ANNO LXVIII - N. 2 APRILE - GIUGNO 2016 


RASSEGNA 
AV V O C AT U R A 
DELLO STATO 


PUBBLICAZIONE TRIMESTRALE DI SERVIZIO 


COMITATO SCIENTIFICO: Presidente: Michele Dipace. Componenti: Franco Coppi - Giuseppe Guarino -
Natalino Irti - Eugenio Picozza - Franco Gaetano Scoca. 

DIRETTORE RESPONSABILE: Giuseppe Fiengo - CONDIRETTORI: Maurizio Borgo, Danilo Del Gaizo e 
Stefano Varone. 

COMITATO DI REDAZIONE: Giacomo Aiello - Lorenzo D�Ascia - Gianni De Bellis - Francesco De Luca -
Wally Ferrante - Sergio Fiorentino - Paolo Gentili - Maria Vittoria Lumetti - Francesco Meloncelli Marina 
Russo. 

CORRISPONDENTI DELLE AVVOCATURE DISTRETTUALI: Andrea Michele Caridi - Stefano Maria Cerillo -
Pierfrancesco La Spina - Marco Meloni - Maria Assunta Mercati - Alfonso Mezzotero - Riccardo 
Montagnoli - Domenico Mutino - Nicola Parri - Adele Quattrone - Piero Vitullo. 

HANNO COLLABORATO INOLTRE AL PRESENTE FASCICOLO: Domenico Andracchio, Giuseppe Arpaia, 
Francesco Cecchini, Maria Luisa Costanzo, Luca Dell�Osta, Fabio Fasani, Emanuela Antonia 
Favara, Adriana Lagioia, Grazia Maggi, Luigi Maruotti, Glauco Nori, Stefano Pizzorno, Dadiv 
Romei, Francesco Scardino. 

Email 
giuseppe.fiengo@avvocaturastato.it 
maurizio.borgo@avvocaturastato.it 
danilodelgaizo@avvocaturastato.it 
stefanovarone@avvocaturastato.it 

ABBONAMENTO ANNUO ..............................................................................� 40,00 
UN NUMERO .............................................................................................. � 12,00 


Per abbonamenti ed acquisti inviare copia della quietanza di versamento di bonifico 
bancario o postale a favore della Tesoreria dello Stato specificando codice IBAN: IT 
42Q 01000 03245 348 0 10 2368 05, causale di versamento, indirizzo ove effettuare 
la spedizione, codice fiscale del versante. 

I destinatari della rivista sono pregati di comunicare eventuali variazioni di indirizzo 

AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO 
RASSEGNA - Via dei Portoghesi, 12, 00186 Roma 
E-mail: rassegna@avvocaturastato.it - Sito www.avvocaturastato.it 


Stampato in Italia - Printed in Italy 

Autorizzazione Tribunale di Roma - Decreto n. 11089 del 13 luglio 1966 


INDICE - SOMMARIO 


CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 

Emanuela Antonia Favara, Corte di Giustizia e res iudicata: abbattute le 
colonne d�Ercole?. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 

Glauco Nori, I rifugiati: non sarebbe il caso di ricordare la normativa? 

Luca Dell�Osta, L�atto amministrativo contrario al diritto dell�Unione 
europea nell�alto mare aperto: un intervento legislativo per conciliare 
supremazia del diritto europeo e i principi di certezza e affidamento . . . 

CONTENZIOSO NAZIONALE 

Grazia Maggi, Enti lirici. La sentenza della Corte Costituzionale n. 260 
del 2015. Una lettura interpretativa e riflessi sui contenziosi pendenti (C. 
Cost., sent. 11 dicembre 2015 n. 260) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 

Adriana Lagioia, L�onere della prova del chiamato all�eredit� e la sua 
capacit� di rappresentare l�eredit� in giudizio (Cass. civ., Sez. V, sent. 
23 marzo 2016 n. 5750) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 

Francesco Scardino, L�uso illegittimo dell�autovettura di servizio (Cass. 
pen., Sez. VI, sent. 31 marzo 2016 n. 13038). . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 

Giuseppe Arpaia, Sospensione del processo ed individuazione del termine 
di decorrenza dell�atto di riassunzione rispetto ad una parte non presente 
nel giudizio pregiudiziale (C. app. Napoli, Sez. I civ., sent. 23 giugno 2016 

n. 2533). . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 

Stefano Pizzorno, L�estensione della tutela di rifugiato per una caratteristica 
fondamentale dell�identit� (Trib. Palermo, Sez. I civ., ord. 11 aprile 
2016). . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 

Francesco Cecchini, Ostacolo all�esercizio delle funzioni delle autorit� 
pubbliche di vigilanza e bancarotta. La legittimazione alla costituzione 
di parte civile del Ministero dello Sviluppo Economico. . . . . . . . . . . . . . 

LEGISLAZIONE ED ATTUALIT� 

Glauco Nori, Uno dei problemi provocati dal �bail in� . . . . . . . . . . . . . 

Maria Luisa Costanzo, La tutela dei beni superindividuali: evoluzione 
normativa e giurisprudenziale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 

CONTRIBUTI DI DOTTRINA 

Domenico Andracchio, Lo �Stato-autoproduttore�. Dalle origini giurisprudenziali 
alla codificazione dell�in house providing. . . . . . . . . . . . . . 

Francesco Meloncelli, Il valore doganale nel �transfer pricing� . . . . . . 

Alfonso Mezzotero, David Romei, Gli effetti dell�annullamento dell�aggiudicazione 
sul contratto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 

pag. 1 
�� 51 
�� 62 
�� 73 
�� 92 
�� 105 
�� 120 
�� 130 
�� 136 
�� 159 
�� 162 
�� 171 
�� 229 
�� 253 


RECENSIONI 

Alfonso Mezzotero, David Romei, Il patrocinio delle Pubbliche Amministrazioni. 
La Difesa innanzi alle Giurisdizioni Ordinarie e Speciali Prefazione 
del dott. Luigi Maruotti, CSA Editrice, 2016. . . . . . . . . . . . . pag. 277 
Fabio Fasani, Terrorismo islamico e diritto penale, CEDAM, 2016. . . . �� 281 

CONTENZIOSO COMUNITARIO 
ED INTERNAZIONALE 
Corte di Giustizia e res iudicata: 
abbattute le colonne d�Ercole? 

Emanuela Antonia Favara* 

SOMMARIO: INTRODUZIONE - (IN)TANGIBILIT� DEL GIUDICATO NAZIONALE. UN ASSIOMA APPARENTE? 
I.I. - Concettualizzazione della res iudicata - I.II. La cosa giudicata sostanziale nell�ordinamento 
italiano - I.III. La cosa giudicata formale nell�ordinamento italiano - I.IV. Profili 
di �ingiustizia� del giudicato - I.V. Ingiustizia per contrariet� al diritto comunitario - I.VI. La 
problematica gestione del precedente - I.VII. L�attivismo giudiziale della Corte di Giustizia 


I.VIII. La Corte di Giustizia e l�autonomia degli Stati membri - I.IX. Percorso dell�analisi. 

PARTE PRIMA - LA RESPONSABILIT� DELLO STATO PER LA VIOLAZIONE DEL DIRITTO DELL�UNIONE 
EUROPEA (Sentenze Francovich (C-6/90), Brasserie du pecheur e Factortame (C-46/93 e C48/
93) e K�bler (C-224/01). 1.1. Le peculiarit� del caso Francovich - 1.2. Ulteriori riflessioni 
in materia di responsabilit� dello Stato per violazione del diritto comunitario -1.3. Violazione 
sufficientemente grave e manifesta: un argine autoimposto? - 1.4. Funzionalizzazione della 
responsabilit� statale - 1.5. Verso la sistematizzazione della responsabilit� - 1.6. Le funzioni 
della responsabilit� e le esigenze individuali - 1.7. Rischi di una elaborazione volutamente 
imprecisa - 1.8. L�apparente unitariet� della responsabilit� - 1.9. Decentralizzazione e garanzia 
di un ricorso effettivo - 1.10. Riflessi sul principio di intangibilit� della res iudicata. 

PARTE SECONDA - CORTE DI GIUSTIZIA E RES IUDICATA: CRONACA DI UN BLANDO TRAVOLGIMENTO 
(Sentenze Eco Swiss (C-126/97); K�hne & Heitz (C-453/00); Kapferer (C-234/04); 
Lucchini (C-119/05); Fallimento Olimpiclub (C-2/08); Pizzarotti (C-213/13). 2.1. Le pronunce 

(*) Dottore in Giurisprudenza, ammessa alla pratica forense presso l�Avvocatura dello Stato. 

Il presente studio � un estratto della Tesi di Diploma di Licenza Magistrale della Scuola Superiore 
dell�Universit� di Catania, difesa il 14 dicembre 2015. (Relatore Chiar.mo Prof. Andrea Bettetini Universit� 
degli Studi di Catania, Controrelatore Chiar.mo Prof. Marco Pedrazzi - Universit� degli 
Studi di Milano). 

L�Autrice rivolge un particolare ringraziamento, per i puntuali e preziosi spunti di ricerca, agli Avvocati 
dello Stato Anna Collabolletta e Paolo Gentili. 


delle Corti europee e l�intrusione nella sovranit� statale - 2.2. Una ingerenza necessitata 


2.3. Tre filoni interpretativi - 2.4. Corte di Giustizia e giudicato nazionale. Lesione di principi? 
- 2.5. Una nuova chiave di lettura dei rapporti fra ordinamenti - 2.6. Uno scontro evitabile 


2.7. Il caso Pizzarotti: rilievi della sentenza della Corte nella considerazione del giudice remittente 
- 2.8. Limiti del risarcimento in forma specifica e responsabilit� civile dei magistrati: 
la chiusura del cerchio. 

CONSIDERAZIONI FINALI. 

INTRODUZIONE 
(IN)TANGIBILIT� DEL GIUDICATO NAZIONALE. UN ASSIOMA APPARENTE? 


I.I. Concettualizzazione della res iudicata. 

L�autorit� di res iudicata conferisce all�oggetto del giudizio immutabilit� 
ed incontrovertibilit� sostanziali e processuali. 

Il concetto di cosa giudicata, infatti, racchiude in s� due aspetti, due facce 

(1) della stessa giuridica medaglia: il passaggio in cosa giudicata comporta, in 
genere, la preclusione di mezzi di revisione della sentenza e, altres�, l�immutabilit� 
della statuizione contenuta nella sentenza stessa, anche nei termini della 
sua influenza sulle vicende giuridiche collegate a quella oggetto del giudicato. 

Per Chiovenda (2), la �cosa giudicata consiste nell�indiscutibilit� dell�esistenza 
della volont� concreta di legge affermata nella sentenza�: ci� significa 
che nella sentenza passata in giudicato si incarna la norma generale ed astratta 
sotto la quale � sussumibile il caso concreto, conferendo alla stessa la natura 
di regola applicabile per la risoluzione dello stesso (3). 

Ci� risponde a criteri di certezza ed economicit�, sicch� non dovrebbe 
pi� essere ammesso ritornare su quanto � coperto dall�efficacia del giudicato, 
pena anche la delusione dell�affidamento ingenerato su una statuizione che, 
per le particolari contingenze che ne hanno determinato l�immutabilit�, ha meritato 
l�assunzione nell�empireo dei concetti (4). 

Nel quadro di scambi naturali e obbligati tra i giudici nell�Unione europea, 
il concetto di giudicato si veste di nuovi colori, in ragione dei confronti 
incrociati tra le statuizioni delle giurisdizioni nazionali, prime e naturali detentrici 
del monopolio applicativo del diritto dell�Unione e quelle della Corte 
di Giustizia, cui � riservata l�interpretazione dello stesso. 

(1) Cos� FAZZALARI E., Processo Civile, in Enc. Dir., vol. XXXVI, Milano, 1987, 189. 
(2) CHIOVENDA G., Principi di diritto processuale civile, Napoli, Jovene, 1980, 906. 
(3) CHIOVENDA G., ivi, 907. 


(4) Alla stregua della nota corrente della Begriffsjurisprudenz (giurisprudenza dei concetti), secondo 
la quale l�interprete dovrebbe far riferimento esclusivamente a quanto, astratto dalle contingenze 
eteronome provenienti dal corpo sociale, sia concepibile come concetto giuridico puro. 


Tali circostanze, pi� che minare la rilevanza del fenomeno (5), ne richiedono 
una pi� attenta analisi, nei termini della sua incidenza sui rapporti disciplinati 
dal diritto dell�Unione e sulla sua capacit� di sopravvivere alla primaut� 
comunitaria. 

I.II. La cosa giudicata sostanziale nell�ordinamento italiano. 

La cosa giudicata sostanziale, o materiale, cui � dedicato l�articolo 2909 
del codice civile italiano, (che � distinta da quella formale, di cui all�articolo 
324 del codice di rito, che, per certi, versi, ne � antecedente logico, in quanto 
potr� spiegare i suoi effetti di cosa giudicata sostanziale l�accertamento contenuto 
in una sentenza che sia incontrovertibile, nel senso di essere passata in 
giudicato formale), corrisponde all�accertamento contenuto nella sentenza del 
giudice civile, la quale fa stato ad ogni effetto (Feststellung) fra le parti, i loro 
eredi ed aventi causa. 

In altre parole, l�articolo 2909 c.c. descrive gli effetti della trasformazione 
della res in iudicium deducta (cristallizzata entro i limiti cronologici della 
udienza di precisazione delle conclusioni) in res iudicata. 

Asserire che il giudicato sostanziale fa stato significa che esso vincola le 
parti, che hanno scelto, attraverso la devoluzione di una controversia ad un 
organo giurisdizionale, di imprimere ai loro rapporti giuridici nuova certezza 
(res iudicata pro veritate habetur). 

Risiede, probabilmente, nel concetto di fare stato l�intima contraddizione 
del concetto di giudicato, che � certezza interna al rapporto giuridico processuale, 
necessariamente cieca rispetto alle contingenze mondane che potrebbero 
incidere la vicenda dedotta in giudizio successivamente alla cristallizzazione 
formale ed obbligata che � essenza del giudicato stesso (6). 

Fare stato ad ogni effetto comporta che il giudicato imprima il suo divieto 
di ne bis in idem (a differenza che nel processo penale (7), in cui l�effetto negativo 
sembrerebbe preponderante su ogni altro, nel processo civile, in quello 
amministrativo e in quello tributario (8) si distinguono, pi� propriamente, la 

(5) Come, in parte, sostenuto da PUNZI C., Il processo civile, Volume I, II ed., Torino, Giappichelli, 
2010, 46. 
(6) Cfr. BETTETINI A., Verit�, giustizia, certezza: sulla cosa giudicata nel diritto della Chiesa, Padova, 
Cedam, 2012, 9, il quale, rapportando la cristallizzazione propria del giudicato al modello formale 
del linguaggio, sottolinea come, se da un lato esso � in grado di creare un mondo indipendente da quello 
che dovrebbe rappresentare, dall�altro, in seguito a tale circoscrizione concettuale, viene necessariamente 
accantonato il rapporto con la realt� degli eventi a questa sottesi. 
(7) Cfr. art. 649 c.p.p. 


(8) Nel diritto tributario, probabilmente, si coglie nella sua interezza la problematicit� di accertamenti 
giurisdizionali risoltisi in una res iudicata i quali, in virt� del conseguente e spesso naturale frazionamento 
temporale o personale delle posizioni impositive, potrebbero non essere al passo con le 
contingenze fattuali e, pertanto, non rispondere pienamente all�istanza di giustizia che, pi� che mai nella 
pretesa fiscale, � avvertita come necessaria. 



accezione di effetto preclusivo diretto, e quella, ulteriore, di effetto positivo 
conformativo riflesso, che determina il modo in cui le eventuali e successive 
questioni dovranno essere decise in ragione della presenza del giudicato) (9) 
non solo ai successivi processi ove fosse azionato il medesimo diritto, ma 
anche a quelli relativi a diritti diversi e strettamente connessi al primo. 

Ci�, naturalmente, determiner� una diversificazione dei poteri del giudice 
e del loro esercizio, in quanto, nel caso di un giudicato che espliciti la sua efficacia 
conformativa, il giudice sar� chiamato a decidere e lo far� in ossequio 
al contenuto del precedente giudicato (profilandosi una mera circoscrizione 
della sua libert� di giudizio); viceversa, nel caso di efficacia negativa, al giudice 
sar� precluso di ritornare sulla questione coperta dal giudicato, richiedendosi, 
dunque, allo stesso un vero e proprio dovere di astensione dalla decisione 
della causa. 

L�articolo 2909 �, non a caso, posto a chiusura del codice civile, costituendo, 
probabilmente, il tramite (10) per il quale il diritto sostanziale, vivificato 
nella realt�, ma inevitabilmente deietto, imperfetta copia dell�idea pura 
di ius oggetto di codificazione, transita verso l�eventuale, ma inevitabile, momento 
processuale, per essere riaffermato nella sua interezza. 

I.III. La cosa giudicata formale nell�ordinamento italiano. 

L�articolo 324 del codice di procedura civile, rubricato, appunto, �Cosa 
giudicata formale�, descrive, invece, l�attitudine formale della sentenza passata 
in giudicato a resistere ad ulteriori modificazioni (11), in quanto esaurita 
ogni possibilit� di emendamento e di riesame delle quaestiones a questa sottese, 
attraverso le ormai impraticabili impugnazioni ordinarie predisposte 
dall�ordinamento o a seguito dell�acquiescenza della parte interessata. 

La dottrina sulla cosa giudicata, spesso assestata su posizioni antitetica-
mente contrapposte (12), risente pi� di altre della collocazione in terreno di 
confine di tale concetto, tra il diritto sostanziale e quello processuale. 

� pi� giusto riconoscere (13) che la cosa giudicata viva di tale bilico, che 
ne � linfa e inscindibile presupposto concettuale, non a caso comprovato dal-
l�esistenza di due norme (i gi� citati articoli 2909 c.c. e 324 c.p.c.), che sono 
la codificata dimostrazione della sua intrinseca poliedricit�. 

Cos� concepita, quindi, la cosa giudicata si concreta nella riconosciuta attribuzione 
del bene della vita, legittimata dal diritto sostanziale e vivificata, a 

(9) Cfr. CONSOLO C., che, per descrivere la seconda delle accezioni del concetto di cosa giudicata 
sostanziale, parla di specularit� al negativo in Spiegazioni di diritto processuale civile, Volume I, Torino, 
Giappichelli, 2011, 184. 
(10) Cfr. CONSOLO C., che descrive l�art. 2909 del codice civile come un ponte, in op. cit., Volume 
I, 166. 
(11) O meglio, come pi� propriamente si evince dalla lettera della legge, l�art. 324 fa derivare 
dalla preclusione dei mezzi ordinari di riesame della pronuncia il passaggio in giudicato della stessa. 



seguito della contestazione sulla spettanza, da quello processuale (sententia 
facit ius) (14). 

A cavallo tra i rigorismi concettuali del codicismo e la necessitata dimensione 
dialettica dello storicismo (15), la teoria del giudicato � stata, tra l�altro, 
una delle esemplificazioni della riduzione del diritto a processo, che tanto 
anim� la filosofia giuridica romantica, nella convinzione che il diritto sostanziale, 
concepito organicamente e senza imposizioni di sorta, trovasse il proprio 
completamento logico e concettuale solo nell�esperienza processuale (16). 

� come se, per dirla con Wittgenstein nella sua essenza neokantiana, il 
diritto non esistesse senza esperienza, in quanto � quest�ultima a renderci edotti 
dell�esistenza di posizioni formali prima ignote, incidendo sul reale e sul concetto 
di attribuzione che ritenevamo innato. 

La definizione processuale dell�assetto di interessi non sar� mai priva di 
sacrifici in capo a chi risultasse soccombente nel giuoco di attribuzioni e privazioni 
che, immancabilmente, accompagna le controversie sulle posizioni 
giuridiche soggettive. 

E, tuttavia, tale sacrificio non � contrario alla razionalit�, in quanto, attraverso 
il soddisfatto anelito alla certezza, esso garantisce l�ordine sociale (17). 

(12) Cfr. PUGLIESE G., Giudicato civile, in Enc. Dir., vol. XVIII, Milano, 1969, 836, che distingueva 
tra teoria sostanziale del giudicato e teoria processuale, sulla scorta della dottrina classica tedesca. 
Tale diversificazione � stata ben commentata da CONSOLO C., op. cit., Volume I, 195: �La tesi sostanziale 
(Carnelutti, Allorio) ritiene che la sentenza e il giudicato siano, in sostanza, qualche cosa che entra a far 
parte direttamente e gi� sul terreno del diritto sostanziale della dinamica di estinzione e produzione dei 
rapporti giuridici. L�art. 2909 sarebbe allora - come rilevava la Relazione al Re - collocato nel c.c. in 
modo corretto dal punto di vista non solo funzionale (tutela giurisdizionale dei diritti), ma anche strutturale 
ed effettuale, siccome istituto al fondo di diritto materiale (Goldschmidt). Per conseguenza di tale 
effetto sostanziale il nuovo giudicato de eadem re non sarebbe impedito dal vero e formale ne bis in 
idem, ma ad esso conformato. 
L�altra pi� snellamente concepita tesi (Chiovenda), quella processuale, si basa su un principio di preclusione 
al riesame della domanda; preclusione giustificata e non incostituzionale poich� cՏ gi� stato 
un primo esame che l�ordinamento ritiene verosimile e comunque sufficiente�. 
(13) Come fa PUNZI C., op. cit. 


(14) Cfr., in merito, le teorie di SATTA S., Commentario del codice di procedura civile, voll. I-II, 
Milano, 1959-1960. 
(15) Si allude qui alla contrapposizione, frutto della reazione al razionalismo illuminista, tra l�ossequioso 
asservimento alla lettera della legge tipico di quest�ultima e il metodo dialettico di trasformazione 
del processo storico a mezzo di antitesi, che caratterizz� la filosofia hegeliana. 
(16) Cfr. VON SAVIGNY F.C., System des heutigen r�mischen Rechts (1840-1851); tr. it. (a cura di) 
SCIALOJA, V., Sistema del diritto romano attuale, vol. 1, Torino, ed. Unione Tipografico, 1886-1898, per 
cui �teorico perfetto sarebbe dunque colui la cui teoria fosse vivificata dalla piena e completa conoscenza 
di tutta la pratica attivit� giuridica; tutti i rapporti morali, religiosi, politici, economici della vita reale 
dovrebbero essere presenti al suo sguardo�. Su questo argomento, cfr. anche SATTA S., Diritto processuale 
civile, Cedam, Padova, 1950; PEKELIS A., Il diritto come volont� costante, Cedam, Padova, 1930; BOBBIO 
N., La filosofia del diritto di Julius Binder, Milano, Giuffr�, 1943. 
(17) Cfr. CAPOGRASSI G., Prefazione a �La certezza del diritto� di F. Lopez de O�ate, in D�ADDIO 


M. - VIDAL E. (a cura di) Opere di Giuseppe Capograssi, vol. V, Milano, 1959. 



I.IV. Profili di �ingiustizia� del giudicato. 

� opportuno, dunque, interrogarsi sulle sorti di una pronuncia protetta dal 
giudicato, allorch� si profili un contrasto tra questa e altro giudicato o se ne 
rinvenga una qualsivoglia ingiustizia secondo i parametri di un altro ordinamento, 
come quello comunitario, dotato di caratteri di primazia nelle materie 
assegnate alla competenza delle sue istituzioni. 

Ovvero, � necessario chiedersi se tale pronuncia permarr� intatta nella 
sua essenza di legge del caso concreto, impermeabile a successive ed eventuali 
contingenze, anche dove queste dovessero qualificarla come palesemente ingiusta 
o se, viceversa, essa tollerer� superamenti e riedizioni di sorta in ossequio 
ad una esigenza di giustizia e correttezza promanante dall�ordinamento 
comunitario. 

I fautori di questa seconda (forse, secondo quando si dir�, solo apparentemente 
rivoluzionaria) corrente interpretativa sostengono che il giudicato copra 
il dedotto ed il deducibile, quest�ultimo inteso come quanto rappresentabile 
dalle parti fino al momento della precisazione delle conclusioni, ma non gi� il 
non ancora deducibile, cio� le sopravvenienze successive al giudicato suscettibili 
di incidere sulla base giuridico concettuale posta a sostegno dello stesso. 

In questo modo, tuttavia, le istanze di revisione della res judicata formatasi 
a livello nazionale, a fronte di eventuali discrasie tra la stessa e la normativa 
sovranazionale dell�Unione europea, porrebbero l�interprete al crocevia 
tra certezza e giustizia, sempre che di quest�ultima possa ancora discorrersi 
laddove la prima venga scardinata (18). 

Una tale divaricazione, che si concreta nel dualismo tra essere (Sein) e 
dover essere (Sollen), tipica dello storicismo idealista ottocentesco (19), � un 
prodotto della modernit�, sebbene sia archetipale l�ossequio ad una suprema 
idea di giustizia (fino all�assimilazione della stessa con una superiore volont� 
divina) (20), in qualche modo deietta nell�incontro mondano. 

Una corretta analisi diceologica non pu�, quindi, prescindere dall�interrogativo 
sulla corrispondenza del diritto a un ethos, o meglio, della ricomprensione 
del secondo nel primo, con intento vivificante e nobilitante: la certezza 

(18) � pur vero che �la certezza del diritto � qualcosa non di astratto e schematico, ma di concreto, 
di specifico, di correlativo alle singole esperienze ed ai singoli ordinamenti, di cui si compone il mondo 
del diritto�. LOPEZ DE O�ATE F., La certezza del diritto, Milano, Giuffr�, 1968, 47 ss. 
(19) Hegel distingueva tra Etica e Morale, riconoscendo a quest�ultima rilevanza esclusivamente 
individuale e assegnando all�etica un ruolo sociale e filosofico. Quest�ultima � assurta al rango di concetto 
della filosofia, che ha ad oggetto l�analisi dei mores dell�uomo. Cfr. HEGEL W.F., Lineamenti di filosofia 
del diritto, Bari, Laterza, 1965. 
In ottica di ricomprensione delle morali (che per Hume erano molteplici e dipendenti dall�esperienza), 
� stata la filosofia di Kant il preludio concettuale alle esperienze internazionali, tra cui quella europeistica, 
contraddistinte dall�anelito alla ricerca di una superiore morale con-divisa, dalla quale far scaturire, altres�, 
omogeneit� nell�esperienza giuridica. Cfr. KANT I., Critica della ragion pratica e altri scritti morali, 
Torino, Utet, 2006. 



del diritto (Rechtssicherheit) deve ricomprendere il principio della giustizia 
(Gerechtigkeit) perch� essa possa resistere alle leve deontologiche? 

Si ricade, forse, in un curioso ossimoro (contradictio in adiecto) ponendo 
in dubbio la correttezza di una statuizione, quale � quella oggetto di giudicato, 
che, di per se stessa ed antonomasticamente dovrebbe essere dotata dei caratteri 
della giustizia e dell�incontrovertibilit� (21). 

Ci si chiede, dunque, se la primazia del diritto comunitario su quello nazionale 
eventualmente contrastante con lo stesso comporti e pretenda che un 
giudicato (22) formatosi nell�ordinamento di uno Stato membro possa, in qualche 
modo, essere sovvertito in ragione della sua difformit� rispetto ad una normativa 
comunitaria, specie in seguito ad una pronuncia della Corte di Giustizia. 

In altre parole, pu� discorrersi di una qualche cedevolezza del concetto 
di giudicato nel giuoco di rapporti che connota l�ordinamento comunitario, attraverso 
i dialoghi fra le Corti? 

� ammissibile che la regula iuris in senso normativo, che � la concretizzazione 
nel reale della lex, asfitticamente intesa nella sua dimensione codificata, 
superindividuale e incontrovertibilmente giusta, risulti cedevole proprio a causa 
della vulnerabilit� che le deriva dalla sua mondanizzazione processuale? 

Nell�analisi della questione non pu� prescindersi dalla convinzione per cui, 
tradizionalmente, la sentenza irrevocabile � il limite finale contro il quale l�ingiustizia 
lotta la sua ultima battaglia, �l�errore che sta dietro di essa - errore che 
tutti noi dovremmo sforzarci a che sia ridotto alla minima entit� - resta coperto 
da essa, cos� come ogni impurit� resta annullata nel compendio di un�opera� (23). 

I.V. Ingiustizia per contrariet� al diritto comunitario. 

La questione appare ampia ed articolata, anche in considerazione della 
molteplicit� delle tecniche di revisione delle decisioni previste negli ordinamenti 
di ciascuno degli Stati membri e degli accorgimenti rimediali, in particolar 
modo amministrativi (24) e tributari (25), posti in essere a fronte di 

(20) L�Antigone sofoclea accettava il sacrificio della vita in ossequio alle supreme ed incontrovertibili 
leggi divine, che erano �[r]egole non d'un'ora, non d'un giorno fa. Hanno vita misteriosamente 
eterna. Nessuno sa radice della loro luce. E in nome d'esse non volevo colpe, io, nel tribunale degli d�i, 
intimidita da ragioni umane�. Tale giustizia divina, in lotta con le leggi degli uomini, era ed � destinata 
a soccombere di fronte ai formalismi del ius positum (e non � un caso che la tragedia di Antigone consacri 
la ingiusta vittoria di Creonte). 
(21) Nel diritto tedesco, il termine Rechtskraft (letteralmente �forza del diritto�) rappresenta l�incarnazione 
dell�autorit� giuridica vincolante. 
(22) CONSOLO C. in op. cit. preferisce parlare della norma nazionale che attribuisce autorit� di 
cosa giudicata ad un atto giurisdizionale. 
(23) Cfr. LEONE, G., Il mito del giudicato, in Riv. it. dir. e proc. pen., 1956, 197. 


(24) Dove, pi� che ai rimedi giurisdizionali, dovrebbe, forse, farsi riferimento all�istituto della 
autotutela amministrativa. Cfr. CERULLI IRELLI V., Lineamenti del diritto amministrativo, III ed., Torino, 
Giappichelli, 2012, 506 ss. 


(25) Si allude all�istituto della frammentazione del giudicato, che sottenderebbe una evoluzione 


statuizioni confliggenti con la normativa sovranazionale e, perci�, private, dal 
tempo o dalle contingenze, del carattere di giustizia che nel giudicato avrebbe 
dovuto essere colto e definitivamente impresso. 

La necessit� di artifici giuridici siffatti risulterebbe accentuata alla luce 
del principio fondamentale del diritto dell�Unione di leale cooperazione (di 
cui all�articolo 4 comma 3 TUE) (26), per cui, tra l�altro, gli Stati membri sono 
tenuti a conformarsi alle decisioni della Corte di Giustizia allorch� essa abbia 
riscontrato un contrasto tra le loro normative interne (in cui potrebbero latamente 
farsi rientrare gli orientamenti e le decisioni pretorie) ed il diritto comunitario, 
primario e secondario. 

Vengono qui in rilievo diversi ordini di questioni: la possibilit� di individuare 
dei limiti al principio di intangibilit� della cosa giudicata pu� porsi 
in aperto ed inconcepibile contrasto con il principio della certezza del diritto, 
allorch� vi siano istanze atte semplicemente a giustificare non gi� un superamento, 
ma, quantomeno, una diversa declinazione del giudicato, al fine di 
evitare che esso diventi mero parossismo concettuale, scevro da ogni giustificazione? 


O, a monte, una siffatta revisione della questione � del tutto inaccettabile 
alla luce dei canoni classici, per cui il giudicato � in grado di facere de albo 
nigrum et de quadrato rotundum? 

Ora, nelle molteplici angolazioni della prospettiva comunitaria, connotata 
da una pi� ampia variet� di volont� ed interessi in gioco, devono certamente 
tenersi in debita considerazione le tradizioni giuridiche degli Stati membri, la 
maggior parte delle quali contempla quello dell�intangibilit� del giudicato tra 
i principi fondamentali dei propri ordinamenti giuridici. 

Ebbene, vi � da verificare se la tenuta di tali tradizioni giuridiche, e dei 
loro annessi princ�pi, rispetto a statuizioni o normative sovranazionali eventualmente 
confliggenti possa essere considerata mancato ossequio del diritto 
comunitario. 

Bisogna, forse, chiedersi se il problema si ponga realmente come tale o 
sia semplicemente apparente, in un sistema di relazioni che riesca a tutelare 

dinamica del rapporto sostanziale, soggetto a frazionamenti logico-temporali, per cui l�applicazione 
della norma di cui all�art. 324 c.p.c. pu� essere suscettibile di (anche solo apparenti) deroghe. Si veda 
pi� ampiamente infra, Parte Seconda. 

(26) Articolo 4 TUE 

�1. (�) 


2. (�) 
3. In virt� del principio di leale cooperazione, l'Unione e gli Stati membri si rispettano e si assistono 
reciprocamente nell'adempimento dei compiti derivanti dai trattati. 
Gli Stati membri adottano ogni misura di carattere generale o particolare atta ad assicurare l'esecuzione 
degli obblighi derivanti dai trattati o conseguenti agli atti delle istituzioni dell'Unione. 
Gli Stati membri facilitano all'Unione l'adempimento dei suoi compiti e si astengono da qualsiasi misura 
che rischi di mettere in pericolo la realizzazione degli obiettivi dell'Unione�. 



l�interesse di ognuno dei partecipanti, ai fini della sopravvivenza stessa del-
l�ordinamento di integrazione. 

Nel processo creativo dell�Unione europea, che segna il culmine ed il termine 
dell�egotismo statuale, pu� rinvenirsi una reinterpretazione del principio 
del giudicato, che � spinto oltre i limiti della ragion di Stato ed ammantato di 
istanze garantiste, promananti non solo dalle singole esperienze costituenti 
statali, ma anche dalle vicende costituenti comunitarie? 

D�altronde, � proprio nelle dinamiche dell�integrazione che il costituzionalismo 
multilivello (tradizionalmente irenico o, pi� spesso, problematica-
mente polemico (27)) ha trovato la propria linfa vivificante, non essendo 
altrimenti concepibile (n� necessaria, d�altronde) stratificazione alcuna a fronte 
di omogeneit� indotte (28). 

La questione � ulteriormente arricchita dalle affermazioni della Corte di 
Giustizia (29), ad esempio, in merito al principio per cui gli Stati membri sono 
obbligati al risarcimento del danno nei confronti dei cittadini nel caso in cui 
questi ultimi siano stati danneggiati da una pronuncia dei loro organi giurisdizionali 
di ultima istanza contraria al diritto eurocomunitario (30). 

Tale pi� cauta corrente, sulla quale si torner� ampiamente allo scopo di 
individuare una linea direttrice coerente nella giurisprudenza della Corte di 
Giustizia, non sembra, ad una prima analisi, contraria al principio della intangibilit� 
della res iudicata, spostando, pi� che altro, il baricentro concettuale 
dalla assicurazione del bene della vita (ingiustamente) negato a seguito di una 
errata interpretazione o applicazione del diritto comunitario al ristoro equivalente 
di un torto acclarato, ma giuridicamente immodificabile, facendo del giudicato 
il mero presupposto di una obbligazione risarcitoria da fatto illecito. 

I.VI. La problematica gestione del precedente. 

Qui si tratta, forse, di distinguere tra l�inserimento del giudicato nella dimensione 
costituzionale, ove esso diventa presidio e parametro per il controllo 
della legittimit� delle azioni e delle reazioni a taluni temi sensibili nell�ordinamento 
e la dottrina dell�efficacia del giudicato nel tempo (31), per cui si 
opera una valutazione delle sopravvenienze rispetto alla res iudicata e la loro 
eventuale capacit� di inciderne la portata e la resa. 

(27) Cfr. LUCIANI M., Costituzionalismo irenico e costituzionalismo polemico, in 
www.associazionedeicostituzionalisti.it. 
(28) Cfr. D�IGNAZIO G. (a cura di), Multilevel constitutionalism tra integrazione europea e riforme 
degli ordinamenti decentrati, Milano, Giuffr�, 2011, 2. 
(29) Ex multis, Corte di Giustizia, sentenza del 30 settembre 2003, Gerhard K�bler contro Repubblica 
d'Austria, C-224/01, in Raccolta, 2003, I-10239, per cui si veda, ampiamente, infra, Parte 
Prima. 
(30) Infra, Parte Prima. 


(31) In merito ad una tale diversificazione, cfr. CAPONI R., Corti europee e giudicati civili nazionali, 
in Il costituzionalismo multilivello - Profili sostanziali e processuali, in Atti del XXVII Convegno 



In altre parole, vi � da chiedersi se l�eventuale superamento di una res iudicata 
ingiusta possa essere inquadrato nel sistema sostanziale di garanzia dei 
diritti, tutelato dall�ordinamento costituzionale o se, comunque, all�atto del-
l�eventuale superamento di un giudicato, siano sempre necessarie valutazioni 
di carattere formalistico. 

Quanto alle sopravvenienze ritenute suscettibili di attaccare un giudicato, 
non pu� tacersi dell�incidenza del principio dello stare decisis, come trasposto 
e reinterpretato negli ordinamenti di Civil law (cui esso � formalmente estraneo), 
come quello italiano, nei quali, pur non sussistendo l�obbligo di adeguamento 
al precedente, si � assistito ad una progressiva infiltrazione del diritto 
pretorio (e della sua vincolativit�) nelle maglie della normativa vigente. 

Tale sistema di gestione e rilevanza del precedente, cui gli operatori giuridici 
medi non sono avvezzi, in generale, parrebbe estraneo a taluni istituti financo 
quello del giudicato - i quali, naturalmente, non contemplano una evoluzione 
normativa affidata (solo) alla fluidit� del diritto delle corti (32). 

Su tale scia, si collocano anche le perplessit� relative alla sorte di una 
pronuncia passata in giudicato a seguito della avvenuta dichiarazione di incostituzionalit� 
della norma sulla quale tale pronuncia si � fondata (33). 

Quanto alla cosiddetta dimensione costituzionale del giudicato, con essa 
si intende, altres�, lo scontro tra il supporto offerto dall�intangibilit� alle esigenze 
di certezza del diritto ed interventi legislativi successivi discordanti con 
l�oggetto del decisum, la cui base normativa diventa suscettibile di essere dichiarata 
incostituzionale dalla Consulta. 

La certezza, qui intesa come garanzia degli affidamenti del singolo, assume 
tutta la sua valenza interindividuale, di protezione del cittadino dai poteri 
pubblici, quasi sceverandosi dei supremi aspetti sovrani (34) di cui � stata successivamente 
rivestita (35). 

nazionale dell�Associazione italiana fra gli studiosi del processo civile, Corti europee e giudici nazionali 
(Verona, 25-26 Settembre 2009), Bologna, 2011, 203 ss., per cui l�efficacia civile del giudicato nel tempo 
� intrisa dei caratteri della retrospettivit�, in quanto la giurisdizione (iurisdictio) � per sua natura pronuncia 
su qualcosa che � gi� stato. 

(32) A ci� si aggiunga, come gi� ampiamente argomentato, l�inserimento degli ordinamenti nazionali 
entro un panorama pi� ampio nei termini della produzione legislativa vincolante, quale � quello 
europeo e (potenzialmente) meno controllabile, anche in ragione di un non ancora superato deficit democratico 
e rappresentativo. 
(33) La questione ha assunto rilevanza e suscitato l�interesse dottrinale specialmente in campo 
penale, con riferimento a sistemi di rideterminazione della pena nel caso di sopravvenienza di una lex 
mitior. Cfr. Cass. pen., Sezioni Unite, 29 maggio 2014 (dep. 14 ottobre 2014), Gatto, in archiviopenale.it, 
15 ottobre 2014. Cfr., altres�, RICCARDI G., Giudicato penale e incostituzionalit� della pena, in 
penalecontemporaneo.it. 
(34) CAPONI R. in op. cit. parla di ragion di stato. 


(35) Si allude alla valenza pubblicistica attribuita al principio del giudicato, che ne fa baluardo del 
potere dello Stato nei confronti dei singoli, cui il primo oppone la fissit� della situazione giuridica cristallizzata 
nella sentenza. Anche nel panorama comunitario, ove, il giudicato � l�argine ultimo contro la 
primazia del diritto dell�Unione su quello interno, pu� cogliersi l�accezione pubblicistica del concetto. 



Il giudicato diventa espressione dello stato di diritto perch�, se all�interno 
di quello il potere � limitato dal diritto stesso, esso rappresenta uno dei limiti 
posti al potere da se stesso. 

Il cerchio � chiuso, nella dimensione comunitaria, da una trasmigrazione 
del principio ai vertici, con la rievocazione dello stesso nelle spinte autonomistiche 
degli Stati, che ne fanno strumento di tutela della propria sovranit� (e non 
pi� solo garanzia dei cittadini) e lo contrappongono al conseguimento dell�effettivit� 
del diritto dell�Unione, invocato a tutti i costi dalle istituzioni europee. 

Le diversificate interpretazioni rese, in merito, dalla Corte di Giustizia 
tendono a seguire una logica coerente, protesa all�individuazione di un tertium 
genus tra fatto e norma, capace di allentare la tensione tra i due senza ricadere 
in aporetiche sintesi conciliative e, allo stesso tempo, rifuggendone una radicale 
contrapposizione (36). 

Come nella filosofia neokantiana di Radbruch (tenuto in dovuta considerazione 
il sostrato storico politico nel quale essa fu concepita (37)) si perviene 
ad una celata critica all�impostazione kelseniana del ius quia iussum, per cui 
il diritto, assicurato dalla promulgazione e dalla sanzione, ha la precedenza 
anche quando il suo contenuto � ingiusto e inadatto allo scopo, a meno che il 
conflitto fra diritto e giustizia non giunga ad un tale grado di intollerabilit� 
che il primo (unrichtiges Recht) arretri di fronte alla seconda (38). 

(36) Cfr. CASTRUCCI E., Rileggendo Radbruch, in Quaderni fiorentini per la storia del pensiero 
giuridico moderno, Milano, Giuffr�, fasc. n. 17/1988. 
Radbruch individuava questo tertium genus nella cultura, cui lo stesso diritto appartiene. Esso, infatti, 
� un fenomeno culturale e non semplicemente valore o semplicemente fatto. Pertanto, il diritto (n�mos) 
non pu� essere completamente avulso dal valore (come avviene nella ph.sis, che, rispecchiando il caos 
degli elementi, � cieca rispetto allo stesso). Quindi, �la cultura non � puro valore; � piuttosto un miscuglio 
di umanit� e barbarie, buon gusto e cattivo gusto, verit� ed errore, ma sempre in collegamento al valore: 
non � essa stessa valore o diretta realizzazione del valore. Il �collegamento al valore� indica la modalit� 
che � tipica delle scienze umane�. RADBRUCH G., Rechtphilosophie, Stuttgart, Koehler, 1956, 92-93. 
� possibile cogliere le differenze tra questa filosofia e l�idealismo ottocentesco, cui era ancora quasi 
estraneo l�orrore della guerra, che, invece, coglieva nel miscuglio del reale, sebbene esso fosse bassa, 
degradata ed umile empiria, il germe del vero sapere. 
(37) In Germania, la questione relativa al contrasto fra spirito e lettera della legge fu ispirata dal comportamento 
dei soldati tedeschi della parte orientale che, posti a presidio del muro di Berlino, sparavano senza 
piet� contro i civili che vi si fossero trovati in prossimit�, in ossequio formale a un ordine dell�autorit�. 
(38) �Der Konflikt zwischen der Gerechtigkeit und der Rechtssicherheit d�rfte dahin zu l�sen 
sein, da� das positive, durch Satzung und Macht gesicherte Recht auch dann den Vorrang hat, wenn es 
inhaltlich ungerecht und unzweckm��ig ist, es sei denn, da� der Widerspruch des positiven Gesetzes 
zur Gerechtigkeit ein so unertr�gliches Ma� erreicht, da� das Gesetz als 'unrichtiges Recht' der Gerechtigkeit 
zu weichen hat. Es ist unm�glich, eine sch�rfere Linie zu ziehen zwischen den F�llen des gesetzlichen 
Unrechts und den trotz unrichtigen Inhalts dennoch geltenden Gesetzen; eine andere 
Grenzziehung aber kann mit aller Sch�rfe vorgenommen werden: wo Gerechtigkeit nicht einmal erstrebt 
wird, wo die Gleichheit, die den Kern der Gerechtigkeit ausmacht, bei der Setzung positiven Rechts bewu�t 
verleugnet wurde, da ist das Gesetz nicht etwa nur 'unrichtiges' Recht, vielmehr entbehrt es �berhaupt 
der Rechtsnatur. Denn man kann Recht, auch positives Recht, gar nicht anders definieren als eine 
Ordnung und Satzung, die ihrem Sinne nach bestimmt ist, der Gerechtigkeit zu dienen�. RADBRUCH G., 
Gesetzliches Unrecht und �bergesetzliches Recht, S�ddeutsche Juristenzeitung, 1946, 107. 



I.VII. L�attivismo giudiziale della Corte di Giustizia. 

La Corte di Giustizia dell�Unione europea � l�organo di vertice del potere 
giurisdizionale comunitario e ad essa i Trattati demandano, tra gli altri poteri, 
il monopolio di interpretazione del diritto dell�Unione (cfr. l�articolo 19 TUE, 
per cui essa assicura il rispetto del diritto nell'interpretazione e nell'applicazione 
dei trattati e l�articolo 267, paragrafo 1, lettera a) TFUE, disciplinante 
il rinvio pregiudiziale da parte dei giudici nazionali, per la risoluzione, ad 
opera della Corte, di questioni interpretative inerenti al diritto dell�Unione). 

Nella costruzione dell�ordinamento comunitario, in virt� delle specifiche 
che lo caratterizzano, gli Stati membri (e, poi, la Corte stessa nella propria 
giurisprudenza) si sono posti sulla scia dei sistemi di Common law, per cui il 
precedente giurisprudenziale del caso di specie � vincolante alla stregua di 
una norma giuridica generale ed astratta su altri casi analoghi. 

La supplenza normativa che ne � derivata, ad opera della Corte di Giustizia, 
determinata anche dalla frammentazione del sostrato nazionale alla base 
dell�ordinamento dell�Unione e dalla peculiare posizione del Parlamento europeo 
nel sistema istituzionale (non del tutto assimilabile ad un potere legislativo, 
alla stregua del costituzionalismo classico), ha finito per diventare uno 
stile nella stessa tecnica di redazione delle sentenze, all�interno delle quali si 
rinvengono sistematicamente i riferimenti al precedente cui la Corte intende 
conformarsi, o, nell�ottica di una resa interpretativa coerente e priva di aporie 
logiche, le ragioni per cui essa intende discostarsi dallo stesso. 

Tale sistema determina, a cascata, ripercussioni sugli ordinamenti degli 
Stati membri (anche su quelli caratterizzati dalla vigenza di un sistema di 
Civil law), entro i confini dei quali i giudici nazionali sono tenuti all�ossequio 
del precedente interpretativo costituito dalla pronuncia del giudice eurocomunitario 
(39). 

Ci� ha permesso alla Corte di esercitare il proprio attivismo giudiziale 
(40), congiuntamente ad una attivit� di creazione legislativa, rispetto alla quale 
taluno ha temuto cristallizzazioni a-rappresentative (41), tuttavia sempre bilanciate 
da un generalizzato approccio critico nei confronti delle decisioni del 
giudice comunitario. 

Quel che appare � che la Corte di Giustizia abbia un ruolo pi� vicino a 
quello di un giudice supremo in un sistema federale che a quello del tribunale 

(39) Cfr. STEIN E., Lawyers, Judges and the Making of a Transnational Constitution, American 
Journal of International Law, L. 1, 1981, 75. 
(40) Cfr. ARNULL A.M., Judicial Activism and the European Court of Justice: How Should AcademicsRrespond?, 
in Judicial Activism at the EU Court of Justice, 2013, 211-232. 
(41) Ci si riferisce alla circostanza per la quale la normazione � demandata (anche) ad un organo 
giurisdizionale, quale � la Corte di Giustizia, non dotato dei caratteri di rappresentativit� tipici dei legislatori 
nazionali. Sostenitore di tale approccio critico RASMUSSEN H., On law and policy in the European Court 
of Justice: a Comparative Study in Judicial Policymaking, Dordrecht, Martinus Nijhoff Publishers, 1986. 



di una organizzazione internazionale e, attraverso tale ruolo, essa abbia spiegato 
il proprio impatto politico sugli ordinamenti degli Stati membri. 

Ci�, d�altronde, risponde all�anelito costituente dell�Unione europea che, 
sebbene ne rifugga i nominalismi (42), tenta di incarnarne la sostanza, per cui 
la Corte di Lussemburgo, lungi dall�essere l�oracolare e mero interprete di un 
diritto al servizio degli Stati, � anche il luogo della garanzia dei diritti che la 
normativa dell�Unione attribuisce ai cittadini. 

I.VIII. La Corte di Giustizia e l�autonomia degli Stati membri. 

Cos� delineato, il ruolo della Corte di Giustizia (la cui interpretazione, 
come detto, costituisce precedente vincolante per i giudici nazionali) non pu� 
dirsi del tutto neutrale rispetto alle politiche interne degli Stati membri nelle 
materie incise dal diritto dell�Unione. 

Si crea, in tal modo, una catena di reazioni antitetiche che, ontologicamente, 
segnano l�Unione europea dai suoi albori: le istanze autonomistiche degli Stati e le 
loro tradizioni costituzionali convivono con la necessit� di una ricomprensione unitaria 
all�interno di un medesimo ordinamento sovranazionale, cui � chiesto, come 
Giano, di guardare al modello del passato per scalfire la trascendenza del futuro. 

� questo il paradigma del pernicioso andare dell�integrazione europea, 
che, dai pi�, � vista come un processo e non come una condizione (43), per la 
stabilit� mai raggiunta, per l�incompiutezza che ne � linfa, per la rigidit�, anche 
normativa, che le � estranea. 

Ora, per quanto concerne la questione del giudicato, le politiche del-
l�Unione non si muovono, attualmente, nel senso dell�armonizzazione delle 
regole processuali nazionali. 

Ci� sebbene il Trattato di Lisbona (articolo 19 TUE, per cui [g]li Stati 
membri stabiliscono i rimedi giurisdizionali necessari per assicurare una tutela 
giurisdizionale effettiva nei settori disciplinati dal diritto dell'Unione) 
parrebbe imporre obblighi pi� stringenti agli ordinamenti dei singoli Stati 
(prima vincolati dal solo principio di leale cooperazione) in questa materia. 

Vi � chi crede (44) che l�attivismo giuridico della Corte sia necessario a 
garanzia di omogenei standard di tutela nel territorio dell�Unione, a fronte 
della diversificazione ordinamentale al suo interno. 

Le reazioni critiche avverso detto sistema deriverebbero da una imposta 
limitazione delle autonomie procedurali ad opera delle interpretazioni creative 
della Corte. 

(42) Si allude all�abortito tentativo di un trattato costituzionale per l�Europa del 2004. 

(43) Cfr. MICKLITZ H.-W., DE WITTE B. (a cura di), The European Court of Justice and the Autonomy 
of the Member States, Cambridge, Antwerp, Portland, Intersentia, 2012. 
(44) Cfr. ADINOLFI A., The �Procedural Autonomy� of Member States and the constraints stemming 
from the ECJ�s case law: is judicial activism still necessary?, in The European Court of Justice 
and the Autonomy of the Member States, Cambridge, Antwerp, Portland, Intersentia, 2012, 281-303. 



Tuttavia, essendo le decisioni della Corte spesso legate al caso concreto, 
non � certamente automatica quella normativit� generale ed astratta che si vorrebbe 
loro attribuire. 

La questione � quanto mai complessa: � labile il confine tra la garanzia 
dei diritti dei singoli e la conculcazione di un principio di effettivit� ampia 
(forse, sgradito agli Stati), quest�ultima denotata anche da talune strategie interpretative 
della Corte in materie particolarmente spinose (45). 

I.IX. Percorso dell�analisi. 

Questa analisi della declinazione del principio di cosa giudicata all�interno 
dell�ordinamento dell�Unione europea seguir� due linee direttrici fondamentali, 
in concatenazione logica successiva l�una con l�altra, attraverso 
una disamina dei casi pi� rappresentativi sottoposti ai giudici di Lussemburgo. 

La prima, relativa all�asserzione della responsabilit� dello Stato per l�operato 
(illegittimo alla luce del diritto dell�Unione) di uno dei suoi interna corporis, 
metter� in luce il superamento del baluardo dell�infallibilit� del potere 
pubblico, al quale possono, altres�, seguire conseguenze risarcitorie a carico 
dell�apparato statale stesso. 

La seconda, relativa al paventato superamento del principio di intangibilit� 
del giudicato da parte della Corte di giustizia, rilever� l�esigenza di una declinazione 
coerente dello stesso nel caso concreto e, ancora una volta attraverso 
un excursus dei casi pi� rappresentativi, anche recentissimi, porr� in evidenza 
le singolarit� del dialogo fra le corti nazionali e il giudice comunitario. 

PARTE PRIMA 
LA RESPONSABILIT� DELLO STATO 
PER LA VIOLAZIONE DEL DIRITTO DELL�UNIONE EUROPEA 
(Sentenze Francovich (C-6/90), Brasserie du pecheur e 
Factortame (C-46/93 e C-48/93) e K�bler (C-224/01) 


1.1. Le peculiarit� del caso Francovich. 

Per prima, la sentenza Francovich della Corte di Giustizia ha rafforzato 
l�idea che entro i confini dell�Unione vigesse un nuovo ordine legale di diritto 
internazionale, la cui concettualizzazione � merito anche delle prese di posizione 
interpretative del giudice comunitario. 

Un ordinamento pu� dirsi tale anche quando sia dotato dei caratteri tipici 

(45) Si allude al diritto ad un ricorso effettivo di cui all�art. 47 della Carta di Nizza, che la Corte, 
talvolta, richiama (strategicamente) come principio generale, forse ai fini del superamento delle restrizioni 
contenute nei protocolli addizionali (cfr. protocollo n. 30). 


di effettivit� ed azionabilit� delle tutele, in quanto attribuisca diritti direttamente 
agli individui e ne sanzioni efficacemente la violazione. 

La declinazione di tale paradigma nell�ordinamento eurocomunitario risente 
delle asperit� e delle contraddizioni ivi insite, poich� vi convivono, in 
perenne opposizione, le due anime di ciascuno degli Stati membri: l�una volta 
a garantire l�assolvimento del dovere di leale cooperazione e l�altra mirante 
al soddisfacimento dei propri interessi nazionali. 

La mediazione tra tali due caratteri ha una matrice essenzialmente pretoria 
(non � un caso che qui si discorra di una sentenza elaboratrice di un principio 
e non di una normativa in materia di responsabilit� degli Stati per le violazioni 
del diritto dell�Unione che, d�altronde, non esiste), tanto che sar�, in seguito, 
affidata ad un�altra sentenza (1) l�affermazione della responsabilit� dello Stato 
per fatti dei propri giudici di ultima istanza. 

Prima di Francovich, infatti, il principio di responsabilit� dello Stato per 
torti di carattere legislativo o giurisdizionale derivanti dal diritto comunitario 
era poco diffuso anche negli impianti normativi interni agli Stati membri e 
l�individuo che si ritenesse leso dalla condotta statale poteva contare esclusivamente 
sull�esiguit� di quelli, non essendovi direttive o tutele di matrice 
esterna al riguardo. 

Con la gi� citata sentenza Van Gend & Loos, la Corte aveva enucleato il 
principio dell�effetto diretto (orizzontale) delle direttive comunitarie, attribuendo 
anche ai privati la possibilit� di attivare le tutele previste dal diritto 
dell�Unione, in aggiunta alle procedure pubbliche interstatali ed inter istituzionali 
di infrazione gi� previste dai Trattati. 

Infatti, rinvenuta una violazione dei Trattati da parte di uno Stato membro, 
la Commissione pu� instaurare, ex articolo 258 TFUE, una procedura di infrazione 
nei confronti di questo davanti alla Corte di Giustizia, unica istituzione 
comunitaria cui i Trattati attribuiscono il potere di stabilire se lo Stato 
membro sia stato inadempiente. 

Di conseguenza, lo Stato dovr� adottare tutte le misure necessarie all�adempimento 
degli obblighi derivanti dall�appartenenza all�ordinamento del-
l�Unione, essendo tenuto a prendere i provvedimenti che l'esecuzione della 
sentenza della Corte comporta (2). 

Non � mancato, tuttavia, chi abbia giustamente sottolineato come l�efficacia 
pratica di siffatti procedimenti sia fortemente ridimensionata nei fatti, 
sia perch� gli Stati perdurano, spesso, nella loro inadempienza nei confronti 
dei Trattati (come si era verificato per l�Italia nel caso Francovich, per cui la 
Corte di Giustizia aveva gi� rilevato la mancata trasposizione della Direttiva 
entro i termini), sia perch� essi adottano, altrettanto frequentemente, misure 

(1) La gi� citata Gerhard K�bler c. Repubblica d'Austria (supra, Introduzione, nota 29). 
(2) Cfr. art. 260 comma 1 TFUE. 



di adempimento solo formali, ma, in realt�, non ossequiose delle prescrizioni 
della Corte in termini di risultati concreti e di garanzia per i cittadini (3). 

Ad ulteriormente alimentare la vischiosit� del sistema, veniva e viene in 
rilievo il mito dell�intangibilit� della voluntas dello Stato, esternata attraverso 
gli organi di questo (the King could do no wrong), sicch� una forma di responsabilit� 
statale cos� concepita (la quale aveva come presupposto una ammissione/
dichiarazione di inadempimento dello Stato membro nell�assolvimento 
dei propri obblighi eurocomunitari) risultava quasi inaccettabile (vi � chi ha 
parlato di esitazione e riluttanza degli Stati nell�applicazione della dottrina 
Francovich (4)). 

Non ultimo, gli stessi giudici guardavano con sospetto al sistema di responsabilit� 
statale nell�ordinamento dell�Unione europea, che veniva dai pi� visto 
come una distorsione nella coerenza dei sistemi nazionali di responsabilit� (5). 

Solo a seguito dell�entrata in vigore del Trattato di Maastricht a tale tipo 
di violazioni, che prima erano sanzionate esclusivamente con la riprovazione 
degli attori comunitari nei confronti dello Stato inadempiente, seguiranno sanzioni 
di carattere economico. 

Si comprende facilmente come la semplice riprovazione non fosse sufficiente 
a spingere lo Stato ad adeguarsi alle prescrizioni della Corte in merito 
al proprio inadempimento sul panorama comunitario. 

Ma un siffatto disinteresse per nulla giovava alle sorti della Comunit�, 
che avrebbe rischiato il tracollo istituzionale se il diritto dell�Unione fosse rimasto 
lettera morta negli ordinamenti degli Stati membri. 

Alla luce di ci�, risultano spiegati e, in qualche modo, giustificati gli artifici 
interpretativi della Corte in Francovich, in cui, a fronte della mancanza 
di coercizioni a livello legislativo, essa elabora una sanzione indiretta attraverso 
la figura del risarcimento del danno ai singoli per l�inadempimento statale, 
ponendo fine al vuoto precedentemente creatosi in merito alle 
conseguenze dello stesso. 

E se � chiaro per il commentatore virtuoso che la soluzione a tale rompicapo 
interpretativo possa essere rinvenuta nell�adesione (legittimata dalle diversificate 
forme di copertura costituzionale predisposte a livello legislativo 

o dai giudici delle leggi al loro interno) degli Stati all�Unione, non pu� dirsi 
altrettanto agevolmente condivisa l�accettazione delle conseguenze che la limitazione 
di sovranit� derivante dall�appartenenza all�ordinamento comunitario 
naturalmente determina. 

Infatti, se agli Stati membri (e ai loro giudici) erano chiari gli estremi at


(3) Per questo, cfr. TALLBERG J., Supranational Influence in EU Enforcement: the Court of Justice 
and the Principle of State Liability, in Journal of European Public Policy, marzo 2000, 104-121. 
(4) TALLBERG, ibidem. 


(5) Cfr. GRANGER M.-P. F., National Applications of Francovich and the Construction of a European 
Administrative Jus Commune, in European Law Review, 32/2007, 158. 



tributivi della responsabilit� extracontrattuale in ambito nazionale, pi� controversa 
era la possibilit� di concepire un siffatto tipo di responsabilit� a fronte 
di inadempimenti aventi rilevanza nell�ordinamento comunitario, in particolare 
in ragione dell�onnicomprensivit� dell�approccio della Corte di Giustizia (che 
preferiva, almeno inizialmente ed asseritamente, una nozione unitaria di responsabilit�, 
indipendentemente dalla sua fonte), a fronte, invece, delle diversificazioni 
di responsabilit� (a seconda dell�origine legislativa, amministrativa, 
giurisdizionale) concepite a livello nazionale. 

Le perplessit� dei giudici nazionali si concentrarono tutte sui limiti al-
l�estensione di tale forma di responsabilit�: essa rientrava tra le forme gi� note 
agli Stati membri o era una nuova forma di responsabilit�, dal titolo autonomo 
ed aggiuntiva rispetto alle pi� note di origine statale? 

Le iniziali riluttanze degli Stati membri nell�adesione alla dottrina Francovich 
erano, altres�, da rinvenire in un ossequioso ed interessato attaccamento 
alla dottrina della separazione dei poteri, per cui, aggiungere forme di responsabilit� 
statale (per di pi� non diversificate ed onnicomprensive) era letta come 
una indebita intrusione entro gli spazi di indipendenza dei poteri dello Stato 
nell�esercizio delle loro funzioni. 

D�altronde, mentre in alcuni Stati dell�Unione, come Lussemburgo ed 
Austria, l�azione di responsabilit� per inadempimento da parte dello Stato di 
un obbligo comunitario aveva una matrice autonoma, nel resto dei Paesi membri 
essa veniva incardinata entro gli schemi interni di responsabilit�. 

Emergeva, in tal modo, una qualche forma di gelosia nazionale, che si manifestava 
nella ostinatezza degli Stati nel conferire una matrice interna a tale 
tipo di responsabilit� e alle procedure da adottare per accedere al risarcimento. 

Derivante, forse, come gi� la verghiana esigenza di preservazione della 
roba, dall�esigenza di mantenere una identit� autonoma ed estrinsecata attraverso 
la predisposizione di presidi giuridici interni (ma imposti dall�esterno), 
essa si poneva come una sorta di ultima parola sistematica. 

Anche in questo caso, dunque, si � trattato di una alternativa tra il mantenimento 
della coerenza interna all�ordinamento e l�apertura verso quello comunitario, 
anche quando esso pretendesse adempimenti formalmente (o 
sostanzialmente) estranei all�ordine nazionale. 

La sentenza Francovich, pertanto, costituisce un ottimo punto di partenza 
per una riflessione critica sulla teoria classica del giudicato, in quanto sottolinea 
la singolarit� dei rapporti fra gli attori comunitari, rimettendo in discussione 
gli assiomi tradizionali a favore del dinamismo inter istituzionale (6). 

Dopo Francovich, nelle cause riunite Brasserie du pe

cheur SA e Factor


(6) Nell�ottica di una revisione delle posizioni tradizionali anche a livello interno, si veda la posizione 
critica di ANDOLINA I.A., La crisi del giudicato e nuovi strumenti alternativi di tutela giurisdizionale. 
La nuova tutela provvisoria di merito e le garanzie costituzionali del �giusto processo�, in Giusto proc. 


tame Ltd e altri (7), la Corte estendeva il principio di responsabilit� statale, facendolo 
sussistere in ogni caso, indipendentemente dal momento (traspositivo 

o applicativo) in cui la violazione del diritto dell�Unione si fosse perpetrata. 

A questo secondo, pi� estensivo, filone giurisprudenziale, seguir� un terzo 
(rappresentato dalla gi� citata e notissima sentenza K�bler) in cui la Corte, 
estendendo ulteriormente le maglie del principio di responsabilit�, di cui il 
caso Francovich poteva vantare la paternit�, ben oltre il limite della (incorretta) 
trasposizione legislativa, individuava profili di responsabilit� sanzionabile 
dello Stato anche nell�attivit� del suo corrispondente nazionale, dei giudici di 
ultima istanza chiamati a correttamente applicare il diritto dell�Unione. 

1.2. Ulteriori riflessioni in materia di responsabilit� dello Stato per violazione 
del diritto comunitario. 

Dopo il caso Francovich, le sentenze Brasserie du pe

cheur e K�bler non 
hanno costituito una sorpresa, se non (forse e apparentemente) per quegli Stati 
membri le cui argomentazioni difensive in merito all�impossibilit� di ammettere 
una responsabilit� dello Stato per l�incompatibilit� della legislazione interna 
con il diritto dell�Unione e per la decisione dei propri giudici di ultima 
istanza contraria allo stesso facevano leva sugli argomenti della certezza del 
diritto e dell�intangibilit� del giudicato. 

Come gi� sottolineato, al paragrafo 39 della sentenza K�bler, la Corte 
puntualizzava che ammettere un siffatto tipo di responsabilit� non avrebbe, in 
vero, necessariamente richiesto una revisione della res iudicata precedentemente 
formatasi. 

Attribuire al cittadino una giusta riparazione per il pregiudizio subito da 
una decisione giurisdizionale illegittima, come in K�bler, infatti, non necessariamente 
avrebbe preteso l�eliminazione o il superamento formale (laddove 

civ., 2007, 317 ss., per il quale si assiste ad una vera e propria crisi dell�impianto tradizionale, nel quale 
il processo civile aveva come esito naturale la creazione di una certezza giuridica ed anche gli effetti 
provvisori ed interinali di alcuni provvedimenti esistevano nella prospettiva del futuro giudicato. 
Sempre pi� spesso, infatti, viene manifestata l�esigenza di una tutela giurisdizionale effettiva, ma tempestiva, 
con la conseguente elaborazione di provvedimenti a cognizione sommaria (distinti da quelli, di 
chiovendiana memoria e idonei al giudicato, di cognizione sommaria con prevalente funzione esecutiva 
e cautelari disancorati dal giudicato), che determina una duplicazione dei modelli del processo civile, 
uno tradizionalmente finalizzato al giudicato, l�altro, sulla base di un giudizio di verosimiglianza e non 
di verit�, mirante alla composizione immediata del conflitto e alla provvisoria produzione di effetti pratici, 
ma inidoneo al giudicato. 
Tale mutamento di prospettive pu� essere paradigmaticamente letto nell�ottica di una manifestata esigenza 
di �aggiornamento� delle tutele (a prima vista estendibile anche alle istanze di revisione dei giudicati 
nell�ordinamento europeo), che corre, tuttavia, il rischio di dilatare le maglie della certezza fino 
a lederne la stessa consistenza. 

(7) Corte di Giustizia, sentenza del 5 marzo 1996, cause riunite Brasserie du pe

cheur SA c. Repubblica 
federale di Germania e The Queen c. Secretary of State for Transport, ex parte: Factortame 
Ltd e altri, C-46/93 e C-48/93, in Raccolta 1996 I-01029. 


quello concettuale sarebbe stato insito nella affermazione della responsabilit� 
dello Stato) del giudicato. 

Anche le argomentazioni relative alla paventata lesione dell�indipendenza 
del potere giurisdizionale a fronte della minaccia di un risarcimento del danno 
a coloro i quali fossero negativamente incisi dall�incorretto esercizio di un potere 
venivano facilmente confutate dalla Corte, la quale precisava come non 
il legislatore o il singolo giudice, ma lo Stato sarebbe stato responsabile per 
una condotta considerata attribuibile a quest�ultimo nel suo complesso. 

Dopo Francovich, ma, in particolare, dopo Brasserie du pe

cheur, risultava, 
poi, difficile aspettarsi che la Corte non avrebbe, altres�, esteso la responsabilit� 
dello Stato altres� alle conseguenze derivanti dalle decisioni giurisdizionali (8). 

In questo senso, la decisione del caso K�bler � perfettamente in linea con 
quella del caso Commissione c. Italia (9), in cui la Corte ebbe modo di affermare 
che l�interpretazione e l�applicazione del diritto da parte degli organi 
giurisdizionali italiani, ivi compresa la Suprema Corte di Cassazione, erano 
incompatibili con il diritto dell�Unione europea. 

Alla Corte di Lussemburgo, dunque, non erano estranee intrusioni nella sfera 
di autonomia, ritenuta inattaccabile, dei propri corrispondenti nazionali, ma ci� 
rientrava in pieno nel sistema di applicazione ed interpretazione dei Trattati, che 
non tollera immunit� alcuna, pena lo squilibrato funzionamento del sistema stesso. 

1.3. Violazione sufficientemente grave e manifesta: un argine autoimposto? 

In K�bler, tuttavia, � la Corte stessa ad imporre dei limiti nella attribuzione 
della responsabilit�, che lasciano pensare ad una forma di velata protezione nei 
confronti dei giudici nazionali, giudici naturali del diritto dell�Unione. 

Infatti, perch� sia fonte di responsabilit� per lo Stato, la violazione posta 
in essere da un giudice, oltre che sufficientemente grave (� tale la violazione 
che coinvolga uno Stato membro che, nell�esercizio dei suoi poteri, abbia manifestamente 
e gravemente ignorato i limiti di esercizio degli stessi) deve essere 
manifesta. 

Qui la Corte adotta un approccio pi� funzionale che concettuale, al fine 
di unificare le diverse normative statali in materia di responsabilit�, ma tale 
regime non appare scevro da problematicit� (10). 

Anzitutto, occorre interrogarsi criticamente sul sistema di responsabilit� 

(8) Cfr.. HANS J.H., State Liability and Infringements Attributable To National Courts: A Dutch 
Perspective On The K�bler Case in The European Union: An Ongoing Process - Liber Amicorum Alfred 
E. Kellermann, The Hague, 2004, 165-176. 
(9) Corte di Giustizia, sentenza del 9 dicembre 2003, Commissione delle Comunit� europee contro 
Repubblica italiana, C-129/00 in Raccolta 2003 I-14637. 
(10) A tal proposito, cfr. MART�N RODR�GUEZ P., State Liability For Judicial Acts In European 
Community Law: The Conceptual Weaknesses Of The Functional Approach, in The Columbia Journal 
of European Law, vol. 11, n. 3/2005, 605-621. 



che la Corte ha ritenuto inerente al sistema del Trattato, specie in considerazione 
del fatto che tale sistema potrebbe vivere nel limbo della non applicazione 
laddove gli Stati membri si dimostrassero restii alle aperture, anche 
processuali, che la stessa ha suggerito (o imposto) nella sentenza K�bler. 

Anche i requisiti della sufficiente gravit� di una violazione manifesta non 
sono rimasti immuni da perplessit�, in quanto la Corte li ha mantenuti entro 
margini ampi e necessariamente labili, forse al fine di permetterne la pi� estesa 
e diversificata applicazione, ma non senza correre il rischio di porli nel nulla, 
assieme ad un sistema che, probabilmente, richiederebbe una concretizzazione 
a livello normativo, al fine di sfuggire dalle aporie applicative tipiche della legiferazione 
giurisprudenziale. 

La questione, d�altronde, non � di poco conto, in quanto � in gioco l�autonomia 
processuale degli Stati membri, ai quali i Trattati richiedono, in ossequio 
ai principi di equivalenza ed effettivit�, di garantire la parit� di trattamento tra 
le situazioni giuridiche di matrice interna e quelle di matrice comunitaria. 

Pi� o meno la totalit� degli Stati membri possiede un sistema di valutazione 
ed attribuzione di responsabilit� per gli errori giudiziari, ma ciascuno di 
questi �, di norma, caratterizzato da stringenti presupposti di accesso, proprio 
in ragione della paventata lesione alla certezza del diritto che potrebbe causare 
un esercizio di potere, anche solo indirettamente, rimesso in discussione, attraverso 
l�individuazione dei profili di scorrettezza dello stesso (11). 

Proprio in ragione di questo, pur frammentato, retroterra normativo statale, 
la Corte, in K�bler, non ammetteva una creazione dal nulla del sistema 
di responsabilit� dello Stato per il fatto dei propri giudici di ultima istanza, dichiarandolo 
come immanente all�intero ordinamento giuridico dell�Unione. 

Tuttavia, dalle assimilazioni con la responsabilit� extracontrattuale della 
Comunit�, che permettevano alla Corte di chiudere il cerchio interpretativo, 
garantendo coerenza al sistema nella sua interezza, traspariva, forse, qualche 
ulteriore criticit� (12). 

Una tale affermazione di responsabilit�, infatti, facilmente sarebbe potuta 
risultare invisa agli Stati membri, all�interno dei quali essa era stata contenuta 
entro i limiti dell�inattaccabilit� del dictum giurisdizionale, al fine di preservare 
la propria autonomia e coerenza processuale. 

� chiaro, dunque, come la provenienza esterna della stessa (ovvero da 
un giudice che �, allo stesso tempo, l�interprete di un diritto primaziale) potesse 
creare resistenze se non correttamente incardinata entro i confini normativi 
fondamentali negli ordinamenti giuridici degli Stati membri. 

(11) In merito alla disciplina italiana, cfr. infra, Parte Seconda. 

(12) Cfr. P�REZ GONZ�LEZ C., La responsabilidad del Estado por incumplimiento del Derecho 
comunitario, Madrid, Tirant Lo Blanch, 2001. 


1.4. Funzionalizzazione della responsabilit� statale. 

Vi � da chiedersi, in altre parole, se tale responsabilit� sussista effettivamente 
nei termini tracciati dalla Corte e quanto essa pesi, nella sostanza, negli 
equilibri tra poteri degli attori del diritto dell�Unione. 

A tal proposito, taluno ha adombrato la possibilit� che la Corte avesse 
fatto un utilizzo funzionale e non concettuale del Trattato, trasformando la responsabilit� 
in un concetto servente, non pi� base consolidata del sistema pattizio 
eurocomunitario (13). 

� questa, forse, la critica a cui questo filone di sentenze della Corte presta 
maggiormente il fianco: nella elaborazione di questo e di altri orientamenti ritenuti 
incisivi di principi invalsi, quale quello della certezza del diritto o della 
intangibilit� della res iudicata (che, in verit�, pi� spesso, non sottraggono nulla 
all�essenza di tali principi, esplicandone, semplicemente la portata all�interno 
dell�ordinamento giuridico dell�Unione) i giudici di Lussemburgo sembrano 
creare un regime autoreferenziale, la cui correttezza di fondo corre il rischio 
di essere tradita dal proprio solipsistico gioco di rimandi, per i pi� estraneo 
dalle logiche ordinamentali classiche. 

Questa Babele interpretativa � testimoniata anche dalla abbondanza di 
rinvii pregiudiziali alla Corte per una questione, quella del risarcimento del 
danno da parte dello Stato per il fatto di uno dei suoi organi, che avrebbe dovuto 
dirsi come consolidata e sufficientemente chiara. 

A titolo di esempio, si consideri la circostanza, sottolineata anche dalla 
Corte nella sentenza K�bler, per cui la responsabilit� degli Stati membri per 
violazioni del diritto dell�Unione � assimilata alla responsabilit� extracontrattuale 
della Comunit�. 

Quest�ultima, tuttavia, trova la sua fonte principalmente nell�(incorretto) 
esercizio da parte della stessa del potere legislativo, in particolar modo nelle 
scelte di politica economica. 

Ora, se tale assimilazione ha consentito alla Corte di trovare un prius logico 
e di incardinare la responsabilit� entro un presidio normativo esistente, 
essa ha creato, allo stesso tempo, incertezze applicative, a fronte della diversificazione 
delle figure di responsabilit� interne allo Stato (che non sono, come 
� stato dimostrato, riconducibili esclusivamente nell�alveo legislativo). 

Questa distonia interpretativa ha determinato una certa libert� nel recepimento 
e nella applicazione della dottrina per prima delineata in Francovich, 
giustificando, poi, le frequenti domande pregiudiziali alla Corte (14). 

(13) Cfr. MART�N RODR�GUEZ P., op. cit. 

(14) Taluno aveva sostenuto, inoltre, che questo approccio della Corte si sarebbe risolto nell�approdo 
opposto rispetto a quello auspicato: assimilare la responsabilit� degli Stati a quella extracontrattuale 
della Comunit�, di matrice essenzialmente legislativa, avrebbe ridotto considerevolmente i casi di risarcimento 
del danno derivante dal cattivo esercizio di altri poteri dello Stato. Cfr. MANGAS MART�N A. e 
LI��N NOGUERAS D.J., Instituciones y Derecho de la Uni�n Europea, Madrid, McGraw-Hill, 2004, 74. 


Quest�ultima, scegliendo un approccio case by case ha, forse, corso il rischio 
di diluire la coerenza di fondo della propria posizione nella vischiosit� 
dei casi concreti, adombrando delle oscillazioni giurisprudenziali che, in realt�, 
sono pi� apparenti che effettive (15). 

Dall�impostazione della Corte si percepiva un utilizzo del risarcimento 
del danno qual strumento per rinforzare l�effettivit� del diritto dell�Unione, 
allorch� i mezzi disponibili (quali l�effetto diretto della normativa comunitaria 

o una sentenza della Corte in cui si dichiarasse il mancato ossequio del diritto 
comunitario da parte dello Stato, a seguito di un ricorso per inadempimento) 
non si fossero dimostrati sufficienti. 

Questo utilizzo del rinvio pregiudiziale quale strumento di compensazione 
delle inadeguatezze (non tanto formali, quanto relative all�impatto concreto 
sugli atti e comportamenti dei partner nazionali) si rivelava 
maggiormente utile per la Corte allorch� l�atto non avesse effetto diretto, in 
quanto costituiva il tramite privilegiato attraverso cui suggerire la corretta attuazione 
della normativa comunitaria. 

I casi Brasserie e Factortame costituivano terreno fertile per il soddisfacimento 
della avvertita necessit� di chiarezza in merito al principio della responsabilit� 
dello Stato nel diritto comunitario gi� postulata nella sentenza 
Francovich, sebbene il risvolto della medaglia fosse una certa complessit� 
degli stessi, nelle maglie della quale avrebbe corso il rischio di avvilupparsi il 
ragionamento interpretativo della Corte. 

Ecco perch� nell�argomentazione del giudice comunitario si � colta una 
maggiore cautela in merito all�affermazione stessa di responsabilit�, che esso 
subordinava al requisito della violazione sufficientemente grave di una norma 
volta ad attribuire diritti agli individui (16). 

Ci�, tuttavia, determinava il rischio di una incongruenza tra la sentenza 
Francovich e la sentenza Brasserie, in quanto la prima sembrava ammettere, 
a condizioni meno restrittive (ma, forse, meno chiare, tanto che i rinvii pre


(15) Si allude a quanto si svilupper� nel corso della trattazione in merito solo apparente al superamento 
del principio del giudicato da parte della Corte di Giustizia. Si tenter�, infatti, di dimostrare come 
quest�ultima non abbia affatto sovvertito il principio (a differenza di quanto sostenuto in qualche enfatica 
riflessione a caldo), essendosi limitata a rimarcare il principio di interpretazione conforme al diritto del-
l�Unione cui sono tenuti i giudici nazionali. Anche dove le posizioni assunte sono sembrate pi� radicali 
(come nella sentenza Lucchini), non si �, come si dimostrer�, trattato di un vero e proprio superamento 
dell�intangibilit� del giudicato, ma del riconoscimento di un conflitto di competenza, risolto a favore del-
l�Istituzione europea (in quel caso la Commissione) e non del giudice nazionale che, pronunciandosi nel 
merito, aveva posto in essere un prodotto (la sentenza) incompatibile con il diritto comunitario. 

(16) Cfr. par. 55 della sentenza Brasserie du pe

cheur e Factortame: �Quanto alla seconda condizione, 
sia per quanto riguarda la responsabilit� della Comunit� ai sensi dell'art. 215 sia per quanto attiene 
alla responsabilit� degli Stati membri per violazioni del diritto comunitario, il criterio decisivo per considerare 
sufficientemente caratterizzata una violazione del diritto comunitario � quello della violazione 
manifesta e grave, da parte di uno Stato membro o di un'istituzione comunitaria, dei limiti posti al loro 
potere discrezionale�. 


giudiziali successivi erano volti a comprendere quale potesse essere la portata 
della responsabilit� statale), una culpa in re ipsa dello Stato e la seconda, pur 
estendendone la portata, ne limitava l�applicabilit�. 

Tale incongruenza pare, poi, essere stata superata nella sentenza Dillenkofer 
(17), in cui la Corte riteneva che, comunque ed in ogni caso, la mancata 
trasposizione di una direttiva fosse una violazione sufficientemente grave del 
diritto comunitario. 

Ci� denotava una evoluzione della giurisprudenza del giudice di Lussemburgo, 
nel verso di una costruzione sistematica del regime di responsabilit� (e 
ci� si evince anche dalla successiva sentenza Bergaderm, in cui la Corte rimarca 
l�unitariet� dei presupposti della violazione per gli Stati membri e la 
stessa Comunit�) (18). 

Da ultimo, nella sentenza Robins (19), la Corte ha operato un approfondimento 
della tematica relativa alla sufficiente caratterizzazione della violazione, 
ponendo l�accento sui limiti posti dal legislatore comunitario alla discrezionalit� 
dello Stato membro: se questo, alla luce della normativa comunitaria, ha margini 
ridotti di discrezionalit� o non dispone affatto della stessa, qualunque trasgressione 
potrebbe essere idonea a realizzare la violazione sufficientemente 
caratterizzata richiesta dalla giurisprudenza comunitaria. 

Viceversa, qualora la normativa comunitaria permetta maggiori spazi di 
discrezionalit�, il compito del giudice nazionale chiamato a valutare la sussistenza 
della violazione sar� quello di verificare la presenza degli altri elementi 
sintomatici della violazione individuati dalla Corte di Giustizia. 

1.5. Verso la sistematizzazione della responsabilit�. 

Se tale sistema di responsabilit� fosse stato compiutamente definito, alla 
Corte non sarebbero residuati quei margini (interpretativi, s�, ma indubbiamente 
incisivi sulle decisioni dei giudici nazionali) che le consentivano, comunque, 
l�ultima parola su un regime di cui, allo stesso tempo, essa aveva 
conferito la gestione agli Stati membri ed ai loro giudici. 

Nell�avvicendarsi delle pronunce sul tema, emergeva, tuttavia, il tentativo 
dei giudici di Lussemburgo di fornire carattere sistematico alla nozione di responsabilit� 
degli Stati membri per la violazione del diritto dell�Unione, superando 
la iniziale visione strumentale dello stesso a garanzia esclusiva 
dell�effettivit� del diritto dell�Unione. 

(17) Corte di Giustizia, sentenza dell�8 ottobre 1996, Erich Dillenkofer, Christian Erdmann, Hans-
J�rgen Schulte, Anke Heuer, Werner, Ursula e Trosten Knor contro Bundesrepublik Deutschland, Cause 
riunite C-178/94, C-179/94, C-188/94, C-189/94 e C-190/94, in Raccolta 1996 I-04845. 
(18) Corte di Giustizia, sentenza del 4 luglio 2000, Laboratoires pharmaceutiques Bergaderm 
SA, Jean-Jacques Goupil contro Commissione, C-352/98 P, parr. 39-42, in Raccolta 2000 I-05291. 
(19) Corte di Giustizia, sentenza del 25 gennaio 2007, Carol Marilyn Robins e a. contro Secretary 
of State for Work and Pensions, Causa C-278/05, in Raccolta 2007 I-01053. 



Sotto questo fronte, la sentenza K�bler non � particolarmente innovativa, in 
quanto essa d� conto di un orientamento giurisprudenziale che gi� si era consolidato. 

Le ragioni dell�ulteriore rinvio pregiudiziale, allora, erano da rinvenirsi 
nella generalizzata tendenza ad accettare il principio di responsabilit� come costruito 
dal giudice comunitario, ma di rifiutare la sua applicazione pratica generale, 
in quanto ci� avrebbe inciso sull�indipendenza dei giudici nazionali (20). 

Se tale opinione era diffusa ancora dopo la soluzione interpretativa fornita 
al caso Brasserie (21), il caso K�bler, atteso per la fine dell�anno 2003 
(22), ha avuto senz�altro il merito di determinarne un primo superamento, 
costituendo una prima affermazione della responsabilit� dello Stato per il 
fatto dei propri giudici di ultima istanza. 

In K�bler, infatti, la Corte fissa il principio della responsabilit� dello Stato 
per la violazione del diritto comunitario (per vero, invalso nella maggior parte 
degli Stati membri), ne rimarca i presupposti (costituiti dall�incisivit� dell�atto 
illegittimo sui diritti individuali, da una violazione sufficientemente seria del 
diritto dell�Unione, sul nesso di causalit� fra quest�ultima e la lesione) ma, nonostante 
le perplessit� manifestate supra, ne attua una interpretazione innegabilmente 
innovativa. 

Ai presupposti classici della responsabilit� dello Stato (volta a garantire 
la piena effettivit� del diritto dell�Unione ed i diritti dei singoli), la Corte aggiunge, 
per quanto riguarda la responsabilit� derivante da atti dei giudici di 
ultima istanza, un onere di corretta applicazione dei precedenti giurisprudenziali 
pertinenti. 

In K�bler, la Corte non riteneva applicabile la dottrina dell�acte clair (23) 
da parte del Verwaltungsgerichtshof, il quale, tra l�altro, travisava il portato 
della precedente decisione Sch�ning-Kougebetopoulou, cos� ledendo la libert� 
di movimento dei lavoratori all�interno della Comunit� di cui all�articolo 48 
CE e al Regolamento n. 1612/68. 

Purtuttavia, dopo aver affermato che il Tribunale austriaco non avrebbe 
dovuto ritirare la domanda di pronuncia pregiudiziale, la Corte non riteneva 
che la violazione posta in essere dallo stesso avesse carattere manifesto (24), 
in quanto il diritto dell�Unione non disciplina espressamente tale questione e 
non esisteva una chiara giurisprudenza in materia. 

Pertanto, nonostante l�articolo 234, terzo paragrafo del Trattato CE fosse 

(20) Cfr. STEINER J., From Direct Effect to Francovich: Shifting Means of Enforcement of Community 
Law, in European Law Review, n. 48/1993, 3, 11. 
(21) Cfr. TONER H., Thinking the Unthinkable? State Liability for Judicial Acts After Factortame, 
Year Book of European Law, n. 17/1997, 165. 
(22) Cfr. KOM�REK J., Federal Elements in the Community Judicial System: Building Coherence 
in the Community Legal Order, in Common Market Law Review, n. 42/2005, 9. 
(23) Cfr. par. 118 della sentenza K�bler. 
(24) Cfr. par. 121 della sentenza K�bler. 







stato violato dal giudice austriaco, questo non determinava, a detta della Corte, 
l�attribuzione di responsabilit� allo Stato. 

I giudici di Kirchberg non chiarivano se il motivo fosse la scusabilit� 
dell�errore, anche perch� essi stessi, probabilmente, avevano contribuito a determinarlo, 
suggerendo alla giurisdizione di rinvio, tramite la propria cancelleria, 
la possibilit� di ritirare la domanda di rinvio pregiudiziale, a fronte di 
intervenuta giurisprudenza applicabile al caso di specie (ma anche, probabilmente, 
ai fini della riduzione del proprio carico di lavoro). 

� innegabile che lo Stato membro (in questo caso l�Austria) si fosse trovato 
in una situazione delicata (25) ma altrettanto peculiare era, probabilmente, 
la condizione in cui versava la Corte, che, ammettendo la responsabilit� dello 
Stato, avrebbe corso il rischio di auto dichiarare la propria, con la possibilit� 
di esiti alquanto singolari (tra cui una eventuale azione di responsabilit� nei 
confronti della Corte stessa). 

Tali difficolt� derivavano, probabilmente, dalla natura ancora troppo funzionale 
e troppo poco sistematica della concezione di responsabilit� come delineata 
dalla Corte, in quanto, effettivamente, l�attuazione stessa rischiava di 
essere vanificata semplicemente dall�incorretto posizionamento di un tassello 
da parte degli attori, nazionali ed eurocomunitari, della procedura. 

1.6. Le funzioni della responsabilit� e le esigenze individuali. 

L�avvertita esigenza di revisione del sistema di responsabilit� come inizialmente 
prospettato dalla Corte di Giustizia pu� farsi discendere da una considerazione 
pi� generale in merito alle funzioni della responsabilit� 
extracontrattuale: essa � presidio per il risarcimento del danno/indennit� (damage/
tort) ed altres� strumento di conservazione della res attribuita al soggetto 
(wronguful act) (26). 

Nella iniziale prospettazione funzionale della Corte, l�affermazione di responsabilit� 
era pi� concentrata sulla sanzione delle violazioni (per la realizzazione 
interessata del fine consistente nella garanzia di effettivit� del Diritto 
dell�Unione), che non sulla garanzia conservativa delle posizioni giuridiche 
degli individui. 

In altre parole, il fine ultimo della responsabilit� come elaborata dalla 

(25) Si veda, a tal proposito, l�art. 104, comma 2, del Regolamento di Procedura della Corte di 
Giustizia, per cui: �Spetta ai giudici nazionali valutare se essi abbiano ricevuto sufficienti chiarimenti 
mediante una pronuncia pregiudiziale, o se appaia necessario adire nuovamente la Corte�. 
(26) In questo secondo termine, cfr. BARCELLONA M., La responsabilit� extracontrattuale, Torino, 
Utet, 2012, 3 e ss., per cui il sistema giuridico chiama il diritto privato a svolgere tre funzioni fondamentali, 
quella attributiva (riservata alla disciplina dei cd. beni giuridici), quella traslativa (riservata alla disciplina 
del contratto e a quella delle successioni) e quella conservativa, riservata, appunto, alla responsabilit�, per 
cui il diritto provvede a garantire che la ricchezza e le chanches acquisitive, che in sede attributiva ha assegnato 
a ciascuno, non vengano impunemente distrutte ad opera di altri ed a questo fine prevede dispositivi 
atti a trasferire ricchezza da chi ne ha cagionato la distruzione a chi ne ha subito la perdita. 



Corte, pi� che quello di garantire le posizioni giuridiche degli individui (obiettivo 
nobile e chiaramente rappresentato) pareva, piuttosto, quello di affermare 
ad ogni costo la primazia del diritto dell�Unione, attraverso la comminazione 
di una sanzione per le violazioni dello stesso. 

Pertanto, sebbene le conseguenze fossero, sostanzialmente, analoghe, la 
responsabilit� pareva porsi pi� in un�ottica superindividuale (sanzionatoria e 
rivolta agli Stati) che in una individuale (riparatoria e rivolta alla tutela dei 
cittadini). 

Emergeva, a questo punto, una difficolt� concettuale: come poteva porsi 
a presidio dell�effettivit� del diritto dell�Unione e della certezza del diritto 
entro i suoi confini un sistema di responsabilit� solo eventuale (in quanto subordinato 
alla gravit� e al carattere manifesto della violazione)? (27). 

Infatti, solo allorch� fossero pregiudicati particolari diritti e la violazione 
avesse raggiunto un certo livello di seriet� poteva essere affermata la responsabilit� 
dello Stato, che, in quanto avesse cagionato perdite o danni ai cittadini, 
comportava il risarcimento degli stessi. 

Per tale ragione e in virt� di tali incongruenze, � parso che la Corte di 
Giustizia, pi� cauta con riferimento alla portata delle proprie decisioni, volesse 
salvaguardare i giudici nazionali (e, indirettamente, se stessa) ritenendo, in 
K�bler, che il comportamento del Tribunale di ultima istanza austriaco non 
integrasse una violazione del Diritto dell�Unione attributiva di responsabilit� 
allo Stato (solo nella terza questione sottoposta alla sua interpretazione pregiudiziale 
essa riconosceva tale responsabilit� con riferimento alla normativa 
interna in materia di indennit�). 

Questo gioco di relazioni dava conto delle difficolt� applicative di un regime 
(nel quale, pi� propriamente, la responsabilit� � una conseguenza della 
non assicurata effettivit�) che, finalisticamente e non strutturalmente concepito, 
risentiva della cooperazione degli Stati alla sua pi� corretta attuazione. 

Non a caso, la letteratura anglosassone (pi� sensibile ai temi del precedente 
giurisprudenziale vincolante e critica nei confronti del cd. attivismo giudiziale 
della Corte di Giustizia) aveva sottolineato come, a partire da 
Francovich, si fosse creato un regime fondato su un nuovo rimedio legale nazionale, 
in quanto � il giudice nazionale a stabilire se lo Stato sia responsabile 
oppure no della violazione del diritto dell�Unione, essendo il ricorso alla Corte 
di Giustizia obbligatorio solo per i giudici di ultima istanza (28). 

Il sistema mostra le sue falle proprio nella sentenza Brasserie e Factortame, 

(27) Cfr. B. LEE, che, in ragione di tale ambiguit�, rifiuta ogni assimilazione tra il sistema di responsabilit� 
come concepito nell�Unione e i sistemi nazionali di responsabilit� (civile, costituzionale, 
amministrativa, internazionale), B. LEE I., In Search of a Teory of State Liability in the European Union, 
Harvard Jean Monnet Working Papers, 1999, 9. 
(28) Cfr. HARLOW C., A Common European Law of Remedies?, The Future of Remedies in Europe, 
KILPATRICK C., NOVITZ T. e SKIDMORE P. (a cura di), Oxford, Hart Publishing, 2000, 80. 



in cui le due giurisdizioni di rinvio, a fronte dell�unica pronuncia resa dalla 
Corte, decidono diversamente le questioni di diritto loro sottoposte, cos� dimostrando 
che � all�interno degli Stati membri che si gioca la differenza tra la natura 
riparatoria e quella garantistica della responsabilit� extracontrattuale, con 
l�eventuale intervento della Corte di Giustizia solo allorch� il sistema vacilli. 

� il giudice nazionale, pertanto, ad essere chiamato a ponderare i valori 
in gioco, dovendo correttamente applicare la normativa nazionale in materia 
di responsabilit� e, contemporaneamente, prestare attenzione al rispetto del 
principio di effettivit� (29). 

1.7. Rischi di una elaborazione volutamente imprecisa. 

Da tutto ci� emerge come la Corte di Giustizia, nell�intento di creare un 
regime obiettivo di responsabilit�, si sia trovata nella necessit� di condividere 
la potest� demiurgica con i giudici nazionali, purtuttavia trascurando taluni 
nodi centrali della materia. 

Quasi mai, infatti, la Corte si � occupata del danno risarcibile o del nesso 
di causalit� tra la condotta inadempiente ed il primo, demandandone la specificazione 
ai giudici nazionali. 

Ci� non per un senso di deferenza nei confronti di questi, in quanto, poi, 
essa si occupava di questioni come la scusabilit� dell�errore o l�intenzionalit� 
della violazione (questioni, queste, che, invece, parrebbero rientrare maggiormente 
nell�alveo delle competenze dei giudici nazionali). 

Nelle intenzioni della Corte, l�effettivit� sarebbe stata garantita dal fatto 
che una violazione sufficientemente seria senz�altro � fonte di responsabilit�, 
denunciando, cos�, l�esigenza di una matrice comune e generalmente applicabile, 
a fronte della diversificazione dei regimi di responsabilit� all�interno degli 
Stati membri. 

Si consideri, ad esempio, la tendenza, registrata all�interno di alcuni Stati 
membri, alla elaborazione di forme di responsabilit� sempre pi� oggettiva, per 
cui ad una determinata violazione corrisponde una altrettanto certa reazione 
da parte dell�ordinamento, a garanzia della certezza del diritto. 

Un sistema cos� concepito garantirebbe a se stesso maggior coerenza e 
minor frequenza di eventi qualificabili come anomali (tra questi, senz�altro, il 
superamento di una res iudicata), che, spesso apparenti, sono frutto di oscillazioni 
interpretative. 

Tuttavia, a tali sistemi di responsabilit� obiettiva la Corte ha aggiunto elementi 
connotati da forte soggettivit� (il carattere intenzionale della violazione, 
la scusabilit� dell�errore di diritto, il comportamento della vittima o di terze 
parti), che, volti a circoscrivere la portata dell�affermazione di responsabilit� 

(29) Cfr. GIRERD P., Les principes dՎquivalence et d�effectivit�: encadrement ou desencadrement 
de l�autonomie proc�durale des Etats membres?, in Revue trimestrielle de droit europ�en, 2001, 48. 


quando utile, non mancano di provocare incertezze sull�effettiva portata della 
stessa quando, invece, essa sussista, con la conseguente creazione di pi� regimi 
di responsabilit� coesistenti (30). 

� innegabile come tale, probabilmente necessitata, indefinitezza garantisca 
alla Corte di Giustizia ampi margini di controllo residuale, su un regime 
la cui gestione �, formalmente, dalla stessa attribuito agli Stati membri ed ai 
loro giudici. 

Un maggiore compiutezza, probabilmente, diluirebbe il monopolio interpretativo 
in un effettivo rimedio nazionale ed � per questo che, nelle pronunce 
oggetto di studio, la Corte afferma sempre risolutamente come il diritto al risarcimento 
sia fondato sul diritto dell�Unione. 

1.8. L�apparente unitariet� della responsabilit�. 

Un ulteriore punto di criticit� del sistema, come concepito dalla Corte, 
pu� cogliersi in relazione all�affermazione della stessa secondo la quale il regime 
di responsabilit� deve essere connotato da unitariet�, anche in ragione 
della presentazione unitaria dello Stato nel diritto internazionale, quale unicum 
nel quale non � possibile (n� dovuto) distinguere le proprie articolazioni interne 
(legislative, amministrative e giurisdizionali). 

Tuttavia, nei fatti, il regime � tutt�affatto che unitario, in quanto � la 
Corte stessa a diversificarlo a seconda dell�organo dal quale la violazione 
provenga (31). 

Nel diritto internazionale generale, invece, la responsabilit� degli organi 
giurisdizionali � effettivamente equiparata a quella degli altri poteri dello Stato 
e ci� ha senso poich� in quel sistema non cՏ diversificazione fra violazioni 
pi� o meno gravi ed il diritto ad elaborare ed ottenere un risarcimento � creato 
e gestito esclusivamente all�interno dell�ordinamento internazionale stesso. 

Secondo l�interpretazione della Corte, nel diritto dell�Unione si ha responsabilit� 
dello Stato solo se un organo dello stesso abbia violato gravemente 
e manifestamente i limiti della propria potest�, configurando ci� una 
violazione sufficientemente seria. 

Tuttavia, a dispetto dell�affermata unit�, gli organi di uno Stato membro 
non sono tutti dotati del medesimo livello di discrezionalit� nell�applicazione 
del diritto dell�Unione e da questa circostanza � derivata la difficolt� di collocare 
il frammento di responsabilit� tra uno degli stessi nella sentenza K�bler, 
specie in ragione del fatto che, in questo caso, la valutazione � s� svolta dal 
giudice interno, ma sotto l�influenza del giudice comunitario. 

(30) Per questo, cfr. ABOUDRAR-RAVANEL S., Responsabilit� et Primaut�, ou la question de l�efficience 
de l�outil, in Revue du March� commun et de l�Union Europe�nne, n. 544/1999, 437. 
(31) Cfr. ANAGNOSTARAS G., Not as Unproblematic as You Might Think: the establishment of causation 
in governmental liability actions, in European Law Review, 2002, 663. 



Questa scissione decisionale ed interpretativa rende palesi le differenze 
(che la Corte aveva mancato di considerare) con l�ordinamento internazionale 
generale, in cui, come si � detto, le questioni vengono decise nell�ambito di 
un sistema unitario e, per quanto pi� possibile, coerente. 

1.9. Decentralizzazione e garanzia di un ricorso effettivo. 

Da ci� pu� ricavarsi una ulteriore riflessione, anch�essa non priva di effetti 
sulle esigenze di certezza all�interno dell�ordinamento eurocomunitario: 
l�applicazione necessariamente decentralizzata del diritto dell�Unione (per cui 
il giudice naturale dello stesso � il giudice nazionale e non la Corte di Giustizia) 
� accompagnata dall�altrettanto necessaria garanzia di un ricorso effettivo 
ad un organo giurisdizionale a fronte di una violazione del diritto dell�Unione, 
innanzi al quale le parti possano lamentare il torto subito (32). 

Un sistema cos� concepito, tuttavia, pu� determinare una conseguenza 
paradossale: che ogni violazione del diritto dell�Unione, eventualmente fonte 
di responsabilit� ed eventualmente determinante un diritto al risarcimento del 
danno a causa della stessa sub�to, possa essere del tutto riversata sul potere 
giurisdizionale, al quale spetterebbe l�ultima parola anche sulle violazioni 
poste in essere dagli altri poteri dello Stato. 

Tale ipotesi non � neutra n� priva di conseguenze rischiose, anche in ragione 
del fatto che la considerazione di cui i giudici di ultima istanza godono 
all�interno degli ordinamenti Stati membri � significativamente diversificata e 
ci� pu� incidere sulla concreta fruibilit� di diritti e libert� da parte dei cittadini. 

In quest�ottica pu� essere, dunque, spiegato e giustificato l�atteggiamento 
restrittivo della Corte di Giustizia in relazione alle violazioni direttamente attribuibili 
ai giudici nazionali di ultima istanza, relativamente alle quali la responsabilit� 
risarcitoria avr� luogo solo in casi eccezionali. 

In primo luogo, allorch� il giudice di ultima istanza, che vi � tenuto, non 
abbia sollevato un rinvio pregiudiziale in presenza di un dubbio interpretativo. 

In particolare, perch� ci� determini una responsabilit� dello Stato membro, 
bisogner� dimostrare che il giudice abbia manifestamente male utilizzato 
il proprio potere discrezionale di sollevare un rinvio pregiudiziale, nell�ambito 
della dottrina dell�acte clair (33). 

In secondo luogo, � necessario (ma non sempre facile, specie per i danni 
materiali, come anche affermato dall�Avvocato Generale L�ger nelle sue con


(32) In questo senso, cfr. Corte di Giustizia, sentenza del 15 maggio 1986, Marguerite Johnston 
contro Chief Constable Of The Royal Ulster Constabulary, C-222/84, in Raccolta 1986 01651, par. 17 
e Corte di Giustizia, sentenza del 15 ottobre 1987, Union nationale des entra�neurs et cadres techniques 
professionnels du football (Unectef) contro Georges Heylens e altri, C-222/86, in Raccolta 1987 04097. 
(33) Cfr. PEERBUX-BEAUGENDRE Z., Premi�re cons�cration expresse du principe de la responsabilit� 
de l�Etat membre pur les jurisprudences de ses cours supr�mes dans le cadre de l�article 226 CE, 
Revue trimestrielle de droit europ�en, 2004, 208 e ss. 



clusioni in merito al caso K�bler (34)) dimostrare il nesso di causalit� tra la 
violazione ed il danno subito dal cittadino (solo nella sentenza K�hne & Heitz 

(35) la Corte chiarir� ai giudici la cogenza dell�obbligo di rinvio pregiudiziale, 
alla luce delle conseguenze del mancato adempimento dello stesso). 
Infine, affinch� sussista la responsabilit�, � necessario che la normativa 
violata conferisca diritti individuali. 

Tale quadro � reso ulteriormente complesso dalla diversificazione delle 
violazioni che potenzialmente possono essere poste in essere dai giudici (tra 
cui possono distinguersi errores in procedendo ed errores in iudicando) e 
dall�assenza, nell�ordinamento dell�Unione europea, di una gerarchia tra i giudici 
(che, invece, � ben chiara all�interno degli Stati membri), essendo quest�ultimo 
un ordinamento di cooperazione. 

1.10. Riflessi sul principio di intangibilit� della res iudicata. 

Ora, il passaggio logico dalla articolata questione della responsabilit� 
dello Stato per violazione del diritto comunitario a quella relativa all�intangibilit� 
del giudicato si snoda attraverso un interrogativo: a fronte del monopolio 
interpretativo del diritto dell�Unione, la Corte di Giustizia pu� operare delle 
revisioni sulle decisioni degli organi giurisdizionali di ultima istanza che costituiscano 
palesi e sufficientemente gravi violazioni del diritto dell�Unione e 
che, quindi, siano gi� fonte di responsabilit� per lo Stato membro al quale il 
giudice appartiene? 

Pi� in generale: � sempre possibile rimettere in discussione una manifestazione 
di volont� dello Stato, a livello amministrativo o giurisdizionale (e, 
come si vedr�, la distinzione non � di poco conto), allorch� questa sia stata 
resa in contrariet� al diritto dell�Unione? 

In altre parole, vi � da chiedersi se l�affermazione di responsabilit�, cui 
pu� seguire, a favore del soggetto leso dalla violazione del diritto dell�Unione, 
un ristoro per equivalente attraverso il risarcimento del danno, possa condurre, 
in un crescendo progressivamente pi� intrusivo dell�autonomia degli Stati 
membri, alla prassi per cui l�atto illegittimo debba sempre essere rimosso 
dall�ordinamento. 

(34) �Verosimilmente ci� non avverr� quando si tratta di un danno materiale. Infatti, la prova del 
nesso di causalit� fra un tale danno e l'inadempimento all'obbligo di rinvio presuppone che il singolo 
asseritamente leso dimostri che la decisione dell'organo giurisdizionale supremo sia stata conforme alle 
sue pretese se quest'ultimo avesse effettivamente effettuato un rinvio pregiudiziale. Salvo che la Corte 
pronunci una sentenza sul punto di diritto di cui trattasi, poco tempo dopo la pronuncia della decisione 
dell'organo giurisdizionale supremo, e che tale sentenza assecondi questo singolo nelle sue pretese, � 
difficile immaginare come possa essere fornita la prova di un tale nesso di causalit�� par. 151 delle conclusioni 
dell�Avvocato Generale L�ger. 
(35) Corte di Giustizia, sentenza del 13 gennaio 2004, K�hne & Heitz contro Produktschap voor 
Pluimvee en Eieren, Causa C-453/00, in Raccolta 2004 I-00837, per cui vd. pi� ampiamente infra, Parte 
Seconda. 



La risposta parrebbe essere negativa, in quanto la res iudicata gi� formatasi 
resta presidio esclusivo del diritto nazionale, che, tendenzialmente, riterr� 
la conservazione del decisum esigenza pi� stringente rispetto a quella di garantire 
effettivit� al diritto comunitario. 

La Corte, dal canto suo, si trover� innanzi a questo tipo di questioni solo 
allorch� venga effettivamente sollevato un rinvio pregiudiziale, che, tra l�altro, 
non � un�azione a giurisdizione piena (ivi, infatti, essa deve attenersi alle questioni 
interpretative cos� come proposte dalla giurisdizione di rinvio, che, naturalmente, 
offriranno una rappresentazione dei fatti dettata dalla sensibilit� 
del giudice nazionale che abbia formulato i quesiti interpretativi). 

Nell�implementazione quale rimedio nazionale, il sistema di responsabilit� 
rischia di privare la Corte di Giustizia dell�ultima parola sistematica che 
essa avrebbe voluto attribuirsi, lasciando alla sola cooperazione tra i giudici 
l�appianamento delle criticit� del sistema. 

Alla luce delle sottolineate peculiarit� di un tale regime di responsabilit� 
dello Stato per violazione del diritto dell�Unione, � opportuno procedere alla 
disamina delle pronunce in cui alla violazione sia seguita la rilevata esigenza 
di eliminare l�atto contrario al diritto dell�Unione. 

PARTE SECONDA 
CORTE DI GIUSTIZIA E RES IUDICATA: CRONACA DI UN BLANDO TRAVOLGIMENTO 
(Sentenze Eco Swiss (C-126/97); K�hne & Heitz (C-453/00); 
Kapferer (C-234/04); Lucchini (C-119/05); 
Fallimento Olimpiclub (C-2/08); Pizzarotti (C-213/13) 


La questione relativa alla responsabilit� dello Stato per l�inadempimento, 
da parte di uno dei propri organi, del diritto dell�Unione europea, permette, 
come accennato, un approdo all�altra, oggetto principale del presente studio e 
relativa alle conseguenze dell�adozione, da parte di un giudice di ultima istanza 

o di altro organo statale, di una decisione contraria al diritto comunitario. 

Essa � stata lungamente dibattuta in seno alla Corte di Giustizia ed ha suscitato 
il pi� vivo interesse di dottrina e giurisprudenza, anche in virt� del suo 
carattere innovativo e potenzialmente travolgente di principi invalsi all�interno 
degli ordinamenti giuridici, tra cui quello di intangibilit� del giudicato e di 
certezza del diritto. 

2.1. Le pronunce delle Corti europee e l�intrusione nella sovranit� statale. 

Le pronunce oggetto di analisi in questa sezione, nella loro complessit� 
e diversificazione, testimoniano, anzitutto, la peculiarit� della materia e la necessaria 
cautela richiesta agli attori, comunitari e nazionali, in relazione ad un 


tema come quello del giudicato e possono dirsi specchio della pi� generale 
tendenza del diritto dell�Unione europea a pervadere gli spazi prima riservati 
agli ordinamenti nazionali (1). 

Incidentalmente, quanto alla progressiva erosione dei porti franchi di indiscussa 
sovranit� dello Stato, non pu� tacersi la cogente influenza esercitata, 
specie in campo penale, dal sistema della Convenzione e della Corte Europea 
dei Diritti dell�Uomo (che non �, tuttavia, oggetto di questa ricerca), per cui 
si � assistito alla nascita e allo sviluppo di un sistema giuridico integrato, nel 
quale le autorit� nazionali e, in modo particolare, i giudici, hanno dovuto coniugare 
la propria tradizionale ed inattaccabile potestas interna con la preponderante 
forza normativa e il garantismo di nuovo conio promananti dai sistemi 
sovranazionali. 

Ci� �, d�altronde, il precipitato naturale di questi ordinamenti di integrazione, 
in cui � necessariamente richiesta una sinergia tra gli attori a livello nazionale 
e sovranazionale. 

Tale necessitata comunione d�intenti, tuttavia, non pu� non risentire della 
diversa matrice dei poteri ai differenti livelli e, pi� in generale, della non sempre 
identica sensibilit� nei confronti di temi ricorrenti da parte dei soggetti 
chiamati a dare attuazione ai sistemi di integrazione. 

Tra questi, il tema dei diritti fondamentali per la Corte Europea dei Diritti 
dell�Uomo e i temi economici e mercantili per la Corte di Giustizia, la quale, 
tra l�altro, a seguito della consacrazione dell�ordinamento dell�Unione europea 
quale luogo in cui i diritti dell�individuo sono ritenuti di interesse primario 
(specie a seguito dell�entrata in vigore della Carta di Nizza, poi equiparata, 
quanto al valore giuridico, ai Trattati) (2) si � pi� ampiamente occupata della 
questione, andando ben oltre il primario interesse per il buon funzionamento 
dei mercati e per la libera circolazione dei fattori produttivi, trascendendo il 
principio di non discriminazione e la libert� di concorrenza (cui, si rammenti, 
era peculiarmente ispirato l�intento creatore dei Padri Fondatori). 

Tuttavia, nel momento in cui le Corti sovranazionali iniziano ad occuparsi 

(1) Sulle incidenze del diritto dell�Unione europea sulla sovranit� statale, cfr. STILE M.T., Il problema 
del giudicato di diritto interno in contrasto con l�ordinamento comunitario o con la CEDU, in 
Diritto Comunitario e degli Scambi Internazionali, Fasc. 2/2007, 237-266. L�autrice, oltre al tema oggetto 
di studio, individua altri aspetti della sovranit� incisi dal diritto comunitario, tra cui, nella notissima 
sentenza delle S.U. della Corte di Cassazione n. 500 del 22 luglio 1999, il tema della risarcibilit� dei 
danni derivanti dalle violazioni di interessi legittimi, cui � conseguita l�eliminazione di uno tra i pi� risalenti 
privilegi goduti dalla pubblica amministrazione o, ancora, il tema della legittimazione delle associazioni 
dei consumatori ad impugnare le decisioni dell�Autorit� garante della concorrenza e del 
mercato, conformemente alla giurisprudenza della Corte (cfr., ex multis, Corte di Giustizia, sentenza del 
25 ottobre 1977, Metro SB-Gro�m�rkte GmbH & Co. KG contro Commissione delle Comunit� europee, 
Causa 26/76, in Raccolta 1977 01875) che riconosceva la legittimazione di soggetti terzi ad impugnare 
i c.d. provvedimenti assolutori della Commissione. 


(2) Cfr. art. 6 TUE. 


di temi tradizionalmente riservati alla sovranit� statale, le maglie del sistema, 
inevitabilmente, si allargano, richiedendo soluzioni di compromesso o, comunque, 
artifici giustificativi di tali intrusioni, che spesso sono il precipitato 
processuale di una collisione tra diritti sostanziali. 

Se, dunque, gli ordinamenti nazionali sono inevitabilmente incisi dalla 
forza preponderante con cui quelli sovranazionali si impongono nelle discipline 
di loro competenza, � vero anche che i primi e, in particolare, i loro organi 
giurisdizionali interni, influenzano i coefficienti di effettivit� della 
normativa europea (in special modo eurocomunitaria) (3), essendo i primi e 
diretti interlocutori dei cittadini, soggetti di entrambi gli ordinamenti. 

La diversificata sensibilit� degli organi nazionali (amministrativi, come 
in K�hne & Heitz o giurisdizionali, come in Lucchini, Olimpiclub e Pizzarotti) 
produce effetti che si riversano nella tenuta dei rapporti con gli ordinamenti 
sovranazionali, fino a determinare la responsabilit� degli Stati membri (4) nel 
caso in cui la condotta dei loro organi sia risultata incompatibile con i compromessi 
che essi stessi hanno deciso di porre in essere (in uno schema singolare 
nel quale gli apparenti coscritti, provenienti da schieramenti contrapposti, 
sono, in realt�, i medesimi soggetti - gli Stati- che ivi si trovano a seguito di 
una cessione volontaria della propria potest�). 

Ci� in quanto, se � vero che l�ordinamento comunitario ha una propria 
autonomia giuridica e funzionale, non pu� negarsi che esso, senza la sinergica 
collaborazione degli Stati membri e dei loro organi, non potrebbe spiegare a 
pieno le proprie competenze. 

2.2. Una ingerenza necessitata. 

A chi scrive, tuttavia, non pare che tale infittita, ma necessaria, rete di relazioni 
tra Stati membri ed istituzioni comunitarie comprometta irrimediabilmente 
la tenuta degli ordinamenti. 

D�altronde, il profilarsi di divergenze interpretative (quali si sono verificate 
nei casi sopra riportati) tra giudici (in questo caso di diversi, ma compenetrati, 
ordinamenti) nella tutela dei medesimi diritti rientra nella fisiologia 
dello ius dicere. 

Certo, essa crea delle criticit�, gi� sottolineate ampiamente in materia di 
responsabilit� dello Stato per le violazioni del diritto dell�Unione (5), ma non 
priva del tutto i sistemi (o il sistema) della sua intrinseca coerenza. 

(3) Per questo, cfr. STILE M.T., ibidem. 

(4) Cfr. CAPELLI F., L�obbligo degli Stati a risarcire i danni per violazione delle norme comunitarie, 
in Diritto Comunitario e degli Scambi Internazionali, 1997, 54 ss.; TESAURO G., Responsabilit� 
des Etats Membres pour violation du droit communautaire, in Rev. march� commun et de l�Un. eur., 
3/1996, 12-34; TIZZANO A., La tutela dei privati nei confronti degli Stati membri dell�Unione Europea, 
in Foro it., 1995, IV, 13 ss. 

(5) Cfr. supra, Parte Prima. 


In questo modo, l�attivismo della Corte di Giustizia si spiega nella necessit� 
di giustificare le limitazioni al liberismo cui la creazione delle Comunit� 
era preordinata e che, tuttavia, in una prospettiva esclusivamente mercantilistica, 
denotavano una scelta ancora miope (6), che necessitava degli arricchimenti 
costituzionali ed istituzionali che sono, via via, sopraggiunti. 

� merito della Corte di Giustizia quello di aver colmato, non senza difficolt�, 
le lacune del sistema, almeno fino a quando non si sia registrata, anche 
a livello normativo, una chiara presa di posizione in materia di tutela dei diritti, 
attraverso l�inserimento della previsione di cui all�articolo 6.2. del Trattato di 
Maastricht, in cui, per la prima volta, si affermava che �[l]�Unione rispetta i 
principi fondamentali (�) quali risultano dalle tradizioni costituzionali comuni 
degli Stati membri, in quanto principi generali del diritto comunitario� (7). 

2.3. Tre filoni interpretativi. 

� possibile isolare tre macro aree interpretative all�interno della giurisprudenza 
della Corte in materia di giudicato (8). 

La prima riguarda controversie di tipo verticale, sorte, cio�, tra soggetti 
privati ed amministrazioni nazionali e nelle quali, attraverso la tecnica c.d. 
della amministrazione indiretta, le seconde erano chiamate a dare attuazione 
al diritto dell�Unione. 

La seconda direttrice concerne, invece, controversie intercorrenti tra privati. 

La terza, infine, ricomprende il solo caso Lucchini, che, per la sua singolarit�, 
merita una posizione isolata. Si trattava, in quel caso, di una questione 
di amministrazione c.d. diretta, in cui erano direttamente le Istituzioni comunitarie 
(segnatamente, la Commissione) ad amministrare il diritto dell�Unione. 

Quanto al primo filone, nel quale � inquadrabile la sentenza K�hne & Heitz, 
il primato del diritto comunitario � stato ivi inteso quale specificazione del principio 
di effettivit�, anche alla luce del principio di equivalenza, per cui le regole procedurali 
degli Stati devono essere applicate allo stesso modo per le posizioni soggettive 
derivanti dal diritto interno e per quelle derivanti dal diritto comunitario. 

In quest�ottica sono spiegate le condizioni delineate dalla Corte in K�hne 
& Heitz perch� una decisione definitiva potesse essere rimessa in discussione. 

Qui, in particolare, oltre alla trasformazione in obbligo della possibilit� 
dell�organo dello Stato membro di ritornare su una propria decisione � rilevante 
interrogarsi su quanto la posizione del cittadino possa influenzare l�effettivit� 
del diritto dell�Unione all�interno dello Stato membro. 

(6) Cfr., a tal proposito, GIUBBONI S., I diritti sociali fondamentali nell�ordinamento comunitario. 
Una rilettura alla luce della Carta di Nizza, in Diritto dell�Unione Europea, 2003, 325. 
(7) Cfr., al riguardo, SCUDIERO L., Comunit� europea e diritti fondamentali: un rapporto ancora 
da definire?, in Riv. dir. eur., 1996, 263 ss. 
(8) Cfr. RAIMONDI S., Atti nazionali inoppugnabili e diritto comunitario tra principio di effettivit� 
e competenze di attribuzione, in Il Diritto dell�Unione Europea, 4/2008, 773-823. 



Ovvero: pu� discorrersi di una lesione del principio di effettivit� se il singolo 
abbia scelto di non esperire tutti i ricorsi a propria disposizione per tutelare 
la propria posizione violata? 

A chi scrive pare che il corretto spiegarsi del principio di effettivit� non 
possa essere sottoposto alle scelte dei singoli individui e che esso, invece, dipenda 
da scelte di carattere sistematico all�interno degli ordinamenti. 

Infatti, laddove esso dipendesse esclusivamente dalla diligenza degli individui 
nella contestazione delle illegittimit�, allorch�, per ipotesi, una schiera 
indefinita e molto ampia di soggetti prestasse acquiescenza ad una decisione 
contraria al diritto comunitario, l�effettivit� dello stesso potrebbe sempre dirsi 
violata (9). 

Nel secondo filone, riguardante controversie intercorrenti tra privati, nel 
quale possono farsi rientrare le pronunce Eco Swiss e Kapferer, la Corte ha 
dovuto adottare criteri risolutivi differenti. 

Infatti, nelle cause del primo filone, intercorrenti tra i singoli e lo Stato, 
doveva tenersi in debita considerazione l�obbligo di leale cooperazione che 
incombe sul soggetto pubblico e che poteva giustificare la posizione pi� rigorosa 
della Corte, suscettibile, pertanto, anche di rimettere in discussione la definitivit� 
di talune decisioni. 

Viceversa, in questi casi, la tutela degli interessi dei terzi privati poteva 
giustificare un approccio pi� conservativo. Pertanto, a fronte della tenuta delle 
decisioni definitive ritenute illegittime, l�unico rimedio avrebbe potuto essere 
quello di una azione di carattere extracontrattuale nei confronti dello Stato per 
la violazione di una norma di diritto dell�Unione da parte di un giudice di ultima 
istanza. 

L�ultimo filone, infine, lasciava intendere, in ragione delle sue specificit�, 
che l�autonomia processuale degli Stati membri potesse essere consacrata 
come prevalente solo nei casi di amministrazione indiretta. 

In Lucchini si trattava, infatti, di una ipotesi di amministrazione diretta 
del diritto dell�Unione da parte della Commissione e il conseguente riparto di 
competenze, anch�esso posto a presidio della certezza del diritto poteva giustificare 
un eventuale superamento del giudicato illegittimo. 

2.4. Corte di Giustizia e giudicato nazionale. Lesione di principi? 

Alla luce delle considerazioni che precedono si deve inquadrare l�excursus 
della giurisprudenza della Corte di Giustizia in materia di giudicato riportato 
nella prima parte di questo capitolo, ovvero tentando di spiegare come la 
questione dell�apparente superamento della res iudicata da parte del giudice 

(9) Cfr. a questo proposito, la sentenza Kempter (Corte di Giustizia, sentenza del 12 febbraio 
2008, Willy Kempter KG contro Hauptzollamt Hamburg-Jonas, C-2/06, in Raccolta 2008 I-00411), in 
cui la Corte ha precisato le condizioni di diligenza del singolo. 


comunitario sottenda, in realt�, una faticosa presa di posizione per la salvaguardia 
e l�affermazione del nuovo diritto sostanziale europeo, che investe 
settori (quale quello della tutela dei diritti, della cooperazione giudiziaria, della 
concorrenza, della disciplina degli aiuti di Stato, della imposizione tributaria) 
prima appannaggio esclusivo della normazione statale. 

Tale interpretazione pare suffragata dal fatto che la Corte, nella elaborazione 
della corrente in materia di giudicato, ha dimostrato di saper stare al 
proprio posto, pur attribuendosi il ruolo di interprete privilegiato e legittimato 
del diritto dell�Unione. 

D�altronde, se essa avesse inteso risolvere il contrasto tra diritto nazionale 
e diritto comunitario solo sulla base del primato (10) del secondo sul primo, 
avrebbe sempre dovuto concludere, in modo tranciante, per la disapplicazione 

o per la nullit� del provvedimento nazionale incompatibile o delle norme procedurali 
che a questo conferissero carattere definitivo. 

Ma ci� avrebbe eroso drasticamente l�autonomia procedurale degli Stati 
membri, la certezza del diritto e l�eventuale affidamento di terzi sul provvedimento 
definitivo. 

Pertanto, a fronte della pressoch� unanime convinzione in merito all�intangibilit� 
del giudicato (11), la Corte, cautamente, si � trovata ad affermare 
che solo gli ordinamenti interni possono prevedere dei rimedi a fronte di palesi 
iniquit� di un giudicato (costituiti, nell�ordinamento italiano, ad esempio, dagli 
istituti della revocazione della sentenza definitiva resa dal giudice civile (articolo 
395 c.p.c.) e dalla revisione della sentenza penale (articolo 360 c.p.p.), 
concepiti come mezzi di impugnazione straordinari, la cui invocazione �, comunque, 
subordinata alla sussistenza di presupposti stringenti. 

Alla luce di ci�, pu� individuarsi (forse, con la sola eccezione costituita 
dal caso Lucchini) una certa coerenza nella risoluzione dei casi sottoposti 
all�attenzione della Corte in cui era posto in discussione il principio del-
l�intangibilit� del giudicato, tanto da consacrare il giudice di Lussemburgo 
quale ossequioso custode del principio e non gi� quale impunito sovvertitore 
dello stesso. 

In K�bler, tanto per cominciare, si � registrato pi� il superamento di un 
pregiudizio (quello relativo all�impossibilit� di configurare una responsabilit� 
dello Stato per il fatto illecito dei propri giudici di ultima istanza), che il superamento 
di principio (quello del giudicato). 

L�intangibilit� della res iudicata (per cui la decisione passata in giudicato 
in merito all�impossibilit� di riconoscere al professor K�bler l�indennit� che, 
secondo il diritto comunitario, gli sarebbe spettata) era, anzi, il presupposto 
per l�affermazione della responsabilit� dello Stato. 

(10) Sui rapporti tra fonti, cfr. ZAGREBELSKI G., Il diritto mite, Torino, Einaudi, 1992. 
(11) Per cui si vedano le considerazioni ampiamente svolte nella introduzione al presente lavoro. 



Anche l�allora Avvocato Generale Tizzano, che, nelle proprie conclusioni 
relative al caso Kapferer aveva riscontrato un temperamento del principio di 
intangibilit� di decisioni divenute definitive (12), riteneva comunque inattaccabile 
il principio della res iudicata, che dichiarava applicabile esclusivamente 
alle decisioni giurisdizionali, cos� giustificando l�apparente superamento dello 
stesso in casi come K�hne & Heitz, in cui era in discussione la tenuta non gi� 
di una sentenza, bens� di una decisione amministrativa, possibile oggetto di 
revisione in autotutela da parte dell�organo che l�aveva resa. 

Per tutte queste ragioni, non pare che si possa parlare di una effettiva lesione 
di principi, anche in ragione dell�assenza di una sovvertitrice linea direttrice 
unitaria, la quale si evince anche dall�atteggiamento, pi� o meno 
restrittivo, della Corte, dipendente dalla materia oggetto, di volta in volta, del 
fatto concreto sottoposto alla sua attenzione (13). 

Tale approccio case by case non � certo scevro da profili problematici, 
ma non � impossibile leggervi una coerenza di fondo, fondata, da un lato sul-
l�ossequio del principio della certezza del diritto e, dall�altro, sull�esigenza di 
garantire piena effettivit� al diritto dell�Unione. 

In altre parole, l�attivismo della Corte, lungi dal ledere i principi fondamentali 
ed immanenti agli ordinamenti giuridici degli Stati membri, mirerebbe, 
pi� che altro, a compensare l�inerzia legislativa di questi, nei confronti del diritto 
eurocomunitario (14). 

2.5. Una nuova chiave di lettura dei rapporti fra ordinamenti. 

In quest�ottica, il principio del giudicato rappresenta uno dei confini ultimi 
posti dagli ordinamenti nazionali per preservare la loro sfera di autonomia 
nei confronti del diritto comunitario e, allo stesso tempo, il terreno fertile per 
lo sviluppo delle riflessioni del giudice comunitario in materia di attuazione 
del diritto sostanziale, nei modi pi� coerenti e compatibili con le prescrizioni 
sovranazionali cui gli Stati hanno deciso di sottoporsi. 

Tale orientamento � ben visibile in Olimpiclub, in cui, nonostante nella 
giurisprudenza nazionale di legittimit� fosse stato superato il prima invalso 
principio di frammentazione del giudicato (15), a partire dalla nota sentenza 

(12) �Alla luce delle considerazioni sopra svolte mi sembra pertanto di poter concludere che il 
diritto comunitario non impone ad un giudice nazionale di riesaminare ed annullare una decisione giurisdizionale 
che ha acquisito forza di giudicato qualora risulti che tale decisione abbia violato il diritto comunitario
�. Cfr. par. 34 delle conclusioni dell�Avvocato Generale Antonio Tizzano nella causa Kapferer. 
(13) A questo proposito, cfr. GROUSSOT X., MINSSEN T., Res judicata in the Court of Justice Case-
Law: Balancing Legal Certainty with Legality?, in European Constitutional Law Reviev, 3/2007, 401. 
(14) Cfr. ADINOLFI A., The �Procedural Autonomy� of Member States and the constraints stemming 
from the ECJ�s case law: is judicial activism still necessary?, in The European Court of Justice 
and the Autonomy of the Member States, Cambridge, Antwerp, Portland, Intersentia 2012, 302. 
(15) Per cui, in materia di IVA, l�accertamento relativo ad una singola annualit� fiscale poi passato 
in giudicato non spiegava i propri effetti conformativi nei giudizi relativi ad altre annualit�. 



delle Sezioni Unite della Cassazione n. 13916/2006 (16) in cui si affermava 
che, �[i]n una fattispecie di esenzione fiscale pluriennale, accertato con sentenza 
passata in giudicato che al contribuente spetta l'esenzione per un segmento 
dell'arco temporale di estensione dell'esenzione medesima, tale sentenza 
ha efficacia di giudicato esterno in un diverso giudizio nel quale si discute 
della spettanza dell'esenzione per un altro segmento di quell'arco temporale�, 
la Corte ritiene di dover suggerire ai giudici nazionali di ritornare sui propri 
passi, laddove l�adesione al principio della frammentazione sia strumentale 
alla pi� corretta attuazione del diritto dell�Unione. 

Taluno (17) ha parlato, a questo proposito, del progressivo emergere di 
un diritto processuale europeo, che � auspicato e stimolato dalla Corte di Giustizia, 
ma del quale l�attuazione � demandata, comunque, ai giudici nazionali 
e dipenderebbe dalla sensibilit� di questi nei confronti dei temi del diritto eurocomunitario. 


La questione non � di poco conto, se si considera che la Corte ha associato 
alle ipotesi di scollamento fra una decisione nazionale e il diritto dell�Unione 
la pi� grave sanzione del risarcimento del danno a carico dello Stato membro. 

Si tratta, dunque, della scelta tra un ristoro per equivalente, consistente 
nella affermazione della responsabilit� dello Stato cui consegua il risarcimento 
del danno e uno in forma specifica, consistente nell�anelata eliminazione di 
una decisione, anche definitiva, contraria al diritto dell�Unione. 

Come si � avuto modo di notare, le soluzioni non sono sempre state agevoli 
nemmeno per il giudice comunitario, anche alla luce della profonda diversificazione 
dei casi e delle materie sottoposti alla sua attenzione. 

In K�bler, ad esempio, si trattava di decidere, pi� che sulla compatibilit� 
tra un giudicato e una norma europea, su quella tra due giudicati (segnatamente, 
la pronuncia divenuta definitiva del Verwaltungsgerichtshof e la giurisprudenza 
della stessa Corte di Giustizia favorevole al ricorrente). 

In queste occasioni, dunque, attraverso il rinvio pregiudiziale, alla Corte 
era stata, altres�, sottoposta la risoluzione di un peculiare conflitto di attribuzioni 
(18) o, in alternativa di competenza (19). 

(16) Cass., S.U., 16 giugno 2006, n. 13916, in Foro it. 2007, 2, I, 493. 

(17) GAVAA., Giudicato nazionale e diritto comunitario: (quale) nuova chiave di lettura del rapporto 
tra gli ordinamenti?, in Europa e Diritto Privato, 1/2010, 297. 
(18) Su questi, nell�ordinamento italiano, � la Corte costituzionale a giudicare, a norma dell�art. 
134, comma III della Costituzione. Tuttavia, perch� possa parlarsi di conflitto di attribuzioni tra poteri, 
sono necessarie le seguenti condizioni: a) che esso sorga fra organi appartenenti a poteri diversi; b) che 
sorga fra organi competenti a dichiarare definitivamente la volont� del potere cui appartengono; c) che 
sorga per la delimitazione della sfera di attribuzioni determinata per i vari poteri da norme costituzionali. 
Cfr. MARTINES T., SILVESTRI G. (a cura di), Diritto Costituzionale, XIII ed., Milano, Giuffr�, 2013, 344. 
(19) Il dubbio sorge in ragione della assenza della prima delle condizioni di cui alla nota precedente 
affinch� possa delinearsi un conflitto di attribuzioni, ovvero quella relativa all�appartenenza dei 
giudici nazionali e della Corte a poteri diversi (e non, invece, al medesimo, ovvero quello giurisdizio



Gi� in Francovich, attuando lo stratagemma del risarcimento del danno, 
la Corte risolveva il conflitto di competenza a favore del giudice nazionale e 
quello di attribuzione in proprio favore, riservandosi l�ultima parola interpretativa. 
D�altronde, come gi� sottolineato, il presupposto dell�obbligazione risarcitoria 
� stato, in questi casi, proprio il permanere della violazione, in 
ragione della impossibilit� di eliminare una decisione divenuta definitiva (20). 

La giurisprudenza Lucchini, anche sotto questo versante, mostra tutte le 
sue peculiarit�, tanto che vi � sia chi ha ritenuto che la Corte abbia ivi risolto 
un conflitto di competenze (21) e chi, invece, un conflitto di attribuzioni (22). 

La lieve propensione verso la seconda di queste spiegazioni � giustificata 
dal fatto che, in Lucchini, la competenza a decidere sulla spettanza dell�aiuto 
era, in effetti, riservata alla Commissione e non gi� al giudice nazionale e, proprio 
in ragione del fatto che l�ordinamento comunitario prevale nelle materie 
ad esso espressamente riservate, con la contestuale necessit� di disapplicare 
la norma interna con esso confliggente, si spiega la portata di tale pronuncia. 

La sentenza, in realt�, sottendeva un (poco) velato rimprovero della Corte 
(ma, pi�, in generale, dell�ordinamento comunitario) (23) nei confronti della 
condotta dello Stato italiano nel suo complesso, il quale, dapprima, non aveva 
ottemperato correttamente ai propri oneri comunicativi nei confronti della 
Commissione e poi, sia attraverso la decisione del giudice civile che attraverso 
la mancata rilevazione della, nel frattempo, intervenuta, decisione della Commissione 
in merito all�aiuto, aveva contribuito al consolidarsi della decisione 
contraria al diritto comunitario. 

Pertanto, in Lucchini, la Corte, che ha poi avuto modo di precisare che 
mai essa ha superato il limite del giudicato, ha formulato un rimprovero di 
tipo politico nei confronti dello Stato membro e ci� ha giustificato sia la singolarit� 
della pronuncia che la portata esorbitante della stessa. 

� in Olimpiclub che la Corte, superate le asperit� del caso Lucchini, ritrova 
coerenza argomentativa, questa volta al di fuori della questione di competenza 
(che, d�altronde, non avrebbe potuto porsi, giacch� la competenza a 

nale). La questione potrebbe essere risolta differenziando le attribuzioni dei due organi e ricordando che 
la Corte di Giustizia � deputata, pi� che altro, all�interpretazione del diritto dell�Unione, la cui applicazione 
pertiene, invece, alle giurisdizioni nazionali. 

(20) Cos�, PICARDI N., Eventuali conflitti fra principio del giudicato e principio della superiorit� 
del diritto comunitario, in Giust. Civ., 2008, 561. 
(21) NUCERA, V., La tenuta del giudicato nazionale al banco di prova del contrasto con l�ordinamento 
comunitario, in Riv. Dir. Trib., IV/2008, 161. 
(22) CAPONI R., Giudicati civili nazionali e sentenze delle corti europee tra esigenze di certezza 
del diritto e gerarchia delle fonti, sintesi aggiornata della relazione Corti europee e giudicati nazionali, 
presentata al XXVII Congresso nazionale dell�Associazione italiana fra gli studiosi del processo civile, 
Verona, 25-26 Settembre 2009. 
(23) Si vedano, a questo proposito, le recise osservazioni dell�Avvocato Generale Geelhoed in riferimento 
all�operato dei giudici nazionali. 



decidere delle annualit� fiscali era esclusivamente del giudice nazionale), risolvendo 
il contrasto tra un giudicato e una norma comunitaria, ovvero un 
contrasto fra principi generali tra due ordinamenti, attraverso la rievocazione 
di un vecchio principio (quello della frammentazione dei giudicati), ormai abbandonato 
dalla giurisprudenza nazionale. 

2.6. Uno scontro evitabile. 

Molte delle difficolt� concettuali insite nella elaborazione (all�occorrenza, 
nella revisione o nella riedizione) di un concetto di giudicato comunitario derivano, 
altres�, dalla differenza di vedute tra la Corte di Giustizia e i giudici 
delle leggi di taluni Stati membri. 

La prima, tradizionalmente fautrice della tesi monista dei rapporti tra 
Stato e ordinamento internazionale e i secondi, pronti ad arginare la forza 
espansiva del diritto comunitario sostenendo la (ormai temperata) tesi dualista, 
si scontrano sulla soluzione di conflitti che, se inquadrati all�interno di un medesimo 
ordinamento mantengono la loro coerenza sistematica (e non � un caso 
che la Corte di Giustizia abbia ritenuto di essere competente a risolvere conflitti 
di attribuzione tra istituzioni comunitarie e Stati membri), ma che mostrano 
le loro problematicit� in una prospettiva inter ordinamentale (24). 

Promotrice dell�integrazione, la Corte di Giustizia, in occasione delle pronunce 
in materia di giudicato, ha tentato, con non poca fatica, di sopperire a 
mancanze sostanziali e processuali interne agli Stati membri, alla luce del diritto 
dell�Unione. 

Per questo motivo, non � mancata l�opinione di chi (25) abbia ritenuto 
che il sollevamento del polverone sulla questione del giudicato si sarebbe potuto 
evitare se si fossero adottate, nel corso dei giudizi e delle procedure nazionali, 
maggiori cautele nel rispetto del diritto comunitario. 

(24) A proposito della contrapposizione fra monismo e dualismo nell�ordinamento dell�Unione 
europea, cfr. ITZCOVICH G., Teorie e ideologie del diritto comunitario, Torino, Giappichelli, 2006, il 
quale individua nell�ordinamento comunitario una costruzione-piano, ossia un progetto politico al quale, 
in modi diversi, i singoli Stati avrebbero dovuto conformarsi, un diritto costituzionale in fieri, e non una 
costituzione statica, un modello di divisione dei poteri gi� stabilito. 
Questa concezione dei trattati istitutivi ha svolto un ruolo anche nella modalit� di interpretazione degli 
stessi, che si � improntata sul modello teleologico. 
I trattati vengono interpretati s� da realizzare il fine dell'integrazione, allontanandosi dai modelli restrittivi 
e letterali di interpretazione fondati sull'assunto che non si sarebbero potute individuare limitazioni alla 
sovranit� statale, a meno che non fossero chiaramente espresse o non costituissero un favore al contraente. 
L'autore connette l'uso del metodo teleologico al principio dell'autonomia del diritto comunitario 
rispetto ai diritti statali, ritenendo il principio funzionalista la vera modalit� di sviluppo delle istituzioni 
europee. Egli fa riferimento ad una progressiva de-internazionalizzazione del diritto comunitario da 
parte della Corte di Giustizia, che ha cos� generato un ordinamento peculiare e retto da principi parzialmente 
differenti rispetto a quelli del diritto internazionale. Sulle interpretazioni funzionali dei trattati, 
cfr. anche supra, Parte Prima. 
(25) Cfr. NEGRELLI A., Il primato del diritto comunitario e il giudicato nazionale: un confronto 
che si poteva evitare o risolvere altrimenti, in Riv. It. Dir. Pub. Com., 5/2008. 



In Lucchini il Consiglio di Stato, nel sollevare la questione pregiudiziale, 
riteneva che il giudicato coprisse il dedotto ed il deducibile e traeva l�intangibilit� 
della decisione della Corte d�Appello di Roma dalla circostanza che la 
decisione della Commissione fosse venuta in essere in un secondo momento, 
quando la Lucchini poteva dire di aver gi� consolidato la propria aspettativa 
in merito alla corresponsione dell�aiuto. 

Cos� posta, la questione ha messo la Corte di Giustizia innanzi ad una pericolosa 
alternativa, tra la garanzia dell�effettivit� del diritto dell�Unione e 
quella della autonomia processuale nazionale, risolta nelle gi� note modalit�. 

Tuttavia, se il Consiglio di Stato avesse considerato pi� attentamente la 
circostanza per la quale un giudicato pu�, a determinate condizioni, far salve 
eventuali sopravvenienze, tali che il deducibile valga solo per i fatti passati, si 
sarebbe forse assistito ad una pi� coerente affermazione di principio da parte 
della Corte, al di l� della dirompenza che la decisione della stessa era, comunque, 
destinata a manifestare. 

Vi � da chiedersi, quale grado di collaborazione (ai sensi dell�articolo 4 
TUE) possa essere richiesto agli Stati membri e ai loro organi al fine di evitare, 
a monte, tali imbarazzanti situazioni di incompatibilit�, che spingono il giudice 
comunitario ad esporsi, non senza conseguenze, sull�attuazione del diritto 
dell�Unione. 

La risposta � una questione di prospettive. 

Una prospettiva internazionalista colloca gli attori delle procedure su due 
piani parzialmente differenti, ove ciascuno di essi pu� estrinsecare la propria 
autonomia riducendo il rischio di interferenze o di incongruenze derivanti 
dall�intersezione con i partner dell�altro ordinamento (in questa prospettiva 
pu� farsi rientrare il sistema della CEDU, che richiede al soggetto leso in un 
diritto garantito dalla Convenzione il previo esperimento di tutti i ricorsi interni 
prima di rivolgersi alla Corte di Strasburgo). 

Una prospettiva integrazionista, viceversa, garantisce maggiore organicit� 
al sistema e se, da un lato, in ragione della pi� acuta sensibilit� richiesta alle 
autorit� nazionali, impedisce a monte la creazione di situazioni contrarie al 
diritto dell�Unione, dall�altro, laddove queste vengano comunque in essere, 
sono private della loro regolarit�, in quanto formatesi in spregio alla normativa 
comunitaria (26). 

In ci� il diritto comunitario ha profondamente modificato il modo di intendere 
i sistemi giuridici tradizionali, dai quali era impossibile pretendere una 
astensione acritica da reazioni o limitazioni di tale forza propulsiva. 

Si pensi, ancora una volta, alla Corte costituzionale italiana, che ha sottolineato 
come ogni statuizione della Corte di Giustizia debba essere sottoposta 

(26) Per questo, cfr. CANNIZZARO E., Sui rapporti fra sistemi processuali nazionali e diritto del-
l�Unione europea, in Il Diritto dell�Unione Europea, 3/2008, 447-468. 


ai controlimiti costituzionali (27) o, ancora, al Consiglio di Stato, che, per giustificare 
l�eventuale superamento di giudizi amministrativi divenuti definitivi, 
soleva distinguere tra giudizi sull�atto (la cui stabilit� era superabile, attraverso 
un sostanziale annullamento in autotutela) e giudizi sul rapporto (come quelli 
civili), in cui l�autorit� del giudicato non permetteva superamento alcuno. 

La composizione di questi conflitti fra le autorit� nazionali (in particolare, 
i giudici) e quelle comunitarie (in particolare, la Corte di Giustizia) non pu� 
prescindere dalla considerazione dell�anelito integrazionista che ispira l�esperienza 
comunitaria e, poi, dalle successive, anche se controbilanciate, spinte 
costituenti dell�Unione, alla luce dei quali le ritrosie nazionali andrebbero ridimensionate 
a vantaggio del buon funzionamento del sistema nel suo complesso. 


2.7. Il caso Pizzarotti: rilievi della sentenza della Corte nella considerazione 
del giudice remittente. 

Il recentissimo caso Pizzarotti (28), il quale si pone in rapporto di specificazione 
con i propri precedenti, non avendo qui la Corte assunto una posizione 
netta sul travolgimento di una decisione amministrativa contraria al 
diritto comunitario, limitandosi a sollecitare l�utilizzo delle regole procedurali 
interne per assicurare l�ossequio del diritto dell�Unione, pone in evidenza l�importanza 
della considerazione del giudice remittente in merito alla intervenuta 
sentenza della Corte su una materia oggetto di rinvio pregiudiziale. 

Infatti, se si � dimostrato come la Corte non abbia, fino ad ora, effettivamente 
inciso il principio della autonomia procedurale degli Stati membri, meritano 
di essere chiariti i limiti di codesta autonomia e le modalit� di esercizio 
della stessa a seguito di una pronuncia della Corte su una materia incisa dal 
diritto dell�Unione. 

In altre parole, quali sono i vincoli derivanti al giudice nazionale dalle 
prescrizioni di una sentenza interpretativa resa dalla Corte di Giustizia? 

Certamente, esso deve prestarvi ossequio, in quanto la pronuncia della 
Corte di Giustizia spiega effetti endoprocessuali tali che essa ha portata vincolante 
per il giudice del rinvio e per le eventuali giurisdizioni superiori che 
fossero chiamate a pronunciarsi sulla medesima causa. 

Il rifiuto di prestare ossequio alla sentenza della Corte potrebbe comportare, 
a carico dello Stato membro, l�apertura di una procedura di infrazione e 
sfociare nel ricorso per inadempimento di cui all�articolo 258 TFUE. 

Ma, al di l� delle palesi inosservanze del dictum della Corte, vi � un ampio 

(27) Sui, travagliati, rapporti fra la Corte costituzionale e la Corte di Giustizia dell�Unione europea, 
cfr. CHITI M.P., La Consulta e il primo rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia, verso il concerto costituzionale 
europeo, in Giornale di diritto Amministrativo, (2008). 
(28) Per cui cfr. GATTINARA G., L�autorit� de la chose jug�e apr�s l� arr�t Pizzarotti, in Revue des 
Effaires Europ�ennes, 3/2014, 623-632. 



ventaglio di possibilit� interpretative cui il giudice remittente, nell�alveo della 
propria autonomia, pu� far ricorso. 

� quanto � successo nell�ancora pendente giudizio Pizzarotti, in cui, a seguito 
della sentenza resa dalla Corte (la quale suggeriva di far ricorso, in sede 
di ottemperanza, ad interpretazioni della decisione passata in giudicato compatibili 
con il diritto dell�Unione, alla stregua del principio della formazione 
progressiva del giudicato amministrativo, come concepito dalla giurisprudenza 
amministrativa), la sezione Quinta del Consiglio di Stato (29) ha deciso di rimettere 
la questione all�Adunanza Plenaria, �dovendosi verificare se, dopo la 
riforma del processo amministrativo attuata con l�adozione del relativo codice 
e l�introduzione di azioni processuali prima non riconosciute dal sistema processuale 
amministrativo, abbia ancora senso fare riferimento all�istituto in 
esame [il giudicato a formazione progressiva] che � stato elaborato dalla giurisprudenza 
proprio per sopperire alle limitazioni proprie del processo amministrativo 
originario, centrato sulla sola azione di annullamento del 
provvedimento illegittimo; oppure se debba farsi riferimento ad un concetto 
di giudicato omologo a quello civilistico ed incentrato sul dictum contenuto 
nella sola sentenza di merito�. 

Il Consiglio di Stato �[c]onsiderato che, come � noto, in sede di giudizio di 
ottemperanza il giudice amministrativo pu� esercitare cumulativamente, ove ne 
ricorrano i presupposti, sia poteri sostitutivi che poteri ordinatori e cassatori e 
pu�, conseguentemente, integrare l�originario disposto della sentenza con statuizioni 
che ne costituiscono non mera esecuzione, ma attuazione in senso stretto, 
dando luogo al c.d. giudicato a formazione progressiva (da ultimo, cfr. Consiglio 
di Stato, Sez. IV, 2 febbraio 2011, n. 748; principio da ultimo autorevolmente 
confermato dalla sentenza del Consiglio di Stato, Ad. Pl., 15 gennaio 2013, n. 
2)� ha colto la problematicit� del bivio di fronte al quale � stato posto. 

In altre parole, i giudici di Palazzo Spada si sono chiesti se si possa ancora 
discorrere di giudicato a formazione progressiva e quanto questo principio 
possa incidere sulle sentenze di merito, poi oggetto di ottemperanza. 

Se, infatti, il Consiglio di Stato avesse aderito pedissequamente alla soluzione 
proposta dalla Corte, attuando, in sede di ottemperanza, una interpretazione 
della sentenza di merito passata in giudicato compatibile con il diritto 
dell�Unione, avrebbe comunque corso il rischio di accantonare la prospettiva, 
certamente concreta, del giudicato. 

D�altro canto, prestando ossequio al giudicato e soddisfacendo l�interesse 
della Pizzarotti alla conclusione del contratto, esso sarebbe incorso in una violazione 
del diritto dell�Unione. 

Spetta, adesso, all�Adunanza Plenaria decidere sulla questione ed essa 
non potr� non tener conto delle innovazioni che il codice del processo ammi


(29) Consiglio di Stato, Sez. V, ordinanza del 17 luglio 2015, n. 3587, Pres. Torsello, Est. Lotti. 


nistrativo ha determinato in materia di ottemperanza, rispetto alla quale le decisioni 
assunte prendono il nome di sentenze e per le quali � difficile escludere 
che siano rivestite dell�autorit� di giudicato. 

Ma, ancora, considerando le sentenze di ottemperanza oggetto di giudicato 
intangibile, la sentenza Pizzarotti della Corte di Giustizia costituisce una sopravvenienza 
suscettibile di rendere ineseguibile una decisione amministrativa? 

Pare di no, seguendo la lettera della stessa sentenza, che attribuisce al 
giudice nazionale la scelta in merito al mantenimento o al superamento del 
giudicato, ma non pu� negarsi come, da un lato, la Pizzarotti sia ormai titolare, 
quantomeno, di una aspettativa qualificata nei confronti del comune di Bari 
e, dall�altro, come il soddisfacimento di questa aspettativa possa porsi in contrasto 
con il diritto eurocomunitario. 

Nell�attesa della pronuncia della Plenaria, non pu� non rilevarsi ulteriormente 
come le questioni attinenti al giudicato siano lo specchio delle difficolt� 
di compenetrazione tra i due ordinamenti, che nell�esercizio del potere giudiziario 
si vivificano e trovano linfa continua. 

2.8. Limiti del risarcimento in forma specifica e responsabilit� civile dei magistrati: 
la chiusura del cerchio. 

La pronunce della Corte preservano, perlopi�, il principio di autonomia 
processuale degli Stati membri, con la macroscopica eccezione di Lucchini e 
le peculiarit� di K�hne & Heitz. 

Dall�anelito ad un risarcimento in forma specifica, attraverso l�eliminazione 
della decisione lesiva, si ritorna, dunque, al rimedio analizzato nella 
prima parte di questo lavoro: il risarcimento del danno a carico dello Stato per 
l�incorretto operato dei propri organi. 

Pertanto, pur essendo incontrovertibile l�accertamento contenuto in una 
decisione passata in giudicato (sempre tenendo nella dovuta considerazione 
la acuta distinzione operata dall�Avvocato L�ger nelle proprie conclusioni relative 
al caso K�bler tra autorit� di cosa giudicata, travolgibile, e cosa definitivamente 
giudicata, tendenzialmente inattaccabile), se questa � contraria al 
diritto dell�Unione, essa pu� esitare in una responsabilit� dello Stato, in particolare 
per l�operato dei propri giudici. 

Merita qui un accenno la recentissima normativa italiana in materia di responsabilit� 
civile dei magistrati, il cui rinnovamento � stato sollecitato anche 
dagli impulsi provenienti dall�ordinamento comunitario. 

La disciplina, contenuta nella c.d. Legge Vassalli (30), era stata pi� volte 
oggetto delle censure da parte della Corte di Giustizia (e della Commissione, 
che aveva avviato una procedura di infrazione nei confronti dell�Italia (31)), 
che la riteneva inidonea ad assicurare una tutela effettiva a chi avesse subito 

(30) L. 13 aprile 1988, n. 117, in GU n. 88 del 15 aprile 1988. 


un pregiudizio per il fatto del giudice, specie nel caso in cui l�illecito derivasse 
dall�inosservanza del diritto dell�Unione Europea (32). 

Pertanto, con L. n. 18 del 27 febbraio 2015 (33), � stata approvata la modifica 
della disciplina della responsabilit� civile dei magistrati, con il dichiarato obiettivo 
di adeguamento alle prescrizioni provenienti dall�ordinamento comunitario. 

La responsabilit� rimane indiretta (non si potr� convenire direttamente il 
magistrato, bens� lo Stato che, ove ne sussistano i presupposti, eserciter� la rivalsa) 
e sussister� anche per gli illeciti commessi nell�esercizio di attivit� di 
interpretazione di norme di diritto e di valutazione del fatto e delle prove, ove 
sussistano il dolo o la colpa grave (novellato articolo 2, comma 2, L. 117/88). 

Tra le ipotesi di colpa grave rientra la violazione manifesta della legge, 
nonch� del diritto dell�Unione europea, per dichiarare la sussistenza della 
quale sar� necessario tener conto del grado di chiarezza e precisione delle 
norme violate, nonch� dell�inescusabilit� e della gravit� dell�inosservanza 
(come gi� precisato dalla Corte di Giustizia in Brasserie du p�cheur). 

La novella legislativa indica, altres�, la necessit� di valutare, nell�esame 
della condotta del magistrato, la mancata osservanza dell�obbligo di rinvio 
pregiudiziale, ai sensi dell�articolo 267, terzo comma, TFUE, nonch� il contrasto 
dell�atto o del provvedimento del giudice con l�interpretazione espressa 
della Corte di Giustizia. 

In attesa della valutazione di conformit� della nuova disciplina da parte 
della Commissione, si deve rilevare nella novella la conferma della sensibilit� 
dello Stato sul tema delle violazioni del diritto comunitario, che fa da contraltare 
all�ossequio prestato dalla Corte di Giustizia ai temi classici della certezza 
del diritto e fa ben sperare sulla tenuta dell�ordinamento di integrazione. 

CONSIDERAZIONI FINALI 

Dalle linee maestre tracciate, sin qui, dalla giurisprudenza comunitaria in 
materia di acclarati contrasti fra un giudicato nazionale e il diritto dell�Unione 
europea, si evince come il principio di intangibilit� della res iudicata riesca 
ancora a reggere alle forze propulsive che, nel nome della anelata coerenza 
del sistema, vorrebbero travolgerlo. 

(31) Procedura d'infrazione n. 2009/2230 del 26 settembre 2013, ai sensi dell'articolo 258 del 
Trattato, per non conformit� al diritto dell'Unione europea della legge 13 aprile 1988, n. 117 relativa al 
risarcimento dei danni cagionati nell'esercizio delle funzioni giudiziarie e responsabilit� civile dei magistrati 
per l�inadempimento della sentenza della Corte nella causa Commissione contro Italia, C-379/10, 
in Raccolta 2011 I-00180. 
(32) Cfr. Corte di Giustizia, sentenza del 13 giugno 2006, Traghetti del Mediterraneo SpA contro 
Repubblica italiana, C-173/03, in Raccolta 2006 I-05177. 


(33) In GU Serie Generale n.52 del 4-3-2015. 


Non � stato necessario, pertanto, ricorrere ai controlimiti per bilanciare 
la portata delle pronunce della Corte di Giustizia in questo settore, le quali, 
pi� che aggiramenti del principio della certezza del diritto, sono risultate pietre 
miliari sul tema dell�effettivit� del diritto eurounitario (1). 

I giudici di Lussemburgo, agendo con estrema cautela, hanno dimostrato, 
a coloro i quali li additavano come dispotici sovvertitori di un principio, la 
saggezza e l�autorevolezza della corte di ultima istanza in un ordinamento para 
federale. 

Le difficolt� concettuali sottolineate nel corso della trattazione sono ascrivibili 
alla non semplice ricerca di coerenza in un panorama, sostanziale e processuale, 
diversificato, composito, ma estremamente ricco, fonte di continua 
ispirazione per gli interpreti. 

L�unica remora pu� insidiarsi nel paventato deficit di tutele nei confronti 
dei cittadini, i quali, nel gioco delle cortesi reciproche affermazioni di prevalenza 
tra gli Stati membri e la Corte, rischiano la confusa mortificazione delle 
proprie posizioni soggettive e delle legittime aspettative maturate in base a 
normative poi rivelatesi illegittime, trovando nel solo risarcimento del danno 
l�ultimo baluardo di certezza. 

Sar� compito oneroso di legislatori e giudici, nazionali ed eurocomunitari, 
quello di realizzare il delicato bilanciamento tra principi e valori promananti 
dalla molteplicit� degli ordini che compongono il sistema di tutela multilivello 
dei diritti. 

L�idea del giudicato � chiamata a misurarsi con i piani della normativit� internazionale 
e sovranazionale e la sfida pi� impegnativa � proprio quella della 
coerenza, del superamento della inettitudine degli ordinamenti giuridici nazionali 
a regolamentare in modo compiuto ed efficiente i rapporti transnazionali. 

Nessun abbattimento delle Colonne d�Ercole, dunque, bens�, piuttosto, il 
posizionamento delle stesse quali basi di una nuova realt� globale, della quale 
il giudicato � chiamato a fare parte, non indebolito n� eliso, ma, al massimo, 
riproporzionato. 

Bibliografia alfabetica 

ABOUDRAR-RAVANEL, S., Responsabilit� et Primaut�, ou la question de l�efficience de l�outil, 
in Revue du March� commun et de l�Union Europe�nne, n. 544/1999; 544-558; 

ADINOLFI, A., The �Procedural Autonomy� of Member States and the constraints stemming from 
the ECJ�s case law: is judicial activism still necessary?, in The European Court of Justice and 

(1) Per questa definizione cfr. RUGGERI A., Dimensione europea della tutela dei diritti fondamentali 
e tecniche interpretative, in www.federalismi.it. 


the Autonomy of the Member States, (2010), Cambridge, Antwerp, Portland, Intersentia, 28-303; 

ANAGNOSTARAS, G., Not as Unproblematic as You Might Think: the establishment of causation 
in governmental liability actions, in European Law Review, (2002), 663-676; 

ANDOLINA, I.A., La crisi del giudicato e nuovi strumenti alternativi di tutela giurisdizionale. 
La nuova tutela provvisoria di merito e le garanzie costituzionali del �giusto processo�, in 
Giusto proc. civ., (2007), 317 ss. 

ARNULL, A.M., Judicial Activism and the European Court of Justice: How Should AcademicsRrespond?, 
in Judicial Activism at the EU Court of Justice, (2013), 211-232; 

ATTARDI, C., Il ruolo della corte europea nel processo tributario, Milano, IPSOA, 2008, 98 ss.; 

B. LEE, I., In Search of a Teory of State Liability in the European Union, Harvard Jean Monnet 
Working Papers, (1999); 

BARCELLONA, M., La responsabilit� extracontrattuale, Torino, Utet, 2012; 

BETTETINI, A., Verit�, giustizia, certezza: sulla cosa giudicata nel diritto della Chiesa, Padova, 
Cedam, 2012; 

BIAVATI, P., Inadempimento degli Stati membri al diritto comunitario per fatto del giudice supremo: 
alla prova la nozione europea di giudicato, in Il diritto processuale civile internazionale, 
(2006), 1291-1301; 

BOBBIO, N., La filosofia del diritto di Julius Binder, Milano, Giuffr�, 1943; 

CANNIZZARO, E., Sui rapporti fra sistemi processuali nazionali e diritto dell�Unione europea, 
in Il Diritto dell�Unione Europea, 3/2008, 447-468; 

CAPELLI, F., L�obbligo degli Stati a risarcire i danni per violazione delle norme comunitarie, 
in Diritto Comunitario e degli Scambi Internazionali, (1997), 54 ss.; 

CAPOGRASSI, G., Prefazione a �La certezza del diritto� di F. Lopez de O�ate, in D�ADDIO, M. 

-VIDAL, E. (a cura di) Opere di Giuseppe Capograssi, vol. V, Milano, 1959; 

CAPONI, R., Corti europee e giudicati civili nazionali, in Il costituzionalismo multilivello Profili 
sostanziali e processuali, in Atti del XXVII Convegno nazionale dell�Associazione italiana 
fra gli studiosi del processo civile, Corti europee e giudici nazionali (Verona, 25-26 
Settembre 2009), Bologna, 2011, 203 ss.; 

CAPONI, R., Giudicati civili nazionali e sentenze delle corti europee tra esigenze di certezza 
del diritto e gerarchia delle fonti, sintesi aggiornata della relazione Corti europee e giudicati 
nazionali, presentata al XXVII Congresso nazionale dell�Associazione italiana fra gli studiosi 
del processo civile, Verona, 25-26 Settembre 2009, www.academia.edu; 

CASTRUCCI, E., Rileggendo Radbruch, in Quaderni fiorentini per la storia del pensiero giuridico 
moderno, Milano, Giuffr�, fasc. n. 17/1988; 

CERULLI IRELLI, V., Lineamenti del diritto amministrativo, III ed., Torino, Giappichelli, 2012; 

CHIOVENDA, G., Principi di diritto processuale civile, Napoli, Jovene, 1980; 

CHITI, M.P., La Consulta e il primo rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia, verso il con



certo costituzionale europeo, in Giornale di diritto Amministrativo, 2008; 

CONSOLO, C., Spiegazioni di diritto processuale civile, Volume I, Torino, Giappichelli, 2011; 

D�IGNAZIO, G. (a cura di), Multilevel constitutionalism tra integrazione europea e riforme 
degli ordinamenti decentrati, Milano, Giuffr�, 2011; 

DRAKE, S.: State Liability under Community Law for Judicial Error: A False Dawn for the 
Effective Protection of the Individual�s Community Rights, in Irish Journal of European Law, 
(2004), 24-51; 

FAZZALARI, E., Processo Civile, in Enc. Dir., vol. XXXVI, Milano, 1987; 

GAVA, A., Giudicato nazionale e diritto comunitario: (quale) nuova chiave di lettura del rapporto 
tra gli ordinamenti?, in Europa e Diritto Privato, 1/2010, 293-310; 

GATTINARA, G., L�autorit� de la chose jug�e apr�s l� arr�t Pizzarotti, in Revue des Effaires 
Europ�ennes, 3/2014, 623-632; 

GIRERD, P., Les principes dՎquivalence et d�effectivit�: encadrement ou desencadrement de 
l�autonomie proc�durale des Etats membres?, in Revue trimestrielle de droit europ�en, (2001); 

GIUBBONI, S., I diritti sociali fondamentali nell�ordinamento comunitario. Una rilettura alla 
luce della Carta di Nizza, in Diritto dell�Unione Europea, (2003); 

GRANGER, M.-P. F., National Applications of Francovich and the Construction of a European 
Administrative Jus Commune, in European Law Review, 32/2007; 

GROUSSOT, X., MINSSEN, T., Res judicata in the Court of Justice Case-Law: Balancing Legal 
Certainty with Legality?, in European Constitutional Law Reviev, 3/2007; 

GUELLA F., La collocazione della funzione giurisdizionale nazionale nel quadro istituzionale 
europeo. Il giudice tra autonomia procedurale degli Stati membri e regime del giudicato interno 
in contrasto con il diritto dell�Unione, in TONIATTI, R., MAGRASSI, M. (a cura di) Magistratura, 
Giurisdizione ed Equilibri Istituzionali, Dinamiche e Confronti Europei e Comparati, 
Padova, Cedam, 2011; 

HANS, J.H., State Liability and Infringements Attributable To National Courts: A Dutch Perspective 
On The K�bler Case in The European Union: An Ongoing Process - Liber Amicorum 
Alfred E. Kellermann, The Hague, (2004), 165-176; 

HARLOW, C., A Common European Law of Remedies?, The Future of Remedies in Europe, 
KILPATRICK C., NOVITZ T. E SKIDMORE P. (a cura di), Oxford, Hart Publishing, 2000; 

HEGEL, W.F., Lineamenti di filosofia del diritto, Bari, Laterza, 1965; 
HUGLO, J.-G.: La responsabilit� des �tats membres du fait des violations du droit communau


taire commises par les juridictions nationales: un autre regard, in Gazette du Palais, (2004) 
I Jur., 34-40; 
ITZCOVICH, G., Teorie e ideologie del diritto comunitario, Torino, Giappichelli, 2006; 
KANT, I., Critica della ragion pratica e altri scritti morali, Torino, Utet, 2006; 


KOM�REK J., Federal Elements in the Community Judicial System: Building Coherence in the 


Community Legal Order, in Common Market Law Review, n. 42/2005; 

LEONE, G., Il mito del giudicato, in Riv. it. dir. e proc. pen., (1956); 

LOPEZ DE O�ATE F., La certezza del diritto, Giuffr�, Milano, (1968); 

LUCIANI, M., Costituzionalismo irenico e costituzionalismo polemico, in 
www.associazionedeicostituzionalisti.it; 

MANGAS MART�N A. e LI��N NOGUERAS D.J., D.J., Instituciones y Derecho de la Uni�n Europea, 
Madrid, McGraw-Hill, 2004; 

MART�N RODR�GUEZ P., State Liability For Judicial Acts In European Community Law: TheConceptual Weaknesses Of The Functional Approach, in The Columbia Journal of European 
Law, vol. 11, n. 3/2005, 605-621; 

MARTINES, T., SILVESTRI, G. (a cura di), Diritto Costituzionale, XIII ed., Milano, Giuffr�, 2013; 

MICKLITZ, H.-W., DE, WITTE B. (a cura di), The European Court of Justice and the Autonomy 
of the Member States, Intersentia, Cambridge, Antwerp, Portland, 2012; 

PEERBUX-BEAUGENDRE, Z., Premi�re e scours on expresse du principe de la responsabilit� de 
l�Etat e sco pur les jurisprudences de e scours supr�mes dans le cadre de l�article 226 CE, 
Revue trimestrielle de droit europ�en, (2004); 

NUCERA, V., La tenuta del giudicato nazionale al banco di prova del contrasto con l�ordinamento 
comunitario, in Riv. Dir. Trib., IV/2008; 

NEGRELLI, A., Il primato del diritto comunitario e il giudicato nazionale: un confronto che si 
poteva evitare o risolvere altrimenti, in Riv. It. Dir. Pub. Com., 5/2008; 

PEKELIS, A., Il diritto come volont� costante, Padova, Cedam, 1930; 

P�REZ GONZ�LEZ, C., La responsabilidad del Estado por incumplimiento del Derecho comunitario, 
Madrid, Tirant Lo Blanch, 2001; 

PICARDI, N., Eventuali conflitti fra principio del giudicato e principio della superiorit� del 
diritto comunitario, in Giust. Civ., (2008), 559-561; 

PIZZORNI, M.G., Il principio del giudicato tra primato del diritto dell�Unione Europea e autonomia 
degli Stati membri in materia processuale, in Rivista di diritto internazionale privato 
e processuale, n. 4/2011, 1025-1040; 

PUGLIESE, G., Giudicato civile, in Enc. Dir., vol. XVIII, Milano, 1969; 

PUNZI, C., Il processo civile, Volume I, II ed., Torino, Giappichelli, 2010; 

RADBRUCH, G., Gesetzliches Unrecht und �bergesetzliches Recht, S�ddeutsche Juristenzeitung, 
1946; 

RADBRUCH, G., Rechtphilosophie, Stuttgart, Koehler, 1956; 

RAIMONDI, S., Atti nazionali inoppugnabili e diritto comunitario tra principio di effettivit� e 
competenze di attribuzione, in Il Diritto dell�Unione Europea, 4/2008, 773-823; 

RASMUSSEN, H., On law and policy in the European Court of Justice: a Comparative Study in 


Judicial Policymaking, Dordrecht, Martinus Nijhoff Publishers, 1986; 
RICCARDI, G. Giudicato penale e incostituzionalit� della pena, in penalecontemporaneo.it.; 
RUGGERI, A., Dimensione europea della tutela dei diritti fondamentali e tecniche interpreta


tive, in www.federalismi.it; 

RUSSO, T., Revisione europea di norme e giudicati interni, in Diritto comunitario e degli 
scambi internazionali, 2/2009, 263-294; 
SATTA, S., Diritto processuale civile, Padova, Cedam, 1950; 
SATTA, S., Commentario del codice di procedura civile, voll. I-II, Milano, 1959-1960; 
SCUDIERO, L., Comunit� europea e diritti fondamentali: un rapporto ancora da definire?, in 


Riv. dir. eur., (1996), 263 ss.; 

SPUNTARELLI, S., L�intangibilit� del giudicato come strumento per la tutela dei diritti, in Giurisprudenza 
italiana, febbraio 2008, 205-309; 
STEIN, E., Lawyers, Judges and the Making of a Transnational Constitution, American Journal 

of International Law, L. 1, 1981; 

STEINER, J., From Direct Effect to Francovich: Shifting Means of Enforcement of Community 
Law, in European Law Review, n. 48/1993; 
STILE, M.T., Il problema del giudicato di diritto interno in contrasto con l�ordinamento co


munitario o con la CEDU, in Diritto Comunitario e degli Scambi Internazionali, Fasc. 2/2007, 

237-266; 
TALLBERG, J., Supranational Influence in EU Enforcement: the Court of Justice and the Principle 
of State Liability, in Journal of European Public Policy, marzo 2000, 104-121; 


TESAURO, G., Responsabilit� des Etats Membres pour violation du droit communautaire, in 

Rev. March� commun et de l�Un. Eur., 3/1996, 12-34; 
TIZZANO, A., La tutela dei privati nei confronti degli Stati membri dell�Unione Europea, in 
Foro it., (1995), IV, 13 ss.; 


TONER, H., Thinking the Unthinkable? State Liability for Judicial Acts After Factortame, Year 

Book of European Law, n. 17/1997, 165-189; 
TRIDIMAS, T., State liability for Judicial Acts. Remedies unlimited, in European Legal Dynamics, 
Peter Lang, 2005, 147-159; 


VON SAVIGNY F.C., System des heutigen r�mischen Rechts (1840-1851); tr. it. (a cura di) SCIALOJA, 
V., Sistema del diritto romano attuale, vol. 1, Torino, ed. Unione Tipografico, 18861898; 


ZAGREBELSKI G., Il diritto mite, Torino, Einaudi, 1992. 


I rifugiati: non sarebbe il caso di ricordare la normativa? 

Glauco Nori* 

1.-L�immigrazione sta rendendo pi� evidenti, di quanto gi� non lo fossero, 
le debolezze dell�Unione Europea: ogni Paese membro cerca di reagire per 
proprio conto dando l�impressione di non avere colto la natura del fenomeno. 

� dall�Africa e dal Medio Oriente che sta arrivando la gran parte degli 
immigrati. I movimenti sono potuti arrivare alle dimensioni attuali per lo sviluppo 
dei mezzi di informazione, utilizzati anche per l�organizzazione dei trasporti. 
Venti anni fa, chi oggi si muove dall�Afghanistan o dal Mali, dell�Italia 
non solo non conosceva le condizioni di vita, ma probabilmente nemmeno 
dove si trovasse o addirittura l�esistenza. L�immigrazione potrebbe essere definita 
come globalizzazione sociale per l�incidenza che la c.d. globalizzazione 
ha avuto sulle sue dimensioni. Considerate le cause, non si pu� pensare di arginarla 
con i mezzi tradizionali. Il fenomeno, che talvolta � stato definito biblico, 
richiede nell�affrontarlo un�ampiezza di visione corrispondente. Per i 
Paesi che per i loro interessi contingenti tentano di fare da soli, il risultato pi� 
probabile sar� di aggravare le difficolt�. 

Immigrazioni per ragioni economiche o per la ricerca di asilo ci sono sempre 
state; la novit� sta solo nei numeri che richiedono mezzi di intervento alla 
cui predisposizione gli Stati non erano e non sono ancora preparati. La differenza 
tra le due categorie non sta solo nella diversit� dei motivi, ma anche nel 
fatto che per i rifugiati da tempo ci sono normative internazionali di tutela. 

2.-Verso i rifugiati, in particolare, si scontrano le ragioni della sicurezza 
con quelle umanitarie. Prima di far valere le ragioni umanitarie si dovrebbe 
verificare se certi comportamenti non siano gi� disciplinati dalle norme. La 
rete etica, a maglie pi� strette di quella del diritto, pu� vietare comportamenti 
consentiti dalle norme giuridiche; per quello che � gi� imposto o vietato dal 
diritto il ricorso alle ragioni umanitarie � fuori luogo. 

Per prevenire le immigrazioni si � proposto da pi� parti di intervenire 
nei luoghi di provenienza in modo da eliminare le condizioni locali che le 
provocano. Il rimedio non potrebbe operare a breve: in ogni caso sar� necessario 
il tempo perch� le nuove condizioni maturino. Diventa ancora pi� 
improbabile per i rifugiati che fuggono per i pericoli provocati dalle condizioni 
politiche locali. 

Alcuni dei Paesi di provenienza degli immigrati non chiedono aiuti, i cui 
effetti sono temporanei, ma investimenti che creino occasioni di lavoro che 
potrebbero incidere anche sulle condizioni politiche. Il consenso, che in linea 

(*) Professore, Avv. dello Stato, Presidente emerito del Comitato scientifico di questa Rassegna. 


di principio � intervenuto da pi� parti, non deve fare trascurare che interventi 
economici dall�esterno non � detto che portino ai risultati voluti. Dove sono 
in corso guerre civili non si saprebbe a chi rivolgersi mentre il potere centrale 
efficiente, dove cՏ, � spesso dittatoriale, non sempre affidabile per l�attuazione 
dei programmi. 

Che gli arrivi dei rifugiati possano ridursi in tempo ragionevole �, dunque, 
da escludere. CՏ da prevedere, invece, che aumentino mano a mano che, chi 
non si � ancora mosso, vede che nei Paesi di arrivo sono possibili sistemazioni, 
anche se precarie, in ogni caso migliori e pi� sicure di quelle in patria. 

3.-Sulla nozione di immigrato, almeno nei suoi caratteri essenziali, non 
sembra che ci siano contrasti: � chi si trasferisce in uno Stato diverso da quello 
di residenza che pu� essere a sua volta diverso da quello di cittadinanza. L�immigrazione 
�, dunque, una vicenda a base territoriale che mette in relazione 
almeno due Stati ognuno dei quali regola i rapporti che si svolgono sul suo 
territorio e per questo fissa anche le condizioni di accesso: chi vuole entrare 
vi si deve attenere. 

Anche se scontate, sono premesse da farsi per evitare che, proprio perch� 
scontate, finiscano con l�essere dimenticate. 

L�immigrazione ha come carattere una sua stabilit�: non pu� essere considerato 
immigrato il turista che si trattiene per un tempo limitato per poi tornare 
in dietro. Per le sue peculiarit� quella che oggi richiama la maggiore 
attenzione � l�immigrazione di chi richiede asilo per i pericoli che corre in patria. 
Pi� correttamente, si dovrebbe parlare di trasmigrazione con la quale � 
stata tradizionalmente distinta l�immigrazione di massa. A muoversi sono tante 
persone contemporaneamente perch� tutte fuggono da una situazione comune. 
In molti possono muoversi anche per cercare lavoro, ma ciascuno per ragioni 
personali; in ogni caso mai tanto numerosi come chi deve scappare dal suo 
Paese per i pericoli provocati da scontri militari diffusi. 

Quella dei rifugiati � una trasmigrazione che preoccupa l�opinione pubblica 
sia per il numero sia perch� la normativa che la regola � considerata insufficiente. 


4.-La Convenzione di Ginevra del 28 luglio 1951 nell�art. 1, attraverso 
il richiamo di norme precedenti, ha riconosciuto come rifugiato chi lo era �per 
causa di avvenimenti anteriori al 1� gennaio 1951�. Il limite temporale � stato 
poi abolito con il Protocollo di New York del 1967, ma la norma per il resto � 
rimasta la stessa. � il momento di soffermarsi sugli effetti giuridici di questa 
Convenzione sui quali non sembra si sia fatta la giusta attenzione fino a quando 
i numeri non hanno creato allarme. 

Dalla Convenzione nascono diritti e doveri? Se s�, solo tra gli Stati che 
l�hanno sottoscritta o anche tra gli Stati e i rifugiati? Le domande, come si 
vedr�, non hanno un valore solo teorico; le risposte possibili fanno cambiare, 
e non di poco, i termini delle questioni. 


Che una trattato internazionale non produca diritti e doveri per nessuno 
� da escludersi; in mancanza di effetti giuridici non ci sarebbe motivo di concluderlo: 
si risparmierebbe l�attivit� preparatoria. Anche la Convenzione di 
Ginevra ha prodotto effetti: cՏ da verificare quali e nei confronti di chi. 

Gli internazionalisti da tempo si sono domandati se i trattati possano 
creare posizioni giuridiche soggettive solo per i contraenti o anche per soggetti 
diversi nell�interesse dei quali sono conclusi. Questa seconda possibilit� oggi 
non sembra pi� messa in discussione: il trattato pu� essere a favore di terzi. 

Lo � anche la Convenzione di Ginevra? Per escluderlo dovrebbe avere 
prodotto effetti solo tra gli Stati contraenti, disciplinando i rapporti reciproci. 

Dopo il Capo I, che d� la definizione di rifugiato, il Capo II ne definisce 
la condizione giuridica, precisata ulteriormente nei Capi successivi (attivit� 
lucrativa, benessere sociale, assistenza amministrativa). 

�Ciascuno Stato Contraente, all�atto della firma, della ratificazione o 
dell�accessione, far� una dichiarazione circa l�estensione che esso intende attribuire 
a tale espressione per quanto riguarda gli obblighi da esso assunti in 
virt� della presente Convenzione� (art. 1). Gli Stati, dunque, hanno assunto 
degli obblighi e li hanno assunti verso i rifugiati dal momento che non ce ne 
sono tra di loro, salvo qualcuno solo strumentale. 

In corrispondenza, secondo l�art. 2, �ogni rifugiato ha, verso il paese in 
cui risiede, doveri che includono separatamente l�obbligo di conformarsi alle 
leggi e ai regolamenti, come pure alle misure prese per il mantenimento del-
l�ordine pubblico�. I rifugiati, dunque, hanno doveri in corrispondenza dei 
loro diritti: sono i �terzi� in favore dei quali la Convenzione � stata conclusa. 

Il trattato � multilaterale: il rifugiato ha, pertanto, gli stessi diritti nei confronti 
di ciascuno Stato aderente, fondamentale quello di �asilo�, il diritto di 
essere accolto (v. art. 10 Cost.). 

Poich� non � previsto che siano gli Stati a stabilire quale tra di loro sia 
tenuto all�accoglienza, la scelta non pu� essere che del rifugiato. Sembra questa 
la sola interpretazione ragionevole. Se il rifugiato ha un diritto nei confronti 
di ciascuno degli Stati sottoscrittori e l�individuazione dello Stato obbligato 
non pu� essere degli Stati stessi per la mancanza nella Convenzione della fissazione 
dei criteri e del procedimento, la scelta non pu� essere che dell�altra 
parte del rapporto. Con il diritto di scelta lasciato al singolo si spiega perch� 
quei criteri non siano fissati e perch� ai rifugiati siano attribuiti anche diritti 
strumentali, come quello di attraversare i territori degli Stati intermedi. 

Per l�atmosfera internazionale del 1951 con la Convenzione ci si � preoccupati 
di tutelare chi si trovava in pericolo; le dimensioni dei movimenti del 
tempo non hanno fatto sentire la necessit� di porre dei limiti al dovere di accoglienza 
da parte dei singoli Stati. 

5.-Secondo l�art. 31.1 della Convenzione �Gli Stati Contraenti non prenderanno 
sanzioni penali, a motivo della loro entrata o del loro soggiorno il



legali, contro i rifugiati che giungono direttamente da un territorio in cui la 
loro vita o la loro libert� erano minacciate nel senso dell'articolo 1, per quanti 
si presentino senza indugio alle autorit� e giustifichino con motivi validi la 
loro entrata o il loro soggiorno irregolari�. 

�Direttamente�, secondo un�opinione che si � andata rafforzando mano a 
mano che i numeri sono aumentati, significherebbe che il vincolo si crea con 
il primo Stato con il quale il rifugiato si imbatte. 

Tempo a dietro, quando i rifugiati erano pochi, la questione non ha richiamato 
l�attenzione perch� lasciare la scelta dello Stato di destinazione ai diretti 
interessati non creava allarme. Oggi la questione � diventata rilevante e richiede 
di verificare se �direttamente� non possa anche significare che sia lo Stato che 
il rifugiato ha scelto, dove arriva dopo essere passato attraverso Stati diversi 
nei quali non intende fermarsi. Sarebbe, pertanto, compito di quello Stato provvedere 
senza poter prendere provvedimenti per la illegalit� dell�ingresso e senza 
possibilit� di respingerlo se si sottopone al controllo (art. 33). 

Sono evidenti gli interessi che ispirano le due interpretazioni. �Direttamente� 
in effetti pu� avere due significati: pu� riferirsi alla contiguit� territoriale 
e indicare il primo Stato nel quale non si corre pi� pericolo, ma pu� 
indicare anche lo Stato in cui si arriva, per scelta, alla fine dell�intero trasferimento. 
Vale la pena di ripeterlo: nella interpretazione si dovrebbe tenere 
conto della situazione del 1951 quando le possibilit� di movimento erano diverse 
e quando le emigrazioni non erano prevedibili con le dimensioni attuali. 
Non � senza significato che la Convenzione non preveda nemmeno una domanda 
formale n� i requisiti che dovrebbe avere, ma sia stata considerata sufficiente 
la presenza fisica e la prova, nemmeno rigorosa, di trovarsi nelle 
condizioni previste. 

Se si parte dalla premessa che il rifugiato ha il diritto di scelta dello Stato 
da cui essere accolto, diventa quasi obbligata la seconda interpretazione, lasciando 
gli accertamenti allo Stato di destinazione. Per questo gli Stati di solo 
transito non possono ostacolarlo. �Gli Stati Contraenti limitano gli spostamenti 
di tali rifugiati soltanto nella misura necessaria. Tali limitazioni devono essere 
mantenute solo fintanto che lo statuto di questi rifugiati nel paese che li ospita 
sia stato regolato o essi siano riusciti a farsi ammettere in un altro paese. Gli 
Stati Contraenti concedono a tali rifugiati un termine adeguato e tutte le facilitazioni 
necessarie affinch� possano ottenere il permesso d�entrata in un altro 
paese� (art. 31, secondo comma). Per consentire di arrivare al Paese, che ha 
scelto, dovrebbero, dunque essere concesse �tutte le facilitazioni necessarie�. 

Se si fosse inteso come vincolato lo Stato di primo ingresso, si sarebbe 
detto che il diritto del rifugiato era nei confronti dello Stato confinante con 
quello dove era sorto il pericolo. Per arrivare a questa conclusione non sembra 
che l�espressione �direttamente�, da sola, sia sufficiente. 

6.-Nel 1990 dodici Stati membri hanno stipulato la Convenzione di Du



blino �sulla determinazione dello stato competente per l�esame della domanda 
di asilo presentata in uno degli stati membri delle Comunit� Europee�. Si � 
dato, pertanto, per presupposto che dalla Convenzione di Ginevra quei criteri 
non fossero desumibili e quindi anche che la competenza non fosse del primo 
Stato di ingresso. Se poi i criteri fossero comunque desumibili, gli Stati membri, 
che hanno stipulato la nuova Convenzione, hanno ritenuto di avere il potere 
di cambiarli. 

Con la Convenzione di Dublino si � inteso garantire ai rifugiati �un�adeguata 
protezione come previsto dalla Convenzione di Ginevra del 28 luglio 
1951 e del protocollo del New York del 31 gennaio 1967� ed � stato confermato 
�l�obiettivo comune di uno spazio senza frontiere interne nel cui ambito, 
in particolare, sar� garantita la libera circolazione delle persone conformemente 
alle disposizioni del trattato che istituisce la Comunit� economica europea, 
modificato dall�atto unico�. Ai rifugiati, dunque, si garantiva la libera 
circolazione nel territorio comunitario, naturalmente quello dell�epoca. 

Nell�art. 1.1.b la domanda di asilo era definita come �domanda con cui 
uno straniero chiede ad uno Stato membro la protezione della convenzione di 
Ginevra�: �ad uno Stato membro,� senza indicare i criteri per individuarlo. 

Nell�art. 3.1 gli Stati �si impegnano� perch� sia esaminata la domanda di 
asilo �presentata alla frontiera o nel rispettivo territorio�. Avere ricevuto la 
domanda non comportava automaticamente il dovere di esaminarla se lo Stato 
va individuato �secondo i criteri previsti dalla presente convenzione�, vale a 
dire i criteri di cui agli articoli da 4 a 8 da applicarsi secondo l�ordine in cui 
sono presentati. Anche per l�art. 3.7 lo Stato che riceve la domanda non � tenuto 
all�esame se � prevista una disciplina apposita �al fine di concludere il 
procedimento di determinazione dello Stato competente�. 

Possono essere lasciati da parte gli artt. 4 e 5 per la specialit� dei casi regolati 
(richiedente asilo un cui familiari � gi� stato riconosciuto come rifugiato; 
richiedente che ha un valido titolo di soggiorno). Nel caso dell�art. 7.1 la domanda 
di asilo dello �straniero� � indirizzata ad uno Stato. Anche se il caso � 
particolare, quello che interessa in termini generali � che la domanda di asilo 
porta l�indicazione dello Stato al quale � rivolta; non �, quindi, una domanda 
generica. Il caso � del richiedente che ha varcato irregolarmente la frontiera 
di uno Stato membro, provenendo da uno Stato non membro, caso per il quale 
� prevista la competenza dello Stato membro di arrivo. Nelle condizioni attuali 
ci si dovrebbe domandare se la frontiera sia varcata irregolarmente quando 
l�ingresso nelle acque territoriali avviene su navi nazionali che hanno prestato 
assistenza in acque internazionali. 

Pu� essere lasciata da parte l�altra disposizione dell�art. 7 che riguarda 
chi � dispensato dal visto. 

La disciplina generale � quella dell�art. 8: quando lo Stato competente 
non pu� essere designato secondo gli altri criteri previsti nella convenzione, 


l�esame della domanda di asilo � di competenza del primo Stato membro al 
quale � stata presentata. 

Nella applicazione di questa norma si � dato per scontato quello che forse 
avrebbe richiesto qualche verifica. 

La domanda di asilo, come si � visto, secondo l�art. 1.1.b � rivolta allo 
Stato di cui si chiede la protezione. Se si concorda sul diritto di scelta da parte 
dell�interessato, la domanda dovrebbe essere rivolta a questo Stato e non a 
quello nel quale si arriva. Gli arrivi in Italia sono sempre avventurosi, non per 
scelta, ma per la geografia. Un arrivo del genere pu� essere considerato equivalente 
alla presentazione della domanda? Se con la domanda si chiede l�asilo 
ad uno Stato e se l�interessato ha diritto di scelta, la richiesta dovrebbe essere 
espressa, rivolta allo Stato scelto. Il semplice arrivo, senza nemmeno una generica 
richiesta verbale, non dovrebbe essere inteso come domanda di asilo. 

Interpretando l�art. 8 nel senso che � allo Stato prescelto che la domanda 
va considerata proposta, per la Convenzione di Dublino sarebbero eliminati i 
dubbi di contrasto con quella di Ginevra. L�interpretazione si coordinerebbe 
anche con l�art. 3.4 per il quale alla presentazione materiale della domanda 
non si accompagna necessariamente la competenza ad esaminarla. Che questa 
ipotesi non sia stata presa in considerazione � dovuto probabilmente al fatto 
che non ci si � mai domandato se l�interessato abbia il diritto di scegliere lo 
Stato di asilo. 

7.-Si sarebbe dovuto affrontare anche un�altra questione. 

Alla Convenzione di Ginevra hanno aderito, insieme a tutti gli Stati membri 
dell�Unione, molti altri Stati e ogni Stato membro ha aderito in autonomia 
perch� all�epoca non era stata costituita nemmeno la CECA. 

La Convenzione di Dublino � stata conclusa solo da Stati membri del-
l�Unione. C�era da domandarsi se la Convenzione di Vienna del 1969, sul diritto 
dei trattati, consentisse che una normativa internazionale, che vincolava 
anche molti altri Stati, potesse essere modificata solo da alcuni di essi. 

Sulla applicabilit� della Convenzione di Vienna non possono esserci dubbi 
dal momento che entrambe le Convenzioni sono tra Stati (art. 1 della Convenzione). 
Secondo l�art. 30.4, quando le parti di un trattato anteriore non sono 
tutte parti di quello posteriore, secondo la lett. b) si applica il trattato di cui entrambe 
sono parti, vale a dire il trattato anteriore. Nel caso che si sta esaminando 
la Convenzione di Dublino sarebbe applicabile solo nei rapporti tra gli Stati 
membri dell�Unione, mentre nei rapporti tra ciascuno Stato membro e gli altri 
Stati (non membri) continua ad essere applicata la Convenzione di Ginevra 
senza modifiche. La situazione normativa viene a risultare quanto meno strana. 
Ai rifugiati, che provengono da Stati non membri, che hanno sottoscritto la 
Convenzione di Ginevra, la Convenzione di Dublino sarebbe inapplicabile. 

La Convenzione di Vienna a proposito dei trattati in favore di Stati terzi 
impedisce che il diritto creato in loro favore possa essere modificato o revocato 


dalle parti se risulta che era destinato a non essere revocabile o modificabile 
senza il consenso dello Stato terzo (art. 37.2). I terzi, favoriti dalla Convenzione 
di Ginevra, sono persone fisiche; si sarebbe dovuto verificare se dalle 
norme richiamate potesse essere desunto che lo stesso principio fosse applicabile 
anche ad esse. 

8.-Il diritto non �, naturalmente, senza limiti. Chi rivendica un beneficio, 
secondo un principio di ragione prima che giuridico, deve dare la prova di trovarsi 
nelle condizioni richieste. 

Per le emergenze, nelle quali si � trovato, spesso chi arriva non ha documenti 
di identit�, mancanza che pu� riuscire utile anche a chi non si trova nella 
condizioni di rifugiato, approfittando cos� della impossibilit� di subire provvedimenti 
repressivi anche se l�entrata nel territorio statale fosse illegale. Che 
�giustifichino con motivi validi la loro entrata� non pu� significare che bastino 
le dichiarazioni degli interessati perch� le tutele siano dovute. La formula, per 
quanto elastica, non pu� consentire di accettare passivamente quello che dichiara 
l�interessato. � accertato che cՏ anche chi arriva con documenti falsi dei 
quali si � creato un mercato. Tutti questi fattori rendono difficili gli accertamenti 
e, in ogni caso, li ritardano. Nel valutare i ritardi non si dovrebbe trascurare che 
sono provocati, anche se incolpevolmente, dagli stessi interessati, che talvolta 
li contestano, arrivando in numeri non prevedibili e in aumento costante. Per 
essere tempestivi, come si pretende, dovrebbe essere sempre pronta una organizzazione 
adeguata anche in periodi senza arrivi. Alcuni Paesi dell�Unione, 
che lo avevano contestato all�Italia, hanno preso provvedimenti di legittimit� 
comunitaria molto dubbia quando, rimasti coinvolti direttamente, hanno verificato 
che nelle condizioni attuali i ritardi non sono, in fondo, il guaio maggiore. 

9.-Anche se la fuga dai Paesi di origine � provocata da cause ambientali 
che non possono che essere subite, va tenuto presente che quando e dove dirigersi 
� una scelta degli interessati e che il Paese di destinazione si trova caricato 
di obblighi il cui peso pu� essere definito solo a consuntivo. 

Il diritto comunitario non ne ha tenuto conto. Oltre alla necessit� di principio 
dell�accordo di ventotto Stati, il ritardo con il quale si � cominciato a 
prendere sul serio il fenomeno � dipeso anche dal fatto che le difficolt� iniziali 
sono state soprattutto dell�Italia dalle quali gli altri Paesi si sono dichiarati 
fuori. All�Italia, in pratica, � stata attribuita una responsabilit� a base geografica, 
fondata sul fatto di essere la pi� vicina ai punti di partenza di chi cerca 
rifugio, segno della mancanza non solo di spirito comunitario ma, prima ancora, 
di ragionevolezza. Qualunque fosse il Paese dove si volesse andare, sempre 
dall�Italia si � entrati in quanto confine europeo pi� vicino. 

Interessati a guardare solo ai propri interessi del momento, ci si � adattati 
ad una vista corta. 

Per quanto caricata, ogni imbarcazione in partenza dalla Libia o dalla Tunisia 
non pu� portare che poche centinaia di persone e con un certo scaglio



namento temporale. Per chi avesse voluto guardare alla situazione con lungimiranza, 
non sarebbe stato difficile prevedere che, quando si fossero mosse 
contemporaneamente molte migliaia di persone, la via poteva diventare quella 
orientale che, tra l�altro, passa per Paesi con difficolt� di controllo dei propri 
confini: la carta geografica sarebbe stata sufficiente. 

10.-Non inquadrandolo nelle dimensioni reali, come trasmigrazione, si 
� creato un ostacolo ulteriore al controllo del fenomeno. Non � stato nemmeno 
considerato utile distinguere i flussi. Quelli orientali trovano verso la Grecia 
la via pi� praticabile; gli africani si dirigono prevalentemente verso il Mediterraneo. 
Per alcuni, quelli dai Paesi dove il pericolo dipende da scontri armati, 
possono essere previsti ritorni, anche se a scadenze incerte; i ritorni vanno 
esclusi, o comunque vanno messi in forte dubbio, verso quei Paesi dove sono 
le strutture politiche a provocare il pericolo. 

Dal modo in cui viene affrontato si desume che il fenomeno ha in gran 
parte carattere strutturale, nel senso che non � destinato a risolversi in tempi 
prevedibili. 

Per questo si ritiene che alcuni dei flussi siano destinati non solo a durare, 
ma anche ad aggravarsi. � stata prospettata l�eventualit� che dall�Africa si 
possano muovere, e non a scaglioni, milioni di persone. Di fronte a questa 
prospettiva non � stata ritenuta necessaria una programmazione di portata corrispondente. 


Alcuni interventi comunitari sono orientati in senso opposto e talvolta 
l�incongruit� sembra dovuta non ad un difetto di analisi ma agli interessi del 
momento, anche a costo di trovarsi poi in difficolt� maggiori. 

La Direttiva 2001/55/CE ha previsto �protezione temporanea in caso di 
afflusso massiccio di sfollati provenienti da Paesi non appartenenti all�Unione 
Europea�. 

Avere qualificato la protezione come temporanea sta ad indicare che si � 
trascurata la durata delle esigenze alle quali si stava provvedendo. Le misure 
gi� in partenza non potevano essere che insufficienti. Con la durata di un anno, 
prorogabile a due, secondo l�art. 24 �le misure previste dalla presente direttiva 
beneficiano del Fondo europeo per i rifugiati istituiti con decisione 
2000/296/CE, nei termini determinati da quest�ultima�. 

Il Fondo �sostiene� le azioni degli Stati e �pu� finanziare� misure urgenti 
�in caso di afflusso improvviso e massiccio di rifugiati o sfollati� (art. 4). �Gli 
stanziamenti annuali sono autorizzati nei limiti delle prospettive finanziarie 
dell�autorit� di bilancio, che assegna gli stanziamenti annuali� (art. 2). 

Per gli Stati non cՏ, pertanto, nessuna garanzia n� del finanziamento (il 
Fondo pu� finanziare; quindi non � tenuto) n� della sua misura minima, ad 
esempio, in percentuale sulle spese sostenute. Non � previsto l�intervento diretto 
dell�Unione che, quando ha disposto un finanziamento apposito, lo ha 
fatto in via straordinaria e non perch� obbligata. 


Una volta approvato, lo stanziamento � destinato a rimanere fisso anche 
se l�afflusso � fuori del normale e continuo. Per fare fronte ad esigenze di 
entit� imprevedibile sono state, dunque, destinate risorse determinate preventivamente 
e con criteri astratti, non secondo le necessit� effettive. 

Che si debba provvedere con decisione del Consiglio, su proposta della 
Commissione (art. 5), sta ad indicare che la sua consistenza � stata considerata 
prevedibile, diversa dalla trasmigrazione. 

�[G]li Stati membri accolgono con spirito di solidariet� comunitaria le 
persone ammissibili alla protezione temporanea� (art. 25) e, �finch� dura la 
protezione temporanea, gli Stati membri cooperano tra loro per il trasferimento 
della residenza delle persone che godono della protezione temporanea da uno 
Stato membro all�altro� (art. 26), nei limiti della loro �capacit� di accoglienza 
in termini numerici e generali� che dovrebbero avere gi� indicato (art. 25). 

In caso di arrivo di diverse migliaia di persone in pochi giorni, per sapere 
se l�afflusso pu� essere considerato massiccio, quindi ricadente nella Direttiva, 
si deve aspettare che la Commissione faccia la proposta e che il Consiglio decida. 
Per trasferire quelli che hanno diritto alla protezione temporanea, si deve poi 
fare affidamento sullo �spirito di solidariet� comunitaria�. Nel frattempo ai sopravvissuti 
vanno assicurati: un alloggio adeguato e, se necessario, anche i mezzi 
per ottenere un�abitazione; per chi non dispone di risorse sufficienti (in pratica 
tutti) i contributi di sostentamento e le cure mediche �in termini di assistenza 
sociale�; una assistenza medica appropriata per chi, come i minori non accompagnati, 
presentino esigenze particolari (art. 13); per chi non ha 18 anni l�accesso 
al sistema educativo alla pari dei cittadini dello Stato membro (art. 14). 

Non si pu� dire che sia un esempio di coerenza. 

Per fare fronte ad un fenomeno spontaneo, che comporta impegni di entit� 
non prevedibile e da assolvere subito, sono stati predisposti procedimenti formalizzati 
che richiedono tempo. Dopo aver premesso che la decisione del Consiglio 
�determina � l�applicazione in tutti gli Stati membri della protezione 
temporanea� (art. 5.3), per la distribuzione degli assistiti � stata richiesta la 
cooperazione tra Stati, dunque il loro consenso, senza creare obblighi. Se l�afflusso, 
oltre che massiccio, � improvviso e supera la capacit� di accoglienza 
che gli Stati debbono comunicare (naturalmente dopo che la Direttiva � diventata 
applicabile a seguito della decisione del Consiglio) il Consiglio �esamina 
d�urgenza la situazione e prende i provvedimenti appropriati, compresa 
la raccomandazione di un ulteriore sostegno allo Stato membro interessato� 
(art. 25): solo, dunque, una raccomandazione e, per provvedere ai rifugiati rimasti 
in carico, un sostegno finanziario, fissato con criteri che non tengono 
conto delle esigenze effettive. 

Non ci si dovrebbe meravigliare per quello che sta succedendo. Se per 
trasferire una parte delle persone arrivate ci vuole il consenso degli altri Paesi, 
quelli che non sono d�accordo si sentono autorizzati a bloccare i confini. 


11.-Se, per fare fronte al fenomeno diventato �massiccio�, si � ritenuta 
necessaria nel 2001 una Direttiva apposita, si � dato per presupposto che, in 
quelle dimensioni, in quelle dimensioni fino ad allora non era stato regolato. 
Con le norme comunitarie la Convenzione di Ginevra sarebbe stata interpretata 
nel senso che avrebbe disciplinato solo le immigrazioni nelle loro dimensioni 
normali. Ancora una volta non si � verificato se con un atto comunitario fosse 
possibile interpretare in forma vincolante un trattato internazionale sottoscritto 
anche da Stati estranei all�Unione Europea. 

Le norme sono state poi aggiornate col Regolamento 343/2003/CE e col 
Regolamento n. 604/2013, con effetti dal gennaio 2014. Per la individuazione 
dello Stato competente all�esame della domanda di protezione internazionale 
� stata introdotta una disciplina piuttosto complessa che certamente non render� 
la materia meno conflittuale. 

Come � stato gi� accennato, non ci si � domandato se i diritti, attribuiti 
dalla Convenzione di Ginevra ai rifugiati nei confronti dei singoli Stati contraenti 
(sempre che questa sia l�interpretazione corretta), potessero essere ridotti 
o, comunque, strutturati diversamente da una norma comunitaria. 

Detto diversamente: un atto, fondato sul diritto dell�Unione, pu� modificare 
gli obblighi assunti con la Convenzione di Ginevra dagli Stati membri 
singolarmente, quando non era ancora sorta la Comunit� Europea? 

Stando ai principi, � da dimostrare che un Regolamento comunitario possa 
incidere su rapporti disciplinati da un Trattato che fa sorgere diritti per non 
cittadini dell�Unione in favore dei quali � stato concluso. Questi potrebbero 
disconoscerne l�efficacia nei loro confronti. Che poi siano in condizioni di 
farlo, e in quale sede, � un�altra questione. 

La posizione sarebbe coerente se nella Convenzione di Ginevra si dovesse 
vedere solo la disciplina dell�immigrazione come vicenda individuale, anche 
se plurima, ma non della trasmigrazione, a quel tempo nemmeno prevedibile. 
La mancanza di tutela, di chi oggi si trova nella condizione di rifugiato, dipenderebbe 
dal fatto che, muovendosi in tanti tutti insieme, hanno provocato 
una trasformazione del fenomeno che l�ha portato al di fuori dalla sfera normativa 
della Convezione di Ginevra e della Convenzione di Dublino che l�ha 
integrata. Su questa interpretazione sarebbe necessario l�accordo di tutti gli 
Stati sottoscrittori ed eventualmente la conferma da parte di una giurisdizione 
internazionale, condizioni per il momento non verificate. Con le loro prese di 
posizione l�Unione e i singoli Stati membri dimostrano di non avere dubbi che 
gli obblighi, assunti verso i rifugiati, possano essere ridimensionati dalla normativa 
comunitaria. In pratica l�asilo non sarebbe un loro obbligo, ma una 
concessione ai rifugiati, quindi assoggettabile alla normativa comunitaria alla 
quale gli interessati si dovrebbero attenere. 

La questione non si proporrebbe anche se la Convenzione di Ginevra non 
fosse considerata in favore di terzi. La sua efficacia verrebbe tanto ridotta da 


metterne in dubbio l�utilit� dal momento che, in mancanza di rapporti rilevanti 
tra i singoli Stati sottoscrittori, disciplinerebbe in pratica soltanto i procedimenti 
di riconoscimento dello stato di rifugiati per i quali nascerebbero non 
diritti, ma solo doveri, previsti espressamente. 

12.-Tra le norme pattizie, stipulate nei primi anni �50, quando le immigrazione, 
anche per i mezzi a disposizione, potevano essere solo lente e non 
massicce, e le norme intervenute a distanza di oltre cinquanta anni andrebbe 
ricercato un coordinamento ragionevole senza dare niente per scontato. 

Per i Paesi membri sembra che non ci sia niente da coordinare una volta 
che si attengono alle norme comunitarie, superando i vincoli internazionali 
precedenti. Su questa interpretazione, come si � rilevato, dovrebbero concordare 
anche gli Stati che non fanno parte dell�Unione Europea. Prima di allora 
andrebbero evitate iniziative autonome, in parte incompatibili, che stanno aggravando 
le difficolt�. 

Dati i pericoli che costringono a scappare dai propri Paesi di appartenenza, 
almeno a breve non sono prevedibili soluzioni. Anche tenendo conto 
del solo tempo di durata del viaggio per diversi anni la situazione non si alleggerir�. 


I contrasti in corso, gli oneri ai quali alcuni Stati vanno incontro solo per 
la loro posizione geografica, la previsione che il fenomeno durer� nel tempo, 
probabilmente aggravandosi, dovrebbe richiedere un chiarimento della situazione 
complessiva, almeno dal punto di vista normativo. Si � adoperato il condizionale 
perch� non ci sono elementi che possano farlo prevedere. Solo dopo 
avere verificato se i rifugiati abbiano qualche diritto in base alla Convenzione 
di Ginevra, quale ne sia la portata, come sulla disciplina internazionale possa 
incidere la normativa comunitaria, potranno essere prese in considerazione le 
ragioni umanitarie. Invertendo i tempi si va incontro al rischio che le ragioni 
umanitarie, di per s� piuttosto elastiche, possano servire a schermare doveri 
che gi� derivano da vincoli internazionali assunti insieme a molti Stati che 
non fanno parte dell�Unione Europea. 

Ogni Stato membro si sta dimostrando interessato solo ad evitare oneri, 
speculando sulla posizione geografica sfavorevole della Grecia e dell�Italia. 
Per avere un minimo di coerenza, dovrebbero almeno proporre iniziative rivolte 
a far venire meno l�interesse a trasmigrare, iniziative che, anche quando 
sono proposte, lo sono solo a parole. Pi� che a cercare di risolvere il problema, 
la maggiore parte degli Stati membri si dimostra interessata a lasciarlo a carico 
di altri. 


L�atto amministrativo contrario al diritto dell�Unione 
europea nell�alto mare aperto: un intervento legislativo 
per conciliare supremazia del diritto europeo 
e i principi di certezza e affidamento 


Luca Dell�Osta* 

SOMMARIO: 1. Introduzione - 2. La tesi della disapplicazione - 3. La tesi dell�interpretazione 
conforme - 4. La tesi dell�autotutela (doverosa) - 5. La tesi della nullit� - 6. Conclusioni: 
il necessario intervento del legislatore. 

1. Introduzione. 

La posizione della giurisprudenza italiana in tema di atti amministrativi 
adottati in violazione del diritto comunitario � ormai pacificamente orientata 
nel senso di inquadrare tale vizio nell�ambito dell�art. 21-octies della l. 
241/1990 e facendo evidentemente riferimento, in relazione a quest�ultimo, 
alla violazione di legge (1). 

Il ragionamento del giudice amministrativo � lineare e rigoroso: le ipotesi 
di nullit� sono tassativamente previste dall�art. 21-septies della l. 241/1990 
(2); tale disposizione non fa alcun riferimento al diritto comunitario, e nell�ordinamento 
non � nemmeno rinvenibile una ulteriore norma, potenzialmente 
applicabile in virt� del richiamo agli �altri casi previsti dalla legge� quale 
ipotesi residuale di nullit� prevista dall�art. 21-septies, che sanzioni proprio 
con la nullit� l�atto amministrativo anticomunitario. Ne consegue, necessariamente 
e logicamente, che quest�ultimo � senz�altro sottoposto alla disciplina 
dell�annullabilit�, con tutto ci� che ne consegue in tema di impugnazione e di 
regime processuale. 

Quello a cui il giudice amministrativo � giunto pare essere, nell�ambito 
della legislazione vigente, un porto assai sicuro, formalmente rispettoso delle 
disposizioni sostanziali e procedurali (e conseguentemente processuali) del-
l�ordinamento nazionale. Tuttavia, in dottrina, vՏ chi ha criticato tale approdo 
(3), e le critiche appaiono tanto pi� fondate in quanto si considerino le numerose 
soluzioni al problema che, nel corso degli anni, sono state proposte dalla 

(*) Dottore in Giurisprudenza, ammesso alla pratica forense presso l�Avvocatura dello Stato di Bologna. 

(1) Si vedano, inter alia e pi� recentemente, T.A.R. Umbria, sez. I, sent. n. 449/2015 (per il quale 
�la violazione di una disposizione comunitaria da parte di un atto amministrativo d� luogo ad un vizio 
di illegittimit�-annullabilit�, con conseguente onere di impugnazione del provvedimento contrastante 
con il diritto comunitario nel termine decadenziale previsto dall�art. 29 del cod. proc. amm.�); T.A.R. 
Emilia Romagna, Bologna, sez. II, sent. n. 1295/2014; T.A.R. Abruzzo, Pescara, sez. I, sent. n. 447/2014. 
(2) In questo senso si vedano Cons. Stato, sez. VI, sent. n. 882/2016 (seppure come obiter dictum); 
Cons. Stato, sez. VI, sent. n. 4167/2013; Cons. Stato, sez. VI, sent. n. 1123/2013; Cons. Stato, sez. V, 
sent. n. 1498/2010. 



stessa dottrina e dalla giurisprudenza, nazionale e comunitaria; e solo di fronte 
a una sommaria analisi � lecito non rendersi conto che �il problema sollevato 
dall�atto amministrativo antieuropeo non � che la punta emersa di una questione 
ben pi� ampia e spinosa, che consiste nel rendere compatibile l��effetto 
utile� del diritto europeo con il principio della autonomia processuale degli 
stati� (4). Da una parte, infatti, ci sono il primato del diritto europeo e l�effetto 
utile, principi fortemente compressi dalla sottoposizione dell�atto amministrativo 
viziato da contrariet� al diritto europeo alla disciplina dell�annullabilit� 
(con il brevissimo termine di sessanta giorni per l�impugnazione dell�atto); 
dall�altra vi sono invece gli altrettanto fondamentali principi della certezza del 
diritto, dell�affidamento e, conseguentemente, della cristallizzazione degli atti 
amministrativi non impugnati nei termini. 

Delle soluzioni proposte da dottrina e giurisprudenza per risolvere tale 
dicotomia si render� quindi conto nei successivi paragrafi. Infine, nel tentativo 
di superare le posizioni finora espresse e non del tutto convincenti, si prover� 
a tratteggiare una possibile soluzione interpretativa del problema di cui 
qui si tratta. � comunque opportuno anticipare che, allo stato, non � prospettabile 
un riordino degli opposti principi che sono stati citati: la prevalenza 
dell�uno comporta necessariamente lo sgretolamento dell�altro, e pertanto le 
soluzioni che possono essere proposte, lungi dal ricomporre l�evidenziata antinomia, 
possono solo limitarsi a renderla meno stridente per l�ordinamento 
nel suo complesso. 

2. La tesi della disapplicazione. 

ComՏ noto, la Corte di Giustizia, con la sentenza Ciola (5), ha esteso il 
principio di disapplicazione della norma interna contrastante con il diritto comunitario 
(elaborato precedentemente nella sentenza Simmenthal (6), e or


(3) Da ultimo E. CHITI, Il regime dell�atto amministrativo contrario al diritto dell�Unione, in 
Giornale di diritto amministrativo, n. 4/2015, p. 553 e ss.; l�autore, commentando la citata sentenza n. 
1295/2014 del T.A.R. Emilia Romagna, Bologna, sez. II, sostiene che lo schema consolidato che riconduce 
la contrariet� al diritto europeo di un atto amministrativo al vizio di violazione di legge ex art. 21octies 
della l. 241/1990 presenta l�inconveniente di �limitare lo spazio argomentativo del giudice, 
giustificandone la pigrizia�. 
(4) G. GARDINI, Rinvio pregiudiziale. Disapplicazione, interpretazione conforme: i deboli anticorpi 
europei e la �forza sovrana� dell�atto amministrativo inoppugnabile, in Diritto amministrativo, 
n. 1-2/2014, p. 223. 
(5) Corte giust., 29 aprile 1999, causa C-224/97, Ciola, con testo integrale in italiano disponibile 
in www.curia.europa.eu. 
(6) Corte giust., 9 marzo 1978, causa C-106/77, Simmenthal, con testo integrale in italiano disponibile 
in www.curia.europa.eu.; il principio � noto: �il giudice nazionale, incaricato di applicare, nel-
l�ambito della propria competenza, le disposizioni di diritto comunitario, ha l�obbligo di garantire la 
piena efficacia di tali norme, disapplicando all�occorrenza, di propria iniziativa, qualsiasi disposizione 
contrastante della legislazione nazionale, anche posteriore, senza doverne chiedere o attendere la previa 
rimozione in via legislativa o mediante qualsiasi altro procedimento costituzionale� (cos� il dispositivo 
della sentenza). 



mai dato incontroverso del sistema di diritto integrato fra ordinamento nazionale 
ed europeo) anche agli atti amministrativi adottati in violazione del 
diritto comunitario. 

L�evidente vantaggio di tale impostazione � quello di garantire l�effetto 
utile del diritto dell�Unione e la sua primaut� (7): il giudice, quando si trovi 
di fronte a un atto amministrativo che viola una disposizione di diritto europeo, 
� tenuto a disapplicalo, con le stesse modalit� e negli stessi termini in cui 
il giudice ordinario disapplica la normativa nazionale in contrasto con il diritto 
dell�Unione. 

Tale impostazione � stata accolta, in dottrina, da M. Chiti (8), ma ha ricevuto 
numerose e fondate critiche, non solo implicitamente dalla giurisprudenza 
nazionale (che si � limitata a non seguirla, fatte salve alcune rare 
eccezioni (9)), ma anche dalla dottrina. In particolare, � stato evidenziato: 

-che, di per s�, la disapplicazione dell�atto amministrativo muove dalla 
presupposta, ma errata, equiparazione tra atto amministrativo nazionale e normativa 
nazionale; 

-che la disapplicazione, operando senza limiti temporali, finisce quindi 
per produrre �gli stessi effetti di un annullamento o di una dichiarazione di 
inefficacia� (10), mettendo in discussione l�autonomia processuale e procedi-
mentale da sempre riconosciuta all�ordinamento nazionale con l�elusione, in 
pratica, della �perentoriet� dei termini per l�impugnazione degli atti amministrativi 
illegittimi� (11), giungendo a un risultato che si pu� definire �abnorme
� (12). 

A tali criticit� la giurisprudenza comunitaria ha provato a rispondere temperando 
il netto principio dettato nella sentenza Ciola individuando altre soluzioni 
operative, prima (causa Santex (13)) stabilendo che il giudice nazionale 

(7) Sulla differenza tra i due principi, e in particolare sull�errata idea che il principio dell�effetto 
utile possa essere declinato solamente in termini di supremazia del diritto europeo sui diritti nazionali, 
si veda S. STICCHI DAMIANI, Violazione del diritto comunitario e processo amministrativo, Torino, Giappichelli, 
2012, p. 5 e ss. 
(8) In M. CHITI, Diritto amministrativo europeo, Milano, Giuffr�, 2004, p. 469 e ss. 


(9) Cons. Stato, sez. VI, sent. n. 5826/2005. Va comunque specificato che il giudice amministrativo, 
con la richiamata decisione, ha annullato un atto avente natura regolamentare, �in coerenza al consolidato 
insegnamento giurisprudenziale comunitario e nazionale, per il quale il contrasto tra la normativa 
nazionale o regionale ed il diritto comunitario si risolve con la disapplicazione della disciplina interna 
e la conseguente invalidit� degli atti applicativi�, e non gi� un provvedimento amministrativo puntuale. 
(10) E.M. BARBIERI, Ancora sulla disapplicazione di provvedimenti amministrativi contrastanti 
con il diritto comunitario, in Rivista italiana di diritto pubblico comunitario, 2000, p. 152. 
(11) G. GR�NER, L�annullamento di ufficio in bilico tra i principi di preminenza e di effettivit� 
del diritto comunitario, da un lato, ed i principi della certezza del diritto e dell�autonomia procedurale 
degli Stati membri, dall�altro, in Diritto processuale amministrativo, n. 1-2007, p. 257. 
(12) N. PIGNATELLI, L�illegittimit� �comunitaria� dell�atto amministrativo, in Giurisprudenza costituzionale, 
fasc. 4-2008, p. 3653. 
(13) Corte giust., 27 febbraio 2003, causa C-327/00, Santex, con testo integrale in italiano disponibile 
in www.curia.europa.eu. 



deve �dichiarare ricevibili i motivi di diritto [di un ricorso] basati sull�incompatibilit� 
del bando di gara con il diritto comunitario [�], ricorrendo, se del 
caso, alla possibilit� prevista dal diritto nazionale di disapplicare le norme nazionali 
di decadenza in forza delle quali, decorso il termine per impugnare il 
bando di gara, non � pi� possibile invocare una tale incompatibilit�� (14), e 
poi giungendo a stabilire che solo in presenza di quattro condizioni l�organo 
amministrativo nazionale � tenuto a riesaminare un atto amministrativo, non 
pi� impugnabile, e contrario al diritto dell�Unione (15), chiarendo che �il carattere 
definitivo di una decisione amministrativa, acquisito alla scadenza di 
termini ragionevoli di ricorso o in seguito all�esaurimento dei mezzi di tutela 
giurisdizionale, contribuisce a[lla] certezza [del diritto] e da ci� deriva che il 
diritto comunitario non esige che un organo amministrativo sia, in linea di 
principio, obbligato a riesaminare una decisione amministrativa che ha acquisito 
tale carattere definitivo� (par. 24). Infine la Corte, con la sentenza Kapferer 

(16) (che pur fa riferimento all�intangibilit� del giudicato e non alla cristallizzazione 
di un atto amministrativo) ha stabilito che �il principio di cooperazione 
derivante dall�art. 10 CE non impone ad un giudice nazionale di disapplicare 
le norme processuali interne allo scopo di riesaminare ed annullare una decisione 
giurisdizionale passata in giudicato qualora risulti che questa viola il diritto 
comunitario� (par. 24) (17). 

Nel complesso � possibile rilevare che in un primo momento la Corte di 
Giustizia ha inteso affermare, in ogni caso, il primato del diritto europeo (im


(14) Par. 66; � chiaro che la decisione della Corte si inserisce nel solco tracciato dalla sentenza 
Simmenthal, ma � anche innegabile che la disapplicazione, nel caso concreto, delle norme di decadenza, 
e la conseguente ammissibilit� di un ricorso che altrimenti sarebbe stato tardivo e quindi inammissibile, 
pu� condurre all�annullamento di un provvedimento amministrativo che, di per s� viziato, sarebbe dovuto 
essere cristallizzato. Anche in tale circostanza � evidente il conflitto tra il principio di effetto utile e la 
supremazia del diritto dell�Unione da una parte, e le esigenze di certezza del diritto e di affidamento dei 
terzi dall�altra. 
(15) � quanto previsto dalla sentenza della Corte di giustizia del 13 gennaio 2004, causa C-453/00, 
K�hne & Heitz NV, con testo integrale in italiano disponibile in www.curia.europa.eu, per la quale �il 
principio di cooperazione derivante dall�art. 10 CE impone ad un organo amministrativo, investito di 
una richiesta in tal senso, di riesaminare una decisione amministrativa definitiva per tener conto del-
l�interpretazione della disposizione pertinente nel frattempo accolta dalla Corte qualora: disponga secondo 
il diritto nazionale, del potere di ritornare su tale decisione; la decisione in questione sia divenuta 
definitiva in seguito ad una sentenza di un giudice nazionale che statuisce in ultima istanza; tale sentenza, 
alla luce di una giurisprudenza della Corte successiva alla medesima, risulti fondata su un�interpretazione 
errata del diritto comunitario adottata senza che la Corte fosse adita in via pregiudiziale alle condizioni 
previste all�art. 234, n. 3, CE, e l�interessato si sia rivolto all�organo amministrativo immediatamente 
dopo essere stato informato della detta giurisprudenza� (par. 28). 
(16) Corte giust., 16 marzo 2006, causa C-234/04, Kapferer, con testo integrale in italiano disponibile 
in www.curia.europa.eu. 
(17) La citata giurisprudenza della Corte fa riferimento, come appare evidente, a soluzioni alternative 
rispetto alla disapplicazione diretta, da parte del giudice, dell�atto amministrativo anticomunitario, 
ossia alla disapplicazione delle norme processuali e procedurali (Santex) e all�autotutela (K�hne & Heitz 
NV, per cui si veda anche infra, par. 4). 



ponendo ai giudici nazionali la disapplicazione degli atti amministrativi anticomunitari), 
per poi stemperare la sua posizione e far prevalere, in un giudizio 
di bilanciamento, le esigenze di certezza del diritto e di affidamento dei terzi 
(prima subordinando la disapplicazione dell�atto amministrativo al concorrere 
di determinate circostanze, e poi, timidamente, dichiarando che la certezza del 
diritto prevale sull�opportunit� di eliminare dall�ordinamento atti o pronunce 
contrarie al diritto europeo). 

Come � stato acutamente osservato, l�oscillare della giurisprudenza della 
Corte di giustizia pu� essere giustificato rilevando che, inizialmente, la netta 
affermazione del principio di supremazia si � rivelata utile �per garantire la 
primaut� del nuovo ordinamento sovranazionale[;] oggi, che si � in una fase 
di compiuta realizzazione di tale ordinamento, insistere sulla centralit� del 
principio di supremazia per definire il rapporto tra l�ordinamento europeo e 
quello nazionale appare un�opzione non pi� necessaria� (18). 

Tale assunto, per�, � condivisibile solo in un�ottica storica; non pu� essere 
invece condiviso in senso sostanziale, perch� solo apparentemente la violazione 
del diritto nazionale equivale alla violazione del diritto europeo: la 
cristallizzazione e quindi la permanenza nel sistema giuridico di un atto amministrativo 
adottato in violazione delle norme nazionali, dal punto di vista 
sostanziale, � meno grave della permanenza nel sistema giuridico di un atto 
amministrativo adottato in violazione delle norme comunitarie, proprio in virt� 
della supremazia di queste ultime rispetto alle norme dell�ordinamento interno; 
e se tale circostanza non incide nell�ottica delle posizioni giuridiche tutelate 
dall�ordinamento (in altre parole: il cittadino � ugualmente leso sia dall�atto 
amministrativo contrario al diritto nazionale sia dall�atto amministrativo contrario 
al diritto europeo), non sfugge che l�ordinamento nazionale, nel suo 
complesso, riconosce la prevalenza dello stesso diritto europeo (19) e quindi 
non � irragionevole prevedere un differente sistema di tutela (20); e se il principio 
di prevalenza del diritto dell�unione non pu� essere inverato con una disapplicazione 
(in ogni tempo e in ogni circostanza) dell�atto anticomunitario, 
perch� verrebbero meno i principi di affidamento e di certezza del diritto, � 
allora necessario trovare una soluzione terza rispetto alla disapplicazione o 
alla riconducibilit� della violazione di norme comunitarie all�art. 21-octies 
della l. 241/1990. 

(18) S. STICCHI DAMIANI, op.cit., p. 6. 

(19) Tanto da chiarirlo esplicitamente nel novellato primo comma dell�art. 117 Cost., che pure fa 
riferimento solamente all�esercizio della �potest� legislativa� da parte dello Stato e delle Regioni. 
(20) G. MONTEDORO, in Il giudizio amministrativo fra annullamento e disapplicazione (ovvero 
dell��insostenibile leggerezza� del processo amministrativo), in Rivista italiana di diritto pubblico comparato, 
2008, p. 525, sostiene invece che �la violazione del diritto comunitario deve essere equiparata 
(quanto a disciplina ed effetti) alla violazione della normativa nazionale, a pena di una �dequotazione� 
di quest�ultima�, adducendo a sostegno della propria tesi una pronuncia del Consiglio di Stato (sez. IV, 



3. La tesi dell�interpretazione conforme. 

Alcuni autori, nel solco della sentenza Santex, hanno proposto, di fronte 
ad atti amministrativi anticomunitari, di procedere a una interpretazione conforme 
�come cura preventiva� (21). In sostanza, il giudice nazionale sarebbe 
chiamato a effettuare un�interpretazione delle regole procedurali e processuali 
interne in senso compatibile alla normativa (sostanziale) europea, s� da rendere 
effettivo, in questo modo, il principio di prevalenza del diritto dell�Unione europea. 
Tale operazione dovrebbe avvenire, mutatis mutandis, con l�applicazione 
dei noti principi pi� volte espressi dalla Corte costituzionale italiana per 
cui �in linea di principio, le leggi non si dichiarano costituzionalmente illegittime 
perch� � possibile darne interpretazioni incostituzionali (e qualche giudice 
ritenga di darne), ma perch� � impossibile darne interpretazioni 
costituzionali� (22), e per cui �a fronte di pi� significati possibili della stessa 
disposizione, � compito dell�interprete escludere quello che difetti di coerenza 
rispetto ai dettami della Costituzione� (23). 

Le criticit� di tale soluzione sono tuttavia evidenti: anche nel caso in cui 
vi siano casi pratici per i quali sia possibile fornire un�interpretazione conforme 
al diritto europeo di norme processuali e procedimentali che pi� volte 
hanno superato, e positivamente, il vaglio della Corte di Giustizia (24), � 
chiaro che: 

sent. n. 579/2005). Tuttavia, l�interpretazione dell�autore non pu� essere condivisa: il Consiglio di Stato, 
nel rifiutare fermamente la teoria della disapplicazione (che, oltre a essere contraria al Trattato, �minerebbe 
le esigenze di certezza dei rapporti giuridici, nonch� i principi di stabilit�, affidamento, continuit� 
dell�azione amministrativa, presunzione di legittimit��), ritiene che �una volta che la norma comunitaria 
sia entrata a fare parte integrante dell�ordinamento interno, essa gode del medesimo regime di illegittimit�-
legittimit� degli atti o conformi alle altre disposizioni dell�ordinamento nazionale. Se si consentisse 
al giudice adito (o all�amministrazione) la disapplicazione delle norme nazionali processuali che impongono 
la impugnazione a pena di decadenza, si creerebbe una discriminazione alla rovescia a danno 
delle norme nazionali, invece sottoposte a quel regime�. A giudizio di chi scrive, e contrariamente a 
quanto sostenuto dall�autore citato, pare invece che il Consiglio di Stato abbia inteso riferirsi a un�equiparazione 
tra normativa nazionale ed europea solo nell�ottica di valutare l�opportunit� o meno di recepire, 
nell�ordinamento italiano, la teoria della disapplicazione espressa dalla Corte di Giustizia nella sentenza 
Ciola. In ogni caso, il Consiglio di Stato non pone sufficiente attenzione al fatto che norme comunitarie 
e norme nazionali, ancorch� facciano parte di un unico complesso, uguali non sono. A dimostrazione di 
ci�, va registrato il fatto che le norme comunitarie hanno una maggiore forza �sostanziale� (ancorch� 
non �formale�) testimoniata dal fatto che il giudice nazionale, di fronte a una norma interna contrastante 
con una norma europea, � tenuto a disapplicare la prima, facendo prevalere la seconda. In questo senso 
anche R. MUSONE, Il regime di invalidit� dell�atto amministrativo anticomunitario, Napoli, Edizioni 
Scientifiche Italiane, 2007, per il quale �la peculiarit� del fenomeno giuridico comunitario non consente, 
infatti, di ricondurre la norma comunitaria e la norma di legge ad un unico omogeneo parametro di legittimit� 
dell�attivit� amministrativa� (p. 294). 

(21) L�espressione � di G. GARDINI, op. cit., in Diritto amministrativo, n. 1-2/2014, p. 234. 
(22) Corte cost., sent. n. 356/1996. 
(23) Corte cost., sent. n. 65/1999. 


(24) Il riferimento � al principio di equivalenza, che impone �al processo amministrativo di garantire 
alle posizioni giuridiche a rilevanza comunitaria una tutela non inferiore a quella assicurata a 


- ogni tipo di interpretazione - la si chiami bilanciamento, armonizzazione, 
adeguamento - non pu� spezzare il significato letterale della norma; 

- inoltre, ammesso che sia possibile superare questo primo scoglio (circostanza 
della quale si dubita fortemente), il rimedio proposto pu�, al massimo, 
risolvere il problema nel caso concreto, ma non ricompone la frattura, 
di cui si � detto pi� volte, che sussiste tra le esigenze di certezza del diritto e 
di affidamento dei terzi, la cristallizzazione di provvedimenti viziati e la prevalenza 
del diritto comunitario; 

-se la disapplicazione del provvedimento amministrativo anticomunitario 
si traduce, nei fatti, in una violazione dei termini per l�impugnazione e quindi 
in un annullamento consentito in ogni tempo e in ogni caso (con palese violazione 
dell�affidamento dei terzi e delle esigenze di certezza del diritto), l�interpretazione 
conforme (che potrebbe portare, per esempio, alla remissione in 
termini della parte che non ha sollevato censure relative alla contrariet� del 
provvedimento impugnato al diritto dell�Unione europea) non pu� essere imposta 
per legge ed � subordinata alla discrezionalit�, alla sensibilit� e alla cultura 
giuridica dell�organo giudiziario che deve risolvere la questione. Con un 
gioco di parole, se nel primo caso vi � certezza dell�incertezza, nel secondo si 
registra incertezza dell�incertezza. 

Appare quindi chiaro che nemmeno un approccio interpretativo elaborato 
nei termini supra descritti pu� rappresentare una soluzione al problema 
della violazione degli atti amministrativi al diritto europeo. 

4. La tesi dell�autotutela (doverosa). 

Di ben maggior consistenza � la tesi dell�autotutela doverosa. 

ComՏ noto, l�amministrazione che ha emanato un provvedimento viziato 
ai sensi dell�art. 21-octies della l. 241/1990 pu� annullarlo d�ufficio qualora 
sussista un interesse pubblico alla rimozione, tenuto conto degli interessi 
dei destinatari e dei controinteressati, ed entro un termine ragionevole che, per 
i provvedimenti di autorizzazione o di attribuzione di vantaggi economici, non 
pu� essere superiore a diciotto mesi (25). 

posizioni fondate solo sul diritto interno� (S. STICCHI DAMIANI, op. cit., p. 10). Inoltre, nella sentenza 
del 12 dicembre 2002, Universale-Bau AG, la Corte di giustizia ha chiarito che, nel caso in cui il termine 
previsto a pena di decadenza sia ragionevole (nel caso affrontato, due settimane), � compatibile al diritto 
europeo �una normativa nazionale la quale prevede che qualsiasi ricorso avverso una decisione del-
l�amministrazione aggiudicatrice vada proposto nel termine all�uopo previsto e che qualsiasi irregolarit� 
del procedimento di aggiudicazione invocata a sostegno di tale ricorso vada sollevata nel medesimo termine 
a pena di decadenza talch�, scaduto tale termine, non � pi� possibile impugnare tale decisione o 
eccepire la suddetta irregolarit��. 

(25) La modifica all�art. 21-nonies che ha previsto un termine di diciotto mesi oltre il quale il 
provvedimento si cristallizza e non pu� pi� essere annullato d�ufficio � stata apportata dall�art. 6 della 
l. 124/2015. Per un approfondimento sul tema si veda M. MACCHIA, Sui poteri di autotutela: una riforma 
in senso giustiziale, in Giornale di diritto amministrativo, 5/2015, p. 634. 



Sul punto la giurisprudenza europea muove da quanto enucleato nella 
sentenza K�hne & Heitz NV e giunge a sostenere che �l�art. 10 CE [�] fa obbligo 
al giudice nazionale di valutare se una regolamentazione chiaramente 
incompatibile con il diritto comunitario [�] sia manifestamente illegittima ai 
sensi del proprio diritto. Se tale si riveler�, il detto giudice ne dovr� trarre tutte 
le conseguenze di diritto nazionale circa il ritiro [degli atti viziati]� (26). 

In questo senso il diritto comunitario; dall�altra parte, i giudici amministrativi 
nazionali hanno prima affermato la doverosit� �in generale� (27) dell�autotutela 
di fronte a un atto amministrativo adottato in violazione del diritto 
comunitario, per poi rivedere le proprie posizioni e riaffermare il principio di 
discrezionalit� dell�annullamento d�ufficio (28): se, difatti, l�avvio del procedimento 
a seguito di un�istanza del privato deve ormai ritenersi doveroso (29), la 
mera contrariet� al diritto dell�Unione europea non integra il requisito della sussistenza 
di un interesse pubblico di cui parla l�art. 21-nonies della l. 241/1990 

(30) e pertanto oggi, sul punto, non � possibile registrare alcun automatismo. 

L�autotutela come soluzione del problema prospettato presenta grande fascino: 
grazie alla modifica introdotta dalla l. 124/2015, e quindi all�introduzione 
del termine di diciotto mesi entro il quale pu� essere esercitato il relativo 
potere, essa ha infatti il pregio di contemperare le esigenze di certezza del diritto, 
di tutela dell�affidamento e di prevalenza del diritto europeo, che si concretizza 
proprio nell�annullamento, in autotutela, del provvedimento viziato 
in un termine certo e senz�altro meno preclusivo rispetto a quello, di sessanta 
giorni, contenuto nella codice del processo amministrativo (art. 29). 

Tuttavia, vi sono almeno due ordini di problemi. 

(26) Corte giust., 19 settembre 2006, cause riunite C-392/04 e C-442/04, i-21 Germany GmbH e 
Arcor, con testo integrale in italiano disponibile in www.curia.europa.eu, dispositivo; successivamente, 
la Corte � nuovamente intervenuta chiarendo che �nell�ambito di un procedimento dinanzi ad un organo 
amministrativo diretto al riesame di una decisione amministrativa divenuta definitiva in virt� di una 
sentenza pronunciata da un giudice di ultima istanza, la quale, alla luce di una giurisprudenza successiva 
della Corte, risulta basata su un�interpretazione erronea del diritto comunitario, tale diritto non richiede 
che il ricorrente nella causa principale abbia invocato il diritto comunitario nell�ambito del ricorso giurisdizionale 
di diritto interno da esso proposto contro tale decisione� e che �il diritto comunitario non 
impone alcun limite temporale per presentare una domanda diretta al riesame di una decisione amministrativa 
divenuta definitiva. Gli Stati membri rimangono tuttavia liberi di fissare termini di ricorso ragionevoli, 
conformemente ai principi comunitari di effettivit� e di equivalenza� (sent. 12 febbraio 2008, 
Willy Kempter KG, dispositivo). 
(27) Cos� F. FONDERICO, Nota a Cons. Stato, sez. VI, 3 marzo 2006, n. 1023, in www.giuristiambientali.it, 


p. 2, corsivo dell�autore; il riferimento � alla sentenza del Consiglio di Stato n. 918/1998. 
(28) In questo senso anche le recenti innovazioni contenute nella l. 124/2015; in giurisprudenza, 
e pi� recentemente, T.A.R. Molise, sez. I, sent. n. 207/2015; T.A.R. Trentino-Alto Adige, Trento, sez. I, 
sent. n. 415/2014. 
(29) A seguito delle modifiche apportate all�art. 2 co. 1 della legge 241/1990 dall�art. 1 co. 38 
della l. 190/2012. 
(30) Per G. GARDINI, op. cit., p. 245, �la legalit� comunitaria quale interesse primario dello stato 
in re ipsa, in altri termini, non appare pi� un argomento persuasivo alla luce delle modifiche legislative 
introdotte nel 2005�. 



Il primo lo si � gi� evidenziato, ed � la ritrosia, dimostrata dalla giurisprudenza 
a partire dal 2006, a riconoscere una corrispondenza tra le �ragioni di 
interesse pubblico� di cui parla l�art. 21-nonies della l. 241-1990 (con riferimento 
ai requisiti per l�esercizio dell�annullamento d�ufficio) e il rispetto del 
diritto europeo, declinato nelle forme di un atto amministrativo che tale diritto 
lo v�ola. L�unico modo per superare questa impasse � una modifica legislativa 
che renda doveroso non tanto l�avvio, anche di ufficio, del procedimento di autotutela, 
quanto piuttosto il relativo esito, ovviamente nel senso di una doverosit� 
dell�annullamento di fronte a un atto amministrativo anticomunitario. 

In ogni caso, la soluzione proposta si scontra con un dato a giudizio di 
chi scrive insuperabile, che � quello della tutela e della garanzia del soggetto 
leso dall�atto amministrativo anticomunitario. � difficilmente credibile che la 
stessa autorit� amministrativa che ha emanato l�atto viziato, o comunque ogni 
altra autorit� competente ai sensi dell�art. 21-nonies della l. 241/1990 a intervenire 
in via di autotutela, possa riconoscere con serenit� di giudizio tale vizio 
(salvo che non sia cos� abnorme e manifesto) e procedere di conseguenza all�annullamento 
dell�atto. � indubbio che la devoluzione alla giustizia amministrativa 
della quaestio controversa richieda, in capo al ricorrente, un cospicuo 
investimento (non solo in termini economici ma anche temporali), che potrebbe 
scoraggiare la sua azione; tuttavia, � altrettanto indubbio che il ricorso 
alla giurisdizione amministrativa offra al soggetto che si dichiari leso da un 
provvedimento amministrativo anticomunitario maggiori garanzie, procedurali/
processuali e sostanziali. 

5. La tesi della nullit�. 

Per completezza, bisogna rendere conto di un�ulteriore tesi, rimasta isolata 
in giurisprudenza e assai criticata dalla dottrina, che muove da un�impostazione 
dualista (anch�essa ormai comunemente respinta da dottrina e 
giurisprudenza), ossia dall�idea che l�ordinamento nazionale sia separato da 
quello europeo, e che � stata espressa dal T.A.R. Piemonte (31). Per questo 
giudice, ogni atto amministrativo presuppone l�esistenza di una norma. Se tale 
norma non esiste o non produce effetti nell�ordinamento, �il giudice non pu� 
che accertare l�inesistenza del necessario parametro per la valutazione della 
legalit� dell�azione amministrativa e, siccome non esiste attivit� amministrativa 
legibus soluta, egli non pu� che dare atto della radicale nullit� dell�atto 
medesimo� (32). 

Se nel 1989 e negli anni immediatamente successivi la pronuncia del 

T.A.R. Piemonte si prestava a critiche non solo perch� all�epoca non era ancora 

(31) Il riferimento � a T.A.R. Piemonte, sez. II, sent. n. 34/1989, in T.A.R., 1989, parte I, p. 1228 
e ss. 

(32) Ibidem. 


pacifica la possibilit�, per il giudice amministrativo nell�ambito della cd. giurisdizione 
generale di legittimit�, di dichiarare la nullit� di un provvedimento 
amministrativo (33), ma anche perch� sottendeva una visione separatista tra 
gli ordinamenti nazionale e comunitario, la tesi della nullit� � divenuta ancora 
pi� insostenibile dopo l�introduzione, da parte dell�art. 14 della l. 15/2005, 
dell�art. 21-septies nella l. 241/1990, disposizione che ha previsto un numerus 
clausus di ipotesi di nullit�, come ha subito chiarito la giurisprudenza, e che 
� insuscettibile di interpretazione estensiva (34). 

6. Conclusioni: il necessario intervento del legislatore. 

Alla luce di quanto finora riportato, appare evidente che l�unica strada 
percorribile per chiarire e risolvere il problema dell�atto amministrativo antieuropeo 
� quella di un intervento legislativo. 

Delle perplessit� legate a una modifica delle disposizioni in tema di autotutela 
(doverosa) si � gi� detto supra, nel paragrafo 4. 

Per ci� che concerne invece l�ipotesi, suggerita da parte della dottrina, di 
modificare l�art. 21-septies indicando tra le (tassative) ipotesi di nullit� anche 
la contrariet� dell�atto amministrativo al diritto dell�Unione europea, � ugualmente 
possibile avanzare alcune riserve (35). Se � vero, come � vero, che tale 
proposta ha il pregio di sanzionare con una illegittimit� �forte�, ossia con la 
nullit�, l�atto amministrativo anticomunitario, implicitamente riconoscendo la 
prevalenza del diritto dell�Unione su quello nazionale (e per cui la violazione 
del primo rende l�atto nullo, quella del secondo lo rende semplicemente annullabile), 
dall�altra parte � doveroso porre attenzione alla disciplina processuale 
dell�atto nullo, che prevede s� un termine di centottanta giorni per la proposizione 
dell�azione di nullit� (art. 31 co. 4 c.p.a.), ma estende sine die tale facolt� 
nei confronti della parte resistente e permette al giudice di rilevare il vizio ex 
officio, in deroga al principio dispositivo che informa il processo amministrativo 
(36). Anche in questa circostanza, quindi, e come nel caso della disapplicazione 
in ogni tempo, residuano margini eccessivamente ampi di indeterminatezza, 
che mettono in dubbio i principi di certezza e di affidamento. 

Al contrario, l�unica soluzione che sembra garantire una contemperamento 
degli interessi in gioco sembra essere quella che passa per una modi


(33) Per approfondire si veda R. MUSONE, op. cit., p. 223 e ss. 

(34) Come chiarito supra, nel primo paragrafo, e in particolare nella nota n. 2; vedi anche A. 
SUSCA, L�invalidit� del provvedimento amministrativo dopo le leggi n. 15/2005 e n. 80/2005, Milano, 
Giuffr�, p. 50 e ss. 
(35) � la tesi sostenuta da G. GARDINI, op. cit., p. 259. 


(36) Cos� R. GAROFOLI - G. FERRARI, Manuale di diritto amministrativo, Roma, Neldiritto Editore, 
2016, p. 1197. Per approfondimenti sul punto, si vedano F. LUCIANI, Contributo allo studio del provvedimento 
amministrativo nullo, Torino, Giappichelli, 2010; F. VETR�, L�azione di nullit� dinanzi al giudice 
amministrativo, Napoli, Editoriale Scientifica, 2012. 



fica dell�art. 29 c.p.a., contemplando una dilatazione del termine, previsto a 
pena di decadenza, per impugnare il provvedimento viziato da contrariet� al 
diritto dell�Unione europea, da sessanta giorni fino a centottanta giorni (ossia 
il medesimo termine previsto dal c.p.a., come si � visto, per promuovere 
l�azione di nullit�). Tale soluzione: 

-permette di continuare a ricondurre al generale vizio di violazione di 
legge sia la violazione del diritto interno sia quella del diritto europeo, coerentemente 
alla natura stessa del vizio (37); 

-riconosce per� il maggior valore del diritto europeo rispetto a quello nazionale, 
fornendo al soggetto leso la possibilit� di impugnare l�atto anticomunitario 
in un termine molto pi� ampio rispetto a quello, assai breve, attualmente 
previsto per i vizi di cui all�art. 21-octies della l. 241/1990; 

-prevedendo un termine oltre il quale non � pi� possibile eccepire il vizio 
dell�atto, nemmeno d�ufficio da parte del giudice, fa salvi i principi di certezza 
e di affidamento dei terzi, senza per questo comprimerli o estenderli in modo 
irragionevole (come invece accade, rispettivamente, abbracciando le teorie 
della disapplicazione, dell�interpretazione conforme e della nullit� da una 
parte, e quella della annullabilit� per cos� dire �semplice� a cui aderisce attualmente 
la giurisprudenza nazionale, dall�altra). 

Inoltre, tale soluzione non creerebbe problemi di pregiudizialit� in ambito 
processuale: va da s� che ulteriori vizi dell�atto - oltre a quello di violazione 
di legge europea - devono (rectius: dovrebbero) continuare ad essere 
fatti valere dal soggetto ricorrente entro l�ordinario termine di impugnazione 
di sessanta giorni; se presentati dopo il sessantesimo giorno ma entro il centottantesimo 
dal dies a quo unitamente a una censura di anticomunitariet� 
dell�atto impugnato, tali motivi dovrebbero essere dichiarati dal giudice inammissibili 
perch� tardivi, e la cognizione del tribunale sarebbe limitata alla verifica 
della sussistenza di un vizio di violazione di legge europea. 

(37) Difatti, che si parli di diritto europeo o di diritto interno, pur sempre di violazione di legge 
si tratta. 


CONTENZIOSO NAZIONALE 
Enti liririci. La sentenza della Corte Costituzionale n. 260 del 
2015: lettura interpretativa e riflessi sui contenziosi pendenti 

Grazia Maggi* 

SOMMARIO: 1. Evoluzione storica e normativa degli enti lirici: natura giuridico-soggettiva 
e specialit� della disciplina dei rapporti di lavoro - 2. La sentenza della Corte Costituzionale 
n. 260 del 2015 - 3. Corretta lettura interpretativa della sent. Corte Costituzionale n. 
260 del 2015. 

1. Evoluzione storica e normativa degli enti lirici: natura giuridico-soggettiva 
e specialit� della disciplina dei rapporti di lavoro. 

Le fondazioni lirico-sinfoniche sono il risultato dei processi di privatizzazione 
avvenuti in Italia negli anni �90; dapprima, la legge definiva tali istituzioni 
�enti autonomi lirici con personalit� giuridica di diritto pubblico� (1), 
in seguito, con pi� interventi legislativi, sono state trasformate in Fondazioni 
con personalit� giuridica di diritto privato. 

Prima del 1996, anno di inizio del processo di riforma e privatizzazione 
di tali Enti, le istituzioni liriche, erano dotate di personalit� giuridica di diritto 
pubblico in ragione delle finalit� di interesse generale perseguite �Gli enti autonomi 
lirici e le istituzioni concertistiche assimilate hanno personalit� giuridica 
di diritto pubblico e sono sottoposti alla vigilanza del Ministero del 
turismo e dello spettacolo. Essi non perseguono scopi di lucro ed hanno come 

(*) La Dott.ssa Grazia Maggi, durante il corso di laurea in giurisprudenza, ha partecipato ad un tirocinio 
curriculare presso l�Avvocatura Generale dello Stato, con l�Avvocato Alessandra Bruni, occupandosi in 
modo particolare del rapporto di lavoro e del contenzioso nel settore lirico-sinfonico. Si � laureata presso 
l�Universit� LUISS Guido Carli, con tesi dal titolo �L�accesso nella pubblica amministrazione: modalit� 
di reclutamento e tipologie contrattuali. Il caso delle fondazioni lirico-sinfoniche�. 

(1) Art. 5 legge n. 800 del 1967. 


fine la diffusione dell�arte musicale, la formazione professionale dei quadri 
artistici e la educazione musicale della collettivit�� (2). 

Il d.lgs. n. 367 del 1996 costituisce il primo intervento legislativo nell�ottica 
della trasformazione degli enti lirici in fondazioni; tale decreto, all�art. 1, 
statuisce �Gli enti di prioritario interesse nazionale che operano nel settore 
musicale devono trasformarsi in fondazioni di diritto privato secondo le disposizioni 
previste dal presente decreto�. 

Tuttavia, negli anni successivi, non tutti gli enti lirici si sono conformati 
a quanto previsto dal decreto n. 367 cit. trasformandosi in fondazioni, motivo 
per il quale, il legislatore � intervenuto nel 1998 con il d.lgs. n. 134, stabilendo 
la trasformazione ex lege. 

Quest�ultimo decreto � stato, dopo soli due anni, dichiarato incostituzionale 
per eccesso di delega, ma il suo contenuto � stato sostanzialmente reiterato 
nel d.l. n. 345 del 2000, convertito in legge n. 6 del 2001, che costituisce l�attuale 
disciplina della trasformazione degli enti lirici: �Gli enti autonomi lirici 
e le istituzioni concertistiche assimilate, sono trasformati in fondazione ed acquisiscono 
la personalit� giuridica di diritto privato a decorrere dal 23 maggio 
1998. La fondazione subentra nei diritti, negli obblighi e nei rapporti attivi 
e passivi dell�ente, in essere alla data della trasformazione. Essa � disciplinata, 
per quanto non espressamente previsto dal presente decreto, dal decreto 
legislativo 29 giugno 1996, n. 367 e dal codice civile� (3). 

Gli interventi legislativi sopra menzionati, si sono inseriti nel periodo 
delle grandi privatizzazioni italiane, quando il sistema della finanza pubblica 
attraversava una grave crisi e si cercava rimedio attraverso la dismissione di 
molti enti pubblici: questi venivano trasformati in societ� per azioni, in fondazioni 
o associazioni con il prioritario intento di attirare finanziamenti privati 
e risollevare le casse e i bilanci di tali ex-enti (4). � accaduto, cos�, che in numerosi 
settori pubblici siano state introdotte forme di gestione formalmente 
private, quali le fondazioni, ma che nella sostanza rimangano �sottoposte a 
vincoli di diritto pubblico imposti dall�esigenza del rispetto dei principi costituzionali 
di cui allo stesso art. 97 Cost.� (5). 

I soggetti giuridici risultanti all�esito del processo di privatizzazione non 
sono, totalmente inquadrabili nell�area del diritto privato: permangono in capo 
alle fondazioni lirico-sinfoniche peculiarit� proprie del modello pubblicistico 
dovute alle finalit� culturali di rilevo pubblico e di interesse nazionale perse


(2) Art. 5 comma 1 legge n. 800 del 1967. 
(3) Art. 1, commi 1 e 2, d.l. n. 345/2000. 
(4) V. CERULLI IRELLI, Diritto privato dell�Amministrazione pubblica, Torino, 2008. 


(5) V. CERULLI IRELLI, Amministrazione pubblica e diritto privato, Torino, 2011, 32 e ss. �L�attivit� 
giuridica delle organizzazioni pubbliche oggi si esercita normalmente anche secondo moduli di diritto 
privato e le stesse funzioni di amministrazione in senso sostanziale possono essere conferite a soggetti 
formalmente privati�. 


guite con la propria attivit�. Autorevole giurisprudenza ha affermato si tratti 
di figure giuridiche �ibride�, dal momento che la loro disciplina non pu� essere 
considerata n� completamente privatistica n� pubblicistica (6). 

Le incertezze concernenti la natura giuridica delle fondazioni lirico-sinfoniche 
sono molteplici. � controverso se all�esito della privatizzazione, tali 
soggetti, siano solo formalmente o anche sostanzialmente privatistici (7). 

Il Consiglio di Stato, con pronunce risalenti, ha affermato come il momento 
di individuazione della natura pubblica di un ente vada ricercato �nella sua collocazione 
istituzionale in seno all�organizzazione statale, come organo ausiliario 
necessario al raggiungimento di finalit� di interesse generale� (8); ancora sulla 
questione la Corte dei Conti ha recentemente affermato come la forma societaria 
non sia da considerarsi il criterio per distinguere la natura pubblica o privata 
dell�ente, quanto piuttosto si debba indagare sullo scopo perseguito dall�ente 
stesso e sulle risorse utilizzate nello svolgimento della propria attivit� (9). Accogliendo 
le argomentazioni delle Corti si arriva a sostenere come la privatizzazione 
che ha riguardato gli enti lirici, trasformati in fondazioni, sia una 
privatizzazione esclusivamente formale e non anche sostanziale (10). 

Ad una veste giuridica privata si accompagna una disciplina a tratti pubblicistica, 
e sono diversi i fattori che inducono a ritenere che la forma giuridica 
della fondazione non escluda l�applicabilit�, alle medesime fondazioni, di alcune 
peculiarit� tipiche del diritto pubblico. 

Recentemente il T.A.R. Roma (Lazio), in due pronunce, ha individuato alcuni 
indici rivelatori della natura pubblicistica delle istituzioni lirico-sinfoniche: 
�la preminente rilevanza dello Stato nei finanziamenti, il conseguente assoggettamento 
al controllo della Corte dei Conti, il patrocinio dell'Avvocatura dello 
Stato, confermato dall'art. 1 comma 3, d.l. n. 345 del 2000, l'inclusione nel novero 
degli organismi di diritto pubblico soggetti al d.lgs. n. 163 del 2006� (11). 

Attraverso il processo di privatizzazione, il legislatore, ha sentito l�esigenza 
di snellire e semplificare l�impianto organizzativo di tali enti, trasformandoli 
in soggetti di diritto privato: si � perseguito il principale obiettivo di 
intervenire in un settore gravato da profonda crisi economica inserendo modelli 
di gestione privata ritenuti pi� efficienti. 

(6) Corte Costituzionale n. 153 del 2011; T.A.R. Cagliari, (Sardegna), sez. II, 8 novembre 2013, 

n. 695: �Le fondazioni e gli altri enti operanti nel settore musicale, ancorch� formalmente privatistici, 
perseguono interessi di rango sostanzialmente pubblicistico e sono assoggettati ad un regime parimenti 
pubblicistico�. 

(7) F. SCIARETTA, Associazioni e fondazioni con compiti di amministrazione pubblica, in Giurisprudenza 
Commerciale, fasc. 5, 2013, pag. 959. 
(8) Consiglio di Stato n. 836/95; Consiglio di Stato n. 1666/89. 
(9) Corte dei Conti, sez. controllo Regione Lombardia, delibera 46/2007. 
(10) T.A.R. Cagliari, (Sardegna), sez. II, 8 novembre 2013, n. 695. 




(11) T.A.R. Roma, (Lazio), sez. III, 10 settembre 2013, n. 8194; T.A.R. Roma, (Lazio), sez. III, 
5 giugno 2013, n. 5602. 



All�indomani della trasformazione degli enti lirici in fondazioni di diritto 
privato, si sono poste questioni riguardanti la qualificazione del rapporto di 
lavoro alle dipendenze delle fondazioni medesime, ci si � chiesti se, ed in che 
modo, i rapporti di lavoro si sarebbero �trasformati� seguendo la disciplina 
dettata per il lavoro privato. 

In primo luogo, si ritiene pacifica la natura pubblicistica del rapporto di 
lavoro instaurato dagli enti lirici prima dell�inizio dei processi di privatizzazione. 
Successivamente all�entrata in vigore delle disposizioni di legge che 
hanno condotto alla privatizzazione degli enti lirici, i rapporti di lavoro con 
essi instaurati, individuano la propria fonte regolatrice nelle norme dedicate 
al lavoro privato, pur mantenendo, per alcuni istituti e per ragioni particolari, 
discipline derogatorie rispetto al diritto del lavoro comune. 

Ci troviamo di fronte ad un caso, comune nel nostro ordinamento e nella 
storia della trasformazione degli enti pubblici, di privatizzazione al livello formale 
e non invece di privatizzazione sostanziale (12). 

La ratio legis della trasformazione � legata, infatti, alla eliminazione di 
rigidit� organizzative al fine di migliorare l�efficienza, cercando di attrarre 
conseguentemente finanziamenti privati, per poter potenziare e tutelare maggiormente 
le finalit� istituzionali e la natura sostanzialmente pubblica di questi 
enti di rilievo nazionale. 

La Corte Costituzionale, a causa dei contrasti dottrinali e giurisprudenziali 
sorti in merito alla natura giuridica delle fondazioni lirico-sinfoniche, nel 2011 
� chiamata a pronunciarsi su tale controversa questione; lo fa attraverso una 
sentenza �ricostruttiva� della materia, con la quale aiuta a fare chiarezza nel 
complesso quadro normativo dedicato alle fondazioni. 

La Corte ripercorre le tappe che, negli anni, hanno portato alla privatizzazione 
degli Enti lirici: la motivazione sottesa al mutamento di veste giuridica, 
da pubblica a privata, si rinviene nel fine, dichiarato, di eliminare rigidit� 
organizzative e di attrarre conseguentemente finanziamenti privati. 

I giudici costituzionali espressamente affermano che �si ritiene, concordemente, 
che nonostante l�acquisizione della veste giuridica formale di �fondazioni 
di diritto privato�, tali soggetti conservino, pur dopo la loro trasformazione, 
una marcata impronta pubblicistica�. In questo modo si avvalora la tesi secondo 
la quale, le fondazioni, siano solo formalmente diventate soggetti di diritto privato, 
ma che le stesse, per il fine pubblico e di interesse generale perseguito, 
siano da considerare, sostanzialmente, soggetti di diritto pubblico. 

La sentenza n. 153 cit., prosegue rilevando che �gli indici della connotazione 
pubblica degli enti lirici sono, peraltro, molteplici e ravvisabili nella 
preminente rilevanza dello Stato nei finanziamenti, nel conseguente assogget


(12) A. BRUNI, La specialit� della disciplina del rapporto di lavoro presso gli enti lirico-sinfonici, 
in Rassegna Avvocatura dello Stato - n. 1/2014, p. 135. 


tamento al controllo della Corte dei conti, nel patrocinio dell�Avvocatura dello 
Stato, nell�inclusione nel novero degli organismi di diritto pubblico soggetti 
al Codice dei contratti pubblici�. 

Con tale pronuncia la Corte Costituzionale afferma chiaramente la natura 
pubblicistica degli Enti lirici (13) (anche dopo la loro trasformazione in Fondazioni) 
(14), e tale prevalenza pubblicistica si ripercuote, evidentemente, sulla 
disciplina dei rapporti di lavoro. 

Nonostante siano convincenti e ben strutturate le motivazioni della Corte 
Costituzionale (nella sent. n. 153 del 2011), e quindi la natura pubblicistica 
delle Fondazioni liriche sia, apparentemente, non controversa, � opportuno 
dare rilievo al cambiamento di orientamento operato dalla Corte di Cassazione 
nel 2014 (15). 

La Corte chiarisce che per effetto della trasformazione degli enti lirici in 
Fondazioni, queste ultime �non fanno pi� parte del complesso delle pubbliche 
amministrazioni�; secondo la Cassazione �la qualit� dell�ente, mutata da pubblica 
amministrazione a figura soggettiva privata, comporta la contestuale 
trasformazione della natura giuridica del rapporto di lavoro dipendente, che 
diventa un comune rapporto di lavoro subordinato, con salvezza di eventuali 
regole speciali dettate dalla normativa di trasformazione� (16). Facendo salve 
le eventuali norme speciali, rivolte alle istituzioni liriche, la Corte, pur riconoscendo 
la natura privatistica di tali enti privatizzati, ammette possano esistere 
norme di legge derogatorie rispetto alla disciplina di diritto comune. 

Il principio di diritto enunciato dalla Corte di Cassazione � il seguente: 
�la violazione delle altre disposizioni, e in particolare delle norme che prevedono 
la forma scritta ab substantiam e la specifica indicazione della causale, 
devono essere riportate nell�ambito della disciplina ordinaria del contratto a 
tempo determinato, con la conseguente conversione del rapporto in rapporto 
a tempo indeterminato.[�] L�art. 3 comma 6 non riguarda i vizi afferenti alla 
mancanza dell�atto scritto e alla insussistenza delle ipotesi tipiche ovvero delle 
ragioni di carattere produttivo che legittimano l�apposizione del termine�. 

Le fondazioni lirico-sinfoniche sono veri e propri soggetti giuridici 
�ibridi�, da un lato sono sottoposti alla disciplina del codice civile, come disposto 
dall�art. 1 comma 2 d.l. n. 345/2000; ma dall�atro permangono in capo 
ad essi vincoli di controllo e di organizzazione tipici degli enti pubblici. 

(13) Corte Cost. sent. n. 153/2011: �natura pubblica di tali enti - non controversa�. 

(14) Corte Cost., sent. n. 153/2011: �Sulla qualificazione in senso pubblicistico degli enti lirici, 
ancorch� privatizzati, si registra anche una sostanziale convergenza delle parti, nel solco peraltro di una 
giurisprudenza prevalente (Corte di cassazione, sezioni unite civili, sentenza n. 2637 del 2006; T.A.R. 
Liguria, sez. II, sentenza n. 230 del 2009; T.A.R. Sardegna, sez. II, sentenza n. 1051 del 2008)�. 
(15) Cassazione Sezione Lavoro sent. n. 5748 e 5749 del 12 marzo 2014; Cassazione civile, sez. 
lav., 20 marzo 2014, n. 6547. 


(16) Corte di Cassazione, Sezione Lavoro n. 5748 del 12 marzo 2014. 


Proprio in ragione delle peculiarit� della struttura organizzativa delle fondazioni 
e dei vincoli di controllo ai quali sono sottoposte, il legislatore, nel 
dettare la disciplina dei rapporti di lavoro, ha dovuto compiere un bilanciamento 
degli interessi in gioco: da un lato le esigenze dei prestatori di lavoro, 
ormai dipendenti di un soggetto giuridico formalmente privato; dall�altro la 
necessit� che le fondazioni operino nel rispetto di vincoli di spesa evitando di 
concorrere all�indebitamento delle casse dello Stato. Sono queste le ragioni 
che hanno spinto il legislatore a prevedere una disciplina �speciale� da applicarsi 
ai rapporti di lavoro presso le fondazioni lirico-sinfoniche. 

Nonostante le intenzioni del legislatore delle privatizzazioni fossero apprezzabili, 
va rilevato che la gestione privatistica delle fondazioni non ha condotto 
ai risultati sperati; i deficit dei bilanci delle fondazioni hanno continuato 
a crescere portando il settore verso situazioni finanziarie sempre peggiori. 

� in questo contesto socio-economico che si innesta il d.l. n. 64 del 
2010, recante �disposizioni urgenti in materia di spettacolo e attivit� culturali�. 
La finalit� perseguita dall�intervento legislativo � di dettare una disciplina 
specifica per le fondazioni liriche, considerando non adeguati gli 
strumenti privatistici fino a quel momento adottati, ed intervenendo maggiormente 
sulla disciplina dei rapporti di lavoro considerata complice del-
l�indebitamento delle fondazioni. 

Il legislatore, dopo aver emanato il decreto n. 64 cit., interviene nuovamente 
nel settore sinfonico attraverso un decreto legge ricco di novit� nel-
l�ambito della gestione e dell�organizzazione delle fondazioni (17). 

La legge n. 112 del 2013, al fine di contenere la spesa delle fondazioni, introduce 
un�importante disposizione, con la quale prevede che �il contratto di 
lavoro subordinato a tempo indeterminato presso le fondazioni lirico-sinfoniche 
� instaurato esclusivamente a mezzo di apposite procedure selettive pubbliche�. 

Torna in auge l�orientamento dottrinale e giurisprudenziale, pi� volte citato, 
che riconosce carattere meramente formale, e non anche sostanziale, alla 
privatizzazione operata a favore degli enti lirici. 

Ci� che maggiormente caratterizza la disciplina del lavoro applicabile 
alle fondazioni, in deroga a quanto previsto nel diritto comune, � il divieto di 
conversione di contratti a termine viziati in contratti a tempo indeterminato, 
come stabilito dall�art. 22 commi 1 e 2, d.lgs. n. 367/1996. 

Nonostante la sottoposizione dei rapporti di lavoro alla disciplina del lavoro 
privato, le peculiari finalit� di rilevante interesse generale perseguite, e la 
struttura organizzativa delle fondazioni, hanno evidenziato la necessit� di prevedere 
un sistema che, da un lato, tutelasse i lavoratori delle fondazioni, ma 
dall�altro, tenesse conto della rilevanza pubblicistica di tali soggetti giuridici. 

Il decreto n. 367 cit. ha espressamente vietato l�applicazione delle norme 

(17) Viene emanato il d.l. n. 91 del 2013, convertito in legge n. 112 del 2013. 


riguardanti la conversione dei contratti a termine viziati (18), e ci� in ossequio 
dei principi costituzionali di buon andamento, imparzialit� ed efficienza del-
l�apparato amministrativo (ex art. 97 Cost.), a cui le fondazioni liriche sono 
tutt�ora assoggettate in ragione delle particolari finalit� di diffusione ed espansione 
dell�arte musicale. 

Il successivo d.lgs. n. 368 del 2001, concordemente con quanto previsto 
dalla previgente disciplina, nel modificare l�istituto del contratto a tempo determinato, 
si occupa espressamente delle fondazioni lirico-sinfoniche. L�art. 
11 comma 4 decreto n. 368 cit. afferma �al personale artistico e tecnico delle 
fondazioni di produzione musicale previste dal decreto legislativo 29 giugno 
1996, n. 367, non si applicano le norme di cui agli articoli 4 e 5�. 

Gli appena citati artt. 4 e 5 si occupano delle proroghe, i rinnovi e la successione 
nei contratti a tempo determinato, prevedendo, in caso di violazione 
della disciplina dettata, la sanzione della conversione del contratto a tempo 
determinato viziato in contratto di lavoro a tempo indeterminato. 

In questo quadro normativo si inserisce il d.l. n. 64 del 2010 che modifica 
in parte la disciplina del personale e della contrattazione collettiva delle fondazioni 
liriche. 

L� art. 3, comma 6, del decreto n. 64, con l�intento di dirimere le controversie 
riguardanti le violazioni dei contratti a termine stipulati dalle fondazioni, 
afferma testualmente: �alle fondazioni lirico-sinfoniche, fin dalla loro trasformazione 
in soggetti di diritto privato, continua ad applicarsi l'articolo 3, 
quarto e quinto comma, della legge 22 luglio 1977, n. 426, e successive modificazioni, 
anche con riferimento ai rapporti di lavoro instaurati dopo la loro 
trasformazione in soggetti di diritto privato e al periodo anteriore alla data 
di entrata in vigore del decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 368�. 

Se da un lato, per le fondazioni lirico-sinfoniche, si ritiene pacifica la non 
conversione dei contratti a termine in caso di violazione delle norme riguardanti 
le proroghe e i rinnovi dei medesimi contratti, come previsto da numerose 
disposizioni legislative (19); dall�altro, ci si chiede se il d.l. n. 64 cit., 
abbia voluto ampliare l�area della non conversione, anche per il passato, ricomprendendovi 
ipotesi di nullit� genetica dei contratti a termine (20). 

La Corte Costituzionale, con la recentissima sentenza dell�11 dicembre 
2015 n. 260, � intervenuta in merito alla legittimit� costituzionale dell�art. 3 
comma 6 d.l. n. 64 del 2010. 

(18) Art. 22 d.lgs. n. 367/1996: � Al personale artistico e tecnico della fondazione non si applicano 
le disposizioni dell'art. 2 della legge 18 aprile 1962, n. 230�. 

(19) Art. 22, comma 2, d.lgs. n. 367/1996; art. 11, comma 4, d.lgs. n. 368/2001. 
(20) Si pensi alla mancanza della forma scritta ab substantiam del contratto a termine. 



2. Sentenza Corte Costituzionale n. 260 del 2015. 

L�art. 3 comma 6 d.l. n. 64/2010 statuisce �Alle fondazioni lirico-sinfoniche, 
fin dalla loro trasformazione in soggetti di diritto privato, continua ad 
applicarsi l'articolo 3, quarto e quinto comma, della legge 22 luglio 1977, n. 
426, e successive modificazioni, anche con riferimento ai rapporti di lavoro 
instaurati dopo la loro trasformazione in soggetti di diritto privato e al periodo 
anteriore alla data di entrata in vigore del decreto legislativo 6 settembre 
2001, n. 368�. Parte della dottrina e della giurisprudenza (21) ha ritenuto che 
tale disposizione fosse interpretabile nel senso di ritenere insussistente la conversione 
dei contratti a termine, in caso di qualsiasi violazione delle norme 
imperative; altro orientamento, invece, ha ritenuto che la disposizione di legge 
facesse riferimento alle sole ipotesi di violazione delle norme sui contratti a 
termine riguardanti proroghe e rinnovi (22). 

La corte d�appello di Palermo, nel 2010, applicando l�art. 3 comma 6, ha 
ritenuto che il termine <<rinnovi >> �potesse ingannare l�interprete, suggerendo 
una qualificazione in senso tecnico dello stesso�, conducendo alla erronea 
conclusione secondo la quale il divieto di conversione deve ritenersi 
limitato alle sole ipotesi di violazione delle norme sulle proroghe o sulla successione 
dei contratti; secondo la Corte, invece, il termine va interpretato in 
senso �atecnico� ricomprendendovi qualsiasi violazione della disciplina dettata 
per il lavoro a tempo determinato (23). 

Di avviso diametralmente opposto � la Corte di Cassazione la quale, con la 
sentenza n. 11573 del 2011 afferma che, l�art. 3 decreto n. 64 cit., � in linea di 
continuit� con quanto previsto dalle previgenti discipline: tale articolo conferma 
l�inapplicabilit�, alle Fondazioni liriche, della disciplina sui rinnovi dei contratti 
a termine, ma riguarda solo l�aspetto dei rinnovi, e non anche qualsiasi violazione 
di disposizioni imperative riguardanti l'assunzione o l'impiego di lavoratori a 
tempo determinato (24), il termine �rinnovo� va inteso dunque in senso tecnico. 

In questo quadro di incertezze interpretative che, nella pratica, hanno condizionato 
vistosamente l�applicabilit� della norma (art. 3 comma 6 d.l. n. 
64/2010), il legislatore interviene fornendo un�interpretazione autentica del-
l�art. 3, ad opera dell�art. 40 comma 1-bis d.l. n. 69/2013. 

(21) A. BRUNI, La specialit� della disciplina del rapporto di lavoro presso gli enti lirico-sinfonici, 
in Rassegna Avvocatura dello Stato - n. 1/2014; Corte d�appello Palermo n. 2124/2010; Tribunale di 
Sciacca sentt. n. 252 e 253 del 2014. 
(22) Corte d�appello Firenze n. 234/2014; Cassazione n. 5748 e 6547 del 2014. 
(23) Corte d�appello Palermo n. 2124/2010. 




(24) Corte di Cassazione n. 5748/2014: �La specialit� della disciplina del contratto a tempo determinato 
del personale delle fondazioni liriche - che invece, per il resto, � interamente sottoposto alla 
disciplina del codice civile - � dunque limitata all�inapplicabilit� delle disposizioni relative alle proroghe 
e ai rinnovi, come gi� prevedeva l�art. 3 legge n. 426/1977, quindi l�art. 2 legge n. 230/1962 e, infine, 
l�art. 11 d.lgs. n. 368/2001�. 



L�art. 40, comma 1-bis, d.l. n. 69 del 2013, afferma: �l'articolo 3, comma 6, 
primo periodo, del decreto-legge 30 aprile 2010, n. 64, convertito, con modificazioni, 
dalla legge 29 giugno 2010, n. 100, si interpreta nel senso che alle fondazioni, 
fin dalla loro trasformazione in soggetti di diritto privato, non si applicano le disposizioni 
di legge che prevedono la stabilizzazione del rapporto di lavoro come 
conseguenza della violazione delle norme in materia di stipulazione di contratti di 
lavoro subordinato a termine, di proroga o di rinnovo dei medesimi contratti�. 

L'esigenza del legislatore di introdurre una norma interpretativa, scaturisce 
da una giurisprudenza estesa su tutto il territorio nazionale, che ha inteso 
in senso restrittivo il divieto di stabilizzazione sancito nel 2010, limitandolo 
alle ipotesi dei rinnovi. Il legislatore imputa alla giurisprudenza di avere travisato 
il senso del d.l. n. 64 del 2010, che intendeva evitare la stabilizzazione 
dei rapporti di lavoro in un settore gravato da forte crisi economica. 

Invero, la lettura ampia data in sede di interpretazione autentica � quella 
che meglio si concilia con la disciplina complessiva della materia (e, quindi, 
pi� compiutamente ne realizza i fini) e che appare pi� coerente con le peculiarit� 
del rapporto di lavoro alle dipendenze delle fondazioni. 

Proprio in ragione degli orientamenti giurisprudenziali dissonanti e dei 
contrasti nati sull�interpretazione dell�art. 3 comma 6 d.l. n. 64/2010, sono 
state sollevate questioni di illegittimit� costituzionale dell�art. 40 comma 1bis 
d.l. n. 69 del 2013, ritenendo che lo stesso non sia di interpretazione autentica, 
bens� innovativo, con portata retroattiva, e che la sua valenza per il 
passato violi il legittimo affidamento che i lavoratori delle fondazioni liriche 
hanno preposto nella previgente disciplina. 

La sentenza, Corte Costituzionale n. 260 del 2015, affronta le questioni 
sollevate, effettuando una ricostruzione sistematica delle norme di legge susseguitesi 
negli anni e individuando la disciplina applicabile ai contratti a tempo 
determinato stipulati dalle fondazioni lirico-sinfoniche. 

In prima approssimazione, la Corte ritiene che la norma ex art. 40 comma 
1-bis, non possa legittimamente ritenersi di interpretazione autentica, dal momento 
che, non solo interpreta quanto statuito dall�art. 3 comma 6 d.l. n. 
64/2010, ma amplia l�area della non convertibilit� ritenendo che in nessun 
caso i contratti a termine delle fondazioni liriche possano essere trasformati 
in contratti a tempo indeterminato, neanche in caso di vizi genetici: �La norma 
impugnata non attribuisce alla legge che intende interpretare (decreto-legge 
30 aprile 2010, n. 64, recante �Disposizioni urgenti in materia di spettacolo 
e attivit� culturali� e convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della 
legge 29 giugno 2010, n. 100) un senso riconducibile alle possibili letture del 
testo originario e vanifica l'affidamento ragionevole dei consociati, avvalorato 
dall'orientamento costante della giurisprudenza di legittimit�� (25). 

(25) Corte Costituzionale n. 260 del 2015. 


I giudici costituzionali sentono l�esigenza di salvaguardare le aspettative 
dei lavoratori interpretando in modo restrittivo quanto previsto dall�art. 3 
comma 6 d.l. n. 64/2010. 

Il percorso argomentativo seguito dalla Corte Costituzionale parte dal-
l�analisi dell�art. 22 d.lgs. n. 367/1996 e prosegue con l�analisi dell�art. 11 
d.lgs. n. 368 del 2001, mettendo in evidenza come nella previgente disciplina 
le uniche deroghe ammissibile per i contratti a termine delle fondazioni liriche, 
fossero contenute nelle norme riguardanti le proroghe e i rinnovi dei medesimi 
contratti. In tale contesto normativo si inserisce il d.l. n. 64 del 2010, ad avviso 
della Corte Costituzionale tale decreto conferma quanto gi� stabilito in precedenza, 
accordando, quale unica deroga ammissibile, la mancata conversione 
dei contratti a termine in caso di violazione delle norme sui rinnovi e le proroghe 
dei contratti stessi. 

La Corte afferma che �nel sancire che il divieto di conversione dei contratti 
a tempo determinato in contratti a tempo indeterminato non � circoscritto 
alla materia dei rinnovi e a quella connessa delle proroghe, ma investe 
ogni ipotesi di �violazione delle norme in materia di stipulazione di contratti 
di lavoro subordinato a termine�, la norma impugnata non enuclea una plausibile 
variante di senso dell'art. 3, comma 6, primo periodo, del d.l. n. 64 del 
2010�: cos� esorbitando dallo spazio dell�interpretazione e giungendo a quello 
dell�innovazione, l�art. 40 comma 1-bis d.l. n. 69 del 2013 non pu� ottenere il 
consenso della Corte Costituzionale. Ne viene, appunto, dichiarata l�illegittimit� 
costituzionale poich� �nell'estendere il divieto di conversione del contratto 
a tempo determinato oltre i confini originariamente tracciati, includendo 
anche l'ipotesi di un vizio genetico del contratto a tempo determinato, la 
norma pregiudica un aspetto fondamentale delle tutele accordate dall'ordinamento 
ai rapporti di lavoro, in un contesto gi� connotato in senso marcatamente 
derogatorio rispetto al diritto comune. La norma, oggetto di 
interpretazione, contiene un riferimento specifico ai rinnovi dei contratti a 
termine. Secondo il significato proprio delle parole, che � canone ermeneutico 
essenziale (art. 12 delle disposizioni sulla legge in generale), il vocabolo "rinnovo" 
evoca un concetto diverso rispetto a quello dell'illegittimit� del termine, 
apposto al primo contratto� (26). 

3. Corretta lettura interpretativa della sent. Corte Cost. n. 260 del 2015. 

Alla luce di questa recentissima sentenza della Corte Costituzionale, � 
opportuno riflettere sulle motivazioni che hanno spinto i giudici delle leggi ad 
una siffatta pronuncia. 

La sentenza n. 260 cit. statuisce che in caso di violazione delle norme sul 
lavoro a tempo determinato nelle fondazioni lirico-sinfoniche, la sanzione � as


(26) Corte Costituzionale n. 260 del 2015. 


similabile a quella prevista nel settore pubblico, pertanto, non � possibile la conversione 
del contratto a termine viziato, ma tale inconvertibilit� incontra dei limiti: 
solo nel caso in cui la violazione inerisca alla disciplina delle proroghe, i rinnovi 

o la durata del contratto, quest�ultimo non sar� convertibile; qualora la violazione 
inerisca a vizi genetici, il contratto si trasformer� a tempo indeterminato. 

Il momento storico ed economico nel quale tale sentenza si colloca ha 
avuto un ruolo fondamentale: la disoccupazione, il precariato e la situazione 
di crisi economica che attraversa il nostro paese hanno reso necessario un intervento 
della Corte a favore dei prestatori di lavoro, che accordasse loro una 
tutela residuale che il legislatore voleva negargli. 

� sicuramente apprezzabile la volont� della Corte Costituzionale di voler 
apprestare garanzie ai lavoratori del settore lirico, settore nel quale, negli anni, 
l�utilizzo delle forme contrattuali flessibili ha conosciuto un vero e proprio 
abuso; probabilmente, per�, i giudici delle leggi, avrebbero dovuto tenere in 
debita considerazione, anche la situazione economica e finanziaria in cui versano 
le fondazioni lirico-sinfoniche. 

� opportuno segnalare che la sentenza in oggetto, nulla dice a riguardo 
della natura giuridica delle fondazioni liriche, non si pone il problema della 
specialit� dell�attivit� posta in essere da questi soggetti giuridici, equiparandoli 
ad un qualsiasi datore di lavoro privato. 

Senza dubbio la sentenza n. 260 del 2015 incider� profondamente sulle 
finanze delle fondazioni, finanziamenti posti prevalentemente a carico dello 
Stato, obbligando le medesime fondazioni ad inserire nel proprio organico personale 
a tempo indeterminato anche in mancanza di effettive necessit� o delle 
professionalit� richieste. 

La problematica riguardante la situazione finanziaria delle fondazioni liriche 
non � di poco conto, soprattutto alla luce della disciplina introdotta della 
legge n. 112 del 2013. �Al fine di fare fronte allo stato di grave crisi del settore 
e di pervenire al risanamento delle gestioni e al rilancio delle attivit� delle 
fondazioni lirico-sinfoniche� (27), gli enti di cui al decreto legislativo 29 giugno 
1996, n. 367, e successive modificazioni, che non possano far fronte ai 
debiti certi ed esigibili, ovvero che siano stati in regime di amministrazione 
straordinaria nel corso degli ultimi due esercizi, devono presentare un piano 
di risanamento che interviene su tutte le voci di bilancio e in grado di riportare 
in tre anni la fondazione in condizioni di attivo patrimoniale e di equilibrio 
del conto economico (28). 

Ci� che pi� preoccupa, � il regime sanzionatorio predisposto nel caso in 

(27) Art. 11 comma 1 legge n. 112 del 2013 (legge Bray). 

(28) Tale piano deve prevedere la riduzione fino al 50% del personale tecnico e amministrativo 
in organico al 31 dicembre 2012, una razionalizzazione del personale artistico nonch� la cessazione del-
l�efficacia dei contratti integrativi aziendali in vigore e, per quanto riguarda gli stipendi, l�applicazione 
del minimo sindacale. 


cui le fondazioni, entro il 2016, non riescano a raggiungere �condizioni di 
equilibrio strutturale del bilancio, sia sotto il profilo patrimoniale che economico-
finanziario� (29): tali fondazione verranno poste in liquidazione coatta 
amministrativa. La Corte Costituzionale del 2015 avrebbe dovuto tener conto 
di tale disposizione e delle conseguenze sanzionatorie, dal momento che, a seguito 
della pronuncia n. 260, le fondazioni saranno costrette ad inserire nel 
proprio organico personale a tempo indeterminato sulla base di pronunce giudiziali, 
senza poter preventivare i costi che effettivamente dovranno sostenere. 

Quanto statuito dalla legge Bray n. 112 del 2013, secondo la quale �il 
contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato presso le fondazioni 
lirico-sinfoniche � instaurato esclusivamente a mezzo di apposite procedure 
selettive pubbliche� (30), mal si concilia con la pronuncia della Corte Costituzionale 
che ammette l�ingresso dei lavoratori nelle fondazioni a seguito di 
pronunce giudiziali. La regola del pubblico concorso per l�accesso al lavoro 
nelle fondazioni lirico-sinfoniche, sancito dalla legge n. 112 cit., riapre una 
porta che sembrava ormai chiusa. Torna ad essere centrale il problema del-
l�esatta qualificazione giuridica degli ex-enti lirici, ci si chiede se il legislatore, 
introducendo la disposizione in esame, abbia voluto consolidare la sostanziale 
natura pubblicistica delle fondazioni, oppure abbia esclusivamente cercato di 
porre un freno all�aumento della spesa delle fondazioni medesime. 

Si auspica che i giudici di merito possano cogliere la raffinata sfumatura 
di significato della sentenza n. 260 evitando di fare �di tutta l�erba un fascio�, 
ma si dovr� attendere ancora qualche anno affinch� si possa valutare l�impatto 
pratico di questa recente pronuncia della Corte Costituzionale. Nel contempo 
si attende un intervento del legislatore che si faccia al pi� presto carico di 
tale delicata situazione, con il prioritario obiettivo di trovare un punto di equilibrio 
tra le esigenze in gioco: da un lato, salvaguardando i lavoratori precari 
bisognosi di certezze e troppo spesso sfruttati; dall�altro tutelando le finalit� 
delle fondazioni ed evitando che spiacevoli conseguenze ricadano, inficiandole, 
sull�arte musicale e teatrale di cui le fondazioni lirico-sinfoniche sono 
espressione. 

Corte Costituzionale, sentenza 11 dicembre 2015 n. 260 -Pres. Cartabia, Red. Sciarra Giudizio 
di legittimit� costituzionale promosso dalla Corte d�appello di Firenze nel procedimento 
vertente tra la Fondazione Teatro Maggio Musicale Fiorentino e M.M.G. 

Ritenuto in fatto 

1.� Con ordinanza del 18 settembre 2014, iscritta al n. 234 del registro ordinanze 2014, la 

(29) Art. 11 comma 14 legge n. 112 del 2013. 
(30) Art. 11 comma 19 legge n. 112 del 2013. 



Corte d�appello di Firenze ha sollevato questione di legittimit� costituzionale dell�art. 40, 
comma 1-bis, del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69 (Disposizioni urgenti per il rilancio 
dell�economia), convertito, con modificazioni, dall�art. 1, comma 1, della legge 9 agosto 2013, 

n. 98, prospettando la violazione degli artt. 3, primo comma, e 117, primo comma, della Costituzione, 
quest�ultimo in relazione agli artt. 6 e 13 della Convenzione europea per la salvaguardia 
dei diritti dell�uomo e delle libert� fondamentali (CEDU), firmata a Roma il 4 
novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848. 

La norma impugnata prevede che �L�articolo 3, comma 6, primo periodo, del decreto-legge 
30 aprile 2010, n. 64, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 giugno 2010, n. 100, si 
interpreta nel senso che alle fondazioni, fin dalla loro trasformazione in soggetti di diritto privato, 
non si applicano le disposizioni di legge che prevedono la stabilizzazione del rapporto 
di lavoro come conseguenza della violazione delle norme in materia di stipulazione di contratti 
di lavoro subordinato a termine, di proroga o di rinnovo dei medesimi contratti�. 

La Corte d�appello fiorentina espone di dover decidere sul gravame che la Fondazione Teatro 
Maggio Musicale Fiorentino ha proposto contro la sentenza pronunciata dal Tribunale ordinario 
di Firenze, in funzione di giudice del lavoro, nella controversia che ha contrapposto 
l�appellante a M.M.G., �tersicorea di fila con obbligo di solista�, lavoratrice della fondazione 
in virt� di �34 contratti temporanei a partire dal 3.6.1997 e poi reiterati negli anni, (altri 7) 
anche nel corso del giudizio stesso�. 

Il giudice di primo grado, con la sentenza impugnata, ha dichiarato la nullit� del termine 
apposto al contratto del 9 gennaio 2001, ha accertato che tra le parti si era instaurato, dal 9 gennaio 
2001, un rapporto di lavoro a tempo indeterminato, con inquadramento della ricorrente 
nel sesto e poi nel quinto livello del contratto collettivo nazionale, e ha condannato la fondazione, 
in base all�art. 32, comma 5, della legge 4 novembre 2010, n. 183 (Deleghe al Governo 
in materia di lavori usuranti, di riorganizzazione di enti, di congedi, aspettative e permessi, di 
ammortizzatori sociali, di servizi per l�impiego, di incentivi all�occupazione, di apprendistato, 
di occupazione femminile, nonch� misure contro il lavoro sommerso e disposizioni in tema di 
lavoro pubblico e di controversie di lavoro), al pagamento dell�indennit� onnicomprensiva di 
sei mensilit� dell�ultima retribuzione globale, con rivalutazione monetaria e interessi legali. 

Tale decisione si fonda sull�illegittimit� dell�apposizione del termine a un contratto carente 
di una �reale, coerente e dimostrata esigenza di temporaneit��. 

La Corte d�appello, investita del gravame della fondazione, afferma, in primo luogo, la natura 
privatistica dei rapporti di lavoro intercorsi tra le parti. 

Da tale affermazione discende l�infondatezza del richiamo al divieto di stabilizzazione vigente 
nellՈmbito del lavoro pubblico (art. 36 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, recante 
�Norme generali sull�ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche�). 

Sulla scorta di tale rilievo e della giurisprudenza di legittimit� in tema di contratti a termine 
delle fondazioni lirico-sinfoniche (fra le molte, Corte di cassazione, sezione lavoro, sentenza 
12 marzo 2014, n. 5748), la Corte rimettente conclude che le statuizioni del Tribunale resistono 
alle doglianze dell�appellante. 

Il giudice d�appello, nel condividere l�apprezzamento del giudice di prime cure, ribadisce 
che la ricorrente � stata assunta allo scopo di �assicurare l�espletamento della ordinaria programmazione 
del Teatro senza riferimento a specifici spettacoli e anche al di fuori dell�impegno 
originariamente preventivato�. 

Alla conversione del contratto a termine in contratto a tempo indeterminato si frappone 
l�ostacolo della norma impugnata, che, sotto la parvenza interpretativa, interviene - con va



lenza retroattiva - a privare del diritto alla stabilizzazione del rapporto di lavoro quei soggetti 
che gi� avevano conseguito una pronuncia favorevole. 

Tali considerazioni, ad avviso della Corte rimettente, confermano la rilevanza della questione. 


In punto di non manifesta infondatezza, la Corte d�appello argomenta che la disciplina censurata 
si indirizza a un numero ristretto di lavoratori �ben individuabili nominativamente�, discriminati 
senza alcuna giustificazione rispetto alla generalit� dei lavoratori del settore privato, 
che beneficiano della tutela pi� ampia prevista, in materia di contratti a termine, dal decreto 
legislativo 6 settembre 2001, n. 368 (Attuazione della direttiva 1999/70/CE relativa all�accordo 
quadro sul lavoro a tempo determinato concluso dall�UNICE, dal CEEP e dal CES). 

La norma impugnata non attribuisce alla legge che intende interpretare (decreto-legge 30 
aprile 2010, n. 64, recante �Disposizioni urgenti in materia di spettacolo e attivit� culturali� 
e convertito, con modificazioni, dall�art. 1, comma 1, della legge 29 giugno 2010, n. 100) un 
senso riconducibile alle possibili letture del testo originario e vanifica l�affidamento ragionevole 
dei consociati, avvalorato dall�orientamento costante della giurisprudenza di legittimit�. 

Tali caratteristiche pongono la norma in antitesi con i princ�pi di eguaglianza e di ragionevolezza 
e concorrono a configurare un�ingerenza indebita del potere legislativo nell�amministrazione 
della giustizia, in mancanza di motivi imperativi d�interesse generale, incompatibili 
con il carattere privato delle fondazioni. 

2.� Nel giudizio � intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso 
dall�Avvocatura generale dello Stato, e ha chiesto di respingere, in quanto infondata, la questione 
di legittimit� costituzionale. 

La difesa dello Stato replica che la disciplina impugnata ha natura interpretativa, in quanto 
isola una delle varianti di senso (il divieto generale di stabilizzazione dei rapporti irregolari), 
coerente con la finalit� di contenere la spesa pubblica e con le peculiarit� di un settore contraddistinto 
da un�attivit� stagionale. 

A dire dell�Avvocatura generale dello Stato, la norma censurata rinviene la sua ragion d�essere 
nella spiccata impronta pubblicistica delle fondazioni lirico-sinfoniche, sovvenzionate in 
misura prevalente dallo Stato e dagli enti locali, qualificabili, anche alla luce della giurisprudenza 
costituzionale (sentenza n. 153 del 2011), come organismi nazionali di diritto pubblico. 

Non si potrebbe istituire, pertanto, alcun raffronto tra i rapporti di lavoro instaurati dalle 
fondazioni e i rapporti di lavoro che intercorrono con gli imprenditori privati. 

Inoltre, i ragguardevoli disavanzi di esercizio del settore integrano �razionali e congrue 
motivazioni di spiccato rilievo pubblicistico�, idonee a giustificare l�introduzione di un assoluto 
divieto di conversione dei contratti a termine in contratti a tempo indeterminato. 

Considerato in diritto 

1.� La Corte d�appello di Firenze dubita della legittimit� costituzionale dell�art. 40, comma 
1-bis, del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69 (Disposizioni urgenti per il rilancio dell�economia), 
convertito, con modificazioni, dall�art. 1, comma 1, della legge 9 agosto 2013, n. 98, 
e denuncia il contrasto della norma impugnata con gli artt. 3, primo comma, e 117, primo 
comma, della Costituzione, quest�ultimo in relazione agli artt. 6 e 13 della Convenzione europea 
per la salvaguardia dei diritti dell�uomo e delle libert� fondamentali (CEDU), firmata 
a Roma il 4 novembre 1950 ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848. 

La norma censurata, che dichiara di interpretare l�art. 3, comma 6, primo periodo, del de-
creto-legge 30 aprile 2010, n. 64 (Disposizioni urgenti in materia di spettacolo e attivit� cul



turali), convertito, con modificazioni, dall�art. 1 comma 1, della legge 29 giugno 2010, n. 100, 
vieta di convertire i contratti di lavoro a termine delle fondazioni lirico-sinfoniche in contratti 
a tempo indeterminato, in conseguenza delle violazioni delle norme sulla stipulazione dei 
contratti, sulle proroghe e sui rinnovi. 

Con particolare riguardo alla fattispecie di illegittima apposizione del termine al primo 
contratto, la Corte rimettente ravvisa una portata retroattiva della disciplina, dietro lo schermo 
dell�enunciata natura interpretativa, e assume che tale retroattivit� contravvenga ai princ�pi 
di eguaglianza e di ragionevolezza (art. 3, primo comma, Cost.) e leda il diritto a un processo 
equo, consacrato anche dalla fonte convenzionale. 

La normativa impugnata, carente di motivi imperativi d�interesse generale, frustrerebbe 
l�affidamento legittimo dei consociati e si tradurrebbe in un�arbitraria ingerenza nell�esercizio 
della funzione giurisdizionale, discriminando, senza alcuna ragionevole giustificazione, i lavoratori 
delle fondazioni lirico-sinfoniche rispetto agli altri lavoratori del settore privato. 

2.� Sul presente giudizio non incide la nuova disciplina in tema di contratti a tempo determinato 
delle fondazioni di produzione musicale, introdotta dal decreto legislativo 15 giugno 
2015, n. 81 (Disciplina organica dei contratti di lavoro e revisione della normativa in tema di 
mansioni, a norma dell�articolo 1, comma 7, della legge 10 dicembre 2014, n. 183). 

Per effetto dell�art. 57, tale disciplina (artt. 23, comma 3, e 29, comma 3) si applica soltanto 
dal 25 giugno 2015, giorno successivo a quello della pubblicazione del decreto nella Gazzetta 
Ufficiale della Repubblica italiana, e pertanto non concerne i diritti sorti nel vigore della normativa 
antecedente. 

Le novit� normative non dispiegano alcuna influenza sul giudizio in corso, n� alterano i 
termini della questione. La Corte rimettente non deve, dunque, rinnovare la valutazione di rilevanza 
(sentenza n. 205 del 2015, con riguardo alle novit� apportate, con una norma transitoria 
di identico tenore, dal coevo decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 80, recante �Misure 
per la conciliazione delle esigenze di cura, di vita e di lavoro, in attuazione dell'articolo 1, 
commi 8 e 9, della legge 10 dicembre 2014, n. 183�). 

3.� La questione � fondata. 

4.� La norma impugnata deve essere esaminata in una prospettiva diacronica, in ragione 
dei molteplici interventi legislativi che si sono succeduti. 

4.1.� Occorre prendere le mosse dall�art. 3, comma 6, del d.l. n. 64 del 2010, come convertito, 
che al primo periodo cos� recita: �Alle fondazioni lirico-sinfoniche, fin dalla loro trasformazione 
in soggetti di diritto privato, continua ad applicarsi l�articolo 3, quarto e quinto comma, 
della legge 22 luglio 1977, n. 426, e successive modificazioni, anche con riferimento ai rapporti 
di lavoro instaurati dopo la loro trasformazione in soggetti di diritto privato e al periodo anteriore 
alla data di entrata in vigore del decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 368�. 

L�art. 3 della legge 22 luglio 1977, n. 426 (Provvedimenti straordinari a sostegno delle attivit� 
musicali), cui si fa riferimento nel d.l. n. 64 del 2010, vietava �i rinnovi dei rapporti di 
lavoro che, in base a disposizioni legislative o contrattuali, comporterebbero la trasformazione 
dei contratti a termine in contratti a tempo indeterminato� (terzo comma) e sanciva la nullit� 
di diritto delle assunzioni attuate in violazione di tale divieto (quarto comma). 

La legge n. 426 del 1977 ha come retroterra l�assetto normativo che attribuiva la personalit� 
giuridica di diritto pubblico agli enti di prioritario interesse nazionale chiamati ad operare nel 
settore musicale (art. 5, primo comma, della legge 14 agosto 1967, n. 800, in tema di �Nuovo 
ordinamento degli enti lirici e delle attivit� musicali�). 

Tale diverso assetto d� conto delle deroghe alla disciplina generale, racchiusa nella legge 


18 aprile 1962, n. 230 (Disciplina del contratto di lavoro a tempo determinato), cos� come 
successivamente modificata, e, in particolare, della scelta di sottrarre gli enti lirici all�applicazione 
dell�art. 2 della legge n. 230 del 1962, in tema di proroghe e rinnovi (Consiglio di 
Stato, sezione sesta, decisione 23 marzo 1998, n. 352). 

Nel 2010 il legislatore si muove in un contesto profondamente mutato. 

Il decreto legislativo 29 giugno 1996, n. 367 (Disposizioni per la trasformazione degli enti 
che operano nel settore musicale in fondazioni di diritto privato) ha disposto la trasformazione 
degli enti di prioritario interesse nazionale, che operano nel settore musicale, in fondazioni di 
diritto privato (art. 1) e a tali fondazioni ha conferito una �personalit� giuridica di diritto privato� 
(art. 4). La scelta di assoggettare i rapporti di lavoro dei dipendenti delle fondazioni alle disposizioni 
del codice civile e a una regolamentazione di matrice contrattuale (art. 22, comma 1) � 
coerente con le nuove previsioni, efficaci a partire dal 23 maggio 1998 (art. 1 del decreto-legge 
24 novembre 2000, n. 345, recante �Disposizioni urgenti in tema di fondazioni lirico-sinfoniche
�, convertito, con modificazioni, dall�art. 1, comma 1, della legge 26 gennaio 2001, n. 6). 

Il d.l. n. 64 del 2010, in un disegno complessivo improntato all�esigenza di razionalizzare 
la spesa, ha dettato, per un verso, disposizioni di carattere generale, innovando la disciplina 
dei contratti a tempo determinato delle fondazioni, e, per altro verso, disposizioni legate alla 
situazione contingente e alle questioni controverse, insorte nella transizione dal regime di diritto 
pubblico a quello eminentemente privatistico. 

Quanto al primo profilo, il legislatore, pur confermando la necessit� di un concreto riferimento 
dei contratti di scrittura artistica a specifiche attivit� artistiche espressamente programmate 
(art. 3, comma 6, secondo periodo), delinea una disciplina derogatoria per i contratti a 
tempo determinato delle fondazioni lirico-sinfoniche e le dispensa dall�osservare le disposizioni 
dell�art. 1, commi 1 e 2, del decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 368 (Attuazione della direttiva 
1999/70/CE relativa all�accordo quadro sul lavoro a tempo determinato concluso dal-
l�UNICE, dal CEEP e dal CES), che individuano nel contratto di lavoro subordinato a tempo 
indeterminato la forma comune di rapporto di lavoro e sanciscono per l�apposizione del termine, 
a pena di inefficacia, l�obbligo della forma scritta (art. 3, comma 6, terzo periodo). 

Per quel che attiene al secondo aspetto, rilevante nel presente giudizio, il legislatore si propone 
di fugare i dubbi che avevano accompagnato l�approdo delle fondazioni al regime privatistico. 

Tali dubbi erano, peraltro, circoscritti entro un arco temporale che, dalla trasformazione 
degli enti lirici in soggetti di diritto privato (23 maggio 1998), si estendeva fino all�entrata in 
vigore delle nuove regole sui contratti a tempo determinato, introdotte con il d.lgs. n. 368 del 
2001 e finalizzate a evitarne l�abuso, in attuazione della direttiva comunitaria. 

La norma ha come orizzonte un periodo delimitato, come si desume dal dettato letterale, 
che opera un riferimento circostanziato ai rapporti di lavoro, instaurati dopo la trasformazione 
delle fondazioni in soggetti di diritto privato, e �al periodo anteriore alla data di entrata in vigore 
del decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 368�. 

Per tale periodo, entro cui la transizione delle fondazioni al regime privatistico si � compiuta, 
ma non ha ancora visto la luce la nuova disciplina dei contratti a tempo determinato 
(d.lgs. n. 368 del 2001), il legislatore ribadisce la perdurante vigenza delle norme sui rinnovi, 
dettate dalla legge n. 426 del 1977, funzionali a una regolamentazione pubblicistica, altrimenti 
superata, senza tale disposizione espressa, dall�applicazione delle regole del codice civile. 

4.2.� L�art. 40, comma 1-bis, del decreto-legge n. 69 del 2013, censurato nel presente giudizio, 
� stato introdotto nella fase di conversione ed � il frutto di un emendamento delle commissioni 
riunite in sede referente (emendamento n. 40.3). 


La norma, che ricalca la previsione gi� inserita nell�art. 11, comma 19, ultimo periodo, del 
decreto-legge 8 agosto 2013, n. 91 (Disposizioni urgenti per la tutela, la valorizzazione e il 
rilancio dei beni e delle attivit� culturali e del turismo), nel testo anteriore alla conversione, 
con modificazioni, disposta dall�art. 1, comma 1, della legge 7 ottobre 2013, n. 112, propone 
l�interpretazione autentica dell�art. 3, comma 6, primo periodo, del d.l. n. 64 del 2010. 

Il legislatore statuisce, per le fondazioni lirico-sinfoniche, un divieto assoluto di stabilizzazione 
del rapporto di lavoro �come conseguenza della violazione delle norme in materia 
di stipulazione di contratti di lavoro subordinato a termine, di proroga o di rinnovo 
dei medesimi contratti�. 

Come emerge dai lavori parlamentari e, in particolare, dalla relazione illustrativa del disegno 
di legge di conversione (A.S. n. 1014, XVII Legislatura) del d.l. n. 91 del 2013, il cui art. 11, 
comma 19, ultimo periodo, � l�antesignano della norma oggi impugnata, l�esigenza di introdurre 
una norma interpretativa scaturisce da una �giurisprudenza estesa su tutto il territorio nazionale
�, che ha inteso in senso restrittivo il divieto di stabilizzazione sancito nel 2010, limitandolo 
alle ipotesi dei rinnovi. Il legislatore imputa alla giurisprudenza di avere travisato il senso del 

d.l. n. 64 del 2010, �che intendeva evitare la stabilizzazione dei rapporti di lavoro�. 

Confliggerebbe, dunque, con tale ratio legis l�interpretazione restrittiva, che, gi� prima 
dell�intervento della norma di interpretazione, aveva ricevuto l�avallo della Corte nomofilattica 
(Corte di cassazione, sezione lavoro, sentenze 30 luglio 2013, n. 18263, e 26 maggio 2011, n. 
11573, che inaugurano un orientamento conforme, riferito alla norma interpretata ed espresso, 
fra le molte, pur dopo l�entrata in vigore della norma interpretativa, da Corte di cassazione, 
sezione lavoro, sentenze 19 maggio 2014, n. 10924, 12 maggio 2014, n. 10217, 27 marzo 
2014, n. 7243, 20 marzo 2014, n. 6547, 12 marzo 2014, n. 5748). 

5.� Nel sancire che il divieto di conversione dei contratti a tempo determinato in contratti 
a tempo indeterminato non � circoscritto alla materia dei rinnovi e a quella connessa delle 
proroghe, ma investe ogni ipotesi di �violazione delle norme in materia di stipulazione di 
contratti di lavoro subordinato a termine�, la norma impugnata non enuclea una plausibile 
variante di senso dell�art. 3, comma 6, primo periodo, del d.l. n. 64 del 2010 e dell�art. 3, 
quarto e quinto comma, della legge n. 426 del 1977. 

La norma, oggetto di interpretazione, contiene un riferimento specifico ai rinnovi dei contratti 
a termine. Secondo il significato proprio delle parole, che � canone ermeneutico essenziale 
(art. 12 delle disposizioni sulla legge in generale), il vocabolo �rinnovo� evoca un 
concetto diverso rispetto a quello dell�illegittimit� del termine, apposto al primo contratto. 

Se il rinnovo attiene alla successione dei contratti e all�aspetto dinamico del rapporto negoziale, 
la questione scrutinata nel giudizio principale verte su un vizio genetico, che inficia 
il contratto sin dall�origine. 

Non a caso, il legislatore esclude ogni equiparazione tra il rinnovo e l�illegittimit� originaria 
del termine nella disciplina dei contratti a tempo determinato. �Rinnovo� � termine tecnico, 
riscontrabile in tutta la legislazione sui contratti a tempo determinato, e approda inalterato 
fino agli sviluppi pi� recenti. 

L�autonomia concettuale dei rinnovi traspare da una trama, variegata e coerente, di disposizioni, 
i cui fili essenziali legano la legge n. 230 del 1962, che disciplina la materia all�art. 
2, al d.lgs. n. 368 del 2001, che al tema delle proroghe e della successione dei contratti dedica 
gli artt. 4 e 5, e, da ultimo, si allacciano al d.lgs. n. 81 del 2015, che menziona le proroghe e 
i rinnovi all�art. 21. 

Anche la disamina della disciplina di settore conferma tale autonomia concettuale e dimo



stra che � proprio nella regolamentazione delle proroghe e dei rinnovi che risiede la peculiarit� 
dei contratti a tempo determinato nelle fondazioni lirico-sinfoniche. 

L�intero assetto normativo � attraversato da questi princ�pi, che caratterizzano il corso della 
sua complessa evoluzione e trovano significativi elementi di conferma dapprima nell�art. 3, 
quarto e quinto comma, della legge n. 426 del 1977, tributaria del regime pubblicistico degli 
enti lirici, nell�art. 22, comma 2, del d.lgs. n. 367 del 1996, che esonera le fondazioni, oramai 
privatizzate, dall�osservanza delle disposizioni dell�art. 2 della legge n. 230 del 1962 sulle 
proroghe e sui rinnovi, in seguito nell�art. 11, comma 4, del d.lgs. n. 368 del 2001, che, su 
impulso della direttiva comunitaria, riproduce tale disposizione derogatoria nell�innovare la 
disciplina dei contratti a tempo determinato. 

Anche l�art. 29, comma 3, del d.lgs. n. 81 del 2015, ribadisce, con riguardo alle proroghe 
e alle successioni dei contratti, la disciplina derogatoria dei contratti a tempo determinato 
nelle fondazioni lirico-sinfoniche. 

Si pu� dunque affermare che la disciplina censurata attribuisce alla disposizione del d.l. n. 
64 del 2010 un contenuto precettivo dissonante rispetto al significato della parola �rinnovi�, 
accreditato da una costante elaborazione della giurisprudenza di legittimit�. 

Non si pu� ritenere, pertanto, che la norma interpretativa sia servita al legislatore, per emendare 
un�imperfezione del testo originario, ripristinando il significato autentico della disposizione 
interpretata, o che abbia risolto contrasti interpretativi, forieri di incertezze rilevanti. 

6.� La disposizione impugnata, che non interferisce con il divieto di stabilizzazione nelle 
ipotesi di proroghe e di rinnovi illegittimi, opera in una latitudine circoscritta e riguarda la 
sola ipotesi della violazione delle norme sull�illegittima apposizione del termine. 

La norma impugnata lede, in pari tempo, l�affidamento dei consociati nella sicurezza giuridica 
e le attribuzioni costituzionali dell�autorit� giudiziaria (sentenza n. 209 del 2010, per 
l�indissolubile legame che unisce tali valori dello stato di diritto, posti in risalto anche dal-
l�ordinanza di rimessione della Corte fiorentina). 

L�affidamento, nel caso di specie, risultava corroborato da un assetto normativo risalente, 
imperniato sulla distinzione tra i rinnovi e le fattispecie di illegittimit� originaria del contratto 
a tempo determinato, e da una giurisprudenza che gli stessi lavori parlamentari menzionano 
e che la legge interpretativa consapevolmente ribalta, ripercuotendosi sui giudizi in corso e 
su vicende non ancora definite. 

La disciplina impugnata, priva di un appiglio semantico con la norma oggetto di interpretazione, 
lede, inoltre, l�autonomo esercizio della funzione giurisdizionale, in quanto � suscettibile 
di definire i giudizi in corso, travolgendo gli effetti delle pronunce gi� rese. 

L�illegittimit� costituzionale della norma, in quanto retroattiva, si coglie anche sotto un distinto 
e non meno cruciale profilo. 

Nell�estendere il divieto di conversione del contratto a tempo determinato oltre i confini 
originariamente tracciati, includendo anche l�ipotesi di un vizio genetico del contratto a tempo 
determinato, la norma pregiudica un aspetto fondamentale delle tutele accordate dall�ordinamento 
ai rapporti di lavoro, in un contesto gi� connotato in senso marcatamente derogatorio 
rispetto al diritto comune. 

Del resto, con riguardo ai lavoratori dello spettacolo, la Corte di giustizia ha valorizzato il 
ruolo della �ragione obiettiva� come mezzo adeguato a prevenire gli abusi nella stipulazione 
dei contratti a tempo determinato e come punto di equilibrio tra il diritto dei lavoratori alla 
stabilit� dell�impiego e le irriducibili peculiarit� del settore (sentenza 26 febbraio 2015, nella 
causa C-238/14, Commissione contro Granducato di Lussemburgo, che riprende le afferma



zioni della sentenza della Corte di giustizia, 26 novembre 2014, nelle cause riunite C-22/13, 
da C-61/13 a C-63/13 e C-418/13, Mascolo ed altri). 
7.� Restano assorbite le censure di violazione dell�art. 3 Cost., per asserita disparit� di trattamento 
tra i lavoratori delle fondazioni lirico-sinfoniche e i lavoratori del settore privato. 
PER QUESTI MOTIVI 
LA CORTE COSTITUZIONALE 

dichiara l�illegittimit� costituzionale dell�art. 40, comma 1-bis, del decreto-legge 21 giugno 
2013, n. 69 (Disposizioni urgenti per il rilancio dell�economia), convertito, con modificazioni, 
dall�art. 1, comma 1, della legge 9 agosto 2013, n. 98, nella parte in cui prevede che l�art. 3, 
comma 6, primo periodo, del decreto-legge 30 aprile 2010, n. 64, convertito, con modificazioni, 
dall�art. 1, comma 1, della legge 29 giugno 2010, n. 100, si interpreta nel senso che alle 
fondazioni lirico-sinfoniche, fin dalla loro trasformazione in soggetti di diritto privato, non si 
applicano le disposizioni di legge che prevedono la stabilizzazione del rapporto di lavoro 
come conseguenza della violazione delle norme in materia di stipulazione di contratti di lavoro 
subordinato a termine. 

Cos� deciso in Roma, nella sede della Corte Costituzionale, Palazzo della Consulta, il 1� 
dicembre 2015. 


L�onere della prova del chiamato all�eredit� 
e la sua capacit� di rappresentare l�eredit� in giudizio 


NOTA A CASSAZIONE CIVILE, SEZ. TRIBUTARIA, SENTENZA 23 MARZO 2016 N. 5750 

Adriana Lagioia* 

SOMMARIO: 1. La vicenda giudiziaria - 2. I poteri e gli obblighi del chiamato all�eredit�: 
il limite della conservazione del patrimonio ereditario - 3. Il riparto dell�onere della prova 
della qualit� di erede - 4. Conclusioni. 

1. La vicenda giudiziaria. 

Il venditore della farmacia che aveva impugnato l�avviso di rettifica e di liquidazione 
dell�Agenzia delle Entrate decedeva nel corso del giudizio di merito. 

Dinanzi alla Corte di Cassazione, le figlie censuravano la sentenza di secondo 
grado nella parte in cui aveva omesso di statuire sulla carenza della loro 
legittimazione passiva, deducendo la violazione degli artt. 475 e 476 c.c. per 
non aver mai accettato l�eredit� n� espressamente n� tacitamente. 

Sul punto, la Corte di Cassazione - rigettando il motivo di ricorso - ha affermato 
che, essendo il presupposto dell�imposizione tributaria in tema di imposta 
sulle successioni la sola chiamata all�eredit�, il chiamato goda di 
legittimazione passiva, aggiungendo peraltro che sar� suo onere provare l�avvenuta 
rinuncia all�eredit�. 

Ben pi� controverso � il caso in cui il chiamato all�eredit� sia convenuto 
in un giudizio iniziato contro il de cuius per pretese diverse da quella fiscale. 

In tal caso, si pongono due problematiche: la prima attiene alla possibilit� 
di proseguire il processo in capo al chiamato all�eredit�; la seconda riguarda 
la ripartizione dell�onere della prova delle vicende successorie, relative all�avvenuta 
accettazione o rinuncia dell�eredit�. 

In riferimento alla prima questione, si analizzer� la disciplina codicistica 
relativa ai poteri e agli obblighi del chiamato all�eredit�. Ci�, al fine di capire 
se dalla lettura dell�art. 460 c.c. - sul quale sono peraltro sorte numerose questioni 
interpretative - si possa far discendere una legittimazione passiva del 
chiamato all�eredit� in processi il cui oggetto sia diverso da quello fiscale. 

Si considerer� quindi la possibilit� di concepire il chiamato come rappresentante 
dell�eredit� in giudizio, vagliando sul punto le soluzioni proposte 
dalla Corte di Cassazione. 

La seconda problematica attiene alle indiscutibili difficolt�, per la parte 
esterna alla vicenda successoria, di provare l�avvenuta rinuncia o accettazione 
dell�eredit�. 

* Dottore in Giurisprudenza, ammessa alla pratica forense presso l�Avvocatura dello Stato. 


Sul punto, si analizzer� il criterio di matrice processuale di vicinanza alla 
fonte di prova. 

2. I poteri e gli obblighi del chiamato all�eredit�: il limite della conservazione 
del patrimonio ereditario. 

Nell�ambito del contenzioso tributario (1) la giurisprudenza prevalente 
ha considerato il chiamato all�eredit� come legittimato a stare in giudizio e ha 
posto a suo carico l�onere della prova della rinuncia all�eredit�. Nella massima 
in oggetto, la Corte di Cassazione, ha infatti affermato che �a fini fiscali, � il 
chiamato all�eredit�, che deve dare prova di aver rinunciato all�eredit�, in 
quanto, in tema di imposta sulle successioni, presupposto dell�imposizione tributaria 
� la chiamata all�eredit� e non gi� l�accettazione�. 

Il concetto � stato pi� volte ribadito dalla giurisprudenza. In particolare, la 
Corte ha affermato che �sebbene la qualit� di erede si acquisti solo con l'accettazione 
dell'eredit� e malgrado la disciplina tributaria in materia indichi l'erede 
(oltre al legatario) quale soggetto passivo dell'imposta di successione (art. 5 

D.P.R. 26.10.1972 n. 637), da pi� parti � stato autorevolmente sostenuto che 
presupposto dell'imposizione tributaria sia la chiamata all'eredit� e non gi� 
l'accettazione. (�) Pur non sottovalutandosi le obiezioni espresse in contrario, 
deve riconoscersi che la differenza fra la legislazione civilistica e quella tributaria 
abbia una sua giustificazione collegata alla necessita di evitare che i chiamati 
altrimenti potrebbero dilazionare fino a dieci anni (termine di prescrizione 
per l'accettazione) il pagamento dell'imposta con evidenti danni per l'erario e 
con conseguente appesantimento della procedura per la riscossione� (2). 

In altra pronuncia, la Corte di Cassazione ha sconfessato la prospettazione 
del giudice di merito che aveva dichiarato nullo l�avviso di liquidazione 
notificato dall�Agenzia delle Entrate al chiamato all�eredit�. I giudici di legittimit� 
hanno infatti statuito che �in tema di imposta sulle successioni, presupposto 
dell'imposizione tributaria � la chiamata all'eredit� e non gi� 
l'accettazione. Ne consegue che, allorch� la successione riguardi anche l'eredit� 
devoluta al dante causa e da costui non ancora accettata, l'erede � tenuto 
al pagamento dell'imposta anche relativamente alla successione apertasi in 
precedenza a favore del suo autore, la cui delazione sia stata a lui trasmessa 
ai sensi dell'art. 479 c.c.� (3). 

Pertanto, in tema di imposta sulle successioni e donazioni, il termine 
�erede� non va inteso in senso tecnico, potendo l�Agenzia delle Entrate convenire 
in giudizio anche il solo chiamato all�eredit�, dotato quindi di legitti


(1) Il riferimento al contenzioso tributario riguarda, nello specifico, l�imposta di successione. Le 
statuizioni della giurisprudenza sul punto non possono quindi essere estese a pretese fiscali diverse. 

(2) Sez. I, 28 ottobre 1995, n. 11320. 
(3) Sez. VI, 9 ottobre 2014, n. 21394. 



mazione passiva per questo tipo di contenzioso. Nel caso di rinuncia all�eredit�, 
l�onere della prova sar� disposto a carico dello stesso chiamato. 

Dunque, una vera e propria legittimazione passiva del chiamato � stata 
attestata dalla giurisprudenza nel solo contenzioso fiscale per l�imposta sulle 
successioni. Per tale ragione, ci si � chiesti se, in contenziosi diversi, il chiamato 
all�eredit� possa essere convenuto in giudizio in qualit� di rappresentante 
dell�eredit�. 

Per rispondere al quesito, si devono analizzare le disposizioni codicistiche 
recanti i poteri e gli obblighi del chiamato. 

Come noto, il delato (4) all�eredit� � titolare di due posizioni giuridiche 
distinte: da un lato, ha il potere di accettare l�eredit�, come sancito dall�art. 
479 comma 1 c.c.; dall�altro, � titolare di un potere di amministrazione del patrimonio 
ereditario di ampio contenuto, disciplinato dall�art. 460 c.c. (5). 

Alla stregua di quest�ultima disposizione, il chiamato all�eredit�, oltre 
che poter esercitare azioni possessorie a tutela dei beni ereditari, �pu� compiere 
atti conservativi di vigilanza e di amministrazione temporanea e pu� 
farsi autorizzare dall�autorit� giudiziaria a vendere i beni che non si possono 
conservare o la cui conservazione importa grave dispendio�. 

Dunque, l�art. 460 c.c. � una norma attributiva di poteri nei confronti di 
un soggetto che non solo non � titolare dell�eredit�, ma potrebbe anche non 
diventarlo mai nel caso di rinuncia alla stessa. 

La disposizione rappresenta per questo una deroga all�art. 476 c.c. (6): 
senza la previsione di cui all�art. 460 c.c., gli atti conservativi, di vigilanza e 
di amministrazione compiuti dal chiamato all�eredit� varrebbero come sua accettazione 
tacita. La ratio sottesa all�art. 460 c.c. � evidentemente quella di 
apportare un elemento di flessibilit� al sistema: essendo il chiamato il soggetto 
maggiormente interessato alla salvaguardia del patrimonio ereditario, il legislatore 
ha inteso attribuirgli - nel momento antecedente all�accettazione - un 
catalogo di azioni che, se rispettose dei limiti contenuti nella disposizione, non 
assumeranno il significato di accettazione tacita dell�eredit�. 

(4) Si ricorda che, malgrado il codice faccia riferimento al termine �chiamato�, sarebbe pi� corretto 
riferirsi al �delato all�eredit��. Ci� in ragione del fatto che vanno distinti il momento della vocazione 
da quello della delazione. La prima indica l�aspetto soggettivo, ossia la designazione di coloro che dovranno 
succedere e la seconda l�aspetto oggettivo del fenomeno successorio, ossia �il complesso dei 
diritti, dei doveri e delle altre situazioni giuridiche, che viene tutelato alla morte del titolare per essere 
offerto ad altro soggetto�. In linea generale, i due fenomeni si verificano simultaneamente, ma in taluni 
casi - come ad esempio l�istituzione di un soggetto sottoposta a condizione sospensiva - alla morte del 
de cuius si avr� solo la vocazione e la delazione avverr� in un secondo momento. Sul punto, si veda diffusamente 
CAPOZZI, Successioni e donazioni, I, Giuffr�, 2009, p. 99. 
(5) Il potere di amministrazione dell�eredit� viene escluso nei casi in cui il chiamato all�eredit� 
abbia nominato un curatore ex art. 460 comma 3 c.c. 
(6) L�art. 476 c.c. dispone �L�accettazione � tacita quando il chiamato all�eredit� compie un atto 
che presuppone necessariamente la sua volont� di accettare e che non avrebbe il diritto di fare se non 
nella qualit� di erede�. 



Come si diceva, le attivit� contemplate dalla disposizione sono quella di 
vigilanza, di conservazione e di amministrazione temporanea dei beni. 

L�attivit� di vigilanza � stata definita da autorevole dottrina (7) come 
quella tesa ad �individuare le cause di un possibile pregiudizio al patrimonio 
ereditario e pone i presupposti per l�adozione dei provvedimenti di natura 
conservativa�. 

Si pu� quindi affermare che l�attivit� di vigilanza sia prodromica a quella 
di amministrazione. Essa comprende diversi atti di natura cautelare la cui finalit� 
� l�accertamento della reale consistenza del patrimonio ereditario (8). 

Nonostante sia previsto da altra disposizione del codice civile, si ritiene 
che tra i poteri di vigilanza del chiamato rientri anche la redazione dell�inventario 
per accertare l�entit� dei beni ereditari. Differentemente da quanto sancito 
dall�art. 460 c.c. tuttavia, in tal caso si tratter� di un vero e proprio obbligo 
per il chiamato, cos� come sancito dall�art. 485 comma 3 c.c. (9). 

Accanto al potere di vigilanza, l�art. 460 c.c. prevede le azioni conservative. 
In altre parole, �l�attivit� conservativa in senso stretto tende ad evitare 
il pericolo attuale di un danno che possa derivare da una modifica allo stato 
giuridico o materiale dei beni ereditari� (10). 

Come per l�attivit� di vigilanza, anche per quella conservativa sono previsti 
atti di natura cautelare, cui si affiancano tuttavia anche atti di natura diversa 
ma comunque diretti ad evitare la dispersione del patrimonio o a 
garantirne il recupero (11). 

Come si diceva, l�art. 460 c.c. contempla anche le attivit� di amministrazione 
temporanea. 

� proprio sotto quest�ultimo profilo che si sono poste rilevanti questioni interpretative. 
La dottrina discute infatti sulla tassativit� della previsione di cui al


(7) CAPOZZI, Successioni e donazioni, cit., p. 117. 

(8) Tra questi sono ricompresi il controllo sulla gestione dell�azienda ereditaria, il controllo sullo 
stato delle culture dei fondi e la richiesta di conto al mandatario se il mandato si estingue con la morte 
del mandante. 
(9) NATOLI, L'amministrazione nel periodo successivo all'accettazione, in L'amministrazione di 
beni ereditari, vol. II, Giuffr�, 1969, p. 159. 
(10) CAPOZZI, Successioni e donazioni, cit., p. 118. 


(11) Tra questi sono ricompresi gli atti interruttivi della prescrizione, l�iscrizione di ipoteca giudiziale 
concessa al de cuius, la trascrizione di un atto di acquisito del defunto e gli accertamenti del 
titolo di possesso di un terzo su un bene ereditario. 
In tema di azioni possessorie, si � espressa anche la Corte di Cassazione, affermando che �L�art. 460 


c.c. dispone che i chiamati all�eredit� possono, in quanto tali esercitare azioni possessorie a tutela dei 
beni ereditari senza bisogno di materiale apprensione degli stessi, obbedendo all�esigenza che, pur nel 
periodo tra la delazione e l�accettazione l�eredit� non sia lasciata indifesa contro gli spogli e le turbative; 
conseguentemente, in applicazione di detto principio, possono anche proseguire un giudizio possessorio 
iniziato dal loro dante causa� (Sez. II, 8 aprile 2002, n. 4991). Relativamente alla trascrizione, la Corte 
di Cassazione ha stabilito che �La trascrizione di un acquisto fatto dal de cuius rientra tra gli atti conservativi, 
consentiti dalla norma dell�art. 460 c.c., al chiamato anche prima dell�accettazione� (Sez. III, 
18 giugno 1975, n. 2432). 


l�art. 460 comma 2 c.c. con riferimento agli atti di amministrazione straordinaria. 
Il legislatore ammette espressamente - previa autorizzazione del giudice 

-solo due casi di amministrazione straordinaria dei beni ereditari, ossia quello 
della vendita dei beni che non si possono conservare o la cui conservazione 
comporti eccessive spese o riparazioni. Con la prima delle due fattispecie ci 
si riferisce al caso di beni deperibili per i quali vi � un immediato pericolo di 
danno; la seconda attiene ai casi di beni in cattivo stato di manutenzione o a 
spese che appaiono eccessive rispetto al reale valore del bene. Si � discusso 
sulla possibilit� di poter ricomprendere, tra i poteri di amministrazione temporanea 
straordinaria, anche casi differenti da quelli citati dalla disposizione. 

Si pensi al caso in cui un soggetto deceda lasciando ai suoi figli un�eredit� 
gravata da passivit� e che al momento dell�apertura della successione sia in 
corso un contenzioso per debiti del defunto scaduti ma non onorati. Se i creditori 
propongono ai chiamati all�eredit� una transazione con la quale, in cambio 
di un cespite ereditario, vengano estinti i debiti del de cuius, si prospettano 
due alternative a seconda che l�elencazione di cui all�art. 460 comma 2 c.c. si 
intenda o meno come tassativa. 

Accogliendo la prima tesi interpretativa, i chiamati all�eredit� che vogliano 
porre in essere la transazione con i creditori saranno costretti ad accettare 
l�eredit�, non potendo gli stessi compiere un atto di amministrazione 
straordinaria del patrimonio - quale � certamente la cessione di un cespite ereditario 
- senza prima aver acquisito la qualit� di eredi. 

Se invece l�elencazione dell�art. 460 comma 2 c.c. fosse considerata solo 
esemplificativa, i chiamati potrebbero porre in essere la transazione e scegliere 
in un secondo momento se accettare o meno l�eredit�. 

Sul punto, una parte della dottrina (12) ha sostenuto che anche nei casi 
non espressamente previsti dalla legge, il chiamato all�eredit� possa compiere 
un atto di straordinaria amministrazione. 

La posizione dottrinale in oggetto si discosta senz�altro dal dato letterale, 
ma risponde a esigenze di ordine logico. 

Infatti, la necessit� di alienare un bene ereditario pu� certamente dipendere 
da una casistica molto pi� ampia di quella del rischio di deperimento e di 
grave dispendio di risorse economiche. Del resto, non si vede perch� il chiamato 
all�eredit� sia autorizzato ad alienare un bene a causa delle ingenti spese 
di manutenzione, ma non possa richiedere al giudice l�autorizzazione a contrarre 
un mutuo ipotecario per il reperimento di fondi necessari alla riparazione 
dello stesso bene, che in tal modo rimarrebbe nella massa ereditaria. 

(12) GROSSO - BURDESE, Le successioni, parte generale, Utet, 1977, passim; NATOLI, L'amministrazione 
nel periodo successivo all'accettazione, in L'amministrazione di beni ereditari, vol. II, Giuffr�, 
1969; SANTARCANGELO, La volontaria giurisdizione, Giuffr�, 2006; CAPOZZI, Successioni e donazioni, 
I, Giuffr�, 2009. 


Prima facie, questa alternativa interpretativa sembrerebbe essere una potenziale 
soluzione al problema di cui trattasi, ossia quello relativo alla carenza 
di legittimazione passiva del chiamato in qualit� di rappresentante dell�eredit�. 

Tuttavia, se � vero che con questa interpretazione l�attenzione si � spostata 
dall�atto alla sua natura, resta chiaro che la finalit� delle operazioni intraprese 
dal chiamato all�eredit� debba sempre essere la conservazione dei beni ereditari. 

�Il limite non � nella natura dell�atto, ma nella natura conservativa della 
funzione (�). Non � ammesso un impiego di reddito in mutui attivi onerosi, 
perch� il chiamato � legittimato ad agire solo in via di urgenza ed � tenuto ad 
evitare gli investimenti che comportano un rischio e che comunque non consentano, 
in caso di necessit�, il sollecito recupero delle somme investite� (13). 

In conclusione, se le posizioni dottrinali analizzate hanno contribuito ad 
ampliare il novero delle azioni esperibili dal chiamato all�eredit�, da esse non 
si pu� comunque desumere la capacit� del chiamato di stare in giudizio in qualit� 
di rappresentante dell�eredit�. 

Va comunque dato conto del fatto che in taluni casi, malgrado la mancanza 
di un addentellato normativo in tal senso, la Corte di Cassazione ha prospettato 
l�ipotesi di considerare il chiamato come rappresentante dell�eredit� 
in giudizio, specificando tuttavia che questi non possa essere destinatario di 
domande di condanna al pagamento di un debito ereditario. 

La Corte ha infatti affermato che �il soggetto chiamato all'eredit� e che 
non l'abbia accettata pu� stare in giudizio, ma per rappresentare l'eredit�, se 
si trova nel possesso di beni ereditari (art. 486 c.c.), ma, siccome non � ancora 
succeduto all'ereditando, non � soggetto passivo delle obbligazioni gi� pertinenti 
al suo dante causa e dunque contro di lui non pu� essere rivolta una domanda 
di condanna al pagamento di un debito ereditario. Perci�, il ricorrente, 
contro il quale - come la Corte d'appello ha accertato - era stata proposta domanda 
di condanna al pagamento di quota di un debito ereditario e quale 
erede del debitore, avrebbe potuto opporsi al decreto e nel giudizio di opposizione 
avrebbe potuto dedurre di trovarsi ancora nella condizione di chiamato 
all'eredit� e chiedere che la domanda proposta in suo confronto come erede 
fosse rigettata� (14). 

Resta il fatto che, in linea generale, la Corte di legittimit� ha ricollegato 
la legittimazione passiva esclusivamente alla qualit� di erede. 

In ragione di ci�, occorre porsi il problema di individuare il soggetto sul 
quale gravi l�onere di provare l�avvenuta accettazione dell�eredit�. 

3. Il riparto dell�onere della prova della qualit� di erede. 

Nel processo civile, l�onere della prova � ripartito, a norma dell�art. 2697 

(13) CAPOZZI, op. ult. cit., p. 119. 
(14) Sez. III, 3 settembre 2007, n. 18534. 



c.c., tra l�attore e il convenuto in giudizio sulla base della qualificazione del 
fatto giuridico. I fatti costitutivi vengono di norma provati dall�attore, poich� 

�chi vuol far valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono 
il fondamento�; al contrario, i fatti impeditivi, modificativi ed estintivi 
devono essere provati dal convenuto. 

Applicando questo criterio di distinzione dei fatti giuridici al tema in oggetto, 
si dovrebbe allora affermare - ed � stato affermato dalla giurisprudenza 
di legittimit� - che l�acquisizione della qualit� di erede abbia valore di fatto 
costitutivo per il soggetto estraneo alla vicenda successoria che voglia proseguire 
in capo all�erede un�azione giudiziaria iniziata contro il de cuius. 

Al contrario, l�avvenuta rinuncia all�eredit� - che esclude la legittimazione 
passiva - darebbe luogo ad una prova �negativa�. 

Sulla base di questo ragionamento, l�onere della prova graverebbe sul-
l�attore interessato a proseguire il giudizio. 

Cos� ha di recente ribadito la Corte di Cassazione (15): �la qualit� di 
erede assurge a fatto costitutivo del diritto di porre in essere un rapporto processuale 
nei confronti del soggetto che tale qualit� riveste; e, dal momento 
che questo diritto viene esercitato dal riassumente, in forza del canone basilare 
di ripartizione delle attivit� probatorie rilevanti ai fini dell'accertamento processuale 
evincibile dall'art. 2697 c.c. grava sul riassumente l'onere di provare 
la qualit� di erede, come chiaramente insegna il sopra richiamato orientamento 
giurisprudenziale di netta prevalenza, rispetto al quale non sussistono 
validi argomenti per discostarsi. (�) Ad abundantiam, si rileva poi che, qualora 
si seguisse l'impostazione inversa per cui graverebbe su chi � chiamato 
nel processo in forza dell'atto di riassunzione dimostrare di non avere legitimatio 
ad causam, si imporrebbe a quest'ultimo l'onere di una prova negativa, 

o anche - valutando dal parallelo punto di vista sostanziale le conseguenze di 
detta impostazione processuale - un obbligo ad espressa rinuncia, obbligo 
non rinvenibile nel dettato normativo se non nella fattispecie (precisamente 
relativa alla dichiarazione di rinunzia o di accettazione) di cui all'art. 481 
c.c., in un contesto in cui, si noti, il legislatore riconosce al chiamato in eredit� 
che rinuncia persino la facolt� di revocare la rinuncia stessa qualora sussistano 
i presupposti di cui all'art. 525 c.c.�. 

Unico caso in cui la giurisprudenza ha prospettato un onere di prova contraria 
a carico del chiamato all�eredit� � stato quello nel quale, in un momento 
successivo alla notificazione dell�atto di riassunzione, si sia verificato un 
evento che abbia fatto venir meno la qualit� di erede del soggetto. 

In tal caso, �la riassunzione � regolare, onde grava sui convenuti l'onere 
di provare il contrario e di chiarire la loro posizione� (16). 

(15) Sez. III, 17 dicembre 2015, n. 25357. 
(16) Sez. I, 31 marzo 2011, n. 7517. 



La Corte ha infatti statuito che �la parte che riassume il giudizio deve diligentemente 
accertare che i convenuti in riassunzione come eredi siano formalmente 
investiti del titolo a succedere, e che un tale titolo permanga al 
momento della riassunzione. Qualora il venir meno del titolo non risulti da 
atti o fatti agevolmente conoscibili dai terzi (registro delle successioni, trascrizioni 
nei registri immobiliari, ecc.), ma da cause o da eventi non ancora 
verificatisi alla data della notificazione dell'atto, la riassunzione � da ritenere 
regolare, qualora la legittimazione passiva sussista con riferimento a quanto 
legalmente risulta allo stato degli atti. Viene a gravare sui convenuti in riassunzione, 
in tal caso, l'onere di dimostrare il contrario e se del caso di chiarire 
la loro posizione in tempo utile�. 

Limitandosi l�inversione dell�onere della prova al solo caso di vicende 
sopravvenute alla notifica dell�atto, resta immutato il problema relativo alla 
gravosit� della prova dell�avvenuta accettazione per un soggetto estraneo alla 
vicenda ereditaria. 

Tuttavia, il caso descritto di inversione dell�onere della prova viene motivato 
dalla Corte di Cassazione sulla base del fatto che �l�eccezione attiene 
alla legittimazione a subentrare nel processo, (�) alla luce del principio ordinario 
sull�onere della prova governato dal principio di prossimit�, che grava 
della dimostrazione dei fatti rilevanti in causa la parte che ne dispone o quanto 
meno che si trova nella condizione di averne conoscenza diretta�. 

L�argomentazione utilizzata dalla Corte fa riferimento al criterio cd. di 
vicinanza alla fonte di prova. 

Il criterio, di matrice giurisprudenziale, � stato utilizzato in funzione di 
�correttivo� al rigido riparto dell�onere della prova sancito dal codice civile e 
dunque in funzione �sussidiaria� rispetto a quanto stabilito dall�art. 2697 c.c. 
(17). Esso ha rappresentato una risoluzione ai casi in cui vi sia una difficolt� 
nella qualificazione del fatto giuridico come costitutivo o come impeditivo (18). 

�Ove alla fattispecie costitutiva si aggiunga un ulteriore fatto, a cui l�ordinamento 
attribuisce la prerogativa di rendere inefficaci i fatti costitutivi, 
questo � un fatto impeditivo. La difficolt� sta nell�individuazione di quando 
un fatto appartenga alla fattispecie costitutiva e quando alla fattispecie impeditiva. 
(�) Essendo incerto se un fatto appartiene alla fattispecie costitutiva 
oppure a quella impeditiva, si deve scegliere quella soluzione in virt� della 
quale diventa onerato della prova il soggetto per cui la prova � pi� facile, cio� 
il soggetto pi� vicino alle fonti di prova� (19). 

Taluni (20) ritengono che il criterio di vicinanza della prova trovi la pro


(17) PROTO PISANI, Lezioni di diritto processuale civile, Jovene, 2012, p. 443. 

(18) SACCO, Presunzione, natura costitutiva o impeditiva del fatto, onere della prova, in Riv. dir. 
civ., 1957, p. 409. 

(19) LUISO, Diritto processuale civile, Vol. I, Giuffr�, 2015, p. 256. 


pria fonte nei principi costituzionali sanciti dagli artt. 3 e 24 Cost., ponendosi 
a carico del soggetto �pi� vicino� alla prova il dovere di rimuovere gli ostacoli 
di ordine economico e sociale che limitano l�uguaglianza dei soggetti, garantendo 
in tal modo il diritto alla difesa del soggetto �pi� distante� dalla prova. 

Tuttavia, � d�uopo considerare che la vicinanza alla fonte di prova � stata 
applicata dal diritto vivente in maniera frammentaria (21), ossia solo in alcune, 
singole, aree dell�esperienza civilistica (22). 

Un approdo importante � stato quello raggiunto in tema di onere della 
prova del creditore nel caso di azione di adempimento o di risoluzione del 
contratto. Ci si � chiesti, in altre parole, se sul creditore gravasse, oltre che 
l�onere di dimostrare la fonte del suo diritto e il relativo termine di scadenza, 
anche la prova dell�inadempimento (23). 

Fino alla pronuncia delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione del 
2001, la tesi maggioritaria era quella secondo cui, essendo il creditore a la


(20) Si veda in tal senso, DOLMETTA, MALVAGNA �Vicinanza della prova� e contratto d�impresa, 
in Aperta Contrada, 2015. 
(21) Ci� anche a causa delle forti resistenze in dottrina. Si veda in particolare MICHELI, L�onere 
della prova, Cedam, 1966, p. 354 secondo cui il criterio �basato sulla maggiore vicinanza di una parte 
alla prova, non pu� che costituire una linea di discriminazione tra fatti costitutivi e fatti impeditivi, neppure 
dare un valido sussidio per la distribuzione del carico della prova�. Nello stesso senso, si veda 
anche TARUFFO, La prova nel processo civile, in AA.VV., Trattato di diritto civile e commerciale, diretto 
da CICU, MESSINEO, MENGONI, Giuffr�, 2012, p. 256 e ss., contra COMOGLIO, Le prove civili, Utet, 2010, 
p. 285 secondo cui �il fondamento razionale comune - alla regola generale di distribuzione della prova 
e alle sue deroghe - viene, solitamente, rivenuto nei criteri di opportunit� e di giustizia distributiva, da 
cui derivano altri criteri subordinati (descritti dai binomi regola-eccezione e normalit�-anormalit� o dal 
concetto di vicinanza alla prova) in forza dei quali, il legislatore, nel dettare l�art. 2697 c.c. e nel costruire 
le differenti fattispecie legali da cui nascono i diritti tutelabili, distribuisce tra le parti gli oneri di prova 
tenendo conto della differenziata facilit� con cui determinati fatti giuridici possono essere provati da 
colui che abbia interesse al loro accertamento, per farne dipendere il riconoscimento in giudizio di un 
determinato effetto giuridico a s� favorevole. � cos�, da reputarsi razionale che la prova positiva di un 
fatto eccezionale o anormale debba essere accollata a chi intenda trarne effetti favorevoli�. 
(22) In particolare, la Corte di Cassazione lo ha utilizzato nel rapporto tra datore di lavoro e lavoratore, 
statuendo che ricadesse sul primo l�onere di provare l�insussistenza dei requisiti dimensionali 
necessari all�applicazione dell�art. 18 dello Statuto dei lavoratori poich� �tale presupposto, concernendo 
le dimensioni occupazionali dell�impresa - riguarda connotazioni proprie dell�impresa e perci� sicuramente 
rientranti nella sua consapevolezza, ma non altrettanto sicuramente conosciute o percepibili dal 
lavoratore dipendente� (Sez. lav., 22 gennaio 1999, n. 613). Il criterio � stato anche utilizzato in tema 
di responsabilit� medica, per la quale � stato stabilito che �la difettosa tenuta della cartella clinica lungi 
dall�escludere la sussistenza del nesso eziologico tra la colposa condotta dei medici e la patologia, al 
contrario consente il ricorso alle presunzioni: come avviene in ogni caso in cui la prova non possa essere 
data per un comportamento ascrivibile alla stessa parte contro la quale il fatto da provare avrebbe potuto 
essere invocato, nel quadro dei principi in ordine alla distribuzione dell�onere della prova e al rilievo 
che assume a tal fine la �vicinanza alla prova�� (Sez. Un., 11 gennaio 2008, n. 577). Di recente, la vicinanza 
alla fonte di prova � stata utilizzata anche nell�ambito dei cd. contratti di impresa. Per quest�ultimo 
profilo si veda DOLMETTA, Sui �contratti d�impresa�: ipoteticit� di una categoria, in Un maestro 
del diritto commerciale. Arturo Dalmartello, a cura di DOLMETTA, PORTALE, Utet, 2010, p. 107 e ss. 
(23) Si veda diffusamente R. GIORDANO, L�istruzione probatoria nel processo civile, Giuffr�, 
2013, p. 33 e ss. 



mentare una lesione del proprio diritto, gravasse su di lui l�onere di provare 
compiutamente il mancato o inesatto adempimento (24). 

Nell�applicare il criterio di vicinanza alla fonte di prova, la Corte ha affermato 
che sia nel caso di azione di adempimento, che di azione per la risoluzione 
del contratto, al creditore spetti l�onere di provare la fonte (negoziale 

o legale) del suo diritto ed il relativo termine di scadenza, limitandosi alla mera 
allegazione della circostanza dell'inadempimento della controparte. Sar� il debitore 
convenuto a dover provare il fatto estintivo dell'altrui pretesa, costituito 
dall'avvenuto adempimento. L�onere della prova quindi �viene ripartito tenuto 
conto in concreto della possibilit� per l'uno e per l'altro soggetto di provare 
fatti e circostanze che ricadono nelle rispettive sfere d'azione� (25). 

Come si diceva, in tema di successioni, il criterio di vicinanza della prova 
� stato applicato al solo e circoscritto caso in cui, dopo la notifica della riassunzione, 
sopravvenga un fatto che, pur non risultante dai registri delle successioni, 
faccia venir meno la qualit� di erede. 

Resta dunque il fatto che, fino alla notifica dell�atto di riassunzione, sar� 
l�attore a dover reperire le informazioni necessarie sulla vicenda ereditaria, 
consultando i registri delle successioni. 

Nel caso in cui l�attore si avveda che l�eredit� non sia ancora stata accettata, 
non potr� che esperire la cd. actio interrogatoria (26), consistente nel-
l�apposizione di un termine di decadenza all�accettazione o alla rinuncia 
dell�eredit�. Questo � attualmente l�unico strumento posto a favore della parte 
processuale interessata a proseguire un giudizio dopo la morte del de cuius. 

Tramite l�actio interrogatoria, il termine di prescrizione decennale per 
l�accettazione o la rinuncia dell�eredit� viene sostituito da un termine breve, 
determinato dal giudice, entro il quale il chiamato dovr� assumere la decisione. 

Anche superando le critiche rivolte a questo istituto (27), va dato atto che 

(24) Infatti, era maggioritario l�orientamento secondo cui andava posta una differenza tra il creditore 
che agiva per ottenere l�altrui adempimento dal caso in cui l�azione fosse volta alla risoluzione 
del contratto. Per l�azione di adempimento, si riteneva che l�onere della prova gravasse sul debitore; al 
contrario, nel caso di azione di risoluzione, si riteneva che al creditore spettasse altres� la dimostrazione 
dell�inadempimento totale o parziale. 
(25) Sez. Un., 30 ottobre 2001, n. 13533. 


(26) Si d� conto del fatto che sulla legittimazione attiva a richiedere l�actio interrogatoria a norma 
dell�art. 481 c.c. � sorta una questione interpretativa. Secondo alcuni, sarebbe necessario porre un distinguo 
tra i soggetti interni ed esterni al procedimento successorio. Si veda, in tal senso BARASSI, Le 
successioni per causa di morte, Giuffr�, 1947 secondo cui l�azione sarebbe prevista in favore del solo 
creditore dell�eredit�. Diversamente, FERRI, Successioni in generale, Artt. 456-511, in Comm. Scialoja 
e Branca, Zanichelli, 1964 secondo cui �si tratter�, pertanto, in ogni singolo caso, di vedere se sussiste 
un interesse a proporre tale domanda�. 
(27) Si veda, ex multis, BARBA, L�actio interrogatoria e legittimazione attiva all�azione, in Famiglia, 
persone e successioni, 2011, p. 95 che ha affermato che �il tempo concesso - al chiamato - per dichiarare 
se accetta o rinunzia smarrisce la distesa ordinaria prospettiva decennale e si traduce in un 
angusto ed eccezionale breve orizzonte temporale fissato dal giudice�. 



l�actio interrogatoria non vale certo a risolvere la gravosit� dell�onere della 
prova per l�attore del giudizio. � la stessa azione ad obbligare l�attore alla consultazione 
dei registri, senza contare il fatto che, qualora i chiamati abbiano gi� 
rinunciato all�eredit�, i soggetti cui destinare l�azione saranno ancora diversi. 

Sar� ancora una volta l�attore a dover rintracciare la prova della chiamata 
all�eredit� e della non avvenuta rinuncia o accettazione. 

L�esito della questione sarebbe del tutto differente se del criterio di vicinanza 
alla fonte di prova si facesse un�applicazione pi� ampia, ossia antecedente 
al momento della notificazione dell�atto di riassunzione. 

In tal modo, l�attore potrebbe notificare l�atto al semplice chiamato al-
l�eredit�, ricadendo su quest�ultimo l�onere della prova di tutte le vicende successorie. 


In questo caso, il chiamato proverebbe l�avvenuta accettazione dell�eredit� 
- e quindi l�acquisizione di legittimazione passiva - oppure l�avvenuta rinuncia, 
con annessa indicazione del soggetto che ha accettato l�eredit� in suo 
luogo. 

Adempiere a un onere della prova cos� formulato non appare in alcun 
modo gravoso per il chiamato all�eredit�, essendo lo stesso in una posizione 
di prossimit� alla fonte di prova. 

Ci� varrebbe a risolvere la problematica in oggetto, riequilibrando la posizione 
delle due parti processuali. 

4. Conclusioni. 

La sentenza in esame offre un valido spunto di riflessione su una problematica 
pi� generale, ossia quella relativa alla capacit� del chiamato di rappresentare 
l�eredit� in giudizio. 

Attesa la mancanza di un addentellato normativo in tal senso e considerata 
la posizione della giurisprudenza prevalente sul punto, non si ritiene di poter 
porre in dubbio che il presupposto della legittimazione passiva resti l�acquisizione 
della qualit� di erede. 

Anche muovendo da questo assunto, resta aperta la problematica relativa 
alla distribuzione dell�onere della prova. 

Considerato che il percorso di affermazione del criterio di vicinanza alla 
fonte di prova � stato caratterizzato da repentini mutamenti, non si pu� escludere 
che tra gli ambiti dell�esperienza civilistica in cui il criterio trova applicazione, 
rientri anche quello relativo alle vicende successorie. 


Cassazione civile, Sezione Quinta, sentenza 23 marzo 2016 n. 5750 -Pres. Chindemi, Rel. 
Solaini, P.M. Giacalone (difforme 1^ ricorso, conforme 2^ ricorso) - D.L.G. (ricorrente) (avv. 

P. Speciale); F.E., F.M.P., F.C. (ricorso successivo) (avv. P. Speciale) c. Agenzia delle Entrate 
(avv. gen. Stato). 

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO 
La controversia riguarda l'impugnazione di un avviso di rettifica e liquidazione, con il quale 
l'ufficio determinava la maggiore imposta di Registro dovuta, a seguito della cessione di una 
farmacia, con atto di compravendita del 28.4.04. Il prezzo complessivo della cessione fu di 
Euro 407.829,00 di cui Euro 305.000,00 per avviamento, che l'ufficio ha successivamente 
rettificato elevandolo a Euro 998.468,00, in base al criterio di redditivit� e in base a studi di 
settore effettuati dall'ufficio, consistenti nell'applicare il moltiplicatore di 1,3, al valore del ricavo 
dichiarato nell'anno 2003. 
Con distinti ricorsi sia il venditore che l'acquirente impugnavano l'avviso di rettifica e liquidazione 
eccependo l'illegittimit� per carenza di motivazione e l'infondatezza, per inesistenza 
dei fattori presuntivi del maggior valore dell'avviamento, in contrasto con l'effettiva reddittivit� 
della farmacia. La Commissione adita, riuniti i ricorsi per connessione oggettiva, li accoglieva 
ritenendo non sufficientemente motivato e provato l'accertamento. 
A seguito dell'impugnazione dell'ufficio, il giudice d'appello, pur riconoscendo che lo studio, 
sulla base del quale l'ufficio aveva rettificato i valori, non fosse vincolante, ne riconosceva il 
fondamento, in termini di adeguatezza al caso di specie; operava, in ogni caso, un suo adeguamento 
in riduzione, sia detraendo il valore delle merci e delle attrezzature e sia tenendo 
conto dei flussi stagionali; pertanto, il valore dell'avviamento veniva fissato nel volume d'affari 
dell'ultimo anno (Euro 768.053,00), precedente alla cessione. 
I contribuenti hanno presentato ricorso davanti a questa Corte, in particolare le eredi figlie 
della parte venditrice sulla base di due motivi di ricorso mentre l'erede moglie sempre della 
parte venditrice sulla base di due distinti motivi (entrambi i ricorsi sono corredati di memorie, 
ex art. 378 c.p.c.), mentre l'ufficio ha resistito con controricorso. 

MOTIVI DELLA DECISIONE 
Con il primo e secondo motivo di ricorso che possono essere trattati congiuntamente, attenendo 
ad un medesimo profilo di censura, proposti dalle eredi figlie della parte venditrice, le 
stesse censurano la violazione e la falsa applicazione degli artt. 475 e 476 c.c., in relazione 
all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in quanto, a loro dire, sarebbero state coinvolte nel presente 
giudizio, perch� individuate eredi di F.F. (loro padre), che era il proprietario della farmacia 
oggetto di compravendita; le stesse contestano la loro qualit� di eredi, non avendo mai, n� 
espressamente n� tacitamente accettato l'eredit�, ex artt. 475 e 476 c.c., e di ci�, il giudice 
d'appello non avrebbe tenuto conto, violando il disposto degli articoli in tema di accettazione 
ereditaria e omettendo di motivare sulla sussistenza della loro legittimazione passiva. 
Il motivo non ha pregio. 
Innanzitutto, si rileva come per stessa ammissione delle ricorrenti, la loro costituzione nel 
giudizio d'appello, non sia stata ritenuta valida (in quanto avvenuta a mezzo fax, inviato alla 
cancelleria); pertanto, non avendo ritualmente proposto l'eccezione relativa al loro presunto 
difetto di legittimazione passiva, nel giudizio di merito, � inammissibile proporre tale motivo 
di doglianza, per la prima volta, nella presente sede di legittimit�. In secondo luogo, e nel merito, 
l'eccezione � infondata, in quanto a fini fiscali, � il chiamato all'eredit�, che deve dare 


prova di aver rinunciato all'eredit�, in quanto, in tema di imposta sulle successioni, presupposto 
dell'imposizione tributaria � la chiamata all' eredit� e non gi� l'accettazione (Cass. ord. n. 
21394 del 2014). 
D.L.G., quale moglie ed erede di F.F. con il primo e secondo motivo di ricorso, che possono 
essere trattati congiuntamente, attenendo ad un medesimo profilo di censura, denuncia sia il 
vizio di violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 131 del 1986, artt. 51 e 52, ai sensi 
dell'art. 360, comma 1, n. 3, che il vizio d'insufficiente e contraddittoria motivazione, su un 
fatto controverso e decisivo del giudizio, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, in quanto il giudice 
d'appello avrebbe aderito allo studio dell'amministrazione, privo di alcuna valenza probatoria, 
senza motivare sulla sua concreta idoneit� a valutare correttamente il profilo fiscale della vicenda, 
ed, inoltre, avrebbe accettato per "buone" le motivazioni dell'atto impugnato, senza 
sorreggere il proprio convincimento con una congrua e corretta motivazione a supporto delle 
conclusioni raggiunte. 
La censura � infondata. 
In via preliminare, il motivo di ricorso difetta di autosufficienza, in quanto il ricorrente non 
solo non riporta nel ricorso stesso, l'atto impositivo impugnato, al fine di mettere in condizione 
questa Corte di valutare la motivazione del giudice d'appello, rispetto alla motivazione dell'atto 
presupposto; ma non riporta neppure lo studio utilizzato dall'ufficio, che era stato allegato all'avviso 
di rettifica (come riconosciuto alle pp. 6 e 7 del ricorso), ed oggetto di diretta censura 
anche in questa sede. Nel merito, non � stata evidenziata, la effettiva violazione del D.P.R. n. 
131 del 1986, artt. 51 e 52, se � vero che lo studio utilizza come parametro il volume d'affari 
dell'azienda ceduta nell'anno precedente alla cessione, in ragione del moltiplicatore indicato, 
rivisto dalla CTR, per detrarre il valore delle merci e delle attrezzature e per tener conto del-
l'andamento stagionale dei flussi della clientela. Non risulta che il ricorrente, nel giudizio 
d'appello ed anche in questa sede, abbia proposto dei criteri alternativi e pi� aderenti alla fattispecie, 
ma, si � lamentato genericamente dello studio dell'ufficio, al quale il giudice d'appello 
ha aderito facendolo proprio, ma rettificandolo in maniera congrua e non illogica; 
fondato, � quindi, il convincimento, che il ricorrente miri a una nuova valutazione nel merito, 
inammissibile in questa sede. In ogni caso, dalla lettura della sentenza impugnata, non risultano, 
n� errori di valutazione, n� difetti di allegazione, ai sensi delle norme censurate. Infine, 
manca l'individuazione di un fatto decisivo, dal punto di vista probatorio, di cui non si sia tenuto 
conto, o sia stato non correttamente valutato in sentenza. Il dissenso, rispetto alla valutazione 
del giudice d'appello, �, come detto, una censura di merito, non riproponibile nella 
presente sede di legittimit�. 
Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo. 

P.Q.M. 
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE Rigetta il ricorso. 
Condanna i ricorrenti a pagare le spese di lite del presente giudizio, in favore dell'Agenzia 
delle Entrate, in persona del Direttore in carica, che liquida in Euro 3.500,00, oltre spese prenotate 
a debito. 
Cos� deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 11 febbraio 2016. 


L�uso illegittimo dell�autovettura di servizio 

NOTA A CASSAZIONE PENALE, SEZ. VI, SENTENZA 31 MARZO 2016 N. 13038 

Francesco Scardino* 

La giurisprudenza non risulta, ad oggi, pervenire a conclusioni omogenee 
circa la qualificazione da attribuire al fatto dell�agente pubblico che, utilizzando 
l�autovettura allo stesso assegnata per ragioni inerenti al suo ufficio o 
servizio, la utilizzi per fini diversi rispetto a quelli a cui � preordinata. 

Pi� specificamente, risulta un contrasto all�interno della sesta sezione 
della Corte di Cassazione, registrandosi sentenze che concludono per la configurazione 
del peculato ordinario, del peculato d�uso o, seppur in via isolata, 
dell�abuso di ufficio o della totale irrilevanza del fatto. 

Il problema concernente la corretta qualificazione giuridica dell�utilizzo 
dell�autovettura di servizio per fini privati esisteva, in realt�, anche prima della 
riforma del �90. 

L�art. 314 c.p., nel testo all�epoca vigente, prevedeva, come noto, due distinte 
ipotesi: il peculato per appropriazione e il peculato per distrazione. 

Se l�appropriazione implicava un impossessamento uti dominus del bene, 
la distrazione designava un mero distoglimento del bene dalla sua finalit�. In 
tale contesto, buona parte della giurisprudenza e della dottrina riconducevano 
l�utilizzo illegittimo dell�autovettura di servizio nell�ambito del peculato per 
distrazione (1). 

Tale incertezza risulta caratterizzare anche l�attuale panorama giurisprudenziale, 
come � confermato da una recente sentenza della Corte di Cassazione 

(2) che, limitandosi a prendere atto del contrasto (3) e ad abbracciare una delle 
varie tesi fino ad oggi proposte, sembra ritenere la questione non meritevole di 
essere rimessa alla decisione delle Sezioni Unite per una definitiva definizione. 

La chiave di volta, attraverso la quale risolvere la questione �, ad avviso 
della Corte di legittimit�, data dall�individuazione degli esatti confini del concetto 
di �appropriazione� in quanto le varie tesi proposte pervengono a diversi 
risultati a fronte di un�interpretazione estensiva o restrittiva di tale concetto. 

Di seguito si rende opportuno ripercorrere gli orientamenti di legittimit� 
che si sono succeduti, in modo da poter individuare quello che, alla luce della 
giurisprudenza pi� recente, sembra essere il pi� sicuro approdo ermeneutico. 

(*) Dottore in Giurisprudenza, gia praticante forense presso l�Avvocatura distrettuale di Bologna. 

(1) M. DE BELLIS, Uso illegittimo di autovettura di servizio da parte di pubblici ufficiali. La Cassazione 
precisa i criteri di sussistenza del peculato d�uso, in Cass. pen., 2006, p. 100 ss. 
(2) Cass. Pen., sez. 6, 10 marzo 2016, n. 13038, in www.iusexplorer.it. 


(3) I giudici di legittimit�, in tale sentenza, parlano al riguardo di �ampio e variegato diritto 
vivente in tema di abuso dell�auto di servizio�. 



In svariate sentenze la giurisprudenza ha mostrato di aderire ad un criterio 
fondato, di fatto, sul quantum dell�offesa arrecata al bene giuridico protetto. 

Sulla base di tale premessa, qualora l�utilizzo del bene, protratto per un 
lasso di tempo considerevole, sia stato tale da determinare un apprezzabile 
danno in capo alla p.a., e il bene sia stato successivamente restituito, la condotta 
� stata qualificata come peculato di uso (4). 

Di contro, nel caso in cui l�abusivo utilizzo del bene abbia comportato 
un pregiudizio grave per la pubblica amministrazione, tale da compromettere 
in maniera significativa il suo buon andamento, ha trovato applicazione la fattispecie 
di cui al comma 1 dell�art. 314 c.p. 

In tal senso la S.C. ha affermato che �l�uso costante e reiterato nel tempo 
di un�autovettura di servizio, da parte del pubblico ufficiale o incaricato di 
pubblico servizio, qualora sia idoneo ad arrecare un danno patrimoniale apprezzabile 
all�amministrazione, non integra il peculato d�uso, ma la pi� grave 
ipotesi di peculato per appropriazione� (5). 

Quest�ultima fu, per esempio, la soluzione cui la S.C. pervenne nel qualificare 
il fatto attribuito ad un pubblico agente che, utilizzando l�autovettura 
di servizio per fini propri, aveva consumato una significativa quantit� di carburante 
arrecando, di conseguenza, un apprezzabile danno patrimoniale in 
capo all�amministrazione (6). 

In dottrina, la tesi consistente nell�attribuire rilievo significativo al quantum 
di offesa arrecata alla pubblica amministrazione � stata duramente criticata, 
ravvisandosi nella stessa un vulnus alle esigenze di tassativit� e 
determinatezza proprie del diritto penale (7). 

All�interno del medesimo orientamento possono essere ascritte anche 
quelle pronunce che, a fronte di svariati e ripetuti episodi di abusivo utilizzo 
dell�autovettura, seppur per brevi intervalli ma tuttavia protratti per un costante 
lasso di tempo, facevano derivare la trasformazione dei vari episodi di peculato 
d�uso in un unico reato di peculato ordinario. 

In altri casi � stato, di contro, affermato che, in presenza dei requisiti che 
caratterizzano il peculato d�uso - ossia la preordinazione dell�appropriazione 
ad un uso temporaneo della cosa e la sua immediata restituzione - la reiterazione 
delle condotte determina una pluralit� di reati di cui all�art. 314, comma 
II, c.p., eventualmente avvinti dal vincolo della continuazione, ma giammai il 
mutamento della qualificazione giuridica del fatto in �peculato ordinario� (8). 

(4) Cass. Pen., sez. 6, 1 febbraio 2005, n. 9216, in Cassazione Penale, 2006, I, 109. 
(5) Cass. Pen., sez. 6, 15 marzo 2012, n. 20922, in Guida al Diritto, 2012, I, 28. 
(6) Cass. Pen., sez. 6, 17 febbraio 2015, n. 18465, in Diritto e Giustizia, 2015, fasc. 5, 40. 


(7) A. MARCHINI, La qualificazione giuridica dell'uso indebito e ripetuto dell'autovettura di servizio 
da parte del pubblico ufficiale, in Cassazione Penale, 2015, fasc. 7-8, p. 2689. 

(8) Cass. Pen., sez. 6, 27 maggio 2014, n. 39770, in Diritto e Giustizia, 2014, I, 26. 


In tal senso � stato, altres�, affermato che l�elevato numero di chilometri 
complessivamente percorsi dall�autovettura di servizio, quando � determinato 
da un ripetuto utilizzo per brevi tragitti, costituisce indice della momentaneit� 
dell�uso stesso. 

Vi �, anche, un indirizzo, seppur minoritario, secondo il quale integra il 
delitto di abuso di ufficio l�utilizzo di autovetture e personale di servizio per 
scopi estranei ai compiti d�ufficio, non rilevando a tal fine n� le disfunzioni 
n� l�entit� del danno cagionato alla p.a. di appartenenza, ma unicamente l�ingiusto 
vantaggio patrimoniale procurato dall�agente a s� stesso o a terzi. 

Tale orientamento giurisprudenziale valorizzava la relazione alla legge 

n. 86/1990 (9) che, nel disporre l�eliminazione del peculato per distrazione, 
disponeva che i pregressi casi rientranti in origine in tale fattispecie dovessero 
ora ricadere nell�ambito di operativit� dell�art. 323 c.p. il quale punisce il reato 
d�abuso d�ufficio. 

La dottrina, dal canto suo, proprio a fronte del fatto che nei lavori preparatori 
alla legge si trova l�espressa indicazione che le fattispecie di distrazione 
dovessero trovare la propria sanzione nella distinta ipotesi dell�abuso di ufficio, 
perveniva a diverse conclusioni (10). 

Alcuni autori ritenevano conforme alla ratio sottesa alla riforma sussumere 
ogni fattispecie di distrazione nell�ambito della fattispecie dell�abuso 
d�ufficio, limitando l�ambito operativo del peculato a condotte di mera appropriazione 
(11). 

Altra opinione, di contro, interpretava la nozione di �distrazione� come 
mera species del genus �appropriazione�, riconducendo il tutto all�interno del 
perimetro dell�art. 314 c.p. (12). 

Infine, un ultimo e pi� articolato indirizzo poneva in essere una distinzione 
a monte della ricostruzione proposta. Si riteneva, cos�, che integrasse 
una distrazione riconducibile all�ipotesi di abuso di ufficio la condotta del-
l�agente pubblico che destinasse il denaro o la cosa mobile in suo possesso a 
fini diversi da quelli a cui risultava preposta, ma sempre �ponendosi dalla parte 
della p.a.�. Dava luogo, invece, ad un�appropriazione - riconducibile all�art. 
314 c.p. - una destinazione del denaro o della cosa pubblica ad una finalit� 
che �tale rapporto con la cosa pubblica radicalmente abbandona� (13). 

(9) V. relazione on. Battello al d.d.l. n. 2078, II commissione permanente del Senato della Repubblica. 
(10) M. DE BELLIS, Uso illegittimo di autovettura di servizio da parte di pubblici ufficiali. La 
Cassazione precisa i criteri di sussistenza del peculato d�uso, in Cass. pen., 2006, p. 100 ss. 
(11) G. FIANDACA - E. MUSCO, Diritto penale, parte speciale, Appendice 1990, Bologna, 1992. 
(12) A. PAGLIARO, Principi di diritto penale, parte speciale, Milano, 2000, 46 ss. 
(13) M. ROMANO, I delitti contro la pubblica amministrazione, Milano, 2002, 32. 







Vi �, poi, un quarto gruppo di decisioni che ha concluso per la totale irrilevanza 
del fatto. 

� stato affermato che, qualora l�utilizzo sia stato, in concreto, meramente 
occasionale o eccezionale, tale da compromettere il buon funzionamento della 

p.a. in una misura minima, o addirittura nulla, in forza del generale principio 
di offensivit�, tale condotta dovesse essere ritenuta esulante dall�ambito del 
penalmente rilevante (14). 

� stato, per esempio, esclusa la sussistenza del reato di peculato d�uso in diversi 
casi in cui l�uso momentaneo dell�autovettura di ufficio, anche se per finalit� 
non corrispondenti a quelle istituzionali, sia stato meramente episodico ed eccezionale. 
Ci� in quanto un simile utilizzo non si caratterizzava, quanto a consistenza 
(in termini di chilometri percorsi) e durata dell�uso medesimo, in fatti di 
effettiva appropriazione dell�autovettura di servizio, suscettibili di cagionare un 
concreto e significativo danno economico all�ente pubblico (in termini di carburante 
utilizzato e/o di energia lavorativa degli autisti addetti alla guida) (15). 

A ben vedere, una simile impostazione altro non � se non una variante 
della tesi che presta attenzione al quantum dell�offesa arrecata al bene protetto, 
pur se sviluppata estensivamente. 

Si registra, infine, un ultimo - ed isolato - orientamento giurisprudenziale 

(16) caratterizzato da un eccessivo rigorismo. � stato recentemente affermato 
che l�utilizzo per fini privati dell�automobile di servizio integra sia la condotta 
di peculato per quanto riguarda il consumo di carburante, sia quella di peculato 
d�uso, derivante dalla momentanea appropriazione della vettura per ragioni 
diverse da quelle istituzionali. Nella medesima decisione si afferma, altres�, 
che nel caso in cui dovesse essere presente l�autista, la condotta integrer� anche 
il reato di abuso di ufficio per aver distratto tale soggetto dalla sua attivit� istituzionale 
(17). 

In questo �articolato ed ampio spettro di decisioni� si colloca una recente 
sentenza della sesta sezione della Corte di Cassazione (18) che, come supra 
affermato, ritiene di poter individuare il pi� corretto approdo ermeneutico partendo 
da una corretta definizione del concetto di �appropriazione�. 

La condotta di appropriazione consiste, da un lato, nell�impedire al titolare 
del diritto prevalente sul possesso l�esercizio delle sue prerogative e, dal


(14) Cass. Pen., sez. 6, 10 marzo 1997, n. 4651 in Giustizia Penale, 1998, II, 21. 
(15) Cass. Pen., sez. 6, 27 ottobre 2010, n. 7177, in Foro Italiano, 2011, fasc. 5, 284. 
(16) Cass. Pen., sez. 6, 17 febbraio 2015, n. 18465, in Diritto e Giustizia, 2015, I, 70. 


(17) In altra occasione la giurisprudenza afferma che �il distoglimento dell�autista dalle sue funzioni 
di esecutore di un servizio pubblico integra il delitto di peculato ordinario e non la fattispecie di 
abuso di ufficio�. In tal senso Cass. Pen., sez. 6, 18 gennaio 2001, n. 352, in www.iusexplorer.it. 

(18) Cass. Pen. sez. 6, 13038/2016. 


l�altro, nell�attivazione, da parte del soggetto possessore, di un potere di signoria 
sul bene che renda esplicita la volont� di far propria la cosa (19). In tal 
modo si attua, dunque, l�espromissione del proprietario dal rapporto con la 
cosa da parte del possessore per il mezzo di una mera relazione fattuale, produttiva 
della c.d. interversio possessionis. 

La condotta di appropriazione deve essere caratterizzata da un particolare 
elemento psicologico, ossia dalla volont� dell�agente di appropriarsi della cosa, 
elemento che deve aggiungersi al dato oggettivo costituito dal comportarsi, di 
fatto, come proprietario. 

�, in dottrina, pacifico che la condotta appropriativa sia costituita da due 
distinti momenti. Viene in considerazione sia la c.d. espropriazione, ossia il 
non riconoscimento o negazione dei diritti altrui sulla cosa, cui segue la c.d. 
impropriazione, consistente nell�affermazione del proprio dominio di fatto 
sulla cosa medesima (20). 

Fino a tempi meno recenti si riteneva che gli effetti peculiari di una simile 
condotta, consistenti, come specificato, nella frattura della relazione proprietaria 
e nella successiva impropriazione, fossero incompatibili con quanto previsto 
dall�art. 314, comma II, c.p., il quale si limita a richiedere una �pi� blanda 
e semplice� sottrazione temporanea del bene dalle sue finalit� ordinarie e la 
immediata restituzione dopo l�uso. 

L�uso momentaneo della cosa, si predicava, sarebbe ontologicamente incompatibile 
con una condotta appropriativa, a fronte del differente substrato 
psicologico che guida l�azione (finalizzata, da una parte, a usare per un determinato 
frangente temporale la res e, dall�altra, a realizzare un impossessamento 
definitivo) (21). 

Nell�ipotesi del peculato d�uso l�agente non si comporterebbe, infatti, uti 
dominus, in quanto non agirebbe con la coscienza e volont� di porre in essere 
un�appropriazione con conseguente e connesso mutamento del titolo del possesso, 
ma sarebbe animato dal solo intento di usare temporaneamente un bene 
che sa essere di altri e che intende restituire. 

Su queste basi � stato in passato sostenuto, dunque, che l�uso momentaneo 
della cosa richiesto dal comma II dell�art. 314 c.p. non possa essere mai qualificato 
come appropriazione rilevante ai sensi del I comma del medesimo articolo (22). 

Diversamente argomentando, si sosteneva, si sarebbe giunti al paradosso 
di ricomprendere, all�interno del concetto di �appropriazione� ogni condotta 

(19) C. DE PELLEGRINI, I limiti di applicabilit� della fattispecie di peculato d�uso: il caso paradigmatico 
del c.d. peculato telefonico, ne L�indice penale, 2007, II, 570. 
(20) M. ROMANO, I delitti contro la pubblica amministrazione, Milano, 2008, 30. 


(21) C. DE PELLEGRINI, I limiti di applicabilit� della fattispecie di peculato d�uso: il caso paradigmatico 
del c.d. peculato telefonico, op. cit., 559. 
(22) PALAZZO, Art. 314, peculato, a cura di PADOVANI, I delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica 
amministrazione, Milano, 1996, 32. 



di abuso del possesso, anche se non accompagnata dalla volont� di far propria 
la cosa (23). 

Nella sentenza in esame, la Corte esordisce specificando il corretto significato 
da attribuire al concetto �appropriazione�, designando lo stesso il comportamento 
di colui che �fa propria la cosa altrui, mutandone il possesso, 
attraverso il compimento di atti incompatibili con il relativo titolo e corrispondenti 
a quelli riferibili al proprietario� (24). 

La S.C., subito dopo, richiama una recente sentenza resa dalla Cassazione 
a SS.UU. in materia di uso indebito del telefono d�ufficio nella quale viene 
analizzata, nello specifico, la nozione di �appropriazione� (25), utilizzando il 
ragionamento dalla stessa sviluppato per giungere ad una definizione anche 
in materia di abusivo utilizzo dell�autovettura di servizio. 

Nella sentenza richiamata, le SS.UU. operano, innanzitutto, un raffronto 
con la fattispecie di cui all�art. 646 c.p., disciplinante il reato di �appropriazione 
indebita�, rilevando come la nozione di �appropriazione� abbia finito 
con l�assumere un significato sempre pi� ampio, comprensivo sia dell�appropriazione 
in senso stretto (di cui - viene specificato - le pi� tipiche forme di 
manifestazione sono l�alienazione, la consumazione e la ritenzione), sia della 
distrazione o dell�uso arbitrario dal quale derivi al proprietario la perdita del 
denaro o della cosa mobile. 

Da qui deriva la conclusione che l�eliminazione, dal testo dell�art. 314, I 
comma, c.p., della parola �distrazione� posta in essere dalla L. n. 86/1990, 
non ha determinato il semplice transito di tutte le condotte distrattive poste in 
essere dall�agente pubblico nell�ambito di operativit� della fattispecie del-
l�abuso di ufficio. Qualora, infatti, mediante la distrazione del denaro o della 
cosa mobile altrui, tali risorse vengano sottratte da una destinazione pubblica 
ed indirizzate al soddisfacimento di interessi privati, propri dello stesso agente 

o di terzi, viene comunque integrato il delitto di peculato (26). 

Come, sulla medesima linea, affermato da altra giurisprudenza, �il concetto 
di appropriazione comprende anche le condotte di �distrazione� in 
quanto imprimere alla cosa una destinazione diversa da quella consentita dal 

(23) P. BARTOLO, Appropriazione e distrazione nel delitto di peculato, a cura di COPPI, Reati contro 
la pubblica amministrazione, Torino, 1993, 380. 
(24) Cass. SU, 2 maggio 2013, n. 19054, in Pluris. 
(25) Cass. SU, 2 maggio 2013, n. 19054, in Pluris. 




(26) Cass. Pen., sez. 6, 21 marzo 2013 n. 16381 qualifica come peculato e non abuso d�ufficio la 
condotta del vigile urbano che aveva ceduto, in pi� occasioni, fuori dai suoi orari di servizio, la radiotrasmittente, 
utilizzabile per le comunicazioni con la centrale operativa, al titolare di un�impresa di soccorso 
stradale, per consentirgli di conoscere gli incidenti che avvenivano nel territorio s� da recarsi 
prontamente in tali luoghi e lucrare sul recupero dei mezzi coinvolti. Tale conclusione deriva dal fatto 
che il pubblico agente, cedendo il bene a terzi, compie sullo stesso un atto uti dominus. In Rivista Penale, 
2013, fasc. 6, 654. 



titolo del possesso significa esercitare su di essa poteri tipicamente proprietari 
e, quindi, impossessarsene� (27). 

Tale ampia definizione del concetto di appropriazione risulta, dunque, necessaria 
ai fini della corretta qualificazione giuridica dell�utilizzo abusivo 
dell�autovettura di servizio. 

Viene, dunque, affermato che la nozione di �appropriazione�, ad oggi, risulta 
non coincidente necessariamente con la sola alienazione del bene o con 
la sua consumazione, essendo, di contro, sufficiente per la realizzazione della 

c.d. impropriazione l�esercizio su di essa di un potere uti dominus, che non 
corrisponda, cio�, al titolo per la quale la cosa stessa risulta essere nella disponibilit� 
dell�agente. 

Un simile comportamento � ritenuto sufficiente a realizzare l�espropriazione, 
ossia l�uscita del bene dalla disponibilit� della pubblica amministrazione 
che ne � titolare. 

In altre parole, l�appropriazione �, in tale prospettiva, ritenuta comprensiva 
anche del mero �uso indebito�, sottolineando che non risulta essere essenziale 
l�elemento della fisica sottrazione della res dalla sfera di disponibilit� 
e controllo della p.a. (28). 

Pertanto, pu� concludersi nel senso che, ai fini dell�integrazione del delitto 
di peculato ai sensi dell�art. 314, I comma, c.p., non sia necessariamente 
richiesta la perdita definitiva del bene da parte dell�ente pubblico, essendo sufficiente 
l�esercizio, da parte dell�agente, di poteri uti dominus, tali da sottrarre 
il bene stesso dalla disponibilit� dell�ente. 

La condotta di appropriazione, dunque, cos� come interpretata, pu�, nei 
fatti, assumere pi� forme, tutte caratterizzate dalla sottrazione della cosa dalla 
disponibilit� del suo legittimo proprietario. Potr�, per esempio, realizzarsi con 
la sua consumazione, con l�alienazione a qualsiasi titolo, con una mera negazione 
del possesso, dissipazione, rifiuto di restituzione o occultamento (29). 
Un simile comportamento �, infatti, sufficiente a far s� che l�intrinseco fine di 
pubblica utilit� che caratterizza l�originaria funzionalizzazione della cosa 
venga meno, allo stesso sostituendosi interessi che, nella maggior parte dei 
casi, hanno natura squisitamente privatistica (30). 

La Corte specifica, in conclusione, che il relativo accertamento � sottratto al 
vaglio di legittimit� se congruamente motivato, rilevando, a tal fine, �la sistematica 
reiterazione dell�uso abusivo che l�agente faccia del medesimo bene� (31). 

(27) Cass. sez. 6, 17 luglio 2013, n. 1247, in Cassazione Penale, 2014, fasc. 12, 4158. 

(28) P. PISA, L�illecito utilizzo di apparecchi della P.A. tra peculato e abuso d�ufficio, in Diritto 
penale e processo, 2013, fasc. 10, 1207. 
(29) L. MARINUCCI - E. DOLCINI, Trattato di diritto penale, parte speciale, 261. 


(30) MAGARINI, Le cessioni di natura patrimoniale, a cura di F. PALAZZO, Delitti contro la pubblica 
amministrazione, Trattato di diritto penale, parte speciale, 2011, 50. 


(31) Cass. Pen., sez. 6, 10 marzo 2016, n. 13038. 


Alla luce di tali argomentazioni, fondate essenzialmente sull�accoglimento 
di una concezione lata di �appropriazione� - intesa anche come derivante 
dall�esercizio di poteri sul bene uti dominus - la Corte ritiene di poter 
inquadrare la fattispecie concernente l�abusivo utilizzo di autovetture di servizio 
nell�ambito del peculato ordinario di cui all�art. 314, I comma, c.p. 

Cassazione penale, Sez. VI, sentenza 31 marzo 2016 n. 13038 -Pres. D. Carcano, Rel. A. 
Capozzi. 

RITENUTO IN FATTO 

1. Con sentenza del 25.5.2015 la Corte di appello di Venezia - a seguito di gravame interposto 
dall'imputata B.B. avverso la sentenza emessa il 21.10.2013 dal G.I.P. del locale Tribunale 
- in parziale riforma della decisione, ha ridotto la pena inflitta alla predetta imputata, 
riconosciuta colpevole dei reati di cui al capo A) (artt. 81 cpv., 314 comma 1, cod. pen.) in relazione 
alla appropriazione dell'autovettura di servizio, utilizzata per ragioni estranee ad esso 
ed al capo B) (artt. 479, 81 cpv. cod. pen.) in relazione alla falsa attestazione nel libretto di 
servizio della predetta autovettura dell'esclusivo suo utilizzo per finalit� istituzionali. 
2. Avverso la sentenza propone ricorso per cassazione l'imputata, a mezzo del difensore, 
deducendo: 


2.1. Erronea applicazione della legge penale e vizio della motivazione in relazione alla 
qualificazione dei fatti sub A) come peculato ordinario, anzich� come peculato d'uso. Sarebbe 
erroneo il criterio ermeneutico fatto proprio dalla sentenza impugnata in ordine alla durata e 
costanza dell'utilizzo dell'autovettura ai fini della predetta qualificazione del peculato, non 
essendosi realizzata la definitiva soppressione della destinazione originaria della cosa pubblica, 
vertendosi - semmai - nella distrazione del bene pubblico a fini personali e, dunque, 
nell'ipotesi di una pluralit� di episodi di peculato d'uso. Nei mesi oggetto di imputazione l'auto 
� stata utilizzata anche dagli altri docenti espressamente autorizzati dalla stessa ricorrente 
nella sua qualit� di dirigente scolastico, n� l'imputata ha mai impedito che l'auto venisse effettivamente 
utilizzata per ragioni di servizio, n� sono emerse circostanze specifiche e puntuali 
idonee a dimostrare che l'auto � uscita dalla sfera di disponibilit� dell'avente diritto. Non sarebbe 
risolutiva - al contrario - la considerazione del consumo di carburante che ha rilevanza 

penale autonoma solo se fosse stata oggetto di specifica contestazione, nella specie, assente. 
In ogni caso, non sono emersi elementi che depongano che la ricorrente abbia goduto di rimborsi 
per il carburante utilizzato nella vettura. 

2.2. Mancanza di motivazione in ordine alla ritenuta offensivit� della condotta e, in ogni 
caso, al mancato riconoscimento della attenuante di cui all'art. 323 bis cod. pen. La natura 
di reato di danno del delitto di peculato non consente di prescindere dalla dimostrazione 
della sussistenza di un danno economico apprezzabile per la Pubblica Amministrazione proprietaria 
del bene di cui il pubblico ufficiale si sia appropriato. La Corte di merito si sarebbe 
limitata a rilevare l'utilizzo per lungo periodo di tempo ed anche per viaggi di lunga percorrenza, 
ritenendo rilevanti le percorrenze chilometriche evidenziate nella prima sentenza, 
senza giustificare il danno in relazione a ciascun episodio oggetto di contestazione, di ben 
diversa entit� e caratteristiche. Cos�, sarebbe del pari ingiustificato il diniego della attenuante 
speciale sulla base della valutazione complessiva ed unitaria delle singole condotte, come 


invece, richiesto dalla difesa in appello anche attraverso le deduzioni tecniche rigettate in 
quanto non completamente valutate. Anche la considerazione della offerta di indennizzo da 
parte della ricorrente nulla proverebbe sulla offensivit� del fatto, risultando di valenza neutra 
al riguardo, tenuto conto anche della sua restituzione e della mancata costituzione di parte 
civile dell'Istituto scolastico. 

2.3. Mancanza di motivazione in ordine alla sussistenza del dolo di appropriazione dell'auto 
di servizio. Sarebbe stata omessa la considerazione di circostanze fattuali, provate certamente, 
indicative della buona fede della ricorrente nell'utilizzo del veicolo e dunque dell'esistenza quanto 
meno - dell'esimente putativa dell'esercizio di un diritto. In tale senso militerebbe la 
autonomia funzionale ed organizzativa dell'Istituto scolastico rispetto alla quale la ricorrente 

-nella sua qualit� di Dirigente scolastica - era soggetto preposto alla gestione ottimale di tutte 
le risorse, senza essere vincolata ad un orario di ufficio precostituito. Inoltre - in relazione all'utilizzo 
della vettura per il tragitto scuola-casa - il Regolamento d'Istituto n� lo prevedeva, 
n� lo vietava, cos� giustificando la buona fede della Preside, anche per l'utilizzo della vettura 
dopo i due esposti anonimi nei suoi confronti a riguardo dell'indebito utilizzo della vettura. 

2.4. Mancanza di motivazione ed erronea applicazione dell'art. 479 cod. pen. Si sarebbe 
omesso di valutare il contenuto integrale dell'interrogatorio reso dall'imputata in ordine ai doveri 
di tenuta del libretto di marcia da parte dell'Ufficio Tecnico ed alla sua disponibilit� offerta 
a riguardo come consegnataria del veicolo. Rispetto a tale tenuta nessun elemento consentirebbe 
di dedurre che la Preside abbia volontariamente omesso le registrazioni dei viaggi e dei 
chilometri percorsi per occultare l'indebito utilizzo della vettura. Risulterebbe soltanto una 
condotta negligente. In ogni caso, si sarebbe estesa la qualificazione di atto pubblico al libretto 
in questione a prescindere dalle specifiche finalit� cui esso era destinato e nonostante non si 
sia rilevata alcuna irregolarit� sulle spese di gestione del veicolo, desunte non dallo stesso libretto 
ma da "pezze giustificative" relative ai rifornimenti di carburante. 

CONSIDERATO IN DIRITTO 

1. Il ricorso � infondato. 

2. Il primo motivo � infondato ed ai limiti della inammissibilit�, laddove prospetta una diversa 
ricostruzione dei fatti. 

2.1. Ritiene la Corte che il riferimento operato dalla difesa della ricorrente a talune decisioni 
di legittimit� che hanno riguardato casi di abuso dell'auto di servizio, rende opportuno ripercorrere 
gli orientamenti di legittimit� che si sono succeduti, per individuare il pi� sicuro approdo 
ermeneutico a riguardo della nozione di appropriazione prevista dall'art. 314, comma 
1, cod. pen. che qui rileva. Si tratta di un ampio e variegato diritto vivente in tema di abuso 
dell'auto di servizio, espressione di quella "mediazione accertativa" cui tende la giurisprudenza 
di legittimit� (Sez. U, n. 18288 del 21/01/2010, Beschi), esito di quella sinergia ermeneutica 
tra fatto e norma che si � verificata in relazione alla diversit� dei casi sottoposti al suo giudizio. 

2.2. In un caso di un uso costante abusivo dell'automobile di servizio protrattosi per nove 
mesi con viaggi per oltre 12.000 Km. e consumo di oltre 1000 litri di benzina � stato affermato 
che integra il delitto di peculato la condotta del pubblico ufficiale che, utilizzando abusivamente 
il mezzo di servizio, consuma una significativa quantit� di carburante arrecando un apprezzabile 
danno patrimoniale all'Amministrazione (Sez. 6, n. 18465 del 17/02/2015, De Paola, 
Rv. 263940; v. , anche, conforme Sez. 6, n. 35676 del 14/05/2015, Fumagalli, Rv. 265602), 
dandosi rilievo, in entrambe le vicende, al consumo di carburante, oggetto di specifica contestazione. 
Ancora, in altra vicenda, nell'ambito della quale era stato contestato genericamente 


il consumo di carburante - osservandosi che per esso non � possibile la restituzione - � stato 
affermato integrare il reato di peculato e non quello di abuso di ufficio l'utilizzo dell' autovettura 
di servizio per fini personali (Sez. 6, n. 19547 del 04/04/2012, D'Alessandro e altro, Rv. 
255418). In Sez. 6, n. 20922 del 2012, Campanile, n. m., si � affermato che rientra nell'ipotesi 
di cui all'art. 314 c.p., comma 1, l' utilizzo costante e reiterato nel tempo dell'autovettura di 
servizio, idoneo ad arrecare un danno patrimoniale apprezzabile all'amministrazione. 

2.3. In altri casi, � stato affermato che il peculato d'uso � connotato dalla preordinazione 
dell'appropriazione ad un uso temporaneo, quindi non meramente istantaneo, della cosa e 
dalla immediata restituzione della stessa dopo il momentaneo utilizzo, con la conseguenza 
che, in presenza di tali requisiti, la reiterazione delle condotte determina l'integrazione di una 
pluralit� di reati ex art. 314, comma secondo, cod. pen., eventualmente avvinti dal vincolo 
della continuazione, ma non il mutamento della qualificazione giuridica del fatto in peculato 
"ordinario" ex art. 314, primo comma, cod. pen. (Sez. 6, n. 39770 del 27/05/2014, Giordano, 
Rv. 260458) ed in motivazione, � stato osservato che l'elevato numero di chilometri complessivamente 
percorsi dall'autovettura di servizio, quando � determinato da un ripetuto utilizzo 
del veicolo per brevi tragitti, costituisce indice della momentaneit� dell'uso dello stesso. Su 
tale scia si � posta altra recente decisione di questa Sezione (Sez. 6, n. 14040 del 29/01/2015, 
Soardi, Rv. 262974) che ha ricordato la ragione fondante della fattispecie del peculato d'uso, 
individuata nell'esigenza del legislatore di sottrarre alla estensione del pi� grave peculato comune 
(art. 314 c.p., comma 1) l'appropriazione di cose di specie (e non anche di quelle fungibili) 
per un circoscritto periodo di tempo, cui faccia seguito la loro pronta restituzione con 
coevo pieno ripristino della situazione anteatta (cfr. Cass. Sez. 6, 1.2.2005 n. 9216, Triolo, rv. 
230940). Le decisioni citate si pongono nell'ambito dell'indirizzo - occasionato da una vicenda 
relativa ad un veicolo sottratto all'Amministrazione militare usato per il tempo necessario per 
raggiungere una vicina riserva di caccia e subito restituito - secondo il quale in tema di peculato, 
deve ritenersi che nell'ipotesi di cui al secondo comma dell'art. 314 cod. pen., "uso momentaneo" 
non significa istantaneo, ma temporaneo, ossia protratto per un tempo limitato 
cos� da comportare una sottrazione della cosa alla sua destinazione istituzionale tale da non 
compromettere seriamente la funzionalit� della pubblica amministrazione (Sez. 6, n. 4651 del 
10/03/1997, Federighi, Rv. 207594). 

2.4. Risulta minoritario l'orientamento secondo il quale integra il delitto di abuso d'ufficio 
l'utilizzo di autovetture e personale di servizio per scopi estranei ai compiti d'istituto, non rilevando 
a tal fine le disfunzioni o l'entit� del danno cagionato alla P.A., ma solo l'ingiusto 
vantaggio patrimoniale procurato dall'agente a s� stesso o a terzi, reso in un caso relativo alla 
modifica dell'originaria imputazione di peculato nel delitto di abuso d'ufficio continuato, in 
cui un prefetto ha disposto e consentito diversi accompagnamenti della moglie per viaggi effettuati 
con autovetture di servizio (Sez. 6, n. 25537 del 15/04/2009, Gallitto, Rv. 244358). 

2.5. Vi sono, infine, decisioni che hanno concluso per l'irrilevanza penale dell'abuso del-
l'autovettura di servizio. Tanto, in un caso relativo ad un episodio di spostamento dell'autovettura 
dalla periferia al centro della citt� al fine di compiere una visita privata, percorrendo 
un tragitto comunque necessario prima di riconsegnare il veicolo all'amministrazione, come 
pure in altro caso, relativo a nove episodi di indebito utilizzo di autovetture di servizio da 
parte di assessori comunali - laddove � stato affermato che non � configurabile il reato di peculato 
nell'uso episodico ed occasionale di un'autovettura di servizio, quando la condotta abusiva 
non abbia leso la funzionalit� della P.A. e non abbia causato un danno patrimoniale 
apprezzabile (Sez. 6, n. 5006 del 12/01/2012, Perugini, Rv. 251785), anche in relazione al



l'utilizzo del carburante e dell'energia lavorativa degli autisti addetti alla guida (Sez. 6, n. 7177 
del 27/10/2010, Mola e altri, Rv. 249459). In particolare, � stata esclusa l'appropriazione, 
quale elemento materiale integrante il reato di peculato, nell'uso da parte del pubblico ufficiale 
della vettura di servizio per il compimento del tragitto casa-ufficio, quando l'accompagnamento 
non � effettuato in violazione di alcuna disposizione regolamentare, poich� in tal caso, 
a differenza di quanto avviene nell'ipotesi di utilizzo dell'auto per motivi personali e privati, 
il bene di cui il pubblico ufficiale ha la disponibilit� per ragioni del suo ufficio rimane, comunque, 
nell'ambito della sua normale destinazione giuridica, e cio� nella sfera della Pubblica 
Amministrazione (Sez. 6, n. 46061 del 17/09/2014, Caropreso e altro, Rv. 260818). 

2.6. Osserva questa Corte che - rispetto all'articolato ed ampio spettro di decisioni ricordato 

-� necessario richiamare i consolidati principi in ordine alla fattispecie in esame con riguardo 
alla nozione di appropriazione. �, invero, necessario - da un lato - sfuggire ad un criterio discretivo 
tra l'ipotesi di peculato comune e quello di peculato d'uso che faccia leva su un dato 
meramente quantitativo - vuoi in relazione al numero di indebiti utilizzi, vuoi all'entit� chilometrica 
di ciascuno o della somma di essi - che non si rispecchia nella previsione normativa; 
dall'altro, non far dipendere il discrimine tra le due ipotesi dall'eventuale atteggiarsi della contestazione 
- specificamente rispetto al consumo di carburante - criterio che svaluta la fisionomia 
strutturale della stessa condotta, esperendo - fino alla individuazione del pi� grave 
peculato ordinario, facendo leva su detto consumo - un dissezionamento dell'unitaria condotta 

-e correlativo profilo volitivo -, che ha propriamente ad oggetto l'autovettura e non le sue 
parti, siano esse soggette o meno a consumo o usura. 

2.7. Ebbene, le S.U. nella sentenza n. 19054 del 2013, ric. Vattani - affrontando il caso peculiare 
dell'uso indebito del telefono d'ufficio - hanno ribadito che "la condotta di "appropriazione" 
identifica il comportamento di chi fa propria la cosa altrui, mutandone il possesso, con 
il compimento di atti incompatibili con il relativo titolo e corrispondenti a quelli riferibili al 
proprietario" ed ha osservato che la espunzione dal testo dell'art. 314, comma 1, cod. pen., della 
parola "distrazione" operata dalla novella introdotta dalla l. n. 86 del 1990, "non ha determinato 
puramente e semplicemente il transito di tutte le condotte distrattive poste in essere dall'agente 
pubblico nell'area di rilevanza penale dell'abuso di ufficio. Qualora, infatti, mediante la distrazione 
del denaro o della cosa mobile altrui, tali risorse vengano sottratte da una destinazione 
pubblica ed indirizzate al soddisfacimento di interessi privati, propri dello stesso agente o di 
terzi, viene comunque integrato il delitto di peculato". La Corte ha osservato che anche in relazione 
al delitto di cui all'art. 646 cod. pen. prevale l'opinione secondo la quale la condotta di 
distrazione - intesa nel suo significato di "deviare la cosa dalla sua destinazione o nel divergerla 
dall'uso legittimo"- � riconducibile alla appropriazione e, del pari, ad essa � riconducibile l'uso 
indebito della cosa. Cos� - hanno proseguito le S.U. - la nozione di appropriazione nell'ambito 
del delitto di cui all'art. 646 cod. pen. " ha finito per assumere, con il passare del tempo, un significato 
sempre pi� ampio, comprensivo sia dell'appropriazione in senso stretto (di cui le pi� 
tipiche forme di manifestazione sono l'alienazione, la consumazione e la ritenzione), sia della 
distrazione, sia dell'uso arbitrario dal quale derivi al proprietario la perdita del denaro o della 
cosa mobile. Ed ha, quindi, definito la ipotesi del peculato d'uso - connotata dalla finalit� del-
l'agente quale elemento specializzante - secondo una condotta "intrinsecamente diversa da 
quella del primo comma, in quanto l'uso momentaneo, seguito dall'immediata restituzione della 
cosa, non integra un'autentica appropriazione, realizzandosi quest'ultima, solo con la definitiva 
soppressione della destinazione originaria della cosa". Ed ha rilevato come la nozione di restituzione 
venga intesa "in modo assai rigoroso dalla giurisprudenza, per la quale tra la cessazione 


dell'uso momentaneo e la restituzione deve intercedere il tempo minimo necessario e sufficiente, 
in concreto, per la restituzione medesima; al riguardo non � possibile fissare un rigido 
criterio cronologico, ma � necessario che le due attivit� (ossia, l'uso e la restituzione) si pongano 
in un continuum dell'operato dell'agente: occorre, cio�, che egli, dopo l'uso, non compia altra 
attivit� che non siano quelle finalizzate alla restituzione". Ha, infine, aggiunto che "l'intenzione 
di restituire la cosa immediatamente dopo l'uso momentaneo deve essere presente fin dall'inizio: 
non si tratta, infatti, di un peculato proprio, che successivamente si trasforma, per effetto dell'uso 
momentaneo e della restituzione della cosa, in peculato d'uso, bens�, sin dall'origine, di un fatto 
caratterizzato dal contenuto intenzionale del reo." 

2.8. Anche in dottrina � stato affermato che nel delitto di peculato l'appropriazione pu� essere 
integrata anche dall'uso indebito della cosa che avvenga con modalit� ed intensit� tali da 
sottrarla alla disponibilit� della pubblica amministrazione; in tali casi, verificandosi la definitiva 
"impropriazione" del bene, il pubblico funzionario finisce per abusare del possesso impedendo 
alla pubblica amministrazione di poter utilizzare la cosa per il perseguimento dei 
suoi fini (in caso, ad es., di un uso continuato e sistematico dell'auto di servizio, per finalit� 
pressoch� esclusivamente private). Proposta interpretativa della quale si individua il fondamento 
sistematico proprio nella previsione dell'art. 314, comma 2, cod. pen., laddove si fa 
leva sul "solo scopo di fare uso momentaneo della cosa" restituendola immediatamente dopo 
averla usata. Da ci� ne segue la integrazione del peculato ordinario quando la cosa venga 
usata non momentaneamente - e quindi definitivamente - o anche momentaneamente ma senza 
restituirla dopo l'uso. 

2.9. Ritiene questa Corte che - alla ampia valenza assunta dalla nozione di appropriazione, 
evidenziata dalla citata sentenza delle S.U. Vattani - consegue - in relazione alla cosa di specie 

-che essa non coincide necessariamente con l'alienazione del bene o la sua consumazione, 
essendo sufficiente a realizzare l'impropriazione l'esercizio su di essa di un potere uti dominus 
che non corrisponda al titolo per la quale la cosa stessa � nella disponibilit� dell'agente, tale 
da realizzare l'espropriazione, ovvero l' uscita del bene dalla disponibilit� della pubblica amministrazione 
che ne � titolare. In tal senso questa Sezione si � gi� pronunciata in un'ipotesi 
in cui un vigile urbano aveva ceduto in pi� occasioni, fuori dai suoi orari di servizio, la radiotrasmittente, 
utilizzabile per le comunicazioni con la centrale operativa, al titolare di un'impresa 
di soccorso stradale, per consentirgli di conoscere gli incidenti che avvenivano nel 
territorio, di recarsi tempestivamente sui luoghi e di lucrare sul recupero dei mezzi coinvolti, 
affermando che integra il delitto di peculato, e non quello di abuso di ufficio, la condotta del 
pubblico ufficiale che, comportandosi "uti dominus" rispetto alla cosa di cui abbia il possesso 
per ragioni di ufficio, la ceda, anche provvisoriamente, a terzi estranei all'amministrazione, 
perch� ne facciano un uso al di fuori di ogni controllo della pubblica amministrazione (Sez. 
6, n. 16381 del 21/03/2013, Apruzzese e altri, Rv. 254709). 

2.10. Pertanto, deve affermarsi che - ai fini della integrazione del delitto di peculato ai sensi 
dell'art. 314, comma 1, cod. pen., in relazione a beni di specie appartenenti alla Pubblica amministrazione 
- non � necessaria la perdita definitiva del bene da parte dell'ente pubblico, essendo 
sufficiente l'esercizio da parte dell'agente sul medesimo bene dei poteri uti dominus, 
tale da sottrarre il bene stesso alla disponibilit� dell'ente. Il relativo accertamento � sottratto 
al vaglio di legittimit� se congruamente motivato, rilevando - a tal fine - la sistematica reiterazione 
dell'uso abusivo che l'agente faccia del medesimo bene e non essendo decisivo il conseguente 
consumo del carburante che - invece - va valutato ai fini della quantificazione del 
danno. Diversa � l'ipotesi prevista dall'art. 314, comma 2, cod. pen. la quale � caratterizzata 



sotto il profilo oggettivo - dall'endiadi dell'uso momentaneo e dalla immediata restituzione 
del bene e - sotto quello soggettivo - dal correlativo contenuto intenzionale. 

2.11. Alla luce del principio di diritto enunciato, questa Corte ritiene che la fattispecie in 
esame � stata correttamente qualificata - sulla base di una ricostruzione in fatto priva di vizi 
logici e giuridici - quale peculato ex art. 314, comma 1, cod. pen. in ragione dell'avvenuta appropriazione 
della autovettura di servizio da parte della imputata, per il suo utilizzo quotidiano, 
continuativo e sistematico - in un arco temporale che va dal settembre 2012 al gennaio 2013, 
per ragioni estranee all'ufficio di dirigente scolastico che la predetta ricopriva. 

2.12. Come, invero, si apprende dalla doppia conforme statuizione di merito l'autovettura 
intestata dall'Istituto (...) � risultata a completa disposizione della imputata - e dopo che 
questa aveva venduto a terzi la propria autovettura privata - essendo utilizzata come un veicolo 
personale. L'autovettura, infatti, risultava essere stata impiegata - oltre che per il quotidiano 
percorso casa-ufficio - sia ripetutamente per effettuare la spesa e accessi ad esercizi 
di vario genere, sia per recarsi per visite familiari e personali anche in citt� distanti, risultando 
financo il consentito utilizzo a terzi per finalit� estranee a quelle istituzionali (in periodi di 
accertata assenza della ricorrente dal territorio nazionale). L'autovettura risultava, in particolare, 
parcheggiata - al rientro dal lavoro e nei giorni liberi e festivi - nel posto auto per il 
quale la ricorrente era titolare di abbonamento ed ove prima aveva parcheggiato l'auto personale 
poi venduta. 

2.13. L'abusivit� di siffatto utilizzo � stata desunta dal regolamento dell'istituto scolastico 
che prevedeva quale assegnatario del veicolo l'ufficio tecnico, che doveva conservare le chiavi 
dell'autovettura e i documenti in copia prevedendosi l'esistenza di personale addetto alla conduzione 
del veicolo, definito come il personale assegnato espressamente alla conduzione tramite 
ordine di servizio, che veniva nominato dal consegnatario, con divieto di utilizzo da parte 
di personale non autorizzato (artt. 1 e 4 del regolamento). Lo stesso regolamento prevedeva 
l'utilizzo del veicolo "esclusivamente" per l'espletamento dei servizi interni ed esterni indicati, 
escludendone - quindi - l'uso per motivi personali ed anche il percorso casa-ufficio. Del resto 

-come risulta dalla prima sentenza (pg. 18 e sg.) - era ben nota la gestione privatistica della 
stessa autovettura da parte della ricorrente, la quale era lei ad autorizzarne l'uso ad altri dipendenti 
consegnando le chiavi e senza alcun rispetto di qualsiasi formalit� (neanche annotazione 
dei viaggi e dei chilometraggi) ed alle quali ella era insofferente. Inoltre, si apprende 
dalla sentenza impugnata che, non solo non risulta essere stato accertato che la imputata provvedesse 
a sue spese ai rifornimenti di carburante per la vettura da lei utilizzata, ma - al contrario 
- risulta, documentalmente ed a mezzo di testimoni, che il carburante ed i pneumatici 
dell'autovettura erano stati pagati dall'Istituto. 

3. Il secondo motivo � manifestamente infondato rispetto alla condotta appropriativa accertata 
che ha determinato la stabile destinazione del veicolo alle esigenze personali della ricorrente 
per un considerevole periodo di tempo con utilizzazione anche per viaggi di lunga 
percorrenza. Il peculato, in ogni caso, si consuma nel momento in cui ha luogo l'appropriazione 
della "res" o del danaro da parte dell'agente, la quale, anche quando non arreca, per 
qualsiasi motivo, danno patrimoniale alla P.A., � comunque lesiva dell'ulteriore interesse tutelato 
dall'art. 314 cod. pen. che si identifica nella legalit�, imparzialit� e buon andamento del 
suo operato (Sez. U, n. 38691 del 25/06/2009, Caruso, Rv. 244190), interesse pacificamente 
violato con la condotta appropriativa accertata. 

3.1. Quanto alla esclusione della attenuante ex 323bis c.p. � stato affermato che, in tema di 
delitti contro la P.A., la circostanza attenuante speciale prevista per i fatti di particolare tenuit� 


ricorre quando il reato, valutato nella sua globalit�, presenti una gravit� contenuta, dovendosi 
a tal fine considerare non soltanto l'entit� del danno economico o del lucro conseguito, ma 
ogni caratteristica della condotta, dell'atteggiamento soggettivo dell'agente e dell'evento da 
questi determinato (Sez. 6, n. 14825 del 26/02/2014 Rv. 259501 Di Marzio e altri). Ancora, 
in tema di peculato, la semplice restituzione della somma sottratta al privato non comporta il 
riconoscimento dell'attenuante della riparazione del danno provocato dalla condotta illecita 
del pubblico ufficiale, poich� la fattispecie di reato, pur potendo tutelare eventualmente anche 
il patrimonio dei privati, si caratterizza principalmente per le finalit� di tutela del patrimonio 
della P.A. e dell'interesse alla legalit�, efficienza e imparzialit� della sua attivit� (Sez. 6, n. 
41587 del 19/06/2013 Rv. 257148 Palmieri). Cosicch� del tutto conforme all'alveo di legittimit� 
ricordato � la esclusione della attenuante in parola in costanza dell'ineccepibile accertamento 
in fatto che ha fatto leva sulla stabile destinazione del veicolo alle esigenze personali 
della ricorrente. 

4. Il terzo motivo � manifestamente infondato, quando non generico. 

4.1. � stato affermato che l'errore del pubblico ufficiale circa la propria facolt� di disposizione 
del pubblico danaro per fini diversi da quelli istituzionali non ha alcuna efficacia scriminante, 
perch�, per quanto la destinazione del pubblico danaro sia fissata da una norma 
amministrativa, tale norma deve intendersi richiamata dalla norma penale, della quale integra 
il contenuto. Pertanto, l'illegittimo mutamento di tale destinazione, anche se compiuto dal-
l'agente per ignoranza sui limiti dei propri poteri, non si risolve in un errore di fatto su legge 
diversa da quella penale, ma costituisce errore o ignoranza sulla legge penale e, come tale, 
non vale ad escludere l'elemento soggettivo del reato di peculato (conformi, mass n 150097; 
mass n 144149; mass n 099254; mass n 112338) (Sez. 6, n. 11451 del 29/04/1987, Matera, 
Rv. 176973). Ancora, in tema di peculato per ritardato versamento di somme riscosse dal pubblico 
ufficiale per conto della Pubblica Amministrazione non pu� ritenersi errore scusabile, 
atto ad escludere il dolo, quello che investe la norma amministrativa di contabilit� che impone 
un tempestivo versamento: ci� in quanto tale norma � integrativa di quella penale. Conseguentemente 
risulta irrilevante una invocata prassi in senso contrario alla suddetta disciplina 
(Sez. 6, n. 10020 del 03/10/1996, Pravisani ed altro, Rv. 206365). 

4.2. Pertanto, del tutto corretta � la motivazione con la quale la sentenza impugnata ha 
escluso la asserita buona fede della imputata in presenza delle disposizioni regolamentari 
prima indicate e secondo le accertate modalit� di utilizzo dell'autovettura. E non ha illogica-
mente considerato la arrogante pervicacia della condotta nonostante la conoscenza degli esposti 
pervenuti all'Ufficio Scolastico Regionale - al quale � stata data la inveritiera risposta 
dell'uso istituzionale della autovettura - anche tenendo conto della deposizione resa da omissis 
accusata dalla stessa ricorrente di essere "rea" di indebite propalazioni a terzi di "accadimenti 
scolastici" e di quella del omissis, comandato dalla preside - all'atto del pervenimento del-
l'esposto e durante una sua assenza - di recuperare al parcheggio la vettura per portarla presso 
l'Istituto. E, infine, considerando le accertate illecite modalit� di tenuta del libretto di marcia, 
non illogicamente ritenute manifestazione della male fede della ricorrente. 

5.11 quarto motivo � manifestamente infondato, quando non generico ed in fatto. 

5.1. Rientrano nella nozione di atto pubblico rilevante ai fini dell'integrazione del reato di 
falso ideologico in atto pubblico, anche gli atti cosiddetti interni, ovvero quelli destinati ad 
inserirsi nel procedimento amministrativo, offrendo un contributo di conoscenza o di valutazione, 
nonch� quelli che si collocano nel contesto di una complessa sequela procedimentale 

-conforme o meno allo schema tipico - ponendosi come necessario presupposto di momenti 


procedurali successivi (Sez. 5, n. 14486 del 21/02/2011, Marini e altro, Rv. 249858; Sez. 6, 

n. 11425 del 20/11/2012, Serritiello, Rv. 254866); ancora, il reato di falso ideologico in atto 
pubblico � configurabile in relazione a qualsiasi documento che, bench� non imposto dalla 
legge, � compilato da un pubblico ufficiale nell'esercizio delle sue funzioni per documentare, 
sia pure nell'ambito interno dell'amministrazione di appartenenza, la regolarit� degli adempimenti 
ai quali � obbligato ovvero circostanze di fatto cadute sotto la sua percezione diretta o, 
comunque, ricollegabili a tali adempimenti e si inserisce nell�"iter" procedimentale prodromico 
all'adozione di un atto finale (Sez. 5, n. 9368 del 19/11/2013, Budetta, Rv. 258952); in 
particolare, infine, in tema di falsit� materiale commessa da pubblico ufficiale in atti pubblici, 
costituiscono atto pubblico le "note di missione", attraverso le quali viene attestato l'espletamento 
di missioni per ragioni di servizio, con relativa trasferta, atteso che pure in relazione ai 
cos� detti atti interni della pubblica amministrazione sussiste l'interesse giuridico alla tutela 
della pubblica fede, che risulta leso anche quando la falsit� riguarda tale categoria di atti, comunque 
destinati ad assumere funzione probatoria (Sez. 5, n. 6900 del 12/12/2000, Vinanate 
R., Rv. 218273). 

5.2. Nella specie, la sentenza impugnata, si � collocata nell'alveo di legittimit� richiamato, 
correttamente qualificando quale atto pubblico il libretto di marcia in questione destinato a 
contenere le attestazioni di colui che utilizzava la vettura pubblica circa le circostanze del-
l'utilizzo, sul rilievo della violazione delle disposizioni del regolamento d'Istituto nella tenuta 
del libretto di marcia, del quale era prevista e disciplinata la tenuta, ha richiamato il contenuto 
della prima sentenza in ordine alle falsit� (v. sentenza di primo grado, pg. 14 e ss.), anche 
sotto il profilo dell'omissione delle doverose attestazioni ed ha concluso per la tenuta del predetto 
libretto - da parte della imputata che personalmente vi provvedeva al di fuori di ogni 
previsione - in modo tale da rendere impossibile una ricostruzione delle reali modalit� di utilizzo 
del veicolo e del suo uso per fini privati ed estranei alle finalit� consentite. 

5.3. Risulta, cos�, del tutto generica la dedotta disponibilit� della imputata alla tenuta del 
libretto rispetto alla specifica attribuzione dell'Ufficio tecnico; come pure la asserita negligenza 
nella sua tenuta, rispetto a quella che - secondo la sentenza ineccepibilmente motivata sul 
punto - risultava funzionale alla illecita appropriazione della vettura. Infine, generica � la dedotta 
concreta inincidenza delle annotazioni sul libretto di marcia ai fini della ricostruzione 
delle spese di gestione del veicolo, posto che - nell'illecito contesto analizzato connotato dalla 
assenza di rispetto delle pi� elementari regole - nessuna rilevante correlazione economico-
funzionale al riguardo risulta essere utilizzata. 
6. Al rigetto del ricorso consegue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese 
processuali. 


P.Q.M 
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali. 
Cos� decisio in Roma, 10.3.2016. 



Sospensione del processo ed individuazione del termine 
di decorrenza dell'atto di riassunzione rispetto 
ad una parte non presente nel giudizio pregiudiziale 


NOTA A CORTE D�APPELLO DI NAPOLI, SEZ. I CIV., SENTENZA 23 GIUGNO 2016 N. 2533 

Giuseppe Arpaia* 

Qualora un processo venga sospeso per l�esistenza di un giudizio pregiudiziale e nel 
giudizio oggetto di sospensione sia presente anche una parte estranea a quello pregiudiziale 
(nella specie il M.E.F.), al fine della decorrenza del termine per la riassunzione del giudizio 
sospeso � necessario che la parte estranea abbia legale conoscenza della cessazione della 
causa di sospensione (vale a dire del passaggio in giudicato della sentenza pregiudiziale) attraverso 
notificazione, comunicazione o dichiarazione della causa di cessazione della sospensione, 
non avendo alcun onere di attivarsi per accertarsi se il giudizio pregiudiziale si 
sia concluso, mentre spetta alla controparte che eccepisca l�estinzione del procedimento provare 
che la parte che ha proceduto alla riassunzione abbia avuto legale conoscenza del passaggio 
in giudicato della sentenza pregiudicante pi� di sei mesi prima (termine vigente rationetemporis) del deposito della istanza di prosecuzione. � insufficiente ai fini della legale conoscenza 
dell�esito del giudizio pregiudiziale la conoscenza di fatto di quest�ultimo acquisita 
attraverso il deposito delle sentenze pregiudiziali in questione da parte dell'Avvocatura di 
Stato costituita in un distinto giudizio per il M.E.F. in causa con la stessa controparte. 

La sentenza della Corte di Appello di Napoli, che si commenta, ha parzialmente 
accolto l�impugnazione proposta dall'Avvocatura di Stato avverso 
la sentenza n. 453/15 del 5 febbraio 2015 resa dal Tribunale di S. Maria C.V., 
in composizione collegiale, che aveva rigettato il reclamo proposto dalla Agenzia 
delle Entrate e dal Ministero dell'Economia e delle Finanze avverso la ordinanza 
di estinzione adottata dal giudice istruttore il 14 luglio 2014 
nell'ambito del procedimento incidentale di accertamento dell'estinzione del 
giudizio di opposizione allo stato passivo promosso dalle due predette Amministrazioni 
nei confronti del Fallimento Serit SpA. 

Il Tribunale aveva confermato la predetta ordinanza, ritenendo che sia 
l'Agenzia delle Entrate sia il Ministero dell'Economia e delle Finanze avevano 
omesso di riassumere il processo di opposizione allo stato passivo nel termine 
di sei mesi, prescritto dall'art. 297 cpc previgente decorrente dalla conoscenza 
della definizione dei giudizi pregiudiziali, gi� pendenti innanzi alla Corte dei 
Conti sezione centrale di appello: in particolare, l'Agenzia delle Entrate aveva 
avuto conoscenza del passaggio in giudicato delle relative sentenze, essendo 
parte in causa dei giudizi pregiudiziali; inoltre, il M.E.F., nonch� la stessa 
Agenzia in ogni caso avevano avuto sicura conoscenza della definizione delle 

(*) Avvocato dello Stato in Napoli. 


cause pregiudiziali allorch� depositarono in un altro distinto giudizio, pendente 
innanzi al TAR Campania nei confronti dello stesso Fallimento Serit, le due 
sentenze pregiudiziali, per cui il predetto termine semestrale per la riassunzione 
doveva ritenersi in ogni caso cominciato a decorrere dalla data di tale 
deposito, avvenuto il 19 ottobre 2012. 

La dichiarazione di estinzione trovava causa nel ricorso in prosecuzione 
proposto dal Fallimento Serit al solo fine di far dichiarare l'estinzione del giudizio, 
notificato all'Agenzia delle Entrate ed al M.E.F., a cui aveva fatto seguito, 
insieme con la contestuale comparsa di risposta, la riassunzione del 
giudizio di opposizione allo stato passivo da parte delle due Amministrazioni, 
con la quale avevano rappresentato che nessun termine era utilmente decorso 
fino a quando la Curatela aveva precisato con il predetto ricorso quali e quanti 
fossero i giudizi pregiudiziali e le conseguenti relative sentenze. 

La Corte Territoriale ha rigettato l�appello proposto dall�Agenzia delle 
Entrate, ritenendo che quest�ultima aveva avuto legale conoscenza dei due 
giudizi pregiudicanti pendenti innanzi alla Corte dei Conti sezione Centrale 
di Appello, che avevano determinato la sospensione del giudizio di opposizione 
allo stato passivo, sia attraverso la notificazione dei due ricorsi in appello, 
sia attraverso il deposito delle due relative sentenze, che la stessa 
Agenzia, nella sua articolazione territoriale di Caserta, aveva poi provveduto 
a notificare alla Curatela del Fallimento Serit ai fini esecutivi, trattandosi di 
pronunzie sfavorevoli a quest'ultima: di qui la conferma della sentenza impugnata, 
che aveva dichiarato l�estinzione ex art. 308, 2^ co., c.p.c. del processo 
ex art. 98 l.f. promosso dalla Agenzia delle Entrate. 

Diversa, invece, in punto di diritto, era la situazione del Ministero del-
l'Economia e delle Finanze, in quanto non era stato parte nei due giudizi di 
appello pregiudiziali pendenti innanzi alla Corte dei Conti sezione centrale di 
appello, per cui era necessario affinch� potesse decorrere il termine di sei mesi 
dalla conoscenza della cessazione dei giudizi pregiudicanti, per la tempestiva 
riassunzione del giudizio di opposizione ex art. 98 l.f., che il predetto Ministero 
avesse conoscenza �legale� della cessazione della causa di sospensione, vale 
a dire del passaggio in giudicato delle due sentenze pregiudicanti. 

Come � noto, la Corte Costituzionale con sentenza n. 34/1970 dichiar� 
l�illegittimit� costituzionale dell'art. 297, co. 1, c.p.c., nella parte in cui disponeva 
la decorrenza del termine utile per la richiesta di fissazione della nuova 
udienza dalla cessazione della causa di sospensione, anzich� dalla conoscenza 
che ne abbiano le parti del processo sospeso, sostituendo ad un fatto oggettivo, 
quale � la verificazione dell'evento, un fatto soggettivo, costituito dalla conoscenza 
dell'evento stesso, senza, tuttavia, precisare le modalit� secondo le quali 
tale conoscenza debba attuarsi. 

Nella presente fattispecie la Corte di Appello da un lato ha ritenuto che 
la conoscenza dei giudizi pregiudicanti per l'Agenzia delle Entrate sia avve



nuto in quanto pacificamente parte di entrambi i giudizi pregiudiziali, dall'altro 
non ha condiviso la impugnata statuizione del Tribunale di S. Maria C.V., secondo 
la quale la conoscenza delle due predette sentenze era avvenuto anche 
per il M.E.F. allorch� quest'ultimo aveva depositato - tramite l'Avvocatura di 
Stato - copia delle due pronunzie in parola in altro distinto giudizio pendente 
innanzi al TAR Campania tra le stesse parti del giudizio di opposizione allo 
stato passivo, nonch� con Banca Intesasanpaolo SpA ed Equitalia SpA. Secondo 
il Tribunale la data del deposito delle due sentenze costituiva notizia 
certa della definizione dei giudizi pregiudiziali e quindi anche di decorrenza 
del termine per la riassunzione del giudizio di opposizione allo stato passivo, 
che non essendo intervenuta nei sei mesi successivi doveva considerarsi 
estinto. La Corte ha ritenuto insufficiente tale conoscenza di fatto acquisita 
delle due sentenze, ritenendo necessaria per la parte estranea al giudizio pregiudiziale 
la conoscenza legale della causa di cessazione della sospensione, 
vale a dire del passaggio in giudicato della sentenza pregiudiziale attuata "mediante 
dichiarazione, notificazione o certificazione", non essendo sufficiente 
la conoscenza aliunde acquisita (cfr. in tal senso anche Cass. 23 luglio 2012 

n. 12790; Cass. 4 maggio 2010, n. 10714; Cass., 11 febbraio 2010 n. 3085; 
Cass. 8 ottobre 2008, n. 24857; Cass. Lav. 12 giugno 2008 n. 15785). 

La Corte di Appello ha affermato che "l'evento della cessazione della 
causa di sospensione pu� essere conosciuto legalmente nei modi in cui nella 
disciplina del processo la sua conoscenza � realizzabile". In altre parole, la 
conoscenza dell�evento idonea a far decorrere il termine per la prosecuzione 
di un processo sospeso � quella che si consegue mediante atti processuali, vale 
a dire mediante dichiarazione in udienza alla presenza del procuratore della 
parte interessata alla riassunzione/prosecuzione del giudizio (cfr. Cass. 8 marzo 
2007, n. 5348), notificazione a mezzo di ufficiale giudiziario o certificazione 
ufficiale dell�evento (cfr. Cass. 16 marzo 2006, n. 5816). Alla luce di tali pronunce, 
� stata ritenuta infondata la tesi del Fallimento, secondo cui nel caso in 
cui la parte del processo sospeso non sia anche parte del processo pregiudicante 
la comunicazione della cessazione della causa di sospensione era superata 
dalla prova che la parte aveva avuto aliunde conoscenza della predetta 
cessazione. La giurisprudenza pi� recente, richiamata dalla Corte Partenopea, 
ha affermato esattamente il contrario, asserendo che la conoscenza legale richiesta 
nei casi quale quello ad esame, per la parte estranea alla causa pregiudiziale, 
deve essere intesa come un quid pluris rispetto a quella di fatto aliunde 
acquisita (cfr. Cass. Civ., sez. Lav., sent. 5650 del 7 marzo 2013 ove si afferma 
che la conoscenza deve essere �legale� �nel senso sopra chiarito dalla giurisprudenza 
di questa Corte; deve cio� essere acquisita non in via di mero fatto 
ma per il tramite di una dichiarazione, notificazione o certificazione rappresentativa 
dell'evento che determina l'interruzione del processo, assistita da 
fede privilegiata� ). 


Di conseguenza, non avendo adempiuto il Fallimento all'onere della prova 
della conoscenza legale da parte del M.E.F. del passaggio in giudicato delle 
sentenze pregiudicanti pi� di sei mesi prima del deposito del ricorso in prosecuzione 
da esso proposto al solo scopo di far dichiarare l'estinzione del giudizio 
di opposizione allo stato passivo, nella fattispecie l�atto idoneo a 
determinare per il M.E.F. la conoscenza legale della cessazione della sospensione 
si � attuato con la notificazione del predetto ricorso in prosecuzione. 

Corte di Appello di Napoli - Prima Sezione Civile, sentenza 23 giugno 2016 n. 2533 -
Pres. M. Cultrera, Cons. rel. M. Lopiano - Agenzia delle Entrate -Ufficio di Caserta e Ministero 
dell'Economia e delle Finanze (avv. Stato G. Arpaia) c. Fallimento Serit S.p.A. (avv. 
prof. A. Di Amato). 

MOTIVI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE 

1.1- Preliminarmente si rappresenta in fatto e in diritto che: 

- con ricorso 5 gennaio 2006 Agenzia delle Entrate - Ufficio di Caserta e Ministero delle Finanze 
e Tesoro ora Ministero dell'Economia e Finanze, hanno proposto opposizione ai sensi dell'art. 

98 1. fall. avverso il provvedimento in data 17 dicembre 2004 (corretto del 25 gennaio 2005) 
con cui il g.d. al Fallimento Serit s.p.a. ha dichiarato l�esecutivit� dello stato passivo rigettando 
n. 48 domande di insinuazione al passivo avanzate da Agenzia delle Entrate a titolo di "domande 
di discarico per quote erariali inesigibili" presentate dalla Serit e rigettate (domande specificamente 
indicate nel ricorso) ed omettendo di provvedere sulla domanda (n. 174) depositata il 19 
febbraio 1999 dal Ministero delle Finanze e del Tesoro, avente ad oggctto l�ammissione al passivo 
per crediti erariali imposte dirette conto residui a tutto il 28 dicembre 1998; 


-il Fallimento Serit, costituito in giudizio, dopo aver rilevato che il g.d. ha pronunciato su 
tutte le domande presentate da controparte e, specificatamente, anche su quelle contrassegnate 
dai nn. 174 (domanda del Ministero del Tesoro), 292 e 293 (domande Agenzia delle Entrate), 
ha chiesto disporsi la sospensione ex art. 295 c.p.c. del giudizio come dianzi introdotto deducendo 
che �in relazione alle domande di discarico per inesigibilit� cui le domande di ammissione 
al passivo si riferiscono � tutt�ora pendente dinanzi alla Corte dei Conti, sez. centrale 
appello, il procedimento volto al riconoscimento, a favore della Serit, del diritto al discarico 
in relazione alle predette domande. L�udienza di discussione relativa al predetto procedimento 
� fissata per il 16 gennaio 2007 (all. 3)�; 

-con ordinanza 10 novembre 2006, il g.u. ha disposto �la sospensione del presente giudizio 
fino alla definizione del giudizio pendente innanzi alla Corte dei Conti ed al passaggio in 
giudicato della relativa sentenza� ci� dopo aver �rilevato che in relazione alle domande di 
discarico per quote erariali inesigibili cui si riferiscono le domande di ammissione al passivo 
proposte dall'attuale opponente e rigettate dal GD, � pendente dinanzi alla Corte dei Conti, 
sez. centrale di appello, giudizio volto al riconoscimento in favore di Serit del diritto al discarico 
in relazione alle predette domande" e ritenuto che tale accertamento riveste carattere 
pregiudiziale in senso logico-giuridico, rispetto alle domande di ammissione al passivo dei 
crediti avanzate dall�opponente fondate sul rigetto delle domande di discarico per quote erariali 
inesigibili avanzate dalla Serit, rigetto impugnato dinanzi alla Corte dei Conti; 



-con ricorso ex art. 297 c.p.c. il Fall. Serit ha promosso la riassunzione del processo al fine di ottenere 
la dichiarazione di estinzione del giudizio atteso che il Ministero dell'Economia e delle Finanze 
e l'Agenzia delle Entrate, pur avendo contezza che la Corte dei Conti - sezione centrale di 
appello, con sentenze n. 46 e n. 47 del 2007 aveva definito i processi pregiudiziali, avevano 
omesso di riassumere nel termine prescritto il giudizio di cognizione ex art. 98 l. fall. sospeso; 


- con comparsa 24 settembre 2013 Ministero e Agenzia delle entrate hanno resistito all�averso 
ricorso e proposto contestuale istanza di riassunzione; 

-con ordinanza 14 luglio 2014 il giudice monocratico in funzione di istruttore ha dichiarato 
l�estinzione del processo ex art. 98 l. fall. e ordinato la cancellazione della causa dal ruolo argomentando: 
- che Agenzia delle Entrate e Ministero in data 20 novembre 2006 hanno avuto 
legale conoscenza dell'ordinanza con la quale � stata disposta la sospensione (giusta risultanze 
della relata di notifica in atti); - l�infondatezza della difesa della Agenzia delle Entrate (secondo 
la Serit nel verbale di udienza e il G.I. nell�ordinanza di sospensione hanno fornito un'indicazione 
generica dei processi pendenti dinanzi alla Corte dei Conti quali giudizi pregiudizievoli 
rispetto al processo n. 46/2006) dal momento che dalle difese del Fallimento Serit e, in particoalre, 
dagli atti dalla stessa prodotti (all. 3) e che parte opponente, assistita dall�Avvocatura 
Distrettuale dello Stato, organo di difesa tecnico di elevata specializzazione, poteva visionare, 
risulta in modo evidente che il processo pendente dinanzi alla Corte dei Conti sezione centrale 
era quello iscritto al n. 21615/06 avente ad oggetto l�impugnativa avverso la sentenza 889/03 
e quello iscritto al n. 21617/06 avente ad oggetto l'impugnativa avverso la sentenza n. 890/03; 

-che la curatela aveva dimostrato la qualit� di parte dei processi suindicati (n. 21615/06 e 
21617/06) in capo all'Agenzia delle Entrate (cui erano stati notificati entrambi gli atti di appello 
intoduttivi dei suddetti processi, ed a cui deve pertanto ritenersi sia stata data notizia 
del deposito delle sentenze che detti giudizi pregiudiziali hanno definito), che aveva altres� 
proceduto alla notifica delle suddette sentenze nei confronti del Fallimento Serit); - che il 
Ministero delle Finanze e l�Agenzia delle Entrate hanno avuto sicuramente notizia in data 
10 ottobre 2012 del passaggio in giudicato delle sentenze n. 46 e n. 47 in data 13 marzo 2007 
e 11 maggio 2007 della Sezione Centrale della Corte dei Conti, avendo fatto espresso riferimento 
ai medesimi provvedimenti nella memoria dalle stesse depositata il 19 ottobre 2012 
nel processo CT 12963/2004 dinanzi al TAR Campania vertente tra le medesime parti e il 
Fall. Serit; - che la mancata riassunzione del giudizio ex art. 98 l. fall. sospeso nel termine 
di sei mesi (prescritto dall'art. 297 c.p.c. previgente) decorrente dalla data suddetta (19 ottobre 
2012) impone la dichairazione di estinzione; - con sentenza n. 435/2015 del 5 febbraio 2015, 
il Tribunale di Santa Maria C.V., adito in sede di reclamo, ha dichairato l�estinzione del processo 
e ordinato la cancellazione della causa dal ruolo, condannando i reclamenti al pagamento 
delle spese processuali in favore della curatela. 

1.2 - Avverso la predetta sentenza, con atto notificato il 18 marzo 2015 al Fallimento Serit 
s.p.a., hanno proposto appello, per i motivi di seguito specificati, MEF e Agenzia delle Entrate 
chiedendo alla Corte di annullare la sentenza n. 453/15 dichiarativa della estinzione del processo 
di opposizione allo stato passivo e per l�effetto rimettere la causa dinanzi allo stesso 
Tribunale per il prosieguo ai sensi dell�art. 354, secondo comma, c.p.c. con ogni conseguente 
statuizione in ordine alle spese processuali del doppio grado di giudizio. 
1.3- Iscritta la causa (erroneamente) al ruolo generale delle cause civili contenziose (in luogo 
che al ruolo generale della v.g.), con comparsa depositata all�udienza del 28 ottobre 2015 si 
� costituito il Fallimento Serit s.p.a., che ha chiesto il rigetto dell�impugnazione poich� in-
fondata, con vittoria di spese e compensi del doppio grado. 


1.4- All�udienza del 2 febbraio 2015, sulle conclusioni in epigrafe trascritte, la causa � stata dal 
collegio riservata per la decisione previa assegnazione di termini ridotti (giorni trenta per il deposito 
delle comparse conclusionali e giorni venti per le memorie di replica) ex art. 190 c.p.c. 
2.1- Con il primo motivo le appellanti censurano la sentenza del Tribunale nella parte in cui, pur 
in presenza di un esplicito riferimento ad un unico giudizio pregiudicante effettuato dalla curatela 
sia nel verbale di udienza di prima comparizione che nella comparsa di costituzione, unicit� poi 
assunta ad oggetto della successiva ordinanza di sospensione del giudizio, ha ritenuto di superare 
tale atto testuale affermando che "dalle difese della curatela del fallimento Serit e, in particolare, 
dagli atti dalla stessa prodotti nel giudizio di opposizone allo stato passivo (cfr. all. 3) risulta in 
modo evidente che nel processo pendente dinanzi alla Corte dei Conti sezione centrale era quello 
iscritto al n. 21615/06, avente ad oggetto l'impugnativa avverso la sentenza n. 889/03 ..... e 
quello iscritto al n. 889/03 ... e quello iscritto al n. 21617/06 avente ad oggetto l�impugnativa 
avverso la sentenza n. 890/03 emessa ... I reclamanti, assistiti dall'Avvocatura Distrettuale dello 
Stato e, quindi, da un organo di difesa tecnico con elevata specializzazione, potevano visionare 
detti atti e ricollegare ai giudizi ivi indicati quello menzionato dalla curatelela del fallimento 
Serit nel verbale di udienza e dal giudice nell�ordinanza che disponeva la sospensione del processo. 
La curatela del fallimento ha dimostrato, inoltre, che l�Agenzia delle Entrate, rappresentata 
dalla direzione regionale Campania, era parte dei processi n. 21615/06 e 21617/06 pendenti 
dinanzi alla Corte dei Conti sezione centrale. Infatti, l'atto di appello del processo n. 21615/06 
e quello relativo al processo n. 21617/06 sono stati notificati rispettivamnte in data 5 ottobre 
2004 e 6 ottobre 2004 all'Agenzia Direzione Regionale della Campania presso Avvocatura Distrettuale 
dello Stato, via Diaz n. 11, Napoli, quindi si deve che l'Agenzia delle Entrate rappresentata 
dall'ufficio territoriale - direzione Regionale Campania, ha necessarimante avuto notizia, 
in qualit� di parte dei giudizi indicati, del depostio e del conseguente passaggio in giudicato 
della sentenza n. 46 e 47, depositata il 12 marzo 2007 e l�11 maggio 2007, con le quali la Corte 
dei Conti sezione centrale ha definito i processi pregiudiziali rispetto a quello in esame. Si deve 
rimarcare, peraltro, che la stessa Agenzia, nella sua articolazione territoralie di Caserta ha proceduto 
alla notf�ca dei suddetti provvedimenti giurisdizionali alla curatela del fallimento Serit 

s.p.a. come emerge dagli atti depositati in giudizio dallo stesso ufficio fallimentare�. 

Rilevano al riguardo gli appellanti: 

-che il riferimento a due giudizi di appello aventi carattere pregiudiziale non trova scontro 
n� nel verbale di udienza di prima comparizione del 24 ottobre 2006, n� nella comparsa di 
costituzione dalla curatela deposita in pari data, n� nella stessa ordinanza di sospensione; 

- che, in contrasto con l'assunto del Tribunale, � solo alla ordinanza di sospensione che occorre 
fare riferimento per la identificazione del giudizio presupposto al fine di determinare il dies 
a quo della cessazionoe della causa di sospensione; 

-che la pacifica indicazione nel verbale di udienza e negli scritti difensivi della curatela di un 
solo giudizio anzich� di due (riconosciuta anche dalla stessa curatela nella memoria difensiva 
depositata il 19 agosto 2014 nel giudizio di recalmo) spiega come sia caduto in errore anche 
il g.d. laddove, nel sospendere il giudizio, ha fatto riferimento ad un unico giudizio senza indicare 
il numero di ruolo generale o altro elemento identificativo, evidentemente ritenendo 
che il giudizio di appello in questione fosse unico; 
-che la genericit� della indicazione contenuta nella ordinanza di sospensione fa s� che nessun 
termine possa decorrere fino a quando la Curatela non ha ritenuto, con il ricorso in prosecuzione, 
di precisare quali e quanti fossero i giudizi pregiudicanti a cui ha fatto seguito la riassunzione 
del giudizio di opposizione allo stato passivo da parte degli odierni appellanti; 



-che la conoscenza dei due giudizi di appello pregiudicanti rispetto a quello di opposizione 
allo stato passivo sospeso non pu� invero desumersi dalla mera notificazione dei due ricorsi in 
appello prsso l�Avvocatura dello Stato di Napoli (la cui trattazione fu svolta dalla competente 
Avvocatura Generale dello Stato) n� dalla notificazione delle due sentenze della Corte dei Conti 
sezione centrale di appello alla curatela da parte dell'Ufficio di Caserta dell'Agenzia delle Entrate 
effettauata ai soli fini esecutivi, trattandosi di sentenze favorevoli all'Amministrazione; 


-che, inoltre, come dedotto nell'atto di reclamo e tuttavia non tenuto in conto in sentenza appellata, 
alla data di emanazione dell�ordinanza di sospensione esisteva un ampio contenzioso 
tra l�Agenzia delle Entrate e la Curatela pendente innazi alla Corte dei Conti sezione appello 
avente il medesimo oggetto, s� che, ai fini della conoscenza della cessazione della causa di 
sospensione del giudizio, sovviene il princio affermato dalla Suprema Corte con ordinanza 
17 febbraio 2014 n. 3701 depositata il 21 gennaio 2015, secondo cui in caso di pluralit� di 
cause potenzialmente pregiudiziali, la mancata identificazione del giudizio mediante indicazione 
di R.G. od altri elementi identificativi (situazione in concreto verificatasi nella fattispecie) 
fa s� che la pregiudizailit� indicata nella ordinana di sospensione debba intendersi in senso 
logico riferita a tutti i procedimenti aventi il medesimo oggetto o logicamente connessi, pendenti 
alla data di emanazione della sospensione: nella fattispecie la curatela, su cui pacificamente 
incombeva il relativo onere, con il ricorso in prosecuzione non ha fornito la prova 
(attraverso la produzione di idonea certificazione della Corte dei Conti da cui evincere da 
parte dell'Agenzia di tutte le sentenze di appello relative al contenzioso de quo) della conoscenza 
da parte dell'Agenzia delle Entrate della cessazione della causa di sospensione per tutti 
i giudizi di appello aventi ad oggetto il riconoscimento del diritto di discarico della Serit. 

2.2 - L'appello, per il profilo considerato, � infondato. 
Come gi� sostenuto dal giudice unico un funzione di g.i. nell�ordinanza che ha dichiarato 
l'estinzione del giudizio e successivamente ribadito dal Tribunale di S. Maria C.V. in sede di 
reclamo, il contenuto dell�ordinanza che ha sospeso il giudizio di opposizione allo stato passivo 
e, specificatamente, l�individuazione in detta ordinanza del �giudizio di appello�, pendente 
dinanzi alla Corte dei Conti sezione centrale, pregiudiziale rispetto alla definizione del giudizio 
ex art. 98 l. fall. sospeso, va individuato, per relationem, nel contenuto della comparsa di costituzione 
nel medismo giudizio ex art. 98 l. fall. dal fallimento Serit depositata all�udienza di 
prima comparizione del 23 ottobre 2006: detta comparsa contiene la richiesta di sospensione 
del giudizio di cognizione ex art. art. 98 l.f. sulla base della rappresentazione del rapporto di 
pregiudizialit� rispetto al predetto giudizio (pregiudicato) del �giudizio contabile� pendente 
tra il medesimo fallimento e l�Agenzia delle Entrate e pregiudicante, in quanto avente ad oggetto 
domande di discarico per inesigibilit� presentate dalla Serit i cui importi costituivano 
oggetto della pretesa creditoria azionata dall'Agenzia delle Entrate nel fallimento Serit. 
Ebbene, come gi� evidenziato, nella suddetta comparsa il fallimento Serit deduce che �in relazione 
alle domande di discarico per insesigibilit� cui le domande di ammissione al passivo 
si riferiscono � tutt�ora pendente dinanzi alla Corte dei Conti, sez. centrale appello, il procediinenlo 
volto al riconoscimento, a favore della Serit, del diritto al discarico in relazione alle 
predette domande. L'udienza di discussione relativa al predetto procedimento � fissata per il 
16 gennaio 2007 (all. 3)� mentre l'allegato 3 richiamato costituente parte integrante della comparsa, 
� costituito da due ricorsi in appello, rispettivamente avverso la sentenza n. 889/03 e la 
sentenza n. 890/03 emesse dalla Sezione Giurisdizionale per la Regione Campania, proposti 
dal Fallimento Serit alla Corte dei Conti, regolamente notificati, e dai correlati due Decreti del 
Presidente della Corte dei Conti Sezione Giurisdizionale Centrale, entrambi in data 19 aprile 


2006, di fissazione al 16 gennaio 2007 dell'udienza di discussione di ciascuno dei due appelli. 
Nessun dubbio � allora ragionevolemnte prospettabile in ordine alla specifica individuazione, 
nell'ordinanza di sospensione (integrata per relationem dal contenuto della istanza di sospensione 
ex art. 295 c.c. avanzata e argomentata dal Fallimento Serit nella comparsa di costituzione 
su cui l�ordinanza provvede) dei giudizi contabili (puntualmente identificati) 
effettivamnete pregiudiziali rispetto alle domande di ammissione allo stato passivo avanzate 
dalle Amministrazioni statali e ci� tanto pi� tenendo conto che i suddetti giudizi, come dedotto 
dal Fallimento Serit e confermato nella ordinanza di sospensione, avevano ad oggetto le medesime 
domande di discarico per inesigibi1it� (specificamente individuate sia nei ricorsi del 
Fallimento Serit dinanzi alla giurisdizione contabile sia nella ammissione al passivo del suddetto 
fallimento dell'Agenzia delle Entrate) i cui importi costituivano oggetto delle pretese 
creditorie fatte valere nel giudizio di opposizione allo stato passivo sospeso. 
Di qui la piena conoscenza, in capo alle amministrazioni statali, sin dalla costituzione in giudizio 
della curatela e quindi a maggior ragione dalla notifica della ordinanza di sospensione, 
degli specifici giudizi pregiudiziali posti a fondamento della disposta sospensione del giudizio 
ex art. 98 l.f., giudizi pregiudiziali di cui del resto l'Agenzia delle Entrate � stata parte e, in 
quanto tale destinataria della notifica di entrambi i ricorsi in appello proposti dalla curatela 
(per quanto detto allegati sub n. 3 alla comparsa di costituzione del fallimento Serit nel giudizio 
sospeso) nonch�, conseguentemente, della comunicazione del deposito delle sentenze 

n. 46 del 13 marzo 2007 e n. 47 dell'11 maggio 2007 che detti giudizi hanno definito (sentenze 
che, ancora, la stessa Agenzia, nella sua articolazione territoriale di Caserta, ha provveduto a 
notificare alla curatela del fallimento a fini esecutivi). 
Di qui anche la irrilevanza (ai fini che interessano) della dedotta contestuale pendenza tra le 
medesime parti di molteplici altri giudizi di appello dinanzi alla Corte dei Conti sezione centrale, 
aventi il medesimo oggetto: trattasi, invero di domande di discarico differenti da quelle 
oggetto sia dei due giudizi pregiudicanti dinanzi alla Corte dei Conti come dianzi individuati 
sia della istanza di ammissione al passivo presentata dall'Agenzia delle Entrate. Di qui altres� 
la inconferenza del principio espresso dalla Suprema Corte ed evocato dalle appellanti con 
riferimento all�ipotesi (non ricorrente nel caso di specie) di pluralit� di cause potenzialmente 
pregiudiziali e di mancata specifica identificazione del giudizio effettivamente pregiudiziale. 
3.1- Con il secondo motivo di impugnazione le amministrazioni finaziarie censurano la sentenza 
del Tribunale nella parte in cui ha desunto la legale conoscenza della cessazione della causa di 
sospensione in capo ad entrambi gli enti dal mero deposito in data 19 ottobre 2012, da parte del-
l'Avvocatura dello Stato, in altro giudizio pendente dinanzi al TAR Campania tra le medesime 
parti, la Banca Intesa San Paolo ed Equitalia Sud s.p.a., di note contenenti un espresso riferimento 
alle due sentenze (n. 46 e n. 47 del 2007) che hanno definito i due giudizi pregiudiziali. 
Rilevano in contrario le appellanti: 

-che tale circostanza � stata dedotta dalla curatela soltanto nelle note autorizzate depositate 
il 16 gennaio 2014 e, dunque, tardivamente rispetto al ricorso in prosecuzione notificato il 5 
settembre 2013; 

- che il deposito da parte dell'Avvocatura, quale difensore dell'Agenzia delle Entrate e del Mef, 
di tali due sentenze insieme a molteplici altre in un altro giudizio, non pu� costituire legale conoscenza 
della cessazione della causa di sospensione nei confronti dei due predetti Enti; 

-che in ogni caso, per il Mef, parte estranea alle cause pregiudiziali, vale il principio di stretta 
conoscenza legale della cessazione della causa di sospensione in forza del quale per la parte 
estranea alla causa pregiudiziale ha la conoscenza legale avviene soltanto mediante notifica



zione, comunicazione o dichiarazione di cessazione della casua di sospensione (cfr. Cass. 2 
dicembre 2010 n. 24533, Cass. 19 luglio 1995 n. 7865). 
3.2- L'appello per il profilo in esame � fondato nei soli confronti del Mef. 
In primo luogo va esclusa la fondatezza dell'eccezione di tardivit� della allegazione da parte 
del fallimento, nelle note del 14 gennaio 2014, della circostanza relativa al deposito da parte 
delle amministrazioni statali, in altro giudizio pendente tra le stesse parti dinanzi al TAR, di 
note recanti il riferimento alle due sentenze che hanno definito i processi pregiudizaili, risultando 
la suddetta allegazione avvenuta nell�ambito del procediemnto incidentale di estinzione 
e nel termine per note concesso dal giudice ed utilizzato da entrambe le parti. 
Del pari va esclusa la fondatezza del gravame, come dianzi argomentato, nei confronti del-
l�Agenzia delle Entrate, posto che quest�ultima, in quanto pacificamente parte di entrambi i 
giudizi pregiudiziali, certamente (come in precedenza gi� evidenziato) ha avuto conoscenza 
legale delle sentenze che detti giudizi hanno definito. 
A differenti conclusioni deve, invece, pervenirsi nei confronti del Ministero delle Finanze che, 
come accertato dal g.u. con ordinanza 14 luglio 2014, legittimamente ha propsoto (unitamente all'Agenzia 
delle Entrate) opposizione ex art. 98 l.f. in relazione alla domanda di ammissione al passivo 
dallo stesso presentata e che, pacificamente, non � sstato parte dei due processi pregiudicanti. 
Ebbene, secondo la giurisprudenza pi� recente, richiamata dagli appellanti e da questa Corte 
condivisa, affinch� nei confronti della parte rimasta estranea al giudizio pregiudicante decorra 
il termine di sei mesi dalla conoscenza della cessazione del medesimo giudizio sospeso � necessario 
che detta parte abbia conoscenza �legale� della cessazione della causa di sospensione, 
ottenuta attraverso la notificazione, comunicazione o dichiarazione della causa di cessazione 
di sospensione (cfr. Cass. 2 dicembre 2010 n. 24553 e Cass. 3 ottobre 2008 n. 24599, le quali 
hanno tutte precisato che il termine semestrale per la riassunzione del processo sospeso decorre, 
per la parte estranea alla causa pregiudiziale, dalla data in cui la stessa abbia avuto conoscenza 
legale, mediante comunicazione, notificazione o dichiarazione, della cessazione 
della causa di sospensione, mentre spetta alla controparte che eccepisca 1'estinzione del procedimento 
provare che la conoscenza sia stata acquisita dal riassumente nel semestre precedente 
la presentazione dell'istanza per la fissazione dell'udienza di prosecuzione). Con la 
sentenza 23 luglio 2012 n. 12790, la S.C. ha altres� precisto che nel caso di sospensione del 
processo per pregiudizialit�, la parte del processo pregiudicato, quando non sia parte anche 
di quello pregiudicante, non ha alcun onere di attivarsi per accertarsi se quest'ultimo si sia 
concluso, per cui incombe su chi intende eccepire la tardiva riassunzione del processo, per 
inutile decorso del termine di sei mesi dal passaggio in giudicato della sentenza pregiudicante 
(oggi ridotto a tre mesi dall'art. 46, comma 2, L. 18 giugno 2009 n. 69), l'onere di provare 
(come si legge in motivazione) che la parte la quale ha proceduto alla riassunzione avesse 
avuto conoscenza legale del passaggio in giudicato della sentenza pregiudicante pi� di sei 
mesi prima del deposito dell'istanza di prosecuzione, precisando, in sostanza, che l�evento 
della cessazione della causa di sospensione pu� essere conosciuto legalemente nei modi in 
cui nella disciplina del processo la sua conoscenza � realizzabile. 
Ebbene, di siffatta conoscenza legale in capo al MEF della cessazione della causa di sospensione 
(ossia del passaggio in giudicato delle sentenze che hanno definito i due giudizi pregiudicanti) 
non vi � nessuna traccia negli atti di causa, mentre risulta allo scopo insufficiente la 
conoscenza di fatto comunque acquisita, dalla curatela allegata in ragione del deposito delle 
due sentenze in esame eseguito dall�Avvocatura, costituita anche per il MEF, in un distinto 
giudizio tra le stesse parti dinanzi al TAR. 


L�appello avverso la sentenza del Tribunale di S. Maria C.V. che ha dichiarato l'estinzione 
per tardiva riassunzione del processo ex art. 98 l. fall. sospeso, va quindi accolto poich� fondato, 
nei confronti del solo Ministero delle Finanze, con conseguente rimessione della predetta 
amministrazione e della curatela dinanzi al Tribunale di Santa Maria C.V. per la prosecuzione 
del giudizio ex art. 98 1. fall. 

4. Avuto riguardo all'esito complessivo del giudizio, che ha visto sia le amministrazioni appellanti 
sia la curatela del Fallimento Serit s.p.a. parzialmente soccombenti, ricorrono giusti 
motivi per dichiarare le spese del doppio grado interamente compensate tra le predette parti 

P.Q.M. 
La Corte, definitivamente pronunciando sull'appello avverso la sentenza n. 453/2015, pronunciata 
dal Tribunale di S. Maria C.V. il 5 febbraio 2015, proposto da Agenzia delle Entrate-
Ufficio di Caserta e da Ministero dell'Economia e delle Finanze, in persona dei rispettivi legali 
rappresentanti p.t., con atto notificato il 18 marzo 2015 nei confronti di Fallimento Serit s.p.a. 
in persona del curatore p.t., ogni ulteriore istanza disattesa, cos� provvede: 
1) rigetta l�appello proposto dall'Agenzia delle Entrate e, per l'effetto conferma la sentenza 
impugnata che ha dichiarato l'estinzione ex art. 308, secondo comma, c.p.c., del processo ex 
art. 98 l.f. promosso dalla suddetta Agenzia; 
2) accoglie l'appello proposto dal Ministero delle Finanze in persona del Ministro p.t. e per 
l'effetto, in riforma della impugnata sentenza, rimette lo stesso Ministero e il Fallimento Serit 

s.p.a. dinanzi al Tribunale di S. Maria C.V. per la prosecuzione del giudizio ex art. 98 l. fall.; 
3) dichiara le spese del doppio grado del presente giudizio interamente compensate tra le parti 
costituite. 
Cos� deciso in Napoli nella camera di consiglio del 20 aprile 2016. 



L�estensione della tutela di rifugiato per 
una caratteristica fondamentale dell�identit� 


NOTA A TRIBUNALE PALERMO, SEZ. I CIVILE,ORDINANZA 11 APRILE 2016 

Stefano Pizzorno* 

L'omosessualit� costituisce motivo di accoglimento della domanda diretta 
ad ottenere lo stato di rifugiato sin da Cassazione 16417/2007. Con questa 
pronuncia (che si riferiva al divieto di espulsione dello straniero verso uno 
Stato nel quale possa essere oggetto di persecuzione, art. 19, comma 1 d.lgs. 
286/1998) la Suprema Corte affermava il principio per cui l'omosessualit� andava 
riconosciuta come condizione dell'uomo degna di tutela, in conformit� 
ai precetti costituzionali e che la libert� sessuale comportava la libert� di vivere 
senza condizionamenti e restrizioni le proprie preferenze sessuali, in quanto 
espressione del diritto alla realizzazione della propria personalit�, tutelato dal-
l'art. 2 della Costituzione (1). Questi principi venivano subito ribaditi dalla 
Cassazione penale che escludeva che si potesse configurare il reato di inottemperanza 
all'ordine di allontanamento dal territorio dello Stato impartito dal 
Questore nel caso di cittadino marocchino omosessuale; dal momento che in 
Marocco l'omosessualit� era punita come reato, nella fattispecie esisteva infatti 
il giustificato motivo previsto dall'art. 14, comma 5 bis d.lgs. 286/1998 (2). 

La sentenza 16417/2007 dopo aver affermato questi importanti principi, 
riteneva peraltro che la persecuzione si potesse ritenere esistente solo qualora 
l'ordinamento straniero punisse l'omosessualit� come fatto in s� considerato 
mentre doveva ritenersi esclusa allorch� fosse prevista come reato solo l'ostentazione 
delle pratiche omosessuali. Questa affermazione della Suprema Corte 
era quantomeno singolare; da un lato infatti si trattava nella specie di un cittadino 
senegalese e il codice penale del Senegal puniva testualmente con la 
reclusione da uno a cinque anni chi commetteva un atto impudico o contro 
natura con un individuo del suo sesso e quindi sanzionava evidentemente l'atto 
in s� stesso; dall'altro poteva essere comunque discutibile sostenere che una 
sanzione contro la manifestazione esteriore dell'omosessualit� non integrasse 
una persecuzione. Sul punto � decisivo quanto sostenuto dalla Corte di Giu


(*) Avvocato dello Stato in Firenze. 

Articolo pubblicato sulla rivista online www.immigrazione.it - Rivista professionale di scienze giuridiche 
e sociali - n. 265, 1 giugno 2016. 

(1) Cass. Sez. I, 25 luglio 2007, n. 16417 in Nuova Giur. Civ. Comm., 2008, 2, 10271, con nota di 

S.E. PIZZORNO, L�omosessualit� quale causa ostativa dell�espulsione. 

(2) Cass. Pen, Sez. I, 23 luglio 2007, n. 2907, in Giur. It., 2008, 11, 2575 nota di S.E. PIZZORNO, 
Omosessualit� e reato di indebito trattenimento nel territorio dello Stato. 


stizia dell'Unione che nell'affermare che le persone omosessuali provenienti 
da Paesi nei quali l'omosessualit� � punita dalla legge penale costituiscono un 
determinato gruppo sociale protetto dall'art. 10, par. 1, lett. d) della direttiva 
2004/83/CE, allo stesso tempo sottolinea come in sede di valutazione di una 
domanda diretta ad ottenere lo stato di rifugiato non � possibile attendersi che 
il richiedente asilo abbia nascosto la propria omosessualit� nel Paese d'origine. 
In altri termini il richiedente asilo non � tenuto a dar prova di riservatezza nel 
manifestare il proprio orientamento sessuale (3) . 

La Suprema Corte poi sottolineava come, per configurare la persecuzione, 
fosse sufficiente la previsione della sanzione penale indipendentemente 
dall'emanazione di una condanna. Questa impostazione veniva seguita dalla 
giurisprudenza di merito (4) e veniva confermata dalla Cassazione successivamente. 
La Suprema Corte osservava infatti che la persecuzione pu� anche 
essere attuata sul piano giuridico con la semplice previsione del comportamento 
che si intende contrastare come reato punibile con la reclusione (5); 
la circostanza per cui l�omosessualit� sia considerata un reato dall�ordinamento 
giuridico del paese di provenienza � rilevante, costituendo una grave 
ingerenza nella vita privata dei cittadini omosessuali, che compromette grandemente 
la loro libert� personale e li pone in una situazione oggettiva di persecuzione, 
tale da giustificare la concessione della protezione richiesta (6). 

Questa posizione, del tutto condivisibile, si pone per� in contrasto con 
quanto ritenuto dalla Corte di Giustizia dell�Unione nella decisione n. 199/12 
sopra citata. La Corte infatti, chiamata a pronunciarsi sulla questione pregiudiziale 
se il mero fatto di qualificare come reato gli atti omosessuali e la comminatoria 
di una pena detentiva in relazione agli stessi costituisca un atto di 
persecuzione, ha dato risposta negativa; ha ritenuto infatti che sia necessaria 
la previsione di una pena detentiva che trovi effettiva applicazione nella prassi, 
spettando alle autorit� nazionali procedere all�accertamento di tale requisito. 
� un� affermazione che suscita perplessit� ed � diversa da quanto ritenuto dalla 
Corte Europea dei diritti dell�uomo secondo cui lo stesso fatto dell�esistenza 
di una legislazione che punisce gli atti omosessuali colpisce la vita privata ed 
� in contrasto con la Convenzione (7). Occorre osservare peraltro che le sen


(3) Corte di Giustizia Unione Europea, sez. IV, sent. 7 novembre 2013, n. 199/12 in Nuova Giur. 
Civ. Comm., 2014, 6, 10560, con nota di MORASSUTTO e WINKLER, Le tante facce dell'omofobia: una 
sentenza recente della Corte di Giustizia dell'Unione Europea in materia di rifugiati omosessuali. 
(4) Trib. Milano, ord. 27 ottobre 2015; Trib. Catanzaro, ord. 7 dicembre 2015; App. Bologna, 
sent. 16 luglio 2014; Trib. Bologna, ord. 8 novembre 2013 con giur. ivi richiamata, in Leggi d'Italia; 
Trib. Trieste, sent. 17 agosto 2009 n. 304, in www.meltingpot.it. 
(5) Cass. Civ., sez. VI, ord. 20 settembre 2012, n. 15981, in Leggi d'Italia. 
(6) Cass., Sez. 6, 5 marzo 2015 n. 4522 in Leggi d�Italia. 




(7) Modinos v Cyprus 1993; Norris v Ireland 1991; Dudgeon v. United Kingdom in 
www.echr.coe.int; la posizione della Corte Europea dei diritti dell'Uomo � citata esplicitamente dalla 
Corte Suprema degli Stati Uniti in Lawrence v. Texas, 539 US 558 (2003) la nota sentenza che dichiar� 



tenze della Corte rese a seguito di rinvio pregiudiziale (art. 267 TFUE) sono 
vincolanti non solo per il giudice che ha sollevato la questione ma per tutti i 
giudici e le autorit� degli Stati membri e quindi i nostri giudici avrebbero l�obbligo 
di adeguarsi. 

In tutti i casi affrontati dalla giurisprudenza sopra citata si trattava di persone 
che affermavano di essere omosessuali e al pi� si poneva la questione 
della prova di tale condizione o anche della possibilit� di reiterare la domanda 
di protezione internazionale rendendo nota la propria omosessualit�, taciuta 
in un primo momento a causa di fattori di ordine psicologico e morale (8). 

Recentemente � intervenuta peraltro una decisione (Trib. Palermo, 11 
aprile 2016) che ha esteso la protezione internazionale a un soggetto che non 
si dichiarava omosessuale ma, secondo quanto dichiarato, aveva compiuto atti 
omosessuali in cambio di denaro con un turista. La circostanza che la legislazione 
del Gambia punisca il compimento di atti omosessuali � stata ritenuta 
sufficiente per ammettere il ricorrente alla protezione internazionale, in quanto, 
ad avviso del Tribunale, il ritorno in Gambia, al di l� di un effettivo orientamento 
sessuale, l�avrebbe esposto a un reale pericolo di persecuzione. La domanda 
che si pone quindi �: hanno diritto alla protezione internazionale i 
soggetti che si trovano nella condizione di omosessuali o tutti coloro che compiono 
atti omosessuali per qualsivoglia ragione? 

Il Tribunale potrebbe avere ragione se la Convenzione di Ginevra relativa 
allo status dei rifugiati tutelasse la libert� sessuale di per s�; del resto l�assunto 
contenuto nella sentenza 16417/2007 della Suprema Corte secondo cui la libert� 
sessuale va intesa anche come libert� di vivere senza condizionamenti 
e restrizioni le proprie preferenze sessuali, in quanto espressione del diritto 
alla realizzazione della propria personalit�, tutelato dall�art. 2 Cost. potrebbe 
anche far ritenere corretta la decisione palermitana. Effettivamente la nostra 
Costituzione tutela la libert� sessuale e questa va intesa come libert� di avere 
rapporti sessuali di qualunque tipo, per qualunque ragione e quindi, ragionando 
in questi termini, il diritto alla protezione dovrebbe essere riconosciuto. A ben 
vedere per� una soluzione di questo tipo si scontra con il dato normativo. La 
Convenzione di Ginevra infatti non offre tutela nei riguardi di qualsivoglia 
persecuzione ma solo se la persecuzione avvenga per motivi di razza, religione, 
cittadinanza, appartenenza a un determinato gruppo sociale, opinioni 
politiche. La direttiva 2004/83/CE, adottata al fine di aiutare le autorit� nazionali 
ad applicare la Convenzione basandosi su nozioni e criteri comuni, stabilisce 
che un gruppo costituisce un particolare gruppo sociale quando (art. 10 

non conformi alla Costituzione le leggi degli Stati che punivano penalmente le pratiche omosessuali. 
La sentenza Lawrence super� la sentenza Bowers v. Hardwick, 478 US 186, (1986). Sulle due decisioni 

v. ZANETTI, L'orientamento sessuale. Cinque domande tra diritto e filosofia, il Mulino, 2015, in particolare 
il primo capitolo. 

(8) Cass. 4522/2015 cit. 


lett. d): i membri di tale gruppo condividono una caratteristica o una fede che 
� cos� fondamentale per l�identit� o la coscienza che una persona non dovrebbe 
essere costretta a rinunciarvi e tale gruppo possiede un�identit� distinta 
nel paese di cui trattasi, perch� vi � percepito come diverso dalla societ� circostante. 
Inoltre � stabilito che in funzione delle circostanze nel paese d�origine, 
un particolare gruppo sociale pu� includere un gruppo fondato sulla 
caratteristica comune dell�orientamento sessuale (9). La Corte di Giustizia 
dell�Unione, con la sentenza 199/12 pi� volte citata, ha stabilito che in presenza 
di una legislazione penale repressiva, le persone omosessuali devono 
considerasi costituire un determinato gruppo sociale sulla base delle definizioni 
contenute nell�art. 10 della direttiva. La Corte sottolinea che l�orientamento 
sessuale di una persona costituisce una caratteristica cos� fondamentale 
per la sua identit� che essa non dovrebbe essere costretta a rinunciarvi. Su questa 
base sembra difficile sostenere che la protezione internazionale si possa 
estendere a chi compie atti omosessuali per ragione di denaro; non si pu� ritenere 
che se la persona vi rinunciasse perderebbe una caratteristica fondamentale 
per la propria identit�. 

Tribunale di Palermo, sez. I civile, ordinanza 11 aprile 2016. 

Con ricorso depositato in data 14 ottobre 2014 l�opponente chiedeva l�annullamento del 
provvedimento emesso dalla Commissione Territoriale per il riconoscimento della Protezione 
internazionale di Palermo nella seduta del 16 aprile .2014 (prot. EST PA 430/2014), notificato 
il giorno 17 settembre 2014 che ne aveva rigettato la richiesta di riconoscimento della protezione 
internazionale. 

A sostegno delle proposte domande il ricorrente evidenziava di essere stato costretto a fuggire 
dal Gambia in quanto arrestato per essere stata scoperta la condotta omosessuale dallo 
stesso intrattenuta, seppure per motivi economici, con un turista olandese. 

Il Ministero dell�interno (rectius: la Commissione Territoriale), ritualmente avvisato, non 
si costituiva. 

La causa, istruita in via documentale e tramite CTU, veniva assunta in decisione all�odierna 
udienza. 

(9) Il d.lgs. 19 novembre 2007 che attua la direttiva europea, all'art. 8 lett. d) d� la seguente definizione 
di gruppo sociale: particolare gruppo sociale: � quello costituito da membri che condividono 
una caratteristica innata o una storia comune, che non pu� essere mutata oppure condividono una caratteristica 
o una fede che � cos� fondamentale per l�identit� o la coscienza che una persona non dovrebbe 
essere costretta a rinunciarvi, ovvero quello che possiede un�identit� distinta nel Paese di origine, 
perch� vi � percepito come diverso dalla societ� circostante. In funzione della situazione nel Paese 
d�origine, un particolare gruppo sociale pu� essere individuato in base alla caratteristica comune del-
l�orientamento sessuale, fermo restando che tale orientamento non includa atti penalmente rilevanti ai 
sensi della legislazione italiana. Ai fini della determinazione dell�appartenenza a un determinato gruppo 
sociale o dell�individuazione delle caratteristiche proprie di tale gruppo, si tiene debito conto delle considerazioni 
di genere, compresa l�identit� di genere. 


**** 
Il ricorso � ammissibile in quanto proposto nei trenta giorni dalla notifica del provvedimento 
impugnato. 
In ordine alla richiesta articolata in via principale osserva il decidente come la stessa debba 
trovare accoglimento alla luce della complessiva valutazione delle risultanze istruttorie. 

Va preliminarmente rilevato che la valutazione demandata al Giudice ordinario, adito in 
sede di opposizione al diniego frapposto alla domanda di riconoscimento dello status di rifugiato 
dalla competente Commissione, si deve fondare sulla verifica della ricorrenza di (entrambi) 
i dati oggettivi (attinta anche in via di ragionamenti inferenziali), id est quello afferente 
la condizione socio-politico-normativa del Paese di provenienza e quella relativa alla singola 
posizione del richiedente (esposto a rischio concreto di sanzioni), senza poter ricavare sillogisticamente 
ed automaticamente dalla prima la seconda, per cui non ogni appartenente ad 
un certo gruppo risulta automaticamente un perseguitato (Cass. Civ., sez. I, 20 dicembre 2007 
n� 26822). Inoltre, sempre in via preliminare, occorre precisare che per rifugiato politico deve 
intendersi qualsiasi cittadino di un paese terzo o apolide rispondente ai criteri stabiliti dall�art. 
1 della Convenzione di Ginevra, quali specificati nella direttiva 2004/83/CE. 

In particolare, secondo l�art. 1 citato, si pu� chiedere il riconoscimento dello status di rifugiato 
soltanto se nel Paese di origine sono state sofferte - ovvero se le stesse possano ritenersi 
probabili - persecuzioni dirette e personali per motivi di razza, religione, nazionalit�, appartenenza 
a un determinato gruppo sociale o per le opinioni politiche. 

In particolare, a fronte delle perplessit� formulate dalla Commissione in esito alla disposta 
audizione in merito alla credibilit� della vicenda personale del ricorrente, il Tribunale ha ritenuto 
necessario disporre consulenza tecnica d�ufficio, la quale - ovviamente non tesa ad accertare 
l�orientamento sessuale del S. (il quale, peraltro, non ha dichiarato di essere 
omosessuale, avendo anzi una moglie ed un figlio, ma di avere intrattenuto la relazione con 
il turista per motivi di carattere esclusivamente economico) - potesse, nondimeno, fornire elementi 
di valutazione all�attendibilit� del racconto ed ad eventuali start psicologici reattivi ad 
una condizione d� disagio, elementi tutti idonei a verificare la credibilit� dell�opponente. 

Orbene, la dr.ssa Maniscalco, CTU nominato, in esito a percorso argomentativo logicamente 
sviluppato ed adeguatamente argomentato, ha concluso ritenendo l�inesistenza di �elementi 
che giustifichino una manipolazione del contenuto delle dichiarazioni. Si sottolinea 
infatti come, nel raccontare i fatti, lo stesso esprima una emotivit� esplicitamente accompagnata 
da comportamenti non verbali coerenti con le implicazioni emotive sottese al vissuto�, 
concludendo per l�attendibilit� del racconto. 

Ci� premesso deve ritenersi, al di l� di un effettivo orientamento omosessuale, sufficientemente 
provata l�attendibilit� della vicenda personale del ricorrente, il quale, nell�ipotesi di 
rientro nel paese di origine, correrebbe un reale pericolo di persecuzione, prevalendo la valutazione 
del CTU sulle perplessit� formulate dalla Commissione. 

Ed invero l�art. 5 del d.lgs. n� 251 del 2007, individua i responsabili della persecuzione o 
del danno grave, ai fini della valutazione della domanda di protezione internazionale come di 
seguito: �a) lo Stato; b) i partiti o le organizzazioni che controllano lo Stato o una parte consistente 
del suo territorio; c) soggetti non statuali, se i responsabili di cui alle lettere a) e b), 
comprese le organizazzioni internazionali, non possono o non vogliono fornire protezione, ai 
sensi dell'articolo 6, comma 2, contro persecuzioni o danni gravi�. 

Nello specifico risulta notorio che in Gambia l�omosessualit� e, comunque, comportamenti 
omosessuali (comunque posti in essere e per qualsiasi ragione) siano considerati reato. 


Pertanto, per come pure puntualmente rilevato nelle note conclusive dell�opponente, vanno 
condivisi i principi affermati dalla Suprema Corte, la quale ha avuto modo di chiarire come: 
�ai fini della concessione della protezione internazionale, la circostanza per cui l�omosessualit� 
sia considerata un reato dall�ordinamento giuridico del Paese di provenienza � rilevante, costituendo 
una grave ingerenza nella vita privata dei cittadini omosessuali, che compromette 
grandemente la loro libert� personale e li pone in una situazione oggettiva di persecuzione, 
tale da giustificare la concessione della protezione richiesta� (Cass. Civ. 1 settembre 2012 n. 
1598, e Cassazione civile, sez. IV, 5 marzo 2015, n. 4522). 

Avuto riguardo alla natura della controversia ed alle ragioni del decidere, il Tribunale ritiene 
sussistenti i presupposti per l'integrale compensazione tra le parti delle spese di lite. 

P.Q.M. 

Il Tribunale di Palermo - Sezione I Civile, in persona del Giudice Onorario, dr. Livio Fiorani, 
definitivamente pronunciando, ogni contraria istanza, eccezione e difesa disattesa, in accoglimento 
delle domande proposte da S.S. con ricorso depositato in data 14 ottobre 2014 
riconosce a quest�ultimo lo status di rifugiato; spese compensate; dispone come da separato 
decreto in ordine alla richiesta di liquidazione dei compensi in favore del difensore della parte 
ammessa al patrocinio a spese dello Stato ex art. 85, comma II I bis, dPR 115 / 2002. 

Palermo, 11 aprile 2016 
Il Giudice Onorario 
dr. Livio Fiorani 


Ostacolo all�esercizio delle funzioni delle autorit� pubbliche 
di vigilanza e bancarotta. La legittimazione alla costituzione 
di parte civile del Ministero dello Sviluppo Economico 

Francesco Cecchini* 

SOMMARIO: 1. La vicenda giudiziaria e la questione controversa - 2. Individuazione 
dell�oggettivit� giuridica dei reati in contestazione: a) l�art. 2638 c.c. - 3. (segue) b) I delitti 
di bancarotta - 4. Il danno patito dal Ministero nel caso di specie - 5. Legitimatio ad causam 
nel processo penale secondo la pi� recente giurisprudenza di legittimit�. 

1. La vicenda giudiziaria e la questione controversa. 

Con decreto dell�11 aprile 2016 il Tribunale di Roma - Sezione G.U.P. 
ha disposto il giudizio nei confronti di sette imputati, in relazione ad una vicenda 
concernente il dissesto di una nota societ� fiduciaria. In particolare a 
cinque di questi, quali soggetti apicali della societ� - amministratore, consiglieri 
delegati, procuratore speciale, membro del c.d.a., presidente del collegio 
sindacale e sindaci - sono contestati i reati di bancarotta fraudolenta, 
bancarotta fraudolenta patrimoniale distrattiva, bancarotta documentale fraudolenta, 
ostacolo all�esercizio delle funzioni delle autorit� pubbliche di vigilanza 
e abusiva attivit� finanziaria. 

Si � costituito parte civile nel processo il Ministero dello Sviluppo Economico, 
quale soggetto cui spetta autorizzare le societ� fiduciarie - e di revisione 
- all�esercizio della relativa attivit�, nonch� esercitare sulle stesse 
le funzioni di vigilanza (1). La costituzione in giudizio, peraltro, non � avvenuta 
unicamente in riferimento al reato di cui all�art. 2638 c.c., bens� 
anche in relazione ai reati di bancarotta e di abusivo esercizio di attivit� finanziaria. 
Ci� in considerazione del fatto che tutti i suddetti reati, uniti dal 
vincolo della continuazione, hanno cagionato il danno subito dal Ministero, 
impedendo la realizzazione dell�interesse pubblico alla tutela del risparmio 
da parte dello stesso, con inevitabili conseguenze sull�immagine della Pubblica 
Amministrazione coinvolta. 

Le difese degli imputati hanno contestato la legittimazione del MISE a 
costituirsi parte civile in relazione ai reati diversi dall�ostacolo alle funzioni 
di vigilanza, chiedendone quindi l�esclusione in parte qua. Si sosteneva, infatti, 
la impossibilit� di considerare il Ministero come soggetto danneggiato, 

(*) Dottore in Giurisprudenza, Specializzando in Professioni Legali, ha svolto la pratica forense presso 
l�Avvocatura Generale dello Stato con gli Avvocati Massimo Giannuzzi e Alessandra Bruni, occupandosi, 
fra l�altro, di questioni attinenti la difesa delle Pubbliche Amministrazioni in processi penali, sia 
come responsabili civili che come parti civili. 

(1) L. 23 novembre 1939, n. 1966 e R.D. 22 aprile 1940, n. 531. 


in particolare, dalle contestate ipotesi di bancarotta. Accogliendo invece sul 
punto i rilievi e le argomentazioni dell�Avvocatura dello Stato, il Giudice ha 
respinto le suddette eccezioni. L�interesse della presente vicenda sta quindi 
nella configurabilit�, ai danni del Ministero, di un pregiudizio derivante anche 
dai delitti di bancarotta, con conseguente legittimazione all�esercizio del-
l�azione civile nel processo penale. 

Al fine di meglio comprendere le ragioni di tale legittimazione, � utile 
una breve ricognizione del dibattito dottrinario e giurisprudenziale concernente 
l�individuazione dei beni giuridici tutelati (2), rispettivamente, dall�art. 
2638 c.c. e, soprattutto, dalle norme incriminatrici delle diverse tipologie di 
bancarotta. 

2. Individuazione dell�oggettivit� giuridica dei reati in contestazione: a) l�art. 
2638 c.c. 

Priva di significativi contrasti � la definizione della oggettivit� giuridica 
del reato di cui all�art. 2638 c.c., quale introdotto dal d.lgs. 11 aprile 2002, n. 
62 (3), rubricato �ostacolo all�esercizio delle funzioni delle autorit� pubbliche 
di vigilanza�. Tanto l�ipotesi delineata dal primo comma, quanto quella prevista 
dal secondo, sono poste a tutela delle funzioni di controllo dell�attivit� 
da parte delle autorit� pubbliche di vigilanza (4). Isolata l�opinione che ravvisa 

(2) Sulla rilevanza dell�oggetto giuridico del reato, quale bene o interesse protetto dalla norma 
incriminatrice, ai fini della individuazione della persona offesa dal reato o soggetto passivo (dunque titolare 
del consenso scriminante e legittimato a proporre querela e istanza), v. F. ANTOLISEI, L�offesa e il 
danno nel reato, Istituto italiano d�arti grafiche, Bergamo, 1930, pp. 108 e ss.; R.A. FROSALI, voce Soggetto 
passivo del reato, in Noviss. dig. it., vol. XVII, 1970, pp. 816 e ss.; M. GALLO, Diritto penale italiano. 
Appunti di parte generale, vol. I, Giappichelli, Torino, 2014, p. 194; G. FIANDACA - E. MUSCO, 
Diritto penale. Parte generale, ed. VII, Zanichelli, Bologna, 2014, p. 185; F. MANTOVANI, Diritto penale. 
Parte generale, ed. IX, CEDAM, Padova, 2015, p. 225. Chiaro che, qualora dovesse ritenersi che anche 
le norme che puniscono la bancarotta tutelino interessi pubblicistici, riconducibili al Ministero, ne risulterebbe 
notevolmente agevolata la dimostrazione della legittimazione alla costituzione di parte civile: 
ci� stante la �normale coincidenza tra soggetto passivo e danneggiato dal reato� (cos� Cass., Sez. IV 
pen., 27 giugno 1979, Ghisotti, in Foro it., 1980, II, c. 488). Ferma comunque la possibilit�, in caso 
contrario, di qualificare comunque il MISE quale soggetto danneggiato dal reato, posto che ben pu� esservi 
un danneggiato che non sia persona offesa (cfr., per tutti, G. LOZZI, Lezioni di procedura penale, 
ed. VIII, Giappichelli, Torino, 2013, p. 135). 
(3) L�art. 11, lett. b), della legge delega per la riforma del diritto societario (l. 3 ottobre 2001, n. 
336) conferiva al Governo il compito di �armonizzare e coordinare le ipotesi riguardanti falsit� nelle 
comunicazioni alle autorit� pubbliche di vigilanza, ostacolo allo svolgimento delle relative funzioni e 
omesse comunicazioni alle autorit� medesime da parte di amministratori, direttori generali, sindaci e 
liquidatori di societ�, enti o soggetti sottoposti per legge alla vigilanza di tali autorit� anche mediante 
la formulazione di fattispecie a carattere generale�. Esprime perplessit� relativamente alla sussistenza 
dei requisiti minimi necessari per il rispetto della riserva di legge in materia penale, a fronte della �relativa 
genericit� della delega�, E. MUSCO, I nuovi reati societari, ed. III, Giuffr�, Milano, 2007, pp. 
288-289. Criticano invece la collocazione topografica della norma nel codice civile, anzich� nel contesto 
di un moderno codice penale, R. ZANNOTTI, Il nuovo diritto penale dell�economia, ed. II, Giuffr�, Milano, 
2008, p. 203 e E.M. AMBROSETTI - E. MEZZETTI - M. RONCO, Diritto penale dell�impresa, ed. III, Zanichelli, 
Bologna, 2012, p. 220. 



il bene protetto nella veridicit� e completezza dell�informazione societaria (5). 

L�orientamento maggioritario trae conferma dalla lettera della disposizione, 
in particolare dalla circostanza per cui le condotte incriminate devono 
realizzarsi �nelle comunicazioni alle [�] autorit� [pubbliche di vigilanza] 
previste in base alla legge�: dal che si ricaverebbe la specifica funzionalit� rispetto 
allo svolgimento effettivo delle funzioni di controllo (6). 

Il bene giuridico cos� individuato, id est la funzione di controllo, viene 
ricondotto alla categoria dei �beni istituzionali� (7), intesi quali beni �facenti 
capo ad enti pubblici (le autorit� di vigilanza), la cui integrit� � strumentale 
alla salvaguardia di beni ulteriori, c.d. beni finali� (8), da individuarsi nel 
corretto funzionamento del mercato (9). A sostegno del carattere strumentale 
dell�interesse al corretto esercizio della funzione di vigilanza, si adduce il fatto 
che alla sua realizzazione siano preposti soggetti pubblici, non portatori di interessi 
individuali di tipo patrimoniale (10). 

La scelta di una sanzione detentiva elevata � indice della particolare significativit� 
dell�oggetto della tutela: l�art. 2638 c.c. si connota cos� per un 
profilo di particolare rigore, contro le offese alle funzioni di alta vigilanza relative 
alla salvaguardia del mercato e del pubblico risparmio, quali beni di rilevanza 
collettiva, anche in ossequio all�art. 47, comma secondo, della 
Costituzione (11). 

(4) In questo senso E. MUSCO, I nuovi reati societari, cit., p. 290; C. SANTORIELLO, Il nuovo diritto 
penale delle societ�, UTET, Torino, 2003, p. 347; A. ALESSANDRI, Ostacolo all�esercizio delle funzioni 
delle autorit� pubbliche di vigilanza, in ID. (a cura di), Il nuovo diritto penale delle societ�. D. lgs. 11 
aprile 2002, n. 61, IPSOA, Milano, 2002, pp. 254-255; P. PALLADINO, Art. 2638 c.c., in F. GIUNTA (a 
cura di), I nuovi illeciti penali e amministrativi riguardanti le societ� commerciali. Commentario del d. 
lgs. 11 aprile 2002, n. 61, Giappichelli, Torino, 2002, p. 207; S. SEMINARA, False comunicazioni sociali, 
falso in prospetto e nella revisione contabile e ostacolo alle funzioni delle autorit� di vigilanza, in Dir. 
pen. proc., 2002, p. 687. 
(5) B. ALBERTINI, Art. 2638 c.c., in A. LANZI - A. CADOPPI (a cura di), I nuovi reati societari, 
CEDAM, Padova, 2002, p. 185. 
(6) E. MUSCO, I nuovi reati societari, cit., p. 290. 


(7) F. GIUNTA, Controllo e controllori nello specchio del diritto penale societario, in Riv. trim. 
dir. pen. econ., 2006, p. 597, che parla di �entit� gi� preformata dalla normativa societaria extrapenale. 
Detta funzione, la cui importanza non � certo dubbia, viene protetta dalle aggressioni al suo regolare 
svolgimento provenienti dai soggetti controllati�. 
(8) R. ZANNOTTI, L�ostacolo all�esercizio delle funzioni di vigilanza (art. 2638), in A. GIARDA 


S. SEMINARA (a cura di), I nuovi reati societari: diritto e processo, CEDAM, Padova, 2002, p. 582. 
(9) E. MUSCO, I nuovi reati societari, cit., p. 290. 


(10) C. SANTORIELLO, Il nuovo diritto penale delle societ�, cit., p. 348; G. MESSINA, Ostacolo all�esercizio 
delle funzioni delle autorit� pubbliche di vigilanza, in G. CANZIO - L.D. CERQUA - L. LUPARIA 
(a cura di), Diritto penale delle societ�, tomo I, I profili sostanziali, CEDAM, Padova, 2014, p. 556. 
Per una critica alla scelta di tutelare in sede penale l�esercizio di una funzione, v. R. ZANNOTTI - A. 
MEYER, Le false comunicazioni sociali di cui all�art. 134 T.U.L.B., in A. MEYER - L. STORTONI, Diritto 
penale della banca, del mercato mobiliare e finanziario, UTET, Torino, 2002, p. 171. E. MUSCO, I nuovi 
reati societari, cit., p. 288 individua le ragioni di tale scelta, per un verso, in �chiari interessi di ordine 
pratico�, per altro verso, in �ineludibili necessit� di apprestare forme strumentali e intermedie di tutela 
in vista della protezione di beni giuridici finali�. 



In considerazione di ci�, il corretto esercizio della funzione di vigilanza 
si pone come valore meritevole di protezione a prescindere dall�accertamento 
di danni o anche solo di pericoli, derivanti dalla sua violazione (12). La rilevanza 
penalistica delle condotte di falsit� o occultamento finalizzate ad ostacolare, 
cos� come delle condotte di vero e proprio ostacolo, anche mediante 
omissioni, infatti, prescinde dalla lesione o messa in pericolo del bene finale 
(13). La fattispecie incriminatrice di cui all�art. 2638 c.c., si � detto, funge da 
presidio preventivo, che scatta quando vengano violati obblighi informativi i 
quali, ove correttamente adempiuti, assicurano il corretto espletamento della 
attivit� di pubblica vigilanza, cos� indirettamente proteggendo anche la sfera 
patrimoniale dei singoli, nei cui interessi quell�attivit� � esercitata (14). L�ottica 
di prevenzione cos� adottata dal legislatore delegato si spiega dunque con 
l�importanza del bene giuridico coinvolto, nonch� con la intrinseca natura istituzionale 
dello stesso, indispensabile per la realizzazione di interessi dei singoli, 
pur non essendo a questi riferibile (15). Nella medesima prospettiva si 
giustifica altres� la rinuncia all�inserimento di soglie di irrilevanza penale, configurandosi 
in tal modo una fattispecie priva di �contaminazioni privatistiche 
del tipo�, in linea con la rilevanza pubblicistica del bene tutelato (16). 

Anche la giurisprudenza, tanto di merito quanto di legittimit�, condivide le 
suddette argomentazioni: si � affermato che �il bene giuridico tutelato dal reato 
di cui all�art. 2638 c.c. � costituito dal regolare svolgimento dell�esercizio delle 
funzioni di vigilanza svolte dalle autorit� pubbliche a dette funzioni preposte� 

(11) S. SEMINARA, False comunicazioni sociali, falso in prospetto e nella revisione contabile e 
ostacolo alle funzioni delle autorit� di vigilanza, cit., p. 687; E. MUSCO, I nuovi reati societari, cit., p. 
287; B. ALBERTINI, Art. 2638 c.c., cit., p. 185. La disposizione sembra dunque muoversi in una direzione 
opposta a quella dello spirito informatore della riforma del 2002, orientata invece verso un progressivo 
�congedo dal diritto penale� della materia societaria: sul punto S. SEMINARA, Il diritto penale societario 
dopo le riforme: otto anni di giurisprudenza della Corte di Cassazione, in Jus, 2011, pp. 71 e ss. 
(12) G. MESSINA, Ostacolo all�esercizio delle funzioni delle autorit� pubbliche di vigilanza, cit., 


p. 556. La Relazione Illustrativa qualifica la disposizione in parola come �un capitolo importante per 
completare la tutela penale dell�informazione societaria, considerata, questa volta, nella sua destinazione 
all�autorit� preposta alla vigilanza�. 
(13) A. ALESSANDRI, Ostacolo all�esercizio delle funzioni delle autorit� pubbliche di vigilanza, 
cit., pp. 255-256. L�Autore, sempre nell�ottica di differenziazione concettuale del bene strumentale da 
quello finale, sottolinea la diversit� strutturale tra il destinatario dell�informazione e i portatori degli interessi 
finali: Ǐ un soggetto unico, normalmente tenuto al segreto d�ufficio e dunque collocato al centro 
di una circolazione �riservata� di notizie�. 
(14) A.F. TRIPODI, Diritto penale e disciplina antitrust: le indicazioni provenienti dall�analisi economica 
del diritto e la prospettiva aperta dall�art. 2638 c.c., in P. SIRACUSANO (a cura di), Scritti di 
diritto penale dell�economia, Giappichelli, Torino, 2007, pp. 125 e ss. 
(15) G. MESSINA, Ostacolo all�esercizio delle funzioni delle autorit� pubbliche di vigilanza, cit., 


p. 557: �l�anticipazione della soglia di punibilit� [�] segnala, quindi, la prioritaria importanza che 
assume qui la gestione di un rischio pi� che la repressione di un�offesa, di fatto non immediatamente 
ravvisabile�. 
(16) M.N. MASULLO, Art. 2638 c.c., in T. PADOVANI (a cura di), Le fonti del diritto italiano. Leggi 
penali d�udienza, Giuffr�, Milano, 2003, p. 1332. 



(17). Analogamente, risolvendo nel senso della continuit� normativa il rapporto 
fra il vecchio art. 134 del d.lgs. n. 385 del 1993 (in tema di tutela dell�attivit� di 
vigilanza bancaria e finanziaria) ed il nuovo art. 2638 c.c., la Suprema Corte ha 
individuato il bene tutelato da entrambe le norme �nella correttezza dei rapporti 
fra ente controllato ed ente controllante, al fine di consentire la piena legittimit� 
ed efficacia dell�attivit� di controllo� (18); ovvero nella �funzione amministrativa 
di vigilanza tipica delle autorit� pubbliche� (19). 

Se dunque l�individuazione del bene giuridico protetto dall�art. 2638 c.c. 
non pone particolari problemi, qualche incertezza solleva, all�opposto, la delimitazione 
dell�ambito soggettivo di applicazione della norma, sotto il profilo 
passivo. Il generico riferimento alle �autorit� pubbliche di vigilanza�, infatti, 
non chiarisce se le autorit�, le cui funzioni di controllo ricevano tutela penale 
con la disposizione in parola, siano le sole autorit� operanti nel settore dei 
mercati finanziari (storicamente individuate in CONSOB, Banca d�Italia e 
ISVAP), ovvero indistintamente tutte le autorit� amministrative progressivamente 
istituite nell�ordinamento, ovvero ancora le sole Autorit� preposte alla 
tutela di valori costituzionali (20). 

Parte della dottrina ritiene pertanto che la norma sia ��idonea� in astratto� 
a tutelare le funzioni di �ogni� autorit� di vigilanza, pur rimarcandone il difetto 
di determinatezza (21). Altri Autori, invece, propendono per un�interpretazione 
pi� restrittiva della disposizione, incentrata sulla valorizzazione del significato 

(17) Trib. Milano - Ufficio G.I.P., ord. 25 gennaio 2005, Italaudit s.p.a, in Soc., 2005, pp. 1441 e ss. 
(18) Cass., Sez. V pen., 8 novembre 2002, n. 1252, Secchiero, in Riv. trim. dir. pen. econ., 2003, 


p. 916; Cass., Sez. V pen., 28 settembre 2005, n. 44704, Mangiapane, in Cass. pen., 2006, p. 1398. 

(19) Cass., Sez. VI pen., 24 ottobre 2005, n. 44234, Greco, in CED Cass. rv. 232849. 

(20) R. ZANNOTTI, Il nuovo diritto penale dell�economia, cit., pp. 199-200: l�Autore rileva come 
l�espressione legislativa, incentrandosi esclusivamente sulla funzione, risulti priva di valenza tecnica, 
potendosi riferire tanto alle c.d. autorit� amministrative indipendenti, quanto a quelle di tipo tradizionale. 
La collocazione della disposizione, insieme al suo inserimento ad opera di un provvedimento mirante a 
disciplinare �gli illeciti penali ed amministrativi riguardanti le societ� commerciali� e alla natura economica 
delle false informazioni, potrebbero deporre nel senso di una operativit� limitata alle autorit� di 
vigilanza sulle societ� operanti nei mercati finanziari. Lo �Schema di disegno di legge delega per la riforma 
del diritto societario� (c.d. progetto Mirone), immediato precedente del provvedimento in cui � 
inserito l�art. 2638 c.c., all�opposto, lascia intendere che le autorit� pubbliche di vigilanza rientranti nel-
l�ambito applicativo della norma siano tutte quelle operanti nell�ordinamento. Cfr. anche G. LOVECCHIO 
MUSTI, Ostacolo all�esercizio delle funzioni delle autorit� pubbliche di vigilanza (art. 2638), in A. ROSSI 
(a cura di), I reati societari, UTET, Torino, 2005, p. 245. 
(21) R. ZANNOTTI, Il nuovo diritto penale dell�economia, cit., p. 201; ID., L�ostacolo all�esercizio 
delle funzioni di vigilanza (art. 2638), cit., p. 478. Nello stesso senso anche L. FOFFANI, La riforma dei 
reati societari: riflessi sulla disciplina delle banche e degli intermediari finanziari, in A. MEYER - L. 
STORTONI, Diritto penale della banca, del mercato mobiliare e finanziario, cit., pp. 492 e ss.; S. SEMINARA, 
False comunicazioni sociali, falso in prospetto e nella revisione contabile e ostacolo alle funzioni 
delle autorit� di vigilanza, cit., p. 687, che significativamente parla di �incriminazione caratterizzata 
solo dalla qualit� dei soggetti attivi [�] e dall�oggetto della comunicazione [�] ma totalmente cieca 
dinanzi alla tipologia della vigilanza esercitata dall�autorit�, che pu� spaziare dai comparti finanziario, 
bancario e assicurativo fino alla concorrenza, alle comunicazioni, ai servizi pubblici a rete, ecc.�. 



tecnico del termine �vigilanza�, come inteso nell�ambito del controllo demandato 
alla Banca d�Italia: in questo senso, �autorit� pubbliche di vigilanza� sarebbero 
solo quelle dotate di un potere di tipo ispettivo, consistente nel �controllo 
preventivo e successivo su determinate fasi o momenti di attivit� dei soggetti 
[ad esso] sottoposti, al fine di garantire, prima che accadano negative ricadute 
sul mercato, l�affidabilit� di tali soggetti nel loro rapporto con il pubblico� (22). 

Anche la giurisprudenza sembra alternare letture pi� restrittive della disposizione 
(23), fondate sull�accoglimento del concetto tecnico di �vigilanza� 
e del conseguente criterio del potere ispettivo (24), ad interpretazioni pi� esten


(22) Cos� A. ALESSANDRI, Ostacolo all�esercizio delle funzioni delle autorit� pubbliche di vigilanza, 
cit., p. 257. Condividono questa interpretazione E. MUSCO, I nuovi reati societari, cit., p. 289; 
A. LORETO, Art. 2638, in F. GALGANO (a cura di), Commentario breve al codice civile, La Tribuna, Piacenza, 
2006, p. 2285. Evidenzia gli effetti paradossali cui condurrebbe una dilatazione del concetto di 
autorit� di vigilanza al di l� della voluntas legis A. ALESSANDRI, Diritto penale e attivit� economiche, 
Il Mulino, Bologna, 2010, p. 269: molteplici sono le situazioni in cui � riscontrabile la presenza di �autorit�� 
cui sono attribuiti compiti di vigilanza su determinati settori o soggetti, quali la Asl o il veterinario 
pubblico; deve tuttavia ritenersi che �non erano queste le autorit� che aveva di mira il legislatore 
della riforma�. V. anche F. GIUNTA, Controllo e controllori nello specchio del diritto penale societario, 
cit., p. 601, che include nel novero delle autorit� di cui all�art. 2638 c.c., oltre a CONSOB e Banca 
d�Italia, anche ISVAP, COVIP, AGCOM e AGCM (per l�inserimento di quest�ultima si pronuncia anche 


A.F. TRIPODI, Possibilit� di un intervento penale nella disciplina antitrust, in Giur. comm., 2006, p. 
542), mentre esclude le autorit� di regolazione del mercato, intese principalmente al controllo della 
qualit� dei prodotti e dei prezzi (come l�Autorit� di regolazione dei servizi di pubblica utilit�). Per una 
critica alla distinzione cos� tracciata fra autorit� di vigilanza (o garanti) e autorit� di regolazione del 
mercato (anche in considerazione della frequente coincidenza delle due nature nel medesimo soggetto), 
v. ancora R. ZANNOTTTI, Il nuovo diritto penale dell�economia, cit., p. 201 e L. FOFFANI, Ostacolo alle 
funzioni di vigilanza e tutela penale delle autorit� indipendenti: un�anticipazione del diritto penale 
del futuro?, in A.R. CASTALDO (a cura di), Il diritto penale del futuro, Centro Stampa Fondazione Unisa, 
Salerno, 2006, pp. 104 e ss. 


(23) Cass., Sez. V pen., 11 febbraio 2013, n. 28070, Dispenza, in CED Cass. rv. 255565, secondo 
cui �non integra il delitto di ostacolo all�esercizio delle funzioni delle autorit� pubbliche 
l�omissione di comunicazioni dovute all�Autorit� per l�energia elettrica ed il gas� (autorit� che, invece, 
la dottrina da ultimo citata indica quale esempio paradigmatico della commistione fra natura di 
vigilanza e di regolazione). 
(24) Cass., Sez. VI pen., 24 ottobre 2005, n. 44234, Greco, cit. che ha escluso dal novero delle 
autorit� di cui all�art. 2638 c.c. l�Ufficio italiano dei cambi, al quale non � riferibile quel �potere di tipo 
ispettivo funzionale ad esercitare un controllo preventivo e successivo sull�attivit� dei soggetti sottoposti, 
al fine di garantirne l�affidabilit� nel mercato e nel rapporto con il pubblico�, dal momento che l�UIC 
�svolge funzioni in materia di prevenzione e di contrasto, sul piano finanziario, del riciclaggio di denaro 
di provenienza illecita e dell�usura soprattutto attraverso il sistema delle segnalazioni di operazioni sospette, 
che devono essere segnalate da banche, intermediari finanziari, imprese non finanziarie e anche 
da liberi professionisti. Si tratta di una funzione che non ha ad oggetto immediato il controllo di tali 
soggetti, ma � direttamente connessa all�attivit� di contrasto della criminalit� economica sotto il profilo 
finanziario�. Pi� di recente, Cass., Sez. V pen., 31 ottobre 2014, n. 10108, Penocchio, in CED Cass. rv. 
262629, che ha ricompreso fra le autorit� di vigilanza la FIGC, �posto che a questa � riconosciuta la titolarit� 
di un potere ispettivo e di controllo di rilevanza pubblicistica attinente alla regolarit� della gestione 
delle societ� professionistiche di calcio�; la sentenza ritiene comunque non condivisibile l�assunto 
�secondo cui l�art. 2638 c.c., pretenderebbe una interpretazione costituzionalmente orientata che 
escluda dal suo ambito di operativit� tutte le condotte di ostacolo alla vigilanza che non fossero gi� 
previste e regolate da discipline diverse, preesistenti alla riforma del 2002�. 



sive, in cui pare privilegiarsi la finalit� pubblicistica del controllo (25). 

3. (segue): b) i delitti di bancarotta. 

Ben pi� contrastata �, invece, la ricostruzione dell�oggettivit� giuridica 
dei delitti di bancarotta: molteplici sono le opinioni che la dottrina, non solo 
penalistica, ha espresso al riguardo. 

i) Un primo indirizzo (26) inquadra la bancarotta, nelle sue varie forme, 
fra i reati contro l�amministrazione della giustizia, sotto il profilo della tutela 
penale del processo, sul presupposto che i reati fallimentari, considerati nella 
loro globalit�, sono costituiti da fatti che, in modo diretto ovvero indiretto, 
tendono a frustrare le finalit� della legge fallimentare (27). Quest�ultima tutela 
infatti il diritto di credito non gi� da un punto di vista individuale, bens� da 
quello dell�interesse pubblicistico al massimo soddisfacimento di tutti i creditori 
secondo il criterio della par condicio. Le norme incriminatrici si basano 
quindi sulla concezione dei creditori come massa, che funge da presupposto 
�concorsuale�: di qui la natura pubblicistico-processuale dell�interesse giuridico 
immediatamente leso, coincidente con il processo esecutivo concorsuale 
(28). Questi Autori considerano pertanto le procedure concorsuali come 
espressione di un interesse pubblicistico, riferibile all�intera collettivit� e relativo 
alle modalit� di risoluzione dei molteplici problemi conseguenti al dissesto 
dell�impresa commerciale. Il che troverebbe conferma nel fatto che le 
stesse disposizioni penali trovino applicazione indipendentemente dalla tipologia 
della procedura concorsuale in corso di svolgimento (29). 

Nello specifico, con riguardo alle diverse tipologie di bancarotta, questo 
orientamento dottrinario (30) individua gli interessi oggetto di offesa nei seguenti: 
interesse alla legittima instaurazione delle procedure concorsuali (31) 

(25) Cass., Sez. III pen., 29 maggio 2013, n. 28164, M., in CED Cass. rv. 257142: �rientra nella 
fattispecie di reato di cui all�art. 2638 cod. civ., l�ostacolo frapposto all�esercizio delle funzioni della 
Commissione di Vigilanza sulle Societ� di Calcio Professionistiche, organo che ai sensi dell�art. 20, 
comma quarto, dello Statuto del C.O.N.I. assume specifica funzione pubblicistica�. 
(26) P. NUVOLONE, Il diritto penale del fallimento e delle altre procedure concorsuali, Giuffr�, 
Milano, 1955, pp. 24 e ss.; ID., voce Fallimento (reati in materia di), in Enc. dir., vol. XVI, 1967, p. 
478; F. CARNELUTTI, Appunti sulla natura della bancarotta, in Riv. dir. proc., 1957, pp. 1 e ss; F. ANTONIONI, 
La bancarotta semplice, Jovene, Napoli, 1962, p. 29 (pur con una impostazione particolare); A. 
LANZI, Riflessi penali delle procedure concorsuali vecchie e nuove, in Ind. pen., 1982, p. 231; M. LA 
MONICA, I reati fallimentari, IPSOA, Milano, 1972, pp. 68 e ss.; C. SANTORIELLO, I reati di bancarotta, 
Giappichelli, Torino, 2000, pp. 13 e ss. 
(27) P. NUVOLONE, voce Fallimento (reati in materia di), cit., p. 478 che cos� individua le suddette 
finalit�: �ricostruzione documentale del patrimonio e del movimento degli affari, conservazione dei 
beni dell�imprenditore e loro distribuzione ai creditori secondo i principi della par condicio�. 
(28) P. NUVOLONE, Il diritto penale del fallimento e delle altre procedure concorsuali, cit., p. 25. 
(29) C. SANTORIELLO, I reati di bancarotta, cit., p. 14. 
(30) P. NUVOLONE, voce Fallimento (reati in materia di), cit., pp. 480 e ss. 




(31) Posto che l�attivit� giurisdizionale deve svolgersi al momento opportuno, anche nell�ambito 
delle procedure concorsuali, l�azione deve essere promossa al ricorrere dei relativi presupposti, mentre 



(bancarotta semplice consistente nel fatto dell�imprenditore che �ha aggravato 
il proprio dissesto, astenendosi dal richiedere la dichiarazione del proprio 
fallimento� di cui all�art. 217, comma primo, n. 4, l. fall.; bancarotta fraudolenta 
consistente nel fatto delle persone preposte all�amministrazione delle societ� 
commerciali che �hanno cagionato con dolo o per effetto di operazioni 
dolose il fallimento della societ�� di cui all�art. 223, comma secondo, n. 2, l. 
fall. (32)); interesse alla conservazione dei beni dell�imprenditore insolvente 

(33) (bancarotta fraudolenta patrimoniale dell�imprenditore individuale di cui 
all�art. 216, comma primo, n. 1 e comma 2, l. fall. e degli amministratori, direttori 
generali, sindaci e liquidatori di societ� di cui all�art. 223, comma 
primo, l. fall.; bancarotta semplice patrimoniale di cui agli artt. 217, comma 
primo e 224 l. fall.); interesse alla par condicio creditorum (bancarotta preferenziale 
di cui all�art. 216, comma terzo, l. fall.) (34); interesse alla conservazione 
e alla veridicit� della prova (bancarotta fraudolenta documentale di cui 
agli artt. 216, comma primo, n. 2 e comma 2 e 223, comma primo, l. fall.; bancarotta 
semplice documentale di cui all�art. 217, comma secondo, l. fall.). 

Diverse le critiche mosse alla tesi che annovera la bancarotta fra i reati 
contro l�amministrazione della giustizia. Autorevole dottrina (35) ha rimarcato 
come essa poggi sul presupposto che le norme incriminatrici della bancarotta 
considerino, in ogni caso, i creditori come massa, senza il quale sarebbe inconcepibile 
il vincolo processuale sui beni del debitore e sui mezzi di prova. 
Tale presupposto, tuttavia, sarebbe configurabile solo per le ipotesi di bancarotta 
post-fallimentare, non anche in relazione a quelle antecedenti alla dichiarazione 
di fallimento, che pure costituiscono la grande maggioranza dei casi: 
la formazione della massa dei creditori, infatti, � condizionata all�apertura 
della procedura, mentre non � configurabile prima della stessa. Ragione per 
cui la tesi qui criticata subordina la punibilit� della bancarotta pre-fallimentare 

non deve essere promossa ove questi difettino: di qui il dovere di promuovere l�azione e quello di non 
promuoverla inutilmente, cui corrispondono norme dirette, da un lato, a stimolare l�attivit� dei soggetti 
tenuti a portare a conoscenza dell�autorit� giudiziaria una domanda o una notizia, dall�altro, ad impedire 
che l�autorit� giudiziaria sia chiamata al compimento di atti inutili o dannosi a seguito di notizie prive 
di fondamento o domande temerarie. 

(32) Sebbene questo reato debba principalmente annoverarsi tra quelli contro la pubblica economia, 
ritiene l�Autore che ad esso possa ricondursi anche il fatto di chi dolosamente chieda il fallimento della 
societ� in mancanza dei relativi presupposti, cio� simulando uno stato di insolvenza in realt� inesistente. 
(33) I reati che offendono questo interesse si caratterizzano per il fatto che il debitore o un terzo, 
tramite le azioni pi� diverse, sottraggono o comunque tentano di sottrarre a tutti i creditori indiscriminatamente 
i beni sui quali essi dovrebbero soddisfarsi in via coattiva o sostitutiva. 
(34) Secondo l�Autore in questa norma � particolarmente evidente l�esigenza pubblicistica di impedire 
sperequazioni fra i creditori; la minor pena rispetto alla bancarotta fraudolente, tuttavia, si giustifica 
col fatto che il fatto non � diretto a frodare genericamente i creditori, ma solo a favorire taluno di essi. 
(35) F. ANTOLISEI, Manuale di diritto penale. Leggi complementari, vol. II, Reati fallimentari. 
Reati ed illeciti amministrativi in materia tributaria, di lavoro, ambientale e urbanistica. Responsabilit� 
degli enti, ed. XIII, a cura di C.F. GROSSO, Giuffr�, Milano, 2014, pp. 30-31. 



al verificarsi dello stato di insolvenza, presupposto della procedura concorsuale 
(36). 

Ancora, muovendo dalla natura strumentale delle procedure concorsuali, 
si � sottolineato come il proficuo svolgimento delle stesse rappresenti non un 
fine, bens� un mezzo per la tutela del credito, pur collettivamente inteso (37). 

ii) Altra opinione, distinguendo fra norme �civili� e �penali� in materia 
di fallimento, riconduce alle prime la salvaguardia dei diritti dei creditori, ravvisando 
invece l�oggetto della tutela penale nell�interesse, sociale, al corretto 
andamento delle relazioni economiche (38): la bancarotta viene cos� annoverata 
fra i reati contro l�economia pubblica (39). In tal senso deporrebbe la natura 
della bancarotta come reato proprio dell�imprenditore commerciale: posto 
che per quest�ultimo il ricorso al credito � fisiologico ed abituale, l�insolvenza 
connessa alle condotte di bancarotta ingenera un senso di sfiducia nei potenziali 
investitori, il quale a sua volta si ripercuote negativamente sull�economia 
generale; senza contare la possibilit� che i creditori dell�insolvente potrebbero, 
a loro volta, trovarsi in difficolt� nell�adempiere ai propri obblighi, con conseguente 
dissesto a catena lesivo dell�intero sistema economico. Anche il rigore 
delle risposte sanzionatorie dimostrerebbe come il legislatore abbia tenuto 
conto di questa frequente diffusivit� dei danni, in funzione di tutela della pubblica 
economia. 

(36) P. NUVOLONE, voce Fallimento (reati in materia di), cit., p. 481 precisa che la bancarotta 
(fraudolenta o semplice) patrimoniale offende l�interesse alla conservazione dei beni dell�imprenditore 
��insolvente�: infatti, a nostro avviso, non � possibile, anche per i reati prefallimentari, retroagire indefinitamente 
nel tempo. Ciascuno ha diritto di disporre e di lasciar disporre liberamente dei propri 
beni fino al momento in cui, divenuto impossibile il normale soddisfacimento delle obbligazioni, subentra 
il vincolo in favore dei creditori. E tale momento � rappresentato dall�inizio dello stato di insolvenza�. 
Questa la conclusione cui l�Autore sarebbe �costretto� secondo F. ANTOLISEI, Manuale di diritto penale, 
cit., p. 31, il quale ricava dalla inaccettabilit� della stessa (non potendo ammettersi la non punibilit� dei 
fatti di bancarotta che hanno cagionato l�insolvenza e che quindi la precedono, come la distrazione di 
beni in un fallimento preordinato, stante la contrariet� con la lettera e gli scopi della legge) non poche 
perplessit� circa la correttezza dell�intera ricostruzione. Condivide questa critica L. CONTI, voce Fallimento 
(reati in materia di), in Dig. disc. pen., vol. V, 1991, pp. 14-15 che sottolinea il �disagio� del Nuvolone, 
�rivelato dall�essersi egli indotto, senza altro motivo se non la necessaria coerenza colle 
premesse poste, a classificare sotto un distinto angolo di visuale le figure di bancarotta in cui il delitto 
si perfeziona colla causazione dell�insolvenza (per es.: i fatti di bancarotta fraudolenta impropria di 
cui all�art. 223, n. 2, l. fall., che vengono collocati tra i delitti contro l�economia pubblica)�. 

(37) In questo senso E.M. AMBROSETTI - E. MEZZETTI - M. RONCO, Diritto penale dell�impresa, 
cit., p. 285 e G. MONTANARA, voce Fallimento (reati in materia di), in Enc. dir., Annali VI, 2013, p. 295. 
(38) L. BOLAFFIO, La bancarotta della bancarotta, in Riv. dir. comm., 1929, pp. 613 e ss. 


(39) A. CANDIAN, Della bancarotta, in Riv. dir. comm., 1935, pp. 218 e ss.; G. NOTO SARDEGNA, 
I reati in materia di fallimento, Priulla, Palermo, 1940, p. 63; C. D�AVACK, La natura giuridica del fallimento, 
CEDAM, Padova, 1940, pp. 20 e ss.; G. DE GENNARO, Teoria della bancarotta, Napoli, 1929, 
p. 38 (limitatamente per� alle ipotesi di bancarotta pre-fallimentare); A. BERENINI, Delitti contro l�economia 
pubblica, l�industria e il commercio, in E. FLORIAN (a cura di), Trattato di diritto penale, ed. IV, 
Vallardi, Milano, 1937, pp. 17 e ss.; C. ALFANI, voce Bancarotta, in Dig. it., vol. V, 1926, p. 132; F. GRISPIGNI, 
La bancarotta e la nuova legge in preparazione sul fallimento, in Riv. dir. comm., 1941, p. 136. 



In quest�ottica si � ulteriormente precisato (40) che il bene giuridico tutelato 
consiste nell��ordinato esercizio del commercio�, inteso non in senso 
giuridico, bens� squisitamente economico: non quale conformit� dell�esercizio 
del commercio alle norme giuridiche che lo disciplinano, ma quale rispondenza 
dell�attivit� commerciale ai principi di una sana economia, principi lesi 
dai vari fatti di bancarotta (41). 

Anche questa ricostruzione � andata incontro a molteplici obiezioni. Anzitutto 
si � contestata la stessa utilit�, ai fini dell�esegesi della figura delittuosa, 
della formula, eccessivamente generica, astratta ed evanescente, �economia 
pubblica� (42). 

In secondo luogo, pur non potendosi negare che il legislatore prenda in 
considerazione anche gli interessi della pubblica economia, essi tuttavia restano 
�comunque sullo sfondo e non appartengono al nucleo indefettibile 
dell�oggettivit� giuridica� (43): le conseguenze negative sull�economia generale, 
si � detto, rappresentano solo un effetto indiretto dei reati di bancarotta che 
pu� aggiungersi alla lesione del diverso bene giuridico specificamente tutelato 
-, anzi possono derivare anche dal solo fatto dell�insolvenza, pur in mancanza 
di profili di rilevanza penale della condotta (44). Di qui l�equivoco di 
�confondere il motivo della tutela con l�interesse tutelato, l�oggetto immediato 
del reato con quello mediato� (45). 

(40) A. PAGLIARO, Il delitto di bancarotta, Priulla, Palermo, 1957, pp. 32 e ss., oggi anche in ID., 
Il diritto penale fra norma e societ�. Scritti 1956-2008, Vol. III, Altri scritti - I, Giuffr�, Milano, 2009, 
pp. 27 e ss. 
(41) Deve invece escludersi che il bene giuridico cos� individuato sia leso dall�insolvenza in s� 
considerata, potendo essa verificarsi, come fatto oggettivo, anche in mancanza di qualsivoglia violazione 
dei principi di una sana economia. 
(42) L. CONTI, voce Fallimento (reati in materia di), cit., p. 14 che sottolinea l�incertezza che ne 
deriva in ordine all�individuazione del soggetto passivo del reato; G. COCCO, La bancarotta preferenziale, 
Jovene, Napoli, 1987, p. 108; C. PEDRAZZI, Art. 216, in C. PEDRAZZI - F. SGUBBI, Reati commessi dal 
fallito. Reati commessi da persone diverse dal fallito, in Commentario Scialoja-Branca, Legge fallimentare, 
a cura di F. GALGANO, Zanichelli-Il foro italiano, Bologna-Roma, 1995, p. 9; C. SANTORIELLO, 
I reati di bancarotta, cit., p. 10. Secondo A. PAGLIARO, Il delitto di bancarotta, cit., p. 27 il rilievo si supera 
assumendo ad oggetto di tutela l�ordinato esercizio del commercio, nel suo significato economico. 
(43) Cos� C. PEDRAZZI, Reati fallimentari, in C. PEDRAZZI - A. ALESSANDRI - L. FOFFANI - S. SEMINARA 
- G. SPAGNOLO, Manuale di diritto penale dell�impresa. Parte generale e reati fallimentari, 
Monduzzi, Bologna, 2003, p. 103. 


(44) L. CONTI, voce Fallimento (reati in materia di), cit., p. 14; E.M. AMBROSETTI - E. MEZZETTI 

-M. RONCO, Diritto penale dell�impresa, cit., p. 284; G. MONTANARA, voce Fallimento (reati in materia 
di), cit., p. 295; C. SANTORIELLO, I reati di bancarotta, cit., pp. 10 e ss., che critica la confusione tra 
danno derivante da insolvenza o fallimento e danno derivante dalla bancarotta: il fatto di bancarotta, 

�per quanto grave possa essere la condotta posta in essere non avr� mai efficacia lesiva tale da danneggiare 
gli interessi patrimoniali dell�intera collettivit��. Contra A. PAGLIARO, Il delitto di bancarotta, 
cit., p. 28: �al rilievo fondato sulla normale esiguit� della lesione alla pubblica economia, si pu� anche 
obiettare che, perch� sussista la lesione di un bene giuridico, non ha rilevanza il profilo quantitativo, 
ma solo l�aspetto qualitativo dell�offesa [�] sicch� non � possibile argomentare dalle dimensioni del-
l�economia generale, per escludere che la bancarotta sia un reato contro la pubblica economia�. 


iii) L�orientamento prevalente (46) considera invece la bancarotta come 
un reato contro il patrimonio: oggetto della tutela sono cio� gli interessi patrimoniali 
dei creditori, la cui soddisfazione � pregiudicata, o comunque messa 
in pericolo, dai fatti di bancarotta. 

Pi� in particolare si distingue (47) fra diritto dei creditori alla garanzia patrimoniale, 
vanificato dalle condotte dell�imprenditore volte a depauperare il 
patrimonio posto a salvaguardia delle pretese creditorie (bancarotta patrimoniale, 
sia fraudolenta che semplice); diritto dei creditori alla distribuzione egualitaria 
dei beni dell�imprenditore secondo il principio della par condicio, 
pregiudicato da comportamenti che, pur non sminuendo nel complesso la garanzia 
patrimoniale, sono volti a favorire alcuni creditori in danno di altri (bancarotta 
preferenziale). Nella stessa prospettiva, anche la bancarotta documentale 
tutela le aspettative patrimoniali dei creditori, stante la strumentalit�, rispetto 
all�esito fruttuoso della procedura fallimentare, della regolare tenuta della contabilit� 
(48). La maggioranza degli autori, comunque, ravvisa l�oggetto giuridico 
nel diritto di credito vantato da chi abbia intrattenuto rapporti economici 
con l�impresa (49). 

(45) Come rilevato da G. DELITALA, L�oggetto della tutela nel reato di bancarotta, in Studi in 
onore di Silvio Longhi, Roma, 1935, p. 285. Osserva al riguardo L. CONTI, voce Fallimento (reati in 
materia di), cit., p. 14: �altra cosa � il motivo per cui la societ� fa luogo all�incriminazione dei reati, 
altra cosa � il modo con cui raggiunge tale fine ultimo col mezzo della protezione immediata di determinati 
interessi specifici, che si risolve nella protezione mediata di altri interessi di carattere pi� generale 
[�] se l�evento giuridico va inteso come l�offesa del bene immediatamente protetto, non vՏ dubbio che 
tale non pu� ritenersi la pubblica economia�. 
(46) G. DELITALA, Contributo alla determinazione della nozione giuridica del reato di bancarotta, 
in Riv. dir. comm., 1926, p. 458; ID., L�oggetto della tutela nel reato di bancarotta, cit., pp. 283 e ss.; S. 
LONGHI, Bancarotta ed altri reati in materia commerciale, Societ� editrice libraria, Milano, 1930, pp. 
160 e ss.; G. VASSALLI, La tutela penale del credito nel progetto vaticano di codice di procedura civile, 
in Riv. it., 1938, p. 162; M. PUNZO, Il delitto di bancarotta, UTET, Torino, 1953, p. 28; L. CONTI, voce 
Fallimento (reati in materia di), cit., pp. 15-16; C. PEDRAZZI, Reati fallimentari, cit., p. 104; E.M. AMBROSETTI 
- E. MEZZETTI - M. RONCO, Diritto penale dell�impresa, cit., p. 284; U. GIULIANI BALESTRINO, 
La bancarotta e gli altri reati concorsuali, Giappichelli, Torino, 2012, p. 14; G.L. PERDON�, I reati fallimentari, 
in A. MANNA (a cura di), Corso di diritto penale dell�impresa, CEDAM, Padova, 2010, pp. 
327 e ss.; S. PROSDOCIMI, Tutela del credito e tutela dell�impresa nella bancarotta prefallimentare, in 
Riv. trim. dir. pen. econ., 1999, pp. 131 e ss.; G. MONTANARA, voce Fallimento (reati in materia di), cit., 
pp. 295-296. 
(47) Cfr. F. ANTOLISEI, Manuale di diritto penale, cit., p. 25; E.M. AMBROSETTI - E. MEZZETTI 


M. RONCO, Diritto penale dell�impresa, cit., p. 283; L. CONTI, voce Fallimento (reati in materia di), cit., 
p. 13. 
(48) Ci� per un duplice ordine di ragioni: l�esatta ricostruzione del patrimonio e delle operazioni 
effettuate consente l�individuazione dei beni aggredibili, immediatamente o previo esercizio di azioni 
revocatorie o declaratorie di inefficacia; dall�altro lato, viene in evidenza l�effetto deterrente, rispetto 
ad operazioni distruttive o sconsiderate, dell�obbligo di dar conto di ogni operazione. 
(49) V. in particolare G. DELITALA, L�oggetto della tutela nel reato di bancarotta, cit., p. 284, che 
individua un triplice fronte di tutela del diritto in parola: contro gli atti del debitore di illecita disposizione 
dei propri beni; contro la violazione dell�obbligo di estensibilit� del patrimonio imposto dalle disposizioni 
in materia di scritture contabili; contro il favoreggiamento di alcuni creditori in danno della massa. 



Argomenti a sostegno dell�individuazione del bene giuridico nell�interesse 
patrimoniale dei creditori si sono desunti dalla struttura delle formule 
normative le quali, criminalizzando atti di illecita disposizione di beni, esposizione 
o riconoscimento di passivit� inesistenti, distruzione o alterazione o 
irregolare tenuta dei mezzi di ricostruzione del patrimonio e degli affari del 
debitore, mirano a proteggere una pluralit� di interessi a carattere, appunto, 
patrimoniale dei portatori di ragioni di credito (50). 

In senso contrario si � contestata l�esistenza di un diritto di garanzia o di 
obbligazione o di credito quale oggetto giuridico dei reati di bancarotta (51). 
Obiezione cui i sostenitori della tesi qui in esame replicano rilevando che oggetto 
di tutela penale possono essere anche semplici interessi, nell�ambito dei 
quali �appare scolpito l�oggetto giuridico della bancarotta, che diviene, cos�, 
elemento di tutela �degli interessi patrimoniali� dei creditori� (52). 

Anche l�identificazione del bene giuridico nei semplici interessi patrimoniali 
dei creditori, tuttavia, � stata oggetto di critiche (53), fondate sui seguenti 
argomenti: la lesione dell�interesse patrimoniale dei creditori non si riannoda 
ai fatti di bancarotta, bens� all�insolvenza, estranea alla struttura del reato (54); 
l�interesse patrimoniale � tutelato solo in rapporto al proprio titolare, dovendo 
appartenere ad un soggetto passivo ben determinato, il che nella bancarotta 
non avviene; non si spiegherebbe perch� le medesime condotte, ugualmente 
pregiudizievoli degli interessi patrimoniali dei creditori, poste in essere da 
soggetto diverso dall�imprenditore, non integrino bancarotta; non troverebbe 
sufficiente giustificazione lo stesso requisito della dichiarazione di fallimento; 

Cfr. anche G. MONTANARA, voce Fallimento (reati in materia di), cit., p. 295 (secondo cui l�oggetto giuridico 
dei delitti di bancarotta �deve essere individuato �nel diritto di credito in quanto tale��) e S. 
PROSDOCIMI, Tutela del credito e tutela dell�impresa nella bancarotta prefallimentare, cit., p. 138 (�nell�ambito 
della bancarotta patrimoniale [�] la tutela del credito appare, dunque, assolutamente predominante 
ed assorbente�). 

(50) L. CONTI, voce Fallimento (reati in materia di), cit., p. 15 secondo cui �si tratta dell�interesse 
all�integrit� della garanzia ex art. 2740 c.c., e, in funzione del medesimo, dell�interesse a conoscere 
l�entit� e natura dei beni del debitore (donde la protezione delle scritture), dell�interesse ad ottenere 
[�] un soddisfacimento pronto e nella maggior misura possibile e infine dell�interesse alla tutela del 
proprio credito in modo conforme alla legge di fronte al concorso dei crediti altrui (ci� che spiega 
perch� sia represso il favoreggiamento dei creditori)�. 
(51) A. PAGLIARO, Il delitto di bancarotta, cit., pp. 10 e ss. 


(52) G. MONTANARA, voce Fallimento (reati in materia di), cit., p. 296; cfr. anche L. CONTI, voce 
Fallimento (reati in materia di), cit., p. 13 e F. TAGLIARINI, I reati fallimentari, in G. INSOLERA - R. ACQUAROLI 
(a cura di), Problemi attuali del diritto penale dell�impresa, Nuove Ricerche, Ancona, 1997, p. 65. 
(53) A. PAGLIARO, Il delitto di bancarotta, cit., pp. 13 e ss. 


(54) A questa obiezione replica L. CONTI, voce Fallimento (reati in materia di), cit., pp. 13-14: 
�a prescindere dal fatto che l�offesa all�interesse patrimoniale dei creditori non pu� essere spostata innanzi 
e riferita al solo momento del verificarsi dell�insolvenza, non basta dire che quest�ultima � estranea 
alla struttura del reato di bancarotta per affermare che della medesima non si debba tener conto 
nella ricerca sul contenuto dell�offesa. Basta pensare alla funzione della sentenza dichiarativa di fallimento, 
la quale appunto accerta l�insolvenza ai fini della punibilit� dell�autore, per comprendere come 
la insolvenza stessa debba essere considerata in sede di indagine sull�interesse protetto�. 



la previsione di ipotesi di bancarotta colposa sarebbe incoerente con la normale 
punibilit� dei reati patrimoniali a solo titolo di dolo. 

Si � ulteriormente precisato che, fino al momento in cui il creditore non 
abbia aggredito i beni del debitore, su quest�ultimo non incombe alcun dovere 
n� alcuna limitazione in ordine alla libera disponibilit� dei propri beni. Con la 
conseguenza che il bene giuridico non pu� identificarsi con il patrimonio dei 
creditori, essendo i loro interessi patrimoniali tutelati non di per s�, ma solo 
in quanto si inseriscano in una procedura concorsuale (55). 

iv) Un�opinione pi� risalente inquadra la bancarotta fra i reati contro la 
fede pubblica (56), sul rilievo che le relazioni commerciali si fondano sulla 
fiducia nella reciproca lealt�, assolutamente necessaria per lo svolgimento 
delle stesse, ragion per cui non di fede privata si tratterebbe, ma di fede pubblica, 
intesa come fiducia usuale che l�ordinamento dei rapporti commerciali 
e la sua attuazione pratica ingenerano tra i consociati. 

Questa concezione di fede pubblica, tuttavia, non collima con quella di 
�fiducia che la societ� ripone negli oggetti, nei segni e nelle forme esteriori� 
che individua la nozione tecnica di tale bene giuridico (57). Si � altres� rilevato 

(58) che nei reati contro la fede pubblica l�oggetto della tutela �, in realt�, il 
mezzo di prova (59), che � tale solo se vi si ripone fiducia: di qui la coincidenza 
fra dire che oggetto di tutela � la fiducia che si ripone nel mezzo di prova e 
dire che il mezzo di prova � oggetto di tutela. Coincidenza che invece non si 
verifica nel caso della bancarotta: se pure � vero che la reiterata violazione 
delle norme penali fallimentari farebbe venir meno la fiducia indispensabile 
allo svolgimento dei rapporti commerciali, ci� tuttavia non vale ad individuare 
nella fede pubblica l�oggetto di tutela, che sar� al contrario quell�interesse la 
cui lesione determina il venir meno della fiducia. 

Maggiormente fondata potrebbe apparire la tesi della bancarotta come 

(55) C. SANTORIELLO, I reati di bancarotta, cit., pp. 8-9. Contra L. CONTI, voce Fallimento (reati 
in materia di), cit., p. 15 secondo cui non pu� negarsi che la difesa del credito si concreti in una difesa 
del patrimonio di chi lo fa valere, essendo pacifico che i crediti vadano computati tra le attivit� patrimoniali, 
n� potrebbe �opporsi il fatto che la legge mira alla tutela non tanto dell�interesse del creditore 
singolo, quanto dell�interesse comparativo di tutti i creditori [�]. Questo incontestabile rilievo non 
vale di per s� ad escludere il carattere patrimoniale dell�interesse di massa preso in considerazione e 
a trasformarlo [�] in un interesse pubblicistico processuale. Data la funzione tipicamente strumentale 
del processo, occorre aver riguardo agli interessi sostanziali che nel regolare sviluppo di quello trovano 
tutela, tra i quali resta in prima linea la protezione del patrimonio dei creditori, sia pure attuata armonizzando 
e contemperando le ragioni di questi ultimi, prese in considerazione nel loro complesso�. 
(56) F. CARRARA, Programma del corso di diritto criminale. Parte speciale, vol. VII, Lucca, 1874, 
� 3359 (e autori ivi citati). 
(57) Se ne ricava che la fede pubblica non possa costituire oggetto giuridico della bancarotta: in 
tal senso C. ALFANI, voce Bancarotta, cit., pp. 133 e ss.; G. DELITALA, Contributo alla determinazione 
della nozione giuridica del reato di bancarotta, cit., pp. 458 e ss.; ID., L�oggetto della tutela nel reato 
di bancarotta, cit., pp. 284 e ss. 
(58) A. PAGLIARO, Il delitto di bancarotta, cit., pp. 21-22. 
(59) F. CARNELUTTI, Teoria del falso, CEDAM, Padova, 1935, pp. 2 e ss. 







reato contro la fede pubblica in relazione alla bancarotta documentale, che alcuni 
autori ritengono integri vere e proprie ipotesi di falso materiale e falso 
ideologico in scrittura privata (60). Anche con riferimento a queste fattispecie, 
tuttavia, si � obiettato che i reati di falso si caratterizzano per la tipicizzazione 
di un mezzo specifico per un fine generico, ben potendosi quindi fare riferimento 
non al fine, indeterminato, ma al mezzo nella ricostruzione dell�offesa, 
identificandola con la lesione di un interesse relativo alla prova. Nella bancarotta 
documentale fraudolenta, invece, anche il fine � tipicizzato (sottrazione 
della garanzia ai creditori), dovendosene quindi tener conto nella ricostruzione 
della oggettivit� giuridica, che non si differenzier� da quella della bancarotta 
fraudolenta patrimoniale (61). Anche per quanto riguarda la bancarotta documentale 
semplice si � rimarcata la necessit� di tener conto dell�intera struttura 
della fattispecie nella ricostruzione dell�oggetto giuridico (qualifica del soggetto 
attivo, oggetto materiale, funzione del fallimento, riunione delle ipotesi 
documentali e patrimoniali nella stessa disposizione): di nuovo, quindi, dovr� 
concludersi per la coincidenza fra oggetto giuridico della bancarotta patrimoniale 
e di quella documentale (62). 

v) Una sorta di tentativo di sintesi tra le opinioni suddette possono considerarsi 
le teorie della natura plurioffensiva dei reati di bancarotta. 

Il pi� autorevole sostenitore (63) della necessit� di riconoscere una pluralit� 
di interessi tutelati dalle norme sulla bancarotta, muove dalla critica alla 
concezione della stessa come reato contro l�amministrazione della giustizia, 
circoscrivendone l�accoglibilit� alle sole fattispecie di bancarotta post-fallimentare, 
con la precisazione per� che esse offendono anche altri interessi. 
Questi ulteriori interessi devono individuarsi, anzitutto, in quelli patrimoniali 
dei creditori (64), che quindi rientrano nell�offensivit� giuridica, senza tuttavia 
esaurirla, pena una visione angusta ed unilaterale del fenomeno dell�insolvenza, 
che trascura le gravi ripercussioni che ne derivano sul piano dell�eco


(60) P. NUVOLONE, Il diritto penale del fallimento e delle altre procedure concorsuali, cit., pp. 
263 e ss. Deve per� precisarsi che questo Autore ritiene che nei reati di falso l�oggetto di tutela sia �l�interesse 
al cui soddisfacimento l�atto � predisposto nel sistema dell�ordinamento giuridico� (p. 34), per 
cui anche le ipotesi di bancarotta documentale, come si � visto supra, offendono un interesse di tipo 
processuale (p. 36). 
(61) A. PAGLIARO, Il delitto di bancarotta, cit., p. 23. V. anche C. ALFANI, voce Bancarotta, cit., 
pp. 133 e ss. e G. DELITALA, L�oggetto della tutela nel reato di bancarotta, cit. pp. 284 e ss., che riferiscono 
l�argomentazione a tutte le ipotesi di bancarotta documentale, ritenendola sufficiente ad escludere 
che anche la bancarotta documentale semplice sia reato contro la fede pubblica. 
(62) A. PAGLIARO, Il delitto di bancarotta, cit., p. 24. 
(63) F. ANTOLISEI, Manuale di diritto penale, cit., pp. 31 e ss. 




(64) Questi ultimi non sono limitati alla conservazione della garanzia patrimoniale, ma ricomprendono: 
l�interesse a conoscere la consistenza del patrimonio del debitore e i il movimento dei suoi 
affari; l�interesse al trattamento paritario in caso di insolvenza; l�interesse ad essere soddisfatti nella 
maggior misura e nel minor tempo possibili. I fatti di bancarotta offendono l�uno o l�altro di tali interessi, 
o anche pi� di essi contemporaneamente. 



nomia generale in termini di pregiudizio al credito pubblico. Di qui la necessit� 
di ricomprendere nell�oggetto giuridico della bancarotta anche l�economia 
pubblica (65), oltre, come detto, per i fatti successivi alla dichiarazione di fallimento, 
l�interesse dell�amministrazione della giustizia. 

La plurioffensivit� dei reati di bancarotta (e, pi� in generale, di tutti i reati 
fallimentari), � stata ribadita anche di recente (66), assegnandosi a tutte le incriminazioni 
contenute nella legge fallimentare lo scopo di garantire la genuinit� 
della procedura fallimentare e il conseguimento delle sue finalit�, per 
l�evidente riflesso sul regolare svolgimento dell�economia che ne deriva. Oltre 
all�interesse al regolare svolgimento dell�economia (67), le varie incriminazioni 
tutelano anche altri interessi particolari: l�interesse di ciascun creditore 
alla integrit� del patrimonio del fallito contro ogni atto di depauperamento 
(bancarotta fraudolenta patrimoniale), l�interesse alla esatta e sollecita ricostruzione 
del patrimonio del fallito (bancarotta documentale fraudolenta e semplice), 
l�interesse alla par condicio creditorum (bancarotta fraudolenta 
preferenziale), l�interesse all�integrit� del patrimonio del fallito (bancarotta 
semplice patrimoniale) (68), l�interesse relativo all�opportunit� di colpire l�imprenditore 
manifestamente negligente che non adempie il concordato preventivo 
o fallimentare (art. 217, comma primo, n. 5, l. fall.), l�interesse ad evitare 
aree di immunit� penale, quando i comportamenti illeciti siano posti in essere 
nell�ambito di societ� (bancarotta impropria). 

In senso parzialmente difforme si � limitata la natura plurioffensiva alla 
sola bancarotta post-fallimentare, che tutelerebbe, oltre al diritto di credito, 
anche l�interesse dell�amministrazione della giustizia (69). Pi� radicale la critica 
di chi, riducendo a quest�ultimo l�oggetto della tutela, nega che possano 
rientrarvi anche gli interessi patrimoniali dei creditori o la pubblica economia, 
che riceverebbero tutela solo riflessa, strumentale rispetto ad altro obiettivo, 
costituente il vero oggetto giuridico (70). 

(65) In proposito l�Autore respinge la critica fondata sulla confusione tra motivo della tutela e interesse 
tutelato, fra oggetto mediato e immediato del reato (v. supra, nota 45), ritenendo che l�interesse 
dell�economia pubblica non si riduca a quel generico interesse pubblico che sta alla base di ogni illecito 
penale, ma identifichi un interesse specifico e concreto, di innegabile rilevanza, cui deve riconoscersi 
piena rilevanza nell�ordinamento, essendo oggetto giuridico di tutta una categoria di reati (artt. 499 e 
ss. c.p.). 
(66) A. DI AMATO, Diritto penale dell�impresa, ed. VII, Giuffr�, Milano, 2011, pp. 427-428 e 434 e ss. 


(67) Dalla inclusione fra gli interessi protetti del regolare svolgimento dell�economia, l�Autore 
fa discendere l�inapplicabilit� della scriminante del consenso. 
(68) Anche R. ROVELLI, Disciplina penale dell�impresa, Giuffr�, Milano, 1953, p. 173 sembra ritenere 
che il patrimonio tutelato sia quello del fallito, il che secondo A. PAGLIARO, Il delitto di bancarotta, 
cit., p. 9, nota 32 costituisce un equivoco, come rilevato gi� da L. SEGESSER VON BRUNEGG, Die Konkursverbrechen 
des deutschen Rechts. Eine dogmatische Studie, Druck der Union Deutsche Verlagsgesellschaft, 
Stoccarda, 1914, p. 14, che qualifica il patrimonio dell�agente non come oggetto giuridico, 
ma come oggetto materiale, posto che un bene non � mai tutelato contro gli attacchi del suo titolare. 


(69) G. MONTANARA, voce Fallimento (reati in materia di), cit., p. 295. 


4. Il danno patito dal Ministero nel caso di specie. 

Venendo al caso di specie, alla stregua delle ricostruzioni cos� proposte, 
pu� anzitutto escludersi ogni dubbio circa la legittimazione del Ministero dello 
Sviluppo Economico a costituirsi parte civile in relazione al delitto di cui all�art. 
2638 c.c. Agli imputati si contesta l�esposizione di fatti materiali non rispondenti 
al vero sulla situazione economica e finanziaria nelle comunicazioni 
e nei bilanci, indirizzati anche all�autorit� pubblica di vigilanza, attraverso 
condotte di omissione, occultamento e falsa indicazione, al fine di ostacolare 
l�esercizio delle funzioni di vigilanza da parte del MISE. 

Corretto l�inserimento del Ministero de quo nel novero delle �autorit� 
pubbliche di vigilanza� di cui alla suddetta norma, sulla base di una serie di 
indici normativi in cui trovano rispondenza tutti i criteri cui dottrina e giurisprudenza 
fanno riferimento nel delimitare la relativa nozione. Definite le societ� 
fiduciarie come �quelle che, comunque denominate, si propongono sotto 
forma di impresa, di assumere l�amministrazione dei beni per conto di terzi 
[�] e la rappresentanza dei portatori di azioni e di obbligazioni� (art. 1 l. n. 
1966/1939), la legge esplicitamente afferma che esse �sono soggette alla vigilanza 
del Ministero delle corporazioni� (art. 2 l. n. 1966/1939), poi del Ministero 
delle Attivit� Produttive (art. 28, comma primo, lett. c), d.lgs. n. 
300/1999), oggi del MISE (artt. 1 e 17, comma primo, lett. h) D.P.C.M. n. 
158/2013). 

Scontata la natura pubblicistica dell�autorit� cos� individuata, e della funzione 
che svolge, deve altres� ritenersi che la vigilanza che essa � chiamata ad 
esercitare assuma appieno quel significato tecnico di potere ispettivo, inteso 
quale controllo tanto preventivo quanto successivo. Sotto il primo profilo, le 
societ� fiduciarie non possono �iniziare le operazioni senza essere autorizzate 
con decreto del Ministro� (art. 2 l. n. 1966/1939), per ottenere la quale autorizzazione 
esse devono presentare apposita istanza, cui vanno allegati i documenti 
attestanti i requisiti di legge (artt. 1 e 2 R.D. n. 531/1940). Sotto il 
secondo profilo, la vigilanza Ǐ esercitata per mezzo dell�esame dei bilanci 
annuali, i quali devono essere inviati al Ministero [�] entro un mese dalla 
loro approvazione (71), e per mezzo d�ispezioni periodiche e straordinarie 

(70) C. SANTORIELLO, I reati di bancarotta, cit., pp. 11 e ss. Negano la natura plurioffensiva anche 

G.L. PERDON�, I reati fallimentari, cit., pp. 330 e ss.; C. PEDRAZZI, Art. 216, cit., pp. 106 e ss., che limita 
l�interesse protetto a quello patrimoniale dei creditori, tanto nella bancarotta pre che post-fallimentare; 
L. CONTI, voce Fallimento (reati in materia di), cit., pp. 15-16: �non si nega che in questo modo restano 
difesi, con minore immediatezza, anche altri interessi, quali quelli dell�amministrazione della giustizia 
(specie con riferimento alla bancarotta post-fallimentare), nonch� del commercio e dell�economia pubblica. 
Non si nega del pari che la considerazione dell�interesse sociale della pubblica economia vada 
guadagnando terreno [�] ma, a nostro avviso, si tratta ancora soltanto di una prospettiva, avvicinata, 
ma non raggiunta, la quale richiederebbe, comunque, una modifica del dato normativo�. 


(71) V. anche art. 16 del D.M. 16 gennaio 1995, indicante i documenti da trasmettere unitamente 
al bilancio ai fini dell�esercizio della funzione di vigilanza. 


dell�amministrazione sociale, affidate a funzionari governativi�, con obbligo 
della societ� di �fornire tutte le spiegazioni e di presentare tutti i documenti� 
a richiesta del funzionario o del Ministero (art. 3 R.D. n. 531/1940). L�omesso 
invio del bilancio, il rifiuto dei documenti richiesti o altra irregolarit� consente 
al Ministro di sospendere la societ� dall�esercizio dell�attivit� o, nei casi pi� 
gravi, di revocare l�autorizzazione (art. 4 R.D. n. 531/1940). 

Tanto il controllo preventivo in sede di autorizzazione all�esercizio dell�attivit� 
fiduciaria, in cui il Ministero � chiamato ad accertare la sussistenza dei 
presupposti di legge, quanto il controllo successivo sul concreto svolgimento 
dell�attivit� e sul mantenimento dei presupposti medesimi (72), sono finalizzati 
all�attuazione dell�interesse pubblicistico a che sia garantita l�affidabilit� delle 
societ� fiduciarie nei loro rapporti con il pubblico, prima che si verifichino negative 
ricadute sul mercato. Le condotte poste in essere dagli imputati hanno 
frustrato la realizzazione del suddetto interesse, pregiudicando il corretto ed efficace 
svolgimento delle funzioni di vigilanza del Ministero. Le conseguenti negative 
ricadute sul mercato, inevitabilmente, si ripercuoto sull�immagine del 
Ministero stesso, con legittimazione al ristoro del nocumento cos� subito. 

Ad analoghe conclusioni deve pervenirsi anche con riferimento ai reati di 
bancarotta contestati agli imputati, accusati di aver cagionato il dissesto della 
societ�, compiendo, anche mediante omissione, atti di disposizione di beni posseduti 
dalla stessa in virt� di mandati fiduciari ricevuti dai clienti investitori; 
di aver distratto somme di denaro ricevute allo stesso titolo; di aver distrutto 
e/o sottratto le scritture contabili e, antecedentemente, di averle tenute in modo 
da impedire la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari. 

Tralasciando le concezioni, attualmente minoritarie, che qualificano le 
fattispecie di bancarotta come reati contro l�interesse dell�amministrazione 
della giustizia ovvero contro la fede pubblica (73), se si muove dall�impostazione 
secondo cui essi offendono (esclusivamente o anche) il corretto andamento 
delle relazioni economiche, quindi l�economia pubblica, o l�ordinato 
esercizio del commercio, ci si avvede che si tratta dei medesimi beni �finali� 
rispetto ai quali � strumentale la funzione di controllo tutelata dall�art. 2638 

c.c. (con riferimento, s�intende, al settore di attivit� delle societ� fiduciarie). 
Gli interessi pregiudicati dai fatti di bancarotta, in altri termini, sono interessi 
pubblicistici coincidenti con quelli in vista della realizzazione dei quali il Ministero 
dello Sviluppo Economico � chiamato a svolgere il controllo preventivo 
e successivo sulle societ� fiduciarie. 

(72) Cfr. art. 3, comma terzo, D.M. 16 gennaio 1995. 

(73) Anche qualora dovesse accedersi all�opinione del Carrara, intendendosi la �fede pubblica�, 
con riferimento al settore di attivit� della societ� coinvolta nel caso di specie, come fiducia dei clienti 
investitori, ugualmente potrebbe sostenersi la legittimazione del MISE, essendo pregiudicata la sua immagine 
quale soggetto deputato al controllo necessario ad assicurare quella fiducia. 


La legittimazione alla costituzione di parte civile del MISE, in ogni caso, 
sussiste anche se si accede all�orientamento dottrinario maggioritario, condiviso 
anche dalla pi� recente giurisprudenza di legittimit� (74), che individua 
gli interessi protetti in quelli patrimoniali dei creditori. Essendo questi ultimi 
soggetti che si relazionano con una societ� sottoposta al controllo e alla vigilanza 
del Ministero, i fatti di bancarotta non solo pregiudicano gli interessi patrimoniali 
dei creditori, ma cagionano altres� un grave nocumento 
all�immagine del Ministero. Ci� soprattutto ove si muova dalla considerazione 
dell�art. 2638 quale �presidio� di obblighi informativi che, se correttamente 
adempiuti, assicurano in via diretta il corretto esercizio delle funzioni di controllo 
e, in via indiretta, la salvaguardia della sfera patrimoniale dei soggetti 
nel cui interesse quella funzione � prevista (75). 

Occorre considerare la nozione di danno all�immagine della Pubblica Amministrazione 
delineata dalle Sezioni Unite, nel senso di �danno conseguente 
alla grave perdita di prestigio ed al grave detrimento dell�immagine e della 
personalit� pubblica dello Stato� (76). Con riferimento, pi� in generale, alle 
persone giuridiche e agli enti, si � ulteriormente precisato che anche nei loro 
confronti � configurabile un danno risarcibile quando il fatto lesivo incida su 
una situazione giuridica equivalente ai diritti fondamentali della persona 
umana, fra i quali rientra l�immagine. La lesione di quest�ultima, pertanto, 
comporta la risarcibilit� del danno costituito �dalla diminuzione della considerazione 
della persona giuridica o dell�ente nel che si esprime la sua immagine 
[anche] sotto il profilo della diminuzione della considerazione da parte 

(74) Cass., Sez. III pen., 20 novembre 2015, n. 3539, C., in DeJure: la norma incriminatrice 
di cui all�art. 216 l. fall. Ǐ preposta a sanzionare condotte che pregiudichino [�] l�interesse del 
ceto creditorio di massa al soddisfacimento dei propri singoli diritti�; Cass., Sez. V pen., 17 settembre 
2015, n. 3977, F., ivi: �l�imprenditore � posto dal nostro ordinamento in una posizione di 
garanzia nei confronti dei creditori, i quali ripongono la garanzia dell�adempimento delle obbligazioni 
dell�impresa sul patrimonio di quest�ultima. Ne deriva la diretta responsabilit� del gestore di 
questa ricchezza per la sua conservazione in ragione dell�integrit� della garanzia. La perdita in-
giustificata del patrimonio o l�elisione della sua consistenza danneggia le aspettative della massa 
creditoria ed integra l�evento giuridico sotteso dalla fattispecie di bancarotta fraudolenta�; Cass., 
Sez. V pen., 3 luglio 2015, n. 2295, P., ivi: �l�evento del reato di bancarotta deve intendersi quello, 
in senso giuridico, costituito dal fatto capace di ledere il bene protetto dalla norma. Questo � costituito 
dalla esposizione a pericolo del patrimonio della societ� mediante atti distruttivi, tali da ridurre 
la garanzia dei creditori in caso di fallimento�; Cass., Sez. V pen., 26 settembre 2011, n. 44933, Pisani, 
in Riv. trim. dir. pen. econ., 2012, pp. 564 e ss.: �per la speciale configurazione del precetto, 
la protezione penale degli interessi creditori � assicurata mediante la sua connotazione di reato di 
pericolo. L�offesa penalmente rilevante � conseguente anche all�esposizione dell�interesse protetto 
alla probabilit� di lesione, onde la penale responsabilit� sussiste non soltanto in presenza di un 
danno attuale ai creditori, ma anche nella situazione di messa in pericolo dei loro interessi�; Cass., 
Sez. V pen., 10 novembre 2011, n. 1843, M., in DeJure, che assegna alla bancarotta funzione di �tutela 
dei creditori�. 

(75) V. supra, al richiamo della nota 14. 
(76) Cass., Sez. Un. civ., 25 giugno 1997, n. 5668, in Danno e Resp., 1997, p. 767. 



dei consociati in genere o di settori o categorie di essi con le quali la persona 
giuridica o l�ente di norma interagisca� (77). 

I fatti di bancarotta contestati agli imputati, avendo ad oggetto beni, libri e 
scritture contabili necessari alla ricostruzione del patrimonio e del movimento 
degli affari, non solo hanno leso gli interessi patrimoniali dei privati entrati in 
rapporto con la societ�, ma hanno altres� inciso sulla considerazione che questi 
ultimi hanno del soggetto deputato al controllo necessario ad assicurare l�affidabilit�, 
nei loro confronti, della fiduciaria. La reputazione del Ministero presso la 
categoria dei consociati coinvolti dall�attivit� della societ�, quindi, ha subito un 
notevole scadimento per effetto delle condotte poste in essere dagli imputati. 

Le peculiarit� del caso di specie ulteriormente depongono in tal senso. 
Da un lato, il delitto di ostacolo all�esercizio delle funzioni dell�autorit� pubblica 
di vigilanza � contestato con l�aggravante di cui all�art. 61, n. 2, c.p.; 
dall�altro, i reati di bancarotta e quello di cui all�art. 2638 c.c. sono unificati, 
secondo l�impianto accusatorio, dal vincolo della continuazione (78). 

(77) Cass., Sez. III civ., 4 giugno 2007, n. 12929, in DeJure. 

(78) Discussa � la compatibilit� fra reato continuato e aggravante di cui al n. 2 dell�art. 61 c.p., 
soprattutto dopo la riforma dell�art. 81 ad opera del d.l. 11 aprile 1974, n. 99. Una prima opinione (G. 
VASSALLI, La riforma penale del 1974, Vallardi, Milano, 1975, p. 63; G. FIANDACA - E. MUSCO, Diritto 
penale, cit., p. 451; F. MANTOVANI, Diritto penale, cit., pp. 489-490) muove dalla profonda analogia, se 
non identit� di situazione psicologica, fra medesimezza del disegno criminoso e nesso teleologico, che 
si differenzierebbero unicamente per le opposte conseguenze, di favor in un caso e aggravanti nell�altro. 
L�intima contraddittoriet�, priva di plausibile giustificazione tanto sul piano dogmatico che della prassi 
applicativa, dovrebbe condurre a ritenere tacitamente abrogata l�aggravante di cui al n. 2 dell�art. 61 
c.p., per incompatibilit� con l�art. 81, cpv. Nel senso della inapplicabilit� dell�art. 61 n. 2 quando i reati 
teleologicamente connessi siano omogenei, con applicazione del solo art. 81, prima della riforma del 
1974, v. C.F. PALAZZO, Considerazioni sulla compatibilit� fra le aggravanti dell�esposizione alla pubblica 
fede e dell�uso di violenza o di mezzi fraudolenti e sulla compatibilit� fra reato continuato ed aggravante 
teleologica, in Temi, 1971, p. 184. A sostegno della compatibilit� tra disegno criminoso e 
connessione teleologica, si � invece osservato (V. ZAGREBELSKY, Reato continuato, ed. II, Giuffr�, Milano, 
1976, pp. 162 e ss.; A. PAGLIARO, I reati connessi, Priula, Palermo, 1956, p. 173) come il primo, a 
differenza della seconda, non esiga mai un determinato ordine logico e cronologico tra i vari reati e che 
la seconda, a differenza del primo, disciplina il singolo reato-mezzo in una determinata relazione psichica 
con un altro reato, non svolgendo il diverso ruolo di qualificare unitariamente un complesso di reati riconducibili 
alla medesima ideazione. Per una critica ad entrambe le tesi e la configurazione della connessione 
teleologica tra reati in continuazione come variazione del disegno criminoso, v. G. DE 
FRANCESCO, La connessione teleologica nel quadro del reato continuato, in Riv. it. dir. proc. pen., 1978, 
pp. 109 e ss. Pi� di recente, L. BRIZI, La coniugabilit� della continuazione di reati e in particolare del 
�medesimo disegno criminoso� con lo �stato di tossicodipendenza�, in Cass. pen., 2015, pp. 36003601, 
ritenendo poco plausibile la conclusione dell�abrogazione tacita dell�aggravante in questione, ricava 
proprio da qui la necessit� di interpretare il �disegno� di cui all�art. 81, cpv. differentemente rispetto 
al nesso teleologico, dunque �in chiave intellettiva �pura�, quale, cio�, rappresentazione mentale anticipata, 
in via sufficientemente dettagliata, delle singole condotte�, ferma la possibilit� che esso possa 
maggiormente caratterizzarsi, rientrando nel suo ambito anche il rapporto mezzo-fine di cui all�art. 61, 
n. 2. La prevalente giurisprudenza di legittimit� ritiene che �non sussiste incompatibilit� logico-giuridica 
tra la continuazione e l�aggravante del nesso teleologico, agendo il vincolo della continuazione sul 
piano della riconducibilit� di pi� reati ad un comune programma criminoso ed essendo il nesso teleologico 
connotato dalla strumentante di un reato rispetto ad un altro, alla cui esecuzione od al cui oc



Sotto il primo profilo, le condotte contestate ex art. 2638 c.c. sono state 
poste in essere, oltre che per ostacolare l�esercizio delle funzioni di vigilanza, 
anche per agevolare, in tal modo, la commissione dei reati di infedelt� patrimoniale. 
In altri termini, il pieno ed efficace svolgimento dei controlli da parte 
del Ministero � stato impedito dagli imputati per poter compiere i reati di bancarotta, 
cos� vanificandosi la funzione del Ministero medesimo. Ne deriva che 
il danno riportato dai soggetti privati, creditori della fiduciaria, riverbera inevitabilmente, 
diminuendola, sulla considerazione che questi hanno del soggetto 
che avrebbe dovuto assicurare il regolare svolgimento dell�attivit� 
fiduciaria, ma non ha potuto perch� impedito dalle condotte degli imputati. 

L�unicit� dell�ubi consistam della fonte del pregiudizio patito dal Ministero, 
comprensiva di tutti i reati de quibus, risulta poi avvalorata dall�essere 
state le condotte realizzate nell�esecuzione di un medesimo disegno criminoso, 
intendendosi quest�ultimo quale �unico programma, deliberato sin dall�inizio 
nelle sue linee essenziali, per conseguire un determinato fine� idoneo a �cementare� 
le singole violazioni (79). 

cultamento il primo � preordinato; e se � vero che normalmente il nesso teleologico � sintomo anche di 
identit� del disegno criminoso, non pu� dirsi, invece, che il vincolo della continuazione implichi o contenga 
in s� il nesso teleologico, che, invero, ben pu� mancare, ed ordinariamente difetta, tra i vari 
episodi di un reato continuato. N� pu� sostenersi che l�incompatibilit� deriverebbe dall�impossibilit� 
che un istituto ispirato al favor rei, come la continuazione, possa, al contempo, fungere da causa di aggravamento 
della pena, essendo evidente come tale ultimo effetto consegua non gi� all�affermazione 
del vincolo della continuazione bens� all�applicazione della circostanza aggravante di cui all�art. 61 

c.p. , n. 2, in nessun modo contenuta od implicita nell�identit� della matrice ideativa dei due reati teleologicamente 
connessi� (Cass., Sez. I pen., 6 marzo 1996, n. 3442, Laezza, in CED Cass. rv. 204326). 
Cfr. anche Cass., Sez. V pen. 27 settembre 1995, n. 10508, Iaquinta, in CED Cass. rv. 202499 (�la circostanza 
aggravante di cui all�art. 61 n. 2 c.p. (nesso teleologico) � compatibile con il vincolo della 
continuazione; e ci� in quanto mentre il nesso teleologico aggrava il reato per la maggiore intensit� 
del dolo e la maggiore pericolosit� di chi commette il crimine, il vincolo della continuazione, invece, 
ha la funzione di ridimensionare la pena escludendo il cumulo materiale�); Cass., Sez. II pen., 17 novembre 
2004, n. 48317, Emiliano, in CED Cass. rv. 230427 (Ǐ da escludere che la circostanza aggravante 
del nesso teleologico, prevista dall�art. 61 c.p., n. 2, sia concettualmente assorbita dall�unicit� 
del disegno criminoso che, pertanto, il riconoscimento della continuazione ex art. 81 c.p. non consenta 
la configurabilit� della predetta circostanza�); Cass., Sez. I pen., 3 novembre 2004, n. 46270, Dellagaren, 
in CED Cass. rv. 230188 (�Il vincolo della continuazione � compatibile con l�aggravante del nesso 
teleologico, in quanto il primo agisce sul piano della riconducibilit� di pi� reati ad un comune programma 
criminoso, mentre il secondo � connotato dalla strumentalit� di un reato rispetto ad un altro, 
alla cui esecuzione o al cui occultamento � preordinato�). Da ultimo, v. Cass., Sez. IV pen., 6 marzo 
2015, n. 45231, P., in Leggi d�Italia, che ribadisce tutti i suddetti precedenti. 

(79) Cass., Sez. I pen., 18 novembre 2008, n. 43004, I., in Guida dir., 2009, n. 5, p. 91. Trattasi 
di orientamento consolidato: in senso conforme, tra le altre, Cass., Sez. II pen., 22 ottobre 2010, n. 
40123, M., in CED Cass. rv. 248862; Cass., Sez. IV pen., 17 dicembre 2008, n. 16066, Di Maria, in 
CED Cass. rv. 243632; da ultimo Cass., Sez. I pen., 6 aprile 2016, n. 20503, B., in DeJure: �l'unicit� 
del disegno criminoso presuppone l�anticipata ed unitaria ideazione di pi� violazioni della legge penale, 
gi� presenti nella mente del reo nella loro specificit��. Per una efficace sintesi delle nozioni di �medesimo 
disegno criminoso� elaborate dalla dottrina, si rimanda ancora a L. BRIZI, La coniugabilit� della 
continuazione di reati e in particolare del �medesimo disegno criminoso� con lo �stato di tossicodipendenza�, 
cit., pp. 3597-3599. 


5. Legitimatio ad causam nel processo penale secondo la pi� recente giurisprudenza 
di legittimit�. 

L�affermazione del danno cos� individuato ed eziologicamente riferito 
alle condotte degli imputati, � di per s� sufficiente a fondare la legittimazione 
alla costituzione di parte civile nel processo penale. Correttamente pertanto il 
Giudice ha disatteso le eccezioni delle difese, che quella legittimazione contestavano. 


Giova infatti ricordare quanto di recente precisato dalla giurisprudenza 
penale, in recepimento delle elaborazioni di quella civile (80), a sua volta debitrice 
della migliore dottrina processualcivilistica (81). Posto che soggetto 
danneggiato, al quale, ex artt. 185 c.p. e 74 c.p.p., spetta il risarcimento del 
danno da reato, � chiunque abbia riportato un danno eziologicamente riferibile 
all�azione od omissione del soggetto attivo del reato (82), ne consegue che 
�soggetto legittimato alla costituzione di parte civile � chiunque affermi di 
aver riportato un danno eziologicamente riferibile all�azione od omissione 
del soggetto attivo del reato, a prescindere dall�accertamento dell�effettiva 
sussistenza del diritto azionato, che riguarda il merito della decisione�; la legittimazione 
ad agire, infatti, costituisce �una condizione dell�azione diretta 
all�ottenimento, da parte del giudice, di una qualsiasi decisione di merito, la 
cui esistenza va verificata esclusivamente alla stregua della fattispecie giuridica 
prospettata dalla parte a fondamento dell�azione, in relazione al rapporto 
sostanziale dedotto in giudizio, ed indipendentemente dalla effettiva titolarit� 
della posizione soggettiva (attiva o passiva) affermata� (83). 

(80) V. Cass., Sez. II civ., 27 giugno 2011, n. 14177, in CED Cass. rv. 618438: �la legittimazione 
ad agire costituisce una condizione dell�azione diretta all�ottenimento, da parte del giudice, di una qualsiasi 
decisione di merito, la cui esistenza � da riscontrare esclusivamente alla stregua della fattispecie 
giuridica prospettata dall�azione, prescindendo, quindi, dalla effettiva titolarit� del rapporto dedotto 
in causa che si riferisce al merito della causa, investendo i concreti requisiti di accoglibilit� della domanda 
e, perci�, la sua fondatezza. Ne consegue che, a differenza della legitimatio ad causam (il cui 
eventuale difetto � rilevabile d�ufficio in ogni stato e grado del giudizio), intesa come il diritto potestativo 
di ottenere dal giudice, in base alla sola allegazione di parte, una decisione di merito, favorevole o sfavorevole, 
l�eccezione relativa alla concreta titolarit� del rapporto dedotto in giudizio, attenendo al merito, 
non � rilevabile d�ufficio, ma � affidata alla disponibilit� delle parti e, dunque, deve essere 
tempestivamente formulata�. Nello stesso senso, ex multis, Cass., Sez. III civ., 6 marzo 2006, n. 4796, 
in CED Cass. rv. 588202; Cass., Sez. II civ., 19 maggio 2010, n. 11284, in CED Cass. rv. 613149; Cass., 
Sez. II civ., 23 maggio 2012, n. 8175, in CED Cass. rv. 622407; Cass., Sez. III civ., 11 luglio 2014, n. 
15759, in CED Cass. rv. 632277. 
(81) V. per tutti C. MANDRIOLI, Diritto processuale civile, vol. I, Nozioni introduttive e disposizioni 
generali, ed. XXII a cura di A. CARRATTA, Giappichelli, Torino, 2012, pp. 67 e ss. 
(82) Cass., Sez. VI pen., 20 ottobre 1997, n. 10126, Mozzati, in CED Cass. rv. 208820; Cass., 
Sez. I pen., 8 novembre 2007, n. 4060, S., in CED Cass. rv. 239189. 
(83) Cass., Sez. II pen., 21 ottobre 2014, n. 49038, S., in DeJure. Nel caso di specie uno degli imputati 
lamentava il difetto di legittimazione dei costituiti Ministeri della Giustizia, dell�Interno e della 
Difesa, sostenendo che la legittimazione ad agire nei suoi confronti spettasse, essendo egli magistrato, 
unicamente alla Presidenza del Consiglio dei Ministri. La Corte ha dichiarato la doglianza manifesta



Quanto alla riferibilit� eziologica del danno affermato rispetto all�azione 
od omissione dell�imputato, autorevole dottrina, nell�interpretazione dei requisiti 
di cui all�art. 1223 c.c. (84), ha di recente puntualizzato che quando, 
come di frequente accade, il reato cagioni anche danni diversi da quelli concernenti 
gli interessi specificamente protetti - come nel caso qui in esame, ove 
si ritenga la bancarotta lesiva degli interessi patrimoniali dei creditori -, la relazione 
causale estranea al fatto di reato, quella cio� fra il fatto e quell�evento 
ulteriore rispetto all�evento componente essenziale del reato, ossia il danno 
giuridicamente rilevante, comunque andr� accertata alla stregua degli artt. 40 
e 41 c.p. (85). Facendo applicazione della disciplina cos� individuata al caso 
di specie, ne risulta adempiuta la richiesta condizione della riferibilit� eziologica, 
necessaria a fondare la legitimatio ad causam. 

mente infondata, avendo i Ministeri costituiti �puntualmente posto a fondamento dell�azione esercitata 
una propria pretesa risarcitoria, vantata nei confronti dell�imputato [�] in relazione ai reati indicati 
negli atti di costituzione, e ci� � quanto occorre al fine di ritenerne sussistente la legitimatio ad causam�, 
sulla base del principio di diritto cos� affermato: �la legittimazione all�azione di parte civile nel processo 
penale (legitimatio ad causam) va verificata esclusivamente alla stregua della fattispecie giuridica pro-
spettata dalla parte a fondamento dell�azione, in relazione al rapporto sostanziale dedotto in giudizio, 
ed indipendentemente dall�effettiva titolarit� del vantato diritto al risarcimento dei danni, il cui accertamento 
riguarda il merito della causa, investendo i concreti requisiti di accoglibilit� della domanda e, 
perci�, la sua fondatezza, ed � collegato all�adempimento dell�onere deduttivo e probatorio incombente 
sull�attore�. 

(84) Come noto, la disposizione in parola, richiamata dall�art. 2056 c.c. in tema di risarcimento 
da fatto illecito, ricomprende nel risarcimento del danno per inadempimento o ritardo �cos� la perdita 
subita [�] come il mancato guadagno, in quanto ne siano conseguenza immediata e diretta�. Sul problema 
se l�art. 185 c.p. si riferisca unicamente al danno diretto o ricomprenda anche il danno indiretto, 
v. G. LOZZI, Lezioni di procedura penale, pp. 131 e ss. 
(85) M. GALLO, La piccola frase di Mortara, Giappichelli, Torino, 2014, pp. 72 e ss. L�illustre 
Autore giunge a questa conclusione a fronte del potere del giudice penale di decidere sulla domanda 
per le restituzioni e il risarcimento (art. 538 c.p.p.) e di pronunciare condanna generica (art. 539 c.p.p.), 
poteri da esercitare ricorrendo agli artt. 40 e 41 c.p., non prospettando la legge criteri diversi o ulteriori. 
In giurisprudenza v. Cass., Sez. Un. pen., 10 luglio 2002, n. 30328, Franzese, in Foro it., 2002, II, cc. 
601 e ss.: �il principio stabilito dal codice penale si applica anche nel distinto settore della responsabilit� 
civile, a differenza di quanto avviene per il diritto anglosassone e nordamericano�. 



LEGISLAZIONE ED ATTUALIT� 
Uno dei problemi provocati dal �bail in� 


Glauco Nori* 

1-Sulle ultime vicende bancarie, concluse con il c.d. bail in, oltre ai commenti 
che sono stati fatti, sarebbe stata utile qualche verifica di principio, slegata 
dalle singole situazioni. 

Dopo interventi finanziari, di peso notevole, effettuati da diversi governi 
di Stati membri in favore delle banche nazionali, sono intervenute norme comunitarie, 
interpretate nel senso che dal momento della loro entrata in vigore 
avrebbero precluso interventi analoghi. 

La necessit� dei sostegni finanziari � sorta per la situazione economica 
internazionale della fine del decennio passato che ha provocato difficolt� ad 
un certo numero di banche, anche tra le maggiori. 

Alcune banche, per il ritardo con il quale i governi rispettivi si sono mossi, 
non hanno potuto ricevere il sostegno avuto dalle altre. In pratica, malgrado 
si siano trovate in difficolt� per la stessa combinazione di fatti, alcune hanno 
ottenuto un trattamento pi� favorevole di altre per l�entrata in vigore, nel frattempo, 
di nuove norme comunitarie. 

Si � arrivati a questo risultato passando sopra ad alcune questioni preliminari 
che sarebbe stato il caso di affrontare: 

-se fosse, o non, coinvolto il principio di uguaglianza; 

- se, in caso affermativo, le norme comunitarie andassero interpretate nel 
senso di assicurarne il rispetto; 
- se, in caso negativo, potessero sorgere dubbi sulla loro legittimit�; 


- se, una volta confermata la legittimit� delle norme anche nell�interpretazione 
preclusiva, fossero da verificare gli effetti della legge di esecuzione 
dei trattati comunitari. 


(*) Professore, Avv. dello Stato, Presidente emerito del Comitato scientifico di questa Rassegna. 


2-Quando, a seguito di una stessa sequenza di fatti, che mette in difficolt� 
pi� soggetti, interviene una norma che impedisce per alcuni il trattamento che 
altri hanno gi� ricevuto, dovrebbe sorgere almeno il dubbio che possa prospettarsi 
una questione di uguaglianza. 

La Corte di Giustizia dell�Unione Europea non ha avuto dubbi (1). In 
quanto fondamentale dell�ordinamento dell�Unione, il principio di uguaglianza 
va seguito anche nella valutazione delle norme comunitarie. 

La Commissione ha ritenuto che il sostegno finanziario alle banche, che 
ne hanno beneficiato, fosse consentito ai sensi dell�art. 107, paragrafo 3, lett. 
b) del TFUE. Per impedirlo, attraverso il diritto derivato, nei confronti delle 
altre banche che si erano trovate in difficolt� per le stesse ragioni, sarebbero 
state necessarie differenze rilevanti. 

In linea di principio si sarebbero potute vedere nel ritardo delle iniziative 
dei governi nazionali; nei rischi minori, corsi da alcune banche, che avevano 
ritardato la percezione immediata dei pericoli; nella minore entit� degli interventi 
finanziari. 

Nessuno di questi elementi sembra che potesse giustificare una differenza 
di trattamento cos� rilevante. 

Il sostegno finanziario era destinato a far superare certe difficolt�. Ai fini 
dell�uguaglianza era della causa delle difficolt� che si sarebbe dovuto tenere 
conto, non del tempo dell�intervento; anche i sostegni consentiti erano stati 
disposti in tempi diversi. 

Le banche, in favore delle quali non si era intervenuti negli stessi tempi, 
si erano trovate inizialmente in condizioni per le quali non era stato considerato 
necessario un sostegno urgente nella previsione che fossero in grado di rientrare 
autonomamente in sicurezza. Questa diversit� avrebbe potuto giustificare 
che gli interventi fossero di importi diversi, ma non che fossero autorizzati in 
pratica solo quelli di importo maggiore. Il divieto di aiuti di stato tutela la concorrenza; 
sarebbe contraddittorio che si derogasse solo per quelli pi� consistenti 
che alterano maggiormente le condizioni di mercato. 

Il divieto � stato desunto dalla Direttiva 2014/59 ed il Regolamento 
806/2014 (si possono trascurare le decisioni della Commissione che non incidono 
autonomamente sulla questione che si sta affrontando). 

Nei due atti non si trovano riferimenti per i quali debbano essere interpretati, 
senza alternative, nel senso di avere reso non pi� applicabile dopo la 
loro entrata in vigore l�art. 107, paragrafo 3, lett. b), nemmeno alla crisi precedente. 


(1) �A norma dell'art. 7, il principio di non discriminazione spiega i suoi effetti �nel campo di 
applicazione del (...) trattato� e �senza pregiudizio delle disposizioni particolari dallo stesso previste�. 
Esprimendosi in questi termini, l'art. 7 rimanda segnatamente ad altre disposizioni del trattato che 
fanno concreta applicazione del principio generale da esso sancito a situazioni specifiche� (sentenza 
Cowan, 186/87, 2 febbraio 1989, punto 14). 


Dal Regolamento si potrebbe addirittura desumere una volont� normativa 
diversa quando � detto che �[L]a crisi finanziaria ed economica ha tuttavia mostrato 
che il funzionamento del mercato interno in questo settore � minacciato 
e che sussiste un crescente rischio di frammentazione finanziaria�. Quando il 
rischio � lo stesso, non dovrebbero essere consentite discipline tanto differenti. 
Secondo il principio di conservazione dei valori giuridici, valido anche nell�ordinamento 
comunitario, delle interpretazioni possibili dovrebbe essere seguita 
quella che non provoca la invalidit� dell�atto. Il Regolamento andrebbe, pertanto, 
interpretato nel senso che non impedisce il sostegno alle banche che si 
trovano nelle stesse condizioni di quelle che lo hanno gi� ricevuto. 

Se questa interpretazione si ritenesse non consentita, il Regolamento verrebbe 
ad essere illegittimo, sempre per la stessa violazione. Se poi, una volta 
sollevate le questioni, il Giudice comunitario dichiarasse che il Regolamento 
� legittimo anche nella interpretazione che preclude qualunque sostegno successivo 
alla sua entrata in vigore, sorgerebbe una questione sulla esecuzione 
dei trattati comunitari. 

3-Le banche straniere, che hanno ricevuto l�aiuto, hanno loro filiali in 
Italia, in concorrenza con le banche italiane che lo stesso aiuto non hanno potuto 
ricevere. Che le condizioni competitive siano state alterate dovrebbe essere 
fuori dubbio. 

Secondo la Corte costituzionale i principi fondamentali della Costituzione 
non possono essere oggetto di revisione costituzionale: la loro modifica potrebbe 
intervenire solo con una nuova Costituzione. 

Durante le discussioni parlamentari sulla legge di esecuzione gi� per il 
trattato CECA, ci fu chi sostenne che, per introdurre nell�ordinamento italiano 
limiti alla sua sovranit�, sarebbe stata necessaria una legge costituzionale. Si 
ritenne sufficiente una legge ordinaria in base all�art. 11 Cost. 

Una volta data alla normativa comunitaria una interpretazione che altera 
la portata dell�art. 3 Cost., la legge ordinaria di esecuzione viene ad essere non 
pi� sufficiente. Di conseguenza non sarebbe efficace nei confronti dello Stato 
Italiano il divieto di sostegni finanziari alle banche nazionali per rimediare 
agli effetti della crisi internazionale del 2007-2008. La competenza a decidere 
sarebbe della Corte costituzionale dal momento che da verificare sarebbe la 
legittimit� di una legge italiana. La Corte di Giustizia non avrebbe titolo per 
intervenire. 

Non � la prima volta che sorge il problema della compatibilit� di normative 
comunitarie coi principi fondamentali delle costituzioni degli Stati membri. 

Sarebbe il caso che le Istituzioni comunitarie, prima di arrivare, anche se 
in via solo interpretativa, a normative restrittive non ragionevoli, facessero 
una verifica su quella compatibilit� per non ottenere come risultato di renderle 
inefficaci. 


La tutela dei beni superindividuali: 
evoluzione normativa e giurisprudenziale 

Maria Luisa Costanzo* 

I beni superindividuali rappresentano una categoria aperta, in continua 
evoluzione. Ne fanno parte, accanto a quelli tradizionali, quali l�amministrazione 
della giustizia, anche altri di recente emersione, come ad esempio, l�ambiente. 
In particolare, si tratta di beni privi di una consistenza materiale, facenti 
capo ad una collettivit� indeterminata di soggetti e dotati, altres�, di copertura 
costituzionale diretta, perch� espressamente contemplati (ad esempio la salute, 
art. 32 Cost.) o indiretta, perch� la loro tutela � strumentale a quella di altri 
beni presenti in Costituzione (� il caso della fede pubblica, la cui tutela � strumentale 
a quella dell�amministrazione della giustizia) (1). 

L�elevato rango costituzionale e la natura di tali beni hanno portato il legislatore 
ad anticipare le soglie di tutela e a configurare, quindi, degli illeciti 
di pericolo, in cui viene incriminata la lesione potenziale del bene stesso. 

Al riguardo, la dottrina, facendo leva sulla differente tecnica di tipizzazione 
legislativa ha inizialmente distinto tra illeciti di pericolo concreto, da un 
lato e illeciti di pericolo presunto e astratto, dall�altro. 

Nei primi il pericolo � elemento essenziale della fattispecie ed � compito 
del giudice accertarne l�esistenza, attraverso un giudizio retrospettivo, concreto 
e prognostico. La valutazione viene, cio�, effettuata al momento del fatto storico, 
proiettata verso il futuro in termini ipotetici e condotta sulla base di tutte 
le circostanze esistenti al momento del fatto. 

Nei secondi, invece, il legislatore presume, in base ad una regola d�esperienza 
fondata su conoscenze scientifiche, che ad una data condotta consegua 
automaticamente la messa in pericolo del bene protetto. 

Quest�ultima categoria � stata considerata di dubbia compatibilit� con le 
garanzie proprie del diritto penale. Infatti, posto che in base ai principi di materialit�, 
offensivit� e colpevolezza il reato ricorre quando la volont� criminosa 
si materializza in un comportamento idoneo a ledere o a porre in pericolo il 
bene protetto, pu� accadere che ad una condotta non consegua l�effettiva 
messa in pericolo del bene. In altri termini, una politica criminale ispirata al 
principio di offensivit� deve contemplare la punibilit� solo quando l�agente 
abbia determinato un pericolo effettivo per il bene giuridico. Allo scopo di 

(*) Dottore in Giurisprudenza, gi� praticante forense presso l�Avvocatura dello Stato di Bologna. 

(1) Cos� G. FIANDACA - E. MUSCO, Diritto penale, parte generale, 2009, p. 14; F. BRICOLA, Teoria 
generale del reato, in Novissimo digesto italiano, XIX, 1973, p. 43; C.F. PALAZZO, Corso di diritto penale, 
Parte generale, Torino, 2007, p. 66; Corte Cost., 23 novembre 2006, n. 394 in www.iusexplorer.it 
che riconosce carattere strumentale alla fede pubblica, perch� finalizzato alla tutela di beni ulteriori. 


evitare che il diritto penale si trasformi in un complesso cautelare di polizia, 
parte della dottrina sostiene che il ricorso alla categoria del pericolo astratto 
vada limitata alla protezione dei beni fondamentali della persona, dignit�, vita 
e salute, con esclusione di ogni tutela anticipata per beni meramente strumentali 
e istituzionali (2). 

Dottrina e giurisprudenza hanno riconosciuto la legittimit� della categoria 
degli illeciti in parola, in quanto si consente al giudice di recuperare offensivit� 
nelle ipotesi in cui il legislatore non abbia tipizzato in modo pregnante la fattispecie. 
A tal fine, in dottrina si distinguono reati di pericolo astratto, ove i 
tratti essenziali del fatto tipico sono coperti da pregnanza semantica (ad esempio, 
l�art. 438 c.p.) e reati di pericolo presunto, ove sar� compito dell�interprete 
restituire alla norma la necessaria offensivit� (ad esempio, il reato in materia 
di coltivazione di sostanze stupefacenti) (3). 

In particolare, si riconosce al legislatore una certa discrezionalit� nell�individuazione 
delle condotte pericolose, legittima a condizione che le determinazioni 
assunte non siano irrazionali o arbitrarie, ci� che avviene quando esse 
non siano ricollegabili all�id quod plerumque accidit (4). Come noto, infatti, 
il principio di offensivit� ha una duplice funzione: per un verso, rappresenta 
un limite alla discrezionalit� del legislatore nell�individuazione di interessi 
meritevoli di tutela; per altro verso, � un canone interpretativo, di cui il giudice 
deve tener conto nell�applicazione delle disposizioni penali (5). 

Nell�ottica di anticipazione delle soglie di tutela, parte della dottrina ha 
ritenuto che l�omogeneo sviluppo delle fattispecie di pericolo astratto sia rappresentato 
dal principio di precauzione (6). 

(2) M. RONCO, Il reato. Struttura del fatto tipico. Presupposti oggettivi e soggettivi dell�imputazione 
penale. Il requisito dell�offensivit� del fatto, Bologna, 2011, p. 105. 
(3) Al riguardo, la Corte Costituzionale ha dichiarato non fondata la questione di costituzionalit� 
inerente alla parte della normativa degli stupefacenti che non escludeva dall�area della punibilit� le condotte 
di coltivazione destinate all�uso personale. Al tempo stesso, ha, tuttavia, sconfessato quell�orientamento 
giurisprudenziale che tendeva ad attribuire rilievo penale automatico alle condotte di 
coltivazione, senza accertarne in concreto la potenzialit� lesiva (Corte Cost., 24 luglio 1995, n. 360 in 
www.iusexplorer.it). 
Nello stesso senso, la Corte di Cassazione ha affermato la rilevanza penale delle condotte di coltivazione 
di sostanze stupefacenti, anche laddove il prodotto fosse destinato all�uso personale, dal momento che 
non � possibile individuare un nesso immediato tra coltivazione e uso personale. L�unica eccezione � 
data dal caso in cui la sostanza, ricavabile dalla coltivazione, sia di per s� inidonea a produrre un effetto 
stupefacente in concreto, non ravvisandosi in tal caso alcuna offensivit� (Cass. pen., sez. un., 24 aprile 
2008, n. 28605 in www.iusexplorer.it). 
Ulteriori pronunce della Corte di Cassazione hanno precisato che la condotta � punibile in presenza di 
due requisiti: formale (rientrare negli elenchi tabellari) e sostanziale (avere effetto stupefacente), in 
assenza del quale manca la potenzialit� lesiva (Cass. pen., 28 ottobre 2008, n. 1222; Cass. pen., 16 
gennaio 2013, n. 13107; Cass. pen., 10 gennaio 2013, n. 9198; Cass. pen., 10 dicembre 2012, n. 12612 
in www.iusexplorer.it) 
(4) Corte Cost., 11 luglio 1991, n. 333 in www.iusexplorer.it. 
(5) M. RONCO, Il reato, op. cit., p. 106. 







Quest�ultimo � un principio di matrice comunitaria (art. 191, par. 2 TFUE, 
ex art. 174 par. 2 Trattato CE), la cui definizione � fornita dall�art. 7 del regolamento 
n. 178/2002, il quale prevede: �Qualora, in circostanze specifiche a 
seguito di una valutazione delle informazioni disponibili, venga individuata 
la possibilit� di effetti dannosi per la salute, ma permanga una situazione di 
incertezza sul piano scientifico, possono essere adottate le misure provvisorie 
di gestione del rischio necessarie per garantire il livello elevato di tutela della 
salute che la comunit� persegue, in attesa di una valutazione pi� esauriente 
del rischio�. 

In base alla considerazione per cui il principio in esame sia destinato ad 
operare in settori di incertezza scientifica, parte della dottrina ritiene che lo 
stesso possa solo svolgere una funzione orientativa sul piano politico criminale 
(7). Si osserva, infatti, che l�anticipazione delle soglie di tutela nei reati di pericolo 
si giustifica ed � coerente con l�art. 3 della Costituzione, solo in quanto 
si abbia una conoscenza del problema, fondata su basi scientifiche, le quali 
permettano di affermare che il pericolo possa sfociare in lesione (8). 

Le disposizioni, frutto di una scelta politico criminale improntata alla precauzione, 
si rintracciano nel D.Lgs. n. 224/2003 agli articoli 34, 35, 36, nel 
D.Lgs. n. 70/2005 e nell�art. 10 D.Lgs. n. 115/1995, di attuazione della direttiva 
92/59/CEE relativa alla sicurezza generale dei prodotti, oggi modificato 
e confluito nell�art. 112 del Codice del Consumo (D.Lgs. n. 206/2005). 

Attualmente rappresentano un caso isolato, ma - come osservato in dottrina 
- la situazione potrebbe mutare. Si osserva, infatti, che il consolidamento 
dello Stato sociale avvenuto nel secondo dopoguerra ha permesso l�ingresso 
dell�idea di �prevenzione� all�interno del diritto penale. Ci� ha contribuito 
allo spostamento del baricentro dell�intervento legislativo: mentre, il diritto 
penale proprio del periodo liberale aveva il suo fulcro nella repressione ex post 
delle condotte lesive di beni giuridici, attualmente, il quadro � mutato e l�intervento 
si � spostato ex ante, in un momento anteriore all�effettiva lesione 
del bene (9). 

Tanto premesso, occorre sottolineare che l�individuazione dei beni e delle 
tecniche di tutela � fortemente influenzata dal momento storico politico. 

Ci� si nota dall�impostazione del Codice Rocco, varato in epoca fascista, 
che, per un verso, colloca i delitti contro la personalit� dello Stato in apertura 
alle fattispecie di parte speciale; per altro verso, ricorre a illeciti di attentato e 

(6) M. DONINI, Il volto attuale dell�illecito penale, Milano, 2004, p. 119 e ss. 

(7) F. GIUNTA, Le interpretazioni �radicali� del principio di precauzione, in Diritto penale, i dizionari 
sistematici, Milano, 2008, p. 908, per il quale �Il principio precauzione sembra avere maggior 
agio a operare come criterio di politica legislativa, piuttosto che come nuova dogmatica penale�. 
(8) D. CATRONUOVO, Principio di precauzione e diritto penale, Roma, 2012, p. 48. 


(9) E. CORN, Il principio di precauzione nel diritto penale. Studio sui limiti dell�anticipazione 
della tutela penale, Torino, 2013, p. 42. 



di sospetto, che mal si conciliano con i principi costituzionali di materialit� e 
offensivit�. Infatti, i delitti di attentato colpiscono gi� gli atti preparatori di 
condotte destinate a offendere interessi attinenti alla personalit� dello Stato; i 
reati di sospetto incriminano fatti che in s� considerati non ledono, n� pongono 
in pericolo il bene protetto (10). 

Il legislatore e la giurisprudenza sono, quindi, intervenuti per aggiornare 
e rendere compatibile con il nuovo assetto costituzionale il catalogo degli illeciti. 


La giurisprudenza ha, in primo luogo, dichiarato incostituzionali quelle 
disposizioni che tutelavano interessi in contrasto con il mutato panorama costituzionale 
o che non risultavano conformi ai nuovi principi, in particolare a 
quello di offensivit�. 

In merito al primo punto, si fa riferimento all�art. 502 c.p. che sanzionava, 
nel Titolo dedicato a delitti contro l�economia pubblica, la serrata del datore 
di lavoro e lo sciopero del lavoratore a fini contrattuali, in contrasto quindi 
con il sistema di libert� sancito agli articoli 39 e 40 Cost. (11). 

In relazione al secondo punto, si fa riferimento all�art. 688 II co. c.p., 
norma posta a presidio della pubblica sicurezza. In particolare, inizialmente 
la norma sanzionava penalmente la condotta di chi fosse colto in luogo pubblico 
o aperto al pubblico (I co.) e prevedeva una circostanza aggravante laddove 
l�autore fosse stato condannato per taluni delitti (II co.); in seguito alla 
depenalizzazione, il primo comma � stato trasformato in illecito amministrativo 
e il secondo comma � divenuto fattispecie autonoma. In tal modo, tuttavia, 
la sola qualit� del soggetto (condannato per taluni delitti) avrebbe trasformato 
in reato un fatto che per tutti non costituiva illecito penale. La Corte Costituzionale 
ne ha quindi dichiarato l�illegittimit� per contrasto con il principio di 
offensivit�, riconoscendo a quest�ultimo rango costituzionale (art. 25 II co. 
Cost.) (12). 

In secondo luogo, la giurisprudenza ha fornito interpretazioni costituzionalmente 
orientate delle norme poste a presidio dei beni superindividuali. 

(10) Sul punto si veda M. PELISSERO, Reati contro la personalit� dello Stato e contro l�ordine 
pubblico, Torino, 2010, p. 150 ss. 
(11) Corte Cost., 4 maggio 1960, n. 29 in www.iusexplorer.it. 


(12) Corte Cost., 17 luglio 2002, n. 354, in www.iusexplorer.it. La Corte ha, per la prima volta, riconosciuto 
apertamente il fondamento costituzionale del principio di offensivit�. La Corte sostiene, infatti, 
che si sarebbe in presenza di �Una contravvenzione che assumerebbe, quindi, i tratti di una sorta 
di reato d'autore, in aperta violazione del principio di offensivit� del reato, che nella sua accezione 
astratta costituisce un limite alla discrezionalit� legislativa in materia penale posto sotto il presidio di 
questa Corte (sentenze n. 263 del 2000 e n. 360 del 1995). Tale limite, desumibile dall'articolo 25, secondo 
comma, della Costituzione, nel suo legame sistematico con l'insieme dei valori connessi alla dignit� 
umana, opera in questo caso nel senso di impedire che la qualit� di condannato per determinati 
delitti possa trasformare in reato fatti che per la generalit� dei soggetti non costituiscono illecito penale�. 



Ne costituisce esempio, in materia di pubblica sicurezza, l�interpretazione 
che la Corte Costituzionale ha fornito dell�art. 707 c.p. Tale norma configura 
un reato ostativo, in quanto incrimina il possesso ingiustificato di chiavi e grimaldelli 
da parte di colui che gi� sia stato condannato per taluni delitti, al fine 
di prevenire la commissione di futuri reati. 

La Corte ha rigettato le questioni di legittimit�, ritenendola compatibile 
con il principio di offensivit�. In particolare, nell�interpretazione fornita, la 
disposizione non configura una responsabilit� per modo di essere dell�autore: 
l�offensivit� in astratto (come descritta dalla norma) trova riscontro nell�offensivit� 
in concreto (come accertata dal giudice), laddove possa desumersi 
dalle circostanze la disponibilit� illecita degli oggetti (13). La norma � volta 
a tutelare la commissione di delitti contro il patrimonio, fermo restando il rigoroso 
scrutinio del giudice sull�attualit� e concretezza del pericolo nel caso 
di specie (14). 

La giurisprudenza, infine, ha fornito un�interpretazione restrittiva di alcune 
disposizioni, escludendo dal loro ambito di applicazione quelle condotte 
che, pur astrattamente sussumibili nella fattispecie, non integravano il disvalore 
penale del fatto. A tal fine, si � fatto ricorso alla figura del reato impossibile 
(art. 49 II co.), quale referente codicistico del principio di offensivit�. 

In particolare, nell�ambito dei reati contro l�amministrazione della giustizia, 
si � escluso il reato di calunnia, quando la condotta avvenga con modalit� 
tali da far apparire inverosimile il fatto oggetto della falsa denuncia (15). 

Ulteriori esempi si scorgono nell�ambito dei delitti contro la fede pubblica, 
laddove il reato non sussiste nei casi di falsit� tollerabile. Sono i casi di 
falso grossolano, ove la falsit� � facilmente riconoscibile, di falso innocuo, 
inidoneo ad offendere l�interesse tutelato e del falso inutile, dal quale non deriva 
alcun effetto giuridico (16). 

Con riferimento all�evoluzione normativa, il legislatore ha operato in pi� 
direzioni. 

In primo luogo, si � proceduto a trasformare alcuni illeciti penali in illeciti 
amministrativi. La depenalizzazione ha riguardato reati eterogenei per con


(13) Corte Cost., 20 giugno 2008, n. 225, in www.iusexplorer.it. La Corte, inoltre, aveva gi� �salvato� 
dalla declaratoria di incostituzionalit� l�art. 707 c.p. con sentenza 2 novembre 1996, n. 370, con 
la quale era stato dichiarato illegittimo, per violazione degli articoli 3 e 25 Cost., l�art. 708 c.p. 
(14) Corte Cost., 20 giugno 2008, n. 225, in www.iusexplorer.it . 
(15) Ex multis, Cass. pen. 20 luglio 2011, n. 29579, in www.iusexplorer.it. 




(16) In merito alla configurabilit� del delitto di cui all�art. 474 c.p, occorre tuttavia segnalare a 
prevalenza dell�indirizzo giurisprudenziale che ritiene configurabile il delitto anche in presenza di merci 
grossolanamente contraffatte. � ritenuta irrilevante la circostanza che la falsit� sia facilmente riconoscibile: 
il reato non tutela la libera determinazione del compratore, ma la fiducia di tutti i consociati, i 
quali, nel vedere utilizzati prodotti contraffatti, vengono ingannati in ordine alla genuinit� del marchio 
commerciale (Cass. pen., 12 marzo 2008, n. 21787, in Diritto penale processuale n. 3, 2009, con commento 
critico di I. GIACONA, Punibilit� delle merci grossolanamente contraffatte). 



dotta e oggetto, il cui comune denominatore � rappresentato dall�esiguo spessore 
sanzionatorio. Pu� essere richiamato, ad esempio, l�art. 688 c.p. che in 
passato prevedeva la pena dell�arresto e dell�ammenda per chiunque fosse 
colto in stato di ubriachezza in luogo pubblico o aperto al pubblico e che, a 
seguito della legge n. 507/99, contempla la sola sanzione amministrativa. 

In secondo luogo, sono state introdotte nuove fattispecie per fronteggiare 
situazioni non presenti all�epoca in cui il codice � stato varato. Si fa riferimento, 
in particolare, ai delitti volti a fronteggiare il terrorismo e, segnatamente, 
all�art. 270 bis, introdotto per adeguare i reati associativi alle nuove 
realt� comparse sul finire degli anni Settanta. L�articolo in questione, inoltre, 
� stato ulteriormente aggiornato nei primi anni Duemila, per combattere il 
terrorismo internazionale. Il terzo comma chiarisce che �la finalit� di terrorismo 
ricorre anche quando gli atti di violenza sono rivolti contro uno Stato 
estero, un�istituzione o un organismo internazionale�. In tal modo, si consente 
la repressione di nuove forme di criminalit� che sarebbero andate esenti 
da pena, stante il limite che la giurisprudenza avrebbe incontrato nel divieto 
di analogia. 

Il legislatore, infine, ha introdotto nuove fattispecie a tutela di beni di recenti 
emersione, tra i quali l�ambiente. Quest�ultimo � espressamente contemplato 
dalla Costituzione, all�art. 117 II co., lett. s) tra le materie di legislazione 
esclusiva statale. Un�ulteriore richiamo, sia pure indiretto, si scorge all�art. 9 
Cost., ove � previsto che la Repubblica �tutela il paesaggio�. 

L�importanza del bene �ambiente� avvertita, inizialmente, quale riflesso 
delle trasformazioni economico-sociali (17) � oggi apertamente riconosciuta 
dalla giurisprudenza costituzionale, la quale � orientata a considerare l�ambiente 
un valore primario e trasversale, che abbraccia beni materiali e concreti 
utilizzi delle risorse naturali (18). 

Sulla scorta di tale considerazione, la giurisprudenza ha espresso la necessit� 
di massima protezione. Sono state, quindi, ritenute costituzionalmente 
legittime le disposizioni che sanzionano la realizzazione di opere non autorizzate 
in zona sottoposta a vincolo paesaggistico, anche quando intervenga successivamente 
l�autorizzazione del sindaco (19). In tal caso, tuttavia, la dottrina 

(17) V. MAGNINI, Bene giuridico, in Diritto penale, dizionari sistematici, a cura di F. GIUNTA, Milano, 
2008, p. 79. 
(18) Corte Cost., 7 novembre 2007, n. 367, in www.iusexplorer.it; per una panoramica sull�evoluzione 
della giurisprudenza costituzionale in materia di ambiente si veda G. PERULLI, Ruoli e procedure 
nella tutela ambientale, ne Il danno ambientale, a cura di G. PERULLI, Torino, 2012, p. 56 ss., nonch� 
B. CARAVITA, Diritto dell�ambiente, Bologna, 2001, p. 34 ss. 
(19) Corte Cost., 8 maggio 1998, n. 158, in www.iusexplorer.it che ha dichiarato manifestamente 
infondata la questione di legittimit� degli artt. 1 ter e 1 sexies, d.l. 27 giugno 1985, n. 312 (�Disposizioni 
urgenti per la tutela delle zone di particolare interesse ambientale�), introdotti dall�art. 1, l. di conv. 8 
agosto 1985, n. 431 e dall�art. 7, l. 29 giugno 1939, n. 1497. 



ha messo in luce come la disciplina penale rischi di diventare una mera appendice 
sanzionatoria del diritto amministrativo (20). 

Un riferimento di fondamentale importanza per il diritto penale ambiente 
� rappresentato dal diritto dell�Unione Europea, sia nell�enunciazione dei principi 
generali (in particolare, i principi di prevenzione, precauzione e il principio 
�chi inquina paga�), che nel diritto derivato (regolamenti, direttive, 
decisioni). 

Dalla normativa sovranazionale emerge, precipuamente, l�obiettivo di assicurare 
un elevato livello di tutela, obiettivo che, non di rado, si scontra con 
i principi garantistici del diritto penale. Si � rilevato, infatti, che l�interpretazione 
comunitariamente conforme assume, nel diritto penale ambientale interno, 
il significato di interpretazione estensiva, meno favorevole all�imputato 
rispetto ad altre sostenibili in base alla lettera della legge (21). 

Altre tensioni derivano dall�applicazione del principio di precauzione, recepito 
in materia ambientale all�art. 3 ter del Codice dell�Ambiente (d.lgs. 3 
aprile 2006, n. 152) (22). Si � osservato, tuttavia, come il citato principio di 
derivazione comunitaria non indirizzi il legislatore nazionale verso la costruzione 
di fattispecie necessariamente penali: ci� che conta � l�effettivit� della 
tutela, quale che sia la branca dell�ordinamento tesa a garantirla (23). 

Nonostante, ad oggi, l�ambiente sia riconosciuto come bene di primaria 
importanza, per lungo tempo, � stato tutelato solo indirettamente, quale riflesso 
dell�incolumit� pubblica. La disposizione cui la giurisprudenza faceva sovente 
riferimento era data dall�art. 434 c.p., che, con la nozione di �altro disastro�, 
contemplava la figura del disastro innominato (24). 

La Corte Costituzionale, chiamata a pronunciarsi sulla legittimit� della 
disposizione per carenza del requisito della sufficiente determinatezza, aveva 
dichiarato infondata la questione di costituzionalit� (25). In quell�occasione, 
la Corte aveva ritenuto che la nozione �altro disastro� si connettesse all�impossibilit� 
pratica di elencare analiticamente tutte le situazioni idonee a met


(20) F. GIUNTA, Tutela dell�ambiente (diritto penale), in Enc. Dir., Annali, II, tomo 2, Milano, 
2008, p. 1154. 
(21) C. RUGA RIVA, Diritto penale dell�ambiente, Torino, 2016, p. 26. 


(22) Con riferimento ai fondamenti storici e normativi del principio di precauzione e la loro interpretazione 
da parte della giurisprudenza comunitaria si veda F. ROCCO, Alcuni spunti giurisprudenziali 
comunitari e un�importante enunciazione della giurisprudenza italiana sul principio di precauzione e 
sul conseguente obbligo risarcitorio, in Il danno ambientale, Torino, 2012, p. 14 e ss. 
(23) C. RUGA RIVA, Diritto penale dell�ambiente, op. cit., p. 39. 


(24) Relativamente al delitto previsto dall�art. 434 c.p., una pronuncia della Cassazione ha affrontato 
in modo approfondito la esegesi della norma. Si � precisato che il termine �disastro� implica 
che sia cagionato un evento di danno o di pericolo per la pubblica incolumit� �straordinariamente grave 
e complesso�, ma non �eccezionalmente immane�; pertanto ҏ necessario e sufficiente che il nocumento 
abbia un carattere di prorompente diffusione che esponga a pericolo collettivamente un numero indeterminato 
di persone� (Cass. pen., 29 febbraio 2008, n. 9418, in www.iusexplorer.it). 


(25) Corte Cost., 1 agosto 2008, n. 327, in www.iusexplorer.it. 


tere in pericolo astrattamente la pubblica incolumit�. L�utilizzo di concetti 
elastici, non comportava, pertanto, un vulnus al parametro costituzionale di 
cui all�art. 25 Cost., quando la descrizione complessiva del fatto consentisse 
al giudice di stabilire il significato di tale elemento, mediante un�operazione 
interpretativa, avuto riguardo alle finalit� e al contesto in cui si collocasse 
l�incriminazione. 

Stante l�assenza di una norma specifica a tutela del bene giuridico in questione, 
una parte della dottrina aveva ravvisato nell�art. 423 bis c.p. (incendio 
boschivo) una norma posta espressamente a presidio dell�ambiente. La ragione 
risiedeva nel fatto che il legislatore avesse costruito una fattispecie autonoma 
sulla base di un dato (l�oggetto su cui ricade l�incendio, ovvero l�ambiente) 
che, in passato, rappresentava solo una circostanza aggravante del delitto di 
incendio di cui all�articolo precedente (26). 

La tutela penale era, per il resto, affidata a due disposizioni di natura contravvenzione, 
gli articoli 727 bis e 733 bis c.p., introdotte nel 2011, su impulso 
dell�Unione Europea (27). 

L�intervento legislativo non aveva soddisfatto larga parte della dottrina, 
la quale evidenziava come la forma contravvenzione presentasse numerosi 
svantaggi, fra i quali: la preclusione di taluni mezzi di prova (intercettazioni 
telefoniche e ambientali, artt. 266 ss. c.p.p.), la non punibilit� del tentativo, la 
prescrizione del reato in tempi brevi, dovuta anche all�inapplicabilit� dei termini 
pi� lunghi previsti per la recidiva (circoscritta ai soli delitti) (28). 

Il panorama normativo � mutato a seguito della legge n. 68 del 2015, la 
quale ha introdotto un nuovo Titolo nel codice penale (Delitti contro l�ambiente) 
e, al tempo stesso, ha apportato modifiche al Testo Unico Ambientale. 
Si �, in particolare, previsto un meccanismo di estinzione degli illeciti contemplati 
nello stesso decreto, quando i medesimi non abbiano cagionato un 
danno o un pericolo concreto di danno (29). 

Il sistema di tutela �, quindi, ad oggi, strutturato in tre livelli: gli illeciti 
per i quali opera il meccanismo estintivo; le contravvenzioni e i delitti. Si � in 
presenza di un �sistema tipizzato a tutela crescente�, in cui le contravvenzioni 
rappresentano il primo gradino di un quadro di progressiva gravit� (30). 

Le novit� legislative hanno riguardato l�introduzione di cinque nuovi de


(26) S. CORBETTA, Il nuovo delitto di �incendio boschivo�: poche luci e (molte ombre), in Diritto 
penale e processo, 9, 2000, p. 1172. 
(27) Art. 1, d.lgs. 7 luglio 2011, n. 121, di attuazione della direttiva 2008/99/CE. 
(28) C. RUGA RIVA, Diritto penale dell�ambiente, op. cit., pp. 22 - 23. 




(29) Sulla disciplina dei nuovi reati ambientali, si veda P. FIMIANI, La tutela penale dell�ambiente, 
Milano, 2015; L. MASERA, I nuovi delitti contro l�ambiente, in www.dirittopenalecontemporaneo.it; C. 
BERNASCONI, Il �bastone� e la �carota� nella nuova disciplina dei reati ambientali, in Studium Iuris, 
12, 2012, p. 1403. 


(30) P. FIMIANI, La tutela penale dell�ambiente, op. cit., p. 12. 


litti, l�allungamento dei termini prescrizionali e l�inserimento, tra i reati presupposto 
della responsabilit� amministrativa degli enti, di alcuni reati in materia 
ambientale. 

La nuova disciplina segna un�inversione di tendenza rispetto al passato. 

Da un lato, si � passati da fattispecie contravvenzionali di condotta, che 
sanzionavano l�immissione di sostanze oltre le soglie di legge (reati di pericolo 
astratto), a reati di evento, ove viene punita la causazione di un pregiudizio 
all�ambiente. 

Dall�altro, mentre in passato la contaminazione era punita solo se pericolosa 
per la pubblica incolumit�, l�attuale articolo 452 bis c.p. punisce l�inquinamento 
in quanto tale. La visione antropocentrica ha lasciato, dunque, 
spazio ad una ecocentrica (31). 

In conclusione, l�individuazione dei beni e delle tecniche di tutela appare 
fortemente influenzata dal momento storico politico. Al riguardo, si osserva 
che, con l�avvento della societ� del rischio, sono comparsi nuovi beni da tutelare 
(tra cui, l�ambiente), in modo conforme ai principi costituzionali (in particolare 
al principio di offensivit�). � significativo, in proposito, che le nuove 
fattispecie di delitti ambientali siano strutturate come reati di evento e non di 
pericolo. 

(31) C. RUGA RIVA, Diritto penale dell�ambiente, op. cit., p. 18. 


CONTRIBUTI DI DOTTRINA 
Lo � Stato -Autoproduttore � 
Dalle origini giurisprudenziali alla 
codificazione dell�in house providing 


Domenico Andracchio* 

Colui che pu� distruggere una cosa, 
ha il pieno controllo di quella cosa 

(Frank Herbert) 

SOMMARIO: 1. Premessa - 2. La cura concreta degli interessi pubblici e l�ampia discrezionalit� 
della p.a. nella scelta degli �strumenti�: esternalizzazione, partenariato pubblico-
privato e in house providing. La sequenza logica �interessi pubblici-mezzi-strumenti� - 3. Le 
origini giurisprudenziali dell�in house providing e i requisiti del �controllo analogo� e della 
�attivit� prevalentemente svolta in favore dell�ente pubblico� - 4. La dubbia natura dell�in 
house providing: �ordinariet�� versus �derogatoriet�� - 5. Critica alla �derogatoriet��. Le 
tre ragioni che giustificano la configurazione dell�in house providing come modello organizzatorio 
ordinario: la incostituzionalit� dei limiti all�utilizzo della autoproduzione, i vincoli 
di finanza pubblica imposti dal Patto di Stabilit� Interno (P.S.I.) e il principio di auto-organizzazione 
amministrativa - 6. L�in house providing nelle nuove direttive appalti e il processo 
di �positivizzazione-integrazione� dei requisiti dell�istituto: il carattere misto della nuova autoproduzione 
- 7. I nuovi requisiti del �controllo analogo� e della �attivit� prevalente� come 
elaborati nelle nuove direttive in materia di appalti e di concessioni: l�influenza determinante 
sugli obiettivi strategici e sulle decisioni significative della struttura in house e lo svolgimento 
di un�attivit� pubblica nella misura dell�oltre 80 % - 8. Le fattispecie di autoproduzione disciplinate 
nelle nuove direttive in materia di appalti e di concessioni: in house verticale ed 
invertito, in house orizzontale, in house frazionato e la cooperazione pubblico-pubblico non 
istituzionalizzata - 9. La �forma giuridica� dell�in house providing prima e dopo l�adozione 
delle direttive europee. Societ� in mano pubblica, fondazioni pubbliche e associazioni no pro


(*) Cultore di Giustizia amministrativa presso l�Universit� della Calabria, gi� praticante forense presso 
l�Avvocatura dello Stato. 


fit - 10. Considerazioni conclusive: le questioni affrontate dalla pi� recente giurisprudenza 
amministrativa in tema di in house providing e il nuovo Codice degli appalti pubblici. 

1. Premessa. 

Le attivit� che la pubblica amministrazione pone in essere nell�esercizio 
delle funzioni di cui � attributaria sono numerose. Qualunque sia la specifica 
morfologia che viene assumendo l�attivit� amministrativa, ci si viene a trovare, 
in ogni caso, dinanzi ad una serie di fatti materiali ed atti giuridici correlati 
tra di loro e permeati, irrimediabilmente, dal principio di legalit�. Tale principio 
pu� coprire interamente l�attivit� amministrativa oppure lasciare un certo 
margine di apprezzamento: nel primo caso si avr� la c.d. attivit� vincolata, nel 
secondo la c.d. attivit� discrezionale. 

Con riferimento all�attivit� vincolata, il legislatore disciplina, in maniera 
puntuale e precisa, sia i presupposti sia le modalit� di esercizio del potere pubblico, 
di guisa che il soggetto titolare del potere dovr� limitarsi ad accertare la 
sola sussistenza delle �condizioni� e dei �presupposti� alla cui ricorrenza la 
legge subordina l�esercizio di quel potere. Diversamente, per quel che concerne 
l�attivit� discrezionale, il legislatore si limita a fissare le finalit� che debbono 
essere perseguite, cos� da lasciare alla pubblica amministrazione la 
possibilit� di individuare - previa ponderazione degli interessi pubblici (primari 
e secondari) e degli interessi privati sottesi alla fattispecie concreta - l�assunzione 
della scelta pi� �ragionevole� e �proporzionale�. 

Ognun sa che la pubblica amministrazione si sostanzia in un �complesso 
di soggetti e di strutture� (1) deputate a porre in essere �quella serie di azioni 
ad utilit� di tutta la societ� politica, eseguita per autorit� sovrana o delegata 
sopra le materie appartenenti a tutta la societ� medesima� (2). Va da s� che, 
tanto nelle ipotesi di �attivit� discrezionale� quanto in quelle di �attivit� vin-
colata�, la complessa organizzazione che sovraintendere all�esercizio della 
funzione amministrativa ha bisogno di risorse. 

I canali attraverso i quali gli � possibile �procurarsi� queste risorse sono 
essenzialmente due: il ricorso al mercato e l�autoproduzione. Facendo ricorso 
al mercato, il soggetto pubblico mira ad individuare l�operatore economico che, 
dotato di adeguate capacit� organizzative ed operative, gli consentir� di assolvere 
alla sua missione istituzionale; la necessit� di garantire la parit� di trattamento 
gli impone l�espletamento di una procedura selettiva che metta in concorrenza 
tra di loro la pluralit� di operatori economici interessanti alla commessa. 

(1) SCOCA F.G., La pubblica amministrazione come organizzazione, in MAZZAROLLI L. - PERICU 

G. - ROMANO A. - ROVERSI MONACO F.A. - SCOCA F.G. (a cura di), Diritto amministrativo, Bologna, 
2001, p. 459. 

(2) ROMAGNOSI G.D., Istituzioni di civile filosofia ossia di giurisprudenza teorica, Firenze, 1939, 

p. 359. 


DOTTRINA 173 

Talvolta, per�, pu� essere pi� conveniente rinunciare alle dinamiche proprie 
della realt� mercantile, costituendo delle strutture organizzative che, controllate 
dalla pubblica amministrazione alla stregua di un ufficio interno, 
permettono alla stessa di conseguire, ugualmente, le risorse occorrenti per la 
cura dell�interesse generale: in questi casi si discorre di autoproduzione ovvero 
(secondo l�idioma anglofono) di in house providing. 

Il presente saggio � incentrato proprio sullo studio dell�in house providing, 
il quale � stato (ed � tutt�ora) al centro di un recente processo di �trasformazione
� che gli ha permesso di divenire un istituto, non pi� contemplato 
soltanto dalla giurisprudenza, ma financo disciplinato da una formale normativa. 
Dopo aver esaminato le caratteristiche indefettibili di esso, cos� come 
erano state elaborate dalla giurisprudenza europea e nazionale negli anni passati, 
si giunge all�analisi dell�istituto alla luce delle recenti direttive europee 
(nn. 2014/23/Ue, 2014/24/Ue e 2014/25/Ue) e del D.lgs. n. 50/2016 (c.d. 
nuovo codice appalti). 

2. La cura concreta degli interessi pubblici e l�ampia discrezionalit� della p.a. 
nella scelta degli �strumenti�: esternalizzazione, partenariato pubblico-privato 
e in house providing. La sequenza logica �interessi pubblici-mezzistrumenti�. 


Le pubbliche amministrazioni per assolvere la funzione istituzionale di 
�cura concreta� degli interessi pubblici si avvalgono di una serie di strumenti 
d�azione, molti dei quali previsti dalla legge (c.d. strumenti tipici), altri rimessi, 
di contro, alla loro prudente valutazione discrezionale (c.d. strumenti atipici). 

I caratteri indefettibili dell�attuale contesto istituzionale evidenziano come 
nell�alveo degli interessi pubblici assumono sempre maggiore importanza 
quelli suscettibili di valutazione economico-patrimoniale. Questi interessi possono 
essere distinti, a loro volta, in �interessi formalmente pubblici�, i quali 
rientrano nella titolarit� dell�apparato amministrativo (ad es. l�interesse alla 
costruzione di un manufatto edilizio da adibire a sede di uffici) e in �interessi 
sostanzialmente pubblici�, il cui soddisfacimento viene rivendicato, invece, 
dalla comunit� assoggettata al potere di gubernaculum (ad. es. l�interesse alla 
erogazione del servizio idrico in una determinata localit�). 

In base a quello che � il contenuto specifico dell�interesse pubblico da 
soddisfare, i mezzi attraverso i quali le pubbliche amministrazioni si prodigano 
a tale scopo possono sostanziarsi ora nella costruzione, nella demolizione, nel 
recupero ovvero nel restauro e/o nella manutenzione di opere edilizie o di 
genio civile (lavori pubblici), ora nell�acquisto o nella locazione di prodotti 
(forniture pubbliche), ora nella erogazione di prestazioni tese al soddisfacimento 
di esigenze della vita quotidiana delle persone (servizi pubblici). 

Alla tripartizione delle commesse pubbliche in lavori, servizi e forniture 
corrisponde un altrettanto celeberrima classificazione di quelli che sono gli 


strumenti con cui � consentito alle pubbliche amministrazioni avvalersi del 
mezzo pi� idoneo a soddisfare l�interesse pubblico venuto in gioco. Difatti, i 
lavori, le forniture e i servizi potranno essere garantiti (a seconda di quelle che 
sono le specifiche circostanze del caso) mediante tre diversi strumenti 
d�azione: a) l�esternalizzazione (outsourcing), la quale permette di individuare, 
tra due o pi� operatori messi in competizione, quello pi� idoneo ad eseguire 
la commessa; b) la cooperazione (partenariato-pubblico privato), la quale consente 
alle autorit� pubbliche di realizzare lavori, servizi o forniture avvalendosi 
della collaborazione dei soggetti privati che abbiano manifestato la disponibilit� 
a stipulare un contratto in forza del quale, dietro acquisizione del diritto 
di gestire e di sfruttare economicamente l�opera realizzata, si obbligano a sopportare 
il costo (totale o parziale) dell�opera medesima; c) l�autoproduzione 
(in house providing), la quale ricorre tutte le volte in cui la pubblica amministrazione 
realizza un lavoro, acquista un bene o eroga un servizio avvalendosi 
di una propria articolazione organizzativa interna. 

Non esiste una norma giuridica (comunitaria o nazionale) dalla quale sia 
consentito desumere degli elementi che impongono la predilezione per l�uno, 
piuttosto che per gli altri strumenti. Emblematico � quell�insegnamento giurisprudenziale 
nel quale, dopo essere stato precisato che n� l�ordinamento europeo 
tampoco quello nazionale impongono alle �autorit� pubbliche di ricorrere 
ad una particolare forma giuridica per assicurare il corretto esercizio delle loro 
funzioni pubbliche, essendo addirittura consentito alle amministrazioni aggiudicatrici 
- in alternativa allo svolgimento di una di procedura di evidenza pubblica 
- di stipulare un �accordo� a titolo oneroso con persone giuridiche 
soggette, comunque, ad un penetrante controllo da parte delle prime�, si chiarisce 
che �una cooperazione del genere non pregiudica l�obiettivo principale 
delle norme comunitarie in materia di appalti pubblici, vale a dire la libera circolazione 
dei servizi e l�apertura alla concorrenza non falsata in tutti gli Stati 
membri, poich� l�attuazione di tali forme gestione delle commesse pubbliche 
� retta unicamente da considerazioni e prescrizioni connesse al perseguimento 
di obiettivi d�interesse pubblico e, per tal ragione, nessun impresa privata viene 
posta in una situazione privilegiata rispetto ai suoi concorrenti� (3). 

Dei tre sopraccennati strumenti a disposizione della pubblica amministrazione, 
quello sul quale ci si soffermer� in questa sede � quello dell�in house 
providing; un istituto che, nel rivestire un �posto di assoluto rilievo nel panorama 
delle societ� pubbliche� (4), � stato (e continua ad essere) al centro di 
numerosi dibattiti dottrinali e giurisprudenziali. Sebbene la pi� diffusa forma 
giuridica delle entit� organizzative deputate ad operare in regime di in house 

(3) Cons. St., Sez. V, 10 settembre 2010, n. 6548, in www.giustizia-amministrativa.it. 

(4) VOLPE C., Le nuove direttive sui contratti pubblici e l�in house providing: problemi vecchi e 
nuovi, in www.giustamm.it, 2015, p. 1. 


DOTTRINA 175 

sia quella societaria, nel perimetro dell�istituto possono farsi rientrare le pi� 
diverse figure soggettive (ad es. societ� cooperative, consorzi, enti pubblici 
economici, etc.). Ne discende che esso si configura come un istituto strettamente 
collegato al fenomeno delle partecipazioni pubbliche. 

Se si considera che �nel 2012 sono 11.024 le unit� per le quali si registra 
una forma di partecipazione pubblica in Italia, con un peso in termini di addetti 
pari a 977.792 unit�� (5), si fa presto a capire che ci si trova in presenza di 
una realt� (quella delle c.d. partecipate pubbliche) capace di involgere dei rilevanti 
principi aventi copertura costituzionale. Ed � anche in ragione del fatto 
che vengono in rilievo i principi che sovraintendono alla finanza pubblica e 
alla contabilit� dello Stato che il giudice amministrativo preferisce impiegare 
un atteggiamento prudente tutte le volte in cui � chiamato a comporre delle 
questioni che attengono alle commesse pubbliche e, tra queste, soprattutto 
quelle concernenti l�in house providing. 

3. Le origini giurisprudenziali dell�in house providing e i requisiti del �controllo 
analogo� e dell��attivit� prevalentemente svolta in favore dell�ente pubblico
�. 

Nell�attuale sistema giuridico multilivello, in cui accanto ad un ordinamento 
sovraordinato (quello europeo) coesistono e si intersecano una pluralit� 
di ordinamenti sottordinati (quelli dei singoli Stati membri), la Corte di giustizia 
europea � venuta ad assumere un ruolo determinante nella creazione ed 
armonizzazione di nozioni, di categorie e di istituti destinati ad avere un effetto 
dirompente sugli equilibri normativi degli ordinamenti dei singoli Stati membri. 
Non � un caso che si � gi� avuto modo di segnalare l�opportunit� di qualificare 
il diritto europeo (quindi di rimando anche le �porzioni� del diritto 
nazionale che promanano dall�acquis comunitario) come �diritto giurisprudenziale
�; ci� al fine di sottolineare che le �decisioni della Corte europea costituiscono 
non solo una formidabile cinghia di trasmissione fra il diritto 
dell�Unione e i sistemi nazionali, ma anche uno dei principali momenti di creazione 
e innovazione delle regole nazionali, nonch� di ridefinizione degli equilibri 
fra ordinamento europeo e ordinamenti nazionali� (6). 

Trattasi di osservazioni che hanno suscitato le perplessit� di quella autorevole 
dottrina che, nel prendere contezza di quanto la funzione legislativa, in 
sede europea, sia sempre pi� erosa dalla pervasivit� della giurisprudenza della 

(5) RAPPORTO ISTAT - 2014, in www.istat.it, p. 16. 

(6) COZZIO M., Il contributo della giurisprudenza all�evoluzione delle regole sugli appalti pubblici, 
in Il dir. dell�econ., XXVI, 2013, p. 168. Per approfondimenti dottrinali sull�incidenza del formante giurisprudenziale 
alla creazione del diritto europeo e, quindi, dei singoli diritti nazionali si rinvia, tra i tanti, 
alla lettura di: GIOVANETTI T., L�Europa dei giudici. La funzione giurisdizionale nell�integrazione comunitaria, 
Torino, 2009 e di MARTINICO G., L�integrazione silente. La funzione interpretativa della Corte 
di Giustizia e il diritto costituzionale europeo, Napoli, 2009. 


Corte di giustizia, non ha esitato ad affermare che �la perimetrazione mediante 
regole giurisprudenziali di istituti e nozioni giuridiche (perci� aventi contorni 
non perfettamente delineati), bench� sia certamente utile e apprezzabile (e assuma 
l�efficacia di binding judicial precedent) non sembra potersi sostituire 
all�opportunit�, talvolta alla necessit�, di un intervento normativo che fornisca 
orizzonti di sistema agli istituti e maggiori certezze sul diritto applicabile� (7). 

Le nozioni e gli istituti giuridici che hanno tratto origine dalla forza creatrice 
della giurisprudenza europea sono diversi e tra questi deve farsi rientrare 
l�in house providing (8). La prima comparsa del fenomeno dell�autoproduzione 
nel mondo del diritto � da farsi risalire alla fine del secolo scorso. La 
Corte di giustizia europea, invero, con la ormai nota sentenza Teckal (9) ebbe 
modo di riconoscere, per la prima volta, la possibilit� di derogare alla regola 

(7) SANDULLI M.A., Riflessioni sulla responsabilit� civile degli organi giurisdizionali, in PORTALURI 
P.G. (a cura di), L�Europa del diritto: i Giudici e gli ordinamenti, Napoli, 2012, p. 513. 
(8) Tra i molti contributi dottrinali dedicati al fenomeno dell�in house providing si rinvia a: CATRICAL� 
A., Affidamenti in house: la posizione dell�Autorit� garante della concorrenza e del mercato, 
in App. e contratti, 2008, pp. 54 ss.; GOISIS F., Nuovi sviluppi comunitari e nazionali in tema di in house 
providing e i suoi confini, in Dir. amm., III, 2008, pp. 579 ss.; COLOMBARI S., Il modello in house providing 
tra mito �interno� e realt� �comunitaria� (commento a C.G.A. Sicilia, sez. giurisd., 4 settembre 
2007, n. 719), in Urb. e app., II, 2008, pp. 211 ss.; RIZZO I., Affidamento in house e controllo analogo: 
una certezza irraggiungibile? (commento a Cons. di Stato, sez. V, 31 marzo 2009, n. 5082 sez. V, 9 marzo 
2009, n. 1365 sez. V, 3 febbraio 2009, n. 591), in Urb. e app., XI, 2009, pp. 1345 ss.; CARANTA R., La 
Corte di giustizia chiarisce i contorni dell�in house pubblico (commento a Corte di giustizia delle Comunit� 
europee, sez. III, 13 novembre 2008, C-324/07), in Giurispr. it., V, 2009, pp. 1251 ss.; PALLIGGIANO 
G., Affidamento in house: il �controllo analogo� va verificato secondo un criterio generale. La 
scelta del metodo cosiddetto sintetico facilita le esigenze degli enti territoriali (commento a Cons. di 
Stato, sez. V, 26 agosto 2009, n. 5082), in Guida al diritto, 2009, XXXVII, pp. 54 ss.; DE PAULI L., Gli 
enti in house e l�evidenza pubblica �a valle� (commento a Consiglio di Stato, sez. V, 30 aprile 2009, n. 
2765), in Urb. e app., IX, 2009, pp. 1104 ss.; CARUSO L.M., L�in house providing nell�evoluzione giurisprudenziale 
comunitaria e nazionale (commento a Tar Campania, Napoli, sez. VII, 6 dicembre 2008, 
n. 21241), in Giurispr. merito, V, 2009, pp. 1378 ss.; CORSO G. - FARES G., Crepuscolo dell��in house�? 
(nota a Corte cost., 23 dicembre 2008, n. 439), in Foro it., V, 2009, pp. 1319 ss.; DI GIACOMO RUSSO 
B., L�affidamento in house � un modello di sussidiariet� orizzontale? (commento a TAR Sardegna, sez. 
I, 21 dicembre 2007, n. 2407), in Riv. trim. app., I, 2009, pp. 203 ss.; SCARALE P., La Corte di giustizia 
modifica la propria giurisdizione sull�in house? (commento a Corte di giustizia europea, sez. II, 17 
luglio 2008, n. C-371/05), in Riv. trim. appalti, I, 2009, pp. 165 ss.; PULVIRENTI M.G., Recenti orientamenti 
in tema di affidamenti in house (commento a Consiglio di Stato, ad. plen., 3 marzo 2008, n. 1), in 
Foro amm. - CDS, I, 2009, pp. 93 ss.; FORTUNA G., L�in house providing tra diritto interno e diritto del-
l�Unione europea (nota a margine alla sentenza della Corte costituzionale n. 325/2010), in www.giustamm.
it, 2010; ROMEO M., In tema di affidamento diretto di un servizio, ampliato per ambito territoriale 
e per importo, rispetto a quello precedentemente assegnato mediante procedura ad evidenza pubblica 
(commento a TAR Calabria, Catanzaro, sez. II, 12 aprile 2010, n. 457), in Contr. St. e ent. pubbl., III, 
2010, pp. 345 ss.; DE SANTIS S. - DI FILIPPO E., Affidamento �in house� e controllo analogo, in Coop. 
e cons., VI, 2010, pp. 41 ss.; NICODEMO A., Il �controllo analogo congiunto� nell�in house providing, 
in Riv. amm. Rep. it., V, 2010, pp. 307 ss.; DELLO SBARBA F., La compatibilit� degli affidamenti in house 
con l�art. 23-bis. D.L. 112/2008: il g.a. anticipa l�art. 15, D.L. 135/2009 (commento a Tar Toscana, sez. 
I, 8 settembre 2009, n. 1430), in Urb. e app., II, 2010, pp. 227 ss.; IAONE C., Societ� in house. Contributo 
allo studio dei principi di auto-organizzazione a autoproduzione degli enti locali, Napoli, 2012. 


(9) C. giust. Ce, 18 novembre 1999, C-107/98, in www.curia.europa.eu. 


DOTTRINA 177 

dell�evidenza pubblica in tutte le ipotesi in cui fosse stato possibile individuare 
la contestuale esistenza di due presupposti: il �controllo analogo� e �l�attivit� 
prevalentemente svolta in favore dell�ente pubblico di appartenenza�, quali 
caratteristiche identificative dell�in house providing. 

Quest�affermazione non deve per� confondere a causa del dubbio (comprensibile) 
circa il �se� l�in house debba considerarsi come un �modello organizzativo
� oppure come un �modulo d�azione� della pubblica amministrazione. 
Esso, molto semplicemente, � entrambe le cose: pu� essere considerato sia 
sotto un profilo oggettivo che sotto un profilo soggettivo. Da una punto di 
vista oggettivo costituisce una procedimento amministrativo che conduce la 
pubblica amministrazione - senza previo esperimento di una gara - ad affidare 
una commessa pubblica ad una determinato soggetto, mentre da un punto di 
vista soggettivo rappresenta un�entit� organizzativa che, per essere assoggettata 
ad un controllo analogo rispetto a quello che la pubblica amministrazione 
esercita sui propri uffici interni, rende legittima l�attribuzione diretta di una 
commessa pubblica. 

Si tratta allora di capire la portata dei requisiti indefettibili dell�in house 
providing, considerati da un�angolazione prospettica soggettiva: il �controllo 
analogo� e l��attivit� prevalente�. 

Il �controllo analogo� si sostanzia nella �capacit� dell�ente affidante di 
determinare le scelte di gestione e d�organizzazione per la produzione dell�ente 
in house, che perci� esclude una negoziazione bilaterale delle condizioni di 
fornitura del bene o di prestazione del servizio� (10), di guisa che, proprio in 
forza di un controllo siffattamente invasivo, il soggetto affidatario si configura 
come una �articolazione organizzativa interna facente parte della �casa�� (11). 

Il requisito �dell�attivit� prevalente�, invece, esclude che le attivit� svolte 
dall�organizzazione interna possano essere scelte liberamente sulla base di valutazioni 
tese ad intercettare delle propizie occasioni mercantili capaci di assicurare 
del profitto, trattandosi, piuttosto, di un�attivit� �irrefutabilmente 
vincolata alla soddisfazione dei fini pubblici, la cura dei quali � demandata 
dall�ordinamento giuridico all�ente pubblico socio della struttura in house� 
(12). Proprio in forza di quest�ultimo requisito vՏ stato chi ha attribuito all�in 
house providing la qualifica di �impresa dimezzata�, all�uopo evidenziando 
che �l�ordinamento giuridico, nell�imporre, quale limite esterno dell�organizzazione 
in house, che l�attivit� prevalente di quest�ultima sia svolta per conto 
degli enti pubblici controllanti, ha configurato questa organizzazione come un 

(10) CAVALLO PERIN R., Il modulo �derogatorio�: in autoproduzione o in house providing, in BONURA 
H. - CASSANO M. (a cura di), L�affidamento e la gestione dei servizi pubblici locali a rilevanza 
economica, Torino, 2011, p. 123. 
(11) Concl. Avv. gen., 20 settembre 2007, C-453/06 in www.curia.europa.eu. 


(12) MAZZAMUTO M., Brevi note su normativa comunitaria e in house providing, in Dir. Ue (Il), 
IV, 2001, p. 540. 



imprenditore non rivolto in via principale a qualsiasi mercato di beni o servizi; 
sicch� l�organizzazione in house pu� essere considerata un�impresa dimezzata 
o addirittura un �non imprenditore� (es. artt. 2602 ss. c.c.) quando la legge o 
lo statuto dell�organizzazione in house escludano ogni produzione per conto 

o a favore di enti non di controllo� (13). 

Le linee direttrici sviluppate dalla Corte di giustizia europea nella sentenza 
Teckal sono state recepite dalla giurisprudenza nazionale. � al Consiglio 
di Stato che deve essere attribuito il merito di avere elaborato una delle definizioni 
pi� sofisticate e complete dell�in hous. Nell�Adunanza plenaria 3 
marzo 2008, n. 1, dopo essere stato ribadito che �l�istituto dell�in house providing 
� ritenuto ammissibile solo nel rispetto di alcune rigorose condizioni 
(individuate dalla giurisprudenza comunitaria ed elaborate anche da quella nazionale) 
rappresentate da: 1) il cosiddetto controllo analogo a quello svolto 
sui propri servizi, necessariamente esercitato dall�ente pubblico nei confronti 
dell�impresa affidataria; 2) il rapporto di stretta strumentalit� fra le attivit� 
dell�impresa in house e le esigenze pubbliche che l�ente controllante � chiamato 
a soddisfare�, si � pure precisato che �l�in house providing ricorre tutte 
le volte in cui un ente pubblico decida di affidare una commessa pubblica, al 
di fuori del sistema della gara, avvalendosi di una societ� esterna (ossia, soggettivamente 
separata) che presenti caratteristiche tali da poterla qualificare 
come una �derivazione� ovvero una �longa manus� dell�ente stesso� (14). 

Ma quandՏ che ricorrono, praticamente, i requisiti del �controllo analogo
� e �dell�attivit� prevalentemente svolta per il soddisfacimento delle esigenze 
pubbliche dell�ente controllante�? La giurisprudenza successiva alla 
sentenza Teckal non si � potuta esimere dal compiere i necessari sforzi ermeneutici 
volti a fornire una risposta all�interrogativo; il rischio sarebbe stato 
quello di consentire alle pubbliche amministrazioni di eludere, troppo facil


(13) CAVALLO PERIN R. - CASALINI D., L�in house providing: un�impresa dimezzata, in Dir. amm., 
II, 2006, p. 52. In giurisprudenza si � pronunziata in senso analogo Cons. giust. amm. Sicilia, Sez. giurisd., 
4 settembre 2007, in Foro amm. - CDS, 2007, n. 709, p. 2602 ss., ove si � stabilito che �dall�esame 
della giurisprudenza europea e del Consiglio di Stato emerge con chiarezza che questo imprenditore 
non pu� essere un vero imprenditore. Egli non rischia, costituisce solo un braccio operativo della Pubblica 
Amministrazione, professionalizzato e capace di acquisire sul mercato i mezzi e le professionalit� 
necessarie, ma sostanzialmente equiparabile a quelle figure tradizionali del diritto amministrativo, 
ormai scomparse, quali le aziende autonome o gli organi con personalit� giuridica. I motivi per cui un 
soggetto pubblico opera la scelta di agire attraverso una societ� per azioni ad hoc costituita, anzich� 
apprestare all�uopo un ufficio tecnico, possono essere i pi� vari. Dalla esigenza di sottrarsi alla contabilit� 
pubblica, a quella di acquisire uomini e mezzi in maniera flessibile attingendo al mercato, e 
quindi aderendo alle sue logiche dei prezzi e delle retribuzioni; dalla temporaneit� della intrapresa, 
alla particolare professionalit� non reperibile attraverso il reclutamento pubblico etc. Ci� non rileva 
molto, ci� che l�Unione europea pretende � che tale esperienza rimanga confinata all�interno del soggetto 
pubblico azionista o proprietario, e che un tale imprenditore non abbia margini e discrezionalit� 
per invadere il mercato libero�. 

(14) Cons. St., Ad. pl., 3 marzo 2008, n. 1, in Riv. it. dir. pubbl. comunit., 2008, p. 1319 ss. 


DOTTRINA 179 

mente, la regola in ossequio alla quale i lavori, i servizi e le forniture pubbliche 
debbono essere affidati, attraverso il previo esperimento di una procedura di 
evidenza pubblica, ad un operatore economico (formalmente e sostanzialmente) 
terzo rispetto all�amministrazione. 

Con riferimento al �controllo analogo� si � stabilito che �la sola partecipazione 
pubblica totalitaria al capitale sociale dell�impresa affidataria non � 
garanzia della ricorrenza dei presupposti dell�in house, occorrendo anche 
un�influenza determinante da parte del socio pubblico sia sugli obiettivi strategici 
che sulle decisioni importanti� (15). Sicuramente pi� utili sembrano essere, 
per�, le indicazioni offerte dalla giurisprudenza amministrativa nazionale, 
la quale, nel prediligere un approccio pi� pratico, ha stabilito che �sussiste il 
requisito del controllo analogo, necessario per l�affidamento diretto ad una societ� 
di gestione a dominanza pubblica totalitaria, allorch�: a) lo statuto non 
consenta che una quota del capitale sociale possa essere alienata a soggetti 
privati; b) il consiglio di amministrazione abbia rilevanti poteri gestionali ed 
all�ente affidante sia consentito esercitare poteri maggiori rispetto a quelli riconosciuti 
dal diritto societario alla maggioranza sociale; c) la societ� di gestione 
non possa acquisire una vocazione commerciale che renda precario il 
controllo dell�ente affidante attraverso, tra l�altro, la possibilit� dell�ampliamento 
dell�oggetto sociale, l�apertura di capitali, l�espansione territoriale della 
attivit� sociale; d) le pi� importanti decisioni degli organi societari siano sottoposti 
al vaglio preventivo dell�ente affidante� (16). 

(15) C. Giust. Ce, 11 maggio 2006, C-340/04, in www.curia.europa.eu. 

(16) Con. St., Ad. pl., 3 marzo 2008, n. 1, cit. Sulla portata del �controllo analogo�, tra le pi� recenti 
pronunce, si vedano: Cons. St., Sez. III, 27 aprile 2015, n. 2154, in Il Foro. amm., 2015, p. 1049 
ss., ove � stato affermato che �i requisiti individuati dalla giurisprudenza comunitaria e nazionale perch� 
possa farsi luogo ad affidamento in house sono: la totale partecipazione pubblica con divieto di cedibilit� 
a privati; l�esclusivit� (destinazione prevalente dell�attivit� a favore dell�ente affidante); il controllo analogo 
(esercizio di influenza decisiva sugli indirizzi strategici e sulle decisioni significative del soggetto 
affidatario, tale da escludere la sostanziale terziet� dell'affidatario rispetto al soggetto affidante)�; T.A.R. 
Abruzzo, L�Aquila, Sez. I, 19 novembre 2014, n. 929, in Red. Giuffr�, 2015, che ha stabilito che �il requisito 
del �controllo analogo�, condizione fondamentale per ricorrere all�affidamento in house, idoneo 
ad escludere la sostanziale terziet� dell�affidatario domestico rispetto al soggetto affidante, � da ritenersi 
sussistente solo in presenza di un potere assoluto di direzione, coordinamento e supervisione dell�attivit� 
del soggetto partecipato da parte dell�ente controllante-affidante, che consenta cio� a quest�ultimo di 
dettare le linee strategiche e di influire in modo effettivo ed immediato sulle decisioni dell�affidatario�; 

T.A.R. Friuli-Venezia Giulia, Trieste, Sez. I, 4 dicembre 2014, n. 629, in Il Foro amm., 2014, p. 3198 
ss., in cui si � inteso ribadire che ǎ impossibile la partecipazione ancorch� in percentuale minima di 
soggetti privati alle societ� in house. � pacifico, nell�attuale stato di soluzione giurisprudenziale, che il 
requisito della totalit� della propriet� pubblica del capitale della societ� in house debba sussistere in termini 
assoluti. Invero, l�affidamento diretto (in house) di un servizio pubblico viene consentito tutte le 
volte in cui un ente pubblico decida di affidare la gestione del servizio, al di fuori del sistema della gara, 
avvalendosi di una societ� esterna (ossia, soggettivamente separata), che presenti caratteristiche tali da 
poterla qualificare come una derivazione o una longa manus dell�ente stesso. Infatti, in ragione del c.d. 
controllo analogo, che richiede non solo la necessaria partecipazione pubblica totalitaria (posto che la 
partecipazione, pur minoritaria, di un�impresa privata al capitale di una societ�, alla quale partecipi 


Quanto all��attivit� prevalentemente svolta in favore dell�ente affidante� 
si � invece scritto che un tale requisito debba ritenersi integrato �tutte le volte 
in cui l�impresa in house si astenga dall�espletare le sua attivit� in favore di 
soggetti diversi rispetto alla pubblica amministrazione controllante ovvero 
quando li espleti in favore di soggetti diversi rispetto all�amministrazione controllante, 
ma in misura quantitativamente irrisoria e qualitativamente irrilevante 
sulle strategie aziendali, ed in ogni caso non fuori dalla competenza 
territoriale dell�ente controllante� (17). � consolidato quell�insegnamento secondo 
il quale, al fine di stabilire se l�attivit� della struttura in house possa 
considerarsi prevalentemente svolta in favore dell�ente pubblico controllante, 
� necessario compiere �un giudizio pragmatico nel caso concreto che si basi 
non solo sull�aspetto quantitativo, ma anche su quello qualitativo, con la conseguenza 
che la natura dei servizi, delle opere o dei beni resi al mercato privato, 
oltre alla sua esiguit�, deve anche dimostrare la quasi inesistente valenza 
nella strategia aziendale e nella collocazione dell�affidatario diretto sul mercato 
pubblico e privato� (18). 

I requisiti costitutivi dell�in house providing devono essere interpretati 
dall�operatore giuridico in maniera attenta e restrittiva, dal momento che un 
utilizzo inappropriato di esso potrebbe sortire - tra l�altro - effetti distorsivi 
per il mercato e per le dinamiche concorrenziali che debbono contraddistinguerlo; 
se cos� non fosse, risulterebbero violati, oltre ai principi generali che 
sovraintendono a tutta l�azione amministrativa (trasparenza, imparzialit�, pubblicit�, 
efficienza, efficacia, economicit�, etc.), anche �il divieto di discriminazione 
nell�esercizio delle attivit� di impresa, la libert� di prestazione dei 
servizi e la tutela della libera concorrenza, quali principi del Trattato istitutivo 
della Comunit� europea applicati nelle pronunce della Corte di giustizia, che 

anche l�Amministrazione aggiudicatrice, esclude in ogni caso che tale Amministrazione possa esercitare 
sulla medesima un controllo analogo a quello che essa svolge sui propri servizi) e la presenza di strumenti 
di controllo da parte dell�ente pi� incisivi rispetto a quelli previsti dal diritto civile. Inoltre, non deve 
essere statutariamente consentito che una quota del capitale sociale, anche minoritaria, possa essere alienata 
a soggetti privati; il consiglio di amministrazione della societ� deve essere privo di rilevanti poteri 
gestionali; all�ente pubblico controllante deve essere consentito l�esercizio di poteri maggiori rispetto a 
quelli che il diritto societario riconosce normalmente alla maggioranza sociale; l�impresa non deve acquisire 
una vocazione commerciale che renda precario il controllo dell�ente pubblico, con la conseguente 
apertura obbligatoria della societ� ad altri capitali, fino all�espansione territoriale dell�attivit� a tutta 
l�Italia e l�estero; le decisioni pi� importanti devono essere sottoposte al vaglio preventivo dell�ente affidante, 
e della c.d. destinazione prevalente dell�attivit� (cio� il rapporto di stretta strumentalit� fra le 
attivit� dell�impresa e le esigenze pubbliche che l�ente controllante � chiamato a soddisfare), l�ente in 
house non pu� ritenersi terzo rispetto all�Amministrazione controllante, ma deve considerarsi come uno 
dei servizi propri dell�Amministrazione stessa. Al contrario, per escludere radicalmente ogni possibilit� 
di legittimo affidamento in house � sufficiente che vi sia, sebbene in minima percentuale, una partecipazione 
privata al capitale sociale�. 

(17) GIOVAGNOLI R., Gli affidamenti in house tra lacune del codice e recenti interventi legislativi, 
in www.giustizia-amministrativa.it, 2007, p. 15. 

(18) C. Giust. Ue, 11 gennaio 2005, C-26/03, in www.curia.europa.eu. 


DOTTRINA 181 

hanno efficacia diretta nell�ordinamento interno degli Stati membri e che vincolano 
il giudice nazionale� (19). 

A quest�ultimo riguardo, si soggiunga che, sebbene sia pacifico ritenere 
che �i principi comunitari e nazionali in materia di tutela della concorrenza e 
del libero mercato in sede di aggiudicazione degli appalti e delle concessioni, 
pur presupponendo un necessario rapporto fra la pubblica amministrazione ed 
il mercato, non possono vietarle di sottrarre al mercato attivit� in relazione 
alle quali la medesima ritenga di dover provvedere direttamente con la propria 
organizzazione� (20), la necessit� di tutelare il libero gioco della concorrenza 
costituisce un�esigenza improcastinabile nelle ipotesi in cui l�impresa in house 
si determini ad adottare strategie aziendali che, postulando la partecipazione 
alle gare pubbliche indette da altri enti, rischiano di dissimulare dei comportamenti 
anticoncorrenziale. 

4. La dubbia natura dell�in house providing: �ordinariet�� versus �derogatoriet�
�. 

La �fisiologica� modalit� attraverso la quale le pubbliche amministrazioni 
si determinano ad affidare le commesse pubbliche � rappresentata dall�indizione 
di una gara, in quanto le gare bandite ai fini dell�assegnazione del 
�monte contrattuale� sono in grado di garantire alla pubblica amministrazione 
tutta una serie di vantaggi (economici e giuridici) non altrimenti conseguibili 
con le altre due diverse modalit� operative: il partenariato pubblico-privato e 
l�in house providing. La dottrina e la giurisprudenza pi� sensibili, muovendo 
dalla considerazione preliminare che le �gare sono di per s� stesse strumenti 
atti a perfezionare i meccanismi di scelta e valgono a correggere imperfezioni 
dei processi di scambio e difetti di mercato� (21), hanno individuato gli inte


(19) T.A.R. Sicilia, Catania, Sez. II, 13 febbraio 2006, n. 198, in Foro amm. - TAR, 2006, pp. 754 
ss., in cui si � precisato, tra l�altro, che �l�affidamento �in house� deve essere considerato un metodo di 
carattere eccezionale, la cui legittimit� � subordinata al rigoroso rispetto delle condizioni dettate dall�art. 
113 comma 5 T.U.E.L. e, tra queste, in particolare, la prevalenza dello svolgimento dei servizi da parte 
dell�affidataria nei confronti dell'ente o degli enti pubblici che la controllano�. 
(20) T.A.R. Sardegna, Cagliari, Sez. I, 21 dicembre 2007, n. 2407, in Foro amm. - TAR, 2007, p. 
3959. Nel commentare la pronuncia, ELEFANTE F., Gli affidamenti �in house� nei servizi pubblici locali: 
il lungo cammino verso il riconoscimento della eccezionalit� del modello gestionale societario a partecipazione 
pubblica totalitaria, in Foro amm. - TAR., I, 2008, p. 265 ss., ha precisato che �la vera novit� 
della pronuncia � costituita dall�affermazione per cui il modello in house, seppur astrattamente compatibile, 
deve qualificarsi come �un�eccezione�; da qui la necessit�, in primo luogo, di motivare �le circostanze 
eccezionali� e, in secondo, di interpretare �restrittivamente� �le due condizioni� che giustificano 
la deroga al vincolo comunitario della concorrenza, da intendersi non solo nell�accezione, per cos� dire, 
negativa della parit� di condizioni - c.d. libera concorrenza �nel mercato� - ma soprattutto in senso positivo, 
come potenziale apertura dell�intero settore dei servizi pubblici alla concorrenzialit� - cd. libera 
concorrenza �per il mercato�. Attraverso la partecipazione dell�Italia all�ordinamento comunitario, infatti, 
�l�intera logica di tale disciplina si � trasformata - in adesione ai principi europei - da quella della tutela 
primaria dell�interesse dell�amministrazione a quella delle libera circolazione e concorrenza�. 


(21) CAFAGNO M., Lo Stato banditore. Gare e servizi locali, Milano, 2001, p. 119. 


ressi maggiormente tutelati dalla gara pubblica nella �convenienza� ed �efficienza
� contrattuale, nella �imparzialit�� e nel �controllo� dell�azione amministrativa, 
nonch� nello �sviluppo� della concorrenza. 

� stato rilevato che �man mano che il ricorso al mercato da parte di pubbliche 
amministrazioni diviene parte rilevante dell�economica pubblica, la ragione 
per cui l�ordinamento impone alle amministrazioni, che non intendono 
provvedere da sole ad opere o servizi, di scegliere (con gara pubblica) la controparte 
con la quale stipulare il contratto non risiede soltanto nella possibilit�, 
per la p.a., di effettuare la scelta pi� conveniente e di salvaguardare l�imparzialit� 
delle pubbliche amministrazioni, come valore considerato in s� stesso, 
ma altres�, e inscindibilmente, nella possibilit� di promuovere la prosperit� 
collettiva rispettando la libert� d�iniziativa economica e la genuinit� della concorrenza
� (22). 

(22) Cons. St., Sez. V, 20 agosto 1996, n. 937, in Riv. trim. app., 1997, pp. 140 ss. Una plastica e 
illuminante individuazione degli interessi tutelati con le gare pubbliche � contenuta anche in: T.A.R. 
Lazio, Roma, Sez. III, 6 giugno 1997, n. 1248, in Foro amm. - TAR, 1997, p. 1256, nella quale si � stabilito 
che �con il termine �amministrazione aggiudicatrice� la normativa comunitaria ha individuato, 
nell�ambito di appalti di lavori pubblici, gli �organismi di diritto pubblico�, quali soggetti, pubblici e 
privati, istituiti per il soddisfacimento di bisogni di carattere generale e obbligati al rispetto delle norme 
di evidenza pubblica, implicanti, in quanto norme di azione, la giurisdizione del giudice amministrativo. 
Tale conclusione non pu� essere disattesa avendo riguardo all�interesse tutelato dalla disciplina comunitaria 
quale la libert� di concorrenza, al quale viene riconosciuta natura privatistica; la limitazione del-
l�applicabilit� di detta disciplina alle sole amministrazioni e agli organismi di diritto pubblico, comporta, 
infatti, una strumentalizzazione della tutela della concorrenza al perseguimento di fini generali affidati 
alle pp.aa. dei Paesi membri, che per l�Italia trovano espressione nei principi costituzionali di imparzialit� 
e buon andamento e, per la comunit� si risolvono nel progresso economico e sociale dei cittadini del-
l�Unione europea�, ma, ancora, pi� emblematico � il passaggio contenuto in: T.A.R., Valle d�Aosta, 
Sez. I, 13 febbraio 2015, n. 13, in Foro amm. - TAR, 2015, pp. 568 ss., nella cui motivazione si afferma 
che �l�art. 2, comma 1, d.lgs. n. 163 del 2006 dispone che l�affidamento dei pubblici appalti deve rispettare, 
tra gli altri, i principi di libera concorrenza e parit� di trattamento. L�obbligatorio rispetto del 
principio di parit� di trattamento corrisponde all�essenza stessa delle direttive in materia di appalti pubblici, 
che mirano in particolare a favorire lo sviluppo di una concorrenza effettiva nei settori rientranti 
nelle loro rispettive sfere di applicazione e che enunciano criteri di attribuzione dell�appalto miranti a 
garantire una siffatta concorrenza. Detti principi, oltre ad essere il cardine del Trattato e delle direttive 
comunitarie in materia, rappresentano la declinazione dei principi costituzionali di imparzialit� e buon 
andamento, di cui all�art. 97 Cost., che sovrintendono all�azione amministrativa, nonch� della stessa libert� 
di iniziativa economica ex art. 41 Cost., e verrebbero ad essere del tutto obliterati laddove l�ordinamento 
ammettesse, in generale e nelle relazioni con le P.A., posizioni di vantaggio ovvero squilibri 
e/o disomogeneit� di trattamento e di rapporti. Si tratta, dunque, di principi di tipo imperativo, la cui 
violazione pu� essere fatta valere come eccesso di potere, sotto il profilo dello sviamento, qualora in 
una data fattispecie emerga che dalla loro violazione sia derivata una posizione di favore, o di vantaggio, 
in capo ad uno o pi� partecipanti alla gara. In particolare, sul versante procedimentale, costituisce lesione 
di detto principio l�inadempimento dell�obbligo, posto in capo alle Amministrazioni aggiudicatrici, di 
assicurare eguali condizioni di partenza a tutte le imprese partecipanti alle gare, se del caso escludendo 
dalla competizione quei soggetti che, in virt� dello svolgimento di incarichi professionali precedenti, 
abbiano non soltanto contribuito a definire il contesto tecnico di riferimento, ma abbiano anche beneficiato 
di pi� occasioni di confronto e approfondimento, tali da determinare un potenziale �vantaggio 
competitivo� idoneo ad influire significativamente sull�esito di una gara�. 


DOTTRINA 183 

Agli interessi protetti mediante la gara pubblica sono correlati, in via del 
tutto complementare, dei costi che vengono abbattuti proprio mediante la 
messa in competizione degli operatori economici che partecipando alla procedura 
concorsuale: i �costi di transazione� e i �costi di influenza�. 

Tra le precipue voci che possono essere ricondotte nella categoria dei 
�costi di transazione�, la dottrina � concorde nel ritenere che tra le complicazioni 
del settore dei contratti pubblici debbono annoverassi �le asimmetrie informative 
derivanti dal fatto che l�operatore privato che partecipa alla gara 
pubblica, conoscendo analiticamente le caratteristiche del mercato, dispone di 
informazioni nascoste che non � disposto a rivelare n� alla pubblica amministrazione, 
tampoco alle imprese concorrenti� (23), unitamente al �limited commitement, 
ossia le spese fisiologicamente legate alla necessit�, per la p.a., di 
dare luogo a ripetute e talvolta schizofreniche fasi di contrattazione con il privato 
operatore economico per ovviare all�incompletezza dei testi contrattuale 
causati, per l�appunto, dalle asimmetrie informative� (24) e agli oneri dovuti 
alla necessit� di �predisporre dei dispendiosi meccanismi di controllo volti a 
prevenire errori o a scoraggiare l�opportunistico sfruttamento del vantaggio 
posseduto dalla parte pi� consapevole (cio� l�operatore privato) in sede precontrattuale 
ovvero postcontrattuale� (25). 

Tali costi di transazione possono essere abbattuti mediante il ricorso alla 
gara pubblica, in quanto con essa si riesce ad attuare una comparazione delle 
offerte che �stimola i candidati a rivelazioni pi� sincere, nello sforzo di sbaragliare 
la concorrenza, ed affina il bagaglio delle conoscenze dell�amministrazione, 
riducendo il divario informativo� (26). Va da s� che con la riduzione 
delle asimmetrie informative si determina, a cascata, la riduzione dei costi 
connessi alla rinegoziazione (la p.a. non avr� pi� bisogno di intavolare plurime 
e ripetute trattative), cos� come la riduzione dei costi legati all�attivazione di 
meccanismi di controllo (la p.a. non avr� pi� bisogno di prevedere e di controllare, 
passo dopo passo, il comportamento dell�operatore privato, in quanto 
potr� valutare, allorch� lo ritenga opportuno o necessario, la conformit� di 
esso con il meticoloso ed esaustivo contenuto delle clausole contrattuali). 

I �costi di influenza�, invece, ricomprendono tutte le voci connesse alle 
diseconomie che verrebbero registrandosi ogniqualvolta i funzionari incaricati 
di assolvere il ruolo di componente della commissione giudicatrice si presterebbero 
a tenere - dietro pressioni ed influenze esercitate dagli operatori privati 

-i comportamenti tipici di �persone venali e inclini a favoritismi� (27); ci� 

(23) PORRINI D., Asimmetrie informative, selezione avversa e azzardo morale, in CHIANCONE A. 

-PORRINI D. (a cura di), Lezioni di analisi economa del diritto, Torino, 1998, p. 191. 

(24) ZILLOTTI M., Teoria dei contratti di fornitura pubblica e regolamentazione, Milano, 1997, p. 9. 

(25) GUISO L. - TERLIZZESE D., Economia dell�incertezza e dell�informazione, scelte individuali, 
mercati, contratti, Milano, 1994, p. 319. 

(26) CAFAGNO M., Lo Stato banditore, cit., p. 151. 


che avverrebbe qualora il contratto fosse assegnato, in modo arbitrario e scriteriato, 
ad un operatore economico che non abbia presentato l�offerta migliore. 
Poich� le �decisioni pubbliche sono ordinariamente atte ad incidere sugli interessi 
di un�ampia gamma di gruppi di pressione e sono assunti in un ambiente 
nel quale il pericolo di collusione e pi� intenso, a causa della separazione tra 
propriet� delle risorse e potere decisionale e dell�assenza di precisi indici rivelatori 
dei comportamenti individuali� (28), � indubbio che mediante �l�allestimento 
di procedure formali di raccolta e di elaborazione� (29) e attraverso 
la puntuale individuazione del soggetto �responsabile del procedimento� di 
gara, si riduce, notevolmente, l�entit� dei costi di influenza; quest�ultimo meccanismo, 
consentendo di �fisicizzare� in un persona determinata i complessi 
sub-procedimenti di selezione e valutazione di cui consta la gara, disincentiva 
i fenomeni corruttivi che potrebbero alterare l�ordinato dispiegarsi delle fasi 
in cui si snoda l�evidenza pubblica (30). 

Nondimeno, la giurisprudenza amministrativa ha individuato nei principi 
di concentrazione e di continuit� un ulteriore strumento capace di incidere, 
abbattendoli o comunque riducendoli, i costi di influenza; � stato infatti precisato 
che �nelle gare pubbliche, sebbene le garanzie d�imparzialit�, pubblicit�, 
trasparenza e speditezza dell�azione amministrativa postulino che le 
sedute di una commissione di gara debbano ispirarsi al principio di concentrazione 
e continuit� e che, conseguentemente, la valutazione delle offerte tecniche 
ed economiche deve avvenire in una sola seduta, senza soluzione di 
continuit�, al fine di scongiurare possibili influenze esterne ed assicurare l�as


(27) Per quanto possa rilevare in questa sede, si tratta di una definizione recentemente impiegata 
dalla giurisprudenza di legittimit� in sede di descrizione della fattispecie incriminatrice del millantato 
credito ai sensi dell�art. 346 c.p. In C. Cass., Sez. VI, 11 dicembre 2014, n. 51688, in Dir. & giust., 2015, 
si � invero affermato che �considerato che il reato di cui all�art. 346 c.p., � stato concepito per tutelare 
il prestigio della pubblica amministrazione piuttosto che il patrimonio del solvens, si � focalizzato l�attenzione 
sulla condotta dell�agente, che si fa dare il denaro rappresentando i pubblici impiegati come 
persone venali, inclini a favoritismi�. 
(28) CAFAGNO M., Lo Stato banditore, cit., p. 178. 


(29) PANUNZI F., Autorit�, struttura organizzativa e costi di influenza, in MONTESANO A. (a cura 
di), Teorie economiche dell�organizzazione, Bologna, 1996, p. 115. 
(30) La funzione centrale che il R.u.p. (Responsabile unico del procedimento) assolve nell�ambito 
delle gare pubbliche � evidenziata, molto efficacemente, da quella giurisprudenza che si � occupata di 
stabilire i rapporti tra R.u.p. e commissione giudicatrice. Al riguardo, in Cons. St., Sez. V, 12 giugno 
2009, n. 3716, in Foro amm. - CDS, 2009, pp. 1471 ss., si � precisato che �non vi � incompatibilit� tra 
le funzioni di presidente della commissione di gara e quella di responsabile del procedimento, analogamente 
deve ritenersi nel caso in cui al dirigente di un ente locale che ha svolto le funzioni di presidente 
del seggio e di responsabile del procedimento sia stato anche attribuito il compito di approvare gli atti 
della commissione di gara, atteso che detta approvazione non pu� essere ricompresa nella nozione di 
controllo in senso stretto, ma si risolve in una revisione interna della correttezza del procedimento connessa 
alla responsabilit� unitaria del procedimento spettante alla figura dirigenziale�. 
In dottrina, tra i tanti contributi, si veda: GIOVAGNOLI R., Il responsabile del procedimento: punti 
di contatto e dissonanza tra la disciplina codicistica e quella sul procedimento amministrativo, in 
www.giustizia-amministrativa.it, 2012. 



DOTTRINA 185 

soluta indipendenza di giudizio dell�organo incaricato della valutazione stessa; 
tale principio, comunque, � da considerasi tendenziale ed � suscettibile di deroga, 
ben potendo verificarsi situazioni particolari che obiettivamente impediscono 
l�espletamento di tutte le operazioni in una sola seduta, dovendo in 
questo caso essere minimo l�intervallo tra le sedute e dovendo essere predisposte 
adeguate garanzie di conservazione dei plichi� (31). 

Le �qualit�� e le �specificit�� che caratterizzano le gare pubbliche hanno 
fatto in modo - come sՏ detto - che le stesse venissero considerate come il metodo 
ordinario (rectius, normale) attraverso il quale gestire l�affidamento di lavori, 
servizi e forniture pubbliche. Il ch� ha indotto, in via del tutto speculare, 
ad interrogarsi in merito alla natura da dover attribuire alle altre modalit� di 
gestione delle commesse pubbliche e, specificamente, alla c.d. autoproduzione: 
si tratta di un forma organizzativa ordinaria oppure derogatoria? 

Siffatto quesito ha animato un appassionato dibattito, dal quale sono 
scaturiti due opposte tesi interpretative. Da un lato vՏ quell�orientamento 
che, muovendo dall�assunto secondo il quale il �modello dell�in house providing 
si configura, con tutta evidenza, come un�eccezione alle regole generali 
del diritto comunitario, le quali richiedono che l�affidamento degli 
appalti pubblici avvenga mediante la gara� (32), si � spinto sino al punto di 

(31) Cons. St., Sez. V, 22 gennaio 2015, n. 257, in Foro amm. - CDS, 2015, pp. 76 ss. In senso 
analogo si veda anche: T.A.R. Emilia Romagna, Bologna, Sez. I, 30 gennaio 2015, n. 83, in Foro amm. 

- TAR, 2015, p. 177, ove � dato leggere che �il principio della concentrazione della valutazione delle offerte 
non implica necessariamente che le offerte debbano essere esaminate nella stessa seduta, soprattutto 
se per la loro complessit� tecnica richiedono un esame approfondito, ci� poich� se � vero, da una parte, 
che le sedute di una commissione di gara devono ispirarsi al principio di concentrazione e continuit� e 
che conseguentemente la valutazione delle offerte tecniche ed economiche deve avvenire senza soluzione 
di continuit�, al fine di scongiurare possibili influenze esterne ed assicurare l�assoluta indipendenza di 
giudizio dell�organo incaricato della valutazione stessa, � anche vero, dall�altra, che il principio di continuit� 
e speditezza va coniugato con altri concorrenti principi che informano l�azione amministrativa 
nelle gare di appalto ed � derogabile in presenza di ragioni oggettive, quali la complessit� delle operazioni 
di valutazione delle offerte, il numero delle offerte in gara, l�indisponibilit� dei membri della commissione, 
la correlata necessit� di nominare sostituti che giustificano il ritardo anche in relazione al preminente 
interesse alla effettuazione di scelte ponderate� e in T.A.R. Puglia, Bari, Sez. II, 26 aprile 2014, 
n. 808, in Foro amm. - TAR, 2014, pp. 1837, in cui si � affermato che �nelle gare pubbliche, il principio 
della continuit� e della concentrazione della gara costituiscono espressione della pi� generale regola 
della imparzialit� e della par condicio, in quanto mirano ad assicurare l�indipendenza di giudizio di chi 
presiede la gara stessa ed a sottrarlo a possibili influenze esterne; principio la cui violazione comporta 
l�invalidit� della procedura a prescindere dalla verifica delle conseguenze pratiche, e che subisce eccezioni 
soltanto in particolari situazioni, che obiettivamente impediscano la conclusione delle operazioni 
di gara in una sola seduta�. 


(32) In tal senso si vedano: Cons. St., Sez. II, 18 aprile 2007, n. 456, in Foro it., 2007, p. 611 ss., 
ove � dato leggere che �questa Sezione condivide pienamente - come gi� affermato nel precedente parere 
n. 3162/06 (cfr. pure, in termini, la citata decisione della VI Sezione n. 1514/07) - le affermazioni secondo 
le quali la figura dell�in house providing si configura come un modello eccezionale, i cui requisiti vanno 
interpretati restrittivamente poich� costituiscono una deroga alle regole generali del diritto comunitario. 
Ci� � stato chiarito con fermezza dalla Corte di giustizia nelle sue successive pronunce (cfr. le note sentenze 
11 gennaio 2005, causa C-26/03 -Stadt Halle e RPL Lochau, su cui si torner� pi� avanti per altri 



concepire in capo ad ogni operatore economico un �interesse tutelato a contestare 
la scelta della p.a. di non procedere all�indizione di una procedura di 
gara pubblica, in quanto tale decisione viene a ledere l�interesse sostanziale 
di ciascun imprenditore operante sul libero mercato a competere, secondo 
pari parit�, ai fini dell�ottenimento di commesse da aggiudicarsi secondo 
procedura ad evidenza pubblica� (33); un�impostazione che, del resto, sarebbe 
corroborata dalla necessit� di �interpretare restrittivamente i requisiti 
dell�in house providing� (34), quale forma organizzativa congeniale alla realizzazione 
del pernicioso fenomeno delle c.d. �scatole cinesi� (o catene societarie), 
mediante le quale, l�azionista pubblico di controllo, celandosi 
dietro la �volont� di aumentare l�economicit� del processo produttivo, migliorando 
le combinazioni produttive e ricercando le dimensioni pi� efficaci� 
(35), otterrebbe la concreta opportunit� di creare un contorto sistema di collegamenti 
con le realt� imprenditoriali assoggettate al suo controllo, che gli 
permetterebbe di beneficiare, anzitutto, di limitazione della responsabilit� 
nei confronti degli stakeholder (una responsabilit� generalmente circoscritta 
al solo patrimonio delle societ� controllate) e, secondariamente, di �assumere 
decisioni non corrispondenti agli interessi dell�azienda, cos� come di 
ottenere benefici privati di natura monetaria (dai compensi sovradimensionati 
degli amministratori, all�utilizzo personale di risorse aziendali anche 
molto ingenti e alla attribuzione di servizi ad imprese delle quali il suddetto 
controllore possiede quote di maggioranza) ovvero di altra natura (come il 
mantenimento della posizione di controllo)� (36). 

profili; 21 luglio 2005, causa C-231/03 -Corame; 13 ottobre 2005, causa C-458/03 -Parking Brixen 
GmbH; 10 novembre 2005, causa C-29/04 -M�dling o Commissione c/ Austria; 6 aprile 2006, causa C410/
04 -ANAV c/ Comune di Bari; 11 maggio 2006, causa C-340/04 - Carbotermo; 18 gennaio 2007, 
causa C-220/05 -Jean Auroux). Il ridimensionamento dell�istituto � da ricondursi anche a fenomeni di 
distorsione nel ricorso a tale modello, del quale si tende ad abusare attraverso il fenomeno delle c.d. catene 
societarie e dei controlli indiretti, nonch� attraverso le attivit� svolte nei confronti di terzi�; nonch�, 
pi� di recente, anche Cons. St., Sez. III, 7 maggio 2015, n. 2291, in www.giustizia-amministrativa.it e 
Cons. St., Sez. II, 30 gennaio 2015, n. 298, in Foro amm. - CDS, 2015, pp. 126 ss. 

(33) T.A.R. Puglia, Lecce, Sez. II, 4 ottobre 2007, n. 3436, in Foro amm. - TAR, 2007, pp. 3244 
ss., nel quale, specificamente, � stato disposto che �alla luce del generalissimo principio nazionale e comunitario 
di libera concorrenza e del criterio di effettivit� del diritto alla tutela giurisdizionale, ogni impresa 
operante in un determinato settore ha un interesse tutelato a contestare la scelta della p.a. di non 
procedere all�indizione di una procedura di gara pubblica, in quanto tale decisione viene a ledere l�interesse 
sostanziale di ciascun imprenditore operante sul libero mercato a competere, secondo pari opportunit�, 
ai fini dell�ottenimento di commesse da aggiudicarsi secondo procedure ad evidenza 
pubblica�. 
(34) In questo senso, ex plurimis, C. Giust, Ue, 6 aprile 2006, C-410/04, in www.curia.europa.eu, 
in cui si � stabilito che �i requisiti dell�in house providing, costituendo un�eccezione alle regole generali 
del diritto comunitario, devono essere interpretati restrittivamente�. 
(35) AZZALI S., Il reddito e il capitale del gruppo, Milano, 2012, p. 119. 


(36) ZANDA L., Scatole cinesi, � giusto regolamentarle?, in Propriet� e controllo dell�impresa: il 
modello italiano stabilit� o contendibilit�?, Atti del convegno di studio �Adolfo Beria di Argentine�. 
Problemi attuali di diritto e procedurale civile, Milano, 2008, p. 34. 



DOTTRINA 187 

Sul fronte opposto, invece, si attesta quell�opzione ermeneutica secondo 
la quale l�autorit� pubblica pu� adempiere i suoi compiti mediante propri strumenti, 
senza che debba ritenersi obbligata a fare ricorso ad entit� esterne, poich� 
�l�affidamento diretto �in house�, lungi dal configurarsi come un�ipotesi 
eccezionale e residuale di gestione delle commesse pubbliche, costituisce una 
delle tre normali forme organizzative degli stessi (mediante il mercato, oppure 
mediante il cd. partenariato pubblico-privato, ovvero con l�affidamento �in 
house�), con la conseguenza che la decisione di un ente di avvalersi dell�affidamento 
diretto �in house� (sempre che ne ricorrano tutti i requisiti), costituisce 
frutto di una scelta ampiamente discrezionale, che deve essere motivata 
in maniera adeguata circa le ragioni di fatto e di convenienza che la giustificano 
e che, come tale, sfugge al sindacato di legittimit� del giudice amministrativo, 
salvo che non sia manifestamente inficiata da illogicit�, 
irragionevolezza, irrazionalit� ed arbitrariet� ovvero non sia fondata su di un 
altrettanto macroscopico travisamento dei fatti� (37). 

I corifei di questa teoretica ritengono, infatti, che non sussiste alcuna valida 
ragione che possa giustificare la collocazione dell�in house providing in 
una posizione di specialitas rispetto alla gara pubblica. Le garanzie e i vantaggi 
che quest�ultima � idonea a garantite in tanto assumono rilievo in quanto il 
soggetto pubblico decida di approvvigionarsi sul mercato; se, nello sciogliere 
l�opzione �mercato-non mercato�, la pubblica amministrazione si persuada 
della circostanza che sussistano i presupposti (di fatto e di diritto) capaci di 
rendere l�autoproduzione come una scelta opportuna, non potr� essere dedotta 
la violazione di nessuna norma; ci� in quanto la struttura interna affidataria 
della commessa pubblica, potendo esercitare solo delle attivit� preordinate al 
soddisfacimento degli interessi pubblici alla cui cura � demandata l�amministrazione 
affidante, si trova ad operare in una realt� mercantile autonoma, parallela 
e decisamente pi� angusta rispetto a quella in cui operano le imprese 
private, le quali non patiscono - in linea di principio - i nocumenti derivanti 
da eventuali alterazioni e distorsioni della concorrenza dovuti alla presenza di 

(37) T.A.R. Abruzzo, L�Aquila, Sez. I, 18 dicembre 2014, n. 905, in Foro amm. - TAR, 2014, p. 3235 
ss. Analogamente anche Cons. St., Sez. V, 10 settembre 2010, n. 6548, in www.giustizia-amministrativa.it, 
in cui si legge che �il diritto comunitario non impone in alcun modo alle autorit� pubbliche di ricorrere 
ad una particolare forma giuridica per assicurare in comune le loro funzioni di servizio pubblico, consentendo, 
invece, alle amministrazioni aggiudicatrici, in alternativa allo svolgimento di una di procedura 
di evidenza pubblica di scelta del contraente, di stipulare un accordo a titolo oneroso con altra amministrazione 
pubblica, cui affidare il servizio. Una cooperazione del genere tra autorit� pubbliche non pu� 
rimettere in questione l�obiettivo principale delle norme comunitarie in materia di appalti pubblici, vale 
a dire la libera circolazione dei servizi e l�apertura alla concorrenza non falsata in tutti gli Stati membri, 
poich� l�attuazione di tale cooperazione � retta unicamente da considerazioni e prescrizioni connesse al 
perseguimento di obiettivi d�interesse pubblico e poich� viene salvaguardato il principio della parit� di 
trattamento degli interessati di cui alla direttiva 92/50, cosicch� nessun impresa privata viene posta in 
una situazione privilegiata rispetto ai suoi concorrenti�. 


imprese che, atteggiandosi come �quasi amministrazioni� (38) opererebbero 
in una posizione di vantaggio e di supremazia. 

Le strutture in house non possono comportarsi come �squali� che, gi� 
forti del nutrimento somministratogli in cattivit� (la commessa pubblica ottenuta 
senza gara), sono autorizzati a conquistare, proprio grazie all�ausilio di 
questa sostanza dopante, le �acque agitate� dell�economia aperta e in libera 
concorrenza, dovendo piuttosto astenersi dall�effettuare �determinati investimenti 
di risorse economiche in altri mercati - anche non contigui - al fine di 
un�eventuale espansione in settori diversi da quelli rilevanti per l�ente pubblico 
conferente� (39). 

5. Critica alla �derogatoriet��. Le tre ragioni che giustificano la configurazione 
dell�in house providing come modello organizzatorio ordinario: la incostituzionalit� 
dei limiti all�utilizzo della autoproduzione, i vincoli di finanza 
pubblica imposti dal Patto di Stabilit� Interno (P.S.I.) e il principio di auto-
organizzazione amministrativa. 

Tra le due sopraesposte teoretiche si ritiene di dover accordare prevalenza 
alla seconda; ci� per tutta una serie di ragioni. Primariamente, perch� a seguito 
dell�esito del referendum del 12 e 13 giugno 2011, con il quale � stato formulato 
(tra gli altri) il quesito �volete voi che sia abrogato l�art. 23 bis (Servizi 
pubblici locali di rilevanza economica) del decreto legge 25 giugno 2008 n. 
112 �Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la 
competitivit�, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria� 
convertito, con modificazioni, in legge 6 agosto 2008, n. 133, come 
modificato dall�art. 30, comma 26 della legge 23 luglio 2009, n. 99 recante 
�Disposizioni per lo sviluppo e l�internazionalizzazione delle imprese, nonch� 
in materia di energia� e dall�art. 15 del decreto legge 25 settembre 2009, n. 
135, recante �Disposizioni urgenti per l�attuazione di obblighi comunitari e 
per l�esecuzione di sentenze della corte di giustizia della Comunit� europea� 
convertito, con modificazioni, in legge 20 novembre 2009, n. 166, nel testo 
risultante a seguito della sentenza n. 325 del 2010 della Corte costituzionale?�, 
� stata abrogata la norma che stabiliva come modalit� ordinaria di gestione 
dei servizi pubblici locali a rilevanza economica l�affidamento a soggetti pri


(38) CLARICH M., Societ� di mercato e quasi amministrazioni, in www.giustizia-amministrativa.it, 
2009, p. 21. 
(39) C. cost., 15 dicembre 2008, n. 439, in www.cortecostituzionale.it. Ancora pi� significativamente, 
C. cost., 30 luglio 2008, n. 326, in ibidem, ha disposto che �le esigenze di tutela della concorrenza 
impongono di tenere distinto lo svolgimento di attivit� amministrativa posta in essere da una societ� di 
capitali per conto di una pubblica amministrazione dal libero svolgimento di attivit� di impresa; un�esigenza 
finalizzata ad evitare che un soggetto, che svolge attivit� amministrativa, eserciti allo stesso tempo 
attivit� d�impresa, beneficiando dei privilegi dei quali esso pu� godere in quanto pubblica amministrazione
�. 



DOTTRINA 189 

vati attraverso gara o l�affidamento a societ� a capitale misto pubblico-privato. 

Nonostante l�esito della consultazione referendaria, � stato necessario un 
ulteriore intervento della Corte costituzionale. Per vero, dopo solo poco tempo, 
il Governo � reintervenuto sulla materia con l�art. 4 del D. lg. 13 agosto 2011, 

n. 138 (Ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo), 
convertito, con modificazioni, dalla legge 14 settembre 2011, n. 148; 
ma tale norma - come anticipato - � stata presto dichiarata incostituzionale, per 
via del fatto che, il Giudice delle leggi, ha considerato la norma �contraddistinta 
dalla medesima ratio di quella abrogata, in quanto opera una drastica riduzione 
delle ipotesi di affidamenti in house, al di l� di quanto prescritto dalla normativa 
comunitaria, ma � anche letteralmente riproduttiva, in buona parte, di svariate 
disposizioni dell�abrogato art. 23-bis e di molte disposizioni del regolamento 
attuativo del medesimo art. 23-bis contenuto nel D.P.R. n. 168 del 2010� (40). 

(40) Si veda sul punto la celebre sentenza C. cost., 20 luglio 2012, n. 199, in www.cortecostituzionale.it, 
il cui aspetto cruciale dello snodo motivazione, testualmente, recita cos�: �Il citato art. 4 � stato adottato 
con d.l. n. 138 del 13 agosto 2011, dopo che, con decreto del Presidente della Repubblica 18 luglio 2011, 
n. 113 (Abrogazione, a seguito di referendum popolare, dell�articolo 23-bis del decreto-legge n. 112 del 
2008, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 133 del 2008, e successive modificazioni, nel testo 
risultante a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 325 del 2010, in materia di modalit� di 
affidamento e gestione dei servizi pubblici locali di rilevanza economica), era stata dichiarata l�abrogazione, 
a seguito di referendum popolare, dell�art. 23-bis del d.l. n. 112 del 2008, recante la precedente 
disciplina dei servizi pubblici locali di rilevanza economica. 
Quest�ultima si caratterizzava per il fatto che dettava una normativa generale di settore, inerente a quasi 
tutti i predetti servizi, fatta eccezione per quelli espressamente esclusi, volta a restringere, rispetto al livello 
minimo stabilito dalle regole concorrenziali comunitarie, le ipotesi di affidamento diretto e, in particolare, 
di gestione in house dei servizi pubblici locali di rilevanza economica, consentite solo in casi 
eccezionali ed al ricorrere di specifiche condizioni, la cui puntuale regolamentazione veniva, peraltro, 
demandata ad un regolamento governativo, adottato con il decreto del Presidente della Repubblica 7 
settembre 2010 n. 168 (Regolamento in materia di servizi pubblici locali di rilevanza economica, a 
norma dell�articolo 23-bis, comma 10, del d.l. n. 112 del 2008). 
Con la richiamata consultazione referendaria detta normativa veniva abrogata e si realizzava, pertanto, 
l�intento referendario di �escludere l�applicazione delle norme contenute nell�art. 23-bis che limitano, 
rispetto al diritto comunitario, le ipotesi di affidamento diretto e, in particolare, quelle di gestione in 
house di pressoch� tutti i servizi pubblici locali di rilevanza economica (ivi compreso il servizio idrico)� 
(sentenza n. 24 del 2011) e di consentire, conseguentemente, l�applicazione diretta della normativa comunitaria 
conferente. 
A distanza di meno di un mese dalla pubblicazione del decreto dichiarativo dell�avvenuta abrogazione 
dell�art. 23-bis del d.l. n. 112 del 2008, il Governo � intervenuto nuovamente sulla materia con l�impugnato 
art. 4, il quale, nonostante sia intitolato �Adeguamento della disciplina dei servizi pubblici locali 
al referendum popolare e alla normativa dall�Unione europea�, detta una nuova disciplina dei servizi 
pubblici locali di rilevanza economica, che non solo � contraddistinta dalla medesima ratio di quella 
abrogata, in quanto opera una drastica riduzione delle ipotesi di affidamenti in house, al di l� di quanto 
prescritto dalla normativa comunitaria, ma � anche letteralmente riproduttiva, in buona parte, di svariate 
disposizioni dell�abrogato art. 23-bis e di molte disposizioni del regolamento attuativo del medesimo 
art. 23-bis contenuto nel d.P.R. n. 168 del 2010. 
Essa, infatti, da un lato, rende ancor pi� remota l�ipotesi dell�affidamento diretto dei servizi, in quanto 
non solo limita, in via generale, �l�attribuzione di diritti di esclusiva alle ipotesi in cui, in base ad una 
analisi di mercato, la libera iniziativa economica privata non risulti idonea a garantire un servizio rispondente 
ai bisogni della comunit�� (comma 1), analogamente a quanto disposto dall�art. 23-bis 



Una circostanza che ha quindi indotto la giurisprudenza amministrativa 
a rilevare che �proprio per effetto della sentenza della Corte Costituzionale n. 
199 del 20 luglio 2012, le commesse pubbliche possono, in definitiva, essere 
gestite indifferentemente secondo tre differenti modalit�: a) mediante ricorso 
al mercato (ossia individuando all�esito di una gara ad evidenza pubblica il 
soggetto affidatario); b) attraverso il c.d. partenariato pubblico-privato (ossia 
per mezzo di una societ� mista e quindi con una � gara a doppio oggetto � per 
la scelta del socio e per la gestione del servizio); c) attraverso l�affidamento 
diretto, in house, senza previa gara, a un soggetto che solo formalmente � diverso 
dall�ente, ma che ne costituisce sostanzialmente un diretto strumento 
operativo, ricorrendo in capo a quest�ultimo i requisiti della totale partecipazione 
pubblica, del controllo (sulla societ� affidataria) � analogo � (a quello 
che l�ente affidante esercita sui propri servizi) e della realizzazione, da parte 
della societ� affidataria, della parte pi� importante della sua attivit� con l�ente 

o gli enti che la controllano� (41). 

(comma 3) del d.l. n. 112 del 2008, ma la �ncora anche al rispetto di una soglia commisurata al valore 
dei servizi stessi, il superamento della quale (900.000 euro, nel testo originariamente adottato; ora 

200.000 euro, nel testo vigente del comma 13) determina automaticamente l�esclusione della possibilit� 
di affidamenti diretti. Tale effetto si verifica a prescindere da qualsivoglia valutazione dell�ente locale, 
oltre che della Regione, ed anche - in linea con l�abrogato art. 23-bis - in difformit� rispetto a quanto 
previsto dalla normativa comunitaria, che consente, anche se non impone (sentenza n. 325 del 2010), la 
gestione diretta del servizio pubblico da parte dell�ente locale, allorquando l�applicazione delle regole 
di concorrenza ostacoli, in diritto o in fatto, la �speciale missione� dell�ente pubblico (art. 106 TFUE), 
alle sole condizioni del capitale totalmente pubblico della societ� affidataria, del cosiddetto controllo 
�analogo� (il controllo esercitato dall�aggiudicante sull�affidatario deve essere di �contenuto analogo� 
a quello esercitato dall�aggiudicante sui propri uffici) ed infine dello svolgimento della parte pi� importante 
dell�attivit� dell�affidatario in favore dell�aggiudicante. 
Dall�altro lato, la disciplina recata dall�art. 4 del d.l. n. 138 del 2011 riproduce, ora nei principi, ora testualmente, 
sia talune disposizioni contenute nell�abrogato art. 23-bis del d.l. n. 112 del 2008 (� il caso, 
ad esempio, del comma 3 dell�art. 23-bis del d.l. n. 112 del 2008 �recepito� in via di principio dai primi 
sette commi dell�art. 4 del d.l. n. 138 del 2011, in tema di scelta della forma di gestione del servizio; del 
comma 8 dell�art. 23-bis del d.l. n. 112 del 2008 che dettava una disciplina transitoria analoga a quella 
dettata dal comma 32 dell�art. 4 del d.l. n. 138 del 2011; cos� come del comma 10, lettera a), dell�art. 
23-bis del d.l. n. 112 del 2008, dichiarato costituzionalmente illegittimo con sentenza n. 325 del 2010, 
sostanzialmente riprodotto dal comma 14 dell�art. 4 del d.l. n. 138 del 2011), sia la maggior parte delle 
disposizioni recate dal regolamento di attuazione dell�art. 23-bis (il testo dei primi sette commi dell�art. 
4 del d.l. n. 138 del 2011, ad esempio, coincide letteralmente con quello dell�art. 2 del regolamento attuativo 
dell�art. 23-bis di cui al d.P.R. n. 168 del 2010, i commi 8 e 9 dell�art. 4 coincidono con l�art. 3, 
comma 2, del medesimo regolamento, mentre i commi 11 e 12 del citato art. 4 coincidono testualmente 
con gli articoli 3 e 4 dello stesso regolamento)�. 

(41) T.A.R. Lombardia, Milano, Sez. I, 13 marzo 2015, n. 700, in Foro amm. - TAR, 2015, pp. 
870 ss. Per il principio si veda anche T.A.R. Sardegna, Cagliari, Sez. I, 21 dicembre 2007, n. 2407, in 
www.giustizia-amministrativa.it, ove si legge che �per la gestione dei servizi pubblici l�amministrazione 
locale pu� scegliere di optare tra �outsourcing� e �in house providing�, e tale scelta non � sindacabile 
alla stregua del diritto comunitario. La creazione di un mercato comune e l�applicazione delle regole di 
tutela della concorrenza per garantirne il mantenimento incontrano il limite del potere di organizzazione 
della p.a. riconosciuta agli stati membri dalle istituzioni comunitarie. Tale limite non rappresenta una 
deroga alla disciplina europea delle libert� economiche tutelate dal mercato comune, ma � definizione 


DOTTRINA 191 

Nondimeno, deve essere ricordato che l�in house providing si prefigura, 
in talune ipotesi, come una modalit�, se non necessaria, quanto meno opportuna 
per consentire alla pubblica amministrazione di soddisfare delle primarie 
esigenze che le gare pubbliche rischierebbe di lasciare inevase. La prassi amministrativa 
italiana dimostra, infatti, che la p.a. tende a prediligere il modello 
dell�autoproduzione quando deve acquisire uomini e mezzi in maniera flessibile, 
avviare una intrapresa con carattere temporaneo e, ancora di pi�, quando 
le ragioni di contabilit� pubblica lasciano prevedere che la indizione di una 
gara pubblica (che di per s� comporta dei costi) non consentirebbe di rispettare 
i vincoli derivanti dal c.d. patto di stabilit� interno. 

Il patto di stabilit� interno - come noto - � lo strumento impiegato per �far 
cessare politiche dissennate dei conti pubblici� (42). Esso consiste nell�insieme 
delle disposizioni della legge finanziaria con cui lo Stato italiano fissa 
gli impegni di finanza pubblica che le amministrazioni decentrare sono obbligate 
a rispettare al fine di consentire al Paese di mantenere l�impegno assunto 
con l�Unione europea in forza del c.d. Patto di Stabilit� e crescita. La sua origine 
� da farsi risalire alla legge n. 448/1998 (c.d. Legge finanziaria �99) che, 
al suo art. 28, stabilisce che �le Regioni, le Province autonome, le Province, i 
Comuni e le Comunit� montane concorrono alla realizzazione degli obiettivi 
di finanza pubblica assunti dall�Italia con l�adesione al Patto di stabilit� e crescita, 
impegnandosi a diminuire progressivamente il finanziamento in disavanzo 
delle proprie spese e ridurre il rapporto tra il proprio ammontare di 
debito e il prodotto interno lordo�. Se ne ricava che, in forza delle condizioni 
del Patto di stabilit�, le pubbliche amministrazioni sono tenute a garantire il 
pareggio di bilancio (ad un determinato ammontare di uscite deve corrispondere 
un identico ammontare di entrate). 

Per ragioni di trasparenza e pubblicit� � fatto divieto alle pubbliche amministrazioni 
di anticipare il prezzo della commessa pubblica in favore del-
l�operatore terzo che sia risultato aggiudicatario della gara; un divieto che, 
combinato con i rigidi parametri fissati nel Patto di stabilit� interno, � causa 
della non infrequente situazione in cui �le pubbliche amministrazioni, pur in 
presenza di un impegno di spesa lecitamente assunto in un precedente eserci


di ci� che non � mercato. La disciplina della concorrenza per l�aggiudicazione degli appalti e delle concessioni 
presuppone un rapporto con il mercato, ma la libera decisione dell�amministrazione di rivolgersi 
a esso non pu� essere coartata per realizzare l�apertura al mercato di taluni settori di attivit� in cui l�amministrazione 
pubblica, voglia, invece, ricorrere all�autoproduzione. In altri termini, le norme comunitarie 
non interferiscono sui poteri delle p.a. di adottare soluzioni organizzative che siano le pi� 
rispondenti alle esigenze che esse stesse ritengano di dover soddisfare conformemente alle leggi che le 
disciplinano�. 

(42) IURESCIA P., Il patto di stabilit� interno negli enti locali. Problematiche operative e strategie 
gestionali, in Fin. loc. (La), II, 2012, p. 20. In dottrina si rimanda per approfondimenti a: BISIO L. - NICOLAI 
M., Patto di stabilit� e federalismo fiscale, Rimini, 2010; RUFFINI P., Il patto di stabilit� interno 
per gli enti locali, Rimini, 2012. 


zio, e pur disponendo delle risorse finanziarie per provvedere al pagamento, 
si trovino vincolate a non effettuare il pagamento, mancando flussi di entrata 
in conto capitale ad esso equiparabili� (43). Ne discende il rischio concreto 
per la pubblica amministrazione, costretta a ritardare i pagamenti in forza del 
Patto di stabilit�, di trovarsi coinvolta in un giudizio avente ad oggetto l�accertamento 
della sua responsabilit� per ritardato pagamento; e alla somma originariamente 
dovuta verranno a cumularsi gli interessi legali e moratori di cui 
all�art. 4 del D.lgs. n. 231/2002 oltre ai danni patrimoniale e non patrimoniali 
ex art. 1224, comma 2, c.c. subiti dal contraente privato, per via del fatto che 
�la necessit� di carattere generale di rispettare i vincoli derivanti dal rispetto 
del Patto di stabilit� non esime la Stazione appaltante dall�obbligo di liquidare 
gli interessi legali e moratori per ritardato pagamento dei crediti relativi al-
l�esecuzione di appalti pubblici� (44). 

Una simile evenienza pu� quindi disincentivare il ricorso alla gara pubblica, 
in luogo dell�autoproduzione. Giova per� dare conto che la Corte costituzionale, 
nella consapevolezza che il Patto di stabilit� interno possa 
giustificare un inappropriato e imperante abuso dell�in house providing, ha 
chiarito che le regole del Patto di stabilit� interno sono estese anche alle societ� 
in house (45). Ma questo non fa venire meno la �convenienza� dell�autoproduzione, 
in taluni casi, rispetto alla esternalizzazione, poich� la circostanza 
(affatto secondaria) che il personale della struttura organizzativa in house sia 
messo nella condizione di poter sviluppare (rispetto al terzo affidatario che rimane 
soggetto estraneo) uno spiccato senso di appartenenza alla pubblica amministrazione 
controllante rende pi� agevole e proficua l�instaurazione di 

(43) PANDOLFINI V., Il ritardo di pagamento nelle transazioni commerciali, Torino, 2013, p. 55. 
(44) A.V.C.P., 8 novembre 2007, n. 300, in www.anticorruzione.it. 


(45) C. cost., 20 marzo 2013, n. 46, in www.cortecostituzionale.it, nella quale si legge che �secondo 
la normativa comunitaria, le condizioni integranti tale tipo di gestione ed alle quali � subordinata 
la possibilit� del suo affidamento diretto (capitale totalmente pubblico; controllo esercitato dall�aggiudicante 
sull�affidatario di �contenuto analogo� a quello esercitato dall�aggiudicante stesso sui propri uffici; 
svolgimento della parte pi� importante dell�attivit� dell�affidatario in favore dell�aggiudicante) 
debbono essere interpretate restrittivamente, costituendo l�in house providing un�eccezione rispetto alla 
regola generale dell�affidamento a terzi mediante gara ad evidenza pubblica. Tale eccezione viene giustificata 
dal diritto comunitario con il rilievo che la sussistenza delle suddette condizioni esclude che 
l�in house contract configuri, nella sostanza, un rapporto contrattuale intersoggettivo tra aggiudicante 
ed affidatario, perch� quest�ultimo �, in realt�, solo la longa manus del primo�. Quindi, una diversa disciplina 
che favorisca le societ� in house rispetto all�aggiudicante Amministrazione pubblica si potrebbe 
porre in contrasto con la stessa disciplina comunitaria, in quanto verrebbe a scindere le due entit� e a 
determinare un ingiustificato favor nei confronti di questo tipo di gestione dei servizi pubblici dato che 
il bilancio delle societ� in house non sarebbe soggetto alle regole del patto di stabilit� interno. Le suddette 
regole, invece, debbono intendersi estese a tutto l�insieme di spese ed entrate dell�ente locale sia perch� 
non sarebbe funzionale alle finalit� di controllo della finanza pubblica e di contenimento delle spese 
permettere possibili forme di elusione dei criteri su cui detto �Patto� si fonda, sia perch� la maggiore 
ampiezza degli strumenti a disposizione dell�ente locale per svolgere le sue funzioni gli consente di 
espletarle nel modo migliore, assicurando, nell�ambito complessivo delle proprie spese, il rispetto dei 
vincoli fissati dallo stesso Patto di stabilit��. 


DOTTRINA 193 

forme di transazione per le eventuali ipotesi di ritardata erogazione delle voci 
stipendiali e, in ultima battuta, scongiura il rischio del coinvolgimento della 
pubblica amministrazione in un giudizio risarcitorio per ritardi nei pagamenti; 
un rischio tutt�altro che remoto nei rapporti contrattuali che si instaurano a 
valle di una procedura di gara pubblica. 

Sempre per il tramite della costituzione di strutture organizzative in house, 
la pubblica amministrazione controllante ha la possibilit� di mettersi al �riparo� 
dalle eventuali azioni giudiziali esperite dai terzi operatori economici 
che abbiano stipulato rapporti contrattuali con l�articolazione interna, dal momento 
che per i danni che siano stati causati dagli amministratori della struttura 
in house ai soggetti terzi (ad esempio per il mancato pagamento di una fattura 
relativa all�acquisto di beni strumentali all�esercizio delle sue attivit�) l�unico 
centro patrimoniale che rimane aggredibile � quello della struttura in house, 
poich� in queste ipotesi �il danno incide solo sul patrimonio della societ�, che 
resta privato e separato da quello dei soci, e non determina una diretta e illecita 
depauperazione del patrimonio dello Stato ovvero di altro ente pubblico� (46). 

L�altra ragione che porta ad escludere il carattere eccezionale dell�in 
house providing discende, direttamente, dal principio che ne costituisce il fondamento: 
il principio di auto-organizzazione amministrativa. Tale principio, 
che comprende anche il potere della pubblica amministrazione di scegliere le 
modalit� di gestione delle commesse pubbliche reputate pi� opportune al soddisfacimento 
delle esigenze della collettivit�, si intreccia con il principio di libert� 
della concorrenza. Bench� il legislatore comunitario sia titolare di una 
competenza esclusiva nella definizione delle regole di concorrenza necessarie 
al funzionamento del mercato unico, lo stesso �non pu� obbligare i pubblici 
poteri dei Paesi membri ad utilizzare particolari strutture organizzative per 
raggiungere i fini comunitari imposti, cos� come non pu� imporre agli stessi 
di fare ricorso al mercato, soprattutto quando la medesima funzione pubblica 

o i medesimi beni o servizi possano essere offerti mediante l�uso di �propri 
strumenti� (47). 

Per questa via si � giustamente affermato che la libert� di organizzazione 
amministrativa si pone come un �limite esterno alle regole sulla concorrenza, 
le quali presentano un carattere recessivo laddove vi sia spazio per l�autonomia 

(46) Cass., SS.UU., 5 aprile 2013, n. 8352, in Foro amm. - CDS, 2013, pp. 1836. Sul fronte della 
responsabilit� erariale in Cass., SS.UU., 26 marzo 2014, n. 7177, in Dir. & giust., 2014, p. 333 ss. � 
stato invece stabilito che essa sussiste tutte le volte in cui �l�amministratore che rappresenta l�ente pubblico 
che detiene la partecipante totalitaria (o comunque maggioritaria) alla struttura in house abbia trascurato 
di esercitare i propri diritti di socio, in tal modo pregiudicando il valore della partecipazione, 
ovvero in comportamenti tali da compromettere la ragione stessa della partecipazione sociale dell�ente 
pubblico, strumentale al perseguimento di finalit� pubbliche ed implicante l�impiego di risorse pubbliche 
o da arrecare direttamente pregiudizio al suo patrimonio�. 


(47) C. Giust. Ue, 11 marzo 2003, C-186/01, Dory, in www.curia.europa.eu.it. 


organizzativa dei pubblici poteri di escludere in radice la concorrenza �per� o 
�nel� mercato� (48). Di talch�, il solo fatto che l�in house providing possa 
configurarsi come �legittima declinazione di un principio generale� (49), vale 
ad escludere che lo stesso sia �un�eccezione al diritto comunitario degli appalti 
e delle concessioni� (50). La pubblica amministrazione, con un ampio margine 
di discrezionalit�, pu� scegliere �ordinariamente� se rivolgersi o meno al mercato; 
l�obbligo di assicurare un adeguato livello di concorrenza �per� e �nel� 
mercato sussistente soltanto nel caso in cui si propenda per l�approvvigionamento 
mercantile, senza che per questo debba considerarsi �eccezionale� e 
�residuale� tutto ci� che non preveda (come nella ipotesi dell�autoproduzione) 
il contatto tra i poteri pubblici e l�economia. 

6. L�in house providing nelle nuove direttive appalti e il processo di �positivizzazione-
integrazione� dei requisiti dell�istituto: il carattere misto della 
nuova autoproduzione. 

L�autoproduzione � stata coinvolta nel pi� ampio disegno di riforma della 
materia degli appalti pubblici e delle concessioni del legislatore europeo. Nelle 
tre direttive europee � possibile riscontrare la presenza di una norma - topograficamente 
collocata in articoli diversi, ma contraddistinta da un contenuto 
identico - che disciplina, in modo puntuale e specifico, il fenomeno dell�in 
house providing; si tratta dell�art. 12 della direttiva 2014/24/Ue (appalti nei 
settori classici), dell�art. 28 della direttiva 2014/25/Ue (appalti nei settori speciali) 
e dell�art. 17 della direttiva 2014/23/Ue (concessioni). 

(48) IAIONE C., Le societ� in house. Contributo allo studio dei principi di auto-organizzazione e 
auto-produzione degli enti locali, Napoli, 2007, p. 137. 
(49) Cons. St., Sez. VI, 18 maggio 2015, n. 2515, in www.giustizia-amministrativa.it, in cui si 
legge che �in coerente applicazione di principi di matrice in primis eurounitaria, deve ritenersi che l�organismo 
in house (al di l� del formale �velo societario�) si qualifichi come mera articolazione organizzativa 
interna dell�ente o organismo che lo controlla, in tal modo qualificando l'istituto medesimo come 
legittima declinazione del generale principio dell�autoproduzione (ovvero, per utilizzare la pregnante 
terminologia della direttiva 2014/23/UE, come corollario del principio di libera amministrazione delle 
autorit� pubbliche)�. 
(50) T.A.R. Puglia, Lecce, Sez. II, 1 dicembre 2014, n. 2986, in Foro amm. - TAR, p. 2986, in cui 
� stato stabilito che �l�istituto dell�in house, pi� che un�eccezione al diritto comunitario degli appalti e 
delle concessioni, � espressione di un principio generale riconosciuto sia dal diritto dell�Unione che dal-
l�ordinamento nazionale, cio� del principio di auto-organizzazione amministrativa o di autonomia istituzionale, 
in forza del quale gli enti pubblici possono organizzarsi nel modo ritenuto pi� opportuno per 
offrire i loro servizi o per reperire le prestazioni necessarie alle loro finalit� istituzionali; ed invero l�affidamento 
diretto, in house, lungi dal configurarsi come un�ipotesi eccezionale e residuale di gestione 
dei servizi pubblici locali, costituisce una delle normali forme organizzative della stessa, con la conseguenza 
che la decisione di un ente in ordine alla concreta gestione dei servizi pubblici locali, ivi compresa 
quella di avvalersi dell�affidamento diretto, in house, costituisce frutto di una scelta ampiamente discrezionale, 
che deve essere adeguatamente motivata circa le ragioni di fatto e di convenienza che la giustificano 
e che, in quanto tale, sfugge al sindacato di legittimit� del giudice amministrativo, salvo che non 
sia manifestamente inficiata da illogicit�, irragionevolezza, irrazionalit� ed arbitrariet� ovvero non sia 
fondata su di un altrettanto macroscopico travisamento dei fatti�. 



DOTTRINA 195 

Per la prima volta si � giunti a dettare delle disposizioni volte a disciplinare 
l�autoproduzione; il ch� � stato salutato dalla pi� attenta dottrina come la 
prima rilevante novit�, in specie se si considera che la positivizzazione dell�in 
house providing era stata pi� volte �tentata�. Gi� in sede di valutazione della 
direttiva 2004/18/Ce si era discusso in ordine alla possibilit� di introdurre una 
norma che, sotto la rubrica �appalti aggiudicati a entit� costituite da amministrazioni 
aggiudicatrici�, avrebbe dovuto disciplinare l�istituto degli affidamenti 
interni. Malgrado i buoni propositi, non se ne fece nulla e cos� nel testo 
della precedente direttiva appalti non venne inserita nessuna norma all�interno 
della quale fosse possibile riscontrare, anche solo incidentalmente, elementi 
concernenti l�in house providing. Del pari, in ambito nazionale, la Commissione 
incaricata di redigere il testo del precedente Codice degli appalti pubblici 
aveva considerato l�opportunit� di inserire nell�articolato una norma (rubricata 
�affidamenti interni�) che avrebbe disciplinato l�istituto, ma anche questo tentativo 
venne arenandosi. 

Sarebbe sufficiente gi� solo questo per comprendere la portata rivoluzionaria 
delle nuove direttive europee. Ma ovviamente vՏ di pi�. Sebbene nella 
elaborazione delle direttive del 2014 non si fosse mai dubitato della opportunit� 
di codificare l�istituto dell�in house providing, non sono mancate delle discussioni 
quanto al modo in cui codificarlo. Alla tesi (sostenuta dalla 
Commissione europea) secondo la quale l�articolo dedicato all�in house si sarebbe 
dovuto risolvere in una pedissequa riproduzione dei principi elaborati 
dalla giurisprudenza della Corte di giustizia Ue, si � opposta quell�impostazione 
(fortemente sostenuta da alcuni Stati membri) in ossequio alla quale il 
legislatore europeo avrebbe dovuto costruire un nuovo modello di autoproduzione. 
Da tale scontro - come evidenziato da una attenta dottrina - il �modello 
che ne � derivato pu� dirsi di carattere misto, poich� in parte ricognitivo del-
l�esistente e in parte decisamente innovativo� (51). 

Nel testo delle nuove direttive europee non compare mai la locuzione di 
in house providing. Trattasi di un elemento di novit� che non rileva soltanto 
sotto un profilo stilistico, ma, al contrario, si pone in perfetta linea con l�in


(51) CONTESSA C., L�in house providing quindici anni dopo: cosa cambia con le nuove direttive, 
in www.giiustizia-amministrativa.it, 2014, p. 3, dove viene evidenziato, peraltro, che la natura mista del 
nuovo �in house� �ha indotto taluni osservatori a dubitare della stessa legittimit� in parte qua del risultato 
normativo finale. Si � infatti osservato che, in tema di in house providing, le direttive �appalti/concessioni� 
del 2014 si sarebbero ingiustificatamente discostate dalle insuperabili ipotesi eccezionali che 
la Corte di Lussemburgo aveva individuato in modo sostanzialmente tassativo nel corso degli anni, desumendole 
in via diretta dall�applicazione dei principi del Trattato di Roma (secondo un modus operandi 
che il Legislatore europeo derivato non avrebbe potuto a propria volta ulteriormente derogare). Spetter�, 
quindi, alla stessa Corte di giustizia stabilire (nell�ambito del controllo di cui all�articolo 263 del TFUE) 
se le disposizioni delle direttive 2014 in tema di �Appalti pubblici tra enti nell�ambito del settore pubblico� 
risultino invalide per aver superato gli ambiti normativi legittimamente esercitabili in sede di formazione 
europea derivata�. 


tenzione del legislatore europeo di ampliare l�ambito di applicazione dell�istituto 
a nuove fattispecie; nella direttiva appalti riguardanti i settori ordinari si 
parla di �appalti pubblici tra enti nell�ambito del settore pubblico�, in quella 
in materia di appalti nei settori speciali si parla di �appalti tra amministrazioni 
aggiudicatrici� e, ancora, in quella relativa alle concessioni di �concessioni 
tra enti nell�ambito del settore pubblico�. 

Occorre allora domandarsi: quali sono gli elementi di novit� introdotti 
dalle nuove direttive? L�esame di essi deve essere preceduto dalla preliminare 
considerazione che essi possono essere suddivisi in due diversi �blocchi�. 

7. I nuovi requisiti del �controllo analogo� e della �attivit� prevalente� come 
elaborati nelle nuove direttive in materia di appalti e di concessioni: l�influenza 
determinante sugli obiettivi strategici e sulle decisioni significative 
della struttura in house e lo svolgimento di un�attivit� pubblica nella misura 
dell�oltre 80 %. 

Il primo �blocco di novit�� � costituito dalla �positivizzazione integrativa
� dei presupposti alla ricorrenza dei quali pu� dirsi che una persona giuridica 
di diritto pubblico ovvero di diritto privato faccia parte della �casa� della 
pubblica amministrazione. I requisiti del �controllo analogo� e della �attivit� 
prevalentemente svolta in favore dell�ente controllante� sono stati riprodotti 
e contestualmente integrati di aspetti che la giurisprudenza non aveva contemplato. 
In questa prospettiva - a tratti conservativa e ad altri ammodernante - � 
stata dapprima formulata una pi� puntuale definizione del �controllo analogo�, 
successivamente riconosciuta la possibilit� che soggetti privati possano detenere 
partecipazioni nel patrimonio della struttura in house e, infine, � stata fissata 
una soglia quantitativa idonea ad attestare l�esistenza del requisito 
�dell�attivit� prevalente�. 

Il requisito del �controllo analogo� ricorre tutte le volte in cui �l�amministrazione 
aggiudicatrice esercita sulla persona giuridica di cui trattasi un 
controllo analogo a quello da essa esercitato sui propri servizi�. Questa formula 
- in verit� assai ricorrente - � stata arricchita dalle nuove direttive europee 
di ulteriori specificazioni. Dopo essere stato perspicuamente chiarito che una 
pubblica amministrazione esercita su altra persona giuridica un �controllo analogo
� a quello esercitato sui propri servizi soltanto qualora sia in grado di esercitare 
�un�influenza determinante sia sugli obiettivi strategici che sulle 
decisioni significative della persona giuridica controllata�, viene altres� disposto 
che, sempre ai fini del requisito de quo, �nella persona giuridica controllata 
non deve esservi alcuna partecipazione diretta di capitali privati, ad eccezione 
di forme di partecipazione di capitali privati che non comportano controllo o 
potere di veto�. 

A ben vedere, la conformazione del requisito del �controllo analogo�, cos� 
come risultante dalle direttive del 2014, presenta indubbi aspetti di innovazione. 


DOTTRINA 197 

� stato finalmente superato l�annoso dibattito (52) relativo al �se� il controllo 
analogo dovesse intendersi come controllo di tipo �strutturale� ovvero �funzionale
�. Sul punto era infatti venuta consolidandosi una giurisprudenza che, 
ondivagamente, poneva, talvolta, l�accento sul profilo funzionale del �potere 
assoluto di direzione, coordinamento e supervisione dell�attivit� del soggetto 
partecipato� (53) e, tal�altra, sul profilo strutturale del �controllo gestionale e 
finanziario stringente� (54). La circostanza che il contenuto di tale requisito 
sia da identificarsi in un posizione di supremazia dalla quale discende il potere 
di influenzare sia gli �obiettivi strategici� che le �decisioni significative�, lascia 
desumere che il controllo analogo debba essere sia strutturale che funzionale. 

Ulteriore innovazione consiste nell�aver voluto confermare l�esistenza 
del requisito del �controllo analogo� anche in presenza di �partecipazioni di 
capitali privati che non comportano l�attribuzione di poteri di controllo ovvero 
di veto�. Questo � un elemento di assoluta rottura rispetto al passato, ove la 
dottrina e la giurisprudenza erano unanimi nel ritenere che �la sussistenza del 
controllo analogo viene esclusa in presenza di una compagine societaria composta 
anche da capitale privato, essendo necessaria la partecipazione pubblica 
totalitaria; la partecipazione (pure minoritaria) di un�impresa privata al capitale 
di una societ�, alla quale partecipi anche l�amministrazione aggiudicatrice, 
esclude in ogni caso che tale amministrazione possa esercitare su detta societ� 
un controllo analogo a quello che essa svolge sui propri servizi� (55). 

� stato peraltro dipanato ogni dubbio con riferimento all�ammissibilit� 
del �controllo analogo indiretto�, che ricorre nelle ipotesi in cui sussiste 

(52) Per una ricostruzione, sufficientemente esaustiva, del dibattito venuto alimentandosi, soprattutto, 
nell�ambito della giurisprudenza nazionale si v.: CASSATELLA A., Partecipazione �simbolica� alle 
societ� in house e requisito del controllo analogo, in Giur. it., VII, 2014, p. 2588 ss. Diversamente, la 
giurisprudenza della Corte di Giustizia dell�Unione europea ebbe modo di precisare la necessit� che il 
�controllo analogo� comprendesse tanto elementi strutturali quanto elementi funzionali gi� in tempi 
non sospetti; al riguardo, tra le altre, si ricordano: C. Giust. Ue, 13 ottobre 2005, C-458/03, nonch� C. 
Giust. Ue, 11 maggio 2006, C-340/04, in www.curia.europa.eu. 
(53) T.A.R. Lombardia, Milano, Sez. I, 22 marzo 2012, n. 892, in Foro amm. - TAR, p. 693 ss., in 
cui si � stabilito che �nel caso di �in house providing�, in particolare, il requisito del �controllo analogo�, 
idoneo ad escludere la sostanziale terziet� dell�affidatario domestico rispetto al soggetto affidante, � da ritenersi 
sussistente solo in presenza di un potere assoluto di direzione, coordinamento e supervisione del-
l�attivit� del soggetto partecipato da parte dell�ente controllante-affidante, che consenta cio� a quest�ultimo 
di dettare le linee strategiche e di influire in modo effettivo ed immediato sulle decisioni dell�affidatario. 
(54) T.A.R. Sardegna, Cagliari, Sez. I, 21 dicembre 2007, n. 2407, in Foro amm. - TAR, 2008, p. 
3959, ove si � affermato che �le condizioni per ritenere legittimo l�affidamento diretto di un servizio 
pubblico locale ad una societ� appositamente costituita (c.d. in house providing) sono costituite dalla 
sussistenza sia di una partecipazione pubblica totalitaria, sia del c.d. �controllo analogo�, consistente in 
un rapporto equivalente, ai fini degli effetti pratici, ad una relazione di subordinazione gerarchica (quando 
cio� sussiste un controllo gestionale e finanziario stringente dell�ente pubblico sull�ente societario)�. 
(55) T.A.R. Campania, Napoli, Sez. VII, 5 dicembre 2008, n. 21241, in Giur. merito, 2009, pp. 
1378 ss. Oltre che la celebre, e gi� menzionata, Adunanza plenaria del 3 marzo 2008, n. 1, in cui si legge 
che �la sussistenza del �controllo analogo� viene esclusa in presenza di una compagine societaria composta 
anche da capitale privato, essendo necessaria la partecipazione pubblica totalitaria�. 



una pubblica amministrazione che, essendo titolare di una vasta e ramificata 
rete di strutture intermedie controllate, pu� esercitare un�influenza determinante 
sulle entit� in house per il tramite di una delle organizzazioni intermedie. 
Una siffatta forma di controllo, inizialmente esclusa da quella 
giurisprudenza europea secondo la quale �nel considerare il controllo analogo, 
non � sufficiente il fatto che l�ente pubblico abbia sulla societ� aggiudicataria, 
un�influenza indiretta perch� esercitato tramite una holding� 
(56), viene quindi riconosciuta come possibile; nelle nuove direttive si afferma 
infatti che il controllo analogo �pu� anche essere esercitato da una 
persona giuridica diversa, a sua volta controllata allo stesso modo dall�amministrazione 
aggiudicatrice�. 

Il requisito �dell�attivit� prevalentemente svolta in favore dell�ente pubblico
� ha formato oggetto di un intervento novellatore che � giunto sino al 
punto di fissare una precisa quota percentuale. Nelle nuove direttive si � infatti 
affermato che il requisito dell�attivit� prevalente pu� dirsi integrato solo 
quando �oltre l�80 % delle attivit� della persona giuridica controllata siano effettuate 
nello svolgimento dei compiti ad essa affidati dall�amministrazione 
aggiudicatrice controllante o da altre persone giuridiche controllate dall�amministrazione 
aggiudicatrice di cui trattasi�. 

La formula impiegata dal legislatore europeo - � innegabile - si presenta 
come assai fortunata, ponendo fine a non pochi dubbi. La dottrina ha 
rilevato che la prescrizione normativa in questione �oltre a superare quel-
l�orientamento giurisprudenziale secondo cui il secondo requisito Teckal 
poteva dirsi sussistente soltanto laddove l�organismo controllato realizzasse 
in regime di quasi esclusivit�, dal punto di vista quantitativo e qualitativo, 
le proprie attivit� nei confronti dell�Ente conferente, comporta anche il superamento 
del dibattito sul �se� la parte pi� importante dell�attivit� dell�organismo 
in house fosse da riferire alle attivit� svolte nei confronti dell�ente 
conferente ovvero alle attivit� svolte per conto di tale ente, poich� la formulazione 
finale del testo � di un�ampiezza tale da ricomprendere entrambi 
i profili� (57). 

Quanto, poi, ai parametri che l�operatore giuridico � tenuto a considerare 
al fine di stabilire se il requisito �dell�attivit� prevalente� possa dirsi sussistente, 
essi sono stati identificati nel �fatturato totale medio, o in un�idonea 
misura alternativa basata sull�attivit�, quali i costi sostenuti dalla persona giuridica 
o amministrazione aggiudicatrice in questione nei campi dei servizi, 
delle forniture e dei lavori per i tre anni precedenti l�aggiudicazione dell�appalto
�. 

(56) C. Giust. Ue, 11 maggio 2006, C-340/04, in www.curia.europa.eu. 

(57) CONTESSA C., L�in house providing quindici anni dopo: cosa cambia con le nuove direttive, 
cit., p. 14. 


DOTTRINA 199 

8. Le fattispecie di autoproduzione disciplinate nelle nuove direttive in materia 
di appalti e di concessioni: in house verticale ed invertito, in house orizzontale, 
in house frazionato e la cooperazione pubblico-pubblico non 
istituzionalizzata. 

Il secondo �blocco di novit�� concerne l�introduzione di alcune peculiari 
figure di in house providing. Sono state innanzitutto create due possibili modalit� 
organizzative dell�autoproduzione, che la dottrina ha inteso enfatica-
mente ribattezzare come in house verticale ed invertito e come in house 
orizzontale. 

L�in house verticale ed invertito si configura quando in sede di affidamento 
di un appalto o di una concessione viene a registrarsi un capovolgimento 
soggettivo nei ruoli che caratterizzano, tradizionalmente, i rapporti sottesi ad 
un appalto pubblico ovvero ad una concessione: aggiudicatrice o concedente, 
da un parte, e aggiudicataria o concessionaria, dall�altra. 

Nei casi di in house providing verticale ed invertito la commessa pubblica 
non viene affidata dalla pubblica amministrazione controllante alla struttura 
in house, ma, al contrario, � quest�ultima che, assumendo le vesti di stazione 
appaltante, si determina ad affidare (in maniera diretta) alla prima un appalto 

o una concessione. Nelle nuove direttive europee, a proposito di questa fattispecie, 
si � cos� stabilita l�esclusione dalla disciplina vigente in materia di appalti 
pubblici e concessioni �anche quando una persona giuridica controllata 
(cio� la struttura in house) aggiudica un appalto alla propria amministrazione 
aggiudicatrice controllante�. 

� tuttavia evidente che una siffatta ipotesi di autoproduzione si presenta 
come idonea ad arrecare un pesante dubbio in ordine alla sua riconducibilit� 
al fenomeno dell�in house providing. Se corrisponde al vero che l�in house 
pu� dirsi perfettamente integrato soltanto qualora ricorrano i due requisiti del 
�controllo analogo� e della �attivit� prevalentemente pubblica�, � altrettanto 
vero che nella ipotesi di in house verticale ed invertito manca del tutto il requisito 
del controllo analogo. 

Come giustificare, allora, l�inserimento di una tale fattispecie nell�ampio 
fenomeno dell�in house providing? La risposta viene dal dato che l�entit� in 
house (pur ricoprendo il ruolo di aggiudicatrice/concedente) continua a configurarsi 
come un �prolungamento endorganizzativo� asservito, strutturalmente 
e funzionalmente, alla pubblica amministrazione che (pur ricomprendo 
il ruolo di aggiudicataria/concessionaria) rappresenta �l�apparato organizzativo 
dominante� dalla cui sfera di autonomia ha tratto origine, appunto, la 
struttura in house; ci� che equivale ad affermare - molto pi� significativamente 

-che alle modificazioni soggettive dell�in house verticale ed inverso non corrisponde 
nessuna modificazione della titolarit� del potere di controllo, il quale 
rimane una prerogativa della pubblica amministrazione che ha inteso costituire 
una struttura interna alla propria �casa� (58). 


L�in house orizzontale ricorre, invece, quando la struttura interna affida 
un appalto o una concessione ad una persona giuridica soggiogata alla medesima 
pubblica amministrazione, che controlla la struttura interna. Qui si d� 
un�unica pubblica amministrazione controllante e due soggetti in house che, 
controllati dal medesimo soggetto pubblico, hanno la possibilit� di dar vita ad 
un fenomeno di �reciproca trasmigrazione� di appalti e/o di concessione, a 
condizione che nella persona giuridica alla quale viene aggiudicato l�appalto 

o affidata la concessione �non vi sia alcuna partecipazione diretta di capitali 
privati, ad eccezione di forme di partecipazione di capitali privati che non 
comportano controllo o potere di veto prescritte dalle disposizioni legislative 
nazionali, in conformit� dei trattati, che non esercitano un�influenza determinante 
sulla persona giuridica controllata�. 

La fattispecie in parola pone due problemi: al fine della configurabilit� 
dell�in house orizzontale � forse necessario che il controllo analogo venga 
esercitato dalla struttura in house (aggiudicatrice/concedente)? Quale tipo di 
rapporti si instaura tra le due strutture controllate e tra queste e la pubblica 
amministrazione controllante? Le due domande si pongono in rapporto di 
stretta complementariet�, di guisa che dal tipo di risposta che si d� all�una, dipende 
la risposta che potr� essere offerta all�altra. 

Dell�in house orizzontale si � recentemente occupata la giurisprudenza 
europea (59), la quale � giunta ad affermare che il generale fenomeno dell�au


(58) In analogo senso si sono espressi: FO� S. - GRECO D., L�in house providing nelle direttive 
appalti 2014: norme incondizionate e limiti dell�interpretazione conforme, in www.federalismi.it, 2015, 
i quali hanno affermato che �la giustificazione a tale possibilit� di affidamento diretto si troverebbe nel 
fatto che, essendo la controllata un�appendice dell�amministrazione aggiudicatrice al quale viene affidato 
direttamente il contratto, si pu� ritenere che ci si trovi comunque in una mera forma di delegazione interorganica, 
bench� opposta a quella tradizionale�. 
(59) C. giust. Ue, 8 maggio 2014, C-15/13, in www.curia.europa.eu, la cui massima � cos� sintetizzabile: 
�L�articolo 1, paragrafo 2, lettera a), della direttiva 2004/18/CE del Parlamento europeo e del 
Consiglio, del 31 marzo 2004, relativa al coordinamento delle procedure di aggiudicazione degli appalti 
pubblici di lavori, di forniture e di servizi, deve essere interpretato nel senso che un contratto avente ad 
oggetto la fornitura di prodotti, concluso tra, da un lato, un�Universit� che � un�amministrazione aggiudicatrice 
ed � controllata nel settore delle sue acquisizioni di prodotti e servizi da uno Stato federale tedesco 
e, dall�altro, un�impresa di diritto privato detenuta dallo Stato federale e dagli Stati federali 
tedeschi, compreso detto Stato federale, costituisce un appalto pubblico ai sensi della medesima disposizione 
e, pertanto, deve essere assoggettato alle norme di aggiudicazione di appalti pubblici previste 
da detta direttiva�. 
La vicenda riguardava un�ipotesi di affidamento diretto di un appalto di forniture da parte di un ateneo 
universitario della Citt� di Amburgo in favore di una societ� tedesca. Bench� tra l�Universit� (aggiudicatrice) 
e la societ� (aggiudicataria) non vi era alcun rapporto di controllo, la Citt� di Amburgo controllava, 
assieme alla Repubblica federale di Germania e ad altri Stati federati tedeschi, sia l�Universit� che 
la societ�. La Corte di giustizia europea, investita delle quaestio iuris, ha escluso che la fattispecie 
potesse integrare un�ipotesi di in house orizzontale per via del fatto che il controllo esercitato dalla Citt� 
di Amburgo sull�ateneo universitario si estende solo su una parte dell�attivit� di quest�ultima. Pertanto, 
essendo in presenza di una in una situazione di �controllo parziale� non � configurabile il controllo analogo 
proprio dell�in house orizzontale, venendo meno la possibilit� di determinare (tutti) gli obiettivi 
strategici e (tutte) le decisioni significative del soggetto controllato. 



DOTTRINA 201 

toproduzione sussiste anche nelle ipotesi in cui la pubblica amministrazione 
decida di procedere alla cura concreta di interessi pubblici avvalendosi non 
gi� di un sola struttura organizzativa interna, quanto piuttosto di due. 

Ci� posto, quanto al primo quesito si � dell�avviso che il controllo analogo 
(come emerge dalla lettera della norma) debba essere esercitato soltanto dalla 
pubblica amministrazione controllante e che, peraltro, debba configurarsi 
come un controllo �totale e non limitato soltanto ad alcune delle attivit� svolte 
dai soggetti controllati�. Una tale considerazione � rafforzata dal fatto che il 
tratto maggiormente caratterizzante dell�in house providing risiede in ci� che 
il rapporto che si instaura tra la p.a. e l�articolazione organizzativa interna (sia 
essa una ovvero pi� di una) non pu� considerarsi come un �incontro di due 
volont� autonome, rappresentative di interessi e strategie negoziali distinte� 
(60), venendo piuttosto a crearsi una stretta relazione di �immedesimazione 
organica� dalla quale discende l�esistenza di un unico centro decisionale facente 
capo all�amministrazione controllante che, perci� tale, � idoneo a rendere 
tutte le singole manifestazioni di volont� delle strutture in house come mere 
proiezioni/riproduzioni di una volont� formatasi in una sede strategicamente 
diversa rispetto a quella degli organi decisionali di cui l�organigramma delle 
articolazioni domestiche risulta essere dotato. 

Ammettere, per assurdo, che il controllo analogo debba essere esercitato 
dalla struttura in house che affida l�appalto o la concessione, equivarrebbe a 
negare l�esistenza stessa dell�in house providing; cos� facendo si ammetterebbero 
due autonomi centri di volont� (quello della pubblica amministrazione 
controllante e quello della struttura in house affidante) che, per l�effetto, traccerebbe 
un�inconcepibile scissione di quel collegamento �uno e trino� che 
deve necessariamente esistere tra l�amministrazione controllante, la struttura 
controllata che affida la commessa pubblica e la struttura controllata che si 
vede affidare l�appalto o la concessione. 

Con riferimento al secondo quesito non � condivisibile quell�orientamento 
dottrinale per il quale la �particolarit� dell�in house orizzontale risiederebbe 
proprio nel fatto che il compito di interesse pubblico verrebbe assolto 
attraverso un affidamento diretto tra detti enti controllati, del quale l�amministrazione 
controllante non risulterebbe parte; un legame, quello sussistente tra 
i due enti contraenti, che in quanto mediato da un terzo soggetto controllante, 
risulta pi� tenue rispetto a quello esistente in un affidamento in house di tipo 
verticale� (61). 

La circostanza - come sՏ detto - che anche nell�in house providing orizzontale 
esista un unico centro decisionale facente capo alla pubblica amministrazione 
controllante fa in modo che il rapporto che si instaura tra le due 

(60) COMBA M. - TREUMER S., The in house providing in european law, Copenhagen, 2010, p. 35. 
(61) PESCATORE G., L�inedito modello dell�in house orizzontale, in www.treccani.it, 2015. 



strutture controllate veda come �parte formale� la struttura controllata che 
affida l�appalto o la concessione e come �parte sostanziale� la pubblica amministrazione 
controllante; questa, infatti, nell�esercitare un identico �controllo 
analogo� su entrambe le strutture domestiche � senz�altro titolare di un�incontrastabile 
potere di influenza. � la pubblica amministrazione controllante che 
pu� decidere se consentire alle strutture in house di dar luogo al cennato fenomeno 
della �trasmigrazione reciproca di appalti e/o di concessioni� oppure 
scegliere di creare una nuova struttura coinvolta in un rapporto di in house 
verticale o, ancora, di fare ricorso al mercato mediante l�indizione di una gara 
pubblica. Diversamente argomentando non si vede in che cosa consisterebbe 
il requisito del �controllo analogo�; non � pensabile che l�influenza determinante 
esercitata dalla pubblica amministrazione sulle strutture in house sia 
transeunte e temporalmente limitata, cos� che le strutture in house, una volta 
dotate di quel primo soffio vitale, potrebbero atteggiarsi a �creature prometeiche
� capaci di sfuggire alle linee direttrici della p.a. 

Un�altra forma di in house providing introdotta dalle nuove direttive � 
quella dell�in house frazionato o pluripartecipato. Bench� con riferimento al 
requisito �dell�attivit� prevalente�, l�in house frazionato non differisce dalla 
tradizionale figura dell�autoproduzione, poich� anche in questa ipotesi � richiesto 
che �oltre l�80 % delle attivit� di tale persona giuridica controllata siano 
effettuate nello svolgimento dei compiti ad essa affidati dalle amministrazioni 
aggiudicatrici controllanti o da altre persone giuridiche controllate dalle amministrazioni 
aggiudicatrici� e che �nella persona giuridica controllata non vi 
sia alcuna partecipazione diretta di capitali privati, ad eccezione di forme di 
partecipazione di capitali privati che non comportano controllo o potere di 
veto�, lo stesso se ne differenzia quanto al requisito del �controllo analogo�. 

Difatti, questo si considera perfezionato tutte le volte in cui una pubblica 
amministrazione, non essendo in grado (da sola) di esercitare �un�influenza 
determinante sia sugli obiettivi strategici che sulle decisioni significative� 
della struttura in house, si avvale delle partecipazioni detenute nella struttura 
controllata da altre pubbliche amministrazioni. Giacch� il requisito del �controllo 
analogo� si presenta �contaminato� dalla presenza di una pluralit� di 
centri decisionali, non sono mancati quanti hanno inteso qualificare tale fattispecie 
di autoproduzione nei termini di �quasi in house� (62). 

(62) In questo senso si espresso CONTESSA C., L�in house providing quindici anni dopo: cosa cambia 
con le nuove direttive, cit., p. 3, il quale, nel soffermarsi sulla ragione che ha indotto il legislatore 
europeo a non impiegare, espressamente, la locuzione in house providing, la individua nella circostanza 
che, cos� facendo, ha fatto in modo di ricomprendere nell�istituto �sia il fenomeno dell�in house providing 
in senso proprio; sia ipotesi che possono essere definite come di �quasi-in house� (come nel caso 
del c.d. �in house frazionato� o del �controllo analogo congiunto� di cui al paragrafo 3); sia - e pi� in generale 
- ulteriori forme di cooperazione fra amministrazioni pubbliche che non comportano l�istituzione 
di un organismo gestionale ad hoc (si tratta della c.d. �cooperazione pubblico-pubblico�)�. 


DOTTRINA 203 

L�esistenza di una pluralit� di pubbliche amministrazioni che soltanto 
congiuntamente sono in grado di influenzare in modo determinate le scelte 
strategiche della struttura in house induce a ritenere che nessuna di quelle pubbliche 
amministrazioni pu� dirsi, effettivamente, collocata in una posizione 
di supremazia. La struttura e le attivit� dell�organizzazione in house potranno 
essere influenzate soltanto qualora vi sia comunione d�intenti tra una moltitudine 
di autonomi centri decisionali facenti capo ad una pluralit� di pubbliche 
amministrazioni controllanti; circostanza che viene palesandosi se si tiene 
conto che le pubbliche amministrazioni, per giungere alla costituzione di una 
organizzazione in house, � necessario che convengano di stipulare un contratto, 
un accordo o una convezione, il contenuto dei quali deve regolare, in modo 
quanto pi� puntuale ed esaustivo, i principali aspetti organizzativi e funzionali 
della struttura interna alla �casa�. 

La riscontrabilit� di incertezze e/o di insufficienze contenutistiche del-
l�atto convenzionale dal quale trae origine la struttura in house � senz�altro 
idonea a giustificare delle pronunce giurisdizionali con le quali venga dichiarata 
l�inesistenza di un modello organizzativo riconducibile alla figura dell�in 
house. Beninteso: la questione non � meramente teorica. 

Allorch� dall�atto costitutivo di una struttura deputata all�autoproduzione 
non sia possibile desumere la ripartizione delle partecipazioni sociali tra i soggetti 
controllanti, potrebbero registrarsi delle pregiudizievoli ricadute economiche 
sugli equilibri della finanza pubblica. 

Si pu� pensare, ad esempio, alla ipotesi in cui la pluralit� di soggetti controllanti 
si determinano ad affidare - senza previa indizione di una gara - una 
commessa pubblica alla struttura in house, dal cui atto costitutivo non � consentito 
comprendere quale sia la misura delle partecipazioni sociali ripartite tra 
la pluralit� di amministrazioni controllanti. D�un tratto, per�, uno dei soggetti 
controllanti, ritenendo che fosse pi� ragionevole procedere ad una gara ai fini 
dell�affidamento della commessa, e rivendicando la titolarit� di una partecipazione 
sociale maggioritaria, deduce l�inesistenza del suo consenso all�affidamento 
diretto alla �struttura domestica� e, quindi, la invalidit� della decisione 
adottata dagli altri soggetti controllanti, per difetto del quorum deliberativo. 

Nel giudizio instauratosi a seguito del ricorso proposto dal soggetto controllante 
interverranno, plausibilmente, ai sensi dell�art. 50 c.p.a. (63), le imprese 
operanti nel settore in cui la commessa � stata affidata in maniera diretta 
alla struttura in house, poich� �ogni impresa operante in un determinato settore 
ha un interesse tutelato a contestare la scelta della pubblica amministrazione 

(63) T.A.R. Campania, Napoli, Sez. VII, 7 gennaio 2015, n. 22, in www.giustizia-amministrativa.it, 
nella cui motivazione si legge che �nel processo amministrativo, chiunque abbia interesse in base all�art. 
28 comma 2, c.p.a. e non sia decaduto dall�esercizio delle relative azioni, pu� intervenire in giudizio 
nei termini e con le forme previste dall�art. 50 c.p.a., accettando lo stato e il grado di giudizio in cui si 
trova�. 


di non procedere all�indizione di una procedura di gara pubblica a tutela del 
principio della libera concorrenza e del criterio di effettivit� del diritto alla tutela 
giurisdizionale� (64). 

Verrebbe quindi instaurandosi un processo plurisoggettivo al termine del 
quale potrebbero registrarsi una pluralit� di conseguenze, quali: a) l�annullamento 
del provvedimento di affidamento diretto; b) lo stallo dell�azione amministrativo 
e, quindi, la possibilit� delle imprese di pretendere l�indennizzo 
da mero ritardo ex art. 2-bis, comma 1-bis, L. n. 241/90, in quanto tale stallo 
si sarebbe potuto evitare se solo i soggetti controllanti avessero, ad initio, indetto 
una gara pubblica; c) la possibilit� per gli utenti (se la commessa pubblica 
riguarda servizi) di avanzare pretese risarcitorie tese ad ottenere la riparazione 
dei danni causati dalla tardiva attivazione di un servizio pubblico. 

Quel che � certo � che, nonostante l�in house frazionato si presenta come 
istituto di dubbia natura, una certa dottrina, evidenziandone l�utilit� nell�ambito 
dei servizi pubblici, ha affermato che �l�accorto ricorso alla figura delle 
societ� di gestione cc.dd. pluripartecipate potr� rappresentare uno strumento 
strategico per il conseguimento degli obiettivi di razionalizzazione della gestione 
e di individuazione degli ambiti o bacini territoriali omogenei che presiede 
all�attuale - sintetica - disciplina di settore. Tale modalit� organizzativa 
e gestionale potr� anche contribuire ad individuare un adeguato punto di equilibrio 
fra diversi elementi difficilmente riconducibili ad unit�, fra cui: i) l�esigenza 
di offrire servizi pubblici di qualit� a bacini di utenza adeguatamente 
dimensionati; ii) l�esigenza di razionalizzare le forme di gestione e i relativi 
costi, evitando le inevitabili duplicazioni connesse alla moltiplicazione dei 
soggetti gestori; iii) l�esigenza di agire comunque nell�ambito di regole certe 
al livello comunitario, sfruttando nel modo pi� adeguato i principi e le disposizioni 
in tema di cc.dd. cooperazioni pubblico-pubblico� (65). 

Da ultimo, le nuove direttive europee contemplano una peculiare forma 
di collaborazione tra pubbliche amministrazioni: la cooperazione orizzontale 
ovvero cooperazione pubblico-pubblico non istituzionalizzata (66). Nelle di


(64) Cons. St., Sez. V, 14 novembre 2008, n. 5693, in Guida al dir., 2009, pp. 103 ss., ove viene 
altres� specificato che �l�assenza di indizione di una procedura di evidenza pubblica viene a ledere, infatti, 
l�interesse sostanziale di ciascun imprenditore operante sul libero mercato a competere, secondo 
pari opportunit�, ai fini dell'ottenimento di commesse da aggiudicarsi secondo le prescritte procedure. 
N� risulta necessario che l�impresa del settore ricorrente dimostri di possedere tutti i requisiti tecnici e 
finanziari occorrenti per partecipare alla gara, risultando l�interesse fatto valere indirizzato a censurare 
la soluzione organizzativa adottata e non gi� a riportarne l�aggiudicazione, atteso che con l�accoglimento 
del ricorso viene soddisfatto l�interesse strumentale tendente alla rimessa in discussione del rapporto 
controverso e alla possibilit� di partecipare alla gara per l�affidamento dei lavori, servizio o fornitura, 
nella cui futura ed eventuale sede l�amministrazione potr� verificare se l�impresa possiede in concreto 
i requisiti per prendervi parte�. 
(65) CONTESSA C., L�in house providing quindici anni dopo: cosa cambia con le nuove direttive, 
cit., p. 18. 



DOTTRINA 205 

rettive � consentito leggere che �un contratto concluso esclusivamente tra due 

o pi� amministrazioni aggiudicatrici non rientra nell�ambito di applicazione 
della presente direttiva, quando sono soddisfatte tutte le seguenti condizioni: 
a) il contratto stabilisce o realizza una cooperazione tra le amministrazioni aggiudicatrici 
partecipanti, finalizzata a garantire che i servizi pubblici che esse 
sono tenute a svolgere siano prestati nell�ottica di conseguire gli obiettivi che 
esse hanno in comune; b) l�attuazione di tale cooperazione � retta esclusivamente 
da considerazioni inerenti all�interesse pubblico; e c) le amministrazioni 
aggiudicatrici partecipanti svolgono sul mercato aperto meno del 20 % delle 
attivit� interessate dalla cooperazione�. 

L�ipotesi cooperativa rappresenta una fattispecie ontologicamente diversa 
rispetto all�in house providing, tantՏ che potrebbe essere sindacata - sotto un 
profilo stilistico e topografico - la scelta del legislatore europeo di giungere a 
disciplinare il partenariato pubblico-pubblico nell�ambito dell�in house. 

Il principale elemento di discrimine tra l�in house providing e il partenariato 
pubblico-pubblico � rinvenibile nell�esistenza di una struttura organizzativa 
ad hoc soltanto nel primo caso. Mentre l�in house providing presuppone 
che le amministrazioni controllanti provvedano alla creazione di una struttura 
organizzativa che, nonostante sia parte integrante della �casa�, deve considerarsi 
soggettivamente distinta rispetto ai soggetti controllanti, il fenomeno 
della cooperazione orizzontale non postula, al contrario, la creazione di un apposita 
struttura. 

Quest�ultimo si limita a richiedere la stipulazione di un �contratto� tra 
pubbliche amministrazioni, al fine di regolare la erogazione di un servizio pubblico 
strumentale al conseguimento di obbiettivi comuni a tutte le amministrazioni 
contraenti; ci� che si pone in linea con l�insegnamento della 
giurisprudenza europea in ossequio al quale �il diritto comunitario non impone 
alle autorit� pubbliche di utilizzare una particolare forma giuridica per assicurare 
lo svolgimento in comune delle funzioni di servizio pubblico, in quanto 
l�attuazione di tale cooperazione � retta unicamente da considerazioni e prescrizioni 
connesse al perseguimento di obiettivi d�interesse pubblico� (67). 

Orbene, la regola della procedura di evidenza pubblica non trova applicazione 
nelle ipotesi di partenariato pubblico-pubblico: le pubbliche amministrazioni 
che intendano dare vita ad una forma di partenariato (non 
istituzionalizzato) non sono tenute a selezionare le altre pubbliche amministrazioni 
interessate alla stipulazione di una simile contratto, previa indizione 
di una gara pubblica. 

Nel diritto privato - � noto - il buon esito di una trattativa negoziale � de


(66) VOLPE C., L�affidamento in house. Questioni aperte sulla disciplina applicabile, in 
www.giustamm.it, 2014, p. 15. 

(67) C. Giust. UE, 9 giugno 2009, C-480/06, in www.curia.europa.eu. 


terminato, anche, da taluni imprevedibili fattori empirici che, sebbene non 
siano contemplati dalla legge, possono talora rivelarsi di cruciale importanza: 
suggestioni, ambizioni, impressioni, simpatie ed alchimie. Tutto questo non 
accade allorch� le parti contraenti siano pubbliche amministrazioni, non foss�altro 
che se i soggetti incaricati di rappresentare le pubbliche amministrazioni 
sono tenuti a valutare degli elementi rigidamente predeterminati dal legislatore. 
Ecco che allora non sorprende che anche per la cooperazione orizzontale 
tra pubbliche amministrazioni siano stati puntualmente individuati gli elementi 
che debbono sussistere affinch� possa essere giustificato il mancato ricorso 
alla gara pubblica. 

� necessario, infatti, che il contratto tra le pubbliche amministrazioni sia 
funzionalmente orientato a garantire l�erogazione di un servizio pubblico idoneo 
ad assicurare il conseguimento di obbiettivi comuni. Inoltre la cooperazione deve 
trovare la sua ratio giustificatrice un interesse pubblico, di guisa che le amministrazioni 
contraenti non possono pretendere di stipulare un contratto di cooperazione 
con la finalit�, principale o prevalente, di conseguire un massimizzazione 
dei profitti; poich� risulterebbe impedita, ristretta o falsata la concorrenza per il 
mercato, il contratto di cooperazione potrebbe essere colpito dalla nullit� prevista 
per le intese di cui all�art. 2 della L. 10 ottobre 1990, n. 287. 

Normativa antitrust che � senz�altro applicabile anche alle pubbliche amministrazioni, 
come riprovato da quell�orientamento interpretativo dell�Autorit� 
Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM), il quale nello 
stabilire che, �laddove venga accertato che un atto della pubblica amministrazione 
di particolare rilevanza economica sia illegittimo per violazione delle 
norme comunitarie e nazionali a tutela della concorrenza, l�AGCM ha la legittimazione 
ad impugnarlo davanti agli organi della giustizia amministrativa, 
avvalendosi dell�Avvocatura dello Stato� (68), ha indotto il legislatore ad introdurre 
l�art. 21 bis, della L. n. 287/90, ai sensi del quale �l�Autorit� garante 
della concorrenza e del mercato � legittimata ad agire in giudizio contro gli 
atti amministrativi generali, i regolamenti ed i provvedimenti di qualsiasi amministrazione 
pubblica che violino le norme a tutela della concorrenza e del 
mercato� (69). Trattasi di una norma che �rivela la volont� del legislatore di 

(68) AGCM (AS659), Proposte di riforma concorrenziale ai fini della legge annuale per il mercato 
e la concorrenza, in www.agcm.it, 2010, p. 10. 
(69) L�art. 35 della L. 22 dicembre 2011, n. 214 ha inserito, nella L. n. 287/90, l�art. 21-bis (rubricato: 
Poteri dell�Autorit� garante della concorrenza e del mercato sugli atti amministrativi che determinano 
distorsioni della concorrenza), il quale dispone che: �1. L�Autorit� garante della concorrenza e 
del mercato � legittimata ad agire in giudizio contro gli atti amministrativi generali, i regolamenti ed i 
provvedimenti di qualsiasi amministrazione pubblica che violino le norme a tutela della concorrenza e 
del mercato. 2. L�Autorit� garante della concorrenza e del mercato, se ritiene che una pubblica amministrazione 
abbia emanato un atto in violazione delle norme a tutela della concorrenza e del mercato, 
emette, entro sessanta giorni, un parere motivato, nel quale indica gli specifici profili delle violazioni 
riscontrate. Se la pubblica amministrazione non si conforma nei sessanta giorni successivi alla comuni



DOTTRINA 207 

valorizzare la tradizionale funzione consultiva e di segnalazione (c.d. competition 
advocacy) attribuita ab origine all�AGCM. La legittimazione ad agire 
innanzi al giudice amministrativo conferisce, infatti, a tale funzione (in passato, 
mera espressione di un�opinione dell�Autorit�, ancorch� suscettibile di 
effetti di moral suasion, sull�esistenza di situazioni distorsive della concorrenza 
derivanti da norme di legge, di regolamento o provvedimenti amministrativi) 
veri e propri effetti costitutivi, sia pure conseguibili in via mediata 
attraverso lo scrutinio giurisdizionale. � in ragione di tale correlazione che 
l�iniziativa dell�Autorit� deve essere necessariamente preceduta da un�attivit� 
amministrativa procedimentalizzata, essendo il procedimento paradigma comune 
sia alle autorit� amministrative tradizionali che indipendenti. Come nel 
settore delle intese e degli abusi di posizione dominante - in cui l�Autorit� 
possiede autonomi poteri di enforcement (decisori e di sanzione) - l�Autorit� 

cazione del parere, l�Autorit� pu� presentare, tramite l�Avvocatura dello Stato, il ricorso, entro i successivi 
trenta giorni. 3. Ai giudizi instaurati ai sensi del comma 1 si applica la disciplina di cui al Libro 
IV, Titolo V, del decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104�. 
In dottrina, sull�art. 21 bis della L. n. 287 90, tra i diversi contributi, si rinvia a: ARENA F., Atti amministrativi 
e restrizioni della concorrenza: i nuovi poteri dell�autorit� antitrust italiana, contributo per la 
X edizione del Convegno �Antitrust fra Diritto Nazionale e Diritto dell�Unione Europea�, Treviso, 1718 
maggio 2012, in www.giustizia-amministrativa.it, 2012; CINTIOLI F., Osservazioni sul ricorso giurisdizionale 
dell�Autorit� garante della concorrenza e del mercato (art. 21 bis della legge n. 287 del 
1990), in www.federalismi.it, 2012; PECCHIOLI N., �Teologia della concorrenza� o crisi di cooperazione? 
Note critiche sulla legittimazione dell'Autorit� Garante della Concorrenza e del Mercato ad impugnare 
atti amministrativi e regolamenti, in www.giustamm.it, 2012; URBANO G., I nuovi poteri processuali 
delle Autorit� Indipendenti, in Giorn. dir. amm., X, 2012, pp. 1022 ss.; CIFARELLI R., Verso un nuovo 
protagonismo delle Autorit� Indipendenti? Spunti di riflessione intorno all'art. 21-bis della legge n. 287 
del 1990, in www.amministrazioneincammino.luiss.it, 2012; POLITI R., Ricadute processuali a fronte 
dell'esercizio dei nuovi poteri rimessi all�AGCM ex art. 21-bis della l. 287/1990. Legittimazione al ricorso 
ed individuazione dell'interesse alla sollecitazione del sindacato. Ovvero: prime riflessioni sul 
nuovo protagonismo processuale dell'autorit� antitrust, tra il Minosse di Dante ed il giudice di De 
Andr�, in www.federalismi.it, 2012; SATTA F., Intorno alla legittimazione dell�Autorit� Garante della 
concorrenza e del mercato a chiamare in giudizio pubbliche amministrazioni, in www.apertacontrada.it, 
2012; DE BENEDETTO M., Le liberalizzazioni e i poteri dell�Agcm, in Giorn. dir. amm., III, 2012, pp. 
236 ss.; GHENGHI F., L�attivit� di segnalazione e consultiva dell�Autorit� garante della concorrenza e 
del mercato: inquadramento generale, attivit� di coordinamento amministrativo e normativo della Presidenza 
del Consiglio dei Ministri, casi pratici, in www.amministrativ@mente.com, 2012; GIOVAGNOLI 
R., Atti amministrativi e tutela della concorrenza. Il potere di legittimazione a ricorrere dell�AGCM 
nell�art. 21-bis legge n. 287/1990, in www.giustamm. it, 2012; ID., Ricadute processuali a fronte del-
l'esercizio dei nuovi poteri rimessi all'AGCM ex art. 21-bis della legge 287/1990. Legittimazione al ricorso 
ed individuazione dell'interesse alla sollecitazione del sindacato, in www.giustamm.it, 2012; 
SANDULLI M.A., Introduzione a un dibattito sul nuovo potere di legittimazione al ricorso dell�AGCM 
nell�art. 21 bis l. n. 287 del 1990, in www.federalismi.it, 2012. ID., Il problema della legittimazione ad 
agire in giudizio da parte delle autorit� indipendenti, Relazione al Convegno �Le Autorit� Amministrative 
Indipendenti. Bilancio e prospettive di un modello di vigilanza e regolazione dei mercati�, tenutosi 
a Roma, Palazzo Spada, il 28 febbraio 2013, in www.astrid-online.it, 2013; GOISIS F., Il potere di iniziativa 
dell�Autorit� garante della concorrenza e del mercato ex art. 21-bis l. 287 del 1990: profili sostanziali 
e processuali, in Dir. proc. amm., II, 2013, pp. 471 ss.; D�URBANO A., Il nuovo potere di 
legittimazione a ricorrere dell�Agcm al vaglio del giudice amministrativo. (Nota alla sentenza non definitiva 
del TAR Lazio, Sez. III - ter, 15 marzo 2013 n. 2720), in www.federalismi.it, 2013. 


agisce in contraddittorio con le imprese, cos� � logico ritenere che, nei confronti 
degli eventuali abusi di potere regolatorio e/o provvedimentale, compiuti 
da soggetti pubblici ad essa pariordinati (siano essi espressione dello 
Stato - apparato, ovvero come pure � possibile altre autorit� indipendenti), vi 
sia una medesima esigenza di procedimentalizzazione, attraverso cui l�AGCM 
contestualizza e concretizza la propria valutazione circa la regola giuridica 
da applicare al caso concreto. In tal modo, essa concorre direttamente alla formazione 
e al mantenimento di un complessivo quadro legale atto a favorire 
le dinamiche della concorrenza� (70). 

Nell�ambito del menzionato art. 21 bis pu� farsi rientrare anche la costituzione 
di una forma di partenariato pubblico-pubblico. L�esplicito richiamo 
che la norma in parola fa agli atti amministrativi generali, ai regolamenti e ai 
provvedimenti amministrativi non deve indurre a pensare di poter escludere 
il contratto di partenariato pubblico-pubblico dai possibili �fatti distorsivi della 
concorrenza�. La norma in esame, bench� nel suo comma 1 faccia richiamo 
agli atti amministrativi generali, ai regolamenti e ai provvedimenti amministrativi, 
nel successivo capoverso (cos� come anche nella sua rubrica) fa un 
pi� ampio riferimento agli atti amministrativi adottati in violazione delle 
norme a tutela della concorrenza e del mercato; una circostanza idonea a di-
svelare l�intenzione del legislatore di ricomprendere nel novero dei �fatti pubblici� 
distorsivi del libero gioco della concorrenza qualsiasi �tipo di 
manifestazione dell�azione amministrativa�. 

(70) T.A.R., Lazio, Roma, Sez. II, 6 maggio 2013, n. 4451, in Foro amm. - TAR, 2013, pp. 1562 
ss. Per quanto possa rilevare in questa sede, si ritiene inoltre opportuno segnalare la pronuncia del Supremo 
Consesso della giustizia amministrativa con la quale sono state chiarite le specifiche caratteristiche 
della procedura che sovraintende alla legittimazione processuale dell�AGCM ad impugnare le manifestazioni 
dell�attivit� amministrativa idonee ad alterare il libero gioco della concorrenza. Appunto, in 
Cons. St., Sez. V, 30 aprile 2014, n. 2246, in Foro amm. - CDS, 2014, pp. 1089 ss., si stabilisce che �ai 
sensi dell�art. 21 bis, l. 10 ottobre 1990 n. 287, aggiunto dall�art. 35 comma 1 d.l. 6 dicembre 2011 n. 
201, conv. con modificazioni dalla l. 22 dicembre 2011 n. 214, il potere dell�Autorit� garante della concorrenza 
e del mercato di agire in giudizio contro gli atti amministrativi generali, i regolamenti e i provvedimenti 
amministrativi da essa ritenuti lesivi della libert� di concorrenza e mercato deve essere 
necessariamente preceduto, a pena di inammissibilit�, da una fase precontenziosa caratterizzata dal-
l�emanazione, da parte sua, di un parere motivato rivolto alla p.a. nel quale sono segnalate le violazioni 
riscontrate e indicati i rimedi per eliminarli e ripristinare il corretto funzionamento della concorrenza e 
del mercato; la funzione di detto parere motivato � duplice: sollecitare la p.a. a rivedere le proprie determinazioni 
e a conformarsi agli indirizzi dell�Autorit�, mediante uno speciale esercizio del potere di 
autotutela giustificato dalla particolare rilevanza dell�interesse pubblico in gioco, in tal modo auspicando 
che la tutela di quest�ultimo sia assicurata innanzitutto all�interno della stessa p.a. e restando il ricorso 
all�Autorit� giudiziaria amministrativa extrema ratio, non essendo l�Autorit� dotata di poteri coercitivi 
nei confronti dell�amministrazione pubblica; d�altro canto, la fase precontenziosa e il relativo parere, in 
coerenza con i principi comunitari, sono stati ragionevolmente concepiti anche come significativo strumento 
di deflazione del contenzioso, potendo ammettersi che il legislatore guardi con disfavore le situazioni 
in cui due soggetti pubblici si rivolgano direttamente ed esclusivamente al giudice per la tutela 
di un interesse pubblico�. 


DOTTRINA 209 

9. La �forma giuridica� dell�in house providing prima e dopo l�adozione delle 
direttive europee. Societ� in mano pubblica, fondazioni pubbliche e associazioni 
no profit. 

Le direttive europee del 2014 hanno introdotto delle interessanti novit� 
anche per quanto concerne la forma giuridica delle strutture in house. I dati 
statistici offerti dalla prassi amministrativa italiana confermano che la pubblica 
amministrazione ha di gran lunga manifestato una predilezione per il modello 
societario: le strutture in house presentato, nella quasi totalit� dei casi, la forma 
giuridica della societ� (71). 

Il sistema economico nazionale risulta caratterizzato da una massiccia ed 
imperante presenza di operatori economici aventi una natura (parzialmente 
ovvero totalmente) pubblica: nel primo caso si avranno le c.d. societ� miste, 
mentre nel secondo le societ� in house. Nell�intento di comprendere la effettiva 
portata della presenza delle pubbliche amministrazione nel mercato � stato di 
recente rilevato che �da un�analisi dei dati contenuti nella relazione Istat 2015, 
attualmente ci sono 7.757 organismi attivi (anche diversi dalle societ�) a partecipazione 
pubblica, con un totale di 953.100 impiegati. Di questi organismi, 
circa 5.000 sono societ� a partecipazione pubblica (con netta prevalenza delle 
societ� partecipate da enti territoriali), con un numero complessivo di impiegati 
intorno alle 500.000 unit�. Avendo riguardo alle sole societ� partecipate 
dagli enti territoriali, la relazione della Corte dei Conti per l�anno 2015 individua 
circa 3.000 societ� che svolgono attivit� strumentali, a fronte di altre 

1.700 che svolgono attivit� di servizio pubblico. Inoltre, la stessa relazione 
segnala che: sono 988 le societ� con numero di addetti inferiore ai membri del 
consiglio di amministrazione; 2.479 le societ� con numero di addetti inferiore 
a 20; 1.600 le societ� con valore della produzione inferiore al milione di euro; 

(71) Per un�ampia panoramica dottrinale sulle societ� pubbliche si rinvia a: VISENTINI G., Partecipazioni 
pubbliche in societ� di diritto comune e di diritto speciale, Milano, 1979; MARAS� G., Le �societ�� 
senza scopo di lucro, Milano, 1984; ID., voce Societ� speciale e societ� anomale, in Enc. giur. 
Treccani, XXIX, Roma, 1993; CIRENEI M.T., Le societ� a partecipazione pubblica, in COLOMBO G.E. PORTALE 
G.B. (a cura di), Trattato delle s.p.a., Torino, 1992; IBBA C. Le societ� legali, Torino, 1992; 
ID., Le societ� a partecipazione pubblica locale fra diritto comune e diritto speciale, in Riv. dir. priv., 
II, 1999, pp. 22 ss.; SCOCA F.G., Il punto sulle c.d. societ� pubbliche, in Dir. econ. (Il), II, 2005, pp. 239 
ss.; PIZZA P., Le societ� per azioni di diritto singolare tra partecipazioni pubbliche e nuovi modelli organizzativi, 
Milano, 2007; CAMMELLI M. - DUGATO M., Lo studio delle societ� a partecipazione pubblica: 
la pluralit� dei tipi e le regole del diritto privato. Una premessa metodologica e sostanziale, in AA.VV. 
(a cura di), Studi in tema di societ� a partecipazione pubblica, Torino, 2008; DE NICTOLIS R. - CAMERIERO 
L., Le societ� pubbliche in house e miste, Milano, 2008; GR�NER G., Enti pubblici a struttura di s.p.a. 

-Contributo allo studio delle societ� �legali� in mano pubblica di rilievo nazionale, Torino, 2009; DEMURO 
I., Societ� con partecipazione dello Stato o di enti pubblici, in COTTINO G. - BONFANTE G. - CAGNASSO 
O. - MONTALENTI P. (a cura di) Il nuovo diritto societario nella dottrina e nella giurisprudenza: 
2003-2009, Bologna, 2009, pp. 878 ss.; CLARICH M., Le societ� partecipate dallo Stato e dagli enti 
locali fra diritto pubblico e diritto privato, in GUERRERA F. (a cura di), Le societ� a partecipazione pubblica, 
Torino, 2010. 


984 le societ� con valore della produzione maggiore di un milione e inferiore 
a cinque milioni di euro� (72). 

Le societ� a partecipazione pubblica non si allontanano molto dal tradizionale 
modello societario disciplinato dal codice civile. Mentre in base alla 
partecipazione pubblica (parziale o totalitaria) suole distinguersi tra societ� 
miste ovvero societ� in house, in base alla natura (centrale o periferica) della 
pubblica amministrazione titolare della partecipazione si distingue tra societ� 
a partecipazione pubblica statale e societ� a partecipazione pubblica regionale 

o locale. 

Ma la classificazione che maggiormente degna di pregio giuridico � 
quella che distingue tra �societ� a partecipazione pubblica di diritto comune� 
e �societ� a partecipazione pubblica di diritto speciale� (73): le prime svolgono 
un�attivit� preordinata al conseguimento di guadagni, le seconde (derogando 
al modello civilistico della societ�) svolgono un�attivit� che, di l� dalla massimizzazione 
dei profitti, � finalisticamente orientata ad esercitare ora una funzione 
amministrativa (c.d. societ� pubbliche in senso stretto), ora ad erogare 
un servizio pubblico in favore di una determinata collettivit� (c.d. societ� di 
gestione dei servizi pubblici) ora ad assicurare servizi o forniture in favore di 
una o pi� pubbliche amministrazioni (c.d. societ� strumentali). 

Diversamente dal passato, ove non era infrequente riscontrare societ� 
pubbliche di diritto comune, una tale possibilit� � ormai preclusa. La legge 
del 24 dicembre 2007, n. 244 (legge finanziaria del 2008) ha infatti fissato il 
divieto di �costituire societ� aventi per oggetto attivit� di produzione di beni 
e di servizi non strettamente necessarie per il perseguimento delle proprie finalit� 
istituzionali, n� assumere o mantenere direttamente partecipazioni, 
anche di minoranza, in tali societ�� (74), quale norma che �ha posto un limite 
all�impiego dello strumento societario non tanto per assicurare la tutela della 
concorrenza - che di per s� lo strumento dell�impresa pubblica non potrebbe 
pregiudicare - quanto per garantire, in coerenza con l�esigenza di rispettare il 
principio di legalit�, il perseguimento dell�interesse pubblico, cos� che pu� ri


(72) Cons. St., Comm. spec., 21 aprile 2016, n. 968, in www.giustizia-amministrativa.it. 

(73) CIRENEI M.T., Le societ� a partecipazione pubblica, in COLOMBO G.E. - PORTALE G.B. (a 
cura di), Trattato delle s.p.a., Torino, 1992, pp. 1 ss. 
(74) L�art. 3, comma 27 della L. 24 dicembre 2007, n. 244 dispone che: �Al fine di tutelare la 
concorrenza e il mercato, le amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 
marzo 2001, n. 165, non possono costituire societ� aventi per oggetto attivit� di produzione di beni e di 
servizi non strettamente necessarie per il perseguimento delle proprie finalit� istituzionali, n� assumere 
o mantenere direttamente partecipazioni, anche di minoranza, in tali societ�. � sempre ammessa la costituzione 
di societ� che producono servizi di interesse generale e che forniscono servizi di committenza 
o di centrali di committenza a livello regionale a supporto di enti senza scopo di lucro e di amministrazioni 
aggiudicatrici di cui all�articolo 3, comma 25, del codice dei contratti pubblici relativi a lavori, 
servizi e forniture, di cui al decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, e l�assunzione di partecipazioni 
in tali societ� da parte delle amministrazioni di cui all�articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 
marzo 2001, n. 165, nell�ambito dei rispettivi livelli di competenza�. 



DOTTRINA 211 

tenersi, pertanto, che, allo stato, esiste una norma imperativa che - esprimendo 
un principio gi� in precedenza immanente nel sistema - pone un chiaro limite 
all�esercizio dell�attivit� di impresa pubblica rappresentato dalla funzionalizzazione 
al perseguimento dell�interesse pubblico� (75). 

La �bussola pi� affidabile� che la normativa vigente offre all�operatore 
giuridico al fine di distinguere le societ� pubbliche rispetto alle societ� di diritto 
comune � rappresentata dall�oggetto sociale di queste: le societ� di diritto 
comune stanno allo svolgimento di attivit� dirette alla massimizzazione dei 
profitti come le societ� a partecipazione pubbliche stanno allo svolgimento di 
attivit� dirette alla cura concreta dell�interesse generale. 

Quanto alla disciplina applicabile, � pacifico che �la societ� pubblica deve 
essere assoggettata, sul piano sostanziale, allo statuto privatistico dell�imprenditore, 
con applicazione soltanto di alcune regole pubbliche� (76). Pertanto 
pu� dirsi che la disciplina della societ� pubblica � il frutto di una cumulativa 
commistione tra il diritto civile e il diritto pubblico; una commistione dalla 
quale deriva che ad esse si applica �tanto la disciplina codicistica (norme specificamente 
dettate nel codice civile per tutte le societ� partecipate dallo Stato 

o da enti pubblici, nonch� norme e istituti codicistici di carattere generale), 
quanto la disciplina extracodicistica (norme dettate da apposite leggi per le 
societ� pubbliche o quanto meno per alcune di esse)� (77). 

Di base esse sono regolate dalla disciplina propria delle societ� di capitali 
(e, pi� precisamente, da quella della s.p.a. o da quella della s.r.l. a seconda del 
tipo societario in concreto adottato), ma, nondimeno, risultano destinatarie di 
norme speciali che derogano alla disciplina del codice civile. Nel nutrito alveo 
di queste norme speciali vi rientrano: a) quelle che escludono la possibilit� 
per le societ� pubbliche, che abbiano registrato delle perdite per tre esercizi 
consecutivi, di essere beneficiari di aumenti di capitale, trasferimenti straordinari 
ovvero aperture di credito, rilascio di garanzie, salvo che ci� avvenga a 
fronte di convenzioni, contratti di servizio o di programma di investimento 
ovvero previa autorizzazione del Presidente del Consiglio dei Ministri (art. 6, 
comma 19, del D.lg. n. 68/2010, convertito nella L. n. 122/2010); b) quelle 
che impongono l�attivazione di idonee procedure selettive, rispettose dei principio 
di trasparenza, di pubblicit� e di imparzialit�, per procedere al recluta


(75) Cons. St., Sez. VI, 20 marzo 2012, n. 1574, in Foro amm - CDS, 2012, pp. 696 ss. 

(76) T.A.R. Sardegna, Sez. II, 23 maggio 2008, n. 1051, in Foro amm. - TAR, 2008, p. 1494, ove 
si afferma, ancora pi� incisivamente, che �l�utilizzazione, per il perseguimento di pubblici interessi, di 
figure soggettive formalmente privatistiche, di strutture, di moduli organizzativi e di azione della p.a. 
�di confine� tra il pubblico e privato in luogo dei tradizionali enti pubblici costituisce il presupposto per 
la creazione di regimi giuridici di diritto speciale, connotati sia da aspetti pubblicistici che da profili 
privatistici� 

(77) IBBA C., Le societ� a partecipazione pubblica: tipologia e discipline, in IBBA C. - MALAGUTI 

M.C. - MAZZONI A. (a cura di), Le societ� pubbliche, Torino, 2012, p. 5. 


mento del personale (art. 35, del D.lgs. n. 165/2001) (78); c) quelle che espongono 
gli amministratori delle societ� pubbliche anche al regime di responsabilit� 
per danno erariale allorch�, violando gli obblighi connessi alla carica 
ricoperta, arrechino un danno al patrimonio della pubblica amministrazione 
detentrice della partecipazione sociale (79); d) quelle che riconoscono i caratteri 
della inalienabilit�, della imprescrittibilit�, della inusucapibilit� e della 
inespropriabilit� dei beni demaniali (art. 822 c.c.) e, in certa misura, dei beni 
patrimoniali indisponibili (art. 826, comma 2, c.c.) di cui dovessero essere 
proprietarie� (80). 

Per le societ� in house valgono - in buona parte - le considerazioni svolte 
con riferimento alle societ� pubbliche tout court. Anche le strutture in house 
costituite nella forma giuridica della societ� sono soggette alla combinata applicazione 
delle norme del codice civile e di alcune peculiari norme che derogano 
rispetto al diritto comune delle societ�. 

Tuttavia, le societ� in house presentano delle caratteristiche che le allontanano, 
ancora pi� marcatamente, rispetto al tradizionale modello civilistico 
delle societ�: l�esercizio da parte del socio pubblico di un potere di controllo 

(78) In dottrina, tra i tanti, si rinvia a: AMENDOLA M., Concorso a pubblico impiego, in Enc. dir., 
VIII, Milano, 1961, pp. 619 ss.; TESSAROLO C., Le assunzioni del personale da parte delle societ� a 
partecipazione pubblica, in www.dirittodeiservizipubblici.it, 2008; PIPERITA G., L�attualit� a proposito 
delle recenti disposizioni in materia di personale delle societ� pubbliche: anatomia di una riforma e 
patologia, in Lav. Pubbl. amm. (Il), IV, 2009, pp. 647 ss.; GUZZO G., Reclutamento del personale nelle 
societ� pubbliche e principio di autonomia degli enti locali: i dubbi e le incertezze sollevati dal D.lg. 
del 25 giugno 2008, in www.pubblic-utilities.it, 2008; SAPORITO A., Societ� pubbliche e reclutamento 
del personale: profili problematici, in www.giustamm.it, 2016. 
(79) GASPARRINI D., La responsabilit� degli amministratori nonch� dei dipendenti delle societ� 
a partecipazione pubblica. Il difficile rapporto con la responsabilit� amministrativa per danno all�erario, 
in www.giustamm.it, 2009; GHIGLIONE P. - BIALLO M., La responsabilit� degli amministratori di societ� 
a partecipazione pubblica: l�orientamento delle SS. UU. (commento a Cassazione Civile, sez. un., 
ord., 15 gennaio 2010, n. 519 e Cassazione Civile, sez. un., 19 dicembre 2009, n. 26086), in Le societ�, 
VII, 2010, pp. 803 ss.; ROMAGNOLI G., La responsabilit� amministrativa dei componenti degli organi 
di gestione delle societ� a partecipazione pubblica. Tra �brusche frenate� e �annunciate accelerazioni�, 
in www.giustamm.it, 2010; DALFINO D., Societ� pubbliche, responsabilit� degli amministratori e riparto 
di giurisdizione (commento a Cassazione civile, sez. un., 23 febbraio 2010, n. 4309), in Le societ�, XI, 
2010, pp. 1361 ss; TITA A., La responsabilit� degli amministratori nelle societ� a partecipazione pubblica: 
prospettive nel 2011, dopo le novit� del 2010, e rimedi assicurativi proponibili, in ww.lexitalia.it, 
2011; TORCHIA L., Societ� pubbliche e responsabilit� amministrativa: un nuovo equilibrio, in Giorn. 
dir. pubbl., III, 2012, pp. 323 ss. 
(80) FALZONE G., I beni del �patrimonio indisponibile�, Milano, 1957; CASSARINO S., La destinazione 
dei beni degli enti pubblici, Milano, 1962, 148 ss.; GIANNINI M.S., I beni pubblici, Roma, 1963; 
CASSESE S., I beni pubblici: circolazione e tutela, Milano, 1969; CERULLI IRELLI V., Propriet� pubblica 
e diritti collettivi, Padova, 1975; CAPUTI JAMBRENGHI V., Premesse per una teoria dell�uso dei beni pubblici, 
Napoli, 1979; ID., Beni pubblici, in Enc. giur., Roma, 1988; COLOMBINI G., Demanio e patrimonio 
dello Stato e degli enti pubblici, in Dig. pubbl., V, Torino, 1990, 1 ss.; ID., I beni pubblici tra regole di 
mercato e interessi generali. Profili di diritto interno e internazionale, Napoli, 2009; POLICE A., I beni 
pubblici, tutela, valorizzazione e gestione, Milano, 2008; TONOLETTI B., Beni pubblici e concessioni, 
Padova, 2008; MERCATI L., Pubblico e privato nella valorizzazione del patrimonio immobiliare, Torino, 
2009; MARELLA M.R., Oltre il pubblico e il privato. Per un diritto dei beni comuni, Verona, 2012. 



DOTTRINA 213 

analogo a quello svolto sugli uffici interni e la necessit� di svolgere la propria 
attivit� prevalentemente in favore del socio pubblico. Due caratteristiche che 
finiscono col depauperare la autonomia gestionale ed organizzativa di cui una 
persona giuridica deve essere attributaria al fine di potersi sussumere nel modello 
societario. � per questo che certa dottrina, partendo dal presupposto che 
�pu� dirsi ormai acquisito il carattere anomalo del fenomeno dell�in house nel 
panorama del diritto societario, laddove � difficile ammettere una societ� che 
non abbia alcuna autonomia gestionale�, ha ritenuto che le societ� in house 
siano, proprio per le caratteristiche indefettibili del controllo analogo e del-
l�attivit� prevalentemente svolta in favore dell�ente controllante, delle societ� 
ancora pi� speciali rispetto alle gi� speciali societ� pubbliche (81). 

Oltre alla forma giuridica della societ�, la prassi attesta che le pubbliche 
amministrazioni hanno inteso pure costituire delle strutture in house nella 
forma della �fondazione pubblica�. 

Le fondazioni pubbliche si configurano, alla stregua di quelle private, 
come espressione �di un atto di disposizione patrimoniale attraverso il quale 
il fondatore destina un patrimonio al conseguimento di uno scopo, nonch� di 
un atto di organizzazione, che determina, attraverso una struttura organizzativa, 
il modo di attuazione dello scopo� (82). La loro costituzione �non � disciplinata 
diversamente a seconda del fatto che il promotore o i promotori 
siano soggetti privati o enti pubblici, poich� il momento iniziale della vita di 
un soggetto di cui all�art. 14 c.c non � influenzato neanche dalla tipologia degli 
interessi, siano essi pubblici, generali, diffusi o privati, che si intende perseguire 
con il costituendo ente� (83). 

A prescindere da queste affinit� di disciplina (84), ragioni di certezza del 
diritto impongono all�operatore giuridico di essere in grado di poter distinguere 
una �fondazione privata� da una �fondazione pubblica�; � stata cos� elaborato 
una puntuale (ma non tassativa) catalogazione delle pi� frequenti tipologie di 
fondazioni costituite dalla pubblica amministrazione � tutt�ora avallata la tripartizione 
che distingue tra le fondazioni a base privata (ad es. le fondazioni 
di origine bancaria�), le fondazioni a partecipazione privata (ad es. i musei e 
gli enti lirici e musicali) e le fondazioni strumentali all�ente pubblico fonda


(81) VOLPE C., L�affidamento in house. Questioni aperte sulla disciplina applicabile, cit., p. 12. 

(82) RESCIGNO G.U., Negozio privato di fondazione e atto amministrativo di riconoscimento, in 
Giur. it., I, 1968, p. 1358. 
(83) SARCONE V., Le fondazioni pubbliche, in www.amministrativ@mente.it, 2012, p. 2. 


(84) Per quel che riguarda la disciplina applicabile alle fondazioni pubbliche, si rinvia a: T.A.R. 
Basilicata, Sez. I, 10 marzo 2015, n. 163, in Foro amm. - TAR, 2015, p. 950 ss., nella quale si legge che 
�in assenza di norme di legge che, in casi particolari, ne definiscano un regime giuridico diverso, le fondazioni 
costituiscono enti di diritto privato integralmente soggetti alla relativa disciplina civilistica anche 
ove perseguano finalit� di rilevanza pubblica in connessione con le funzioni di una pubblica amministrazione, 
con la conseguenza che le controversie relative alla loro attivit�, riguardando atti adottati iure 
privatorum, restano devolute alla cognizione del giudice ordinario�. 



tore, delle quali quest�ultimo si avvale allo scopo di perseguire il pi� efficace 
esercizio delle proprie funzioni (85). 

La natura non tassativa di questa catalogazione ha indotto il formante dottrinale 
e giurisprudenziale - com�era prevedibile - ad individuare degli �indici 
generalmente applicabili� ai fini di determinare la natura privata o pubblica 
di una fondazione. QuandՏ che una fondazione pu� dirsi pubblica? La giurisprudenza, 
rilevando che �la volont� legislativa di connotare in termini pubblicistici 
una persona giuridica pu� essere esplicata, oltre che con una 
qualificazione espressa, anche con la previsione di indici sintomatici rivelatori 
della matrice pubblicistica dell�ente; di guisa che in assenza di un�esplicita 
volont� espressa nell�atto costitutivo della persona giuridica, il ricorso ad indici 
indiretti, rivelatori della natura pubblica, sia condotto con cautela, con la conseguenza 
che se l�atto costitutivo attribuisce all�ente esplicitamente la natura 
privata, il superamento della volont� consacrata in tale atto pu� avvenire soltanto 
allorch� tali indici assumano valenza univoca, tale da superare e prevalere 
sulla configurazione formale� (86), ha tentato di enucleare gli indici 
sintomatici della natura pubblica delle fondazioni. 

In linea con il menzionato indirizzo giurisprudenziale, la Corte di cassazione 
ha affermato che un soggetto formalmente privato, qual � la fondazione, 
pu� essere considerato di natura pubblicistica allorquando sia 
ravvisabile la sussistenza dei seguenti requisiti: a) la preminente rilevanza 
dello Stato nei finanziamenti; b) il conseguente assoggettamento al controllo 
della Corte dei conti; c) il patrocinio dell�Avvocatura dello Stato; d) l�inclusione 
nel novero degli organismi di diritto pubblico soggetti al d.lgs. 12 
aprile 2006, n. 163� (87). Tuttavia, il richiamo fatto dalla giurisprudenza di 
legittimit� al patrocinio dell�Avvocatura dello Stato e alla riconduzione 
nell�alveo degli organismi di diritto pubblico avrebbe comportato, ab absurdo, 
che le fondazioni costituite dalle Regioni e dagli enti locali - che non 
godono del patrocinio della difesa erariale - si sarebbero dovute considerare, 

(85) In questo senso, per un approfondimento si rinvia a: NAPOLITANO G., Le fondazioni pubbliche, 
in Dir. amm., III, 2006, p. 573; FO� S., Le fondazioni di diritto pubblico tra salvaguardia delle competenze 
regionali e rispetto dell�autonomia fondazionale. La fondazione strumentale all�ente pubblico 
fondatore, in Foro amm. - CDS, XI, 2005, p. 3196 ss.; MERUSI F., La privatizzazione per fondazioni tra 
pubblico e privato, in Dir. amm., IV, 2004, p. 234 ss.; IMMORDINO M., Le fondazioni teatrali e la loro 
incerta collocazione tra pubblico e privato, in Nuove Auton., VI, 2005, p. 913 ss., il quale evidenzia, tra 
l�altro, che �secondo la dottrina civilistica la forma della fondazione � neutra, nel senso che non implica 
necessariamente la qualificazione privatistica della persona giuridica che ne � rivestita, potendosi i relativi 
caratteri rinvenire anche in enti pubblici. Insomma, non � tanto la trasformazione imposta dalla 
legge a determinare tale discrasia rispetto al tipo codicistico, essendo prassi regolare per la privatizzazione 
di un ente pubblico l�intervento del legislatore, quanto, piuttosto, la disciplina che nՏ stata dettata, 
derogatoria rispetto a quella dettata dal Titolo II del Libro I del codice (e dalle relative norme di attuazione) 
per le fondazioni di diritto privato�. 

(86) T.A.R. Lazio, Roma, Sez. II, 19 aprile 2013, n. 3971, in www.giustizia-amministrativa.it. 
(87) C. Cass., SS.UU., 8 febbraio 2006, n. 2637, in Serv. pubbl. & app., 2006, pp. 320 ss. 



DOTTRINA 215 

sempre e comunque, fondazioni di diritto privato. Oltretutto, il riferimento 
al finanziamento pubblico. 

Con il dichiarato intento di fare chiarezza, la dottrina e la giurisprudenza 
successive hanno evidenziato che per qualificare una fondazione come soggetto 
di natura pubblica � necessario che il giudice accertati la sussistenza di 
quelli che sono i tre requisiti indefettibili dell�organismo di diritto pubblico. 
Occorre cio� che la fondazione: a) sia stata costituita per soddisfare specificamente 
esigenze di interesse generale, aventi carattere non industriale o commerciale; 
b) sia dotata di personalit� giuridica; c) la cui attivit� sia finanziata 
in modo maggioritario dallo Stato, da enti pubblici territoriali o da altri organismi 
di diritto pubblico, oppure la cui gestione sia soggetta al controllo di 
questi ultimi o il cui organo di amministrazione, di direzione o di vigilanza 
sia costituito da membri dei quali pi� della met� � designata dallo Stato, dagli 
enti pubblici territoriali o da altri organismi di diritto pubblico (88). 

Orbene, se con riguardo al modello societario non si � mai dubitato circa 
la sua astratta idoneit� a configurarsi come forma giuridica idonea alla costi


(88) L��organismo di diritto pubblico� non pu� essere considerato un modello organizzativo in 
senso stretto della pubblica amministrazione, al pari dei Ministeri, delle Regioni, delle societ� in mano 
pubblica, etc. Esso, infatti, rappresenta piuttosto una qualificazione giuridica astratta e funzionalizzata: 
astratta perch�, a prescindere dall�esplicito nomen iuris che la legge o l�atto costitutivo accorda al soggetto 
giuridico, la qualifica di organismo di diritto pubblico pu� essere, indifferentemente, attribuita a qualsiasi 
soggetto di diritto pubblico o di diritto privato; funzionalizzata perch� si tratta di una qualificazione giuridica 
che viene attribuita in funzione di stabilire se un determinato soggetto di diritto pubblico o privato 
sia obbligato a rispettare la normativa (europea e nazionale) in materia di appalti pubblici e concessioni. 
Tra i molteplici contributi dedicati all�organismo di diritto pubblico si rinvia a: GRECO G., Ente pubblico, 
impresa pubblica, organismo di diritto pubblico, in Riv. it. dir. pubbl. comunit., 1995, p. 1284 ss.; GAROFOLI 
R., Organismo di diritto pubblico: criteri di identificazione e problemi di giurisdizione, in Urb. 
e app., II, 1997, pp. 960 ss.; FISCHIONE G., L�organismo di diritto pubblico tra mito e realt�, in Arch. 
giur. op. pubbl., II, 1997, pp. 967 ss.; ID., L�organismo di diritto pubblico: orientamenti interpretativi 
del giudice comunitario e dei giudici nazionali a confronto, in Foro it., IV, 1998, pp. 134 ss.; GUCCIONE 
C., Gli organismi di diritto pubblico di nuovo al vaglio del Consiglio di Stato, in Giorn dir. amm., I, 
1999, pp. 215 ss.; ID., La nozione di organismo di diritto pubblico nella pi� recente giurisprudenza comunitaria, 
in Giorn. dir. amm., X, 2003, pp. 1032 ss.; CHITI M.P., L�organismo di diritto pubblico e la 
nozione comunitaria di pubblica amministrazione, Bologna, 2001; CASALINI D., L�organismo di diritto 
pubblico e l�organizzazione in house, Napoli 2003; PERFETTI L. R., Organismo di diritto pubblico e rischio 
di impresa (Nota a Corte giust. CE, Sez. V, 22 maggio 2003, in C-18/01), in Foro amm. - CDS, II, 
2003, pp. 2498 ss.; LOTTINI M., Bisogni non economici e attivit� non economiche? Sulla controversa 
nozione comunitaria di �organismo di diritto pubblico� (Nota a Corte giustizia CE, sez. VI, 16 ottobre 
2003, n. 283), in www.iuritalia.it, 2003; MAMELI B., L�organismo di diritto pubblico. Profili sostanziali 
e processuali, Milano, 2003; CARANTA R., L�organismo di diritto pubblico questo sconosciuto, in Giur. 
it., IV, 2003, pp. 1687 ss.; ID., Organismo di diritto pubblico e impresa pubblica, in Giur. it., II, 2004, 
pp. 2415 ss.; CERBO P., L�effetto utile nella giurisprudenza comunitaria sull�organismo di diritto pubblico, 
in Urb e app., II, 2004, pp. 649 ss.; PAPI ROSSI A. - SIRONI C., La qualificazione di organismo 
pubblico e la sottoposizione alla normativa sugli appalti, in Contr. St. e ent. pubb., I, 2007, pp. 569 ss.; 
CARINGELLA F., La nozione comunitaria di pubblica amministrazione: la controversa categoria di organismo 
di diritto pubblico nel settore degli appalti pubblici, in CARINGELLA F. (a cura di), Corso di diritto 
amministrativo, V, 2008, pp. 919 ss.; DELLA SCALA M.G., Organismo di diritto pubblico, in Dig. 
disc. pubbl., Torino, 2010, pp. 340 ss. 


tuzione di una organizzazione in house, la stessa cosa non pu� dirsi con riferimento 
alle fondazioni pubbliche. 

Sul punto si � registrata una non irrilevante disparit� di vedute. Un 
primo orientamento dottrinale era nel senso di affermare che �in considerazione 
del principio che il fondatore � libero di costituire una fondazione di 
diritto privato fissando le regole di funzionamento della stessa, l�affidamento 
in house providing nei confronti di una fondazione da parte di un ente pubblico 
pu� essere legittimo: la legittimit� dell�operazione risiederebbe nella 
misura in cui verranno predisposte clausole statutarie utili a garantire la presenza 
di un penetrante controllo in capo all�ente conferente� (89). Di contro, 
vՏ stato chi ha ritenuto che il modello della fondazione fosse inidoneo a costituire 
la forma giuridica di una struttura in house poich� sarebbe possibile 
riscontrare in essa soltanto il requisito dell�attivit� prevalentemente svolta 
in favore dell�ente pubblico controllante, ma non anche il requisito del controllo 
analogo. Questo perch� �se si tiene conto che il controllo analogo postula 
la totale propriet� delle azioni, o comunque del capitale, da parte del 
soggetto pubblico, non ci si pu� non accorgere che qualsiasi fondazione 
(come disciplinata dagli artt. 16 ss. c.c.) non dispone n� di azioni, tampoco 
di un capitale in senso tecnico-giuridico, potendo al pi� disporre soltanto di 
un patrimonio, che, sebbene sia inizialmente costituito al 100 % da fondi 
dei soci pubblici costituisce essenzialmente �propriet�� della fondazione 
stessa che si configura giuridicamente come ente autonomo, munito di personalit� 
giuridica di diritto privato� (90). 

In altri e pi� significativi termini, per il richiamato orientamento dottrinale, 
la fondazione sarebbe inadatta a configurarsi come forma giuridica del-
l�in house providing per due ragioni intimamente correlate tra di loro. 

In primo luogo, la fondazione sarebbe dotata soltanto di un patrimonio e 
non anche di un capitale, quale presupposto per la sussistenza del requisito 
del controllo analogo. Trattasi di una differenza non marginale, colta da quella 
dottrina secondo cui �il patrimonio indica un complesso di beni, siano essi denaro 
o altri beni (a seconda della natura dei conferimenti), mentre il capitale 
designa un�entit� numerica, la quale esprime in termine monetari il valore 
complessivo dei conferimenti� (91). 

In secondo luogo, sostanziandosi l�essenza propria della fondazione nel-
l�esistenza di un patrimonio (che essendo la conditio sine qua non della fondazione 
� ontologicamente refrattario ad ogni forma di controllo e di direzione 
che il soggetto pubblico controllante dovesse voler concretare in un momento 

(89) CASAVECCHIA C., Affidamento in house providing di servizi socio-sanitari a fondazioni di diritto 
privato, in Nuova Rass., XIV, 2009, p. 8 
(90) MANDUCA V.E. - PARISE C., In house providing e fondazioni a capitale pubblico: una prassi 
legittima?, in www.ratioiuris.it, 2012, p. 7. 


(91) PALUMBO A., Le societ� in generale e le societ� di persone, Milano, 2008, p. 144. 


DOTTRINA 217 

successivo all�atto di costituzione) varrebbe ad escludere qualsiasi possibilit� 
di esercitare su di essa un controllo analogo a quello che il soggetto pubblico 
esercita sui propri uffici interni. 

Anche la giurisprudenza sembrava essersi attestata su posizioni analoghe, 
giungendo ad affermare che �la fondazione non pare essere lo strumento pi� 
idoneo per la gestione dei servizi pubblici di rilevanza economica (ma, a ben 
vedere, anche quelli privi di tale rilevanza) in considerazione del fatto che la 
fondazione, per la sua natura e per l�elemento patrimoniale che la caratterizza, 
male si concilia con il requisito del �controllo analogo� a quello esercitato sui 
propri organi/uffici previsto dalla disciplina comunitaria per l�affidamento in 
house dei servizi� (92). 

I dubbi sulla compatibilit� delle fondazioni rispetto al fenomeno dell�in 
house providing debbono essere considerati ormai superati per effetto delle 
nuove direttive europee del 2014. Poich� in esse viene fatto riferimento ad 
una non meglio specificata �persona giuridica di diritto pubblico o di diritto 
privato�, la dottrina non ha tardato a precisare che la relazione ipotizzata tra 
un�amministrazione aggiudicatrice e una generica persona giuridica di diritto 
pubblico o di diritto privato �estende i confini dell�in house al di fuori del fenomeno 
delle societ�� (93). 

Dal tenore della disposizione contenuta nelle nuove direttive europee si 
ha modo di giungere alla conclusione che, oltre alla societ� pubbliche, qualsiasi 
forma giuridica si presenta ex se compatibile con il fenomeno dell�in 
house providing; comprese le fondazioni. 

Sono considerazioni che vengono ulteriormente suffragate dalla circostanza 
che le nuove direttive europee hanno disancorato il requisito del �controllo 
analogo� da qualsivoglia riferimento alla maggioritaria titolarit� di 

(92) T.A.R. Lombardia, Brescia, Sez. II, 9 giugno 2015, n. 831, in Foro amm. - TAR, 2015, pp. 1747 
ss. In senso analogo anche C. Conti, Sez. reg. Lombardia, 10 gennaio 2013, n. 25 in www.corteconti.it, 
ove si legge che �le fondazioni, come riconosciuto dalla giurisprudenza costituzionale, hanno natura 
privata e sono espressione organizzativa delle libert� sociali, costituendo i cosiddetti corpi intermedi, 
collocati fra Stato e mercato, che trovano nel principio di sussidiariet� orizzontale, di cui all�ultimo 
comma dell�art. 118 della Costituzione, un preciso presidio rispetto all�intervento pubblico (Corte costituzionale 
28 settembre 2003, n. 300 e n. 301). Per ci� che attiene le fondazioni in partecipazione, 
inoltre, fermo restando quanto affermato in merito alla natura privata della fondazione ed all�elemento 
costitutivo essenziale determinato dal patrimonio la sezione lombarda della Corte dei Conti afferma che: 
�Tale modello sorge dalla constatata limitatezza dello schema classico previsto dal codice civile, trattandosi 
di fondazioni non pi� istituite da un singolo soggetto, sia esso persona fisica ovvero giuridica, 
ma da una pluralit� di soggetti (privati e/o pubblici), che condividono una medesima finalit�. Nella 
prassi, rappresenta lo strumento attraverso il quale un ente pubblico persegue uno scopo di utilit� generale, 
nel tentativo di creare una partnership pubblico-privato e consentire di usufruire di maggiori disponibilit� 
finanziarie e di attivit� di management nella gestione dei servizi sociali, venendosi cos� a 
ridurre il rischio associato all�attivit� di produzione di servizi. Pertanto, per individuare la disciplina applicabile, 
occorre avere riguardo alla fattispecie concreta e, in particolare, alle clausole statutarie�. 
(93) VOLPE C., Le nuove direttive sui contratti pubblici e l�in house providing: problemi vecchi e 
nuovi, cit., p. 9 



azioni ovvero di capitale. La scelta del legislatore europeo di limitarsi ad individuare 
l�essenza del �controllo analogo� nel potere di esercitare un�influenza 
determinante sugli obiettivi strategici e sulle decisioni significative 
della persona giuridica controllata palesa l�intenzione di attrarre nell�ambito 
dell�in house qualunque modalit� (giuridicamente assentita) attraverso la quale 
il soggetto pubblico ha modo di collocarsi in una posizione di supremazia rispetto 
agli organi di vertice del soggetto controllato e rispetto ai soggetti privati 
che detengono partecipazioni irrisorie nella struttura controllata. 

Da ultimo devono essere dedicate dei brevi cenni anche alla forma giuridica 
dell�associazione. La pubblica amministrazione italiana, sul presupposto 
dell�esistenza di una rapporto in house, ha provveduto ad affidare (senza il 
previo espletamento di una gara) delle commesse pubbliche a quel peculiare 
modello di associazione, che suole definirsi come associazione no profit. Queste 
sono degli �organismi che svolgono la propria attivit� per scopo ideali, 
senza alcuna remunerazione per il servizio prestato, ben potendo stipulare convenzioni 
con gli enti pubblici, senza necessit� di far precedere tale convenzione 
da una procedura concorsuale, visto che la prestazione dalle stesse 
erogata non rientra nell�ambito dei servizi economici, per i quali, invece, � necessario 
l�espletamento di una selezione competitiva� (94). 

In considerazione del favor che la normativa italiana riserva alle organizzazioni 
no profit per garantire l�efficace ed efficiente erogazione di servizi alla 
collettivit�, lo Stato, le Regioni e gli enti locali - in ossequio alle prescrizioni 
contenute nella L. 8 dicembre 2000, n. 328 (c.d. legge sui servizi sociali) - si 
sono impegnati a riconoscere e agevolare il ruolo degli organismi senza finalit� 
di lucro nell�intraprendere �delle iniziative atte ad erogare quei servizi che 
sono prioritariamente rivolti al soddisfacimento dei diritti sociali; si pensi alla 
sanit�, all�istruzione, alla previdenza e all�assistenza sociale in genere� (95). 

Nel periodo antecedente l�adozione delle direttive europee del 2014, si 
riteneva che il modello dell�in house providing potesse considerarsi compatibile 
con la forma giuridica dell�associazione soltanto qualora la commessa da 
affidare a quest�ultima avesse ad oggetto un servizio pubblico privo di rilevanza 
economica. Sennonch�, la sola circostanza che il servizio erogato dal-
l�associazione fosse privo di rilevanza economica si profilava come una 
�condizione necessaria ma non sufficiente� a confermare l�esistenza di un rap


(94) MICHETTI E., In house providing. Modalit� requisiti, limiti, Milano, 2011, p. 52. 

(95) CANCILLA F.A., Servizi di welfare e diritti sociali nella prospettiva dell�integrazione europea, 
Milano, 2009, p. 1. Per un inquadramento generale sul tema dei servizi sociali si vedano: FERRARI E., 
Servizi sociali, Milano, 1986; BALBONI E., I servizi sociali, in AMATO G. - BARBERAA. (a cura di), Manuale 
di diritto pubblico, Bologna, 1998; FREGO LUPPI S., Servizi sociali e diritti della persona, Milano, 2004; 
FINOCCHI GHERSI R., Servizi sociali, in CASSESE S. (a cura di), Dizionario di diritto pubblico, Milano, 
2006, pp. 5536 ss; ALBANESE A., Diritto all�assistenza e servizi sociali: intervento pubblico e attivit� dei 
privati, Milano, 2007; GUALDANI A., Servizi sociali tra universalismo e selettivit�, Milano, 2007. 


DOTTRINA 219 

porto in house tra la pubblica amministrazione e l�associazione, tale da giustificare 
l�affidamento diretto della commessa. 

Gli ulteriori elementi che sarebbero dovuti ricorrere affinch� le associazioni 
no profit potessero considerarsi compatibili con il modello dell�autoproduzione 
sono stati individuati dalla giurisprudenza nazionale ed europea. 

In una sentenza (non proprio recente), il giudice amministrativo nazionale 
ha infatti statuito che �la qualifica soggettiva di un ente come non profit e lo 
svolgimento della relativa attivit� non orientata al profitto, non costituiscono 
di per s� elementi preclusivi all�applicazione delle regole concorrenziali (interne 
e comunitarie) nell�affidamento del servizio; tuttavia, in costanza di una 
situazione di urgenza qualificata risulta legittimo il ricorso alla trattativa privata 
per il rinnovo di una convenzione concernente l�affidamento del servizio 
di trasporto dei malati� (96). A ben vedere, la giurisprudenza nazionale ha inteso 
affiancare alla non rilevanza economica del servizio affidato all�associazione 
no profit la necessit� che l�affidamento diretto trovasse la sua 
giustificazione in una situazione di urgenza qualificata. 

Ma anche la giurisprudenza europea ha avuto modo di offrire delle ulteriori 
specificazioni in merito. La Corte di Giustizia ha ritenuto che un�indagine 
sulla compatibilit� delle associazioni no profit con il fenomeno dell�autoproduzione 
non pu� discostarsi da quelli che sono i requisiti propri dell�in house 
providing: controllo analogo e attivit� prevalentemente svolta in favore del-
l�amministrazione controllante. � recente la sentenza con la quale il giudice 
europeo ha ritenuto che �qualora l�aggiudicatario di un appalto pubblico sia 
un�associazione di pubblica utilit� senza scopo di lucro che, al momento del-
l�affidamento di tale appalto, comprende tra i suoi membri non solo enti che 
fanno parte del settore pubblico, ma anche istituzioni caritative private che 
svolgono attivit� senza scopo di lucro, la condizione relativa al �controllo analogo
�, dettata dalla giurisprudenza della Corte affinch� l�affidamento di un 
appalto pubblico possa essere considerato come un�operazione �in house� non 
� soddisfatta e pertanto la direttiva 2004/18/CE del Parlamento europeo e del 
Consiglio, del 31 marzo 2014, relativa al coordinamento delle procedure di 
aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, di forniture e di servizi, � applicabile
� (97). 

(96) T.A.R. Liguria, Genova, Sez. II, 23 dicembre 2002, n. 1206, in Foro amm. - TAR, 2003, pp. 85 ss. 

(97) C. Giust. Ue, 19 giugno 2014, C-574/12, in www.curia.europa.eu. 
La controversia sulla quale � stata chiamata a pronunciarsi la Corte di Giustizia prende le mosse dalla 
scelta di un centro ospedaliero pubblico (Centro Hospitalar de Set�bal - EPE) di assegnare - senza previo 
espletamento di una gara - ad un�associazione senza scopo di lucro (Servi�o de Utiliza��o Comum dos 
Hospitais - SUCH) un appalto avente ad oggetto l�erogazione di un servizio (nella specie la fornitura 
pasti e personale) preordinato a soddisfare le esigenze organizzative degli ospedali pubblici, che erano 
membri dell�associazione affidataria del servizio. 
Questi i passaggi cruciali della sentenza: �Occorre anzitutto ricordare che la circostanza che l�aggiudi



Dalle argomentazioni sviluppante nella decisione � consentito desumere 
che il principale motivo ad aver indotto la Corte di Giustizia a negare la sussistenza 
di un�ipotesi di in house providing � rinvenibile nel fatto che l�associazione 
no profit alla quale era stata affidata direttamente la gestione del 
servizio comprendeva al suo interno tanto soggetti pubblici quanto soggetti 
privati di solidariet� sociale; ci� che sfregiava il principio (vigente sino a prima 
delle direttive del 2014) in ossequio al quale nelle strutture in house non era 
ammessa alcuna partecipazione privata. 

catario � costituito in forma di associazione di diritto privato e non persegua scopo di lucro � priva di 
rilevanza ai fini dell�applicazione delle norme del diritto dell�Unione in materia di appalti pubblici e, di 
conseguenza, della giurisprudenza della Corte relativa all�eccezione riguardante le operazioni �in house�. 
Infatti, una simile circostanza non esclude che l�entit� aggiudicatrice di cui trattasi possa esercitare un�attivit� 
economica (v., in tal senso, sentenze, sentenze Sea, C 537/07, EU:C:2009:532, punto 41, e CoNI-
SMa, C 305/08, EU:C:2009:807, punto 45). Occorre rilevare, poi, che la questione che si pone 
essenzialmente nel caso di specie � quella di stabilire se la giurisprudenza espressa nella sentenza Stadt 
Halle e RPL Lochau (EU:C:2005:5) si applichi, dal momento che il SUCH non � costituito in forma di 
societ� e non � quindi dotato di un capitale sociale e che i suoi membri, non rientrando nel settore sociale, 
non sono imprese nei termini di cui alla citata sentenza. A tale proposito, occorre sottolineare che l�eccezione 
riguardante l�affidamento �in house� � fondata sull�impostazione secondo cui, in tali casi, si 
pu� considerare che la pubblica amministrazione aggiudicatrice ha fatto ricorso alle proprie risorse per 
svolgere le sue funzioni di interesse pubblico. Uno dei motivi che hanno portato la Corte alle conclusioni 
espresse nella sentenza Stadt Halle e RPL Lochau (EU:C:2005:5) era fondato non sulla forma giuridica 
degli enti privati facenti parte dell�entit� aggiudicatrice e neppure sulla finalit� commerciale di essi, ma 
sul fatto che tali enti privati seguivano considerazioni inerenti ai loro interessi privati, che erano di natura 
diversa da quella delle finalit� di interesse pubblico perseguite dall�amministrazione aggiudicatrice. Per 
tale motivo, quest�ultimo non poteva esercitare sull�aggiudicatario un controllo analogo a quello che 
esercitava sui propri servizi (v., in tal senso, sentenza Stadt Halle e RPL Lochau, EU:C:2005:5, punti 
49 e 50). Alla luce della circostanza, rilevata dal giudice del rinvio, secondo cui il SUCH � un�associazione 
senza scopo di lucro e i soci privati, che facevano parte di tale associazione al momento dell�aggiudicazione 
dell�appalto di cui al procedimento principale, erano istituti privati di solidariet� sociale, 
anch�essi senza scopo di lucro, occorre rilevare che il fatto che la Corte si sia riferita nella sentenza 
Stadt Halle e RPL Lochau (EU:C:2005:5) a nozioni come quella di �impresa� o di �capitale sociale� � 
dovuto alle circostanze della causa che ha dato luogo a tale sentenza e non significa che la Corte abbia 
voluto limitare le sue conclusioni ai soli casi della partecipazione nell�ente aggiudicatore, di imprese 
commerciali aventi scopo di lucro. 
Un�altra ragione che ha condotto la Corte alle conclusioni esposte nella sentenza Stadt Halle e RPL Lochau 
(EU:C:2005:5) � che l�aggiudicazione diretta di un appalto offrirebbe all�entit� privata presente 
all�interno dell�entit� aggiudicatrice un vantaggio rispetto ai suoi concorrenti (v., in tal senso, sentenza 
Stadt Halle e RPL Lochau, EU:C:2005:5, punto 51). Nella causa principale i membri privati del SUCH 
perseguono interessi e finalit� che, per quanto apprezzabili da un punto di vista sociale, sono di diversa 
natura rispetto agli obiettivi di interesse pubblico perseguiti dalle amministrazioni aggiudicatrici che 
sono contemporaneamente membri del SUCH. Inoltre, come ha rilevato l�avvocato generale al paragrafo 
37 delle sue conclusioni, non � escluso che i membri privati del SUCH, nonostante il loro status di associazioni 
caritative senza scopo di lucro, possano esercitare un�attivit� economica in concorrenza con 
altri operatori. 
Di conseguenza, l�attribuzione diretta di un appalto al SUCH sarebbe suscettibile di offrire ai membri 
privati di quest�ultimo un vantaggio concorrenziale. Pertanto, le considerazioni che hanno indotto la 
Corte ad adottare le conclusioni esposte ai punti 36 e 38 della presente sentenza sono altres� valide in 
circostanze come quelle del procedimento principale. La circostanza che la partecipazione dei membri 
privati all�ente aggiudicatario sia solo minoritaria, non pu� rimettere in discussione tali conclusioni (v., 


DOTTRINA 221 

Tuttavia, con una pronuncia ancora pi� recente, il giudice europeo sembra 
aver riveduto la posizione del 2014, assumendo un atteggiamento pi� cauto, 
che non riconnette, automaticamente, alla presenza di soggetti privati nelle associazioni 
no profit l�esercizio di attivit� lucrative. Ed infatti, sul presupposto 
che il ricorso ad associazioni di volontariato senza scopo di lucro � idoneo a 
garantire, tanto l�efficiente erogazione di servizi capaci di contribuire al soddisfacimento 
dei diritti sociali, quanto il rispetto delle condizioni di equilibrio 
economico da parte delle pubbliche amministrazioni, si � affermato che �gli 
articoli 49 TFUE e 56 TFUE devono essere interpretati nel senso che non 
ostano a una normativa nazionale, come quella di cui al procedimento principale, 
che consente alle autorit� locali di attribuire la fornitura di servizi di trasporto 
sanitario mediante affidamento diretto, in assenza di qualsiasi forma di 
pubblicit�, ad associazioni di volontariato, purch� il contesto normativo e convenzionale 
in cui si svolge l�attivit� delle associazioni in parola contribuisca 
effettivamente a una finalit� sociale e al perseguimento degli obiettivi di solidariet� 
ed efficienza di bilancio� (98). 

Come per le fondazioni, non pare improbabile ritenere che, anche per la 
forma giuridica dell�associazione, il revirement giurisprudenziale stando al 
quale non � da escludersi la possibilit� che un appalto pubblico sia affidato 
direttamente ad una associazione non profit sia ulteriormente giustificato dal 
fatto che le nuove direttive ammettono anche partecipazioni minoritarie di 
soggetti privati nella struttura in house. 

in tal senso, sentenza Stadt Halle e RPL Lochau, EU:C:2005:5, punto 49). Infine, occorre rilevare che 
il fatto che, in conformit� del suo statuto, il SUCH disponesse esclusivamente della facolt� di ammettere 
tra i suoi membri degli enti privati non � in linea di principio rilevante. L�elemento rilevante nel caso di 
specie � che, al momento dell�aggiudicazione dell�appalto di cui trattasi nel procedimento principale, il 
SUCH era effettivamente composto non solo da membri pubblici, ma anche da enti rientranti nel settore 
privato. Alla luce delle considerazioni che precedono, occorre risolvere la prima questione nel senso 
che, qualora l�aggiudicatario di un appalto pubblico sia un�associazione di pubblica utilit� senza scopo 
di lucro che, al momento dell�affidamento di tale appalto, comprende tra i suoi membri non solo enti 
che fanno parte del settore pubblico, ma anche istituzioni caritative private che svolgono attivit� senza 
scopo di lucro, la condizione relativa al �controllo analogo�, dettata dalla giurisprudenza della Corte 
affinch� l�affidamento di un appalto pubblico possa essere considerato come un�operazione �in house� 
non � soddisfatta e pertanto la direttiva 2004/18 � applicabile�. 

(98) C. Giust. Ue, 28 gennaio 2016, C-50/2014, in www.curia.europa.eu, nella quale sono stati, 
peraltro, affermati i seguenti principi di massima: �Qualora uno Stato membro consenta alle autorit� 
pubbliche di ricorrere direttamente ad associazioni di volontariato per lo svolgimento di determinati 
compiti, un�autorit� pubblica che intenda stipulare convenzioni con associazioni siffatte non � tenuta, 
ai sensi del diritto dell�Unione, a una previa comparazione delle proposte di varie associazioni. 
Qualora uno Stato membro, che consente alle autorit� pubbliche di ricorrere direttamente ad associazioni 
di volontariato per lo svolgimento di determinati compiti, autorizzi dette associazioni a esercitare determinate 
attivit� commerciali, spetta a tale Stato membro fissare i limiti entro i quali le suddette attivit� 
possono essere svolte. Detti limiti devono tuttavia garantire che le menzionate attivit� commerciali siano 
marginali rispetto all�insieme delle attivit� di tali associazioni, e siano di sostegno al perseguimento del-
l�attivit� di volontariato di queste ultime�. 


10. Considerazioni conclusive: le questioni affrontate dalla pi� recente giurisprudenza 
amministrativa in tema di in house providing e il nuovo Codice 
degli appalti pubblici. 

La codificazione dell�in house providing deve essere considerato un 
evento da accogliere positivamente, poich� attribuisce maggiori margini di 
certezza ad un istituto che per troppo tempo � stato coperto da una �fitta nebbia�. 
Il dibattito tra coloro che hanno preferito qualificarlo come modello ordinario, 
al pari della gara pubblica, e quelli che, al contrario, hanno inteso 
considerarlo come modello derogatorio non ha condotto a soluzioni dotate di 
sufficiente certezza. 

Con la scelta del legislatore europeo di dettare un�articolata disciplina 
dell�autoproduzione non pare possa pi� essere refutato in dubbio che il modello 
dell�in house sia divenuto un modello ordinario, il quale obbliga comunque 
il giudice a condurre un attento accertamento, non soltanto in merito alla 
ricorrenza dei due requisiti indefettibili di esso, ma anche sulla ragionevolezza 
della scelta della pubblica amministrazione di non procedere alla indizione di 
una gara pubblica. 

Lo scontro sulla natura ordinaria o derogatoria dell�in house providing 
poteva avere una sua utilit� quando non esisteva una normativa che ne dettasse 
la disciplina: si poteva ragionevolmente sostenere che, l�origine giurisprudenziale 
dell�autoproduzione, palesasse l�idea di considerare l�in house un modello 
del tutto eccezionale rispetto all�istituto della gara pubblica, disciplinato 
espressamente dalla legge. Lo scenario oggi � mutato. Tra due istituti parimenti 
dotati di un fondamento normativo cade l�utilit� (pratica e teorica) del dibattito 
sulla ordinariet�/eccezionalit� dell�in house providing. Esso � oramai un istituto 
ordinario che non impone pi� al giudice nazionale di valutare se la scelta 
di affidare un appalto pubblico in maniera diretta sia lesiva della concorrenza, 
in quanto se ci fosse stato il rischio di una tale lesivit�, non si sarebbe giunti a 
rigor di logica - a positivizzare un istituto contrario alla normativa antitrust. 

La valutazione che il giudice oggi deve compiere in tema di in house providing 
si snoda in due tipi di accertamento. Un primo accertamento (di tipo 
formale) � quello volto a verificare la sussistenza dei due requisiti cui � subordinata 
la sussistenza dell�in house (controllo analogo e attivit� prevalentemente 
svolta nell�interesse delle amministrazioni pubbliche). Un secondo 
accertamento (di tipo sostanziale) � volto a verificare se la scelta di avvalersi 
della struttura in house sia idonea a garantire �la qualit�, l�efficienza, l�economicit� 
e l�efficacia dell�appalto o del servizio e, in sostanza, la virtuosit� 
per l�amministrazione, la collettivit� e gli utenti dei servizi� (99). Solo qualora 

(99) VOLPE C., Le nuove direttive sui contratti pubblici e l�in house providing: problemi vecchi e 
nuovi, cit., p. 18. 


DOTTRINA 223 

il giudice si avveda del fatto che la struttura in house sia inadatta alla realizzazione 
dell�oggetto della commessa pubblica affidatagli direttamente (ad. es., 
perch� sia stata proposta nei confronti del soggetto in house un�azione di classe 
pubblica di cui al D.lgs. n. 198/2009 ovvero perch� sia stato proposto un elevato 
numero di domande giurisdizionali tese ad ottenere il risarcimento dei 
danni causati da episodi di disservizio), lo stesso potr� pronunciare l�illegittimit� 
della scelta di non indire una gara pubblica, ordinando alla pubblica amministrazione 
- nel rispetto della c.d. riserva di funzioni amministrative - di 
indire una gara. 

L�adozione delle nuove direttive europee in materia di appalti pubblici e 
concessioni ha determinato l�insorgere di talune specifiche problematiche, che 
hanno visto impegnati i giudici nazionali. La prima di tali questione riguarda 
l�applicabilit� delle direttive: esse si applicano direttamente oppure necessitano 
del recepimento nazionale? Sul punto, il Consiglio di Stato ha propugnato due 
inconciliabili opzioni ermeneutiche. 

Un primo orientamento, sostenuto in sede consultiva, dopo aver ribadito 
che �l�in house providing aveva ricevuto una disciplina esclusivamente giurisprudenziale 
e l�art. 12 della direttiva europea 2014/24 ha in parte recepito 
tale giurisprudenza, ma in una parte rilevante ha profondamente innovato, definendo 
in modo parzialmente diverso le condizioni di esclusione dalla direttiva 
medesima�, ed aver ritenuto che �sebbene la direttiva 2014/24 non � stata 
ancora recepita, non � dubbio che, se non vi � addirittura un�applicazione immediata 
del tipo self-executing, non pu� in ogni caso non tenersi conto di 
quanto disposto dal legislatore europeo, secondo una dettagliata disciplina in 
materia, introdotta per la prima volta con diritto scritto e destinata a regolare 
a brevissimo la concorrenza nei contratti pubblici di lavori, servizi e forniture 
nell�U.E.� (100), � giunto a considerare legittimo un affidamento diretto realizzato 
dal Ministero dell�Istruzione, dell�Universit� e della Ricerca in favore 
del consorzio CINECA, partecipato da enti pubblici di ricerca e, in una parte 
minoritaria, da istituti privati. Quindi, muovendo dall�assunto che le nuove direttive 
europee ammettono delle partecipazioni minoritarie di soggetti privati 
nelle strutture in house, il giudice amministrativo ha ritenuto legittimo un affidamento 
diretto ad un consorzio partecipato (in minima parte da soggetti privati), 
prima ancora che le direttive venissero formalmente recepite 
nell�ordinamento italiano e, quindi, quando ancora doveva ritenersi vigente 
la giurisprudenza europea che imponeva, ai fini della configurabilit� dell�in 
house providing, la totale partecipazione di soggetti pubblici; ci� in quanto le 
direttive europee troverebbero applicazione immediata. 

(100) Cons. St., Sez. II, 30 gennaio 2015, n. 298, in www.giustizia-amministrativa.it. 
In dottrina si veda la nota di: BRIGANTE V., La crisi della soggettivit� nel diritto amministrativo: l�in 
house providing alla luce del parere del Consiglio di Stato n. 298/2015, in www.lexitalia.it, 2015. 


Conclusioni opposte sono state rassegnate dal Consiglio di Stato, in sede 
giurisdizionale. La questione ha nuovamente visto come protagonista il CINECA, 
questa volta come affidatario diretto dei servizi informatici relativi al-
l�attivazione del sistema U-GOV e ESSE3 da parte dell�Universit� della Calabria. 

Il giudice amministrativo ha affermato l�illegittimit� dell�affidamento 
diretto ad una struttura partecipata (ancorch� minoritariamente) da soggetti 
privati, in quanto �deve escludersi che la nuova direttiva, nonostante il suo 
contenuto in alcune parti dettagliato, possa ritenersi self-executing per la 
dirimente considerazione che � ancora in corso il termine previsto per la 
sua attuazione da parte dello Stato. � vero che la giurisprudenza comunitaria 
riconosce una forma di rilevanza giuridica alla direttiva anche prima che 
sia scaduto il termine per il suo recepimento. Si tratta, per�, di una rilevanza 
giuridica certamente minore rispetto al c.d. effetto diretto (che implica l�immediata 
applicazione della direttiva dettagliata ai rapporti c.d. verticali), 
che si traduce semplicemente, in nome del principio di leale collaborazione, 
in un dovere di stand still, ovvero nel dovere per il legislatore di astenersi 
dall�adottare, nel periodo intercorrente tra la pubblicazione della direttiva 
nella GUUE e il termine assegnato per il suo recepimento, qualsiasi misura 
che possa compromettere il conseguimento del risultato prescritto e per il 
giudice di astenersi da qualsiasi forma di interpretazione o di applicazione 
del diritto nazionale da cui possa derivare, dopo la scadenza del termine di 
attuazione, la messa in pericolo del risultato voluto dalla direttiva. Non si 
tratta, quindi, del dovere di immediata applicazione o dell�obbligo di interpretazione 
conforme (che operano solo dopo che � scaduto il termine di recepimento), 
ma soltanto di un obbligo negativo, che si sostanzia nel dovere 
di astenersi dall�interpretazione difforme potenzialmente pregiudizievole 
per i risultati che la direttiva intende conseguire. Si tratta, in altri termini, 
di un obbligo attenuato rispetto a quello di interpretazione conforme in 
quanto discende da un principio s� fondamentale del diritto dell�Unione, 
quale � quello di leale cooperazione, ma, pur tuttavia, gerarchicamente sotto 
ordinato a quello del primato, il cui mancato rispetto mina la stessa essenza 
dell�ordinamento dell�Unione. Come � stato efficacemente evidenziato in 
dottrina, se l�obbligo d�interpretazione conforme ha un valore prossimo 
all�effetto diretto, lo stesso valore non pu� riconoscersi all�obbligo di astensione 
da un�interpretazione difforme dal diritto dell�Unione europea che 
non consente una lettura della norma interna additiva, dovendosi altrimenti 
ritenere i due istituti giuridici sovrapponibili. Non si pu�, quindi, ritenere 
che la mera pubblicazione della direttiva determini, prima che sia scaduto 
il termine per il suo recepimento, il superamento automatico e immediato 
di una disciplina preesistente di derivazione comunitaria. Per ragioni analoghe, 
non appare corretto ritenere immediatamente operativa la possibilit� 
di partecipazione di capitali privati house richiamando il c.d. obbligo di in



DOTTRINA 225 

terpretazione conforme da parte del giudice nazionale. A venire in rilievo 
non �, infatti, una norma nazionale �ambigua� o �plurivoca�, suscettibile 
di pi� interpretazioni, di cui almeno una conforme al contenuto di una direttiva 
comunitaria sopravvenuta. Viene al contrario in rilievo una nozione 
di in house di matrice comunitaria (elaborata da una giurisprudenza pietrificata, 
tanto da costituire diritto vivente) che � univoca nell�escludere la 
compatibilit� dell�istituto con la partecipazione di soggetti privati. Ritenere 
da subito possibili forme di partecipazione di capitali privati significherebbe, 
pertanto, disapplicare la fin qui consolidata giurisprudenza comunitaria 
sui limiti all�in house, dando prevalenza ad una nozione meno 
restrittiva prevista da una direttiva sopravvenuta ancora in corso di recepimento. 
Non si tratterebbe, quindi, di interpretare il diritto nazionale in maniera 
conforme al diritto eurounitario sopravvenuto, ma, al contrario, di 
disapplicare o correggere l�interpretazione fornita dalla giurisprudenza della 
Corte di giustizia, per assicurarne la conformit� alla direttiva sopravvenuta, 
la quale, per�, (non essendo scaduto il termine di recepimento) non � ancora 
cogente all�interno degli ordinamenti nazionali� (101). 

La seconda questione che ha visto impegnata la giurisprudenza nazionale 
concerne la portata del secondo requisito dell�in house providing: quello 
�dell�attivit� prevalente�. La difficolt� di interpretare la nuova conformazione 
di tale requisito ha indotto il Consiglio di Stato a chiedere alla Corte di Giustizia 
europea �se, nel computare l�attivit� prevalente svolta dall�ente controllato, 
debba farsi anche riferimento all�attivit� imposta da un�amministrazione 
pubblica non socia a favore di enti pubblici non soci, nonch� se, nel computare 
l�attivit� prevalente svolta dall�ente controllato, debba farsi anche riferimento 
agli affidamenti nei confronti degli enti pubblici soci prima che divenisse effettivo 
il requisito del c.d. controllo analogo� (102). 

Tanto posto, giova evidenziare che l�auspicio che lo Stato italiano potesse 
�profittare� di quest�occasione per positivizzare, anche in sede nazionale, un 
istituto fondamentale, soprattutto in un periodo in cui si fanno sempre pi� pressanti 
le esigenze di equilibrio della finanza pubblica, ha trovato un compiuto 
riscontro. I principi elaborati dalla giurisprudenza europea e le prescrizioni 
contenute nelle direttive appalti del 2014 sono state infatti recepite nel c.d. 
nuovo codice appalti. 

Il D.lgs. n. 18 aprile 2016, n. 50, recante �Attuazione delle direttive 
2014/23/UE, 2014/24/UE e 2014/25/UE sull�aggiudicazione dei contratti di 
concessione, sugli appalti pubblici e sulle procedure d'appalto degli enti erogatori 
nei settori dell�acqua, dell�energia, dei trasporti e dei servizi postali, 
nonch� per il riordino della disciplina vigente in materia di contratti pubblici 

(101) Cons. St., Sez. VI, 26 maggio 2015, n. 2660, in www.giustizia-amministrativa.it. 

(102) Cons. St., Sez V, 20 ottobre 2015, n. 4793, in Foro amm. - CDS, 2015, pp. 2515 ss. 


relativi a lavori, servizi e forniture� detta la disciplina dell�in house providing 
al suo articolo 5 (103). 

(103) L�art. 5 del D.lgs. n. 50/2016, sotto la rubrica Principi comuni in materia di esclusione per 
concessioni, appalti pubblici e accordi tra enti e amministrazioni aggiudicatrici nell�ambito del settore 
pubblico, cos� dispone: �Una concessione o un appalto pubblico, nei settori ordinari o speciali, aggiudicati 
da un�amministrazione aggiudicatrice o da un ente aggiudicatore a una persona giuridica di diritto 
pubblico o di diritto privato non rientra nell'ambito di applicazione del presente codice quando sono 
soddisfatte tutte le seguenti condizioni: 
a) l'amministrazione aggiudicatrice o l'ente aggiudicatore esercita sulla persona giuridica di cui trattasi 
un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi; 
b) oltre l'80 per cento delle attivit� della persona giuridica controllata � effettuata nello svolgimento dei 
compiti ad essa affidati dall'amministrazione aggiudicatrice controllante o da altre persone giuridiche 
controllate dall'amministrazione aggiudicatrice o da un ente aggiudicatore di cui trattasi; 
c) nella persona giuridica controllata non vi � alcuna partecipazione diretta di capitali privati, ad eccezione 
di forme di partecipazione di capitali privati previste dalla legislazione nazionale, in conformit� 
dei trattati, che non esercitano un'influenza determinante sulla persona giuridica controllata. 
Un'amministrazione aggiudicatrice o un ente aggiudicatore esercita su una persona giuridica un controllo 
analogo a quello esercitato sui propri servizi ai sensi del comma 1, lettera a), qualora essa eserciti un'influenza 
determinante sia sugli obiettivi strategici che sulle decisioni significative della persona giuridica 
controllata. Tale controllo pu� anche essere esercitato da una persona giuridica diversa, a sua volta controllata 
allo stesso modo dall'amministrazione aggiudicatrice o dall�ente aggiudicatore. 
Il presente codice non si applica anche quando una persona giuridica controllata che � un'amministrazione 
aggiudicatrice o un ente aggiudicatore, aggiudica un appalto o una concessione alla propria amministrazione 
aggiudicatrice o all�ente aggiudicatore controllante o ad un altro soggetto giuridico 
controllato dalla stessa amministrazione aggiudicatrice o ente aggiudicatore, a condizione che nella persona 
giuridica alla quale viene aggiudicato l'appalto pubblico non vi sia alcuna partecipazione diretta di 
capitali privati, ad eccezione di forme di partecipazione di capitali privati che non comportano controllo 

o potere di veto prescritte dalle legislazione nazionale, in conformit� dei trattati, che non esercitano 
un'influenza determinante sulla persona giuridica controllata. 
Un'amministrazione aggiudicatrice o un ente aggiudicatore pu� aggiudicare un appalto pubblico o una 
concessione senza applicare il presente codice qualora ricorrano le condizioni di cui al comma 1, anche 
in caso di controllo congiunto. 
Le amministrazioni aggiudicatrici o gli enti aggiudicatori esercitano su una persona giuridica un controllo 
congiunto quando sono soddisfatte tutte le seguenti condizioni: 
a) gli organi decisionali della persona giuridica controllata sono composti da rappresentanti di tutte le 
amministrazioni aggiudicatrici o enti aggiudicatori partecipanti. Singoli rappresentanti possono rappresentare 
varie o tutte le amministrazioni aggiudicatrici o enti aggiudicatori partecipanti; 
b) tali amministrazioni aggiudicatrici o enti aggiudicatori sono in grado di esercitare congiuntamente un'influenza 
determinante sugli obiettivi strategici e sulle decisioni significative di detta persona giuridica; 
c) la persona giuridica controllata non persegue interessi contrari a quelli delle amministrazioni aggiudicatrici 
o degli enti aggiudicatori controllanti. 
Un accordo concluso esclusivamente tra due o pi� amministrazioni aggiudicatrici non rientra nell'ambito 
di applicazione del presente codice, quando sono soddisfatte tutte le seguenti condizioni: 
a) l�accordo stabilisce o realizza una cooperazione tra le amministrazioni aggiudicatrici o gli enti aggiudicatori 
partecipanti, finalizzata a garantire che i servizi pubblici che essi sono tenuti a svolgere siano 
prestati nell'ottica di conseguire gli obiettivi che essi hanno in comune; 
b) l'attuazione di tale cooperazione � retta esclusivamente da considerazioni inerenti all'interesse pubblico; 
c) le amministrazioni aggiudicatrici o gli enti aggiudicatori partecipanti svolgono sul mercato aperto 
meno del 20 per cento delle attivit� interessate dalla cooperazione. 
Per determinare la percentuale delle attivit� di cui al comma 1, lettera b), e al comma 6, lettera c), si 
prende in considerazione il fatturato totale medio, o una idonea misura alternativa basata sull'attivit�, 
quale i costi sostenuti dalla persona giuridica o amministrazione aggiudicatrice o l�ente aggiudicatore 


DOTTRINA 227 

La lettera della norma consente di desumere, nell�immediato, che il legislatore 
delegato ha attuato il recepimento del diritto europeo vigente in materia 
di commesse pubbliche in maniera pienamente conforme alle indicazioni provenienti 
dall�acquis comunitario. Sotto questo punto di vista, dunque, il D.lgs. 

n. 50/2016 si pone in linea con i risultati, in certo senso, positivi che l�Italia 
inizia, sia pure timidamente, a far registrare in merito alla tempestivit� del recepimento 
del diritto europeo. Non � un caso che un�attenta dottrina ha evidenziato 
che �il principale indicatore della capacit� di uno Stato membro di 
attuare il diritto dell�Unione � rappresentato dal numero di procedure di infrazione 
aperto nei suoi confronti. Alla fine del 2002, pendevano nei confronti 
dell�Italia 201 procedure, delle quali 65 per mancata trasposizione di direttive 
entro il termine. Negli anni successivi, il numero di procedure � aumentato 
progressivamente, fino a raggiungere, alla met� del 2005, la quota massima 
di 275 (di cui 69 per mancato recepimento di direttive). Da allora, grazie a 
una serie di accorgimenti e al rafforzamento degli strumenti di dialogo con la 
Commissione, si � assistito a un sensibile miglioramento. Alla fine del 2012 
il governo ha raggiunto l�obiettivo di contenere il numero di procedure, per la 
prima volta dopo quindici anni, al di sotto di ��quota cento��� (104). 

Malgrado il rispetto del termine di recepimento, deve essere comunque 
rilevato quell�atavica passivit� del legislatore italiano nel recepimento delle 
norme comunitarie. Anche in questo caso, come gi� accaduto in altre ipotesi, 
lo Stato italiano, non incidendo minimante sulla conformazione della normativa, 
ha riprovato la fondatezza di quanto denunciato da quella dottrina, secondo 
cui �a dispetto dei buoni risultati conseguiti negli ultimi anni sul piano 
dell�attuazione del diritto europeo, i tradizionali problemi italiani, in questo 
ambito, non possono ritenersi risolti. Resta aperto, in particolare, il problema 
della inadeguata preparazione europea e della scarsa capacit� di analisi e valutazione 
delle nostre amministrazioni, a livello centrale e, ancor pi�, territoriale. 
Il problema si riflette innanzitutto sulla fase ascendente. Fatte salve 
poche eccezioni, gli apparati burocratici italiani - a differenza di quelli di altri 
grandi paesi europei - non sono muniti delle capacit� di analisi e di valutazione, 
appunto, oltre che di coordinamento, richieste da una partecipazione 

nei settori dei servizi, delle forniture e dei lavori per i tre anni precedenti l'aggiudicazione dell'appalto 

o della concessione. 
Se, a causa della data di costituzione o di inizio dell'attivit� della persona giuridica o amministrazione 
aggiudicatrice o ente aggiudicatore, ovvero a causa della riorganizzazione delle sue attivit�, il fatturato 
o la misura alternativa basata sull'attivit�, quali i costi, non � disponibile per i tre anni precedenti o non 
� pi� pertinente, � sufficiente dimostrare, segnatamente in base a proiezioni dell'attivit�, che la misura 
dell'attivit� � credibile. 
Nei casi in cui le norme vigenti consentono la costituzione di societ� miste per la realizzazione e gestione 
di un'opera pubblica o per l'organizzazione e la gestione di un servizio di interesse generale, la scelta 
del socio privato avviene con procedure di evidenza pubblica�. 


(104) SAVINO M., L�attuazione della normativa europea, in Giorn. dir. amm., V, 2013, p. 471. 


attiva (e non meramente reattiva) al decision-making europeo. Perci�, le nostre 
amministrazioni non sono in grado di reagire prontamente alle sollecitazioni 
della Commissione e di incidere sulle scelte di fondo incorporate nelle proposte 
legislative dell�Unione. Le ricadute sulla fase discendente sono inevitabili. 
Il fatto che la partecipazione delle amministrazioni italiane alla fase ascendente 
sia particolarmente debole spiega, infatti, perch� l�Italia sopporti costi di adattamento 
pi� elevati rispetto ad altri paesi; perch� gli uffici italiani si trovino 
in costante ritardo quando si tratti di recepire direttive complesse, non essendo 
state previamente valutate le ricadute; e perch� la qualit� del recepimento non 
sia elevata: la continua rincorsa porta ad una elaborazione frettolosa delle misure 
di recepimento, che si traduce in difformit� e incongruenze rispetto alle 
norme sovranazionali da attuare� (105). 

L�unico elemento di novit� che � stato inserito in sede di recepimento 
delle direttive europee � rinvenibile nel disposto di cui all�192 del D.lgs. n. 
50/2016, il quale prevede l�istituzione presso l�Autorit� Nazionale Anticorruzione 
(A.N.A.C.) dell�elenco delle stazioni appaltanti che operano mediante 
affidamenti diretti nei confronti di proprie societ� in house (106). La ragione 
giustificativa � rinvenibile nell�esigenza di agevolare l�Authority nell�attivit� 
di vigilanza e controllo (107) sul rispetto della normativa in materia di appalti 
e concessioni da parte delle pubbliche amministrazioni, cos� da prevenire od 
estirpare i focali corruttivi che potrebbero celarsi dietro la scelte di rinunziare 
al mercato. 

(105) Savino M., op. ult. cit., 2013, p. 474. 

(106) L�art. 192 del D.lgs. n. 50/2016 dispone che: � istituito presso l'ANAC, anche al fine di garantire 
adeguati livelli di pubblicit� e trasparenza nei contratti pubblici, l'elenco delle amministrazioni aggiudicatrici 
e degli enti aggiudicatori che operano mediante affidamenti diretti nei confronti di proprie 
societ� in house di cui all'articolo 5. L'iscrizione nell'elenco avviene a domanda, dopo che sia stata riscontrata 
l'esistenza dei requisiti, secondo le modalit� e i criteri che l'Autorit� definisce con proprio atto. La 
domanda di iscrizione consente alle amministrazioni aggiudicatrici e agli enti aggiudicatori sotto la propria 
responsabilit�, di effettuare affidamenti diretti dei contratti all'ente strumentale. Resta fermo l'obbligo di 
pubblicazione degli atti connessi all'affidamento diretto medesimo secondo quanto previsto al comma 3. 
Ai fini dell'affidamento in house di un contratto avente ad oggetto servizi disponibili sul mercato in regime 
di concorrenza, le stazioni appaltanti effettuano preventivamente la valutazione sulla congruit� 
economica dell'offerta dei soggetti in house, avuto riguardo all'oggetto e al valore della prestazione, 
dando conto nella motivazione del provvedimento di affidamento delle ragioni del mancato ricorso al 
mercato, nonch� dei benefici per la collettivit� della forma di gestione prescelta, anche con riferimento 
agli obiettivi di universalit� e socialit�, di efficienza, di economicit� e di qualit� del servizio, nonch� di 
ottimale impiego delle risorse pubbliche. 
Sul profilo del committente nella sezione Amministrazione trasparente sono pubblicati e aggiornati, in 
conformit� alle disposizioni di cui al decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33, in formato open-data, 
tutti gli atti connessi all'affidamento degli appalti pubblici e dei contratti di concessione tra enti nell'ambito 
del settore pubblico, ove non secretati ai sensi dell'articolo 162�. 

(107) Per una ricostruzione dei nuovi poteri dell�A.N.A.C. si v.: STICCHI DAMIANI S., I nuovi poteri 
dell�Autorit� Anticorruzione, in Libro dell�anno 2015, www.treccani.it; LONGOBARDI N., L�Autorit� Nazionale 
Anticorruzione e la nuova normativa sui contratti pubblici, in www.giustamm.it, 2016. 


DOTTRINA 229 

Il valore doganale nel transfer pricing 

Francesco Meloncelli* 

SOMMARIO: 1. Premessa metodica. A) LA DESCRIZIONE DEL VALORE DOGANALE NEL TRANSFER 
PRICING. 2. Il significato delle parole �valore doganale� e �transfer pricing� e il relativo concetto 
- 3. La parametrazione interna - 3.1. Il dato normativo - 3.2. Il principio di effettivit� 
temperato dal criterio della normalit� - 3.3. Il concetto di �legame - 3.4. Il valore accettabile 

- 4. Excursus sul metodo scientifico di approssimazione - 5. L�accertamento per approssimazione 
nel transfer princing - 6. La parametrazione esterna. B) IL REGIME GIURIDICO DEL VALORE 
DOGANALE. 7. Dalla struttura alla funzione - 8. Il fondamento dell�istituto. C) IL REGIME PROCESSUALE 
DEL VALORE DOGANALE NEL TRANSFER PRICING. 9. Dai profili sostanziali a quelli processuali 
- 10. Il fattore temporale della dichiarazione in dogana - 11. L�onere della prova 


12. La prova dell�abuso di diritto - 13. Il concetto di legame. D) CONCLUSIONE. 

1. Premessa metodica. 

Il compito affidatomi � quello d�illustrare il regime giuridico del �Valore 
doganale nel transfer pricing�. 

Assumiamo per ipotesi, con riserva di dimostrazione, che il �valore doganale 
nel transfer pricing� sia un istituto giuridico, val a dire che esso sia un 
fenomeno al quale l�ordinamento giuridico italiano abbia dedicato un insieme 
di norme di natura tale da formare un subsistema normativo, cio� un complesso 
di norme ordinate e coerenti, di livello minimo e armonicamente collocato nel 
sistema ordinamentale statale e comunitario. L�ipotesi risulter� dimostrata se 
da quel subsistema normativo si saranno potuti desumere quattro profili del 
regime del valore doganale nel transfer pricing che risultino uniti in due coppie 
di elementi determinati secondo i concetti collegati e contrapposti di normalit� 
(o fisiologia) e anormalit� (patologia), a loro volta articolabili in sfere connesse 
e distinte secondo i concetti di struttura e di funzione. 

L�esposizione, quindi, premessa una sommaria descrizione dei dati, sia 
lessicali sia parametrici, tanto interni quanto esterni, affronter� il nucleo essenziale 
del tema seguendo il percorso, consolidato in dottrina, illustrativo 
della natura di un istituto giuridico. 

A) La descrizione del valore doganale nel transfer pricing. 

2. Il significato delle parole �valore doganale� e �transfer pricing� e il relativo 
concetto. 

*) Avvocato dello Stato. 

Il presente scritto costituisce la Relazione svolta il 22 maggio 2015 a Roma, nel Seminario n. 2 del 
Corso di alta formazione in Diritto Doganale e del Commercio internazionale organizzato dall�Universit� 
Cattolica del Sacro Cuore. 


Il transfer price � il prezzo di trasferimento tra soggetti di gruppo. 

Si tratta di un fenomeno economico che � il risultato di pi� comportamenti 
di soggetti diversi operanti coordinatamente: il transfer pricing. 

ComՏ d�uso fare tra i giuristi, i quali lavorano, anzitutto e soprattutto, 
con le dichiarazioni normative, conviene partire, nella descrizione del fenomeno, 
dal significato delle parole che lo designano, tenendo conto che la tematica 
� di origine internazionale. Ci� significa che la fonte del regime 
giuridico vigente in Italia, relativo al transfer pricing nel settore doganale, ha 
una derivazione internazionale: esso � contenuto in trattati internazionali a cui 
ha aderito lo Stato italiano, in conformit� alle direttive e alle linee guida elaborate 
da organizzazioni internazionali, qual � l�Organizzazione mondiale del 
commercio. Tuttavia, dati i limiti fissatimi, la mia relazione si concentrer� solo 
sull�esame del diritto comunitario con particolare riferimento al diritto interno 
italiano, con la conseguenza che, pur tenendo conto che il lessico impiegato 
nel settore costituisce prevalentemente una traduzione da testi normativi redatti 
in lingua inglese o in lingua francese, noi ragioneremo sul significato delle 
parole usate negli atti normativi comunitari in lingua italiana. 

Ci� precisato, possiamo muovere dal significato che nel linguaggio comune 
assume la parola �valore� di un bene. In generale, il valore � la caratteristica 
di un bene in forza della quale gli si riconosce una qualit� positiva, 
che rende il bene pregevole, stimabile, apprezzabile e, quindi, desiderabile. 
Due sono le accezioni con le quali la parola �valore� pu� essere impiegata 
nei settori comportamentali che noi dobbiamo analizzare: anzitutto, essa pu� 
designare la capacit� del bene di soddisfare un bisogno, cosicch� il valore si 
specifica, in senso economico, come valore d�uso, assumendo un significato 
che �, ai nostri fini, privo d�interesse; in secondo luogo, il valore pu� equivalere 
a valore di scambio, designando cos� la propriet� del bene di consentire 
l�acquisto di altri beni, assumendo il significato di prezzo relativo. Sottolineo 
che in questa definizione di valore come valore di scambio � gi� insito il concetto 
di comparabilit� ed � incluso anche l�ulteriore significato di valore come 
stima. �, quindi, ineliminabile una certa dose di soggettivit� valutativa nel 
concetto di valore; se ne avr� conferma nell�analisi di diritto positivo che 
condurremo tra poco. 

Se questo � il significato nel linguaggio comune della parola �valore�, 
anche le altre parole che designano il fenomeno in esame cominciano a loro 
volta a precisare il loro senso: �transfer� equivale, nel linguaggio giuridico, a 
�trasferimento� o �cessione�, e �to price� � l�azione di fissare un prezzo. Per�, 
se il significato dell�espressione �prezzare il trasferimento� pu� essere colto 
da chiunque, quando ci si inoltra nel linguaggio giuridico del settore commerciale 
e tributario, questo termine si arricchisce di un�accezione ulteriore. Si 
tratta, cio�, di un trasferimento artificiale della sopportazione del costo di un 
bene tra soggetti correlati; detto altrimenti, si tratta di un aggiustamento arti



DOTTRINA 231 

ficiale del prezzo di un bene tra soggetti collegati o, come dicono gli atti normativi 
UE, �legati�. Di questo significato giuridico di transfer pricing si trova 
conferma nei dati diritto positivo, che andiamo ad esaminare per identificare 
il fenomeno giuridico del transfer pricing nel diritto doganale, cominciando 
dai suoi elementi strutturali al fine di desumerne il concetto, sia in s� sia in relazione 
ai fenomeni contrapponibili e ai fenomeni assimilabili. 

A tal fine, prendiamo le mosse dall�art. 29 del Regolamento del Consiglio 
della Comunit� europea 12 ottobre 1992, n. 2913 (1), che prescrive quale sia 

(1) Ricordo, per comodit� del lettore, che la testuale formulazione dell�art. 29 del Regolamento 
(CEE) 12 ottobre 1992, n. 2913/92 del Consiglio, che istituisce un codice doganale comunitario, era la 
seguente: 
<<1. Il valore in dogana delle merci importate � il valore di transazione, cio� il prezzo effettivamente 
pagato o da pagare per le merci quando siano vendute per l'esportazione a destinazione del territorio 
doganale della Comunit�, previa eventuale rettifica effettuata conformemente agli articoli 32 e 33, sempre 
che: 
a) non esistano restrizioni per la cessione o per l'utilizzazione delle merci da parte del compratore, oltre 
le restrizioni che: 

-sono imposte o richieste dalla legge o dalle autorit� pubbliche nella Comunit�, 

-limitano l'area geografica nella quale le merci possono essere rivendute, oppure 

-non intaccano sostanzialmente il valore delle merci, 
b) la vendita o il prezzo non sia subordinato a condizioni o prestazioni il cui valore non possa essere determinato 
in relazione alle merci da valutare, 
c) nessuna parte del prodotto di qualsiasi rivendita, cessione o utilizzazione successiva delle merci da 
parte del compratore ritorni, direttamente o indirettamente, al venditore, a meno che non possa essere 
operata un'adeguata rettifica ai sensi dell'articolo 32, e 
d) il compratore ed il venditore non siano legati o, se lo sono, il valore di transazione sia accettabile a 
fini doganali, ai sensi del paragrafo 2. 

2. a) Per stabilire se il valore di transazione sia accettabile ai fini dell'applicazione del paragrafo 1, il 
fatto che il compratore e il venditore siano legati non costituisce di per s� motivo sufficiente per considerare 
inaccettabile detto valore. Se necessario, le circostanze proprie della vendita sono esaminate e il 
valore di transazione ammesso, purch� tali legami non abbiano influito sul prezzo. Se, tenuto conto delle 
informazioni fornite dal dichiarante o ottenute da altre fonti, l'amministrazione doganale ha motivo di 
ritenere che detti legami abbiano influito sul prezzo, essa comunica queste motivazioni al dichiarante 
fornendogli una ragionevole possibilit� di risposta. Qualora il dichiarante lo richieda, le motivazioni gli 
sono comunicate per iscritto. 
b) In una vendita tra persone legate, il valore di transazione � accettato e le merci sono valutate conformemente 
al paragrafo 1 quando il dichiarante dimostri che detto valore � molto vicino ad uno dei valori 
qui di seguito indicati, stabiliti allo stesso momento o pressappoco allo stesso momento: 
i) il valore di transazione in occasione di vendita, tra compratori e venditori che non sono legati, di merci 
identiche o similari per l'esportazione a destinazione della Comunit�; 
ii) il valore in dogana di merci identiche o similari, quale � determinato ai sensi dell'articolo 30, paragrafo 
2, lettera c); 
iii) il valore in dogana di merci identiche o similari, quale � determinato ai sensi dell'articolo 30, paragrafo 
2, lettera d). 
Nell'applicare i predetti criteri si tiene debitamente conto delle differenze accertate tra i livelli commerciali, 
le quantit�, gli elementi enumerati all'articolo 32 ed i costi sostenuti dal venditore in occasione di 
vendite nelle quali il compratore e il venditore non sono legati e i costi che questi non sostiene in occasione 
di vendite nelle quali il compratore ed il venditore sono legati. 
c) I criteri di cui alla lettera b) devono essere applicati su iniziativa del dichiarante e soltanto a fini comparativi. 
Non possono essere stabiliti valori sostitutivi ai sensi della predetta lettera b). 


il valore doganale, ossia la base imponibile su cui si applica il dazio doganale 
ad valorem (2). 

3. La parametrazione interna. 

3.1. Il dato normativo. 

Dal rapporto tra i vari elementi, che compongono la definizione normativa 
del valore doganale in caso di transfer pricing, si desume un�importante 
differenza: da un lato, in generale, il valore in dogana delle merci � costituito 
dal valore di transazione (art. 29.1), salve le condizioni indicate ancora dal 
comma 1 dell�art. 29 alle lettere da a) a d), delle quali � qui rilevante l�ultima 
cos� formulata: <<sempre che il compratore ed il venditore non siano legati 
o, se lo sono, il valore di transazione sia accettabile a fini doganali, ai sensi 
del paragrafo 2>>; dall�altro, in caso di parti correlate, il valore doganale al 
quale � dedicato il comma 2 dell�art. 29 - � il valore di transazione (in)accettabile 
tra soggetti �legati�. 

Questa � la definizione di valore doganale secondo l�art. 29 del Codice 
comunitario doganale del 1992, che nel regolamento del 2013, all�art. 70, � 
definito in maniera leggermente differente, ossia come valore di transazione 
tra soggetti collegati quando la relazione ha influenzato il prezzo. In realt�, 
nella definizione attuale non si fa altro che specificare direttamente che l�accettabilit� 
del valore di transazione dichiarato dipende dal fatto che quel prezzo 
di transazione non sia stato influenzato dalla relazione tra il soggetto venditore 
e il soggetto compratore (3). 

3. a) Il prezzo effettivamente pagato o da pagare � il pagamento totale effettuato o da effettuare da parte 
del compratore al venditore, o a beneficio di questo ultimo, per le merci importate e comprende la totalit� 
dei pagamenti eseguiti o da eseguire, come condizione della vendita delle merci importate, dal compratore 
al venditore, o dal compratore a una terza persona, per soddisfare un obbligo del venditore. Il pagamento 
non deve necessariamente essere fatto in denaro. Esso pu� essere fatto, per via diretta o 
indiretta, anche mediante lettere di credito e titoli negoziabili. 
b) Le attivit�, comprese quelle riguardanti la commercializzazione, avviate dal compratore per proprio 
conto, diverse da quelle per le quali � prevista una rettifica all'articolo 32, non sono considerate un pagamento 
indiretto al venditore, anche se si pu� ritenere che il venditore ne sia il beneficiario e ch'esse 
siano state avviate con l'accordo di quest'ultimo; il loro costo non � aggiunto al prezzo effettivamente 
pagato o da pagare per la determinazione del valore in dogane delle merci importate>>. 

(2) Devo precisare il senso del richiamo ad un atto normativo del 1992, che, comՏ noto, � stato 
abrogato dal Codice doganale comunitario contenuto nel Regolamento CE 23 aprile del 2008 n. 450/2008 
del Parlamento europeo e del Consiglio, che istituisce il codice doganale comunitario (Codice doganale 
aggiornato), a sua volta abrogato dall�art. 286.1 Regolamento UE 9 ottobre 2013 n. 952/2013 del Parlamento 
europeo e del Consiglio, che istituisce il codice doganale dell�Unione. Infatti, la disciplina in 
esso contenuta ha ricevuto una lunga applicazione, dalla quale si possono desumere delle linee interpretative 
ancor oggi valide. Le variazioni successivamente intervenute sono, invero, non radicali, cosicch� 
la normativa di passaggio - quella del 2008 - non differisce sostanzialmente dalla precedente ed 
� rimasta in vigore per cos� poco tempo, che, in un�analisi evolutiva del sistema, la si pu� considerare, 
con qualche approssimazione, sostanzialmente sovrapponibile a quella precedente. 


DOTTRINA 233 

3.2. Il principio di effettivit� temperato dal criterio della normalit�. 

Se, ora, si analizzano nel dettaglio i singoli elementi impiegati dalle disposizioni 
normative citate per comporre la struttura del valore doganale nel 
transfer pricing, � agevole constatare che esse fanno riferimento, anzitutto, 
al valore di transazione. Il richiamo del legislatore a questo concetto vincola 
a ritenere che il sistema � basato sul principio di effettivit� della transazione, 
dello scambio, in un libero mercato, temperato da un criterio di normalit�. 
In altri termini, da un lato, si conferisce rilievo alla concreta operazione economica 
posta in essere e, quindi, tendenzialmente al valore attribuito dalle 
parti alla merce nel singolo caso; dall�altro lato, tuttavia, si ha la consapevolezza 
che questo principio di base, il principio di effettivit�, pu� e deve 
essere temperato da un criterio di normalit�, perch�, se in un libero mercato, 
astrattamente perfetto, l�operazione, la singola operazione, indica effettivamente 
la base imponibile, si ha la consapevolezza che non sempre, o quasi 
mai, ci si trova in quella condizione e, in ogni caso, nell�ipotesi di parti �legate�, 
� indispensabile effettuare un paragone con dei valori normali per verificare 
se il prezzo dichiarato dalle parti sia realistico. Pi� dettagliatamente 
si pu� ricordare che l'effettivit� del valore di transazione � concepibile, nel 
diritto comunitario, soltanto in un un libero mercato: � necessario che la transazione 
venga effettuata con il rispetto di alcune condizioni preliminari, ovverosia 
che non vi siano restrizioni alla concorrenza previste per legge o per 
convenzione, che non sussista un regime concorrenziale alternativo al prezzo 
di mercato, ovvero che il bene venduto non ritorni pattiziamente al venditore, 
ossia sostanzialmente che la vendita non sia fittizia. Se queste sono le con


(3) L�art. 70 Regolamento (UE) 9 ottobre 2013, n. 952, � cos� formulato: 
<<Metodo di determinazione del valore in dogana basato sul valore di transazione 

1. La base primaria per il valore in dogana delle merci � il valore di transazione, cio� il prezzo effettivamente 
pagato o da pagare per le merci quando sono vendute per l'esportazione verso il territorio doganale 
dell'Unione, eventualmente adeguato. 
2. Il prezzo effettivamente pagato o da pagare � il pagamento totale che � stato o deve essere effettuato 
dal compratore nei confronti del venditore, o dal compratore a una terza parte, a beneficio del venditore, 
per le merci importate, e comprende tutti i pagamenti che sono stati o devono essere effettuati, come 
condizione della vendita delle merci importate. 
3. Il valore di transazione si applica purch� ricorrano tutte le condizioni seguenti: 
a) non esistano restrizioni per la cessione o per l'utilizzazione delle merci da parte del compratore, oltre 
a una qualsiasi delle seguenti: 
i) restrizioni imposte o richieste dalla legge o dalle autorit� pubbliche nell'Unione; 
ii) limitazioni dell'area geografica nella quale le merci possono essere rivendute; 
iii) restrizioni che non intaccano sostanzialmente il valore in dogana delle merci; 
b) la vendita o il prezzo non siano subordinati a condizioni o prestazioni per le quali non possa essere 
determinato un valore in relazione alle merci da valutare; 
c) nessuna parte dei proventi di qualsiasi rivendita, cessione o utilizzazione successiva delle merci da 
parte del compratore ritorni, direttamente o indirettamente, al venditore, a meno che non possa essere 
operato un appropriato adeguamento; 
d) il compratore e il venditore non siano collegati o la relazione non abbia influenzato il prezzo>>. 



dizioni perch� possa valere il valore di transazione dichiarato dalle parti in 
corrispondenza a quello effettivo dello scambio, la loro verificazione attribuisce 
attendibilit� al valore dichiarato dalle parti secondo il principio di effettivit�. 
La Corte di giustizia, nella sentenza C-111/79, sia pur a proposito 
del regime giuridico comunitario anteriore a quello qui esaminato, ha stabilito 
comunque che la definizione del valore di transazione non pu� essere 
indipendente dal prezzo normale, il che vale quanto dire che il principio di 
effettivit� dev�essere temperato dalla comparazione con un valore che possa 
assumersi come normale. Di qui nasce il riferimento al concetto di comparabilit�, 
che avevo segnalato in occasione dell�illustrazione del concetto di 
valore come inclusivo in s� del concetto di �stima�, di �valutazione�. 

3.3. Il concetto di �legame�. 

Altro elemento che si rinviene nella definizione di diritto positivo del 
transfer pricing nel diritto doganale � il concetto di �legame�. Mi sia permesso 
di fare un rinvio all�art. 143 del Regolamento applicativo del Codice comunitario 
(DAC) (4), il quale enumera tutti gli indici di un legame rilevante giuridicamente. 
Essi sono talmente numerosi che non � possibile qui analizzarli 
singolarmente. Val la pena, tuttavia, di notare che il concetto di legame si desume 
da una serie cos� numerosa e variegata di fatti che, nel diritto doganale, 
al fine della determinazione del valore, si devono considerare �legate� tra loro 
persone che ordinariamente non lo sono nel diritto interno. 

Mi spiegher� meglio, ma anticipo questa indicazione: per il diritto comunitario 
viene adottato un concetto di gruppo di imprese cos� ampio, da in


(4) Regolamento (CEE) 2 luglio 1993, n. 2454/93 della Commissione, che fissa talune disposizioni 
d'applicazione del regolamento (CEE) n. 2913/92 del Consiglio che istituisce il codice doganale comunitario, 
il cui Articolo 143 � cos� formulato: 
<<1. Ai fini dell'applicazione degli articoli 29, paragrafo 1, lettera d) e 30, paragrafo 2, lettera c) del codice, 
due o pi� persone si considerano legate solo se: 
a) l'una fa parte della direzione o del consiglio di amministrazione dell'impresa dell'altra e viceversa; 
b) hanno la veste giuridica di associati; 
c) l'una � il datore di lavoro dell'altra; 
d) una persona qualsiasi possegga, controlli o detenga, direttamente o indirettamente, il 5 % o pi� delle 
azioni o quote con diritto di voto delle imprese dell'una e dell'altra; 
e) l'una controlla direttamente o indirettamente l'altra; 
f) l'una e l'altra sono direttamente o indirettamente controllate da una terza persona; 
g) esse controllano assieme, direttamente o indirettamente, una terza persona; oppure se 
h) appartengono alla stessa famiglia. Si considerano appartenenti alla stessa famiglia solo le persone tra 
le quali intercorre uno dei seguenti rapporti: 

-marito e moglie 

-ascendenti e discendenti, in linea diretta, di primo grado 

-fratelli e sorelle (germani e unilineari) 

-ascendenti e discendenti, in linea diretta, di secondo grado 

-zii/zie e nipoti 

-suoceri e generi o nuore 

- cognati e cognate>>. 


DOTTRINA 235 

cludervi anche relazioni tra soggetti che non siano neanche formalizzate sul 
piano giuridico e che, tuttavia, di fatto possono determinare un'influenza di 
un soggetto su un altro. Questo spiega anche la ragione per cui nell'art. 29 del 
regolamento del 1992 � espressamente previsto che il solo legame non � sufficiente 
a rendere inaccettabile il valore doganale, cio� a presumere l�influenza 
sul prezzo. Si pu� intendere questa precisazione come una conseguenza del-
l�ampiezza del concetto di legame tra soggetti: il legislatore si � visto costretto 
a prevedere che l�autorit� doganale non pu� rettificare il prezzo sulla sola base 
del rapporto tra il soggetto venditore e il soggetto compratore. 

3.4. Il valore accettabile. 

Altro elemento � quello del valore accettabile, cio� non influenzato dal 
rapporto. L�art. 29 e l�art. 70 dei rispettivi citati regolamenti del 1992 e del 
2013 indicano che il transfer pricing all�interno di un gruppo d�imprese, di 
per s�, non rende inaccettabile, cio� non rende irrealistico, il valore dichiarato, 
purch� esso sia molto vicino, quantitativamente e temporalmente, ad 
un valore di transazione che �, o pu� essere, determinato secondo tre metodi. 
Si vede, dunque, come il principio di effettivit� venga temperato: nel caso 
di transfer pricing, quando sussista un legame e l�autorit� doganale abbia il 
fondato sospetto che il prezzo ne risulti influenzato, il valore dichiarato � 
accettabile quando esso sia molto simile ad un valore di transazione altrimenti 
determinato per �vicinanza� - � proprio la legge ad usare questa parola 

-e, dunque, inevitabilmente costruito per approssimazione. Il richiamo indirizza 
l�attenzione sul fatto che l�impiego di un concetto giuridico indeterminato 
comporta che la sua determinazione non possa esser effettuata altro 
che per approssimazione, cio� soltanto in base a una stima. In altri termini, 
� la stessa legge a prevedere che per la determinazione del valore in dogana 
si adotti un metodo di approssimazione. 

4. Excursus sul metodo scientifico di approssimazione. 

Il fenomeno dell�approssimazione nell�attivit� di accertamento dei fatti 
e, quindi, nella determinazione dell�oggetto dell�imposizione, � cos� rilevante 
che si ritiene opportuno soffermarsi ad effettuarne un breve inquadramento 
metodico, allo scopo ulteriore di chiarire il rapporto di sussunzione normativa 
e i requisiti di legittimit� del provvedimento amministrativo, che decida intorno 
ad un caso di specie ultima. 

Ricordiamo, in via preliminare, che il concetto di approssimazione � 
ampiamente utilizzato, in generale, a fini epistemologici (5). Infatti, se il 
compito della scienza � quello di conoscere un dato oggetto e, quindi, di rea


(5) Sul punto v., per tutti, Massimo GALUZZI - Krzystof MOSZY.SKI-Andrzej WAKULICZ Approssimazione, 
in Enciclopedia (Torino, Einaudi) I, 1977, 765 ss. 


lizzarne la rappresentazione mentale �vera�, sia sotto il profilo della quantit� 
(conoscen-za di tutti i suoi elementi), sia sotto il profilo della qualit� (natura 
del fenome-no), � agevole rendersi conto che nella stragrande maggioranza 
dei casi la conoscenza effettivamente raggiungibile non pu� essere che approssimativa 
e, dunque, �non propriamente vera� o soltanto �parzialmente 
vera�; tuttavia, poich�, data la natura delle cose, la conoscenza solo parzialmente 
vera � l�unica possibile, si � costretti ad accettarla e, in effetti, � quella 
che si adotta in ogni campo dell�attivit� umana. Si pu� ricordare, al riguardo, 
ad esempio, che nella matematica il calcolo infinitesimale � basato sull�approssimazione 
spinta fino al �limite�. Significativa �, poi, l�esperienza vissuta 
dalla scienza fisica alla fine del XIX secolo, allorch� si ritenne che, 
sotto il profilo qualitativo, non ci fosse pi� nulla da scoprire e che non restasse 
ormai che migliorare sempre di pi� le tecniche della misurazione dei 
fenomeni fisici. Poi, precedute dagli studi probabilistici delle teorie termodinamiche 
dei gas (6), sopravvennero la teoria della relativit� (7) e la teoria 
quantistica (8) e tutto fu rimesso in discussione. Neanche nelle scienze sociali 
si pu� prescindere dall�approssimazione: nella vita dei grandi gruppi 
sociali, i fenomeni che la caratterizzano e, in particolare, i fatti economici e 
qui ci si avvicina decisamente al nostro tema - sono conoscibili solo in maniera 
approssimata attraverso l�analisi statistica e, quindi, probabilistica; 
nella linguistica si rinuncia a priori alla precisione quando si sostiene, non 
a torto, che l�unica cosa di cui possono essere certi due soggetti, che usino 
una data lingua per comunicare tra loro, � ci� su cui convengono di concordare, 
delegando l�eventuale insanabile contrasto ad un terzo dotato del potere, 
a lui riconosciuto per accordo o per autorit� (9), di stabilire in loro vece 
quel che essi devono assumere come certo (10). Non vՏ da meravigliarsi, 
dunque, se anche per la conoscenza dei fenomeni giuridici, e per l�interpre


(6) Ad opera di Ludwig Boltzmann, su cui Eduardo ARROYO P�REZ Boltzmann. La termodinamica 
e l�entropia. L�universo morir� di freddo. Milano, RBA Italia, 2013, 65 ss. 
(7) Dell�isolato Albert Einstein, su cui Armando MASSARENTI (cur.) Albert Einstein. Relativit�: 
esposizione divulgativa. Autobiografia scientifica. Milano, Il sole 24 ore, 2012. 
(8) Di un gruppo consistente di studiosi: Max Planck, anzitutto, oltre allo stesso Einstein, e poi, 
soprattutto Niels Bohr, Werner Heisenberg, Wolfgang Pauli, Erwin Schr�dinger, Paul Dirac ed altri. V. 
Manjit KUMAR Quantum. Da Einstein a Bohr, la teoria dei quanti, una nuova idea della realt�. Milano, 
Mondadori, 2011. 
(9) Per coloro che si avvalgano di dichiarazioni giuridicamente rilevanti come le norme giuridiche, 
i provvedimenti autoritativi, i negozi giuridici, le dichiarazioni giuridiche di specie ultima, il terzo risolutore 
del loro contrasto � il giudice pubblico, fissato d�autorit�, o il giudice privato (o arbitro), scelto 
dai contendenti. 
(10) Ludwig WITTGENSTEIN, nella sua opera postuma e frammentata: Della certezza. L�analisi filosofica 
del senso comune. Torino, Einaudi, 1978, fornisce idee illuminanti in proposito: dopo aver premesso 
che la concordanza di due persone con la realt� <<non ha nessuna applicazione chiara>> (p. 34) 
e che quel che conta non � quello che io so <<in base a quello che mi � stato detto, a quello che ho letto 
e alle mie esperienze>>, ma quel che io concordo con altri (pp. 44-45), conclude affermando che quello 



DOTTRINA 237 

tazione della legge e per la sua applicazione, si ricorra al metodo per approssimazione, 
nonostante il relativo concetto e le sue applicazioni sembrino non 
aver ancora ricevuto, da parte della scienza giuridica, l�attenzione che essi 
meriterebbero. 

La rilevanza dell�approssimazione per il diritto deriva, anzitutto, dal 
fatto che il fenomeno giuridico � costituito in gran parte dal formante normativo 
e dal fatto che le norme giuridiche sono strutturate per categorie, 
ossia per ge-neri, quasi sempre di livelli differenti, cosicch� ogni volta che 
una norma deb-ba essere applicata, si pone il problema della riconduzione 
alle categorie generali, da essa impiegate per la scelta dei tre suoi elementi 
strutturali non standardizzati - oggetto, contenuto e destinatari -, dei corrispondenti 
elementi della fattispecie di grado ultimo, o specie infima, 
<<quella al di sotto della quale non pu� esserci alcun�altra specie inferiore>> 
(11). � il problema della sussunzione del fatto di specie ultima sotto la sua 
norma regolatrice. Se il genere utilizzato dalla norma � cos� ampio e cos� 
elevato da abbracciare molteplici generi subordinati, intermedi fino al grado 
della specie ultima, e se le specie ultime possono essere determinate secondo 
la libera volont� delle parti, la sussunzione � inevitabilmente, per la natura 
logica delle cose, gravata dell�onere dell�approssimazione. La complessit� 
dell�assolvimento di tale onere risulta particolarmente evidente in tutte le 
ipotesi in cui il formulatore delle norme impieghi dei concetti giuridici indeterminati 
e tutte le volte che le fattispecie ultime siano tanto variabili da 
poter esser determinate solo probabilisticamente, proprio come avviene per 
le molecole dei gas, per la fisica subatomica, per i fatti economici e per i 

che si sa � quello che si crede che credano anche gli altri (p. 46). Quando questa concordanza, o accettazione 
o convenzione, sul significato delle proposizione linguistiche normative non si riesca a stabilire, 
si pu� o si deve ricorrere ad un�autorit�, che non � la generica <<autorit� di alcuni uomini>> (p. 29), 
ma l�autorit� di quegli uomini cui sia stato conferito il potere di comando - eteronomo - di fissare per 
altri il punto e la linea di concordanza, cio� quale sia la conoscenza - della specie della scienza o del 
giudizio - da assumere come certa. A quel punto non si pu� pi� �congetturare�, ma si tratta di �credere� 
e, se quell�autorit� � un giudice subordinato alla legge, si tratta di �credere nella legge� (p. 81). Per l�inquadramento 
del contributo di Wittgenstein alla certezza nel suo sistema di pensiero v. ALDO G. GARGANI 
Introduzione a Wittgenstein. Roma-Bari, Laterza 1988, 4.ed., 103-104. Della sintetizzata teoria convenzionale 
del linguaggio si � fatta espressa applicazione nella giurisprudenza della Corte di cassazione per 
l�individuazione del regime dell�incertezza normativa oggettiva; vedansi, in proposito, le sentenze di 
base: 28 novembre 2007, n. 24670, 21 marzo 2008, n. 7765, 11 settembre 2009, n. 19638. 

(11) La distinzione tra elementi standardizzati ed elementi non standardizzati della norma giuridica 
� operata da Achille MELONCELLI Manuale di diritto pubblico. Milano, Giuffr�, 2005, 3.ed., 44 ss. 
Quanto alla contrapposizione genere/specie, fondamentale per l�interpretazione normativa, i concetti e 
il lessico qui utilizzati sono ispirati alla nota dottrina di PORFIRIO Isagoge. Milano, Rusconi Libri, 1995, 
57 ss. e, in particolare, 67. Sulla mediazione tra platonismo ed aristotelismo operata da Porfirio v. Giuseppe 
GIRGENTI L�Isagoge di Porfirio nell�ottica della concordia tra Platone ed Aristotele, in PORFIRIO 
Isagoge. Milano, Rusconi Libri, 1995, 7 ss. Sui problemi connessi all�impiego, in generale, della teoria 
porfiriana della classificazione per generi e per specie, Umberto ECO L�antiporfirio, in Gianni VATTINO 

- Pier Aldo RAVATTI Il pensiero debole. Milano, Feltrinelli, 1988, 52 ss.; Umberto ECO Semiotica e filosofia 
del linguaggio. Torino, Einaudi, 1984, 91 ss., 150 ss., 183, 190 ss., 193. 


fatti sociali. Il ricorso alla probabilit� e, quindi, all�approssimazione pone 
dei problemi delicati dal punto di vista epistemologico, se � vero che, 

<<quando se ne permetta l�applicazione illimitata, le ipotesi probabilistiche 
perdono tutto il loro contenuto informativo>> (12). 

Non � affatto scandaloso, dunque, che all�approssimazione si ricorra 
talvolta anche nell�esperienza giuridica ed � tanto pi� doveroso metterlo in 
ri-lievo quanto pi� si constati che il suo impiego � ben frequente e di particolare 
rilievo. Basti pensare all�interpretazione normativa analogica, sia 
sotto la specie dell�analogia legis sia sotto la specie dell�analogia iuris, per 
l�utilizzazione che ciascuna di esse comporta degli altri insiemi di fenomeni 

-diversi dalla fattispecie ultima in esame - laterali o superiori, nella piramide 
della classificazione porfiriana dei fenomeni specificativi, a vari livelli, 
dell�unico genere sommo (13). All�approssimazione, tuttavia, si ricorre 
anche quando si debbano operare valutazioni inevitabilmente qualitative; 
ne � un esempio quanto mai significativo l�accertamento della conoscenza 
posseduta da un soggetto, come accade per gli esami scolastici (14) o per i 
procedimenti concorsuali (15). Si opera per approssimazione, poi, anche 
ogni volta che per la determinazione dell�esistenza di un fatto, per il suo accertamento, 
ci si avvalga del rapporto di causalit� e si presuma che, dato un 
fatto noto, esso trovi la sua causa in un fatto ignoto precedente, che, pertanto, 
risulta accertato proprio in quanto causa del fatto conosciuto. � la tecnica 
di prova, abbondantemente usata nell�esperienza giuridica, della 
presunzione. Pi� recentemente si � operato un altro tentativo di approssimazione: 
si � proposto di sostituire la tecnica di approssimazione della presunzione 
con la pi� precisa, ma sempre approssimativa, tecnica della 
semanticit�, rilevandosi l�identificazione tra segno e senso, tra sintomi di 
un fatto e il fatto stesso, che � tecnica pi� precisa della presunzione perch� 
consente il rinvio da s� a s�. Gi� la legge operava cos� - intuitivamente, si 

(12) Karl POPPER Logica della scoperta scientifica. Il carattere autocorrettivo della scienza. Torino, 
Einaudi, 1970, 213. 
(13) L�applicazione del pensiero di PORFIRIO Isagoge. Milano, Rusconi Libri, 1995, si manifesta 
particolarmente proficuo nell�interpretazione normativa per analogia. 


(14) Per la cui valutazione si opera un�approssimazione tanto che ci si esprima in termini numerici 

-il cosiddetto voto - quanto che ci si esprima con lettere (A, B, C e cos� via), o usando categorie falsamente 
qualitative (insufficiente, sufficiente, mediocre, buono, ottimo, eccezionale o analoghe). 

(15) Cos�, ad esempio, nel procedimento di concorso ad impiego pubblico, lo scopo di determinare 
quale sia l�idoneit� di una persona fisica a svolgere un dato compito, comparandola con quella degli 
altri concorrenti, � cos� difficile che non si sfugge al difetto metodico della conversione delle qualit� in 
quantit�, attraverso la dosatura numerica o comunque il ricorso a categorie quantitative o linguistiche 
indeterminate. Pi� in generale, si pu� dire che tutti i concorsi pubblici - quello ad impiego pubblico, 
quello della scelta del contraente con l�amministrazione pubblica, le elezioni a cariche rappresentative 

-sono procedimenti di approssimazione, cos� come accade inevitabilmente anche per le selezioni del 
personale da parte dei privati, a dimostrazione della forza della natura delle cose, che, non a caso, � uno 
dei fattori condizionanti dell�interpretazione normativa. 


DOTTRINA 239 

potrebbe dire - per l�eccesso di potere amministrativo e legislativo; ma la 
consapevole utilizzazione del contributo della semantica si riscontra, non 
solo negli studi giuridici sulla conoscenza dell�insolvenza dell�imprenditore 
(16), ma anche per la focalizzazione dei molteplici fenomeni realizzantisi 
�di fatto� (l�edificabilit� di fatto di un�area, l�esistenza di una famiglia di 
fatto, la configurazione dell�amministratore di fatto della societ� commerciale 
o del rappresentante di fatto, la pericolosit� sociale al fine della confisca 
di prevenzione). Questi fenomeni, o almeno alcuni di essi, potrebbero 
essere ricondotti alla categoria, di teoria generale del diritto, della situazione 
giuridica oggettiva, ossia a quella condizione che � giuridicamente rilevante 
in s� e per s�, ma che produce effetti anche nella sfera giuridica di quei soggetti 
che si vengano a trovare immersi in essa o che con essa abbiano comunque 
un contatto, cosicch� la situazione giuridica oggettiva � sempre 
anche relativamente soggettiva. Quel fenomeno che i teorici generali del diritto 
chiamano situazione giuridica oggettiva ha una natura sostanziale semantica 
perch� deriva la sua rilevanza giuridica, oggettiva e relativamente 
soggettiva, da quella che i semiologi hanno individuato come un �sistema 
di significazione�, come fatto genetico di un �processo di significazione� e 
che � portatrice di un �significato situazionale� (17). Con tali espressioni 
s�intende, da parte della semiologia, che, quando uno o pi� fatti, che, pur 
non essendo elementi di un codice, siano percepiti, da coloro che entrano 
in contatto con essi, come fatti che stiano per qualcosa d�altro, ci si trova 
dinanzi a una situazione significante o a un significato situazionale (18). In 
particolare, si segnala che, in applicazione, proprio in materia tributaria, di 
questa nuova impostazione teorica interdisciplinare, la tecnica approssimativa 
della presunzione, che � quella standard adottata dai giuristi, � stata sostituita 
dalla tecnica di approssimazione categoriale per l�esercizio di poteri 
provvedimentali riguardanti fenomeni futuri; � la soluzione adottata recen


(16) Francesco MELONCELLI La conoscenza dello stato d�insolvenza nella revocatoria fallimentare. 
Milano, Giuffr�, 2002. 
(17) Umberto ECO Trattato di semiotica generale. Milano, La nave di Teseo, 2016 [1975], 29-30; 
ID. Semiotica e filosofia del linguaggio. Torino, Einaudi, 1984, 65 ss. 
(18) Stefano GENSINI Elementi di semiotica. Roma, Carocci, 2015, 32. Occorre, peraltro, guardarsi 
dalle applicazioni indiscriminate di tali delicati strumenti interpretativi, evitando di seguire la tendenza 
della cultura contemporanea <<a individuare codici dappertutto e ad ogni costo>>, come consiglia Umberto 
ECO Semiotica e filosofia del linguaggio. Torino, Einaudi, 1984, 300. Per un esempio d�impiego 
incauto dei concetti della semiologia nell�ambito del diritto commerciale, v. Fabio IOZZO Le azioni di 
responsabilit� nella s.r.l. tra vecchia e nuova disciplina, in Giurisprudenza commerciale 2005, II, 53 
ss., il quale, facendo proprie un buon numero di pagine gi� dedicate all�insolvenza nella mia monografia 
poc�anzi gi� citata, le ha acriticamente riferite all��incapienza�, cosicch� anche l�incapienza � diventata 
d�embl�e un fenomeno semantico. Per una pi� approfondita critica, con altre argomentazioni, all�uso 
distorto del metodo in argomento e ai consequenziali erronei risultati, v. anche Francesco MELONCELLI 
Azione di responsabilit� spettante [d]ai creditori sociali e prescrizione, in Giurisprudenza commerciale 
2006, I, 691 ss. 



temente per la determinazione del valore di mercato dei beni oggetto di atti 
da sottoporre a registrazione (19). 

5. L�accertamento per approssimazione nel transfer pricing. 

Tutto ci� premesso e brevemente illustrato sul piano della teoria generale, 
per dar conto della base su cui si fondano le considerazioni che si stanno 
svolgendo, torniamo al nostro tema per mettere in evidenza che anche nel 
transfer pricing la natura delle cose impone che l�accertamento del valore sia 
effettuato con un metodo approssimativo che si applica ad una situazione giuridica 
oggettiva, portatrice di un significato situazionale. Infatti, anche se il 
legislatore non lo enuncia espressamente, prendendosi atto che non pu� mai 
giungere a costituire un automatismo ogni tentativo, anche delle autorit� doganali, 
d�indicare dei criteri guida, generali, in base ai quali le imprese possano 
regolarsi per determinare le loro politiche di prezzi infragruppo, la legge 
prevede, come ratio del sistema, che per l�applicazione dei dazi doganali sia 
effettuata una valutazione per approssimazione. Ci� � per un verso positivo, 
perch� consente un�estrema flessibilit� e l�adeguamento del sistema normativo 
al caso specifico. Per altro verso, ci� rende pi� difficile la programmazione 
dell�attivit� d�impresa. Sar�, quindi, una sfida per il futuro quella di contemperare 
le due esigenze, per lo meno a legislazione vigente. 

Ritornando all�accettabilit� del valore, essa si realizza se il valore dichiarato 
in dogana � vicino a quello che si pu� determinare applicando uno dei tre 
seguenti metodi. 

Il primo � chiamato metodo del confronto di prezzo tra soggetti non correlati 
per merci identiche o simili. � il metodo in base al quale l�autorit� doganale 
ricerca il valore di transazione effettivo di compravendite effettuate tra 
soggetti che non appartengono al gruppo di imprese che ha effettuato la transazione 
oggetto di verifica - e in questo caso si dice che il confronto � esterno 
- oppure tra uno dei soggetti che fa parte di un gruppo ed un soggetto da esso 
indipendente - e in questo caso si dice che il confronto � interno. � ovvio che 
queste ultime transazioni danno maggiore affidabilit� circa la corrispondenza 
a realt� del valore di transazione rispetto alle operazioni infragruppo, in cui 
l�artificiosit� del prezzo pu� essere pi� facilmente preordinata. E si noti che 
le merci devono essere identiche o simili secondo il significato indicato dalle 
norme: la relazione d�identit� o similarit� di merci � indicata nell�art. 30 del 
Codice Doganale Comunitario del 1992 e nell�art. 142 del Reg. CE di attuazione 
del 1993, n. 2454. 

Il secondo metodo � quello del prezzo di rivendita tra soggetti non correlati 
per merci identiche o simili. In estrema sintesi, si verifica quale sia il 

(19) CTR Lazio 24 novembre 2015, n. 6261/4/15. 


DOTTRINA 241 

prezzo a cui viene rivenduto il bene che � stato compravenduto al fine del-
l�importazione e si scomputano a ritroso un margine di profitto e altri elementi 
per giungere al costo originario della transazione. 

Il terzo � il metodo del costo maggiorato tra soggetti non correlati per 
merci identiche o simili. Questa volta si parte dal costo del bene e vi si aggiungono 
i margini di profitto di ogni impresa che effettua la transazione fino 
ad arrivare a quella che interessa. 

Questi sono i tre metodi principali. Ve ne �, per la verit�, un altro resi-
duale, che � un metodo calcolato e dedotto, quando, mancando qualunque 
riferimento esterno, si possono utilizzare quegli elementi specifici, che sono 
indicati dall�art. 30 del Codice doganale comunitario e che chiunque pu� 
verificare analizzando il testo normativo, per giungere comunque alla determinazione 
di un prezzo da comparare con quello dichiarato nell�operazione 
relativa al transfer pricing. 

Segnalo anche, come ultimo elemento strutturale, che si evince dalla definizione 
normativa del fenomeno, che l�accettabilit� del valore dichiarato relativo 
all�operazione infragruppo dipende anche dal livello commerciale al 
quale avviene la transazione all�interno del gruppo, dalla quantit� della merce 
trasferita e anche dal raffronto tra i costi che un soggetto sopporta in una catena 
di vendita infragruppo e quelli che vengono sopportati in una catena all�esterno 
del gruppo, che possono essere differenti. Sono tutti elementi che 
inducono ancora una volta a ritenere che nel sistema normativo doganale si 
miri ad individuare il valore concreto dell�effettiva operazione svolta. 

6. La parametrazione esterna. 

Il concetto di transfer pricing rilevante nel diritto doganale pu� esser meglio 
identificato se si effettua anche una parametrazione esterna, operando un 
confronto con un fenomeno simile, costituito dal transfer pricing nell�imposizione 
sul reddito, la cui disciplina � contenuta negli art. 110 e 9 TUIR. In 
particolare, l�art. 110 TUIR prevede che i componenti del reddito di un membro 
di un gruppo di societ� siano valutati al valore normale. 

� utile individuare prima quali siano gli elementi distintivi che contrappongono 
la definizione del transfer pricing, rilevante ai fini dell�imposizione 
diretta, con quelli che caratterizzano il transfer pricing rilevante nel settore 
doganale. Si deve evidenziare, anzitutto, che una differenza concerne il concetto 
di legame, perch� nell�imposizione sui redditi ci si richiama al concetto 
di controllo ex art. 2359 cc, quindi a un concetto molto specifico che riguarda 
i gruppi di societ� e non anche i gruppi d�imprese, che � un fenomeno pi� ampio, 
e per di pi� con richiamo al concetto di influenza dominante e non di influenza 
notevole, perch� solo l�influenza dominante d� luogo al controllo 
societario, mentre il concetto di legame nel diritto doganale � molto pi� ampio 
e molto pi� specificato dalla legge, tantՏ vero che si prendono in considera



zione anche i legami di parentela tra soggetti, i legami tra gli amministratori 
e cos� via (v. art. 143 Reg. com. di attuazione) (20). 

Altro elemento distintivo del transfer pricing doganale dal transfer pricing 
reddituale � la rilevanza giuridica attribuita ai fini dell�imposta diretta 
solo nel caso in cui si produca un aumento del reddito, cio� solo nel caso in 
cui la fattispecie si arricchisca strutturalmente di un altro fatto, altrimenti (caso 
della diminuzione di reddito, che non sia per� oggetto di un trattato sulla doppia 
imposizione) restando irrilevante la fattispecie del transfer pricing, per 
cos� dire, ridotta di quel dato (aumento del reddito). In altri termini, se il prezzo 
� artificiosamente aumentato nella transazione internazionale perch� la societ� 
di diritto italiano, in qualit� di acquirente, pu� dedurre dal proprio reddito in 
misura maggiore rispetto a quella corrispondente alla realt�, il fenomeno � rilevante; 
se, invece, la societ� italiana paga un prezzo inferiore, e quindi il suo 
reddito imponibile non diminuisce, il fenomeno � irrilevante, a meno che l�Italia 
non abbia stipulato un accordo internazionale a salvaguardia dell�imposizione 
dello Stato contraente. Invece, secondo il diritto doganale, il transfer 
pricing � rilevante qualunque sia il valore doganale che ne subisce l�influenza, 
cio� tanto se esso sia in aumento quanto se esso sia in diminuzione. 

Da notare, poi, un�altra differenza: mentre nel diritto doganale il valore 
normale viene determinato con riferimento a casi singoli, quindi sempre puntuali, 
secondo metodi precisi e ben graduati nella loro utilizzabilit�, l�art. 110 
TUIR, richiamando l�art. 9 dello stesso atto normativo, si avvale di un diverso 
concetto di valore normale, perch� fa riferimento alla stima dei prezzi effettuati 
nelle transazioni di beni simili o identici, cio� appartenenti alla stessa 
specie, come ci accingiamo a mostrare, considerati non puntualmente, ma nel 
loro valore medio, ossia mediante il richiamo a una normalit�. Non a caso la 
legge italiana parla di �valore normale�, mentre la normativa comunitaria non 
parla di normalit� del valore, ma di un valore di comparazione o di un valore 
comparato. Pi� specificamente, da una parte, nel diritto interno si fa riferimento 
a un valore medio, quindi a un valore non reale, che potrebbe non essere 
proprio di alcuna transazione, proprio perch� si tratta di un valore calcolato 
su valori reali; dall�altra parte, si deve sottolineare la voluta aderenza del diritto 
doganale alla realt� vissuta, storica, perch� il valore da confrontare dev�essere 
un valore reale, nel senso che si dev�essere verificato che almeno una transazione 
sia stata effettivamente conclusa ad un dato prezzo che non sia un prezzo 
fissato infragruppo. Se questo non esiste, si ricorre allora al sistema sussidiario 
del valore calcolato dall�Agenzia delle dogane utilizzando qualunque elemento 
informativo a disposizione. In entrambi i casi si tratta di una determinazione 
del valore per approssimazione: nel valore reddituale l�approssimazione deriva 

(20) Sul punto vedasi ora Corte di cassazione 22 aprile 2016, n. 8130. 


DOTTRINA 243 

dall�utilizzazione di un valore categoriale di genere superiore a quello in cui 
si colloca la specie ultima in esame; nel valore doganale si assume come riferimento 
almeno una transazione verificatasi allo stesso livello di genere/specie. 
� una differenza molto importante, perch�, come stiamo per vedere, si collega 
alla stessa funzione dell�istituto. 

Desidero, infine, mettere in rilievo anche un�altra differenza: nel fare il 
confronto per verificare se il valore dichiarato � il valore accettabile al fine 
dell�imposizione, il diritto doganale nell�art. 142 del DAC fa riferimento o 
alle merci identiche o alle merci similari, cio� appartenenti a specie contigue 
dell�albero porfiriano, sia in senso orizzontale (specie dello stesso livello, similarit� 
orizzontale) sia in senso verticale (specie di livello superiore o inferiore); 
nell�affermare che si possano individuare transazioni su beni identici, 
l�art. 142 definisce le merci identiche come le merci prodotte nello stesso paese 
e uguali sotto tutti gli aspetti, ivi comprese le caratteristiche fisiche, la qualit� 
e la rinomanza. � vero che poi si dice che le differenze di scarso rilievo non 
impediscono di considerare identiche merci conformi alla presente definizione; 
per�, le merci devono essere uguali. La legislazione interna, invece, non 
solo, come ho appena accennato, prende in considerazione la media tra valori 
di transazioni effettuate su merci simili, ma, senza richiamare l�identit� 
della merce in alternativa all�appartenenza delle merci a specie simili, afferma 
che le merci oggetto del confronto possono appartenere alla stessa specie o a 
specie simili. Quindi, i due ambiti del confronto non coincidono, realizzando 
approssimazioni alla realt� di grado diverso. 

Per quanto riguarda, invece, le similarit� tra i due regimi, faccio presente 
che i valori sono confrontabili se si prendono in considerazione transazioni 
dello stesso livello commerciale, dello stesso luogo approssimato e dello stesso 
tempo approssimato. Le transazioni da comparare, infatti, devono essere effettuate 
pi� o meno nello stesso periodo di tempo, pi� o meno nello stesso 
luogo e devono riguardare beni simili e o identici secondo le definizioni gi� 
fornite. 

B) Il regime giuridico del valore doganale. 

7. Dalla struttura alla funzione. 

Una volta che abbiamo esaminato gli elementi strutturali principali del 
fenomeno, anche effettuandone un confronto con fenomeni simili, possiamo 
enuclearne il regime giuridico fisiologico: se il valore dichiarato in dogana, 
relativo a una transazione infragruppo, � accettabile, si applica il regime ordinario, 
cosicch� il valore dichiarato � quello posto alla base del sistema di applicazione 
del dazio. Se, invece, il valore dichiarato � effetto di un transfer 
pricing, cio� di un processo di aggiustamento artificioso del prezzo, e quindi 
il valore dichiarato non � accettabile, in quanto influenzato da rapporti di grup



po, allora deve aver luogo la rettifica da parte delle autorit� doganali secondo 
uno dei metodi secondari di determinazione del valore in dogana previsti dal-
l�art. 30 del Codice doganale comunitario del 1992 o dall�art. 74 del Codice 
doganale comunitario del 2013, cio� secondo uno dei metodi da utilizzare per 
la comparazione dei prezzi. Quindi, il valore viene riportato a quello normale, 
nel senso doganale del termine. 

Dal punto di vista strutturale del regime fisiologico del fenomeno possono 
evincersi i suoi aspetti funzionali. Poich� la funzione di un istituto giuridico 
si desume anzitutto dall�analisi degli effetti e poich� il principale effetto del 
transfer pricing � la riconduzione del valore doganale al valore temperato, al 
valore ricalcolato secondo un criterio di probabilit�, di normalit� approssimata, 
se ne deduce che il principale scopo della normativa - non l�unico - � quello 
antielusivo; si vuole evitare, infatti, che gli operatori si attribuiscano 
volontariamente un vantaggio fiscale ingiustificato economicamente. 

Che quello antielusivo non sia l�unico scopo del valore doganale nel 
transfer pricing � stato, per la verit�, recentemente evidenziato da una parte 
della dottrina. L�osservazione merita di essere condivisa, se si tiene conto 
delle ragioni economiche che possono essere sottese ad una preventiva determinazione 
dei prezzi all�interno di un gruppo. Ne ricordo qualcuna: l�esigenza 
di palesare una maggiore profittabilit� nella societ� capogruppo quotata 
rispetto alle societ� figlie; l�esigenza di influenzare la valutazione di credito 
di alcune societ� del gruppo; l�intento di minimizzare l�utile quando siano 
presenti soci di minoranza per non distribuire loro degli utili oltre una certa 
misura; lo scopo di assolvere la richiesta di liquidit� di singole imprese all�interno 
del gruppo, perch� mediante l�aggiustamento dei prezzi si determina, 
invero, un ricarico di costi maggiori o minori dell�una o dell�altra. 
Addirittura, secondo alcuni, una delle finalit� potrebbe essere quella di scoraggiare 
le rivendicazioni salariali locali. Insomma, il prezzo di trasferimento 
pu� dipendere anche da finalit� economiche relative al mercato di sbocco o 
al prezzo finale dei propri prodotti: un�impresa deve tener conto che in un 
certo mercato non pu� vendere oltre un certo prezzo, che pu� dipendere dalle 
caratteristiche di un mercato o di un sottomercato. In estrema sintesi, la ragione 
economica dell�aggiustamento di prezzo potrebbe essere indipendente 
dalla finalit� di ottenimento di un vantaggio fiscale, ma potrebbe risiedere 
nel modello di attivit� economica adottato dal gruppo. 

Se tutto ci� fosse vero, bisognerebbe considerare attentamente la possibilit� 
di difesa del contribuente rispetto ad un�attivit� di transfer pricing che 
non abbia una finalit� elusiva. La legge, del resto, non esclude che la finalit� 
del transfer pricing possa essere diversa rispetto a quella di limitare la potest� 
impositiva statale; la legge stessa, tuttavia, sembra connotare negativamente 
il fenomeno, prediligendo la finalit� di ripristino della corretta allocazione 
della base imponibile, secondo il principio di territorialit� per l�imposta sui 


DOTTRINA 245 

redditi per effetto del criterio approssimato di valore normale e secondo, invece, 
il principio di effettivit� temperata, volto ad ottenere una realistica individuazione 
del valore doganale ai fini dell�applicazione dei dazi doganali. 

8. Il fondamento dell�istituto. 

In ogni caso, dalle funzioni cos� enucleate pu� trarsi il fondamento del-
l�istituto: la legge, anche comunitaria, prende in considerazione il transfer pricing 
per contemperare interessi contrapposti: da un lato, gli interessi delle 
imprese alla libert� dell�iniziativa economica (art. 41 Cost.), alla libera circolazione 
delle merci, all�istituzione di un mercato unico interno, all�istituzione 
di unione doganale (art. 26 28 e 32 TUE), con il connesso interesse a che la 
concorrenza si svolga lealmente e, quindi, che l�artificiosit� del prezzo non 
venga utilizzata per sfruttare vantaggi fiscali ingiustificati; dall�altro, si contrappongono 
gli interessi erariali all�incasso dell�effettivo debito tributario 
commisurato alla capacit� contributiva. 

C) Il regime processuale del valore doganale nel transfer pricing. 

9. Dai profili sostanziali a quelli processuali. 

Il regime giuridico del valore doganale nel transfer pricing di diritto comunitario 
presenta, oltre agli aspetti strutturali e funzionali di natura sostanziale 
che si sono appena illustrati, anche alcuni interessanti profili processuali, 
come, in particolare, quelli riguardanti la prova processuale dell�istituto. 

10. Il fattore temporale della dichiarazione in dogana. 

Preliminarmente devo segnalare che la giurisprudenza in ambito doganale 
� scarsissima; maggiore � quella nel settore delle imposte sui redditi. Tuttavia, 
dalle poche sentenze in argomento si pu� evincere un dato di fatto 
assodato, cio� che il fattore temporale della dichiarazione in dogana assume 
molta rilevanza. Stando alla sentenza della Corte di cassazione 27 marzo 2013, 

n. 7716, il transfer pricing che sia effettuato dalle societ� del gruppo successivamente 
alla dichiarazione presentata in dogana � irrilevante ai fini dei dazi 
doganali. In altri termini, non pu� essere effettuata una rettifica n� d�ufficio 
n� su istanza di parte, che sia basata su aggiustamenti di prezzo che le societ� 
del gruppo abbiano effettuato mediante accordi contrattuali stipulati, in seguito 
alla dichiarazione doganale, che aggiustino il prezzo dichiarato in dogana. In 
assenza di quell�accordo, se non sussistono altre condizioni, l�accordo dichiarato 
� accettato. In ogni caso, il sistema, afferma la Corte di cassazione, � impostato 
nel senso che il valore doganale � un valore puntuale, cio� � il valore 
che ha la merce al momento della transazione effettuata per l�importazione. 
Ci� esclude che il transfer pricing sia rilevante giuridicamente quando il fenomeno 
si venga a creare successivamente alla dichiarazione doganale. 


11. L�onere della prova. 

Questo � uno dei pochi problemi specifici di anomalia che � stato risolto 
dalla giurisprudenza. 

Si potrebbe dire che sussiste il regime ordinario per l�onere della prova, 
per cui spetta al dichiarante denunciare il valore, mentre incombe sull�autorit� 
doganale l�onere di contestazione sulla base di dubbi fondati: essa deve fornire 
la dimostrazione della fondatezza dei dubbi, attraverso le informazioni 
fornite dal dichiarante oppure mediante elementi conoscitivi tratti da altre fonti 
che attestino l�influenza della relazione soggettiva sul prezzo. 

� bene precisare che si discute ampiamente in dottrina sull�identificazione 
delle informazioni del dichiarante di cui l�autorit� doganale pu� tener 
conto, perch� � attuale il problema dell�efficacia probatoria dei documenti 
relativi alle politiche strategiche del gruppo relative al transfer pricing che 
vengono elaborate per iscritto dal gruppo di imprese per dimostrare il valore 
normale in caso di contestazione da parte dell�Agenzia delle entrate per le 
imposte sui redditi. 

Riterrei che sarebbe bene che questi documenti potessero e dovessero essere 
valutati anche dall�autorit� doganale, ovviamente secondo i criteri imposti 
dalla legge per il diritto doganale. Sar�, quindi, onere del gruppo 
d�impresa elaborare quei documenti per tener conto della diversit� delle discipline 
che abbiamo visto esser ineliminabile al momento attuale. 

Sarebbe anche opportuno, perci�, che nel settore doganale si estendesse 
quella norma, contenuta nell�art. 26.1 DL 31 maggio 2010, n. 78, convertito 
in L. 30 luglio 2010 n. 122, introduttiva del comma 2-ter nell�art. 1 DLgs 18 
dicembre 1997, n. 471 (21), in base alla quale non si applicano le sanzioni 
previste dal comma 2, nell�ipotesi in cui, ove l�Agenzia delle entrate ritenesse 
non corretta la stima del valore di transazione in conformit� al valore normale, 
il gruppo di societ� presenti preliminarmente all�Agenzia delle entrate propri 
documenti sul transfer pricing; si premierebbe cos� il comportamento leale 

(21) L�art. 26.1 DL 31 maggio 2010, n. 78, � cos� formulato: <<1. A fini di adeguamento alle direttive 
emanate dalla Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico in materia di documentazione 
dei prezzi di trasferimento ed ai principi di collaborazione tra contribuenti ed 
amministrazione finanziaria, all'articolo 1 del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 471, dopo il 
comma 2-bis, � inserito il seguente: �2-ter. In caso di rettifica del valore normale dei prezzi di trasferimento 
praticati nell'ambito delle operazioni di cui all'articolo 110, comma 7, del decreto del Presidente 
della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, da cui derivi una maggiore imposta o una differenza del 
credito, la sanzione di cui al comma 2 non si applica qualora, nel corso dell'accesso, ispezione o verifica 
o di altra attivit� istruttoria, il contribuente consegni all'Amministrazione finanziaria la documentazione 
indicata in apposito provvedimento del Direttore dell'Agenzia delle Entrate idonea a consentire il riscontro 
della conformit� al valore normale dei prezzi di trasferimento praticati. Il contribuente che detiene 
la documentazione prevista dal provvedimento di cui al periodo precedente, deve darne apposita 
comunicazione all'Amministrazione finanziaria secondo le modalit� e i termini ivi indicati. In assenza 
di detta comunicazione si rende applicabile il comma 2�. 



DOTTRINA 247 

di ostensione anticipata delle imprese nei confronti dell�autorit� fiscale. Le 
autorit� doganali godono di amplissimi poteri nell�assumere le informazioni, 
ma non si pu� arrivare, a mio avviso, fino al punto di obbligare le imprese a 
mostrare la documentazione preventivamente creata per supportare il valore 
di transazione della merce per la compravendita infragruppo, perch� vale il 
principio nemo tenetur se detegere, cio� nessuno pu� essere obbligato a denunciare 
se stesso. Tuttavia, la fornitura di questi documenti dovrebbe essere 
apprezzata come comportamento leale nei confronti dell�autorit� fiscale. 

Si potrebbe, inoltre, suggerire che un altro elemento di prova per la aderenza 
alla realt� di mercato del valore doganale dichiarato nell�operazione infragruppo 
possa essere desunto dal bilancio di societ� - in particolare delle 
societ� di capitale italiane, ma discorso analogo si potrebbe fare per le societ� 
europee - visto che i bilanci delle societ� di capitali sono stati oggetto di uniformazione 
nel diritto comunitario. Mi riferisco all�art. 2428, n. 2, cc, nel 
quale si prevede che all�interno della relazione di gestione, scritta dagli amministratori 
della societ�, siano illustrati i rapporti infragruppo. Se gli amministratori 
delle societ� non si limitassero ad intendere formalisticamente questa 
previsione, cio� nel senso che sarebbe loro prescritto solamente di enunciare 
i rapporti di gruppo, ovverosia l�appartenenza di gruppo, ma anche d�illustrare 
in concreto come si svolgano i rapporti di gruppo, si potrebbe ben pensare che 
assumano rilevanza nella relazione di gestione anche le politiche di prezzo assunte 
dal gruppo e dovrebbero, quindi, anch�esse essere espresse almeno nelle 
loro linee essenziali. Le autorit� doganali ne trarrebbero un ausilio per la valutazione 
del valore di transazione effettivamente corretto. 

12. La prova dell�abuso di diritto. 

Un secondo problema merita attenta considerazione: muovendosi sempre 
nel campo patologico, non � ben chiaro se debba essere data la prova 
dell�abuso del diritto, se cio� l�artificiosit� del prezzo debba essere collegato 
con la volont� di ottenere un vantaggio fiscale ingiustificato economicamente. 
Non � ben chiaro, infatti, se l�onere della prova riguardi soltanto la 
normalit� e l�accettabilit� del valore di transazione rispetto al valore normale 
tra soggetti indipendenti o se debba essere dimostrato anche l�intento elusivo; 
o se il contribuente possa giustificare l�operazione, cio� l'accettabilit� 
del prezzo, soltanto sulla base di criteri prettamente oggettivi, cio� la comparazione 
con le altre transazioni secondo i metodi previsti dalla legislazione 
doganale o se possa essere utile per lui anche fornire la giustificazione economica 
di un siffatto valore anomalo. In altri termini, ci si domanda se l�anomalia 
possa venir meno anche quando il valore si discosti eccessivamente, 
quindi non sia vicino a quello normale, qualora il contribuente possa fornire 
quella giustificazione economica che pu� sussistere relativamente ad obiettivi, 
non fiscali, della politica dei prezzi. 


Resta, comunque, fermo che gli elementi forniti dall�Agenzia delle dogane 
non costituiscono una presunzione assoluta, ma una presunzione relativa, 
cosicch� � lasciata al contribuente la possibilit� di fornire prova contraria: 
la scelta se attribuire o no un peso alla giustificazione economica e, quindi 
alla natura del valore non abusivo del valore doganale dichiarato, dipende dalla 
nozione che si abbia della funzione dell�istituto. 

Questo ha dei riflessi molto importanti anche relativamente al collegamento 
con il principio di capacit� contributiva, perch�, se il contribuente potesse 
fornire la giustificazione di un valore anomalo sulla base di ragioni 
economiche, l�imposizione sarebbe effettivamente pi� aderente alla sua capacit� 
contributiva; se, invece, ci� fosse impedito, e tanto pi� nel regime interno 
di transfer pricing nell�imposizione sui redditi che fa riferimento alla media 
dei valori, la capacit� contributiva tenderebbe a tramutarsi in una capacit� contributiva 
categoriale, sulla cui compatibilit� con la Costituzione si potrebbero 
nutrire seri dubbi, proprio in quanto categoriale, derivante cio� da una media. 
Questo indurrebbe, quindi, a ritenere che si debba riconoscere al contribuente 
la possibilit� di fornire una giustificazione economica del fenomeno e che, 
pertanto, ci� possa rendere accettabile l�aggiustamento del prezzo ancorch� 
non sia vicino a quello assunto come normale. 

Nel campo doganale, per�, questa conclusione sembra contrastata dal 
diritto positivo, perch�, come ho evidenziato precedentemente, l�art. 29 del 
Regolamento del 1992 definisce come accettabile, cio� non influenzato dal 
transfer pricing, il valore che � molto vicino al prezzo di confronto. Questo 
� un dato oggettivo: a prescindere dalle ragioni economiche, il valore dichiarato 
dev�essere molto vicino, altrimenti il prezzo � anomalo e, quindi, 
non pu� essere accettato. E ci� d� complessivamente maggior certezza al sistema. 
Data l�assenza di giurisprudenza in argomento, non posso che evidenziare 
la problematica, senza pretendere di fornire soluzioni definitive, e 
segnalare quindi che il tema dell�onere della prova si presenta come un 
campo ancora tutto da arare. 

13. Il concetto di legame. 

Tra le anomalie va inclusa anche l�interpretazione estensiva o restrittiva 
del concetto di legame, traendo spunto dalla giurisprudenza di legittimit� in 
materia doganale, nella quale si sostiene che dovrebbe essere adottata l�interpretazione 
la pi� restrittiva possibile, perch� per l�art. 143 DAC sono legate 
soltanto le imprese che presentano i rapporti descritti in un elenco, che, pur 
presentandosi come tassativo, � cos� lungo che il concetto adottato ne risulta 
vastissimo, come ho gi� avuto modo di sottolineare. 

Un altro spunto problematico � tratto dalla sentenza del 1980, n. C/111/79 
della Corte di giustizia europea, la quale precisa che nel transfer pricing, perch� 
sia accettabile il valore, l�autonomia commerciale � necessaria, ma non � 


DOTTRINA 249 

sufficiente. La giurisprudenza comunitaria attribuisce rilevanza giuridica ad 
un fatto indice, al fine di giudicare anomalo il prezzo, per contrastare il cui 
valore probatorio appare doversi fornire una prova diabolica: anche se il contribuente 
dimostrasse che esiste effettivamente un�autonomia commerciale tra 
le societ� del gruppo, un prezzo sensibilmente inferiore a quello normale � 
considerato indice prevalente di relazioni finanziarie e commerciali o di altro 
genere che influenzano comunque il prezzo in maniera anomala. Se non incorro 
in qualche abbaglio, la sentenza risulta stranamente argomentata sotto 
il profilo logico, perch�, se cՏ autonomia commerciale riconosciuta, � difficile 
dire che il prezzo � anomalo solo perch� � inferiore, deducendone la mancanza 
di autonomia commerciale. 

Un altro tema interessante sotto l�aspetto patologico � quello della similarit� 
dei beni. Ci si domanda se questa qualit� dei beni debba essere intesa 
nella prospettiva della natura delle cose o se si debba considerare rilevante 
anche la similarit� del mercato di vendita. Infatti, due merci, che pure possano 
essere considerate fisicamente uguali, potrebbero essere completamente 
diverse e, quindi, avere prezzi diversi in mercati di vendita distinti. Si assuma 
ad esempio la differenza che � stata introdotta nel mercato delle sigarette 
elettroniche, in cui in un primo tempo, ai fini dell�imposta diretta sono state 
rese oggetto d�imposizione i caricabatterie, che possono essere utilizzati 
anche per altri scopi, qual � quello della ricarica dei telefonini. Tuttavia, 
quando - da una legge per la verit� dichiarata poi incostituzionale dalla Corte 
costituzionale con sentenza 15 maggio 2015, n. 83 - venivano venduti insieme 
alle sigarette elettroniche, i caricabatterie subivano un�imposizione 
che non si applicava quando li si vendevano in un ordinario negozio di materiale 
elettrico. Trasferiamoci ora nel settore del diritto doganale; il produttore 
potrebbe differenziare i prezzi anche a seconda del mercato di 
destinazione: se il carica-batterie fosse stato destinato a un mercato (nell�esempio, 
il mercato delle sigarette elettroniche) cui si applica un�imposta 
indiretta che in un altro mercato non figura, potrebbe praticare un prezzo diverso 
- pi� alto o pi� basso - per tener conto del fatto che ivi ci si imbatte in 
un�imposta altrove inesistente. Potrebbe essere questa una politica di prezzi 
giustificatissima dal punto di vista economico, che induce a ritenere che la 
similarit� dei beni, di cui parla il diritto doganale, non sia solo una similarit� 
nel senso merceologico del termine, nel senso fisico caratteristico della natura 
delle cose, ma anche nel senso commerciale del mercato di sbocco, del 
luogo nel quale la merce � destinata ad essere venduta. 

C) Conclusione. 

A conclusione del cammino percorso si pu� ritenere che sia verificata 
l�ipotesi iniziale che il valore doganale nel transfer pricing sia un istituto giuri



dico in senso proprio, perch� si � potuto fornire, dopo l�iniziale descrizione 
del fenomeno, la sua definizione, sia positiva sia negativa e contrappositiva; 
attraverso l�analisi interpretativa strutturale, poi, si sono individuati gli elementi 
che ne compongono la struttura, mentre la successiva analisi interpretativa 
funzionale ha consentito di evidenziarne gli effetti, lo scopo e il 
fondamento. Cos� esaurito il profilo di normalit� del regime del valore doganale 
nel transfer pricing, si sono, infine, illustrati alcuni dei principali aspetti 
di anomalia dell�istituto in connessione con i problemi processuali che sono 
ad essi collegati. Insomma, il sistema subnormativo che regola il valore doganale 
nel transfer pricing, alimentato dai tre fondamentali formanti del diritto 

-normazione, dottrina e giurisprudenza - ne fanno un istituto autonomo. 

BIBLIOGRAFIA 

ARROYO P�REZ, Eduardo Boltzmann. La termodinamica e l�entropia. L�universo morir� di 
freddo. Milano, RBA Italia, 2013, 65 ss. 
AVOLIO, Diego - SANTACROCE, Benedetto - SBANDI Ettore La Corte di cassazione esclude il 
rimborso dei dazi in eccedenza per rettifiche "transfer pricing�, in Corriere tributario 2013, 
2217 ss. 
BALLANCIN, Andrea Natura e ratio della disciplina italiana sui prezzi di trasferimento internazionali, 
in Rassegna tributaria 2014, 1 ss. 
BONTEMPO, Francesco Transfer pricing: le preziose indicazioni della Corte di Cassazione per 
smascherare le operazioni infragruppo con finalit� elusive, in Fisco 2007, 33 ss. 
CAPOLUPO, Saverio D.L. 31 maggio 2010, n. 78, convertito - Transfer pricing. Predisposizione 
della documentazione e disapplicazione delle sanzioni, in Fisco 2010, 33. 
CAPOLUPO, Saverio Transfer pricing e prova di elusione, in Fisco 2008, 28. 
CIPOLLINA, Silvia Elusione fiscale ed abuso del diritto: profili interni e comunitari, in Giurisprudenza 
italiana 2010, 7. 
D�AVOSSA, Mario Transfer Price ed onere della prova, in Rassegna tributaria 2012, 2. 
DE PIRRO, Roberta - GHIRINGHELLI, Michele Transfer pricing interno: il valore normale prende 
il posto del corrispettivo pattuito, in Fisco 2013, 33. 
ECO, Umberto L�antiporfirio, in VATTINO, Gianni - RAVATTI, Pier Aldo Il pensiero debole. Milano, 
Feltrinelli, 1988. 
ECO, Umberto Semiotica e filosofia del linguaggio. Torino, Einaudi, 1984. 
FERRONI, Bruno Dalla delega fiscale l�occasione per razionalizzare il regime dei costi da fornitori 
black list, in Fisco 2014, 34. 
FERRONI, Bruno La convivenza (ancora difficile) tra valore in dogana e transfer pricing, in 
Fisco 2014, 24. 
FERRONI, Bruno La delega fiscale e il transfer pricing, in Fisco 2015, 2,161. 
GALUZZI, Massimo - MOSZY.SKI, Krzystof - WAKULCZ, Andrzej Approssimazione, in Enciclopedia 
(Torino, Einaudi) I, 1977, 765 ss. 



DOTTRINA 251 

GARGANI, Aldo G. Introduzione a Wittgenstein. Roma-Bari, Laterza 1988, 4.ed. 
GENSINI, Stefano Elementi di semiotica. Roma, Carocci, 2015. 
GIRGENTI, Giuseppe L�Isagoge di Porfirio nell�ottica della concordia tra Platone ed Aristotele, 
in PORFIRIO Isagoge. Milano, Rusconi Libri, 1995. 
GIULIANI, Federico Maria Il �transfer pricing� nel sistema informativo del bilancio di esercizio, 
in Giurisprudenza commerciale 1997, 907 ss. 
IOZZO, Fabio Le azioni di responsabilit� nella s.r.l. tra vecchia e nuova disciplina, in Giurisprudenza 
commerciale 2005, II, 53 ss. 
KUMAR, Manjit Quantum. Da Einstein a Bohr, la teoria dei quanti, una nuova idea della realt�. 
Milano, Mondadori, 2011. 
MARCHESE, Stefano Diritti fondamentali europei e diritto tributario dopo il trattato di Lisbona, 
in Diritto e pratica tributaria 2012, 2. 
MASSARENTI, Armando (cur.) Albert Einstein. Relativit�: esposizione divulgativa. Autobiografia 
scientifica. Milano, Il sole 24 ore, 2012. 
MELONCELLI, Achille Manuale di diritto pubblico. Milano, Giuffr�, 2005, 3.ed. 
MELONCELLI, Francesco Azione di responsabilit� spettante [d]ai creditori sociali e prescrizione, 
in Giurisprudenza commerciale 2006, I, 691 ss. 
MELONCELLI, Francesco La conoscenza dello stato d�insolvenza nella revocatoria fallimentare. 
Milano, Giuffr�, 2002. 
NUZZOLO, Agostino - VALENTE, Piergiorgio Tax governance e cooperazione rafforzata con il 
Fisco, in Fisco 2014, 19. 
PALUMBO, Giovanni Rassegna sistematica sull�attuale orientamento della giurisprudenza di 
legittimit� in argomento di transfer pricing (2010-2014), in Rivista di diritto tributario 2014, 
285 ss. 
POPPER, Karl Logica della scoperta scientifica. Il carattere autocorrettivo della scienza. Torino, 
Einaudi, 1970. 
PORFIRIO Isagoge. Milano, Rusconi Libri, 1995. 
SANTACROCE, Benedetto - SBANDI, Ettore La rilevanza dei documenti aziendali negli accertamenti 
di valore in Dogana, in Fisco 2014, 34. 
VALENTE, Piergiorgio Erosione della base imponibile e scambio automatico di informazioni: 
il Rapporto dell�OCSE al G20 di San Pietroburgo, in Fisco 2013, 45. 
VALENTE, Piergiorgio Manuale del transfer pricing. Milano, IPSOA, 2012, 2.ed. 
VALENTE, Piergiorgio Transfer pricing e �valore dei beni� nella disciplina doganale, in Fisco 
2012, 32. 
VALENTE, Piergiorgio -DELLA ROVERE, Antonella - SCHIPANI, Pietro Analisi di comparabilit� 
nel transfer pricing. Milano, IPSOA, 2013. 
WITTGENSTEIN, Ludwig Della certezza. L�analisi filosofica del senso comune. Torino, Einaudi, 
1978. 


GIURISPRUDENZA DELLA CORTE DI CASSAZIONE 

Corte di cassazione 26 ottobre 2001, n. 13233. 
Corte di cassazione 24 luglio 2002, n. 10802. 
Corte di cassazione 13 ottobre 2006, n. 22023. 
Corte di cassazione 16 maggio 2007, n. 11226. 


Corte di cassazione 31 marzo 2011, n. 7343. 
Corte di cassazione 24 febbraio 2012, n. 2845. 
Corte di cassazione13 luglio 2012, n. 11949. 
Corte di cassazione 19 ottobre 2012, n. 17953. 
Corte di cassazione 20 dicembre 2012, n. 23551. 
Corte di cassazione 8 maggio 2013, n. 10742. 
Corte di cassazione 24 luglio 2013, n. 17955. 
Corte di cassazione 19 dicembre 2014, n. 27087 
Corte di cassazione 24 luglio 2015, n. 15642. 
Corte di cassazione 18 settembre 2015, n. 18392. 
Corte di cassazione 22 aprile 2016, n. 8130. 

GIURISPRUDENZA DELLA CORTE DI GIUSTIZIA DELL�UNIONE EUROPEA (CGUE) 

CGUE 13 marzo 1980, in causa C-111/79. 
CGUE 17 luglio 1997, in causa C-242/95. 
CGUE 17 luglio 1997, in causa C-142/96. 
CGUE 5 dicembre 2002, in causa C-379/00. 
CGUE 20 novembre 2003, in causa C-152/01. 
CGUE 16 gennaio 2003, in causa C-422/00. 
CGUE 20 ottobre 2005, in causa C-486/03. 
CGUE 23 febbraio 2006, in causa C-491/04. 
CGUE 16 novembre 2006, in causa C-306/04. 
CGUE 6 novembre 2008, in causa C-248/07. 
CGUE 19 marzo 2009, in causa C-256/07. 
CGUE 15 luglio 2010, in causa C-354/09. 
CGUE 12 dicembre 2013, in causa C-116/12. 
CGUE 27 febbraio 2014, in causa C-571/12. 
CGUE 13 marzo 2014, in causa C-29/13 e C-30/13. 
CGUE 25 giugno 2015, in causa C-187/14. 
CGUE 21 gennaio 2016, in causa C-430/14. 



DOTTRINA 253 

Gli effetti dell�annullamento dell�aggiudicazione sul contratto 

Alfonso Mezzotero* e David Romei** 

SOMMARIO: 1. Premessa - 2. La tesi dell�annullabilit� del contratto - 3. La tesi della nullit� 
del contratto - 4. La tesi dell�inefficacia del contratto - 5. La tesi della caducazione automatica 
del contratto - 6. La soluzione accolta dal legislatore - 7. Le sanzioni alternative 


8. I profili risarcitori. 

1. Premessa. 

Particolarmente dibattuto negli ultimi anni, anche in ragione della sua 
estrema rilevanza pratica, � il tema delle conseguenze determinate dall�annullamento 
giurisdizionale dell�aggiudicazione sulla sorte del contratto medio 
tempore stipulato dall�Amministrazione. 

La questione, prima dell�abrogazione a far data dal 19 aprile 2016 (1), 
rinveniva una sua espressa disciplina negli artt. 245-bis e 245-ter, d.lgs. 12 
aprile 2006, n. 163 (c.d. Codice degli appalti), che contenevano delle mere 
norme di rinvio alle norme dettate sul punto dal codice del processo amministrativo. 
In particolare, il rinvio � agli artt. 121 e 122 c.p.a., i quali, a loro 
volta, riproducono il testo degli artt. 245-bis e 245-ter cod. app. cos� come 
riscritti dal legislatore a seguito del recepimento della direttiva ricorsi operata 
con il d.lgs. n. 53/2010. 

Le norme del codice del processo amministrativo costituiscono la risposta 
positiva del legislatore alla nota querelle che ha lungamente diviso tanto la 
dottrina quanto la giurisprudenza, sia ordinaria che amministrativa, circa la 
patologia che affligge il contratto allorquando il procedimento amministrativo 
prodromico alla sua stipulazione venga caducato dall�autorit� giudiziaria ovvero 
dalla stessa amministrazione stipulante in via di autotutela. 

In questa sede non si analizzeranno i risvolti di carattere processuale che 
la problematica assume con riferimento al profilo del riparto di giurisdizione 
e, segnatamente, relativamente all�individuazione del giudice competente a 
decidere sulla sorte del contratto stipulato successivamente all�annullamento 
(giurisdizionale o in autotutela) dell�aggiudicazione definitiva (2), ma ci si 
soffermer� esclusivamente sui profili di diritto sostanziale della problematica 
e, in particolare, sulla natura del vizio che inficia il contratto in conseguenza 

(*) Avvocato dello Stato. 
(**) Avvocato. 

(1) Il d.lgs. n. 163/2006 � stato abrogato dall�art. 217, comma 1, lett. e), d.lgs. 19 aprile 2016, n. 
50 (in Gazz. Uff. 19 aprile 2016, n. 91, S.O. n. 10) contenente il nuovo codice dei contratti pubblici. 
(2) Per un approfondimento sul tema, ci si permette di rinviare a MEZZOTERO - ROMEI, Il riparto 
di giurisdizione e gli strumenti di tutela, in Appalti e contratti pubblici. Commentario sistematico, a 
cura di F. SAITTA, Padova, 2016, ove ampi richiami di dottrina e giurisprudenza. 



dell�annullamento dell�aggiudicazione, secondo le teorie nel tempo elaborate. 

2. La tesi dell�annullabilit� del contratto. 

La tesi pi� risalente, tradizionalmente fatta propria dalla giurisprudenza 
ordinaria, riteneva che il contratto stipulato a seguito dell�annullamento del 
provvedimento di aggiudicazione divenisse annullabile ai sensi dell�art. 
1441 c.c. (3). 

Tale teoria muoveva dalla considerazione per cui gli atti amministrativi 
che precedono la stipulazione dei contratti conclusi jure privatorum dalla pubblica 
amministrazione rappresenterebbero dei meri mezzi di integrazione della 
capacit� e della volont� dell�ente stesso, sicch� i relativi vizi, attenendo alla 
capacit� e volont� dell�ente pubblico, non avrebbero potuto che comportare 
l�annullabilit� (relativa) del contratto. 

Il fondamento della richiamata impostazione risiedeva nella considerazione 
secondo cui le norme che disciplinano le procedure ad evidenza pubblica 
sarebbero poste esclusivamente a tutela dell�interesse dell�amministrazione, 
considerato che la loro funzione preminente sarebbe quella di assicurare la 
corretta formazione della volont� della parte pubblica nella scelta del miglior 
contraente possibile fra tutti i partecipanti alla gara (4). Ne derivava che, in 
ossequio alle regole civilistiche poste in materia di annullabilit�, il vizio inficiante 
il contratto sarebbe stato deducibile, in via di azione o di eccezione, soltanto 
dal soggetto nel cui interesse erano poste le norme sull�evidenza pubblica 
violate, ovverosia il medesimo ente pubblico contraente (5), non potendo, di 
contro, derivare dall�annullamento dell�aggiudicazione alcun effetto caducatorio 
automatico sul negozio. 

Al terzo non aggiudicatario (che pure aveva ottenuto l�annullamento giurisdizionale 
dell�aggiudicazione illegittimamente disposta) la tesi in esame accordava 
una tutela meramente risarcitoria, non rientrando questi tra i soggetti 
legittimati ad agire al fine di ottenere l�annullamento del contratto. 

Corollario della su esposta impostazione era la possibilit� attribuita alla 

(3) Cfr., ex plurimis, Cass. civ., sez. I, 26 luglio 2012, n. 13296, in Giust. civ. Mass., 2012, 7-8, 
973 e in Giust. civ., 2013, 11-12, I, 2549; id., sez. III, 9 aprile 2009, n. 8707, in Giust. civ. Mass., 2009, 
4, 616; id., sez. III, 10 ottobre 2007, n. 21265, ivi, 2007, 10 e in Giust. civ., 2008, 2, I, 357; id., sez. I, 
30 luglio 2002, n. 11247, in Giust. civ. Mass., 2002, 1402; id., sez. II, 8 maggio 1996, n. 4269, in Contratti, 
1997, 128, con nota di MUCIO e in Nuova giur. civ. comm., 1997, I, 518, con nota di SALANITRO; 
id., sez. I, 28 marzo 1996, n. 2842, in Giust. civ. Mass., 1996, 453 e in Foro it., 1996, I, 2054; id., sez. 
II, 21 febbraio 1995, n. 1885, ivi, 1995, 398. 
(4) In tal senso Cass. civ., sez. I, 17 novembre 2000, n. 14901, in Giust. civ. Mass., 2000, 2358. 


(5) A sostegno della teoria dell�annullabilit� si v. S.S. SCOCA, Evidenza pubblica e contratto: 
profili sostanziali e processuali, Milano, 2008, 164 e ss.; GOISIS, In tema di conseguenze sul contratto 
dell�annullamento del procedimento di aggiudicazione conclusivo di un procedimento ad evidenza pubblica 
e di giudice competente a conoscerne, in Dir. proc. amm., 2004, 214 e ss.; M.S. GIANNINI, Diritto 
amministrativo, 1988, II, 847 e ss.; S. BUSCEMA - A. BUSCEMA, I contratti della pubblica amministrazione, 
in Trattato di diritto amministrativo, diretto da SANTANIELLO, Padova, 1987, 22 e ss. 



DOTTRINA 255 

stazione appaltante di convalidare il contratto illegittimamente concluso in applicazione 
del disposto di cui all�art. 1444 c.c. (6). 

Nell�ambito dei sostenitori della c.d. tesi tradizionale, era possibile, ad 
ogni modo, riscontrare una serie diversificata di posizioni interpretative in ordine 
all�inquadramento teorico dell�annullabilit� relativa. 

Per un primo indirizzo, l�annullabilit� che vizierebbe il contratto in seguito 
all�annullamento dell�aggiudicazione sarebbe stata riconducibile ad 
un�ipotesi di incapacit� a contrarre ai sensi dell�art. 1425 c.c. 

Un differente orientamento, invece, riconduceva l�annullabilit� ad un 
vizio del consenso dell�amministrazione e, segnatamente, alla fattispecie del-
l�errore essenziale e riconoscibile disciplinata dagli artt. 1428 e 1429 c.c. (7). 

Infine, un�isolata e pi� risalente impostazione (peraltro, autorevolmente 
sostenuta), muovendo dalla premessa secondo cui tutti i vizi della procedura 
ad evidenza pubblica si tradurrebbero automaticamente in un difetto di potere 
rappresentativo dell�ente pubblico, inquadrava la fattispecie in esame nella disciplina 
del contratto concluso dal falsus procurator (8). 

Nella congerie di teorie emerse non � mancato chi, dubitando della correttezza 
sistematica delle su esposte posizioni, opinava nel senso che la figura 
dell�annullabilit� relativa non potesse essere ricondotta solo ai tipici vizi della 
volont� contemplati dal codice civile (errore, violenza e dolo), ma avesse carattere 
pi� ampio ricollegandosi ad un vizio �atipico�, soltanto indirettamente 
riconducibile ad un difetto di volont� dell�amministrazione (9), sicch� l�invalidit� 
da esso derivante doveva essere pi� correttamente inquadrata in un tertium 
genus di annullabilit� relativa peculiare dei soli contratti pubblici in 
seguito all�annullamento degli atti di gara (10). 

Malgrado la teoria (tradizionale) dell�annullabilit� abbia lungamente prevalso 
nella giurisprudenza civile, ben presto la dottrina, sulla scia di diverse 
pronunce del Consiglio di Stato (11), ha rivisitato in chiave critica tale approccio 
dogmatico (12). 

(6) Cfr. Cass. civ., sez. I, 30 settembre 2004, n. 19617, in Giust. civ. Mass., 2004, 11; id. 28 marzo 
1996, n. 2842, in Foro it., 1996, I, 2054. 
(7) Cfr. in questo senso Cass. civ., sez. un., 20 marzo 1986, n. 2091, in Giust. civ. Mass., 1986, 3, 
in Giust. civ., 1986, I, 1273 e in Foro it., 1986, I, 904.; id., sez. I, 28 settembre 1984, n. 4820, in Giust. 


civ. Mass., 1984. 

(8) M.A. SANDULLI, Deliberazione di negoziare e negozio di diritto privato della P.A., in Riv. trim. 
dir. proc. civ., 1965, 1 e ss. 
(9) VALAGUZZA, Illegittimit� della procedura pubblicistica e sue interferenze sulla validit� del 
contratto, in Dir. proc. amm., 2004, I, 284 e ss. 
(10) In senso critico rispetto alla ricostruzione dell�annullabilit� del contratto quale conseguenza 
di un vizio atipico della volont� della p.a., VALAGUZZA, op. cit., 285 e ss.; GRECO, I contratti dell�Amministrazione 
tra diritto pubblico e diritto privato. I contratti ad evidenza pubblica, Milano, 1986, 132 e ss. 
(11) Cfr. Cons. St., sez. V, 28 maggio 2004, n. 3465, in Riv. giur. edil., 2004, I, 2079; id., sez. VI, 19 
novembre 2003, n. 7470, in Foro amm. CdS, 2003, 3413; id., sez. VI, 5 maggio 2003, n. 2332, in Dir. proc. 
amm., 2004, 177, con nota di GOISIS; id., sez. V, 5 marzo 2003, n. 1218, in Riv. trim. app., 2003, 78. 



In particolare, le maggiori perplessit� nei confronti della tesi dell�annullabilit� 
si sono appuntate su tre aspetti principali. 

Anzitutto, appariva scorretto l�assunto di partenza, secondo cui le norme 
sull�evidenza pubblica sarebbero poste a tutela esclusiva dell�interesse pubblico 
alla corretta formazione della volont� negoziale della p.a. Invero, comՏ 
noto, tali norme, lungi dall�essere preordinate alla tutela esclusiva del contraente 
pubblico, hanno portata molto pi� ampia, essendo poste a presidio dei 
principi di concorrenzialit� e libert� del mercato, oltre che della sfera giuridica 
degli operatori di mercato che partecipano alle procedure ad evidenza pubblica, 
trovando il loro fondamento nei principi di imparzialit� e buon andamento 
della p.a. sanciti dall�art. 97 Cost. (13) (14). 

Parimenti criticabile era anche l�osservazione - pure sostenuta dai fautori 
della tesi tradizionale - per cui il procedimento ad evidenza pubblica dovesse 
essere qualificato, sul piano strettamente civilistico, come una complessa manifestazione 
di volont� contrattuale della p.a. 

Come gi� evidenziato, infatti, il procedimento ad evidenza pubblica � 
preordinato non soltanto alla tutela dell�interesse pubblico generale, ma anche 

(12) Per un�approfondita ricostruzione delle principali obiezioni mosse alla teoria dell�annullabilit� 
si veda BENETAZZO, Contratti della P.A. e annullamento dell�aggiudicazione, Padova, 2012; CARINGELLA, 
Rapporti tra annullamento della gara e sorte del contratto, in I contratti pubblici di lavori, servizi e 
fornitura, a cura di DE NICTOLIS, Milano, 2007, 726 e ss.; CINTIOLI, Annullamento dell'aggiudicazione, 
buona fede e metodo giuridico, in www.giustizia-amministrativa.it; CARPENTIERI, Annullamento dell�aggiudicazione 
e contratto (Nota a Cons. St., Sez. IV, 27 ottobre 2003, n. 6666), in Giorn. dir. amm., 2004, 
17 e ss. 
(13) Cfr., tra i tanti, CARINGELLA, Rapporti tra annullamento della gara e sorte del contratto, cit., 
726; CHIEPPA - LOPILATO, Studi di diritto amministrativo, Milano, 2007, 478 e ss.; TRIMARCHI BANFI, 
Questioni in tema di contratti di diritto privato dell�amministrazione pubblica, in Studi in onore di Feliciano 
Benvenuti, Modena, 1996, IV, 1676 e ss.; CALENDA, I contratti pubblici, in Il contratto, a cura 
di BUFFONE - DE GIOVANNI - NATALI, Padova 2013, 1702 e ss. Nello stesso senso anche Corte cost., 14 
dicembre 2007, n. 431, in Giur. cost., 2007, 6 e in Foro amm. CdS, 2007, 12, 3359, secondo cui �nel 
settore degli appalti pubblici, la disciplina delle procedure di gara e in particolare la regolamentazione 
della qualificazione e selezione dei concorrenti, delle procedure di affidamento e dei criteri di aggiudicazione 
mirano a garantire che le medesime si svolgano nel rispetto delle regole concorrenziali e dei 
principi comunitari della libera circolazione delle merci, della libera prestazione dei servizi, della libert� 
di stabilimento, nonch� dei principi costituzionali di trasparenza e parit� di trattamento. Esse, in quanto 
volte a consentire la piena apertura del mercato nel settore degli appalti, sono dunque riconducibili all'�mbito 
della tutela della concorrenza ex art. 117, secondo comma, lettera e), della Costituzione, di 
esclusiva competenza del legislatore statale�; id., 23 novembre 2007, n. 401, in Foro it., 2008, 6, 1787; 
id., 15 novembre 2004, n. 345, in Giur. cost., 2004, 6, 3839, con nota di FARES, e in Foro amm. CdS, 
2004, 3069, con nota di NISPI LANDI. 
(14) In tal senso si v. anche Cons. St., sez. VI, 5 maggio 2003, n. 2332, cit., secondo cui �le norme 
sull�evidenza pubblica interna e comunitaria, plasmano allora un complesso rapporto amministrativo 
in seno al quale l�amministrazione aggiudicatrice � soggetto in certa misura passivo, obbligato all�osservanza 
di norme poste a tutela di un interesse anche trascendente quello specifico del singolo contraente 
pubblico in quanto collegato al valore imperativo della concorrenza e, quindi, anche all�interesse 
particolare delle imprese che sono tutelate dalle prescrizioni volte alla tutela ed alla stimolazione della 
dinamica competitiva�. 



DOTTRINA 257 

alla garanzia delle posizioni soggettive dei partecipanti alla gara in ossequio 
ai principi del favor partecipationis e della par condicio competitorum. 

Sul piano dell�effettivit� della tutela delle posizioni soggettive, appariva, 
poi, incongruo, sotto il profilo dell�equit� sostanziale e dell�effettivit� della 
tutela giurisdizionale, che l�unico soggetto legittimato ad agire per far dichiarare 
la violazione delle norme sull�evidenza pubblica e, conseguentemente, 
ottenere la caducazione del contratto medio tempore stipulato fosse la stessa 
parte (la pubblica amministrazione) che, attraverso il suo contegno, aveva provocato 
il vizio del negozio. 

Analogamente irragionevole appariva, infine, accordare al terzo non aggiudicatario 
una tutela meramente patrimoniale. Tale limitata forma di ristoro 
frustra, evidentemente, la posizione soggettiva del terzo non aggiudicatario, 
il quale, pur risultando vittorioso all�esito del giudizio impugnatorio del provvedimento 
di aggiudicazione, avrebbe potuto ottenere soltanto la liquidazione 
del risarcimento per equivalente del danno patito, senza poter aspirare al conseguimento 
del bene della vita costituito dall�aggiudicazione della commessa. 

3. La tesi della nullit� del contratto. 

Le critiche mosse alla tesi dell�annullabilit� del contratto furono ben presto 
recepite dalla giurisprudenza, sia ordinaria che amministrativa, nonch� da 
parte della dottrina, le quali hanno elaborato ricostruzioni del fenomeno alternative 
alla teoria tradizionale. 

La pi� risalente di queste soluzioni riteneva che il vizio che colpiva il 
contratto in seguito all�annullamento dell�aggiudicazione dovesse essere inquadrato 
in termini di nullit� (15). 

Tale interpretazione traeva spunto da un duplice ordine di considerazioni: 
in primis, si sosteneva che gli atti della procedura ad evidenza pubblica non 
rappresentassero meri strumenti di integrazione della volont� della stazione 
appaltante, ma atti costitutivi dell�assunzione del vincolo contrattuale da parte 
della stessa; in secundis, veniva evidenziato che le norme sull�evidenza pubblica 
sono poste esclusivamente a tutela di interessi superindividuali e indisponibili 
che l�amministrazione deve necessariamente osservare anche qualora 
agisca jure privatorum. 

Muovendo da tali assunti, la tesi della nullit� � stata argomentata seguendo 
due diversi percorsi ricostruttivi. 

Secondo un primo indirizzo, l�invalidit� che inficia il contratto sarebbe 
una conseguenza diretta della violazione delle norme sull�evidenza pubblica, 
le quali, dettando le modalit� da seguire nella scelta del contraente, sancirebbero, 
seppur implicitamente, un divieto assoluto a contrarre con soggetti che 
siano stati illegittimamente dichiarati aggiudicatari della gara. Da ci� consegue 

(15) Per un�approfondita disamina dell�orientamento in parola si veda BENETAZZO, op. cit., 67 e ss. 


che l�annullamento degli atti di gara, provocando la caducazione ex tunc del 
provvedimento di aggiudicazione, determinerebbe l�invalidit� originaria del 
consenso espresso dalla stazione appaltante al momento della conclusione del 
negozio e, di conseguenza, la nullit� del contratto stipulato ai sensi del combinato 
disposto degli artt. 1418, comma 2, e 1325, comma 1, c.c. (16). 

Questa impostazione - seppur autorevolmente sostenuta - � stata superata 
dall�avvento del cod. app. Infatti, l�art. 11, comma 7, prevede espressamente 
che l�aggiudicazione definitiva non equivale ad accettazione dell�offerta, ponendo, 
cos�, una netta cesura tra la fase pubblicistica della procedura ad evidenza 
pubblica e quella privatistica di insorgenza del vincolo negoziale. 

Una differente ricostruzione riteneva, invece, che il vizio inficiante il contratto 
dovesse essere ricondotto alla categoria della nullit� virtuale per violazione 
di norme imperative di cui all�art. 1418, comma 1, c.c. (17). 

Per i sostenitori di questo filone interpretativo, le norme sull�evidenza 
pubblica avrebbero tutte carattere imperativo, essendo poste a garanzia di interessi 
e diritti superindividuali (quali la libert� di concorrenza, la par condicio 
competitorum, l�efficienza ed il buon andamento dell�azione 
amministrativa) aventi copertura non solo costituzionale (artt. 3, 41 e 97 
Cost.), ma anche comunitaria (artt. 2, 3, par. 1, lett. g), e 4 del Trattato CE), 
la cui violazione non potrebbe che comportare la radicale nullit� del contratto, 
ai sensi dell�art. 1418, comma 1, c.c. 

Sebbene avesse l�indubbio pregio di assicurare una maggiore protezione 
ai diritti del terzo non aggiudicatario (il quale, dopo aver ottenuto l�annullamento 
dell�aggiudicazione illegittima, avrebbe potuto agire anche al fine di 
sentir dichiarare la nullit� del contratto), la tesi della nullit� � stata aspramente 
criticata dalla dottrina maggioritaria (18). 

Le maggiori perplessit� si sono appuntate su due aspetti fondamentali. 

Anzitutto, � stato osservato che la nullit� costituisce una patologia genetica 
del contratto che ne condiziona ab origine la validit�; viceversa - seguendo 
la tesi in commento - nella materia dei contratti pubblici l�invalidit� non deriverebbe 
da un vizio originario del negozio, ma da un fatto sopravvenuto, ovverosia 
l�annullamento dell�aggiudicazione. 

In secondo luogo, ritenere che il negozio sia radicalmente nullo compor


(16) A sostegno di tale impostazione si veda LOPILATO, Vizi della procedura di evidenza pubblica 
e patologie contrattuali, in Foro amm. TAR, 2006, 1537 e ss. In tal senso, in giurisprudenza, Cass. civ., 
sez. III, 9 gennaio 2002, n. 193, in Giust. civ. Mass., 2002, 35; Cons. St., sez. V, 28 marzo 2008, n. 1328, 
in www.giustizia-amministrativa.it. 
(17) Cfr. CERULLI IRELLI, L�annullamento dell�aggiudicazione e la sorte del contratto, in Giorn. 
dir. amm., 2002, 1195 e ss.; SATTA, L�annullamento dell�aggiudicazione e i suoi effetti sul contratto, in 
Dir. amm., 2003, 645 e ss. Nello stesso senso anche Cons. St., sez. V, 5 marzo 2003, n. 1218, in Riv. 
trim. app., 2003, 78. 
(18) Per una approfondita critica della tesi in esame si veda CARINGELLA, Rapporti tra annullamento 
della gara e sorte del contratto, cit., 733-735. 



DOTTRINA 259 

terebbe, sul versante processuale, conseguenze inaccettabili per l�ordinamento: 
l�imprescrittibilit� della relativa azione e la legittimazione generalizzata a far 
valere l�invalidit� del contratto. L�accoglimento della teoria in esame, consentendo 
a chiunque vi abbia interesse di poter ottenere la caducazione del contratto 
anche a distanza di molto tempo dalla sua conclusione, finirebbe, in 
sostanza, con il minare in radice il principio di certezza dei rapporti giuridici 
imputabili all�amministrazione, specie in un settore particolarmente rilevante, 
anche dal punto di vista economico, qualՏ quello dei contratti pubblici (19). 

4. La tesi dell�inefficacia del contratto. 

Un�ulteriore impostazione, anch�essa nata per sopperire alle criticit� emerse 
in seno alla tesi tradizionale, riteneva che, successivamente all�annullamento 
dell�aggiudicazione, il contratto divenisse inefficace (inefficacia relativa). 

In particolare, secondo i sostenitori della teoria in esame - che trov� 
largo seguito nella coeva giurisprudenza amministrativa (20) - la caducazione, 
in sede giurisdizionale (o amministrativa), di atti della fase della formazione 
della volont� contrattuale della stazione appaltante finirebbe per 
privare quest�ultima, con efficacia ex tunc, della legittimazione a negoziare. 
Pertanto, l�organo amministrativo che aveva stipulato il contratto, una volta 
venuto a cadere, con effetto ex tunc, uno degli atti del procedimento costitutivo 
della volont� dell�amministrazione (come la deliberazione a contrattare, 
il bando o l�aggiudicazione), si troverebbe nella condizione di aver 
stipulato injure, cio�, privo della legittimazione che gli � stata conferita dai 
precedenti atti amministrativi (21). 

La categoria dogmatica entro cui ricondurre il vizio che inficia il contratto 
non sarebbe, dunque, l�annullabilit�, bens� l�inefficacia. Nei contratti ad evidenza 
pubblica, infatti, gli atti della serie pubblicistica e quelli della serie privatistica 
sono indipendenti quanto alla validit�; i primi condizionerebbero, 
per�, l�efficacia dei secondi, di modo che il contratto diverrebbe ab origine 
inefficace se uno degli atti del procedimento venisse meno per una qualsiasi 
causa (22). 

(19) Per una ampia difesa della tesi della nullit� si veda Cons. St., sez. IV, ord. 21 maggio 2004, 

n. 3355, in Foro it., 2005, III, 549, con nota di LAMORGESE. 

(20) Cfr. Cons. St., sez. V, 28 settembre 2005, n. 5194, in Foro amm. CdS, 2005, 9, 2629, e 2005, 
11, 3341, con nota di PERFETTI, Societ� affidatarie di servizi pubblici locali, partecipazione a gare e tutela 
della concorrenza; id., 12 novembre 2004, n. 7346, in www.giustizia-amministrativa.it; id., sez. IV, 
27 ottobre 2003, n. 6666, in Dir. proc. amm., 2004, 178, con nota di GOISIS; id., sez. IV, ord. 21 maggio 
2004, n. 3355, in Foro it., 2005, III, 549, con nota di LAMORGESE, e in Giust. civ., 2005, 9, I, 2205, con 
nota di MICARI, L�Adunanza Plenaria di fronte alla problematica ma necessaria sistematicit� del diritto 
(giurisprudenziale) amministrativo; T.A.R. Lombardia, Milano, sez. I, 22 novembre 2007, n. 6409, in 
Foro amm. TAR, 2007, 11, 3380. 

(21) Cfr., sul punto, anche Cass. civ., sez. I, 20 novembre 1985, n. 5712, in Rass. avv. St., 1986, 1, 208. 
(22) Cfr. Cass. civ., sez. III, 5 aprile 1976, n. 1197, in Foro it., 1976, voce Contratti della p.a., n. 11. 



La teoria in esame presentava l�indubbio pregio di assicurare maggiore 
tutela tanto al partecipante ingiustamente pretermesso in sede di gara, quanto 
ai terzi che avessero acquistato in buona fede dei diritti sulla base di atti compiuti 
in esecuzione del contratto, favorendo la certezza e stabilit� dei rapporti 
giuridici in cui fosse parte una p.a. 

Sotto il primo profilo, infatti, essendo il contratto strutturalmente perfetto, 
ma soltanto improduttivo di effetti, l�unico soggetto legittimato a dolersi della 
sua inefficacia relativa sarebbe il terzo (non aggiudicatario) che avesse preventivamente 
ottenuto l�annullamento giurisdizionale dell�aggiudicazione. 

Nei confronti dei terzi, invece, troverebbe applicazione la disciplina dettata 
dal codice civile in materia di associazioni e di fondazioni - in quanto 
esprimente principi generali, applicabili anche alla P.A., quale persona giuridica 
ex art. 11 c.c., soggetta, quindi, oltre che alle norme di diritto pubblico, 
anche alle norme civilistiche essenziali che disciplinano le persone giuridiche 

-in forza della quale l�annullamento della deliberazione esprimente la volont� 
contrattuale dell�amministrazione non pregiudica i diritti acquistati dai terzi 
in buona fede sulla base di atti compiuti in esecuzione della deliberazione medesima 
(23). 

5. La tesi della caducazione automatica del contratto. 

Un ultimo orientamento, avallato dalla giurisprudenza amministrativa immediatamente 
precedente l�emanazione del cod. app. (24), riteneva che all�annullamento, 
giudiziale o in autotutela, dell�aggiudicazione conseguisse la 
caducazione automatica degli effetti del contratto, a prescindere, dunque, dal-
l�intermediazione di una pronuncia giurisdizionale sul punto (25). 

Questa teoria valorizzava l�esistenza di una connessione funzionale tra 
la sequenza procedimentale pubblicistica e la conseguente stipulazione del 
contratto, tale da implicare, in analogia alla figura civilistica del collegamento 
negoziale, la caducazione del negozio dipendente nel caso di annullamento di 
quello presupposto, in applicazione del noto principio racchiuso nel brocardo 
simul stabunt simul cadent (26). 

(23) A sostegno della tesi della inefficacia relativa, si veda VALLA, Annullamento della procedura di 
evidenza a monte e sorte del contratto a valle: patologia o inefficacia?, in Urb. e app., 2004, 192 e ss. 
(24) Cfr. Cons. St., sez. V, 10 gennaio 2007, n. 41, in www.giustizia-amministrativa.it; id., 28 settembre 
2005, n. 5194, ivi; id., sez. VI, 5 maggio 2003, n. 2332, cit.; id., 30 maggio 2003, n. 2992, in 
Dir. e Form., 2003, 1445, con nota di CINTIOLI; id., sez. IV, 14 marzo 2003, n. 1518, ibidem; id., sez. V, 
5 marzo 2003, n. 1218, ibidem; id., sez. VI, 14 gennaio 2000, n. 244, in Foro amm., 2000, 108; id., sez. 
V, 25 maggio 1998, n. 677, ibidem.; id., 29 marzo 1992, n. 435, ibidem. 
(25) A sostegno della tesi della caducazione automatica, si veda AUDITORE, Caducazione automatica 
del contratto a seguito di annullamento dell�aggiudicazione, in Cons. Stato, 2004, I, 1160; SCIARROTTA, 
Annullamento dell�aggiudicazione e sorti del contratto, ibidem, 1164. 
(26) Cfr. Cass. civ., sez. I, 27 marzo 2007, n. 7481, in Riv. giur. edil., 2007, I, 1280, in Giust. civ. 
Mass., 2007, 3 e in Foro amm. CdS, 2007, 5, 1398; id., 26 maggio 2006, n. 12629, in Foro it., 2008, 1, 



DOTTRINA 261 

Il venir meno di un atto della sequenza procedimentale ad evidenza pubblica 
determinerebbe, quindi, la produzione di un effetto viziante �a cascata�, 
per cui l�annullamento dell�atto �a monte� (l�aggiudicazione) causerebbe, 
quale conseguenza naturale e indefettibile, quindi senza necessit� di una pronuncia 
che disponesse sul punto, la caducazione automatica dell�atto �a valle� 
ad esso conseguenziale (il contratto). 

A sostegno di tale teoria veniva portato anche un dato di carattere testuale. 

L�art. 246, comma 4, cod. app., infatti, nella formulazione antecedente al 
codice del processo amministrativo, prevedeva che, relativamente alle infrastrutture 
ed agli insediamenti strategici, la sospensione o l�annullamento del-
l�affidamento non comportasse la caducazione del contratto gi� stipulato. Dalla 
lettura a contrario della disposizione citata alcuni Autori ricavavano che la 
regola generale applicabile alla sorte dei contratti a seguito dell�annullamento 
dell�aggiudicazione fosse proprio quella della caducazione automatica, derogabile, 
per espressa previsione legislativa, soltanto nella materia delle infrastrutture 
strategiche (27). 

Sebbene, avesse l�indubbio pregio di riportare al centro della querelle 
sulla sorte del contratto l�interesse pubblico all�esecuzione dell�opera, la tesi 
in esame ha, nondimeno, destato forti perplessit� in dottrina (28), fatte proprie 
anche da alcune isolate pronunce del Consiglio di Stato (29). 

In prima battuta, � stato osservato come, gi� sotto il profilo strettamente 
lessicale, il termine �caducazione� pecchi di ambiguit�, essendo estraneo tanto 
al lessico proprio del diritto privato, quanto a quello del diritto pubblico. Proprio 
l�utilizzo di un�espressione cos� ambigua e atecnica sarebbe, dunque, sintomatica 
dell�incertezza di fondo cui la stessa ricostruzione sistematica 
dell�istituto soggiacerebbe (30). 

I, 256; id., sez. lav., 24 marzo 2004, n. 5941, in Giust. civ. Mass., 2004, 3, in Foro amm. CdS, 2004, 684 
e in Giust. civ., 2004, I, 3205. 

(27) Disposizione analoga a quella contenuta nella norma citata era quella di cui all�art. 20, comma 
8, d.l. 29 novembre 2008, n. 185, convertito, con modificazioni, in l. 28 gennaio 2009, n. 2 (recante 
�Misure urgenti per il sostegno a famiglie, lavoro, occupazione e imprese e per ridisegnare, in funzione 
anti-crisi, il quadro strategico nazionale�), il quale, con riferimento alle opere esecutive di progetti facenti 
parte del quadro strategico nazionale, prevedeva espressamente che �le misure cautelari e l�annullamento 
dei provvedimenti impugnati non comportano, in alcun caso, la sospensione o la caducazione 
degli effetti del contratto gi� stipulato, e il Giudice che sospende o annulla detti provvedimenti dispone 
il risarcimento degli eventuali danni solo per equivalente�. 

(28) Per un critica a questa interpretazione cfr. GRECO, La direttiva 2007/66/CE: illegittimit� comunitaria, 
sorte del contratto ed effetti collaterali indotti, in www.giustamm.it; F.G. SCOCA, Annullamento 
dell�aggiudicazione e sorte del contratto, ibidem; CARPENTIERI, Annullamento dell�aggiudicazione 
e contratto, in Giorn. dir. amm., 2004, 1, 22. 
(29) Cfr., per tutte, sez. IV, 27 ottobre 2003, n. 6666, in Dir. proc. amm., 2004, 178, e in Dir. e 
giust., 2003, 40, 79 con nota di FEA, Annullamento atti di gara e sorte del contratto: ora tocca all�inefficacia. 
Nullit�, annullabilit� e caducazione, strade gi� percorse. 
(30) Cfr. T.A.R. Lombardia, Milano, sez. I, 20 luglio 2009, n. 4398, in Foro amm. TAR, 2009, 78, 
1970. 



In secondo luogo, si � rimarcato come la soluzione della caducazione 
pecchi di eccessiva rigidit�, poich� configura la privazione degli effetti del 
contratto come una conseguenza sempre necessaria ed automatica dell�annullamento 
dell�aggiudicazione, senza distinguere a seconda del tipo e della 
gravit� della violazione in cui � incorsa la stazione appaltante, dello stato 
di (maggiore o minore) avanzamento dell�esecuzione del contratto, della 
buona o cattiva fede del terzo aggiudicatario. L�assenza di graduazione 
della gravit� delle violazioni commesse dalla stazione appaltante, infatti, 
si pone in netta antitesi con quanto disposto dalla direttiva 2007/66/CE, 
ove si afferma chiaramente come non ogni violazione del diritto comunitario 
(ad eccezione della mancata pubblicazione del bando) debba determinare 
la privazione di effetti del contratto, dovendo essere tale estrema 
conseguenza il risultato di una valutazione demandata ad un organo di ricorso 
indipendente dall�amministrazione aggiudicatrice, che, tenuto conto 
delle circostanze e degli interessi in gioco, potrebbe anche decidere di mantenere 
in vita il contratto. 

In seguito alle insuperabili critiche cui � stata sottoposta, la tesi della caducazione 
automatica � stata fatta oggetto di un parziale ripensamento in sede 
pretoria (31). 

Secondo la rilettura prospettata, i termini della questione dovevano essere 
ricostruiti alla luce della categoria dell�inefficacia successiva, che ricorre allorch� 
il negozio pienamente efficace al momento della sua nascita divenga 
inefficace per il sopravvenire di una ragione nuova di inefficacia, quest�ultima 
da intendersi come inidoneit� funzionale in cui venga a trovarsi il programma 
negoziale per l�incidenza ab externo di interessi giuridici di rango poziore incompatibili 
con l�interesse interno negoziale. Tale interferenza non implicherebbe 
alcuna alterazione strutturale della fattispecie contrattuale, incidendo 
unicamente sulla funzione dell�atto ovvero sul momento effettuale. In questi 
casi, dunque, ci si troverebbe di fronte ad un contrasto fra situazioni effettuali, 
non venendo in rilievo l�atto sotto il profilo genetico (validit� o invalidit�), 
bens� la sua efficacia. 

L�inefficacia successiva, al pari della nullit� successiva, agirebbe, peraltro, 
retroattivamente, ma diversamente da questa incontrerebbe un duplice limite: 
da un lato, quello dell�intangibilit� delle situazioni soggettive che si siano 
gi� consolidate in capo ai terzi fino alla proposizione della domanda volta a 
far dichiarare l�inefficacia (ex artt. 1452, 1458, comma 2, 1467 e 2901 c.c.); 
dall�altro, e con specifico riferimento ai contratti di durata, la non ripetibilit� 
delle prestazioni gi� eseguite in esecuzione dell�accordo (32). 

(31) Cfr. Cons. St., sez. V, 28 maggio 2004, n. 3465, in Giust. civ., 2005, 9, I, 2205, con nota di 
MICARI, L�adunanza plenaria di fronte alla problematica ma necessaria sistematicit� del diritto (giurisprudenziale) 
amministrativo, e in Foro amm. CdS, 2004, 1435. 


DOTTRINA 263 

6. La soluzione accolta dal legislatore. 

La disputa che ha lungamente impegnato dottrina e giurisprudenza in 
ordine alle ricadute dell�annullamento del provvedimento di aggiudicazione 
sul contratto medio tempore stipulato ha, infine, trovato una composizione 
negli artt. 245-bis e 245-ter cod. app. (introdotti dal d.lgs. n. 53/2010), con 
i quali il legislatore ha recepito i principi dettati dalla seconda direttiva ricorsi 
in materia. 

Come accennato supra, le richiamate disposizioni, prima della loro recente 
abrogazione, contenevano un mero rinvio agli artt. 121 e 122 c.p.a., che 
disciplinano i casi in cui all�annullamento dell�aggiudicazione debba conseguire, 
quale effetto obbligatorio o meramente eventuale (in relazione alla maggiore 
o minore gravit� delle violazioni procedimentali poste in essere dalla 
stazione appaltante), l�inefficacia del contratto (33). 

Prima di esaminare la disciplina dettata dal codice di rito, occorre premettere 
che, sebbene le nuove disposizioni si riferiscano esplicitamente all�inefficacia 
del contratto a seguito dell�annullamento dell�aggiudicazione, il 
legislatore ha omesso ogni indicazione utile circa il preciso inquadramento 
concettuale di tale fenomeno nell�alveo delle tesi dottrinarie richiamate nei 
precedenti paragrafi. 

La riflessione dottrinale che ha investito la questione si � attestata su due 
posizioni antitetiche. 

Per una prima impostazione, l�inefficacia del contratto di appalto dovrebbe 
essere classificata nella species della c.d. inefficacia in senso lato, ovvero in quella 
conseguente ad un contratto nullo per violazione di norme imperative poste a tutela 
di interessi pubblici e che atterebbero alla validit� del contratto. 

L�inefficacia sarebbe, quindi, una conseguenza della nullit� del contratto, 
la quale, a sua volta, discenderebbe dall�invalidit� del provvedimento di aggiudicazione 
per violazione di norme del procedimento ad evidenza pubblica. 
Pertanto, ai fini della declaratoria di inefficacia, sarebbe necessario il preventivo 
annullamento del provvedimento amministrativo viziato. 

Tale forma di invalidit� si distaccherebbe, dunque, dalla disciplina tradizionale 
della nullit� propria dei contratti di diritto comune, legata alla concezione 
pandettistica formale che presuppone la sussistenza di un difetto 
originario e strutturale della fattispecie e cio� di un vizio intrinseco alla fattispecie 
stessa, costituendo, piuttosto, una ipotesi di �nullit� speciale�, frutto di 

(32) A sostegno dell�inefficacia caducante successiva, si veda GAROFOLI, L�annullamento del provvedimento 
di aggiudicazione e la sorte del contratto, in SANDULLI - DE NICTOLIS - GAROFOLI (a cura di), 
Trattato sui contratti pubblici, Milano, 2008, 3922 e ss. 
(33) Per un�analitica lettura delle norme in esame si veda DE NICTOLIS, Artt. 121-125, in Il processo 
amministrativo. Commentario al d.lgs. 104/2010, a cura di A. QUARANTA - V. LOPILATO, Milano, 
2010, 1012 e ss. 



un sindacato complesso in ordine ad una serie di elementi che, pur non attenendo 
ad un profilo strutturale del contratto, ne possono condizionare il giudizio 
di validit� (34). 

Pi� condivisibilmente, � stato ritenuto che l�inefficacia prevista dal codice 
del processo amministrativo debba essere qualificata in termini di inefficacia 
in senso stretto o da contratto valido. 

Un�approfondita disamina della disciplina delle procedure ad evidenza 
pubblica che ne valorizzi la struttura bifasica (pubblicistica e privatistica), evidenzia 
come la connessione esistente tra l�illegittimit� dell�aggiudicazione e 
contratto attenga al piano fattuale del rapporto negoziale, non a quello del-
l�atto, sicch� il vizio procedimentale non impinge alla struttura del negozio, 
ma attiene esclusivamente al relativo piano effettuale (35). 

Questa conclusione �, del resto, la sola in grado di fornire una soluzione 
idonea a consentire il costante bilanciamento degli interessi pubblici che deve 
guidare l�interprete nella valutazione della convenienza della declaratoria di 
inefficacia del contratto. 

Sul piano strettamente positivo, l�art. 121 c.p.a. stabilisce che l�inefficacia 
del contratto consegue obbligatoriamente all�annullamento dell�aggiudicazione 
qualora: 

a) l�aggiudicazione definitiva sia avvenuta senza previa pubblicazione 
del bando o avviso con cui si indice una gara, quando tale pubblicazione � 
prescritta dal codice appalti; 

b) l�aggiudicazione definitiva sia avvenuta con procedura negoziata senza 
bando o con affidamento in economia fuori dai casi consentiti e questo abbia 
determinato l�omissione della pubblicit� del bando o avviso con cui si indice 
una gara, quando questa sia prescritta dal codice appalti; 

c) il contratto sia stato stipulato senza rispettare il termine dilatorio di 
trenta giorni decorrenti dalla comunicazione dell�aggiudicazione (c.d. standstill 
sostanziale), qualora tale violazione abbia privato il ricorrente della 
possibilit� di avvalersi di mezzi di ricorso prima della stipulazione del contratto 
e sempre che tale violazione, aggiungendosi a vizi propri dell�aggiudicazione 
definitiva, abbia influito sulle possibilit� del ricorrente di ottenere 
l�affidamento; 

d) il contratto sia stato stipulato senza rispettare la sospensione obbligatoria 
del termine per la stipulazione derivante dalla proposizione del ricorso 
giurisdizionale avverso l�aggiudicazione definitiva (c.d. standstill 
processuale), qualora tale violazione, aggiungendosi a vizi propri dell�ag


(34) In tal senso LOPILATO, Categorie contrattuali, contratti pubblici e i nuovi rimedi previsti dal 
decreto legislativo n. 53 del 2010 di attuazione della direttiva ricorsi, in www.giustizia-amministrativa.it; 
CARPENTIERI, Sorte del contratto nel nuovo rito sugli appalti, ibidem. 
(35) ORR�, L�inefficacia del contratto ad evidenza pubblica tra vecchi problemi e nuove soluzioni 
normative, in Contratto pubblico e principi di diritto privato, a cura di CICERO, Padova, 2011, 169 e ss. 



DOTTRINA 265 

giudicazione definitiva, abbia influito sulle possibilit� del ricorrente di ottenere 
l�affidamento. 

Dall�esame del dato testuale di cui all�art. 121, comma 1, c.p.a. emerge 
come il legislatore abbia voluto differenziare l�ambito di applicazione del 
primo gruppo di ipotesi di inefficacia obbligatoria (lett. a) e b)), rispetto a 
quello previsto dal secondo gruppo (lett. c) e d)). Se, infatti, nel primo caso il 
meccanismo dell�inefficacia opera automaticamente al semplice riscontro 
dell�omissione della pubblicazione del bando e degli avvisi di gara (36), essendo 
le violazioni gravi di cui alle lett. a) e b) direttamente ricollegate ad ipotesi 
in cui la violazione dei principi di trasparenza dell�azione amministrativa 
ha leso la correttezza della gara, nel caso della violazione dello standstill (tanto 
sostanziale che processuale) la norma richiede un quid pluris, consistente 
nell�accertamento della contemporanea sussistenza di altre due condizioni: da 
un lato, l�idoneit� causale della violazione a privare il concorrente della possibilit� 
di avvalersi dei mezzi di tutela e, dall�altro, il sacrificio, o comunque 
la compromissione, della sua possibilit� di conseguire l�aggiudicazione, dovuta 
non solo alla violazione dello standstill, ma anche ad ulteriori vizi propri 
dell�aggiudicazione (37). 

Ne discende che la semplice violazione dei termini di standstill, non accompagnata 
dalla compresenza degli ulteriori elementi previsti dall�art. 121, 
comma 1, lett. c) e d), c.p.a., �imporr�, di fatto, una derubricazione della vio


(36) In questo senso, POLITI, op. cit.; LAMBERTI, L�annullamento dell�aggiudicazione e la sorte 
del contratto nel codice del processo amministrativo, in www.giustamm.it. In senso contrario Cons. 
St., sez. VI, 12 dicembre 2012, n. 6374, in Foro amm. CdS, 2012, 12, 3283, secondo cui �dopo l�entrata 
in vigore delle disposizioni attuative della direttiva 2007/66/Ce, ora riprese negli artt. 121 e 
122 c.p.a., in caso di annullamento giudiziale dell�aggiudicazione di una pubblica gara, spetta al 
giudice amministrativo il potere di decidere discrezionalmente (anche nei casi di violazioni gravi) 
se mantenere o meno l�efficacia del contratto nel frattempo stipulato. Tale sistema normativo, in 
base al quale l�inefficacia del contratto non � conseguenza automatica dell�annullamento dell�aggiudicazione, 
ma costituisce oggetto di una specifica pronuncia giurisdizionale, si pone come innovazione 
rispetto alla logica sequenza procedimentale che vede la privazione degli effetti del contratto 
strettamente connessa all�annullamento dell�aggiudicazione, e da questa dipendente. La caducazione 
del contratto stipulato a seguito dell�aggiudicazione poi annullata costituisce, quindi, in via generale, 
la conseguenza necessitata dell�annullamento: di tale conseguenza l�art. 122 c.p.a. costituisce 
una deroga, imperniata sulle esigenze di semplificazione e concentrazione delle tutele ai fini della 
loro effettivit��. Nello stesso senso, id., sez. III, 1 aprile 2016, n. 1308, in www.giustizia-amministrativa.
it; id., sez. V, 1 ottobre 2015, n. 4585, ibidem; id., sez. III, 10 aprile 2015, n. 1839, ibidem; 
id., sez. V, 26 settembre 2013, n. 4752, in Foro amm. CdS, 2013, 9, 2509; T.A.R. Puglia, Bari, sez. 
I, 9 ottobre 2013, n. 1378, in Foro amm. TAR, 2013, 10, 3185; T.A.R. Lazio, Roma, sez. III, 8 marzo 
2011, n. 2122, ivi, 2011, 3, 879; T.A.R. Toscana, sez. I, 27 gennaio 2011, n. 154, in D&G - Dir. e 
Giust., 2011. 

(37) Cfr. POLITI, op. cit. In tal senso anche la giurisprudenza amministrativa: cfr., ex plurimis, 

T.A.R. Lazio, Roma, sez. II, 4 gennaio 2016, n. 2, in Foro amm., 2016, 1; T.A.R. Lombardia, Brescia, 
sez. II, 25 giugno 2013, n. 610, in Foro amm. TAR, 2013, 6, 1846; id., 18 aprile 2013, n. 363, ibidem, 4, 
1115; T.A.R. Lazio, Roma, sez. I-bis, 30 maggio 2011, n. 4842, ivi, 2011, 7-8, 2583; T.A.R. Calabria, 
Reggio Calabria, sez. I, 20 ottobre 2010, n. 942, in Guida al dir., 2010, 45, 85, con nota di GIUNTA. 


lazione (riguardata con riferimento agli effetti indotti sullo strumento negoziale) 
verso l�ambito dispositivo di cui al comma 1 del successivo art. 122, 
ampliando, corrispondentemente, la latitudine dell�apprezzamento del Giudice 
e, con essa, l�espansione del potere (di merito) in materia veicolante la conclusiva 
determinazione giudiziale� (38). 

Malgrado la regola generale tratteggiata dal codice di rito sia quella della 
privazione degli effetti del contratto nelle ipotesi di gravi violazioni procedi-
mentali, nondimeno, nel successivo comma 2 dell�art. 121 c.p.a., il legislatore 
ha introdotto una norma di salvaguardia al fine di garantire il pi� possibile la 
sopravvivenza del contratto, con ci�, di fatto, dilatando enormemente l�ambito 
dei poteri concessi al giudice (39). Tale norma stabilisce, infatti, che anche in 
presenza delle violazioni di cui al comma 1, rimane attribuita al giudice la 
possibilit� di far salva l�efficacia del contratto, qualora venga accertato che il 
rispetto di esigenze imperative connesse ad un interesse generale imponga che 
i suoi effetti siano mantenuti. 

Come acutamente rilevato (40), l�interesse generale che giustifica il mantenimento 
in vita del contratto pur a fronte della violazione delle norme sul 
procedimento e, indirettamente, dei principi di trasparenza e concorrenzialit� 
dev�essere inteso come quello dell�intera collettivit� alla celere realizzazione 
delle opere pubbliche e non come interesse della sola stazione appaltante. 

Tra le esigenze imperative che giustificano una deroga al principio del-
l�inefficacia del contratto nel caso di gravi violazioni procedimentali (esemplificativamente 
elencate dal legislatore), il codice indica, anzitutto, quelle 
imprescindibili di carattere tecnico o di altro tipo, tali da rendere evidente che 
i residui obblighi contrattuali possono essere rispettati solo dall�esecutore attuale 
(41). In queste ipotesi, il giudice dovr� operare un apprezzamento tecnico-
discrezionale tramite il quale valutare se la residua parte dell�opera non 
possa che essere eseguita dall�aggiudicatario in ragione della particolarit� 
dell�oggetto, della tipologia dei lavori o della loro durata. 

Di contro, gli interessi economici della stazione appaltante potranno essere 
valutati in termine di esigenze imperative soltanto in circostanze eccezionali 
in cui l�inefficacia del contratto stesso condurrebbe a conseguenze 
sproporzionate, avuto anche riguardo all�eventuale mancata proposizione della 

(38) Cos� POLITI, op. cit. 

(39) Cfr. T.A.R. Sicilia, Catania, sez. II, 11 novembre 2013, n. 2746, in Foro amm. TAR, 2013, 11, 
3570. 
(40) DE NICTOLIS, Artt. 121-125, cit., 1022. 


(41) Cfr. T.A.R. Sicilia, Catania, sez. II, 11 novembre 2013, n. 2746, in Foro amm. TAR, 2013, 
11, 3570, secondo cui fra le esigenze imperative, incluse quelle imprescindibili di carattere tecnico o di 
altro tipo (art. 121, comma 2, c.p.a.), devono ricomprendersi quelle connesse all�ipotesi in cui il contratto 
sia stato da tempo eseguito e sia da tempo intervenuto il collaudo e l�utilizzo della fornitura da parte 
dell�amministrazione. 



DOTTRINA 267 

domanda di subentro nel contratto nei casi in cui il vizio dell�aggiudicazione 
non comporti l�obbligo di rinnovare la gara. 

In ogni caso, il codice espressamente prevede che non potranno in alcun 
caso costituire esigenze imperative gli interessi economici legati direttamente 
al contratto, che comprendono, fra l�altro, i costi derivanti dal ritardo nell�esecuzione 
del contratto stesso, dalla necessit� di indire una nuova procedura di 
aggiudicazione, dal cambio dell�operatore economico e dagli obblighi di legge 
risultanti dalla dichiarazione di inefficacia. 

Al fine di prevenire uno straripamento di potere giurisdizionale, la locuzione 
�esigenze imperative� deve, comunque, essere interpretata con estremo 
rigore, limitandone il richiamo ai casi in cui risulti altrimenti impossibile garantire 
gli interessi pubblici perseguiti tramite il contratto (42), ovvero nel caso 
in cui sussistano ragioni tecniche (quali, ad es., particolari diritti di privativa 
industriale o di know-how) tali da far ritenere che gli obblighi negoziali nascenti 
dal contratto stesso potranno essere rispettati soltanto dall�attuale esecutore 
(43). 

Discutibile �, invece, l�inclusione tra i criteri di ponderazione degli interessi 
economici non afferenti al contratto dell�eventuale mancata proposizione 
della domanda di subentro nei casi in cui il vizio dell�aggiudicazione non comporti 
l�obbligo di rinnovare la gara, posto che tale circostanza non � prevista 
quale condizione per la declaratoria di inefficacia del contratto (44). 

A stemperare il rigore della previsione di cui al comma 1 dell�art. 121 

c.p.a. contribuisce anche il disposto di cui al successivo comma 5, che contempla 
le ipotesi in cui, malgrado l�omessa pubblicazione del bando o dell�avviso 
di indizione della gara, non pu�, comunque, essere dichiarata l�inefficacia 
del contratto. Ci� avviene allorch� la stazione appaltante abbia posto in essere 
la seguente procedura: 

a) abbia, con atto motivato anteriore all�avvio della procedura di affidamento, 
dichiarato di ritenere che la procedura senza previa pubblicazione del 
bando o avviso � consentita dal codice appalti; 

b) abbia pubblicato un avviso volontario per la trasparenza preventiva 
ai sensi dell�art. 79-bis del Codice, in cui manifesta l�intenzione di concludere 
il contratto; 

c) il contratto non sia stato concluso prima di almeno dieci giorni de-
correnti dal giorno successivo alla data di pubblicazione dell�avviso di cui 
alla lett. b). 

(42) TORRICELLI, Il contenzioso sugli appalti pubblici sotto la spinta del diritto europeo. Tradizione 
e discontinuit� nel modello di tutela offerto da giudice amministrativo, in Rivista de la Escuela Jacobea 
de Posgrado, n. 4/2013, 18, e in www.revista.jacobea.edu. 

(43) DE PAOLIS, Il processo amministrativo, Padova, 2012, 589-590. 
(44) Sul punto si veda LOPILATO, op. cit. 



La ratio sottesa alla previsione legislativa risiede nella volont� di apprestare 
una forma forte di tutela per l�amministrazione e per l�aggiudicatario 
anche nel caso in cui siano omessi i prescritti oneri di pubblicit� della procedura. 
In tali casi, la pubblicazione dell�avviso volontario per la trasparenza 
preventiva � ritenuto un adempimento idoneo a supplire agli effetti tipici della 
pubblicit� del bando, surrogandone tutti i contenuti e consentendo agli interessati 
di avere, comunque, piena conoscenza della volont� di contrarre del-
l�amministrazione (45). 

La clausola di salvezza di cui al comma 5, specie ove letta unitamente 
all�ulteriore norma �scriminante� contenuta nel comma 2, non pu� non destare 
pi� di qualche perplessit�. Difatti, l�evidente tensione del legislatore 
alla salvezza degli effetti contrattuali, pur a fronte della violazione di norme 
esprimenti principi fondamentali dell�ordinamento (quali quelli di trasparenza, 
concorrenza, libero mercato, efficienza, buon andamento dell�azione 
amministrativa) poste in essere dalla stazione appaltante, testimonia un indebolimento 
della complessiva risposta legislativa alle irregolarit� commesse 
nel corso delle procedure ad evidenza pubblica, con evidenti nefaste ricadute 
tanto sull�interesse pubblico che su quello degli operatori economici partecipanti 
alla gara. 

Accanto alla previsione di una serie di ipotesi in cui l�inefficacia del contratto 
deve obbligatoriamente conseguire alla commissione di una violazione 
�grave� da parte dell�amministrazione, il codice di rito (art. 122, gi� art. 245ter 
cod. app.), con norma di chiusura, attribuisce al giudice il potere discrezionale 
di dichiarare l�inefficacia del contratto anche a seguito dell�accertamento 
di ulteriori violazioni c.d. �non gravi� commesse dalla stazione appaltante, non 
ricomprese negli artt. 121, comma 1, e 123, comma 3, c.p.a. 

In questi casi, il giudice che annulla l�aggiudicazione definitiva stabilisce 
se dichiarare l�inefficacia del contratto, fissandone la decorrenza, tenuto conto, 
in particolare, degli interessi delle parti, dell�effettiva possibilit� per il ricorrente 
di conseguire l�aggiudicazione alla luce dei vizi riscontrati, dello stato 
di esecuzione del contratto e della possibilit� di subentrare nel contratto, nei 
casi in cui il vizio dell�aggiudicazione non comporti l�obbligo di rinnovare la 
gara e la domanda di subentrare sia stata proposta (46). 

La giurisprudenza ha opportunamente evidenziato che il subentro nel contratto 
da parte del nuovo aggiudicatario disposto ai sensi dell�art. 122 c.p.a. 
nel caso di annullamento dell�aggiudicazione dev�essere inteso in senso atec


(45) In tal senso POLITI, op. cit.; DE PAOLIS, op. cit., 591; VACCARI, La dichiarazione di inefficacia del 
contratto ex artt. 121 e 122 c.p.a. come misura processuale satisfattoria, in Dir. proc. amm., 2015, 255. 
(46) Cfr. Cons. St., sez. VI, 8 agosto 2014, n. 4225, in Foro amm. CdS, 2014, 7-8, 2030; id., sez. 
V, 25 giugno 2014, n. 3220, ibidem, 6, 1743; T.A.R. Sicilia, Catania, sez. IV, 12 febbraio 2014, n. 446, 
in Riv. giur. ed., 2014, 2, I, 409; T.A.R. Lazio, Roma, sez. II, 19 ottobre 2012, n. 8695, in Foro amm. 
TAR, 2012, 10, 3189. 



DOTTRINA 269 

nico, ovvero non quale successione nel medesimo rapporto contrattuale intercorso 
con l�originario aggiudicatario, che anzi viene meno all�esito del giudicato 
amministrativo, bens� in termini di necessit� di stipulare un nuovo 
contratto che consenta di completare le prestazioni residue (47). 

Nonostante il tenore letterale della disposizione, tra le norme contenute 
negli artt. 121 e 122 c.p.a. non � possibile riscontrare un vero e proprio rapporto 
di residualit�. Infatti, il contenuto precettivo dell�art. 121 c.p.a., riconnesso alla 
tutela di ineliminabili esigenze di pubblicit�, trasparenza e partecipazione, impone 
che, in ogni caso in cui sussistano delle violazioni delle disposizioni tese 
a prevenire forme illegittime di affidamento diretto, il rimedio applicabile dev�essere 
sempre quello dell�inefficacia, fatte salve le eccezioni dovute ad esigenze 
imperative connesse ad un interesse generale (48). 

Di contro, la norma in esame, relativa alla �inefficacia del contratto negli 
altri casi� (cio� quelli che concernono le violazioni �non gravi� o meno 
gravi), attribuisce innovativamente al giudice il potere di decidere se dichiarare 
o meno inefficace il contratto fuori dai casi espressamente regolati dagli 
artt. 121 e 123, in base ad una serie di parametri che, seppure oggettivi, sono, 
per�, da combinare in vario modo tra loro, in relazione alle specifiche e variabili 
caratteristiche della situazione di fatto di volta in volta in esame, vale 
a dire degli interessi delle parti, dell�effettiva possibilit� per il ricorrente di 
conseguire l�aggiudicazione alla luce dei vizi riscontrati e, conseguentemente, 
dello stato di esecuzione del contratto e della correlata possibilit� di subentrare 
nel contratto stesso, semprech� il vizio dell�aggiudicazione non comporti, 
invece, il mero obbligo di rinnovare la gara e la domanda di subentrare 
sia stata proposta (49). 

La scelta legislativa di assegnare al giudice un amplissimo potere discrezionale 
circa l�individuazione dei casi in cui dichiarare l�inefficacia del contratto 
anche in fattispecie estranee a quelle tassativamente indicate dall�art. 
121 c.p.a. appare di dubbia legittimit�. Essa rischia, infatti, di determinare un 
insanabile vulnus dei principi di certezza delle situazioni giuridiche, oltre che 
di quelli di legalit� e tassativit� delle misure sanzionatorie (50). 

Presupposto necessario a giustificare l�esercizio del potere giudiziale � 
la presentazione di idonea domanda di subentro nel contratto da parte del ricorrente. 
Soltanto a seguito del positivo accertamento dell�esistenza di tale 
domanda il giudice potr� procedere a valutare se dichiarare o meno l�ineffica


(47) In terminis, Cons. St., sez. V, 30 novembre 2015, n. 5404, in Banca dati De Jure. 
(48) Sul punto si veda LOPILATO, op. cit. 


(49) Cfr., in tal senso, T.A.R. Lazio, Roma, sez. II, 8 giugno 2012, n. 5222, in Foro amm. TAR, 
2012, 6, 1969; T.A.R. Sicilia, Catania, sez. IV, 7 novembre 2011, n. 2645, ivi, 2011, 11, 3741. 
(50) Parimenti critico nei confronti della disposizione in esame GE. FERRARI, L�annullamento del 
provvedimento di aggiudicazione dell�appalto pubblico e la sorte del contratto gi� stipulato nella disciplina 
dettata dal nuovo c.p.a., in Giur. mer., 2011, 919. 



cia del contratto, bilanciando tutti i parametri indicati dall�art. 122 c.p.a. (la 
possibilit� per il ricorrente di conseguire l�aggiudicazione alla luce dei vizi riscontrati, 
la possibilit� di subentrare nel contratto, il suo stato di esecuzione e 
l�interesse delle parti) (51). 

Particolarmente ardua appare la ponderazione dell�elemento relativo allo 
stato di esecuzione del contratto. In questi casi, il giudizio dovr� tener conto 
sia degli interessi pubblici sottesi all�esecuzione dell�appalto, quali i costi e le 
tempistiche necessarie al subentro del terzo pretermesso in relazione alla sollecita 
esecuzione dell�opera, sia di quelli dell�impresa subentrante, non solo 
dal punto di vista strettamente economico, ma anche da quello del prestigio 
professionale derivante dalla commessa (52). 

Il favor mostrato dal legislatore per la sopravvivenza del contratto � ulteriormente 
sottolineato dalle recenti modifiche apportate al c.d. rito appalti dal 
nuovo codice dei contratti pubblici. In particolare, l�art. 204, comma 1, lett. 
f), d.lgs. 8 aprile 2016, n. 50, ha introdotto nell�art. 120 c.p.a. il comma 8-ter, 
il quale prevede che: �nella decisione cautelare, il giudice tiene conto di 
quanto previsto dagli articoli 121, comma 1, e 122, e delle esigenze imperative 
connesse a un interesse generale all�esecuzione del contratto, dandone conto 
nella motivazione�. 

Come evidenziato dal Consiglio di Stato in sede consultiva sulla bozza 
del nuovo codice appalti (53), la previsione pu� essere ritenuta quale formale 
esplicitazione dei parametri gi� utilizzati in sede di bilanciamento, attraverso 
un giudizio prognostico. Se ne desume, pertanto, che, ai fini della positiva delibazione 
dell�istanza cautelare formulata dal ricorrente, dovr� assumere carattere 
preminente la ponderazione circa l�eventuale sopravvivenza del 
contratto all�esito del giudizio di merito onde evitare inutili rinvii nell�inizio 
dell�esecuzione dei lavori. 

Sar�, comunque, necessario attendere le prime indicazioni interpretative 
che la giurisprudenza dovr� fornire circa il significato da attribuire all�espressione 
�esigenze imperative connesse a un interesse generale all�esecuzione 
del contratto�, ovvero, se la stessa debba essere interpretata in termini di effettiva 
presunzione della sussistenza di tale interesse o di mera valutazione 
della sua eventuale esistenza (54). Resta, per�, auspicabile che in sede di applicazione 
della nuova normativa �l�organo giudicante dovr� in ogni caso 
operare un bilanciamento dei contrapposti interessi, senza sentirsi in alcun 

(51) Una schematizzazione del bilanciamento dei su esposti parametri si pu� rinvenire in DE NICTOLIS, 
op. ult. cit., 1024-1028; nonch� ID., Il recepimento della direttiva ricorsi, cit. 
(52) Cfr., tra le tante, T.A.R. Sicilia, Catania, sez. IV, 26 marzo 2012, n. 839, in Foro amm. TAR, 
2012, 1025. 
(53) Cfr. Commissione speciale consultiva, 1 aprile 2016, n. 855, in www.giustizia-amministrativa.it. 


(54) L�osservazione � di M.A. SANDULLI, Il rito speciale in materia di contratti pubblici, in 
www.federalismi.it. 



DOTTRINA 271 

modo vincolato a un giudizio preferenziale per l�interesse alla sollecita esecuzione 
del contratto, che, in nessun caso, pu� legittimamente prevalere su 
quello alla selezione di un�offerta che, sotto il profilo soggettivo e oggettivo, 
rispetti i requisiti di legge e soddisfi al meglio le esigenze del committente e 
della collettivit�� (55). 

7. Le sanzioni alternative. 

Allo scopo di stigmatizzare il comportamento dell�amministrazione che 
abbia violato le norme sulla trasparenza e la pubblicit� delle procedure ad evidenza 
pubblica, il comma 4 dell�art. 121 c.p.a. prevede, con evidente finalit� 
dissuasiva, che nei casi in cui, nonostante le violazioni, il contratto sia considerato 
efficace ovvero l�inefficacia sia temporalmente limitata, il giudice 
debba applicare nei confronti della stazione appaltante le sanzioni alternative 
di cui al successivo art. 123 (il quale riproduce pedissequamente il testo originario 
dell�art. 245-quater cod. app.). 

La norma contempla due distinte tipologie di sanzioni applicabili sia in 
via alternativa che cumulativamente. 

La prima, di natura economica, consiste in una sanzione pecuniaria a carico 
della stazione appaltante di importo compreso tra lo 0,5% ed il 5% del 
valore del contratto, inteso come prezzo di aggiudicazione. 

La seconda � costituita dalla riduzione della durata del contratto, ove possibile, 
da un minimo del 10% ad un massimo del 50% della sua durata residua 
alla data di pubblicazione del dispositivo. 

L�applicazione delle sanzioni pecuniarie � da ritenersi conseguenziale 
all�annullamento dell�aggiudicazione definitiva, alternativa all�inefficacia parziale 
o totale del contratto, la cui pronuncia � correlata alla domanda di parte 
volta all�annullamento dell�aggiudicazione. � l�ordinamento, infatti, a considerare 
gravi determinati comportamenti assunti dal soggetto aggiudicatore e, 
nel caso in cui, nonostante le violazioni, il contratto sia considerato efficace 
(o l�inefficacia sia temporalmente limitata), a punire, per ci� stesso, il soggetto 
cui � oggettivamente imputabile l�accaduto, disponendo l�irrogazione nei suoi 
confronti della sanzione alternativa di cui all�art. 123 (56). 

L�applicazione cumulativa delle sanzioni � possibile nelle ipotesi contemplate 
dall�art. 123, comma 3, c.p.a., qualora il contratto sia stato stipulato 
senza rispettare i termini di stand still sostanziale o processuale, allorch� la 
violazione non abbia privato il ricorrente della possibilit� di avvalersi di mezzi 
di ricorso prima della stipulazione del contratto stesso e non abbia influito 

(55) Cos� M.A. SANDULLI, Nuovi limiti al diritto di difesa introdotti dal d.lgs. n. 50 del 2016 in 
contrasto con il diritto eurounitario e la Costituzione, in www.lamminisstrativista.it. 
(56) Cfr. T.A.R. Piemonte, Torino, sez. II, 11 aprile 2013, n. 452, in Foro amm. TAR, 2013, 4, 
1094. 



sulle possibilit� del ricorrente stesso di ottenere l�affidamento. In tali casi, il 
legislatore ha introdotto un automatismo, che assume un�impronta marcatamente 
sanzionatoria (57), finalizzato a punire l�inosservanza delle norme procedimentali 
e processuali che fissano il termine finale per la sottoscrizione del 
contratto, anche quando ci� non abbia arrecato alcun pregiudizio al ricorrente 
sul piano della tutela giurisdizionale (58). 

Non �, invece, consentita l�applicazione cumulativa delle sanzioni nei 
casi di violazioni gravi che comportino, quale conseguenza ineluttabile, la dichiarazione 
di inefficacia del contratto (art. 121, comma 1, lett. a) e b), c.p.a.), 
considerato che le sanzioni alternative sono applicabili soltanto qualora il contratto 
non debba essere privato degli effetti in modo totale o parziale (59). 

In ogni caso, non costituisce sanzione alternativa la condanna al risarcimento 
dei danni patiti dal terzo non aggiudicatario in conseguenza dell�illegittima 
condotta della stazione appaltante, sicch� la domanda risarcitoria potr� 
sempre cumularsi con l�irrogazione di una sanzione alternativa. 

A differenza della sanzione pecuniaria, che � posta esclusivamente a carico 
dell�amministrazione, la riduzione della durata del contratto incide anche 
sulla posizione dell�aggiudicatario, assumendo, cos�, i tratti di una vera pena 
inflitta al privato, ove questi abbia favorito il comportamento illegittimo della 
stazione appaltante. 

Competente ad irrogare le sanzioni � il giudice amministrativo, il quale 
deve determinarne la misura, affinch� le stesse risultino effettive, dissuasive, 
proporzionate al valore del contratto ed alla gravit� della condotta della stazione 
appaltante e all�opera svolta dalla stessa per l�eliminazione (o l�attenuazione) 
delle conseguenze delle violazioni, assicurando il rispetto del principio 
del contraddittorio (art. 123, comma 2, c.p.a.) (60). 

Gi� all�indomani della sua entrata in vigore, parte della dottrina ha 

(57) Cfr. T.A.R. Lombardia, Brescia, sez. II, 25 giugno 2013, n. 610, in Foro amm. TAR, 2013, 6, 
1846; id., 18 aprile 2013, n. 363, ivi, 4, 1115. 
(58) DE PAOLIS, op. cit., 594; GE. FERRARI, op. cit. 


(59) E. FOLLIERI, Le sanzioni alternative nelle controversie relative a procedure di affidamento 
di appalti pubblici, in Il contenzioso sui contratti pubblici un anno dopo il recepimento della direttiva 
ricorsi, a cura di F. SAITTA, Milano, 2011, 86. 
(60) In ordine ai criteri di quantificazione della sanzione, si veda T.A.R. Lazio, Latina, sez. I, 19 
luglio 2012, n. 574, in Foro amm. TAR, 2012, 7-8, 2396, secondo cui �va applicata la sola sanzione pecuniaria 
nei confronti della stazione appaltante e non anche la riduzione della durata del contratto, di 
cui all'art. 123 commi 1 e 2 c.p.a., qualora risulti che l�aggiudicataria si sia comunque premurata di 
rappresentare l�impedimento di diritto e quindi la necessit� di osservare il "tempo di attesa" di cui all�art. 
11 comma 10 ter, d.lg. 12 aprile 2006 n. 163; per converso, alcuna utilit� pu� la stazione appaltante 
trarre dal richiamo ai favorevoli effetti economici conseguenti all�anticipata contrattualizzazione del 
servizio in concessione in quanto tale vicenda non elide la connotazione di una condotta illecita perch� 
contraria al fine sotteso alle clausole di cd. stand still palesato dalla connessione tra le distinte fasi procedimentali 
e processuali - quindi dalla tensione ad assicurare al rapporto una fonte, il contratto 
appunto, tendenzialmente stabile�. 



DOTTRINA 273 

espresso forti dubbi circa la legittimit� costituzionale dell�impianto sanziona-
torio predisposto dal legislatore (61). 

� stata, anzitutto, criticata la scelta di attribuire al giudice amministrativo 
un potere di tipo �penalistico� diretto non a tutelare la posizione giuridica di 
una delle parti processuali, ma, piuttosto, a stigmatizzare il comportamento 
dell�amministrazione (o anche quello del terzo nel caso in cui la sanzione irrogata 
sia la riduzione della durata del contratto), assolutamente estraneo alle 
previsioni contenute nella direttiva ricorsi. 

In secondo luogo, � apparsa scarsamente compatibile con il dettato del-
l�art. 113 Cost. la mancanza di giustiziabilit� della sanzione, qualora questa 
venga irrogata per la prima volta all�esito del giudizio di appello innanzi al 
Consiglio di Stato. 

Infine, � parsa discutibile la possibilit� di comminare una sanzione in 
grado di pregiudicare (anche gravemente) la posizione del terzo aggiudicatario 
a prescindere dalla valutazione dell�elemento soggettivo di quest�ultimo. 

Bench� autorevolmente sostenute, le perplessit� sollevate attorno all�istituto 
in esame non paiono cogliere nel segno (62). 

Relativamente alla prima critica sollevata, � agevole osservare che, sotto 
il profilo sistematico e di concentrazione della tutela giurisdizionale, appare 
corretto che sia lo stesso giudice che accerta l�esistenza della violazione ad irrogare 
la conseguente sanzione. 

Parimenti infondati sono anche i dubbi di incostituzionalit� della norma 
in esame, considerato che il principio del doppio grado di giurisdizione nel 
processo amministrativo implica esclusivamente che avverso una sentenza di 
primo grado non possa essere preclusa la proposizione dell�appello, senza che 
ci� comporti il divieto che un giudizio si svolga in unico grado innanzi ad un 
giudice superiore. 

Infine, sotto l�ultimo profilo, va sottolineato che le sanzioni alternative 
non hanno natura esclusivamente sanzionatoria, essendo la loro funzione anche 
quella di consentire il ripristino della legalit� violata attraverso un�aggiudicazione 
illegittima. In quest�ottica, il sacrificio dell�interesse del terzo, anche in 
buona fede, appare senz�altro giustificato dal perseguimento del preminente 
interesse pubblico rappresentato dalla garanzia del rispetto dei principi di concorrenza, 
buon andamento ed imparzialit� dell�azione amministrativa. 

(61) Sul punto si vedano F.G. SCOCA, Relazione al Seminario su �L�attuazione della nuova direttiva 
ricorsi�, in www.giustamm.it; CINTIOLI, In difesa del processo di parti, ibidem; LIPARI, Il recepimento 
della direttiva ricorsi, cit.; GRECO, Illegittimo affidamento dell�appalto, sorte del contratto e sanzioni 
alternative nel d.lgs. 53/2010, in Riv. it. dir. pubbl. com., 2010, n. 3/4, 729 e ss. 
(62) DE NICTOLIS, op. ult. cit., 1029; CERBO, Le sanzioni alternative nell�attuazione della direttiva 
ricorsi (e nel codice del processo amministrativo), in Urb. e app., 2010, 884; GE.FERRARI, op. cit.; E. 
FOLLIERI, Le sanzioni alternative, cit., 96 e ss. 



8. I profili risarcitori. 

L�art. 245-quinques, comma 1, cod. app. (introdotto a seguito del recepimento 
della direttiva ricorsi) stabiliva che l�accoglimento della domanda diretta 
a conseguire l�aggiudicazione del contratto fosse subordinata alla previa 
declaratoria di inefficacia dello stesso ai sensi degli artt. 245-bis e 245-ter. 
Nel caso in cui l�inefficacia del contratto stesso non potesse essere dichiarata, 
la norma attribuiva al giudice il potere di accordare al terzo non aggiudicatario, 
dietro formulazione di rituale domanda in tal senso, il risarcimento per equivalente 
del danno subito e provato, limitatamente ai casi in cui quest�ultimo 
avesse comunque titolo per l�aggiudicazione del contratto. 

Dalla lettura della disposizione in esame appare evidente come l�intento 
del legislatore fosse quello di escludere la risarcibilit� del danno da perdita di 
chance, ossia della mera probabilit� di vittoria, dovendo il ricorrente provare 
che avrebbe certamente conseguito l�aggiudicazione della gara qualora le illegittimit� 
procedimentali fossero state sanate. 

Senonch�, in sede di trasposizione della norma all�interno del codice di 
rito, il legislatore ha condivisibilmente espunto dal testo definitivo la locuzione 
�a favore del solo ricorrente avente titolo all�aggiudicazione�, sicch� deve 
oggi ritenersi pienamente ammissibile anche la risarcibilit� del danno da perdita 
di chance (63). 

Parimenti assente dal testo dell�art. 124 c.p.a. � l�inciso secondo cui, ai 
fini della risarcibilit� del danno lamentato, � necessaria la proposizione di apposita 
domanda da parte del ricorrente. Malgrado ci�, non vi � dubbio che, in 
applicazione del noto principio della deducibilit� in giudizio delle pretese azionabili 
a cura della parte interessata, il giudice giammai potr� procedere ex officio 
alla liquidazione del danno non richiesto (64). 

Ai fini della condanna al risarcimento del danno per equivalente, il ricorrente 
deve fornire la prova dell�an e del quantum del danno subito ai sensi 
dell�art. 2697 c.c., non essendo applicabile in via automatica il previgente criterio 
forfettario del 10% del valore dell�appalto, al quale deve sostituirsi quello 
dell�utile effettivo che l�impresa avrebbe potuto conseguire (65). Tale utile 

(63) Perplessit� sulla originaria scelta legislativa erano state espresse anche dai primi commentatori 
della novella: BARTOLINI - FANTINI - FIGORILLI, op. cit., 661; De NICTOLIS, Il recepimento della direttiva 
ricorsi, cit. 
(64) Cfr. POLITI, op. cit.; LIPARI, La direttiva ricorsi, cit.; LAMBERTI, op. cit. Per l�affermazione 
del principio in giurisprudenza si veda, ex plurimis, T.A.R. Sicilia, Catania, sez. III, 25 luglio 2012, n. 
1930, in Foro amm. TAR, 2012, 7-8, 2595. 
(65) Cons. St., sez. IV, 12 giugno 2014, n. 3003, in www.giustizia-amministrativa.it; T.A.R. Lazio, 
Roma, sez. II, 8 luglio 2014, n. 7229, in Foro amm. TAR, 2014, 7-8, 2155; id., sez. III, 5 marzo 2013, 
n. 2358, ivi, 2013, 3, 875; T.A.R. Sicilia, Catania, sez. III, 25 luglio 2012, n. 1930, ivi, 2012, 7-8, 2595; 


T.A.R. Puglia, Bari, sez. I, 14 giugno 2012, n. 1192, ivi, 6, 2070; T.A.R. Abruzzo, L�Aquila, sez. I, 29 
dicembre 2011, ivi, 2011, 12, 3996; T.A.R. Lombardia, Brescia, sez. II, 4 novembre 2010, n. 4552, ivi, 
2010, 11, 3447. 


DOTTRINA 275 

pu� essere desunto, in via principale, facendo riferimento all�offerta economica 
presentata in sede di gara (66). 

La condanna al risarcimento del danno non richiede la prova della colpa 
dell�amministrazione. L�art. 124 c.p.a., in linea con la giurisprudenza europea 
(67), ha, difatti, introdotto un�ipotesi di responsabilit� oggettiva a carico 
della stazione appaltante (68). Le garanzie di trasparenza e di non discriminazione 
operanti in materia di aggiudicazione dei pubblici appalti fanno s� 
che una qualsiasi violazione degli obblighi di matrice sovranazionale consenta 
all�impresa pregiudicata di ottenere un risarcimento dei danni, a prescindere 
da un accertamento in ordine alla colpevolezza dell�ente 
aggiudicatore e, dunque, dall�imputabilit� soggettiva della lamentata violazione, 
rispondendo il rimedio risarcitorio al principio di effettivit� della tutela 
previsto dalla normativa comunitaria (69). 

Il comma 2 dell�art. 124 c.p.a. prevede che la condotta processuale della 
parte che, senza giustificato motivo, non abbia proposto domanda di conseguire 
l�aggiudicazione o non si sia resa disponibile a subentrare nel contratto, 
� valutata dal giudice ai sensi dell�art. 1227 c.c. 

La norma, confermando l�ottica sanzionatoria che sostiene tutto l�impianto 
risarcitorio e delle misure di cui all�art. 123 c.p.a. costruito dal codice 
di rito, non esclude la risarcibilit� del danno per il caso della mancata proposizione 
delle domande di conseguimento o subentro nel contratto, limitandosi, 
di contro, a valutare (negativamente) la mala fede di chi, non mostrando un 
reale interesse ad ottenere l�aggiudicazione del contratto, si prefiguri di bloccare 
l�azione amministrativa, avendo sin dall�inizio, come unico fine, quello 
di ottenere un risarcimento monetario (70). 

(66) Cons. St., sez. III, 25 giugno 2013, n. 3437, in Foro amm. CdS, 2013, 6, 1561; id., sez. V, 7 
giugno 2013, n. 3135, ivi, 1649; id., sez. III, 14 dicembre 2012, n. 6444, ivi, 2012, 12, 3198; id., sez. V, 
5 luglio 2012, n. 3940, ivi, 7-8, 1965; id., sez. III, 12 maggio 2011, n. 2850, ivi, 2011, 5, 1485; id., sez. 
VI, 9 dicembre 2010, n. 8646, ivi, 2010, 12, 2732; T.A.R. Lazio, Roma, sez. I, 9 gennaio 2014, n. 255, 
in Foro amm. TAR, 2014, 1, 271. 
(67) Il riferimento �, in particolare, a Corte giust. UE, sez. III, 30 settembre 2010, n. 314, in 
Europa e dir. priv., 2011, 1, 313, con nota di GUFFANTI PESENTI, secondo cui la vigente normativa europea 
che regola le procedure di ricorso in materia di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, di forniture 
e di servizi non consente ad una normativa nazionale di subordinare il diritto ad ottenere un risarcimento, 
a motivo di una violazione della disciplina sugli appalti pubblici da parte di un�amministrazione aggiudicatrice, 
al carattere colpevole di tale violazione. 
(68) Cfr., ex plurimis, Cons. St., sez. V, 14 ottobre 2014, n. 5115, in www.giustizia-amministrativa.it; 
id., 10 settembre 2014, n. 4586, ibidem; id., sez. VI, 14 luglio 2014, n. 3611, in Foro amm. CdS, 2014, 
7-8, 2028; id., sez. V, 8 aprile 2014, n. 1672, in www.giustizia-amministrativa.it; T.A.R. Sicilia, Palermo, 
sez. III, 3 marzo 2015, n. 590, ibidem; id., 16 gennaio 2015, n. 119, ibidem; T.A.R. Lazio, Roma, sez. 
II, 11 settembre 2013, n. 8208, in Foro amm. TAR, 2013, 9, 2758. 
(69) Cfr., tra le tante, Cons. St., sez. III, 10 aprile 2015, n. 1839, in www.giustizia-amministrativa.it; 
id., sez. V, 31 dicembre 2014, n. 6450, ibidem; id., 21 giugno 2013, n. 3397, in Riv. giur. ed., 2013, 5, I, 
881; T.A.R. Veneto, sez. I, 28 aprile 2015, n. 451, ibidem; T.A.R. Liguria, sez. I, 17 marzo 2015, n. 292, 
in Foro amm. TAR, 2015, 3, 884. 



Tale disposizione, pur non presupponendo la sussistenza di una pregiudizialit� 
di rito, dimostra l�intento del legislatore di apprezzare, sul versante 
sostanziale, la rilevanza eziologica dell�omessa impugnazione come fatto valutabile 
al fine di escludere la risarcibilit� dei danni, che, secondo un giudizio 
causale di tipo ipotetico, sarebbero stati presumibilmente evitati in caso di 
tempestiva reazione processuale nei confronti del provvedimento potenzialmente 
dannoso (71). Peraltro, l�ipotetica incidenza eziologica non � propria 
soltanto della mancata impugnazione del provvedimento dannoso, ma riguarda 
anche l�omessa attivazione di altri rimedi potenzialmente idonei ad evitare il 
danno, quali i ricorsi amministrativi e gli atti di iniziativa finalizzati alla stimolazione 
dell�autotutela amministrativa (c.d. invito all�autotutela). 

(70) Cfr., sul punto, DE NICTOLIS, Il recepimento della direttiva ricorsi, cit.; POLITI, op. cit. 

(71) In questo senso si vedano Cons. St., ad. plen., 23 marzo 2011, n. 3, in D&G - Dir. e Giust. 
online, 2011, 12 aprile; id., sez. VI, 29 gennaio 2015, n. 407, in Foro amm. CdS, 2015, 1, 119; id., 8 
agosto 2014, n. 4225, ivi, 2014, 7-8, 2030; id., sez. V, 10 luglio 2012, n. 4067, ivi, 2012, 7-8, 1970; id., 
sez. VI, 27 marzo 2012, n. 1800, ivi, 3, 708; id., sez. III, 18 luglio 2011, n. 4355, in Guida al dir., 2011, 
dossier n. 9, 43, con nota di ZANETTINI; T.A.R. Sicilia, Catania, sez. IV, 16 dicembre 2010, n. 4735, in 
Foro amm. TAR, 2010, 12, 4075. 


RECENSIONI 
ALFONSO MEZZOTERO (*) -DAVID ROMEI (**), Il patrocinio dellePubbliche Amministrazioni. La Difesa innanzi alle Giurisdizioni 
Ordinarie e Speciali. 

(CSA EDITRICE, 2016, PP. 348) 

Negli ultimi anni, per far fronte alle pi� svariate esigenze - dalla semplificazione 
dei riti, alla razionalizzazione della spesa pubblica - il legislatore ha 
intrapreso un�opera di profonda destrutturazione e trasformazione della pubblica 
amministrazione, s� da renderne i complessi schemi organizzativi pi� 
snelli ed efficienti, al fine di ridurre il livello di �iper-burocratizzazione� del-
l�ordinamento italiano. 

Questo processo di �destrutturazione� e semplificazione dell�apparato 
burocratico nazionale, oltre che sul piano sostanziale, non poteva non incidere 
anche sotto un altro profilo: ovvero quello della rappresentanza e difesa in 
giudizio dello Stato e degli altri enti pubblici comunque sottoposti alla vigilanza 
dello Stato. 

(*) Avvocato dello Stato, gi� Procuratore dello Stato, presso l�Avvocatura distrettuale di Catanzaro. � 
stato consulente giuridico del Commissario delegato per il superamento della situazione di emergenza 
nel settore dei rifiuti urbani nel territorio della Regione Calabria; componente del Comitato di consulenza 
giuridica della Giunta Regionale della Calabria; docente di diritto amministrativo e diritto processuale 
amministrativo presso la Scuola di Specializzazione per le professioni legali dell�Universit� degli Studi 
Magna Graecia di Catanzaro. � autore di numerose pubblicazioni in materia di diritto amministrativo 
e degli appalti pubblici. 

(**) Avvocato, attualmente consulente giuridico di diritto amministrativo e diritto degli appalti pubblici 
per Siram S.p.A., nota multinazionale operante nel settore dei servizi energetici e del facility management. 
Si occupa prevalentemente di contenzioso in materia di diritto amministrativo, con particolare riguardo 
ai settori degli appalti pubblici e degli enti locali. Nell�ottobre 2013 ha conseguito il Master di 
II livello in Diritto amministrativo e Scienze dell�Amministrazione presso l�Universit� degli Studi Roma 
Tre. � autore di numerosi articoli e contributi in opere collettanee su diverse tematiche di diritto amministrativo, 
degli appalti pubblici e degli enti locali. 


Nel quadro di tali epocali cambiamenti deve, tuttavia, volgersi lo sguardo 
indietro, cercando di riflettere sulle ragioni storiche che, pi� di un secolo or-
sono, hanno dato vita a quello che ben pu� definirsi come lo statuto processuale 
della Pubblica Amministrazione. Non � un caso, infatti, che il patrocinio 
delle Amministrazioni dello Stato e degli Enti pubblici in genere sia connotato 
da significativi elementi di differenziazione rispetto a quello ordinario delle 
persone fisiche o giuridiche, che, a monte, si appuntano nella precostituzione 
ex lege del loro Difensore istituzionale (l�Avvocatura dello Stato). 

Queste differenze, introdotte in un�epoca in cui, in ossequio al c.d. privilegium 
fisci, il legislatore riservava all�Autorit� pubblica un�indubbia prevalenza 
rispetto ai privati, permangono ancor oggi, nonostante sia ormai 
venuto meno il principio della primazia dello Stato sui diritti e gli interessi 
dei cittadini. 

Mutata rispetto alle origini �, tuttavia, la ratio ispiratrice di questa diversit�: 
non pi� la volont� di accordare un anacronistico privilegio per l�Autorit�, 
ma consentire una valutazione unitaria dell�interesse pubblico che muove e 
condiziona l�agere della P.A. unitamente ad un�interpretazione unitaria degli 
istituti giuridici tramite i quali questa tipicamente agisce. Muovendo da questo 
angolo prospettico, apparir� chiara al lettore la indeclinabile centralit� del 
ruolo di guida delle Amministrazioni (non solo sul versante strettamente processuale) 
che l�ordinamento attribuisce al loro Difensore istituzionale. 

Su queste direttrici, l�Opera si propone di collegare, in una visione unitaria, 
l�analisi della specialit� dello statuto processuale delle Amministrazioni 
statali alla specialit� del loro Difensore istituzionale, illustrandone le diverse 
funzioni attribuitegli nel vigente ordinamento. 

Saranno, in particolare, scrutinate le peculiarit� dei giudizi, celebrati tanto 
innanzi alle giurisdizioni ordinarie che a quelle speciali, in cui sia parte 
un�Amministrazione erariale, ovvero un soggetto pubblico rappresentato e difeso 
ex lege dall�Avvocatura dello Stato. 

In questo ambito, saranno esaminate le pi� significative vicende che, dal 
punto di vista sostanziale e da quello processuale, determinano una deroga ai 
principi generali del processo in ossequio al c.d. privilegium fisci, rivisitato in 
chiave moderna. 

Nel far ci� si rivolger�, anzitutto, l�attenzione alle diverse tipologie di patrocinio 
erariale ed al loro ambito applicativo, esaminandosi, in particolare, i 
nodi problematici del patrocinio dell�Avvocatura dello Stato rispetto ad alcune 
peculiari categorie di soggetti pubblici (ad. es. le Universit� o le Autorit� portuali) 
ovvero in peculiari tipologie di giudizi (ad es. i giudizi lavoristici ovvero 
quelli di incandidabilit�). 

A questa rigorosa analisi di ordine sostanziale far� seguito l�esegesi delle 
speciali norme processuali dettate per le Amministrazioni erariali in tema di notificazione 
degli atti giudiziali e stragiudiziali, individuazione dell�Autorit� giu



RECENSIONI 279 

diziaria competente all�esame delle controversie nonch� successione tra enti 
pubblici e le relative ricadute sul versante processuale che tale evento determina. 

Nell�esposizione non ci si limiter� a dar conto delle modifiche alle regole 
processuali nei soli giudizi celebrati innanzi all�Autorit� giudiziaria ordinaria, 
ma, in considerazione della visione multidisciplinare che ispira l�Opera, si approfondiranno 
anche le deroghe processuali relative ai giudizi celebrati innanzi 
alle Autorit� giudiziarie speciali (Tribunali Amministrativi Regionali, Corte 
dei Conti e Commissioni tributarie) oltre che nello speciale rito celebrato innanzi 
alla Corte costituzionale. 

Lungi dal costituire una elaborazione meramente accademica, l�Opera si 
prefigge di fornire a tutti gli operatori del diritto (magistrati, avvocati, avvocati 
e procuratori dello Stato, dirigenti pubblici) un�indispensabile bussola per risolvere 
tutte le pi� complesse problematiche applicative che quotidianamente 
si trovano costretti ad affrontare quando parte del giudizio sia un�Amministrazione 
statale o un ente a patrocinio erariale. Per rispondere a quest�esigenza 
l�Opera � arricchita di un amplissimo corredo giurisprudenziale (in larga parte 
inedito) tramite il quale si dar� conto dei pi� disparati orientamenti assunti 
dalla giurisprudenza (di merito e di legittimit�) relativamente a pressoch� tutti 
gli aspetti problematici analizzati. 

Maggio 2016. 

Gli Autori 

PREFAZIONE 
Luigi Maruotti (*) 


L�Avvocatura dello Stato, pur non avendo una �copertura costituzionale�, 
ha un indiscusso ruolo centrale nella attuale architettura istituzionale. 

Oltre a difendere innanzi alle varie giurisdizioni (anche internazionali) le 
Amministrazioni statali e le altre Amministrazioni individuate dalla legge, l�Avvocatura 
dello Stato svolge altre importanti funzioni, tra le quali quella di consulenza 
e quella di amicus curiae, nei giudizi innanzi alla Corte Costituzionale. 

Per qualsiasi operatore del diritto, � essenziale la conoscenza di tali funzioni, 
cos� come � essenziale la conoscenza delle regole processuali sulla difesa 
dello Stato, in tema di competenza dei giudici, di formalit� riguardanti le 
notifiche, ecc. 

Eppure, nell�attuale panorama dottrinario, non vi sono testi approfonditi e 
completi, che diano conto delle molteplici competenze della Avvocatura dello 

(*) Presidente di Sezione del Consiglio di Stato. 


Stato, di come vadano impostati i giudizi che si intendano intentare nei confronti 
delle Amministrazioni statali, di quali siano le specifiche regole processuali, di 
quali siano le esigenze sostanziali tenute in considerazione dal legislatore. 

Nei Manuali, di solito vi � un fugace richiamo alle complesse funzioni 
della Avvocatura dello Stato e alla sua articolata struttura organizzativa. 

Il testo di Alfonso Mezzotero e di David Romei, su �Il patrocinio delle 
Pubbliche Amministrazioni�, � invece un testo completo e aggiornato, nel 
quale vi � la ricostruzione di un sistema organico ed unitario. 

Sulla base di una accurata ricostruzione anche dei precedenti storici, il 
testo si caratterizza per la esaustiva esposizione degli istituti rilevanti e per i 
suoi continui approfondimenti, che tengono per� sempre conto delle esigenze 
pratiche degli operatori e dell�esigenza di orientare il lettore anche nella individuazione 
delle soluzioni giurisprudenziali sulle questioni controverse. 

Il testo risulta un ausilio indispensabile non solo per coloro che vogliano 
conoscere la normativa e le prassi riguardanti l�Avvocatura dello Stato, ma 
anche per coloro che vogliano meglio conoscere tutte le Istituzioni dello Stato, 
che necessariamente si pongono in rapporto anche con l�Avvocatura dello 
Stato. 

Si tratta di un ottimo lavoro, al quale auguro ogni successo, non solo per 
l�affetto che mi lega agli Autori, ma anche perch� si pone come un preziosissimo 
ausilio di conoscenza delle Istituzioni. 


RECENSIONI 281 

FABIO FASANI (*), Terrorismo islamico e diritto penale. 

PUBBLICAZIONI DELLA UNIVERSIT� DI PAVIA 
FACOLT� DI GIURISPRUDENZA, STUDI NELLE SCIENZE GIURIDICHE E SOCIALI 
(CEDAM, 2016, PP. I-XII,491) 


INTRODUZIONE 

�E cos� questa � la mia ultima parola 

Crivellato di colpi 

Battezzato nel sangue 

Come avevo sperato� 

[Dal messaggio di addio ritrovato nelle tasche 
di Mohammed Bouyeri, assassino del regista 
olandese Theo van Gogh (1) ] 

Nei Paesi occidentali, fino all�11 settembre 2001, il terrorismo di matrice 
islamica veniva scrutato come un fenomeno lontano spazialmente e culturalmente, 
che non spaventava pi� di tanto, dal momento che pareva affliggere 
esclusivamente altri popoli e altri Paesi (2). Persino i mezzi d�informazione 
si dimostravano pigramente disinteressati al nascente fondamentalismo islamico 
militante e con essi - ovviamente - l�opinione pubblica, che non aveva 
ancora elementi sufficienti per capire, nemmeno in maniera vaga, le dinamiche 
geopolitiche in mutazione (3). Prima di quella data la stessa figura di Osama 
bin Laden era sostanzialmente ignota presso la popolazione italiana e l�analisi 
della situazione mediorientale e del nascente fenomeno jihadista era confinata 
agli studi di pochi Autori e di poche riviste di settore (4). 

(*) Ricercatore di diritto penale, Universit� degli Studi di Pavia. 

(1) Mohammed Bouyeri credeva evidentemente che sarebbe stato freddato dalla polizia, divenendo 
cos� un martire. In realt�, il terrorista venne arrestato, processato e sconta ora una condanna a vita nel 
carcere olandese di Nieuw Vosseveld. 
(2) Si legga, al proposito, l�analisi ex post del sociologo Renzo Guolo che osserva: �Le macerie 
delle Twin Towers hanno mandato in soffitta l�illusione che un mondo �connesso�, attraverso la sua 
compressione spazio-temporale, potesse tenere fuori dal suo centro motore conflitti pensati fino a quel 
momento come esterni� (R. GUOLO, L�islam � compatibile con la democrazia?, Roma-Bari, 2004, p. 7). 
(3) Il complesso rapporto fra potere politico, mass-media e opinione pubblica rester� sullo sfondo 
nel prosieguo della ricerca, ma non potr� non affiorare talvolta, risultando indispensabile alla comprensione 
di taluni fenomeni socio-politici essenziali. Per un primo approfondimento sul tema si possono 
leggere A. BARATTA, Problemi sociali e percezione della criminalit�, in Dei delitti e delle pene, 1983, 
p. 15 ss.; T. MATHIESEN, Contemporary Penal Policy. A Study in Moral Panics, in U. BONDESON (ed.) 
Crime and Justice in Scandinavia, Copenhagen, 2005, p. 445 ss.; M. QUIRICO, Capro espiatorio, politiche 
penali, egemonia, in Dei delitti e delle pene, 1993, p. 115 ss.; A. DINO, I media e i nemici della democrazia, 
Quest. giust., 2006, p. 824 ss.; C.E. PALIERO, La maschera e il volto (percezione sociale del crimine 
ed "effetti penali" dei media), in Riv it. dir. proc. pen., 2006, p. 467 ss. 
(4) Fra gli scritti, piuttosto scarsi, che prima del settembre 2001 sono apparsi in Italia, investendo 
il tema della nascita e della diffusione del fondamentalismo islamico e del connesso terrorismo jihadista, 
possono essere citati B. ETIENNE, L'islamismo radicale, Milano, 1988; Y.M. CHOUEIRI, Il fondamentali



Eppure a quei tempi, la �guerra globale� era gi� stata dichiarata ed intrapresa 
da parte di al-Qaeda (5) - �fondata� nel 1988 (6) -, Osama bin Laden 
aveva gi� sollevato la ummah al jihad (7) e numerosi attentati terroristici erano 
gi� stati realizzati con successo da parte di gruppi di matrice islamico-radicale 
(8). Fra questi, i pi� eclatanti erano sicuramente stati l�attentato del 7 agosto 
1998 che colp� simultaneamente le ambasciate statunitensi in Kenya e Tanzania, 
provocando complessivamente 257 morti ed oltre 5000 feriti (9) e l�attentato 
suicida, datato 12 ottobre 2000, alla nave USS Cole ancorata presso 
Aden nello Yemen, nel quale rimasero uccisi 17 marinai americani (10). 

Il punto � che questi fatti sanguinosi avevano una caratteristica comune: 
erano stati realizzati in terre lontane, afflitte da guerre, scontri etnici e guerriglie; 
terre da cui le notizie di morti e di bombe giungevano con costanza tale 
da far perdere, agli occhi degli occidentali, le tracce degli scopi degli attori. 
Questa importante limitazione geografica aveva subito fino al 2001 solo rare 
eccezioni, connotate peraltro da un clima geo-politico assai diverso e da una 
minore �colorazione religiosa� nella percezione collettiva. Si ricordino, ad 
esempio, gli attentati realizzati in Francia negli anni Ottanta (11) e Novanta 

(12) e quelli realizzati negli Stati Uniti sempre negli anni Novanta (13). 

smo islamico, Bologna, 1993; G. KEPEL, Jihad. Ascesa e declino, Roma, 2001. Si vedano anche, fra i 
contributi di taglio maggiormente giornalistico, M. ALLAM, I fanatici di Allah stanno gi� conquistando 
l�Egitto, in liMes, 1994, II, p. 127 ss.; S. PERES, Il mio sogno: Israele come Rialto, il ponte degli affari, 
in liMes, 1995, IV, p. 29 ss.; I. MAN, Il risveglio islamico e le sue conseguenze, in Gnosis, 2000, n. 18; 

V. BELOKRENICKIJ, Il �triangolo islamico�, in liMes, 1998, IV, p. 221 ss. 

(5) La nascita e lo sviluppo di al-Qaeda verranno analizzati con maggiore attenzione infra all�interno 
del Capitolo I, al quale si rinvia. Per un inquadramento generale, comunque, si veda subito L. 
WRIGHT, Le altissime torri. Come al-Qaeda giunse all�11 settembre, Milano, 2007, passim. 
(6) Cfr. D. COOK, Storia del jihad, Torino, 2007, p. 198. 


(7) Risale al 23 febbraio 1998 il primo richiamo al �jihad contro gli ebrei ed i crociati�, lanciato 
dal sedicente Fronte Islamico Mondiale e firmato da cinque militanti, fra i quali spiccano i nomi di 
Ayman al-Zawahiri e dello stesso Osama bin Laden. Cfr. Jihad Against Jews and Crusades. World Islamic 
Front Statement, all�indirizzo web http://www.fas.org/irp/world/para/docs/980223-fatwa.htm. All�indirizzo 
web http://www.library.cornell.edu/colldev/mideast/fatw2.htm si trova la versione originale 
in arabo, apparsa sul quotidiano londinese al-Quds al-Arabi il 23 febbraio 1998 a p. 3. 
(8) Per una ricostruzione storica degli eventi si veda anche AR. SPATARO, Le forme attuali di manifestazione 
del terrorismo nella esperienza giudiziaria: implicazioni etniche, religiose e tutela dei diritti 
umani, in C. DE MAGLIE - S. SEMINARA (a cura di), Terrorismo internazionale e diritto penale, Padova, 
2007, p. 163 ss. 
(9) Cfr. L. WRIGHT, Le altissime torri, cit., p. 330 ss. e anche M.S. HAMM, Terrorism as crime. 
From the Order to Al-Qaeda and Beyond, New York, 2007, p. 51 ss. 
(10) Cfr. L. WRIGHT, Le altissime torri, cit., p. 387 ss. 


(11) Tra il 1985 e il 1986 diverse bombe vennero fatte esplodere a Parigi dal sedicente �Comitato 
di solidariet� con i prigionieri politici arabi e medio-orientali�. 
(12) Il riferimento va agli attentati di matrice algerina che insanguinarono la Francia negli anni 1994 
e 1995, motivati dal supporto fornito da quel Paese al governo di Algeri durante la coeva guerra civile. 
(13) Si pensi, ad esempio, al primo attacco dinamitardo al World Trade Center, realizzato il 26 
febbraio 1993, che provoc� 6 morti ed oltre 1000 feriti. Sul punto, L. WRIGHT, Le altissime torri, cit., p. 
220 ss. 



RECENSIONI 283 

Parallelamente, la convinzione che il terrorismo religioso fosse una realt� 
�esotica�, che non poteva in alcun modo riguardare la vita dei Paesi democratici 
occidentali, lasci� sullo sfondo, anche a livello politico, la disamina dei 
complessi meccanismi sociali, culturali e geopolitici che andavano esprimendosi 
in radicalismi particolarmente pericolosi e sanguinosi. 

Eppure, alcune cellule della rete transnazionale del terrore, gi� dai primi 
anni Novanta, erano dislocate sul territorio nazionale e svolgevano diverse attivit� 
di supporto ai gruppi che all�estero - specie in Medio Oriente - con tenacia 
propugnavano e mettevano in pratica il jihad, realizzando attentati 
terroristici ed ingaggiando vere e proprie forme di guerriglia con governi considerati 
empi e meritevoli di essere sovvertiti. 

Queste cellule vennero indagate dalla magistratura inquirente e dalle forze 
di polizia, ma tali indagini furono rivolte contro i singoli sodalizi criminosi, 
composti spesso da pochi individui, e presero di mira esclusivamente i reati-
mezzo di criminalit� comune che venivano compiuti in Italia (14). 

In altri termini, si combatteva la realizzazione di reati-mezzo, ma non si 
considerava il �disegno comune� del terrorismo e non se ne riusciva ad ipotizzare 
la componente consociativa. 

Ci� derivava principalmente dalla circostanza che, fino all�entrata in vigore 
del D.L. 18 ottobre 2001, n. 374 (convertito con legge 15 dicembre 2001, 

n. 438) e quindi alla novella dell�art. 270-bis c.p. (15), l�associazione con finalit� 
di terrorismo e di eversione dell�ordine democratico era punita, all�interno 
del nostro ordinamento, esclusivamente quando gli atti di violenza erano 
diretti all�eversione dell�ordine democratico dello Stato italiano, essendo tutelato 
il bene giuridico dell�ordinamento costituzionale italiano. A ci� seguiva 
l�impossibilit� di perseguire, almeno in relazione alla pi� grave ipotesi di cui 
all�art. 270-bis c.p., sodalizi che si proponessero il compimento di atti terroristici 
all�estero e che in Italia svolgessero, in ipotesi, esclusivamente attivit� 
preparatoria o logistica (16). 

Queste circostanze impedirono altres� che l�attenzione dei penalisti si con


(14) Per alcune precisazioni sul punto e per un quadro sulle sentenze che, in assenza della normativa 
ad hoc introdotta nel 2001, giudicarono le cellule fondamentaliste presenti in Italia per i soli reati-
scopo di criminalit� comune si veda AR. SPATARO (a cura di), Dati sulle sentenze di condanna pronunciate 
in Italia, successivamente all�11 settembre 2001, per i reati di terrorismo internazionale o per i reati 
collegati al terrorismo internazionale, in R.E. KOSTORIS - R. ORLANDI (a cura di), Contrasto al terrorismo 
interno ed internazionale, Torino, 2006, p. 454 ss. I dati sono aggiornati al 15 ottobre 2006. Per un aggiornamento 
al 23 luglio 2007 si veda una nuova versione, inedita, predisposta dal curatore nell�ambito 
del progetto �Terrorism and Security: Coordination and Cooperation�, presso la New York University, 
Center on Law and Security, School of Law. 
(15) Vd. infra, Cap. III. 


(16) Cfr. Cass. pen., Sez. VI, sent. n. 737 del 24 febbraio 1999, Abdaoui e altri, in Dir. pen. proc., 
2000, p. 485, con nota di A. PECCIOLI, Associazione a base italiana con finalit� eversiva di un ordinamento 
straniero. Vd. anche P.L. VIGNA, La finalit� di terrorismo ed eversione, Milano, 1981, p. 38 ss. 



centrasse sull�applicabilit� ai gruppi islamici fondamentalisti - pur gi� presenti 
sul territorio nazionale - della disciplina dell�associazione terroristica e sui 
problemi gravissimi che, da pi� punti di vista, questa operazione pone. 

Le cose cambiarono radicalmente, da ogni punto di vista, con l�attentato 
alle Twin Towers prima e con gli attentati di Madrid e di Londra poi (17). Del 
fatto che spesso solo eventi tragici e clamorosi come quelli riescano a sollevare 
l�opinione pubblica e a sensibilizzare il potere politico � sempre stato ben conscio 
lo stesso Osama bin Laden, il quale, intervistato il 20 ottobre 2001 dal 
capo dell�ufficio di Kabul della televisione satellitare al-Jazira Taysir Alluni 
sui fatti del mese precedente (18), osservava: �Di fronte ai recenti attacchi, 
viste anche le conseguenze che questi hanno portato, Bush e Blair hanno reagito 
con prontezza, dicendo che ora � tempo di creare una nazione indipendente 
in Palestina. Incredibile! Possibile che non ci sia stato un momento pi� 
opportuno negli ultimi dieci anni per affrontare questa questione, se non dopo 
quegli attacchi? Evidentemente non rinsaviscono se non con il linguaggio 
della violenza e della morte� (19). 

A partire da questo momento, infatti, l�attenzione dell�opinione pubblica italiana 
venne prima monopolizzata e poi comunque fortemente attratta dal fenomeno 
neoterroristico, che resta ancora oggi un motivo di forte interesse e timore 
collettivo. Timore legato soprattutto all�eventualit� che anche sul territorio italiano 
possano essere realizzati attentati terroristici analoghi a quelli citati in precedenza 
ed a quelli ancora pi� recentemente eseguiti a Parigi nel corso del 2015. 

N� la morte di Osama bin Laden nel 2011 e le successive mutazioni del 
network jihadista globale hanno in alcun modo fatto scemare le preoccupazioni 
dell�Occidente. L�attenzione, anzi, si rivolge ora con terrore al nuovo fenomeno 
dell�ISIS, che del terrorismo islamico appare sinora l�estrinsecazione 
pi� temibile. 

Il problema del terrorismo internazionale di matrice islamica, gi� ovviamente 
intravisto dagli addetti ai lavori, si inser� quindi in primo piano nel-
l�agenda politica degli Stati occidentali e venne alla ribalta (anche) da un punto 
di vista strettamente penalistico solo a partire dal 2001, allorquando vari Paesi, 
fra cui l�Italia, iniziarono a dotarsi di una normativa penale e amministrativa 
ad hoc. Tale esplosione del fenomeno terroristico e la sua preoccupante manifestazione 
anche nei Paesi occidentali ha costretto questi ultimi a enormi 
sforzi politici e sociali, tesi a ridurre il rischio di immani tragedie. 

(17) Il concetto � ben espresso da R. BETTINI, Delenda America. L�escalation del terrorismo internazionale 
islamista e la giustizia, in Iustitia, 2002, p. 144: �L�allucinante, truce attentato terroristico 
di gruppi islamici dell�11 settembre 2001, ed i commenti grotteschi dei relativi fomentatori, hanno dato 
agli occidentali brividi da Apocalisse imminente�. 
(18) Il testo integrale dell�intervista, tradotta in italiano, � ora riportato in B. LAWRENCE, Messaggi 
al mondo, Roma, 2007, p. 177 ss. 


(19) B. LAWRENCE, Messaggi, cit., p. 185 s. 


RECENSIONI 285 

Ripercorrendo la tradizionale partizione dei poteri statuali, � possibile osservare 
come tutti e tre i poteri abbiano finito per costituire un corpo unitario 
contro la minaccia terroristica e abbiano, nel bene e nel male, adoperato tutte 
le proprie forze per respingere tale pericolo. 

Mi pare, tuttavia, che non tutti gli aspetti di questa battaglia siano stati 
chiariti dalla letteratura, la quale ha sviscerato, spesso in senso fortemente critico, 
l�operato dei legislatori e dei governi, senza quasi mai concentrarsi sul 
ruolo fondamentale che la giurisprudenza ha in questa partita. 

Quanto ai poteri legislativo ed esecutivo, infatti, appartiene ormai alla tradizione 
penalistica e processual-penalistica di questi ultimi anni il dibattito attorno 
al tema del cd. diritto penale del nemico e delle logiche d�autore nel 
contrasto al terrorismo islamico. La questione, sulla quale torner� approfonditamente 
(20), fornisce la cifra della politica criminale adottata contro il terrorismo 
e concerne segnatamente i limiti che tali due poteri devono darsi nel contrasto 
allo jihadismo militante, con riferimento al necessario bilanciamento di interessi 
fra la tutela della pubblica incolumit� e la protezione dei diritti fondamentali dei 
singoli individui coinvolti (presunti terroristi o terzi estranei che siano) (21). 

Tanta attenzione non � invece stata prestata alla lotta che contestualmente 
stanno compiendo le magistrature, chiamate ad applicare le vecchie categorie 
normative al fine di debellare un fenomeno criminale nuovo e sconosciuto 
nelle sue linee strutturali. Le difficolt� interpretative sembrano essersi concentrate, 
a livello giudiziario, attorno a due temi: uno abbondantemente sviscerato 
dalla dottrina e dalla giurisprudenza; uno sostanzialmente negletto o 
comunque decisamente sottovalutato. 

Il primo tema � sicuramente quello della nozione di terrorismo. Su tale 
profilo, pur interessantissimo, si sono gi� diffusamente intrattenuti gli Autori 
e gli operatori del diritto, tanto da lasciar credere che, anche alla luce dell�introduzione 
dell�art. 270-sexies c.p., esso abbia progressivamente acquisito sufficiente 
stabilit� e meriti di essere solo accennato nel prosieguo (22). 

Il secondo tema, invece, � quello concernente la sussumibilit� del nuovo 
terrorismo entro le vecchie fattispecie e le vecchie categorie dogmatiche. Sul 
punto, sono davvero scarsi gli studi che, partendo dalle profonde peculiarit� 
strutturali delle reti cellulari jihadiste e scendendo sul terreno del diritto penale 
in action, si propongano, da un lato, di saggiare i limiti della compatibilit� di 
tali strutture rispetto al reato associativo e alle altre fattispecie (direttamente 

o indirettamente) antiterroristiche e, dall�altro lato, di valutare l�eventuale necessit� 
di adottare differenti tecniche di controllo della criminalit�. 

(20) Infra, Cap. II. 

(21) In generale, cfr. R. BARTOLI, Lotta al terrorismo internazionale. Tra diritto penale del nemico, 
jus in bello del criminale e annientamento del nemico assoluto, Torino, 2008, passim. 

(22) Infra, Cap. III, � 3. 


Su tali complesse fondamenta si innesta la presente ricerca che si propone 
di rispondere a una domanda cruciale: che fisionomia deve assumere lo strumento 
penale rispetto al terrorismo islamico per garantire, allo stesso tempo, 
la sicurezza dei cittadini e i loro diritti fondamentali? 

Si tratta di una questione apparentemente semplice, che nasconde peraltro 
infinte insidie e che presuppone la soluzione di una serie di successive problematiche 
intermedie, che il presente lavoro si propone di passare in rassegna. 

Anzitutto, non pu� procedersi ad alcuna valutazione di natura giuridica 
senza la preventiva analisi del complesso fenomeno socio-criminale in indagine. 
Occorre, in altri termini, sgombrare il campo dai luoghi comuni e dalle 
semplificazioni massmediatiche, per dedicarsi a un approfondimento delle dinamiche 
dello jihadismo militante. Il primo capitolo prende cos� le mosse da 
una sintetica analisi storico-sociologica della religione islamica e delle sue ricorrenti 
estrinsecazioni in fenomeni violenti di natura jihadista. In seguito la 
ricerca entra nel merito e fornisce un compiuto inquadramento del fenomeno 
terroristico di matrice islamico-radicale, ricostruito attraverso l�ausilio di copiose 
fonti giuridiche ed extragiuridiche di provenienza italiana, ma soprattutto 
internazionale (relazioni di polizia, fonti di intelligence e giornalistiche, materiali 
sequestrati, relazioni delle commissioni governative, informazioni riferite 
da pentiti ed infiltrati ecc.). Del fenomeno in discussione vengono 
indagati tutti i livelli, dal presunto livello macroscopico della rete globale fino 
al livello atomistico del singolo terrorista. In questa sede, sono analizzate le 
diverse estrinsecazioni dell�islamismo violento, dall�ormai longeva �nebulosa� 
di Al-Qaeda sino all�attuale e �materialissima� struttura para-statuale del cd. 
Stato Islamico. 

Il successivo passaggio consiste nel valutare l�approccio politico-criminale 
che si intende tenere contro un fenomeno criminale tanto pericoloso, dal momento 
che le concrete scelte legislative non possono che dipendere da questa 
preventiva presa di posizione. A tal proposito, nel secondo capitolo, formulate 
talune premesse di natura storico-filosofica, viene ripreso un confronto, frequente 
in letteratura, tra i due opposti modelli culturali e politico-criminali che 
si sono affermati nei Paesi occidentali in risposta al terrorismo islamico. In 
prima battuta viene analizzato il modello statunitense, scelto a livello comparatistico 
proprio per la sua tendenza estrema ad esasperare le logiche di contrasto 
all��autore terrorista�, anche a discapito della tutela dei diritti individuali, secondo 
un approccio che � stato efficacemente descritto quale diritto penale del 
nemico. Di tale impostazione viene anche sottolineata la tendenza a rifuggire 
dallo strumento penale, in favore di opzioni di natura pseudo-amministrativa, 
pi� �snelle� e molto meno garantiste. Scartato tale modello, perch� ritenuto illegittimo, 
viene posto al centro del discorso, in seconda battuta, il modello europeo 
continentale, il quale prevede l�impiego di altri meno invasivi strumenti 
di lotta, senz�altro pi� rispettosi delle garanzie individuali. 


RECENSIONI 287 

Il favore verso l�approccio europeo, teso a perseguire il terrorismo attraverso 
l�ordinario sfruttamento del diritto penale, risolve una prima alternativa 
e porta cos� alla necessit� di confrontarsi con le fattispecie delittuose attualmente 
utilizzate nella repressione del terrorismo stesso. In tale ottica, emerge 
il precipuo interesse per il reato associativo, dal momento che il delitto di associazione 
terroristica ex art. 270-bis c.p. rappresenta lo strumento adoperato 
in via quasi esclusiva dalla giurisprudenza italiana ed europea nel contrasto 
dello jihadismo violento. Per risolvere uno dei problemi principali di questa 
ricerca - ossia quello della compatibilit� delle strutture del terrorismo islamico 
con le categorie dogmatiche del reato associativo - viene fornita, nel terzo capitolo, 
un�accurata ricostruzione degli elementi costitutivi dell�art. 270-bis c.p. 
e delle disposizioni che concorrono ad integrarlo, seguendo le orme del tradizionale 
dibattito circa gli elementi organizzativo e teleologico dell�associazionismo 
criminoso. 

Il confronto fra la (de)strutturazione del terrorismo islamico, indagata nel 
primo capitolo, e le categorie del reato associativo, recuperate nel terzo, lasciano 
ipotizzare l�idea che queste ultime non siano idonee a �coprire� il fenomeno 
criminale in indagine, in ragione del profondo gap strutturale che separa 
il nuovo terrorismo da un diritto sorto su basi criminologiche del tutto difformi. 
Nel quarto capitolo, pertanto, attraverso l�analisi di sentenze di legittimit� e soprattutto 
di merito, molte delle quali inedite, si giunge alla dimostrazione della 
tesi appena indicata, secondo cui le (gi� descritte) categorie dogmatiche sono 
tendenzialmente incompatibili con le strutture cellulari del terrorismo transnazionale 
di matrice islamica, attualmente presenti in Occidente. 

Le difficolt� nel ricondurre le realt� cellulari del terrorismo islamico al 
reato associativo e le forzature che in tal senso vengono praticate spingono 
verso la ricerca di strumenti normativi differenti. In particolare, dal punto di 
vista del reato associativo, all�interno del quinto capitolo viene gettato un 
primo sguardo sull�ordinamento spagnolo, selezionato a livello comparatistico 
in ragione di alcuni elementi fondamentali: i) la tendenziale scelta politico-
criminale di mantenere, analogamente all�Italia, l�azione dello Stato entro l�alveo 
del diritto penale �del cittadino�, evitando le esasperazioni dell�approccio 
statunitense; ii) l�analoga base categoriale, dovuta alla comune influenza del-
l�impostazione teorica europeo-continentale su entrambi i sistemi penali; iii) 
le rilevanti novit� legislative, introdotte in Spagna nel 2010 e nel 2015, con le 
quali si � proceduto, espressamente per ragioni di tutela della sicurezza pubblica 
scaturenti dal fenomeno terroristico di matrice islamica, ad alcune importanti 
modifiche delle fattispecie antiterroristiche. In questo capitolo, in 
particolare, viene approfondito - come si diceva - il versante dei reati associativi, 
attraverso l�analisi, ante e post riforma del 2010, degli istituti della �asociaci�n 
ilicita�, della �organizaci�n terrorista� e del �grupo terrorista�. Un 
particolare approfondimento, in vista di successive osservazioni in tema di con



trollo della criminalit�, viene riservato proprio alla fattispecie associativa �minore� 
di grupo, nata espressamente nel 2010 per superare le tensioni che - in 
Spagna come in Italia - si avvertono nel tentativo di adattare alla rete cellulare 
del nuovo terrorismo le vecchie categorie dell�asociaci�n e dell�organizaci�n. 

Lasciate le �secche� del reato associativo, il sesto capitolo approfondisce 
il tema della possibile repressione del terrorismo internazionale di matrice islamica 
attraverso le fattispecie espressamente antiterroristiche, diverse dal reato 
associativo. A tal proposito vengono di nuovo comparati l�ordinamento italiano 
e quello spagnolo che, anche in questo caso, mostrano talune differenze a livello 
di sistema, pur nella comune impostazione di massima. Dell�ordinamento 
italiano, in particolare, sono prese in considerazione le fattispecie antiterroristiche 
non associative presenti nel codice e nelle leggi speciali e, fra queste, 
precipuamente le ipotesi di arruolamento e addestramento con finalit� di terrorismo 
(artt. 270-quater e 270-quinquies c.p.), recentemente novellate da 
un�importante riforma del 2015. Vengono quindi analizzate le due ragioni fondamentali 
della sostanziale disapplicazione dei delitti in parola: i) la natura 
onnivora dell�associazione terroristica, intesa nei termini sbiaditi, in precedenza 
evidenziati; ii) la complessa struttura tipologica delle menzionate fattispecie 
antiterroristiche, le quali, richiedendo il dolo specifico (talvolta 
addirittura duplice), richiamano la complessa definizione di cui all�art. 270sexies 
c.p. e cos� pretendono note di idoneit� rispetto alla realizzazione di gravissimi 
fatti di terrorismo. A questo scenario, viene contrapposta 
l�impostazione normativa adottata in Spagna. Il legislatore iberico, andando 
persino oltre le gi� discutibili richieste comunitarie di criminalizzazione, ha 
infatti creato una normazione penale talmente pervasiva ed arretrata da essere 
stata efficacemente descritta quale �org�a punitiva� ed � giunto a livelli inediti 
di arretramento della tutela penale, giungendo all�incriminazione di chi consulta 
siti estremisti e di chi detiene materiale di propaganda jihadista. 

L�ultimo capitolo del libro � dedicato alle conclusioni e alle prospettive 
di intervento sulla legislazione vigente. A tal proposito, vengono indicate alcune 
soluzioni de lege lata e de lege ferenda, finalizzate alla prevenzione e al 
controllo della criminalit� terroristica, attraverso strumenti che siano allo 
stesso tempo efficaci e rispettosi del ruolo che deve essere assegnato ad un diritto 
penale garantista, democratico e costituzionalmente orientato. In questo 
contesto, viene quindi ribadita l�inconciliabilit� con i principi del nostro Stato 
di diritto del modello del cd. �diritto penale del nemico�, ma viene anche enucleata 
una categoria pi� subdola, ivi definita �diritto penale (del cittadino) 
adattato alle forme del nemico�. Anche questa impostazione viene respinta, 
perch� ritenuta distorsiva rispetto a tradizionali categorie dogmatiche che non 
possono essere a tal punto plasmate per finalit� repressive, secondo pericolose 
direttrici di distorsione probatoria. Alla luce di queste riflessioni, de lege lata, 
si indicano: i) gli stretti limiti di applicazione dell�associazione terroristica, 


RECENSIONI 289 

ricavati attraverso un�interpretazione che non snaturi i requisiti strutturali del 
reato associativo e che non confonda quest�ultimo con la mera comunanza di 
basi socio-culturali e di aspirazioni estremistiche; ii) gli spazi di operativit� 
delle fattispecie non associative espressamente terroristiche, cos� come ricavati 
dalla corretta lettura del requisito del dolo specifico che le connota; iii) la possibilit�, 
sinora trascurata, di colpire le condotte (potenzialmente) prodromiche 
rispetto a condotte terroristiche attraverso reati comuni, che siano egualmente 
efficaci e che non forzino la prova della tensione teleologica verso condotte 
con finalit� di terrorismo. De lege ferenda, invece, vengono formulati alcuni 
caveat ed alcune proposte. Dal primo punto di vista, sono riassunte le ragioni 
che depongono contro l�indiscriminato arretramento della tutela penale, sancendo 
cos� la scarsa appetibilit� dei (pur diversi tra loro) modelli statunitense 
e spagnolo. A livello propositivo, per contro, vengono sondati e problematizzati 
due possibili interventi di riforma. In primo luogo, seguendo ed approfondendo 
gli auspici della migliore letteratura penalistica, viene proposta una 
modifica del reato associativo (recte: una generale norma definito-ria), che 
colmi la lacuna nella definizione del concetto di �associazione� attraverso l�introduzione 
espressa dei profili statici e dinamici della struttura criminale. In 
secondo luogo, viene valutata la possibilit� di introdurre specifici reati, anche 
di natura ostativa, che evitino le difficolt� probatorie scaturenti dall�accertamento 
della finalit� di terrorismo e che, anche attraverso una corretta modulazione 
penologica, apprestino una tutela efficace ma ragionevole, senza 
forzature ermeneutiche ed eccessi sanzionatori. 


Finito di stampare nel mese di settembre 2016 
Stabilimenti Tipografici Carlo Colombo S.p.A. 
Vicolo della Guardiola n. 22 - 00186 Roma