla giustizia amministrativa, avrebbe sancito linapplicabilit, al processo amministrativo, del meccanismo della notificazione in via telematica a mezzo PEC dellatto introduttivo del giudizio da parte degli avvocati (in mancanza dellespressa autorizzazione presidenziale di cui allart. 52, comma 2, del c.p.a.). In realt, il sopra citato art. 46 esclude lapplicazione, al processo amministrativo, dei commi 2 e 3 non della l. 21 gennaio 1994, n. 53, ma dellart. 16 quater del d. l. n. 179 del 2012, conv. con mod. nella l. n. 221 del 2012 il quale, al comma 2, demanda a un decreto del Ministro della giustizia l'adeguamento alle nuove disposizioni delle regole tecniche gi dettate col d.m. 21 febbraio 2011, n. 44, mentre al comma 3 stabilisce che le disposizioni del comma 1 "acquistano efficacia a decorrere dal quindicesimo giorno successivo alla pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana del decreto di cui al comma 2". La mancata autorizzazione presidenziale ex art. 52, comma 2, del c.p.a. non pu considerarsi ostativa alla validit ed efficacia della notificazione del ricorso a mezzo PEC atteso che nel processo amministrativo trova applicazione immediata la l. n. 53 del 1994 (e, in particolare, per quanto qui pi interessa, gli articoli 1 e 3 bis della legge stessa), nel testo modificato dallart. 25 comma, 3, lett. a) della l. 12 novembre 2011, n. 183, secondo cui lavvocato pu eseguire la notificazione di atti in materia civile, amministrativa e stragiudiziale [] a mezzo della posta elettronica certificata. Nel processo amministrativo telematico (PAT) contemplato dallart. 13 delle norme di attuazione di cui allAllegato 2 al cod. proc. amm. - ammessa la notifica del ricorso a mezzo PEC anche in mancanza dellautorizzazione presidenziale ex art. 52, comma 2, del c.p.a., disposizione che si riferisce a forme speciali di notifica, laddove invece la tendenza del processo amministrativo, nella sua interezza, a trasformarsi in processo telematico, appare ormai irreversibile (in tal senso anche C.S., sez. III, 4270/2015). 3. Il ricorso di primo grado era ed stato validamente notificato ed quindi ammissibile (...). 136 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2016 Consiglio di Stato, Sezione III, sentenza 14 gennaio 2016, n. 91 - Pres. P.G. Lignani, Est. P. Ungari. (...) 9. Il Collegio osserva anzitutto, quanto alla validit della notifica del ricorso introduttivo, che lorientamento del TAR stato sconfessato dalle recenti pronunce di questo Consiglio, secondo le quali la mancata autorizzazione presidenziale ex art. 52, comma 2, cod. proc. amm. non pu considerarsi ostativa alla validit ed efficacia della notificazione del ricorso a mezzo posta elettronica certificata (PEC), atteso che nel processo amministrativo trova applicazione immediata la legge 53/1994 (ed in particolare gli articoli 1 e 3 bis), nel testo modificato dallart. 25 comma 3, lett. a) della legge 183/2011, secondo cui lavvocato pu eseguire la notificazione di atti in materia civile, amministrativa e stragiudiziale a mezzo della posta elettronica certificata (cfr. Cons. Stato, V, n. 4863/2015; III, n. 4270/2015 e VI, n. 2682/2015). 10. Tale orientamento merita di essere condiviso. Pertanto, risultando fondate le censure dedotte riguardo alla pronuncia in rito, occorre esaminare quelle rivolte nei confronti del provvedimento impugnato. (...). Consiglio di Stato, sezione III, sentenza 20 gennaio 2016 n. 189 - Pres. G. Romeo, Est. S. Cacace. (...) 2. Lappello irricevibile. Esso risulta invero notificato alla Regione Autonoma della Sardegna, alla Provincia di Cagliari ed al Comune di Quartu SantElena in data 4 febbraio 2015, vale a dire il giorno successivo alla scadenza del termine di impugnazione di cui allart. 92, comma 3, c.p.a., cadente nel caso allesame, tenuto conto della sospensione dei termini processuali prevista dal comma 2 dellart. 54 c.p.a., il giorno 3 febbraio 2015. N ad impedire tale declaratoria pu valere la tempestiva notifica dellappello stesso effettuata in data 3 febbraio 2015 alla societ appellata mediante posta elettronica certificata ai sensi della legge n. 53/1994, ritenendo il Collegio siffatta modalit di notifica non utilizzabile nel processo amministrativo, essendo, comՏ noto, esclusa, in base al disposto di cui all'art. 16-quater, comma 3-bis, del D.L. n. 179/12 come convertito dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221, l'applicabilit alla giustizia amministrativa delle disposizioni idonee a consentire l'operativit nel processo civile del meccanismo di notificazione in argomento (ovvero i commi 2 e 3 del medesimo art. 16-quater), solo allՎsito della cui adozione, si badi, detto meccanismo ha acquistato effettiva efficacia nel processo civile e penale (cos come, per i giudizii dinanzi alla Corte dei conti, si reso necessario stabilire le regole tecniche ed operative in materia di utilizzo della posta elettronica certificata anche per leffettuazione di notificazioni relative a procedimenti giurisdizionali con recente decreto del Presidente 21 ottobre 2015 in G.U. n. 256 del 3 novembre 2015); e ci tenuto conto della mancanza di un apposito Regolamento, che, analogamente al D.M. 3 aprile 2013, n. 48 concernente le regole tecniche per l'adozione nel processo civile e nel processo penale delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione, detti (essendo del tutto impensabile che prescrizioni tecniche siano alluopo necessarie per il processo civile e penale e non per quello amministrativo) le relative regole tecniche anche per il processo amministrativo e che non pu che individuarsi nel D.P.C.M. previsto dallart. 13 dellAll. 2 al c.p.a. (v. anche l'art. 38, comma 1, D.L. 24 CONTENZIOSO NAZIONALE 137 giugno 2014, n. 90, convertito, con modificazioni, dalla L. 11 agosto 2014, n. 114), allo stato non ancora intervenuto ed al quale il legislatore ha implicitamente ma chiaramente riguardo laddove, nellescludere lapplicazione al processo amministrativo del comma 3 dellart. 16- quater cit., da un lato afferma lapplicabilit al processo amministrativo dello strumento della notifica telematica (del resto prevista dagli articoli 1 e 3-bis della legge n. 53 del 1994), dallaltro non disconosce certo la necessit di regole tecniche anche per il processo amministrativo, che, sulla scorta dellassenza di potere regolamentare del Ministro della Giustizia con riferimento al processo amministrativo (donde la previsione del comma 3-bis cit. di inapplicabilit alla giustizia amministrativa del comma 2, che tale potere conferisce), non possono essere che quelle di cui allemanando, citato, D.P.C.M. (di cui il ricordato art. 38 del successivo D.L. n. 90/2014 ribadisce appunto lesigenza, fissandone per la prima volta i termini per lemanazione), solo allՎsito del quale lintero processo amministrativo digitale avr una completa regolamentazione e la notifica del ricorso a mezzo PEC potr avere effettiva operativit ed abbandonare linequivocabile ed ineludibile carattere di specialit oggi affermato dallart. 52, comma 2, c.p.a., che prevede per il suo utilizzo, facendo alluopo espresso riferimento allart. 151 c.p.c., una specifica autorizzazione presidenziale, del tutto mancante nel caso allesame. Tale carattere non pu certo invero oggi negarsi in virt di una affermata tendenza del processo amministrativo a trasformarsi in processo telematico, atteso che siffatta tendenza rappresenta allo stato un mero orientamento, che deve comunque tradursi in regole tecnico-operative concrete, demandate appunto al sopra indicato strumento regolamentare, in assenza delle quali il Giudice amministrativo non pu certo sostituirsi al legislatore statuendo lordinaria applicabilit di una forma di notifica allo stato ancora non tipizzata. N a sanare linvalidit di tale notifica pu valere la successiva costituzione in giudizio del soggetto destinatario della stessa, atteso che vertesi in ipotesi di inesistenza della notifica (in quanto trattasi di modalit di notificazione priva di qualsivoglia espressa previsione normativa circa lidoneit della forma prescelta a configurare un tipico atto di notificazione come delineato dalla legge; tipicit, questa, che non consente nemmeno di poter ravvisare nella fattispecie unipotesi di errore scusabile), in alcun modo sanabile; quandanche, tuttavia, si volesse ritenere che una notifica eseguita mediante ricorso ad una forma non utilizzabile in quanto non espressamente prevista come tale nel paradigma legislativo degli atti di notifica valga a concretizzare non una ipotesi di inesistenza ma piuttosto di nullit della stessa, comunque in tal caso, sulla scorta dellart. 44, comma 3, c.p.a., la costituzione dellintimato s idonea a sanare la nullit medesima, ma, a differenza che nel processo civile, con efficacia ex nunc, ossia con salvezza delle eventuali decadenze gi maturate in danno del notificante prima della costituzione in giudizio del destinatario della notifica, ivi compresa la scadenza del termine di impugnazione, cadente nel caso di specie, come sՏ detto, al 3 febbraio 2015, laddove la costituzione dellappellata intervenuta con atto in data 20 febbraio 2015. (...). 138 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2016 ... il dies a quo per le notifiche pec nel processo civile Si pubblica la memoria depositata avanti alla Corte di cassazione, sezione VI tributaria, con la quale stata sostenuta la tesi contraria alle conclusioni cui era di recente pervenuta la stessa sezione VI della Corte di cassazione con ordinanza n. 14368 del 9 luglio 2015 - in base alla quale le notifiche a mezzo pec sarebbero divenute ammissibili, nel processo civile, solo a decorrere dal 15 maggio 2014. LAvvocatura dello Stato ha sostenuto, al contrario, l'ammissibilt delle notifiche telematiche, previste dalla legge 21 gennaio 1994, n. 53, sin dalla entrata in vigore delle modifiche introdotte dall'art. 25 della legge 25 novembre 2011, n. 183. La data in cui, poi, hanno acquisito efficacia le modifiche succcessivamente introdotte dall'art. 16 quater del D.L. 18 ottobre 2012, n. 179, come inserito dallart. 1, comma 19, n. 2, della legge n. 228/2012, va individuata nel 24 maggio 2013 (ovvero il quindicesimo giorno successivo alla pubblicazione nella Gazzetta ufficiale, avvenuta il 9 maggio 2013, del D.m. n. 48/2013, di modifica dellart. 18 del D.M. n. 44/2011, contententi le "regole tecniche" del processo civile telematico) e non, come ritenuto nellordinanza in esame, nel 15 maggio 2014 (data verosimilmente calcolata avendo riguardo alla pubblicazione delle "specifiche tecniche" di cui all'art. 34 dello stesso D.M. n. 44/2011, adottate con provvedimento dirigenziale del 16 aprile 2014, pubblicate il 30 aprile 2014). CT 35282/13 - 632 AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE MEMORIA Sezione VI Udienza del 9 dicembre 2015 C.R. Dr. Giuseppe Caracciolo per lAgenzia delle Entrate (C.F. 06363391001), in persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dallAvvocatura Generale dello Stato (C.F. 80224030587), presso cui domiciliata in Roma, via dei Portoghesi n. 12 (pec: ags.rm@mailcert.avvocaturastato.it, telefax n. 06/96514000); - resistente - contro M.F.; - ricorrente - NEL RICORSO (R.G. N. 19370/13) EX ADVERSO PROPOSTO PER LA CASSAZIONE della sentenza della Commissione Tributaria Regionale di Milano - n. 121/38/12, depositata in data 19 settembre 2012. * * * La presente memoria viene redatta per sostenere la validit della notifica del controricorso, effettuata a mezzo pec il 25 ottobre 2013. CONTENZIOSO NAZIONALE 139 noto, al riguardo, il contrario avviso espresso da codesta Sezione VI con ordinanza 9 luglio 2015, n. 14368. Con tale ordinanza stato, in buona sostanza, affermato che le notifiche a mezzo pec sarebbero divenute uno strumento validamente utilizzabile solo a decorrere dal 15 maggio 2014, data di entrata in vigore delle specifiche tecniche adottate dal Ministero della giustizia, con provvedimento del 16 aprile 2014, ai sensi dellart. 34 del D.M. n. 44/2011; tale data segnerebbe, infatti, il momento di intervenuta efficacia delle modifiche legislative introdotte, riguardo alle notifiche a mezzo pec, dalla legge n. 228/2012. Daltra parte, sempre secondo quanto esposto in tale ordinanza, la previgente disciplina, introdotta dallart. 25 della legge n. 183/2011, non sarebbe stata direttamente applicabile, tenuto conto che larticolo 3, comma 3 bis, della legge n. 53/1994 (comma per lappunto introdotto dal citato art. 25 della legge n. 183/2011), avrebbe imposto allAvvocato, secondo la ricostruzione offerta nellordinanza in questione, di procedere avvalendosi dellopera dellufficiale giudiziario ai sensi dellart. 149 bis c.p.c., articolo che rinviava, a sua volta, ad un decreto ministeriale di cui mancava lemanazione; nemmeno erano invocabili, si afferma ancora nellordinanza in esame, le specifiche tecniche allora vigenti, adottate con provvedimento del luglio 2011, stante la mancanza di previsioni relative alle notifiche a mezzo pec. Per tali ragioni, le notifiche a mezzo pec effettuate prima del 15 maggio 2014 sarebbero affette da nullit. Ritiene lesponente Avvocatura che il riferito orientamento sia suscettibile di rivisitazione alla luce di quanto si va di seguito ad esporre. Come noto, lattuale sistema di notifiche via pec il frutto di diversi interventi normativi di rango primario succedutisi, a partire dallart. 25 della legge n. 183/2011, sul tessuto della citata legge n. 53/1994, relativa alla facolt di notificazione di atti civili, amministrativi e stragiudiziali per gli avvocati e procuratori legali ed in origine volta a disciplinare, precipuamente, la notifica a mezzo del servizio postale, secondo le modalit previste dalla legge 20 novembre 1982, n. 890, da parte dellavvocato a ci autorizzato dal Consiglio dellordine di appartenenza. Per effetto dellart. 25 della legge n. 183/2011, la legge n. 53/1994 venne modificata nel senso che lAvvocato, gi autorizzato dal Consiglio dellordine ad effettuare le notifiche a mezzo del servizio postale, poteva, altres, procedere alla notifica a mezzo della posta elettronica certificata (art. 1 ed art. 4, comma 1), consistente nellinvio di un messaggio di posta elettronica certificata, con allegato latto da notificarsi, da un avvocato ad un altro avvocato, il cui indirizzo di posta elettronica certificata, comunicato al Consiglio dellordine (art. 5, comma 1, nel testo allora vigente), risultasse da pubblici elenchi (art. 3, comma 3 bis). Stabiliva poi il citato art. 3, comma 3 bis, non che lavvocato dovesse, come ritenuto dallordinanza in esame, procedere avvalendosi dellopera dellufficiale giudiziario ai sensi dellart. 149 bis c.p.c., ma, con rinvio assai pi limitato circa gli effetti, che il notificante dovesse procedere con le modalit previste dallart. 149 bis del codice di procedura civile, in quanto compatibili. Il rinvio in quanto compatibile non poteva ovviamente riferirsi al fatto di avvalersi dellopera dellufficiale giudiziario, trattandosi di rinvio, per lappunto, non compatibile con il sistema di notifiche pec disegnato dalla legge n. 183/2011, consistente, come si visto, in una notifica eseguita direttamente dallAvvocato, avvalendosi della posta elettronica certificata anzich del tradizionale servizio postale (o della ulteriore modalit di notifica diretta, a mani del destinatario, prevista dallart. 4, comma 1, della legge n. 53/1994), prescindendo del tutto dallopera dellufficiale giudiziario. 140 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2016 Il rinvio alludeva dunque, semmai, alle modalit operative con cui si eseguiva la notifica (avuto riguardo, per esempio, al previsto invio dellatto e della relazione di notifica, come documenti separati, da un indirizzo pec ad un indirizzo pec risultante da pubblici elenchi) ed al momento perfezionativo della notifica (che la disposizione codicistica individuava in quello in cui il gestore avesse reso disponibile il documento informatico nella casella di posta elettronica del destinatario). Era invece da escludere, come gi osservato, la compatibilit del riferimento allopera dellufficiale giudiziario ed alle disposizioni direttamente derivanti da esso (come per esempio il fatto che latto da notificarsi, che nellarticolo 149 bis c.p.c. si supponeva consegnato allufficiale giudiziario, dovesse poi consistere in una sua copia informatica e non, come invece ben possibile rispetto alla notifica eseguita direttamente dallavvocato, anche dal suo originale informatico). La notifica a mezzo pec, secondo quanto stabilito dallarticolo 5, comma 1, della n. 53/1994, nel testo risultante a seguito delle modifiche introdotte dallart. 25 della legge n. 183/2011, doveva poi essere eseguita nel rispetto della normativa, anche regolamentare, concernente la sottoscrizione, la trasmissione e la ricezione dei documenti informatici. La disciplina di rango primario era dunque integrata dalla normativa regolamentare, che, per quanto specificatamente concerne la notificazione di atti in materia civile, andava innanzi tutto individuata nel D.M. 21 febbraio 2011, n. 44, ovvero il regolamento recante le regole tecniche per ladozione nel processo civile e nel processo penale, delle tecnologie dellinformazione e della comunicazione, in attuazione dei principi previsti dal decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, e successive modificazioni, ai sensi dellarticolo 4, commi 1 e 2, del dectreto legge 29 dicembre 2009, n. 193, convertito nella legge 22 febbraio 2010, n. 24 (per comodit di consultazione da parte del collegio si deposita copia del D.M. n. 44/2011 nel testo originario). In particolare, la fattispecie era (ed tuttora, sia pure, per quanto si vedr pi avanti, con disposizioni successivamente modificate) regolata dallart. 18 del D.M. n. 44/ 2011, significativamente rubricato notificazioni per via telematica tra avvocati, in base al quale, con una disciplina di ulteriore dettaglio rispetto a quanto stabilito dalla legge, la notifica a mezzo pec consisteva nellinvio di un messaggio di posta elettronica certificata con, in allegato, latto da notificarsi, mentre la relazione di notificazione doveva essere inserita nel testo del messaggio; il citato articolo 18 prevedeva, altres, che la notifica si intendeva perfezionata nel momento in cui veniva generata la ricevuta di avvenuta consegna breve da parte del gestore di posta elettronica certificata del destinatario. La legge n. 53/1994 ed il D.M. n. 44/2011 dettavano dunque la completa disciplina relativa alle notifiche a mezzo pec. Vi erano, a dire il vero, delle potenziali divergenze tra lart. 149 bis c.p.c. e la specifica normativa regolamentare, limitatamente alla parte in cui la relazione di notificazione, secondo quanto previsto dallart. 18 del D.M. n. 44/2011, doveva essere inserita nel testo del messaggio, mentre nella disposizione codicistica doveva essere firmata ed allegata al messaggio come documento distinto dallatto oggetto di notificazione. Poich, peraltro, la legge n. 53/1994 rinviava allart. 149 bis cpc con la clausola in quanto compatibile, ed al tempo stesso rinviava, o meglio imponeva il rispetto della specifica normativa, anche regolamentare concernente proprio la sottoscrizione, la trasmissione e la ricezione dei documenti informatici, il contrasto, in realt solo apparente, andava probabilmente risolto, rispetto alla detta divergenza, nel senso di attribuire prevalenza alla normativa dettata dallart. 18 del D.M. n. 44/2011, come richiamata, attraverso il programmato rispetto CONTENZIOSO NAZIONALE 141 della normativa anche regolamentare, dallart. 3, comma 3 bis, della legge n. 53/1994. Il quadro normativo rilevante ai fini delle notifiche via pec era dunque rappresentato dalle disposizioni sin qui illustrate. Vi erano poi, come ricordato nellordinanza in esame, le specifiche tecniche adottate, ai sensi dellart. 34 del d.m. n. 44/2011, con provvedimento direttoriale del 18 luglio 2011 (pubblicate nella Gazzetta ufficiale 29 luglio 2011, n. 175, e che, per comodit di consultazione, si depositano con la presente memoria). Si trattava, peraltro, di disposizioni che non rilevavano (e, per la verit, come pi avanti si vedr ancora, tuttora non rilevano, neanche nel testo considerato nellordinanza di cui sopra) rispetto alle notifiche eseguite a mezzo pec, delle quali non si occupavano, essendo tese a disciplinare il processo telematico sul piano strettamente informatico (formati degli atti e dei documenti, protocolli di comunicazioni, messaggi di errore dei depositi telematici). Risulter evidente, da quanto precede, che le notifiche a mezzo pec erano in realt utilizzabili gi nella vigenza della legge n. 183/2011. In tal senso, del resto, si era espressa codesta Suprema Corte, affermando, con la sentenza 28 novembre 2013, sent. n. 26696, lobbligo di procedere alla notifica in forma telematica nellipotesi considerata dallart. 366, secondo comma, c.p.c., e dunque ove il ricorrente, pur non avendo eletto domicilio a Roma, avesse per indicato lindirizzo di pec. Ad ogni buon conto, la disciplina applicabile al controricorso notificato dallesponente Avvocatura in data 25 ottobre 2013 non quella dettata dalla legge n. 183/2011 e dalloriginario testo del D.M. n. 44/2011, che pure, come si visto, era suscettibile di immediata applicazione, nel periodo di sua vigenza, senza la necessit di adozione di ulteriori regole di dettaglio, ma, sulla base di quanto si andr ad esporre nel prosieguo, della disciplina modificata dalla legge 24 dicembre 2012, n. 228 e che lordinanza di codesta Sezione ha ritenuto essere divenuta efficace solo in data 15 maggio 2014. Si tratta di una disciplina che, intervenendo sul D.L. 18 ottobre 2012, n. 179, appena convertito dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221, ha dettato disposizioni, incidenti ancora sul tessuto della legge n. 53/1994, volte per certi versi a semplificare e per altri a disciplinare pi nel dettaglio le concrete modalit con cui eseguire tali notifiche telematiche. In particolare, per effetto delle modifiche apportate alla legge n. 53/1994 dallart. 16 quater del D.L. n. 179/2012 (articolo inserito dallart. 1, comma 19, n. 2, della legge n. 228/2012), stato stabilito che la notifica via pec deve essere effettuato da e verso un indirizzo risultante da un pubblico elenco (art. 3 bis, comma 1, della legge n. 53/1994, nel testo vigente a seguito della legge n. 228/2012), mentre originariamente si faceva riferimento, ma solo per il destinatario, allindirizzo comunicato al consiglio dellordine e risultante da un pubblico elenco (art. 5, comma 1, ed art. 3, comma 3 bis, nel testo risultante a seguito della legge n. 183/2011), dal momento che il notificante poteva invece utilizzare un qualunque indirizzo pec; poi stato escluso, ma solo per le notifiche pec, non anche per quelle a mezzo del servizio postale, lobbligo di annotazione sul registro cronologico di cui allart. 8 della stessa legge n. 53/1994 (art. 8, comma 4 bis, nel testo vigente a seguito della legge n. 228/2012)); inoltre stato espressamente previsto che la notifica a mezzo pec si esegue inviando un messaggio di posta elettronica certificata ad un altro indirizzo di posta elettronica certificata (entrambi, come si visto, risultati da pubblici elenchi), con, in allegato, latto da notificarsi e la relazione di notifica in due file distinti, sottoscritti con firma digitale (in precedenza, come si visto, la relazione di notifica, secondo quanto previsto dallart. 18 del D.M. n. 44/2011, doveva essere inserita nel testo del messaggio). 142 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2016 Larticolo 3 bis, comma 3, della legge n. 53/1994, sempre nel testo risultante a seguito della legge n. 228/2012, ha inoltre espressamente stabilito che la notifica si perfeziona, per il soggetto notificante, nel momento in cui viene generata la ricevuta di accettazione prevista dall'articolo 6, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica 11 febbraio 2005, n. 68, e, per il destinatario, nel momento in cui viene generata la ricevuta di avvenuta consegna prevista dall'articolo 6, comma 2, del decreto del Presidente della Repubblica 11 febbraio 2005, n. 68. Lo stesso art. 3 bis ha poi analiticamente previsto, al comma 4 ed al comma 5, i dati che devono essere riportati, rispettivamente, nelloggetto del messaggio e nella relazione di notificazione (si tratta di dati volti a correttamente individuare loggetto della notificazioni ed i relativi dati, sia del mittente che del destinatario). Le modifiche normative sin qui illustrate, introdotte dallart. 1, comma 19, n. 2, della legge n. 228/2012, inserite con lart. 16 quater, comma 1, del D.L. 179/2012, sono confluite nella legge n. 53/1994. Tanto chiarito circa la portata innovativa delle disposizioni introdotte dalla legge n. 228/2012, si fa ulteriormente osservare che lo stesso articolo 16 quater aveva parallelamente stabilito (comma 2) lobbligo di procedere, con decreto del Ministero della giustizia, da adottarsi entro centottanta giorni dallentrata in vigore della legge di conversione alladeguamento delle regole tecniche di cui al decreto del Ministero della giustizia 21 febbraio 2011, n. 44, e (comma 3), che le disposizioni di cui al comma 1, in vigore dal 1^ gennaio 2013, avrebbero tuttavia acquistato efficacia a decorrere dal quindicesimo giorno successivo alla pubblicazione nella Gazzetta ufficiale della Repubblica Italiana del decreto di cui al comma 2. Si tratta dunque di stabilire quale sia il decreto la cui adozione, con la relativa pubblicazione sulla gazzetta ufficiale, ha determinato lefficacia delle disposizioni introdotte dalla legge n. 228/2012, modificatrici della disciplina delle notifiche a mezzo pec. Ritiene lordinanza in esame che tale decreto sia quello del 16 aprile 2014 con cui sono state adottate le specifiche tecniche previste dallart. 34 del D.M. n. 44/2011. Vi motivo di ritenere che lordinanza in questione non abbia colto nel segno. Come si visto, lart. 16 quater, comma 2, del D.L. 179/2012, aveva chiaramente stabilito che dovesse procedersi alladeguamento non delle specifiche ma delle regole tecniche di cui al decreto del Ministro della giustizia 21 febbraio 2011, n. 44. A tale adeguamento, del resto, ancora secondo quanto previsto dallart. 16 quater, comma 2, doveva procedersi con decreto del Ministro della giustizia. Le regole tecniche di cui al D.M. n. 44/2011 sono per lappunto adottate con decreto del Ministro della giustizia, laddove, per contro, le specifiche tecniche, previste dallart. 34 dello stesso D.M. n. 44/2011 e ad esso subordinate, sono stabilite dal responsabile per i sistemi informativi automatizzati del Ministero della giustizia, dunque con decreto dirigenziale. Al di l dei dati testuali e formali, pure decisivi, milita, peraltro, a sostegno della tesi qui sostenuta, anche un elemento di natura sostanziale. La necessit di subordinare lefficacia delle modifiche legislative alladozione delladeguamento delle regole tecniche dipendeva dal fatto che le prime avevano dettato disposizioni che ora risultavano in contrasto con le previgenti regole tecniche, appunto, di cui al D.M. n. 44/2011, un contrasto che rendeva complicato il compito dellinterprete, dal momento che la legge continuava a prevedere (art. 3 bis, comma 1, della legge n. 53/1994, nel testo risultante CONTENZIOSO NAZIONALE 143 a seguito delle modifiche introdotte dalla legge n. 228/2012) il rispetto della normativa, anche regolamentare, concernetne la sottoscrizione, la trasmissione, e la ricezione dei documenti informatici. In via esemplificativa si consideri che per effetto delle modifiche introdotte dalle legge n. 228/2012, e come si visto, la relazione di notificazione doveva essere inviata come allegato distinto dallatto e sottoscritto con firma digitale, laddove, per contro, lart. 18 del D.M. n. 44/2011 prevedeva che la relazione di notifica fosse semplicemente contenuta nel testo del messaggio, dunque senza la firma digitale del notificante. Ancora si consideri che in base allart. 3 bis, comma 2, della legge n. 53/1994, veniva stabilita la scissione del momento perfezionativo della notifica per il mittente e per il destinatario, mentre larticolo 18, nel dettare analoga disposizione sul perfezionamento della notifica, lo individuava nel momento in cui veniva generata la ricevuta di avvenuta consegna da parte del gestore della pec del destinatario, senza distinguere tra notificante e destinatario. Infine, e sempre in via esemplificativa, si consideri ancora che larticolo 18 intendeva disciplinare, come reso palese dalla sua rubrica, la sola notifica telematica tra avvocati, laddove, invece, a seguito delle modifiche alla legge n. 53/1994, introdotte dalla legge n. 228/2012, eliminato il riferimento, contenuto nel previgente articolo 5, comma 1, allindirizzo comunicato dal destinatario al proprio ordine, la notifica a mezzo pec era divenuto uno strumento utilizzabile dagli avvocati nei confronti di chiunque fosse titolare di un indirizzo pec (anche unimpresa, una societ, una pubblica amministrazione) risultante da uno dei registri pubblici tassativamente indicati dallart. 16 ter del D.L. 179/2012 (e dunque, in ipotesi, anche nei confronti di una persona fisica, nei limiti di attivazione del relativo registro pubblico). Di qui la necessit, prima che le modifiche legislative appena introdotte divenissero efficaci, che la normativa regolamentare cui le norme di rango primario rinviavano fosse coordinata con esse. Non vi era, per contro, nessuna necessit di adeguamento delle specifiche tecniche del luglio 2011, rispetto alle quali non era rinvenibile alcun incoerenza con la disciplina di rango primario, proprio perch, come correttamente rilevato, in tale parte, dallordinanza in esame, dette specifiche tecniche non si occupavano in alcun modo delle notifiche telematiche. Orbene, tanto chiarito circa il fatto che il decreto condizionante lefficacia delle modifiche introdotte alla legge n. 53/1994 dalla legge n. 228/2012 fosse quello di adeguamento del D.M. n. 44/2011, e non delle specifiche tecniche del 18 luglio 2011, non pu non constatarsi che tale decreto quello adottato con D.M. 3 aprile 2013, n. 48 (Regolamento recante modifiche al D.M. n. 44/2011, concernente le regole tecniche per l'adozione nel processo civile e nel processo penale delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione), pubblicato nella gazzetta ufficiale del 9 maggio 2013, n. 107, con cui sono state per lappunto dettate disposizioni di adeguamento dellarticolo 18 del D.M. n. 44/2011 alla nuova disciplina legislativa (per comodit di consultazione da parte del collegio si deposita copia del D.M. n. 44/2011 nel testo risultante a seguito delle modifiche introdotte dal D.M. n. 48/2013). Le disposizioni relative alle notifiche a mezzo pec introdotte dalla legge n. 228/2012, entrate in vigore, come ricordato, il 1^ gennaio 2013, sono dunque divenute efficaci il 24 maggio 2013 (ovvero il quindicesimo giorno successivo alla pubblicazione nella Gazzetta ufficiale del D.M. n. 48/2013, di modifica dellart. 18 del D.M. n. 44/2011, avvenuta il 9 maggio 2013) e non, come ritenuto nellordinanza in esame, il 15 maggio 2014; tale termine stato evidentemente calcolato avendo riguardo alla pubblicazione delle nuove specifiche 144 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2016 tecniche adottate con provvedimento dirigenziale (non del Ministro) del 16 aprile 2014, pubblicato il 30 aprile 2014. Si tratta, tuttavia, di un aggiornamento che non rileva in alcun modo rispetto alle notifiche telematiche eseguite dagli avvocati, argomento del quale tali, aggiornate specifiche tecniche si occupano solo in due disposizioni: in primo luogo nellarticolo 19, per dettare norme attuative delle notifiche telematiche eseguite non dagli avvocati ma dagli ufficiali giudiziari (sebbene, si rammenta, le stesse notifiche non siano state ancora attivate) e, in secondo luogo, nellart. 19 bis, con riferimento alle notifiche telematiche eseguite dagli avvocati ma sotto il diverso e qui non rilevante profilo del deposito telematico delle notifiche stesse, dal momento che nella presente causa si proceduto al deposito cartaceo di quanto notificato a mezzo pec, secondo quanto previsto dallart. 9, comma 1 bis, della legge n. 53/1994. Nel caso di specie la notifica a mezzo pec, effettuata nel mese di ottobre del 2013, stata dunque eseguita nel rispetto della normativa, sia di rango primario che regolamentare, applicabile ratione temporis. Sono state dunque rispettare le disposizioni di rango primario contenute nella legge n. 53/1994, nel testo risultante a seguito delle modifiche introdotte dalla legge n. 228/2012, e, secondo quanto appena visto, divenute efficaci il 24 maggio 2014; sono state, altres, rispettare le disposizioni dettate dalla normativa regolamentare e, in particolare, dallarticolo 18 del D.M. n. 44/2011, nel testo risultante a seguito delle modifiche introdotte dal D.M. n. 48/2013. Latto stato dunque notificato come originale informatico sottoscritto con firma digitale ed allegato al messaggio di pec unitamente alla relazione di notifica, questultima redatta come documento informatico separato, parimenti sottoscritto con firma digitale ed allegato allo stesso messaggio di pec. Nella predisposizione del messaggio, della relazione di notifica e del messaggio da spedire, questultimo anche per il relativo oggetto, si proceduto nel rispetto di quanto previsto dalla disciplina appliccabile ratione temporis. Ai sensi dellart. 9, comma 1 bis, della legge n. 53/1994, non potendosi procedere al deposito telematico di quanto notificato via pec (non essendo stato ancora attivato il processo telematico avanti a codesta Suprema Corte), lAmministrazione si costituita depositando copia cartacea del messaggio spedito, dellatto, della relazione di notifica, della ricevuta di accettazione e della ricevute di consegna, il tutto dichiarato conforme ai rispettivi originali cartacei. Ai sensi del novellato art. 18 del D.M. n. 44/2011, la prova dellavvenuta notificazione stata fornita con la ricevuta di avvenuta consegna completa (in luogo di quella breve prevista dal previgente articolo 18). Circa i registri di riferimento, pur non essendo ancora entrate in vigore, alla data di esecuzione della notifica a mezzo pec, le limitazioni previsti dallart. 16 ter del D.L. 179/2012 che ha tassativamente individuato, con decorrenza dal 15 dicembre 2013, i registri pubblici di riferimento per le notificazioni a mezzo pec, e dunque, in ipotesi, potendosi fare riferimento anche ad altri registri, si comunque utilizzato, come indirizzo mittente, quello presente su Reginde, ovvero il registro previsto dallart. 7 del D.M. n. 44/2011 per il processo civile telematico, e, quanto al destinatario, lindirizzo pec indicato dellatto, del quale si comunque verificata, dichiarandolo nella relazione di notifica, la presenza sullo stesso Reginde. Per quanto precede, ritiene lesponente Avvocatura che la notifica a mezzo pec del controricorso, effettuata con le modalit sin qui esposte e risultanti dal fascicolo di causa debba essere considerata come validamente eseguita. CONTENZIOSO NAZIONALE 145 Circa il ricorso della controparte, si confida, come del resto proposto dalla relazione depositata ai sensi dellart. 380 bis c.p.c., che sia dichiarato inammissibile o comunque che venga respinto, richiamandosi anche, a sostegno, quanto esposto in sede di controricorso. * * * Si depositano: 1) D.M. 21 febbraio 2011, n. 44, nel testo originario; 2) Specifiche tecniche del 18 luglio 2011 (pubblicate in G.U. 29 luglio 2011, n. 175); 3) D.M. 21 febbraio 2011, n 44, nel testo risultante a seguito delle modifiche introdotte dal D.M. n. 48/2013; 4) Specifiche tecniche del 16 aprile 2014 (pubblicati in G.U. 30 aprile 2014, n. 99). Roma, 3 dicembre 2015 Marco La Greca Avvocato dello Stato 146 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2016 Una pronuncia del Consiglio di Stato su lonere di autonoma impugnazione e su la distanza delle sale giochi da luoghi sensibili CONSIGLIO DI STATO, SEZIONE TERZA, SENTENZA 10 FEBBRAIO 2016 N. 579 Wally Ferrante* Segnalo la sentenza del Consiglio di Stato, sez. III del 10 febbraio 2016, n. 579 per due motivi: 1) uno processuale da tenere in considerazione per evitare pronunce di inammissibilit e 2) uno sostanziale, essendo stati affermati importanti principi in tema di distanze delle sale giochi da luoghi sensibili. 1) Il Consiglio di Stato ha respinto con diversa motivazione lappello del Comune di Bologna, al quale avevo aderito in rappresentanza del Ministero dellInterno, costituito anche in primo grado nella medesima posizione processuale del Comune in una causa vertente sullautorizzazione al trasferimento di una sala giochi in altra sede. Il Consiglio di Stato ha affermato linammissibilit della costituzione in giudizio, con memoria non notificata, della Questura (rectius del Ministero dellinterno) in quanto soggetto avente lonere di proporre appello e non legittimato ad assumere nel giudizio di impugnazione una posizione adesiva di mero interveniente al fine di rimuovere una soccombenza principale sancita dalla decisione di primo grado. In realt, di proposito non avevo ritenuto di proporre autonomo appello per il Ministero dellInterno, non intendendo censurare, nelle memorie depositate, statuizioni della sentenza di primo grado diverse da quelle censurate dal Comune di Bologna, avendo chiesto la riforma della sentenza del TAR esattamente negli stessi limiti chiesti dallente locale. Analogo comportamento processuale avevo tenuto in diversi altri casi (ad esempio nel contenzioso elettorale in cui il Ministero dellinterno era dalla stessa parte degli appellanti eletti che avevano interesse al mantenimento dei risultati delle elezioni annullate dal TAR) e il Consiglio di Stato non aveva mai evidenziato la necessit per il Ministero di proporre autonoma impugnazione. 2) Il Consiglio di Stato ha sostanzialmente condiviso la tesi sostenuta nellappello del Comune, al quale il Ministero dellInterno aveva aderito, modificando conseguentemente la motivazione della sentenza del TAR, accogliendo tuttavia uno dei motivi del ricorso introduttivo che era stato dichiarato assorbito dal giudice di primo grado. In particolare, il Consiglio di Stato ha ritenuto che le misure volte alla (*) Avvocato dello Stato. CONTENZIOSO NAZIONALE 147 prevenzione ed al contrasto di forme di dipendenza dal gioco dazzardo lecito (c.d. ludopatia o GAP - gioco dazzardo patologico), come quella in questione - consistente nella imposizione di una distanza minima delle sale giochi e scommesse dai luoghi c.d. sensibili, vale a dire nei quali si presume la presenza di soggetti appartenenti alle categorie pi vulnerabili o comunque in condizioni contingenti di difese ridotte rispetto alla tentazione del gioco dazzardo ed allillusione di poter conseguire attraverso di esso facili guadagni - rientrino principalmente nella materia della tutela della salute. La Corte Costituzionale, con riferimento alle disposizioni della l.p. Bolzano 13/2010, che prevedono limiti di distanza delle sale da gioco rispetto ai luoghi sensibili, ha escluso la violazione dellart. 117, secondo comma, lettera h), della Costituzione, ossia della potest legislativa esclusiva dello Stato in materia di ordine pubblico e sicurezza (sent. n. 300/2011). Quanto alla necessit di pianificare forme di progressiva ricollocazione dei punti della rete fisica di raccolta del gioco che risultano territorialmente prossimi a luoghi sensibili, fissando parametri di distanza validi per lintero territorio nazionale (art. 7, comma 10 del D.L. 158 del 2012 - c.d. Decreto Balduzzi - convertito con L. n. 189 del 2012 e art. 14, comma 2 lett. e) della legge delega 11 marzo 2014, n. 23), il Consiglio di Stato ha affermato che la circostanza che la fissazione di parametri di distanza da luoghi sensibili validi per l'intero territorio nazionale, non sia ancora avvenuta, non impedisce lesercizio dei concorrenti poteri, rivolti alle medesime finalit, delle Regioni e degli Enti locali. Per le considerazioni esposte, sembra evidente che lart. 6 della l.r. Emilia Romagna 5/2013, nel richiedere che le previsioni urbanistico-territoriali in ordine alla localizzazione delle sale da gioco siano adottate nel rispetto delle pianificazioni statali, non attribuisce a queste ultime il valore di presupposto necessario, ma richiede soltanto che le previsioni dettate nellesercizio del potere di pianificazione comunale non si pongano in contrasto con le previsioni stabilite a livello nazionale. Alla luce di quanto sopra, il Consiglio di Stato ha espressamente affermato che la prospettazione dellappello risulta pertanto fondata. Nellesaminare i motivi del ricorso di primo grado rimasti assorbiti, il Consiglio di Stato ha tuttavia accolto il motivo attinente al contenuto della misura di salvaguardia, affermando che la Regione Emilia Romagna non ha stabilito una distanza minima, cos onerando gli enti locali di individuarla, contemperando gli interessi in gioco in relazione alle caratteristiche che assumono nello specifico contesto sociale di applicazione. Pertanto, il Comune di Bologna avrebbe dovuto analizzare in modo approfondito lincidenza delle ludopatie nel proprio territorio, valutare in relazione ad essa quale distanza di rispetto poteva ritenersi astrattamente adeguata alla consistenza del fenomeno da contrastare, e verificare se, in relazione alla 148 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2016 diffusione dei siti sensibili, una simile distanza fosse misura proporzionata e sostenibile, in quanto tale da non impedire di fatto nuove ubicazioni per gli esercizi commerciali del settore e la disponibilit di sedi alternative in vista di possibili trasferimenti degli esercizi in attivit. Pu convenirsi che, al riguardo, si trattasse di esercitare una discrezionalit piuttosto ampia, limitatamente sindacabile. Tuttavia, nel caso in esame, non stato argomentato dal Comune appellante, n risulta dalla documentazione in atti, che valutazioni di tal genere siano state compiute. Pertanto, il Consiglio di Stato, nel citare numerose leggi regionali che hanno fissato la distanza minima delle sale da gioco da luoghi sensibili in 500 metri (o in taluni casi in 300 metri) ha ritenuto che il Comune di Bologna non avesse sufficientemente istruito e motivato la scelta di fissare detta distanza minima in 1000 metri (compiendo invero un sindacato non proprio limitato). Alla luce di quanto sopra, al fine di scongiurare nuovi analoghi contenziosi, ho ribadito alle amministrazioni interessate lesigenza, sempre pi attuale e gi rappresentata in altro simile caso, di sollecitare ladozione di una norma statale che fissi a livello nazionale una distanza minima delle sale da gioco da luoghi sensibili. Consiglio di Stato, Sezione Terza, sentenza 10 febbraio 2016 n. 579 - Pres. M. Lipari, Est. P. Ungari - Comune di Bologna (avv.ti G. Carestia, A. Labriola, G. Stella Richter) c. SNA Scommesse S.r.l. (avv.ti A. Meneghello, C. Fedeli). Interveniente Ministero Interno, Questura di Bologna (avv. gen. Stato). FATTO e DIRITTO 1. La controversia origina dal diniego di autorizzazione, adottato ex art. 88 TULPS in data 24 febbraio 2014 dalla Questura di Bologna, al trasferimento della sala scommesse e giochi mediante videoterminali (VLT) della societ SNA Scommesse S.r.l., odierna appellata. 2. Il divieto stato adottato in quanto la nuova ubicazione (come segnalato nel parere della Polizia Municipale in data 21 gennaio 2014) non rispetta la distanza minima di 1.000 metri, misurata sul percorso pedonale pi breve che collega i rispettivi punti di accesso pi vicini dai seguenti luoghi sensibili: asili, scuole di ogni ordine e grado, luoghi di culto, ospedali, case di cura, camere mortuarie, caserme e strutture protette in genere, cos come richiesto dallart. 23, comma 3, del Regolamento di Polizia Urbana del Comune di Bologna, (introdotto con delibera di C.C. n. 256645 in data 11 novembre 2013). 3. Il diniego stato impugnato dalla societ, unitamente alla disposizione regolamentare presupposta. Dopo loriginaria instaurazione del giudizio presso il TAR del Lazio, il TAR Emilia Romagna (indicato come competente da questa Sezione con ordinanza n. 4088/2014), con la sentenza appellata (II, n. 396/2015), ha accolto il ricorso, ritenendo che lart. 23, comma 3, del Reg. P.U. sia illegittimo, in mancanza del necessario presupposto costituito dagli adempimenti pre- CONTENZIOSO NAZIONALE 149 visti, a livello dellAmministrazione centrale, dallart. 7 del d.l. 158/2012, convertito in legge 189/2012, il cui rispetto previsto dallart. 6 della l.r. Emilia-Romagna 5/2013. 4. Il TAR (esaminando ed accogliendo, nel senso indicato, uno dei motivi del ricorso introduttivo, ed assorbendo gli altri) ha sottolineato la piena ragionevolezza della scelta del legislatore nazionale, in quanto finalizzata a pianificare ed omogeneizzare, con efficacia su tutto il territorio nazionale, lintroduzione di limiti distanziometrici aventi non gi carattere urbanistico ma chiara natura di ordine pubblico. 5. utile precisare fin dora che lart. 7, comma 10, del d.l. 158/2012 (c.d. decreto Balduzzi), come modificato dalla legge di conversione n. 189/2012 (la cui epigrafe comprende misure di prevenzione per contrastare la ludopatia ...), prevede che L'Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato e, a seguito della sua incorporazione, l'Agenzia delle dogane e dei monopoli, tenuto conto degli interessi pubblici di settore, sulla base di criteri, anche relativi alle distanze da istituti di istruzione primaria e secondaria, da strutture sanitarie e ospedaliere, da luoghi di culto, da centri socio-ricreativi e sportivi, definiti con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministro della salute, previa intesa sancita in sede di Conferenza unificata ()provvede a pianificare forme di progressiva ricollocazione dei punti della rete fisica di raccolta del gioco praticato mediante gli apparecchi di cui all'articolo 110, comma 6, lettera a), del testo unico di cui al regio decreto n. 773 del 1931, e successive modificazioni, che risultano territorialmente prossimi ai predetti luoghi. Le pianificazioni operano relativamente alle concessioni di raccolta di gioco pubblico bandite successivamente alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto e valgono, per ciascuna nuova concessione, in funzione della dislocazione territoriale degli istituti scolastici primari e secondari, delle strutture sanitarie ed ospedaliere, dei luoghi di culto esistenti alla data del relativo bando. (). 6. E che, in analoga prospettiva, lart. 6, comma 2, della l.r. Emilia Romagna 5/2013 (Norme per il contrasto, la prevenzione, la riduzione del rischio della dipendenza dal gioco d'azzardo patologico, nonch delle problematiche e delle patologie correlate), ha stabilito che Al fine di perseguire le finalit di cui all'articolo 1 della presente legge e gli obiettivi di cui all'articolo 2 della legge regionale 24 marzo 2000, n. 20 (Disciplina generale sulla tutela e l'uso del territorio), i Comuni possono dettare, nel rispetto delle pianificazioni di cui all'articolo 7, comma 10, del decreto legge n. 158 del 2012, convertito dalla legge n. 189 del 2012, previsioni urbanistico- territoriali in ordine alla localizzazione delle sale da gioco. 7. Nellappello, il Comune di Bologna sostiene, essenzialmente, che: (a) lart. 7, comma 10, del d.l. 158/2012, ha ad oggetto la tutela della salute (sotto forma di prevenzione delle ludopatie) e non lordine pubblico, quindi rientra nella potest legislativa di cui allart. 117, terzo comma, Cost.; lart. 6 della l.r. Emilia Romagna 5/2013 consente ai Comuni di dettare criteri per la localizzazione delle sale gioco; non essendo stati ancora definiti il decreto interministeriale e le conseguenti pianificazioni statale; esiste dunque il potere comunale di disciplinare la materia, tanto pi che lart. 7 prevede la rilocalizzazione dei punti della rete di raccolta, cos presupponendo la legittimit delle pianificazioni locali previgenti; (b) il TAR ha superato i limiti della giurisdizione, allorch, ritenendo necessaria una disciplina uniforme dei limiti di distanza su tutto il territorio nazionale, ha escluso attualmente il potere degli enti locali in materia, da ritenersi viceversa compreso nelle funzioni di pianificazione e governo del territorio loro attribuite. Il Comune ripropone anche le eccezioni e difese (relative alle censure dedotte da controparte e) non esaminate dal TAR. 8. Si costituita in giudizio la Questura di Bologna, chiedendo laccoglimento dellappello. 150 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2016 9. Si parimenti costituita in giudizio la societ appellata, controdeducendo puntualmente ai motivi di appello e riproponendo, ex art. 101, comma 2, cod. proc. amm., le censure non esaminate in primo grado. 9.1. Nel difendere le argomentazioni svolte dal TAR sulla necessaria pregiudizialit degli adempimenti previsti dalla normativa statale, lappellata ribadisce che le disposizioni urbanistico-territoriali previste dalla norma regionale non possono essere contenute in un regolamento di polizia urbana, espressione non della potest urbanistica, bens di quella in materia di incolumit pubblica e decoro urbano (tantՏ vero, che il Comune di Bologna, con delibera di C.C. del 20 aprile 2015, ha poi introdotto identica norma nellart. 32, comma 6, del nuovo regolamento edilizio urbano). 9.2. Lart. 23, comma 3, cit., non pu operare che per lavvenire e con riferimento alle sale scommesse di nuova apertura, con esclusione delle autorizzazioni esistenti (e dei relativi trasferimenti), pena la violazione del principio di irretroattivit degli atti amministrativi; discriminatorio applicare la distanza minima a casi, come quello in esame, di autorizzazione al trasferimento da un sito precluso, in quanto non rispetta la distanza minima, ad un altro sito precluso. 9.3. Posto che la distanza tra i vecchi e nuovi locali di circa 200 metri, e che la nuova sede, rispetto alla vecchia, ha dai medesimi siti sensibili circa le medesime distanze (insufficienti, rispetto a quella minima prescritta dallart. 23, comma 3), evidente che il trasferimento non arreca alcun pregiudizio aggiuntivo ed ulteriore ai frequentatori di detti luoghi sensibili, e quindi il diniego si risolve in una ingiustificata compromissione della libert di iniziativa economica, in contrasto con il canone del buon andamento di cui allart. 97 Cost. e con i criteri di economicit ed efficacia, di cui allart. 1 della legge 241/1990. 9.4. Nellipotesi in cui si ritenga applicabile anche alle sale esistenti, lart. 23, comma 3, illegittimo per la mancanza di una disciplina transitoria, che tenga conto delle iniziative imprenditoriali gi avviate, secondo il principio della progressiva riallocazione delle sale, nellottica del contemperamento dei contrapposti interessi, sancito dallart. 7, comma 10, del d.l. 158/2012; a tal fine, va tenuto conto che il procedimento di autorizzazione al trasferimento stato complesso ed iniziato prima dellentrata in vigore della modifica regolamentare (in data 8 agosto 2013, mediante la c.i.la. per i nuovi locali, cui ha fatto seguito in data 8 gennaio 2014 lautorizzazione dellAgenzia dogane e monopoli, coscch solo in data 10 gennaio 2014 stato possibile presentare listanza per lautorizzazione ex art. 88 TULPS). 9.5. Lindividuazione della distanza minima di 1.000 metri e dei luoghi c.d. sensibili sono irragionevoli, e comunque sono avvenute senza una specifica approfondita istruttoria e senza adeguata motivazione (in particolare, circa lincidenza del nuovo limite di distanza in ordine alla localizzazione delle sale), in violazione dellart. 41 Cost. e del principio di buon andamento ed imparzialit della P.A.; lindicazione quali luoghi sensibili dei luoghi di culto, delle caserme, delle camere mortuarie e dei cimiteri (questi ultimi, non considerati dalla norma statale), la mancanza di una previa mappatura dei luoghi sensibili, e la ricomprensione in essi della categoria, generica, delle strutture protette in genere, impedisce una pianificazione delle attivit imprenditoriali; non si tenuto conto che proprio alle agenzie di scommesse sono assegnate dalla normativa funzioni di tutela del giocatore (art. 1, comma 78, lettera b), punti 13 e 14, legge 220/2010) e di presidio di legalit sul territorio (art. 38, d.l. 223/2006, conv. in legge 248/2006), e che i dati dellOsservatorio epidemiologico dipendenze patologiche dellUniversit di Bologna, come divulgati dal dott. Pavarin, dimostrano che le ludopatie hanno unincidenza limitata nella citt; mentre (in base ad uno studio dellarch. Rubini) la presenza di 498 luoghi sensibili preclude lubicazione delle sale in unarea dalla superficie totale di 65 kmq, pari al 47% dellarea totale racchiusa tra il semianello della tangenziale nord CONTENZIOSO NAZIONALE 151 e la zona collinare a sud, vale a dire la zona nevralgica in cui concentrata la popolazione residente e dunque la potenziale utenza delle sale scommesse. 9.6. Il diniego di autorizzazione ex art. 88 TULPS inficiato da invalidit derivata. 10. La societ appellata e la Questura hanno depositato memorie e memorie di replica. 11. Il Collegio rileva anzitutto linammissibilit della costituzione in giudizio, con memoria non notificata, della Questura, in quanto soggetto avente lonere di proporre appello e non legittimato ad assumere nel giudizio di impugnazione una posizione adesiva di mero interveniente al fine di rimuovere una soccombenza principale sancita dalla decisione di primo grado. 12. Occorre poi sottolineare che, nelle more del giudizio: - sono state rilasciate alla societ appellata le autorizzazioni n. 309 e n. 181 in data 18 maggio 2015; - in data 3 giugno 2015 entrato in vigore il nuovo Regolamento Edilizio Urbano, approvato con delibera di C.C. n. 201 del 20 aprile 2015, che, allart. 32, comma 6, contiene una previsione della distanza minima pressoch identica a quella annullata. 13. Nella memoria di replica, la societ appellata ne fa discendere il sopravvenuto difetto di interesse del Comune allappello. Leccezione va disattesa. Il Collegio non ritiene che si sia verificata limprocedibilit del ricorso, in quanto il rilascio delle autorizzazioni - come, del resto, espressamente sottolineato dalla Questura di Bologna con nota in data 23 settembre 2015 - avvenuto in doverosa esecuzione della sentenza di primo grado, ed in quanto il Comune mantiene linteresse a rivendicare la legittimit della disposizione regolamentare precedente e dei provvedimenti adottati sulla base di essa, anche nella prospettiva di eventuali pretese risarcitorie. 14. Nel merito, la soluzione data dal TAR non convince. 14.1. Deve ritenersi che misure volte alla prevenzione ed al contrasto di forme di dipendenza dal gioco dazzardo lecito (c.d. ludopatia o GAP - gioco dazzardo patologico), come quella in questione - consistente nella imposizione di una distanza minima delle sale giochi e scommesse dai luoghi c.d. sensibili, vale a dire nei quali si presume la presenza di soggetti appartenenti alle categorie pi vulnerabili o comunque in condizioni contingenti di difese ridotte rispetto alla tentazione del gioco dazzardo ed allillusione di poter conseguire attraverso di esso facili guadagni - rientrino principalmente nella materia della tutela della salute. La Corte Costituzionale, con riferimento alle disposizioni della l.p. Bolzano 13/2010, che prevedono limiti di distanza delle sale da gioco rispetto ai luoghi sensibili, ha escluso la violazione dellart. 117, secondo comma, lettera h), della Costituzione, ossia della potest legislativa esclusiva dello Stato in materia di ordine pubblico e sicurezza (sent. n. 300/2011). Ci, precisando che tali disposizioni sono dichiaratamente finalizzate a tutelare soggetti ritenuti maggiormente vulnerabili, o per la giovane et o perch bisognosi di cure di tipo sanitario o socio assistenziale, e a prevenire forme di gioco cosiddetto compulsivo, nonch ad evitare effetti pregiudizievoli per il contesto urbano, la viabilit e la quiete pubblica, mentre la materia ordine pubblico e sicurezza, secondo la consolidata giurisprudenza della stessa Corte, attiene alla prevenzione dei reati ed al mantenimento dellordine pubblico, inteso questo quale complesso dei beni giuridici fondamentali e degli interessi pubblici primari sui quali si regge la civile convivenza nella comunit nazionale, e La semplice circostanza che la disciplina normativa attenga a un bene giuridico fondamentale non vale, dunque, di per s, a escludere la potest legislativa regionale o provinciale, radicando quella statale; per concludere nel senso della legittimit delle suddette disposizioni provinciali, in quanto hanno riguardo a situazioni che non necessariamente implicano un concreto pericolo di 152 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2016 commissione di fatti penalmente illeciti o di turbativa dellordine pubblico, inteso nei termini dianzi evidenziati, preoccupandosi, piuttosto, delle conseguenze sociali dellofferta dei giochi su fasce di consumatori psicologicamente pi deboli, nonch dellimpatto sul territorio dellafflusso a detti giochi degli utenti e che non incidono direttamente sulla individuazione ed installazione dei giochi leciti, ma su fattori (quali la prossimit a determinati luoghi e la pubblicit) che potrebbero, da un canto, indurre al gioco un pubblico costituito da soggetti psicologicamente pi vulnerabili od immaturi e, quindi, maggiormente esposti alla capacit suggestiva dellillusione di conseguire, tramite il gioco, vincite e facili guadagni; dallaltro, influire sulla viabilit e sullinquinamento acustico delle aree interessate (sent. cit.). In sostanza (come espressamente sottolineato da TAR Lombardia, II, n. 1761/2015, con riferimento ad analoghe disposizioni della l.r. Lombardia n. 8/2013; da TAR Lazio, II, n. 2729/2014, con riferimento alla l.r. Liguria 17/2012; e da TRGA Trento, n. 206/2013, con riferimento alla l.p. Trento 9/2000), la Corte ha ritenuto che le disposizioni sui limiti di distanza imposti alle sale da gioco siano dirette al perseguimento di finalit anzitutto di carattere socio-sanitario (come tali estranee rispetto alla materia della tutela dellordine pubblico, rimessa in via esclusiva allo Stato). A dette finalit si affiancano finalit attinenti al governo del territorio, sotto i profili della salvaguardia del contesto urbano e dellordinata viabilit, oltre che al contenimento dellinquinamento acustico. I poteri in questione incidono dunque, in netta prevalenza, in materie oggetto di potest legislativa concorrente, nelle quali la Regione, ai sensi dellart. 117, terzo comma, Cost., pu legiferare nel rispetto dei principi fondamentali della legislazione statale. 14.2. Dallart. 7, comma 10, del d.l. 158/2012, si trae il principio della legittimit di misure di pianificazione delle ubicazioni consentite alle sale giochi e scommesse basate su distanze minime da rispettare (definite dalla citata giurisprudenza prevenzione logistica delle ludopatie), non anche quello della necessit della previa definizione di dette pianificazioni o dei relativi criteri orientativi a livello nazionale. Pu convenirsi con la prevalente giurisprudenza che si occupata della questione, nel senso che la disciplina statale e quella regionale siano reciprocamente coerenti rispetto allobiettivo da perseguire, utilizzando strumenti analoghi con analoghe finalit di prevenzione (oltre alle sentenze succitate, cfr. anche TAR Lombardia, I, n. 1613/2015). Non appare invece condivisibile la opposta interpretazione, sulla base della quale il TAR Lecce ha sollevato la questione di legittimit costituzionale dellart. 7 della l.r. Puglia 43/2013 (che prevede analoga distanza minima), per contrasto con gli artt. 117, terzo comma, e secondo comma, lettera h), Cost. (cfr. ord. I, n. 2959/2015). Daltra parte, la disciplina statale, demandando allAgenzia delle dogane e dei monopoli, sulla base di criteri da stabilire con decreto interministeriale, la pianificazione della progressiva ricollocazione di esercizi legittimamente insediati dopo la sua entrata in vigore, sembra presupporre anche la legittimit di pianificazioni adottate prima della sua piena attuazione. Che questo sia il significato implicito della disciplina statale lo conferma la legge delega in materia fiscale 23/2014, che comprende, allart. 14, comma 1, la delega al riordino delle disposizioni vigenti in materia di giochi pubblici, riordinando tutte le norme in vigore in un codice delle disposizioni sui giochi, la quale, pur essendo orientata dai principi e criteri direttivi secondo i quali occorre introdurre e garantire l'applicazione di regole trasparenti e uniformi nell'intero territorio nazionale in materia di titoli abilitativi all'esercizio dell'offerta di gioco, di autorizzazioni e di controlli, garantendo forme vincolanti di partecipazione dei comuni competenti per territorio al procedimento di autorizzazione e di pianificazione, che tenga CONTENZIOSO NAZIONALE 153 conto di parametri di distanza da luoghi sensibili validi per l'intero territorio nazionale, della dislocazione locale di sale da gioco e di punti di vendita in cui si esercita come attivit principale l'offerta di scommesse su eventi sportivi e non sportivi, nonch in materia di installazione degli apparecchi idonei per il gioco lecito di cui all'articolo 110, comma 6, lettere a) e b), del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, di cui al regio decreto 18 giugno 1931, n. 773, e successive modificazioni, comunque con riserva allo Stato della definizione delle regole necessarie per esigenze di ordine e sicurezza pubblica, prevede anche espressamente che debba assicurarsi la salvaguardia delle discipline regolatorie nel frattempo emanate a livello locale che risultino coerenti con i princpi delle norme di attuazione della presente lettera. 14.3. Anche la Corte Costituzionale, nel giudicare inammissibili (a causa della inadeguata valutazione della rilevanza nel giudizio a quo e di possibili soluzioni ermeneutiche alternative) le questioni di costituzionalit sollevate dal TAR Piemonte nei confronti degli artt. 42 e 50, del d.lgs. 267/2000, e dellart. 31, comma 2, del d.l. 201/2011, convertito dalla legge 214/2011 (nella parte in cui tali disposizioni non prevedono la competenza dei Comuni ad adottare atti normativi e provvedimentali volti a limitare luso degli apparecchi da gioco di cui allart. 110, comma 6, del TULPS), ha sottolineato che il giudice rimettente omette di considerare che il potere di limitare la distribuzione sul territorio delle sale da gioco attraverso l'imposizione di distanze minime rispetto ai cosiddetti luoghi sensibili, potrebbe altres essere ricondotto alla potest degli enti locali in materia di pianificazione e governo del territorio, rispetto alla quale la Costituzione e la legge ordinaria conferiscono al Comune le relative funzioni (sent. n. 220/2014); richiamando, a supporto di tale tesi, lorientamento di questo Consiglio secondo il quale lesercizio del potere di pianificazione non pu essere inteso solo come un coordinamento delle potenzialit edificatorie connesse al diritto di propriet, ma deve essere ricostruito come intervento degli enti esponenziali sul proprio territorio, in funzione dello sviluppo complessivo ed armonico del medesimo, che tenga conto sia delle potenzialit edificatorie dei suoli, sia di valori ambientali e paesaggistici, sia di esigenze di tutela della salute e quindi della vita salubre degli abitanti (cfr. Cons. Stato, IV, n. 2710/2012). 14.4. In conclusione sul punto, la circostanza che la fissazione di parametri di distanza da luoghi sensibili validi per l'intero territorio nazionale, non sia ancora avvenuta, non impedisce lesercizio dei concorrenti poteri, rivolti alle medesime finalit, delle Regioni e degli Enti locali. Per le considerazioni esposte, sembra evidente che lart. 6 della l.r. Emilia Romagna 5/2013, nel richiedere che le previsioni urbanistico-territoriali in ordine alla localizzazione delle sale da gioco siano adottate nel rispetto delle pianificazioni statali, non attribuisce a queste ultime il valore di presupposto necessario, ma richiede soltanto che le previsioni dettate nellesercizio del potere di pianificazione comunale non si pongano in contrasto con le previsioni stabilite a livello nazionale. N a diversa conclusione pu condurre il fatto che lAssemblea regionale, con atto di indirizzo- ordine del giorno sul gioco dazzardo patologico in data 2 luglio 2013, e pubblicato sul B.U.R. contestualmente alla l.r. 5/2013, abbia invitato il Governo a dare attuazione allart. 7, comma 10, del d.l. 158/2012, posto che la esigenza, ivi indicata, di fornire agli enti del governo territoriale una cornice normativa nazionale qualificata dalla certezza, che consenta di adottare atti normativi e pianificatori efficaci e non censurabili sotto il profilo della legittimit risulta strettamente collegata alla progressiva ricollocazione dei punti della rete fisica di raccolta del gioco, prevista dalla norma statale (ed estranea alla questione in esame), e che comunque lesigenza di certezza non incompatibile con la volont di consentire da subito ai Comuni di pianificare le ubicazioni. 15. La prospettazione dellappello risulta pertanto fondata. 154 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2016 16. Occorre di conseguenza esaminare le doglianze non esaminate dal TAR e riproposte dalla societ appellata. 16.1. Quanto allesenzione per le autorizzazioni al trasferimento delle sale esistenti, sembra evidente che, in assenza di disciplina transitoria, la norma regolamentare si applichi a tutte le nuove domande di rilascio di autorizzazioni di p.s., che, ex art. 11 del regolamento di cui al r.d. 635/1940, devono essere valutate alla luce dei parametri pro-tempore vigenti. La circostanza che il verbale della commissione consiliare affari generali e istituzionali del 4 novembre 2013 riporti la dichiarazione dellassessore Monti, nel senso che i locali dovranno rispettare una distanza minima questo per le nuove autorizzazioni, mentre per quelle gi esistenti non varr il limite della distanza non costituisce una sorta di interpretazione autentica in senso contrario, posto che (a parte la limitata rilevanza che avrebbe la singola opinione), trattandosi di applicare distanze minime, il riferimento alle autorizzazioni non pu essere inteso disgiuntamente ai locali cui le autorizzazioni si riferiscono. 16.2. Non vi violazione del principio di irretroattivit. Sembra evidente che, se, per lesigenza di contemperare la prevenzione delle ludopatie con la salvaguardia delle attivit economiche in essere, la norma sulle distanze minima non retroattiva (nel senso che non incide sulle autorizzazioni in essere, ma soltanto su quelle richieste successivamente alla sua entrata in vigore), non per questo lesistenza di unautorizzazione pregressa giustifica una deroga permanente, che sottragga loperatore allapplicazione della disciplina regolamentare a tutela della salute, quale che siano le vicende e le ubicazioni future del suo esercizio commerciale. Altrimenti, oltre a vanificare la portata della disciplina di tutela, si determinerebbe nel settore, attraverso la sorta di contingentamento o comunque la forte valorizzazione delle autorizzazioni preesistenti che ne conseguirebbero, una distorsione della concorrenza maggiore di quella che potrebbe essere imputata alle distanze minime. In altri termini, non una comparazione tra vecchia e nuova ubicazione che viene demandata allAmministrazione, in quanto la comparazione tra i contrapposti interessi lha gi compiuta la norma regolamentare stabilendo la distanza minima, applicabile ad ogni nuova domanda di autorizzazione o di modifica dellautorizzazione per trasferimento della sede. 16.3. Il principio della progressivit della riallocazione, affermato dalla legge statale in relazione alle ubicazioni legittimamente assentite che risultassero contrastanti con le norme di salvaguardia successivamente definite attraverso la pianificazione di settore, quindi va a temperare unipotesi di limitazione delle attivit economiche in essere ben maggiore di quella oggetto della controversia. Per il resto, ogni disciplina di tutela, ad effetti limitativi delle attivit umane determina una cesura tra attivit/ubicazioni autorizzate ed attivit/ubicazioni (ancora) non autorizzate, senza che dai principi generali discenda la necessit di far salvi i procedimenti autorizzatori in itinere e, in generale, di stabilire una disciplina transitoria. 16.4. Appare invece fondata la censura rivolta al contenuto della misura di salvaguardia. Non tanto sotto il profilo dellampliamento delle categorie dei siti sensibili rispetto a quelle contemplate dal d.l. 158/2012, che nel caso in esame non assume rilevanza decisiva, posto che la nuova ubicazione prescelta dallappellata non rispetta la distanza minima anche rispetto a due sedi scolastiche, categoria menzionata dalla legge statale. Quanto invece sotto il profilo dellirragionevolezza della distanza minima di 1.000 metri, e del difetto di istruttoria e di motivazione in ordine alleffetto sostanzialmente preclusivo di nuove attivit che avrebbe nello specifico contesto urbano di Bologna. La difesa del Comune ne eccepisce linammissibilit, in quanto comporterebbero una sostituzione del giudice nellesercizio di scelte di merito. CONTENZIOSO NAZIONALE 155 Il Collegio non di questo avviso. Nel caso in esame, se leffetto dissuasivo della distanza dalle sale giochi dei (luoghi in cui si trovano di regola i) soggetti da tutelare risponde ad un criterio presuntivo generalmente condiviso, manca una regola tecnica cui fare riferimento per misurare lefficacia di una determinata distanza. Posto, dunque, che limposizione di una distanza di rispetto costituisce in via di principio uno strumento idoneo e necessario per tutelare linteresse pubblico primario (prevenzione delle ludopatie), e che la massimizzazione della cura di tale interesse condurrebbe ad imporre distanze molto ampie, lindividuazione di una distanza, piuttosto che unaltra, discende invece dallesercizio di una discrezionalit amministrativa, che effettui la ponderazione con i contrapposti interessi allo svolgimento delle attivit lecite di gioco e scommessa, alla luce dei canoni della adeguatezza e della proporzionalit. In particolare, risponde ad unesigenza di ragionevolezza che, in esito ad una valutazione dei comportamenti dei soggetti pi vulnerabili e dellincidenza del fenomeno delle ludopatie in un determinato contesto, venga stabilita dalla legge una distanza minima fissa, presuntivamente idonea ad assicurare un effetto dissuasivo, proteggendo i frequentatori dei c.d. siti sensibili; oppure, che la legge indichi detta distanza di rispetto nella sua misura massima, ovvero nella sua misura minima, consentendo alle Amministrazioni territoriali e locali di valutare le rispettive situazioni e di individuare conseguentemente come adeguate distanze diverse purch rispettose del limite. Senza pretesa di esaustivit: una distanza minima di cinquecento metri prescritta dallart. 4 della l.r. Toscana 57/2013, dallart. 7 della l.r. Puglia 43/2013 e dallart. 6 della l.r. Basilicata 30/2014; una distanza minima di trecento metri invece prescritta dallart. 5-bis della l.p. Bolzano 13/1992, dallart. 13-bis della l.p. Trento 9/2000, dallart. 5 della l.r. Liguria 13/2015 e dallart. 3 della l.r. Abruzzo 40/2013; una distanza minima, determinata dalla Giunta regionale, ma comunque non superiore a cinquecento metri, prevista dallart. 5, comma 1, della l.r. Lombardia 8/2013, e dallart. 6 della l.r. Friuli VG n. 1/2014, analogo potere attribuito ai Comuni dallart. 6 della l.r. Umbria 21/2014, mentre lart. 4 della l.r. Valle dAosta 14/2015 prevede la stessa distanza, ma consente ai Comuni di stabilire una distanza maggiore; infine, lart. 20 della l.r. Veneto 6/2015, senza individuare una distanza di riferimento, attribuisce ai Comuni il potere di stabilire la distanza minima. La Regione Emilia Romagna non ha stabilito una distanza minima, cos onerando gli enti locali di individuarla, contemperando gli interessi in gioco in relazione alle caratteristiche che assumono nello specifico contesto sociale di applicazione. Pertanto, il Comune di Bologna avrebbe dovuto analizzare in modo approfondito lincidenza delle ludopatie nel proprio territorio, valutare in relazione ad essa quale distanza di rispetto poteva ritenersi astrattamente adeguata alla consistenza del fenomeno da contrastare, e verificare se, in relazione alla diffusione dei siti sensibili, una simile distanza fosse misura proporzionata e sostenibile, in quanto tale da non impedire di fatto nuove ubicazioni per gli esercizi commerciali del settore e la disponibilit di sedi alternative in vista di possibili trasferimenti degli esercizi in attivit. Pu convenirsi che, al riguardo, si trattasse di esercitare una discrezionalit piuttosto ampia, limitatamente sindacabile. Tuttavia, nel caso in esame, non stato argomentato dal Comune appellante, n risulta dalla documentazione in atti, che valutazioni di tal genere siano state compiute. La difesa del Comune richiama (oltre che, genericamente, un atto di indirizzo della Regione, 156 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2016 da cui il Comune avrebbe tratto i dati di un censimento sul gioco dazzardo effettuato su scala nazionale dalla Presidenza del Consiglio e dellindagine conoscitiva curata da Eurispes e dalla Onlus Telefono Azzurro circa il coinvolgimento dei bambini) il verbale della seduta del Consiglio comunale in cui stata approvata la modifica regolamentare; ma dalla lettura degli interventi, assai estesi, dellassessore competente e dei rappresentanti di tutte le forze politiche, non si evincono considerazioni specifiche e basate su argomenti non esclusivamente di natura politica, circa ladeguatezza e lincidenza concreta sul territorio della distanza minima di 1.000 metri contenuta nella proposta da approvare. Per contro, come sopra esposto, a corredo della censura la societ appellata ha prospettato elementi (non espressamente confutati dalla difesa del Comune) che, unitamente alla considerazione dei meno impegnativi limiti di distanza adottati in altre Regioni, appaiono tali da poter mettere seriamente in discussione la ragionevolezza, adeguatezza e proporzionalit della decisione di stabilire una distanza di 1.000 metri. 17. Infine, per quanto esposto, la pianificazione comunale prevista dalla l.r. 5/2013 si concretizza in disposizioni urbanistico-territoriali, aventi finalit di tutela della salute, ma anche di qualit ambientale urbana in senso lato. La differenza, rispetto ad una disciplina come quella del regolamento di polizia urbana, oltre che nelle finalit di cura di interessi pubblici (in quel caso, concernenti lincolumit pubblica ed il decoro urbano) che la ispirano, sta nel fatto che per il regolamento edilizio, quale componente della pianificazione urbanistica generale, la l.r. 20/2000 prevede un procedimento che comprende fasi di partecipazione idonee a far emergere la effettiva consistenza degli interessi in gioco, cos da consentire valutazioni complete e razionali. Proprio ci che, per quanto esposto, non risulta essere avvenuto ai fini delladozione della norma regolamentare oggetto della controversia. Va aggiunto che non sembra che lesame di questo profilo di censura (in quanto non dedotto con appello incidentale) debba ritenersi precluso dalla circostanza che il TAR (nellaccogliere il motivo di ricorso incentrato sulla mancata attuazione dellart. 7, comma 10, del d.l. 158/2011) ha accennato anche alla riconducibilit della norma regolamentare impugnata a finalit di ordine pubblico, posto che comunque mancata in primo grado una espressa considerazione della natura della potest esercitata, e che non vi corrispondenza biunivoca tra la potest pianificatoria e le molteplici finalit perseguibili. Anche sotto questo profilo (cfr., supra, 9.1.), pertanto, il ricorso introduttivo fondato ed avrebbe dovuto essere accolto. 18. Dalla fondatezza dei profili di censura esaminati per ultimi, discende che la sentenza di primo grado merita di essere confermata, per quanto riguarda laccoglimento del ricorso introduttivo, ma con la diversa motivazione sopra esposta. 19. Le spese del doppio grado di giudizio, stante la relativa novit delle questioni affrontate, possono essere integralmente compensate tra le parti. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge e conferma, con diversa motivazione, la sentenza appellata. Spese compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorit amministrativa. Cos deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 14 gennaio 2016. CONTENZIOSO NAZIONALE 157 La giurisprudenza amministrativa e i vincoli paesaggistici CONSIGLIO DI STATO, SEZ. SESTA, SENTENZA 7 MARZO 2016 N. 914 La sentenza in rassegna che si pone nel solco della giurisprudenza amministrativa sullagro romano precisa che il Ministero ha potere autonomo, oltre a quello sostitutivo delle regioni inerti, in tema di vincoli paesaggistici confutando la tesi del T.a.r. Lazio che aveva ritenuto configurarsi solo un potere sostitutivo. Si pubblica lappello interposto dallAmministrazione statale avverso la pronuncia del T.a.r. Lazio. CT 2307/2011 - sez. IV - avv. Scino AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO ECC.MO CONSIGLIO DI STATO RICORSO IN APPELLO E CONTESTUALE ISTANZA EX ART. 98 C.P.A. Per il MINISTERO DEI BENI E DELLE ATTIVIT CULTURALI E DEL TURISMO (C.F. 80188210589), con riferimento alla Direzione generale per i beni culturali e paesaggistici del Lazio, in persona del Ministro p.t., rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, Fax 06/96514000, presso i cui uffici domicilia in Roma alla Via dei Portoghesi, n. 12, PEC ags_rm2@mailcert.avvocaturastato.it; appellante contro G.S. S.a.s., in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa dall'avv. Angelo Di Silvio ed elettivamente domiciliata presso lo Studio dellavv. Enrico Valentini in Roma, Viale delle Milizie, n. 34; appellata e per quanto di interesse ASSOCIAZIONE SVILUPPO SOSTENIBILE ALFINA, in persona del rappresentante legale pro tempore, rappresentata e difesa dagli avv.ti Michele Venturiello e Maria Grazia Carcione ed elettivamente domiciliata presso lo Studio del primo dei suindicati difensori in Roma, Largo Messico, n. 6; per l'annullamento e/o la riforma della sentenza del TAR del Lazio, sez. II-quater, n. 10436, depositata il 29.07.2015, non notificata. *** FATTO 1. La G.S. S.a.s. una societ operante nel settore delle attivit estrattive autorizzata allo svolgimento di attivit estrattiva di basalto in localit Le Greppie nel Comune di Acquapendente (Viterbo) dal 1988. Nel ricorso intoduttivo in primo grado la predetta Societ ha riferito di avere acquistato nel 2005 i terreni confinanti con lattuale cava Le Greppie di talch, non essendo stati opposti dal Comune ostacoli allattivit estrattiva derivanti da vincoli ostativi, essa redigeva il progetto di ampliamento del sito della cava e provvedeva ad avviare una operazione di ammodernamento delle attrezzature produttive. Ha riferito ancora la societ ricorrente che nel marzo 2010, mentre si era prossimi al rilascio 158 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2016 dellautorizzazione allampliamento della cava ed alla conseguente stipula della nuova convenzione, il Comune di Acquapendente riferiva della intenzione da parte del Ministero per i beni e le attivit culturali (dora in poi, per brevit e con riferimento allattuale denominazione corretta, MIBACT) di notificare una proposta di vincolo che avrebbe ricompreso anche larea della cava, circostanza che si verific nel corso del successivo mese di maggio quando il MIBACT comunic al Comune la proposta di dichiarazione di vincolo paesaggistico, con conseguente sospensione del rilascio di titoli autorizzativi sullarea interessata dal vincolo. Tale proposta rimase senza definizione per scadenza dei termini di cui allart. 140 del decreto legislativo n. 42 del 2004. Successivamente il MIBACT, con la nota prot. n. 0017580 dell'11 novembre 2010 dava avvio ad una nuova procedura con ladozione di una nuova proposta sulla medesima area, denominata "Altopiano dell'Alfina" come apliamento del vincolo, D.M. 22 maggio 1985, "Monte Rufeno e Valle della Paglia" ex artt. 136, lett. d), 138, comma 3, 141, comma 1, D.Lgs. 42/2004 (all. 1). L'ambito paesaggistico interessato dalla proposta di ampliamento abbraccia un territorio vasto del quale la cava attualmente ne occupa una porzione lmitata come si evince dalla planimetria esplicativa (all. 13) e come descritto nella definizione del perimetro (all. 13 bis). Tale proposta veniva fatta oggetto del gravame originario del giudizio davanti al TAR del LAZIO, sez. II-quaer, con prospettazione dei seguenti motivi di gravame: 1) abuso di potere da parte del Ministero essendosi questultimo assunto competenze proprie della Regione Lazio ed avendo reiterato una proposta di vincolo ormai decaduta con conseguente applicazione delle misure di salvaguardia (che nella specie impedirebbero alla ricorrente di dare esecuzione ai lavori di ampliamento della cava); 2) la nuova proposta di vincolo, trattandosi di una mera reiterazione della precedente gi scaduta per decorrenza dei termini, avrebbe dovuto contenere una specifica motivazione circa le ragioni che sorreggevano la scelta di reiterare la proposta; al contrario il provvedimento qui impugnato non cita neppure il precedente procedimento; 3) la proposta di vincolo nella realt tesa a garantire il raggiungimento di interessi privati opposti rispetto a quelli vantati dalla Societ ricorrente, con lunico obiettivo di impedire a questultima di realizzare lampliamento della cava; 4) per la ragione appena espressa il provvedimento deve considerarsi adottato in sviamento di potere; 5) violazione degli artt. 141-bis e 156 del d.lgs. n. 42 del 2004, atteso che dette norme introducono un mero potere sostitutivo del Ministero subordinato allinerzia protratta dalle commissioni provinciali ovvero dalla Regione, avendo quindi il legislatore inteso limitare le competenze ministeriali ed attribuendo un ruolo primario alle valutazioni regionali anche in funzione degli obiettivi di pianificazione paesaggistica. Nel caso di specie invece, a fronte di una iniziativa privata perch fosse proposta limposizione del vincolo sullarea in questione avanzata nel 2006 e dopo che il Piano territoriale paesaggistico nel 2007 ha qualificato la zona come agricola, senza che i rappresentanti del Ministero che avevano partecipato ai lavori per la redazione del Piano avessero sollevato alcuna contestazione in merito, di talch il Ministero avrebbe potuto e/o dovuto provvedere in via sostitutiva rispetto al contenuto del Piano, soltanto in data 19 aprile 2010 la proposta di vincolo veniva reiterata e successivamente, una volta scaduti i termini per ladozione del relativo provvedimento definitivo, ancora reiterata in data 11 novembre 2010; 6) violazione di legge per mancata convocazione della conferenza di servizi in quanto, posto CONTENZIOSO NAZIONALE 159 che lobiettivo dellintervento ministeriale quello di tutelare laltopiano dellAlfina e che tale zona interessa sia la Regione Lazio che la Regione Umbria, avrebbe dovuto essere inserito allinterno del procedimento di proposta del vincolo un momento di confronto tra le amministrazioni interessate per il tramite della convocazione di una conferenza di servizi. Seguono altre censure con le quali la societ ricorrente articola ipotesi di eccesso di potere per illogicit e contrariet, difetto di istruttoria e travisamento dei fatti. Alla domanda di annullamento dellatto impugnato veniva fatta seguire una domanda risarcitoria. 2. Con ricorso recante motivi aggiunti la societ ricorrente ha chiesto lannullamento del decreto di dichiarazione di notevole interesse pubblico dellarea sita nel Comune di Acquapendente denominata Altopiano dellAlfina ampliamento del vincolo Monte Rufeno e Valle del Paglia, di cui al D.M. 22 maggio 1985, emanato dalla Direzione generale per i beni culturali e paesaggistici del Lazio del MIBACT, in data 12 maggio 2011 e pubblicato in data 16 maggio 2011 sulla Gazzetta Ufficiale-Serie Generale-parte prima n. 112 nonch del parere reso dal Comitato scientifico per i Beni architettonici e paesaggistici emesso in data 9 maggio 2011. Nei confronti di tale atto, con il quale si completata la procedura avviata con la proposta impugnata con il ricorso principale, la societ ricorrente ha dedotto i seguenti motivi di censura: 1) illegittimit per violazione dellart. 141, comma 2, del d. lgs. n. 42 del 2004 nonch del d.PR. n. 233 del 2007 in quanto il comitato tecnico scientifico che ha espresso il proprio avviso obbligatorio per come stabilito dallart. 141, comma 2, del d. lgs. n. 42 del 2004 vedeva tra i suoi componenti quale vice presidente, facente per le funzioni di presidente (atteso che il presidente in carica, arch. G.C., era assente in quanto si era nella specie astenuto per conflitto di interessi con il fratello, arch. L.C., promotore delliniziativa di richiedere la dichiarazione di notevole interesse dellarea in questione), larch. R.M. che era in quiescenza dal 2010 e quindi privo di potere di rappresentanza dellente, con la conseguenza che la sua presenza nel Comitato ne ha inficiato i lavori e le decisioni facendo venir meno il numero legale dellorgano collegiale, quanto alla valida e completa presenza dei componenti sia per lo svolgimento dei lavori dellorgano medesimo sia con riguardo alla decisione assunta. Daltronde laffermazione proveniente dal Ministero che il Comitato operasse in regime di prorogatio renderebbe addirittura nullo il parere espresso dal Comitato medesimo; 2) venivano poi reiterati i motivi di censura dedotti con il ricorso principale sostenendone lincidenza patologica in via derivata nei confronti del successivo atto impugnato con i motivi aggiunti. 3. Si costituito in entrambi i giudizi l'intestata Amministrazione contestando analiticamente le avverse prospettazioni e chiedendo la reiezione dei gravami, attesa la correttezza delle procedure svolte dai competenti uffici ministeriali. intervenuta in giudizio, ad opponendum, lAssociazione sviluppo sostenibile Alfina. Con ordinanza n. 1547 del 29 aprile 2011, non ravvisando profili di periculum in mora, la Sezione ha respinto listanza cautelare avanzata dalla ricorrente. Con sentenza n. 10436, depositata il 29 luglio 2015, il TAR del Lazio, sez. II-quater (all. 1), ha accolto parzialmente le pretese avanzate dalla ricorrente, annullando gli atti impugnati negli stretti limiti e sulla base della seguente e assorbente motivazione: "[...] dalla documentazione prodotta emerge che autonomamente il Ministero ha dato corso al potere sostitutivo previsto dal decreto legislativo n. 42 del 2004 per la dichiarazione di notevole interesse pubblico dellintera area dellAltopiano dellAlfina, successivamente alla scadenza del termine per la definizione della procedura ordinaria e nonostante fosse noto ai competenti uffici ministeriali che ai sensi del PTPR del 2007 larea in questione era stata 160 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2016 qualificata in termini di zona agricola assente da vincoli, tanto vero che il Comune di Acquapendente il 17 dicembre 2012, sulla scorta della suindicata qualificazione dellarea, autorizzava lodierna ricorrente ad un parziale ampliamento della cava. Il provvedimento con il quale si avviata la seconda procedura sostitutiva da parte del Ministero (impugnato con il ricorso principale) e il successivo provvedimento di dichiarazione definitiva dellarea di interesse pubblico (impugnato con motivi aggiunti) non fanno alcun riferimento alle ragioni che hanno indotto il Ministero, nonostante fosse stata lasciata cadere nel nulla la prima procedura per decorso dei termini, a riproporre un procedimento di dichiarazione di interesse pubblico dellAltopiano dellAlfina, esercitando peraltro il potere in via sostitutiva nei confronti della Regione Lazio e nonostante fosse stato gi adottato un PTPR. pur vero che, in virt delle disposizioni legislative pi sopra ricordate, in capo al Ministero, in attuazione dellart. 9 Cost., deve essere riconosciuto un autonomo potere di disporre il vincolo paesaggistico su unarea (rispetto al corrispondente potere regionale previsto dal decreto legislativo n. 42 del 2004) mediante determinazioni che hanno ipso iure leffetto della conseguente e corrispondente integrazione del piano regionale, qualora (come nel caso di specie) esso sia stato gi emanato, purtuttavia tale potere deve essere esercitato nel pi rigoroso rispetto del principio di leale collaborazione tra enti, in relazione al quale al Ministero non impedito di imporre la dichiarazione, ma ci deve avvenire attraverso un procedimento che consenta agli enti coinvolti di partecipare pienamente allesercizio dellazione autoritativa, venendo comunque a conoscenza delle ragioni che hanno indotto il Ministero alla decisione" (Par. 6.) In definitiva, dalla motivazione richiamata, secondo il giudice di primo grado la correttezza della procedura in oggetto sarebbe inficiata sotto un duplice profilo: - Difetto di motivazione. Il MIBACT avrebbe provocato una riedizione della procedura volta all'imposizione del vincolo paesaggistico sull'area denominata "Altopiano dell'Alfina" senza esplicitare adeguatamente le ragioni sottese a tale nuova iniziativa. - Eccesso di potere. Il riesercizio del potere amministrativo sarebbe avvenuto in via sostitutiva rispetto alla Regione Lazio, in spregio all'esigenza di leale collaborazione che le norme della procedura in esame (art. 136 ss. del D.Lgs. citato) impongono, in particolare senza aver prima recepito il relativo "parere obbligatorio" di cui all'art. 138, comma 3, D.Lgs. 42/04. In tale contesto si aggiungerebbe la circostanza che gli atti impugnati (la proposta di vincolo paesaggistico ed il successivo decreto di dichiarazione di notevole interesse pubblico dell'area suddetta) sono intervenuti nonostante fosse gi stato adottato un PTPR (Piano Territoriale Paesaggistico Regionale) del 2007 che qualificava espressamente l'area in questione in termini di "zona agricola", esente da vincoli. *** Tale motivazione non pu essere condivisa e, pertanto, la sentenza su indicata merita di essere riformata per i seguenti motivi di: DIRITTO 1. Sul potere del MIBACT, di dichiarazione del notevole interesse pubblico di beni paesaggistici (art. 183, co. 3, D.Lgs. 42/2004). 1.1. L'assunto da cui muove la pronuncia impugnata, secondo cui il potere ministeriale di imposizione del vincolo paesaggistico avrebbe natura sostitutiva delle attribuzioni originariamente spettanti all'Ente regionale appare errato alla luce del costante orientamento della giurisprudenza e contrastante con i principi costituzionali in materia (art. 9 Cost.). CONTENZIOSO NAZIONALE 161 I provvedimenti impugnati sono stati emanati ai sensi dell'art. 141, comma 2, del Codice, sulla base dei relativi articoli 136, 138, 139 e 140, e perci nell'esercizio del potere del Ministero di dichiarare il notevole interesse pubblico di beni paesaggistici ad esso attribuito dall'art. 138, comma 3. Tale potere autonomo rispetto a quello attribuito alle Regioni per corrispondenti esigenze di tutela, considerato che: a) nell'ambito della disciplina dell'iter di formazione della dichiarazione di notevole interesse pubblico, la medesima disposizione prevede che comunque "Fatto salvo il potere del Ministero" su proposta motivata del soprintendente, previo parere della regione interessata, "di dichiarare il notevole interesse pubblico degli immobili e delle aree di cui all'articolo 136"; b) ai sensi dell'art. 140, comma 2, del Codice (richiamato dall'art. 141 concernente i provvedimenti ministeriali), la dichiarazione determinata dal Ministero diviene "parte integrante del piano paesaggistico" di cui all'art. 135 "e non suscettibile di rimozioni o modifiche nel corso del procedimento di redazione o revisione del piano medesimo". "In considerazione della titolarit in capo allo Stato dei poteri sussistenti in materia (sulla base in primis dell'art. 9 della Costituzione), la normativa del Codice ha dunque stabilito espressamente l'autonomia del potere ministeriale di disporre il vincolo paesaggistico (rispetto al corrispondente potere attribuito alla Regione sulla base della legislazione trasfusa nel Codice del 2004), mediante determinazioni che hanno ipso iure l'effetto della conseguente e corrispondente integrazione del piano regionale, qualora gi emanato". (Cons. Stato, sez. VI, 11 gennaio 2013, n. 118; nello stesso senso Cons. Stato, sez. VI, 11 gennaio 2013, n. 120; TAR Lazio, n. 36851/2010). Sulla base di quanto sopra si pertanto conlcuso che: "a) l'esercizio della potest di determinazione del vincolo attribuita al Ministero dall'art. 138, comma 3, in quanto autonoma ai sensi del quadro normativo sopra delineato (e attribuita alla autorit statale in doverosa attuazione dell'art. 9 della Costituzione), non condizionata alla previa inerzia della Regione, essendo altres estranea alla tematica (come nel caso di specie, n.d.r.) la previsione dell'art. 143, comma 2, del Codice, poich relativa al diverso procedimento della elaborazione del piano paesaggistico; b) il principio di leale cooperazione tra le amministrazioni pubbliche, e in particolare tra il Ministero e le Regioni, posto dall'art. 133 del Codice si concreta, nella specie, nella disciplina di cui al medesimo comma 3 dell'art. 138, che prevede il parere obbligatorio ma non vincolante della Regione (da rendere entro trenta giorni dalla richiesta), e di cui all'art. 141 che, nel richiamare l'applicazione degli articoli 139 e 140, inserisce nell'iter di formazione del provvedimento ministeriale le modalit partecipative ivi definite (in particolare dei Comuni interessati), con la proposizione di osservazioni da valutare, oltre la previsione del parere del competente Comitato tecnico scientifico" (Cons. Stato, n. 118/2013, cit.) Tale assetto, peraltro, si pone in conformit a quanto gi da tempo stabilito in materia dalla Corte Costituzionale (gi a partire da C. cost., 24 luglio 1998, n. 334). 1.2. Sulla base delle considerazioni svolte, manifesto che il potere assegnato al MIBACT 162 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2016 dall'art. 138, co. 3, D.Lgs. 42/04 non un potere sostitutivo, bens un "autonomo poteredovere d'intervento". Ci chiarito, non trovano fondamento le censure mosse nella motivazione della sentenza impugnata (Par. 6 della sentenza, citato in fatto) secondo cui non vi sarebbe stato alcun coinvolgimento degli Enti Territoriali interessati, ed in particolare della Regione Lazio. Nel caso di specie si osserva che stato scrupolosamente rispettato l'iter dettato dall'art. 141, D.Lgs. 42/04 (che, come detto, disciplina la procedura per l'esercizio del potere del Ministero ex art. 138, comma 3), e con specifica attenzione agli aspetti della procedura che qui interessano si osserva quanto segue. L'area in esame stata considerata omogenea dal punto di vista delle qualit paesaggistiche. Pertanto per perseguire gli obiettivi di tutela si reso necessario che anche il PTPR venisse adeguato. Il PTPR stato adottato con atti della Giunta Regionale del 27 luglio 2007, n. 556 e del 21 dicembre 2007, n. 1025, e pubblicato nel Supplemento n. 14 del BUR n. 6 del 14 febbraio 2008. Il suddetto Piano classifica la zona interessata in "sistema del paesaggio agrario", dividendo il territorio in due ambiti di paesaggio: agrario di rilevante valore e paesaggio agrario di valore. L'obiettivo della presente tutela di ottenere un territorio che sia sottoposto a disposizioni normative che mantengano le qualit prevalentemente naturalistiche correlando le attivit che si possono svolgere. La normativa adottata, anche se trattasi di ambito agrario non garantisce il raggiungimento degli obiettivi che la tutela si prefigge, pertanto si rende necessaria una valutazione pi restrittiva ed omogenea. A tal fine si proposto che l'intero territorio sia considerato come inserito nel sistema paesaggio naturale e ambito di paesaggio naturale agrario. In ossequio all'art. 138, comma 3, D.Lgs. 42/04, la Soprintendenza per i Beni Architettonici e Paesaggistici per le provincie di Roma, Frosinone, Latina, Rieti e Viterbo ha tempestivamente inviato, con nota del 28 ottobre 2010 - prot. n. 0016128 alla Regione Lazio la proposta di dichiarazione di notevole interesse pubblico, a cui quest'ultimo Ente, con nota del 9 novembre 2010 - prot. n. 30142 (all. 14), "esamaniata la documentazione di supporto allegata alla richiesta di parere" ha espresso "condivisione sull'individuazione dell'ambito da tutelare e dei contenuti della proposta medesima" prendendo "favorevolmente atto che, per quanto attiene alla specifica disicplina dettata ai sensi dell'art. 140, c. 2 del Codice, sono state introdotte norme coerenti con l'articolato del Piano Territoriale Paesaggistico del Lazio". Alla luce di quanto dedotto non trova fondamento quanto affermato dal giudice di prime cure secondo cui il potere ministeriale sarebbe stato esercitato in via sostitutiva senza un adeguato coinvolgimento dell'Ente regionale interessato. 2. Sulla motivazione della riedizione del procedimento amministrativo. 2.1. In merito all'asserita carenza di motivazione, si ricorda che la giurisprudenza ha pacificamente stabilito che al "procedimento di competenza di integrazione degli elenchi delle bellezze ambientali (antenato dell'odierno istituto di dichiarazione di notevole interesse, n.d.r.) non sono applicabili le norme procedimentali previste dagli art. 2 ss. L. 29 giugno 1939 n. 1497, n possono ritenersi applicabili le forme di partecipazione contemplate dalla L. 7 agosto 1990 n. 241, atteso che l'art. 13 di detta legge esclude l'operativit delle norme in materia di partecipazione al procedimento in presenza di attivit della p.a. diretta all'emanazione di atti normativi, amministrativi generali di pianificazione e di programmazione, per i quali restano ferme le particolari norme che ne regolano la formazione [...]" (Cons. Stato, sez. VI, 8 aprile 2002, n. 1898). Corrobora la natura di atto amministrativo a contenuto generale propria del provvedimento di dichiarazione di notevole interesse pubblico la copiosa e unanime giurisprudenza che ha CONTENZIOSO NAZIONALE 163 qualificato come tali tutti i provvedimenti della P.A. in materia di pianificazione e tutela del territorio (cfr. Cons. Stato, sez. V, 3 maggio 2006, n. 2471; Cons. Stato, sez. IV, 17 aprile 2003, n. 2004; Cons. Stato, sez. V, 26 maggio 2003, n. 2852). A ulteriore prova della natura di atto a contenuto generale tipica della dichiarazione di notevole interesse pubblico, sufficiente constatare: la natura di atto d'ufficio, e non su istanza privata, della dichiarazione; la notevole estensione del territorio considerato nella proposta; il numero indeterminato dei soggetti su cui detta dichiarazione destinata ad incidere; la natura generale delle prescrizioni contenute nella dichiarazione; le forme di pubblicit, tipiche degli atti a contenuto generale (e non di quelli destinati ad incidere direttamente su un determinato soggetto), che il D.Lgs. 42/2004 prescrive per il procedimento di dichiarazione di notevole interesse, visto che: 1. la "[...]proposta di dichiarazione di notevole interesse pubblico di cui all'articolo 138 ...(omissis)... pubblicata per novanta giorni all'albo pretorio e depositata a disposizione del pubblico presso gli uffici dei comuni interessati"; 2. "dell'avvenuta proposta e relativa pubblicazione data notizia su almeno due quotidiani diffusi nella regione interessata, nonch su un quotidiano a diffusione nazionale" (avvenute peraltro in data 11 febbraio 2011); 3. la dichiarazione di notevole interesse pubblico adottata dal Ministero pubblicata "nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana e nel Bollettino ufficiale della Regione". 2.2. Ad ogni buon conto, qualora (nonostante quanto sopra) si disconoscesse la natura di atto a contenuto generale della dichiarazione di notevole interesse pubblico, occorrerebbe comunque rilevare che: 1) il procedimento iniziato con la proposta del 11 novembre 2010 assolutamente autonomo dal precedente, come dimostra anche: la richiesta di un nuovo parere alla Regione Lazio sulla proposta di dichiarazione (All. 14, sopra richiamato); la diversa attivit istruttoria che ne sta alla base, viste le modifiche sull'uso dei luoghi. Sotto tale ultimo profilo occorre evidenziare che nell'avvio della procedura in esame si esplicita che si procede nuovamente "in considerazione di una migliore definizione dei parametri di tutela" (all. 1) e questo si evidenzia mettendo a raffronto gli obiettivi di tutela, i quali fanno parte della documentazione allegata e inoltrata al Comune di Acquapendente, i quali sono stati meglio definiti rispetto alla prima stesura (all. 8 e 8 bis). Ci scaturito dalla necessit emersa durante l'ultima fase di ricognizione, anche in seguito a osservazioni pervenute, di tutti gli elementi a disposizione della Soprintendenza per mettere in condizione il Ministero di emanare la dichiarazione di particolare interesse dell'area in questione. Difatti si svolta una riunione presso la Soprintendenza tra i funzionari di questo Ufficio e il Sindaco del Comune di Acquapendente, accompagnato da un suo legale. nel corso del quale stato richiesto, tra l'altro, il certificato di destinazione urbanistica (all. 9) che il Comune ha inoltrato, per il tramite dell'Avv. X.S., con la nota n. prot. 0015493 del 25 ottobre 2010 (all. 10). Si deve notare che i termini della procedura cadevano proprio il 23 ottobre 2010. 2) Le motivazioni (all. 11) della proposta di ampliamento del vincolo paesaggistico della zona "Monte Rufeno e Valle della Paglia", di cui al D.M. 22 maggio 1985 (GU supplemento ordinario al n. 176 del 27 luglio 1985) chiariscono ampiamente in ordine alle ragioni che hanno indotto il MIBACT ad avanzare la proposta di dichiarazione. Si riportano di seguito alcuni passaggi di queste: - il territorio "si presenta come un mosaico di aree coltivate, casali storici e aree boschive e rappresenta quindi uno degli ultimi esempi regionali di realt agricola in equilibrio con l'ambiente; 164 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2016 - l'area considerata caratterizzata "da una struttura litologica di vulcaniti piroclastiche basaltiche ad alta permeabilit e fessurazione"; - "il confronto tra la carta storica ottocentesca e quella attuale evidenzia la presenza di un territorio che ha modificato il proprio assetto in misura minima, quasi totalmente integro nei suoi caratteri originari. L'IGM del 1883 evidenzia ancor meglio l'andamento orografico e morfologico dell'area che si pu mettere a confonto con l'attuale CTR". *** ISTANZA CAUTELARE DI SOSPENSIONE DELL'ESECUTIVIT DELLA SENTENZA EX ART. 98 C.P.A Per quanto attiene al fumus boni juris si rimanda alla lettura dei motivi sopra esposti in fatto e in diritto. In merito al periculum in mora si osserva quanto segue: La sentenza impugnata ha annullato, con efficacia ex tunc, la proposta ed il successivo decreto di dichiarazione di notevole interesse pubblico dellarea sita nel Comune di Acquapendente denominata Altopiano dellAlfina ampliamento del vincolo Monte Rufeno e Valle del Paglia , di cui al D.M. 22 maggio 1985, lasciando al contempo l'Autorit ministeriale libera di riesercitare il relativo potere conformemente a quanto statuito (adeguata motivazione sulle ragioni della reiterazione e previa acquisizione del previsto parere regionale). Orbene, nelle more della definizione del giudizio, ed in attesa della riapertura del procedimento amministrativo, si palesa l'esigenza di scongiurare il pericolo che, in assenza del vincolo paesaggistico suddetto, l'Autorit comunale proceda al rilascio delle autorizzazioni richieste dalla Societ ricorrente ovvero che queste rivivano automaticamente, e che, pertanto, quest'ultima conduca attivit estrattiva di cava nella zona interessata, producendosi cos un danno irreparabile rappresentato dalla compromissione dell'integrit paesaggistica e ambientale del bene che il MIBACT intende tutelare. I suesposti argomenti appaiono sufficienti per fondare, ai sensi dell'art. 98 c.p.a., una misura cautelare che sospenda l'esecutivit della pronuncia. *** P.Q.M. Voglia codesto Ecc.mo Collegio, previa sospensione dellesecutivit, annullare la sentenza impugnata, con ogni conseguenza di legge anche in ordine a spese, competenze ed onori. Roma, Mario Antonio Scino Avvocato dello Stato RELATA DI NOTIFICA Ad istanza come in atti io sottoscritto Ufficiale giudiziario addetto allUNEP presso la Corte di Appello di Roma ho notificato copia conforme del suesteso ricorso in appello al Consiglio di Stato a : - G.S. S.a.s., in persona del legale rappresentante, elettivamente domiciliata presso lo Studio dellavv. Enrico Valentini in Roma, Viale delle Milizie, n. 34; - ASSOCIAZIONE SVILUPPO SOSTENIBILE ALFINA, in persona del rappresentante legale pro tempore, ed elettivamente domiciliata presso lo Studio dell'avv. Michele Venturiello in Roma, Largo Messico, n. 6. Data: R.n.crong.: CONTENZIOSO NAZIONALE 165 Consiglio di Stato, Sezione Sesta, sentenza 7 marzo 2016 n. 914 - Pres. G. Severini, Est. B. Lageder - Ministero beni ed attivit culturali e turismo (avv. Stato M.A. Scino) c. G.S. s.a.s (avv. P. Marzola). (...) 1. PREMESSO che, giusta segnalazione alle parti allodierna udienza cautelare, sussistono i presupposti per decidere la controversia con sentenza in forma semplificata ai sensi dellart. 60 Cod. proc. amm. (con la precisazione, quanto alle esigenze di tutela cautelare, che le stesse devono ritenersi superate dalladozione di una nuova proposta di vincolo in data 13 ottobre 2015, con conseguente operativit delle misure di salvaguardia ex art. 139, comma 4, d.lgs. n. 42 del 2004); 2. RITENUTA linfondatezza delleccezione pregiudiziale di inammissibilit dellappello per intervenuta acquiescenza - sollevata dalla parte appellata sotto il profilo della sopravvenuta adozione da parte del Ministero, in data 13 ottobre 2015, di una nuova, identica proposta di notevole interesse pubblico, ex art. 136 d.lgs. n. 42 del 2004, dellarea in questione -, trattandosi, invero, di riedizione del potere in seguito alla qui appellata sentenza del Tribunale amministrativo regionale, di annullamento con remand allAmministrazione, e non potendosi allesecuzione della sentenza di primo grado, provvisoriamente esecutiva, riconnettere valenza di acquiescenza, con la precisazione che la parte, la quale eccepisca linammissibilit dellappello per intervenuta acquiescenza, onerata di allegare e provare atti espressi, inequivocabili e spontanei, posti in essere dallappellante in epoca successiva alla pubblicazione della sentenza di primo grado ad essa sfavorevole, assolutamente incompatibili con la volont di impugnarla: onere di allegazione e di prova, nella specie non assolto, non essendo dal tenore degli atti sopravvenuti (v. doc. 2 e 3 prodotti in allegato alla memoria di costituzione in appello) evincibile siffatta inequivoca ed espressa volont di acquietarsi alla sentenza, tanto pi che nella missiva del 10 ottobre 2015, diretta al Comune di Acquapendente, il Ministero ha dichiarato espressamente che lAvvocatura proceder in tempi brevi a notificare lappello, chiedendo altres la sospensione dellesecutivit della sentenza; 3. RILEVATO, in linea di fatto, che il Tribunale amministrativo regionale per il Lazio con la sentenza in epigrafe ha accolto il ricorso n. 1158 del 2011 (integrato da motivi aggiunti), proposto dalla G.S. s.a.s. - nella sua qualit di impresa operante nel settore delle attivit estrattive, autorizzata allo svolgimento di attivit estrattiva di basalto in localit Greppie nel Comune di Acquapendente (Viterbo) sin dal 1988, ed acquirente, nel 2005, di terreni confinanti con lattuale cava in funzione di un suo ampliamento - avverso la proposta e il successivo decreto del Ministero per i beni e per le attivit culturali, Direzione generale per i beni culturali e paesaggistici del Lazio, del 12 maggio 2011, aventi ad oggetto la dichiarazione di notevole interesse pubblico ex art. 136, lett. d), d.lgs. n. 42 del 2004 dellarea denominata Altopiano dellAlfina - Ampliamento del vincolo Monte Rufeno e Valle del Paglia DM 22.05.1985; 4. CONSIDERATO, in particolare, che ladto Tribunale amministrativo regionale, in accoglimento del ricorso, provvedeva come segue: - ravvisava integrati (i) il vizio di difetto di motivazione, sotto il profilo che il Ministero avrebbe provocato una riedizione della procedura del vincolo paesaggistico senza esplicitare adeguatamente le ragioni sottese a tale nuova iniziativa, nonostante che la precedente procedura (sfociata in una proposta di vincolo nel mese di maggio 2010) fosse stata lasciata cadere per decorso dei termini, e (ii) il vizio di violazione del principio di leale collaborazione con gli enti locali coinvolti, in quanto il riesercizio del potere amministrativo sarebbe avvenuto in via 166 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2016 sostitutiva rispetto alla Regione Lazio senza acquisizione del parere obbligatorio ex art. 138, comma 3, d.lgs. n. 42 del 2004 e gli atti impugnati (proposta e decreto) sarebbero intervenuti nonostante che nel 2007 fosse gi stato adottato un Piano territoriale paesaggistico regionale che qualificava espressamente larea in questione come zona agricola esente da vincoli; - affermava, di conseguenza, la necessit di rinnovare la procedura svolta, mantenendo indenne la posizione di tutti i soggetti pubblici coinvolti e/o interessati ed alla quale deve accompagnarsi una adeguata motivazione tecnico-giuridica delle scelte che verranno operate dal Ministero e dagli altri enti () coinvolti nella procedura (v. cos, testualmente, lappellata sentenza); 5. RITENUTA la fondatezza dellappello interposto dallAmministrazione statale avverso tale sentenza, in quanto: - i provvedimenti impugnati sono stati emanati ai sensi del combinato disposto degli artt. 141, comma 2, 136, 138, 139 e 140 d.lgs. n. 42 del 2004, e perci nellesercizio del potere del Ministero di dichiarare il notevole interesse pubblico di beni paesaggistici, attribuito allAmministrazione statale dallart. 138, comma 3; - secondo consolidato orientamento di questa Sezione (v., per tutte, sentenze 11 gennaio 2013, n. 118 e n. 120), tale potere autonomo - e non meramente sostitutivo, come assunto nellappellata sentenza - rispetto a quello attribuito alle regioni per corrispondenti esigenze di tutela, poich, in primo luogo, nellambito della disciplina delliter di formazione della dichiarazione di notevole interesse pubblico, la medesima disposizione prevede che comunque Fatto salvo il potere del Ministero (su proposta motivata del Soprintendente e previo parere della regione interessata; n.d.e.) di dichiarare il notevole interesse pubblico degli immobili e delle aree di cui all'articolo 136, e, in secondo luogo, ai sensi dellart. 140, comma 2, d.lgs. n. 42 del 2004 (richiamato dallart. 141, concernente i provvedimenti ministeriali), la dichiarazione determinata dal Ministero diviene parte integrante del piano paesaggistico di cui allart. 135 e non suscettibile di rimozioni o modifiche nel corso del procedimento di redazione o revisione del piano medesimo; - in considerazione della titolarit, in capo allo Stato, dei poteri in materia paesaggistica (sulla base in primis dellart. 9 della Costituzione), la normativa del Codice ha dunque stabilito espressamente lautonomia del potere ministeriale di disporre il vincolo paesaggistico (rispetto al corrispondente potere attribuito alla regione sulla base della legislazione trasfusa nel d.lgs. n. 42 del 2004), mediante determinazioni che hanno ipso iure leffetto della conseguente e corrispondente integrazione del Piano regionale, qualora - come nel caso di specie - gi emanato; - non , pertanto, condivisibile la qualificazione del potere ministeriale come meramente sostitutivo (v. punto 6. a pp. 15 e 16 dellappellata sentenza), trattandosi per contro di potere autonomo (v. sopra); - n si ravvisa la violazione del principio di leale collaborazione tra enti, essendo stato acquisito il parere (obbligatorio, ma non vincolante) della Regione Lazio, la quale con atto del 9 novembre 2010, esaminata la documentazione di supporto allegata alla richiesta di parere, ha espresso condivisione sullindividuazione dellambito da tutelare e dei contenuti della proposta medesima, prendendo favorevolmente atto che, per quanto attiene alla specifica disciplina dettata ai sensi dellart. 140, co. 2, del Codice, sono state introdotte norme coerenti con larticolato del Piano Territoriale Paesaggistico del Lazio, e in particolare concordando, per lambito individuato, sullapplicazione della disciplina di tutela e di uso del Paesaggio Naturale Agrario con le modifiche normative proposte; - a fronte dellautonomia del nuovo procedimento, non esisteva un obbligo motivazionale specifico in relazione alla procedura pregressa, non definita per decorso dei termini, mentre CONTENZIOSO NAZIONALE 167 la proposta e il decreto di vincolo qui impugnati sono sorretti da puntuale e approfondita istruttoria e motivazione, idonee a sorreggerne la portata dispositiva (v. infra sub 6.); - per le esposte ragioni e contrariamente a quanto ritenuto dal Tribunale amministrativo regionale, deve concludersi nel senso dellinconsistenza dei vizi di cui sopra sub 4. (i) e 4. (ii), nonch dei vizi di eccesso di potere riproposti nella memoria di costituzione in appello 4.1), 4.2) 4.5) (sotto i profili di abuso dellasserito potere sostitutivo e di omessa informazione in ordine al pregresso procedimento ed al relativo esito, nonch di contraddittoriet), presupponenti la - qui esclusa - qualificazione del potere ministeriale come potere sostitutivo e non autonomo; 6. RILEVATO che, in reiezione degli altri motivi assorbiti ed espressamente riproposti nel presente grado nella memoria di costituzione in appello (per gli effetti di cui allart. 101, comma 2, Cod. proc. amm.), simpongono le seguenti considerazioni: - in reiezione dei motivi di eccesso di potere per travisamento, irragionevolezza e sviamento - di cui sub punti 4.3) Eccesso di potere per travisamento dei fatti ed irragionevolezza della scelta discrezionale della p.a., 4.4) Eccesso di potere consistente nello sviamento della causa tipica dellatto impugnato, 4.6) Eccesso di potere della pubblica amministrazione in particolare disparit di trattamento e contraddittoriet dellattivit del Ministero, 4.8) Eccesso di potere consistente nella falsit dei presupposti, travisamento, erronea valutazione dei fatti, illogicit e contraddittoriet della motivazione nonch del comportamento della pubblica amministrazione e 4.9) Eccesso di potere per illogicit e contraddittoriet del comportamento del Ministero della memoria di costituzione in appello -, sufficiente rilevare, per un verso, che ladombrato sviamento in funzione del perseguimento di asseriti interessi privati rimasto privo di riscontri oggettivi precisi, gravi e concordanti, e, per altro verso, che la delimitazione dei confini di una zona da sottoporre a vincolo paesaggistico quale bellezza dinsieme ex art. 136, comma 1, lett. d), d.lgs. n. 42 (che non richiede necessariamente lomogeneit dei singoli elementi, nel senso che non ogni singolo elemento compreso nellarea assoggettata al vincolo deve presentare i caratteri della bellezza naturale) costituisce tipica espressione di una valutazione di discrezionalit tecnica, non sindacabile se non sotto i profili della manifesta illogicit, incongruit, irragionevolezza o arbitrariet, nella specie non ravvisabili alla luce del tenore puntuale e circostanziato delle relazioni e della documentazione planimetrica e fotografica richiamate ed allegate quali parti integranti (d)ai provvedimenti qui impugnati (v., in particolare, lart. 2 del decreto di vincolo del 12 maggio 2011, in G.U. n. 112 del 16 maggio 2011); - quanto ai dedotti vizi procedimentali, dalla documentazione versata in giudizio si evince la conformit dellazione amministrativa (compresa lattivit consultiva del comitato scientifico ex art. 141, comma 2) alla disciplina speciale dettata dagli artt. 136 ss. d.lgs. n. 42 del 2004, da ritenersi prevalente sulla disciplina generale ex l. n. 241 del 1990; 7. RITENUTO conclusivamente che, per le esposte ragioni, in riforma dellappellata sentenza, il ricorso di primo grado debba essere respinto, a spese del doppio grado di giudizio interamente compensate tra le parti; P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto (ricorso n. 8815 del 2015), lo accoglie e, per leffetto, in riforma dellimpugnata sentenza, respinge il ricorso di primo grado; dichiara le spese del doppio grado di giudizio interamente compensate tra le parti. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dallautorit amministrativa. Cos deciso in Roma, nella camera di consiglio del giorno 1 dicembre 2015. PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO Diniego della concessione della cittadinanza iure matrimoni: il giudice competente PARERE 14/04/2015-178316, AL 48965/14, AVV. ILIA MASSARELLI Con la nota che si riscontra, codesto Ufficio ha richiesto alla Scrivente parere in merito alla possibilit di esperire ricorso straordinario al Capo dello Stato avverso i provvedimenti di diniego di concessione della cittadinanza per matrimonio di cui all'art. 5 l. 91/92. Pi in particolare, si chiesto di chiarire se la proponibilit del suddetto ricorso debba essere limitata ai soli casi di diniego della cittadinanza disposti ai sensi dell'art. 6 lett. c) (motivi inerenti la sicurezza della Repubblica) della 1. 91/92 o possa essere estesa anche ai casi in cui il rigetto sia altrimenti motivato. In un'ottica di rimeditazione e superamento della posizione espressa dalla Scrivente nei precedenti pareri citati nella nota che si riscontra, la soluzione del citato quesito si ritiene debba individuarsi alla luce della non meno problematica questione relativa al riparto di giurisdizione in materia di controversie concernenti l'acquisto della cittadinanza iure matrimonii. Con riferimento a tale questione, invero, gi la Corte di Cassazione, sin dal lontano 1993 con la sentenza n. 7441, era intervenuta a qualificare l'acquisto della cittadinanza iuris communicatione come "un diritto soggettivo dello straniero che possegga i requisiti legali e nei cui confronti non sussistano le cause preclusive indicate dalla legge", precisando a tal fine che lo stesso "affievolisce ad interesse legittimo solo in presenza dell'esercizio, da parte della pubblica amministrazione, del potere discrezionale di valutare l'esistenza di motivi inerenti alla sicurezza della Repubblica che ostino a detto acquisto, con la conseguenza che, una volta precluso l'esercizio di tale potere - a seguito dell'inutile decorso del termine previsto (un anno dalla presentazione dell'istanza, in base all'art. 4 comma 2, legge n. 123 del 1983, elevato a due anni, per il primo triennio di applicazione di detta legge, in forza dell'art. 6 legge 170 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2016 citata, e definitivamente, in forza dell'art. 8, comma 2, legge n. 91 del 1992 -, in caso di mancata emissione del decreto di acquisto della cittadinanza, come di rigetto della relativa istanza, ove si contesti la ricorrenza degli altri presupposti tassativamente indicati dalla legge, sussiste il diritto soggettivo, all'emanazione dello stesso, per il richiedente che pu adire il giudice ordinario per far dichiarare, previa verifica dei requisiti di legge, che egli cittadino". Salvo, dunque, che nel caso di rigetto dell'istanza per motivi inerenti alla sicurezza della Repubblica per il quale era competente il giudice amministrativo, negli altri casi di diniego - a detta della Corte - la giurisdizione apparteneva al giudice ordinario in virt dell'esistenza di un vero e proprio diritto soggettivo in capo allo straniero richiedente. Il medesimo orientamento si poi andato consolidando anche nella giurisprudenza del Consiglio di Stato laddove si affermato che "delle cause che precludono l'acquisto della cittadinanza italiana "iuris communicatione" da parte del coniuge - straniero o apolide - di un cittadino italiano, demandata alla valutazione discrezionale dell'amministrazione, solo quella prevista dall'art. 6 comma 1 lett. c) 1. 5 febbraio 1992 n. 91 relativa all'esistenza di comprovati motivi inerenti alla sicurezza della Repubblica, nei cui confronti il diritto del richiedente si affievolisce ad interesse legittimo, mentre tale valutazione non ha ragion d'essere per quanto attiene alle altre cause preclusive dell'acquisto della cittadinanza; ne consegue, che in caso di diniego basato sull'esistenza di una condanna della richiedente sussiste la giurisdizione del giudice ordinario (Cons. Stato Sez. IV, 15 dicembre 2000, n. 6707). A tale proposito, infatti, il Consiglio di Stato ha precisato che l'art. 6, comma 1, lettera c) della L. n. 91/1992, nel precludere l'acquisto della cittadinanza allo straniero nell'ipotesi di sussistenza di comprovati motivi inerenti alla sicurezza della Repubblica, circoscrive fattispecie ampiamente discrezionali di cause preclusive, che, implicando una valutazione dellAnministrazione, circa la sussistenza dei motivi, risultano idonee a degradare ad interesse legittimo il diritto soggettivo ad acquistare lo status di cittadino italiano, con conseguente sussistenza della giurisdizione del Giudice Amministrativo (V. ex multis: Consiglio di Stato Sez. VI, Sent. n. 5680 del 2 novembre 2007; Sez. VI, sent. n. 1355 del 22 marzo 2007; Sez. VI, Sent. n. 1173 del 2 marzo 2009; Sez. VI, Sent., 31 marzo 2009, n. 1891; Cons. Stato Sez. VI, 24 marzo 2014, n. 1404). Alla luce di tali pronunce, stato dunque tracciato un chiaro ed univoco riparto di giurisdizione in materia di controversie concernenti l'acquisto della cittadinanza iure matrimonii, in forza del quale la giurisdizione del giudice amministrativo circoscritta alle sole ipotesi in cui il diniego dell'istanza sia motivato ai sensi della lett. c) dell'art. 6, 1. 91/92, spettando invece al giudice ordinario la giurisdizione in tutti gli altri casi in cui il rigetto sia diversamente motivato. E proprio tale riparto deve necessariamente essere tenuto in considera- PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 171 zione al fine di delimitare i casi di esperibilit del ricorso straordinario al Presidente della Repubblica avverso i citati provvedimenti di rigetto. Considerato, infatti, che l'art. 7, co. 8 del codice del processo amministrativo statuisce espressamente che "il ricorso straordinario al Presidente della Repubblica ammesso unicamente per le controversie devolute alla giurisdizione amministrativa", in materia di acquisto della cittadinanza iure matrimonii, di conseguenza, solo i provvedimenti di rigetto adottati per il motivo di cui alla lett. c) dell'art. 6, 1. 91/92 saranno suscettibili di impugnazione con ricorso straordinario al Capo dello Stato, essendo le relative controversie devolute alla giurisdizione del giudice amministrativo. Diversamente, il suddetto rimedio non sar in alcun modo esperibile a fronte di provvedimenti che, rigettando la richiesta di cittadinanza per motivi diversi, potranno, invece, essere azionati esclusivamente dinanzi al giudice ordinario. E tali conclusioni appaiono perfettamente conformi: - tanto al dettato della norma che circoscrive le ipotesi di proponibilit del ricorso straordinario al Capo dello Stato; - quanto alle considerazioni espresse dalla giurisprudenza in merito al riparto di giurisdizione in materia di acquisto della cittadinanza per matrimonio. Contra, non appaiono parimenti conformi alla normativa esaminata n in alcun modo coerenti con il contenuto delle richiamate pronunce quei pareri che il Consiglio di Stato, contraddicendo le proprie pronunce in sede giurisdizionale, ha reso invece in sede consultiva in occasione della proposizione di ricorsi straordinari al Capo dello Stato avverso provvedimenti di diniego della cittadinanza pronunciati per motivi diversi da quelli di cui alla citata lett. c). In tali casi, infatti, a fronte della legittima censura mossa dal Ministero convenuto circa l'inammissibilit dei predetti ricorsi in quanto aventi ad oggetto provvedimenti impugnabili dinnanzi al giudice ordinario, il Consiglio di Stato, nel dichiarare l'ammissibilit di tali ricorsi, ha affermato che "quando c' un provvedimento amministrativo che rigetti una domanda di concessione della cittadinanza non c' ragione perch l'interessato non possa impugnarlo con qualsiasi provvedimento con il quale la pubblica autorit decide, valendosi di pubblici poteri, su posizioni giuridiche dei privati; tanto pi che nella valutazione delle condizioni per la concessione della cittadinanza vi sempre, da parte dell'Amministrazione, una valutazione relativa a motivi di sicurezza dello Stato, per cui in ogni caso essa esercita anche un potere discrezionale" (Parere del C.d.S. n. 3122\14; nello stesso senso, pareri del C.d.S. n. 2181\14 e n. 4090\14). evidente che un siffatto ragionamento del Consiglio di Stato appare quantomeno privo di fondamento logico-normativo: - da un lato, infatti, nel momento in cui afferma che a fronte di un provvedimento amministrativo non possa precludersi all'interessato di impugnarlo "come qualsiasi provvedimento con il quale la pubblica autorit decide, va- 172 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2016 lendosi di pubblici poteri su posizioni giuridiche dei privati", si pone in contrasto con la stessa norma di legge che limita la possibilit di impugnare i provvedimenti amministrativi con il rimedio del ricorso straordinario al Capo dello Stato alle sole controversie devolute alla giurisdizione amministrativa; - dall'altro lato, ritenendo che sussista sempre un potere discrezionale in capo all'Amministrazione in sede di valutazione delle condizioni legittimanti l'acquisto della cittadinanza italiana, si pone in netta contraddizione con quanto dallo stesso asserito nelle pronunce giurisdizionali in cui correttamente e logicamente ha individuato nelle sole ipotesi di rigetto di cui alla lett. c), dell'art. 6 lo spazio per una valutazione discrezionale da parte della P.A. Non ritenendo dunque condivisibile il nuovo orientamento affermato dal Consiglio di Stato in sede consultiva ed in conformit a quanto previsto dalla vigente disciplina, ad avviso della Scrivente il rimedio del ricorso straordinario al Presidente della Repubblica si ritiene esperibile esclusivamente avverso i provvedimenti di rigetto della richiesta di cittadinanza per matrimonio per il motivo di cui alla lett. c), art. 6, 1. 91/92. Sebbene l'avvenuta "giurisdizionalizzazione" dell'istituto del ricorso straordinario al Capo dello Stato - affermata dalle Sezioni Unite della Cassazione nella famosa sentenza n. 23464/2012 - consentirebbe l'impugnazione del decreto presidenziale per motivi di giurisdizione, ai sensi dell'art. 362 c. 1 c.p.c., si ritiene preferibile, sotto il profilo anche dell'opportunit, che il Ministero, convenuto in sede di ricorso straordinario proposto avverso decreti di rigetto adottati per motivi diversi da quelli previsti alla lett. C) dell'art. 6 L. 91/92, chieda la trasposizione del ricorso straordinario nella sede giurisdizionale del Tar cos come previsto dal D.Lgs. n. 1199/1071 e dal codice del processo amministrativo (il cui articolo 48 consente ad ogni parte, anche all'Amministrazione statale, di chiedere la trasposizione - sul punto sent. C.d.S. n. 4650/2013). Sar poi onere del ricorrente, qualora persista il suo interesse ad una pronuncia, riproporre la domanda all'Autorit Giudiziaria nel termine perentorio stabilito dalla legge: scelta difensiva che, considerato l'orientamento dell'A.G.A. in materia, consentir all'Amministrazione di ottenere la pronuncia di inammissibilit per difetto di giurisdizione ovvero di proporre regolamento preventivo di giurisdizione per avere dalla Suprema Corte una pronuncia definitiva sul punto. Tutto ci premesso, si resta a disposizione per eventuali ulteriori chiarimenti. Il presente parere passato all'esame del Comitato Consultivo, che si espresso in conformit nella seduta del 27 marzo 2015. PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 173 Spettanza dei contributi per leliminazione di barriere architettoniche in caso di decesso del portatore di handicap PARERE 09/09/2015-398092, AL 21468/15, AVV. ETTORE FIGLIOLIA Con la nota che si riscontra, cui ha fatto seguito l'ulteriore nota del 16 giugno 2015 corredata della documentazione richiesta, codesto Ministero ha sottoposto alla valutazione in linea legale di questa Avvocatura Generale la problematica inerente alla eventuale spettanza, al tutore o al curatore, del contributo economico per la realizzazione di opere "direttamente finalizzate al superamento e all'eliminazione di barriere architettoniche", nel caso in cui si verifichi il decesso del portatore di handicap e la domanda del contributo sia stata presentata da chi esercita la potest, la tutela, la curatela, o dall'onerato alla spesa cos come previsto al punto 4 della circolare di codesto Dicastero n. 1669 del 22 giugno 1989. Orbene, ritiene questa Avvocatura Generale di dover anzitutto affrontare la questione relativa all'esatta portata della l. n. 13/1989, onde trarne le necessarie conclusioni relativamente al pagamento di detto contributo nelle suesposte particolari circostanze. In particolare, la finalit della legge de qua , come noto, quella di assicurare l'accessibilit, l'adattabilit e la visitabilit degli edifici, con ci prescindendo dall'esistenza di un diritto reale o personale di godimento da parte di un soggetto diversamente abile, essendo unicamente rilevante l'obiettiva attitudine dell'edificio, anche privato, ad essere fruito da parte di qualsiasi soggetto. Conformemente alla finalit cos individuata, non necessaria la presenza di persona con handicap nel condominio ai fini dell'applicazione dei cosiddetti incentivi reali al superamento delle barriere architettoniche (artt. 2-7 della L. n. 13/89), in quanto ci che rileva garantire l'effettivo svolgimento della vita di relazione da parte del soggetto diversamente abile anche al di fuori della sua abitazione. in questo senso che la legge medesima e la giurisprudenza amministrativa hanno elevato il livello di tutela di tali soggetti, non pi relegandolo ad un ristretto ambito soggettivo ed individuale, ma viceversa considerandolo come un interesse primario dell'intera collettivit, da soddisfare con interventi mirati a rimuovere situazioni preclusive dello sviluppo della persona e dello svolgimento di una normale vita di relazione (ex multis; Cons. Stato VI, 29 gennaio 2013, n. 543; T.a.r. Campania, Napoli, sez. IV, n. 5343/2011). Per converso, a diverse conclusioni deve giungersi con riguardo all'aspetto relativo agli incentivi economici (artt. 8-12), oggetto del quesito de quo, che invece richiedono l'effettiva residenza del soggetto diversamente abile nell'edificio di interesse: ed infatti per tale profilo valgono le disposizioni di cui ai citati artt. 8 e 12, nonch quelle recate dalla Circolare del Ministero dei Lavori Pubblici (n. 1669 del 22 giugno 1989 punto 4) che recita che "l'ammi- 174 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2016 nistrazione comunale effettua un immediato accertamento sull'ammissibilit della domanda, subordinata alla presenza di tutte le indicazioni e documentazioni, alla sussistenza in capo al richiedente di tutti i requisiti necessari per la concessione del contributo...", con la possibilit di opporre diniego alla realizzazione di interventi destinati ad eliminare o superare le barriere architettoniche anche su beni soggetti a tutela "solo nei casi in cui non sia possibile realizzare le opere senza un serio pregiudizio per il bene tutelato", con conseguente obbligo per l'Amministrazione, in caso di pronuncia negativa, di esternare la natura e la gravit del pregiudizio rilevato "... in rapporto al complesso in cui l'opera si colloca e con riferimento a tutte le alternative eventualmente prospettate all'interessato". Ove quindi la domanda sia stata correttamente corredata della documentazione attestante la ricorrenza dei requisiti necessari, e le attivit di demolizione o abbattimento delle barriere non pregiudichino il bene a cui l'opera fa riferimento, nella vigenza delle obbligazioni assunte per la realizzazione dei lavori occorrenti, appare dovuta, ad avviso della Scrivente, la erogazione del contributo per il pagamento degli oneri relativi ai lavori commissionati, anche nel particolare caso in cui si verifichi il decesso del portatore di handicap e la richiesta sia stata presentata dall'esercente la potest, tenuto conto che la ratio della normativa de qua proprio quella di elargire il contributo al soggetto che ha effettivamente sostenuto la spesa, per la causale di che trattasi. opinione infatti di questo G.U. che, alla stregua del pertinente contrasto normativo, la "ratio legis" sia nel senso che con la esecuzione oggettiva delle opere occorrenti all'abbattimento delle barriere architettoniche, ed ovviamente nella ricorrenza di tutte le condizioni normativamente previste, sorga la pretesa tutelata al pagamento del contributo in questione. Ci premesso, in tali circostanze, colui che, nel rispetto di tutti i presupposti normativamente previsti, si sia legittimamente fatto carico della spesa relativa alla realizzazione dei lavori previsti, ha diritto al relativo contributo e vanta, pertanto, un legittimo affidamento all'erogazione della prestazione da parte dell'Amministrazione, non potendo la circostanza della sopravvenuta e imprevedibile morte del soggetto portatore di handicap costituire motivo ostativo alla erogazione del contributo medesimo. Nei sensi suesposti la richiesta consultazione, restando a disposizione per quant'altro dovesse occorrere. Sulle questioni di cui al presente parere si espresso in conformit il Comitato Consultivo di questa Avvocatura nella seduta dell8 settembre 2015. PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 175 Problematiche interpretative relative alla equiparazione delle vittime del terrorismo ai grandi invalidi di guerra PARERE 28/10/2015-482067, AL 28802/15, AVV. ROBERTA TORTORA Con la nota in riferimento codesta Amministrazione propone alla Scrivente alcune problematiche interpretative concernenti i commi 1 e 2 dellart. 4 della legge n. 206/2004, che cos dispongono: 1. Coloro che hanno subito un'invalidit permanente pari o superiore all'80 per cento della capacit lavorativa, causata da atti di terrorismo e dalle stragi di tale matrice, sono equiparati, ad ogni effetto di legge, ai grandi invalidi di guerra di cui all'articolo 14 del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 23 dicembre 1978, n. 915. A tale fine autorizzata la spesa di 126.432 euro per l'anno 2004, di 128.960 euro per l'anno 2005 e di 131.539 euro a decorrere dall'anno 2006. 2. A tutti coloro che hanno subito un'invalidit permanente pari o superiore all'80 per cento della capacit lavorativa, causata da atti di terrorismo e dalle stragi di tale matrice, riconosciuto il diritto immediato alla pensione diretta, in misura pari all'ultima retribuzione percepita integralmente dall'avente diritto e rideterminata secondo le previsioni di cui all'articolo 2, comma 2. Per tale finalit autorizzata la spesa di 156.000 euro a decorrere dall'anno 2004. Agli effetti di quanto disposto dal presente comma, indifferente che la posizione assicurativa obbligatoria inerente al rapporto di lavoro dell'invalido sia aperta al momento dell'evento terroristico o successivamente. In nessun caso sono opponibili termini o altre limitazioni temporali alla titolarit della posizione e del diritto al beneficio che ne consegue. Il primo quesito proposto riguarda il significato da attribuire allespressione sono equiparati, contenuta nel primo comma: ci si chiede, cio, se tale equiparazione debba comportare il riconoscimento, in aggiunta i trattamenti gi in godimento a titolo di vittime del terrorismo, anche del trattamento pensionistico di guerra, ovvero se lequiparazione riguardi i trattamenti fruiti in base ai rispettivi titoli. A tale proposito si ritiene che lintenzione del legislatore fosse quella di equiparare il regime giuridico delle due categorie (le vittime del terrorismo ed i grandi invalidi di guerra), ma non quella di cumulare le due provvidenze n quella di attribuire alle vittime del terrorismo una provvidenza ulteriore ed aggiuntiva rispetto a quelle gi loro spettanti. A tale conclusione pu pervenirsi, innanzitutto, avendo riguardo alla lettera della norma, che stabilisce unequiparazione ma non attribuisce espressamente le provvidenze spettanti ai grandi invalidi di guerra. Peraltro anche dai lavori preparatori della legge (Resoconto della I Commissione permanente - Affari costituzionali, della Presidenza del Consiglio e Interni, relazione dellOn. le Giovanni Mongiello) emerge che lequiparazione 176 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2016 con i grandi invalidi di guerra riconosciuta ai fini delle speciali provvidenze a questi attribuite dagli articoli 14 e seguenti del testo unico sulle pensioni di guerra approvato con decreto del Presidente della Repubblica n. 915 del 1978. Ci significa che non si inteso attribuire un ulteriore trattamento pensionistico, ma solo attribuire anche alle vittime del terrorismo le speciali provvidenze in godimento ai grandi invalidi di guerra. Del resto la suesposta interpretazione lunica che determina uneffettiva equiparazione delle vittime del terrorismo ai grandi invalidi di guerra: infatti, qualora venisse riconosciuta una duplicazione del trattamento pensionistico alle sole vittime del terrorismo si verificherebbe un evidente vantaggio, con conseguente disparit di trattamento, per le vittime del terrorismo rispetto ai grandi invalidi di guerra, i quali continuano a percepire un solo trattamento pensionistico. Dunque non si verificherebbe unequiparazione, bens si attribuirebbe un ingiustificato vantaggio ad una sola categoria. Un ulteriore elemento a suffragio di tale interpretazione pu essere desunto dallesiguit dello stanziamento previsto, che sarebbe stato assai pi consistente qualora il legislatore avesse inteso riconoscere ai beneficiari una doppia pensione. Pertanto da ritenersi che lequiparazione riguardi solo i trattamenti fruiti dalle due categorie, ma che alle vittime del terrorismo non spetti il riconoscimento di un trattamento pensionistico ulteriore (quello spettante ai grandi invalidi di guerra). Non si pone, pertanto, un problema di cumulo tra trattamenti pensionistici diversi. Lequiparazione, quindi, deve essere intesa nel senso che necessario estendere alle vittime del terrorismo il complesso delle indennit accessorie ed assistenziali previste per i grandi invalidi di guerra, in presenza delle medesime condizioni previste per la loro erogazione. Cos alle vittime di atti di terrorismo o di stragi di tale matrice con invalidit permanente superiore all80% spetta lassegno di superinvalidit o assegno integrativo di cui allart. 15 D.P.R. 915/1978, a norma del quale ai gradi invalidi di guerra, oltre alla pensione, compete, qualora siano affetti da lesioni o infermit elencate nella tabella E, annessa al medesimo D.P.R. n. 915/1978, un assegno per superinvalidit, non riversibile, mentre, qualora le lesioni o infermit non rientrino tra quelle previste dalla tabella E, ma comunque linvalido abbia i requisiti per godere di una pensione di 1^ categoria, spetta un assegno integrativo, non riversibile, in misura pari alla met dell'assegno di superinvalidit previsto nella lettera H della tabella E. Allo stesso modo alle vittime di atti di terrorismo o di stragi di tale matrice con invalidit permanente superiore all80% spettano gli assegni di cumulo previsti per i grandi invalidi di guerra per il caso in cui con una invalidit ascrivibile alla 1 categoria della tabella A coesistano altre infermit. PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 177 Anche lassegno sostitutivo dellaccompagnatore di cui allart. 21 del D.P.R. n. 915/1978 dovr essere corrisposto, ricorrendone i requisiti, anche alle vittime di atti di terrorismo o di stragi di tale matrice con invalidit permanente superiore all80%. Del resto le problematiche evidenziate da codesta Amministrazione in ordine alla specificit delle infermit che danno titolo allerogazione dellassegno sostitutivo dellaccompagnatore appaiono del tutto superabili, considerato che dette infermit specifiche possono essere causate anche da atti terroristici. Infatti, lart. 1 L. n. 288/2002 riconosce il diritto allassegno sostitutivo dellaccompagnatore ai grandi invalidi affetti dalle infermit di cui alle lettere A), numeri 1), 2), 3) e 4), secondo comma, e A-bis) della tabella E allegata al medesimo testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 915 del 1978, individuando, cos le seguenti specifiche patologie, la cui presenza determina il diritto allassegno de quo: 1) Alterazioni organiche e irreparabili di ambo gli occhi che abbiano prodotto cecit bilaterale assoluta e permanente. 2) Perdita anatomica o funzionale di quattro arti fino al limite della perdita totale delle due mani e dei due piedi insieme. 3) Lesioni del sistema nervoso centrale (encefalo e midollo spinale) che abbiano prodotto paralisi totale dei due arti inferiori e paralisi della vescica e del retto (paraplegici rettovescicali). 4) Alterazioni delle facolt mentali tali da richiedere trattamenti sanitari obbligatori in condizioni di degenza nelle strutture ospedaliere pubbliche o convenzionate [anche successivamente alla dimissione quando la malattia mentale determini gravi e profondi perturbamenti della vita organica e sociale e richieda il trattamento sanitario obbligatorio presso i centri di sanit mentale e finch dura tale trattamento]. 1) La perdita di ambo gli arti superiori fino al limite della perdita delle due mani. 2) La disarticolazione di ambo le cosce o l'amputazione di esse con la impossibilit assoluta e permanente dell'applicazione di apparecchio di protesi. Si tratta, dunque, di patologie tassativamente individuate, che ben possono verificarsi anche a seguito di atti terroristici. Ove ci avvenga, alla vittima spetter lassegno in questione. Proprio dalla circostanza che la corresponsione del predetto assegno non connessa ad una determinata percentuale di invalidit, bens alla presenza di specifiche patologie discende lirrilevanza dei diversi criteri di calcolo della percentuale di invalidit previsti per le pensioni di guerra rispetto alle pensioni riconosciute alle vittime del terrorismo. Per le provvidenze per le quali, invece, rilevi la percentuale di invalidit riconosciuta, trover applicazione lart. 3 del D.P.R. n. 181/2009, recante il Regolamento recante i criteri medico-legali per l'accertamento e la deter- 178 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2016 minazione dell'invalidit e del danno biologico e morale a carico delle vittime del terrorismo e delle stragi di tale matrice, a norma dell'articolo 6 della legge 3 agosto 2004, n. 206, il quale cos dispone: Per l'accertamento dell'invalidit si procede tenendo conto che la percentuale d'invalidit permanente (IP), riferita alla capacit lavorativa, attribuita scegliendo il valore pi favorevole tra quello determinato in base alle tabelle per i gradi di invalidit e relative modalit d'uso approvate, in conformit allarticolo 3, comma 3, della legge 29 dicembre 1990, n. 407, con il decreto del Ministro della sanit in data 5 febbraio 1992, e successive modificazioni, pubblicato nel supplemento ordinario alla Gazzetta Ufficiale n. 47 del 26 febbraio 1992, e quello determinato in base alle tabelle A, B, E ed F1 annesse al decreto del Presidente della Repubblica 23 dicembre 1978, n. 915, e successive modificazioni, e relativi criteri applicativi. Alla classifica di cui alle categorie della tabella A e alla tabella B sono equiparate le fasce percentuali d'invalidit permanente, riferite alla capacit lavorativa, secondo le corrispondenze indicate nella tabella in allegato 1. Alle invalidit o mutilazioni di prima categoria della tabella A che risultino contemplate anche nella tabella E corrisponde una invalidit permanente non inferiore al 100%. Quanto alle problematiche concernenti la misura (ingente) degli oneri destinati a gravare sulla finanza pubblica, valuter codesta Amministrazione la necessit di apportare modifiche normative al fine di assicurare la copertura finanziaria. Sul presente parere si pronunciato il Comitato Consultivo dellAvvocatura dello Stato, che si espresso in conformit. Sul principio di onnicomprensivit del trattamento economico dirigenziale di cui allart. 24, D.lgs 165/2001 PARERE 18/11/2015-521594, AL 34140/15, AVV. MARCO STIGLIANO MESSUTI Con la nota che si riscontra, codesto Dipartimento chiede di conoscere l'avviso dello scrivente in ordine al seguente quesito: "Se il compenso liquidato dal Tar/Consiglio di Stato ad un funzionario ovvero dirigente dell'amministrazione nella qualit di Commissario ad acta, nominato ai sensi dell'art. 114 CPA, nel giudizio di ottemperanza, sia o meno soggetto al principio di onnicomprensivit del trattamento economico di cui all'art. 24, D.lgs 165/2001". Al riguardo codesto Dipartimento ha evidenziato due diversi orientamenti espressi rispettivamente dal Dipartimento della Funzione pubblica e dalla Ragioneria generale dello Stato. Il primo con nota prot. n. 13262/2013 del 19 marzo 2013 ha escluso che PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 179 lincarico del Commissario ad acta ricada nella disciplina dellonnicomprensivit del trattamento economico. Il secondo con nota MEF - RGS, prot. n. 62978 del 22 luglio 2013, investito della questione dallo stesso Dipartimento per la Funzione Pubblica, ritiene per contro, che la fattispecie sia da ricondurre al regime dellonnicomprensivit. Ad avviso dello scrivente si reputa opportuno, preliminarmente, chiarire quale ruolo e quale funzione assolva il Commissario ad acta nominato in sede di giudizio di ottemperanza e quale sia la natura degli atti dallo stesso adottati. Sul punto dopo un originario contrasto in giurisprudenza, dove si contrapponevano due tesi, di cui la prima qualificava il Commissario ad acta quale "organo straordinario dell'amministrazione" e, la seconda quale "ausiliario del giudice", maturato un definitivo arresto giurisprudenziale su tale seconda opzione ermeneutica. Si pervenuti pertanto alla enunciazione del principio per cui il commissario ad acta organo del Giudice dell'ottemperanza e le sue determinazioni vanno adottate esclusivamente in funzione dell'esecuzione del giudicato, e non in funzione degli interessi pubblici il cui perseguimento costituisce il normale canone di comportamento dell'Amministrazione sostituita. Da ci consegue che i suoi provvedimenti sono immediatamente esecutivi e non sono assoggettati all'ordinario regime dei controlli (interni ed esterni) degli atti dell'Amministrazione presso la quale lo stesso si insedia, ma vanno sottoposti unicamente all'immanente controllo dello stesso Giudice. Il principio da ultimo enunciato confermato espressamente nella nuova formulazione del comma VI dellart. 114, del D.Lgs. 2 luglio 2010, n. 104 (comma cos sostituito dall'art. 1, comma 1, lett. dd, n. 2 del D.Lgs. 15 novembre 2011, n. 195): il giudice conosce di tutte le questioni relative all'ottemperanza, nonch, tra le parti nei cui confronti si formato il giudicato, di quelle inerenti agli atti del commissario ad acta. Avverso gli atti del commissario ad acta le stesse parti possono proporre, dinanzi al giudice dell'ottemperanza, reclamo, che depositato, previa notifica ai controinteressati, nel termine di sessanta giorni. Le parti interessate possono e devono quindi rivolgersi al giudice, affinch venga verificata rispondenza dei provvedimenti adottati dal Commissario ad acta alle disposizioni impartite in sede di ottemperanza, nonch ai principi vigenti in materia: lattivit del commissario ad acta quindi, non ha natura prettamente amministrativa, perch si fonda sullordine del giudice, ed la stessa che avrebbe potuto realizzare direttamente il giudice. Va altres sottolineato che l'incarico di Commissario ad acta, ha la valenza di un "munus pubblico", da cui ne consegue la doverosit dell'espletamento dello stesso non potendo il soggetto nominato sottrarsi per libera scelta, pena la rilevanza penale della fattispecie ai sensi degli artt. 328 e 366 c.p. Della correttezza di tale approdo costituisce conferma, sul piano del diritto positivo, lart. 57, del DPR 30 maggio 2002 n. 115 (Testo unico delle dispo- 180 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2016 sizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia) dedicato proprio alla equiparazione del commissario ad acta agli ausiliari del magistrato, in quanto ivi si previsto che al commissario ad acta si applica la disciplina degli ausiliari del magistrato, per l'onorario, le indennit e spese di viaggio e per le spese sostenute per l'adempimento dell'incarico. Peraltro, l'art. 21 del cpa nel disporre che "nell'ambito della propria giurisdizione, il giudice amministrativo, se deve sostituirsi all'amministrazione, pu nominare come proprio ausiliario un commissario ad acta" implica un deciso mutamento di prospettiva nello specifico settore della disciplina degli organi chiamati a svolgere funzioni di tipo collaborativo rispetto all'esercizio proprio della funzione giusdicente. La norma permette senz'altro di ritenere che il Commissario ad acta si atteggia quale "ausiliario" del giudice, ossia organo che, per quanto si desume dalla stessa disposizione normativa, agisce quale longa manus del giudice, la cui volont di attuazione della norma nel caso concreto chiamato a esternare. In questa prospettiva, del resto, assume particolare rilevanza anche lo specifico ambito di giurisdizione entro il quale si svolge la funzione ascritta al commissario ad acta. Si tratta, infatti, di giurisdizione di merito, ambito entro il quale si colloca il giudizio di ottemperanza coltivato al fine di dare esecuzione integrale al comando recato in sentenza. Ma proprio il fatto che si verte in ambito di giurisdizione di merito implica la concreta possibilit, per il giudice, di sostituirsi all'amministrazione. Ne deriva che la statuizione del giudice si invera nella determinazione del commissario ad acta, la quale integra senz'altro, attraverso la nomina compiuta nel corso del giudizio di ottemperanza, la volont di attuazione della norma nel caso concreto. Questo comporta che la P.A. tenuta a conformarsi in tutto e per tutto alle determinazioni del commissario ad acta, attraverso le quali si manifesta la volont di esercizio della funzione giurisdizionale nella fattispecie concreta (Cfr. Consiglio di Stato, sezione IV, 13 gennaio 2015, n. 52; Tar Calabria, Reggio Calabria, 1 febbraio 2013, n. 85; Tar Puglia, Lecce, 24 febbraio 2011, n. 367). Sulla base delle suesposte necessarie premesse, si ritiene possano trarsi le necessarie conclusioni in ordine al quesito posto con la nota in riferimento. Il Commissario ad acta, ha quindi chiarito la giurisprudenza, agisce quale longa manus del giudice; organo del Giudice dell'ottemperanza e le sue determinazioni vanno adottate esclusivamente in funzione dell'esecuzione del giudicato, e non in funzione degli interessi pubblici il cui perseguimento costituisce il normale canone di comportamento della Amministrazione sostituita. Il principio di onnicomprensivit del trattamento economico dirigenziale di cui all'art. 24, D.lgs 165/2001, concerne tutti gli incarichi conferiti ai dirigenti in ragione del loro ufficio e/o su designazione dell'amministrazione di PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 181 appartenenza, trattandosi di attivit connesse in misura pi o meno diretta al rapporto organico tra pubblico dipendente ed amministrazione datrice di lavoro e pertanto deve trattarsi di compiti o mansioni cui il dirigente non pu sottrarsi perch rientranti nei normali compiti di servizio (Cass. sez. lavoro, 24 febbraio 2011, n. 4531; Consiglio di Stato, sez. V, 2 ottobre 2002, n. 5163; Tar Basilicata 14 febbraio 2014, n. 127; Consiglio di Stato, Commissione speciale per il pubblico impiego parere n. 173/2005; e da ultimo, Consiglio di Stato, sezione IV, 23 febbraio 2015, n. 859 secondo cui sfugge al principio di onnicomprensivit il compenso percepito dal dirigente per la partecipazione quale componente di una commissione di accordo bonario ex art. 240, D.lgs 163/2006). L'interpretazione del principio di onnicomprensivit dato dalla giurisprudenza, sia civile che amministrativa, trova conferma nella Direttiva del Ministro della Funzione Pubblica del 1 marzo 2000 con la quale stato precisato: "si intendono conferiti in ragione dell'ufficio, anche gli incarichi conferiti da terzi consequenziali a quello conferito presso di essi dall'amministrazione o su designazione di essa e comunque gli incarichi il cui svolgimento collegato alla rappresentanza di interessi dell'amministrazione. Sono invece esclusi gli incarichi semplicemente autorizzati, non rientranti nelle ipotesi di cui sopra". Peraltro, la Direttiva del Ministero dei Lavori Pubblici del 21 giugno 1999 (in GU 3 febbraio 2000, n. 27), recante "regolamento dei conferimenti e delle autorizzazioni di incarichi nei confronti dei dipendenti del Ministero dei lavori Pubblici", all'art. 5, dispone che per gli incarichi conferiti da organi della giurisdizione l'autorizzazione "non trova luogo". Appare pertanto chiaro che il discrimine al fine di valutare se il compenso previsto per un incarico sia soggetto o meno al regime di onnicomprensivit dato dalla rappresentanza o meno di interessi dell'amministrazione. L'incarico di commissario ad acta conferito dall'autorit giudiziaria, per le ragioni suesposte, proprio perch finalizzato all'esecuzione del giudicato e non alla cura degli interessi pubblici dell'amministrazione interessata deve ritenersi escluso dal principio di onnicomprensivit del trattamento retributivo. Tale conclusione consente di superare l'obiezione della Ragioneria Generale dello Stato che sembra invece ritenere che l'incarico " collegato alla rappresentanza di interessi dell'amministrazione e quindi riconducibile ai doveri di ufficio", considerazione quest'ultima disattesa dalla recente giurisprudenza. Peraltro si osserva che in linea con quanto affermato dal Dipartimento della Funzione Pubblica, si colloca il parere reso dalla stessa in ordine agli incarichi di Commissario ad acta ovvero commissario straordinario negli enti locali di cui agli artt. 136 e seg. TU 267/2000. Il Dipartimento (parere del 30 gennaio 2002 reso alla Prefettura di Avellino) ha correttamente osservato che tale tipo di incarico, proprio perch conferito "ratione officii" e quindi nei compiti istituzionali previsti dal TU degli enti locali, rientra nel regime di onnicomprensivit del trattamento retributivo. 182 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2016 Da ultimo deve ritenersi che la circostanza che la nomina a Commissario ad acta sia stata effettuata dal Presidente del Consiglio dei lavori Pubblici, non sposta i termini della questione. Infatti quest'ultimo ha agito in esecuzione dell'ordinanza del Consiglio di Stato, sezione IV, 17 maggio 2011, n. 2992 la quale cos recita: " opportuno procedere alla nomina di un nuovo commissario ad acta, nella persona del Presidente del Consiglio dei Lavori Pubblici, con facolt di delega ad un componente del medesimo organo in possesso delle competenze professionali idonee per l'esecuzione della sentenza". Appare evidente che la delega esercitata nel caso di specie non riconduce le funzioni svolte dal Commissario ad acta nell'ambito dei propri doveri di ufficio, in quanto comunque imposta dall'organo giurisdizionale ed finalizzata esclusivamente all'esecuzione del giudicato. Da ultimo va osservato che la mancata esecuzione sia da parte dell'amministrazione che del dirigente responsabile, di una sentenza passata in giudicato, che legittima il soggetto destinatario della favorevole sentenza di ricorrere al giudizio di ottemperanza ed all'eventuale nomina del Commissario ad acta, pu essere fonte di responsabilit di carattere risarcitorio per l'amministrazione ai sensi dell'art. 112, III comma cpa e di responsabilit amministrativa/ patrimoniale per il dirigente che era tenuto a dare esecuzione alla decisione oggetto di ottemperanza. Sul presente parere stato sentito il Comitato Consultivo che, nella seduta del 13 novembre 2015, si espresso in conformit. Acquisto e trasferimento tramite permuta di beni immobili tra Stato e Provincia Autonoma di Bolzano. Il quadro normativo attualmente vigente PARERE 20/11/2015-525489-525490, AL 29734/15, AVV. MASSIMO SAVATORELLI 1. Con la nota indicata in epigrafe lAvvocatura Distrettuale di Trento, destinataria di una richiesta di parere formulata dalla Direzione Regionale del Trentino-Alto Adige della Agenzia del Demanio relativamente allatto di permuta di beni immobili tra Stato e Provincia Autonoma di Bolzano, ha ipotizzato per lo stesso una soluzione sulla quale, in considerazione della complessit, delicatezza e rilevanza di massima del quesito, chiede di conoscere lavviso di questa Avvocatura Generale. PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 183 1.1. Espone, in proposito, lAvvocatura Distrettuale che, gi nel 2011, venne sottoscritto tra il Ministero dell'Interno, l'Agenzia del Demanio e la Provincia autonoma di Bolzano un Protocollo d'intesa per la razionalizzazione e la riallocazione delle sedi della Polizia di Stato e dei Carabinieri nel Comune di Bressanone e in altri Comuni della provincia di Bolzano. L'intesa raggiunta - integrante, nella sostanza, un accordo ex art. 15 L. n. 241/90 - tendeva a far conseguire allo Stato la propriet di immobili di soggetti terzi, pubblici e privati, attualmente condotti in locazione passiva dal Ministero dell'Interno ed adibiti a caserme dell'Arma dei Carabinieri o della Polizia di Stato; gli stessi dovevano essere acquistati dalla Provincia autonoma di Bolzano dai proprietari; quindi, previa eventuale ristrutturazione e messa a norma, ceduti allo Stato a fronte della cessione alla Provincia stessa di immobili statali non pi utilizzati per attivit istituzionali. Sul piano negoziale, pertanto, l'operazione concordata si realizzava attraverso la conclusione, in successione, di contratti tra loro funzionalmente collegati (acquisto della propriet da parte della Provincia autonoma di Bolzano degli immobili attualmente condotti in locazione dall'Amministrazione dell'Interno e successive permute con gli immobili statali). Dal punto di vista economico, l'accordo di programma risultava (e risulta) pertanto estremamente vantaggioso per lo Stato nella misura in cui: a) esonera lo Stato dai costi e dagli esborsi - nell'attuale contingenza economica non sostenibili - connessi all'acquisizione diretta degli immobili in parola dai rispettivi proprietari - con i quali sarebbe impossibile realizzare permuta alcuna, non avendo gli stessi, a differenza della Provincia, alcun interesse alla permuta con immobili statali; b) garantisce comunque, attraverso la permuta con la Provincia, l'acquisto, da parte dello Stato, della propriet degli immobili in discorso nonch l'esecuzione, a spese e cura dell'Ente provinciale, delle opere e dei lavori eventualmente necessari per renderli pienamente idonei e funzionali alla loro destinazione d'uso; c) elimina ogni onere connesso alla locazione degli edifici consentendo, per il futuro, un risparmio di spesa; d) assicura e rende stabile, nei termini e nella consistenza attuali, la presenza e la diffusione sul territorio provinciale delle Forze dell'Ordine. Per altro verso, l'intervento, nel quadro di tale programma negoziale, appariva (e appare) di interesse per la Provincia, che - in unottica di collaborazione tra soggetti pubblici - non solo consegue la propriet di immobili che possono essere destinati alla soddisfazione di gi individuati interessi pubblici istituzionali, ma soddisfa anche un proprio autonomo interesse, concorrente e coincidente con quello dello Stato, di garantire la presenza delle Forze di polizia sul proprio territorio. 1.2. Coerentemente con il disegno perseguito con il menzionato Protocollo dintesa, nel 2013 l'Agenzia del demanio sottoponeva al parere di legalit dellAvvocatura distrettuale di Trento un atto destinato a dare attuazione alla 184 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2016 prima fase del Protocollo stesso, con acquisto di quattro edifici allepoca condotti in locazione dal Ministero degli Interni (nei quali risultano ubicati le caserme dei Carabinieri di Badia, Chiusa e Valle Aurina/Cadipietra e il Commissariato della Polizia di Stato di Bressanone ed il locale Distaccamento della Polizia stradale) e cessione di tre compendi statali (Carceri mandamentali di Bressanone, immobile "ex ANAS" di Bolzano ed immobile "ex Villa Italia" di Merano) alla Provincia a fronte del trasferimento dei primi. LAvvocatura distrettuale di Trento, pur introducendo alla bozza datto trasmessa talune integrazioni anche alla luce della normativa allepoca vigente, lo approvava in linea legale con ampia e articolata motivazione. Detta ipotesi di accordo, tuttavia, non veniva mai perfezionata. 1.3. Con nota 29 aprile 2015 n. 2015/1313 l'Agenzia del demanio ha ora nuovamente interessato lAvvocatura distrettuale di Trento sottoponendo ad esame di legalit una nuova bozza di atto la quale, ricollegandosi anch'essa al Protocollo d'intesa concluso nel 2011, riproduce, nella sostanza, lo (gi approvato) schema negoziale del 2013 circoscrivendo peraltro l'operazione a due soli immobili: ledificio, attualmente di propriet della K.B. & C. s.a.s., sito in Bressanone e condotto in locazione dal Ministero dell'Interno quale sede dei locali Commissariato della Polizia di Stato e Distaccamento della Polizia stradale, da un lato; e l'immobile di propriet statale ubicato a Bolzano e denominato "Ex ANAS, via Cassa di Risparmio 21, dall'altro. Il nuovo atto si compone di due parti, la prima delle quali disciplinante l'acquisizione da parte della Provincia autonoma di Bolzano della propriet dell'immobile privato sito in Bressanone; la seconda regolante la permuta tra detto immobile, divenuto di proprieta provinciale, e quello di proprieta statale ubicato a Bolzano. A cagione del diverso valore degli immobili permutandi, lo scambio di beni tra lo Stato e la Provincia prevede un conguaglio a favore dello Stato di 5.880,00= destinato ad essere versato dalla Provincia contestualmente alla stipula dell'atto. 2. Al fine di rendere il parere richiesto si rende pregiudizialmente necessaria una puntuale disamina del quadro normativo attualmente vigente - in parte difforme da quello in vigore allepoca in cui fu reso il precedente parere. Occorre in particolare darsi carico, per un verso, della normativa regolante lacquisto di immobili da parte dello Stato e degli enti pubblici; per altro verso, di quella - anche di rango costituzionale - che disciplina il regime delle propriet immobiliari dello Stato nel territorio della Regione Trentino-Alto Adige e della Provincia di Bolzano. evidente che eventuali incertezze sulla realizzabilit in linea legale delloperazione come oggi concepita potrebbero essere ostative al rilascio del richiesto visto in linea legale. 3.1. Sotto un primo profilo, va considerato che oggi venuto meno, al 31 dicembre 2013, il divieto di acquisto di immobili a titolo oneroso per tutte le Amministrazioni pubbliche inserite nel conto economico consolidato della p.A. PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 185 stabilito dall'art. 12, comma 1-quater, del D.L. n. 98/2011 (norma che era stata oggetto di esame nel precedente parere reso dallAvvocatura distrettuale). La validit dell'atto ora all'esame va invece esaminata alla stregua dei limiti stabiliti, rispettivamente con decorrenza 1 gennaio 2012 e 1 gennaio 2014, dai commi 1, 1-bis e 1-ter del medesimo art. 12. La prima di tali disposizioni dispone, per quanto qui interessa, che "a decorrere dal 10 gennaio 2012 le operazioni di acquisto e vendita di immobili, effettuate sia in forma diretta sia indiretta, da parte delle amministrazioni in-serite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione, come individuate dall'Istituto nazionale di statistica (ISTAT) ai sensi del comma 3 dell'articolo 1 della legge 31 dicembre 2009, n. 196, con l'esclusione degli enti territoriali, degli enti previdenziali e degli enti del servizio sanitario nazionale, nonch del Ministero degli affari esteri con riferimento ai beni ubicati all'estero, sono subordinate alla verifica del rispetto dei saldi strutturali di finanza pubblica da attuarsi con decreto di natura non regolamentare del Ministro delleconomia e delle finanze". Il successivo comma 1-bis stabilisce invece, sempre per quanto qui interessa, che "a decorrere dal 10 gennaio 2014 nel caso di operazioni di acquisto di immobili, ferma restando la verifica del rispetto dei saldi strutturali di finanza pubblica, lemanazione del decreto previsto dal comma 1 effettuata anche sulla base della documentata indispensabilit e indilazionabilit attestata dal responsabile del procedimento. La congruit del prezzo attestata dall'Agenzia del demanio, previo rimborso delle spese fatto salvo quanto previsto dal contratto di servizi stipulato ai sensi dell'articolo 59 del decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300, e successive modificazioni". Il comma 1-ter dispone infine che "a decorrere dal 10 gennaio 2014 al fine di pervenire a risparmi di spesa ulteriori rispetto a quelli previsti dal patto di stabilit interno, gli enti territoriali e gli enti del Servizio sanitario nazionale effettuano operazioni di acquisto di immobili solo ove ne siano comprovate documentalmente lindispensabilit e lindilazionabilit attestate dal responsabile del procedimento. La congruit del prezzo attestata dall'Agenzia del demanio, previo rimborso delle spese. Delle predette operazioni data preventiva notizia, con lindicazione del soggetto alienante e del prezzo pattuito, nel sito internet istituzionale dell'ente". In definitiva, e riassumendo, alla stregua della riportata disciplina: i) a decorrere dal 1 gennaio 2012 le operazioni di acquisto e di vendita di immobili da parte delle Amministrazioni pubbliche diverse dagli enti territoriali, dagli enti previdenziali, dagli enti del Servizio Sanitario Nazionale e dal Ministero degli Affari Esteri - limitatamente, per questultimo, ai beni immobili ubicati all'estero - sono subordinate: a) alla verifica del rispetto dei saldi strutturali di finanza pubblica (comma 1) e, a decorrere dal 1 gennaio 2014 e relativamente alle sole operazioni di acquisto, altres 186 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2016 b) alla documentata indispensabilit e indilazionabilit dell'operazione attestata dal responsabile del procedimento e c) alla attestazione, da parte dell'Agenzia del demanio, della congruit del prezzo (comma 1-bis); ii) a decorrere dal 1 gennaio 2014 le operazioni di acquisto di immobili da parte degli enti territoriali e degli enti del Servizio Sanitario Nazionale sono condizionate: a) alla documentata indispensabilit e indilazionabilit dell'operazione attestata dal responsabile del procedimento e b) alla attestazione, da parte dell'Agenzia del demanio, della congruit del prezzo (comma 1-ter). 3.2. Una prima indagine riguarda la validit dellatto di compravendita che la Provincia autonoma di Bolzano andr a concludere con il privato proprietario dellimmobile attualmente condotto in locazione dallAmministrazione degli Interni, e destinato alla successiva permuta. Bench, infatti, questultima, sia estranea a detto negozio, incontestabile che un eventuale vizio che affliggesse lo stesso - rientrando nel complesso schema negoziale costituito dai contratti funzionalmente collegati di cui si sopra riferito - non potrebbe che ricadere sulla validit ed efficacia del connesso atto di acquisto da parte dello Stato (e, per esso, dellAgenzia del demanio). Orbene, sembra che la validit della compravendita non possa essere contestata. Infatti, l'acquisto disciplinato nella Parte I dell'atto in esame anche adesso consentito, quanto alla Provincia, dall'art. 8 della Legge provinciale 17 settembre 2013, n. 12, il quale esplicitamente esclude le "acquisizioni di immobili finanziati in tutto o in parte dalla Provincia autonoma" - che pure figura anche oggi tra le Amministrazioni pubbliche inserite nel conto economico consolidato della pubblica Amministrazione (v., da ultimo, il comunicato ISTAT del 30 settembre 2015) - dall'applicazione dell'intero art. 12 del D.L. n. 98/2011 e, quindi, anche dei limiti alle operazioni di acquisto degli enti territoriali ora stabiliti, con decorrenza 1 gennaio 2014, dal comma 1-ter del citato decreto-legge. Tutto ci consente dunque di ritenere legittima la compravendita in questione escludendo di conseguenza riflessi negativi sulla validit della permuta destinata ad essere conclusa sul presupposto di quella. Come gi evidenziato nella precedente consultazione, appare comunque opportuno menzionare nelle premesse dell'atto anche la L.P. n. 12/2013 la quale, come s' detto, legittima, sul piano normativo, l'acquisizione immobiliare finanziata dalla Provincia. 3.3. Pi complessa invece la disamina riferita alla (successiva) permuta progettata tra lo Stato e la Provincia autonoma di Bolzano, posto che la legittimit della stessa va valutata non soltanto alla luce delle norme limitative PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 187 di cui ai commi 1 e 1-bis del gi citato art. 12 del d.l. n. 98/2011, ma, ancor prima, alla stregua delle previsioni, contenute nello Statuto, nelle relative Disposizioni di attuazione e nelle norme statali, che regolano il trasferimento alle Province autonome di Trento e di Bolzano dei beni immobili demaniali e patrimoniali dello Stato e della Regione. 3.3.1.1. Sotto questo profilo vengono dunque in primo luogo in considerazione gli artt. 67 e 68 del d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670 - recante approvazione del Testo Unico delle leggi costituzionali concernenti lo Statuto speciale per il Trentino-Alto Adige - i quali, per quanto qui interessa, rispettivamente stabiliscono che: a) "i beni immobili patrimoniali dello Stato situati nella regione sono trasferiti al patrimonio della regione" (art. 67, comma 2); b) "nelle norme di attuazione della presente legge saranno determinate le modalit per la consegna da parte dello Stato dei beni suindicati" (art. 67, comma 3); c) "le province, in corrispondenza delle nuove materie attribuite alla loro competenza, succedono, nell'ambito del proprio territorio, nei beni e nei diritti demaniali e patrimoniali di natura immobiliare dello Stato e nei beni e diritti demaniali e patrimoniali della regione, esclusi in ogni caso quelli relativi al demanio militare, a servizi di carattere nazionale e a materie di competenza regionale" (art. 68). L'art. 108, comma 3, del d.P.R. n. 670/1972 rimette poi a specifiche norme di attuazione la determinazione dei beni di cui all'art. 68 che passano alle province, nonche le modalit per la consegna dei beni stessi. In attuazione delle norme statutarie test citate stato perci emanato il d.P.R. 20 gennaio 1973, n. 115 il quale, come poi novellato, integrato e modificato dal D.Lgs. 21 dicembre 1998, n. 495, ha appunto disciplinato il trasferimento alle province autonome di Trento e di Bolzano dei beni demaniali e patrimoniali dello Stato e della Regione. Le norme di attuazione identificano i beni e i diritti demaniali e patrimoniali di natura immobiliare dello Stato (v. artt. 1, 2, 8 e 9) nonch i beni e i diritti demaniali e patrimoniali della Regione (v. art. 4) da trasferire alle due Province autonome nonche il procedimento amministrativo da seguire per l'individuazione - mediante elenchi da formarsi d'intesa tra le parti - e il successivo trasferimento - mediante redazione di un semplice verbale di consegna - di detti beni e diritti (v. artt. 3, 5, 6 e 8). In particolare, lart. 9 del d.P.R. n. 115/1973 - nel testo cosi sostituito dall'art. 1 del d.lgs. n. 495/1998 - dispone che "ai sensi dell'articolo 67, secondo comma, e 68 del decreto del Presidente della Repubblica 31 agosto 1972, n. 670, i beni e i diritti di natura immobiliare costituenti il patrimonio disponibile dello Stato, che non siano trasferibili alla regione in corrispondenza alle funzioni ad essa attribuite dallo statuto di autonomia, sono trasferiti alle province di Trento e di Bolzano secondo le modalit previste nell'articolo 8". 188 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2016 L'art. 11, comma 3, del d.P.R. n. 115/1973 (come novellato) prevede infine una ricognizione periodica, a cadenza quinquennale, ai sensi e per gli effetti dei citati artt. 67 e 68 dello Statuto speciale di autonomia, dei "beni non pi necessari per la difesa dello Stato o per servizi di carattere nazionale", da trasferire alla regione o alle province territorialmente interessate secondo i criteri di cui all'art. 9 considerando comunque non pi necessari "i beni non utilizzati in tutto o in parte prevalente da almeno dieci anni, salvo che sia stata decisa nelle forme di legge la ripresa della loro utilizzazione per la difesa o per servizi di carattere nazionale". Il quadro normativo di derivazione statutaria si completa poi con la previsione di cui all'art. 2 del D.Lgs. n. 495/1998 a mente del quale, oltre ai beni immobili e ai diritti reali immobiliari dello Stato indicati negli elenchi allegati allo stesso decreto legislativo (comma 1), sono altresi trasferiti alle province autonome "i beni appartenenti alle amministrazioni dello Stato, anche ad ordinamento autonomo, che alla data del 1 luglio 1998 risultino non utilizzati per attivit istituzionali da almeno venti anni". 3.3.1.2. Dal complesso delle riportate disposizioni risulta dunque che l'individuazione dei beni e dei diritti dello Stato suscettibili di trasferimento alle Province autonome di Trento e di Bolzano avviene secondo due distinte modalit. 3.3.1.3. Nel primo caso, l'individuazione operata direttamente dalle norme statutarie o da quelle di attuazione, le quali identificano non soltanto le categorie (astratte) di beni statali da trasferire, ma anche i beni stessi che vengono a tal fine indicati in appositi elenchi allegati allo stesso decreto presidenziale o legislativo di attuazione (art. 1 del d.P.R. n. 115/1973 e art. 2, comma 1, del D.Lgs. n. 495/1998). In questa ipotesi pu ritenersi che, trattandosi di beni gi specificamente e puntualmente individuati dalla legge, il diritto delle Province al trasferi-mento sorga immediatamente, per effetto della sola e semplice inclusione dei beni negli elenchi allegati ai decreti di attuazione delle previsioni statutarie. In questo contesto, i verbali di consegna assolvono pertanto alla mera funzione di trasferire alle Province il possesso di beni la cui propriet, in conformit ai principi e alle regole del sistema tavolare vigente nei territori dell'ex Impero austro-ungarico (v. r.d. 28 marzo 1929, n. 499), passer peraltro agli Enti terri-toriali solo al momento dell'iscrizione del verbale - il quale, per espressa previ-sione di legge, costituisce titolo per l'intavolazione (v. artt. 6, comma 1, 8, comma 3, 11, comma 3, d.P.R. n. 115/1973 e 2, comma 2, d.P.R. n. 495/1998) - nel libro fondiario. 3.3.1.4. Nel secondo caso, lo Statuto o le norme di attuazione si limitano invece ad indicare soltanto la categoria o la natura dei beni statali da trasferire. Qui, la concreta individuazione poi rimessa ad intese tra le Amministrazioni dello Stato e le Province di volta in volta interessate ed agli elenchi di beni in esito a dette intese a tal fine formati (artt. 8 e 9 del d.P.R. n. 115/1973 e art. 2, comma 2, del D.Lgs. n. 495/1998). PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 189 In questa ipotesi, trattandosi di beni determinati solo nel genere (per categorie o secondo la natura), ragionevole ritenere che il diritto delle Province al trasferimento sorger solo all'esito del procedimento di individuazione e con riferimento ai (soli) beni effettivamente inclusi negli elenchi a tal fine formati d'intesa tra le parti, conformemente, del resto, alla regola generale di diritto comune (v. art. 1378 cod. civ.). Regola generale che, nella fattispecie, va peraltro coordinata con l'altra, di diritto speciale, test ricordata, di cui all'art. 2 del R.D. n. 499/1929 in base alla quale nel regime tavolare l'acquisto del diritto di propriet presuppone comunque la previa intavolazione del relativo titolo (nella specie costituito, come s' detto, dal verbale di consegna). Ma non solo, poich la stessa individuazione pu essere per cosi dire statica o dinamica, a seconda che essa si riferisca ai beni appartenenti alle indicate tipologie o aventi comunque le prescritte caratteristiche alla data di entrata in vigore delle norme statutarie o di attuazione, ovvero ad una diversa data specificamente determinata (v., ancora una volta, l'art. 2, comma 2, del d.lgs. n. 495/1998 che fa riferimento ai beni statali che alla data del 1 luglio 1998 non risultino utilizzati per attivit istituzionali da almeno un ventennio), ovvero ancora a beni da identificarsi, alla stregua dei requisiti di legge, in esito a periodiche ricognizioni (cos l'art. 11, comma 3, del d.P.R. n. 115/1973). 3.3.2. Il complesso normativo appena illustrato - e la "riserva di acquisizione" dei beni statali a favore delle Province autonome sancita dallo Statuto e dalle disposizioni di derivazione statutaria - trova conferma nella legislazione nazionale la quale ribadisce che "i beni immobili ed i diritti reali sugli immobili appartenenti allo Stato, situati nei territori delle regioni a statuto speciale, nonch delle province autonome di Trento e di Bolzano, sono trasferiti al patrimonio dei predetti enti territoriali nei limiti e secondo quanto previsto dai rispettivi statuti. Detti beni non possono essere conferiti nei fondi di cui al comma 86, n alienati o permutati" (cos l'art. 3, comma 114, della 1. 23 dicembre 1996, n. 662). 4. Questo essendo il quadro normativo, occorre dunque ora stabilire se l'atto all'esame e, ancor prima, il Protocollo d'intesa del quale esso costituisce attuazione, siano o meno compatibili con le norme di rango paracostituzionale - lo Statuto di autonomia e le Disposizioni di attuazione - od ordinario - la legge statale - in precedenza richiamate. Ove, infatti, si ritenesse che il contratto di permuta si pone in contrasto con le norme di cui sopra o perch direttamente confliggente con esse o perch strumento per eluderne l'applicazione, potrebbe ravvisarsene la nullit ex art. 1418, comma 1, cod. civ. o ex artt. 1344 e 1418, comma 2, cod. civ. perch contrastante con norme imperative ovvero perch in frode alla legge. In tal caso, il contratto di permuta eventualmente concluso rimarrebbe esposto ad azione di nullit, poich potrebbe sostenersi che la Provincia ha 190 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2016 acquistato a titolo oneroso un bene patrimoniale disponibile dello Stato in ipotesi non pi necessario a fini pubblici statali - come appunto quello, gi sede degli uffici dell'ANAS di Bolzano, oggetto della permuta progettata - che, ai sensi del combinato disposto degli artt. 9 e 11, comma 3, del D.P.R. n. 115/1973, la stessa aveva diritto di acquisire ex lege e a titolo gratuito: e pretendere quindi, ex artt. 2037 e 2033 cod. civ., e salvi gli effetti dell'usucapione e della prescrizione dell'azione di ripetizione eventualmente medio tempore maturate (v. art. 1422 cod. civ.), la restituzione dell'immobile indebitamente trasferito in permuta allo Stato (e del conguaglio pagato). Tale tesi appare tuttavia superabile alla luce delle considerazioni che seguono. La vicenda traslativa all'esame pu infatti ragionevolmente ritenersi esulare dall'ambito di applicazione della normativa richiamata. 5. E, invero, malgrado il richiamo al d.P.R. n. 115/1973 contenuto nel preambolo del Protocollo d'intesa di cui essa costituisce sviluppo ed attuazione, latto di cui si tratta sfugge, proprio per le connotazioni contrattuali ed onerose che lo caratterizzano, all'ambito di applicazione del complesso normativo di cui al D.P.R. n. 115/1973 e al d.lgs. n. 495/1998 il quale disciplina al contrario il trasferimento, ex lege e a titolo gratuito, dallo Stato alle Province autonome di Trento e di Bolzano, di beni immobili statali individuati, d'intesa tra le parti, all'esito del procedimento amministrativo di ricognizione previsto e regolato dalla richiamata normativa di attuazione dello Statuto speciale di autonomia. 5.1. Per un verso, va preso atto che siffatto modulo procedimentale - destinato a concludersi con l'individuazione concordata dei beni e dei diritti immobiliari statali da trasferire alle Province autonome e la cui attivazione resta pur sempre rimessa all'autonoma e concorde iniziativa delle parti - non si allo stato realizzato, e in ogni caso non ha riguardato i beni di cui si tratta. I beni e i diritti in questione debbono pertanto ritenersi pienamente e liberamente disponibili e negoziabili inter partes nelle forme proprie e tipiche del diritto comune. Va infatti rammentato che, secondo quanto chiarito in precedenza, nel caso di beni, come nel caso, diversi da quelli specificamente indicati negli elenchi allegati ai decreti di attuazione dello Statuto di autonomia, il diritto al trasferimento delle Province sorge solo e soltanto al momento in cui, all'esito del procedimento amministrativo all'uopo previsto, le parti provvedono, d'intesa tra loro, all'individuazione e all'inclusione negli elenchi a tal fine formati dei beni in concreto da trasferire. Ragion per cui prima di quel momento - prima, cio, del perfezionamento della fattispecie costitutiva del diritto al trasferimento - non esiste alcuna posizione giuridica soggettiva delle Province meritevole di tutela e i beni statali rientrano pertanto pienamente nella disponibilit dello Stato. Ci, anche alla luce del principio generale (in linea con il gi rammenta- PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 191 to disposto dellart. 11, comma 3, del d.P.R. n. 115/1973) secondo il quale, fino allavvenuta identificazione in contraddittorio dei beni da trasferirsi, pur sempre consentito allo Stato di individuare tra i beni di propriet temporaneamente non utilizzati quelli che si rivelino suscettibili di (nuova) utilizzazione per fini di utilit statale. Non ha poi certamente secondario rilievo la circostanza che la Provincia, nella valutazione dellinteresse pubblico di propria competenza, ha sempre ritenuto pacificamente non applicabili nella fattispecie le disposizioni su cui si fin qui discusso, ritenendo il bene non solo di propriet dello Stato, ma anche liberamente dallo stesso disponibile, e ravvisando altres un forte interesse alla conclusione delloperazione. 5.2. N, per la medesima ragione, pare assumere valenza ostativa al divisato negozio la norma di cui al comma 114 dell'art. 3 della L. n. 662/1996 la quale, dopo aver ribadito in termini generali e riferiti a tutte le Regioni a statuto speciale quanto gi stabilito dallo Statuto del Trentino Alto Adige e dalle relative norme di attuazione in tema di trasferimento alle Province autonome di Trento e di Bolzano dei beni demaniali e patrimoniali dello Stato ubicati nel territorio della Regione, pone un divieto di alienazione o di permuta. Esso infatti, avuto riguardo alla ratio della disposizione e al contesto normativo- statutario cui la stessa fa esplicito riferimento, sembra logicamente riguardare unicamente l'alienazione o la permuta a favore di soggetti terzi diversi da quelli che sono, per volont del Legislatore statutario e nazionale, gli unici, legittimi destinatari dei trasferimenti aventi ad oggetto le realit in esame - vale a dire, a seconda dei casi, le Regioni a Statuto speciale o le Province autonome di Trento e di Bolzano. Un tale divieto, dunque, non preclude che al medesimo risultato le parti (e, segnatamente, la Provincia autonoma, che se ne accolla il relativo costo) decidano nella loro autonomia di pervenire - eventualmente anche a titolo oneroso, qualora l'interesse pubblico, come nel caso, consigli - secondo schemi negoziali di diritto privato, raggiungendo pertanto le comuni finalit in termini temporali assai pi contenuti. Le argomentazioni che precedono inducono dunque a superare i dubbi di validit del negozio sotto i profili ora esaminati. 6. N appaiono in alcun modo ostativi alla apposizione del visto di legalit i problemi derivanti dai commi 1 e 1-bis dell'art. 12 del D.L. n. 98/2011 con riguardo alla circostanza che, in ragione del diverso valore degli immobili permutati, lo scambio di beni tra lo Stato e la Provincia si concluderebbe con un saldo attivo a favore dello Stato di 5.880,00= destinato ad essere ripianato dalla Provincia in numerario contestualmente alla stipula dell'atto. Effettivamente, la rilevata disparita di valori, peraltro assolutamente marginale nel quadro economico complessivo dell'operazione, esclude che la permuta in parola possa definirsi "pura", essendo comunque previsto un sia pur modesto conguaglio a favore dello Stato. 192 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2016 Cionondimeno questa Avvocatura ritiene che tale circostanza non sia di impedimento alla conclusione del contratto, atteso che i limiti alle operazioni di acquisto e di vendita di immobili - e la permuta , a tutti gli effetti, un atto che comporta, contestualmente e reciprocamente, la cessione e l'acquisizione di beni - ora stabiliti dai commi 1 e 1-bis dell'art. 12 cit. ben possono ritenersi non operanti n relativamente alle permute a parit di prezzo, n relativamente alle permute con conguaglio di prezzo a favore dell'Amministrazione pubblica. L'esclusione delle permute senza conguaglio dall'ambito di applicazione delle citate disposizioni pare invero difficilmente revocabile in dubbio per due ordini di ragioni tra loro intimamente correlate e connesse. In primo luogo, perch le permute c.d. pure, essendo finanziariamente neutre, sono prive, per definizione, di qualsiasi incidenza sui saldi strutturali di finanza pubblica; in secondo luogo, perch, se le permute a parita di prezzo sfuggivano - per l'anzidetta ragione - al divieto - assoluto - di acquisto stabilito dal comma 1-quater dell'art. 12 del d.l. n. 98/2011 come autenticamente interpretato dall'art. 10-bis del d.l. n. 35/2013, a fortiori deve ritenersi che, una volta venuto meno quel divieto, esse non soggiacciano neppure ai limiti alle operazioni di acquisto e vendita ora stabiliti dai commi 1 e 1-bis del citato decreto legge. Ma, ad avviso di questa Avvocatura, anche le permute nelle quali, e come nella fattispecie, sia previsto un conguaglio a favore dell'Amministrazione statale esulano dall'ambito di applicazione di quei limiti nella misura in cui, a ben vedere, risultano anch'esse finanziariamente neutre non comportando alcun esborso di denaro pubblico da parte dell'amministrazione permutante e, quindi, ancora una volta, alcun negativo riflesso sui saldi strutturali di finanza pubblica. E se vero che il minor valore del bene acquisito in permuta comporta una diminuzione del valore complessivo del patrimonio immobiliare pubblico, per altrettanto vero che tale diminuzione patrimoniale integralmente compensata dal conguaglio previsto. Del resto, i limiti stabiliti dalle norme in commento paiono - esclusivamente - riferiti ad operazioni immobiliari - di vendita o di acquisto - che comportano non soltanto un'immediata ed effettiva incidenza negativa sui saldi strutturali di finanza pubblica, ma anche un concreto esborso di denaro pubblico, com' reso evidente dal ripetuto riferimento in quelle norme contenuto ad un elemento quale il prezzo - la cui congruit deve formare oggetto di attestazione da parte dell'Agenzia del demanio ed il cui ammontare deve essere reso noto mediante pubblicazione sul sito internet istituzionale dell'ente acquirente - tipico della compravendita ed estraneo allo schema negoziale della permuta. Per queste ragioni appare perci sostanzialmente rispettata la ratio del divieto di acquisto e vendita di immobili a titolo oneroso - e della correlata deroga relativamente alle permute a parit di prezzo nonche delle permute senza oneri a carico del bilancio dello Stato - individuabile nell'esigenza di garantire e presidiare l'invarianza dei saldi di bilancio evitando ogni operazione PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 193 negoziale che comporti o possa comportare - come le compravendite e le permute con un conguaglio a carico dell'amministrazione pubblica - esborsi di danaro pubblico: e per questo aspetto la permuta in parola, prevedendo un conguaglio a favore dello Stato, rappresenta perci un'operazione priva, in definitiva, di impatti sui saldi strutturali di finanza pubblica del tipo di quelle contemplate dall'Allegato A del D.M. 16 marzo 2012 di attuazione del comma 1 dell'art. 12 del citato d.l. n. 98/2011. Il D.M. in questione prevede, tra l'altro - art. 2, comma 7 -, che "le disposizioni di cui all'art. 12, comma 1, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, non si applicano alle procedure di vendita e di acquisto in corso, avviate ... per effetto di delibere assunte, entro il 31 dicembre 2011, dai competenti organi dei predetti enti e che individuino con esattezza i compendi immobiliari oggetto delle operazioni". Nulla esclude peraltro che l'operazione in parola - assimilabile, come s' detto, a quelle prive di impatto sui saldi strutturali di finanza pubblica previste dall'Allegato A al D.M. 16 marzo 2012 - formi oggetto, al pari di quelle, e come previsto dall'art. 2, comma 5, del D.M. citato, di preventiva comunicazione al Ministero dell'economia e delle finanze - Dipartimento del tesoro e Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato - e di successiva attuazione in assenza di osservazioni nel termine di trenta giorni dalla relativa comunicazione. 7.1. Con riferimento, poi, alla bozza d'atto trasmessa, giova osservare che non vi si rinviene una clausola contenente una condizione sospensiva analoga a quella contenuta nella bozza predisposta nel 2013. Tale pattuizione risulta invece, ad avviso di questa Avvocatura, necessaria, nella misura in cui essa rafforza e garantisce la posizione dello Stato subordinando l'efficacia del trasferimento alla Provincia del bene di propriet statale alla previa intavolazione, a favore dello Stato, dell'immobile di propriet provinciale oggetto di permuta nonch all'accertamento, in via formale, dell'avveramento di tutte le altre condizioni allora indicate (accatastamento nella categoria B 1, verifica di idoneit alla destinazione sotto il profilo urbanistico ed edilizio, regolare esecuzione di lavori eventualmente pattuiti). 7.2. Alla luce delle osservazioni tutte svolte nella trattazione che precede appare inoltre vivamente raccomandabile che, nelle premesse dellatto, si indichi espressamente: che la Provincia ravvisa nella realizzazione delloperazione in discorso uno specifico interesse anche ad essa proprio con riferimento (oltre che allacquisizione di immobili da destinarsi a fini pubblici) alla tutela dellordine pubblico, che viene meglio perseguita attraverso una ottimale presenza sul territorio delle Forze dellordine (presenza, appunto, favorita dallacquisto dellimmobile da destinarsi poi ad uso statale mediante il previsto trasferimento in permuta); che le parti si danno reciprocamente atto che i beni statali oggetto della 194 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2016 successiva permuta esulano dal campo di applicazione delle norme statali e regionali, e in particolare dello Statuto di autonomia, del DPR n. 115/73 e delle norme collegate e derivate che regolano il trasferimento alla Regione e alle Province autonome di Trento e Bolzano dei beni e dei diritti immobiliari dello Stato, rinunciando espressamente ad avanzare e formulare, anche in futuro, qualsiasi pretesa, domanda ed eccezione al riguardo. Sul presente parere, considerati i profili di massima, stato sentito il Comitato consultivo dellAvvocatura dello Stato, il quale, alle sedute del 21 settembre 2015 e del 26 ottobre 2015, si espresso in conformit. Soggetti tenuti al rilascio della documentazione antimafia in caso di partecipazioni societarie indirette PARERE 26/11/2015-536024, AL 35225/15, AVV. MARIO ANTONIO SCINO 1. Quesito Si fa riferimento alla nota in oggetto, con cui codesta Amministrazione ha chiesto un parere della Scrivente in merito allambito di operativit, sul piano della sfera soggettiva, della prescrizione contenuta nellart. 85, comma 2, lett. c), D.Lgs. n. 159/2011 la quale, in materia di soggetti tenuti al rilascio della documentazione antimafia, fa riferimento al socio di maggioranza in caso di societ con un numero di soci pari o inferiore a quattro. In ordine a tale disposizione, in particolare, si chiede di sapere se la norma trovi applicazione anche nel caso delle partecipazioni societarie indirette, ossia nel caso in cui il controllo societario esercitato a sua volta da altre societ di capitali: pi esattamente [] nel caso in cui la partecipazione maggioritaria risulti detenuta da un organismo societario, a sua volta con un capitale suddiviso tra non oltre quattro soci, di cui uno di maggioranza. 2. Normativa In primo luogo, occorre fare puntuale rimando alla normativa di riferimento in materia, al fine di individuare la ratio della norma a partire dalla quale delineare la portata applicativa della stessa sotto il profilo soggettivo. Si fa riferimento, in particolare, al D.Lgs. 6 settembre 2011 n. 159 recante Codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, nonch nuove disposizioni in materia di documentazione antimafia, a norma degli articoli 1 e 2 della legge 13 agosto 2010, n. 136. Lart. 85 cit. individua infatti i Soggetti sottoposti alla verifica antimafia PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 195 e dispone, al comma 2, che la documentazione antimafia, se si tratta di associazioni, imprese, societ, consorzi e raggruppamenti temporanei di imprese, deve riferirsi, oltre che al direttore tecnico, ove previsto: [] c) per le societ di capitali, anche al socio di maggioranza in caso di societ con un numero di soci pari o inferiore a quattro, ovvero al socio in caso di societ con socio unico; []. Prima di entrare nel merito del quesito prospettato, occorre fare puntuale riferimento ad un'altra disposizione, seppur de relato, che concorre a delineare un quadro normativo pi ampio, allinterno del quale muovere le argomentazioni necessarie a risolvere il quesito interpretativo in oggetto. In tal senso si segnala che lart. 85 cit., al comma 2-quater (inserito dallart. 2, comma 1, lett. b), n. 2), D.Lgs. 15 novembre 2012, n. 218), dispone che Per le societ di capitali di cui alle lettere b) e c) del comma 2, concessionarie nel settore dei giochi pubblici, oltre a quanto previsto nelle medesime lettere, la documentazione antimafia deve riferirsi anche a soci persone fisiche che detengano, anche indirettamente, una partecipazione al capitale o al patrimonio superiore al 2 per cento, nonch ai direttori generali e ai soggetti responsabili delle sedi secondarie o delle stabili organizzazioni in Italia di soggetti non residenti. Nell'ipotesi in cui i soci persone fisiche detengano la partecipazione superiore alla predetta soglia mediante altre societ di capitali, la documentazione deve riferirsi anche al legale rappresentante e agli eventuali componenti dellorgano di amministrazione della societ socia, alle persone fisiche che, direttamente o indirettamente, controllano tale societ, nonch ai direttori generali e ai soggetti responsabili delle sedi secondarie o delle stabili organizzazioni in Italia di soggetti non residenti. La documentazione di cui al periodo precedente deve riferirsi anche al coniuge non separato. 3. Considerazioni Con riferimento al merito del quesito in esame ed alla soluzione interpretativa ivi prospettata, secondo la quale le questioni interpretative legate allapplicazione delle disposizioni del D.Lgs. n. 159/2011 (c.d. codice Antimafia) troverebbero un fondamento alla possibile interpretazione estensiva delle disposizioni antimafia con una combinata lettura alle disposizioni contenute nel D.Lgs. n. 163/2006 (c.d. codice dei contratti pubblici), si prende atto che tale indicazione ermeneutica si muove secondo una logica di eadem ratio tra le due normative in questione: sottoporre a controlli pi capillari le societ con un numero di soci non superiore a quattro. In tal senso, si richiama lorientamento del Consiglio di Stato secondo cui rinvenibile nella disciplina del codice dei contratti pubblici una finalit volta ad assicurare che non partecipino alle gare n stipulino contratti con le amministrazioni pubbliche, societ di capitali con due o tre soci per le quali non siano attestati i previsti requisiti di idoneit morale in capo ai soci aventi un potere necessariamente condizionante le decisioni di gestione della societ (Cons. di Stato, Ad. Plen., 6 no- 198 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2016 rappresenta che tale disposizione, in virt di una formulazione precisa e puntuale, costituisce elemento imprescindibile per ricostruire, secondo canoni di legalit e tipicit dellazione amministrativa in materia, la specifica volont del Legislatore, sia sul piano dellinterpretazione letterale, sia sul piano logico sistematico. Ed infatti, lart. 85, comma 2, lett. c), cit., non menziona espressamente le c.d. partecipazioni indirette: la norma utilizza lespressione socio di maggioranza. Tale ultima qualificazione soggettiva evidentemente deve essere intesa non gi nel suo ristretto significato secondo la disciplina propria delle societ di capitale, ai sensi del codice civile, bens nella sua portata reale della lotta alla criminalit organizzata, intendendo evidentemente il Legislatore perseguire le persone fisiche che, esercitando il controllo societario, condizionano, mediante il sistema delle partecipazioni di maggioranza, le determinazioni degli organi di amministrazione delle societ. Nello specifico settore dei concessionari di giochi pubblici, evidentemente ritenuto meritevole di una peculiare attenzione estendendo loperativit delle relative misure, il Legislatore ha per espressamente individuato lobbligo di acquisire la documentazione antimafia anche nel caso di soci persone fisiche che detengono, anche indirettamente, una partecipazione al capitale o al patrimonio superiore al 2 per cento. Lelemento di novit va qui riferito alla soglia del 2%, e non anche alla circostanza che essa possa essere detenuta indirettamente, trattandosi di una precisazione formale ultronea rispetto al sistema dei controlli societari reali rilevanti ai fini della materia, ed espressamente indicata solo in ragione dellesiguit della misura per la quale trova applicazione la specifica disciplina indicata dallart. 85 cit. Ed infatti, la funzione della documentazione antimafia, costituita dalla comunicazione antimafia e dallinformazione antimafia (art. 84, comma 1, decreto cit.), sempre pi preordinata, anche dopo le recenti novelle, ad anticipare la tutela della sicurezza e dellordine pubblico nella lotta alla criminalit organizzata; si rammenta, poi, che il D.Lgs. 159/2011, introducendo il Codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, ha modificato, aggiornato ed integrato la disciplina della documentazione antimafia, frutto di una stratificazione normativa intervenuta negli anni, rafforzandone la ratio consistente nella lotta alla criminalit mafiosa, interesse questultimo preminente e prevalente nei confronti di qualsiasi altro interesse, sia esso pubblico o privato (cfr. sentenza Cons. di Stato, Sez. III, n. 240 del 23 aprile 2014). La riforma, come noto, peraltro ha inciso anche sulla individuazione del giudice territorialmente competente a decidere sulla documentazione antimafia e ci in quanto ora linformativa prefettizia spiega i propri effetti su tutto il territorio nazionale (cfr. C.d.S., Ad. Plen., n. 17/2014: [] Deve inoltre considerarsi che gi questa Adunanza Plenaria aveva evidenziato come linterpretazione degli effetti territorialmente limitati e non di portata generale dellinterdittiva PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 199 fosse da riferirsi al previgente assetto normativo e avrebbe potuto mutare a seguito dellentrata in vigore del d.lgs n. 159/2011, che introduce molteplici profili di novit, con riguardo, tra laltro, agli effetti soggettivi, alla durata e alla pubblicit delle informative (Ad. Plen. n. 3/2013 e n. 4/2013). Infatti, lart. 91 del d.lgs n. 159/2011 prevede che linformazione interdittiva sia provvedimento da cui possono sorgere una serie di provvedimenti ulteriori, adottati da altri enti, e non tutti predeterminabili a priori nel loro contenuto. Ne consegue che, proprio in quanto il sistema ha optato per una anticipazione delle misure di prevenzione, il principio di legalit, e con esso di tipicit delle scelte effettuate in sede legislativa, risulta preminente nella corretta individuazione ed applicazione dei canoni ermeneutici volti a tracciare la concreta sfera di operativit soggettiva delle disposizioni sopra richiamate. Pertanto, lattuale tenore letterale dellart. 85, comma 2, c), del Codice antimafia gi consente in via interpretativa di poter estendere i controlli anche alle partecipazioni indirette nel caso di controlli societari a catena; ad ogni modo, una siffatta interpretazione della citata disposizione di legge rischia di trovare limite in una interpretazione meramente letterale, anchessa possibile, improntata a principi di semplificazione, mancando un intervento del Legislatore di portata analoga a quella di cui allart. 85, comma 2-quater, cit., inserito dallart. 2, comma 1, lett. b), n. 2), D.Lgs. 15 novembre 2012, n. 218 per il solo settore dei concessionari di giochi pubblici. Conseguentemente, ove si ritenga preminente applicare le misure di tutela individuate nel Codice Antimafia sarebbe del tutto opportuno che, analogamente al comma 2-quater, cit., il Legislatore intervenga individuando espressamente anche le partecipazioni indirette tra quelle per cui richiesta la documentazione antimafia, e ci al fine di precludere luso delle partecipazioni indirette quale espediente pratico utilizzato dal reale socio di controllo per eludere di fatto le necessarie e dovute verifiche che lordinamento giuridico nazionale intende approntare per la lotta alla criminalit. 4. Conclusioni Sulla base delle precedenti considerazioni, si pu postulare uninterpretazione estensiva dellart. 85, comma 2, lett. c), del Codice Antimafia, anche alle partecipazioni indirette per ratio legis propria del d.lgs. n. 159/2011, sulla falsariga dellapplicazione anchessa estensiva dellart. 38, comma 1, lettera c) del Codice dei contratti pubblici, ricorrendo nellordinamento giuridico le medesime esigenze sociali di tutela e prevenzione della sicurezza e ripercorrendo gli stessi percorsi ermeneutici fatti propri dal Consiglio di Stato (Ad. Plen., 6 novembre 2013, n. 24) e dallANAC (parere precontenzioso n. 73 del 28 ottobre 2014), pur nella pacifica autonomia e differenza di sfera di operativit del Codice antimafia e del Codice dei contratti pubblici. Nondimeno si sottolinea lopportunit di un intervento normativo ad hoc 200 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2016 per garantire lapplicazione dellart. 85, comma 2, lett. c), D.lgs. 159/2011, in riferimento alla locuzione socio di maggioranza in caso di societ con un numero di soci pari o inferiore a quattro, in modo estensivo, in modo da rendere palese lintenzione del Legislatore, anche in considerazione di quanto enunciato nel comma 2-quater dellart. 85, cit., in tema di societ concessionarie nel settore dei giochi pubblici che estende le misure () ai soci persone fisiche che detengono, anche indirettamente, una partecipazione al capitale o al patrimonio superiore al 2 per cento (). In attesa di un siffatto intervento del legislatore, anche al fine di dare uniformit di applicazione pratica sul territorio nazionale e coordinare le attivit amministrative, nonch in chiave di deflazione del contenzioso innanzi al Giudice amministrativo, secondo la prospettiva evidenziata nella richiesta di parere si ritiene plausibile che, a regime vigente, laddove il socio di maggioranza sia una persona giuridica, le verifiche antimafia ex art. 83, cit., debbano svolgersi tanto nei confronti degli organi ordinariamente scrutinabili facenti parte la societ che detiene la maggioranza del capitale sociale dellimpresa nei cui confronti si deve acquisire la documentazione antimafia che nei confronti del socio persona fisica detentore della maggioranza delle quote. Si suggerisce infine di condividere le soluzioni suindicate con le altre Istituzioni preposte alla cura di interessi similari, e con cui ordinariamente codesta Amministrazione usualmente in raccordo per uniformare la propria azione (ANAC, DIA, DNA). In tal senso si espresso il Comitato consultivo nella seduta del 13 novembre 2015. Disciplina delledilizia residenziale a favore di dipendenti pubblici PARERE 09/12/2015-554402, AL 33969/15, AVV. ETTORE FIGLIOLIA Si riscontra la nota in epigrafe, e preso atto dei chiarimenti forniti con la successiva nota del 10 novembre u.s., e dei contenuti della documentazione alla stessa nota allegata, si rappresenta che, ad avviso di questa Avvocatura Generale, ove gli attuali fruitori degli alloggi di che trattasi dovessero chiedere lapplicazione del D.M. n. 185/2014 al fine di conseguire la ridefinizione in termini pi favorevoli del canone locativo, nulla osterebbe, in assenza oltretutto di contrarie disposizioni dello stesso decreto, allaccoglimento della relativa istanza. Invero, va rilevato che con il Decreto Ministeriale del 2014 test citato si proceduto alla sostituzione del precedente D.M. n. 215/2002 con il quale PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 201 erano stati stabiliti i limiti di reddito ed i criteri per lassegnazione degli alloggi e la determinazione dei canoni locativi, in sostanziale attuazione dei principi statuiti dalla giurisprudenza amministrativa in punto di modalit di determinazione del canone di locazione di detti alloggi, tenuto conto dellintervenuto annullamento giurisdizionale del D.M. n. 8346/2011, integrativo del precedente D.M. 215/2002, recante la specificazione dei parametri per addivenire alla determinazione dei canoni in questione, sicch, trattandosi di atti amministrativi di contenuto normativo, lo stesso annullamento giurisdizionale produce un effetto diffuso per tutti i soggetti interessati, stante la stessa esigenza, in termini di interesse pubblico, di omogeneit della disciplina relativa al contesto. Ed infatti, innegabile che la ratio della complessiva regolamentazione di questo settore corrisponde alle finalit pubblicistiche dei programmi di cui allart. 18 D.L. 152/1991, correttamente individuate dal TAR Lazio con la sentenza n. 17/2013 confermata dal Consiglio di Stato con la decisione n. 1125/2014, e cio quella di favorire la mobilit del personale con priorit per i dipendenti pubblici trasferiti per esigenze di servizio, ratio che verrebbe sostanzialmente frustrata laddove si realizzassero disparit di trattamento nellambito delle medesime categorie di beneficiari che potrebbero verificarsi rispetto alle sedi di servizio ubicate in Comuni con diversa densit abitativa, nella considerazione che detto canone calcolato anche con riferimento al prezzo di cessione degli alloggi. Per quanto precede, linterpretazione sistematica del D.M. 185/2014 deve essere condotta alla luce delle finalit perseguite dallAmministrazione in ottemperanza ai principi statuiti dalla giustizia amministrativa, nel senso di assicurare la vigenza di una disciplina comune a tutti i soggetti fruitori degli alloggi de quibus, tenendo nella debita considerazione la ineludibile esigenza, lumeggiata dallo stesso Consiglio di Stato con la sentenza n. 1125/2014, che lentit del reddito quale requisito per laccesso costituisca criterio anche per la fissazione del canone, s da evitare che il dipendente che si aggiudicato in ragione del basso reddito il diritto ad essere assegnatario non si trovi a disporre di un reddito inadeguato per corrispondere il canone. In via generale, a conferma delle superiori argomentazioni, vanno richiamate le convincenti motivazioni espresse in fattispecie analoghe dalla giurisprudenza amministrativa (TAR Lazio, Sez. II bis, 15 aprile 2014, n. 6800) alla stregua delle quali per definire il costo di locazione deve essere considerato quello effettivo sostenuto dal soggetto beneficiario del contributo pubblico, sicch di tutta evidenza che il costruttore ove il canone di locazione dovesse invece essere parametrato al prezzo di cessione degli alloggi definito al lordo del finanziamento regionale, otterrebbe una inammissibile duplicazione del beneficio stesso, sia allatto della corresponsione del prezzo della costruzione, sia al momento della riscossione dei canoni. 202 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2016 Nei sensi suesposti la richiesta consultazione. Sulle questioni oggetto del presente parere si pronunciato in conformit il Comitato Consultivo di questa Avvocatura. Prestazioni previdenziali erogate da Stazione appaltante a fronte di irregolare posizione contributiva dellimpresa fallita PARERE 14/12/2015-562411, AL 22627/15, AVV. GIACOMO AIELLO Con la nota che si riscontra codesta Avvocatura ha richiesto lavviso della Scrivente in merito allindividuazione del soggetto legittimato a ricevere il pagamento dei corrispettivi contrattuali in relazione a prestazioni rese da una ditta incaricata dalla Direzione Generale per la gestione e la manutenzione degli edifici giudiziari di Napoli per la realizzazione di un sistema di consultazione al pubblico per laccesso agli uffici ed ai servizi del nuovo palazzo di giustizia di Napoli. In particolare, tenuto conto che in data 11 giugno 2013 il Tribunale di Roma dichiarava il fallimento del contraente privato e che il documento di regolarit contributiva (DURC), acquisito dalla stazione appaltante ai sensi dellart. 6 d.P.R. n. 207/2010, evidenziava la posizione irregolare dellimpresa nei confronti dellINAIL per il mancato pagamento di premi assicurativi, nonch nei confronti dellINPS per un importo complessivo pari a 28.539,42 Euro, si richiede se possa trovare applicazione lart. 4, comma 2 del d.P.R sopra citato, il quale dispone che: in caso di ottenimento da parte del soggetto responsabile del procedimento del documento unico di regolarit contributiva che segnali un'inadempienza contributiva relativa a uno o pi soggetti impiegati nell'esecuzione del contratto, il medesimo trattiene dal certificato di pagamento l'importo corrispondente all'inadempienza. Il pagamento di quanto dovuto per le inadempienze accertate mediante il documento unico di regolarit contributiva disposto dai soggetti di cui all'articolo 3, comma 1, lettera b), direttamente agli enti previdenziali e assicurativi. Lapplicabilit di tale intervento sostitutivo si rivela problematica nel caso di specie, nel quale limpresa appaltatrice ha emesso fattura a fronte dei servizi resi il 31 maggio 2013 ed in seguito stata dichiarata fallita dal Tribunale civile di Roma in data 11 giugno 2013: risulta infatti che il Curatore fallimentare ha pi volte diffidato lAmministrazione al pagamento del credito ritenuto di spettanza dellimpresa fallita e a non dare seguito allintervento sostitutivo, sul presupposto che questultimo avrebbe sottratto poste creditorie, in violazione del principio della par condicio creditorum. PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 203 Successivamente anche lINAIL e lINPS hanno manifestato lintento di rifiutare il pagamento dei crediti previdenziali, aderendo alla nota di codesto Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali (prot. n. 0052752 in data 1 aprile 2014) con cui si subordina lammissibilit dellintervento sostitutivo a quelle ipotesi in cui la procedura concorsuale sia finalizzata alla prosecuzione dellattivit aziendale, come ad esempio nelle ipotesi di concordato preventivo, mentre sarebbe da escludere nel fallimento, in quanto, se applicata, determinerebbe la lesione della par condicio creditorum. Codesta Avvocatura ritiene invece che la soluzione da seguire sia quella di privilegiare comunque il pagamento degli enti previdenziali rispetto allinteresse dei creditori insinuati nel passivo fallimentare. Tale ultima soluzione appare, ad avviso della Scrivente, la pi corretta alla stregua delle considerazioni che seguono. Larticolo 4, comma 2, del d.P.R. 207/2010 introduce un particolare meccanismo attraverso il quale, in presenza di un documento unico di regolarit contributiva che evidenzi irregolarit nei versamenti dovuti agli Istituti e/o alle Casse Edili, le stazioni appaltanti possono sostituirsi al debitore principale versando - in tutto o in parte - le somme dovute in forza del contratto di appalto direttamente ai predetti Istituti e Casse. Larticolo 4, che si riferisce appunto allipotesi dellirregolarit del DURC dovuta ad uninadempienza contributiva relativa ad uno o pi soggetti impiegati nellesecuzione del contratto impone addirittura alla stazione appaltante di trattenere, dalle somme dovute allappaltatore, gli importi da stornare in favore degli enti previdenziali. Trattasi allevidenza di una tutela perfino rafforzata rispetto alla diversa ipotesi contemplata nellart. 5 del medesimo regolamento di esecuzione che, a proposito del ritardo nel pagamento delle retribuzioni ai lavoratori impiegati nellesecuzione del contratto prevede una mera facolt del committente, e non gi un obbligo come la norma sopra richiamata, dellAmministrazione di pagare le retribuzioni arretrate direttamente ai lavoratori. Obiettivo della norma , dunque, attraverso la soddisfazione della pretesa creditoria degli enti nei cui confronti l'operatore economico ha maturato un'esposizione debitoria, quello di assicurare il ripristino della regolarit contributiva del medesimo, in unottica di tutela del sistema previdenziale ed assicurativo generale la cui tenuta economica considerata di preminente rilievo siccome posta a presidio dellintera collettivit dei lavoratori che vi risultano iscritti. Pi in particolare, le disposizioni citate assicurano la soddisfazione del preminente interesse pubblico alla garanzia della completa erogazione di quanto dovuto al lavoratore, conformemente allart. 38 Cost. attraverso ladempimento di unobbligazione che, pur essendo diretto ad un soggetto terzo rispetto al contratto di appalto pubblico, ha piena efficacia liberatoria nei confronti del committente debitore. 204 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2016 Le richiamate disposizioni del Regolamento di esecuzione del Codice dei contratti sembrano del resto costituire unattuazione del generale principio contenuto nellart. 1676 c.c. che, come noto, attribuisce ai lavoratori il potere di proporre unazione diretta contro il committente per conseguire quanto loro dovuto dallappaltatore fino a concorrenza del credito da questultimo vantato verso il committente. In proposito stato rilevato che nellottica di ampliare le garanzie dei lavoratori, lart. 5 del Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture, in attuazione delle Direttive UE (Regolamento e capitolati -L. n. 109/94, art. 3; L. 537/93, art. 6, comma 9), nel testo risultante dalle modifiche introdotte - appunto nel suddetto senso garantista - dal D.Lgs. 31 luglio 2007, n. 113 (vigenti a decorrere dal 1 agosto 2007), stabilisce che il regolamento di attuazione ed esecuzione del codice stesso debba dettare disposizioni, fra l'altro, per: a) la inclusione, tra i requisiti soggettivi rilevanti per la scelta dell'appaltatore, anche della regolarit contributiva; b) l'intervento sostitutivo della stazione appaltante in caso di inadempienza retributiva e contributiva dell'appaltatore; c) la tutela dei diritti dei lavoratori, secondo quanto gi previsto ai sensi del regolamento recante capitolato generale di appalto dei lavori pubblici, approvato con D.M. lavori pubblici 19 aprile 2000, n.145. Pertanto, il D.P.R. 5 ottobre 2010, n. 207 (recante il Regolamento di esecuzione ed attuazione del suddetto codice) nel titolo II, relativo alla "Tutela dei lavoratori e regolarit contributiva" prevede: - all'art. 4 la disciplina in materia di "Intervento sostitutivo della stazione appaltante in caso di inadempienza contributiva dell'esecutore e del subappaltatore (D.M. LL.PP. n. 145 del 2000, art. 7)"; - all'art. 6 la disciplina del "Documento unico di regolarit contributiva", che attesta contestualmente la regolarit di un operatore economico per quanto concerne gli adempimenti INPS, INAIL, nonch cassa edile per i lavori, verificati sulla base della rispettiva normativa di riferimento; - all'art. 5 la disciplina in materia di "Intervento sostitutivo della stazione appaltante in caso di inadempienza retributiva dell'esecutore e del subappaltatore. (). Dall'insieme di tali disposizioni si desume che a garanzia dei crediti retributivi e contributivi dei lavoratori impegnati negli appalti - o nei subappalti - pubblici sono previsti specifici strumenti che, se attivati nei tempi e nei modi prescritti, consentono agli interessati di avere direttamente dall'amministrazione committente il pagamento delle retribuzioni dovute dal loro datore di lavoro anche in corso d'opera. Al contempo, con l'attivazione di tale tutela speciale, il lavoratore pu consentire al committente di applicare le opportune sanzioni (se crede) al datore di lavoro inadempiente ed ottenere un ristoro pieno del proprio credito per le retribuzioni corrisposte ai lavoratori (). Negli appalti pubblici il disvalore dello scorretto comportamento tenuto dal datore di lavoro - in violazione del principio di cui all'art. 36 Cost. - non ha rilievo soltanto nel rapporto interno tra privati, ma comporta anche la lesione degli interessi PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 205 pubblici al cui migliore perseguimento preordinata la complessiva disciplina regolatrice degli appalti pubblici (Cfr. Cass. Civ. Sez. Lav. n. 15432/2014). Dunque, bench la disposizione di cui allart. 4, cit. si esprima sinteticamente nei termini di destinatario del pagamento dellimporto trattenuto, deve ritenersi, in virt della ratio sottesa allistituto in questione, che lo stesso contempli unipotesi di novazione soggettiva dal punto di vista del creditore. Si tratta ora di verificare se lintervenuto fallimento dellappaltatore, in questo caso successivo al momento della liquidazione del credito nei confronti della committente, impedisca lintervento sostitutivo dellamministrazione, come sopra descritto, dovendo, nel bilanciamento degli interessi in gioco, ricevere maggiore tutela i creditori della massa fallimentare rispetto ai pagamenti dovuti dal committente debitore. Pi in particolare si deve quindi stabilire se le disposizioni della legge fallimentare debbano derogare a quelle contenute nel codice degli appalti in virt della specialit delle prime rispetto a queste ultime. Pur non essendosi rinvenuti precedenti negli esatti termini, si ritiene che la giurisprudenza di legittimit abbia gi individuato dei criteri ermeneutici utili alla soluzione della questione esaminata. Con riguardo al rapporto tra lazione di cui allart. 1676 c.c. e la procedura fallimentare, la Corte di Cassazione ha messo in luce il fatto che detta azione non incide sul patrimonio dellappaltatore fallito, ma di quello di un terzo (il committente). Ci equivale a dire che i crediti dei lavoratori derivanti dalle irregolarit contributive, addebitate al datore di lavoro, divengono immediatamente esigibili nei confronti del committente, con la conseguenza che il loro pagamento non passa attraverso il patrimonio del datore di lavoro. Da ci deriva lulteriore conseguenza dellirrilevanza delleventuale fallimento del datore di lavoro, in quanto il curatore fallimentare non potrebbe ottenere quanto lo stesso fallito non poteva a sua volta esigere. Il medesimo Giudice di legittimit ha peraltro ritenuto lassetto giuridico derivante dallapplicazione dellart. 1676 c.c. coerente con il dettato costituzionale, in quanto lo specifico beneficio correlato alla preferenza dei crediti dei lavoratori rispetto a quelli della massa fallimentare, appare giustificato dal superiore interesse allattuazione di principi contenuti negli artt. 4 e 36 Cost. (Cfr. Cass. Lav. 24 ottobre 2007, n. 22304/2007). Questi principi hanno trovato recente applicazione in una sentenza del Tribunale di Roma resa proprio rispetto alla vicenda del fallimento (..), che ha portato alla condanna del committente pubblico che aveva ritenuto di dover privilegiare lestinzione del debito nei confronti della curatela fallimentare (Cfr. Trib. Roma 15 novembre 2014, n. 8189/2014). Diversamente opinando, si perverrebbe del resto allassurda situazione nella quale lAmministrazione pagherebbe il proprio debito nei confronti della curatela fallimentare, senza alcun effetto liberatorio rispetto alle possibili pre- 206 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2016 tese azionate dai dipendenti dellappaltatore fallito, i quali, pur essendo assisiti dal privilegio di cui allart. 2751-bis c.c. ben potrebbero vedere mortificate le ragioni creditorie nellipotesi di insufficienza dellattivo fallimentare. A diverse conclusioni dovrebbe pervenirsi nel caso in cui il credito nei confronti dellappaltatore sorga successivamente al fallimento dellappaltatore, in quanto evidente che in questa ipotesi detto credito potrebbe trovare soddisfazione solo attraverso linsinuazione nel passivo fallimentare con il privilegio previsto dagli artt. 2753 e 2754 cc. La rilevanza di massima della questione esaminata ha suggerito lopportunit di estendere questa consultazione anche a codesto Ministero. Sul presente parere stato sentito il Comitato consultivo che, nella seduta del 3 dicembre 2015, si espresso in conformit. Autorizzazioni per gli ambulatori e regime sanzionatorio delle violazioni PARERE 14/12/2015-562614, AL 41948/15, AVV. FRANCESCO SCLAFANI Con la nota che si riscontra, stato chiesto il parere di questa Avvocatura in merito al rapporto tra lart. 193 T.U. Leggi Sanitarie e lart. 12 della Legge regionale del Lazio n. 4/2003 per quanto concerne la disciplina autorizzativa degli ambulatori e il regime sanzionatorio delle relative violazioni. In particolare codesta Amministrazione chiede di conoscere lavviso della scrivente sui seguenti quesiti: 1) se le leggi regionali e le relative normative di attuazione riempiano ed in parte sostituiscano oggi lart. 193 T.U. Sanit pubblica; 2) se lutilizzo di spazi ulteriori rispetto a quelli della planimetria autorizzata o lesercizio di prestazioni e attivit mediche diverse e/o ulteriori rispetto a quelle autorizzate rappresentino fattispecie cui comminare la sanzione amministrativa di cui allart. 193 4 comma primo periodo T.U. sanit pubblica e allart. 12 2 comma L.R. n. 4/2003, oppure la sanzione amministrativa di cui allart. 193 4 comma secondo e terzo periodo e allart. 12, 1 comma L.R. n. 4/2003 . Con listituzione del servizio sanitario nazionale, la legge n. 833/1978 ha devoluto alle singole regioni il compito di disciplinare il regime autorizzatorio e di vigilanza sulle istituzioni sanitarie di carattere privato. Ci emerge dallart. 43, primo comma, l. n. 833/1978 in cui si legge che la legge regionale disciplina lautorizzazione e la vigilanza sulle istituzioni PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 207 sanitarie di carattere privato tra le quali rientrano gli ambulatori ai sensi dellart. 4, comma 2, l. n. 412/1991 (secondo il quale dette istituzioni sanitarie (gli ambulatori) sono sottoposte al regime di autorizzazione e vigilanza sanitaria di cui allart. 43 della legge 23 dicembre 1978, n. 833). Con tale disposizione la l. n. 833/1978 ha voluto sostituire il regime autorizzatorio e sanzionatorio di cui al T.U. delle Leggi Sanitarie del 1934 con un nuovo regime di competenza regionale. Peraltro, lart. 8-ter d.lgs. 502/1992, dopo aver ribadito che la realizzazione di strutture e lesercizio di attivit sanitarie e sociosanitarie sono subordinate ad autorizzazione, dispone che spetta alle regioni determinare modalit e termini per la richiesta e il rilascio dellautorizzazione alla realizzazione di strutture e allesercizio di attivit sanitaria e sociosanitaria. Che si tratti della sostituzione di un regime statale con un regime regionale - peraltro in linea con la riforma del Titolo V della Costituzione - risulta anche dal fatto che il citato art. 43 l. 833/1978 contiene una disciplina transitoria secondo la quale fino allemanazione della legge regionale restano in vigore alcune disposizioni, anche del T.U. delle leggi sanitarie (artt. 194, 195, 196, 197 e 198), intendendosi sostituiti al Ministero della Sanit la regione e al medico provinciale e al prefetto il presidente della giunta regionale. Tra le suddette norme del T.U. delle leggi sanitarie non viene richiamato lart. 193 il quale pertanto rimasto in vigore anche dopo lemanazione delle varie leggi regionali; ci in quanto tale norma disciplina un reato e le regioni non possono legiferare in materia penale. Sul punto Cass. Pen. Sez. III, 12 gennaio 1998, n. 2688 ha sottolineato che, a seguito della istituzione del servizio sanitario nazionale, ex l. 833/1978, che con lart. 43 ha devoluto alle regioni il compito di disciplinare le autorizzazioni relative alle istituzioni sanitarie di carattere privato, si venuto a limitare lambito di applicazione dellart. 193 T.U. leggi sanitarie soltanto a quelle attivit per le quali le diverse leggi regionali continuano a richiedere un provvedimento permissivo. Tuttavia, ai fini del parere richiesto, rileva in particolare il quarto comma dellart. 193 T.U. leggi sanitarie che presenta problemi di compatibilit o coordinamento con lart. 12, primo e secondo comma L.R. Lazio n. 4/2003. Tale disposizione del T.U. cit. non contiene una norma penale in quanto opera indipendentemente dal procedimento penale e disciplina lesercizio delle funzioni amministrative concernenti la vigilanza sul rispetto del regime autorizzatorio prevedendo la chiusura delle strutture sanitarie aperte senza autorizzazione o in violazione delle prescrizioni contenute nellatto di autorizzazione. Ebbene, per quanto concerne il primo quesito, si osserva che lart. 43 l. 833/1978 ha devoluto alla competenza regionale la disciplina sia dellautorizzazione che della vigilanza sulle istituzioni sanitarie di carattere privato. Pertanto, deve ritenersi che con lentrata in vigore della L.R. Lazio n. 4/2003 le sanzioni amministrative per lesercizio dellattivit sanitaria e socio-sanitaria 208 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2016 in assenza o in violazione dellautorizzazione siano quelle previste dallart. 12, primo e secondo comma, L.R. cit. e non dallart. 193, quarto comma T.U. leggi sanitarie. Ci in quanto lesercizio della potest sanzionatoria rientra nellambito dellattivit di vigilanza. Sul secondo quesito si osserva quanto segue. Lesercizio di prestazioni diverse rispetto a quelle autorizzate rientra nella previsione del primo comma dellart. 12 L.R. cit. che riguarda espressamente le attivit diverse. Lesercizio di prestazioni ulteriori rispetto a quelle autorizzate, pur non essendo letteralmente contemplato dallart. 12, deve ritenersi assimilabile allesercizio di una attivit diversa da quella autorizzata in quanto anche qui lautorizzazione cՏ ma lattivit svolta non conforme a quella autorizzata. Infine, lesercizio dellattivit autorizzata ma su spazi ulteriori rispetto alla planimetria indicata nellautorizzazione, deve ritenersi anchesso assimilabile allesercizio di unattivit diversa da quella autorizzata e quindi soggetto alla disciplina di cui al primo comma dellart. 12 L.R. cit. Ci perch, analogamente a quanto osservato per le attivit ulteriori, anche in tal caso lautorizzazione cՏ ma lattivit svolta non conforme a quella autorizzata. Deve ritenersi infatti che il concetto di diversit non riguardi solo il tipo di attivit, bens ogni difformit rilevante rispetto alle prescrizioni contenute nellatto autorizzativo. Tale interpretazione, non solo compatibile con la lettera della norma dove non viene specificato il tipo di diversit, ma conforme anche alla ratio dellart. 12 L.R. cit. che prevede due illeciti amministrativi di differente gravit a cui corrisponde un diverso regime sanzionatorio: a) il primo comma riguarda la fattispecie meno grave di colui che ottiene lautorizzazione ma non la rispetta perch non svolge lattivit autorizzata, bens unattivit diversa (per tipo, modalit di esercizio, estensione degli spazi utilizzati, ecc.); b) il secondo comma riguarda la fattispecie pi grave di colui che invece non si sottopone nemmeno al regime autorizzatorio ed esercita lattivit sanitaria o socio-sanitaria in totale carenza della prescritta autorizzazione. Infine, il diverso grado di offensivit delle suddette tre fattispecie non impedisce che siano ricondotte ad ununica tipologia di illecito in quanto il legislatore regionale ha previsto un range sanzionatorio abbastanza ampio (euro 5.000 - 50.000) nel quale pu essere individuata la giusta sanzione. Il presente parere stato sottoposto al Comitato Consultivo dellAvvocatura dello Stato, ai sensi dellart. 26 legge n. 103/1979, il quale si espresso in conformit. PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 209 Estensione soggettiva della chiamata diretta nelle assunzioni protette PARERE 11/01/2016-7883, AL 35772/15, AVV. MARCO CORSINI Con nota n. 43470 del 25 settembre 2015 viene chiesto il parere di questa Avvocatura in merito allistanza di assunzione (ex articolo 132, comma 1, lettera b), d.lgs. 217/2005) presentata dalla figlia di un Vigile del Fuoco, riconosciuto dal 1992 permanentemente non idoneo al servizio distituto. Il quesito sostanzialmente investe lestensione soggettiva della disciplina dellassunzione per chiamata diretta nominativa, ossia la possibilit di riconoscere il suddetto beneficio non solo ai fig N si rinvengono in giurisprudenza, pure in presenza della stessa previsione contenuta nelle norme previgenti, precedenti utili a chiarire il dubbio. Poich peraltro trattasi di situazione presente anche nella legislazione generale in materia di pubblico impiego, cui la presente disciplina settoriale pu essere ricondotta, potrebbe non essere inutile attingere ai principi affermati nellinterpretazione di quelle norme. Anche esse, infatti, nel regolare le assunzioni obbligatorie nella pubblica amministrazione, parlano semplicemente di figli di invalidi di guerra, di servizio e di lavoro, nonch di figli delle vittime del terrorismo, della criminalit organizzata o del dovere; nulla chiarendo in merito alla possibilit di estendere anche ai figli nati successivamente allevento invalidante i benefici derivanti dalle assunzioni protette. Il solo precedente giurisprudenziale rinvenuto in materia - unico, a quanto consta, e risalente al lontano 1979 - sembrerebbe aver riconosciuto il diritto al collocamento obbligatorio anche a coloro che siano stati concepiti posteriormente al fatto che ha prodotto linvalidit del genitore. E la ragione risiederebbe nellassunto che la mancata riproduzione nella legge abrogatrice (la n. 482/1968) dellinciso purch concepiti prima del fatto che ha prodotto linvalidit del genitore, contenuto nella legge n. 365/1958 abrogata (legge per lOpera nazionale per gli orfani di guerra), ne avrebbe comportato lincompatibilit con la normativa sopravvenuta (Cons. Stato, sez. VI, 26 ottobre 1979 n. 365). Tuttavia, il citato precedente giurisprudenziale - come detto risalente nel tempo - non sembra del tutto convincente. La normativa sullassunzione diretta costituisce rilevante deroga alle norme anche di matrice costituzionale che vogliono il pubblico concorso come modalit di accesso ordinaria agli uffici della pubblica amministrazione; modalit posta a presidio di quei principi - come limparzialit e il buon andamento - che da sempre guidano lagire amministrativo. Di qui lesigenza che le eventuali deroghe, peraltro consentite dallo stesso art. 97 della Costituzione (IV comma), oltre ad avere necessariamente fonte legislativa, siano intese ed interpretate in 210 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2016 modo rigoroso onde limitare leccezione ad ipotesi strettamente individuate. Cos come non assume apprezzabile rilievo in chiave interpretativa la normativa - anche recente (art. 5, commi 3-bis e 3-ter della legge 206/2004 come introdotti dalla legge n. 147/2013 in materia di assegno vitalizio, e art. 3, comma 1-ter della stessa legge 206/2004 come introdotto dalla legge 190/2014 in materia contributiva) - che, con riferimento alle vittime del dovere in forza dellequiparazione legislativa alle vittime del terrorismo, e quindi in un ambito interferente con il pubblico impiego, consente con determinati temperamenti che i benefici previdenziali accordati al coniuge ed ai figli spettino anche se il matrimonio stato contratto o i figli sono nati successivamente allevento. Anzi, il fatto che laddove il legislatore lo ha voluto lo ha espressamente previsto induce ulteriormente a ritenere che in difetto di esplicita formulazione in tal senso la norma in questione non possa che applicarsi ai figli esistenti al momento dellevento invalidante. Il beneficio previdenziale, peraltro, non ha la stessa natura di quello occupazionale e non attribuito - come questo - in deroga al principio dellaccesso concorsuale al pubblico impiego. Ora, se vero che la ratio della disciplina dellassunzione diretta nel Corpo dei Vigili del Fuoco prevista dallart. 132, comma 1, lettera b) del D.Lgs. 217/2005 risiede nel perseguimento di una finalit solidaristica, essendo volta a compensare il venir meno dellapporto di chi non sia pi in grado di essere impiegato nellAmministrazione di appartenenza (TAR Lazio - Roma, sez. I bis, 28 agosto 2015 n. 10953, anche se non mancano pronunce che ravvisano una natura premiale tuttavia scarsamente comprensibile), una corretta interpretazione di tale norma dovrebbe essere nel senso di riferire il beneficio alla situazione familiare cos come fotografata al momento dellevento invalidante. in quel momento, infatti, che viene a mancare il sostegno assicurato dal dipendente divenuto permanentemente invalido, ed allora che scatta il dovere solidaristico del datore di lavoro, essendo i famigliari viventi a quellepoca - esattamente come i fratelli ed il coniuge, ugualmente considerati dalla norma beneficiante - coloro i quali risentono nellimmediato le conseguenze pi negative dellevento sul duplice piano morale ed economico. Un possibile sostegno interpretativo in tal senso potrebbe ravvisarsi anche nellelemento testuale, laddove la norma in esame - nel prevedere il beneficio dellassunzione diretta in favore dei famigliari del dipendente divenuto permanente inabile al servizio - sembra riferirsi alla situazione in atto al momento del verificarsi dellevento, cio ai famigliari esistenti quando il dipendente diviene invalido. E daltra parte, se non si propendesse per uninterpretazione restrittiva della norma beneficante, lesposizione dello Stato sarebbe teoricamente non limitata nel tempo e nella quantit, e non vi sarebbe possibilit di contenerne PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 211 i riflessi. Ad esempio, il beneficio dellassunzione diretta potrebbe in astratto essere invocata anche dal coniuge di seconde nozze contratte dopo, o da figli adottati successivamente, dilatando senza limite neppure temporale una situazione che e deve restare eccezionale. Il che senza contare che la stessa espressione figli, a prescindere dalle considerazioni che precedono, suscettibile di unestensione che nemmeno il legislatore del 2005 aveva considerato, attesa lequiparazione ormai totale che la legge n. 219/2012 ha sancito tra i figli nati nel matrimonio e fuori da esso. A parere di questo Ufficio, quindi, pur in un quadro che potrebbe evolvere in senso contrario, sembra opportuno insistere per uninterpretazione restrittiva della norma in discorso, dato anche il riflesso di carattere generale e di principio che la questione pu assumere, con riserva di nuovo esame qualora la giurisprudenza dovesse indurre a migliore riflessione sulla posizione attualmente assunta. Sulla questione ora trattata, attesa la sua rilevanza di massima, stato sentito il Comitato Consultivo dellAvvocatura dello Stato che nella seduta del 17 dicembre 2015 si espresso in conformit. Presupposti e requisiti ai fini del rimborso delle spese legali ex art. 18 D.L. n. 67/1997 PARERE 09/02/2016-59779, AL 34232/15, AVV. MARIO ANTONIO SCINO 1. Quesito Si fa riferimento alla nota in oggetto, con cui codesta Amministrazione ha chiesto alla Scrivente il riesame del parere di congruit reso dallAvvocatura Distrettuale di Napoli in data 9 aprile 2014 (Cs 13054/2011, Avv. Paladino) con il quale veniva rigettata listanza di rimborso delle spese legali sostenute dagli Ispettori Capo della Polizia (...) in conseguenza del loro coinvolgimento nel procedimento penale n. 30294/07 dinanzi al Tribunale di Napoli. Gli ispettori Capo in oggetto erano stati destinatari dellaccusa di fare parte di unassociazione per delinquere insediatasi nel territorio vesuviano, che si avvaleva dellopera di funzionari comunali, membri della Polizia di Stato, dipendenti Enel e privati cittadini per favorire lingresso e lillegale permanenza sul territorio nazionale di clandestini da adottare come manodopera allinterno del c.d. mercato nero, attraverso la sottoscrizione di false certificazioni da presentare allUfficio Immigrazione. 214 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2016 risponde un diritto automatico del dipendente interessato, dovendosi viceversa desumere da uno specifico e motivato apprezzamento che lAmministrazione deve effettuare nel suo esclusivo interesse, in quanto trattasi di valutazione finalizzata ad assicurare un corretto e ragionevole impiego delle risorse erariali. In tal senso si precisa che il legislatore, nel porre a carico dellerario una spesa ulteriore, ha dovuto ponderare le esigenze economiche dei dipendenti coinvolti in un procedimento per ragioni di servizio con quelle di limitazione degli oneri posti a carico dellAmministrazione, tenendo in debito conto le esigenze di finanza pubblica che impediscono di gravare lerario di oneri eccedenti quanto necessario e sufficiente per soddisfare gli interessi che sottostanno allistituto del rimborso delle spese. 4. Giurisprudenza Si richiamano le principali massime poste a fondamento dellindirizzo restrittivo adottato dallAvvocatura dello Stato. In particolare, la Suprema Corte a Sezioni Unite ha di recente precisato che il pubblico funzionario ingiustamente accusato per fatti inerenti a compiti e responsabilit dell'ufficio ha diritto, ai sensi dell'art. 18 del d.l. 25 marzo 1997, n. 67, conv. con modif. dalla legge 23 maggio 1997, n. 135, al rimborso delle spese sostenute per la sua difesa, la cui entit va riconosciuta nei limiti dello "strettamente necessario" secondo il parere di congruit, di natura consultiva, dell'Avvocatura erariale, che - nella prospettiva di un contemperamento tra le esigenze di salvaguardia della spesa pubblica e di protezione del dipendente - non pu limitarsi ad una applicazione pedissequa delle tariffe forensi, ancorata ai minimi tariffari, n mirare a tenere indenne da ogni costo l'interessato, ma, nel valutare le necessit difensive del funzionario in relazione alle accuse mosse ed ai rischi del processo penale, nonch la conformit della parcella del difensore alla tariffa professionale o ai parametri vigenti, deve considerare ogni elemento nel rispetto di principi di affidamento, ragionevolezza e tutela effettiva dei diritti riconosciuti dalla Costituzione (Cass., S.U., n. 13861 del 6 luglio 2015, Rv. 635924; v. anche Cass., Sez. Lavoro, Sent. n. 1418 del 23 gennaio 2007, Rv. 594309; anche Cass., n. 9173/13). In considerazione dellasserita non automaticit del diritto al rimborso in capo al dipendente, si evidenzia che questo consegue allesito di unattenta valutazione da parte dellAmministrazione circa la sussistenza dei predetti requisiti ex lege. In particolare, in linea con quanto recentemente statuito dal T.A.R. Lazio, Latina, Sez. I, 25 febbraio 2015, n. 187, si evidenzia che la tutela approntata dal citato art. 18 subordina il diritto al rimborso alla ricorrenza di un presupposto giuridico (la sentenza o provvedimento che esclude la responsabilit), nonch a due requisiti, uno soggettivo (la qualit di dipendente di un'Amministrazione statale) ed uno oggettivo (il nesso tra i fatti e/o atti, da cui originato il giudizio, e l'espletamento del servizio o l'assolvimento PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 215 di obblighi istituzionali), al fine di riconoscere le spese legali sopportate solo ai soggetti che abbiano agito in nome e per conto, oltre che nell'interesse, dell'Amministrazione, con la conseguenza che il requisito in questione pu reputarsi sussistente solo quando sia possibile imputare gli effetti dell'agire del pubblico dipendente direttamente all'Amministrazione di appartenenza (T.A.R. Lazio, Roma, Sez. II, 7 febbraio 2014, n. 1487). Si altres specificato che, ai fini dell'applicabilit dell'art. 18, cit., richiesto un nesso di strumentalit diretto tra l'adempimento del dovere e il compimento dell'atto o condotta, nel senso che il dipendente pubblico non avrebbe assolto ai suoi compiti se non ponendo in essere quel determinato atto o condotta. Non pu, invece, darsi rilevanza ad una connessione con il fatto di reato di tipo soggettivo ed indiretto in quanto lo spazio di applicazione della tutela legale si dilaterebbe eccessivamente, ben oltre i confini segnati dal predetto art. 18 (cfr. C.d.S., Sez. III, 10 dicembre 2013, n. 5919). Il giudizio di connessione tra la condotta attribuita al dipendente e l'assolvimento, da parte sua, dei compiti istituzionali, andr effettuato in concreto, facendo riferimento al giudizio di fatto formulato dall'organo giudicante che ha emanato il provvedimento conclusivo del giudizio (cfr. T.A.R. Lazio, Latina, Sez. I, 12 marzo 2014, n. 195). Altro requisito indispensabile ai fini della concessione del beneficio del rimborso lassenza, in riferimento alla fattispecie concreta, di un conflitto di interessi tra dipendente e Amministrazione. Il rapporto di immedesimazione organica che lega lAmministrazione al titolare di un proprio organo comporta, infatti, limputazione alla prima degli atti compiuti dal secondo nellespletamento delle competenze demandategli. In materia di rimborso delle spese legali sostenute dal dipendente di unAmministrazione per la propria difesa in un procedimento penale, il conflitto d'interessi rilevante indipendentemente dall'esito del giudizio penale e dalla relativa formula di assoluzione. Ne consegue che non compete il rimborso delle spese legali qualora il giudice penale abbia evidenziato che i fatti ascrittigli esulavano dalla funzione svolta e costituivano grave violazione dei doveri dufficio (Cass., Sez. Lavoro, Sent. n. 2297 del 3 febbraio 2014, Rv. 630383). In considerazione di quanto illustrato, secondo lopinione maggioritaria non deve ritenersi che tale meccanismo giuridico sia onnicomprensivo e illimitato; il rapporto di immedesimazione organica si interrompe, infatti, allorquando la persona fisica titolare dellorgano abbia agito per fini estranei ai compiti affidati e quindi alla funzione attribuita ex lege alla P.A. In tal senso, anche la giurisprudenza amministrativa secondo la quale al dipendente pubblico assolto in sede penale per non aver commesso il fatto, non spetta la refezione delle spese di lite da parte dellamministrazione di appartenenza [...] qualora i fatti contestati in sede penale (esempio truffa aggravata a danno della p.a.) evidenzino un conflitto di interessi con lente (T.A.R. Toscana, 218 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2016 Verso una nuova concezione dellalloggio di servizio: lhousing sociale PARERE 15/02/2016-70512, AL 31865/15, AVV. MARCO CORSINI Con nota 18 agosto 2015 n. 40/169-11-2-1976 codesto Comando chiede il parere della Scrivente in merito ad unoperazione immobiliare, con risvolti urbanistici, diretta a realizzare una caserma ed annessi appartamenti destinati a militari dellArma in Roma, localit Infernetto. Loperazione dichiaratamente finalizzata a risolvere il gravoso e costante problema del reperimento di abitazioni a condizioni sostenibili per il proprio personale nelle grandi citt, in presenza delle attuali gravose condizioni di mercato. E come tale, chiaramente, esso incontra il forte interesse di codesta Amministrazione. Lintervento, sulla scorta degli elementi desumibili dalla bozza di convenzione qui trasmessa e dal successivo documento fatto pervenire per le vie brevi, dovrebbe articolarsi secondo le seguenti fasi: a) un soggetto privato, proprietario di unarea sita in Roma, si impegna: - a progettare, e costruire su quellarea e con risorse esclusivamente proprie, secondo le prescrizioni e le esigenze dellAmministrazione, un edificio da adibire a caserma ed uno o pi edifici contenenti un certo numero di alloggi ad uso abitativo; - a cedere solo ad appartenenti allArma dei Carabinieri individuati dallArma stessa, per un prezzo concordato con lAmministrazione, il diritto di superficie - di durata limitata - dei costruendi alloggi; - a cedere gratuitamente allo Stato la propriet piena della caserma; - a cedere gratuitamente allo Stato la nuda propriet dellarea su cui insisteranno le residenze. b) lAmministrazione dal canto suo, sulla base del riconosciuto carattere di pubblica utilit delloperazione, si impegna ad attivare le procedure di cui al DPR 383/1994 relativamente alla conformit urbanistica dellintervento. Viene delineato in sostanza un procedimento negoziale complesso, che presenta elementi propri di distinte fattispecie negoziali, e che nel suo complesso mira a realizzare gli interessi eterogenei di tutti coloro che partecipano al procedimento, beneficiando dei suoi effetti sia immediati che differiti nel tempo. Si tratta di un tema di interesse generale che pu riguardare diverse pubbliche amministrazioni (oltre alla Difesa ed ai Vigili del Fuoco, anche le Forze di Polizia e gli Agenti di Custodia) e che come tale va trattato con il dovuto approfondimento. Per analizzarne i contenuti e la portata, sembra indispensabile partire dal dato normativo. Con riferimento allAmministrazione della Difesa, lart. 398 del DPR PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 219 90/2010 (Testo Unico delle disposizioni regolamentari in materia di ordinamento militare), al fine di assicurare la mobilit del personale militare e civile e di provvedere alle connesse esigenze alloggiative in funzione del nuovo modello organizzativo delle Forze Armate, prevede un programma infrastrutturale in cui la costruzione di alloggi di servizio, oltre che secondo lo schema realizzativo proprio dei lavori pubblici (anche in finanza di progetto), e quindi in alternativa ad esso, pu essere attuata attraverso altre forme negoziali previste dal diritto privato. Il successivo art. 401 include espressamente tra le forme del diritto privato la stipula di atti negoziali con soggetti privati che si impegnano a realizzare, a proprie spese e senza oneri per lAmministrazione, su aree ad essi appartenenti e contestualmente cedute in propriet allAmministrazione, alloggi da alienare, unitamente al diritto di superficie al personale dipendente dal Ministero della Difesa e da questi individuato, con vincolo di destinazione ad alloggio di servizio per la durata massima di novanta anni, al termine dei quali gli alloggi confluiscono nella piena propriet e disponibilit dellAmministrazione. Si tratta di tutta evidenza di uno sforzo che il legislatore ha compiuto, facendo ricorso a risorse e iniziative private e a schemi inusuali rispetto a quelli tradizionalmente conosciuti, per superare lattuale congiuntura in cui massima lesigenza abitativa del proprio personale (peraltro, in linea con la generale crisi di disponibilit di alloggi a prezzo o canone sostenibili) e nel contempo minima, per non dire inesistente, lesistenza di risorse pubbliche. Si potrebbe definire insomma come una forma negoziale alternativa di realizzazione di alloggi di servizio. Viene cos ad essere (emergenzialmente?) ampliata la tradizionale concezione dellalloggio di servizio come definita dalla giurisprudenza, connotata essenzialmente dallessere il bene di propriet pubblica, destinato funzionalmente e temporaneamente ad esigenze di servizio e come tale oggetto normalmente di concessione o locazione (Cons. Stato, VI, 16 settembre 2004 n. 5999; Cons. Stato, VI, 14 ottobre 2004 n. 6669; TAR Puglia, Bari, 27 giugno 2011 n. 990). Di tal che, deve ritenersi che alloggi costruiti ai sensi delle norme ora ricordate, anche se realizzati da privati e con risorse private, su aree inizialmente private ma contestualmente cedute in propriet allAmministrazione, e vendute in diritto di superficie a personale dipendente di quella Amministrazione sulla base di titolo convenzionale con lAmministrazione stessa per soddisfare esigenze abitative del suo personale, possono a buon titolo essere considerati - in quanto espressamente definiti alloggi di servizio - opere rispondenti a fini di interesse pubblico. Occorre tuttavia valutare se tale normativa specificamente dettata per le Forze Armate - che per non si applicherebbe ex se allArma dei Carabinieri in forza del limite contenuto nel comma 3 dellart. 398 del DPR 90/2010 - possa costituire paradigma generale utilizzabile anche a favore di altri enti. 220 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2016 Come sՏ detto in precedenza, lo schema delineato dalle norme sullordinamento militare realizza una fattispecie negoziale atipica, da valutare alla stregua delle regole di autonomia di cui allart. 1322 del codice civile, e da ritenere coerente con esse purch diretto a realizzare interessi meritevoli di tutela secondo lordinamento giuridico. Le considerazioni che precedono inducono a ritenere linteresse perseguito indubbiamente lecito, e quindi meritevole di riconoscimento e di tutela. Quanto allAmministrazione, la costruzione degli alloggi senza oneri e spese risponde al canone organizzativo del buon andamento consacrato nellart. 97 della Costituzione, tenuto conto che lattuale congiuntura economica non consente con certezza la loro realizzazione con lutilizzo di risorse pubbliche. E daltra parte, il soddisfacimento delle esigenze abitative del personale dipendente rientrante in fasce di reddito medio basse, per migliorarne le condizioni di vita ma soprattutto di lavoro in funzione dellespletamento del servizio nelle grandi citt, dove notoriamente lofferta di abitazioni a basso costo estremamente scarsa, costituisce una finalit di interesse pubblico storicamente gi perseguita dallo Stato. Trattasi nella fattispecie di un interesse specificamente intestato allAmministrazione stessa nella cura del benessere (non gi generale e sociale, ma) del proprio personale in servizio presso una determinata localit, consentendogli laccesso (altrimenti non conseguibile anche per la conclamata insufficienza degli alloggi di servizio in concreto disponibili o comunque non realizzabili per la carenza di risorse) ad una casa dignitosa, anche se non qualificabile come alloggio di servizio in senso proprio. Quanto al soggetto proponente, lintrapresa costituisce legittima esplicazione della libert di iniziativa economica tutelata dallart. 41, comma 1, della Costituzione, che nella fattispecie si realizza attraverso unoperazione immobiliare in sinergia con lAmministrazione ed in collaborazione con essa per il raggiungimento di un interesse pubblico. Quanto infine ai dipendenti assegnatari, individuati attraverso una selezione guidata dallAmministrazione secondo propri criteri, il beneficio derivante dalloperazione coincide con la possibilit di accesso ad una abitazione dignitosa acquistabile con il proprio risparmio (secondo il dettato dellart. 47 della Costituzione). In questa prospettiva, la costruzione degli alloggi in questione con le modalit esaminate realizza finalit riconducibili al c.d. housing sociale, istituto che - nellevoluzione della disciplina urbanistica - si concreta nellofferta di nuovi alloggi (in affitto ma anche in vendita) destinati a soggetti che per ragioni di reddito sono esclusi dallaccesso alledilizia residenziale pubblica ma non sono tuttavia in grado di sostenere i costi del libero mercato. E come noto, nellattuale concezione giuridica, politica e sociale ritenuto di interesse pubblico laccesso ad una casa dignitosa per coloro che non riescono a sostenere i prezzi di mercato, in una situazione in cui la sostanziale assenza di sov- PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 221 venzioni pubbliche impedisce allo Stato di intervenire direttamente per assicurare quellinteresse. La normativa vigente espressamente riconduce lalloggio sociale ai servizi di interesse economico generale (art. 1 DM 22 aprile 2008) e di conseguenza assumono valore tutte le disposizioni urbanistiche che assimilano lhousing sociale agli standard pubblici. La giurisprudenza ha espressamente affermato la connotazione di interesse pubblico negli interventi di housing sociale (Cons. Stato, AP 30 gennaio 2014 n. 7), riconoscendo che essi possono essere ben realizzati con forme di partenariato publico-privato e/o con programmi a struttura trilaterale realizzati da operatore economico, utenti e pubblica amministrazione. Di tal che non sembra improprio definire gli alloggi in questione, attesa la loro inscindibile connessione funzionale con il pubblico impiego, come alloggi sociali di servizio; beni che - se realizzati con le modalit ora in esame - sono inizialmente privati di interesse pubblico, ma sono destinati a divenire nel tempo pubblici a tutti gli effetti, anche sotto laspetto dominicale. E ci sia che essi siano realizzati a vantaggio del personale delle Forze Armate in virt della norma che espressamente lo consente, sia in via generale se realizzati da altre amministrazioni utilizzando lesaminato schema procedimentale e convenzionale. La natura esclusivamente privata delliniziativa immobiliare, la considerazione dellassenza in capo allAmministrazione di oneri finanziari (non viene infatti impegnato in nessun caso denaro pubblico, n a titolo di corrispettivo n ad altri fini, la chiara estraneit dello schema in questione rispetto alle figure dellappalto e della concessione anche in finanza di progetto - rispetto alle quali, anzi, esso si pone in aperta alternativa - sembrano escludere la necessit del previo esperimento di procedure di natura concorsuale. Tuttavia, evidenti ragioni di imparzialit e trasparenza dellazione amministrativa, suggeriscono lopportunit - tutte le volte che larea prescelta non presenti motivati caratteri di infungibilit quanto a localizzazione - di osservare cautele procedimentali volte a garantire la preventiva pubblicit ed una possibilit di comparazione, i cui criteri devono essere oggettivamente determinati, fra pi proposte onde consentire la scelta della soluzione complessivamente migliore. Ci premesso, il tema che torna allattenzione della Scrivente attiene allutile esperibilit, nel caso di realizzazione dellintervento da parte di un soggetto privato con le caratteristiche sopra descritte, dello strumento previsto dallart. 3 del DPR 383/1994 qualora non vi sia conformit tra lintervento stesso e le vigenti previsioni urbanistiche. Un intervento di analoghe caratteristiche stato attivato anche dai Vigili del Fuoco - su conforme parere di questa Avvocatura reso con nota 25 luglio 2009 n. 229385 - ed ha avuto esito positivo in sede di conferenza dei servizi, 222 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2016 dove il Comune di Roma ha espresso parere favorevole in virt di deliberazione dellAssemblea Capitolina n. 10/2010. Il DPR n. 383/1994, bene ricordarlo, disciplina le opere da eseguirsi da amministrazioni statali o comunque esistenti su aree del demanio statale e delle opere pubbliche di interesse statale, da realizzarsi dagli enti istituzionalmente competenti. Lart. 3 del decreto prevede (cos come prevedeva con contenuto e formulazione sostanzialmente analoghi lart. 81 del DPR 616/1977) che, nel caso in cui lopera non sia conforme agli strumenti urbanistici ed edilizi vigenti nel territorio ove essa deve essere realizzata, lapprovazione del relativo progetto demandata ad una conferenza dei servizi cui partecipano la regione ed il comune interessati, e lapprovazione cos intervenuta sostituisce ad ogni effetto di legge - e quindi anche in variante o in deroga allo strumento urbanistico stesso (Cons. Stato, VI, 12 gennaio 2011 n. 114) - ogni intesa, parere, autorizzazione, approvazione e nulla osta previsti dalle leggi statali e regionali. Nel corso degli anni sono intervenute diverse pronunce giurisprudenziali che hanno interpretato lart. 3 del DPR n. 383/1994, ma nessuna con affermazioni specificamente dedicate al suo presupposto oggettivo. Fa eccezione il precedente di cui a Cons. Stato, V, 19 marzo 1991 n. 298 che intervenuto tuttavia in fattispecie notevolmente diversa, in cui linteresse statale dellopera realizzata dal privato per fini immediatamente propri non era stato neppure implicitamente affermato dalla Pubblica Amministrazione. Acquista dunque decisivo rilievo quanto ritenuto dal Consiglio di Stato in sede consultiva laddove, su specifico quesito formulato dal Ministero dei lavori pubblici in merito allanaloga disposizione di cui allart. 81 del DPR 616/1977, si affermato che la corretta interpretazione della norma deve privilegiare la sua ratio, dando preferenza allaspetto funzionale piuttosto che a quello soggettivo. Pertanto, quando lopera sia destinata a soddisfare in modo duraturo ed esclusivo le esigenze dellamministrazione statale pu apparire secondario il fatto che essa venga eseguita sopra un immobile attualmente non di propriet dello Stato e ad iniziativa di altro soggetto (Cons. Stato, II, 20 novembre 1991 n. 240). Ne deriva - sempre secondo lOrgano consultivo - lapplicabilit della norma anche nei casi in cui il fabbricato sia costruito o sia in corso di costruzione da privato su terreno privato e sia poi ceduto in propriet o semplicemente promesso in vendita allamministrazione, purch sia garantito comunque, nelle more dellacquisto della propriet pubblica, la destinazione permanente del fabbricato alla realizzazione dei fini istituzionali dellAmministrazione. Occorre dunque valutare se lintervento proposto, del quale si sono tratteggiate le caratteristiche di interesse pubblico, soddisfi i requisiti affermati, quali: lacquisizione finale del bene alla propriet pubblica, e nelle more la sua destinazione permanente ai fini istituzionali dellAmministrazione. PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 223 Sotto il primo profilo, la cessione immediata alla propriet pubblica dellarea su cui insister il fabbricato e la durata definita del diritto di superficie (che appare pertanto necessaria, dovendosi evitare diritti di estensione temporale illimitata) sembrano in grado di garantire lacquisto finale in capo al soggetto pubblico per consolidazione ex art. 954 del codice civile. Sotto il secondo profilo, a prescindere dal dato formale (qui non trascurabile) che la stessa Pubblica Amministrazione ad attestare il proprio interesse datoriale e a qualificarlo come conforme ai suoi fini istituzionali, le considerazioni che precedono paiono perfettamente in grado di attestare la funzionalit immediata dellintervento ai fini dellAmministrazione, ovviamente se - come si dir appresso - siano garantite precise condizioni di vincolo. Onde, sembra corretto ritenere che linteresse statale qualificante lintervento, sia perfettamente in linea con i presupposti di applicabilit dellart. 3 del DPR 383/1994 enunciati dal Consiglio di Stato. E ci a prescindere dallessere (o dal dover essere) gli alloggi collegati con rapporto di accessoriet - nella pratica non sempre evidente nella sua effettivit - ad opere tipicamente pubbliche, quali caserme, asili, mense; opere che, se realizzate unitamente alle residenze, possono semmai accentuare la presenza dellinteresse statale, ma non costituirne loggetto principale. appena il caso di precisare, per fugare ogni ombra di dubbio, che anche queste ultime opere, in quanto realizzate e trasferite a titolo gratuito, sono estranee alla disciplina dellappalto di lavori pubblici e non soggiacciono alle relative regole dellevidenza pubblica. *** *** *** Lorientamento positivo qui espresso non pu prescindere dalla rassicurante considerazione che lapplicazione dellart. 3 del DPR 383/1994, ancorch estensivamente inteso come nellindicazione del Consiglio di Stato, mentre risponde a soddisfare linteresse dellAmministrazione statale non comprime o pregiudica in modo irreparabile il vero interesse urbanistico alla corretta gestione del proprio territorio che appartiene agli enti locali e territoriali e che continua ad essere dai medesimi liberamente apprezzabile e tutelabile. In ogni caso infatti, la loro partecipazione al procedimento mediante lintervento alla conferenza dei servizi consente la valutazione finale, anche politica, della compatibilit dellinteresse statale perseguito con il singolo intervento con le esigenze del territorio, in coerenza con la naturale plasmabilit dello strumento urbanistico ai mutevoli bisogni della collettivit locale. *** *** *** Conseguenza non eludibile di quanto sin qui detto, per tutti gli interventi e per tutte le Amministrazioni che li propongono, lesigenza, che emerge anche da ulteriori contributi consultivi nel frattempo emersi (v. Cons. Stato, Commiss. Speciale 11 maggio 2009 n. 1096, tuttavia nella diversa ipotesi di alloggi situati allinterno di infrastrutture militari) che il tenore delle clausole conven- 224 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2016 zionali tra il privato e lAmministrazione, nonch tra lo stesso privato e i dipendenti acquirenti del diritto di superficie sulle abitazioni, sia tale da garantire - pur nella discrezionalit e nellautonomia negoziale spettante al contraente pubblico - modalit che assicurino effettivamente il mantenimento della destinazione del bene al servizio, ed il rispetto dellinteresse statale cos come definito dalle norme. In questa prospettiva vanno rivalutati, nei limiti sopra precisati, i profili di criticit espressi con i pareri precedentemente resi dalla Scrivente a codesta Amministrazione con le note del 9 maggio 2012 n. 182855, e del 5 marzo 2013 n. 99968. Particolare rilievo, se non addirittura decisiva rilevanza, per la sussistenza effettiva dellinteresse statale che legittima lapplicabilit delle norme di cui sopra, e soprattutto dellart. 3 del DPR 383/1994, assume laspetto convenzionale. E cos, unitamente alla definizione del prezzo di acquisto dellalloggio (che ovviamente deve essere concordato in modo da collocarsi in una fascia inferiore ai valori di mercato tale da essere sostenibile dai livelli reddituali del personale dipendente), dovr porsi attenzione alla presenza di un contenuto minimo di clausole che: a) fissino una durata del diritto di superficie coerente con lindicazione normativa laddove essa vi sia, con esclusione quindi di diritti illimitati nel tempo, non idonei a garantire la confluenza finale del bene nella pubblica propriet; b) demandino allAmministrazione la determinazione in capo al personale dei requisiti soggettivi per lacquisto; c) disciplinino i divieti o comunque i vincoli di modo e di tempo per le successive alienazioni che garantiscano la permanenza della destinazione dellalloggio alle esigenze di servizio; d) prevedano la trascrizione ex art. 2645 ter del codice civile del vincolo di destinazione dellalloggio alle esigenze di servizio, al fine della sua opponibilit a terzi indipendentemente dalla durata del diritto di superficie; e) prevedano il ripristino delloriginaria destinazione urbanistica qualora liniziativa - per qualunque ragione - non dovesse arrivare a compimento. Sul punto, si riservano migliori approfondimenti ed eventualmente ulteriori indicazioni in presenza degli schemi degli atti negoziali. *** *** *** Sulle questioni trattate, attesa la loro rilevanza di massima, stato sentito il Comitato Consultivo dellAvvocatura dello Stato che nelle sedute dell11 gennaio 2016 e del 10 febbraio 2016 si espresso in conformit. PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 225 Effetti del giudicato penale sui dipendenti delle p.a.: distinguo tra reato consumato o tentato PARERE RESO IN VIA ORDINARIA DEL 28/12/2015-582635, AL 43914/15, AVV. DIANA RANUCCI 1) Con la nota in riscontro codesta Direzione chiede di conoscere il parere della Scrivente in merito ai criteri applicativi dellistituto della sospensione del pubblico dipendente a seguito di condanna non definitiva previsto dallart. 4, comma 1, L. n. 97/2001 - recante Norme sul rapporto tra procedimento penale e procedimento disciplinare ed effetti del giudicato penale nei confronti dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche - che dispone la sospensione (obbligatoria) dal servizio nel caso in cui un dipendente pubblico riporti una condanna, anche non definitiva, per taluno dei reati elencati tassativamente allarticolo 3, comma 1, della stessa legge (come modificata da ultimo dalla L. n. 190/2012), ancorch sia stata concessa la sospensione condizionale della pena. In dettaglio, codesta Direzione chiede di sapere se la disposizione sia applicabile anche quando la condanna sia comminata in relazione al delitto tentato: nella specie infatti il dipendente stato condannato per il reato di tentata concussione. A parere della Scrivente la disposizione di cui allart. 3 deve ritenersi applicabile ai reati ivi previsti, sia nella forma consumata che tentata. Vero che secondo la giurisprudenza il tentativo costituisce una figura autonoma rispetto alla fattispecie consumata (cfr. Cass. pen., Sez. II, n. 22628/2001 e, pi in generale, sullautonomia del tentativo, Cass. pen., Sez. II, n. 7741/1998). Devesi tuttavia rilevare che la concezione autonomistica si sviluppata in ambito penalistico e trova la sua ratio nella esigenza di giustificare la punibilit di un fatto che, sia negli elementi oggettivi che soggettivi, in nulla identico al delitto consumato. In altri termini se il delitto tentato non fosse costruito come figura autonoma di reato esso non sarebbe mai punibile, in quanto gli elementi costitutivi del reato tentato sono del tutto differenti da quelli del reato consumato. chiaro dunque come non sia possibile utilizzare sul piano amministrativo la concezione penale del tentativo, trattandosi di ambiti completamente diversi sia per ratio che per funzione. A parere della Scrivente infatti, sotto il profilo che qui interessa dellillecito disciplinare, il delitto tentato ed il delitto consumato non possono che ricevere lo stesso trattamento. Tanto perch la ratio delle disposizioni recate dagli artt. 3 e 4, L. 97/2001 evidentemente la tutela del buon andamento della P.A. e la necessit di sanzionare disciplinarmente fatti di rilievo penale idonei ad esporre la pubblica amministrazione al cd. strepitus fori, interessi che possono essere lesi in ugual modo sia dal reato consumato che tentato. 226 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2016 In questo senso si di recente espresso il Consiglio di Stato, secondo cui non si pu distinguere, con riguardo ad ipotesi di reato particolarmente gravi, come la concussione, la fattispecie del delitto tentato da quella del delitto consumato, ai fini dellapplicazione del provvedimento di sospensione dal servizio ex art. 4, comma 1, legge n. 97/2001, (Cons. St., ord. n. 1522/2014). Conformi T.A.R. Lombardia (TAR Brescia, ordinanza 23 luglio 2004, n. 1306) e TAR Puglia (n. 1139/1994) che esattamente valorizzano la pericolosit sociale del comportamento attuato, insita anche nel reato tentato, e linterruzione del rapporto fiduciario intercorrente tra amministrazione e dipendente pubblico a seguito del tentato reato. La Scrivente condivide tale orientamento giurisprudenziale, perfettamente in linea con la ratio legis, per cui esprime il parere che deve ritenersi applicabile listituto della sospensione cautelare di cui allarticolo 4, comma 1, L. n. 97/2001 anche al reato tentato. 2) Codesta Direzione rappresenta ancora che, in relazione alla medesima vicenda soggettiva in esame, il dipendente stato a suo tempo gi sottoposto ad un procedimento disciplinare conclusosi con la sanzione della censura. Chiede quindi di conoscere lavviso di questa Avvocatura circa il potere/dovere di attivare un secondo procedimento disciplinare. Sul punto si osserva che il fatto che vi sia gi stato un procedimento disciplinare , ai fini dellart. 4 in esame, completamente ininfluente, atteso che, come chiarito dalla giurisprudenza: La sospensione obbligatoria dal servizio disposta in conseguenza di una condanna penale non si identifica con una sanzione di natura disciplinare, assolvendo invece ad una funzione cautelare o preventiva, in quanto sia l'interesse al buon andamento della pubblica amministrazione che il rapporto di fiducia dei cittadini verso quest'ultima sarebbero compromessi dalla permanenza in servizio di un dipendente condannato, sia pure in via non definitiva, per taluno dei delitti richiamati dall'art. 4 Legge n. 97/2001 (T.A.R. Campania Napoli, Sez. VI, 22 settembre 2015, n. 4578). Ci esclude quindi che possa ipotizzarsi una duplicazione di procedimenti disciplinari per uno stesso fatto. Ed infatti, in caso di condanna anche non definitiva di un pubblico dipendente per alcuno dei delitti previsti dall'art. 3, comma 1 (peculato, concussione, corruzione per un atto d'ufficio, etc.), ancorch sia concessa la sospensione condizionale della pena, il dipendente deve essere comunque sospeso dal servizio, atteso che da un lato la norma in esame non prevede alcuna discrezionalit per l'Amministrazione di applicare o meno la sanzione della sospensione cautelare, e dallaltro che, essendo tipizzate le ipotesi di reato in presenza delle quali si applica la sospensione, la locuzione "sono sospesi" dal servizio non pu che essere interpretata come una ipotesi di "sospensione obbligatoria". PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 227 Ne consegue che, in presenza di una condanna penale non definitiva emessa in ragione di uno o pi reati enumerati dall'art. 3 della legge richiamata, la pubblica amministrazione non ha n la facolt di valutare la gravit o meno del fatto-reato, perch la valutazione stata operata a priori dal legislatore, n ha la facolt, in presenza di tale fatto, di valutare se sospendere o meno dovendo esclusivamente sospendere. Tale soluzione si impone qualora si considerino le ricordate finalit pubblicistiche cui risponde listituto della sospensione obbligatoria che, come detto, posto nell'interesse pubblico, a tutela del principio di buon andamento della Pubblica Amministrazione sancito allarticolo 97 della Costituzione, e tende ad evitare il pregiudizio alla regolarit del servizio ed al prestigio dell'Amministrazione che deriverebbe dalla permanenza in servizio di soggetti condannati, anche in via non definitiva, per reati contro la P.A.; evidente infatti che tali interessi sarebbero frustrati dalla permanenza in servizio di un dipendente condannato, sia pure in via non definitiva, per taluno dei particolari delitti elencati allarticolo 3 della L. n. 97 del 2001, cui evidentemente il legislatore riconnette a priori un giudizio di peculiare disvalore. Ricorrendo le condizioni di legge, alla P.A. quindi inibita alcuna valutazione discrezionale, poich tale valutazione effettuata direttamente dal legislatore, rendendosi necessaria la sospensione ope legis dal servizio, in riferimento a quei delitti per i quali la semplice sussistenza di unaccusa in capo ai pubblici impiegati fa sorgere nellopinione pubblica il sospetto di inquinamento dellintero apparato (cos Corte Cost. sentenza 3 maggio 2002, n. 145, in riferimento allarticolo 4, comma 1, della L. n. 97/2001, nella parte in cui esclude una valutazione discrezionale dellamministrazione; nello stesso senso Cons. Stato, sez. V, 15 novembre 2012, n. 5774). In conclusione, anche qualora lamministrazione abbia gi valutato la responsabilit del dipendente sotto il profilo disciplinare, la sola condanna per uno dei reati elencati allarticolo 3, L. n. 97/2001, ancorch non definitiva, rende necessaria la sospensione cautelare obbligatoria dal servizio a tutela degli interessi sopra indicati. LEGISLAZIONE ED ATTUALIT Tributi locali comunali e modelli di local tax a confronto Guglielmo Bernabei* La legge di Stabilit 2016 non apporta le novit sperate in tema di imposizione immobiliare locale. La definizione di una autentica forma di service tax sembra abbandonata e il tutto si conclude con labolizione del prelievo sullabitazione principale e con labolizione dellImu agricola. Ne consegue che la necessit di risorse stabili da parte degli enti locali richiede un ripensamento generale delle modalit di finanziamento. In questo lavoro si argomenta sul concetto di Local Tax e si presentano alcune ipotesi di possibile articolazione. SOMMARIO: 1. Premessa - 2. Tassazione locale e teoria del beneficio - 3. Iuc e Local Tax - 4. Modelli di detrazione per Local Tax - 5. Local Tax e spazi di manovra dei Comuni - 5.1 Imposte sul patrimonio immobiliare e possibili nuove entrate per i Comuni - 5.2 Local Tax minimale - 5.3 Local Tax: verso laggregazione Imu e Tasi - 6. Obiettivo Local Tax. 1. Premessa. La legge di Stabilit 2016 non apporta le novit sperate in tema di imposizione immobiliare locale. La definizione di una autentica forma di service tax sembra abbandonata e il tutto si conclude con labolizione del prelievo sullabitazione principale e con labolizione dellImu agricola. Questo dato conferma che, negli ultimi anni, gli stringenti vincoli di bilancio hanno imposto un costante aumento della pressione fiscale mediante manovre sulle imposte comunali. Gli enti locali sono stati sempre pi chiamati a fornire un contributo determinante alla politiche di aggiustamento fiscale imposte dal rispetto di rigidi parametri europei. Pertanto, la riflessione proposta partita dai principi di semplificazione locale, ovvero la riduzione del numero delle imposte sulla stessa base impo- (*) Dottore di ricerca in diritto costituzionale - guglielmo.bernabei@unife.it 230 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2016 nibile, dallequit fiscale orizzontale, ovvero un trattamento fiscale omogeneo a parit di base imponibile, dallarmonizzazione fiscale verticale, ovvero la riduzione la stratificazione di strategie fiscali diverse sulla stessa base imponibile, dalla competizione fiscale orizzontale, ovvero il contenimento della mobilit della base imponibile (1). Attraverso lanalisi di questi principi (2) ora si possono meglio delineare le possibili soluzioni argomentando sulla istituzione di un modello di Local Tax come principale tributo locale, tendenzialmente unico, conferendo centralit allimposta sul patrimonio immobiliare. Non pu sfuggire che, procedendo in questo modo, va posta particolare attenzione sui possibili strumenti di equit nella articolazione dellimposta, confrontando poi le implicazioni in termini di gettito per ente e di pressione fiscale locale. Si pu affermare, infatti, che una imposta locale deve rispettare i caratteri specifici legati alla tipologia di spesa pubblica che va a finanziare, una spesa destinata a coprire i costi di produzione e fornitura di servizi pubblici locali (3). Il Comune lente pubblico sulla frontiera dellattivit economico-sociale e svolge un ruolo insostituibile per la crescita del territorio in cui opera. Quindi, il costo sociale della tassazione locale deve sempre essere rapportato ai benefici che la collettivit locale pu conseguire con la spesa pubblica municipale. Limposizione locale , poi, chiamata a riflettere i caratteri delleconomia del territorio sul quale opera; la struttura del fisco locale finisce per assumere caratteri diversi a seconda che si sia in presenza di un sistema economico locale agricolo e/o montano, industriale, terziario, amministrativistico o turistico (4). Questo inevitabilmente comporta un ventaglio di strumenti di imposizione locale, entrate tributarie e extratributarie, adeguatamente ampio da ricomprendere tutte le esigenze municipali (5). (1) C. AGNOLETTI, C. BOCCI, C. FERRETTI e P. LATTARULLO Quanto ci costa la Tasi, in www.lavoce.info, 19.12.2013. (2) C. COSCIANI, L'imposta ordinaria sul patrimonio nella teoria finanziaria, 1940, pp. 154-155. (3) E. CORALI, Federalismo fiscale e Costituzione, Milano, Giuffr, 2010, 127. (4) L. DE STEFANI, Mini-Imu, gli ultimi chiarimenti dellEconomia, in Il Sole 24 Ore, 14.01.2014. (5) C. DOSI - G. MURARO, Finanza municipale e fiscalit immobiliare: ipotesi di riforma, in Rivista italiana di diritto finanziario e scienza della finanze, 1996, 01, 3, dove si rileva che ҏ noto che la spesa locale pro-capite tipicamente correlata positivamente al reddito medio individuale, mentre, per quanto riguarda la dimensione demografica, la spesa, in generale, esibisce un andamento parabolico: in una prima fase si osserva infatti una diminuzione fino ad un certo livello di popolazione spiegata dalle economie di scala; ad essa segue una aumento continuo, dovuto non tanto al generarsi di diseconomie di scala nella fornitura dei singoli servizi, che generalmente continuano ad esibire costi medi decrescenti, quanto al crescere, nelle comunit pi ampie, della gamma dei bisogni da soddisfare mediante lofferta di servizi collettivi. Lespansione della spesa nelle comunit pi ampie peraltro da ricollegarsi anche alle cosiddette funzioni urbane centrali: i centri maggiori forniscono infatti numerosi beni e servizi collettivi di cui beneficiano anche le aree circostanti, sollevando cos i Comuni pi piccoli dalla necessit di effettuare spese in questi settori. LEGISLAZIONE ED ATTUALIT 231 2. Tassazione locale e teoria del beneficio. Al fine di realizzare una logica di collegamento tra tipologie di entrate e spesa pubblica locale, limposizione locale dovrebbe prevalentemente basarsi sul criterio del beneficio o della controprestazione (6). In tal senso, gi lart. 2, comma 2, della legge delega 42/2009 indicava, alla lettera p, tra i principi fondamentali della tassazione locale la tendenziale correlazione tra prelievo fiscale e beneficio connesso alle funzioni esercitate sul territorio in modo da favorire la corrispondenza tra responsabilit finanziaria e amministrativa. Ne consegue che questo principio lega il tributo ai vantaggi direttamente attribuiti agli individui dalla spesa pubblica locale che finanzia i servizi pubblici locali in unottica di efficienza nella allocazione delle risorse (7). Pertanto, rientrano in questa categoria i tributi commutativi, ossia le forme di tassazione selettiva come le tasse dei servizi a domanda individuale, le tariffe e le rette, e gli oneri di urbanizzazione. Si tratta di risorse destinate al finanziamento di servizi divisibili. Allo stesso modo, il principio della controprestazione pu valere anche per il finanziamento dei servizi indivisibili. Sotto questo aspetto, tuttavia, il rilievo critico emerge dalla non compatibilit del principio con il sistema degli incentivi individuali. Una idea alternativa pu essere quella di individuare una imposta la cui base imponibile sia capace di approssimare individualmente il beneficio dei servizi pubblici (8). Anche limposizione immobiliare, pur non essendo un tributo commutativo, dovrebbe essere correlata al valore dei servizi erogati dal Comune, dato che la base imponibile, compreso il valore immobiliare, dipende sicuramente dalle infrastrutture pubbliche in cui collocato limmobile soggetto a imposta e alla gestione dei relativi servizi, come, ad esempio, la viabilit, le fognature, i servizi sociali. Ne deriva che il valore dellimmobile capitalizza il valore dei servizi pubblici indivisibili forniti dal territorio (9). Va, inoltre, ricordato che uno strumento di tassazione collegato al beneficio della spesa limposizione di scopo per finanziare investimenti pubblici che adeguano il capitale sociale di una municipalit. Per tassazione di scopo si intende, dunque, il ricorso a forme di imposizione per lo specifico finanziamento di opere pubbliche. In ambito comunale si pensi al sistema viario locale, ai restauri, ai parchi, ai progetti di salvaguardia ambientale, alle infrastrutture per le dotazioni di servizi di pubblica utilit, come reti, acquedotti, impianti (6) P. LIBERATI - M. PARADISO, Teoria positiva del beneficio e finanza locale responsabile. La lezione di Sergio Steve, in Riv. Dir. Fin. Sc. Fin., 2013, n. 3, I, p. 257. (7) S. PELLEGRINO, A. ZANARDI, Legge di stabilit: il conto delle imposte sugli immobili, in www.lavoce.info.it. (8) D. COLOMBO, M. MOBILI, Manovra anti-tasse da 27 miliardi via la tasi, sgravi sugli investimenti, in il Sole 24 Ore. (9) G. MURARO, Il riordino dellimposizione sugli immobili, in La finanza pubblica, Rapporto 2009, Bologna 2009, p. 325. 232 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2016 di smaltimento, tranvie, e infrastrutture sociali, come residenze assistenziali per anziani e portatori di handicap, o persone non auto-sufficienti. Queste forme di imposizione esulano dal ricorso ordinario alla imposizione fiscale, intesa come tributi propri ed entrate patrimoniali, costituendo, invece, forme di tassazione con caratteristiche di straordinariet (10). Un modello di imposta locale ispirata al principio del beneficio dovrebbe, inoltre, contenere i caratteri di concorrenza fiscale orizzontale, che si traduce in riduzione di tassazione su basi imponibili molto mobili rispetto ad enti limitrofi, per attirare insediamenti ed attivit economiche. In questo aspetto risiede lidea che una imposta locale di siffatta natura dovrebbe presentare il requisito della esportazione fiscale, mediante la quale si pone su agenti economici di passaggio, ossia non direttamente beneficiari dei servizi pubblici locali, il peso della tassazione locale. Va, tuttavia, rilevato che lesportazione fiscale viola il principio di responsabilit politica nei confronti dei cittadini-elettori-contribuenti, separando i beneficiari della spesa da coloro che pagano le imposte. Leventuale divieto di esportazione fiscale non dovrebbe impedire di gravare sui non-residenti, quando questi impongono costi di cogestione e ambientali ai residenti. il caso, ad esempio, della tassazione che grava sui turisti delle citt darte, i quali non sono diretti beneficiari della spesa pubblica locale, ma, in qualit di utilizzatori finali dei servizi locali della citt in cui sono ospiti, innalzano la componente della spesa locale stessa che va a coprire i costi di manutenzione (11). Una buona imposta locale dovrebbe, poi, avere una base imponibile distribuita in modo non troppo difforme sul territorio nazionale, per non dover essere corretta da meccanismi di perequazione, basati sui differenziali di capacit fiscale, troppo ampi. Sul punto, il reddito pro capite, ossia il reddito da lavoro e profitti, tendenzialmente pi sperequato del consumo procapite, mentre il valore procapite delle propriet immobiliari abbastanza uniforme sul territorio (12). Ne consegue che questo requisito va a vantaggio delle imposte sui patrimoni immobiliari se il meccanismo di accertamento avvicina i valori imponibili a quelli effettivi di mercato. Inoltre, al fine di raggiungere obiettivi di (10) M. BASILAVECCHIA, La difficile evoluzione della fiscalit locale, in Corriere Tributario n. 36/2013 pag. 2819; L. LOVECCHIO, Le modifiche allimpianto dellImu in attesa delle innovazioni di sistema alla tassazione locale immobiliare, in Corriere Tributario n. 36/2013 p. 2821. (11) L. SALVINI, Federalismo fiscale e tassazione sugli immobili, in Rassegna Tributaria, n. 6, 2010, 1607. (12) J. SAWICKI, Imu, patrimoniale, Costituzione e autonomie territoriali: qualche osservazione comparativa, in Osservatorio costituzonale, 2013; inoltre cfr. G.F. FERRARI, Il federalismo fiscale nella prospettiva comparatistica, in Studi in onore di Luigi Arcidiacono, III, Torino, 2010, p. 1332 il quale sottolinea che il prelievo sulla propriet immobiliare tradizionalmente tipico del governo locale o al pi di quello regionale intermedio. LEGISLAZIONE ED ATTUALIT 233 efficienza, limposta locale non dovrebbe eccedere in articolazioni di aliquote e di detrazioni per scopi di redistribuzione verticale. Infatti, le politiche redistributive, con finalit di equit verticale, come la progressivit delle imposte sul reddito, i sussidi e gli istituti di contrasto alla povert, vanno ricompresi negli ambiti di intervento del governo centrale (13). Infine, va salvaguardato il principio della separazione delle basi imponibili per livelli di governo e la conseguente autonomia tributaria. Questo principio va posto alla base del concetto di tributo proprio comunale, ossia di un tributo la cui base imponibile esclusiva del livello di governo locale (14). Non necessariamente tutti i tributi comunali devono essere propri, ma certamente un criterio di razionalit consiglia che una quota importante di entrate comunali abbia questo requisito. Lesistenza di tributi propri si giustifica sia sulla base della prevalenza del principio del beneficio sia sulla base del principio della trasparenza. Si ricorda che non sono entrate proprie le addizionali su basi imponibili condivise da pi livelli di governo, come il reddito. La condivisione di basi imponibili su diversi livelli di governo genera una competizione di tipo verticale, per esempio tra lo Stato e gli enti locali, per ottenere il gettito su basi imponibili comuni. In linea con una ragionevole applicazione del principio della separazione, sarebbe opportuno concentrare la tassazione sul reddito nei primi due livelli, Stato e Regioni, e limposizione immobiliare nel terzo, ossia i Comuni. Infatti, limposizione del patrimonio immobiliare con un tributo municipale proprio permette di sviluppare una gamma ampia di aliquote autonome dello stesso. 3. Iuc e Local Tax. I requisiti dellimposta locale muovono nella direzione di caratterizzare il fisco municipale con limposizione immobiliare. A livello teorico, tale imposta dovrebbe costituire una quota rilevante delle entrate tributarie municipali. Tra i Paesi dellUnione europea molti hanno un tributo municipale sugli immobili. Tuttavia, il modello al quale ispirarsi dovrebbe essere la Council Tax britannica, unimposta che utilizza la base imponibile immobiliare in relazione alla capitalizzazione dei servizi pubblici dellente locale comunale (15). (13) L. LOVECCHIO, Verso lunitariet della disciplina IMU, ma la semplificazione ancora lontana, in Corriere Tributario, n. 5/2014, pp. 383 e ss., Ipsoa Editore. (14) F. CERISANO, B. MIGLIORINI, Legge di stabilit, dal Trise alla Iuc, in Italia Oggi, 26.11.2013. (15) E. MARCHETTI, R. LUPI, Labitazione principale nellImu: cosa cambia davvero rispetto allIci?, in Dialoghi Tributari, n. 4/2012, pp. 405 e ss., Ipsoa Editore: dopo una breve parentesi di quattro anni la prima casa stata assoggettata di nuovo a una imposta immobiliare ordinaria. DallIci allImu, tuttavia, il ritorno al passato per gli italiani non stato indolore; sono infatti aumentate le aliquote, diminuite le fattispecie agevolabili e incrementati in modo esponenziale i dubbi su alcuni profili border line risolti nella precedente disciplina e lasciati allinventiva degli interpreti in quella attuale. Un caso particolare riguarda la questione normativa della definizione stessa di prima casa con riflessi a dir poco paradossali . 234 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2016 Sulla base della legislazione attualmente vigente in Italia, si rilevato che allinterno dellimposta unica comunale (Iuc) si collocano la Tari, unimposta di scopo destinata alla copertura dei costi del servizio rifiuti, lImu, unimposta patrimoniale applicabile su tutte le tipologie di immobili tranne le abitazioni principali inserite nelle categorie A/2-A/7, e la Tasi, una potenziale service tax destinabile al finanziamento dei servizi comunali indivisibili. La legge di Stabilit 2014 (16) prevedeva limposizione Tasi anche delle abitazioni principali, carattere che stato abolito dalla legge di Stabilit 2016 (17). (16) S. CINIERI, Stabilit 2014: dal 1 gennaio arriva la nuova Iuc, in Ipsoa Quotidiano, 27.12.2013. (17) Con l'approvazione della legge di Stabilit 2016, le novit principali riguardano le modifiche introdotte per lImu e la Tasi ma in un contesto che non prevede, nemmeno a livello embrionale, la configurazione di una Local Tax. Di particolare importanza la cancellazione per 19 milioni di italiani della Tasi, la tassa sulla prima casa, eccetto ville, castelli e immobili di pregio artistico o storico. Si tratta di uno sconto che vale 3,7 miliardi, e comprende anche i terreni agricoli. Sar possibile cancellare il 50% dellImu anche per la seconda casa data in comodato a figli o genitori, con due paletti: il comodato dovr essere registrato e si dovr possedere al massimo una prima casa oltre quella data al parente. Sconto Tasi anche per i coniugi separati. Inoltre i macchinari fissi non saranno pi conteggiati per il calcolo delle imposte immobiliari. Si introduce una riduzione del 50% della base imponibile Imu (in luogo dellesenzione introdotta dal Senato in prima lettura) per gli immobili dati in comodato duso a figli o genitori. Il beneficio si applica purch il contratto sia registrato e il comodante possieda un solo immobile in Italia e risieda anagraficamente, nonch dimori abitualmente, nello stesso Comune in cui sito limmobile concesso in comodato. Al contempo, si estende detto beneficio anche al caso in cui il comodante, oltre allimmobile concesso in comodato, possieda nello stesso Comune un altro immobile adibito a propria abitazione principale (non di lusso). Si sospende, per lanno 2016, lefficacia delle leggi regionali e delle deliberazioni comunali per la parte in cui aumentano i tributi e le addizionali attribuite ai medesimi enti territoriali, in luogo di vietare la deliberazione di tali aumenti. Questultimi sono rapportati ai livelli di aliquote applicabili per lesercizio 2015 (anzich essere comparati ai livelli di aliquote deliberate, entro la data del 30 luglio 2015, per lesercizio 2015). In tal modo, la sospensione degli aumenti di aliquote riguarda anche gli enti che hanno gi deliberato in tal senso allentrata in vigore della legge di Stabilit. Si mantiene, inoltre, ferma la possibilit per i Comuni, per il 2016, di maggiorare dello 0,8 per mille laliquota Tasi per gli immobili non esentati. Si elimina cos la condizione, originariamente prevista, secondo cui tale aumento doveva essere stato deliberato, per lanno 2015, entro il 30 settembre 2015 e nel rispetto dei vincoli posti dalla legge di Stabilit 2014. Viene richiesta tuttavia una espressa delibera del Consiglio comunale. Per effetto delle modifiche in commento, inoltre, viene espunta la disposizione che, con riferimento al 2015, manteneva come valide le deliberazioni relative a regolamenti, aliquote e tariffe di tributi adottate dai comuni entro il 30 settembre 2015, ove fossero state espletate le procedure di pubblicazione previste dalla legge. La legge di Stabilit in oggetto ha definitivamente confermato lesenzione per i terreni agricoli ubicati in comuni montani e parzialmente montani (questi ultimi solo se posseduti da coltivatori diretti e Iap) ed introdotta lesenzione per tutti i terreni agricoli posseduti e condotti da coltivatori diretti e Iap. Infine, risolto il problema degli imbullonati cio quei macchinari e impianti ancorati al suolo e che fino al 2015 partecipavano alla stima della rendita catastale del fabbricato aziendale (cat. D ed E) di cui erano parte. Infatti, dal 1 gennaio 2016, ai fini della determinazione della rendita catastale degli immobili strumentali censiti alle categorie D ed E occorre tener conto solo del suolo e delle costruzioni, nonch degli elementi LEGISLAZIONE ED ATTUALIT 235 Nello specifico, la Tari ha una propria autonomia per quanto riguarda le aliquote e i regolamenti comunali che la disciplinano, mentre il combinato Imu-Tasi per le tipologie di immobili diverse dalle prime abitazioni prevede una aliquota massima dell1,06%. La normativa in vigore per lanno 2015 (18), prevedeva anche una maggiorazione sullaliquota Tasi concessa ai Comuni dello 0,08% da spalmare, a discrezione, su tutte le tipologie di immobili, con possibilit di alzare laliquota massima sulle seconde case e gli immobili commerciali oltre l1,06%. Si evidenziato che il gettito della maggiorazione doveva confluire a finanziare detrazioni sulle abitazioni principali con effetti equivalenti a quelli previsti dalla normativa Imu per lanno 2012. Ad esempio, per i Comuni che hanno applicato la Tasi solo sulle prime case, per lanno 2015, laliquota massima applicabile stata dello 0,33%. Un modello di Local Tax, nelle vesti di service tax (19), dovrebbe gravare in parte sul proprietario e in parte sullutilizzatore dellimmobile, al fine di finanziare interamente il costo dei servizi comunali divisibili. Una ipotesi minimale di Local Tax andrebbe a comprendere, da un lato, tutto il gettito della tassazione patrimoniale sugli immobili e escludere, dallaltro, lapplicazione, da parte dei Comuni, delladdizionale Irpef. La Local Tax minimale si potrebbe, dunque, attestare su una dimensione che va dal 42 al 52% del totale delle entrate correnti di natura tributaria ed extratributaria. Occorre poi riflettere sulla natura dei tributi locali; le entrate da Tari e quelle extratributarie provengono da tributi puramente commutativi, ossia strettamente legati al principio del beneficio. Ad esempio, limposta di soggiorno un tributo di scopo e, quindi, anchesso fa riferimento al Tax-Benefit. La legge istitutiva ne impone la destinazione a finalit di sviluppo turistiche e di manutenzione della citt soggetta ai costi indiretti del turismo. Legate ai costi sociali di cogestione e sfruttamento della citt sono anche i contrassegni ZTL e le sanzioni amministrative per violazioni del codice della strada. Poich limposizione immobiliare dovrebbe essere correlata ai servizi prestati dal Comune, solo laddizionale Irpef un tributo specificatamente basato sul principio della capacit contributiva. Ne consegue che, dato che la stessa addizionale non sarebbe pi applicata con la Local Tax, la tassazione municipale diventerebbe interamente basata sul principio del beneficio. ad essi strutturalmente connessi che ne accrescono la qualit e lutilit, nei limiti dellordinario apprezzamento. Restano, invece, espressamente fuori dalla stima i macchinari, congegni, attrezzature ed altri impianti, funzionali allo specifico processo produttivo. (18) P. MIRTO, Mini Imu, sanzioni fino al 30 per cento per i contribuenti ritardatari, in Il Sole 24 Ore, 27.01.2014: il mancato pagamento della mini-Imu entro il 24 gennaio comporta lapplicazione delle sanzioni. Lomesso versamento soggetto a sanzione del 30 per cento oltre ad altri accessori. Difatti, il Comune potr notificare un atto di accertamento, chiedendo limposta non versata, gli interessi, la sanzione e le spese di notifica: il conto rischia di essere salato . (19) V. MELIS, Iuc e service tax aprono lagenda 2014, in Il Sole 24 Ore, 6.1.2014. 236 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2016 Tuttavia, nella definizione di Local Tax emergono una serie di problematiche. La prima concerne la possibile applicazione della Local Tax anche agli inquilini, oltre che ai proprietari. In linea di principio questo dato sarebbe auspicabile, trattandosi di service tax costruita sul principio del beneficio ma, di fatto, lesperienza della Tasi non depone a favore di questa soluzione. Il mercato degli affitti, infatti, distorto e conflittuale, non permette di attribuire in modo lineare ai locatari la quota di contribuzione al finanziamento dei servizi indivisibili. La seconda problematica riguarda la discriminazione di aliquota e lapplicazione di detrazioni sulla base della categoria degli immobili. Particolare attenzione va, quindi, posta ai proprietari di abitazione principale, confrontandosi due posizioni: da una parte, lesenzione totale della tassazione sullabitazione principale; dallaltra, una rimodulazione dellimposta secondo lo schema della no tax area o del modello di detrazione fissa, in modo da escludere da Local Tax le case di valore medio basso. Inoltre, deduzione e detrazione potrebbe essere costruite anche in relazione alle ipotesi di mutuo ipotecario che ha consentito lacquisizione dellimmobile; ad esempio, una coppia di giovani sposi con figli minori e casa di propriet di medio valore, gravata da mutuo ipotecario, potrebbero beneficiare dellesenzione da Local Tax. La maggiore incertezza che incombe sulla struttura di aliquota per un modello di Local Tax concerne lavvio di una significativa riforma del catasto, con lapplicazione di un metodo diverso di valutazione del valore patrimoniale a partire dal valore di mercato al metro quadro. Lintroduzione di nuovi criteri per la determinazione della rendita comporterebbe un aumento importante e generalizzato della base imponibile delle imposte immobiliari, a conferma della distanza attuale tra tariffe destimo e valori di mercato. Con riferimento alle seconde case, quelle che, con ogni probabilit, andrebbero a subire una rivalutazione pi alta sarebbero quelle situate in localit a prevalente vocazione turistica. Tuttavia, se pi consono muoversi in un contesto caratterizzato dallinvarianza di gettito, la revisione della base imponibile non tanto dovrebbe portare ad una riduzione dellaliquota quanto ad una diversa distribuzione del carico fiscale sui singoli proprietari in misura proporzionale rispetto ai coefficienti di rivalutazione. Anche per verificare gli effetti distributivi della rivalutazione sar decisivo il criterio mediante il quale sar applicato il vincolo dellinvarianza di gettito a livello comunale o a livello nazionale. Nel primo caso, la nuova base imponibile dovrebbe ristabilire una maggiore equit tra i contribuenti, senza per consentire una piena risoluzione delle diseguaglianze tra i territori; nel secondo caso, i Comuni avrebbero una variazione di gettito, positiva o negativa, rispetto alla situazione attuale, con conseguenti problemi di compensazione attraverso trasferimenti orizzontali. LEGISLAZIONE ED ATTUALIT 237 4. Modelli di detrazioni per Local Tax. Il tema relativo alle detrazioni su Local Tax, in riferimento allabitazione principale, merita un particolare approfondimento sia perch rappresenta un nodo centrale per gli enti locali e i cittadini, in termini di entrate per i primi, di pressione fiscale per i secondi, sia perch pu essere utilizzato come strumento ai fini di una maggiore equit del prelievo fiscale. Come stato disciplinato in sede di legge di Stabilit 2014 per la Tasi, cos lo schema pu essere riproposto in vista dellintroduzione di una Local Tax. I possibili margini di manovra da concedere ai Comuni attraverso lallentamento dei vincoli sulle aliquote massime devono essere destinati alla predisposizioni di modelli di detrazioni a favore di famiglie e dei ceti pi deboli, senza comportare un aumento complessivo della pressione fiscale. In questo senso ai Comuni andrebbe concessa ampia autonomia sia per lindividuazione dei destinatari delle potenziali agevolazioni sia per lindividuazione dei criteri con cui assegnarle. I modelli di detrazioni adottabili per la Local Tax possono prevedere: detrazioni in somma fissa, quando a tutti gli immobili viene concesso un identico sconto dimposta; detrazioni legate alla rendita catastale, quando si applicano agevolazioni variabili sulla base della quantificazione della rendita catastale dellimmobile affinch a rendite basse possano corrispondere detrazioni pi consistenti; detrazioni legate al reddito del nucleo familiare, quando si prevedono sconti solo se il reddito del nucleo familiare sia inferiore ad una determinata soglia predeterminata; aliquote a scaglioni, quando a livelli diversi di rendita catastale pu corrispondere, anzich una detrazione, una diversa aliquota; detrazioni legate alle caratteristiche del nucleo familiare, quando si condizionano le detrazioni a requisiti quali, ad esempio, let anagrafica, la percentuale di handicap, il valore Isee; agevolazioni per i figli, quando si applica un extra sulla detrazione di base in corrispondenza del numero di figli conviventi e al di sotto di un soglia di et; agevolazioni legate a pi requisiti, quando si collegano detrazioni o aliquote differenziate a un insieme di condizioni diverse. Un modello di Local tax costruito in questi termini potrebbe gravare sulla stessa base imponibile della Iuc e prevedere una aliquota standard per labitazione principale del 3,3 per mille. I modelli di detrazioni prospettati vanno ora messi a confronto come criteri alternativi. Lipotesi pi plausibile presuppone il ripristino della detrazione standard gi prevista originariamente per lImu, 200 euro pi 50 euro per ciascun figlio convivente fino a 26 anni di et, che potrebbe essere accompagnata da altre forme di sgravio affidate ai Comuni e basate comunque sullindicatore Isee. La definizione, invece, di detrazioni dif- 238 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2016 ferenziate in relazione alla base imponibile rappresenta un criterio pi equo da un punto di vista territoriale ma pi iniquo nella prospettiva di una forma di tassazione commisurata al principio della controprestazione. Infatti, questa seconda ipotesi, pur garantendo una platea di esenzioni equamente distribuita sul territorio nazionale, avvantaggia, con detrazioni pi elevate, i proprietari di abitazioni di maggior valore e quindi, presumibilmente, localizzate in contesti con una migliore offerta di servizi. 5. Local Tax e spazi di manovra dei Comuni. In tema di riordino della fiscalit locale, le questioni principali in vista della configurazione di un modello credibile di Local Tax riguardano il trasferimento ai Comuni di alcuni prelievi minori sul patrimonio attualmente percepiti dallo Stato, la delineazione di una struttura semplice e minimale di Local Tax e lesenzione, totale o parziale, del prelievo sulla abitazione principale. 5.1 Imposte sul patrimonio immobiliare e possibili nuove entrate per i Comuni. Il patrimonio immobiliare oggetto di imposta in diverse forme: lo scambio, la produzione di reddito, il valore immobiliare e il gettito ricavato destinato allo Stato o ai Comuni. Allinterno di questa articolazione possibile operare una ulteriore semplificazione al fine di ottenere una ricomposizione dei gettiti tra amministrazione centrale e locale. Sono distinguibili sei categorie di imposte gravanti sugli immobili: imposte di natura reddituale, il cui presupposto il reddito prodotto dal proprietario del bene, Irpef e Ires; imposte di natura patrimoniale, il cui presupposto la propriet o il possesso del bene, Imu; imposte sui servizi pubblici resi ai proprietari degli immobili, Tasi; imposte sul trasferimento degli immobili a titolo oneroso, Iva, ipotecaria, catastale; imposte sul trasferimento degli immobili a titolo gratuito, successioni e donazioni; imposte sulle locazioni, cedolare secca. Il gettito complessivo pressoch invariato tra il 2012 e il 2014, evidenziando una contenuta elasticit del ciclo economico. I dati sottolineano gli effetti delle modifiche dellImu, leliminazione del prelievo sullabitazione principale nel 2013, lintroduzione della Tasi nel 2014. Un eventuale intervento su questi cespiti comporterebbe una ricomposizione del gettito per livello di governo a favore degli enti locali, ipotesi che, per essere sostenibile, deve essere accompagnata dal trasferimento di altre imposte allo Stato. Gli importi interessati non sembrano in grado di giustificare una operazione cos complessa e, inoltre, sarebbe del tutto impropria una aggregazione nella Local Tax, per la diversa natura dellimposta. LEGISLAZIONE ED ATTUALIT 239 5.2 Local Tax minimale. Una delle ipotesi pi rilevanti si basa sullobiettivo di separazione delle strategie fiscali sulla stessa base imponibile. La ricerca di spazi di manovra tributaria consistenti per gli enti locali, il passaggio da un sistema di finanza derivata ad un pi concreto federalismo fiscale hanno indotto un assetto della fiscalit condiviso tra livelli di governo, in contraddizione con i principi classici della finanza locale in materia (20). In particolare, la prospettiva di ricondurre nella Local Tax limposta sul patrimonio ad uso produttivo risponderebbe al principio di assegnare lintero patrimonio immobiliare alla politiche locali. Contemporaneamente, il trasferimento delladdizionale Irpef nella potest statale avrebbe come conseguenza la riconduzione delle politiche redistributive in capo allo Stato e alle Regioni. Il gettito dellImposta sul patrimonio ad uso produttivo stata nel 2014 di 3,7 miliardi di euro, mentre il gettito delladdizionale Irpef stata pari a 4,4 miliardi. Il trasferimento dei gettiti tra Stato e Comuni comporterebbe una compensazione dello Stato a favore dei Comuni per circa 0,7 miliardi mediante un Fondo di riequilibrio. Questa impostazione permetterebbe di mantenere nellordine: parit di pressione fiscale totale, parit di pressione fiscale per base imponibile e parit di gettito per ente percettore. Molto pi delicata, tuttavia, appare la questione per i singoli enti locali. Infatti, leffetto lordo della manovra sugli enti riconducibile a due fattori che possono agevolare o penalizzare le singole amministrazioni locali a parit di gettito aggregato: la diversa base imponibile dei Comuni tra patrimonio ad uso produttivo e reddito imponibile ai fini Irpef; la trasformazione delladdizionale Irpef, ad aliquote variabili, in un'unica sovraimposta Irpef determinata come aliquota implicita o media. Nella prima ipotesi, la disponibilit del gettito derivante dal patrimonio ad uso produttivo, in luogo del gettito Irpef, comporta maggiori risorse ai Comuni; nella seconda, i bilanci dei Comuni con prelievi al di sotto (al di sopra) della media saranno avvantaggiati (svantaggiati) dalla manovra, sempre a parit di gettito aggregato. Le differenze positive o negative di pressione fiscale sono da attribuirsi alle politiche pregresse degli enti locali e alle strategie verso i propri cittadini, e potranno essere compensate dai Comuni stessi traslando la politica da una base imponibile allaltra, oppure agendo sulla Local Tax invece che sulladdizionale. (20) L. SALVINI, LImu nel quadro del sistema fiscale, in Rass. Trib., 2012, pagg. 689-700; E. PISCINO, LImu alla luce della circolare ministeriale, in La Finanza locale, n. 3/2012, pagg. 22-38; F. MICONI, LImu nel fallimento e nelle altre procedure concorsuali: riflessioni a margine dei triuti sul possesso (rectius sul patrimonio), in Riv. Dir. Trib., 2014, I, pag. 135. 240 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2016 In sintesi, i Comuni che applicano un basso prelievo Irpef potranno continuare la propria strategia fiscale riducendo le aliquote della Local Tax, mentre i Comuni che applicano elevate aliquote Irpef saranno costretti, per motivi di bilancio, ad aumentare il prelievo sulla Local Tax. Al fine di salvaguardare i bilanci dei singoli enti comunali, si potr ritenere opportuno, almeno in una fase transitoria, compensare le differenze tra le capacit di gettito delle diverse basi imponibili, attraverso la costituzione di un Fondo di solidariet comunale. In esso confluiranno le risorse aggiuntive percepite da alcune amministrazioni. A questo si affiancher il Fondo di riequilibrio Stato-Comuni, per la parte di maggior gettito Irpef aggregato. La natura del fondo di solidariet analoga a quella dellanalogo fondo introdotto in occasione della fiscalizzazione dei trasferimenti statali a vantaggio dellImu (21). 5.3 Local Tax: verso laggregazione Imu e Tasi. Il modello oggi pi accreditato quello che configura la Local Tax come una aggregazione tra Imu e Tasi, con un esteso ed omogeneo sistema di detrazioni capace di alleggerirne il peso sullabitazione principale. Al fine di offrire un quadro di sintesi, opportuno riassumere i punti di questo nuovo modello di imposta. Detrazione di 200 euro sullabitazione principale: questa detrazione era gi presente nella disciplina Imu del 2012 e andrebbe a sostituire le detrazioni previste dalle manovre comunali sulla Tasi 2014. Detassazione delle abitazioni gravate da mutuo: leffetto del mancato gettito sarebbe in larga parte ridotto dalla sovrapposizione della detrazione di cui al punto precedente. Rivalutazione del catasto: questa operazione potrebbe avere un effetto molto forte sui gettiti degli enti locali e sui prelievi delle famiglie. La rivalutazione media sarebbe di circa 5,6 volte il valore attuale; ne consegue che potrebbe assumere questa dimensione anche laumento del prelievo, con rivalutazioni massime consistenti. Questa misura andrebbe vista in unottica di correzione di precedenti iniquit, tuttavia gli importi che ne deriverebbero non sarebbero sostenibili in un contesto di congiuntura economica negativa e di un livello di pressione fiscale gi elevato. Valida sarebbe, pertanto, lipotesi di imporre il vincolo a parit di gettito e, in questo modo, lintervento avrebbe solo una rilevanza perequativa, senza aumentare la pressione fiscale complessiva. In questo caso, lelemento critico della manovra sarebbe costituito dalla variazione del gettito per Comune, pi che dalla variazione della pressione fiscale. Molti Co- (21) A. PETRETTO, P. LATTARULLO, Verso listituzione della Local Tax in Italia, presentazione della IV Conferenza sulla Finanza e lEconomia locale, Stabilit, equit, sviluppo. Il contributo dei Comuni, Roma 2015. LEGISLAZIONE ED ATTUALIT 241 muni vedrebbero, infatti, diminuire il loro gettito a vantaggio delle aree turistiche e urbane. Lattuale difficolt di gestione dei bilanci degli enti locali, a seguito delle restrizioni dovute ai vincoli di finanza pubblica, rendono difficile affrontare altre ipotesi di decurtazione. Contemporaneamente, i profondi cambiamenti in ribasso dei valori immobiliari costringono ad un rinvio delloperazione di rivalutazione catastale ad una fase di maggiore stabilit economica. Esenzione dellabitazione principale: questa ipotesi ritorna periodicamente nel dibattito socio-economico-politico. Oltre al fatto che, come si avuto modo di argomentare nel corso di questo lavoro, alla luce delle innovazioni portate dalla legge di Stabilit 2016, il concetto stesso di Local Tax che necessariamente si lega allabitazione principale, resta il nodo di evidenziare le possibili alternative e le modalit di finanziamento di uno sgravio fiscale cos importante. A titolo di esempio, si ricorda che il gettito Tasi sullabitazione principale stato di 3,4 miliardi di euro nel 2014 e il gettito Imu nel 2012 stato di 4 miliardi di euro. Risulta, pertanto, evidente che limposta sulla abitazione principale ha rappresentato un prelievo significativo per i bilanci familiari. A conferma di questo aspetto, si sottolinea che nel 2014 il versamento medio per contribuente della Tasi sullabitazione principale stato pari a 194 euro. Per i Comuni limposta sulla abitazione principale ha costituito una fonte considerevole di entrate fiscali e, spesso, sono stati ampiamente utilizzati i margini di prelievo resi disponibili a vantaggio degli enti locali. Inoltre, dal punto di vista della sostenibilit dei bilanci dei Comuni, il mancato gettito proveniente dallabitazione principale penalizzer soprattutto quei Comuni caratterizzati da una maggiore densit abitativa, come le aree urbane, mentre laumento del prelievo sulle abitazioni diverse dalla principale andr a favore delle aree turistiche. 6. Obiettivo Local Tax. In conclusione, la prospettiva di un modello di Local Tax parte dal presupposto che si tratti, a tutti gli effetti, di unimposta comunale. Il suo gettito, cio, deve finire tutto nelle casse delle amministrazioni locali, comprendendo anche quella parte di Imu pagata da capannoni, alberghi e centri commerciali, che attualmente confluisce nelle casse statali. Il punto di arrivo , dunque, quello di una esclusiva competenza dei sindaci sul gettito delle tasse locali. Altro elemento portante della nuova configurazione della tassazione locale, riguarda il grado di autonomia che i sindaci avrebbero nello stabilire il livello di pressione fiscale. Da una parte infatti vi lesigenza di evitare il florilegio di aliquote e di detrazioni che ha portato, nellultimo anno, tra Tasi e Imu alla emanazione di pi di 200mila livelli diversi di imposizione locale. Una vera e propria babele tributaria un cui freno potrebbe essere rappresentato dalla definizione di una serie limitata di macrocategorie entro le quali i singoli Comuni potranno stabilire aliquote diversificate. Si andrebbe ad esempio dalle prime case alle seconde abitazioni, dagli immobili in affitto a quelli disabitati. 242 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2016 Ultimo tassello di cui tenere conto nella definizione del modello di Local Tax consiste nel considerare il numero di imposte attualmente esistenti che dovrebbero essere aggregate. Una ipotesi di riordino strutturale implicherebbe che, nella Local Tax confluirebbero, oltre a Imu e Tasi, che fino al 2015 hanno tendenzialmente prodotto un gettito di circa 18,8 miliardi di euro, anche la tassa sui rifiuti, ossia la Tari, il cui valore pari a 7,3 miliardi, limposta sulla pubblicit del valore di 426 milioni, la tassa sulloccupazione di spazi e aree pubbliche con altri 218 milioni, limposta di soggiorno pari a 105 milioni e quella di scopo con altri 14 milioni. Il tutto per una sorta di mega imposta dal gettito complessivo di circa 31 miliardi di euro. Il sistema di finanza locale, pertanto, necessita di riforme incisive e profonde. Ne consegue che, nellottica delle analisi svolte nel corso di questo studio, auspicabile che la Local Tax venga definita attorno ai seguenti principi di base: una aliquota ragionevole; una sicura incidenza delle risorse ricavate sullo sviluppo locale; una appropriata indicazione del livello di amministrazione cui attribuire la gestione del tributo, fatte salve specifiche forme di collaborazione tra livelli nellutilizzo dei proventi; precisa definizione di soglie di riduzione e/o esenzione. Questo schema permette di definire il ruolo delle amministrazioni comunali secondo tre linee di sviluppo: erogazione di servizi, veicolo per linvestimento in infrastrutture, luogo di partecipazione democratica. Il governo locale, pertanto, deve assumere sempre pi un ruolo strategico. Questo aspetto, infatti, pu aiutare a rafforzare la relazione tra il singolo cittadino e lo Stato attraverso misure atte a garantire al cittadino stesso la possibilit di influenzare lente locale e le relative scelte pubbliche. Ne deriva che la problematica che maggiormente limita il governo locale lelevato grado di controllo centrale. Questo fattore comporta elementi di confusione circa la responsabilit, centrale o locale, della erogazione dei servizi. Pertanto, la costrizione di un modello di Local Tax richiede una pi chiara identificazione dei livelli di responsabilit, di una maggiore flessibilit sia in tema di entrate che di gestione dei servizi, di migliori incentivi al potenziamento della crescita locale. Linserimento, in un siffatto contesto, di una Local Tax permetterebbe un migliore uso del potere regolamentare degli enti locali e una trasparenza attorno alle modalit mediante le quali sono finanziati i servizi locali. Il sistema di finanza locale va riorganizzato secondo una efficienza allocativa, ovvero una efficienza capace di indirizzare lazione verso le priorit locali, il che, per, esige che si abbia una precisa conoscenza preventiva delle esigenze locali. LEGISLAZIONE ED ATTUALIT 243 Enti locali: il responsabile del servizio finanziario, titolare del fondamentale interesse pubblico di tutela della gestione finanziaria, anche ... attraverso lo strumento ricorsuale Salvatore La Fauci* Per finalit di tutela della gestione finanziaria, le deliberazioni che incidano su di essa possono essere impugnate o da singoli consiglieri o anche, in base allart. 153 del d.lgs. n. 267/2000, dal Responsabile del servizio finanziario, in rappresentanza dellente locale. Si tratta di unimportante norma che costituisce una naturale, logica e necessitata eccezione rispetto alla generale regola della titolarit della legittimazione a ricorrere. SOMMARIO: 1. Premessa - 2. La portata applicativa dellart. 153 del d.lgs. 267/2000 - 3. Coordinamento tra artt. 153 e 107 del d.lgs 267/2000 - 4. Ambiti di riferimento di eventuali azioni ricorsuali - 5. Autonomia degli ambiti di rappresentanza - 6. Correlazioni con la legge 20/1994. 1. Premessa. Potendo la potest autorizzatoria del Consiglio Comunale nei confronti della gestione (potest naturalmente esistente pure in ipotesi di atti di Giunta, visto lart. 125 del d.lgs. 267/2000) anche esprimersi con modalit lesive della gestione stessa (e con possibili ripercussioni pure sugli equilibri generali del comparto pubblico, specie in ipotesi di inosservanza di principi di coordinamento della finanza pubblica), il legislatore, con lart. 153 del d.lgs. 267/2000, ha previsto gli strumenti attraverso i quali il Responsabile del servizio finanziario pone in essere le azioni di tutela eventualmente necessarie. 2. La portata applicativa dellart. 153 del d.lgs. 267/2000. Gli strumenti previsti dallart. 153 del d.lgs. 267/2000 comprendono anche il ricorso amministrativo o giurisdizionale, come si legge chiaramente nella specificazione in autonomia che contenuta nel comma 4, dopo le integrazioni inserite dal d.l. 174/2012: , infatti, una specificazione che ha reso pi esplicito il preesistente comma 1, il quale afferma che al servizio finanziario competono il coordinamento e la gestione dellattivit finanziaria (sono compiti che, in quanto tali, rientrano in una sfera di autonomia automaticamente correlata alla titolarit di ogni conseguente azione di tutela della gestione). Nel tener presente che il comma 4 dellart. 49 una preesistente e basilare regola procedimentale (poi anchessa opportunamente inserita, nel d.lgs. (*) Avvocato del Foro di Messina. 244 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2016 267/2000, dal d.l. 174/2012) di garanzia della potest autorizzatoria del Consiglio comunale nei confronti della gestione, ci rendiamo conto della consequenzialit dellart. 153, che individua, nel Responsabile del servizio finanziario, il portatore del fondamentale interesse pubblico di tutela della gestione finanziaria. 3. Coordinamento tra artt. 153 e 107 del d.lgs. 267/2000. Lart. 153 del TUEL da leggersi in automatico coordinamento col precedente art. 107 (valido, nei comuni privi di dirigenza, ai sensi del successivo 109, c. 2), il quale, contenendo la normativa che, nel 1997 (riforma Bassanini), ha separato nettamente il ruolo dirigenziale da quello politico, determina, in capo al primo, unautonomia che fa s che la rappresentanza in giudizio del Comune possa, negli ambiti non meramente politici, indifferentemente essere dellorgano tecnico o di quello politico. Se dellorgano politico, infatti, non viene negato il principio di separazione delle competenze tra ambito tecnico ed ambito politico, venendo tale principio affermato dal comma 1 dellart. 49 del TUEL, che rende obbligatorio il parere di regolarit tecnica sulle proposte di deliberazione non di mero indirizzo (comprese, quindi, quelle di costituzione in giudizio), dopo le quali leventuale applicazione del successivo comma 4 espressione della logica stessa dellassetto di competenze e di responsabilit che riguarda gli enti locali. Va, al tempo stesso, osservato che non possono esserci dubbi circa limpossibilit, da parte di responsabili di settori diversi da quello finanziario, di attivare azioni ricorsuali contro atti ritenuti lesivi di interessi dellente, che investano gli ambiti di riferimento. Lart. 153 fa, infatti, riferimento al responsabile del servizio finanziario per la tutela della gestione finanziaria e ci non un limite dellordinamento, considerato che gli atti irregolari lesivi sono quelli che incidono illegittimamente sui conti pubblici, quale che sia lambito di provenienza. 4. Ambiti di riferimento di eventuali azioni ricorsuali. chiaro che, anche al di fuori della gestione finanziaria, eventuali deliberazioni ritenute invalide possono non essere attuate dallorgano tecnico, opponendosi al razionale esercizio delle attivit di valutazione, di giudizio, di conoscenza, di cui allart. 107 del d.lgs. 267/2000, fermi ovviamente restando gli esiti dei controlli interni e/o esterni che ne potranno conseguire. Ed altrettanto chiaro che, ove invece vengano attuate, potranno, in applicazione dellart. 147 bis, c. 1, del d. lgs. 267/2000, non essere rese esecutive, non essendoci irregolarit tecnica che, in ambito di atti aventi riflessi finanziari, non sia anche contabile. Nel concreto, per, tutto ci pu incontrare un limite nella possibilit che LEGISLAZIONE ED ATTUALIT 245 i beneficiari individuati da deliberazioni non attuate dallorgano tecnico ricorrano validamente contro il comune. Ad esempio, il contrasto di deliberazioni col parere di regolarit contabile previsto dallart. 49, c. 1, non intacca le posizioni giuridiche soggettive degli interessati, se le deliberazioni stesse non siano state ritirate dufficio: si tratta di una delle dinamiche che, sulla base di tutte le valutazioni di ciascun caso specifico, pu far ritenere necessaria, al Responsabile del servizio finanziario, limpugnazione degli atti, in via, come gi detto, amministrativa o giurisdizionale. Altra possibile dinamica: deliberate modifiche (ovviamente rispetto alle proposte effettuate ai sensi dellart. 49, c. 1, del d.lgs. 267/2000) di relazioni di bilancio, dalle quali sia, a scapito di importanti vincoli finanziari, materialmente impossibile, da parte del responsabile del servizio finanziario, il discostamento operativo (un possibile caso concreto: negazione, mediante deliberazione, di specifici indici di criticit finanziaria, con formale improcedibilit di successivi atti correttivi). , pertanto, coerente e completo lassetto normativo che determina la generale portata applicativa dellart. 153 del d.lgs. 267/2000. 5. Autonomia degli ambiti di rappresentanza. , cos, chiaro che, in ipotesi di discordanza tra organo politico e Responsabile del servizio finanziario (per ritenuta illegittimit di deliberazioni non conformi alle relative proposte), la rappresentanza tecnica costituisce necessariamente una scelta autonoma di questultimo, se lazione in giudizio sia ritenuta necessaria per salvaguardare lente da conseguenze lesive della gestione finanziaria, indipendentemente dalla circostanza che i relativi atti siano stati approvati nella sfera di legittimazione derivante dallart. 49, c. 4, o siano, invece, formalmente illegittimi o nulli (ovviamente, la problematica pu sorgere anche in ipotesi di decreto ingiuntivo, se ci sia volont dellorgano politico di non proporre opposizione). Al di fuori di questa ipotesi di discordanza (ipotesi in cui, sul piano giuridico, il Comune, identificandosi, per finalit di sua tutela, solo nella propria rappresentanza tecnica, rende sottostante quella politica), vale ovviamente lindividuazione, nello Statuto, degli ambiti di rappresentanza politica e di quelli di rappresentanza tecnica, essendo solo ereditato dalla precedente normativa landamento generalizzato che vede affidata la rappresentanza legale dellente al Sindaco, indipendentemente dagli ambiti di riferimento. Infatti, dopo la modifica apportata dalla legge 127/1997 allart. 51 della legge 142/1990 (articolo corrispondente allattuale 107 del TUEL), la figura dirigenziale si , come gi detto, autonomamente aggiunta, sul piano della rappresentanza interna ed esterna dellente, a quella politica. Va osservato, a questo proposito, che, se venisse accolto il diverso con- 246 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2016 cetto di divisione della rappresentanza tecnica da quella politica che, di fatto, anche in questo specificissimo ambito trova spesso affermazione, il contrasto con lart. 107 non sarebbe limitato a se stesso, perch, sul versante finanziario, si tradurrebbe in materiale inapplicabilit dellart. 153, in ordine al potere di autonoma tutela di cui si detto, con automatica limitazione dello stesso, incompatibile con la ratio della norma. Diviene, infatti, impossibile affermare il concetto stesso di tutela della gestione finanziaria, se si sostiene lesclusivit della rappresentanza in giudizio dellente in capo allorgano politico: argomentare in questi termini significa respingere limpianto normativo che contenuto nellart. 153. Pertanto, negli ambiti di rappresentanza tecnica eventualmente individuati dallo Statuto, la costituzione in giudizio dellente potr, per finalit di semplificazione dellattivit amministrativa, essere disposta non con deliberazione, ma con determinazione, stante comunque la possibilit dellorgano politico di applicare lart. 49, c. 4, per sostanziale analogia, nel caso specifico, tra determinazione e proposta di deliberazione. 6. Correlazioni con la legge 20/1994. Ci si chiede quali possano essere le conseguenze, sul piano della responsabilit amministrativa, di eventuali atti annullati per illegittimit, a seguito di azione ricorsuale autonomamente intrapresa dal Responsabile del servizio finanziario, sulla base della legittimazione che gli riconosciuta dallart. 153 del TUEL. Al di fuori, ovviamente, delleventuale riscontro del dolo o della colpa grave, potrebbero anche esserci i presupposti concreti per la positiva valutazione, da parte della magistratura contabile, del momento dellattivit amministrativa, del fine perseguito e dei vantaggi comunque conseguiti dalla collettivit. Va sottolineata, al riguardo, la componente legata alla validit o meno della motivazione che pu essere riscontrata in atti che, di fatto, affermino la prevalenza dellinteresse pubblico specifico sullinteresse pubblico generico dettato dalla norma che stata disattesa. La mancata acquisizione di entrate potrebbe essere un esempio in ordine ad ipotesi di aiuti finalizzati al sostegno di interessi privati che, producendo benefici concreti in via generale, siano sottostanti allinteresse pubblico territoriale. LEGISLAZIONE ED ATTUALIT 247 Il trasporto pubblico locale: la qualificazione dellattivit in termini di servizio pubblico e il contratto di servizio Ivan Michele Triolo* SOMMARIO: 1. Premessa: dalla nozione di servizio pubblico a quella di servizio pubblico locale - 1.1. Lindefettibilit dellintervento pubblico e il concetto di adeguatezza del mercato di riferimento - 2. Il concetto di trasporto pubblico locale - 3. Il decentramento amministrativo: il decreto legislativo 19 novembre 1997, n. 422 e lavvento del contratto di servizio - 3.1. Le origini dellistituto del contratto di servizio e lattuale disciplina nellordinamento comunitario - 3.2. Il contratto di servizio nellordinamento italiano - 3.3. La natura giuridica del contratto di servizio e le tipologie applicabili al settore del trasporto pubblico locale. 1. Premessa: dalla nozione di servizio pubblico a quella di servizio pubblico locale. Ci che maggiormente caratterizza il trasporto pubblico locale non tanto la modalit (1) di svolgimento dello stesso, quanto la qualificazione dellattivit di trasporto in termini di servizio pubblico. tale qualificazione che comporta lassoggettamento di una determinata attivit di trasporto ad un regime del tutto peculiare, ed quindi opportuno cercare di capire cosa si intenda - oggi - per servizio pubblico locale. Loperazione non delle pi semplici. Non esiste, infatti, nel nostro ordinamento, una compiuta definizione legislativa di servizio pubblico e di servizio pubblico locale (2). Per quanto riguarda i servizi pubblici, si pu affermare che essi consistano in una serie di prestazioni di vario tipo, nella gran parte dei casi volte a garantire diritti costituzionalmente tutelati (si pensi allistruzione, alle prestazioni (*) Dottore in Giurisprudenza, ammesso alla pratica forense presso lAvvocatura distrettuale di Bologna. (1) Le modalit di svolgimento del servizio di trasporto pubblico locale possono essere molteplici, come specificato dallart. 1 del d.lgs. 19 novembre 1997, n. 422, il quale al comma 2 richiama [] linsieme dei sistemi di mobilit terrestri, marittimi, lagunari, lacuali, fluviali e aerei []. (2) In questi termini, G. PALLIGGIANO, Levoluzione legislativa della gestione dei servizi pubblici locali dalla legge Giolitti al Testo unico degli enti locali, relazione al convegno La riforma dei servizi pubblici locali di rilevanza economica, Vallo della Lucania, 26 giugno 2009, in www.giustizia-amministrativa.it. A livello normativo, lart. 1, comma 1 della l. 12 giugno 1990, n. 146, relativa allesercizio del diritto di sciopero nei servizi pubblici essenziali, si limita a definire questi ultimi come [] quelli volti a garantire il godimento dei diritti della persona, costituzionalmente tutelati, alla vita, alla salute, alla libert ed alla sicurezza, alla libert di circolazione, allassistenza e previdenza sociale, allistruzione ed alla libert di comunicazione. Per quanto riguarda i servizi pubblici locali, lart. 112 del d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267, recante il Testo unico delle leggi sullordinamento degli enti locali, individua tali servizi in quelli che abbiano per oggetto produzione di beni ed attivit rivolte a realizzare fini sociali e a promuovere lo sviluppo economico e civile delle comunit locali. Infine, celebre laffermazione di chi colloca la nozione di servizio pubblico tra quelle pi tormentate: cos M.S. GIANNINI, Il pubblico potere, Il Mulino, Bologna, 1986, 69 ss. 248 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2016 sanitarie, allassistenza sociale e cos via), o a soddisfare esigenze che la pubblica autorit ritiene indispensabili. Si tratta, dunque, di attivit a carattere necessario che devono essere svolte in concreto e in modo continuativo, che hanno una dimensione universale con riferimento ad un determinato contesto socio-territoriale, e che sono accessibili in principio a tutti i consociati (3). compito dei pubblici poteri garantire il corretto svolgimento di tali attivit, provvedendovi direttamente ovvero affidando lespletamento del servizio a soggetti di natura privatistica o pubblicistica, formalmente o sostanzialmente esterni allapparato pubblico. Nel caso di affidamento esterno, lattivit dei pubblici poteri si limita alla regolazione delle modalit di svolgimento del servizio ed al relativo controllo. Lattivit di regolazione, in particolare, consiste nellimporre ai soggetti esercenti alcuni obblighi di servizio pubblico. Sono da intendere come tali quegli obblighi che - al fine di salvaguardare i propri interessi commerciali - non verrebbero assunti affatto dal soggetto esercente, o non verrebbero assunti nella stessa misura (4). Tra essi rientra il c.d. obbligo di servizio universale, di derivazione comunitaria, volto a garantire un insieme minimo di servizi di una qualit determinata [] a tutti gli utenti a prescindere dalla loro ubicazione geografica e, tenuto conto delle condizioni nazionali specifiche, ad un prezzo ragionevole (5). Sin dal XIX secolo, con riguardo alla nozione di servizio pubblico, dottrina e giurisprudenza hanno elaborato diverse teorie, nel tentativo di trovare una compiuta definizione e, allo stesso tempo, di adeguarla alle diverse realt sociali e politiche. Si cos passati da una concezione soggettiva del servizio pubblico, che definiva tale qualsiasi attivit svolta dallAmministrazione che non fosse pubblica funzione e - quindi - non avesse carattere autoritativo, ad una concezione soggettiva temperata, che identificava la pubblicit del servizio nella imputabilit dello stesso allAmministrazione, escludendo la necessit di una gestione diretta ed ammettendo la partecipazione di soggetti privati. Fino allaffermazione ultima di una concezione oggettiva del servizio pubblico, in cui non rileva la natura del soggetto esercente, bens lidoneit dellattivit svolta a soddisfare alcuni bisogni essenziali dei cittadini (6). La (3) In questi termini, V. CERULLI IRELLI, Lineamenti di diritto amministrativo, II ed., Giappichelli, Torino, 2011, 238. (4) Cos, ancora, V. CERULLI IRELLI, Lineamenti di diritto amministrativo, cit., 238. Inoltre, il regolamento (CE) n. 1370/2007 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 ottobre 2007, relativo ai servizi pubblici di trasporto di passeggeri su strada e per ferrovia, allart. 2, lett. e), definisce lobbligo di servizio pubblico come lobbligo definito o individuato da unautorit competente al fine di garantire la prestazione di servizi di trasporto pubblico di passeggeri di interesse generale che un operatore, ove considerasse il proprio interesse commerciale, non si assumerebbe o non si assumerebbe nella stessa misura o alle stesse condizioni senza compenso. (5) Direttiva 2002/21/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 7 marzo 2002, che istituisce un quadro normativo comune per le reti ed i servizi di comunicazione elettronica (direttiva quadro), art. 2, lett. j). LEGISLAZIONE ED ATTUALIT 249 concezione oggettiva del servizio pubblico, inoltre, risulta essere avvalorata dal disposto dellart. 43 della Costituzione (7). a tale concezione oggettiva che ci si riferiti nella definizione tracciata in precedenza, ed la stessa a cui fanno riferimento il legislatore nazionale, quello comunitario, nonch la giurisprudenza (8). Parzialmente diverso il discorso per i servizi pubblici locali. Come sostenuto da autorevole dottrina, sembra un paradosso, e forse in parte lo , ma [] oggi la parentela (non tanto di disciplina quanto concettuale) del concetto del servizio pubblico nazionale e del servizio pubblico locale una parentela molto lontana (9). I servizi pubblici locali sono attivit di natura imprenditoriale che si caratterizzano per essere immediatamente e direttamente finalizzate alla soddisfazione di un bisogno primario (10) della collettivit (locale) di riferimento (11). Si tratta di una categoria aperta - priva di elencazione normativa - che comprende uninsieme di attivit fra loro molto diverse, ed il cui comune denominatore la diretta soddisfazione di interessi e bisogni della collettivit, che si presenta quindi quale contraente dellerogatore del servizio (12). Inoltre, sulla base di quella che, nelle originarie intenzioni del legislatore, sarebbe dovuta essere la disciplina generale dei servizi pubblici locali, ossia gli art. 112 e ss. del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 (recante il Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali) e successive modificazioni, occorre distinguere tra servizi pubblici locali aventi rilevanza economica (art. 113, d.lgs. n. 267/2000) e servizi pubblici locali non aventi rilevanza economica (art. 113 bis, d.lgs. n. 267/2000). (6) Sulle diverse concezioni di servizio pubblico, si veda la sintetica ma chiara ricostruzione elaborata in L. GIZZI, Trasporto a fune: servizio pubblico o attivit economica privata?, 2013, reperibile in www.giustizia-amministrativa.it. (7) In questi termini, A. CLARONI, Il trasporto pubblico locale. Funzione sociale e processi di riforma del settore, Libreria Bonomo Editrice, Bologna, 2012, 14. Inoltre, sul ruolo dellart. 43 Cost. nellindividuazione di una nozione oggettiva di servizio pubblico, si veda U. POTOTSCHNIG, I pubblici servizi, Cedam, Padova, 1964, 48 ss. (8) Tra le pronunce pi recenti sulla identificazione giuridica di un servizio pubblico, si veda Consiglio di Stato, Sez. VI, 5 aprile 2012, n. 2021, in www.dirittodeiservizipubblici.it, in cui si afferma che [] per identificare giuridicamente un servizio pubblico, non indispensabile a livello soggettivo la natura pubblica del gestore, mentre necessaria la vigenza di una norma legislativa che, alternativamente, ne preveda lobbligatoria istituzione e la relativa disciplina oppure che ne rimetta listituzione e lorganizzazione allAmministrazione. (9) M. DUGATO, I servizi pubblici locali, in Associazione per gli studi e le ricerche parlamentari, n. 15/2004, 75. (10) Il pi delle volte, o addirittura potremmo dire sempre, si tratta di un bisogno costituzionalmente tutelato. Basti pensare al trasporto pubblico locale, il quale diretto a soddisfare (o meglio, a garantire) la libert di circolazione degli individui, tutelata dallart. 16 della Costituzione. (11) In questi termini, M. DUGATO, I servizi pubblici locali, in S. CASSESE (a cura di), Trattato di Diritto Amministrativo, Diritto Amministrativo Speciale, Tomo III, Giuffr, Milano, 2003, 2582. (12) M. DUGATO, I servizi pubblici locali, in Associazione per gli studi e le ricerche parlamentari, cit., 76. 250 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2016 Dei secondi il presente contributo non si occupa specificamente. Basti qui dire, citando una recente sentenza del Consiglio di Stato, che si tratta di quei servizi che sono resi agli utenti in chiave meramente erogativa e che, inoltre, non richiedono una organizzazione di impresa in senso obiettivo (13) (lesempio, divenuto ormai classico, quello dei servizi socio-assistenziali). Tali servizi, in seguito allannullamento dellart. 113 bis del d.lgs. n. 267/2000, ad opera della sentenza della Corte costituzionale n. 272 del 27 luglio 2004, sono oggetto delle singole discipline regionali, seppur sotto un pi o meno penetrante controllo statale relativo ai livelli essenziali delle prestazioni (14). Ci che qui interessa, invece, sono i servizi pubblici aventi rilevanza economica, tra cui va senza dubbio annoverato il trasporto pubblico locale (15). Il concetto di rilevanza economica, anchesso privo di definizione legislativa (16), stato oggetto di un intenso dibattito dottrinale e giurisprudenziale, sin dalloriginaria qualificazione in termini di rilevanza industriale (17). A tal proposito, sono state avanzate diverse ipotesi classificatorie (18). Una prima ipotesi ha portato ad identificare la rilevanza economica con la remunerativit dellattivit, cio con la capacit di produrre lucro (19). La seconda ipotesi, invece, ha posto a fondamento della distinzione tra rilevanza economica e non un criterio soggettivo, in base al quale farebbero parte dei servizi della prima categoria quelli che lEnte locale - nella propria discrezionalit - intende organizzare e gestire in regime di profitto (20). (13) Consiglio di Stato, Sez. V, sent. 23 ottobre 2012, n. 5409, in www.giustizia-amministrativa.it. (14) In base allart. 117, comma 2, lett. m) della Costituzione, rientra tra le materie di competenza legislativa esclusiva dello Stato la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale. (15) In questi termini, A. CLARONI, Il trasporto pubblico locale. Funzione sociale e processi di riforma del settore, cit., 18. (16) TAR Sardegna, Sez. I, sentenza 2 agosto 2005, n. 1729, in federalismi.it, ha precisato che la nozione di servizio pubblico locale di rilevanza economica e, per converso, quella di servizio privo di siffatta rilevanza, devessere ricostruita in via interpretativa, mancando una disposizione normativa che ne fornisca la definizione. (17) Gli artt. 113 e 113 bis, prima di essere modificati ad opera dellart. 14 del d.l. 30 settembre 2003, n. 269, facevano riferimento, rispettivamente, ai servizi pubblici con rilevanza industriale ed ai servizi pubblici privi di detta rilevanza. (18) Per una chiara sintesi si veda la ricostruzione (qui richiamata) elaborata in M. DUGATO, I servizi pubblici locali, in S. CASSESE (a cura di), Trattato di Diritto Amministrativo, Diritto Amministrativo Speciale, cit., 2590. (19) Il ricorso al criterio della remunerativit stato contestato dalla giurisprudenza amministrativa. Si veda Cons. di Stato, Sez. V, sent. 10 settembre 2010, n. 6529, in www.giustizia-amministrativa.it, che richiama i principi espressi dalla Corte costituzionale nella sentenza 27 luglio 2004, n. 272. Il Consiglio di Stato afferma che, per qualificare le due categorie di servizi pubblici locali in esame, [] occorre far ricorso ad un criterio [] che tenga conto delle peculiarit del caso concreto, quali la concreta struttura del servizio, le concrete modalit del suo espletamento, i suoi specifici connotati economicoorganizzativi, la natura del soggetto chiamato ad espletarlo, la disciplina normativa del servizio. (20) Cos, M. DUGATO, I servizi pubblici locali, in S. CASSESE (a cura di), Trattato di Diritto Amministrativo, Diritto Amministrativo Speciale, cit., 2590. LEGISLAZIONE ED ATTUALIT 251 Una terza ipotesi - che, come sostenuto da eminente dottrina, sembra essere la pi accreditata (21) - ha individuato la rilevanza economica facendo leva sul dato obiettivo della riforma operata dallart. 35 della legge 28 dicembre 2001, n. 448. Con tale norma il legislatore aveva inciso profondamente sulla disciplina originaria dei servizi pubblici locali di cui al d.lgs. n. 267/2000, riscrivendo il testo dellart. 113 e introducendo ex novo lart. 113 bis. Il risultato della riforma, in definitiva, era stato lintroduzione nel nostro ordinamento della distinzione tra servizi a rilevanza industriale (oggi rilevanza economica) e servizi privi di detta rilevanza. La nuova disciplina cos introdotta, individuava lelemento di maggior distinzione tra servizi industriali e non industriali nella necessaria separazione - per i primi - tra la gestione del servizio e la propriet delle reti, degli impianti e delle altre dotazioni patrimoniali. Proprio sulla base del dettato normativo della riforma citata, questa terza ipotesi classificatoria ha riconosciuto rilevanza economica a quei servizi che per essere esercitati necessitano di reti, impianti e altre dotazioni patrimoniali. Infine, sulla scorta della giurisprudenza costituzionale, amministrativa, nonch della Corte di giustizia dellUnione europea, possibile avanzare una quarta ipotesi che individua quale fondamento della rilevanza economica di unattivit lo [] scopo precipuamente lucrativo, la [] assunzione dei rischi connessi a tale attivit ed anche leventuale finanziamento pubblico dellattivit in questione (22), nonch lidoneit ad essere svolta in un regime di libera concorrenza (23). In base a tale quarta ipotesi, il servizio pubblico locale di rilevanza economica stato definito come un servizio destinato a (21) In questi termini, ancora, M. DUGATO, I servizi pubblici locali, in S. CASSESE (a cura di), Trattato di Diritto Amministrativo, Diritto Amministrativo Speciale, cit., 2590, che attribuisce maggior fondamento proprio a tale ipotesi classificatoria. (22) Corte di giustizia CE, sentenza 22 maggio 2003, causa C-18/01, richiamata da Corte costituzionale, 27 luglio 2004, n. 272, in www.cortecostituzionale.it. In questi termini anche TAR Sardegna, Sez. I, sentenza 2 agosto 2005, n. 1729, gi citato, secondo cui la distinzione tra servizi a rilevanza economica e non [] legata allimpatto che lattivit pu avere sullassetto della concorrenza ed ai suoi caratteri di redditivit; di modo che deve ritenersi di rilevanza economica il servizio che si innesta in un settore per il quale esiste, quantomeno in potenza, una redditivit, e quindi una competizione sul mercato e ci ancorch siano previste forme di finanziamento pubblico, pi o meno ampie, dellattivit in questione []. Cos anche Corte costituzionale, 17 novembre 2010, n. 325, in www.cortecostituzionale.it, che comparando la nozione di servizio pubblico locale di rilevanza economica con quella comunitaria di servizio di interesse economico generale (SIEG), sottolinea come entrambe le nozioni facciano riferimento [] ad un servizio che: a) reso mediante unattivit economica (in forma pubblica o privata), intesa in senso ampio, come qualsiasi attivit che consista nelloffrire beni o servizi su un determinato mercato []; b) fornisce prestazioni considerate necessarie (dirette, cio, a realizzare anche fini sociali) nei confronti di una indifferenziata generalit di cittadini, a prescindere dalle loro particolari condizioni []. (23) La sentenza della Corte costituzionale n. 272 del 27 luglio 2004, per avallare la legittimit costituzionale dellart. 113 del d.lgs. n. 267/2000, ha fatto leva proprio sulla competenza legislativa esclusiva dello Stato nella materia trasversale della tutela della concorrenza, la quale attrae sicuramente i servizi pubblici locali aventi rilevanza economica. 252 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2016 fornire prestazioni considerate necessarie e, dunque, dirette a realizzare anche fini sociali, nei confronti di una indifferenziata generalit di cittadini, reso attraverso unattivit economica intesa in senso ampio, ossia volta ad offrire beni o servizi su un determinato mercato, e la cui gestione deve, di regola, avvenire mediante affidamento, tramite procedure competitive ad evidenza pubblica, a soggetti terzi in unottica di tutela della concorrenza (24). Linquadramento di unattivit nellambito dei servizi pubblici locali comporta la sua sottoposizione ad un peculiare regime giuridico che, negli ultimi anni, stato sottoposto ad un intenso processo di riforma volto ad aprire al libero mercato il settore di cui trattasi. Tentativi di liberalizzazione che, tuttavia, sono stati frenati dai noti esiti referendari e giurisprudenziali del biennio 2011-2012 (25). Per quanto riguarda lo specifico settore del trasporto pubblico locale, occorre sottolineare come esso sia stato interessato da un processo riformatore in qualche modo precursore di quello che - negli ultimi anni - ha interessato la materia dei servizi pubblici locali nel suo complesso. Fin dal 1997, infatti, si affermata per il trasporto pubblico locale una chiara politica legislativa che ha scelto come modello applicabile alla gestione del servizio quello della concorrenza per il mercato realizzata attraverso lo strumento della gara (26). Il rapporto tra la disciplina generale e quella settoriale stato cos interessato da una continua alternanza tra inclusione ed esclusione del trasporto pubblico locale dallambito dei modelli organizzativi dei servizi pubblici locali (27). 1.1. Lindefettibilit dellintervento pubblico e il concetto di adeguatezza del mercato di riferimento. Sono stati individuati tre caratteri fondamentali che definiscono la qualificazione in chiave di servizio pubblico (a rilevanza economica) di una determinata attivit. Deve trattarsi di unattivit suscettibile di essere organizzata in forma dimpresa, diretta alla immediata soddisfazione di un bisogno primario della collettivit, ed esercitata direttamente nei confronti della collettivit stessa. Tuttavia, questi elementi da soli non sono sufficienti per la complessa qualificazione di unattivit in termini di servizio pubblico locale (28). ne- (24) A. CLARONI, Il trasporto pubblico locale. Funzione sociale e processi di riforma del settore, cit., 25. (25) Ci si riferisce allabrogazione dellart. 23 bis del d.l. 25 giugno 2008, n. 112, in seguito al referendum del 12-13 giugno 2011, ed allannullamento dellart. 4 del d.l. 13 agosto 2011, n. 138, a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 199 del 20 luglio 2012. (26) A. CABIANCA, Profili evolutivi delle modalit di gestione del trasporto pubblico locale: verso un mutamento di "paradigma"?, in Ist. federalismo, n. 5-6/2010, 589. (27) In questi termini, ancora, A. CABIANCA, Profili evolutivi delle modalit di gestione del trasporto pubblico locale: verso un mutamento di "paradigma"?, cit., 589. (28) In questi termini, M. DUGATO, I servizi pubblici locali, in Associazione per gli studi e le ricerche parlamentari, cit., 77. LEGISLAZIONE ED ATTUALIT 253 cessario, infatti, un ulteriore carattere che pu essere compreso pi a fondo grazie ad un semplice esempio. Si prenda in considerazione lesempio - al limite della semplificazione - di due linee di trasporto. La prima molto trafficata, servita da diverse imprese di trasporto, tra cui quella riconducibile direttamente o indirettamente allEnte locale. La seconda marginale, che magari collega un piccolo Comune montano con una citt di pi grandi dimensioni, in cui il servizio viene esercitato unicamente dallEnte locale, risultando la linea poco attrattiva dal punto di vista commerciale a causa del basso tasso di utenza. Se nel primo caso si eliminasse lintervento dellEnte locale, il bisogno primario di mobilit dei cittadini non rimarrebbe di certo insoddisfatto, essendo la tratta servita da pi imprese (si potrebbero avanzare alcune considerazioni sulle tariffe di accesso al servizio di trasporto, ma non ci che qui interessa). La medesima sottrazione dellintervento pubblico nel secondo caso, invece, darebbe luogo a risultati del tutto differenti. In questo caso, infatti, a causa della bassa attrattivit commerciale della linea, sarebbe impossibile per i consociati soddisfare il proprio bisogno di mobilit, o comunque sarebbe impossibile soddisfarlo a tariffe accessibili. Il quarto elemento necessario affinch unattivit economica esercitata dallEnte locale possa qualificarsi in termini di servizio pubblico attiene, dunque, alla indefettibilit dellintervento pubblico ai fini della soddisfazione del bisogno primario. In altri termini, [] necessario che lintervento dellente locale sia indispensabile per ladeguata soddisfazione del bisogno (29). quindi servizio pubblico locale solamente quellattivit economica diretta alla soddisfazione di un bisogno primario della collettivit che, in mancanza dellintervento pubblico, rimarrebbe assolutamente o relativamente insoddisfatto. Ci che entra in gioco quel concetto che stato definito, da autorevole dottrina, della adeguatezza del mercato (30). Se il mercato adeguato per garantire la compiuta soddisfazione del bisogno, lintervento dellEnte locale non pu essere giustificato in termini di servizio pubblico. LEnte potr comunque svolgere quella determinata attivit economica, ma questa non sar sottoposta al regime giuridico peculiare che riguarda i servizi pubblici locali. Se, al contrario, il mercato assente - o comunque inadeguato - e di conseguenza non garantisce la soddisfazione del bisogno, lattivit economica svolta dallEnte si qualificher certamente quale servizio pubblico locale. Come si pu facilmente intuire, il concetto di adeguatezza del mercato assolutamente dinamico (31), sia nel tempo che nello spazio, esattamente come (29) M. DUGATO, I servizi pubblici locali, in Associazione per gli studi e le ricerche parlamentari, cit., 77. (30) M. DUGATO, I servizi pubblici locali, in Associazione per gli studi e le ricerche parlamentari, cit., 78. (31) In questi termini, M. DUGATO, I servizi pubblici locali, in S. CASSESE (a cura di), Trattato di Diritto Amministrativo, Diritto Amministrativo Speciale, cit., 2582. 254 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2016 la qualificazione di un bisogno della collettivit quale primario o secondario. Ci che si qualifica come servizio pubblico in un determinato contesto territoriale, potr non esserlo con riferimento ad un altro contesto, e viceversa. Inoltre, il concetto di adeguatezza del mercato non pu che porsi in stretto collegamento con il principio di uguaglianza sostanziale di cui allart. 3, comma 2 della Costituzione (32). Infatti, quandanche il mercato fosse adeguato come offerta per la soddisfazione del bisogno, occorre chiedersi a che prezzo ci avverrebbe per la collettivit. Le tariffe di accesso al servizio potrebbero essere troppo elevate per le fasce pi deboli della popolazione, che sarebbero cos escluse dal servizio. Un mercato adeguato, dunque, non quello che garantisce la mera soddisfazione del bisogno in termini di offerta, ma quel mercato che garantisce la soddisfazione del bisogno nonch laccessibilit diffusa al servizio, indipendentemente dalla condizione economica degli utenti (33). Infine, la qualificazione, nei termini esposti, di unattivit economica in chiave di servizio pubblico locale ne determina la titolarit esclusiva in capo allEnte di riferimento, il quale dovr garantirne lerogazione a prescindere dal modello di gestione adottato (34). 2. Il concetto di trasporto pubblico locale. Dopo questa dovuta premessa, finalmente possibile chiarire cosa si intenda, alla luce delle considerazioni svolte, per trasporto pubblico locale. In questo caso, la definizione viene fornita direttamente dal legislatore, il quale definisce i servizi pubblici di trasporto regionale e locale al secondo comma dellart. 1 del decreto legislativo 19 novembre 1997, n. 422 (35), recante il conferimento alle Regioni ed agli Enti locali di funzioni e compiti in materia di trasporto pubblico locale. Secondo la norma citata, sono servizi (32) Secondo cui compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libert e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese. (33) In questi termini, M. DUGATO, I servizi pubblici locali, in Associazione per gli studi e le ricerche parlamentari, cit., 79. (34) In questi termini, M. DUGATO, I servizi pubblici locali, in S. CASSESE (a cura di), Trattato di Diritto Amministrativo, Diritto Amministrativo Speciale, cit., 2592. (35) Sulla riforma operata dal d.lgs. n. 422/1997 si veda, tra gli altri, A. CLARONI, Le regole di accesso al mercato dei servizi di trasporto pubblico locale, in S. ZUNARELLI, A. ROMAGNOLI, A. CLARONI, Diritto pubblico dei trasporti, Libreria Bonomo Editrice, Bologna, 2013, 180 ss.; A. CLARONI, Il trasporto pubblico locale. Funzione sociale e processi di riforma del settore, cit., 67 ss.; S. BUSTI, Profilo storico della disciplina del trasporto pubblico locale, in A. CLARONI (a cura di), La disciplina del trasporto pubblico locale: recenti sviluppi e prospettive, in Quaderni del Dipartimento di Scienze Giuridiche dellUniversit degli Studi di Trento, 96/2011, 11 ss.; A. CABIANCA, Profili evolutivi delle modalit di gestione del trasporto pubblico locale: verso un mutamento di "paradigma"?, cit., 589 ss.; N. RANGONE, I trasporti pubblici di linea, in S. CASSESE (a cura di), Trattato di Diritto Amministrativo, Diritto Amministrativo Speciale, Tomo III, Giuffr, Milano, 2003, 2309 ss.; C. BURLANDO, Sviluppi della riforma del TPL in Italia, in Trasporti: diritto, economia, politica, n. 88/2002, 33 ss. LEGISLAZIONE ED ATTUALIT 255 pubblici di trasporto regionale e locale [] i servizi di trasporto di persone e merci, che non rientrano tra quelli di interesse nazionale tassativamente individuati dall'articolo 3; essi comprendono l'insieme dei sistemi di mobilit terrestri, marittimi, lagunari, lacuali, fluviali e aerei che operano in modo continuativo o periodico con itinerari, orari, frequenze e tariffe prestabilite, ad accesso generalizzato, nell'ambito di un territorio di dimensione normalmente regionale o infraregionale. Come si pu notare dal testo della norma, il legislatore compie unindividuazione in un certo senso residuale dei servizi pubblici di trasporto regionale e locale, escludendo da tale novero quelli di interesse nazionale individuati tassativamente dallart. 3 del d.lgs. n. 422/1997, a tenore del quale costituiscono servizi pubblici di trasporto di interesse nazionale [] a) i servizi di trasporto aereo, ad eccezione dei collegamenti che si svolgono esclusivamente nell'ambito di una regione e dei servizi elicotteristici; b) i servizi di trasporto marittimo, ad eccezione dei servizi di cabotaggio che si svolgono prevalentemente nell'ambito di una regione; c) i servizi di trasporto automobilistico a carattere internazionale, con esclusione di quelli transfrontalieri, e le linee interregionali che collegano pi di due regioni; d) i servizi di trasporto ferroviario internazionali e quelli nazionali di percorrenza medio-lunga caratterizzati da elevati standards qualitativi []; e) i servizi di collegamento via mare fra terminali ferroviari; f) i servizi di trasporto di merci pericolose, nocive ed inquinanti. Inoltre, dal testo dellart. 1, comma 2 del d.lgs. n. 422/1997, emerge che le attivit di trasporto pubblico di interesse regionale e locale vanno inquadrate nella categoria dei cc.dd. servizi di linea, ossia di quei servizi di trasporto che si caratterizzano per la [] predeterminazione del tragitto, degli orari e, pi in generale, delle caratteristiche delle prestazioni [] (36). La predeterminazione delle caratteristiche del servizio direttamente collegata alla qualificazione dellattivit di trasporto in termini di servizio pubblico, ed quindi funzionale ad assicurare, con regolarit e continuit, la soddisfazione del bisogno di mobilit (37) dei consociati. Dunque, riprendendo le considerazioni svolte in merito alla nozione di servizio pubblico locale, affinch lattivit di trasporto possa soddisfare pienamente il bisogno primario di mobilit dei cittadini, sia in termini di garanzia del servizio che in termini di accessibilit allo stesso, necessario che i pubblici poteri provvedano alla predeterminazione di tutte le caratteristiche del servizio stesso. (36) N. RANGONE, I trasporti pubblici di linea, in S. CASSESE (a cura di), Trattato di Diritto Amministrativo, Diritto Amministrativo Speciale, cit., 2265. (37) Sul diritto alla mobilit quale funzione sociale del servizio di trasporto pubblico locale, si veda A. CLARONI, Il trasporto pubblico locale. Funzione sociale e processi di riforma del settore, cit., 26-35. 256 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2016 3. Il decentramento amministrativo: il decreto legislativo 19 novembre 1997, n. 422 e lavvento del contratto di servizio. A met degli anni 90, la crisi finanziaria in cui versava il trasporto pubblico locale rese manifesta lesigenza di una profonda riforma del settore, che si caratterizzava ormai per scarsa produttivit, cronica perdita di efficacia e di efficienza, elevato costo del lavoro derivante dalleccessivo numero di addetti (basti pensare che il costo del personale rappresentava circa il 70% dei costi totali). Dal punto di vista dei ricavi, invece, pesavano la scarsa qualit del trasporto pubblico e laumento della motorizzazione privata (38). A ci si aggiungeva altres lelevato volume di risorse pubbliche assorbite dal settore (39). Si pensi che, nel solo 1997, anno della riforma, i costi delle imprese operanti nel trasporto pubblico locale ammontavano ad una cifra superiore ai 9000 miliardi di lire (40). Per quanto concerne laumento della motorizzazione privata, si ritiene interessante richiamare losservazione di quella dottrina secondo cui tale fenomeno deriverebbe anche [] dallinefficacia dei mezzi di trasporto collettivo, i quali, tuttavia, sono inefficaci per almeno due cause riconducibili allaumento del trasporto individuale: [da un lato] la congestione generata dai mezzi privati ricade maggiormente sui mezzi di trasporto pubblico [] e determina a sua volta aumenti nelluso dei mezzi individuali []; [dallaltro lato] la riduzione dei ricavi delle aziende di TPL e le conseguenti minori disponibilit finanziarie generano minori investimenti []. Quindi, se vero che laumento nella circolazione privata deriva dallinefficacia del trasporto collettivo, vero anche che tale aumento genera inefficacia nel trasporto collettivo (41). Alla luce della situazione sin qui descritta, evidente come il legislatore del 1997 sia intervenuto con lobiettivo di incrementare lefficacia e lefficienza dellintero settore, superando gli assetti monopolistici presenti nella gestione dei servizi (42), e cercando di riportare ad un livello accettabile il rapporto ricavi/costi delle imprese operanti nel trasporto pubblico locale, in modo da aumentare, in definitiva, la qualit dei servizi offerti agli utenti (43). (38) Cos, C. BURLANDO, Sviluppi della riforma del TPL in Italia, in Trasporti: diritto, economia, politica, n. 88/2002, 34-36. (39) In questi termini, A. CLARONI, Il trasporto pubblico locale. Funzione sociale e processi di riforma del settore, cit., 71. (40) C. BURLANDO, Sviluppi della riforma del TPL in Italia, cit., 37, tab. 1.1, che elabora i dati economico finanziari delle imprese di TPL associate a Federtrasporti (oggi Asstra). (41) C. BURLANDO, Sviluppi della riforma del TPL in Italia, cit., 33-34. (42) Obiettivo espressamente posto dallart. 4, comma 4, lett. b), della legge n. 59/1997. (43) In questi termini, ancora, C. BURLANDO, Sviluppi della riforma del TPL in Italia, cit., 34-35, secondo cui Lesigenza di una ristrutturazione del comparto del TPL in Italia nasce fondamentalmente da un triplice obiettivo: incremento dellefficacia (attraverso un miglioramento nella qualit dei servizi e un recupero di quote di mercato); incremento di efficienza (attraverso un risanamento finanziario); mobilit sostenibile (attraverso un riequilibrio modale e la riduzione delle emissioni). LEGISLAZIONE ED ATTUALIT 257 La delega contenuta nella legge n. 59/1997 (c.d. Bassanini) stata attuata - con riferimento al settore in esame - mediante lemanazione del gi citato decreto legislativo 19 novembre 1997, n. 422, recante il titolo Conferimento alle regioni ed agli enti locali di funzioni e compiti in materia di trasporto pubblico locale, a norma dellart. 4, comma 4, della legge 15 marzo 1997, n. 59, modificato successivamente dal decreto legislativo 20 settembre 1999, n. 400. Il d.lgs. n. 422/1997 rappresenta, tuttoggi, la disciplina statale fondamentale per il settore del trasporto pubblico locale, unitamente alle varie leggi regionali di attuazione ed alle disposizioni generali in materia di servizi pubblici locali a rilevanza economica, a cui si affiancano - prevalendo su alcuni aspetti - le disposizioni dettate dal diritto europeo in materia di trasporto pubblico di passeggeri. Il decreto in esame, oltre a ridefinire lassetto organizzativo del trasporto pubblico locale, stato per certi aspetti anticipatorio rispetto alle scelte di politica legislativa che hanno interessato il pi ampio settore dei servizi pubblici locali nel nuovo millennio (44). I punti su cui ha inciso il d.lgs. n. 422/1997 possono essere cos schematizzati: a) introduzione della gi citata distinzione tra servizi pubblici di trasporto di interesse regionale e locale (art. 1) e servizi pubblici di trasporto di interesse nazionale (art. 3); b) introduzione della [] separazione funzionale tra le attivit di indirizzo, programmazione e controllo del trasporto pubblico locale, che rimangono di competenza delle regioni e degli enti locali [art. 5], e lattivit di gestione del suddetto servizio pubblico [] (45); c) previsione della scelta concorrenziale del gestore del servizio di trasporto pubblico locale mediante gara ad evidenza pubblica (art. 18). d) definizione contrattuale del [] rapporto tra il soggetto programmatore (ente locale) e il soggetto produttore del servizio [] (46), mediante lo strumento del contratto di servizio pubblico (art. 19). Questultimo non che un istituto di derivazione comunitaria sapientemente definito dalla giurisprudenza amministrativa - con la nota sentenza del TAR Piemonte del 10 giugno 2010, n. 2750 - come [] il rapporto mediante il quale un ente pubblico affida ad un erogatore (il gestore) lo svolgimento di determinati servizi pubblici, con contestuale ed eventuale trasferimento di pubbliche funzioni, nonch di beni pubblici strumentali allo svolgimento del servizio affidato e con lindividuazione di specifici obblighi standard di servizio (44) Per il rapporto tra TPL e disciplina dei servizi pubblici locali si veda, tra gli altri, A. CABIANCA, Profili evolutivi delle modalit di gestione del trasporto pubblico locale: verso un mutamento di "paradigma"?, cit., 593-601. (45) A. CLARONI, Le regole di accesso al mercato dei servizi di trasporto pubblico locale, cit., 183. (46) C. BURLANDO, Sviluppi della riforma del TPL in Italia, cit., 49. 258 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2016 pubblico: le parti sono individuate da un lato nellamministrazione pubblica affidante e, dallaltro, nel soggetto gestore del servizio affidato, affidatario. 3.1. Le origini dellistituto del contratto di servizio e lattuale disciplina nellordinamento comunitario. Come gi detto, listituto del contratto di servizio pubblico trae origine dallordinamento comunitario, e in particolare dal regolamento (CEE) n. 1893/1991 del Consiglio, del 20 giugno 1991, di modifica al regolamento (CEE) n. 1191/1969 del Consiglio, del 26 giugno 1969, relativo allazione degli Stati membri in materia di obblighi inerenti alla nozione di servizio pubblico nel settore dei trasporti per ferrovia, su strada e per via navigabile (47), oggi entrambi abrogati e sostituiti dal regolamento (CE) n. 1370/2007 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 ottobre 2007, relativo ai servizi pubblici di trasporto di passeggeri su strada e per ferrovia. Occorre ricordare, brevemente, che con la nozione di obblighi di servizio pubblico (48), si intendono quegli obblighi che, al fine di salvaguardare i propri interessi commerciali, non verrebbero assunti affatto dal soggetto esercente, o non verrebbero assunti nella stessa misura (49). Per tale motivo, dunque, si rende necessaria la loro imposizione ad opera della pubblica Autorit, al fine di salvaguardare interessi generali considerati preminenti rispetto allinteresse commerciale del soggetto esercente. Inoltre, con specifico riferimento al settore del trasporto pubblico di passeggeri, il regolamento (CE) n. 1370/2007, allart. 2, lett. e), definisce lobbligo di servizio pubblico come lobbligo definito o individuato da unautorit competente al fine di garantire la prestazione di servizi di trasporto pubblico di passeggeri di interesse generale che un operatore, ove considerasse il proprio interesse commerciale, non si assumerebbe o non si assumerebbe nella stessa misura o alle stesse condizioni senza compenso. Ci premesso, il reg. (CEE) n. 1191/1969 imponeva agli Stati membri di sopprimere gli obblighi di servizio pubblico nei trasporti per ferrovia, su strada e per via navigabile, salvo il caso in cui il loro mantenimento risultasse ne- (47) In questi termini, A. MOZZATI, Il contratto di servizio nellordinamento comunitario, cit., 731. (48) Per un approfondimento sul tema, si veda, tra gli altri, S. ZUNARELLI, Il sostegno finanziario pubblico ai servizi di trasporto, in S. ZUNARELLI, A. ROMAGNOLI, A. CLARONI, Diritto pubblico dei trasporti, Libreria Bonomo Editrice, Bologna, 2013, 229 ss.; L. DE LUCIA, La regolazione amministrativa dei servizi di pubblica utilit, Giappichelli, Torino, 2002; A. PERICU, Impresa e obblighi di servizio pubblico. L'impresa di gestione di servizi pubblici locali, Giuffr, Milano, 2001. (49) Cos, V. CERULLI IRELLI, Lineamenti di diritto amministrativo, II ed., Giappichelli, Torino 2011, 238. Inoltre, il regolamento (CE) n. 1370/2007 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 ottobre 2007, relativo ai servizi pubblici di trasporto di passeggeri su strada e per ferrovia, allart. 2, lett. e), definisce lobbligo di servizio pubblico come lobbligo definito o individuato da unautorit competente al fine di garantire la prestazione di servizi di trasporto pubblico di passeggeri di interesse generale che un operatore, ove considerasse il proprio interesse commerciale, non si assumerebbe o non si assumerebbe nella stessa misura o alle stesse condizioni senza compenso. LEGISLAZIONE ED ATTUALIT 259 cessario per fornire alla collettivit servizi di trasporto sufficienti (50), e prevedendo in tal caso una compensazione economica a favore delle imprese erogatrici (51). Tuttavia, mancava nel regolamento in parola una disciplina chiara degli strumenti mediante i quali le amministrazioni potessero imporre tali obblighi di servizio pubblico e - conseguentemente - riconoscere alle imprese le compensazioni economiche (52). Per ovviare a tale mancanza, il regolamento in esame veniva emendato dal reg. (CEE) n. 1893/1991, a tenore del quale si prevedeva la possibilit - per le amministrazioni pubbliche - di concludere contratti di servizio pubblico con le imprese di trasporto, al fine di [] garantire servizi di trasporto sufficienti tenendo conto segnatamente dei fattori sociali, ambientali e di assetto del territorio o per offrire particolari condizioni tariffarie a favore di determinate categorie di passeggeri [] (53). Il predetto regolamento, inoltre, conteneva una prima disciplina sul contenuto del contratto di servizio, la quale - tuttavia - appariva nel complesso alquanto scarna (54). Una compiuta sistemazione della materia si avuta con lemanazione del regolamento (CE) n. 1370/2007 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 ottobre 2007, relativo ai servizi pubblici di trasporto di passeggeri su strada e per ferrovia, che ha abrogato il precedente reg. (CEE) n. 1191/1969. Ai sensi dellart. 3 del reg. (CE) n. 1370/2007, lAmministrazione che intende concedere al gestore del servizio di trasporto, scelto mediante procedura concorrenziale, [] un diritto di esclusiva e/o una compensazione di qualsivoglia natura a fronte dellassolvimento di obblighi di servizio pubblico deve farlo nellambito di un contratto di servizio pubblico. Come emerge dal testo citato, nelle situazioni previste dalla norma il regolamento in esame rende obbligatoria ladozione del contratto di servizio. Il regolamento in parola, inoltre, fornisce una precisa definizione del contratto di servizio pubblico, definito dallart. 2, lett. i) come [] uno o pi atti giuridicamente vincolanti che formalizzano laccordo tra una autorit competente e un operatore di servizio pubblico mediante il quale alloperatore stesso affidata la gestione e la fornitura dei servizi di trasporto pubblico di passeggeri soggetti agli obblighi di servizio pubblico []. Lart. 4 del regolamento in esame detta la disciplina del contenuto obbli- (50) In questi termini, C. INGRATOCI, Sulla natura giuridica del contratto di servizio pubblico nel settore dei trasporti, cit., 962. (51) Regolamento (CEE) n. 1191/1969, art. 14, comma 2. (52) In questi termini, A. MOZZATI, Il contratto di servizio nellordinamento comunitario, cit., 733. (53) In questi termini, ancora, A. MOZZATI, Il contratto di servizio nellordinamento comunitario, cit., 733. (54) Cos, M.P. GENESIN, Sulla natura giuridica del contratto di servizio nel settore dei servizi pubblici locali di rilevanza economica, cit., 3086. 260 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2016 gatorio dei contratti di servizio pubblico e della durata degli stessi. A tenore del par. 1, dellart. 4, i [] contratti di servizio pubblico []: a) definiscono con chiarezza gli obblighi di servizio pubblico che loperatore del servizio pubblico deve assolvere e le zone geografiche interessate; b) stabiliscono in anticipo, in modo obiettivo e trasparente: i) i parametri in base ai quali deve essere calcolata leventuale compensazione; e ii) la natura e la portata degli eventuali diritti di esclusiva concessi; in modo da impedire una compensazione eccessiva []; c) definiscono le modalit di ripartizione dei costi connessi alla fornitura di servizi. Tali costi possono comprendere, in particolare, le spese per il personale, per lenergia, gli oneri per le infrastrutture, la manutenzione e la riparazione dei veicoli adibiti al trasporto pubblico, del materiale rotabile e delle installazioni necessarie per lesercizio dei servizi di trasporto di passeggeri, i costi fissi e un rendimento adeguato del capitale. Infine, i contratti di servizio [] definiscono le modalit di ripartizione dei ricavi derivanti dalla vendita dei titoli di viaggio che possono essere trattenuti dalloperatore del servizio pubblico, riversati allautorit competente o ripartiti fra di loro. I successivi paragrafi 3 e 4 della norma in commento riguardano invece la durata dei contratti di servizio pubblico, i quali [] sono conclusi per una durata determinata non superiore a dieci anni per i servizi di trasporto con autobus e a 15 anni per i servizi di trasporto di passeggeri per ferrovia o altri modi di trasporto su rotaia. La durata dei contratti di servizio pubblico relativi a pi modi di trasporto , al massimo, di 15 anni se i trasporti per ferrovia o altri modi di trasporto su rotaia rappresentano oltre il 50% del valore dei servizi di cui trattasi. Tuttavia, la durata del contratto pu essere prorogata sino al massimo del 50% qualora ci sia giustificato dai costi di erogazione del servizio nelle Regioni ultra-periferiche, ovvero dalle modalit di ammortamento dei beni; in questultimo caso, inoltre, se gli investimenti si presentano come eccezionali e se il contratto stato aggiudicato mediante gara ad evidenza pubblica, la durata pu essere anche superiore a quella risultante dalla proroga, purch lAutorit compente trasmetta alla Commissione - entro un anno dalla stipula - il contratto di servizio unitamente agli elementi che ne giustificano la durata superiore (55). Come osservato da autorevole dottrina, [] la trasmissione del contratto alla Commissione consente di sorvolare sui dubbi interpretativi che potrebbero sorgere in merito alla indeterminatezza del concetto di eccezionalit previsto, dalla norma, in relazione allinvestimento sostenuto dalloperatore di servizio pubblico, nonch in relazione alla indefinita quantificazione della durata superiore ascrivibile al contratto medesimo (56). (55) In questi termini, A. CABIANCA, Il trasporto pubblico locale alla difficile ricerca di un centro di gravit, tra disciplina di settore, servizi pubblici locali e normativa comunitaria, cit., 57. LEGISLAZIONE ED ATTUALIT 261 Il regolamento (CE) n. 1370/2007 pone una disciplina della durata del contratto di servizio pubblico in evidente contrasto rispetto a quanto disposto dallart. 18, comma 1, del d.lgs. n. 422/1997, il quale fissa un termine massimo generale di nove anni, e un termine minimo di sei anni (rinnovabili di altri sei) per i servizi di trasporto pubblico ferroviario. Come rilevato in dottrina, e conformemente alla giurisprudenza comunitaria e costituzionale in materia (57), in questi casi deve farsi applicazione del criterio generale di risoluzione delle antinomie tra norme comunitarie immediatamente applicabili e norme interne: in altri termini, si deve procedere alla non applicazione delle seconde in favore delle prime (58). Dunque, nel caso di specie, le Autorit competenti allaffidamento dei contratti di servizio pubblico dovranno applicare lart. 4 del regolamento (CE) n. 1370/2007, il quale, come detto, prevede una durata massima di dieci anni per i servizi prestati mediante autobus, e di quindici anni per i servizi su rotaia. 3.2. Il contratto di servizio nellordinamento italiano. Nellordinamento interno, il contratto di servizio stato introdotto per la prima volta, con riferimento ai servizi pubblici locali - e, segnatamente, ai servizi di trasporto - proprio dal decreto legislativo 19 novembre 1997, n. 422 (59). Successivamente, tale istituto stato esteso al settore della distribuzione del gas naturale, ai sensi del decreto legislativo 23 maggio 2000, n. 164, fino alla generale estensione allintero universo dei servizi pubblici locali avvenuta ad opera dellart. 35 della legge n. 448/2001 (60). Ai sensi dellart. 18, comma 1 del d.lgs. n. 422/1997, Lesercizio dei servizi di trasporto pubblico regionale e locale, con qualsiasi modalit effettuati e in qualsiasi forma affidati, regolato, a norma dellarticolo 19, mediante contratti di servizio []. Il decreto in esame ha dunque previsto il contratto di servizio quale strumento di generale applicazione - nonch obbligatorio - per regolare lesercizio dei servizi di trasporto pubblico regionale e locale (61). Sullobbligatoriet del contratto di servizio si espressa in passato la giurisprudenza am- (56) A. CLARONI, Le regole di accesso al mercato dei servizi di trasporto pubblico locale, cit., 222. (57) Si vedano, in particolare, Corte di giustizia CE, sentenza 9 marzo 1978, causa C-106/77 (c.d. Simmenthal) in www.giurcost.org, e Corte costituzionale, sentenza 5 giugno 1984, n. 170 (c.d. Granital) in www.cortecostituzionale.it. (58) Cos, ancora, A. CABIANCA, Il trasporto pubblico locale alla difficile ricerca di un centro di gravit, tra disciplina di settore, servizi pubblici locali e normativa comunitaria, cit., 62-63. (59) In questi termini, A. CLARONI, Il trasporto pubblico locale. Funzione sociale e processi di riforma del settore, cit., 97, che richiama G. PIPERATA, Tipicit e autonomia nei servizi pubblici locali, Giuffr, Milano, 2005, 321-322. (60) Cos, M.P. GENESIN, Sulla natura giuridica del contratto di servizio nel settore dei servizi pubblici locali di rilevanza economica, cit., 3088. (61) Cos, ancora, M.P. GENESIN, Sulla natura giuridica del contratto di servizio nel settore dei servizi pubblici locali di rilevanza economica, cit., 3088. 262 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2016 ministrativa, e in particolare il TAR Molise, con la sentenza 11 aprile 2002, n. 303, secondo cui deve ritenersi illegittima [] lautorizzazione di un servizio di autolinea il cui esercizio non stato regolato da un contratto di servizio. Di notevole importanza la previsione del secondo comma dellart. 19, a tenore del quale viene sancita la nullit dei contratti di servizio pubblico per i quali non assicurata, al momento della loro stipula, la corrispondenza tra gli importi dovuti dallEnte pubblico allimpresa di trasporto per le prestazioni oggetto del contratto e le risorse effettivamente disponibili. Tali importi, inoltre, ai sensi del quarto comma della norma citata, [] possono essere soggetti a revisione annuale con modalit determinate nel contratto stesso allo scopo di incentivare miglioramenti di efficienza [] in misura non maggiore al tasso programmato di inflazione, salvo leventuale recupero delle differenze in caso di rilevante scostamento dal tasso effettivo di inflazione, a parit di offerta di trasporto. Sul piano dellincremento dellefficienza nel settore dei trasporti, il quinto comma dellart. 19 stabilisce che i contratti di servizio devono avere [] caratteristiche di certezza finanziaria e copertura di bilancio [e devono] prevedere un progressivo incremento del rapporto tra ricavi da traffico e costi operativi, rapporto che, al netto dei costi di infrastruttura, dovr essere pari almeno allo 0,35 a partire dal 1 gennaio 2000. Infine, per quanto riguarda la durata dei contratti di servizio pubblico, lart. 18, comma 1 del d.lgs. n. 422/1997 fissa una termine massimo generale di nove anni. La medesima norma prevede tuttavia uneccezione per i contratti relativi ai servizi di trasporto pubblico ferroviario, che al fine di garantire lefficace pianificazione del servizio, degli investimenti e del personale, devono avere una durata minima non inferiore a sei anni rinnovabili di altri sei. Tuttavia, come si gi argomentato, le disposizioni sulla durata - e non solo - sono ormai oggetto di disapplicazione in favore delle norme contenute nel regolamento (CE) n. 1370/2007. 3.3. La natura giuridica del contratto di servizio e le tipologie applicabili al settore del trasporto pubblico locale. Per quanto riguarda la natura giuridica del contratto di servizio pubblico, sullargomento si autorevolmente espressa la giurisprudenza amministrativa con la gi citata sentenza del TAR Piemonte del 10 giugno 2010, n. 2750 (62), che ha esaminato la questione facendo un confronto tra le tesi elaborate in proposito dalla dottrina, ossia la tesi privatistica e quella pubblicistica. Dopo aver ricondotto il contratto di servizio nellambito del diritto pub- (62) Sulla sentenza TAR Piemonte, Sez. I, 10 giugno 2010, n. 2750, si vedano le gi citate note di M.P. GENESIN, Sulla natura giuridica del contratto di servizio nel settore dei servizi pubblici locali di rilevanza economica, cit., 3081 ss.; e di C. INGRATOCI, Sulla natura giuridica del contratto di servizio pubblico nel settore dei trasporti, cit., 960 ss. LEGISLAZIONE ED ATTUALIT 263 blico, qualificandolo quale contratto ad oggetto pubblico - cio funzionale allesercizio di unattivit pubblica (63) - la sentenza citata ha individuato nellaccordo amministrativo di cui allart. 11 della legge 7 agosto 1990, n. 241, la figura di riferimento che consente tale qualificazione pubblicistica (64). In particolare, il contratto di servizio va ricondotto alla categoria degli accordi sostitutivi necessari, rappresentando lunica modalit tipizzata di esercizio del potere amministrativo, per la costituzione-regolazione del rapporto tra gestore e Amministrazione, e non unalternativa al provvedimento finale (65). Si ritiene utile riportare qui le parole del Collegio, secondo cui i contratti di servizio pubblico [] non sono, in realt, negozi di diritto privato, ma cc.dd. contratti ad oggetto pubblico; in particolare, essi ricadrebbero nella categoria degli accordi sostitutivi di provvedimento, in quanto sostitutivi del provvedimento concessorio, precedentemente sussistente e regolante i rapporti gestore- Amministrazione; tali accordi, quindi, ricadono nella giurisdizione esclusiva del G.A. ai sensi dellart. 11 della l. 241 del 1990. La particolarit degli accordi in esame quella di appartenere alla species dei cc.dd. accordi necessari, species tipica del settore dei servizi pubblici locali, nella quale il legislatore stesso ad imporre la conclusione di un accordo in luogo del provvedimento. In conclusione, non resta che soffermarsi sulle tipologie di contratto di servizio che trovano applicazione nel settore dei servizi pubblici di trasporto. La dottrina individua generalmente due tipologie contrattuali, il contratto di servizio gross cost e il contratto di servizio net cost, che si differenziano in relazione a due parametri fondamentali: il rischio industriale ed il rischio commerciale (66). Il rischio industriale attiene alleventualit che i costi di esercizio eccedano quelli previsti, mentre il rischio commerciale connesso alla possibilit che i ricavi tariffari effettivi siano inferiori a quelli preventivati (67). La tipologia di contratto gross cost addossa al soggetto gestore-affidatario il solo rischio industriale, permanendo quello commerciale in capo allAmministrazione affidante, la quale dovr erogare direttamente al gestore un corrispettivo - pattuito ex ante e indicato nel contratto - a copertura integrale degli oneri di servizio (68). Come stato attentamente osservato, la tipologia in questione corrisponderebbe alla nozione comunitaria di appalto (69). Il contratto net cost, invece, addossa al soggetto gestore-affidatario, che (63) Cos, A. CLARONI, Il trasporto pubblico locale. Funzione sociale e processi di riforma del settore, cit., 99. (64) In questi termini, M.P. GENESIN, Sulla natura giuridica del contratto di servizio nel settore dei servizi pubblici locali di rilevanza economica, cit., 3100. (65) Cos, ancora, M.P. GENESIN, Sulla natura giuridica del contratto di servizio nel settore dei servizi pubblici locali di rilevanza economica, cit., 3101. (66) In questi termini, A. CLARONI, Il trasporto pubblico locale. Funzione sociale e processi di ri-forma del settore, cit., 103. (67) Cos, ancora, A. CLARONI, Il trasporto pubblico locale. Funzione sociale e processi di riforma del settore, cit., 103-104. 264 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2016 percepisce i proventi tariffari, sia il rischio industriale che quello commerciale, prevedendo che lAmministrazione affidante eroghi al gestore un corrispettivo - pattuito ex ante e indicato nel contratto - a copertura della differenza tra i costi di esercizio e i ricavi di traffico previsti (70). Eminente dottrina ha tuttavia osservato come la tipologia di contratto net cost corrisponda allistituto della concessione di servizi, in base al quale la controprestazione a favore del concessionario-gestore consiste unicamente nel diritto di gestire e sfruttare economicamente il servizio - in questo caso di trasporto pubblico regionale e locale - percependo i relativi proventi tariffari, con laggiunta eventuale di un prezzo pattuito con lAmministrazione qualora al concessionario venga imposto di praticare prezzi inferiori a quelli ordinari di mercato, ovvero qualora si tratti di assicurare determinati standard di qualit del servizio stesso (71). evidente come un contratto gross cost comporti il rischio intrinseco che il soggetto gestore-affidatario ponga in essere una politica gestionale mirata al mero contenimento dei costi, senza stimolarlo ad un incremento della qualit e dellefficienza del servizio, e di conseguenza delle entrate tariffarie (72). Per queste ragioni sono state elaborate nella prassi una serie di fattispecie contrattuali intermedie alle due principali, tra cui il c.d. contratto gross cost incentivante. Si tratta di una tipologia di contratto di servizio che [] al normale regime contrattuale del gross cost [] associa una serie di clausole (c.d. di bonus/malus) strettamente connesse ai ricavi da traffico. In tale contesto, attraverso lindividuazione di parametri incentivanti, al raggiungimento (o meno) dei quali pu corrispondere il percepimento di un premio (che, generalmente, si traduce nel percepimento di parte dei ricavi da traffico) ovvero, in caso contrario, lapplicazioni di penali, laffidatario stimolato ad offrire allutenza un servizio pi efficiente ed efficace e, conseguentemente, ad incrementare i ricavi (73). Mediante tale correttivo apportato al contratto gross cost, le Amministrazioni affidanti cercano di annullare le potenziali conseguenze negative collegate a tale tipologia contrattuale, in modo da garantire alla collettivit un servizio efficace ed efficiente. (68) Cos, A. CLARONI, Il trasporto pubblico locale. Funzione sociale e processi di riforma del settore, cit., 104. (69) Cos, A. NICOTERA, Laffidamento in house del servizio di trasporto pubblico locale, in A. CLARONI, La disciplina del trasporto pubblico locale: recenti sviluppi e prospettive, in Quaderni del Dipartimento di Scienze Giuridiche dellUniversit degli Studi di Trento, 96/2011, 101. (70) In questi termini, A. CLARONI, La regolamentazione del trasporto pubblico locale in Italia, in S. ZUNARELLI (a cura di), Il diritto del mercato del trasporto, in F. GALGANO (a cura di), Trattato di diritto commerciale e di diritto pubblico delleconomia, Vol. 49, Cedam, Padova, 2008, 171. (71) Cos, S. BUSTI, Profilo storico della disciplina del trasporto pubblico locale, cit., 46. (72) Cos, A. CLARONI, Il trasporto pubblico locale. Funzione sociale e processi di riforma del settore, cit., 104. (73) A. CLARONI, Le regole di accesso al mercato dei servizi di trasporto pubblico locale, cit., 213. CONTRIBUTI DI DOTTRINA Profili problematici della tutela processuale in tema di pensioni ordinarie dinanzi alla Corte dei Conti Adolfo Mutarelli* SOMMARIO: 1. Cenni minimi intorno alla giurisdizione pensionistica della Corte dei Conti dei pubblici dipendenti (privatizzati e non) - 2. Evoluzione del processo pensionistico - 3. Prescrizione ed incompetenza territoriale - 4. Termini di proposizione dellappello - 5. Brevi considerazioni conclusive. 1. Cenni minimi intorno alla giurisdizione pensionistica della Corte dei Conti dei pubblici dipendenti (privatizzati e non). In materia di previdenza del lavoro pubblico (1) non si riscontra lidentit tra giudice del rapporto e giudice della sicurezza sociale che contraddistingue il rapporto di lavoro privato. A sua volta nello stesso ambito del lavoro pubblico la giurisdizione sul rapporto ripartita tra giudice ordinario per i rapporti di lavoro pubblico privatizzati e giurisdizione amministrativa esclusiva per i rapporti relativi alle c.d. categorie escluse come individuate nellart. 1, comma 4, d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165 (2). Tale diversificato regime si ricompone in unit per le controversie di previdenza obbligatorie che, per i lavoratori privatizzati e non, rientrano nella giurisdizione esclusiva della Corte dei Conti in abito di giudice del rapporto (*) Gi Avvocato dello Stato. (1) Lambito della giurisdizione della Corte dei Conti in subiecta materia abbraccia sia la materia delle pensioni ordinarie (civili e militari) che le pensioni di guerra. In proposito agevole il rinvio a F. GARRI - G. DAMMICO - A. LUPI - P. DELLA VENTURA - L. VENTURINI, I giudizi innanzi alla Corte dei conti, Giuffr, Milano, 2007 passim. (2) Per unaccurata analisi delle categorie escluse agevole il rinvio a M. GERARDO, Controversie escluse dalla cognizione del giudice ordinario in funzione di giudice del lavoro, in Il Processo nelle controversie di lavoro pubblico, in M. GERARDO - A. MUTARELLI, Giuffr, Milano, 2012, p. 69 ss. 266 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2016 pensionistico, ricomprendendosi in tali controversie, a norma degli artt. 13 e 62 del r.d. 12 luglio 1934, n. 1214, tutte quelle concernenti la sussistenza del diritto, la misura e la decorrenza della pensione dei pubblici dipendenti, comprese quelle nelle quali si alleghi, a fondamento della pretesa, l'inadempimento o l'inesatto adempimento della prestazione pensionistica da parte dell'ente obbligato, ancorch non sia in contestazione il diritto al trattamento di quiescenza nelle sue varie componenti e la legittimit dei provvedimenti che tale diritto attribuiscono e ne determinano l'importo, e comprese quelle di risarcimento danni per l'inadempimento delle suddette obbligazioni (3) nonch le azioni volte al recupero di ratei di pensione gi erogati (4) e le azioni di rivalsa intraprese dal datore di lavoro nei confronti del lavoratore fruitore di un trattamento pensionistico superiore al dovuto determinato da errate comunicazioni effettuate dal datore di lavoro allente erogatore del trattamento previdenziale (5). Appare necessario avvertire che, per le pensioni ordinarie, lambito della giurisdizione pensionistica della Corte dei Conti non abbraccia solo le controversie concernenti pensioni a carico totale o parziale dello Stato (art. 62, r.d. 12 luglio 1034, n. 1214), e delle Regioni, ma anche quelle relative agli iscritti alle diverse Casse e Istituti di previdenza confluiti nellINPDAP, a sua volta confluita nellINPS (art. 21, comma 1, d.l. 6 dicembre 2011, n. 201, convertito dalla l. 22 dicembre 2011, n. 214, c.d. riforma Monti-Fornero) e infine tutti i rapporti pensionistici in cui lo Stato concorra con altri enti (pubblici o privati) posti in relazione di strumentalit. La competenza della Corte stata confermata anche per le controversie pensionistiche di ex dipendenti pubblici sottoposti al regime di contrattualizzazione a seguito della privatizzazione (6) e anche nei confronti di lavoratori di enti trasformati in societ private allorch il trattamento pensionistico sia alimentato dallo Stato (7). Sicch, evidente (3) In tal senso da ultimo Cass., Sez. Un., ord. 27 febbraio 2013, n. 4853. Il Consiglio di Stato, in pi occasioni, ha affermato che rientra nella giurisdizione della Corte dei Conti ogni contestazione in ordine alla legittimit o meno del discusso recupero di ratei di pensione e che la giurisdizione esclusiva in materia di pensioni dei pubblici dipendenti si estende in via orizzontale anche alle controversie relative ad atti di recupero di ratei di pensione erogati e non dovuti, venendo in discussione lan o il quantum del trattamento pensionistico (cfr. Cons. St., Sez. IV 25, giugno 2010, n. 4108; Sez. V, 23 novembre 2010, n. 8156; in tema di demarcazione tra la giurisdizione amministrativa e quella contabile cfr. in particolare, Cons. St., Sez. VI, 21 dicembre 2012, n. 6641 e Sez. IV, 15 febbraio 2013, n. 923). (4) Cass., 10 giugno 2004, n. 11025. (5) Cass., Sez. Un., 10 marzo 2015, n. 11769. (6) Corte Cost., 10 maggio 2002, n. 185; Cass., Sez. Un., 25 giugno 2002, n. 9285. (7) Cass., Sez. Un., 10 febbraio 2007, n. 221 secondo cui <>. Da ultimo in tal senso Cass., Sez. Un., Ord. 27 febbraio 2013, n. 4853. Per il personale delle Poste Italiane s.p.a. C. conti, Sez. App. Sicilia, 1 marzo 2002, n. 27/A in Riv. Corte conti, fasc. 2, 2002, p. 244. (8) In giurisprudenza si affermato che il principio secondo cui l'attribuzione al giudice ordinario della giurisdizione in tema di rapporto di lavoro, non seguita dal mutamento della disciplina pubblicistica previdenziale e pensionistica, non incide sulla preesistente giurisdizione della Corte dei conti che resta ferma. In tal senso Corte Cost., 10 maggio 2002, n. 185, Cass., Sez. Un. 25 giugno 2002, n. 9285; C. conti, Sez. Riun., 9 agosto 2001, n. 10973. (9) P. VIRGA, La tutela giurisdizionale nei confronti della Pubblica Amministrazione, IV ed., Giuffr, Milano, 2003, p. 278. (10) C. Cost., 12 aprile 1973, n. 41 ha implicitamente riconosciuto valore di legge al r.d. 13 agosto 1933, n. 1038, emanato in attuazione della delega contenuta nell'art. 32 della legge 3 aprile 1933, n. 255. 268 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2016 che prevedevano le conclusioni e lintervento del procuratore generale (11) e la conseguente abolizione delle funzioni istruttorie del pubblico ministero (12), imprimendo per tal via la svolta in senso dispositivo del processo pensionistico quale giudizio di parti in contraddittorio ancora prima che tali principi trovassero custodia costituzionale nellart. 111 Cost. Lart. 6, comma 7, l. n. 19/1994 modellava inoltre il contenuto del ricorso introduttivo in linea con quanto previsto per il processo del lavoro dallart. 414 c.p.c., (forse) inavvertitamente ponendo le premesse della manovra di avvicinamento a tale processo che trover compimento con la l. 21 luglio 2000, n. 205. Tale ultimo intervento normativo ha infatti poi introdotto (art. 5, comma 1) la monocraticit dellorgano giudicante (confermata poi anche per la fase cautelare dalla lett. a) dellart. 42, comma 1, l. 19 giugno 2009, n. 69) prevedendo altres espressamente che <> (art. 5, comma 2). Tale ultima innovazione ha evidentemente comportato una pi forte accentuazione del carattere dispositivo del processo pensionistico, quale processo di parti, secondo il modello tipico del processo del lavoro. Levoluzione cos delineata non deve per far ritenere che tale rinvio automatico alle norme sul processo del lavoro (non filtrato, cio, da un esame di compatibilit e non imposto dallesistenza di eventuali lacune) consenta ex se il travaso di altre norme di tale processo non espressamente richiamate. A una tale conclusione osta non solo la considerazione di carattere logico secondo cui ubi lex voluit dixit, ubi noluit tacuit quanto piuttosto lesistenza dellart. 26, r.d. 13 agosto 1933, n. 1038 per il quale <>. Tale rinvio, come quello contenuto nellart. 208 del coevo Testo Unico sulle acque pubbliche (r.d. 11 dicembre 1933, n. 1775), oramai ritenuto pacificamente di carattere dinamico, riferito cio al codice di procedura civile vigente e non allabrogato codice del 1865 (13). Forse pi correttamente pu ritenersi che (11) corretta losservazione che la partecipazione del Procuratore Generale non rispondeva alle esigenze privatistiche di una parte processuale bens ad esigenze pubblicistiche di controllo della spesa previdenziale per garantirne la coerenza con le esigenze della finanza statale, in tal senso M. ANDREIS, Il giudice unico delle pensioni, in Il nuovo processo amministrativo dopo la la l. 21 luglio 2005, n. 205, Giuffr, Milano, 2001, p. 382. (12) F. ROSELLI, Le controversie in materia di previdenza e assistenza sociale, Utet, Torino, 1995, p. 302 e ss. (13) Appare corretto rammentare che sino a met degli anni 60 ai rinvii della specie era stato riconosciuto carattere statico (Cass., 25 maggio 1965, n. 1029, in Foro it., 1965, I, c. 1921) con orientamento decisamente poi mutato negli anni, in particolare per quanto concerne Il Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche (Cass., Sez. Un., 29 ottobre 1981, n. 5693, in Foro it., 1982, I, c. 75 con nota di F. PIETROSANTI; Trib. Sup. acque pubb., 14 luglio 1979, n. 21, in Giust. civ., 1979, I, p. 1791) ed ancora di re- CONTRIBUTI DI DOTTRINA 269 la ricordata previsione dellart. 26, pi che un rinvio in senso tecnico, contiene lenunciazione del principio di applicabilit delle norme del codice di procedura civile come corpus normativo speciale rispetto alle norme che presiedono al processo dinanzi alla Corte dei Conti. Legge generale che, ovviamente, non pu che essere quella in vigore al momento in cui il singolo procedimento si svolge (14). In questo senso deve pertanto condividersi che il rinvio di cui allart. 26 citato va inteso come affermazione positiva della collocazione del giudizio contabile nellambito dei principi e delle regole dellordinario giudizio civile, salve le particolari disposizioni dettate in funzione della particolare specificit della materia oggetto del processo pensionistico (15). Entrambi i richiamati rinvii (art. 26, r.d. n. 1038/1933 e art. 208, r.d. n. 1775/1933) subordinano lapplicabilit delle norme del processo civile allidentico presupposto dellinesistenza di una specifica disposizione allinterno del relativo complesso normativo con il comune limite della c.d. compatibilit applicativa. Trattasi pertanto non di applicazione diretta dei principi propri del processo civile quale diritto processuale comune e trasversale, quanto piuttosto dintegrazione analogica da compiere con avvertita cautela e che pu ritenersi consentita solo laddove le norme oggetto dellintegrazione non abbiano struttura e funzione tali da farle apparire dettate con esclusivo riferimento allordinario processo civile ed applicabili sempre che non contrastino con i principi propri del processo celebrato dinanzi alla Corte dei Conti. Solo nella riferita prospettiva pu ritenersi feconda losmosi tra processo civile e processo dinanzi alla Corte dei Conti che a sua volta, come il processo civile, conosce al proprio interno una pluralit di riti retti da principi propri e da principi tra loro comuni. cente per la Corte dei Conti (C. conti, Sez. Giur. Piemonte, 24 settembre 2014, n. 113). Con la richiamata sentenza 5693/1981, le Sezioni Unite evidenziarono come a rinvii della specie deve riconoscersi carattere dinamico in quanto in caso contrario il sistema rischierebbe altrimenti di rimanere frantumato in una pluralit di schemi gi in s deprecabile, e inoltre suscettibile di creare difficolt applicative. (14) Proprio per la natura dinamica del rinvio di cui allart. 26, r.d. 1038/1933 la Corte dei Conti giunta ad applicare alla misura del sequestro cautelare contabile il reclamo ex art. 669-terdecies c.p.c.: C. conti, Sez. Riun., 28 giugno 1994, n. 6/QM, in Riv. Corte conti, 1994, fasc. 4, p. 51, con soluzione poi ratificata con lintervento della l. 205/2000 che al punto 1 dellart. 5 ha previsto espressamente la reclamabilit dinanzi al collegio dei provvedimenti cautelari emessi dal giudice unico. In prosieguo di tempo, in senso conforme ad una sollecitazione in tal senso avanzata (mi sia consentito il rinvio in proposito a A. MUTARELLI, Sullapplicabilit dellart. 669-terdecies c.p.c. al processo cautelare davanti al T.S.A.P., in Corr. Giur., 1997, p. 40 e ss), il carattere dinamico del rinvio al reclamo cautelare ha consentito che il reclamo cautelare conquistasse anche il processo amministrativo dinanzi al Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche, quale giudice degli interessi legittimi in unico grado: Trib. Sup. acque pubb., 28 maggio 2001, in Foro it., 2002, I, c. 462, con nota di A. MUTARELLI, Lart. 669 terdecies c.p.c. conquista il processo amministrativo dinanzi al Tribunale Superiore delle acque pubbliche. Per analisi storica dellevoluzione della tutela cautelare dinanzi al TSPA: G. MASTRANGELO, I Tribunali delle acque pubbliche, Ipsoa, Milano, 2009, p. 240 e ss. (15) M. RISTUCCIA, Applicabilit dei principi del giusto processo al giudizio contabile, in Riv. Corte conti, 2000, fasc. 3, p. 200 e, in particolare, p. 202. 270 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2016 La chiarezza degli obiettivi, come spesso avviene, non si traduce sol per questo in semplicit del percorso integrativo, che nel caso di specie deve tener conto da un lato dei principi comuni dei riti celebrati dinanzi alla Corte dei Conti (16), dellaffinit storica con la giurisdizione esclusiva dinanzi alla giustizia amministrativa (essendo entrambe nate a struttura impugnatoria) dallaltro del carattere non monolitico del processo civile e, particolarmente per quanto concerne il giudizio pensionistico, dellesigenza di scegliere la fonte integrativa nel processo ordinario ovvero in quello del lavoro. Scelta, questultima, apparentemente di elezione teorica ma che presenta significative quanto intuitive ricadute sul piano della concreta disciplina del processo. Il nodo da sciogliere dunque costituito dallinterrogativo se il (pi recente) rinvio ope legis a talune norme del processo del lavoro non abbia elevato proprio tale processo a fonte di integrazione analogica ai sensi dellart. 26, r.d. 1038/1933. Per evidenti motivi di economia del presente contributo si esamineranno nei successivi paragrafi solo i profili pi controversi e le posizioni assunte al riguardo hinc et inde con riferimento a taluni specifici temi di maggior interesse e rilievo pratico per lutenza previdenziale. 3. Prescrizione e incompetenza territoriale. Un tema di particolare rilievo, su cui pu dirsi che non si raggiunta una soluzione pacificante, lindividuazione del termine ultimo in cui deve (o meno) essere sollevata leccezione di prescrizione. Tale problematica, anche per il suo significativo rilievo economico, divenuto un terreno di verifica (se non di scontro) alla luce del quale stabilire se esista o meno nel processo pensionistico un termine di decadenza per tale eccezione e, in tal caso, quale sia il termine concretamente applicabile. Secondo un primo orientamento sposato in un primo tempo dalle Sezioni Riunite della Corte dei Conti, leccezione di prescrizione doveva ritenersi soggetta al regime preclusivo dellart. 416 c.p.c. in quanto al processo dinanzi alla Corte dei Conti andavano estese le norme del c.d. rito lavoro anche non richiamate nellart. 5, l. 205/2000, a condizione che fosse configurabile un rapporto di strumentalit necessaria tra le stesse (17). In chiave dichiaratamente sintonica venne in una successiva decisione, sempre a Sezioni Riunite, espressamente precisato che in virt del rinvio dinamico dellart. 26, r.d. 1038/1933 doveva trovare applicazione lart. 416, comma 2, c.p.c., anche se non richiamato dallart. 5, l. 205/2000, in virt del rapporto di complementariet e strumentalit con lart. 420 c.p.c. (18). (16) Per una accurata disamina degli istituti del processo contabile tuttora applicabili al processo pensionistico si rinvia a M. SCIASCIA, Manuale di diritto processuale contabile, Giuffr, Milano, 2012, pp. 892-894. (17) C. conti, Sez. Riun., 24 gennaio 2002, n. 2/QM, in Foro Amm. - Cons.Stato, 2002, p. 219, con nota di M. ARRIGUCCI. CONTRIBUTI DI DOTTRINA 271 Passaggio obbligato di tale orientamento lo spostamento del baricentro del processo pensionistico verso il processo speciale del lavoro che, allindomani del rinvio alle norme di tale processo da parte dellart. 5, l. n. 205/2000, viene ritenuto presentare maggiori profili di affinit con tale rito piuttosto che con quello ordinario (19). peraltro evidente come in tale contesto al rinvio dinamico dellart. 26, r.d. n. 1038/1933, viene inevitabilmente assegnato un ruolo integrativo attraverso un processo, quello del lavoro, inesistente nel 1933, con cui tuttavia pu dirsi che il processo pensionistico rivelasse delle similitudini strutturali ben prima del rinvio del ricordato art. 5, l. n. 205/2000 (20). In prosieguo di tempo le Sezioni Riunite hanno rivisitato il proprio precedente (oramai) consolidato orientamento ed hanno affermato linapplicabilit del termine preclusivo di cui allart. 416 c.p.c. in quanto non richiamato dallart. 5, l. 205/2000 (art. 12 delle preleggi c.c.), nonch linapplicabilit dellart. 167 c.p.c. in quanto tale disposizione non sarebbe compatibile con la struttura del procedimento pensionistico e, quindi, non sussumibile in virt del rinvio dinamico di cui allart. 26, r.d. n. 1038/1933 (21). Sicch il convenuto (rectius: la parte tenuta allobbligazione previdenziale) sarebbe abilitato a proporre le eccezioni processuali e di merito non rilevabili dufficio anche con memoria depositata oltre i termini stabiliti nel decreto di fissazione di udienza ed anche alludienza di discussione della causa (22), con facolt altres di modificare le eccezioni gi proposte a prescindere dallesistenza dei gravi motivi di cui allart. 420 c.p.c. (23). Ci evidentemente in quanto il rapporto di complementariet necessaria che lega nel processo del lavoro lart. 420 c.p.c. allart. 416 c.p.c. non impone di ritenere che tale complementariet debba sussistere in modo indissolubile anche in un processo segnatamente diverso come quello pensionistico. Il predetto orientamento costituisce di fatto una trincea posta a difesa della spesa previdenziale consentendo una tutela della parte convenuta fortemente differenziata rispetto alla tutela offerta nel processo ordinario, del lavoro (e previdenziale). In proposito non convince liter argomentativo proposto nei delineati percorsi giurisprudenziali n, tantomeno, la ritenuta applicabilit dellart. 416 c.p.c. (18) C. conti, Sez. Riun., 3 marzo 2004, n. 4/QM, in D. & G., 2004, 46, p. 77, con nota di A. BRIGUORI. (19) V. TENORE, La nuova Corte dei Conti (responsabilit, pensione e controlli), Giuffr, Milano, 2013, p. 964. (20) Gi prima della legge 205/2005 il rito dinanzi alla Corte dei Conti si caratterizzava per un potere sindacatorio attenuato nella ricerca delle prove, per la mancanza di unarticolazione del processo in fase istruttoria e fase decisoria; nellimpianto ordinario, gi prima dellintroduzione del codice di rito del 1942, era altres prevista la lettura del dispositivo. (21) C. conti, Sez. Riun., 21 febbraio 2008, n. 2/QM, in Riv. Corte conti, 2008, fasc. 1, p. 35. (22) C. conti, Sez. III App., 7 giugno 2007, n. 159/A; C. conti, Sez. II centr., 14 dicembre 2006, n. 472. (23) C. conti, Sez. I App., 9 novembre 2007, n. 413/A. 272 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2016 quale espressione di un principio immanente allordinamento processualcivilistico secondo cui le eccezioni non rilevabili dufficio devono soggiacere, per ragioni di economia processuale, alla sanzione della loro decadenza (24). Cos come non convince che la ritenuta inapplicabilit dellart. 416 c.p.c. passi per un ingiustificato depotenziamento del richiamo espresso allart. 420 c.p.c. La problematica va, pertanto, analizzata portando lindagine sul campo dellesistenza delle norme concretamente applicabili e della loro compatibilit (25). Deve in primo luogo osservarsi che in assenza dellespresso richiamo dellart. 416 c.p.c. da parte dellart. 5, l. n. 205/2000, appare virtuosa ma non convincente forzatura ritenerne lapplicabilit derivata per complementariet necessaria con lart. 420 c.p.c. In realt tale ultima disposizione, tesa evidentemente a mitigare il rigore dei termini preclusivi sanciti dallart. 416 c.p.c., pi che posta in rapporto di strumentalit necessaria con lart. 416 c.p.c. appare coerente con il principio di completezza degli atti introduttivi ed assunta a presidio di esigenze di ordine pubblico attinenti al processo (quali i principi di concentrazione e di immediatezza in funzione di garanzia dello svolgimento del processo in tempi ragionevoli). In funzione cio dellattuazione di principi costituzionali oramai propri di ogni processo (art. 111 Cost.) e di tutela del cittadino nel processo. Del resto, da un lato, la modifica delle domande e delle eccezioni subordinata allesistenza di gravi motivi e alla previa autorizzazione del giudice (art. 420, comma 1 c.p.c.) e, dallaltro, leventuale violazione di proporre domande nuove sanzionata con linammissibilit rilevabile ex officio e deducibile per la prima volta anche in sede di legittimit (26). Il rapporto di strumentalit va pertanto pi opportunamente colto tra i principi di tali norme piuttosto che tra le norme stesse. Deve daltro canto valorizzarsi il rilievo che le norme del processo del lavoro richiamate dallart. 5, l. n. 295/2000, attengono tutte alla fase di trattazione del giudizio lasciando inalterata la fase introduttiva e di costituzione delle parti in giudizio. Se il mancato richiamo dellart. 416 c.p.c. ne esclude pertanto la applicabilit automatica, non inibisce allinterprete di individuare, questa volta in virt del rinvio dinamico dellart. 26, r.d. n. 1038/1938, altre disposizioni coe- (24) In tal senso in giurisprudenza da ultimo, C. conti, Sez. Giur. Lazio, 18 luglio 2014, n. 596. Invero anche la dottrina che propone lapplicabilit dellart. 167 c.p.c. parte pi dal presupposto della irretrattabile evoluzione dellordinamento processuale che dallesame di compatibilit di tale norma con il processo pensionistico (M. SCIASCIA, Manuale di diritto processuale contabile, Giuffr, Milano, 2012, pp. 915-916; V. TENORE, La nuova Corte dei conti, cit., p. 960). (25) Per unacuta analisi della nozione di compatibilit sotto il profilo processuale: TOMMASEO, Variazione sulla clausola di compatibilit, in Riv. dir. proc., 1993, p. 695 e ss. Quanto allesame della problematica circa lammissibilit della c.d. compatibilit parziale consentita dallart. 669-quartedecies c.p.c.: A. MUTARELLI, Processo cautelare e misure fiscali ex art. 26 l. 4/1929, in Corr. giur., 1994, p. 1372. (26) Cass., Sez. lav., 5 luglio 2007, n. 15147. CONTRIBUTI DI DOTTRINA 273 renti con la ricordata funzione assegnata dallordinamento allart. 420 c.p.c., da applicarsi previa verifica di compatibilit con il processo pensionistico e che possano ritenersi in rapporto di strumentalit con lart. 420 c.p.c. (espressamente richiamato dallart. 5, l. n. 205/2000). Il riferimento naturale allart. 167 c.p.c. che contempla la decadenza del convenuto dalle domande ed eccezioni non rilevabili dufficio ove non proposte nella comparsa di costituzione tempestivamente depositata (27). In tale indagine deve innanzitutto evidenziarsi, come pacifico, che il bacino elettivo di integrazione del processo pensionistico sia costituto dal processo ordinario, unico procedimento disciplinato dal codice di procedura civile del 1865, e del resto altrettanto pacifico in dottrina che la costituzione dellamministrazione debba avvenire con comparsa negli stessi modi e forme dellart. 166 c.p.c. (28). Daltra parte lart. 167 c.p.c. in rapporto di strumentalit con lart. 183 c.p.c. che consente di precisare e modificare le domande, le eccezioni e le conclusioni gi formulate senza il filtro dei gravi motivi e dellautorizzazione del giudice richiesti dallart. 420 c.p.c. N in senso contrario pu ritenersi che lapplicabilit dellart. 167 c.p.c. sia incompatibile con lart. 8, r.d. n. 1038/1933 secondo cui <>. Appare infatti del tutto erronea linterpretazione secondo cui tale disposizione dimostrerebbe che il processo pensionistico non tollera decadenze diverse da quelle afferenti a gravami. In primo luogo, sotto il profilo letterale, evidente che la formula termini regolativi del procedimento non involge eventuali termini stabiliti per le eccezioni di parte, tantՏ che in mancanza di previsione di conseguenze [] provveder il giudice. In secondo luogo non pu riconoscersi rilievo ostativo alla circostanza che lart. 4, r.d. n. 1038/1933 si limita a precisare che lo scambio delle comparse, memorie e risposte tra le parti si effettua mediante deposito in segreteria senza prevedere decadenze processuali. infatti sin troppo evidente che il predetto complesso normativo costituito dal r.d. 1038/1933 con il rinvio dellart. 26 intendesse per lappunto permeare il processo pensionistico con i principi propri del processo ordinario quale legge processuale generale (29). (27) P. SANDULLI - A.M. SOCCI, Il processo del lavoro, Giuffr, Milano, 2010, p. 576. (28) M. SCIASCIA, Manuale di diritto processuale contabile, cit., p. 915; V. TENORE, La nuova Corte dei conti, cit., p. 960. (29) Seppur con riferimento allevoluzione del processo amministrativo consueto il rinvio a M. NIGRO, Giustizia amministrativa, III ed., Il Mulino, 1983, pp. 325-326 e a G. VERDE, Norme processuali ordinarie e processo amministrativo, in Foro it., 1985, V, c. 157. 274 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2016 N peraltro deve sfuggire che il rinvio alle norme del codice di procedura civile del citato art. 26 diverso dal coevo rinvio contenuto nellart. 208, r.d 1775/1933 in quanto il primo fa esplicito riferimento non solo alle norme del rito civile ma anche ai termini del processo civile sicch, rispetto a tale specifica formulazione del rinvio non dato distinguere tra termini perentori e ordinatori. Lintento era infatti proprio quello di colmare il processo contabile con i termini del processo civile, quale disciplina processuale generale del processo. Appare pertanto evidente che, anche sotto tale profilo, deve ritenersi lapplicabilit al processo pensionistico dellart. 167 c.p.c. e dei suoi termini. Diversamente opinando dovrebbe ritornarsi a riconoscere carattere statico (e non dinamico) al rinvio di cui al ricordato art. 26, riportando il processo pensionistico al codice di procedura del 1865 con buona pace dei principi costituzionali oramai propri di ogni processo socialmente civile ad onta dellevoluzione registrata dalla disciplina del processo pensionistico e dello stesso processo in generale. Ovviamente il dibattito in ordine alla tempestivit delleccezione di prescrizione parte dallimplicito presupposto dellapplicabilit al processo pensionistico dellart. 2938 c.c., secondo cui il giudice non pu rilevare la prescrizione non opposta (30). In proposito agevole osservare che, ancora di recente, parte della giurisprudenza postula lofficiosit del rilievo valorizzando oltre ogni limite il potere sindacatorio che competerebbe al giudice delle pensioni in virt del quale potrebbe conoscere del rapporto controverso indipendentemente dalla stessa allegazione delle parti (31). Tale orientamento, peraltro superato in giurisprudenza (32), non tiene conto che per effetto del rinvio automatico dellart. 5, l. n. 205/2000, la diretta applicabilit dellart. 421 c.p.c. ha grandemente ridimensionato il potere sindacatorio avendo oramai il giudizio una forte connotazione dispositiva alla luce della quale al giudice non consentito di ampliare il tema decisorio oltre i limiti dellart. 112 c.p.c. (33). Problematica del tutto analoga si registra in tema di competenza territoriale che, per i giudizi pensionistici dinanzi alla Corte dei Conti va determinata in base alla residenza del ricorrente allatto della proposizione del ricorso (art. 5 c.p.c.). Trattasi, ad eccezione di qualche isolata pronunzia (34), di compe- (30) Per uno specifico esame delle problematiche proprie del processo civile in ordine alleccezione di prescrizione sia consentito il rinvio a A. MUTARELLI, Modo di far valere la prescrizione, in A. MUTARELLI - M. GERARDO, Prescrizione e decadenza, Giappichelli, Torino, 2015, p. 97 e ss. (31) C. conti, Sez. II centr., 29 novembre 2001, n. 367/A, in Riv. Corte conti, 2001, fasc. 6, p. 172. (32) C. conti, Sez. Riun., 27 maggio 2004, n. 7/QM, in Foro amm. - Cons. Stato, 2004, p. 2966. (33) Per lammissibilit dellemissione di ordinanze di somme non contestate (art. 186-bis c.p.c.): A. MUTARELLI, Profili critici della tutela processuale in tema di pensioni ordinarie garantita dalla Corte dei Conti, in Laccesso alla sicurezza sociale. Diritti soggetti e tutela processuale, (a cura di M. ESPOSITO e G. DELLA PIETRA), Giappichelli, 2015, Torino, p. 125. (34) C. conti, Sez. giur. Campania, 7 dicembre 2002, n. 1820. CONTRIBUTI DI DOTTRINA 275 tenza derogabile e come tale non rilevabile dufficio ma dal solo resistente che dovr eccepirla, a pena di decadenza (art. 38 c.p.c.), nella comparsa di costituzione e risposta depositata nei termini di cui allart. 167 c.p.c. (35) e dovr contenere altres lespressa indicazione del giudice ritenuto competente (36). 4. Termini di proposizione dellappello. Occorre in primo luogo rilevare che sia la dottrina che la giurisprudenza, indipendentemente dalla ritenuta affinit con il processo del lavoro, sono unanimi nel ritenere che al processo pensionistico si applica la sospensione feriale di cui allart. 1, l. 7 ottobre 1969, n. 742 (37) propria del rito ordinario e non del rito del lavoro che ad essa sottratto (38). Tale condivisibile opzione appare evidentemente poco coerente con lorientamento di chi postula la generalizzata applicabilit per affinit al processo pensionistico delle norme del processo del lavoro. Viceversa vi ampio e acceso contrasto sul termine applicabile per la proposizione dellappello, che divenuto solo di recente proponibile avverso le sentenze in primo grado della Corte dei Conti a seguito (art. 1, comma 5, del d.l. 15 novembre, n. 453, convertito dalla l. n. 19/1994) e che risulta peraltro consentito per i soli motivi di diritto. Evidente, in questultima previsione, lintento di evitare la proliferazione di appelli con effetto devolutivo che avrebbe comportato la concentrazione nella sola sede centrale di tutto il contenzioso impugnatorio. Quanto ai termini, il comma 5-bis del ricordato art. 1 stabilisce che lappello proponibile dalle parti entro sessanta giorni dalla notificazione o, comunque, entro un anno dalla pubblicazione della decisione. Atteso il tenore letterale della disposizione vi dibattito intorno al termine applicabile ai giudizi instauranti a far tempo dalla data del 4 luglio 2009. dubbio infatti se debba ritenersi che tale previsione si limiti in sostanza a rinviare all'analoga norma dell'art. 327 c.p.c., con la conseguente dimidiazione dei termini disposta dallart. 46, l. 18 giugno 2009, n. 69 o, viceversa, se il mancato espresso rinvio allart. 327 c.p.c. ne inibisca lapplicazione al processo contabile. (35) C. conti, Sez. Riun. 31 marzo 2004, n. 5/QM, in Foro amm. - Cons. Stato, 2004, p. 2956; C. conti, Sez. Riun., 28 novembre 2003, n. 19, in Riv. Corte conti, 2003, fasc. 6, p. 58. (36) L'eccezione, per la sua formulazione, non necessita di formule sacramentali (essendo sufficiente che dalle ragioni addotte per dimostrare l'incompetenza del giudice adito risulti quale altro giudice sia dalla parte ritenuto competente) e pertanto richiede l'indicazione del giudice al quale debba essere attribuita la competenza: cos GIONFRIDA, voce Competenza civile, in ED, VIII, Milano, 1961. In giurisprudenza in tal senso C. conti, Sez. Riun., 7 marzo 2002, n. 5, in Riv. Corte conti, 2002, fasc. 2, p. 95. (37) D. CROCCO, Il giudizio pensionistico di appello innanzi alla Corte dei conti, Jovene, 2013, p. 22. V. TENORE, La nuova Corte dei conti, cit., p. 967. C. conti, Sez. II centr., 4 ottobre 2010, n. 370/QM, in Riv. Corte conti, 2010, fasc. 5, p. 140. (38) C. conti, Sez. II centr., 10 novembre 2003, n. 306 e 4 ottobre 2010, n. 370/A. 276 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2016 La dottrina appare divisa sul punto, talora propendendo per la applicabilit tout-court dellart. 327 c.p.c. sulla base della sola considerazione che labbreviazione utile ai tempi del processo (39), ovvero dando per presunta la generalizzata applicazione dellart. 327 c.p.c. in guisa di principio processuale comune (40). In altri casi lesistenza della problematica non sembra del tutto avvertita dandosi per scontata lapplicabilit del termine annuale, quale termine lungo per limpugnazione (41) ovvero valorizzandosi prevalentemente il tenore letterale della previsione di cui al comma 5-bis dellart. 1 gi sopra ricordato (42). In tale ultimo senso appare orientata la giurisprudenza che valorizza a tale fine il rilievo dellesistenza della specifica previsione del termine di un anno per lappello senza alcun rinvio allart. 327 c.p.c. (vecchio o nuovo testo) (43). Deve in proposito osservarsi che anche lesame di tale vexata quaestio passa inevitabilmente per lo snodo normativo costituito dal rinvio al codice di procedura civile contenuto nellart. 26, r.d. n. 1038/1033 che non sembra consentire alcun innesto automatico al processo pensionistico delle norme del codice di procedura civile, dovendo sempre preventivamente effettuarsi una valutazione di compatibilit con la struttura del processo al fine anche di verificare che non esista gi una specifica disciplina di settore (44). Nel caso di specie la disciplina di settore costituita per lappunto dal ricordato art. 1, l. 15 novembre 1993, n. 453, convertito dalla l. n. 19/1994, che contiene una disciplina dellappello e dei suoi effetti del tutto sagomata sul processo pensionistico. Cos in tema di soggetti legittimati allimpugnazione, di motivi di impugnazione circoscritti ai soli motivi di diritto, di previsione di rinvii espressi a specifiche disposizioni normative nonch di disposizioni di carattere organizzativo delle sezioni della Corte dei Conti. Il predetto complesso normativo ha pertanto dettato una disciplina completa dellappello tenuto conto che tale strumento di impugnazione costituiva una novit nellambito del giudizio dinanzi alla Corte dei Conti. Tale considerazione chiarisce il motivo per cui la nuova fase impugnatoria stata introdotta senza alcun rinvio al codice di procedura civile essendo evidente lintento di dettare una disciplina esaustiva continuando a consentire il ricorso suppletivo al codice di rito solo attraverso lart. 26, r.d. n. 1038/1933. Nella delineata prospettiva ermeneutica necessario verificare se la previsione di uno specifico corpus normativo per lappello dinanzi alla Corte dei Conti, con la specifica espressa previsione del termine di un anno per impugnare costituisca o (39) S. IMPERIALI, I lineamenti essenziali dellappello davanti alla Corte dei Conti, in www.amcortedeiconti.it. (40) M. SCIASCIA, Manuale di diritto processuale contabile, cit., p. 970. (41) V. TENORE, La nuova Corte dei conti, cit., p. 1017. (42) D. CROCCO, Il giudizio pensionistico di appello davanti alla Corte dei Conti, cit., pp. 21-25. (43) C. conti, Sez. giur. app. Sicilia, 5 giugno 2013, n. 186. (44) C. conti, Sez. Riun., 21 febbraio 2008, n. 2/QM. CONTRIBUTI DI DOTTRINA 277 meno un insormontabile dato ostativo allapplicazione, a mezzo dellart. 26, r.d. n. 1038/1933, dellart. 327 c.p.c. secondo cui il rinvio alle norme e termini del codice di rito consentito in quanto siano applicabili e non siano modificati dalle norme del presente regolamento. Ad una pi attenta analisi pu forse ritenersi che la soluzione del quesito non debba necessariamente passare per il filtro dellart. 26 citato, in quanto le norme che hanno introdotto e regolato lappello nel processo dinanzi alla Corte dei Conti costituiscono un corpus del tutto autonomo dal presente regolamento (art. 26, r.d. 1038/1933) che non stato dalle stesse in alcun modo modificato. Tuttavia allinapplicabilit dellart. 327 c.p.c. pu giungersi pi fondatamente considerando che tale norma non pu ritenersi aver abrogato in parte qua la previsione del termine annuale previsto per lappello nei processi dinanzi alla Corte dei Conti, non tanto per la specialit di tale processo, quanto per il significativo rilievo che lart. 44 della ricordata l. 69/2009, nel modificare varie norme del libro secondo del codice di procedura civile (tra cui lart. 327 c.p.c. riducendo il termine di impugnazione da un anno a sei mesi), ha espressamente previsto al punto 24 che il solo primo comma dellart. 291 c.p.c. potesse applicarsi al giudizio amministrativo e a quello contabile con ci escludendo che tali modifiche potessero integrare, agli effetti dellart. 15 delle disposizioni della legge in generale, una nuova disciplina della materia. La previsione del termine annuale per lappello dinanzi alla Corte dei Conti non pu ritenersi pertanto scalfita dalla disciplina successiva dei termini dellimpugnazione del processo civile quandanche de iure condendo deve convenirsi che non sia ragionevole la conservazione di un termine (oramai) cos lungo per limpugnazione delle sentenze (45). 5. Brevi considerazioni conclusive. In tale prospettiva deve convenirsi che sul piano sistematico sono venute meno le stesse ragioni che militavano per una giurisdizione speciale per le pensioni dei pubblici dipendenti e che lo stesso controllo della spesa previdenziale pubblica oramai obiettivo ragionevolmente e pi efficacemente perseguibile con ben altri strumenti. Del resto, la previsione di una giurisdizione specifica per le pensioni dei pubblici dipendenti distinta rispetto a quella del rapporto costituisce un isolato primato dellordinamento italiano e non pu ritenersi peraltro assistita da garanzia costituzionale, che copre in via diretta solo la materia di contabilit pubblica e non anche la materia pensionistica compresa <> (ex art. 103, comma 2, Cost.) (46). (45) Del resto pacifico che il termine di 6 mesi di cui al novellato art. 327 c.p.c. si applica, sempre con decorrenza 4 luglio 2009, anche al processo tributario come disciplinato dal d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546. (46) V. GUCCIONE, voce Corte dei Conti, in EGT, 1988, p. 11. 278 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2016 Gli evidenti profili di discrasia esistenti tra processo previdenziale dinanzi alla Corte dei Conti e davanti al giudice ordinario rende palese la necessit che si proceda in tempi serrati verso una omogeneizzazione della disciplina, nel dichiarato obiettivo di garantire ai lavoratori, con oneri previdenziali a carico pubblico o meno, una parit (se non identit) di tutela processuale. Peraltro la privatizzazione gi attuata imporrebbe una concentrazione di giurisdizione in favore del giudice ordinario, con salvezza (al pi) dei soli c.d. rapporti esclusi dalla privatizzazione che potrebbero rimanere sotto legida della Corte dei Conti. Tuttavia ci, verosimilmente, non avverr e proseguir, pertanto, la bigamia processuale del dipendente privatizzato tra giudice del rapporto e giudice della previdenza con le conseguenti problematiche sui talora incerti confini di un tale distinguo. Tuttavia lanalisi dei pur limitati profili di dibattito esaminati nel presente lavoro deve rendere consapevoli che maturo il tempo per por mano ad unopera di codificazione o, quanto meno, di consolidazione dei riti celebrati davanti alla Corte dei Conti e, in particolare, di quello c.d. pensionistico, la cui disciplina deve essere marcatamente ispirata allattuazione allinterno di tale processo dei consolidati principi costituzionali, al fine di conformare un processo, seppur differenziato, non difforme da tali principi e da quelli realizzati nel processo previdenziale del giudice ordinario. Una tale esigenza non sembra per, allo stato, avvertita, in quanto la giurisdizione della Corte dei Conti continua ad essere concepita come sicurezza e controllo della spesa previdenziale piuttosto che come sicurezza previdenziale, secondo unottica ancora (forse) troppo vicina allamministrazione che alla giurisdizione. auspicabile che passi sempre pi decisi vengano in via pretoria compiuti dalla stessa Corte dei Conti affinch, come gi a suo tempo in tema di applicabilit del reclamo ex art. 669-terdecies c.p.c. (47), possa giocare di anticipo sul legislatore, imprimendo una svolta alla propria giurisprudenza in modo tale da renderla sempre di pi interprete e autrice di una tale evoluzione costituzionalmente orientata. In tale prospettiva il rinvio dellart. 26, r.d. n. 1038/1933, potr essere usato in senso pi dinamico e divenire nello stesso tempo grimaldello e saldatore dellazione conformativa di un processo sempre meno contabile e sempre pi civile. (47) Per unanalisi dellevoluzione della tutela cautelare dinanzi alla Corte dei Conti agevole il rinvio a P. NOVELLI, I provvedimenti cautelari nei giudizi contabili, cit., passim nonch alla precedente nota n. 15. CONTRIBUTI DI DOTTRINA 279 La destinazione patrimoniale nel transito da moduli tipici a forme atipiche di esercizio dellimpresa: larchetipo del contratto di rete Francesco Maria Ciaralli* Simone DOrsi** SOMMARIO: 1. Introduzione - 2. Il contratto di rete nel novero delle figure di collaborazione imprenditoriale - 3. Il contratto di rete come modello transtipico - 4. Il contratto di rete nel novero di quelli plurilateriali con comunione di scopo - 5. La rinnovata centralit dellautonomia privata alla luce del principio di sussidiariet - 6. Il superamento della concezione personalistica del patrimonio e lemersione di moduli atipici - 7. La rete-contratto quale fenomeno di autonomia patrimoniale priva di soggettivit giuridica - 8. Rilievi conclusivi. 1. Introduzione. Il presente studio, condotto nellambito della Scuola di Dottorato in Diritto ed Impresa dellUniversit Luiss Guido Carli, persegue un duplice obiettivo. Da un lato, si propone di prendere in esame lemersione di moduli atipici di esercizio dellimpresa, fortemente innovativi rispetto alla sistematica tradizionale recepita nel Codice civile vigente ed ereditata dal Codice di commercio del 1882, viceversa incentrata sulla tipicit. Dallaltro lato, il presente lavoro ambisce a porre in luce un fenomeno di rilevanza generale nellordinamento civilistico: il superamento della concezione personalistica del patrimonio, con il conseguente riconoscimento legislativo della piena autonomia patrimoniale ad enti privi di personalit giuridica. Tali linee di ricerca convergono nellanalisi di un istituto giuridico di recente introduzione, il contratto di rete, che costituisce il punto di emersione delle maggiori tensioni che innervano i rapporti tra la dogmatica tradizionale e le nuove esigenze di collaborazione imprenditoriale, poste dalla pratica degli affari e recepite dal legislatore (1). 2. Il contratto di rete nel novero delle figure di collaborazione imprenditoriale. I contratti di collaborazione nellattivit dimpresa, il cui numero andato progressivamente aumentando, sollevano numerose questioni. In particolare, ci vero per il contratto di rete. (*) Dottorando di Ricerca in Diritto ed Impresa presso lUniversit Luiss Guido Carli di Roma, gi praticante forense presso lAvvocatura Generale dello Stato e tirocinante presso il Consiglio di Stato. (**) Dottorando di Ricerca in Diritto ed Impresa presso lUniversit Luiss Guido Carli di Roma. Il dott. Ciaralli ha curato i paragrafi 1, 5, 6, 7 e 8; il dott. DOrsi i paragrafi da 2 a 4. (1) Il contratto di rete, introdotto dallart. 3 del d.l. 10 febbraio 2009, n. 5, convertito con modificazioni dalla legge 9 aprile 2009, n. 33, stato oggetto di molteplici interventi di riforma. Listituto de quo esaminato, nel prosieguo dellarticolo, nei suoi tratti di pi rilevante novit, con peculiare riguardo agli aspetti di rilievo sistematico e propedeutici allesame del nuovo regime di responsabilit patrimoniale introdotto per il contratto di rete. 280 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2016 Quello della collaborazione imprenditoriale un fenomeno sempre pi diffuso, molto sviluppato gi da lunga data soprattutto nel Nord Est Italia ed in particolare tra le P.M.I., che per tale via cercano di ridurre i costi al fine di poter competere con le imprese di maggiori dimensioni. Il fenomeno, sorto nella prassi, si avvalso in primo luogo dei modelli contrattuali tradizionali, quindi in particolare di quello consortile e di quello societario, cui col tempo si sono affiancate figure negoziali inedite. Del resto, linteresse per nuove forme di collaborazione andato crescendo anche nel settore pubblico, dove si fatta sempre pi impellente lesigenza di individuare strumenti di coordinamento nellattivit di diverse amministrazioni, al fine di ridurre la spesa: si pensi al fenomeno, sempre pi rilevante, delle centrali di acquisto, che acquistando beni in grandi quantit riescono a spuntare sul mercato prezzi inferiori rispetto a quelli che le singole amministrazioni sarebbero costrette a pagare. Con il tempo, dunque, il legislatore intervenuto con frequenza sempre maggiore a disciplinare la collaborazione tra imprese; in particolare, la disciplina che maggiormente ha stimolato linteresse degli interpreti stata quella del contratto di rete, regolato dal d.l. 5 del 2009 e modificata a pi riprese, in particolare con la l. 122 del 2010. Minore si rivelato linteresse degli operatori nei primi anni dallintroduzione dellistituto: fino al 2011 risultavano essere non numerosissimi, soltanto 162, i contratti di rete stipulati. Il contratto di rete definito dallart. 3, comma 4 ter, del d.l. del 2009 come quello attraverso il quale pi imprenditori perseguono lo scopo di accrescere, individualmente e collettivamente, la propria capacit innovativa e la propria competitivit sul mercato e a tal fine si obbligano, sulla base di un programma comune di rete, a collaborare in forme e in ambiti predeterminati attinenti all'esercizio delle proprie imprese ovvero a scambiarsi informazioni o prestazioni di natura industriale, commerciale, tecnica o tecnologica ovvero ancora ad esercitare in comune una o pi attivit rientranti nell'oggetto della propria impresa. Oltre che per questa indicazione, di cui si avverte la vaghezza, la disciplina del contratto di rete piuttosto scarna; essa impone soltanto che il contratto sia redatto per atto pubblico o per scrittura privata autenticata e che venga iscritto nel registro delle imprese dai soggetti che partecipano alla rete (2). (2) Peraltro, in dottrina (A. CAPRARA, Il contratto di rete e gli adempimenti pubblicitari, in Giur. Comm., 2015, I, p. 113 e ss.), si osservato come gli adempimenti pubblicitari mutino a seconda della struttura che le parti intendano dare alla rete, nonch, in caso di costituzione di un fondo patrimoniale, dello specifico regime dei beni conferiti. Secondo C. CAMARDI, Dalle reti di imprese al contratto di rete nella recente prospettiva legislativa, in Contratti, 2009, p. 930, la forma ҏ scritta (atto pubblico o scrittura privata autenticata), a contenuto prescrittivo vincolato - come solitamente si prevede per questa nuova generazione di contratti tra imprenditori. Laffermazione richiama la rilevanza del tema del c.d. terzo contratto, sottolineata pure da M. ORLANDI, Condizioni generali di contratto e reti atipiche, P. IAMICELI (a cura di), in Le imprese e i contratti di rete, Torino, 2009, p. 92. CONTRIBUTI DI DOTTRINA 281 Dalle norme che regolano il contenuto obbligatorio del contratto, si desume poi che sono necessarie: i) la predisposizione di un programma comune e ii) la designazione di un organo comune, incaricato di rappresentare la rete ed eseguire il programma, eventualmente anche attraverso listituzione di un fondo patrimoniale comune o, per le sole societ per azioni, mediante la costituzione di patrimoni destinati ad un specifico affare. 3. Il contratto di rete come modello transtipico. Muovendo da queste poche regole, in dottrina si coniata per quello di rete lespressione di contratto transtipico (3) e si parlato di tipizzazione anomala (4). Entrambe le espressioni sono state utilizzate per indicare che il contratto di rete, in quanto tipizzato in maniera leggera (o debole), pu sia appartenere ad un tipo gi esistente (5) che rappresentare esso stesso un nuovo tipo contrattuale. Si tratta di una definizione senzaltro eccentrica per chi sia abituato a pensare che un contratto possa essere tipico o meno, senza possibilit di tinte sfocate e gradazioni della tipicit. perci opportuno vagliare innanzitutto la correttezza di questespressione. Lesigenza nasce dalla considerazione secondo cui la giurisprudenza, posta di fronte ad un concreto contratto, ove appena diventi rilevante statuire sulla natura del contratto stesso, fa di tutto per ricondurre la fattispecie ad un tipo (6); questa quella che si soliti indicare come mentalit tipizzante (7) del giurista. In ci non sembra di essersi allontanati molto dal principio romanistico della tipicit dei negozi. La questione rilevante in quanto se un contratto presenta gli elementi indicati dal legislatore, esso sussumibile nel tipo, con la conseguenza che ad esso sono ricondotti gli effetti che la norma ricollega allappartenenza al tipo stesso. Inoltre, e forse soprattutto, dalla riconduzione al tipo deriva lesigenza di rispettare i requisiti, anzitutto quelli formali, imposti per i negozi riconducibili al tipo. Anzitutto, bisogna intendersi su quale delle possibili accezioni della tipicit sia quella assunta da chi fa riferimento al contratto di rete come transtipico. (3) F. CAFAGGI, Introduzione, in F. CAFAGGI (a cura di), in Il contratto di rete, Bologna, 2009, p. 24; E. BRIGANTI, La nuova legge sui contratti di rete tra le imprese: osservazioni e spunti, in Notariato, 2010, II, p. 191 ss., che parla di contratto transtipico proprio in quanto leggero. (4) F. MACARIO, Il contratto e la rete: brevi note sul riduzionismo legislativo, in F. MACARIO - C. SCOGNAMIGLIO (a cura di), Reti di imprese e contratto di rete, in I contratti, 2009, 953. (5) Sembrano riconoscere solo questa ipotesi M. MALTONI - P. SPADA, Il contratto di rete, in Studio n. 1-2011/I del Consiglio Nazionale del Notariato, p. 4. Questa possibilit espressamente riconosciuta anche da G. VILLA, Reti di imprese e contratto plurilaterale, in Giur. comm., 2010, VI, p. 944 ss. (6) R. SACCO, Autonomia contrattuale e tipi, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1966, 790. (7) M. GIORGIANNI, Riflessioni sulla tipizzazione dei contratti agrari, in Riv. dir. agr. 1969, I, 153. 282 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2016 perci necessaria una definizione della categoria, che non la confonda con la mera nominativit. Secondo lopinione in passato nettamente prevalente (8), lelemento identificativo del tipo sarebbe rappresentato dalla causa del contratto: ci implica che nel tipo del contratto di rete andrebbero ricondotti tutti i contratti aventi la funzione di perseguire la funzione economico - sociale espressa dallart. 3, comma 4 ter, del d.l. 5 del 2009. In questa prospettiva, non si vedrebbe perch negare al contratto di rete la natura di contratto tipico. Esso sarebbe il modello entro cui collocare tutti i contratti che rispondano a tale causa. Questa tesi stata sottoposta a critiche negli anni 70 del secolo scorso; in particolare, in un noto scritto intitolato proprio Il tipo contrattuale (9), si proposto di individuare lelemento determinante la tipicit nei tratti peculiari e caratterizzanti di ciascuna figura contrattuale e non pi soltanto nella causa. Muovendo da questa premessa, sarebbe pi difficile riconoscere la tipicit del contratto di rete, dal momento che in effetti non facile individuare specifici elementi in grado di distinguerlo dagli altri tipi contrattuali esistenti (10). Tuttavia, le conclusioni non possono essere cos nette, e proprio la cautela da osservare pu spiegare il ricorso alla formula transtipico. Ad esempio, si sostenuto che gli elementi differenziali potrebbero appartenere non solo allarea della fattispecie, ma anche a quella degli effetti (11). Cos ragionando, si potrebbe rinvenire nel contratto di rete un elemento differenziale idoneo a conferire tipicit al modello. Si allude a quello che sembrerebbe essere leffetto principale del contratto di rete: la possibilit di beneficiare di taluni vantaggi di natura fiscale. Unefficace critica a questo ragionamento potrebbe tuttavia essere quella che rileva come cos argomentando si rischierebbe di offrire una risposta tautologica ed inutile al problema: apparterrebbero al tipo solamente i contratti che possano essere ammessi alle agevolazioni; se non che lammissione alle agevolazioni pu essere semmai un punto darrivo, non di partenza. Soprattutto, per, occorre rilevare come a seconda della nozione di tipicit che si assume, il contratto di rete possa essere considerato quale nuovo tipo contrattuale o meno. In entrambi i casi non sembrerebbe infondata la premessa da cui muove la tesi della transtipicit: il contratto di rete, sia assumendo luna che laltra delle nozioni di tipicit riferite, potrebbe appartenere sia ad un diverso tipo (8) Tra le opinioni pi autorevoli, quelle di E. BETTI, Teoria generale del negozio giuridico, Torino, 1960, pp. 185-186, e F. SANTORO PASSARELLI, Dottrine generali del diritto civile, Napoli, 1964, 173. (9) G. DE NOVA, Il tipo contrattuale, Padova, 1974, 70 ss. (10) G. VETTORI, Il contratto di rete e sviluppo dellimpresa, in Persona e mercato (rivista on line), pp. 4-5, ricorre alla formula di contratto transtipico proprio richiamando lopinione di G. De Nova sulla categoria della tipicit. (11) G. DE NOVA, Il tipo contrattuale, cit., 70 ss. CONTRIBUTI DI DOTTRINA 283 che essere un contratto non ancora tipizzato (12). Il contratto di rete rappresenta dunque un esempio emblematico della possibilit per il concetto di tipicit di operare su pi livelli, suscettibili di sovrapporsi tra loro. Contraria a questipotesi di lavoro una parte della dottrina (13), che propone di considerare tipico il contratto di rete, ma non transtipico; si vorrebbero cos delimitarne i confini in maniera netta ed in modo da evitare ogni sovrapposizione con altre discipline contrattuali, in modo da mantenere distinti i tipi. Il tema complicato dal fatto che la riflessione civilistica sulla nozione di tipicit pare essersi sviluppata con riferimento soprattutto ai contratti di scambio. 4. Il contratto di rete nel novero di quelli plurilaterali con comunione di scopo. La questione porta ad emersione lulteriore problema della struttura del contratto di rete. Questo pu essere modellato secondo tre schemi, alternativi o anche suscettibili di intrecciarsi tra loro (14). Il primo quello di una molteplicit di rapporti paralleli, una pluralit, dunque, di contratti tra loro solo formalmente distinti e separati - ad esempio la molteplicit di rapporti che pu correre tra un unico produttore e la pluralit di soggetti cui sono concesse le licenze di sfruttamento del prodotto. Il secondo schema formato da una molteplicit di rapporti bilaterali - ad esempio pi rapporti di subfornitura allinterno di una stessa filiera. Il terzo richiama invece la struttura del contratto plurilaterale, e quindi di un accordo che vincola tutti i soggetti della rete - ad esempio un unico rapporto avente ad oggetto le diverse fasi di produzione di un unico bene affidate a diverse imprese. Sicuramente il terzo modello quello che suscita maggiore interesse ed i problemi pi consistenti. Problematica la stessa categoria civilistica del contratto plurilaterale. Si sostenuto che dallart. 1420 cod. civ. e da disposizioni analoghe (1446, 1459, 1466) si trae come al centro della nozione di contratto plurilaterale vi sia non un elemento strutturale, e cio quanti sono i soggetti dellaccordo, ma uno funzionale, e cio il perseguimento di uno scopo comune. Plurilaterale sembra essere, nel linguaggio del codice, il contratto con comunione di scopo (15). (12) Del resto, lo stesso G. DE NOVA, Il tipo contrattuale, cit., 78, affermava che un elemento, per poter essere tratto distintivo di un tipo, non necessario che sia presente solo in quel tipo: sufficiente che sia tratto distintivo nei confronti di un altro tipo, e quindi pu essere presente in pi tipi (ovviamente, non pu esserlo in tutti). [] I tratti distintivi, per essere tali, dovranno rispondere ad un unico requisito, quello di essere essenziali del tipo: essenziali nel senso che la loro assenza non consenta di sussumere il contratto nel tipo legale, s che il contratto dovr essere ascritto ad altro tipo, o essere qualificato atipico. (13) G.D. MOSCO, Frammenti ricostruttivi sul contratto di rete, in Giur. Comm., 2010, I, p. 839 ss. (14) G. VILLA, Reti di imprese e contratto plurilaterale, in Giur. comm., 2010, VI, p. 944 ss. (15) G. VILLA, Reti di imprese e contratto plurilaterale, cit., p. 944 ss. 284 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2016 Questa impostazione figlia del dibattito sviluppatosi negli anni Venti e Trenta sulla configurabilit stessa di contratti tra pi di due parti. Da un lato, stava lopinione secondo cui il contratto avrebbe dovuto essere necessariamente bilaterale (16) e dallaltra quella secondo cui invece anche i negozi tra pi di due parti avrebbero potuto essere catalogati tra i contratti (17). Dietro queste differenti vedute stava a sua volta il dibattito tra chi riconduceva gli enti associativi entro la dimensione istituzionale e chi invece in quella contrattuale. Il legislatore, ponendo fine al dibattito, opt per ricondurre il fenomeno associativo entro lo schema contrattuale, disciplinando sotto il nome del contratto plurilaterale quello con comunione di scopo. Di conseguenza, si potrebbe dire che nei contratti di rete, anche quando stipulati solamente tra due parti ed anche quando aventi funzione di scambio, sia possibile ravvisare un rapporto plurilaterale nellaccezione appena indicata, in quanto gli interessi delle parti convergono verso il medesimo fine. Del resto, in favore di contratti plurilaterali nel senso del codice intercorrenti anche solo tra due soggetti si era espressa pure una dottrina pi risalente (18). La rilevanza del problema pu tuttavia essere ridimensionata se si considera che le regole che il codice civile detta per i contratti plurilaterali non sembrano poter prescindere dalla pluralit delle parti. Si pensi, a modo desempio, proprio allart. 1420; ebbene, esso dispone che nei contratti plurilaterali la nullit che colpisce il vincolo di una sola delle parti non importa nullit del contratto, salvo che la partecipazione di essa debba, secondo le circostanze, considerarsi essenziale: appare evidente come una regola di tale tenore presupponga necessariamente la presenza di almeno tre parti. Pi significativa pu essere unaltra conclusione, e cio quella che pone in luce come le regole dei contratti plurilaterali sarebbero suscettibili di applicazione anche nei casi in cui la rete sia realizzata mediante un fascio di rapporti bilaterali di scambio, uniti dallessere strumentali allesistenza della rete, sicch, per fare ancora riferimento allart. 1420 cod. civ., il venir meno di uno di tali rapporti non necessariamente dovrebbe minare lesistenza della rete, se essa pu comunque realizzare lo scopo per cui costituita; questopinione stata espressa in tempi molto recenti (19). 5. La rinnovata centralit dellautonomia privata alla luce del principio di sussidiariet. Occorre inoltre tenere presente che gli strumenti organizzativi dellattivit di impresa, ontologicamente idonei a coinvolgere gli interessi di molteplici categorie di operatori (ceto creditorio, lavoratori, stakeholders, etc.), (16) F. MESSINEO, Il negozio giuridico plurilaterale, in Annalia Univ. Cattolica, 1926-1927, 53 ss. (17) T. ASCARELLI, Contratto plurilaterale e negozio plurilaterale, in Foro Lomb., 1932, 439 ss. (18) T. ASCARELLI Contratto plurilaterale e negozio plurilaterale, cit., 1932, 439 ss. (19) G. VILLA, Reti di imprese e contratto plurilaterale, cit., p. 944 ss. CONTRIBUTI DI DOTTRINA 285 sono il campo sul quale meglio pu cogliersi la contrapposizione tra la cittadella dellautonomia privata ed il primato della legge (20). Tale risalente contrapposizione stata superata da unevoluzione storica culminata nellintroduzione in Costituzione del principio di sussidiariet orizzontale, alla cui stregua lo Stato e gli enti locali favoriscono lautonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attivit di interesse generale (art. 118, c. 4, Cost., come sostituito dalla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3) (21). In virt della menzionata disposizione, dunque, si attribuita alla competenza primaria dellautonomia negoziale la disciplina dei beni privati (come intesi dalle pronunce della Corte costituzionale nn. 300 e 301 del 2013), sicch in tale ambito letero-normazione dei pubblici poteri legittima solo ove lautoregolamentazione dei privati si riveli insufficiente (22). Di tale principio pare possibile cogliere le ricadute proprio osservando la disciplina del contratto di rete. Come gi sottolineato, questo, in quanto caratterizzato proprio dallo scopo comune, d vita ad un fenomeno che nei suoi tratti essenziali pu rievocare quello pi risalente delle societ e dei consorzi. Tuttavia, da questi modelli esso si differenzia per la sua struttura estremamente elastica (23). Infatti, mentre la disciplina dei consorzi e delle societ articolata e segnata dalla presenza di forme organizzative rigide - per quanto sia nota la costante espansione degli spazi lasciati allautonomia privata -, la struttura del contratto di rete molto duttile, o meglio non tipizzata dal legislatore. Unico elemento davvero rilevante per lordinamento pare essere il perseguimento del fine indicato dalla legge (24); per il resto, le parti godono della pi ampia libert: possono, in via esemplificativa, decidere di dare vita o meno ad un nuovo soggetto giuridico, di costituire o meno un patrimonio autonomo, di dare vita o meno ad unorganizzazione di tipo corporativo. (20) Per la nozione di cittadella dellautonomia privata si veda, sia pure in diverso ambito, PROSSER, The Assault upon the Citadel, 69 Yale L.J. 1099, (1960). (21) Per la nozione di cittadella dellautonomia privata si veda P. FAVA, Lineamenti storici, comparati e costituzionali del sistema contrattuale verso la European Private Law, in P. FAVA (a cura di), Il Contratto, Milano, 2012. Di tale nozione ha fatto uso la giurisprudenza di legittimit, soprattutto nellenucleare i limiti del sindacato giudiziale sullo scambio contrattuale (cfr. Cass. civ., Sez. I, 24 settembre 1999, n. 10511). Lidea che ne alla base adombra la concezione dellautonomia privata come un noyau dur di facolt riservate ai privati, residuando per il resto la competenza generale dellordinamento. (22) In tal senso si veda M. NUZZO, Contratto di rete: piano industriale e disciplina dei contratti di attuazione, in M. NUZZO (a cura di), Il principio di sussidiariet nel diritto privato, Torino, 2014. LAutore ritiene che, alla stregua della disciplina costituzionale, lintervento pubblico con riferimento a beni privati sia legittimo solo quando in concreto lautonomia dei privati sia incapace di realizzare una sintesi dei diversi interessi in gioco che risulti conforme ai fini per cui quella competenza primaria ad essi attribuita (M. NUZZO, cit., p. 26) . (23) Le differenze con le societ, i consorzi ed altre figure affini sono poste in luce da F. GUERRERA, La governance nei contratti di rete, in Studi della Fondazione Italiana del Notariato, p. 1. (24) M. MALTONI - P. SPADA, Il contratto di rete, cit., p. 4. 286 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2016 La questione si ricollega alla funzione che listituto ha nel nostro ordinamento, probabilmente pi limitata di quanto si potrebbe in un primo momento pensare. Infatti, stato sostenuto in dottrina (25) che la disciplina non sembra preoccuparsi tanto di regolare un nuovo tipo contrattuale, quanto di ricollegare a molteplici modelli contrattuali, che presentino determinate caratteristiche, la concessione di determinati benefici, di natura anche fiscale. Se davvero si dovesse concludere cos, non sarebbe neppure pi vera laffermazione secondo cui il legislatore avrebbe introdotto uno strumento di collaborazione nellattivit dimpresa. Sarebbe vero, invece, che stato introdotto uno strumento vlto allindividuazione dei soggetti meritevoli di beneficiare di taluni vantaggi fiscali. Ci pu legarsi, forse, anche alla considerazione iniziale secondo cui sono state le imprese di dimensioni medie o ridotte le pi colpite dalla crisi finanziaria del 2008 e dunque quelle che il legislatore ha presumibilmente voluto sostenere disciplinando il contratto di rete. A tal fine si sono introdotti prima i distretti produttivi e poi le reti dimprese; entrambe le figure, apparse gi ad inizio Novecento nel mondo delleconomia, sono state disciplinate dal legislatore solo molti anni dopo. In conclusione, si potrebbero riprendere gli spunti offerti proprio da un recente testo (26), nel quale si indaga la rilevanza del principio di sussidiariet nel diritto civile. Ad una simile indagine non pu restare - ed in effetti non restata - estranea la disciplina del contratto di rete: il forte arretramento dello Stato a tutto favore dellautonomia privata rappresenta un caso paradigmatico di applicazione del principio di sussidiariet orizzontale, in ragione del quale la legge lascia agli operatori la definizione, ad esempio, della struttura della rete. Tale rivoluzione copernicana ha inciso anche sullaspetto della destinazione patrimoniale, particolarmente sensibile atteso che involge - attraverso il connesso meccanismo della limitazione di responsabilit, derogativa della generale disposizione dellart. 2740 cod. civ. - gli interessi del ceto creditorio (27). (25) M. MALTONI - P. SPADA, Il contratto di rete, cit., p. 1. Cos, gli Autori, anche in Il contratto di rete: dialogo tra un notaio e un professore su una legge recente, in Riv. dir. priv., 2011, p. 499 ss. (26) M. NUZZO, Contratto di rete: piano industriale e disciplina dei contratti di attuazione, in M. NUZZO (a cura di), Il principio di sussidiariet nel diritto privato, Torino, 2014. (27) La destinazione patrimoniale costituisce fenomeno di particolare rilevanza, atteso che postula un bilanciamento tra la libert propria dellautonomia negoziale e la tutela degli interessi dei terzi che sono coinvolti dallatto di autonomia (cfr. M. BIANCA, La destinazione patrimoniale nella disciplina dei contratti di rete, Torino, 2014). LAutrice rilegge la relazione tra i menzionati interessi proprio alla luce del principio di sussidiariet orizzontale, sicch latto di autonomia negoziale che deriva dallapplicazione di questo principio un atto che realizza ontologicamente non solo gli interessi delle parti che lo pongono in essere, ma anche gli interessi della collettivit, in quanto atto che svolge una funzione vicaria rispetto allo Stato (M. BIANCA, cit., p. 36). Proprio in virt di tale funzione, legittimo comprimere gli interessi dei terzi creditori a soddisfarsi su tutto il patrimonio del debitore, secondo lo schema residuale della garanzia patrimoniale generica. CONTRIBUTI DI DOTTRINA 287 6. Il superamento della concezione personalistica del patrimonio e lemersione di moduli atipici. Con riferimento alla responsabilit patrimoniale del debitore si assistito al progressivo superamento della teoria personalistica del patrimonio, la cui scaturigine risale alle istanze liberali sottese alla codificazione napoleonica, secondo le quali il patrimonio era considerato un riflesso, necessariamente unico e indivisibile, della soggettivit giuridica, in contrapposizione alla mancanza di una nozione unitaria di soggetto di diritto e patrimonio che caratterizzava lancien rgime (28). Il disancoramento della responsabilit patrimoniale dalla prospettiva personalistica ha conosciuto uno snodo importante nellintroduzione nel corpo del codice civile dellart. 2645-ter, che consente la trascrizione degli atti di destinazione per la realizzazione di interessi meritevoli di tutela (29). Riveste tuttavia interesse ancora maggiore, in considerazione della sua inerenza allesercizio dellimpresa, la disciplina del contratto di rete che, alla Daltra parte, la necessit che la limitazione della responsabilit patrimoniale, corollario della destinazione, sia ancorata alla soddisfazione di interessi di peculiare rilievo altres posta dalla Relazione al codice civile, n. 1124, ove si afferma che i meccanismi di finanziamento si basano sulla valutazione della consistenza patrimoniale del debitore, e dunque linteresse a favorire la concessione del credito funzionalmente collegato alla garanzia per i creditori di soddisfare il proprio diritto su tutti i beni del debitore. Tale ricostruzione appare, tuttavia, fortemente ridimensionata alla luce della recente evoluzione normativa. Si ha riguardo, in particolare, allintroduzione nel codice civile dellart. 2645-ter, che consente la trascrizione di atti di destinazione di beni immobili o mobili registrati, volti alla realizzazione di interessi meritevoli di tutela ai sensi dellart. 1322, secondo comma, cod. civ. Il testo originario del progetto di legge faceva riferimento agli scopi: a) di favorire lautosufficienza economia di soggetti portatori di gravi handicap, nonch b) di favorire il mantenimento, listruzione e il sostegno economico dei discendenti (art. 1, Progetto di legge n. 3972, Disciplina della destinazione di beni in favore di soggetti portatori di gravi handicap per favorirne lautosufficienza). La versione definitiva della proposizione normativa, menzionando lart. 1322, comma secondo, cod. civ., implica che la destinazione patrimoniale possa essere impiegata per perseguire qualsiasi scopo meritevole di tutela, con connessa limitazione della responsabilit patrimoniale. (28) Il dogma un soggetto, un patrimonio, una responsabilit assurge, secondo la risalente dottrina francese, a vero e proprio principio costituzionale, atteso che lide de patrimoine se dduit directement de celle de la personalit (G. AUBRY - G. RAU, Cours de droit civile francais dapres la mthode de Zacharie, Paris, 1873, p. 229 ss.). Gli Autori ritengono che, attesa lunitariet del concetto di soggettivit giuridica che connota tutti i consociati, la responsabilit patrimoniale debba necessariamente essere unitaria e indivisibile, in quanto proiezione della personalit. Occorre nondimeno segnalare che la dottrina italiana, gi sotto la vigenza del Codice Pisanelli del 1865, aveva posto in evidenza che un soggetto di diritto ben pu essere titolare di pi masse patrimoniali, ciascuna con proprio trattamento e sorte giuridica (F. FERRARA SR., Trattato di diritto civile italiano, Roma, 1921, p. 875, citato da M. NUZZO, cit., p. 108). Il principale esempio positivo veniva ravvisato nelleredit accettata con beneficio dinventario, che non si confonde con il residuo patrimonio dellerede ed i cui creditori possono soddisfarsi solo intra vires hereditatis. Per quanto concerne la teoria personalistica della destinazione patrimoniale, devesi menzionare per la dottrina tedesca K. HELLWIG, Lehrbuch des deutschen ZivilprozeBrechrechts, Neudruck der Ausgabe Leipzig, 1913; per la dottrina italiana pu farsi riferimento a G. BONELLI, La personalit giuridica dei beni in liquidazione giudiziale, in Riv. it. sc. giur., vol. VI, fasc. II, 1889. (29) Vedasi supra, nota 25. 288 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2016 stregua di quanto dispone lart. 3, comma 4-ter, del d.l. 5 del 2009, come pi volte modificato, prevede alternativamente listituzione di un fondo patrimoniale comune, non dotato di soggettivit giuridica per espressa previsione normativa, cui si applicano gli artt. 2614 e 2615 cod. civ. dettati in tema di consorzi con attivit esterna (c.d. rete-contratto), ovvero lacquisto di soggettivit giuridica della rete a sguito delliscrizione nella sezione ordinaria del registro delle imprese nella cui circoscrizione ha sede (c.d. rete-soggetto). Lanalisi della disciplina normativa del contratto di rete consente di apprezzare taluni elementi di sicura rilevanza sistematica. 7. La rete-contratto quale fenomeno di autonomia patrimoniale priva di soggettivit giuridica. In primo luogo, ferma restando la tassativa indicazione degli obiettivi strategici cui il contratto di rete deve essere preordinato, il legislatore rimette allautonomia privata - proprio in considerazione della funzione cui assolve il contratto di rete (incremento della competitivit e della capacit innovativa delle imprese aderenti) - lintera definizione organizzativa della complessa operazione fondata su molteplici contratti tra loro collegati (30). In tale ambito emerge il regime della responsabilit patrimoniale della rete-contratto, cui si applicano le norme stabilite per i consorzi con attivit esterna, alla cui stregua per le obbligazioni contratte dallorgano comune in relazione al programma di rete, i terzi possono far valere i loro diritti esclusivamente sul fondo comune. Simmetricamente, per la durata della rete le imprese partecipanti non possono chiedere la divisione del fondo ed i relativi creditori particolari non possono far valere i loro diritti sullo stesso (31). (30) La consistente autonomia organizzativa rimessa ai privati trova nella predeterminazione legislativa degli obiettivi del contratto di rete un vero e proprio contraltare sistematico, con la conseguenza che il Giudice potr riqualificare, al di l del nomen juris utilizzato dalle parti, il contratto qualora non sia funzionalmente volto a perseguire gli obiettivi prefissati. Sul piano delle finalit stabilite dal legislatore, con il contratto di rete pi imprenditori perseguono lo scopo di accrescere, individualmente e collettivamente, la propria capacit innovativa e la propria competitivit sul mercato e a tal fine si obbligano, sulla base di un programma comune di rete, a collaborare in forme e in ambiti predeterminati attinenti allesercizio delle proprie imprese ovvero a scambiarsi informazioni o prestazioni di natura industriale, commerciale, tecnica o tecnologica ovvero ancora ad esercitare in comune una o pi attivit rientranti nelloggetto della propria impresa. Autorevole dottrina ha rilevato come gli stessi obiettivi del contratto di rete richiedano di lasciare ampio spazio allautonomia privata nella conformazione del contratto. Proprio in ragione di ci, ҏ tassativo che il contratto sia inteso a questo scopo determinante e comune che penetra nella sua causa (A. GENTILI, Il contratto di rete dopo la l. n. 122 del 2010, in Contratti, 2011, p. 620. (31) Al fondo patrimoniale comune trovano applicazione gli artt. 2614 e 2615, comma 2, cod. civ., in materia di consorzi con attivit esterna. Si stabilisce inoltre che per le obbligazioni assunte dallorgano comune per conto dei singoli imprenditori aderenti alla rete, rispondano questi ultimi solidalmente col fondo comune. Si versa, dunque, in unipotesi di solidariet ad interesse unisoggettivo, con la conseguenza che, nei rapporti interni tra fondo patrimoniale e singolo aderente, il peso economico deve gravare esclusivamente su questultimo. CONTRIBUTI DI DOTTRINA 289 Da ci consegue che tramite il contratto di rete i partecipanti possono avvalersi della limitazione della responsabilit patrimoniale come se dessero luogo ad un consorzio con attivit esterna, salvo poter combinare modelli organizzativi propri anche di altre figure tipiche (32). Inoltre, atteso che i partecipanti possono scegliere di non attribuire soggettivit giuridica al fondo comune, viene in rilievo una forma di stabile coordinamento di base negoziale tra imprese che rimangono distinti centri di imputazione soggettiva. Infatti, lorgano comune della rete agisce in rappresentanza degli imprenditori partecipanti, cui direttamente si riconduce la titolarit delle situazioni giuridiche; solo con lacquisto della soggettivit, al contrario, si stabilisce che lorgano comune agisca in rappresentanza della rete per se considerata. La rete-contratto d quindi luogo ad un patrimonio autonomo, destinato al perseguimento di un determinato programma di rete, privo di personalit giuridica. Per leffetto, si delinea la rilevanza sistematica del collegamento negoziale posto alla base della rete, il quale si contrappone sia al modello tradizionale dei contratti di scambio sia a quello dei contratti associativi finalizzati alla creazione di un ens tertium. Emerge altres la differenza strutturale che intercorre tra il patrimonio autonomo che gemma dal contratto di rete ed il patrimonio destinato ad uno specifico affare di cui allart. 2447-bis. Nel caso della rete-contratto difetta, infatti, un soggetto rispetto al quale configurare una separazione endo-societaria e cui ricondurre la titolarit del patrimonio, con conseguente inapplicabilit dellart. 2447-quinquies, c. 3, che stabilisce la responsabilit illimitata della societ per le obbligazioni derivanti da fatto illecito. Risulta ancora pi rilevante notare che, alla stregua dei concreti dati normativi, il legislatore sembra aver considerato lacquisto della soggettivit giuridica come uno svantaggio anzich un privilegio. Infatti, la rete-soggetto non pu giovarsi, pena la violazione del diritto euro-unitario in materia di aiuti di Stato, della agevolazione fiscale consistente nella sospensione dimposta della quota di utili destinati alla costituzione del fondo comune (33). Proprio a tal proposito si riscontra, significativamente, un eloquente equivoco tra il legislatore nazionale e la Commissione europea che aveva posto come condizione di compatibilit dellagevolazione con lart. 107 del Trattato (32) La teoria dellas if trova autorevole riconoscimento nella dottrina anglosassone a proposito dei clusters; vedasi M.E. PORTER, Clusters and the new economics of competition, in Harvard Business Review, 1998, p. 77 ss. (33) Depone in questo senso la circolare dellAgenzia delle Entrate 20/E del 18 giugno 2013, alla cui stregua lacquisizione della soggettivit giuridica delle reti in esame comporta lesistenza di un soggetto dotato di capacit giuridica tributaria autonoma rispetto alla capacit giuridica delle singole imprese partecipanti: ai fini del prelievo fiscale, infatti, la rete-soggetto, in quanto entit distinta dalle imprese partecipanti, esprime una propria forza economica ed in grado di realizzare, in modo unitario e autonomo, il presupposto di imposta. 290 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2016 proprio la mancanza di un fondo con responsabilit separata. Di conseguenza la Commissione, riscontrato il carattere solo eventuale dellacquisto di soggettivit giuridica da parte della rete, ha concluso nel senso che il diritto dellUnione non osta alla misura agevolativa prevista, con ci mostrando di non distinguere ancora tra soggettivit ed autonomia patrimoniale (34). Inoltre, la rete-contratto si rivela ontologicamente esclusa dallassoggettabilit a procedure concorsuali, atteso che trattasi di un fenomeno negoziale dotato di un patrimonio che non risponde per un ammontare superiore a quello conferito; del pari, le imprese partecipanti sono correlativamente escluse proprio in forza del regime di limitazione della responsabilit patrimoniale di cui allart. 2615 cod. civ. Maggiori profili problematici si schiudono, invece, con riferimento alla rete-soggetto, posto che in tal caso si configura unentit soggettiva idonea a svolgere attivit di impresa ad essa imputata. 8. Rilievi conclusivi. dunque evidente che, per ragioni fiscali, concorsuali, oltre che funzionalmente collegate agli obiettivi stessi della rete, il legislatore medesimo sembra indurre le imprese a dar vita a reti-contratto anzich a reti-soggetto, potendo nel primo caso beneficiare dei vantaggi della responsabilit limitata pur mantenendo la propria autonomia come distinti centri di imputazione soggettiva. La conclusione deve ricongiungersi, quindi, alle osservazioni svolte allinizio: proprio la rinnovata funzione di interesse generale dellautonomia privata, valorizzata dal principio di sussidiariet orizzontale di cui allart. 118 Cost., a giustificare sul piano della meritevolezza degli interessi la limitazione della responsabilit patrimoniale, nonch il superamento della tralatizia teoria personalistica del patrimonio, concretati nella disciplina della rete-contratto (35). (34) La Commissione osserva che la particolarit del contratto di rete che le imprese partecipanti mantengono la loro autonomia sotto il profilo giuridico e ottengono i vantaggi previsti beneficiando direttamente dellagevolazione C(2010) 8939 del 26 gennaio 2011. (35) rilevante notare la portata sistematica della rete-soggetto; rispetto alla tradizionale bipartizione tra contratti di scambio, necessariamente bilaterali, e contratti plurilaterali associativi volti alla creazione di un nuovo soggetto, emerge il contratto di rete che d luogo ad una organizzazione stabile, dotata di autonomia patrimoniale ma sprovvista di personalit. Proprio lautonomia organizzativa riconosciuta alle imprese aderenti fa s che il programma di rete possa essere attuato attraverso un collegamento negoziale, volto a disciplinare la partecipazione alla rete delle varie imprese; ci pone, in punto di qualificazione e meritevolezza delloperazione complessiva, i problemi affrontati dalla giurisprudenza con riferimento al fenomeno del nexus of contracts. Si veda in proposito M. NUZZO, Contratto di rete, cit., p. 27 ss. CONTRIBUTI DI DOTTRINA 291 Crisi della legge e decretazione durgenza Guglielmo Bernabei* SOMMARIO: 1. La crisi della legge - 2. La legge generale ed astratta - 3. Legis latio, legis executio ed amministrazione diretta - 4. Distinzione della funzione legislativa ed amministrativa nella Costituzione - 5. Incidenza del ruolo del decreto-legge sulla forma di governo e riflessi sulla forma di Stato. 1. La crisi della legge. Il sistema delle fonti si caratterizza per una complessit tale da rendere problematico luso stesso del termine sistema (1). La struttura dellordinamento giuridico (2), illuministicamente progettata attorno al ruolo essenziale della legge, tende oggi a regredire verso forme poco armoniche, perdendo la sua originaria razionalizzazione; da alcuni anni, infatti, si assiste, con una crescita preoccupante, ad una trasformazione della funzione legislativa, dove la produzione normativa governativa tende ad assumere un ruolo sempre pi rilevante, sia per numero di provvedimenti adottati sia per la consistenza degli interventi realizzati. A questo si aggiunge un processo di cambiamento del sistema giuridico caratterizzato dalla moltiplicazione e dalla frammentazione delle fonti del diritto, dove diviene evanescente la coerente prevedibilit delle conseguenze giuridiche dellazione umana; in tale contesto si evidenzia il fatto che la legge formale non riesce adeguatamente a svolgere un compito di effettiva regolazione della complessa fenomenologia delle fonti del diritto (3). Il continuo ricorso alla decretazione durgenza (4), dunque, sta divenendo (*) Dottore di ricerca in diritto costituzionale - guglielmo.bernabei@unife.it (1) Cfr. G. SILVESTRI, La ridefinizione del sistema delle fonti: osservazioni critiche, in Pol. dir. 1987, p. 149, il quale afferma che sembra seriamente scosso quel principio di tassativit e tipicit delle fonti che stato considerato tradizionalmente una garanzia propria dello stato di diritto, riflettentesi nella elencazione tabellare degli atti e dei fatti riconosciuti come validi portatori di regole giuridiche dotate di diversa forza in termini relativi. (2) Cfr. R. BIN, Atti normativi e norme programmatiche, Milano, 1988; cfr. G. PITRUZZELLA, Quali poteri normativi per lautonomia locale?, in Le Regioni, 2008, p. 3, il quale afferma che ҏ difficilmente contestabile come coerenza e completezza dellordinamento giuridico siano i risultati dellattivit dellinterprete e che quindi lo stesso atteggiarsi delle fonti del diritto a sistema sia il prodotto e non gi il dato di partenza dellattivit interpretativa. (3) Cfr. F. BILANCIA, La crisi dellordinamento giuridico dello Stato rappresentativo, Padova, 2000, p. 283, il quale sostiene che se esiste un diritto obiettivo, un materiale giuridico avente una natura specifica (propria), pu porsi, infatti, innanzitutto il problema della sua definizione, della individuazione delle caratteristiche essenziali di tale realt, delle qualit materiali di questo fenomeno per isolare uno specifico oggetto di studio della scienza giuridica (e giuspubblicistica in particolare). (4) Cfr. S. RODOT, Labuso dei decreti-legge, fenomenologia dei decreti, in Politica del diritto, 1980, p. 380; cfr. F. MODUGNO - A. CELOTTO, Rimedi allabuso del decreto-legge, in Giur. cost., 1992, p. 3249; cfr. Q. CAMERLENGO, Il decreto-legge e le disposizioni eccentricheintrodotte in sede di conversione, in Rass. Parlam., 2011, p. 110 ss; V. ANGIOLINI, Attivit legislativa del Governo e giustizia 292 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2016 sempre pi indice di una crisi profonda dellautorit politica nel nostro ordinamento costituzionale; le forme moderne di indebolimento della centralit della legge statale possono essere identificate anche nella maggiore incisivit delle fonti locali e nella prevalenza del diritto comunitario su quello nazionale (5). Cos, pi aumentano i soggetti dotati di potest legislativa (6), pi aumenta il numero delle norme prodotte e pi difficile risulta conservare un certo grado di armonia nel sistema normativo; a questo si aggiunge, poi, la proliferazione delle leggi, la loro rapidit di mutamento (7), la frammentazione e la stratificazione delle norme, lambiguit di linguaggio, leccessivo ricorso allabrogazione implicita (8). Leffetto di questi fattori produce un ordinamento poco governato e riconoscibile, influendo negativamente sulla certezza del diritto, sullequilibrio dei poteri costituzionali, sullefficienza della giustizia e sul rapporto tra governati e governanti, contribuendo alla disaffezione alla legge ed alla sua inosservanza. In un contesto simile cresce la pressione dei gruppi organizzati e degli enti esponenziali degli interessi di categoria, i quali, costituzionale, in Riv. dir. cost., 1996, p. 238; cfr. C. ESPOSITO, Decreto-legge, in Enc. dir., 1962, ora in Diritto costituzionale vivente: Capo dello Stato ed altri saggi, a cura di D. NOCILLA, Milano, 1992, p. 235. In tema di decretazione durgenza poi si ricorda, ex multis, cfr. G. VIESTE, Il decreto-legge, Napoli, 1967; V. DI CIOLO, Questioni in tema di decreto-legge, Milano, 1970; cfr. A. CELOTTO, Labuso del decreto- legge. Profili teorici, evoluzione storica e analisi morfologica, vol. I, Padova, 1997; cfr. A. CONCARO, Il sindacato di costituzionalit sul decreto-legge, Milano, 2000; cfr. A. SIMONCINI, Le funzioni del decreto-legge. La decretazione durgenza dopo la sentenza n. 360/1996 della Corte costituzionale, Milano, 2003; cfr. A. GHIRIBELLI, Decretazione durgenza e qualit della produzione normativa, Milano, 2011; cfr. G. ZAGREBELSKY, Manuale di diritto costituzionale, vol. I, Il sistema delle fonti del diritto, Torino 1988, (1990) p. 182; cfr. G. MARAZZITA, Lemergenza costituzionale, definizione e modelli, Milano, 2003; cfr. G. RAZZANO, Lamministrazione dellemergenza, profili costituzionali, Bari, 2010. (5) Cfr. F. MODUGNO - D. NOCILLA, Crisi della legge e sistema delle fonti, in Dir. soc., 1989, p. 424, i quali parlano di accerchiamento della legge da ogni lato. Cfr. S. MANCINI, I regolamenti degli enti locali tra riserva di competenza e preferenza in un multilevel system of government, in Le Regioni, 2008, p. 120, il quale afferma che la principale sfida che attende nel prossimo futuro il sistema delle fonti pertanto quella dellarmonizzazione dei rapporti tra una pluralit di atti normativi prodotti dai diversi ordinamenti che compongono il pi vasto ordinamento repubblicano, allinterno di ciascuno dei quali destinato a svilupparsi un microsistema di fonti del diritto. Armonizzazione che dovr muovere non pi dallottica gerarchico-piramidale, bens da quella integrativa implicata dal modello multilevel. (6) Cfr. F. MODUGNO, Legge (Diritto costituzionale), in Enc. Dir., vol. XXIII, Milano, 1973, p. 873, il quale afferma che la crisi della legge, intesa questa come la fonte suprema e per antonomasia dellordinamento giuridico, proprio nel momento in cui lestensione del suffragio allintero popolo avrebbe dovuto realizzarsi il suo massimo trionfo. Ma il moltiplicarsi degli interventi legislativi, e la correlativa necessit di trasferire una parte di essi al governo e persino ad altri soggetti, ha determinato invece quella pluralit di fonti e persino di leggi che caratterizza sempre di pi gli ordinamenti giuridici a partire dal primo dopoguerra. (7) Cfr F. CARNELUTTI, La crisi della legge, in Riv. dir. Pubbl., 1930, p. 429, dove si rileva che la legge fatta non solo per comandare, ma per durare. Non pu essere, naturalmente, eterna; ma deve essere longeva. Ogni mutamento della legge rappresenta un turbamento di equilibri, uno sconvolgimento di previsioni, un rallentamento di iniziative. Peggio ogni mutamento, il quale non segua nei limiti normali della mutabilit, fa perdere la fiducia nella stabilit della legge, che lo stato danimo indispensabile per la prosperit sociale. (8) Cfr. M. PAGANO, Introduzione alla legimatica. Larte di preparare le leggi, Milano, 2001, p. 10. CONTRIBUTI DI DOTTRINA 293 grazie al loro peso politico, riescono ad essere rappresentati allinterno del percorso della legislazione (9). La compresenza, nella determinazione degli obiettivi di politica legislativa, di interessi sempre pi ampi ed articolati provoca il fenomeno che vede la legge come anima del contratto (10), lontana dallessere misura tendenzialmente astratta delloperare altrui, fino a divenire misura reale, che insegue i fatti nei quali si realizza un conflitto, anzich prevederli e previamente regolarli. Spetta infatti allAmministrazione, e non al legislatore parlamentare, lintervento dinanzi al fatto materiale integrante un concreto conflitto di interessi e in questo fatto vi il presupposto della sua legittimazione. Occorre, quindi, un lavoro scientifico in grado di operare una ridefinizione delle competenze del potere legislativo e di quello esecutivo-amministrativo, in modo da recuperare, sul piano del diritto positivo, il valore pratico e il senso giuridico della distinzione dei livelli di mediazione degli interessi coinvolti. Il legislatore ha rimesso pressoch completamente allamministrazione il compito della regolazione delle molteplici esigenze contrapposte, fino a diventare la sede reale del confronto e della sintesi degli interessi, ponendo inevitabilmente la questione dellequilibrio tra i poteri dello Stato (11). Un tentativo concreto di analisi della crisi del sistema, che ha portato a considerare il decreto-legge un mezzo ordinario di produzione normativa (12), pu consistere nella costatazione della mancanza di effettivit come causa della situazione attuale (13) e questo ha provocato un rapido processo di delegittimazione della norma giuridica, contribuendo, in questo modo, alla destrutturazione ed allo svuotamento della efficacia regolativa dellordinamento (9) Cfr. D. VAIANO, La riserva di funzione amministrativa, Milano, 1996, pag. 273. (10) Cfr. D. NOCILLA, Crisi della legge e tecnica legislativa, in Quaderni dellassociazione per gli studi e le ricerche parlamentari, Seminari 1989-1990, Milano, 1991, p. 79. (11) Si ricordi che gi nel 1979 il Ministro per la Funzione Pubblica, Massimo Saverio Giannini, trasmetteva al Parlamento il Rapporto sui principali problemi dellamministrazione dello Stato, noto oggi come Rapporto Giannini, indicando tra le principali disfunzioni della Pubblica Amministrazione la cattiva qualit delle leggi che regolano lorganizzazione e lattivit amministrativa. La Commissione Barettoni Arleri, istituita in seguito alla presentazione del Rapporto Giannini, si occup soprattutto della fattibilit legislativa. Nella relazione finale vengono indicate tre cause che provocano una difficile attuazione delle leggi e della carente copertura finanziaria delle stesse: la copertura amministrativa della legge intesa quale idoneit degli apparati amministrativi allapplicabilit specifica di quanto dispone la norma; la progettazione legislativa, ossia la tecnica di redazione degli atti normativi-drafting; la fattibilit quale valutazione preventiva degli impatti della norma sui destinatari della stessa e del contesto normativo di riferimento. (12) Cfr. G. SILVESTRI, Alcuni profili problematici dellattuale dibattito sui decreti-legge, in Politica del diritto, 1996, p. 421. (13) Cfr. A. CATANIA, Riconoscimento e potere: studi di filosofia del diritto, Napoli, 1996, p. 50, il quale afferma che lordinamento giuridico nella misura in cui effettivo, e pu riconoscersi leffettivit solo quando la maggior parte delle norme dellordinamento sono efficaci, cio quando la condotta umana disciplinata dalle norme coincide in una certa misura con il comportamento reale degli uomini. 294 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2016 giuridico globalmente inteso (14). Questa situazione causata principalmente dalla crisi di legittimazione del sistema politico-istituzionale che ha contagiato il suo tipico prodotto normativo, ossia la legge. La perdita di valore del carattere formale, tipico degli atti normativi, in fase di produzione del diritto, ha come conseguenza lattenuazione della certezza e della stabilit in fase di applicazione. Infatti, la procedura negoziata dei contenuti normativi prosegue anche in sede applicativo-interpretativa (15), ridimensionando leffetto di stabilizzazione delle regole giuridiche, le quali, invece, andrebbero incentivate anche mediante un costante e credibile intervento di sistemazione giurisprudenziale. Ma se questa opera di sistemazione si incrina e non risulta pi possibile trovare in essa un dato oggettivo di riferimento, un prodotto regolativo affrancato dal caso concreto, viene meno unaltra forma di tutela dellordinamento. La casistica sostituisce il sistema, ma non diviene sistema anchessa. Le norme giuridiche, quindi, risultano efficaci non solo perch ritenute valide in quanto poste con procedimento legislativo formalmente corretto, ma anche in quanto effettivamente vigenti nellordinamento; in questo senso, la validit di un ordinamento giuridico, che regola il comportamento di determinati uomini, si trova in un sicuro rapporto di dipendenza col fatto che il comportamento reale di questi uomini corrisponde allordinamento giuridico o anche alla sua efficacia (16). Altro aspetto che ha contribuito al proliferare del decreto-legge concerne il carente ordinamento dei rapporti tra i tipi di atti normativi e, pi in generale, tra le fonti (17); infatti, accanto allinflazione normativa si manifesta la moltiplicazione delle tipologie di atto normativo. la legge parlamentare che, come tipologia, ha perso la sua inconfondibile e originaria unitariet, fino a parlare ormai di una categorizzazione della stessa legge formale (18). In questo senso, a titolo di esemplificazione, si sono individuate le seguenti tipologie: leggi-provvedimento, leggi meramente formali, leggi di interpretazione autentica, leggi di sanatoria, leggi rinforzate, leggi atipiche, leggi contratto, leggi incentivo, leggi di programmazione, leggi (14) Cfr. F. BILANCIA, La crisi dellordinamento giuridico dello Stato rappresentativo, cit., p. 301, dove si sostiene che non un caso, infatti, che a crollare sotto il fatto della disapplicazione/inefficacia non siano state soltanto le norme precettive verso i consociati, ma anche le norme relative ai rapporti con le istituzioni politiche e gli organi pubblici. (15) Cfr. M. AINIS, La legge oscura. Come e perch non funziona, Roma-Bari, 2002, p. 198, il quale afferma che lasse dello lotta politica si sposta fatalmente dallapprovazione allapplicazione della legge. (16) H. KELSEN, La dottrina pura del diritto, Torino, 1956, p. 77. (17) Cfr. F. MODUGNO, A mo di introduzione. Considerazioni sulla crisi della legge, in Trasformazioni della funzione legislativa, II, Crisi della legge e sistema delle fonti, a cura di F. MODUGNO, Milano, 2001, p. 30. (18) Cfr. G. ZAGREBELSKY, Manuale di diritto costituzionale, I, Il sistema delle fonti del diritto, Torino, 1990, p. 156. CONTRIBUTI DI DOTTRINA 295 di finanza, leggi speciali, leggi di principio o leggi quadro, leggi procedimentali, leggi periodiche specializzate (19). Questo elenco conferma che siamo dinanzi non solo ad una crisi della legge come fonte principale del diritto, ma ad un cedimento del sistema delle fonti che non pi in grado di individuare nella legge lo strumento pi idoneo a porre le regole di formazione e di trasformazione dellordinamento. Si tratta, dunque, di una crisi politica della legge, di un cedimento dello Stato rappresentativo quale fondamento politico della legge stessa. Tale aspetto amplificato dallindebolimento del tradizionale schema gerarchico, ormai incapace di funzionare nellordinamento giuridico italiano nel quale la legge non pi una fonte nettamente differenziata e non costituisce pi il perno del sistema; inoltre anche lintroduzione della costituzione rigida rappresenta un elemento di perturbazione del sistema (20) stesso. Il principio gerarchico , quindi, fortemente integrato dal criterio della competenza proprio perch la legge non pi categoria unitaria, n pi atto normativo primario per eccellenza, vi sono altri atti, nel nostro caso i decretilegge, che dovrebbero occupare una spazio differenziato e distinto per modalit di intervento, preciso e circoscritto, e contenuto, provvedimentale, da quello propriamente conosciuto come appartenente alla legge. Pertanto, al fine di comprendere il significato autentico del termine crisi utile riferirsi alloriginale greco, dove lespressione prevede anche la traduzione come scelta (21). Crisi della legge diviene dunque una problema di scelta della legge, di quale atto normativo primario sia meglio in grado (22), proprio per le sue caratteristiche intrinseche ed estrinseche, di fronteggiare in modo pi appropriato la disciplina di una certa situazione, verificandosi il trasferimento dalla sede parlamentare ad altra sede del potere di produzione normativa. In questo senso il criterio di competenza diviene principio di organizzazione degli atti giuridici e, in particolare, degli atti costitutivi dellordinamento, trovando nella Costituzione il suo esclusivo ed esaustivo fondamento; gli atti posti gerarchicamente sullo stesso piano della legge formale, a maggior ragione dopo la riforma del Titolo V, non devono interferire reciprocamente, essendo rivolti a disciplinare (19) Cfr. F. MODUGNO, A mo di introduzione. Considerazioni sulla crisi della legge, cit., p. 32. (20) Cfr. F. MODUGNO, A mo di introduzione. Considerazioni sulla crisi della legge, cit., p. 59, il quale afferma che la costituzione rigida introduce un elemento di complicazione aggiungendo un nuovo gradino allo schema gerarchico classico legge-regolamento-usi e pregiudica il carattere di fonte suprema che prima spettava alla legge. E poi, soprattutto, perch la costituzione si distingue dalla legge non solo per la forma, distinta e superiore, ma anche per il suo contenuto, proprio in quanto legge fondamentale, scaturigine ultima dellordo ordinans, principio ordinatore dellordinamento. (21) Cfr. F. MODUGNO, A mo di introduzione. Considerazioni sulla crisi della legge, cit., p. 61. (22) C. MORTATI, Contenuto e forma nella qualificazione e nel trattamento degli atti normativi, in Riv. trim. dir. pubbl., 1970, p. 23. Inoltre cfr. A. PIZZORUSSO, I controlli sul decreto-legge in rapporto alla forma di governo, in Politica del diritto, 1981, p. 303. 296 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2016 materie o ambiti, come il caso dei fatti emergenziali, separati tra loro dalle rispettive competenze (23). Secondo questa impostazione, dunque, la legge formale non pu, pena la illegittimit costituzionale, intervenire in materie o incidere su situazioni, la disciplina o la cura dei quali costituzionalmente riservata ad altre tipologie di atti. Il dato che emerge quello di un sistema policratico in ricerca di un proprio equilibrio; i rapporti tra diritto e politica, il passaggio dal mondo del potere reale, dal pregiuridico, al mondo della realt giuridica ha bisogno di un nuovo inquadramento. Un assetto equilibrato del sistema delle fonti passa, necessariamente, per una ricomposizione dei rapporti tra i poteri dello Stato, con particolare riferimento ai soggetti dotati di potest normativa, ordinati secondo criteri di competenza rigorosamente determinati secondo il canone chi e come fa che cosa. Questa razionalizzazione dei poteri pu essere in grado di produrre soluzioni normative capaci di riacquistare la loro qualit pi importante: la stabilit. dunque necessario ritornare, come gi in passato si era prospettato (24), ad un sistema nel quale la norma riassuma come suo contenuto il fatto dedotto dalla realt sociale attraverso la mediazione delle forze politiche, in modo che questo fatto, qualificato giuridicamente, sia obiettivizzato, immobilizzato dentro la sua forma. Viceversa, la capillare negoziazione nel particolare dei contenuti degli atti normativi, favorita dalla dislocazione diffusa delle sedi della loro approvazione, finisce per rendere addirittura disponibile linterpretazione e lapplicazione da parte degli stessi soggetti che ne sono gli autori. In questo modo, il diritto inteso come materiale giuridico perde progressivamente il proprio carattere impersonale ed obiettivo per assumere una connotazione convenzionale e, come tale, pienamente disponibile dai propri autori (25). Perde valore la certezza del diritto in termini di prevedibilit e di obiettivit delle situazioni da disciplinare (26). La regolazione giuridica degli interessi generali, un tempo affidata al diritto obiettivo in linea con i valori sviluppatisi dal principio di le- (23) Cfr. R. BIN, La funzione amministrativa nel nuovo Titolo V della Costituzione, in Le Regioni, 2002, p. 365 ss. (24) T. MARTINES, Contributo ad una teoria giuridica delle forze politiche, Milano, 1957, p. 308. (25) Cfr. F. BILANCIA, La crisi dellordinamento giuridico dello Stato rappresentativo, cit., p. 357, dove si precisa che la stessa applicazione del diritto diviene, cos, politicamente oggetto di negoziazione. Inoltre cfr. G. ZAGREBELSKY, Il sistema delle fonti, Torino, 1987, p. 20 ss. (26) Cfr. G. PITRUZZELLA, Quali poteri normativi per lautonomia locale?, cit., p. 9, il quale afferma che se il pluralismo delle fonti, la crisi dei tradizionali criteri di soluzione delle antinomie, la complessit dellordinamento e la difficolt di mantenere il valore della certezza del diritto sono dati ineliminabili, sembra pure attendibile chiedersi se oltre un certo livello di complessit e di articolazione del sistema delle fonti non sia pi possibile porre argini efficaci allalluvione normativa. Con la conseguenza di determinare un grado talmente elevato di incertezza sul diritto vigente da porre in pericolo la stessa tutela dei diritti, che hanno trovato sempre la prima garanzia nella distinzione tra la posizione preventiva della norma giuridica e la sua concreta applicazione, in sede giudiziaria o amministrativa. CONTRIBUTI DI DOTTRINA 297 galit, oggi affidato a soluzioni normative nella disponibilit degli stessi interessi particolari regolati, e di conseguenza, risulta facile e politicamente conveniente ricorrere a strumenti rapidi come i decreti-legge. La soluzione alla crisi della legge, quindi, non pu consistere nella progressiva affermazione della capacit legiferante dellEsecutivo, fenomeno che tende oggi ad assumere i connotati tipici di un inedito ed autonomo centro di produzione normativa, con conseguente drastica compressione della sfera di intervento costituzionalmente attribuita alle Camere (27). Il processo di alterazione delle dinamiche costituzionali si sta pericolosamente avvicinando ad un punto di non ritorno, sottoponendo a continue prove di resistenza (28) la forma di governo delineata dalla Costituzione. La legge formale necessita di ritrovare la propria identit nella relazione specifica con un determinato contenuto prescrittivo, che costituisce, secondo i canoni di un ordinamento giuridico che davvero voglia essere positivo, la norma giuridica stricto sensu, differenziata dai contenuti propri di altri atti normativi, in grado di prescrivere regolarit di comportamenti e di predisporre astrattamente lo schema di essi. 2. La legge generale ed astratta. Occorre quindi ricostruire brevemente i caratteri della legge per poterla distinguere (29) dagli altri atti che stanno sul suo medesimo piano gerarchico. Lalterazione del sistema e la mancanza di razionalizzazione tra le varie fonti del diritto hanno fatto perdere le caratteristiche che deve connotare la legge prodotta mediante il procedimento parlamentare, restituendole anche la sua dimensione storica. Gi i principi ispiratori della Rivoluzione francese consentivano la limitazione dei diritti individuali unicamente mediante la legge come espressione della volont generale, secondo il disposto dellart. 6 della Dichiarazione dei diritti delluomo e del cittadino del 1789, oppure mediante la decisione individualizzante del giudice (30). (27) Cfr. C. DE FIORES, Trasformazioni della funzione legislativa, in Trasformazioni della funzione legislativa, II, Crisi della legge e sistema delle fonti, a cura di F. MODUGNO, Milano, 2001, p. 176. Inoltre cfr. G. ARCONZO, Contributo allo studio sulla funzione legislativa provvedimentale, Milano, 2013, p. 32 ss. (28) Cfr. L. PALADIN, Forma italiana di governo ed appartenenza dellItalia allUnione europea, in Quad. cost., 1994, p. 403. (29) Cfr. S. SPUNTARELLI, Lamministrazione per legge, Milano, 2007, p. 73, dove si ricorda che nellarea continentale europea la tradizione del volontarismo esalta la volont dellautorit quale fonte degli atti giuridici e contribuisce allaffermazione nello Stato assoluto del concetto di legge quale voluntas del sovrano; questultima norma e giurisdizione. Inoltre, il potere del sovrano viene giustificato in virt della finzione della volontaria scelta da parte dei consociati di affidare al potere politico, di natura artificiale, la propria sicurezza, non per consenso - come nel pensiero di Locke - ma sulla base di un patto o contratto. (30) Cfr. J.J. ROUSSEAU, Il contratto sociale, Milano, 2001, Libro II, cap. 74, il quale afferma che la volont generale o non esiste: essa quella del corpo del popolo o non esiste: essa quella del 298 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2016 Se la legge davvero espressione della volont generale, allora dovr avere anche un carattere generale, e, in questo senso, la legge tale a condizione che sia rivolta alla generalit e rechi un contenuto astratto. In un contesto caratterizzato dalla generalit ed astrattezza della legge, al potere esecutivo spettano solo atti particolari che non rientrano nella competenza della legge, con una netta separazione degli ambiti di intervento. Si sottolinea dunque il concetto che la legge generale ed astratta lespressione della sovranit della nazione, antitetica al particolarismo (31). Da questa affermazione emerge che lazione concreta dello Stato deve essere preceduta da prescrizioni di ordine generale ed astratto, alle quali tenuta a conformarsi. Uno dei pilastri dello Stato di diritto consiste proprio nel fatto che non pu esserci una pena, un tributo o un altro onere qualsiasi fissato individualmente secondo il capriccio del momento di colui che detiene il potere. Sono infatti le norme generali che pongono in astratto i casi in cui ognuno sottoposto a determinati obblighi, in modo che ciascuno abbia la garanzia che soltanto se si trova in quelle condizioni gli sar richiesto ladempimento di quellobbligo, e che il medesimo adempimento sar dovuto da parte di tutti coloro che verranno a trovarsi nella stessa situazione (32). Si respinge, nellottica del presente lavoro, la teoria della legge in senso solo formale, la quale qualifica latto legislativo sulla base di criteri formali, come la deliberazione da parte dellorgano titolare della funzione legislativa di una atto predisposto attraverso il procedimento legislativo e avente forma di legge, anche se a contenuto sostanzialmente particolare; si vuole pertanto riaffermare il principio per cui solo un atto con forma di legge, o latto dellEsecutivo a seguito di delega, pu recare una norma giuridica dotata di generalit, astrattezza, innovativit al preesistente ordinamento, allinterno di un contesto di equiparazione tra normazione e legislazione (33). Non pu essere corpo del popolo o solamente una parte. Nel primo caso questa volont dichiarata un vero e proprio atto di sovranit e fa legge, nel secondo soltanto una volont particolare o un atto della magistratura; tuttal pi pu essere un decreto. (31) Cfr. A. AMORTH, Dallo Stato assoluto allo Stato costituzionale, (1948), ora in Scritti giuridici, 1940-1948, vol. II, Milano, 1999, p. 1010, il quale rileva che il principio della sovranit nazionale costituisce il contributo sostanziale dato dalla Rivoluzione francese allordinamento dello Stato costituzionale. Esso segna il passaggio dallappartenenza del potere politico dalla Dinastia alla Nazione e, per essa, in concreto, alla sua rappresentanza e va messo in relazione con quella enunciazione della dichiarazione dei diritti che definisce la legge come espressione della volont generale (articolo sesto). (32) Cfr. G. BALLADORE PALLIERI, Appunti sulla divisione dei poteri nella vigente Costituzione italiana, in Riv. trim. dir. Pubbl., 1952, p. 816. (33) Cfr. V. CRISAFULLI, Atto normativo, cit., p. 239, il quale rileva che nel quadro della tradizionale concezione statualistica del diritto, e identificandosi la norma giuridica con la norma posta, direttamente o indirettamente dallo Stato, la figura dellatto normativo trova dapprima origine nella elaborazione dottrinale della figura della legge: di quellatto dello Stato, cio, che fuori di ogni dubbio ed a prima vista, si presenta, modernamente, come diretto a costituirne lordinamento, a dettare il sistema regolatore della condotta dei consociati, a definire e garantire le libert individuali, e quindi come fonte del diritto, quasi per antonomasia. Cfr. F. MODUGNO, Legge (Diritto costituzionale), cit., p. 890, il quale CONTRIBUTI DI DOTTRINA 299 ritenuto requisito della legge un comando emanato dagli organi legislativi ma non riferito ad una classe di comportamenti, non configurante, quindi, una tipicit astratta di essi (34). La generalit, nel momento stesso in cui considerata condizione della certezza del diritto, giudicata fondamento delle garanzie di tutela dei diritti che dalla legge si attendono. Come fonte principale del diritto oggettivo, la legge deve distinguersi dalle altre fonti come pronuncia solenne di una proposizione giuridica compiuta da organi a ci destinati e in forme predeterminate. In tal modo, essa si mostra come il pi elaborato prodotto della riflessione giuridica e manifesta, al massimo livello, i caratteri del diritto (35), evidenziandone lastrattezza, che da un lato conferisce alla legge rigidit e una complessa applicazione alla realt storica, e dallaltro le attribuisce certezza (36). Questa impostazione con lavvento dello Stato sociale e lespansione dellintervento pubblico nelleconomia ha perso consistenza, producendo profonde alterazioni tanto nei rapporti tra Stato e societ quanto nei meccanismi di produzione e regolazione normativa. La legge ha assunto un ruolo sempre pi legato ad una funzione attributiva e regolativa di risorse economiche, compito incompatibile con la generalit ed astrattezza, fino a confondersi con lamministrazione concreta delle esigenze dei consociati (37). Settori della societ civile penetrano nello Stato, rivendicando riconosciafferma che la funzione legislativa era sinonimo di funzione normativa, ossia della identificazione di legislazione e normazione, contrapposta allesecuzione o amministrazione, propria e riservata al cosiddetto potere esecutivo, la legge sostanziale comprendeva qualsiasi atto di contenuto normativo, accomunando, sotto il profilo sostanziale, leggi e regolamenti. Essa [] rappresentava cio la pi evidente delle deroghe ad una rigorosa separazione delle funzioni. Cfr. G. JELLINEK, Legge e decreto, a cura di FORTE, Milano, 1997, p. 206, dove si sottolinea che leggi nel senso dellordinamento costituzionale sono quegli atti di volont di uno Stato che il Governo, a seconda della forma di Stato, o non pu affatto porre in essere ovvero lo pu non senza la partecipazione di organi diretti costituzionalmente determinati. Nella repubblica costituzionale di oggi il Governo, con leccezione del diritto di iniziativa, non ha affatto una partecipazione positiva alla legislazione, che poggia piuttosto, a seconda del diritto e del suo esercizio, sulle Camere o sugli altri organi diretti dello Stato. (34) S. SPUNTARELLI, La ratio della legge regionale in sostituzione di provvedimento amministrativo: tre argomentazioni non condivisibili di una sentenza della Corte costituzionale, in Giur. cost., 2003, p. 849. (35) Cfr. F. BILANCIA, La crisi dellordinamento giuridico dello Stato rappresentativo, cit. p. 324, il quale afferma che tra i criteri sostanziali di identificazione degli atti normativi, infatti, la generalit ed astrattezza finiranno con loccupare un posto di primo piano, proprio in virt della loro valenza politica, per il fatto cio di disporre in modo eguale per tutti e di garantire il rispetto di criteri oggettivi di razionalit e giustizia. La centralit della legge nel sistema politico, pertanto, ha condizionato - gi prima dellingresso sulla scena politica delle costituzioni rigide - la sua sovranit in materia di produzione normativa. (36) Cfr. G. FASS, Legge, cit., p. 793. Inoltre cfr. A. SIMONCINI, La legge senza valore (ovvero della necessit di un giudizio sulla ragionevolezza delle scelte normative), in Giur. Cost., 1999, II, p. 2029. (37) Cfr. G. FONTANA, Crisi della legge e negoziazione legislativa nella transizione istituzionale italiana, in Trasformazioni della funzione legislativa, II, Crisi della legge e sistema delle fonti, a cura di F. MODUGNO, Milano, 2001, p. 126. 300 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2016 menti economici e normativi perseguiti mediante procedimenti negoziali di decisione legislativa; in questo modo proprio tale tendenza corporativa a favorire la frammentazione e la personalizzazione della legge, provocando la sua sostanziale riduzione a provvedimento (38). La funzione originaria e tradizionale della legge parlamentare come garanzia delle libert individuali ha ceduto il passo a favore di una legislazione settoriale (39), dalla prospettiva limitata, unicamente predisposta ad occuparsi della situazione contingente, ma priva di un disegno generale e di ampio respiro (40). Il fenomeno della negoziazione legislativa, pertanto, oltre a provocare la perdita della generalit, dellastrattezza e della sovranit della legge, ridimensiona il ruolo delle Camere, le quali, rinunciando a disciplinare determinati rapporti sociali, finiscono per accettare la forte attenuazione del carattere imperativo delle proprie determinazioni legislative a vantaggio di nuovi modelli di decisione di tipo consensuali, procedurali e riflessivi. Per ovviare a queste situazioni degenerative va nuovamente posta lattenzione sulla struttura della norma che si evidenzia nello studio dei caratteri della prescrizione giuridica. Si ricordi quanto la dottrina classica ha sostenuto sul concetto di norma intesa come giudizio di dovere, dove il senso in cui la proposizione giuridica unisce una fattispecie come condizione con laltra come conseguenza giuridica il dovere (41). Il comando generale non concerne una pluralit di persone o di azioni, determinato o determinabile, ma riguarda un ambito di persone o azioni indeterminato o indeterminabile (42). Lelemento essenziale della legge consiste, dunque, nella novit del precetto, nelleffetto innovativo che questo produce, determinando una modificazione delle condizioni giuridiche esistenti, in quanto regola i rapporti in esse contemplati; siamo dinanzi ad un atto creativo di nuovo diritto nei confronti di una universalit di soggetti e di situazioni, in grado di far sorgere diritti ed (38) Cfr. P. CAPOTOSTI, Concertazione e riforma dello stato sociale, in Quad. cost., 1999, p. 485. (39) Cfr. N. LIPARI, La formazione negoziale del diritto, in Rivista di diritto civile, 4/1987, p. 312, dove si sostiene che nel momento in cui lo stato sociale, superando loriginaria tendenza compensativa verso le categorie pi emarginate e sfruttate, si venuto trasformando in Stato erogatore universale di garanzie economiche e di sicurezze esistenziali, il meccanismo ha inevitabilmente incentivato la spinta rivendicativa dei gruppi forti o meglio organizzati, anche in funzione della loro rilevanza politica, ed ha comunque indotto un effetto di moltiplicatore nei modi di produzione delle regole assunte come formale strumento di garanzia delle nuove conquiste. (40) Cfr. N. BOBBIO, Dalla struttura alla funzione, Milano, 1977, p. 108. (41) Cfr. H. KELSEN, Problemi fondamentali della dottrina del diritto pubblico, a cura di CARRINO, Napoli, 1991, p. 12, il quale afferma che la norma, come giudizio di dovere si contrappone alla legge naturale e, ivi p. 15, limputazione la legalit specifica del diritto [] il legame esistente tra gli elementi racchiusi allinterno della proposizione giuridica [] quel legame che viene posto grammaticalmente dal deve. In tal senso, ivi, p. 12, nella proposizione giuridica ad una determinata condizione viene ricollegata una determinata conseguenza. (42) Cfr D. DONATI, I caratteri della legge in senso materiale, in Riv. trim. dir. Pubbl. 1910, p. 299. CONTRIBUTI DI DOTTRINA 301 obblighi che in precedenza non sussistevano, costituendo lordinamento giuridico dello Stato. Il criterio della novit (43) della legge va compreso se si considera la relazione intercorrente tra leffetto e il contenuto precettivo della legge, nellottica di una considerazione dinamica del sistema giuridico; si richiede, infatti, che leffetto precettivo che ne deriva trovi nella legge la sua preventiva determinazione, in modo che sia dalla legge stessa costituito, previsto e disposto. In tal senso, la novit, intesa come costitutivit della fattispecie, e la generalit, compresa come ripetitibilit, insieme concorrono ad integrare la nozione di disporre, in contrapposizione al provvedere (44). Nel campo del diritto, la generalit della norma risponde ad esigenze di certezza e di giustizia sostanziale (45). Secondo questa impostazione, la generalit va posta in relazione con lefficacia costitutiva dellordinamento dello Stato, attribuita specificamente alla legge parlamentare cos da rappresentare un riflesso delloggettivit dellordinamento stesso, il quale, nel suo insieme ed in ogni sua parte, si impone indistintamente a tutti i soggetti che vi sono compresi. Per quanto concerne lastrattezza, essa va intesa nel senso di essere astraente da tutto ci che costituisce lindividualit, irriducibile a tipo, di ogni manifestazione di attivit (46), sempre distaccata dallazione che concretamente la realizza; si configura, dunque, come un precetto posto in ipotesi, in ordine a un caso possibile, anzich in ordine a un caso esistente. Questa impostazione, secondo autorevole dottrina (47), ha il pregio di rivelare la risoluzione dellastrattezza nella generalit che rappresenta il punto centrale della questione: lastrattezza come riferibilit della norma ad una classe di azioni conformi ad un tipo. Viceversa, disposizioni temporanee ed eccezionali, come quelle che dovrebbero contraddistinguere la natura provvedimentale della decretazione durgenza, rivolte a fronteggiare esigenze contingenti, prive di generalit, pur concorrendo a costituire il sistema del diritto statale, mantengono, allinterno di questo, una propria specifica individualit originaria e restano, pertanto, legate ai presupposti di fatto che ne determinano lemanazione. (43) Cfr. V. CRISAFULLI, Atto normativo, cit., p. 243. (44) Cfr. A. CIOFFI, Dovere di provvedere e P.A., Milano, 2005, p. 56 ss. (45) Cfr. F. RIMOLI, Certezza del diritto e moltiplicazione delle fonti: spunti per unanalisi, in Trasformazioni della funzione legislativa, II, Crisi della legge e sistema delle fonti, a cura di F. MODUGNO, Milano, 2001, p. 80, il quale afferma che la certezza dei rapporti giuridici, dunque, ancor prima che la certezza (o la chiarezza, ad essa strumentale) delle norme, costituisce esigenza primaria della vita sociale. E tuttavia, il ruolo di stabilizzazione delle aspettative di comportamento cui il diritto in via di medium intersistemico deve assolvere non potrebbe ritenersi realizzato allorch fosse, per ipotesi, conseguita una totale prevedibilit delle decisioni assunte, e, con questa, la completa assimilazione tra legge giuridica e legge di casusalit. (46) A.E. CAMMARATA, Limiti tra formalismo e dommatica, Catania, 1936, p. 36. (47) Cfr. F. CARNELUTTI, Teoria generale del diritto, Roma, 1951, p. 42, il quale sostiene che poich il precetto concreto non si pone se non per quel caso, che esiste ed esistendo ne provoca la posizione, si dice anche specifico o speciale; poich, daltra parte, il precetto astratto si pone per ogni caso, il quale sia conforme allipotesi (), si dice anche precetto generico o generale . 302 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2016 3. Legis latio, legis executio ed amministrazione diretta. la Costituzione stessa ad assegnare alla legge parlamentare il carattere di primariet che le vale come elemento distintivo proprio (48); questa impostazione va ripresa per sottolineare la capacit rappresentativa del Parlamento, la sua struttura, il suo ruolo nel sistema politico-istituzionale, cos come era stato pensato e voluto dai Costituenti. Occorre rifarsi alla effettiva idoneit delle Camere a divenire il centro di determinazione dellindirizzo politico nellattivit di predisposizione degli strumenti di innovazione dellordinamento, evidenziando la reale capacit del Parlamento di assumere su di s il difficile compito di elaborare la sintesi degli interessi politici rilevanti nelle relazioni politico-sociali. Spetta al Parlamento controllare il Governo e chiederne il dovuto rendiconto del suo operato, secondo limpostazione autentica del parlamentarismo, e non viceversa, come troppo spesso accade in un sistema politico che ormai ha smarrito il senso della giusta collocazione del proprio ruolo. Latto tipico parlamentare, la legge, tenuto a produrre gli equilibri di valore che costituiscono il fondamento della convivenza civile, la ratio della funzione legislativa. Lelemento centrale , dunque, quello della rappresentanza, come carattere proprio e non fungibile del Parlamento; la giurisprudenza costituzionale (49) ha fortemente insistito sul significato unico del rapporto di rappresentanza politico-parlamentare, sottolineando la relazione tra popolo ed unit politica della nazione. Quindi, proprio questa funzione di rappresentanza nazionale (50), indicativa della originalit del nome proprio Parlamento che pone il concetto di legge della Repubblica, affinch in capo ad essa sia mantenuta e salvaguardata la titolarit della funzione di selezione e di filtro degli interessi propri della collettivit nazionale, tradotti nelle procedure legali idonee a concretizzare le soluzioni individuate in strumenti ed atti tipici dellistituzione parlamentare, qualificati dai requisiti formali e, secondo limpostazione accolta in questo lavoro, sostanziali che ad essi assegna lordinamento costituzionale. , quindi, la legge in senso forte, latto politico dellistituzione pi rappresentativa (51), ad assumere il compito di governare il conflitto politico-so- (48) Cfr. F. BILANCIA, Il paradigma della legge statale: i riflessi del nuovo art. 117, comma 2, sullart. 70 Cost., in Trasformazioni della funzione legislativa, III.1, Rilevanti novit in tema di fonti del diritto dopo la riforma del titolo V della II parte della Costituzione, a cura di MODUGNO, Milano, 2003, pp. 26 e 32, dove si sottolinea che legge e Parlamento hanno sempre assunto il medesimo ruolo e subito le stesse sorti nellevoluzione degli ordinamenti e delle forme di Stato, procedendo di pari passo nellalternarsi del primato e declino della rappresentanza, in una con le degenerazioni dei sistemi politici, i fenomeni di integrazioni inter e sovrastatale e, ora, con laffermazione in Italia dei pi accentuati caratteri del sistema delle autonomie politiche. (49) Cfr. Corte cost., sent. n. 496/2000, in Giur. cost., 2000, p. 3798. (50) Cfr. Corte cost., sent. n. 106/2002, in Giur. cost., 2002, p. 873. CONTRIBUTI DI DOTTRINA 303 ciale che deve, poi, trovare una sua composizione nellordinamento giuridico generale. Questa legge, per volont della stessa Carta costituzionale, vede giustapporre a s altri atti normativi posti sul suo stesso livello gerarchico; da qui deriva un potenziale conflitto di funzioni, qualitativamente disomogenee, le quali possono trovare un ordine secondo i criteri della competenza. Il valore della rappresentanza (52), pertanto, svolge un ruolo importante nel segnare la distinzione tra listituzione che compete il disporre, le Camere, e listituzione che compete il provvedere, lEsecutivo. In questa distinzione risiede larticolazione tra produzione ed applicazione del diritto, dove gi autorevole dottrina aveva rafforzato la concezione dellamministrazione come esecuzione, intuendo inoltre le potenzialit dellamministrazione diretta (53). Questa impostazione funzionale alla comprensione della concezione dellordinamento giuridico inteso come un sistema genetico di norme che ha fatto scendere in campo con forza [] questa teoria dei gradi del diritto come teoria della dinamica del diritto, relativizzando il contrasto, irrigidito quale contrasto assoluto, tra legge ed esecuzione, produzione del diritto e applicazione del diritto (54) . In tal senso, il presunto contrasto tra legis latio e legis executio non ha ragione di sussistere, trasformandosi in una relazione ordinata tra due momenti distinti ma non distanti; questa relazione, quindi, evidenzia quanto il carattere provvedimentale dellAmministrazione conduca ad un concretizzarsi della norma generale rispetto alla fattispecie condizionante, viene posta un norma individuale che concerne uno specifico e particolare accadimento o situazione, necessitante di un intervento regolativo. Siamo dinanzi al manifestarsi dellamministrazione diretta, la quale pone direttamente i fini di cura civile e sociale che la norma generale ha individuato come ambiti ampi ed indeterminati. Laffermazione dello Stato amministrativo esalta il ruolo di una amministrazione statale diretta che guadagna importanza nella stessa misura in cui lo Stato diventa cosciente dei propri compiti sociali e interviene nella vita sociale con le sue funzioni assistenziali ed economiche (55). (51) Cfr. F. BILANCIA, Il paradigma della legge statale: i riflessi del nuovo art. 117, comma 2, sullart. 70 Cost., cit., p. 36. (52) Cfr. F. BILANCIA, Sul concetto di legge politica: una prospettiva danalisi, in Trasformazioni della funzione legislativa, I, Vincoli alla funzione legislativa, a cura di MODUGNO, Milano, 1999, p. 212, il quale precisa che la legge deve il suo ruolo tuttora, formalmente, centrale nel sistema, al fatto di essere latto politicamente pi rappresentativo della volont dei cittadini, in una con la sua attitudine a prodursi secondo un procedimento quanto mai trasparente e partecipato dai pi diffusi e variegati interessi. (53) Cfr. H. KELSEN, La dottrina dei tre poteri o funzioni dello Stato, in Il primato del parlamento, a cura di GERACI, Milano, 1972, p. 84, dove si rileva che lidea guida che sola pu costituire la spina dorsale della teoria delle funzioni dello Stato consiste nella distinzione fra legis latio e legis executio; inoltre, la dottrina dei tre poteri dello Stato , giuridicamente, la dottrina dei diversi stadi della creazione e applicazione dellordinamento giuridico statale. (54) Cfr. H. KELSEN, Problemi fondamentali della dottrina del diritto pubblico, a cura di CARRINO, Napoli, 1991, p. 21. 304 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2016 Ricordando quanto in precedenza affermato in tema di norma generale e norma individuale, possibile ora affermare che alle Camere spetta una funzione legislativa pi generale, che sia, cio, espressione dei valori incardinati nella nozione costituzionale di Repubblica. Questa impostazione intende anche prevenire il rischio che il ruolo della legge appaia sempre pi spesso come strumentale alla realizzazione di finalit elaborate altrove e ad essa imposti in virt dei vincoli derivanti dallordinamento giuridico italiano nel contesto dei processi di integrazione sovranazionali. Da questo si rafforza la posizione qui avanzata di comprendere e di impostare alla luce del criterio della competenza il sistema delle fonti del diritto, in modo particolare nel rapporto tra atti posti a livello di fonti primarie. Largomentazione, dunque, anche alla luce della riforma del Titolo V, assume una ampiezza rilevante e constata che il modello italiano delle fonti primarie ha ormai assunto il connotato della separazione delle competenze, protetto dal sistema di garanzie giurisdizionali di legittimit costituzionale. La legge parlamentare, dunque, in termini concreti e non in un ottica meramente formale o simbolica, chiamata sempre pi a facilitare il processo di integrazione politica al fine di coordinare il maggior numero di interessi particolari. In questa direzione dovr procedere la riflessione circa il ruolo della legge e del decreto-legge nellattuale sistema delle fonti, secondo problematiche che implichino lanalisi dei ruoli e degli strumenti per la risoluzione di una complessa questione giuridica: la delimitazione e il contenuto delle sfere di intervento delle diverse fonti ritenute di volta in volta competenti. 4. Distinzione della funzione legislativa ed amministrativa nella costituzione. Si finora evidenziato quanto sia concreto il rischio di una rottura, poi difficilmente ricomponibile, dellunit del sistema delle fonti; si nota, infatti, che ormai si va smarrendo la stessa natura di atto normativo in quanto tale, non pi collocabile nello spettro delle categorie del disporre e del provvedere (56). Occorre, quindi, ripartire dalla Costituzione per rimarcare la distinzione tra la funzione legislativa e quella amministrativa, quale principio affermatosi nella cultura giuridica in chiave garantista, la quale pone come ineliminabile la considerazione che amministrazione e legislazione sono tenute distinte sulla base del concetto fondamentale per cui lazione dello Stato debba essere preceduta da statuizioni di ordine astratto e generale, e debba a queste conformarsi (57). Il testo costituzionale sottolinea la distinzione organica tra potere legislativo ed esecutivo-amministrativo, e questo testimoniato dallarticolazione prevista (55) Cfr. KELSEN, Giurisdizione e amministrazione, in Il primato del parlamento, cit., p. 156, dove lAutore teme lamministrazione al di fuori del diritto quanto S. Romano teme una legislazione che intervenga illimitatamente sullamministrazione, avvertendo entrambi la tensione tra legislativo ed esecutivo. (56) Cfr. F. BILANCIA, Sul concetto di legge politica: una prospettiva danalisi, cit., p. 215. CONTRIBUTI DI DOTTRINA 305 dagli artt. 70 e seguenti, da un lato, e dagli artt. 92 e 97, dallaltro. Emerge quindi una competenza generale del potere legislativo a disciplinare le modalit e gli spazi di intervento del potere amministrativo, ma senza entrare nel dettaglio di una attivit che riservata allorgano esecutivo; in questo modo, il potere legislativo non tenuto a prendere provvedimenti in qualunque campo a tal punto da consentirgli di esercitare anche la funzione amministrativa. Nel corso della prassi repubblicana, si invece assistito ad un rovesciamento della prospettiva, fino a svilupparsi una progressiva confusione di ruoli tra il Parlamento che intende allargare il proprio intervento sullamministrazione, in modo diretto tramite il fenomeno delle leggi-provvedimento, e il Governo che aumenta il ricorso alla decretazione durgenza (58). Il problema dellestensione di queste due diverse funzioni risulta centrale non solo per il corretto articolarsi del sistema delle fonti ma anche per il mantenimento di un adeguato equilibrio della forma di governo. Risulta, dunque, necessario rifarsi a quella parte del pensiero giuridico (59) che vede nel rapporto tra legislativo ed esecutivo una subordinazione dellamministrazione alla legge in modo che sia lattivit amministrativa stessa a trovare nella legge il proprio fondamento e limite. Una corretta relazione tra legislazione ed amministrazione ha bisogno di ritornare a porre al centro tematiche classiche, quali il principio di legalit (60), la divisione dei poteri, la riserva di legge e la generalit ed astrattezza della legge parlamentare. Secondo questa impostazione, tra ci che si prevede in via generale e ci che si cura in concreto si instaura un rapporto che ha il suo punto di equilibrio nella garanzia che la costituzione, modificazione ed estinzione di situazioni giuridiche soggettive avvenga nello specifico grazie allopera di un organo di esecuzione che proceda alla verifica della ricorrenza dei presupposti di applicazione della previsione legislativa alla situazione data, in modo da ottenere la raffrontabilit del provvedimento concreto rispetto alla previsione astratta che ne regola le modalit di adozione ed esercizio. (57) Cfr. G. BALLADORE PALLIERI, Appunti sulla divisione dei poteri nella vigente Costituzione italiana, in Riv. trim. dir. Pubbl., 1952, p. 815, il quale prosegue affermando che uno dei pilastri del moderno Stato di diritto senza dubbio questo: che non vi sia una pena, un tributo, un onere qualsiasi fissato individualmente per me o per altro cittadino secondo il capriccio del momento di colui che ha il compito di imporlo. (58) Cfr. F. RUFFILLI, Il governo parlamentare nellItalia repubblicana dopo quarantanni, in Dir. e Soc., 1987, p. 239. (59) Cfr. R. GUASTINI, Legalit (principio di), in Dig. Disc. Pubbl., vol. IX, Torino, p. 87; cfr. RANELLETTI, Principi di diritto amministrativo, I, Napoli, 1912, p. 269; cfr. SATTA, Principio di legalit e pubblica amministrazione nello Stato democratico, Padova, 1969, p. 101; cfr. BASSI, Principio di legalit e poteri amministrativi impliciti, Milano, 2001, p. 105. (60) Cfr. S. SPUNTARELLI, Lamministrazione per legge, Milano, 2007, p. 105, dove si sottolinea che in particolare, dalla regola per cui la validit dellesercizio del potere si misura sulla legge deriva il principio di preferenza di legge che progressivamente assoggetta le manifestazioni di volont del potere pubblico al principio di legalit. 306 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2016 Limpostazione qui affermata consente di ricollocare la legge formale nella sua dimensione consona, intendendola quale ratio, ordine, struttura razionale e coerente, alla quale il potere amministrativo deve ricondurre le proprie manifestazioni particolari (61). Lo Stato ha mezzi specifici per intervenire in settori particolari della vita economica e sociale, e questi strumenti sono dati allinterno della sua attivit amministrativa, idonei a regolare situazioni precise e circoscritte, riservando alla legge il compito di perseguire interessi unitari. Proprio sulla base di quanto riportato pu affermarsi che il sistema normativo, quale delineato dalla Carta costituzionale, a stabilire oggetto e confini tra legislazione ed amministrazione, e non la prassi, la realt istituzionale o linterpretazione giuridica. Le norme costituzionali sullimparzialit e sulla responsabilit amministrativa assegnano allamministrazione un ruolo tale da far s che il legame istaurato tra attivit amministrativa ed ordinamento generale permetta che la prima realizzi il secondo (62). Inoltre, la Costituzione pone una attenzione evidente per la collettivit, e in questo senso lamministrare uno degli strumenti della democrazia e dellesercizio della sovranit popolare nelle forme e nei limiti della Costituzione (63); pertanto, nello stesso momento in cui la Carta costituzionale impone compiti da realizzare riempie lesercizio delle funzioni pubbliche di contenuti che diventano la misura della legittimit e della responsabilit del loro esercizio (64). La disciplina di queste funzioni pubbliche rimessa alla legge, che ordina lattivit amministrativa proprio grazie alla sua supremazia su qualsivoglia altro atto dellordinamento in quanto (61) Cfr. R. GUASTINI, Legalit (principio di), cit., p. 85, il quale rileva che generalmente parlando, legalit significa conformit alla legge. Si dice principio di legalit quel principio in virt del quale i pubblici poteri sono soggetti alla legge, di tal che ogni loro atto deve essere conforme alla legge, a pena di invalidit. Detto altrimenti: invalido ogni atto dei pubblici poteri che non sia conforme alla legge. (62) Cfr. G. MARONGIU, Funzione amministrativa e ordinamento democratico, (1992), ora in La democrazia come problema, I. Diritto, amministrazione ed economia, tomo II, Bologna, 1994, p. 461, il quale afferma che il legame diretto istaurato per il tramite di una situazione doverosa che rende lintera attivit amministrativa, in quanto tale, nel suo nucleo costitutivo, funzione dellordinamento generale; inoltre lAutore sostiene che il punto dirimente rispetto alla spiegazione tradizionale costituito dal fatto che lamministrazione, prima di appartenere, di essere parte di un ordinamento parziale, appartiene, per cos dire, allordinamento giuridico generale, proprio in quanto funzione, essenziale ai fini del pieno dispiegarsi e realizzarsi dellordinamento stesso. Quindi, il rapporto con la direzione politica non un rapporto di dipendenza privo di una sua qualificazione, ma si tratta di un rapporto che raccorda la funzione amministrativa alla funzione di governo che necessita di una reciproca autonomia e di una specifica diversit funzionale. (63) Cfr. U. ALLEGRETTI, Pubblica amministrazione e ordinamento democratico, in Foro it., 1984, V, p. 205. (64) Cfr. U. ALLEGRETTI, Amministrazione pubblica e costituzione, Padova, 1996, p. 20, il quale rileva che costituzionale vuol dire ci che essenziale allessere di un certo ordinamento e della vita associata di cui esso la espressione giuridica, e ci che essenziale non dato solo dallorganizzazione di vertice, dalle istituzioni di governo, n inoltre solo dai diritti e dalla situazioni soggettive fondamentali, ma anche da tutto quellinsieme di istituzioni e di funzioni che interessano i problemi vitali delluomo, la soddisfazione quotidiana dei bisogni. CONTRIBUTI DI DOTTRINA 307 essa riferibile alla volont popolare mediante listituto della rappresentanza. A questo va aggiunto il ruolo peculiare che il Governo assume nellesperienza del cosiddetto Stato sociale dove richiesto un ripensamento delle forme attraverso le quali si esercitano i poteri normativi e si svolge lintera attivit politica statale (65). Se si pone attenzione alle pi rilevanti novit che contraddistinguono gli atti con forza di legge si pu osservare che i cambiamenti importanti riguardano i contenuti e gli oggetti assunti dal decreto-legge. Mediante questo strumento, e sfruttando la ormai cronica situazione di instabilit economica, si cercano di introdurre, almeno teoricamente, effetti pi immediati e concreti nella redistribuzione del reddito e nellattribuzione di risorse. Interventi di questo genere operati dallEsecutivo evidenziano la problematica compatibilit tra Stato di diritto e Stato sociale (66), dove emerge la questione della socialit posta in termini di una ripartizione regolata dallo Stato, il quale corregge il meccanismo di ripartizione dei rapporti sociali a favore di determinate persone o gruppi di persone (67). In un tale contesto di delicato equilibrio di logica economica, la combinazione tra Stato di diritto e Stato sociale induce il Governo ad operare direttamente, mediante piani di ripartizione e di composizione degli interessi in contrasto adottati con il ricorso alla decretazione durgenza. Gli obiettivi che di volta in volta il Governo si pone se da un lato possono connotarsi per la loro natura concreta dallaltro pongono alcuni interrogativi non marginali: infatti discutibile che misure di ampio respiro, atte ad incidere stabilmente nellordinamento, introducendo regole di comportamento sulla cui base i singoli poi saranno tenuti a modificare le proprie ricchezze, intenzioni e capacit, possano venire disciplinate dalla decretazione durgenza, ossia da uno strumento, per sua stessa definizione, provvisorio. Ancora una volta, e a maggior ragione in situazioni di emergenza economica, lintervento governativo nellambito dello Stato sociale dovrebbe attenersi a limiti precisi, e leventuale disuguaglianza di fatto che ne dovesse (65) Cfr. P. BARCELLONA, Dallo Stato sociale allo Stato immaginario, Torino, 1994, p. 207 secondo il quale le modificazioni connesse allintervento pubblico e allattribuzione allo Stato di compiti di regolazione del ciclo economico hanno inciso profondamente sulla funzione dellattivit legislativa. (66) Cfr. E. FORSTHOFF, Concetto e natura dello stato sociale di diritto, ora in Stato di diritto in trasformazione, a cura di AMIRANTE, Milano, 1973, p. 40, dove lautore rileva che per rispondere a questo interrogativo occorre tener presente che - per dirla in modo elementare - un mezzo Stato di diritto ed un mezzo Stato sociale non fanno uno Stato sociale di diritto. Con ci intendiamo dire: non esiste nessuna soluzione di compromesso che possa realizzarsi in modo da minimizzare gli ostacoli da una parte e dallaltra. Si tratta piuttosto di considerare lo Stato di diritto nel suo pieno rigore e di controllare, sulla base dei suoi concetti, forme ed istituti, se ed in che misura esso si accordi con le esigenze ed i contenuti dello Stato sociale e conseguentemente possa accoglierli. (67) Cfr. E. FORSTHOFF, La Repubblica federale tedesca come stato di diritto e stato sociale, in Riv. trim. dir. pubbl., 1956, p. 554. 308 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2016 derivare deve mantenere, come suo presupposto imprescindibile, lintento di ristabilire, quanto pi possibile, equilibri violati e pacificare conflitti sociali per sopperire, in un contesto circoscritto, ad incapacit o ritardi o assenze che la situazione di straordinaria necessit ha reso ineludibili. Si profila dunque lidea che il ricorso allemanazione di decreti-legge, pur lasciandosi definire come un effetto o una concretizzazione dello Stato sociale, non soltanto una conseguenza di questultimo, e ne testimone il fatto che i decreti-legge continuano ad essere emanati anche nel contesto odierno di crisi dello Stato sociale (68). Gli argomenti sopra esposti sottolineano il tema di fondo di questo studio: continuare a considerare la sistematicit delle fonti (69) un elemento essenziale della certezza del diritto in modo tale che ogni variazione delle fonti deve essere riconducibile al sistema mediante interpretazioni certe e stabili (70). 5. Incidenza del ruolo del decreto-legge sulla forma di governo e riflessi sulla forma di Stato. Lalterazione del sistema delle fonti causato dallabuso del ricorso alla decretazione durgenza presenta una ricaduta negativa anche sulla forma di governo. La scelta del costituente per un sistema di governo parlamentare intesa nel senso di considerare con particolare attenzione la delicata ripartizione dei poteri di adottare atti di rango primario, in modo che questi siano attribuiti in via permanente al Parlamento e solo in via eccezionale, dinanzi a situazioni non ordinarie o su delega, al Governo. Questultimo, infatti, proprio per il suo carattere rappresentativo soltanto derivato, risulta, in via generale, assegnatario di poteri normativi di tipo secondario (71), in linea con la sua natura di organo amministrativo, seppur collocato nella posizione di vertice della Pubblica Amministrazione. Di fronte alla difficolt manifestata dalla funzione legislativa parlamen- (68) Cfr. S. FOIS, Analisi delle problematiche fondamentali dello Stato sociale, in Dir. e soc., 1999, p. 163. (69) Cfr. M. DOGLIANI, Lindirizzo politico, Napoli, 1985, p. 23, il quale afferma che le risposte alla domanda su quali siano state le cause che hanno provocato la crisi della fiducia nella autonoma capacit prescrittiva della Costituzione, e cio nella rilevanza e nella efficacia giuridico-politica dellattivit di interpretazione, intesa come individuazione/enunciazione, delle regole costituzionali e costituzionalmente derivate, potrebbero dunque essere ritrovate in questo duplice ordine di considerazioni: nelle modificazioni strutturali conseguenti alla complessificazione dellordinamento ad opera della legislazione delle emergenze, e, fondamentalmente, nel disgregarsi del delicato equilibrio su cui era fondata la cultura della costituzione da attuare, sotto lurto di impostazioni che ripropongono come esclusivo lo schema della integrazione sostanziale. (70) Cfr. P. CIARLO, Parlamento, Governo e fonti normative, in Dir. amm., 1998, p. 384. (71) Cfr. A. CELOTTO, Labuso del decreto-legge. I profili teorici, evoluzione storica e analisi morfologica, Padova, 1997, p. 327, il quale rileva che la forma di governo parlamentare disegnata dalla Costituzione del 1948, nei fatti, riuscita ad essere applicata solo per una ventina danni, nei quali - non a caso - il decreto-legge stato utilizzato in maniera conforme alla Carta costituzionale. CONTRIBUTI DI DOTTRINA 309 tare a gestire il sistema costituzionale nel suo complesso (72) si ricorso ad altri strumenti di produzione giuridica, adattando, e distorcendo, istituti originariamente volti ad altri fini; in tal modo si arrivati a ritenere il decreto-legge una forma di iniziativa legislativa rinforzata (73), flessibile, di facile utilizzo e di grandissima efficacia (74). Questo fenomeno comporta un pericoloso capovolgimento di ruoli tra Governo e Parlamento e provoca una doppia espropriazione sostanziale (75) di prerogative proprie delle Camere, sia perch la sostituzione della disciplina governativa a quella parlamentare avviene in modo ordinario, ossia senza la sussistenza dei requisiti costituzionali della necessit e dellurgenza, sia perch il fatto di dedicare una quota sempre pi ampia del proprio tempo allesame dei decreti-legge limita grandemente la possibilit del Parlamento di attendere alla legislazione corrente. Cos, la competenza normativa tra Camere e Governo non viene pi ripartita secondo il disegno costituzionale, in quanto entrambi ormai dispongono del potere di emanare atti di rango primario in base ai medesimi criteri di opportunit, utilizzando due procedimenti che, vista la prassi, finiscono per divergere unicamente per aspetti formali e procedurali, la maggiore o minore celerit, e non per quelli contenutistici, tanto da rendere ordinaria la fonte straordinaria e straordinaria quella ordinaria (76). Questo insieme di elementi incide profondamente sulla forma di governo e la conseguenza quella di consentire allEsecutivo di appropriarsi, di fatto (72) Cfr. E. CHELI, Lampliamento dei poteri normativi dellesecutivo nei principali ordinamenti occidentali, in Riv. trim. dir. pubbl., 1959, p. 513, dove si sottolinea, quale causa tecnica del pi generale ampliamento dei poteri normativi dellEsecutivo, la lentezza dei procedimenti di formazione della legge e la scarsa attitudine della classe politica parlamentare ad affrontare la regolazione di materie di natura prevalentemente tecnica. (73) Cfr. A. PREDIERI, Il Governo colegislatore, in CAZZOLA - PREDIERI - PRIULLA, Il decreto-legge fra Governo e Parlamento, Milano, 1975, p. XX. (74) Cfr. C. CHIMENTI, Addio prima Repubblica. Lineamenti della forma di governo italiana nellesperienza di undici legislature, Torino, 1995, p. 189, il quale evidenzia che il decreto-legge ha completamente perso le sue connotazioni costituzionali di urgenza oggettiva, ed diventato da un lato un manifesto dellindirizzo politico che il Governo tenta di imporre al Parlamento (non solo allopposizione ma anche ad una maggioranza sempre pi riottosa), e dallaltro un acceleratore della sua azione amministrativa che pone alle Camere lo spiacevole dilemma fra ratificare o apparire come causa di vuoti normativi, e quindi di ingovernabilit. Cfr. M. RAVERAIRA, Il problema del sindacato di costituzionalit sui presupposti della necessit ed urgenza dei decreti-legge, in Giur. Cost., 1982, I, p. 1434, dove lucidamente si osserva che labuso della decretazione durgenza, venendo a mutare esclusivamente in via di fatto i rapporti tra gli organi costituzionali in ordine allattivit legislativa, generi anche una serie di inconvenienti pratici, che certamente non risolvono le difficolt che rendono attualmente poco funzionale e produttiva lattivit del Parlamento, anzi sembrano aggravarle. (75) Cfr. S. RODOT, Labuso dei decreti-legge-Fenomenologia dei decreti, in Pol. del diritto, 1980, p. 381. (76) Cfr. S. LABRIOLA, Il Governo della Repubblica, organi e poteri: commento alla Legge 400/88, Rimini, 1997, p. 162. 310 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2016 (77), della potest legislativa parlamentare; la prassi vede sempre pi spesso proporre una nuova tipologia di decretazione durgenza, riassunta nella formula decreto-legge ordinario (78), il quale rappresenta il punto di emersione pi difettoso di una democrazia mediatoria e assembleare (79), dove Governo, maggioranza ed opposizione, anche mediante un abbondante utilizzo di emendamenti, danno origine a vere e proprie forme di colegislazioni governativo- parlamentari (80). Questo quadro sottolinea quanto listituto regolato dallart. 77 Cost. abbia subito una vera e propria mutazione genetica (81). Attraverso la considerazione, affermatisi nella quotidianit istituzionale, che la decretazione durgenza sia una fonte ordinaria, continua (82), normalizzata, abitudinaria, concorrenziale rispetto alla legge parlamentare, e lunico elemento eccezionale risiede nel procedimento di emanazione e conversione (83). Si tratta di una progressiva e costante degenerazione che ha condotto ad una radicale trasformazione della natura dellistituto, che, in via di fatto si venuto a sdoppiare in due figure (84); accanto al decreto-legge conforme allart. 77 Cost., che vuole delineare un atto avente forza di legge, indifferibile ma provvisorio, si affermata una seconda tipologia di decretazione durgenza, che col tempo ha soppiantato la prima, fondata su una interpretazione estensiva finalizzata a riscontrare nel decreto-legge un atto di mera anticipazione legislativa, destinato ad introdurre nellordinamento una disciplina immediata e tendenzialmente stabile. Si dunque formata quasi una convenzione costituzionale (85), che ha riconosciuto come fonte, quantitativamente prevalente rispetto alla stessa legge (77) Cfr. V. ANGIOLINI, Attivit legislativa del governo e giustizia costituzionale, in Riv. dir. cost., 1996, p. 248, il quale sottolinea quanto questa modifica sia fondata sulla pura effettivit politica e sociale. (78) Cfr. V. CRISAFULLI, Lezioni di diritto costituzionale, II, 1, VI edizione, Padova, 1993, p. 106, dove si configura lipotesi della creazione di una nuova forma di fonte, un decreto-legge ordinario, distinto e differenziato da quello dellart. 77. (79) Cfr. A. DI GIOVINE, La decretazione durgenza in Italia tra paradossi, ossimori e prospettive di riforma, in Studi parlamentari e di politica costituzionale, 1996, n. 111, pp. 5-26. (80) Cfr. G. PITRUZZELLA, La lunga transizione: la forma di governo nellXI e nellXII legislatura, in Dir. pubbl., 1996, p. 429. (81) Cfr. A. RUGGERI, La Corte e le mutazioni genetiche dei decreti-legge, in Riv. Dir. Cost., 1996, p. 251. (82) Cfr. G. BERTI, Manuale di interpretazione costituzionale, III edizione, Padova, 1994, p. 175, dove lautore afferma che la pratica della decretazione normativa tanto ripetuta da apparire continua, per cui ҏ ancora pi evidente che la previsione dellart. 77 nientaltro che la prefigurazione di un procedimento legislativo alternativo, in cui la iniziativa del governo non diretta a rendere possibile o a promuovere il dibattito parlamentare su un disegno di legge, ma a precostituire una legge, obbligando il parlamento a pronunciarsi su di essa, approvandola o disapprovandola o modificandola nel termine di 60 giorni dalla pubblicazione. (83) Cfr. L. PALADIN, Atti legislativi e rapporti fra i poteri, in Quad. Cost., 1996, p. 14, il quale rileva che di veramente straordinario non rimane nullaltro che il procedimento seguito dal Governo, al di fuori delle vie normali della funzione legislativa. (84) Cfr. A. CELOTTO, Labuso del decreto-legge, cit., p. 310. CONTRIBUTI DI DOTTRINA 311 formale, un nuovo tipo di decreto-legge, di natura ordinaria, che costituisce un diverso procedimento di formazione della legge (86). Come risulta da questa ricostruzione, leffetto di una degenerazione di tale portata devastante sul sistema delle fonti e, di conseguenza, la forma di governo ne esce modificata profondamente, superando lassetto delineato e voluto dalla Costituzione formale (87). Si ampiamente perduta la centralit del Parlamento, il quale ha cooperato a codesta erosione del proprio ruolo di legislatore, assecondando la conversione del decreto-legge e non reagendo innanzi alla loro reiterazione, delegando molto e a lungo, rinnovando le deleghe medesime, tollerando la prassi dei cosiddetti decreti correttivi (88). La sopravvenuta centralit del decreto- legge, adottato senza i presupposti di straordinaria necessit ed urgenza (89) e privo, in gran parte, di un contenuto prettamente provvedimentale, provoca pericolosi squilibri nella separazione dei poteri forieri di disordine istituzionale e normativo (90), con forti impatti su valori costituzionalmente tutelati (91). (85) Cfr. C. FRESA, Provvisoriet con forza di legge e gestione degli stati di crisi, Padova, 1981, p. 154, dove si sostiene che il consenso sul ricorso alla decretazione durgenza inteso come una sorta di svigorimento della forma, per la quale il decreto-legge, da strumento derogatorio ed eccezionale di produzione normativa, divenuto una ordinaria fonte di produzione del diritto. (86) Cfr. G.U. RESCIGNO, Le tecniche legislative oggi in Italia, in VISINTINI, (a cura di), Analisi di leggi campione. Problemi di tecnica legislativa, Padova, 1995, p. 739, il quale sottolinea come oggi in Italia non si legifera pi mediante leggi discusse e approvate in Parlamento, ma mediante decreti-legge del Governo, a cui segue talvolta e con molto ritardo, lapprovazione del Parlamento (il quale comunque delibera sopra decisioni gi adottate e gi applicate). (87) Cfr. A. PIZZORUSSO, Ripensando i controlli sui decreti legge alla luce dellesperienza recente, in Pol. del diritto, n. 3/1995, p. 373, il quale ricorda che la difficolt di conciliare il riconoscimento allesecutivo del potere di decretazione durgenza con i principi del governo parlamentare si era manifestato gi nel periodo della monarchia liberale quando i decreti legge venivano giustificati con argomentazioni di vario tipo. (88) Cfr. V. ANGIOLINI, Attivit legislativa del governo e giustizia costituzionale, cit., p. 208. (89) Cfr. S. BOCCALATTE, Tra norma e realt: riflessioni sulla motivazione del decreto-legge alla luce della sentenza n. 171/2007, in www.federalismi.it, 5 settembre 2007; cfr. A. CELOTTO, Carlo Esposito, le condiscendenti elaborazioni dei costituzionalisti e il sindacato sui presupposti del decretolegge, in Giur. cost., 2008, p. 1502 ss.; cfr. R. ROMBOLI, Ancora una dichiarazione di incostituzionalit di un decreto-legge (e della legge di conversione) per evidente mancanza dei presupposti: qualche interrogativo sul significato e sugli effetti di alcune affermazioni della Corte, in Foro.it, 2008, I, p. 3044 ss.; cfr. A. RUGGERI, Evidente mancanza dei presupposti fattuali e disomogeneit dei decreti-legge (a margine di Corte cost., n. 128 del 2008), ivi, p. 3048 ss. (90) Cfr. P. CARNEVALE, Considerazioni sulle pi recenti decisioni della Corte costituzionale in tema di sindacato sui presupposti del decreto-legge (sent. nn. 171 del 2007 e 128 del 2008). Per un tentativo di lettura combinata, in forum costituzionale.it; cfr. G. SILVESTRI, Alcuni profili problematici dellattuale dibattito sui decreti-legge, in Pol. del diritto, 1996, p. 426. (91) Cfr. L. PALADIN, Atti legislativi del Governo e rapporti fra i poteri, in Quad. cost. 1996, p. 7, dove si sottolinea che la Costituzione formale non stata affatto soppiantata da una incompatibile costituzione materiale; ma viene interpretata ed applicata, sul piano delleffettivit giuridica, nel senso di far salva - in larghissima misura - la decretazione legislativa durgenza, malgrado si tratti del fattore maggiormente anomalo e discutibile, se confrontato con qualsiasi altro tipo di atto o di fatto normativo. 312 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2016 Alcune considerazioni finali vanno poste anche per quanto riguarda i riflessi sulla forma di Stato, volendo sottolineare come tale degenerazione incide sulla relazione tra cittadino ed autorit pubblica. Il rischio concreto quello di intaccare principi fondamentali dellordinamento, sanciti a livello costituzionale, come il principio di tutela delle minoranze e quello di legalit. Infatti, le minoranze possono partecipare alliter della decretazione durgenza in maniera molto limitata, soltanto in sede di conversione, con una forte compressione dei loro spazi, dato anche il frequente ricorso alla questione di fiducia da parte dellEsecutivo. Il principio di legalit sostanzialmente svuotato (92), a fronte dellassenza di qualsivoglia esigenza di urgenza e in presenza di testi estremamente articolati ed eterogenei (93); questo determina effetti irreversibili, con grave nocumento alla certezza del diritto. Ritorna quindi il tema della sovranit popolare: il principio di legalit per potersi realizzare compiutamente necessita che latto normativo prodotto provenga dallorgano pi rappresentativo della volont popolare (94). Il riequilibrio dei rapporti tra Governo e Parlamento non implica un aumento di poteri dellEsecutivo; al contrario, nel caso delladozione di atti di rango primario necessario un contenimento. La mancata presa di coscienza di cosa effettivamente si intenda per fatto emergenziale ha finito per consentire al Governo di oltrepassare i limiti di elasticit che una Costituzione rigida pu tollerare (95). In situazioni di emergenza il bisogno di ris