ANNO LXVII - N. 4 OTTOBRE - DICEMBRE 2015 
RASSEGNA 
AVVOCATURA 
DELLO STATO 
PUBBLICAZIONE TRIMESTRALE DI SERVIZIO
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Natalino Irti - Eugenio Picozza - Franco Gaetano Scoca. 
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COMITATO DI REDAZIONE: Lorenzo D�Ascia - Gianni De Bellis - Sergio Fiorentino - Paolo Gentili - Maria 
Vittoria Lumetti - Francesco Meloncelli - Marina Russo - Massimo Santoro - Carlo Sica - Stefano 
Varone. 
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Luigi Gabriele Correnti - Giuseppe Di Gesu - Pierfrancesco La Spina - Marco Meloni - Maria 
Assunta Mercati - Alfonso Mezzotero - Riccardo Montagnoli - Domenico Mutino - Nicola Parri - 
Adele Quattrone - Pietro Vitullo. 
HANNO COLLABORATO INOLTRE AL PRESENTE FASCICOLO: Domenico Andracchio, Davide Borelli, 
Giuseppe Camardi, Valter Campanile, Mario Capolupo, Angela Cardi, Francesco Maria Ciaralli, 
Maria Luisa Costanzo, Wally Ferrante, Giuliano Gambardella, Michele Gerardo, Vinca Giannuzzi 
Savelli, Vincenzo Laruffa, Iolanda Luce, Giovanni Marino, Massimo Massella Ducci Teri, 
Francesco Molinaro, Adolfo Mutarelli, Valeria Nuzzo, Carlo Maria Pisana. 
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INDICE - SOMMARIO 
TEMI ISTITUZIONALI 
Intervento dell�Avvocato Generale dello Stato, Avv. Massimo Massella 
Ducci Teri, alla Cerimonia di inaugurazione dell�Anno giudiziario 2016. 
Roma, Palazzo di Giustizia, 28 gennaio 2016 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 
Protocollo d�intesa tra la Corte di Cassazione e l�Avvocatura dello Stato 
sulla gestione del contenzioso tributario . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 
Protocollo d�intesa tra la Corte di Cassazione e il Consiglio Nazionale 
Forense in merito alle regole redazionali dei motivi di ricorso in materia 
civile e tributaria, Circolare SG prot. 26057 del 20 gennaio 2016 n. 5 . . 
Parere del Consiglio Nazionale Forense sul tirocinio professionale 
presso l�Avvocatura dello Stato, Circolare SG prot. 40527 del 28 gennaio 
2016 n. 9. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 
Valter Campanile, Un �breviario� sulle notifiche a mezzo PEC. . . . . . . . 
CONVEGNI 
Avvocatura Generale dello Stato, Sala Vanvitelli, 14 gennaio 2016: 
�Prescrizione e decandeza nel diritto civile. Aspetti sostanziali e strategie 
processuali� Presentazione del libro di Michele Gerardo e Adolfo Mutareli 
- G. Giappichelli Editore, Torino, 2015. 
Relazioni: 
Giovanni Marino, Il tempo giuridico tra principi e regole. Brevi annotazioni 
su prescrizione e decadenza. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 
Valeria Nuzzo, La prescrizione dei crediti di lavoro e il metus del lavoratore: 
inedite questioni interpretative legate alla riforma della disciplina 
sanzionatoria del licenziamento . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 
Mario Capolupo, I rapporti tra estinzione del processo e prescrizione con 
particolare riguardo al giudizio tributario. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 
CONTENZIOSO NAZIONALE 
Carlo Maria Pisana, La Cassazione sull�esenzione fiscale degli atti di riassetto 
patrimoniale a seguito della separazione tra coniugi (Cass. civ., Sez. 
V, sent. 13 novembre 2015 n. 23225) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 
Francesco Molinaro, Il principio della compensatio lucri cum damno tra 
vecchi e nuovi orientamenti della Corte di Cassazione (Cass. civ., Sez. 
III, ord. 5 marzo 2015 n. 4447) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 
Vinca Giannuzzi Savelli, Tra riservatezza e tutela della salute: un possibile 
bilanciamento tra diritto alla riservatezza della cartella clinica, diritto 
della madre a una scelta riproduttiva consapevole e diritto del 
concepturus a nascere sano (Trib. Napoli, Sez. I civ., sent. 18 settembre 
2014 n. 13212) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 
pag. 1 
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Angelica Cardi, L�autonomia universitaria tra tradizione e modernit�: a 
proposito di due recenti pronunce del Consiglio di Stato (Cons. St., Ad. 
Plen., sent. 28 gennaio 2015 n. 1; Cons. St., Sez. VI, ord. 22 gennaio 2015 
n. 242). . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 
Wally Ferrante, Gli atti defensionali della Avvocatura dello Stato sulla 
trascrizione dei matrimoni omosessuali (Cons. St., Sez. III, sentt. 26 ottobre 
2015 nn. 4897, 4898, 4899). . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 
LEGISLAZIONE ED ATTUALIT� 
Francesco Maria Ciaralli, I �golden powers� esercitabili dal Governo 
a tutela di interessi strategici dello Stato . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 
Giuliano Gambardella, I servizi pubblici locali con particolare riferimento 
al servizio di gestione dei rifiuti solidi urbani . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 
Vincenzo Laruffa, La �messa alla prova�: novit� applicative e criticit� 
di uno strumento giuridico di deflazione carceraria . . . . . . . . . . . . . . . . 
CONTRIBUTI DI DOTTRINA 
Domenico Andracchio, Il ricorso straordinario al Presidente della Repubblica 
e la non ottemperabilit� dei decreti presidenziali ante l. n. 
69/2009 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 
Maria Luisa Costanzo, Fisco e cultura: la tassazione degli immobili di 
interesse storico artistico e l�intervento dei privati a sostengo del patrimonio 
culturale. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 
Maria Vittoria Lumetti, Giuseppe Camardi, Giudici amministrativi, economia 
e strategie processuali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 
Iolanda Luce, Revirement delle Sezioni Unite sul riparto di giurisdizione 
in tema di assegnazione delle ore di sostegno agli alunni disabili . . . . . 
RECENSIONI 
Prescrizione e decadenza nel diritto civile. Aspetti sostanziali e strategie 
processuali, MICHELE GERARDO e ADOLFOMUTARELLI, G. Giappichelli Editore, 
Torino, 2015 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 
pag. 86 
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TEMI ISTITUZIONALI 
CERIMONIA DI INAUGURAZIONE DELL�ANNO GIUDIZIARIO 2016 
Intervento dell�Avvocato Generale dello Stato 
Avv. Massimo Massella Ducci Teri 
Signor Presidente della Repubblica, Autorit�, Signor Primo Presidente 
della Corte di Cassazione, Signor Procuratore Generale, Signore e Signori 
1.- Prendo, con grande piacere, la parola in questa solenne Cerimonia di 
inaugurazione per porgere il saluto dell�Istituto che ho l�onore di dirigere. 
Nella sua approfondita ed ampia relazione il Primo Presidente ha riferito 
puntualmente sui risultati raggiunti dalla Suprema Corte nell�anno 2015. 
Essi sono sicuramente il frutto del grandissimo impegno profuso dai Magistrati 
e da tutto il personale amministrativo - cui vanno il nostro pi� sentito 
apprezzamento e la nostra pi� viva gratitudine. Sono anche il segno tangibile 
dell�efficacia del disegno riformistico avviato dal Governo. 
Questa � sempre stata anche la sede naturale per dare conto dell�attivit� 
svolta dall�Avvocatura dello Stato nel corso dell�anno precedente. Vorrei essere 
estremamente sintetico sul punto per non abusare della vostra pazienza e 
rispettare il tempo a me assegnato. 
2.- Nell�anno 2015 i provvedimenti deflattivi del contenzioso adottati dal 
Governo hanno prodotto i loro effetti anche per il nostro Istituto. 
Tuttavia, gli affari nuovi trattati dall�Avvocatura dello Stato ammontano, 
comunque, a livello nazionale, ad oltre 150.000. Un terzo di tale lavoro grava 
sull�Avvocatura Generale che ha assunto, nell�anno, oltre 48.000 nuovi affari. 
Si tratta di una mole di lavoro sicuramente imponente, che abbraccia le 
pi� varie materie e ci vede impegnati avanti tutte le Magistrature anche di livello 
comunitario ed internazionale.
2 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2015 
3.- Accanto al lavoro in sede contenziosa, mi preme, tuttavia, segnalare 
l�incremento dell�attivit� consultiva resa dall�Istituto. 
Nel corso del 2015 l�Avvocatura dello Stato, oltre alle fisiologiche consultazioni 
connesse al contenzioso, aventi ad oggetto la proposizione di gravami 
o transazioni, ha reso oltre 4.000 pareri alle Amministrazioni che � 
chiamata a patrocinare. 
Si tratta di un numero rilevante che testimonia, innanzitutto, la volont�, 
sempre pi� radicata, delle Amministrazioni di essere orientate sotto il profilo 
giuridico e di essere confortate in ordine alla legittimit� del proprio operare. 
Gli Avvocati e Procuratori dello Stato stanno dedicandosi con particolare 
impegno a questo settore, consapevoli che in tale ambito la loro professionalit� 
pu� contribuire alla prevenzione del contenzioso e, quindi, a quell�obiettivo 
di deflazione dello stesso, meritoriamente perseguito da tutte le Magistrature. 
4.- In coerenza con tale obiettivo, ed in linea con i chiari indirizzi del Legislatore, 
l�Avvocatura dello Stato � impegnata, d�intesa con le Amministrazioni 
rappresentate, ad effettuare una ricognizione di tutto quel contenzioso 
da non coltivare ulteriormente, essendo ormai chiari ed univoci i principi di 
diritto applicabili allo stesso. 
In questo ambito non posso non ricordare il Protocollo d�intesa sottoscritto, 
nello scorso mese di dicembre, con il Primo Presidente Giorgio Santacroce, 
cui va ancora il mio sentito ringraziamento. 
Il documento attiene al settore fiscale e tributario. 
Nell�occasione l�Avvocatura dello Stato, con l�aiuto dell�Agenzia delle 
Entrate e del Territorio, si � impegnata a sottoporre alla Suprema Corte elenchi 
di ricorsi pendenti, suddivisi per materia, cos� da facilitare la fissazione di 
udienze o camere di consiglio tematiche e la pi� sollecita definizione dei ricorsi 
pendenti. 
Con lo stesso Protocollo, in attuazione di quanto previsto dai recenti decreti 
legislativi, l�Avvocatura ha preso anche l�impegno di segnalare l�esistenza 
di �cause pilota�, per le quali sia urgente ottenere in tempi brevi una pronuncia 
chiarificatrice della Suprema Corte, al fine di evitare il proliferare del contenzioso 
in controversie analoghe, utilizzando, quindi, il nuovo strumento del ricorso 
per saltum. 
5.- Mi sembra - e con ci� mi avvio rapidamente a concludere il mio intervento 
- che la possibilit� di avere decisioni tempestive su �cause pilota� 
non solo possa contribuire alla deflazione del contenzioso, ma possa costituire 
un ulteriore profilo per valorizzare sempre pi� l�essenziale funzione nomofilattica 
della Suprema Corte, cos� come emerso dai lavori dell�Assemblea generale 
della stessa Corte, svoltasi nello scorso mese di giugno. 
Ritengo anch�io che l�esigenza di una sempre pi� stringente nomofilachia 
della Cassazione sia ormai ineludibile.
TEMI ISTITUZIONALI 3 
Un pi� intenso effetto vincolante ai principi di diritto enunciati dalla Suprema 
Corte costituisce di per s� un valore assai significativo ed irrinunciabile. 
Un sistema giurisdizionale efficiente non pu� prescindere, infatti, dalla 
celerit�, ma anche dalla ragionevole prevedibilit� delle proprie decisioni. 
D�altro canto non possiamo non tener conto che questa istanza di coerenza 
proviene, peraltro, anche dalla C.E.D.U., la quale - di recente - ha sottolineato 
come il riferimento al principio di legalit� delle norme penali, 
enunciato dall�art. 7 della Convenzione, inglobi, oltre alla fonte legislativa, 
anche quella giurisprudenziale. 
So bene che questo intento � alla base dei numerosi strumenti che il Governo 
ed il Legislatore hanno posto a disposizione per consentire alla Magistratura 
di filtrare l�accesso alle impugnazioni. 
Confido anch�io in misure ancor pi� incisive e assicuro, comunque, che 
l�Avvocatura dello Stato vuole essere di fattivo aiuto per il raggiungimento di 
questo obiettivo, comune a tutti noi. 
Grazie per la vostra attenzione. 
Roma, 28 gennaio 2016 
Palazzo di Giustizia, Aula Magna
4 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2015 
PROTOCOLLO D�INTESA TRA LA CORTE DI CASSAZIONE E L�AVVOCATURA 
DELLO STATO SULLA GESTIONE DEL CONTENZIOSO TRIBUTARIO 
L�Avvocato Generale ha sottoscritto con il Primo Presidente della Corte 
di Cassazione un protocollo di intesa volto a consentire lo smaltimento dell�arretrato 
formatosi in materia di contenzioso tributario, nonch� a favorirne 
una pi� celere definizione e la sua conseguente riduzione. 
Il protocollo prevede, in particolare, l�impegno dell�Avvocatura a segnalare 
alla Corte le �cause pilota� da decidere in via prioritaria e ad indicare, in 
sede di redazione dei ricorsi, specifici codici materia, concordati tra le parti, 
per consentire alla Corte di individuare pi� facilmente l�oggetto delle singole 
controversie al fine di fissare �udienze tematiche�. 
CORTE SUPREMA AVVOCATURA GENERALE 
DI CASSAZIONE DELLO STATO 
PROTOCOLLO D'INTESA 
La Corte Suprema di Cassazione, in persona del Primo Presidente dott. Giorgio Santacroce, 
e l'Avvocatura Generale dello Stato, in persona dell'Avvocato generale dello Stato Massimo 
Massella Ducci Teri, 
PREMESSO 
- che dinanzi alla Corte di Cassazione pendono n. 103.820 ricorsi civili (dato riferito al 
30.11.2015) e che di tali ricorsi ben 33.255 pendono innanzi alla Sezione Tributaria; 
- che la Corte di Cassazione �, nel suo complesso, fortemente impegnata nella riduzione dell'arretrato 
seguendo, tra l'altro, la strada delle udienze tematiche, la cui fissazione presuppone 
la classificazione dei ricorsi pendenti, operazione questa gi� avviata e che, tuttavia, richiedendo 
ingenti risorse umane, comporta lunghi tempi di realizzazione; 
- che il contenzioso tributario, ad esclusione di quello relativo ai tributi locali, vede sempre 
come parte l'Agenzia delle Entrate ovvero (in misura minore) l'Agenzia delle Dogane e dei 
Monopoli, con la rappresentanza e difesa dell'Avvocatura Generale dello Stato nel giudizio 
di legittimit�; 
- che l'Avvocatura Generale dello Stato guarda con estremo interesse alla prospettiva di 
udienze tematiche che consentono la realizzazione di positivi risultati, quali: a) la razionalizzazione 
nella gestione e preparazione delle udienze; b) la possibilit� di ottenere indirizzi giurisprudenziali 
pi� consolidati al fine di un successivo recepimento nella prassi dell'Agenzia 
delle Entrate; e) la pi� celere definizione del contenzioso, con la sua conseguente riduzione; 
- che la Sezione Tributaria della Corte di Cassazione ha avviato una proficua collaborazione 
informale con l'Avvocatura Generale dello Stato, ricevendo dalla stessa elenchi tematici di 
diverse centinaia di ricorsi, con la conseguente possibilit� di dare corso alla fissazione di 
udienze tematiche anche prima che il lavoro di classificazione in atto dia i suoi frutti; 
3/12/2015-547654 A 
AGS Roma / SEGR. AVV. GEN.
TEMI ISTITUZIONALI 5 
- che nel corso della stessa collaborazione informale � emersa la possibilit� che l'Avvocatura 
Generale dello Stato indichi, in futuro, nell'intestazione dei ricorsi e controricorsi un univoco 
"codice argomento", pi� specifico di quelli oggi disponibili all'atto della iscrizione a ruolo, 
secondo una articolata tavola delle voci, allo stato in corso di elaborazione e suscettibile di 
essere estesa, con gli stessi criteri, alle materie trattate dagli altri gruppi interni alla Sezione 
Tributaria; 
- che l'Avvocatura Generale dello Stato � disponibile a collaborare alla elaborazione della tavola 
delle voci, in modo da verificare che le stesse siano compatibili con i propri criteri di gestione 
del contenzioso; 
- che l'Avvocatura Generale dello Stato segnaler� anche l'esistenza di "cause pilota" per le 
quali � urgente ottenere in tempi brevi una pronuncia chiarificatrice della Suprema Corte sui 
principi di diritto in contestazione, al fine di evitare la crescita del contenzioso di merito in 
controversie analoghe, e che in questa prospettiva l'Avvocatura utilizzer� il nuovo strumento 
del ricorso per saltum previsto dall'art. 62 comma 2 bis del D.Lgs. n. 546/1992, introdotto 
con il D.Lgs. n. 156/2015; 
tutto ci� premesso 
le parti stipulanti convengono quanto segue: 
a) l'Avvocatura Generale dello Stato fornir� alla Sezione Tributaria della Corte di Cassazione 
gli elenchi tematici di cui in premessa, anche valendosi della collaborazione degli Uffici 
dell'Agenzia delle Entrate, ed indicher� le controversie qualificabili come "cause pilota"; 
b) la Sezione Tributaria, eseguite le necessarie verifiche, utilizzer� i suddetti elenchi per 
la fissazione di udienze tematiche; 
c) la Sezione Tributaria elaborer� una tavola delle voci e, man mano che siano completate 
le parti di competenza dei tre gruppi (Il.DD., IVA, Imposte Varie) in cui essa � articolata, 
la sottoporr� all'Avvocatura Generale dello Stato per le sue osservazioni e/o integrazioni; 
d) l'Avvocatura Generale dello Stato, una volta definita la tavola delle voci, anche solo 
nelle singole parti di competenza dei tre suddetti gruppi, indicher� in posizione fissa, nell'intestazione 
dei propri ricorsi o controricorsi, l'univoco "codice argomento" relativo alla questione 
principale oggetto della causa; 
e) il Presidente titolare della Sezione Tributaria, con facolt� di delega ad altro magistrato, 
per la Corte Suprema di Cassazione, e l'Avvocato dello Stato Gianni De Bellis, per l'Avvocatura 
Generale dello Stato, sono indicati come referenti per l'attuazione dell'intesa. 
Il presente protocollo viene sottoscritto in doppio originale in data 3 dicembre 2015, in Roma 
presso la Corte Suprema di Cassazione. 
Corte Suprema di cassazione L'Avvocato generale dello Stato 
Il Primo Presidente Avv. Massimo Massella Ducci Teri 
Dott. Giorgio Santacroce
6 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2015 
Avvocatura Generale dello Stato 
CIRCOLARE N. 5/2016 
Oggetto: Protocollo di intesa tra la Corte di Cassazione e il Consiglio Nazionale 
Forense in merito alle regole redazionali dei motivi di ricorso in materia 
civile e tributaria. 
Si trasmette, per opportuna conoscenza, il Protocolo d�intesa sottoscritto 
in data 17 dicembre 2015 dal Primo Presidente della Corte di Cassazione e 
dal Presidente del Consiglio Nazionale Forense in merito alle regole redazionali 
dei motivi di ricorso in materia civile e tributaria. 
IL SEGRETARIO GENERALE 
Avv. Ruggero Di Martino 
CONSIGLIO NAZIONALE FORENSE 
PRESSO IL MINISTERO DELLA GIUSTIZIA 
Protocollo d'intesa tra la Corte di Cassazione e il Consiglio Nazionale Forense in 
merito alle regole redazionali dei motivi di ricorso in materia civile e tributaria 
Roma, il 17 dicembre 2015 
La Corte di cassazione, in persona del Primo Presidente Giorgio Santacroce, e il Consiglio 
Nazionale Forense, in persona del Presidente, Andrea Mascherin, nella convinzione che i 
tempi siano maturi per una comune presa d'atto: 
1) delle difficolt� ingenerate nella gestione dei procedimenti innanzi alla Corte di cassazione: 
a) dal moltiplicarsi di ricorsi, controricorsi e memorie sovradimensionati nell'esposizione 
di motivi ed argomentazioni, da un lato, e b) dalla riscontrata difficolt� di 
definire in modo chiaro e stabile il senso e i limiti del c.d. principio di autosufficienza 
del ricorso affermata dalla giurisprudenza, dall'altro; 
2) considerato che il sovradimensionamento degli atti difensivi di parte possa essere di 
ostacolo alla effettiva comprensione del loro contenuto essenziale con effetti negativi 
sulla chiarezza e celerit� della decisione; 
3) considerato altres� che il suddetto sovradimensionamento possa essere, almeno in 
parte, frutto della ragionevole preoccupazione dei difensori di non incorrere nelle censure 
di inammissibilit� per difetto di autosufficienza, con la conseguente necessit� 
che di tale principio meglio si definiscano i precisi limiti alla luce di effettivi e concreti 
dati normativi; 
4) ritenuto che una significativa semplificazione possa derivare dall'adozione di un modulo 
redazionale dei ricorsi, che ne definisca i limiti di contenuto e ne agevoli l'immediata 
comprensione da parte del giudicante, senza che l'eventuale mancato rispetto della regola 
sui limiti dimensionali comporti un'automatica sanzione di tipo processuale; 
stipulano la presente intesa sulle seguenti raccomandazioni:
TEMI ISTITUZIONALI 7 
Redazione dei ricorsi 
I ricorsi dovranno essere redatti secondo il seguente: 
Schema 
Utilizzare fogli A4, mediante caratteri di tipo corrente (ad es. Times New Roman, Courier, 
Arial o simili) e di dimensioni di almeno 12 pt nel testo, con un'interlinea di 1,5 e margini 
orizzontali e verticali di almeno cm. 2,5 (in alto, in basso, a sinistra e a destra della pagina: 
queste indicazioni valgono anche per la redazione di controricorsi e memorie). 
Parte ricorrente: 
Cognome e Nome / Denominazione sociale 
Data e luogo di nascita / Legale rappresentante 
Luogo di residenza / Sede sociale 
Codice fiscale 
Dati del difensore (Cognome e Nome, Codice fiscale, PEC e fax) 
Domicilio eletto 
Dati del domiciliatario (Cognome e Nome, Codice fiscale, PEC e fax) 
Parte intimata: 
Gli stessi dati indicati per la parte ricorrente, nel limite in cui essi siano noti alla medesima 
parte ricorrente. 
Sentenza impugnata: 
Indicare gli estremi del provvedimento impugnato (Autorit� giudiziaria che lo ha emesso, Sezione, 
numero del provvedimento, data della decisione, data della pubblicazione, data della 
notifica (se notificato). 
Oggetto del giudizio: 
Indicare un massimo di 10 (dieci) parole chiave, tra le quali debbono essere quelle riportate 
nella nota di iscrizione a ruolo, che descrivano sinteticamente la materia oggetto del giudizio. 
Valore della controversia. 
Indicare il valore della controversia ai fini della determinazione del contributo unificato. 
Sintesi dei motivi: 
Enunciare sinteticamente i motivi del ricorso (in non pi� di alcune righe per ciascuno di essi 
e contrassegnandoli numericamente), mediante la specifica indicazione, per ciascun motivo, 
delle norme di legge che la parte ricorrente ritenga siano state violate dal provvedimento impugnato 
e dei temi trattati. Nella sintesi dovr� essere indicato per ciascun motivo anche il numero 
della pagina ove inizia lo svolgimento delle relative argomentazioni a sostegno nel 
prosieguo del ricorso. 
Svolgimento del processo 
L'esposizione del fatto deve essere sommaria, in osservanza della regola stabilita dall'art. 366, 
primo comma, n. 3, cod. proc. civ., e deve essere funzionale alla percepibilit� delle ragioni 
poste a fondamento delle censure poi sviluppate nella parte motiva. L'esposizione deve essere 
contenuta nel limite massimo di 5 pagine. 
Motivi di impugnazione 
In questa parte trova spazio l'esposizione delle argomentazioni a sostegno delle censure gi� sinteticamente 
indicate nella parte denominata "sintesi dei motivi". L'esposizione deve rispondere al criterio 
di specificit� e di concentrazione dei motivi e deve essere contenuta nel limite massimo di 30 pagine.
8 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2015 
Conclusioni 
In questa parte trova spazio l'indicazione del provvedimento in ultimo richiesto (e con richiesta 
comunque non vincolante). Ad esempio: cassazione con rinvio, cassazione senza rinvio con 
decisione di merito, ecc. 
Documenti allegati 
Elencare secondo un ordine numerico progressivo gli atti e i documenti prodotti ai sensi dell'art. 
369, secondo comma, n. 4 cod. proc. civ. 
NOTA FINALE: 
Il ricorso � stato redatto in conformit� alle indicazioni tecniche contenute nel Protocollo sottoscritto 
in data 17/12/15 dal Presidente della Corte di Cassazione e dal Presidente del Consiglio 
Nazionale Forense. 
Note: 
1) Tutte le indicazioni contenute nel modulo sopra riportato, comprese quelle sulle misure 
dimensionali, si estendono, per quanto compatibili, ai controricorsi e alle memorie previste 
dall'art. 378 cod. proc. civ. Qualora il controricorso contenga anche un ricorso incidentale, 
all'esposizione dei relativi motivi si applica la previsione di cui al successivo punto n. 3), ultimo 
periodo. 
2) Il mancato rispetto dei limiti dimensionali indicati nel modulo e delle ulteriori indicazioni 
ivi previste non comporta l'inammissibilit� o l'improcedibilit� del ricorso (e degli altri atti 
difensivi or ora citati), salvo che ci� non sia espressamente previsto dalla legge; il mancato 
rispetto dei limiti dimensionali, salvo quanto in appresso indicato, � valutabile ai fini della 
liquidazione delle spese del giudizio. 
3) Nel caso che per la particolare complessit� del caso le questioni da trattare non appaiano 
ragionevolmente comprimibili negli spazi dimensionali indicati, dovranno essere esposte specificamente, 
nell'ambito del medesimo ricorso (o atto difensivo), le motivate ragioni per le 
quali sia ritenuto necessario eccedere dai limiti previsti. La presentazione di un ricorso incidentale, 
nel contesto del controricorso, costituisce di per s� ragione giustificatrice di un ragionevole 
superamento dei limiti dimensionali fissati. 
4) La eventuale riscontrata e motivata infondatezza delle motivazioni addotte per il superamento 
dei limiti dimensionali indicati, pur non comportando inammissibilit� del ricorso (o 
atto difensivo) che la contiene, pu� essere valutata ai fini della liquidazione delle spese. 
5) Nei limiti dimensionali complessivi sono da intendersi come esclusi, oltre all'intestazione 
e all'indicazione delle parti processuali, del provvedimento impugnato, dell'oggetto del giudizio, 
del valore della controversia, della sintesi dei motivi e delle conclusioni, l'elenco degli 
atti, dei documenti e dei contratti o accordi collettivi sui quali si fonda il ricorso, la procura 
in calce e la relazione di notificazione. 
Il principio di autosufficienza 
Il rispetto del principio di autosufficienza non comporta un onere di trascrizione integrale nel 
ricorso e nel controricorso di atti o documenti ai quali negli stessi venga fatto riferimento. Il 
sunnominato principio deve ritenersi rispettato, anche per i ricorsi di competenza della Sezione 
tributaria, quando: 
1) ciascun motivo articolato nel ricorso risponda ai criteri di specificit� imposti dal codice 
di rito;
TEMI ISTITUZIONALI 9 
2) nel testo di ciascun motivo che lo richieda sia indicato l'atto, il documento, il contratto 
o l'accordo collettivo su cui si fonda il motivo stesso (art. 366, c. 1, n. 6), cod. proc. 
civ.), con la specifica indicazione del luogo (punto) dell'atto, del documento, del contratto 
o dell'accordo collettivo al quale ci si riferisce; 
3) nel testo di ciascun motivo che lo richieda siano indicati il tempo (atto di citazione o ricorso 
originario, costituzione in giudizio, memorie difensive, ecc.) del deposito dell'atto, 
del documento, del contratto o dell'accordo collettivo e la fase (primo grado, secondo 
grado, ecc.) in cui esso � avvenuto; 
4) siano allegati al ricorso (in apposito fascicoletto, che va pertanto ad aggiungersi all'allegazione 
del fascicolo di parte relativo ai precedenti gradi del giudizio) ai sensi dell'art. 
369, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ., gli atti, i documenti, il contratto o l'accordo 
collettivo ai quali si sia fatto riferimento nel ricorso e nel controricorso. 
Redatto in due originali in Roma il giorno 17 dicembre 2015 
Il Primo Presidente Il Presidente del 
della Corte di Cassazione Consiglio Nazionale Forense 
Giorgio Santacroce Andrea Mascherin
10 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2015 
Avvocatura Generale dello Stato 
CIRCOLARE N. 9/2016 
Oggetto: Parere del Consiglio Nazionale Forense sul tirocinio professionale 
presso l�Avvocatura dello Stato. 
Si tasmette, il parere del Consiglio Nazionale Forense che, in risposta a 
specifico quesito posto dall�Istituto, ha definitivamnete chiarito che presso 
l�Avvocatura dello Stato pu� essere svolto il tirocino professionale forense per 
la durata di diciotto mesi, anche ai fini dell�ammissione all�esame per conseguire 
l�abilitazione professionale. 
IL SEGRETARIO GENERALE 
Avv. Ruggero Di Martino 
CONSIGLIO NAZIONALE FORENSE 
PRESSO IL MINISTERO DELLA GIUSTIZIA 
COMMISSIONE CONSULTIVA 
Quesito n. 63, Avvocatura dello Stato, Rel. Cons. Allorio 
Parere 21 ottobre 2015, n. 100 
L'Avvocatura Generale dello Stato richiede parere in merito all'interpretazione del combinato 
disposto del comma 6, lett. b) e del comma 7 dell'art. 41 della legge n. 247/12, alla luce del 
sopravvenuto comma 11 bis, secondo periodo, dell'art. 73 del D.L. n. 69/13 (come modificato, 
da ultimo, dall'art. 50 del D.L. n. 90/2014). 
La risposta � resa nei termini seguenti. 
Osserva la Commissione che il comma 11 bis dell'art. 73 del D.L. n. 69/13 (introdotto dall'art. 
50 del D.L. n. 90/14), dispiega i propri effetti anche sull'interpretazione del rapporto tra il 
comma 6, lett. b) e il comma 7 dell'art. 41 della legge n. 247/12, nella misura in cui esso contempla 
espressamente la possibilit� di effettuare il tirocinio professionale per diciotto mesi 
presso l'Avvocatura dello Stato.
TEMI ISTITUZIONALI 11 
Una �breviario� sulle notifiche a mezzo PEC 
Da: Giuseppe Zuccaro [mailto:giuseppe.zuccaro@avvocaturastato.it] 
Inviato: mer 02/12/2015 12.37 
A: Avvocati_tutti 
Oggetto: Notifiche a mezzo PEC 
Carissimi, 
Vi inoltro un documento redatto dall�ottimo collega Valter Campanile, che, con linguaggio semplice 
e diretto, fa il punto in tema di notifiche a mezzo PEC e poteri di autentica degli avvocati. 
Nato come documento di sintesi rivolto ai praticanti dell�Avvocatura Distrettuale dello Stato 
di Bari, ritengo utile che sia messo a disposizione di noi tutti. 
Saluti 
Giuseppe Zuccaro 
LE NOTIFICAZIONI A MEZZO PEC 
FAQ 
a uso dei praticanti (*) 
dell'Avv. Valter Campanile 
Cos'� la notificazione? 
Questa domanda non me l'aspettavo! � l'atto con il quale, con valore legale, 
si porta un documento o un atto a conoscenza del destinatario. 
In cosa consiste la notificazione con modalit� telematica a mezzo PEC? 
Consiste nell'invio di una mail dall'indirizzo PEC del notificante all'indirizzo 
PEC del destinatario, con particolari modalit�. 
Chi la pu� fare? 
L'avvocato (o l'Avvocatura dello Stato) munito di procura (per l'Avvocatura 
la procura � ex lege). L'atto da notificare deve essere per� relativo al mandato 
difensivo. 
Cosa si pu� notificare? 
Un qualsiasi atto in materia civile, amministrativa e stragiudiziale. 
Come s� effettua? 
Inviando dal proprio indirizzo PEC (registrato nel Registro degli indirizzi elettronici 
del processo - REGINDE) un messaggio di posta elettronica all'indirizzo 
PEC del destinatario (ma solo se estratto dal REGINDE o da altri registri pubblici 
(*) E non solo (ndr).
12 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2015 
e tra questi vi � l'INIPEC e il REGISTRO DELLE PA); al messaggio vanno allegati 
l'atto da notificare e la relazione di notificazione. 
Ricorda che le notifiche eseguite anche a mezzo PEC dopo le ore 21,00, si considerano 
perfezionate alle ore 7,00 del giorno dopo. 
In cosa consiste l'allegato dell'atto da notificare? 
Bella domanda! Consiste in un documento informatico. 
Siccome so gi� che la prossima domanda sar� "cos'� il documento informatico?", 
ti dico questo: 
Ci sono due mondi: quello della carta, nel quale tutti gli atti e documenti sono 
formati su carta (� il mondo c.d. analogico); e quello dei computer, nel quale 
tutti gli atti e documenti sono fatti da bit contenuti in file (� il mondo c.d. informatico). 
Si distinguono pertanto documenti analogici (su carta) e documenti informatici 
(su file). 
In entrambi i mondi esistono gli originali (es. la prima copia dell'atto di citazione 
su carta, la sentenza su carta firmata dal giudice e depositata in cancelleria, 
l'atto di appello in pdf firmato con firma digitale ecc.) e le copie (es. la 
fotocopia della sentenza, la copia autentica rilasciata dal cancelliere; la copia 
dell'atto di citazione per la notifica a mezzo ufficiale giudiziario; la copia del 
file dell'atto di appello salvato in pdf senza firma digitale ecc.). 
Esistono cos�, da un lato, originali analogici e copie analogiche e, dall'altro, 
originali informatici e copie informatiche. 
In realt�, siccome di un file puoi fare quante copie vuoi e tutti i file sono uguali 
all'originale, nel mondo informatico esistono anche i duplicati informatici; file 
di fatto identici agli originali informatici. Non � detto invece che le copie informatiche 
siano uguali all'originale informatico dal quale sono tratte (pensa 
allo stesso testo in due diversi file, uno per� in formato word e l'altro in pdf. 
Il contenuto � lo stesso, la forma no. Perci� uno � la copia informatica dell'altro, 
ma non il suo duplicato). 
Nel Processo civile telematico (PCT) trovi tutti gli atti e documenti depositati 
dalle parti e dal giudice. Sono ovviamente documenti informatici e per ogni 
atto trovi separatamente il duplicato informatico (dell'originale informatico) 
e la copia informatica (dell'originale informatico o analogico). La copia informatica 
la riconosci subito perch� � sempre in .pdf e ha la "coccardina" con 
il nome del giudice o dell'avvocato che l'ha firmato. Se � un provvedimento 
del giudice, trovi anche l'annotazione in alto a destra in blu della data di deposito 
in cancelleria, del numero del provvedimento, del numero di RG e del 
numero di cronologico. 
Gli originali informatici del PCT (che una volta depositati diventano in pratica
TEMI ISTITUZIONALI 13 
duplicati informatici) sono sempre firmati digitalmente (con i due formati consentiti 
.pdf e .p7m; si tratta delle estensioni dei file; gli atti dei giudici, anche 
se originali firmati, sono sempre in formato .pdf). Le parti possono "estrarre" 
gli atti depositati nel PCT. Cos� puoi avere sul tuo PC il duplicato informatico 
estratto o la copia informatica estratta del corrispondente atto del PCT. 
Chiarito questo, occorre sapere che le copie servono anche per "far passare" 
un atto da un modo all'altro. 
Esistono cos� le copie informatiche di documenti analogici e le copie analogiche 
di documenti informatici. 
� semplice, se pensi a quello che fai tutti i giorni: scrivi un atto con word, lo 
stampi e lo firmi creando cos� l'originale analogico: il file word � una copia 
informatica dell'originale analogico stampato e firmato. 
Se invece con lo scanner acquisisci in un file l'immagine del documento analogico, 
crei una copia informatica per immagine (quando apri il file vedi l'immagine 
del documento e non solo lo stesso testo o contenuto, perci� si chiama 
"per immagine"). 
Se invece ad esempio scarichi il duplicato informatico o la copia informatica 
di una sentenza e la stampi su carta, ottieni la copia analogica del duplicato 
informatico o la copia analogica della copia informatica. Idem se stampi su 
carta il duplicato informatico di un atto sottoscritto con firma digitale. 
Ricorda che la cosa migliore da fare � usare copie informatiche in formato 
.pdf (lascia perdere altri formati, pure consentiti). 
Se � tutto chiaro, non avrai difficolt� a questo punto a capire cosa sono: 
il duplicato informatico (file identico all'originale informatico); 
la copia informatica (tratta solitamente da originale o duplicato informatico); 
la copia informatica per immagine (tratta con lo scanner da originale o copia 
analogica); 
il duplicato informatico estratto dal PCT; 
la copia informatica estratta dal PCT; 
la copia informatica per immagine dell'originale analogico estratta dal PCT 
(quest'ultima, per la verit�, non � espressamente contemplata nel PCT che si 
limita a chiamarla sempre e solo "copia informatica", ma esiste nel codice dell'amministrazione 
digitale). 
Questi sono i documenti informatici che puoi allegare alle notifiche a mezzo 
PEC. 
Il documento informatico da notificare e allegare al messaggio PEC va firmato 
digitalmente o ne va comunque attesata la conformit� all�originale? 
Come si fa l�attestazione?
14 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2015 
Gli atti del PCT formati in originale informatico vanno firmati digitalmente 
(dal giudice, dall'avvocato, dal consulente ecc.); ergo i duplicati informatici 
(che sono file identici agli originali), usati per le notifiche, sono gi� firmati. E 
quindi, i duplicati informatici (anche quelli estratti dal PCT) non vanno rifirmati. 
Basta allegarli cos� come sono. 
Le copie informatiche e le copie informatiche per immagine sono invece prive 
di firma e sai gi� che possono essere estratte dal PCT o formate direttamente 
dall'avvocato a mezzo scanner da originali analogici o da copie analogiche 
(anche da quelle rilasciate dalla cancelleria). 
Quando allega al messaggio della notifica una copia informatica, l'avvocato 
deve attestarne la conformit� al corrispondente atto estratto dal PCT ovvero 
all'originale o copia analogica. 
L'attestazione della conformit� della copia informatica la puoi fare direttamente 
nella relazione di notificazione, senza che occorra fare altro. 
Qualcuno preferisce sovrascrivere la copia informatica (con appositi programmi 
o mediante unione di file), inserendo cos� nello stesso file .pdf l'attestazione. 
Quando il file lo crei da scanner, puoi anche aggiungere tra i fogli da scannerizzare 
un'ultima pagina nella quale metti l'attestazione, eventualmente firmata (1). 
Anche se non � necessario perch� non previsto, qualcuno preferisce firmare 
digitalmente la copia contenente l'attestazione. 
Ricorda che l'avvocato non pu� autenticare atti che autorizzano il prelievo di 
somme vincolate all'ordine del giudice e non pu� formare copie esecutive di 
provvedimenti del giudice. 
Al messaggio PEC devo allegare anche il file della relazione di notificazione. 
Cosa devo scrivere nella relazione? 
Esatto. � di fatto un "verbale" (come quello dell'ufficiale giudiziario), nel quale 
devi scrivere quello che fai (ossia l'invio a mezzo PEC). 
Non ti dimenticare che la relazione di notificazione deve essere un documento 
informatico sottoscritto con firma digitale (avrai gi� intuito che l'allegato al 
messaggio sar� pertanto un duplicato informatico), che deve contenere: 
� il tuo codice fiscale (noi inseriamo il codice dell'Avvocatura); 
� il nome della parte che rappresenti, il suo codice fiscale e l'indicazione della 
procura; 
� l'indicazione dell'atto che notifichi; 
� gli estremi della causa al quale � riferito l'atto (in particolare per i du- 
(1) Io utilizzo un foglio gi� pronto nel quale ho scritto: �Ai sensi degli artt. 16-bis, commi 2 e 9 bis, 16- 
decies e 16-undecies del decreto legge 18 ottobre 2012, n. 179, convertito, con modificazioni, dall'art. 
1, comma 1, L. 17 dicembre 2012, n. 221 e succ. modifiche, si attesta che la presente copia informatica 
per immagine � conforme all�originale su supporto analogico detenuto dall'Avvocatura dello Stato�.
TEMI ISTITUZIONALI 15 
plicati informatici estratti dal PCT, nei quali, a differenza delle copie informatiche, 
non ci sono le annotazioni di cancelleria relative alla causa); 
� il destinatario, il suo indirizzo PEC e il registro pubblico dal quale lo hai 
estratto; 
� l'indirizzo PEC dal quale invii il messaggio e il registro pubblico dal quale 
pu� essere estratto; 
� la presenza in allegato della relazione di notificazione sottoscritta con firma 
digitale; 
� il tipo di documento informatico allegato; 
� l'attestazione di conformit� all'originale se � allegata una copia informatica 
o una copia informatica per immagine. 
Mi pare a questo punto tutto molto semplice! 
E nel messaggio PEC devo scrivere qualcosa? 
Non � previsto che debba scrivere nulla. 
Io di solito avverto che il messaggio equivale a notificazione ai sensi della 
legge 53/1994. 
Devi solo ricordarti (questo � previsto dalla legge) che l'oggetto del messaggio 
deve contenere la dizione �notificazione ai sensi della legge n. 53 del 1994" 
e che la ricevuta richiesta del messaggio PEC che invii deve essere "completa". 
Posso vedere un esempio semplice di relazione di notificazione? 
Eccolo: 
AVVOCATURA DISTRETTUALE DELLO STATO DI BARI 
RELAZIONE DI NOTIFICAZIONE 
EX ART. 3 BIS DELLA LEGGE 21 GENNAIO 1994, N. 53 
E 55 DELLA LEGGE 18 GIUGNO 2009, N. 69 IN MODALIT� TELEMATICA 
L'Avvocatura Distrettuale dello Stato di Bari (cod. fisc. 93003250722), con sede in Bari alla via Melo 
da Bari n. 97, difensore ex lege del Ministero dell'interno, cod. fisc. 97149560589, ai sensi dell'art. 3- 
bis della legge n. 53/1994, 
NOTIFICA 
la sentenza n. 123/2015 del Tribunale ordinario di Bari, depositata in data 12 novembre 2015 nella causa 
civile iscritta al n. 239/2010 RG - Contenzioso, all'Avv. Mario Rossi, nella qualit� di difensore e procuratore 
costituito del sig. Giovanni Verdi, con indirizzo PEC mario.rossi@pec.it, estratto dall'elenco pubblico 
INIPEC, inviandone a tale ultimo indirizzo, a mezzo posta elettronica certificata spedita 
dall'indirizzo ads.ba@mailcert.avvocaturastato.it pubblicato nell'elenco pubblico REGINDE, unitamente 
alla presente relazione di notificazione sottoscritta con firma digitale dall'Avvocato dello Stato Valter 
Campanile (Cod. Fisc. CMPVTR63T04A662J), la copia informatica estratta dal fascicolo processuale informatico 
e della quale il medesimo Avvocato attesta la conformit� al corrispondente atto estratto. 
Bari, 
originale sottoscritto con firma digitale da 
Valter Campanile - avvocato dello Stato 
Per comodit� riporto le diverse formule che uso per descrivere il "tipo" di allegato 
alla email e che vanno a sostituire gli ultimi due righi dell'esempio:
16 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2015 
se invio un duplicato informatico di un mio atto in originale informatico: 
il duplicato informatico dell'originale informatico sottoscritto con firma digitale 
dal medesimo Avvocato dello Stato Valter Campanile; 
se invio una copia informatica per immagine di un originale analogico: 
la copia informatica per immagine dell'originale formato su supporto analogico, 
della quale il medesimo Avvocato dello Stato attesta la conformit� all'originale; 
se invio una copia informatica per immagine di una copia analogica conforme 
all'originale: 
la copia informatica per immagine della copia conforme all'originale formata 
su supporto analogico, della quale il medesimo Avvocato dello Stato attesta 
la conformit� all'originale; 
se invio un duplicato informatico di un atto estratto dal fascicolo processuale 
informatico: 
il duplicato informatico estratto dal fascicolo processuale informatico; 
se invio la copia informatica di un atto estratto dal fascicolo processuale informatico: 
la copia informatica estratta dal fascicolo processuale informatico e della 
quale il medesimo Avvocato attesta la conformit� al corrispondente atto 
estratto; 
se invio la copia informatica per immagine dell'originale analogico estratto 
dal fascicolo processuale informatico: 
la copia informatica per immagine dell'originale formato su supporto analogico 
estratta dal fascicolo processuale telematico e della quale il medesimo 
Avvocato attesta la conformit� al corrispondente atto estratto. 
Cosa succede quando invio la PEC al destinatario e cos'altro devo fare? 
Quando invii la PEC oltre a ritrovare una copia del messaggio spedito nella 
cartella della "posta inviata", riceverai, se tutto va a buon fine, la ricevuta di 
accettazione (che costituisce la prova che il tuo gestore di posta ha preso in 
carico il messaggio da inviare) e la ricevuta di consegna (che costituisce la 
prova che il gestore di posta del destinatario ha recapitato il messaggio nella 
casella di posta del destinatario). 
La data della prima ricevuta equivale alla data di consegna all'Ufficiale giudiziario 
(utile per verificare se sei incorso in qualche decadenza); la data della 
seconda ricevuta equivale alla data di perfezionamento della notificazione per 
il destinatario. 
Il messaggio e le ricevute le devi scaricare sul tuo PC e conservarle perch� 
costituiscono la prova della notificazione.
TEMI ISTITUZIONALI 17 
Come faccio, in pratica, a provare che ho notificato un atto a mezzo PEC? 
Dipende da dove lo vuoi provare e a chi. 
La prova la puoi dare infatti sia con un documento analogico, sia con modalit� 
informatiche e telematiche. 
Se ha bisogno di una copia analogica dell'atto notificato (perch� magari si 
tratta di un atto di appello che ti serve per l'iscrizione a ruolo mediante deposito 
del fascicolo nella cancelleria), devi stampare l'atto notificato, la relazione di 
notificazione, il messaggio di invio, la ricevuta di accettazione e la ricevuta di 
consegna e poi devi attestarne la conformit� ai corrispondenti documenti informatici. 
Ti consiglio di tenerli uniti e spillarli insieme all'attestazione di conformit�, 
in modo da creare un unico atto. 
L'attestazione io la faccio ad esempio cos� (usando un modello word in cui va 
cambiato solo il tipo di atto notificato e il numero di pagine; per il resto � sempre 
uguale): 
AVVOCATURA DISTRETTUALE DELLO STATO Dl BARI 
ATTESTAZIONE Dl CONFORMIT� 
(art. 9 della legge 21 gennaio 1994, n. 53) 
Il sottoscritto Avvocato dello Stato Valter Campanile attesta che la presente copia - che consta di 17 (diciassette) 
facciate compresa la presente (ed escluse le facciate bianche annullate) - � conforme: 
a) al duplicato informatico dell'atto di appello sottoscritto con firma digitale dall'Avvocato dello Stato 
Valter Campanile e notificato in modalit� telematica; 
b) al duplicato informatico della relazione di notificazione in modalit� telematica sottoscritta con firma 
digitale dall'Avvocato dello Stato Valter Campanile; 
c) al duplicato informatico del messaggio spedito dall'indirizzo di posta elettronica certificata della mittente 
Avvocatura Distrettuale dello Stato di Bari all'indirizzo di posta elettronica certificata del destinatario 
ai fini della notificazione; 
d) al duplicato informatico della ricevuta di accettazione del messaggio di cui alla lettera c), generata 
dal gestore della posta elettronica certificata della mittente Avvocatura Distrettuale dello Stato di Bari e 
pervenuta all'indirizzo di posta elettronica certificata della stessa mittente; 
e) al duplicato informatico della ricevuta di consegna del messaggio di cui alla lettera c), generata dal 
gestore della posta elettronica certificata del destinatario e pervenuta all'indirizzo di posta elettronica 
certificata della mittente Avvocatura Distrettuale dello Stato di Bari. 
Bari, 
Valter Campanile - avvocato dello Stato 
Se devi invece depositare la prova della notificazione nel PCT, ti basta inviare 
i file del messaggio, delle ricevute, dell'atto e della relazione di notificazione 
allegati al messaggio con le modalit� previste per i depositi telematici (usando 
cio� il "redattore atti"). 
Ma c'� un modo rapido per predisporre la relazione di notificazione? 
Puoi sfruttare le potenzialit� di word, creando modelli appositi, con maschere di 
inserimento e scelte semplificate da liste accessibili mediante il tasto destro (...)*. 
(*) Per problemi tecnici non � possibile stampare due screenshot del modello utilizzato dall�Autore 
(ndr).
18 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2015 
Un'ultima curiosit�. Ho sentito parlare dell'impronta di Hash, ma non ho 
capito bene di cosa si tratta e a che cosa serve. 
L'impronta di Hash ha la stessa funzione delle "impronte digitali" lasciate dalle 
mani. 
Come l'impronta digitale identifica univocamente una persona, l'impronta di 
Hash identifica univocamente il file dal quale � tratta. L'impronta, infatti, si 
calcola sottoponendo il file a una elaborazione mediante apposita formula (algoritmi 
SHA256 e MD5) che restituisce un numero unico. Chiunque pu� calcolare 
l'impronta di un file creato o ricevuto. 
Questo � un esempio di impronta di Hash SHA 256 di un file .p7m 
File: Appello notificato - RG 460-2015 (CT 88-2015 CM).pdf.p7m 
Dimensioni: 2514286 bytes 
Impronta SHA256: 70a57035add6c76126076e1d11eb38a1df3e155a83da237926dd7b1aa9c6cefc 
Impronta MD5: 766ce50a8befbb8003fI 9d0a704f785f 
Riferimento temporale UTC: 2015-10-21T09:51:40.048Z 
Se cambio anche un solo carattere del testo (e, quindi, anche solo un bit) del 
file, l'impronta viene significativamente modificata. 
A questo punto pu� essere intuitivo l'uso (anche se non ancora codificato dalle 
regole tecniche del PCT). 
Pu� essere utilizzata per attestare la conformit� di una copia informatica all'originale 
dal quale � tratta, nel caso in cui la dichiarazione di conformit� sia 
contenuta in un file separato dalla copia informatica e non sia possibile creare 
"un'unione informatica" tra i due file (come ad esempio avviene per gli allegati 
dei messaggi PEC uniti dalla "busta telematica" del messaggio). 
Essendo separati i file, non si avrebbe certezza dell'esatta individuazione del 
file al quale � riferita l'attestazione, non essendo il nome del file idoneo ad attestarne 
il contenuto (in altre parole, se l'attestazione fosse riferita al solo nome 
del file, sarebbe possibile sostituire il file della copia informatica con altro 
avente uguale nome, senza possibilit� di accertare se sia stata sostituito o no). 
Con l'impronta di Hash si risolve il problema. Dichiarando nell'attestazione 
che la copia informatica conforme all'originale � quella contenuta nel file 
xxx.pdf con impronta Hash 87244..., si costituisce il collegamento necessario 
tra dichiarazione e file. Chiunque infatti, calcolando l'Hash del file, potr� verificare 
se l'attestazione di conformit� sia o meno riferita proprio a quel file. 
Detto in modo pi� semplice, se ricevi un file e chi te lo manda ti dice: �ti 
mando il file con impronta di Hash 87244... ed � conforme all�originale�, tu 
puoi facilmente verificare se l'attestazione di conformit� � riferita esattamente 
al file che ti ha mandato. Ti basta calcolare l'impronta del file ricevuto e confrontarla 
con quella che ti ha indicato il mittente. 
Quando nel PCT accedi agli atti depositati e trovi i relativi documenti informatici, 
trovi sempre l'impronta di Hash del duplicato informatico dell'atto. �
TEMI ISTITUZIONALI 19 
di fatto l'attestazione della cancelleria utile per l'esatta individuazione del file 
che pu� essere estratto. 
Spero che ora sia tutto pi� chiaro e ... possa stare pi� sereno! 
Per i curiosi dei riferimenti normativi, � a disposizione un'articolata circolare 
dell'Avvocatura Generale dello Stato (*). 
Valter Campanile (**) 
(*) Pubblicata nel numero precedente di questa Rass., Vol. 3, 2015, pp. 1 ss. (ndr). 
(**) Avvocato dello Stato.
CONVEGNO 
Avvocatura Generale dello Stato, Sala Vanvitelli, 14 gennaio 2016 
�Prescrizione e decadenza nel diritto civile 
Aspetti sostanziali e strategie processuali� 
Presentazione del libro di Michele Gerardo e Adolfo Mutarelli 
(G. Giappichelli Editore, 2015, pp. XVIII-446) 
RELAZIONI: Giovanni Marino, Il tempo giuridico tra principi e regole. Brevi annotazioni 
su prescrizione e decadenza; Valeria Nuzzo, La prescrizione dei crediti di lavoro e il metus 
del lavoratore: inedite questioni interpretative legate alla riforma della disciplina sanzionatoria 
del licenziamento; Mario Capolupo, I rapporti tra estinzione del processo e prescrizione 
con particolare riguardo al giudizio tributario. 
GIOVANNI MARINO (*) 
Il tempo giuridico tra principi e regole 
Brevi annotazioni su prescrizione e decadenza 
Signore, signori, autorit� 
sono onorato molto di questo invito e grato, in special modo, agli organizzatori 
per l�occasione che m�hanno donato, quella di aver tra le mani, confrontarmi 
e studiare un volume, tutto di diritto positivo. � cosa questa che non 
accade di frequente ai filosofi del diritto; e non � detto che ci� sia un bene. 
Certo con tutti i giuristi che, valorosamente, si danno alla filosofia, noi, filosofi 
del diritto, siamo obbligati ad una sorta di rincorsa. Saremo giudicati - sta 
scritto - da i frutti. 
Il mio tema �: il tempo giuridico tra principi e regole; con annotazioni, 
brevi, su prescrizione e decadenza. 
(*) Professore, gi� Ordinario di Filosofia del diritto, Universit� degli Studi di Napoli Federico II.
22 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2015 
Ho l�obbligo, dapprima, di fermare alcune annotazioni quanto al volume 
che quest�oggi viene presentato. 
Sulle mille questioni di diritto positivo che vi stanno ospitate, poco ho da 
dire: alcune cose, forse anche pi� di una, ho ricordato da i miei, ahim� risalenti, 
studi di giurisprudenza e, molto altro, felicemente vi ho appreso. Avrei da lavorarci 
ancora, lo confesso. 
Dir� piuttosto qualcosa da non pi� giovane cultore della ermeneutica giuridica. 
Specialmente ci�: ho trovato essere stata, da parte degli autori, scelta, 
molto felice, quella di tenersi armoniosamente al testo-codice, con una esposizione 
rigorosa ed essenziale. 
Certo, tra il codice e noi qualche anno � passato! Ma questo mi � sembrato 
meritorio negli intenti dei nostri autori: tenere il nuovo - le inquietudini della 
dottrina, le insorgenze legislative, la variet� dei casi, l�ondeggiare anche della 
giurisprudenza - entro il sistema, la logica stretta del codice, in una preziosa 
testimonianza di fedelt�. 
� a tutti noi ben noto quanto sta nelle pagine del gran maestro dell�ermeneutica 
giuridica italiana Emilio Betti: solo l�interprete fedele � quello che dischiude 
tutte le possibilit� di un testo, facendo vedere, all�occorrenza, quali 
ne fossero divenuti, eventualmente, i luoghi difficili. Il commento, quand�anche 
dovesse apparire necessitato, frantuma: non dico che esso non possa tornare 
utile, ma, di certo, molto meno giova, utile, al sistema. Anche letture, non 
certamente in s� illegittime, in senso procedimentale o processualistiche dei 
nostri istituti, sono, in questo volume, contenute e modulate, strategicamente. 
Per il primato o primazia del sostantivo, in argine a scivolamenti, quantomeno, 
da pi� di un lato, rischiosi. 
Vengo, senz�altro, al mio �tempo giuridico�: tempo giuridico, prescrizione, 
decadenza. Il tempo giuridico tra principi e regole. In altri termini: come 
e perch� io assuma che la prescrizione venga e possa esser tenuta nel dominio 
dei principi, intesa meglio entro di essi; e la decadenza, per converso, in quello 
delle regole. 
Ho necessit� di dar conto, disegnare e rappresentare alcune grandi linee 
che mi facciano, per cos� dire, da sfondo. A cominciare proprio da �tempo giuridico�. 
Che cosa esso sia, cosa, con �tempo giuridico�, si intenda, e stia sotteso 
ad esso. 
Il sintagma �tempo giuridico� convoca due entit� che eccitano l�una e l�altra, 
l�una forse pi� dell�altra, i filosofi: il tempo, appunto, e il diritto. L�eccitazione, 
come accade sovente, non ingenera chiarezza: il tempo - ci vien detto 
- ci salver� dal diritto; ma anche: il diritto sar�, esso, a salvarci dal tempo. 
Questo corre. � molto probabile che, in frasi di questo genere, tempo e diritto 
alludano, e significhino, cose tra di loro diverse.
CONVEGNI 23 
� andata cos�: tempo e diritto, il �tempo giuridico� � stato, e ancora si 
tiene, come uno dei grandi temi della filosofia del diritto. A far data, almeno, 
dalla seconda met� del secolo scorso. Cominci� Gerhart Husserl, con il suo 
Recht und Zeit del 1955 (la traduzione italiana Diritto e Tempo � del 1998): 
�intemporalit��, o, come traducono altri, �detemporalizzazione� del diritto, e, 
non da meno, ad un tempo, �struttura temporale del diritto�. 
Gerhart Husserl, filosofo del diritto, era figlio di quell�Edmund Husserl, 
maestro pi� che autorevole, ben presto rinnegato, di Martin Heidegger. Martin 
Heidegger, Sein und Zeit, (Essere e Tempo), 1927, il filosofo, ossia, della pi� 
radicale - lo dico alla grossa, chiedendo venia ai filosofi e alla filosofia - soggettivazione 
del tempo. Einstein aveva riassorbito lo spazio nel tempo, la 
grande filosofia si faceva carico di far tutt�uno dell�esistenza e del tempo. 
La letteratura filosofico-giuridica italiana ha, sul nostro tema, �tempo e 
diritto�, voci autorevoli: da quella di Luigi Bagolini ad Enrico Opocher, da 
Sergio Cotta a Gino Capozzi, quest�ultimo mio professore napoletano. Per Capozzi 
la prospettiva di studio, in verit�, va in modi non poco diversi. Ma la direzione 
generale mi � apparsa essere sempre, pi� o meno questa: il tempo 
oggettivo, il tempo-cambiamento, se volete il tempo oggettivato, o comunque 
misurato, attenta, insidia e ferisce il tempo coscienziale; il diritto, solo il diritto, 
dacch� invenzione precipua dell�umano, sar�, esso, a salvarci. Specialmente 
se, come oggi viene vieppi� a leggersi, col dire diritto, non d�altro si direbbe 
che della persona, della persona umana. 
Eppure, con pari legittimit� filosofica, non manca - tra i filosofi sono i 
pi� - chi ci dice essere proprio il diritto l�instrumentum di quella astrazione 
dalla vita, dal concreto, dall�evento, astrazione di cui il tempo oggettivato, 
l�oggettivazione del tempo, non sarebbe che il primo decisivo segno. 
Capite bene perch� io mi sia deciso per un�altra via, proponendomi, a voi, 
con un �tra principi e regole�. Da, a mio modo di vedere, pi� propriamente, filosofo 
del diritto; checche ne possano dire di ci� i filosofi del diritto con la 
effe maiuscola. 
�Tra principi e regole�. Tra �principi� e �regole�, lo sa bene chiunque abbia 
un po� di confidenza con la letteratura, �, pur esso, un campo non privo di insidie. 
Che cosa � - ci si chiede tra giuristi e filosofi - che cosa diciamo essere 
un principio? A guardar bene tutto e, a un tempo, forse anche nulla. Che cosa 
� una regola? La regola, si dice, lavora col dentro o fuori. Ma � propriamente 
sempre cos�? Dalla regola, dalle regole al principio, assumono alcuni ancora; 
ma, tanti altri, i pi� oggi, vogliono semmai: dal principio la regola, da i principi 
le regole. E siamo ben certi che principi e regole vadano, nelle varie occasioni, 
nel medesimo senso; che principi e regole siano sottesi da una medesima intenzione 
normativa? 
Pi� spesso, l�impressione � questa: le supposte definizioni reali, il cosՏ
24 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2015 
un principio o una regola, nascondono questioni che sono tutt�altre, nella gestione 
del normativo, tra i signori del diritto. Sovente vien detto esser principio 
il criterio d�una decisione che, per avventura, non sia non conforme ad una 
regola. Con buone ragioni un meditato seminario napoletano sta lavorando ad 
un confronto tenace tra l�esperienza latamente romanistica delle regulae iuris 
e la logica, oggi, delle regole e della normativit�. 
Vi confesso il mio intento: non essenze ma la ricerca, entro l�esperienza 
giuridica, di una regione che possa esser detta, in modo pi� conveniente che 
altre, propria dei principi. Verr� da essa, confido ne converrete, perch� quanto 
attiene alla prescrizione possa esser detto appartenere al campo dei principi; tenendo 
la decadenza, cos� come altre invenzioni del diritto che hanno a che fare 
col tempo - pensiamo, ad esempio, ai termini -, entro il dominio delle regole. 
Il diritto, secondo un�antica lezione rinverdita da Benedetto Croce, � cosa 
del fare. In quanto cosa del fare suppone, fa i conti, con il possibile, discriminando, 
entro di esso, l�utile. I nostri istituti, la prescrizione la decadenza, ci 
mostrano, nelle cose stesse, come il diritto dica qualcosa, come al diritto non 
sia estraneo o altro il tempo. Che significa ci�? Di certo questo: il tempo � entit� 
che il diritto assume essere iscritta entro il possibile, in quanto e dacch� 
utilizzabile e utile. 
� un fatto: la nostra, moderna, rappresentazione del tempo, il tempo che 
esperimentiamo, � quella di un tempo lineare e irreversibile. Non da meno: se 
questo, siffatto, � il tempo che ci occupa, �, esso, proprio questo il tempo che 
noi occupiamo. Usandolo. Il pi� delle entit� del nostro mondo si lasciano 
usare; nell�uso, con l�uso e per l�uso, esse si lasciano trasformare: lavorare. 
L�uso non trasforma, direte, il nudo tempo. Ma non possiamo non dirci, ci inganneremmo, 
se non muovessimo da ci�: le societ� giuridicamente strutturate 
usano, lavorano nel tempo, lavorano il tempo. 
Possibilit�, utilit�, uso. Colpevolmente forse per me, felicemente per noi 
tutti, eviteremo di interrogarci sulle letture e riletture della �potenza� aristotelica, 
delle sue variazioni tomistiche, e cos� via � Osservo qui solo: gi� il numerare, 
il nominare, il ripartire, sono modi e vie di qualcosa che ben potremmo 
dire appropriazione, nel e per l�uso del tempo. Taluni pensano che le societ� 
a-venire debbano sospendere la potenza, ritrarsi da essa, volgere la potenza 
contro se stessa, perch� il tempo, un tempo senza diritto, si dia a noi salvo, e 
salvifico. Ma un tale da essi sospirato tempo non �, esso, il tempo della storia, 
il tempo delle nostre plurali storie. 
Due brocardi campeggiano nelle rappresentazioni giuridiche del tempo: 
�prior in tempore potior in iure� e �lex posterior derogat legi priori�. Traduco, 
con una infedelt� di cui mi vergogno, ma che non tradisce l�essenziale:
CONVEGNI 25 
la legge antica vince sulla nuova; e, per converso: � la legge nuova, quella posteriore, 
a vincere sulla legge data prima. Non vi � dubbio che sia il secondo 
di essi a segnare, corposamente, nel diritto quella et�, quella stagione della 
nostra storia, che con bella, seppure abusata, parola, diciamo �modernit��. 
Che cosa si � dato tra il tramontare dell�uno e il consolidarsi dell�altro? 
Questo, semplicemente: l�invenzione nell�Occidente continentale, del codice. 
Il codice, da subito, si � preteso esser un testo totale. Figlio e segno dei Lumi, 
pregno della giuridificazione del politico, cos� come della politicizzazione del 
diritto, il codice si � voluto e posto come macchina compiuta per la gestione 
dello stare insieme. Amministrazione e invenzione, non meno, per l�astrazione 
detemporalizzante che Gerhart Husserl ci ha mostrato, di un suo tempo. 
I Lumi avranno, e avrebbero pur dovuto tanto altro da rischiare. Intanto 
� questo che la loro luce ci ha fermato: la consistenza giuridica, nel tempo e 
contro di esso, dei soggetti e delle cose. Un Locke, per cos� dire, a met�; se 
essi, i Lumi, hanno tenuto oscurato il lavoro, quel lavoro che le cose trasforma 
e usa. Se per la modernit� il tempo si � dato e si d� in quanto e quale tempo 
usabile, il lavoro vi � caduto a merce. Non � per caso che i profeti dell�Ottocento 
avrebbero guardato al tempo libero, libero dal lavoro, come un tempo 
degno dell�uomo. 
Nelle pratiche e nel linguaggio delle conventualit� religiose del lungo 
Medioevo, l�hora � l�unit� delle prestazioni doverose dei membri della comunit�; 
sicch� l�horologium era, di esse - letture, preghiere o meditazioni - la sequenza 
ordinata e prescritta. In dipendenza, ma in sostanziale indifferenza, 
all�andare delle stagioni. 
Ma un pontefice avrebbe avuto anche altro di cui aver cura. Quantomeno 
l�assicurare la concretezza storico-effettuale della grande mediazione di cui la 
Chiesa si vuole ed � organo, autore, e custode. Il tempo andava rinumerato, 
perch� non vi fosse scarto tra l�ordine naturale del creato e il modo con il quale 
esso era, dalla citt� dei fedeli, usato nei modi del suo storico vissuto. 
Potestativamente. Forse potremmo anche dire di una politicit�, per l�opera 
di Gregorio XIII, ma questa � fuori di dubbio, quanto alla misurazione giuridica, 
all�uso del tempo secondo il codice. Da quello napoleonico agli altri che 
da esso ci sono venuti. 
Facciamo il punto. La modernit� giuridica �, precipuamente, uso del 
tempo. Il diritto si acconcia al nudo tempo e acconcia a s� la estrinseca necessit� 
che gli � il tempo; usando il tempo, il diritto si protegge dal tempo, e corre, 
per cos� dire, con lui. Al fondo il diritto moderno fa con il tempo quello che fa 
con tutto quanto ad esso si apre come possibile, a fronte del necessario: l�astrazione 
giuridica necessiter�, artificialmente, come obbligo, quanto entro il possibile 
venga, da chi ne abbia il legittimo potere, selezionato quale utile. 
26 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2015 
� questa la regione propria dei principi, quella regione dell�esperienza 
che fa da soglia tra necessit� e utilizzabilit�. Principio �, entro il dominio del 
giuridico, lemma che pi� di altri conviene alla riconfigurazione giuridica di 
quanto il possibile guadagna sulla necessit�. 
La prescrizione � cosa dei principi. Di essa non si dice bene se non la 
si guarda tutta nel suo complesso: ci� che, per il codice, si prescrive, e, specialmente, 
ci� che non si prescrive. E ne viene, si converr�, un�immagine 
che dice pi� di una cosa quanto alla cultura giuridica della modernit�. Infatti: 
non si prescrivono i diritti che fermano giuridicamente le soggettivit�, e il 
diritto che ascrive la titolarit� dei beni immobili alle entit� soggettive. Esposti 
alla prescrizione non sono che i diritti disponibili, quei diritti di cui non 
si sia disposto, quei diritti non usati nel, diversamente per ciascuno di esso, 
tempo usabile. Esposti, dacch� bene chiede il titolare di essi, e bene, non 
potendo ripetere, adempie chi ne sia controparte. Nella logica di un tempo 
riscritto nella sua usabilit�, il decorso del nudo tempo non incide se non 
quando esso venga eccepito. 
L�uso del tempo, nelle intenzioni tradite della modernit�, � precipuamente 
il lavoro. Non si pu� dire che il principio dell�articolo 1 della nostra Costituzione 
abbia conosciuto molta fortuna. Il sopravvenire costante di urgenze di 
tutele per il lavoro subordinato, in una a quella, di tutt�altra fatta, di non liberarlo 
che per il consumo, ha fatto aggio sulla rappresentazione di una comunit� 
che avrebbe potuto, e dovuto riconoscersi, nel suo occupare il tempo, come 
lavoro, ossia trasformazione operosa del mondo. 
L�affetto, la fiducia dei giuristi per il diritto fa sovente ad essi tralasciare 
che la selezione materiale delle utilit� non � cosa della macchina giuridica 
come tale; quanto che siano meritorie le imprese di quelli che lavorano alla 
necessitazione giuridica dei �bisogni dell�individuo contemporaneo�, per dirla 
con un maestro napo-romano della filosofia del diritto del secolo scorso. 
Nel gioco, e per il gioco delle utilit� garantite, il diritto si avvale di regole 
che convocano il tempo. � quanto accade con la decadenza. In una sofisticata 
dottrina delle regole, le regole che esigono un �facere� quale condizione necessaria 
per l�esercizio di un diritto, vengono configurate come regole non regolative; 
per la necessit�, anankastiche, per la previsione di una decadenza, 
costitutive. Lascio subito da parte questioni siffatte, e salto non meno le non 
irrilevanti inquietudini dogmatiche circa la configurazione risolutiva, procedimentale 
o processuale dell�istituto. Mi fermo, qualche istante, sul regime di 
eccezionalit� riconosciuto, a seguire il codice, ad esso. 
Intanto: il tempo che � in questione nella decadenza non � il tempo, il medesimo 
tempo che � in gioco nella prescrizione. Mi limito a questa annotazione: 
di quanto il tempo della decadenza sia un tempo del tutto interno al
CONVEGNI 27 
diritto, di tanto esso viene in conto come tempo vuoto o nudo. Il tempo della 
prescrizione � nella disponibilit� delle parti; non cos� il tempo della decadenza. 
Si intende la eccezionalit�; essa segnala come uno scandalo nella logica, nel 
sistema, nella cultura del codice. L�artificialit� del tempo nudo della decadenza 
devia, eccede dal tempo secondo e per il sistema �codice�. Accade infatti che 
istanze sostantive vengano, in tal modo, incise dal mero correre del tempo. 
Mi avvio a concludere. Non posso, tuttavia, farlo senza qualche ulteriore 
annotazione. Prende una prima certa consistenza l�idea di una rilevabilit� d�ufficio 
della prescrizione. � ci� segno di qualcosa e di che cosa? 
Scorro qualche recente fortunata pagina di un fisico teorico, Carlo Rovelli, 
e trovo questo: il tempo non esiste. Mi direte ci� � vero, varr� per ed 
entro una fisica quantistico-gravitazionale! Qualcuno potrebbe aggiungere che 
gi� un personaggio di una poesia di Eduardo De Filippo, E allora bevo �, dinanzi 
all�ultimo sorso di vino, si era detto che il passato non esiste pi�, il futuro 
non ancora, e gi� � a vuotare la bottiglia. Che il tempo non esiste � cosa solo 
dei fisici e dei poeti? 
� fuor di dubbio: una frase come questa, �il tempo non esiste�, corre e ci 
rincorre, ci � divenuta quasi familiare. Una ragione della sua fortuna cՏ � e 
non � quella che ci siamo fatti tutti allievi di Carlo Rovelli. 
Che cosa, di quale tempo prendiamo a dire allora che ci diciamo che �il 
tempo non esiste�? Semplice e difficile. Lineare e irreversibile, che sia cos�, 
o abbiamo tenuto che fosse, il tempo prende a non essere pi� avvertito da noi 
come necessit�. � su di un tale tempo che la modernit� aveva insediato, e tessuto, 
economia, etica e diritto. � stato questo il tempo che la modernit� ha 
lavorato e, a fronte del quale, ha protestato, con il codice, l�identit� del soggetto 
giuridico, lo statuto delle cose, la stabilit� delle relazioni, la vittoria dei 
suoi diritti. 
Ultima modernit�, post-modernit�, globalizzazione, scegliete voi. Si direbbe 
che l�esplosione del materialmente possibile abbia l�aria di star, per noi, 
consumando la necessit�, qualunque cosa ci si desse come necessit�. Accelerazioni 
non uniformi, dromizzazione, come si dice, del tempo; �eventimizzazione� 
e precarizzazione delle identit�, smaterializzazione dei beni, parcellizzazione e 
�cosalizzazione� del lavoro. La pressione esponenziale del possibile fa andare 
in folle la selezione e discriminazione delle utilit�, lasciando accadere che esso, 
il possibile, si ritrovi ad essere misura stessa della liceit�: posso dunque devo. 
E non sai se ti sta vincendo la �presentificazione� della macchina giuridica, o il 
mero, e duro, presente dell�esistenza, ossia il fatto. 
Rilevabilit� d�ufficio della prescrizione. Se cos� fosse si dovrebbe poter 
dire che l�esercizio di un diritto oltre un, in qualche modo predeterminato, 
lasso di nudo tempo, non sarebbe che un ostacolo per il correre di un �tempo 
che non esiste�, d�un nuovo infelicitante capitalismo.
28 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2015 
Chiudo per davvero, chiedendo scusa per il tempo sottrattovi, e per la 
preziosa attenzione che mi avete prestato. I filosofi, si sa, amano le ultime 
cose, sono impazienti, ed io, di certo, non credo di essere sfuggito al loro fascino. 
La storia �, di certo, molto pi� paziente. Vi ho detto, fin dal principio, 
del mio particolare apprezzamento per la fedelt� al codice del nostro libro. 
Siamo, con i segni appena poco fa cennati, ancora, forse, alla periferia di un 
paradigma. Non � detto affatto che tale paradigma ceda. Ad ogni modo non 
sapremmo come cogliere i nuovi segni, se l�impianto non fosse coltivato, e 
tenuto, rigoroso e fermo. Ho affollato la vostra pazienza con mille volte diritto, 
tempo, uso del tempo, nudo tempo; credetemi, non potevo farne a meno. 
Grazie. 
VALERIA NUZZO (*) 
La prescrizione dei crediti di lavoro e il metus del lavoratore: 
inedite questioni interpretative legate alla riforma 
della disciplina sanzionatoria del licenziamento 
Il libro che oggi si presenta tratta un tema classico e apparentemente 
�fermo�, quello della prescrizione, ma che invece proprio nel diritto del lavoro 
si presenta di forte attualit�, al centro di un vivace dibattito in cui sono rimessi 
in discussione tutti gli approdi giurisprudenziali e dottrinali finora consolidatisi. 
Come gli stessi Autori sottolineano nel bel volume edito da Giappichelli 
(1), le riforme recenti del sistema sanzionatorio del licenziamento aprono 
anche in questa materia scenari inediti. 
Il problema si pone in relazione alla decorrenza o meno durante il rapporto 
di lavoro del termine di prescrizione del diritto di credito alla prestazione 
retributiva, stante la tutela Costituzionale dell�art. 36. 
ComՏ noto, la Corte costituzionale, nella storica sentenza del 10 giugno 
1966, n. 63 (2), ribadendo la natura immediatamente precettiva dell�art. 36 
della Cost. e l�irrinunciabilit� del diritto alla retribuzione, ha chiarito che il diritto 
alle prestazioni retributive non � imprescrittibile. Il fatto, cio�, che un diritto 
soggettivo sia irrinunciabile, non significa che esso sia perpetuo. Proprio 
(*) Professore associato di Diritto del lavoro, Seconda Universit� degli Studi di Napoli. 
(1) M. GERARDO, A. MUTARELLI, Prescrizione e decadenza nel diritto civile. Aspetti sostanziali e 
strategie processuali, Giappichelli, 2015, in part. pp. 143 e ss. 
(2) In Foro It., 1966, I, 985. Tra i molti commenti si v. G. PERA, Sulla decorrenza della prescrizione 
per il diritto al salario, in Foro It., 1966, I, 1652; V. SIMI, Sull�incapacit� giuridica del lavoratore 
a dimettere diritti in costanza di rapporto, in Dir. lav., I, 1968, 191; F. SANTORO PASSARELLI, Riflessioni 
sulla prescrizione nel rapporto di lavoro, in Riv. dir. lav., 1971, I, 10. 
CONVEGNI 29 
alla luce della irrinunciabilit�, tuttavia, la Consulta ha ritenuto che �non tutto 
il regime della prescrizione � compatibile colla speciale garanzia che deriva 
dall�art. 36 Cost.�. Sebbene durante il rapporto di lavoro non vi siano ostacoli 
giuridici che impediscano di far valere il diritto alla retribuzione, vi sono �ostacoli 
materiali, cio� la situazione psicologica del lavoratore, che pu� essere indotto 
a non esercitare il proprio diritto per lo stesso motivo per cui molte volte 
� portato a rinunciarvi, cio� per timore del licenziamento�. Cos� che se la prescrizione 
decorre durante il rapporto, si produce �proprio quell'effetto che l�art. 
36 ha inteso precludere vietando qualunque tipo di rinuncia: anche quella che, 
in particolari situazioni, pu� essere implicita nel mancato esercizio del proprio 
diritto e pertanto nel fatto che si lasci decorrere la prescrizione�. Secondo la 
Corte cՏ una equivalenza tra rinuncia e inerzia determinata dalla posizione 
di debolezza del lavoratore: in un rapporto non dotato di quella resistenza che 
caratterizza invece il rapporto di lavoro pubblico, il timore del recesso provoca 
l�inerzia del lavoratore e, se il termine di prescrizione decorre fatalmente durante 
il rapporto, quella inerzia produce gli effetti di una rinuncia, in contrasto 
con il precetto costituzionale. 
Sulla base di queste argomentazioni, la Corte costituzionale dichiar� la 
illegittimit� costituzionale degli artt. 2948 n. 4, 2955, n. 2, e 2956, n. 1 del codice 
civile limitatamente alla parte in cui consentono che la prescrizione del 
diritto alla retribuzione decorra durante il rapporto di lavoro. Tra la tesi della 
totale imprescrittibilit� del diritto alla retribuzione (3) e quella della sottoposizione 
di tale diritto alle normali regole civilistiche, la Corte scelse la strada 
della c.d. imprescrittibilit� temporanea o prescrittibilit� differita (4). 
Successivamente, tuttavia, cambiato il quadro normativo e introdotta la 
tutela reale contro il licenziamento illegittimo, la stessa Corte costituzionale 
ha fortemente ridimensionato la portata della sentenza ricordata (5). Da norma- 
(3) L. BIGLIAZZI GERI, Retribuzione e prescrizione, in Riv. giur. lav., 1966, II, 374, per la quale la 
imprescrittibilit� del diritto alla retribuzione deriva dall�art. 36 Cost., e C. SMURAGLIA, gi� ne La persona 
del prestatore nel rapporto di lavoro, Milano, 1967, in part. 369 ss. e poi in Indisponibilit� e inderogabilit� 
dei diritti del lavoratore, in Nuovo trattato di diritto del lavoro, diretto da G. MAZZONI - L. RIVA 
SANSEVERINO, Cedam, 1971, II, 717, in part. 734, per il quale la imprescrittibilit� e indisponibilit� del 
diritto alla retribuzione discende dalla sua natura di diritto della personalit�. 
(4) Cos� E. GHERA, La prescrizione dei diritti del lavoratore e la giurisprudenza creativa della 
Corte Costituzionale, in Riv. it. dir. lav., 2008, I, 3, qui 6. Invero qui si discusse se il rapporto di lavoro 
fosse da considerare come causa di sospensione del decorso della prescrizione (G. PERA, Sulla decorrenza 
della prescrizione cit., 1652) o come causa impeditiva della operativit� della prescrizione (oltre 
E. GHERA, op. cit., e gi� Sulla prescrizione dei diritti patrimoniali del lavoratore nel pubblico impiego, 
in Giurisprudenza Cost., 1971, 989, qui 1012, in tal senso F. SANTORO PASSARELLI, Riflessioni sulla prescrizione 
cit.; A. MARESCA, La prescrizione dei crediti di lavoro, Giuffr�, 1983, qui 165 e ss., a cui si 
rinvia per un approfondimento del dibattito). 
(5) Gi� C. cost. 20 novembre 1969, n. 143, in Riv. giur. lav., 1969, II, 711; e poi C. cost. 12 dicembre 
1972, n. 174, in Riv. giur. lav., 1973, II, 17, con nota di L. VENTURA, Corte costituzionale e prescrizione 
dei crediti di lavoro: brevi considerazioni su di una norma di legge inesistente e su di una sentenza che
30 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2015 
principio, tendenzialmente comprensiva di tutti i rapporti di lavoro (6), la Consulta 
ha limitato la imprescrittibilit� temporanea dei diritti retributivi ai soli 
rapporti in cui il lavoratore � effettivamente in una posizione di debolezza nei 
confronti del datore. Nei rapporti di lavoro connotati, invece, da stabilit� la 
prescrizione del diritto alla retribuzione corre anche durante il rapporto. Ma 
quali sono i rapporti stabili? 
Per la Corte costituzionale � connotato da stabilit� il rapporto di impiego 
pubblico (come affermato nella motivazione della stessa sentenza del 66 e ribadito 
nel 1969 (7)) nonch� quello in cui trovi applicazione l�art. 18 St. lav. 
(8), area da cui � per� necessario sottrarre le ipotesi di c.d. instabilit� putativa 
nelle quali sul regime astrattamente applicabile contro il licenziamento prevale 
l�indagine sulla concreta condizione di timore del lavoratore, come accade 
nelle ipotesi di lavoro irregolare in grandi aziende (9) ovvero in quelle in cui 
� incerta la consistenza dell�organico di impresa (10). 
Sulla base di tale lettura, nella giurisprudenza di legittimit� si � cos� consolidato 
l�orientamento secondo cui la decorrenza o meno della prescrizione 
in corso di rapporto deve essere verificata con riguardo al concreto atteggiarsi 
del medesimo, in relazione alla effettiva esistenza di una situazione psicologica 
di metus del lavoratore (11). 
l�ha dichiarata (parzialmente) costituzionale e in Giurisprudenza Cost., 1972, 2, 108, con nota di P. 
SAITTA, Un presunto ripensamento della Corte costituzionale in tema di prescrizione dei crediti di lavoro: 
validit� �sopravvenuta� o esatta individuazione delle norme a suo tempo invalidate?; C. cost. 10 giugno 
1979, nn. 40 e 41 e C. cost. 18 giugno 1979, nn. 42, 43, 44 e 45, tutte in Riv. giur. lav., 1979, II, 378, con 
nota di A. MARESCA, Decorre o non decorre la prescrizione in costanza di rapporto di lavoro subordinato? 
L�ultima parola al legislatore. Per un esame critico della giurisprudenza costituzionale v. A. MARESCA, 
La prescrizione dei crediti di lavoro, cit., in part. 165 ss.; S. CENTOFANTI, Prescrizione e lavoro subordinato, 
Esi, 1987; A. DI MAJO, Tradizione codicistica e norme costituzionali nella prescrizione dei diritti 
del lavoratore, in Riv. giur. lav., 1974, I, 441; G. PERA, Sei sentenze e due ordinanze in materia di prescrizione 
per i diritti dei lavoratori, in Giurisprudenza Cost., 1979, I, 438; R. ROMEI, La prescrizione e 
la decadenza, in L. ANGELINI - L. RENNA - R. ROMEI, La disciplina dei crediti del lavoratore subordinato, 
Utet, 1994, 7; U. CARABELLI - R. ROMEI, Garanzie dei crediti di lavoro, in Digesto Discipline Privatistiche, 
sez. Commerciale, IV, 1991, 387; G. PERA, Prescrizione nel diritto del lavoro, in Digesto Discipline Privatistiche, 
sez. Commerciale, XI, 1995, 119; V. PINTO, Prescrizione, decadenza e tutela dei crediti di lavoro, 
in Il lavoro subordinato, a cura di F. CARINCI, Trattato di diritto privato Bessone, 621. 
(6) Cos� E. GHERA, La prescrizione dei diritti del lavoratore cit., 10. 
(7) C. cost. 20 novembre 1969, n. 143, cit. 
(8) C. cost. 12 dicembre 1972, n. 174, cit. 
(9) Cass. 20 giugno 1997, n. 5494, in Riv. it. dir. lav., 1998, II, 165, con nota di L. NANNIPIERI, 
Prescrizione dei crediti retributivi, effettiva situazione psicologica di metus del lavoratore e certezza 
del diritto: l�ipotesi del lavoro in nero. Analoga la situazione del lavoratore che svolge la sua attivit� in 
regime di subordinazione (riconosciuta poi dal giudice), ma che � stato formalmente qualificato come 
autonomo: v. Cass. 22 giugno 2004 n. 11644, in Mass. giur. lav., 2004, 721; Cass. 20 maggio 2002, n. 
7310, in Foro It., 2003, I, 1148; Cass. 12 gennaio 2002, n. 325, in Foro It., 2002, I, 1027. 
(10) Cass. 8 novembre 1999, n. 11615, in Riv. it. dir. lav., 1996, II, 428 con nota di C. ZOLI, Eccezioni 
alla regola della decorrenza della prescrizione in costanza di rapporto di lavoro: i nodi vengono al pettine. 
(11) Cass. 15 febbraio 1962 n. 308, in Mass. giur. lav., 1962, 144; Cass. 19 gennaio 1965 n. 98, in 
Mass. giur. lav., 1965, 100; Cass., S.U., 12 aprile 1976, n. 1268, in Mass. giur. lav., 1976, 190, con nota
CONVEGNI 31 
Ci� ha prodotto quella che Luigi MENGONI (12) ha definito una mostruosit�: 
in una materia come la prescrizione, orientata a dare certezza e definitivit� 
ai rapporti giuridici, si affida al giudice ordinario il compito di stabilire, con 
un giudizio necessariamente ex post, il regime della decorrenza della prescrizione, 
apprezzando, caso per caso, se la disciplina giuridica che concretamente 
si applica sia idonea a riequilibrare il rapporto tra le parti e a far venir meno il 
timore del recesso datoriale. 
Questo quadro viene completamente rimesso in discussione oggi, nel 
nuovamente mutato contesto normativo. Il regime di prescrizione dei crediti 
retributivi va infatti riletto alla luce delle modifiche apportate dalla legge 
Fornero prima e dal c.d. jobs act poi alla disciplina sanzionatoria del licenziamento 
illegittimo. 
La prima domanda da porsi � se l�art. 18 St. lav., come riscritto dalla legge 
Fornero, possa oggi assicurare quei requisiti di stabilit� che consentono al lavoratore 
di non farsi paralizzare, nel far valere il suo diritto di credito, dal timore 
di essere licenziato. 
Sicuramente cՏ un forte ridimensionamento della tutela reintegratoria, 
limitata alle ipotesi di licenziamento orale, discriminatorio, per motivo illecito 
determinante ovvero in quella in cui il fatto posto alla base del recesso datoriale 
non sussiste (ancora nel dubbio, peraltro, se deve non sussistere nella sua 
realt� materiale ovvero se nella fattispecie giuridica quale fatto idoneo a determinare 
il recesso datoriale). 
Stante tale disciplina, le possibili opzioni interpretative - immediatamente 
percorse da chi ha riflettuto sulla materia - sono due. Si pu� sostenere che l�affievolimento 
di tutela e, soprattutto, la difficolt� di valutare ex ante il regime 
di protezione applicabile determina la generalizzazione del differimento della 
decorrenza della prescrizione alla cessazione dei rapporti di lavoro (13). All�opposto 
si potrebbe ritenere che il nuovo art. 18, nel momento in cui garantisce 
la tutela reintegratoria piena in caso di licenziamento determinato da un 
motivo illecito, protegge il lavoratore dal recesso intimato in conseguenza al 
di G. TAMBURRINO, Nuove osservazioni sulla prescrizione dei diritti dei lavoratori e sulla sua decorrenza 
nel corso del rapporto; Cass., S.U., 5 marzo 1991 n. 2334, in Mass. giur. lav., 1991, 50; Cass. 20 giugno 
1997, n. 5494, cit.; Cass. 8 novembre 1999, n. 11615, cit.; Cass. 10 aprile 2000, n. 4520, in Lav. giur., 
2001, 65, con nota di G. GIRARDI, La prescrizione dei diritti del lavoratore nel corso del rapporto; Cass., 
S.U., 29 gennaio 2001 n. 38, in Foro It., 2001, I, p. 845; Cass. 12 gennaio 2002, n. 325, in Foro It., 2002, 
I, 1027; Cass. 16 gennaio 2003 n. 575, in Foro It., 2003, I, 1792; Cass. 22 giugno 2004 n. 11644, cit. 
(12) L. MENGONI, Problema e sistema nella controversia sul metodo giuridico, in Jus, 1976, 3 e 
ora in Diritto e Valori, Il Mulino, 1985, 11. 
(13) C. CESTER, Il progetto di riforma della disciplina dei licenziamenti individuali: prime riflessioni, 
in Arg. dir. lav., 2012, 547; M. MARAZZA, L�art. 18, nuovo testo, dello Statuto dei lavoratori, in 
Arg. dir. lav., 2012, 621. Mette in risalto una serie di aspetti problematici che necessiterebbero dell�intervento 
del legislatore C. ROMEO, Prescrizione dei crediti di lavoro: recenti profili problematici, in 
http://csdle.lex.unict.it.
32 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2015 
comportamento volto a ottenere la soddisfazione del diritto di credito retributivo 
e, dunque, allontana il timore del licenziamento (14). Questa seconda lettura, 
peraltro, amplierebbe notevolmente l�area dei rapporti per i quali non si 
sospende il decorso della prescrizione perch� nel nuovo comma 1 dell�art. 18 
la tutela reintegratoria trova applicazione a tutti i licenziamenti ritorsivi, indipendentemente 
dal numero degli occupati in azienda. Estendendosi, dunque, 
anche all�area della tutela obbligatoria si avrebbe un ritorno quasi generalizzato 
alle regole civilistiche sulla prescrizione. 
Io penso, tuttavia, che questa interpretazione non tiene conto delle incertezze 
applicative legate alla disciplina del recesso, che allo stato non rendono 
prevedibili gli esiti di una eventuale impugnazione e che certamente incidono 
sulla sensazione di instabilit� del rapporto avvertita dal lavoratore. Proprio 
questa �instabilit� putativa� collegata a un apparato sanzionatorio considerato 
poco efficace, in cui la �sicurezza� che dovrebbe derivare dalla sopravvivenza 
della tutela reintegratoria sfuma nella confusione delle diverse soluzioni giurisprudenziali 
e dottrinali prospettate, costituisce un impedimento alla effettiva 
realizzazione dei crediti retributivi maturati, rappresenta cio� quell�ostacolo 
materiale richiamato dalla Corte costituzionale nella sua sentenza del 1966 
come causa ostativa alla possibilit� di far valere il diritto alla prestazione retributiva 
tutelato dalla Costituzione. Ed essendo (purtroppo) oggi, come allora, 
necessario �proteggere il contraente pi� debole contro la propria debolezza di 
soggetto interessato alla conservazione del rapporto� (15), rivivono anche le 
conclusioni della Corte: l�art. 36 Cost., �pur ammettendo la prescrizione del 
diritto al salario, non ne consente il decorso finch� permane quel rapporto di 
lavoro durante il quale essa maschera spesso una rinuncia�. 
Questa lettura, proposta anche dagli Autori del libro (16), � stata accolta 
nella prima pronuncia giurisprudenziale in materia. Il Tribunale di Milano, 
con una sentenza del 16 dicembre scorso, ha infatti considerato non prescritti 
i crediti dei lavoratori ritenendo che, dall�entrata in vigore della l. n. 92/12, 
che ha modificato l�art. 18 St. lav. introducendo ipotesi di tutela meramente 
indennitaria, anche i lavoratori dipendenti di un�azienda ricadente nell�area di 
applicazione della tutela reale possano incorrere - per la durata della relazione 
lavorativa - nel timore del recesso nel far valere le proprie ragioni, cos� che la 
decorrenza della prescrizione deve ritenersi sospesa in corso di rapporto. 
Dunque, la prima valutazione giurisprudenziale sulla (sensazione di) sta- 
(14) Cos� A. MARESCA, Il nuovo regime sanzionatorio del licenziamento illegittimo: le modifiche 
dell�art. 18 Statuto dei lavoratori, in Riv. it. dir. lav., 2012, I, 454; G. PACCHIANA PARRAVICINI, Il nuovo 
art. 18 St. lav.: problemi sostanziali e processuali, in Mass. giur. lav., 2012, 751; F. SANTONI, La decorrenza 
della prescrizione dei crediti di lavoro e la legge n. 92/2012, in Riv. it. dir. lav., 2013, I, 881. 
(15) Cos� in C. cost. 10 giugno 1966, n. 63, cit. 
(16) M. GERARDO, A. MUTARELLI, Prescrizione e decadenza nel diritto civile. Aspetti sostanziali 
e strategie processuali, cit., qui 143.
CONVEGNI 33 
bilit� scaturente dall�attuale sistema sanzionatorio del licenziamento illegittimo 
non � positiva e, richiamando la decisione della Consulta del 1966, conferma 
la necessit� di un regime di imprescrittibilit� temporanea dei crediti retributivi. 
Quanto detto, peraltro, vale ancor pi� per gli assunti in data successiva al 
7 marzo 2015. 
Nel contratto a tutele crescenti, infatti, l�art. 2 del d.lgs. 23/2015 limita la 
reintegrazione al licenziamento discriminatorio, nullo o orale, senza pi� alcun 
riferimento al motivo illecito determinante ai sensi dell'articolo 1345 c.c. 
Certo � vero che la sanzione della reintegra si applica - dice la norma - 
anche agli altri casi di nullit� previsti dalla legge, ma in un sistema completamente 
mutato, dove la reintegrazione trova applicazione solo in ipotesi marginali, 
dove l�entit� del risarcimento per un licenziamento illegittimo � 
decisamente ridimensionata, dove alla mancata comunicazione dei motivi del 
recesso � collegata una sanzione irrisoria o, ancora, dove l�impresa pu� percorrere 
facilmente e senza conseguenze reintegratorie la via del giustificato 
motivo oggettivo (insindacabile nel merito), � difficile sostenere che il lavoratore 
possa non aver timore del recesso datoriale. Di conseguenza qui la conclusione 
� obbligata: per gli assunti con il contratto a tutele crescenti la 
prescrizione non dovrebbe mai correre in corso di rapporto. 
Un�ultima osservazione riguarda, infine, il rapporto di lavoro dei dipendenti 
delle pubbliche amministrazioni, dove si apre un ulteriore scenario, totalmente 
inedito. 
La sentenza del 1966, nella sua motivazione, e poi in maniera specifica 
la successiva sentenza n. 143 del 1969 hanno sottolineato la particolare forza 
di resistenza che caratterizza il rapporto di pubblico impiego. Secondo la Consulta 
questa �forza di resistenza � data da una disciplina che normalmente assicura 
la stabilit� del rapporto, o dalle garanzie di rimedi giurisdizionali contro 
l�illegittima risoluzione di esso, le quali escludono che il timore del licenziamento 
possa indurre l�impiegato a rinunziare ai propri diritti� (17). Per questa 
ragione si � ammesso che nei rapporti di lavoro intercorrenti con lo Stato (o 
con enti pubblici minori (18)) non vi fosse necessit� di alcuna deroga rispetto 
alla normale disciplina codicistica della prescrizione. 
Il rapporto di lavoro cui la Corte costituzionale faceva riferimento era, per�, 
quello non contrattuale di pubblico impiego antecedente alla privatizzazione. 
Dopo la l. n. 92 del 1993 l�orientamento giurisprudenziale � stato confermato, 
ma non sulla base della natura del datore, bens� in virt� dell�applicazione 
generalizzata della tutela reale ai rapporti di lavoro con le 
amministrazioni pubbliche. Non viene pi� in rilievo, cio�, il carattere pubblico 
o privato del datore di lavoro, ma solo la capacit� di resistenza del rapporto al 
(17) C. cost. 20 novembre 1969, n. 143, cit. 
(18) C. cost. 29 aprile 1971, n. 86, cit.
34 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2015 
licenziamento illegittimo (19). E siccome proprio questa capacit� di resistenza 
sembra ridimensionata anche nei rapporti di lavoro con le P.A., si pongono 
qui problemi inediti. 
Secondo la Cassazione (20), infatti, il nuovo testo dell�art. 18 St. lav., 
come novellato dalla l. n. 92 del 2012, trova applicazione al lavoro pubblico 
c.d. contrattualizzato, in quanto il capoverso dell�art. 51 del d.lgs. n. 165 del 
2001 prevede inequivocabilmente l'applicazione al pubblico impiego della l. 
n. 300 del 1970 �e successive modificazioni ed integrazioni�. 
Si ripropongono, cos�, i dubbi e le soluzioni gi� illustrati, perch� la subordinazione 
tecnico funzionale produce la stessa situazione conflittuale e di 
disparit� che cՏ nell�impresa e perch� il ridimensionamento della tutela reintegratoria 
non pu� non incidere sulla sensazione di stabilit� del rapporto che 
finora ha caratterizzato il lavoro pubblico. Anche per il lavoro nelle P.A., dunque, 
il termine di prescrizione dovrebbe oggi decorrere dalla cessazione del 
rapporto e non durante il suo svolgimento. 
Concludendo, sembra chiaro che le incertezze applicative della disciplina 
del licenziamento si ripercuotono fortemente su quella della prescrizione, con 
il paradosso di sottrarre ogni certezza proprio all�applicazione di un istituto 
che risponde alla esigenza di certezza dei rapporti giuridici. 
Partendo da una tale contraddizione, si dovrebbe allora cercare tra le interpretazioni 
possibili quella maggiormente aderente alla finalit� stessa dell�istituto. 
In particolare, viene da chiedersi se oggi, in un sistema profondamente 
mutato, in cui, al di l� del licenziamento, sono venuti meno molti limiti all�esercizio 
dei poteri datoriali (da quello organizzativo a quello di controllo e 
di utilizzazione della prestazione) esistano davvero rapporti in cui il lavoratore 
possa rivendicare il pagamento dei suoi crediti senza timori. 
Se, come si ritiene, il mutato assetto legislativo ha profondamente inciso 
sull�asimmetria di potere tra le due parti, sulla debolezza del lavoratore e sulla 
sensazione di precariet� di tutti i rapporti di lavoro, l�unica strada percorribile 
dovrebbe essere proprio un ritorno alle valutazioni della Corte costituzionale 
del �66: la situazione psicologica del lavoratore, che pu� essere indotto a non 
far valere il suo diritto per timore del licenziamento, incide sulla disciplina 
della prescrizione dei crediti retributivi impedendone il decorso durante il rapporto 
di lavoro. Sempre. 
E cos�, parafrasando l�espressione di sintesi utilizzata dal prof. Marino 
nella bella relazione che mi ha preceduto - secondo cui la prescrizione, imponendo 
l�esercizio del diritto a chi ne � titolare, pu� efficacemente riassumersi 
nella formula del �posso quindi devo� - oserei dire che nel rapporto di lavoro 
posso, ma non devo. 
(19) Cass., S.U., 12 aprile 1976, n. 1268, cit. 
(20) Cass. 26 novembre 2015, n. 24157, in De Jure.
CONVEGNI 35 
MARIO CAPOLUPO (*) 
I rapporti tra estinzione del processo e prescrizione 
con particolare riguardo al giudizio tributario 
1. Premessa. 
Nel Codice Civile, la disciplina dell�interruzione della prescrizione, dei 
suoi effetti e della sua durata � contenuta nella Sezione III del Capo I del Titolo 
V del Libro VI. 
In particolare: 
1) gli artt. 2943 (1) e 2944 (2) c.c. (alla cui approfondita analisi � dedicato 
il Capitolo 7 della pubblicazione oggi presentata, curato dall�avv. Michele Gerardo) 
regolano, rispettivamente, l�interruzione della prescrizione da parte del 
titolare del diritto e l�interruzione della prescrizione da parte di �colui contro 
il quale il diritto pu� essere fatto valere�; 
2) l�art. 2945 c.c. (alla cui approfondita analisi � dedicato il Capitolo 8 
della pubblicazione oggi presentata, curato dall�avv. Adolfo Mutarelli), invece, 
contiene la disciplina degli �effetti e durata dell�interruzione�. 
�L�interruzione della prescrizione opera come un punto fisso rispetto al 
decorso del termine. 
Il nuovo periodo di prescrizione, che inizia dopo l�atto interruttivo, � 
salva la c.d. interruzione permanente di cui al comma 2 dell�art. 2945 c.c. 
nonch� l�actio iudicati di cui all�art. 2953 c.c. dello stesso genere di quello 
interrotto, con la conseguenza che, interrotta una prescrizione breve, inizia 
un nuovo periodo della stessa durata e non il periodo decennale di cui all�art. 
2946 c.c.� (3). 
2. Interruzione della prescrizione e processo. 
I primi tre commi dell�art. 2945 c.c. prevedono che �Per effetto dell'interruzione 
s'inizia un nuovo periodo di prescrizione. Se l'interruzione � avvenuta 
mediante uno degli atti indicati dai primi due commi dell'articolo 2943, la pre- 
(*) Avvocato dello Stato. 
(1) �La prescrizione � interrotta dalla notificazione dell'atto con il quale si inizia un giudizio, sia 
questo di cognizione ovvero conservativo o esecutivo. 
� pure interrotta dalla domanda proposta nel corso di un giudizio. 
L'interruzione si verifica anche se il giudice adito � incompetente. 
La prescrizione � inoltre interrotta da ogni altro atto che valga a costituire in mora il debitore [c.c. 
1219, 1957, 2944] e dall'atto notificato con il quale una parte, in presenza di compromesso o clausola 
compromissoria, dichiara la propria intenzione di promuovere il procedimento arbitrale, propone la 
domanda e procede, per quanto le spetta, alla nomina degli arbitri�. 
(2) �La prescrizione � interrotta dal riconoscimento del diritto da parte di colui contro il quale 
il diritto stesso pu� essere fatto valere�. 
(3) A. MUTARELLI, in Prescrizione e decadenza nel diritto civile. Aspetti sostanziali e strategie 
processuali, Giappichelli, Torino, 2015, pp. 209-210.
36 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2015 
scrizione non corre fino al momento in cui passa in giudicato la sentenza che 
definisce il giudizio. Se il processo si estingue, rimane fermo l'effetto interruttivo 
e il nuovo periodo di prescrizione comincia dalla data dell'atto interruttivo�. 
�La neutralizzazione del corso della prescrizione durante il processo, attuata 
dall�art. 2945, comma 2, si inquadra nel principio degli effetti sostanziali 
della domanda in virt� del quale la durata del processo, non pu� ridondare 
in danno della parte che ha ragione � � (4). 
Essa � qualificabile come �interruzione permanente della prescrizione� 
(che abbraccia il tempo che va dalla proposizione della domanda alla sentenza 
- passata in giudicato - che definisce il giudizio, tanto di rito, quanto di accoglimento 
di merito (5)) e non gi� come una sospensione della stessa. 
Infatti, la paralisi del corso della prescrizione originata dalla proposizione 
della domanda giudiziale � riconducibile non gi� �all�impossibilit� o alla grave 
difficolt� che insorge per la realizzazione del diritto come nei casi indicati 
negli artt. 2941 e 2942 c.c., ma alla struttura stessa del processo che richiede, 
perch� possa definirsi, un pi� o meno lungo periodo di tempo durante il quale 
l�affermazione del diritto � sempre immanente � � (6). 
A ci� aggiungasi: 
a) la collocazione topografica della disposizione in commento, inserita 
nella Sezione intitolata �Della interruzione della prescrizione�; 
b) che il �non corso della prescrizione�, lungi dall�essere riconducibile 
�alle ragioni poste a fondamento della sospensione (perch� il diritto non pu� 
essere fatto valere o sorgono gravi difficolt� al suo esercizio o perch� - pur 
non essendovi alcun ostacolo al suo esercizio - mere ragioni di opportunit� 
consigliano di attendere previamente la definizione del rapporto pregiudiziale 
come nel caso ex art. 2952, comma 4, c.c.)��, � in realt� imputabile alla circostanza 
che �il diritto � fatto valere, ed � irrilevante a questo fine che l�attivit� 
del diritto sia istantanea o destinata a prolungarsi nel tempo, giacch� conta 
soltanto che comunque questo atto o serie di atti siano espressivi della volont� 
di mantenere in via il diritto � � (7); 
c) che mentre Ǐ connaturato allo stesso concetto di sospensione che sia 
sempre lo stesso termine che ricomincia a decorrere per la parte residua a seguito 
della cessazione della causa sospensiva ... al passaggio in giudicato della sentenza 
definitiva pu� conseguire anche l�inizio non di un nuovo periodo di prescrizione, 
ma addirittura di una diversa ed autonoma prescrizione � � (8). 
(4) A. MUTARELLI, in op. cit., p. 210. 
(5) Infatti, �se la domanda giudiziale [�] rigettata, si � fuori della materia della prescrizione, in 
quanto vi � un provvedimento del giudizio che definisce su nuove basi il rapporto tra le parti� (cos�, F. 
MESSINEO, Manuale di diritto civile e commerciale, vol. I, IX Ed., Giuffr�, Milano 1957, p. 188). 
(6) A. MUTARELLI, in op. cit., p. 210. 
(7) A. MUTARELLI, in op. cit., pp. 211-212. 
(8) A. MUTARELLI, in op. cit., p. 212.
CONVEGNI 37 
Di qui, la condivisibile conclusione che �il non corso � un�interruzione 
prolungata � � (9). 
3. L�estinzione del processo e gli effetti sulla prescrizione. 
�Ai sensi dell�art. 2945, comma 3, se il processo si estingue, rimane fermo 
l�effetto interruttivo ricollegato alla notifica dell�atto introduttivo del giudizio 
ovvero alla proposizione di una domanda in corso di causa e il nuovo periodo 
di prescrizione comincia dalla data dell�atto interruttivo. Resta esclusa in tale 
ipotesi l�interruzione permanente ex art. 2945, comma 2, c.c. � � (10). 
In particolare, �l�art. 2945, comma 3, c.c. (lex specialis, derogatoria della 
regola posta dall�art. 2945, comma 2, c.c.) disciplina tutti i casi di estinzione, 
senza distinguere a seconda dalla forma con cui l�estinzione viene pronunziata 
� La disciplina di cui all�art. 2945, comma 3 vale anche nell�ipotesi di estinzione 
del processo ex art. 393 c.p.c. per mancata riassunzione della causa davanti 
al giudice del rinvio (11). La norma di cui all�art. 2945, comma 3, c.c. � 
coerente con l�art. 310 (12), comma 1, c.p.c. per il quale l�estinzione del processo 
non estingue l�azione � � (13). 
Infatti, �innovando rispetto alla precedente disciplina il vigente codice 
di procedura civile prevede che l�estinzione del processo rende gli atti compiuti 
non nulli, ma inefficaci (art. 310, comma 2, c.p.c.); conseguenza di 
tale premessa � che l�estinzione non incide sugli atti che investono il diritto 
sostanziale � � (14). 
In definitiva, �la regola secondo cui l�estinzione rende inefficaci gli atti 
compiuti riguarda gli effetti processuali degli atti pregressi. Ci� che invece costituisce 
un risultato di quegli atti, idoneo a spiegare i suoi effetti anche fuori 
dell�ambito del processo, non viene travolto. Non vengono travolti pertanto quei 
c.d. effetti sostanziali dell�atto di citazione che non siano essi medesimi condizionati 
alla pendenza attuale del processo o ad una decisione di merito, a cui 
(9) A. MUTARELLI, in op. cit., p. 212. 
(10) A. MUTARELLI, in op. cit., p. 224. 
(11) L�art. 392 c.p.c. stabilisce che �1. La riassunzione della causa davanti al giudice di rinvio 
pu� essere fatta da ciascuna delle parti non oltre tre mesi dalla pubblicazione della sentenza della Corte 
di cassazione. 2. La riassunzione si fa con citazione, la quale � notificata personalmente a norma degli 
articoli 137 e seguenti�. A mente del successivo art. 393: �Se la riassunzione non avviene entro il termine 
di cui all'articolo precedente, o si avvera successivamente a essa una causa di estinzione del giudizio 
di rinvio, l'intero processo si estingue; ma la sentenza della Corte di cassazione conserva il suo 
effetto vincolante anche nel nuovo processo che sia instaurato con la riproposizione della domanda�. 
(12) L�art. 310 c.p.c. stabilisce che: �L'estinzione del processo non estingue l'azione. 
L'estinzione rende inefficaci gli atti compiuti, ma non le sentenze di merito pronunciate nel corso del 
processo e le pronunce che regolano la competenza. 
Le prove raccolte sono valutate dal giudice a norma dell'articolo 116 secondo comma. 
Le spese del processo estinto stanno a carico delle parti che le hanno anticipate�. 
(13) A. MUTARELLI, in op. cit., p. 225. 
(14) A. MUTARELLI, in op. cit., p. 225.
38 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2015 
esso metta capo sotto forma di pronuncia del giudice. Non verranno travolte le 
eventuali rinunce di merito, n� le confessioni stragiudizialmente rese � � (15). 
Nella Relazione illustrativa al Codice Civile n. 1204 del Ministro della 
Giustizia, con specifico riguardo alla ratio della previsione di cui all�art. 2945, 
comma 3, c.c. (che, in definitiva, pone in capo all�attore l�onere di �mantenere 
in vita� il processo), si legge �non sarebbe stato coerente privare d�efficacia 
interruttiva la domanda giudiziale per essersi il processo estinto e, in pari 
tempo, attribuire efficacia interruttiva ad ogni atto di costituzione in mora non 
seguito da alcuna processo. Non ho riprodotto la disposizione del primo capoverso 
dell�art. 2128 del codice anteriore secondo il quale la nullit� della citazione 
o intimazione per incompetenza dell�ufficiale giudiziario o per difetto di 
forma importava l�esclusione dell�effetto interruttivo dell�atto. Tale nullit� non 
toglie che l�atto, inidoneo a produrre gli effetti della domanda giudiziale, possa 
valere, quando ne abbia i requisiti, come atto di costituzione in mora � �. 
�Qualora la durata del processo sia eccessiva l�applicazione dell�art. 2945, 
comma 3, c.c., pu� comportare effetti gravi sul diritto sostanziale. Se l�attore 
non si � cautelato ponendo in essere atti di costituzione di mora (e a determinate 
condizioni � anche gli atti d�impulso processuale successivi alla domanda possono 
produrre tale effetto) si corre il rischio che il diritto si estingua ove sia maturato 
il termine di prescrizione al momento di estinzione del processo � � (16). 
�Gli atti processuali successivi alla domanda giudiziale non hanno di per 
s� alcun effetto diretto sulla prescrizione. Che essi possano contenere gli 
estremi di una intimazione stragiudiziale idonea a interrompere istantaneamente 
la prescrizione � irrilevante, ma diventa rilevante nel momento in cui 
l�effetto interruttivo permanente viene meno retroattivamente a seguito dell�estinzione 
del processo. L�effetto interruttivo istantaneo che non aveva modo 
di operare in pendenza del processo, torna a spiegare pieno vigore una volta 
venuta meno la fattispecie ostativa alla sua produzione. L�effetto interruttivo 
istantaneo � prodotto non dall�atto processuale in quanto tale ma dall�atto sostanziale 
di intimazione i cui estremi talvolta ricorrono nell�atto processuale. 
Il fatto � che l�estinzione pu� rendere inefficaci gli atti processuali, nel senso 
che esclude la loro idoneit� a consentire l�emanazione di un provvedimento 
diverso da quello dichiarativo dell�estinzione, ma non � in grado di eliminare 
tutti quegli effetti che gli atti processuali hanno prodotto sul piano sostanziale 
non come tali, ma in quanto atti sostanziali � Sicch�, una volta estinto il processo 
va attribuita al riconoscimento del diritto effettuato nel corso del giudizio 
quell�efficacia interruttiva istantanea che essa non aveva dispiegato stante l�interruzione 
permanente della prescrizione ex art. 2945, comma 2, c.c. Identica 
(15) E. REDENTI, in Diritto processuale civile, II, Il processo ordinario di cognizione in primo 
grado, p. 292. 
(16) A. MUTARELLI, in op. cit., p. 227.
CONVEGNI 39 
conclusione va sostenuta per l�atto processuale proveniente dal titolare del diritto 
quando abbia i requisiti dell�atto di costituzione in mora. � il caso dell�atto 
di riassunzione del giudizio che, notificato alla parte personalmente o al suo 
rappresentante sostanziale, nel caso di successiva estinzione del processo avr� 
valenza di atto interruttivo istantaneo (17)� (18). 
(17) Cfr. Cass., Sez. III, 13 dicembre 2010, n. 25126, ove si legge: �va osservato che mezzi di 
interruzione della prescrizione sono solo quelli tipici previsti dalla legge, i quali esauriscono la possibilit� 
di evitare la estinzione del diritto di credito: la domanda giudiziale, l'atto di costituzione in mora 
e il riconoscimento del diritto da parte del debitore. Ne consegue che non pu� ritenersi idoneo "qualsiasi 
atto del processo", genericamente inteso, e cos� la comparsa conclusionale (in cui sia tardivamente manifestata 
la pretesa del creditore) o l'atto di riassunzione del processo (Cass., 16/01/2006, n. 726). In 
particolare l'atto di riassunzione del processo, essendo un atto di impulso processuale destinato essenzialmente 
a riattivare il corso del processo, non ha l'autonoma e distinta efficacia interruttiva della prescrizione 
attribuita agli atti indicati nei primi due commi dello art. 2943 cod. civ. I suoi effetti, pertanto, 
restano assorbiti e travolti dalla successiva estinzione del processo che con esso sia tardivamente riassunto, 
a meno che non possano allo stesso riconnettersi effetti di natura diversa e, cio�, possa essere 
considerato, ricorrendone gli estremi, come atto di costituzione in mora (Cass. n. 4523 del 16/05/1987). 
Quindi l'atto riassunzione o l'atto di costituzione del nuovo difensore, ai fini dell'interruzione della 
prescrizione, possono essere valorizzati - qualora ne abbiano gli elementi ed i requisiti - esclusivamente 
quali atti di costituzione in mora e non quali atti del processo idonei all'interruzione detta (essendo 
tipici gli atti del processo a cui la legge riconnette tale effetto). 2.4. Sennonch� nella fattispecie, indipendentemente 
dal punto se l'atto di costituzione del nuovo procuratore del P. in data 13.10.1997, ovvero 
l'atto di riassunzione depositato in data 16.12.1998, contenessero tutti gli elementi della costituzione in 
mora art. 2943 c.c. , ex u.c. va osservato che essi non sono stati notificati alla parte personalmente, in 
quanto l'atto di costituzione del nuovo procuratore fu notificato a norma dell'art. 170 c.p.c. e l'atto di 
riassunzione non fu notificato a nessun erede, non avendo il ricorrente, per sua stessa ammissione, la 
prova che tale fosse la nipote del defunto S.P., rimasta contumace. 2.5. I suddetti atti, in quanto non 
notificati personalmente alla responsabile del danno (ovvero al suo certo erede), non equivalgono 
neppure all'atto di costituzione in mora, di cui al comma 4, dell'art. citato (Cass. 06/11/1986, n. 6517; 
Cass. n. 992/1972)�. Si vedano anche nello stesso senso, pi� recentemente: Cass., Sez. I, 18 novembre 
2011, n. 24306 (�� vero che l'art. 2943 cod. civ., riconosce effetti interruttivi della prescrizione agli atti 
processuali ivi indicati, che quindi sono portati a conoscenza del solo procuratore della parte, senza richiederne 
la ulteriore notificazione personalmente al debitore medesimo; e che la s.p.a. P. ben poteva 
richiedere il credito in contestazione preteso nei confronti del Ministero con la citazione introduttiva 
del giudizio notificata alla sola Avvocatura ovvero con la comparsa di costituzione depositata in giudizio. 
Ma come ha avvertito questa Corte fin dalle pronunce pi� lontane nel tempo (Cass. 435/1971; 603/1973; 
da ultimo 19512/2003) detta norma si riferisce soltanto ad atti processuali tipici e specificamente enumerati, 
quali l'atto introduttivo del giudizio ovvero la domanda proposta nel corso di un giudizio (art. 
2943 c.c.) che di solito � contenuta nella comparsa di risposta o nella fase istruttoria quando v'� contraddittorio. 
Pertanto fra di essi non rientra la comparsa conclusionale dato che la richiesta ivi contenuta,
formulata allorch� l'istruttoria � terminata, ed in un atto che non ha il precipuo scopo di 
contenere domande, ma, al contrario, quello di spiegare la difesa, nel senso di illustrare le richieste, 
non pu� valere come "domanda" ritualmente posta. Senza considerare che la comparsa conclusionale 
non � neanche comunicata alla parte, ma � atto di procuratore diretto ad essere scambiato col procuratore 
di controparte e, quindi, non pu� ritenersi nemmeno valida come atto di costituzione in mora 
del presunto debitore. Per cui, anche a condividere l'indirizzo giurisprudenziale invocato dalla Corte 
di appello per cui la proposizione di una domanda tardiva (o, comunque inammissibile) ne comporta 
l'irricevibilit�, ma non impedisce che la stessa possa valere come un atto di messa in mora del debitore 
(contra: Cass. 25126/2010; 726/2006; 6517/1986), resta il fatto che anche in tale ottica non potrebbe 
sfuggirsi alla necessit� che tale atto debba essere notificato personalmente al debitore: essendo la 
rappresentanza del procuratore ad litem limitata all'esplicazione delle attivit� rientranti nella tutela
40 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2015 
Giuste le previsioni di cui all�art. 310, co. 2, c.p.c., l�inefficacia degli atti 
processuali derivanti dall�estinzione del processo non riguarda le sentenze di 
merito pronunciate nel corso del processo. 
�Sono tali le sentenze non definitive di merito di cui agli artt. 277 (19), 
comma 2, 278 (20), comma 2, 279 (21), comma 2, nn. 4 e 5 c.p.c. ed altres� 
processuale del diritto controverso. Laddove nel caso � pacifico che la comparsa conclusionale contenente 
la domanda di pagamento del credito non � stata notificata al Ministero (Cass. 19512/2003), ma 
soltanto depositata in giudizio�); Cass., Sez. III, 29 maggio 2014, n. 12058 (�come ha rilevato la Corte 
di merito, ai sensi dell'art. 2943 c.c., la prescrizione � interrotta dalla notificazione dell'atto con il quale 
si inizia un giudizio o dalla domanda proposta nel corso del giudizio in quanto l'art. 2943 c.c., nel prevedere 
l'efficacia interruttiva della prescrizione in relazione al compimento di atti giudiziali si riferisce 
soltanto ad atti tipici e specificamente enumerati. Inoltre, perch� abbia efficacia interruttiva, un atto 
deve contenere l'esplicitazione di una pretesa e l'intimazione o la richiesta scritta di adempimento, 
idonea a manifestare l'inequivocabile volont� del titolare del credito di far valere il proprio diritto, 
nei confronti del soggetto obbligato, con l'effetto sostanziale di costituirlo in mora. Ed � appena il 
caso di sottolineare che la richiesta di rigetto della domanda attrice (diretta all'accertamento negativo 
di un proprio debito) essendo volta funzionalmente ad esplicare un'attivit� difensiva di mera confutazione 
della domanda avversaria, non pu� svolgere efficacia interruttiva della prescrizione del diritto di credito 
vantato nei confronti del debitore n�, tanto meno, nei confronti del fideiussore, non costituendo una 
chiara esplicitazione di una pretesa, vale a dire, un'inequivoca manifestazione della volont�, non solo 
di veder riconoscere ma anche di far valere il proprio diritto, e cio� un'intimazione o un'espressa richiesta 
formale di adempimento idonea, in quanto tale, a mettere in mora la parte debitrice�). Si veda, 
specificamente, a tale proposito, M. GERARDO, in Prescrizione e decadenza nel diritto civile. Aspetti sostanziali 
e strategie processuali, Giappichelli, Torino, 2015, pp. 173-174. 
(18) A. MUTARELLI, in op. cit., pp. 227-228. 
(19) �Il collegio nel deliberare sul merito deve decidere tutte le domande proposte e le relative 
eccezioni, definendo il giudizio. 
Tuttavia il collegio anche quando il giudice istruttore gli ha rimesso la causa a norma dell'articolo 
187 primo comma, pu� limitare la decisione ad alcune domande, se riconosce che per esse soltanto 
non sia necessaria un'ulteriore istruzione, e se la loro sollecita definizione � di interesse apprezzabile 
per la parte che ne ha fatto istanza�. 
(20) �Quando � gi� accertata la sussistenza di un diritto, ma � ancora controversa la quantit� 
della prestazione dovuta, il collegio, su istanza di parte, pu� limitarsi a pronunciare con sentenza la condanna 
generica alla prestazione, disponendo con ordinanza che il processo prosegua per la liquidazione. 
In tal caso il collegio, con la stessa sentenza e sempre su istanza di parte, pu� altres� condannare il debitore 
al pagamento di una provvisionale, nei limiti della quantit� per cui ritiene gi� raggiunta la prova�. 
(21) �Il collegio pronuncia ordinanza quando provvede soltanto su questioni relative all'istruzione 
della causa, senza definire il giudizio, nonch� quando decide soltanto questioni di competenza. In tal 
caso, se non definisce il giudizio, impartisce con la stessa ordinanza i provvedimenti per l'ulteriore 
istruzione della causa. 
Il collegio pronuncia sentenza: 
1) quando definisce il giudizio, decidendo questioni di giurisdizione; 
2) quando definisce il giudizio decidendo questioni pregiudiziali attinenti al processo o questioni preliminari 
di merito; 
3) quando definisce il giudizio, decidendo totalmente il merito; 
4) quando, decidendo alcune delle questioni di cui ai numeri 1, 2 e 3, non definisce il giudizio e impartisce 
distinti provvedimenti per l'ulteriore istruzione della causa; 
5) quando, valendosi della facolt� di cui agli articoli 103, secondo comma, e 104, secondo comma, 
decide solo alcune delle cause fino a quel momento riunite, e con distinti provvedimenti dispone la 
separazione delle altre cause e l'ulteriore istruzione riguardo alle medesime, ovvero la rimessione al 
giudice inferiore delle cause di sua competenza.
CONVEGNI 41 
l�ordinanza ex art. 186 quater c.p.c. (22) che, in caso di estinzione del giudizio, 
acquista �l�efficacia della sentenza impugnabile sull�oggetto dell�istanza� secondo 
quanto prevede espressamente l�art. 186 quater citato. In ipotesi di 
estinzione del giudizio possono ricondursi alla nozione di �sentenze di merito 
pronunciate nel corso del processo� anche le ordinanze ex artt. 186 bis (23) e 
186 ter (24) c.p.c., atteso che l�orientamento prevalente in dottrina riconosce 
I provvedimenti per l'ulteriore istruzione, previsti dai numeri 4 e 5 sono dati con separata ordinanza. 
I provvedimenti del collegio, che hanno forma di ordinanza, comunque motivati, non possono mai pregiudicare 
la decisione della causa; salvo che la legge disponga altrimenti [c.p.c. 308], essi sono modificabili e 
revocabili dallo stesso collegio, e non sono soggetti ai mezzi di impugnazione previsti per le sentenze [c.p.c. 
323]. Le ordinanze del collegio sono sempre immediatamente esecutive. Tuttavia, quando sia stato proposto 
appello immediato contro una delle sentenze previste dal n. 4 del secondo comma, il giudice istruttore, su 
istanza concorde delle parti, qualora ritenga che i provvedimenti dell'ordinanza collegiale, siano dipendenti 
da quelli contenuti nella sentenza impugnata, pu� disporre con ordinanza non impugnabile che l'esecuzione 
o la prosecuzione dell'ulteriore istruttoria sia sospesa sino alla definizione del giudizio di appello. 
L'ordinanza � depositata in cancelleria insieme con la sentenza�. 
(22) �Esaurita l'istruzione, il giudice istruttore, su istanza della parte che ha proposto domanda 
di condanna al pagamento di somme ovvero alla consegna o al rilascio di beni, pu� disporre con ordinanza 
il pagamento ovvero la consegna o il rilascio, nei limiti per cui ritiene gi� raggiunta la prova. 
Con l'ordinanza il giudice provvede sulle spese processuali. 
L'ordinanza � titolo esecutivo. Essa � revocabile con la sentenza che definisce il giudizio. 
Se, dopo la pronuncia dell'ordinanza, il processo si estingue, l'ordinanza acquista l'efficacia della sentenza 
impugnabile sull'oggetto dell'istanza. 
L'ordinanza acquista l'efficacia della sentenza impugnabile sull'oggetto dell'istanza se la parte intimata 
non manifesta entro trenta giorni dalla sua pronuncia in udienza o dalla comunicazione, con ricorso 
notificato all'altra parte e depositato in cancelleria, la volont� che sia pronunciata la sentenza�. 
(23) �Su istanza di parte il giudice istruttore pu� disporre, fino al momento della precisazione delle 
conclusioni, il pagamento delle somme non contestate dalle parti costituite. Se l'istanza � proposta fuori 
dall'udienza il giudice dispone la comparizione delle parti ed assegna il termine per la notificazione. 
L'ordinanza costituisce titolo esecutivo e conserva la sua efficacia in caso di estinzione del processo. 
L'ordinanza � soggetta alla disciplina delle ordinanze revocabili di cui agli articoli 177, primo e secondo 
comma, e 178, primo comma�. 
(24) �Fino al momento della precisazione delle conclusioni, quando ricorrano i presupposti di 
cui all'articolo 633, primo comma, numero 1), e secondo comma, e di cui all'articolo 634, la parte pu� 
chiedere al giudice istruttore, in ogni stato del processo, di pronunciare con ordinanza ingiunzione di 
pagamento o di consegna. Se l'istanza � proposta fuori dall'udienza il giudice dispone la comparizione 
delle parti ed assegna il termine per la notificazione. 
L'ordinanza deve contenere i provvedimenti previsti dall'articolo 641, ultimo comma, ed � dichiarata 
provvisoriamente esecutiva ove ricorrano i presupposti di cui all'articolo 642, nonch�, ove la controparte 
non sia rimasta contumace, quelli di cui all'articolo 648, primo comma. La provvisoria esecutoriet� 
non pu� essere mai disposta ove la controparte abbia disconosciuto la scrittura privata prodotta contro 
di lei o abbia proposto querela di falso contro l'atto pubblico. 
L'ordinanza � soggetta alla disciplina delle ordinanze revocabili di cui agli articoli 177 e 178, primo 
comma. 
Se il processo si estingue l'ordinanza che non ne sia gi� munita acquista efficacia esecutiva ai sensi 
dell'articolo 653, primo comma. 
Se la parte contro cui � pronunciata l'ingiunzione � contumace, l'ordinanza deve essere notificata ai 
sensi e per gli effetti dell'articolo 644. In tal caso l'ordinanza deve altres� contenere l'espresso avvertimento 
che, ove la parte non si costituisca entro il termine di venti giorni dalla notifica, diverr� esecutiva 
ai sensi dell'articolo 647. 
L'ordinanza dichiarata esecutiva costituisce titolo per l'iscrizione dell'ipoteca giudiziale�.
42 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2015 
alle stesse l�attitudine al giudicato � In via conclusiva ove nel giudizio poi 
dichiarato estinto sia stata emessa una sentenza non definitiva di merito la c.d. 
interruzione permanente della prescrizione permane fino al passaggio in giudicato 
della sentenza non definitiva, in applicazione del principio di cui all�art. 
310, comma 2, c.p.c. Sicch� la sopravvivenza di tale provvedimento all�effetto 
caducatorio della mors litis comporta l�inapplicabilit� dell�art. 2945, comma 
3, c.c., per rientrare l�ipotesi nell�ambito dell�art. 2945, comma 2, c.c. Deve 
ritenersi infatti che l�art. 2945, comma 2, c.c. collega l�effetto interruttivo permanente 
alle sentenze definitive individuate nell�art. 279 c.p.c. � (25). 
(25) A. MUTARELLI, in op. cit., pp. 228-229, ove si precisa, altres�, che �L�ambito delle sentenze 
definitive non si desume solo dall�art. 279 c.p.c. in quanto concorre nella definizione anche l�art. 129, 
comma 3, 1� periodo disp. att. c.p.c.�. 
Come noto, il prefato art. 129 (rubricato �Riserva d�appello ed estinzione del giudizio�) cos� recita: 
�La riserva d'appello contro le sentenze previste nell'articolo 278 e nel n. 4 del secondo comma dell'articolo 
279 del codice, pu� essere fatta nell'udienza del giudice istruttore con dichiarazione orale da 
inserirsi nel processo verbale, o con dichiarazione scritta su foglio a parte da allegarsi ad esso. La riserva 
pu� essere fatta anche con atto notificato ai procuratori delle altre parti costituite, a norma dell'articolo 
170 primo e terzo comma del codice, o personalmente alla parte, se questa non � costituita. 
Se il processo si estingue in primo grado, la sentenza di merito contro la quale fu fatta la riserva acquista 
efficacia di sentenza definitiva dal giorno in cui diventa irrevocabile l'ordinanza, o passa in 
giudicato la sentenza, che pronuncia l'estinzione del processo. Da questa data decorrono i termini 
stabiliti dall'articolo 325 del codice per impugnare la sentenza gi� notificata, e, se questa non � stata 
notificata, decorre il termine di decadenza stabilito dall'articolo 327 del codice stesso�. Si veda, in 
giurisprudenza, sull�argomento, ex multis, Cass., Sez. III, 3 novembre 2014, n. 23364: �secondo l'art. 
310 c.p.c. la sentenza non definitiva di merito sopravvive all'estinzione del giudizio. Con l'ulteriore precisazione 
che, ai sensi dell'art. 129 disp. att. c.p.c.: "se il processo si estingue in primo grado, la sentenza 
di merito contro la quale fu fatta la riserva acquista efficacia di sentenza definitiva dal giorno in cui diventa 
irrevocabile l'ordinanza, o passa in giudicato la sentenza, che pronuncia l'estinzione del processo". 
Ovviamente, il legislatore prende in considerazione le sole sentenze non definitive di merito, le uniche, 
cio�, aventi attitudine ad acquistare un'efficacia che sopravviva all'estinzione del processo (ex art. 
310 c.p.c. ), le uniche rispetto alle quali si pone un interesse ad impugnare e prevede che la sentenza 
diventi definitiva, b) che il principio fissato dall'art. 2945 c.c., comma 2, secondo il quale quando l'interruzione 
della prescrizione derivi da atto di citazione idoneo ad instaurare un valido rapporto processuale, 
l'interruzione medesima si protrae fino al passaggio in giudicato della sentenza che definisce 
il relativo procedimento. Ora, nel caso in esame, il Tribunale di Savona, nel giudizio introdotto con 
l'atto di citazione del 10 settembre 1980 emetteva una sentenza parziale n. 654 depositata il 31 ottobre 
1988 e ordinanza con la quale le parti venivano rimesse al GI per la quantificazione dei danni. Il giudizio 
de quo veniva interrotto per decesso del procuratore dell'attore, non veniva riassunto, e, pertanto, si 
estingueva. Tuttavia, nonostante l'estinzione del processo di cui si dice, la sentenza non definitiva n. 
654 del 31 ottobre 1988 del Tribunale di Savona veniva impugnata davanti alla Corte di Appello di Genova 
e il relativo processo si concludeva con la sentenza n. 1172 del 27 settembre 1994. Pertanto, il 
processo relativamente alle materia oggetto della sentenza non definitiva di cui si dice, tra cui la domanda 
di risarcimento danno e della sua quantificazione proseguiva e diventava definitiva con la sentenza 
della Corte di merito n. 1172 del 27 settembre 1994 non essendo stata, quest'ultima, impugnata. 
Pertanto, correttamente la Corte di Genova con la sentenza, oggetto del presente giudizio, ha chiarito 
che la sentenza parziale del Tribunale di Savona era stata impugnata e il processo veniva concluso con 
sentenza del 27 settembre 1994 depositata il 28 ottobre 1994 della Corte di appello di Genova e, non 
essendo stata impugnata, la sentenza di cui si dice con tutte le sue statuizioni � passata in giudicato. 
Con la conseguenza che la prescrizione sulla domanda risarcitoria ha ripreso a decorrere dalla data
CONVEGNI 43 
4. L�estinzione del processo tributario e prescrizione della pretesa impositiva. 
Il Decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546 configura il processo tributario 
come un giudizio �caratterizzato da una domanda impugnatoria dell'atto 
del fisco per vizi formali o sostanziali�, nel quale (26): 
a) �l'indagine non pu� che essere limitata ai motivi di contestazione dei 
presupposti di fatto e di diritto della pretesa dell'amministrazione che il contribuente 
deve specificamente dedurre nel ricorso introduttivo di primo grado�; 
b) �Il "thema decidendum", come delimitato dal perimetro dei motivi di 
ricorso, pu� essere modificato solo nei limiti derogatori dettati dalla disciplina 
processuale e cio�, mediante presentazione di motivi aggiunti, consentita per�, 
ex art. 24 proc. trib., nella sola peculiare ipotesi del "deposito di documenti 
non conosciuti ad opera delle altre parti o per ordine della commissione" (C. 
19337/11; v. anche C. 23123/95, 19000/07, 24970/05). Il principio che regola 
il contenzioso tributario �, infatti, che esso abbia un oggetto delimitato dalle 
contestazioni comprese nei motivi dedotti col ricorso introduttivo (D.Lgs. n. 
546 del 1992, artt. 18 e 24). Donde i motivi di impugnazione avverso l'atto 
impositivo costituiscono la causa petendi rispetto all'invocato annullamento 
dell'atto medesimo, con conseguente duplice inammissibilit� di un mutamento 
delle deduzioni avanti al giudice di secondo grado (ex plurimis Cass. n. 
22010/2006; n. 7766/2006) ovvero dell'inserimento di temi d'indagine nuovi 
(cfr. Cass. n. 16929/2007). Il rito tributario prevede, poi, all'art. 32, dopo la 
proposizione del ricorso, la possibilit� di depositare documenti fino a venti 
giorni prima dalla data di trattazione e di depositare memorie illustrative sino 
a dieci giorni prima della data di trattazione. Scopo di dette memorie � quello 
di illustrare ed argomentare i motivi di ricorso, eventualmente anche tramite 
riferimenti normativi e giurisprudenziali�. 
Cionondimeno, secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza 
di legittimit� e l�insegnamento sostanzialmente univoco della dottrina, esso 
�non � annoverabile tra quelli di �impugnazione-annullamento�, ma tra 
quelli di "impugnazione-merito", in quanto non � diretto alla sola eliminazione 
giuridica dell'atto impugnato, ma alla pronuncia di una decisione di merito 
sostitutiva sia della dichiarazione resa dal contribuente che dell'accertamento 
dell'ufficio - discende che, ove il giudice tributario ritenga invalido l'avviso 
di accertamento non per motivi formali (ossia per vizi di forma talmente gravi 
da impedire l'identificazione dei presupposti impositivi e precludere l'esame 
del merito del rapporto tributario), ma di carattere sostanziale, detto giudice 
non pu� limitarsi ad annullare l'atto impositivo, ma deve esaminare nel merito 
del passaggio in giudicato della sentenza della Corte distrettuale e, conseguentemente, la domanda introduttiva 
del giudizio notificata il 27 marzo 1995 era tempestiva e aveva nuovamente interrotto il corso 
della prescrizione�. 
(26) Cfr. Cass., Sez. V, 15 ottobre 2013, n. 23326.
44 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2015 
la pretesa tributaria e, operando una motivata valutazione sostitutiva, eventualmente 
ricondurla alla corretta misura, entro i limiti posti dalle domande 
di parte (Cass. n. 6918/2013; Cass. n. 13034/2012; Cass. n. 11935/2012; Cass. 
n. 13868/2010)� (27). 
� noto che il sopra menzionato Decreto legislativo, pur richiamando, in 
quanto compatibili, le disposizioni del codice di procedura civile (28), contiene 
una disciplina specifica e puntuale del giudizio tributario. 
In particolare, per quanto qui interessa, si segnala: 
a) l�art. 35, comma 3: �Alle deliberazioni del collegio si applicano le disposizioni 
di cui agli articoli 276 e seguenti del codice di procedura civile. 
Non sono tuttavia ammesse sentenze non definitive o limitate solo ad alcune 
domande� (29); 
b) l�art. 44 (30): �1. Il processo si estingue per rinuncia al ricorso. 2. Il 
ricorrente che rinuncia deve rimborsare le spese alle altre parti salvo diverso 
accordo fra loro. La liquidazione � fatta dal presidente della sezione o dalla 
commissione con ordinanza non impugnabile. 3. La rinuncia non produce effetto 
se non � accettata dalle parti costituite che abbiano effettivo interesse 
alla prosecuzione del processo. 4. La rinuncia e l'accettazione, ove necessaria, 
sono sottoscritte dalle parti personalmente o da loro procuratori speciali, nonch�, 
se vi sono, dai rispettivi difensori e si depositano nella segreteria della 
commissione. 5. Il presidente della sezione o la commissione, se la rinuncia e 
l'accettazione, ove necessaria, sono regolari, dichiarano l'estinzione del processo. 
Si applica l' ultimo comma dell'articolo seguente�; 
c) l�art. 45 (31): �1. Il processo si estingue nei casi in cui le parti alle 
quali spetta di proseguire, riassumere o integrare il giudizio non vi abbiano 
provveduto entro il termine perentorio stabilito dalla legge o dal giudice che 
dalla legge sia autorizzato a fissarlo. 2. Le spese del processo estinto a norma 
del comma 1 restano a carico delle parti che le hanno anticipate. 3. L'estin- 
(27) Cfr. Cass., Sez. V, 18 novembre 2015, n. 23590. Si veda anche, pi� recentemente, Cass., Sez. 
V, 23 dicembre 2015, nn. 25912 e 25913. 
(28) Cfr. art. 1, comma 2. 
(29) Cfr. in relazione alla corretta interpretazione della disposizione de qua, Cass., Sez. V, 31 gennaio 
2011, ove si legge: �la disposizione che esclude l'ammissibilit� di sentenze non definitive o limitate 
solo ad alcune domande, costituisce una norma a carattere eccezionale che introduce una deroga rispetto 
al regime previsto per il processo civile dall'art. 279 cod. proc. civ. , e tende soltanto ad "evitare 
gl'inconvenienti cui il frazionamento del giudizio da generalmente luogo anche nel processo civile, 
avuto specifico riguardo alla struttura del processo tributario ed al sistema della riscossione frazionata 
dei tributi, con i quali l'istituto della sentenza non definitiva, ed a maggior ragione quello dell'impugnazione 
differita che solitamente vi si accompagna, verrebbero inevitabilmente a configgere" (Cass. 
7909/2007). La norma, quindi, non incide sulla logica interna delle decisioni, che resta quella di cui 
all'art. 276 c.p.c., secondo la quale le decisioni sul merito possono implicare una decisione sulle questioni 
preliminari o pregiudiziali, ma queste non implicano decisioni di merito�. 
(30) Rubricato �Estinzione del processo per rinuncia al ricorso�. 
(31) Rubricato �Estinzione del processo per inattivit� delle parti�.
CONVEGNI 45 
zione del processo per inattivit� delle parti � rilevata anche d' ufficio solo nel 
grado di giudizio in cui si verifica e rende inefficaci gli atti compiuti. 4. L'estinzione 
� dichiarata dal presidente della sezione con decreto o dalla commissione 
con sentenza. Avverso il decreto del presidente � ammesso reclamo alla 
commissione che provvede a norma dell'art. 28�; 
d) l�art. 46 (32): �Il giudizio si estingue, in tutto o in parte, nei casi di 
definizione delle pendenze tributarie previsti dalla legge e in ogni altro caso 
di cessazione della materia del contendere. 2. La cessazione della materia del 
contendere � dichiarata con decreto del presidente o con sentenza della commissione. 
Il provvedimento presidenziale � reclamabile a norma dell'art. 28. 
3. Nei casi di definizione delle pendenze tributarie previsti dalla legge le spese 
del giudizio estinto restano a carico della parte che le ha anticipate�; 
e) l�art. 63 (33), secondo cui �Quando la Corte di cassazione rinvia la 
causa alla commissione tributaria provinciale o regionale la riassunzione deve 
essere fatta nei confronti di tutte le parti personalmente entro il termine perentorio 
di sei mesi dalla pubblicazione della sentenza nelle forme rispettivamente 
previste per i giudizi di primo e di secondo grado in quanto applicabili. 
2. Se la riassunzione non avviene entro il termine di cui al comma precedente 
o si avvera successivamente ad essa una causa di estinzione del giudizio 
di rinvio l'intero processo si estingue. 3. In sede di rinvio si osservano 
le norme stabilite per il procedimento davanti alla commissione tributaria a 
cui il processo � stato rinviato. In ogni caso, a pena d'inammissibilit�, deve 
essere prodotta copia autentica della sentenza di cassazione. 4. Le parti conservano 
la stessa posizione processuale che avevano nel procedimento in cui 
� stata pronunciata la sentenza cassata e non possono formulare richieste diverse 
da quelle prese in tale procedimento, salvi gli adeguamenti imposti dalla 
sentenza di cassazione. 5. Subito dopo il deposito dell'atto di riassunzione, la 
segreteria della commissione adita richiede alla cancelleria della Corte di 
cassazione la trasmissione del fascicolo del processo�. 
Sebbene, all�apparenza, l�art. 63 sopra richiamato sembri costituire una 
mera riproduzione, per il giudizio tributario, dell�art. 393 c.p.c. (34) (in forza 
(32) Rubricato �Estinzione del giudizio per cessazione della materia del contendere�. 
(33) Come modificato dal D.Lgs. nr. 156/2015. �Il predetto termine di sei mesi coincide con 
quello gi� previsto dall�articolo 43 del decreto n. 546 per la riassunzione del giudizio interrotto o sospeso. 
Il termine ridotto si applica per le sentenze depositate dal 1� gennaio 2016 e risponde all�obiettivo 
di accelerare la definitiva conclusione del processo� (cos�, Circ. 29.12.2015, nr. 38/E dell�Agenzia delle 
Entrate). 
(34) All�uopo, si precisa che l'ipotesi di estinzione, per inattivit� delle parti, del giudizio di appello 
�, invece, disciplinata dall�art. 338 c.p.c. (cfr. Cass., Sez. V, 18 giugno 2014, n. 13808, ove si legge: �Il 
D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 49, ammette l'applicabilit� alle impugnazioni delle sentenze delle Commissioni 
tributarie delle disposizioni generali in tema di impugnazioni contenute nel codice di procedura civile 
("del titolo 3^, capo 1^, del libro 2^", ad eccezione dell'art. 337 c.p.c. ), sia pure in via residuale, 
stante la clausola c.d. di "compatibilit�" ("fatto salvo quanto disposto nel presente decreto"). In partico-
46 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2015 
del quale �Se la riassunzione non avviene entro il termine di cui all'articolo 
precedente, o si avvera successivamente a essa una causa di estinzione del 
giudizio di rinvio, l'intero processo si estingue, ma la sentenza della Corte di 
cassazione conserva il suo effetto vincolante anche nel nuovo processo che 
sia instaurato con la riproposizione della domanda� ), in realt�, esso se ne discosta, 
laddove non contiene il riferimento all�efficacia vincolante della sentenza 
della Corte di cassazione �nel nuovo processo che sia instaurato con la 
riproposizione della domanda� . 
Infatti, �l�estinzione del processo di rinvio causa la definitivit� dell�atto 
originariamente impugnato. E tale definitivit� dell�atto impedisce l�instaurazione 
di un nuovo processo e quindi spiega il venir meno nella norma in commento 
della previsione recata dall�art. 393 c.p.c. in forza della quale la sentenza 
della Corte di Cassazione conserva tuttavia il suo effetto vincolante anche nel 
nuovo processo che si � instaurato con la proposizione della domanda� (35). 
In termini analoghi, � l�orientamento della giurisprudenza di legittimit�, 
che, in modo consolidato, afferma che: 
a) �la riassunzione della causa davanti al giudice del rinvio, costituente 
semplice attivit� di impulso processuale e non di impugnazione, pu� essere effettuata 
disgiuntamente da ciascuna delle parti a norma dell'art. 392 c.p.c. Pertanto, 
ove nessuna delle parti del giudizio tributario (ente impositore o 
lare, osserva il Collegio, l'operativit� nel processo tributario dell'art. 338 c.p.c. , (che, si rammenta, sancisce 
il principio generale secondo il quale l'estinzione del giudizio di impugnazione determina il passaggio 
in giudicato della sentenza impugnata) non trova ostacolo in una disposizione speciale, dettata 
per l'estinzione del processo tributario, in fase di impugnazione, con esso incompatibile. Una tale disposizione 
non � rinvenibile nell�art. 45, comma 3, (secondo il quale: "l'estinzione del processo per inattivit� 
delle parti � rilevata anche d'ufficio solo nel grado di giudizio in cui si verifica e rende inefficaci gli atti 
compiuti"), in quanto con esso il legislatore si � preoccupato soltanto di precisare che, anche nel processo 
tributario (come nel procedimento civile ordinario, ai sensi dell'art. 310 c.p.c. ), l'estinzione - per inattivit� 
delle parti - rende inefficaci gli atti compiuti fino al perfezionamento della fattispecie estintiva, essendo 
l'estinzione tuttavia rilevabile, anche d'ufficio, "solo nel grado di giudizio in cui si verifica". La pronuncia 
di estinzione in appello investe pertanto soltanto gli atti del procedimento di gravame. Diversa � la disciplina 
dettata nell'ipotesi di estinzione del giudizio di rinvio, nella quale l'intero processo viene meno, 
stante l'espressa previsione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 63, comma 2, con conseguente consolidamento 
dell'atto impositivo impugnato. In effetti, come � stato gi� chiarito da questa Corte, � inapplicabile al 
giudizio di rinvio l'art. 338 dello stesso codice, che regola gli effetti dell'estinzione del procedimento di 
impugnazione, cosicch� l'estinzione dell'intero processo, ai sensi dell'art. 393 c.p.c, determina la conseguente 
caducazione di tutte le sentenze emesse nel corso dello stesso, eccettuate quelle gi� coperte dal 
giudicato, in quanto non impugnate (Cass. 17372/2002). 2.5. Ne consegue che l'estinzione del processo 
tributario, per inattivit� delle parti, intervenuta in appello, in un giudizio gi� definito in primo grado con 
una decisione di fondatezza dell'azione del contribuente, determina la cristallizzazione della situazione 
giuridica sostanziale, come definita dalla sentenza di merito oggetto di impugnazione, che passa in giudicato. 
In tale ipotesi, infatti (distinta da quella relativa al giudizio di rinvio a seguito di cassazione della 
sentenza resa in appello), il fenomeno estintivo non pu� mantenere in vita il provvedimento impositivo 
impugnato, ormai travolo e sostituito dal titolo giudiziale che ne ha annullato gli effetti�). 
(35) Cfr. T. BAGLILONE - S. MENCHINI - M. MICCINESI, Il nuovo processo tributario, Commentario, 
ed. II, Giuffr�, Milano, 2004, p. 739.
CONVEGNI 47 
contribuente) si sia attivata per la riassunzione, si verifica l'estinzione dell'intero 
processo secondo l'espressa previsione del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, 
art. 63, comma 2, con conseguente definitivit� dell'avviso di accertamento oggetto 
del processo estinto, (conformi Sez. 5, Sentenza n. 16689 del 03/07/2013, 
Rv. 627058; Sez. 5, Sentenza n. 3040 del 08/02/2008, Rv. 601868)� (36); 
b) �per costante e condiviso principio di questa Corte (tra le tante, cfr. 
Cass. n. 3040/2008; Cass. n. 5044/2012; id n. 16689/2013), la pronuncia di 
estinzione del giudizio comporta ex art. 393 c.p.c. e D.Lgs. n. 546 del 1992, 
art. 63, comma 2, il venir meno dell'intero processo e, in forza dei principi in 
materia di impugnazione dell'atto tributario, la definitivit� dell'avviso di accertamento 
e, quindi, l'integrale accoglimento delle ragioni erariali. La pretesa 
tributaria vive di forza propria in virt� dell'atto impositivo in cui � stata 
formalizzata, e l'estinzione del processo travolge la sentenza impugnata, ma 
non l'atto amministrativo che - come noto - non � un atto processuale bens� 
l'oggetto dell'impugnazione. L'opposizione avverso l'imposizione fiscale, infatti, 
integra una mera azione di accertamento negativo della legittimit� della 
pretesa tributaria onde l'eventuale estinzione di tale processo di opposizione 
(nella specie, per mancata riassunzione davanti al giudice di rinvio) non 
pu� implicare l'estinzione dell'obbligazione tributaria, la quale anzi vive di 
forza propria per effetto dell'atto impositivo stesso ed in esso trova titolo costitutivo. 
E, peraltro, nell'ipotesi, quale quella in esame, di estinzione del processo 
che, per inattivit� delle parti, non sia stato pi� riassunto, questa Corte 
(Cass. n. 825/2006, nella quale sono richiamati i precedenti n.ri 6903/1993 e 
122/1988), ha ritenuto che "la riproposizione della medesima azione in un secondo 
giudizio, fondandosi sull'ammesso riconoscimento della gi� verificatasi 
estinzione del primo, ne comporta l'implicita richiesta di accertamento incidentale, 
senza che sia necessaria - in mancanza di apposita prescrizione normativa 
- la specifica proposizione della eccezione di estinzione"�� (37); 
c) � pacifico �nella giurisprudenza di questa Corte (cfr. da ultimo la sentenza 
n. 16689 del 3 luglio 2013) che nel giudizio tributario, a norma dell'art. 392 cod. 
proc. civ., alla riassunzione della causa avanti al giudice di rinvio pu� provvedere 
disgiuntamente ciascuna delle parti, configurandosi essa non come atto di impugnazione, 
ma come attivit� di impulso processuale, che coinvolge gli stessi 
soggetti che sono stati parte nel giudizio di legittimit�; ne consegue che, ove nessuna 
delle parti si sia attivata per la riassunzione (o abbia proposto una riassunzione 
inammissibile), il processo si estingue, determinando, con riguardo al 
giudizio tributario, la definitivit� dell'avviso di accertamento, che ne costituiva 
l'oggetto (e non la reviviscenza della sentenza di primo grado)� (38); 
(36) Cfr. Cass., Sez. V, 11 novembre 2015, n. 23049. 
(37) Cfr. Cass., Sez. V, 20 marzo 2015, n. 5605. 
(38) Cfr. Cass., Sez. VI - 5, ord. 5 febbraio 2014, n. 2519.
48 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2015 
d) �In adesione ai principi affermati nella sentenza di questa Corte 8- 
02-2008, n. 3040, secondo cui la pronuncia di estinzione del giudizio comporta 
ex art. 393 c.p.c., il venir meno dell'intero processo ed, in forza dei principi 
in materia di impugnazione dell'atto tributario la definitivit� dell'avviso di accertamento 
e quindi l'integrale accoglimento delle ragioni erariali; in quanto 
la pretesta tributaria vive di forza propria in virt� dell'atto impositivo in cui 
� stata formalizzata e l'estinzione del processo travolge la sentenza di primo 
grado, ma non l'atto amministrativo che non � un atto processuale bens� l'oggetto 
dell'impugnazione (pertanto la Amministrazione difetta di interesse ad 
impugnare la sentenza che dichiari l'estinzione del giudizio, ancorch� tale 
estinzione sia dichiarata a causa di un errore della Amministrazione nella 
riassunzione del giudizio di merito)� (39). 
In sintesi, la mancata riassunzione del giudizio e la conseguente estinzione 
del giudizio determina la definitivit� dell�atto impositivo, salvo che per la parte 
in cui lo stesso sia stato inciso da statuizioni di merito autonome del giudice 
tributario passate in giudicato precedentemente alla suddetta estinzione (40). 
Con specifico riguardo alla compatibilit� e/o applicabilit� delle previsioni 
di cui all�art. 2945 c.c. al processo tributario, si osserva che mentre, con riferimento 
alle controversie tributarie aventi ad oggetto le domande di rimborso 
formulate dal contribuente nei modi e nelle forme di cui all�art. 21, co. 2, del 
D.Lgs. nr. 546/92 (41) l�estinzione del giudizio produce esattamente gli effetti 
di cui al terzo comma della sopra menzionata disposizione (42), per contro, in 
tutti gli altri casi (e, in particolare, laddove il thema decidendum verte sulla 
legittimit� di un atto impositivo e, dunque, di una pretesa creditoria dell�Amministrazione 
finanziaria), la previsione di cui al terzo comma non sembra suscettibile 
di applicazione. 
In particolare, si evidenzia che: 
(39) Cfr. Cass., Sez. VI - 5, ord. 7 dicembre 2012, n. 22235. 
(40) � noto, infatti, che la giurisprudenza della Corte di Cassazione ha costantemente affermato 
che la mancata riassunzione del giudizio in seguito a cassazione con rinvio travolge l�intero processo, 
in conformit� a quanto disposto dall�art. 393 c.p.c. e, per il processo tributario, l�art. 63, comma 2 del 
d.lgs. 546/1992, rimanendo salve esclusivamente �le statuizioni di merito su cui, nel corso del procedimento 
ormai estinto, si sia formato il giudicato, e cio�, oltre alle sentenze di merito non definitive che 
non abbiano formato oggetto di impugnazione (o i cui motivi di impugnazione siano stati rigettati), 
anche quelle definitive ma passate solo parzialmente in giudicato, per essere stati accolti i motivi di ricorso 
solo relativamente ad alcuni capi della sentenza, in virt� del principio della formazione progressiva 
del giudicato� (cfr. Cass., Sez. I, 19 giugno 2014, n. 13974). 
(41) �Il ricorso avverso il rifiuto tacito della restituzione di cui all'articolo 19, comma 1, lettera g), 
pu� essere proposto dopo il novantesimo giorno dalla domanda di restituzione presentata entro i termini 
previsti da ciascuna legge d'imposta e fino a quando il diritto alla restituzione non � prescritto. La domanda 
di restituzione, in mancanza di disposizioni specifiche, non pu� essere presentata dopo due anni dal pagamento 
ovvero, se posteriore, dal giorno in cui si � verificato il presupposto per la restituzione�. 
(42) Di talch�, �se l�attore non si � cautelato ponendo in essere atti di costituzione di mora, si 
corre il rischio che il diritto si estingua ove sia maturato il termine di prescrizione al momento di estinzione 
del processo��.
CONVEGNI 49 
1) con riguardo alle sanzioni amministrative tributarie l�applicabilit� 
dell�art. 2945, co. 3, c.c., � esclusa, sul piano del diritto positivo, dall�art. 20, 
comma 3, del D.Lgs. nr. 472/1997 che, nello stabilire che �il diritto alla riscossione 
della sanzione irrogata si prescrive nel termine di cinque anni. L'impugnazione 
del provvedimento di irrogazione interrompe la prescrizione, che 
non corre fino alla definizione del procedimento�, contiene una disciplina, 
chiaramente, derogatoria di quella prevista in generale dal Codice civile; 
2) con riguardo agli altri provvedimenti dell�Amministrazione finanziaria, 
la correttezza della sopra formulata conclusione si fonda sulla natura (sopra 
sinteticamente descritta) del giudizio tributario e sulle modalit� attraverso cui 
il Fisco pu� esercitare la propria pretesa creditoria. 
Giuste le previsioni di cui all�art. 2935 c.c., �la prescrizione comincia a 
decorrere dal giorno in cui il diritto pu� essere fatto valere�. 
�La communis opinio in materia � nel senso che gli impedimenti, gli ostacoli 
di ordine legale all�esercizio del diritto inibiscono il decorso della prescrizione
� (43). 
Come noto, l�Amministrazione Finanziaria, nell�esercizio della potest� 
impositiva, esercita - per definizione - un�attivit� di carattere autoritativo, assoggettata 
al principio della riserva di legge, e, in particolare, al conseguente 
principio di tipicit� e nominativit� degli atti e provvedimenti adottati. 
Pertanto, una volta espletata l�attivit� di controllo e di rilevazione della 
violazione mediante la formalizzazione di un�apposita pretesa impositiva entro 
i termini decadenziali previsti dalle legge, la possibilit� che la stessa, in pendenza 
di giudizio, possa essere reiterata, � subordinata alla ricorrenza di situazioni 
specificamente previste dalla legge. 
In particolare, l�art. 15 del D.P.R. nr. 602/73 stabilisce che �Le imposte, i 
contributi ed i premi corrispondenti agli imponibili accertati dall'ufficio ma 
non ancora definitivi, nonch� i relativi interessi, sono iscritti a titolo provvisorio 
nei ruoli, dopo la notifica dell'atto di accertamento, per un terzo degli ammontari 
corrispondenti agli imponibili o ai maggiori imponibili accertati� (44). 
(43) M. GERARDO, in op. cit., p. 69. Si veda anche, in giurisprudenza, ex multis, Cass., Sez. Lav., 
26 maggio 2015, n. 10828, ove si legge: �questa Corte ha gi� avuto modo di affermare (Cass., sentenza 
n. 21026 del 2014, ordinanza n. 3584 del 2012), l'impossibilit� di far valere il diritto, alla quale l'art. 
2935 c.c., attribuisce rilevanza di fatto impeditivo della decorrenza della prescrizione, � solo quella che 
deriva da cause giuridiche che ne ostacolino l'esercizio e non comprende anche gli impedimenti soggettivi 
o gli ostacoli di mero fatto, per i quali il successivo art. 2941, prevede solo specifiche e tassative 
ipotesi di sospensione tra le quali, salvo l'ipotesi di dolo prevista dal n. 8 del citato articolo, non rientra 
l'ignoranza, da parte del titolare, del fatto generatore del suo diritto, n� il dubbio soggettivo sulla esistenza 
di tale diritto ed il ritardo indotto dalla necessit� del suo accertamento�. 
(44) �La ratio sottesa alla disposizione di cui all'articolo 15 D.P.R. 602/73 - ossia il contemperamento 
delle contrapposte esigenza del Fisco, di celere riscossione dei tributi, e del contribuente, di 
non anticipare il pagamento di somme che all'esito del giudizio tributario potrebbero risultare non dovute� 
(cfr. Cass., Sez. VI - 5, 15 febbraio 2013, n. 3838).
50 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2015 
A mente dell�art. 68 del D.Lgs. nr. 546/1992 (45) �Anche in deroga a 
quanto previsto nelle singole leggi d'imposta, nei casi in cui � prevista la riscossione 
frazionata del tributo oggetto di giudizio davanti alle commissioni, 
il tributo, con i relativi interessi previsti dalle leggi fiscali, deve essere pagato: 
a) per i due terzi, dopo la sentenza della commissione tributaria provinciale 
che respinge il ricorso; b) per l'ammontare risultante dalla sentenza della 
commissione tributaria provinciale, e comunque non oltre i due terzi, se la 
stessa accoglie parzialmente il ricorso; c) per il residuo ammontare determinato 
nella sentenza della commissione tributaria regionale ... 2. Se il ricorso 
viene accolto, il tributo corrisposto in eccedenza rispetto a quanto statuito 
dalla sentenza della commissione tributaria provinciale, con i relativi interessi 
previsti dalle leggi fiscali, deve essere rimborsato d'ufficio entro novanta 
giorni dalla notificazione della sentenza. 3. Le imposte suppletive [e le sanzioni 
pecuniarie] debbono essere corrisposte dopo l'ultima sentenza non impugnata 
o impugnabile solo con ricorso in cassazione ��. 
Ne deriva che la possibilit� per il Fisco di esigere il pagamento di quanto 
dovuto in forza del provvedimento �, ab origine et ope legis, condizionata 
nell�an e limitata nel quantum all�esito del giudizio instaurato dal contribuente 
dinnanzi alla competente Commissione Tributaria. 
Orbene, se �la pretesa tributaria vive di forza propria in virt� dell'atto impositivo 
in cui � stata formalizzata, e l'estinzione del processo travolge la sentenza 
impugnata, ma non l'atto amministrativo che - come noto - non � un atto processuale 
bens� l'oggetto dell'impugnazione� (46), se �l'opposizione avverso l'imposizione 
fiscale, infatti, integra una mera azione di accertamento negativo della 
legittimit� della pretesa tributaria onde l'eventuale estinzione di tale processo di 
opposizione (nella specie, per mancata riassunzione davanti al giudice di rinvio) 
non pu� implicare l'estinzione dell'obbligazione tributaria, la quale anzi vive di 
forza propria per effetto dell'atto impositivo stesso ed in esso trova titolo costitutivo� 
(47) e se �la neutralizzazione del corso della prescrizione durante il processo, attuata 
dall�art. 2945, comma 2, si inquadra nel principio degli effetti sostanziali 
della domanda in virt� del quale la durata del processo, non pu� ridondare in 
danno della parte che ha ragione �� (48), deve necessariamente ritenersi che: 
a) la regula iuris di cui all�art. 2945, co. 3, c.c. � destinata a trovare applicazione 
esclusivamente, nell�ambito dell�ordinario di giudizio di cognizione, 
nel quale � necessario l�intervento dell�Autorit� giudiziaria al fine di 
attribuire o negare un determinato bene della vita, ma non gi� nei giudizi di 
natura impugnatoria aventi ad oggetto i provvedimenti dell�Autorit� ammini- 
(45) Nella formulazione anteriore alle modifiche di cui al Decreto legislativo 24 settembre 2015, n. 156. 
(46) Cfr. Cass., Sez. V, 20 marzo 2015, n. 5605. 
(47) Cfr. Cass., Sez. V, 20 marzo 2015, n. 5605. 
(48) A. MUTARELLI, in op. cit., p. 210.
CONVEGNI 51 
strativa (per definizione esecutivi, esecutori e presuntivamente legittimi), nei 
quali l�intervento giurisdizionale � meramente eventuale ed azionabile esclusivamente 
da una delle parti necessarie del processo (49); 
b) ove applicabile anche ai giudizi di natura impugnatoria, il nuovo termine 
di prescrizione comincia a decorrere non gi� dalla data di notifica del 
provvedimento amministrativo (ovvero dalla data di costituzione in giudizio 
dell�Amministrazione resistente (50)), bens� da quella della definitivit� dell�atto 
impugnato (da individuarsi nella scadenza dei termini per la riassunzione 
del giudizio previsti dall�art. 63, comma 1, del D.Lgs. nr. 546/1992), tanto pi� 
che, solo a partire da tale data ovvero solo in presenza di un provvedimento 
definitivo, il Fisco pu� esigere il pagamento dell�intero importo. 
Diversamente opinando: 
1) sarebbe incomprensibile sul piano logico (prima ancora che palesemente 
errata dal punto di vista giuridico) il principio di diritto, ripetutamente, 
affermato dalla giurisprudenza di legittimit� secondo cui l�Erario �difetta di 
interesse ad impugnare la sentenza che dichiari l'estinzione del giudizio�; 
2) l�Amministrazione sarebbe onerata, al fine di evitare l�estinzione del 
giudizio e la conseguente prescrizione del proprio credito, a riassumere il giudizio; 
il che per� non pu� mai accadere, in considerazione della natura impugnatoria 
del processo tributario e della circostanza che, in definitiva, la P.A. 
solleciterebbe un sindacato giurisdizionale sulla legittimit� del proprio agere 
che, invece, l�ordinamento prevede esclusivamente in presenza di una �reazione� 
da parte del suo destinatario. 
Da ultimo, non pu� non rilevarsi come, sul piano del diritto positivo, un 
ulteriore argomento a favore dell�inapplicabilit�, sic et simpliciter, delle pre- 
(49) Cfr. Cass., Sez. V, 20 febbraio 2013, n. 4145 ove si legge: �il costante orientamento di questa 
Corte � nel senso che il giudizio davanti alle commissioni tributarie ha un oggetto necessariamente circoscritto 
al controllo della legittimit�, formale e sostanziale, di uno degli specifici atti impositivi elencati 
nel D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 19 (e, prima, nel D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, art. 16), con 
indagine sul rapporto tributario limitata al riscontro della consistenza della pretesa fatta valere con gli 
atti medesimi, con conseguente incompatibilit� con la struttura del processo atteso il suo carattere impugnatorio 
- della domanda riconvenzionale, da chiunque proposta (in questa prospettiva v. Cass. nn. 
7407 del 2001, 4334 e 15317 del 2002)�. 
(50) In ragione della qualificabilit� del ricorso proposto dinnanzi al giudice tributario come 
�azione di accertamento negativo della legittimit� della pretesa tributaria�. In tali situazioni, �la richiesta 
di rigetto della domanda di accertamento negativo equivale infatti ad un�istanza di accertamento 
positivo dell�esistenza del diritto� (cos�, M. GERARDO, op. cit., p. 183). Si veda, in senso contrario, in 
giurisprudenza, Cass., Sez. III, 29 maggio 2014, n. 12058, ove si legge: ҏ appena il caso di sottolineare 
che la richiesta di rigetto della domanda attrice (diretta all'accertamento negativo di un proprio debito) 
essendo volta funzionalmente ad esplicare un'attivit� difensiva di mera confutazione della domanda avversaria, 
non pu� svolgere efficacia interruttiva della prescrizione del diritto di credito vantato nei confronti 
del debitore n�, tanto meno, nei confronti del fideiussore, non costituendo una chiara esplicitazione 
di una pretesa, vale a dire, un'inequivoca manifestazione della volont�, non solo di veder riconoscere 
ma anche di far valere il proprio diritto, e cio� un'intimazione o un'espressa richiesta formale di adempimento 
idonea, in quanto tale, a mettere in mora la parte debitrice�.
52 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2015 
visioni di cui all�art. 2945, comma 3, c.c. ai giudizi di natura impugnatoria, � 
rappresentato dalla recente riforma del primo comma dell�art. 68 del D.Lgs. 
nr. 546/1992 ad opera del Decreto legislativo 24 settembre 2015, n. 156 (51). 
In particolare, �all�art. 68 al comma 1 � stata introdotta la lettera cbis), 
allo scopo di precisare che nei casi in cui � prevista la riscossione frazionata 
del tributo oggetto di giudizio davanti alle commissioni, l�imposta 
con i relativi interessi deve essere pagata per l�ammontare dovuto nella pendenza 
del giudizio di primo grado dopo la sentenza della corte di cassazione 
di annullamento con rinvio e per l�intero importo indicato nell�atto in caso 
di mancata riassunzione. 
Si � in tal modo colmata una lacuna legislativa in ordine ai poteri degli 
enti impositori di riscuotere il tributo dopo una sentenza della Corte di Cassazione 
di annullamento con rinvio, che ad oggi porta gli uffici ad agire in 
modo diversificato (talvolta con la iscrizione a ruolo dell�intero importo). 
Come gi� accennato, la scelta � stata quella di consentire la riscossione del 
tributo nella misura prevista nella pendenza del giudizio di primo grado. 
Si � ritenuto altres� di codificare il principio costantemente affermato dalla 
giurisprudenza, secondo cui in caso di omessa riassunzione dopo il rinvio si 
estingue l�intero giudizio e diventa definitivo l�atto originariamente impugnato. 
Anche di recente la Corte di Cassazione ha infatti ribadito che �nel giudizio tributario, 
ove nessuna delle parti si sia attivata per la riassunzione ai sensi dell'art. 
392 c.p.c., l'intero processo si estingue, determinandosi la definitivit� dell'avviso 
di accertamento che ne costituiva l'oggetto (Cass. n. 16689/2013). L'estinzione 
del giudizio ex art. 393 c.p.c. comporta infatti il venir meno dell'intero processo, 
ed in forza dei principi in materia d'impugnazione dell'atto tributario, la definitivit� 
dell'avviso di accertamento e l'integrale accoglimento delle ragioni erariali 
(Cass. n. 5044/2012 e in precedenza Cass. n. 3040 del 2008 e n. 1824 del 2005)� 
(Cass. 9.7.2014 n. 15643). L�espressa previsione degli effetti della mancata riassunzione 
ha lo scopo di rendere chiare, soprattutto ai contribuenti, le conseguenze 
pregiudizievoli che derivano dalla mancata riassunzione del giudizio, indipendentemente 
da quale parte sia risultata vittoriosa in cassazione� (52). 
(51) All�uopo, si riproduce il testo del primo comma dell�art. 68 del D.Lgs. nr. 546/1992, come 
modificato dall'art. 9, comma 1, lett. ff), n. 1), D.Lgs. 24 settembre 2015, n. 156, ove si legge: �1. Anche 
in deroga a quanto previsto nelle singole leggi d'imposta, nei casi in cui � prevista la riscossione frazionata 
del tributo oggetto di giudizio davanti alle commissioni, il tributo, con i relativi interessi previsti 
dalle leggi fiscali, deve essere pagato: a) per i due terzi, dopo la sentenza della commissione tributaria 
provinciale che respinge il ricorso; b) per l'ammontare risultante dalla sentenza della commissione tributaria 
provinciale, e comunque non oltre i due terzi, se la stessa accoglie parzialmente il ricorso; c) per 
il residuo ammontare determinato nella sentenza della commissione tributaria regionale; c-bis) per l'ammontare 
dovuto nella pendenza del giudizio di primo grado dopo la sentenza della Corte di cassazione 
di annullamento con rinvio e per l'intero importo indicato nell'atto in caso di mancata riassunzione. 
Per le ipotesi indicate nelle precedenti lettere gli importi da versare vanno in ogni caso diminuiti di 
quanto gi� corrisposto�.
CONVEGNI 53 
�Il decreto di riforma ha aggiunto, al comma 1, la lettera c-bis), allo scopo 
di precisare le modalit� di riscossione del tributo nelle due diverse ipotesi della 
pendenza del giudizio di rinvio e della mancata riassunzione della causa, a seguito 
di una sentenza della Corte di cassazione di annullamento con rinvio. 
Pertanto, nei casi in cui � prevista la riscossione frazionata del tributo oggetto 
di giudizio davanti alle commissioni tributarie, dopo la sentenza della Corte 
di cassazione di annullamento con rinvio, l�imposta, con i relativi interessi, deve 
essere pagata per l�ammontare dovuto nella pendenza del giudizio di primo 
grado e, in caso di mancata riassunzione, per l�intero importo indicato nell�atto. 
In tale ultima ipotesi, in base a quanto previsto dall�articolo 63, comma 
2, del decreto n. 546, se la riassunzione non avviene entro il termine di sei 
mesi dalla pubblicazione della sentenza di cassazione con rinvio o si configura 
una causa di estinzione del giudizio di rinvio, l�intero processo si estingue. 
La giurisprudenza di legittimit� ha costantemente affermato che l�estinzione 
dell�intero processo comporta la caducazione di tutte le sentenze medio 
tempore pronunciate e la definitivit� dell�atto oggetto di impugnazione, con 
conseguente esigibilit� delle somme richieste con il medesimo atto (ex multis, 
Cass. n. 2519 del 5 febbraio 2014; n. 16689 del 3 luglio 2013; n. 5044 del 28 
marzo 2012; n. 3040 dell�8 febbraio 2008). 
La Corte di cassazione ha altres� chiarito che l�estinzione del processo, 
relativamente al giudizio di rinvio, rende inammissibile, per difetto di interesse, 
l�impugnazione proposta dall�Amministrazione finanziaria (cfr. Cass. 
n. 3040 dell�8 febbraio 2008 e n. 5044 del 28 marzo 2012). 
In tal modo, il dettato della nuova lettera c-bis) si � allineato alla giurisprudenza 
della Corte, e la stessa relazione illustrativa al decreto di riforma 
ha evidenziato che �l�espressa previsione degli effetti della mancata riassunzione 
ha lo scopo di rendere chiare, soprattutto ai contribuenti, le conseguenze 
pregiudizievoli che derivano dalla mancata riassunzione del giudizio, indipendentemente 
da quale parte sia risultata vittoriosa in cassazione�. 
Nel diverso caso in cui il giudizio di rinvio sia stato tempestivamente riassunto, 
la lettera c-bis) ha previsto che l�Amministrazione riscuota il tributo per l�ammontare 
dovuto nella pendenza del giudizio di primo grado, in analogia a quanto previsto 
per la riscossione provvisoria nei casi di impugnazione dell�atto impositivo. 
Si osserva sul punto che con la circolare n. 48/E del 24 ottobre 2011, 
l�Agenzia ha precisato che, quando una sentenza di appello sia stata cassata 
con rinvio, ҏ principio fermo nella giurisprudenza di legittimit� e nella riflessione 
della pressoch� unanime dottrina processualistica che il giudizio di 
rinvio (...) costituisce una fase nuova ed autonoma, ulteriore e successivo momento 
del giudizio (...) diretto e funzionale ad una sentenza che non si sostituisce 
ad alcuna precedente pronuncia, riformandola, ma statuisce 
(52) Cfr. Relazione governativa al Decreto legislativo 24 settembre 2015, n. 156.
54 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2015 
direttamente sulle domande proposte dalle parti (Cass. 17 novembre 2000, n. 
14892; Cass. 6 dicembre 2000, n. 15489; 23 settembre 2002, n. 13833; Cass. 
28 gennaio 2005, n. 1824; Cass. 28 marzo 2009, n. 7536; Cass. 5 aprile 2011, 
n. 7781; Cass. 17 settembre 2010, n. 19701)�. 
Nella successiva sentenza della Cassazione 11 novembre 2011, n. 23596, 
� stato ribadito che �dopo la cassazione con rinvio la sentenza di primo grado 
e la sentenza di appello cassata si trovano sempre esattamente nella stessa 
condizione di inefficacia, di impossibilit� di reviviscenza e di insuscettibilit� 
di passaggio in giudicato�. 
Inoltre, in caso di riassunzione della causa, la circostanza che la sentenza 
cassata sia favorevole o sfavorevole all�Amministrazione, se non rilevante dal 
punto di vista giuridico (perch�, come chiarito, tale sentenza viene caducata), 
� invece rilevante dal punto di vista operativo. Se, infatti, la sentenza di appello 
era favorevole all�Amministrazione, quest�ultima - a seguito di cassazione 
con rinvio - dovr� di regola operare uno sgravio parziale; diversamente, 
se la sentenza di appello era favorevole al contribuente, l�Amministrazione 
dovr� nuovamente procedere all�iscrizione a ruolo di un terzo del tributo oggetto 
di giudizio e dei relativi interessi� (53). 
Orbene, poich� il legislatore ha espressamente previsto che, in caso di 
estinzione del giudizio a seguito di rinvio dalla Corte di Cassazione, il contribuente 
� tenuto al pagamento dell�intero importo indicato nell�atto, sembra 
possibile affermare che: 
a) il termine di prescrizione della pretesa creditoria comincia a decorrere 
soltanto dalla data di definitivit� dell�atto e non prima; 
b) con riguardo al giudizio tributario, deve escludersi l�operativit� della 
previsione di cui all�art. 2945, comma 3, c.c. 
(53) Cfr. Circ. Agenzia delle Entrate nr. 38/E del 29 dicembre 2015.
CONTENZIOSO NAZIONALE 
La Cassazione sull'esenzione fiscale degli atti di riassetto 
patrimoniale a seguito della separazione tra coniugi 
CASSAZIONE, SEZIONE TRIBUTARIA CIVILE, SENTENZA 13 NOVEMBRE 2015 N. 23225 (*) 
Segnalo la sentenza della Cassazione, recentemente depositata, in tema 
di esenzione dall�imposta del registro degli atti relativi alla separazione tra coniugi 
prevista dall�art. 19 della L. 74-87 (�Tutti gli atti, i documenti ed i provvedimenti 
relativi al procedimento di scioglimento del matrimonio o ... sono 
esenti dall�imposta di bollo, di registro e da ogni altra tassa�) . 
Il caso riguardava la decadenza dalle agevolazioni prima casa, godute al 
momento dell�acquisto, da un contribuente che, prima del decorso dei cinque 
anni, aveva ceduto alla moglie la casa familiare, per le esigenze abitative di questa 
e della prole, in ottemperanza degli accordi di separazione omologati dal 
Tribunale. Riteneva l�Agenzia infatti che la norma in parola non potesse applicarsi 
anche all�acquisto agevolato perch� stipulato prima della separazione. 
Il ricorso, dopo ampio dibattito in prima sezione, era stato proposto pi� 
per ragioni di opportunit� che per convinzione. 
Con la sentenza allegata, la Corte ha - giustamente - affermato che la 
norma in tema di agevolazione prima casa va interpretata secondo la sua ratio 
nel senso che �l�immobile acquistato con l�agevolazione fiscale per essere 
destinato a casa familiare resta tale, continuando innanzitutto a soddisfare la 
primaria esigenza di conservazione dell�habitat familiare in funzione della 
tutela della prole, con il solo adeguamento alla sopravvenuta cessazione della 
convivenza tra i coniugi�. 
La soluzione adottata pare pi� equa poich� altrimenti il coniuge, oltre a 
perdere la disponibilit� della casa per effetto della separazione, sarebbe stato 
(*) Annotazione alla sentenza in rassegna inviata per email ai Colleghi dall�avv. Stato Carlo Maria Pisana 
in data 4 gennaio 2016.
56 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2015 
gravato di un onere fiscale ulteriore, quale il recupero dell�agevolazione sul 
contratto di acquisto precedentemente stipulato, in contraddizione con la finalit� 
della disposizione della L. 74-87, a mio avviso, volta a mantenere il contribuente 
indenne da imposizione in relazione a tutte le conseguenze del 
riassetto patrimoniale derivato dalla separazione. 
Carlo Maria Pisana 
Cassazione, Sezione Quinta, sentenza 13 novembre 2015 n. 23225 - Pres. A. Merone, Rel. 
L. Napolitano, P.M. L. Cuomo (difforme) - Agenzia delle Entrate (avv. gen. Stato) c. V.M. 
(avv.ti M. Giuliani e G. Borelli). 
Svolgimento del processo 
L'Agenzia delle Entrate notific� al sig. V.M. avviso di liquidazione volto al recupero delle 
imposte di registro, ipotecaria e catastale ritenute dovute in misura ordinaria in relazione alla 
contestata decadenza dalla c.d. agevolazione prima casa relativamente all'acquisto di porzione 
di fabbricato avvenuto con atto del 9 luglio 2001, per avere il contribuente trasferito il predetto 
immobile, acquistato in regime di separazione dei beni, alla propria moglie nel quadro degli 
accordi di separazione consensuale omologati con decreto del Tribunale di Modena del 3 giugno 
2002, senza provvedere, entro l'anno successivo, al riacquisto di altro immobile da adibire 
a propria abitazione principale. 
Il V. impugn� l'atto impositivo dinanzi alla CTP di Modena, che accolse il ricorso. 
Su appello dell'Ufficio la CTR dell'Emilia-Romagna, con sentenza n. 64/20/09, depositata il 
12 giugno 2009, rigett� il gravame, ritenendo che la L. n. 74 del 1987, art. 19, fosse tale da 
conferire un diritto speciale da estendersi a qualunque onere fiscale che riguardi, anche se indirettamente, 
tutti gli atti comunque connessi con il dato oggettivo della separazione. 
Avverso detta pronuncia ricorre per cassazione in forza di un solo motivo l'Agenzia delle Entrate. 
L'intimato resiste con controricorso. 
Motivi della decisione 
1. Con l'unico motivo l'Agenzia delle Entrate censura la sentenza impugnata per "violazione 
e falsa applicazione della L. n. 74 del 1987, art. 19, e della nota II bis punto 4 della tabella 
allegato A tariffa parte prima al D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131 e ss. modificazioni in relazione 
all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3". 
L'Amministrazione ricorrente censura come erronea in diritto la statuizione della sentenza 
impugnata, che ha ritenuto applicabile l'esenzione di cui alla L. n. 74 del 1987, art. 19, con riferimento 
all'atto del 2001, laddove l'Ufficio ne ha fatto corretta applicazione riguardo al trasferimento 
oggetto degli accordi di separazione consensuale intervenuti tra i coniugi ed 
omologati con decreto del Tribunale di Modena del 3 giugno 2002 (estraneo al thema decidendum 
del presente giudizio). 
Ci� che, infatti, l'Ufficio ha contestato al contribuente, � la decadenza dall'agevolazione c.d. 
prima casa usufruita in relazione all'atto d'acquisto del 2001, per essere stato l'immobile ivi acquistato 
oggetto di nuovo trasferimento prima del decorso del quinquennio dall'atto medesimo, 
senza che il contribuente ne abbia acquistato, entro l'anno successivo dal trasferimento alla propria 
moglie in attuazione degli accordi di separazione, un altro da adibire a propria abitazione. 
L'Amministrazione finanziaria deduce quindi che l'esenzione di cui alla L. n. 74 del 1987,
CONTENZIOSO NAZIONALE 57 
art. 19, non possa applicarsi indistintamente a tutti gli atti che i coniugi stipulino "in occasione" 
del procedimento di separazione o divorzio, ma solo a quelli "relativi", termine inteso come 
"inerenti", ai predetti procedimenti. 
1.1. Preliminarmente va dato atto che, risultando ancora applicabile ratione temporis al presente 
giudizio, avente ad oggetto ricorso per cassazione avverso sentenza della CTR dell'Emilia-
Romagna depositata il 12 giugno 2009, l'art. 366 bis c.p.c., l'illustrazione dell'unico motivo 
addotto a fondamento del ricorso proposto dall'Agenzia delle Entrate � concluso da idoneo 
quesito di diritto. 
1.2. Va, ancora, in primo luogo, disattesa, in quanto infondata, l'eccezione della controricorrente 
in ordine alla pretesa inammissibilit� del motivo (e quindi del ricorso sullo stesso unicamente 
basato) perch� teso, in realt�, a sollecitare alla Corte il riesame nel merito. 
Posto che i fatti sono pacifici, nel senso che � indiscusso che si verta in proposito in tema di 
revoca di agevolazione c.d. prima casa, della quale il contribuente aveva usufruito circa un 
anno prima del nuovo trasferimento dell'immobile alla moglie in attuazione degli accordi di 
separazione, correttamente l'Agenzia delle Entrate ha censurato l'error in indicando, con riferimento 
alle disposizioni di legge indicate in rubrica, nel quale ritiene sia incorso il giudice 
di merito nel riferire l'applicabilit� della L. n. 74 del 1987, art. 19, all'atto del 2001, in relazione 
all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. 
1.3. Il ricorso � peraltro infondato e va rigettato. 
Come � noto, per quanto qui interessa, per effetto della sentenza della Corte costituzionale 10 
maggio 1999, n. 154, il regime di esenzione di cui alla L. n. 74 del 1987, art. 19, � stato esteso 
anche a tutti gli atti, i documenti ed i provvedimenti relativi al procedimento di separazione 
personale tra i coniugi. � circostanza incontroversa, in fatto, che il V. acquist� da terzi, usufruendo 
della agevolazione prima casa ai fini delle imposte di registro, ipotecaria e catastale, 
l'immobile adibito a casa familiare, poi ceduto alla moglie l'anno successivo in attuazione 
degli accordi di separazione consensuale omologata, affinch� restasse destinata ad abitazione 
della prole minore affidata alla madre secondo i suddetti accordi. 
Si tratta di verificare quindi se il trasferimento immobiliare, prima del decorso del quinquennio 
dall'acquisto per il quale il contribuente aveva usufruito dell'agevolazione, non seguito dall'acquisto 
di altro immobile da adibire a propria abitazione, possa integrare alienazione rilevante 
ai fini della decadenza dal c.d. beneficio "prima casa". 
Questa Corte ha di recente gi� affermato il principio secondo cui "l'attribuzione al coniuge 
della propriet� della casa coniugale in adempimento di una condizione inserita nell'atto di 
separazione consensuale, non costituisce una forma di alienazione dell'immobile rilevante ai 
fini della decadenza dai benefici prima casa; bens� una forma di utilizzazione dello stesso ai 
fini della migliore sistemazione dei rapporti tra coniugi, sia pure al venir meno della loro 
convivenza e proprio in vista della cessazione della convivenza stessa" (cfr. Cass. civ. sez. 6^ 
- V ord. 18 febbraio 2014, n. 3753). 
A detto principio, che s'inserisce in un quadro normativo volto alla sempre pi� marcata valorizzazione 
dell'autonomia privata nell'ambito della disciplina dei rapporti familiari, ritiene la 
Corte di dover dare continuit�. 
Ci� in ragione del decisivo rilievo - avuto riguardo anche a quella che � la ratio propria dell'agevolazione 
fiscale c.d. prima casa (favorire l'acquisizione in propriet� della casa da destinare 
ad abitazione propria e quindi del proprio nucleo familiare) - che appare assolutamente 
prevalente, nella fattispecie in esame, rispetto al tipo negoziale, la valutazione della causa ad 
esso esterna, che si connota della funzione solutoria degli obblighi legali di mantenimento, in
58 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2015 
forza della quale l'immobile acquistato con l'agevolazione fiscale per essere destinato a casa 
familiare resta tale, continuando quindi innanzitutto a soddisfare la primaria esigenza della 
conservazione dell'habitat familiare in funzione di tutela della prole, con il solo adeguamento 
alla sopravvenuta cessazione della convivenza tra i coniugi. 
Tale conclusione, oltre ad essere in linea con l'interpretazione di questa Corte volta ad affermare 
la ricorrenza dei benefici in questione nel quadro degli accordi di negoziazione della 
crisi familiare, purch� intervengano sempre tra i coniugi (cfr., pi� di recente, Cass. civ. sez. 
5^ 17 gennaio 2014, n. 860), non appare distonica rispetto alla stessa impostazione dei principali 
documenti di prassi dell'Amministrazione, riguardanti l'ambito applicativo dell'estensione 
del beneficio di cui alla L. n. 74 del 1987, art. 19, (cfr. circolare 27/E del 21 giugno 
2012, richiamata dalla circolare n. 18/E del 29 maggio 2013, e circolare 2/E del 21 febbraio 
2014 dell'Agenzia delle Entrate, par. 9.2). 
1.4. Le considerazioni dinanzi svolte hanno carattere assorbente rispetto all'ulteriore questione 
posta dal contribuente, cio� se l'avere trasferito alla moglie, in attuazione degli accordi di separazione, 
l'immobile prima del quinquennio dall'acquisto, senza procedere nell'anno successivo 
a nuovo acquisto d'immobile da adibire a propria abitazione, mancando le relative 
possibilit� economiche, possa costituire causa di forza maggiore, evitando ci� al contribuente 
d'incorrere quindi nell'ipotesi prevista di decadenza dall'agevolazione prima casa usufruita 
nell'acquisto del 2001. 
2. Possono essere compensate tra le parti le spese del presente giudizio di legittimit�, avuto 
riguardo alla formazione dell'orientamento in materia, rispetto al quale la presente decisione 
si pone in continuit�, in epoca successiva alla proposizione del presente ricorso. 
P.Q.M. 
La Corte rigetta il ricorso e compensa tra le parti le spese del presente giudizio di legittimit�. 
Cos� deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 7 ottobre 2015.
CONTENZIOSO NAZIONALE 59 
Il principio della compensatio lucri cum damno tra 
vecchi e nuovi orientamenti della Corte di Cassazione 
NOTA A CASSAZIONE CIVILE, SEZIONE TERZA, ORDINANZA 5 MARZO 2015 N. 4447 
Francesco Molinaro* 
SOMMARIO: 1. Il caso - 2. La compensatio lucri cum damno - 3. La compensatio lucri 
cum damno tra cumulabilit� e detraibilit� del risarcimento del danno con l�indennizzo. 
1. Il caso. 
La vicenda sottoposta all'esame della Corte di Cassazione aveva ad oggetto 
un incidente sciistico nel quale perdeva la vita un cittadino tedesco. 
L'ente previdenziale tedesco �Deutsche Rentenversicherung Bund� chiamava 
in giudizio, dinanzi il Tribunale di Trento, il soggetto che riteneva responsabile 
dell'incidente, chiedendo l'accertamento della sua esclusiva 
responsabilit� nella causazione del sinistro e la condanna alla rifusione dell'importo 
dovuto dall'ente previdenziale agli eredi della vittima, a titolo di pensione 
di reversibilit�. 
Nei primi due gradi di giudizio veniva respinta la pretesa avanzata dall'ente 
previdenziale, in quanto si riteneva che questo non potesse agire in via 
surrogatoria nei confronti del presunto responsabile del sinistro, atteso che le 
somme ricevute dai congiunti della vittima non venivano erogate in conseguenza 
del fatto illecito, ma sulla base del contratto di assicurazione stipulato 
dal de cuius e delle condizioni di legge. 
Visto l'esito negativo dei primi due gradi di giudizio, l'ente previdenziale 
tedesco �Deutsche Rentenversicherung Bund� proponeva ricorso dinanzi alla 
Suprema Corte di Cassazione. 
La Corte di Cassazione rilevava che sulla questione si erano alternati, nelle 
pronunce della Suprema Corte, due differenti orientamenti: il primo ammetteva, 
in conseguenza del fatto illecito, la cumulabilit� della somma risarcitoria, a titolo 
di danno patrimoniale, con le prestazioni erogate dall'assicuratore sociale o dall'ente 
previdenziale in quanto avevano fondamento in titoli diversi. Di conseguenza 
escludeva l'applicabilit� della compensatio lucri cum damno; il secondo, 
invece, escludeva il cumulo del risarcimento del danno con le prestazioni erogate 
dall'assicuratore sociale o dell'ente previdenziale in conseguenza del fatto illecito, 
in quanto il beneficio, erogato dall'assicuratore sociale o dall'ente previdenziale, 
aveva lo scopo di limitare il danno patrimoniale subito dai congiunti 
della vittima, con ci� elidendosi in parte qua l'esistenza del danno risarcibile. 
Di conseguenza ammetteva l'applicabilit� della compensatio lucri cum damno. 
(*) Dottore in Giurisprudenza, ammesso alla pratica forense presso l�Avvocatura dello Stato.
60 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2015 
Alla luce di tali differenti orientamenti la Suprema Corte, con l'ordinanza 
n. 4447 del 5 marzo 2015, riteneva opportuno investire le Sezioni Unite della 
questione concernente la portata del principio della compensatio lucri cum 
damno nell'ambito delle conseguenze risarcitorie da fatto illecito in relazione 
alla limitazione del diritto al risarcimento del danno della vittima, in funzione 
del quale diritto l'ente previdenziale possa esercitare l'azione di surrogazione 
ad esso spettante nei confronti del responsabile civile. 
2. La compensatio lucri cum damno. 
Prima di esaminare i distinti orientamenti, emersi nella giurisprudenza di 
legittimit� sulla portata della compensatio lucri cum damno, si reputa opportuno 
inquadrare tale istituto. 
La compensatio lucri cum damno si pu� definire come �il principio che, 
nella determinazione del danno contrattuale o extracontrattuale, impone di 
tener conto dell'eventuale vantaggio che il fatto illecito abbia procurato al 
danneggiato, non potendo il risarcimento risolversi in un arricchimento� (1). 
La compensatio lucri cum damno � un principio elaborato dalla giurisprudenza 
in quanto non � espressamente sancito in nessuna norma. 
Tale principio ha le sue origini nel diritto romano e, secondo alcuni autori, 
� stato uno dei capisaldi nella costruzione del danno secondo la teoria 
della differenza (2). 
Il principio della compensatio � riemerso ad inizi del Novecento, in occasione 
della stampa, ad opera di Francesco Leone, di un saggio avente ad oggetto 
la riscoperta del principio romanistico. 
Tuttavia, � nel dopoguerra, con il Trattato sul danno di Adriano De 
Cupis, che la compensatio lucri cum damno si consacra quale principio applicabile 
alle nuove fattispecie emerse nella responsabilit� civile, attesa la 
sua funzione di equit� (3). 
Per le importanti finalit� che persegue, nell'ambito della liquidazione del 
danno, � stato ammesso, nel diritto comunitario, tra i principi di diritto comune 
(Risoluzione n. 75/7 del Consiglio d'Europa) (4). 
Il principio della compensatio lucri cum damno, quindi, impone di tenere 
in considerazione, nella determinazione del danno, anche delle conseguenze 
positive. Sebbene, normalmente, le conseguenze patrimoniali, derivanti da un 
fatto illecito siano negative, in alcuni casi potrebbero dare luogo anche a conseguenze 
positive per il danneggiato, ad es. un incremento patrimoniale (5). 
(1) V. COLONNA, Vajont: ultimo atto, in Danno e responsabilit�, 1996, 693. 
(2) M. FRANZONI, La compensatio lucri cum damno, in Responsabilit� civile, 2010, 1. 
(3) U. IZZO, La compensatio lucri cum damno come �latinismo di ritorno�, in Responsabilit� 
civile e previdenza, 2012, 1738. 
(4) F. LO IUDICE, In tema di compensatio lucri cum damno: una conferma dalla giurisprudenza 
di legittimit�, in Giustizia Civile, 1999, 223.
CONTENZIOSO NAZIONALE 61 
L'eventualit� che il danneggiato si possa trovare in una situazione migliore 
rispetto a quella anteriore al fatto dannoso, violerebbe la funzione riequilibratrice 
del danno (6). 
Per scongiurare tale risultato, la compensatio lucri cum damno ridurr� o 
estinguer� l'obbligazione risarcitoria proporzionalmente al lucro che il fatto 
illecito ha provocato nel patrimonio del danneggiato (7). In tal modo verr� rispettata 
la regola generale posta a fondamento del risarcimento integrale del 
danno, in base alla quale il danno non pu� eccedere la misura dell'interesse 
leso, divenendo fonte di lucro per il danneggiato (8). 
La Corte di Cassazione ha precisato che la compensatio lucri cum damno �non 
integra ragione di diniego in tutto o in parte della responsabilit� risarcitoria� (9) 
ma attiene al quantum, ossia assicurer� che al momento della liquidazione siano 
tenuti in considerazione tutti i vantaggi che siano ricollegabili all'illecito (10). 
Tale principio, quindi, mira a garantire che nella liquidazione del danno si 
tengano in considerazione sia gli aspetti negativi del danno che quelli positivi. 
Nonostante il principio della compensatio non abbia alcun riferimento 
normativo, la prevalente giurisprudenza e dottrina hanno ravvisato il fondamento 
di tale principio, in ambito contrattuale ed extracontrattuale, nel combinato 
disposto dagli articoli 1223 e 2056 del codice civile, in base ai quali il 
danno risarcibile deve essere limitato solo alle conseguenze immediate e dirette 
(11) e, quindi, sia comprensivo del danno emergente e del lucro cessante, 
in ossequio al principio dell'integralit� del risarcimento (12). 
A tale orientamento si �, tuttavia, contrapposto quello che negava la portata 
generale del principio della compensatio lucri cum damno. Tale orientamento 
giustificava il proprio assunto in base alle seguenti ragioni. 
Innanzitutto non � possibile individuare un preciso riferimento normativo 
della compensatio, in quanto dall'art. 1223 c.c. non � possibile desumere il 
principio in argomento, poich� tale norma non fa alcun richiamo alla compensazione 
tra conseguenze negative e positive dell'illecito, ma si limita solo a 
considerare le conseguenze pregiudizievoli dell'illecito. 
(5) F.S. ANGELO, La compensatio lucri cum damno: contrasti ed incertezze della giurisprudenza, 
in Danno e responsabilit�, 2000, 516. 
(6) V. CARBONE, La compensatio lucri cum damno tra ambito del danno risarcibile e rapporto di 
causalit�, in Danno e Responsabilit�, 1996, 430. 
(7) C.M. BIANCA, La responsabilit�, Milano, 2012, 167. 
(8) G. BORDOLLI, Una fortunata sventura: quando l'illecito fa arricchire il danneggiato. La cassazione 
spesso esclude la compensatio lucri cum damno, in Diritto e giustizia, 2004, 84. 
(9) Cass. Civ. Sez. I 22 giugno 1990 n. 6278, in Giurisprudenza italiana, 1991, 182. 
(10) V. COLONNA, Vajont: ultimo atto, in Danno e responsabilit�, 1996, 693. 
(11) F.A. MAGNI, Divieto di cumulo di indennizzo assicurativo e risarcimento del danno: una decisione 
apparentemente innovativa e non del tutto convincente, in Corriere giuridico, 2015, 660. 
(12) F. LO IUDICE, In tema di compensatio lucri cum damno: una conferma dalla giurisprudenza 
di legittimit�, in Giustizia Civile, 1999, 223.
62 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2015 
Tale orientamento, inoltre, rileva che il principio in questione � stato, raramente, 
applicato, essendo stato il pi� delle volte preso in considerazione 
solo al fine di escluderne l'applicazione (13). 
Si ritiene, soprattutto, che il lucro non incide sull'entit� effettiva del danno 
sofferto dal danneggiato in quanto costituisce un vantaggio patrimoniale autonomamente 
acquisito dal danneggiante (14). 
Tra i due orientamenti si � affermato quello favorevole alla compensatio 
lucri cum damno. Tale principio, tuttavia, � stato ritenuto applicabile solo in 
alcune specifiche ipotesi. 
L'orientamento favorevole all'operativit� della compensatio lucri cum 
damno ha individuato quattro elementi in presenza dei quali si pu� ritenere 
applicabile il principio in questione: 
a) sussistenza del danno risarcibile; 
b) vantaggio ottenuto dalla vittima; 
c) sussistenza di una causalit� giuridica immediata e diretta delle poste 
in �compensazione�; 
d) medesima natura giuridica dei benefici patrimoniali (15). 
Pertanto, una volta ritenuto applicabile tale principio nel nostro ordinamento, 
i dibattiti su di esso si sono orientati sulla necessaria presenza o meno 
di tutti i quattro requisiti. In alcune pronunce, infatti, la Suprema Corte ha giustificato 
la compensanzione del lucro con il danno, tra indennizzo e risarcimento, 
non considerando rilevante il criterio afferente alla medesima natura 
giuridica dei benefici patrimoniali. 
Il contrasto tra le diverse posizioni sulla portata del principio della compensatio 
lucri cum damno � emerso chiaramente nel 2014 laddove la Suprema 
Corte, a distanza di pochi mesi, ha dato soluzioni diverse sulla portata 
di tale principio. 
Nella sentenza n. 13537 del 13 giugno del 2014 ha ammesso la detraibilit� 
dal risarcimento del danno delle somme precedentemente corrisposte a titolo 
di indennizzo, affermando che: �In tema di danno patrimoniale patito dal familiare 
di persona deceduta per colpa altrui, dall'ammontare del risarcimento 
deve essere detratto il valore capitale della pensione di reversibilit� percepita 
dal superstite in conseguenza della morte del congiunto, attesa la funzione indennitaria 
assolta da tale trattamento, che � inteso a sollevare i familiari dallo 
stato di bisogno derivante dalla scomparsa del congiunto, con conseguente 
esclusione, nei limiti del relativo valore, di un danno risarcibile� (16). 
Nella sentenza n. 20548 del 30 settembre 2014, viceversa, ha ammesso 
(13) M. PRATI, Compensatio lucri cum damno, in Contratti, 2003, 13. 
(14) C.M. BIANCA, La responsabilit�, Milano, 2012, 168. 
(15) D. CERINI, Danno e risarcimento: coerenze (e incoerenze) nell'applicazione del principio di 
compensatio lucri cum damno, in Danno e responsabilit�, 2015, 25. 
(16) Cass. Civ. Sez. III 13 giugno 2014, n. 13537, in Foro Italiano, 2014, 2470.
CONTENZIOSO NAZIONALE 63 
la cumulabilit� dell'indennizzo con il risarcimento del danno, affermando che: 
�In tema di risarcimento del danno da illecito, il principio della "compensatio 
lucri cum damno" trova applicazione unicamente quando sia il pregiudizio 
che l'incremento patrimoniale siano conseguenza del medesimo fatto illecito, 
sicch� non pu� essere detratto quanto gi� percepito dal danneggiato a titolo 
di pensione di inabilit� o di reversibilit�, ovvero a titolo di assegni, di equo 
indennizzo o di qualsiasi altra speciale erogazione connessa alla morte o all'invalidit�, 
trattandosi di attribuzioni che si fondano su un titolo diverso dall'atto 
illecito e non hanno finalit� risarcitorie� (17). 
La diversit� degli orientamenti emersi in seno alla giurisprudenza di legittimit� 
hanno portato la Terza Sezione della Corte di Cassazione alla rimessione 
degli atti al Primo Presidente, per l'assegnazione della questione alle 
Sezioni Unite (18). 
3. La compensatio lucri cum damno tra cumulabilit� e detraibilit� del risarcimento 
del danno con l'indennizzo. 
La questione sottoposta all'esame delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, 
con l'ordinanza n. 4447 del 5 marzo 2015, attiene alla possibilit� di 
poter detrarre dal risarcimento del danno quanto percepito dal danneggiato a 
titolo di pensione di reversibilit�. 
Invero, si deve precisare che la suddetta questione non concerne solo la 
pensione di reversibilit�, ma ogni altro importo di cui il danneggiato ha beneficiato 
in virt� di una legge o contratto (es. indennizzo, pensione di inabilit� e 
qualsiasi altra speciale erogazione) (19). 
Preliminarmente occorre precisare che la differenza tra risarcimento e 
indennizzo consiste nel fatto che, mentre il risarcimento del danno � volto a 
ripristinare la situazione precedente alla verificazione del danno, l'indennizzo 
� un intervento riparatore economico volto a tutelare la vittima per un danno 
accidentale (20), non necessariamente commisurato all'effettiva entit� del 
danno subito e verr� determinato in base a parametri previsti dalla legge o 
dal contratto (21). 
Nell'ordinanza di rimessione la Corte di Cassazione, innanzitutto, ha dato 
atto dei due diversi orientamenti seguiti nelle pronunce della Suprema Corte. 
(17) Cass. Civ. Sez. III, 30 settembre 2014 n. 20548, in Giustizia Civile Massimario, 2014. 
(18) R. SAVOIA, Applicabilit� del principio della compensatio lucri cum damno nell'ambito delle 
conseguenze risarcitorie da fatto illecito, spetter� alle Sezioni Unite decidere, in Diritto e giustizia, 
2015, 39. 
(19) C. CERRI, Applicabilit� della compensatio lucri cum damno: l'ultima parola spetta alle Sezioni 
Unite, in Danno e responsabilit�, 2015, 1020. 
(20) D. CHINDEMI, Ottica risarcitoria e ottica indennitaria, in P. CENDON, La prova e il quantum 
nel risarcimento del danno non patrimoniale, danno biologico, esistenziale e morale, Torino, 2008, 141. 
(21) M. SANNA, Polizza infortuni e natura del debito di indennizzo dell'assicuratore, in Responsabilit� 
civile e previdenza, 2007, 1297.
64 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2015 
Il primo orientamento, maggiormente seguito, esclude l'applicabilit� della 
compensatio lucri cum damno poich� ritiene che dalla somma riconosciuta a 
titolo di risarcimento del danno non si pu� detrarre quanto gi� percepito dal 
danneggiato a titolo di indennizzo, in quanto risarcimento del danno ed indennizzo 
hanno fondamento in diversi titoli: il primo ha fondamento nell'illecito, 
mentre il secondo ha fondamento nella legge. 
Tra le pronunce sfavorevoli alla detraibilit� delle somme indennitarie 
dalle somme risarcitorie si pu� citare una sentenza della Corte di Cassazione, 
laddove si � affermato: �sottende che il danno e l'incremento patrimoniale discendano 
entrambi con rapporto immediato e diretto dallo stesso fatto, sicch�, 
se ad alleviare le conseguenze dannose subentra una circostanza che ha titolo 
diverso ed indipendente dal fatto illecito, di tale circostanza non pu� tenersi 
conto nella liquidazione del danno� (22). 
Tale orientamento, inoltre, � stato sapientemente spiegato dalla Suprema 
Corte in occasione del disastro del Vajont (23), in cui ha affermato che i contributi 
concessi dallo Stato ai comuni coinvolti nel suddetto disastro non 
possono essere detratti della somma dovuta agli stessi a titolo di risarcimento, 
in quanto hanno titolo in un atto di solidariet� nazionale e non nel 
fatto illecito (24). 
Pertanto, si � esclusa la cumulabilit� tra indennizzo e risarcimento poich� 
il primo aveva titolo in un contributo solidaristico riconosciuto nei confronti 
delle vittime del disastro, mentre il secondo aveva titolo nella responsabilit� 
extracontrattuale di terzi (25). 
Il secondo orientamento, pi� recente, ammette l'applicabilit� della compensatio 
lucri cum damno in quanto ritiene prevalente l'esigenza di evitare che 
il danneggiato possa godere per il medesimo fatto lesivo di due diverse attribuzioni 
patrimoniali, conseguendo un ingiustificato arricchimento (26). 
Il cambio di rotta che ha portato a riconoscere, in alcune pronunce della 
Suprema Corte, tale orientamento si � avuto alla fine del secolo scorso, grazie 
ad una pronuncia del Tribunale di Roma resa in materia di emotrasfusioni laddove 
si � riconosciuta sia la somma risarcitoria a titolo di responsabilit� extracontrattuale 
e sia l'indennizzo previsto dalla legge n. 210/1992 (27). 
Il tribunale capitolino nella presente pronuncia, sebbene non abbia espressamente 
richiamato il principio della compensatio lucri cum damno, ha rite- 
(22) Cass. Civ. Sez. III, 10 ottobre 1988, n. 5464, in Giustizia civile massimario, 1988. 
(23) Cass. Civ. Sez. III, 19 giugno 1996 n. 5650, in Foro Italiano, 3062. 
(24) V. COLONNA, Vajont: ultimo atto, in Danno e responsabilit�, 1996, 693. 
(25) C. CERRI, Applicabilit� della compensatio lucri cum damno: l'ultima parola spetta alle Sezioni 
Unite, in Danno e responsabilit�, 2015, 1020. 
(26) M. FERRARI, La compensatio lucri cum damno come eccezione rilevabile d'ufficio, in Responsabilit� 
civile e previdenza, 2015, 666. 
(27) Trib. Roma, 8 gennaio 2003, in Diritto e formazione, 2003, 699.
CONTENZIOSO NAZIONALE 65 
nuto possibile lo scomputo dalla somma risarcitoria di quanto, gi�, percepito 
dal danneggiato a titolo di indennizzo, affermando che "la diversa natura giuridica 
delle due attribuzioni, tuttavia, non giustifica il cumulo integrale di indennizzo 
e risarcimento, se si considera che il primo trova, pur sempre, causa 
diretta nell'interesse dello Stato a venire incontro alle esigenze economiche 
di chi abbia riportato danni permanenti all'integrit� psico-fisica conseguenti 
a infezione contratta a seguito di contatto con sangue e danni irreversibili da 
epatiti post-trasfusionali" (28). 
Tale orientamento � stato successivamente seguito dalle Sezioni Unite 
della Corte di Cassazione (29) che, richiamando il principio della compensatio 
lucri cum damno, hanno ammesso lo scomputo dalle somme erogate a titolo 
di risarcimento del danno di quanto gi� corrisposto al danneggiato a titolo di 
indennizzo, altrimenti questo godrebbe di un ingiustificato arricchimento (30). 
Dalla presente trattazione, quindi, si � potuto notare che le problematiche 
inerenti all'applicabilit� del principio della compensatio lucri cum 
damno, in presenza di congiunta attribuzione di somme risarcitorie e somme 
indennitarie, attengono sostanzialmente all'identit� di titolo che deve sussistere 
tra il lucro e il danno. 
Ad avviso di chi scrive, dovrebbe preferirsi l'orientamento volto ad ammettere 
la compensatio lucri cum damno in presenza di congiunta attribuzione 
di indennizzo e risarcimento, in quanto deve ritenersi prevalente il principio 
dell'integralit� del risarcimento rispetto al requisito dell'identit� giuridica dei 
benefici patrimoniali. 
Infatti, sebbene sia vero che indennizzo e risarcimento abbiano fonte in 
un diverso titolo, ci� non pu� ritenersi ostativo all'applicabilit� della compensatio 
in quanto il risarcimento del danno e l'indennizzo, in concreto, perseguono 
il medesimo risultato, essendo volti a garantire al danneggiato una 
somma di danaro a ristoro della lesione, occasionata dal medesimo evento. 
Ragionando diversamente, il danneggiato conseguirebbe un ingiustificato 
arricchimento poich� si troverebbe in una situazione patrimoniale migliore di 
(28) D. CERINI, Danno e risarcimento: coerenze (e incoerenze) nell'applicazione del principio di 
compensatio lucri cum damno, in Danno e responsabilit�, 2015, 25. 
(29) Cassazione Civile sez. Unite, 11 novembre 2008 n. 584, in Giustizia civile massimario, 2008, 
35. Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione espressamente affermano: �Il diritto al risarcimento del 
danno conseguente al contagio da virus HBV, HIV o HCV a seguito di emotrasfusioni con sangue infetto 
ha natura diversa rispetto all'attribuzione indennitaria regolata dalla legge n. 210 del 1992; tuttavia, 
nel giudizio risarcitorio promosso contro il Ministero della salute per omessa adozione delle dovute cautele, 
l'indennizzo eventualmente gi� corrisposto al danneggiato pu� essere interamente scomputato dalle 
somme liquidabili a titolo di risarcimento del danno (compensatio lucri cum damno), venendo altrimenti 
la vittima a godere di un ingiustificato arricchimento consistente nel porre a carico di un medesimo soggetto 
(il Ministero) due diverse attribuzioni patrimoniali in relazione al medesimo fatto lesivo�. 
(30) G. TRAVAGLINO, Indennizzo da emotrasfusione e legitimatio (passiva) ad causam, in Corriere 
merito, 2011, 11.
66 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2015 
quella in cui si trovava anteriormente all'evento lesivo, violando, cosi, il principio 
dell'integralit� del risarcimento del danno (31). 
Pertanto, la situazione di danno che deve essere coperta dal responsabile 
non pu� non tenere conto dei benefici che deriverebbero dall'indennizzo (32). 
Inoltre, il principio della compensatio lucri cum damno consentir�, al giudice, 
di svolgere la funzione equitativa, personalizzando il risarcimento del 
danno, in modo da tenere in considerazione tutti gli effetti positivi e negativi 
prodotti dall'evento lesivo. 
Infatti, laddove il giudice non svolgesse tale funzione si lederebbe il comune 
senso di giustizia poich� il danneggiato otterrebbe un lucro eccedente 
la situazione antecedente all'evento pregiudizievole (33). 
Tale ragionamento � coerente con l'analisi economica del diritto poich� 
il danneggiato sar� collocato nella stessa curva di indifferenza dove si sarebbe 
trovato in assenza dell'evento lesivo. Questo risultato, viceversa, non si sarebbe 
ottenuto qualora si fosse riconosciuto al danneggiato, oltre al risarcimento, 
l'indennizzo in quanto avrebbe ottenuto un lucro dall'evento lesivo (34). 
Per le ragioni suesposte dovrebbe, pertanto, riconoscersi portata generale 
al principio della compensatio lucri cum damno, anche in virt� del fatto che 
tale principio trova tutt'ora riconoscimento, sebbene non espressamente, in alcune 
disposizioni del codice civile: l'art. 1149 c.c. che permette la compensazione 
tra il diritto alla restituzione dei frutti e l'obbligo di rifondere al 
possessore le spese per produrli; l'art. 1479 c.c. che permette la compensazione 
tra il minor valore della cosa e il rimborso del prezzo, nel caso di vendita di 
cosa altrui e l'art. 1592 c.c. che permette la compensazione del credito del locatore 
per i danni alla cosa con il valore dei miglioramenti (35). 
Alla luce di quanto sopra esposto, la questione su cui sono state chiamate 
a pronunciarsi le Sezioni Unite � particolarmente importante, soprattutto per 
gli effetti che potrebbe produrre in capo alle assicurazioni. Quindi l'auspicio 
� che le Sezioni Unite prendano posizione sul tema enunciando i casi in cui 
potr� operare il principio della compensatio lucri cum damno. Tenendo presente 
che i principi enunciati si applicheranno anche a settori della responsabilit� 
civile diversi da quelli menzionati dalla sentenza in commento. 
(31) G. GRASSELLI, La portata del principio della compensatio lucri cum damno al vaglio delle 
Sezioni Unite, in Danno e responsabilit�, 2015, 1164. 
(32) G. PONZANELLI, Gli ostacoli all'integralit� del risarcimento nella determinazione del danno 
non patrimoniale in generale ed in particolare in presenza di una colpa medica, in Contratto e impresa, 
2015, 620. 
(33) M. PRATI, Compensatio lucri cum damno, in Contratti, 2003, 13. 
(34) C. PALMENTOLA, La cumulabilit� fra risarcimento e trattamento previdenziale: il contrasto 
va alle Sezioni Unite, in Nuova giurisprudenza civile, 2015, 10841. 
(35) A. SCHILLACI, Nota a Cass. Sez. III, ord. 5 marzo 2015 n. 4447 sul �principio della compensatio 
lucri cum damno� in riferimento alle erogazioni previdenziali, in http//www.camminodiritto.it.
CONTENZIOSO NAZIONALE 67 
Cassazione civile, Sezione Terza, sentenza 5 marzo 2015 n. 4447 - Pres. G.M. Berruti, Rel. E. 
Vincenti, P.M. R.G. Russo (rinvio pregiudiziale di interpretazione alla Corte di giustiza U.E.) - 
Deutsche Rentenversicherung Bund (avv.ti G. Pafundi, M. Gabrieli e M. Wenter) c. Carige Assicurazioni 
s.p.a. (avv.ti F.A. Magni e G.A. Beccara), P.M. (avv.ti E. Esposito e E. Della Capanna). 
Ritenuto 
che, con sentenza resa pubblica il 29 giugno 2011, la Corte di appello di Trento - per 
quanto ancora rileva in questa sede - rigettava l'impugnazione proposta dal Deutsche Rentenversicherung 
Bund avverso la sentenza del Tribunale di Trento, sezione distaccata di Cavalese, 
con la quale (nel contraddittorio anche della Carige Assicurazioni S.p.A., chiamata in causa 
dal convenuto a titolo di manleva) era stata respinta la domanda avanzata dal medesimo ente 
tedesco per a far dichiarare l'esclusiva responsabilit� di Pr. M. nella causazione dell'incidente 
sciistico, avvenuto in (omissis), nel quale aveva perso la vita B.V., nonch� - in forza di azione 
surrogatoria ai sensi del p. 116 del SGB tedesco (codice di previdenza sociale), opponibile al 
debitore italiano ex art. 85 del Regolamento CE n. 883 del 2004 - per sentir condannare lo 
stesso Pr. alla rifusione della somma complessiva di Euro 245.805,91, erogata o da erogare a 
titolo di pensione di reversibilit� e di rendita orfani in favore del coniuge e dei figli minori 
della vittima del sinistro, assicurata presso esso Deutsche Rentenversicherung Bund; 
che la Corte territoriale, confermando la decisione di primo grado, ribadiva l'applicabilit� 
alla fattispecie dell'interpretazione fornita dalla sentenza 21 settembre 1999 della Corte di 
giustizia UE sull'art. 93 del Regolamento CE n. 1408 del 1971, poi sostituito dall'art. 85 del 
Regolamento CE n. 883/2004, "nel senso che, nel caso di un danno verificatosi nel territorio 
di uno Stato membro e che abbia comportato il versamento di prestazioni di previdenza sociale 
alla vittima o ai suoi aventi diritto da parte di un ente di previdenza sociale, ai sensi di detto 
regolamento, appartenente ad un altro Stato membro, i diritti che la vittima o i suoi aventi diritto 
hanno nei confronti dell'autore del danno e nei quali detto ente si pu� essere surrogato, 
nonch� i presupposti dell'azione di risarcimento dinanzi ai giudici dello Stato membro sul cui 
territorio il danno si � verificato, sono determinati conformemente al diritto di tale Stato, ivi 
comprese le norme di diritto internazionale privato che sono applicabili"; 
che la Corte di appello escludeva, quindi, che potessero trovare rilievo ai fini della decisione 
talune norme invocate dall'appellante (Regolamento CE n. 593/2008; Regolamento 
CE n. 864/2007), in quanto comunque sopravvenute al sinistro e non applicabili a contratti o 
fatti precedenti alla loro entrata in vigore; escludeva, altres�, che potesse ritenersi "obsoleta" 
la richiamata sentenza del 1999 della Corte di giustizia, l� dove come tale era da intendersi, 
invece, la sentenza del 2 giugno 1994 della medesima Corte Europea, evocata dall'ente appellante, 
la quale era stata "superata dalla successiva decisione"; 
che il giudice di appello osservava, quindi, che il Deutsche Rentenversicherung Bund 
non poteva far valere "alcun diritto di surroga, posto che, in relazione alle prestazioni assistenziali 
rappresentate dalla pensione di reversibilit� e dall'assegno di mantenimento ai figli 
minori, nessun diritto, nei confronti del terzo responsabile del danno (ovvero l'odierno appellato 
Pr., se ed in quanto responsabile), gli eredi del defunto B. potevano vantare, secondo il 
diritto interno", giacch�, alla luce della consolidata giurisprudenza di legittimit�, "tale pensione 
e tale assegno non vengono attribuiti per il fatto che la persona offesa � stata vittima di un 
fatto illecito, ma solo perch�, sussistendone la condizione di legge o di contratto, l'offeso e i 
superstiti hanno diritto a quel determinato tipo di pensione"; 
che, in definitiva, le prestazioni ricevute dagli aventi causa della vittima del sinistro non
68 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2015 
rientravano tra i danni patrimoniali "suscettibili di risarcimento in quanto derivanti dall'incidente 
sciistico", con la conseguenza che l'ente tedesco non poteva surrogarsi nei diritti di detti 
aventi causa in forza del p.116 del SGB; 
che, inoltre, la Corte territoriale ribadiva la correttezza dell'interpretazione fornita dal 
primo giudice quanto alla disciplina applicabile in relazione alla surroga esercitata ai sensi 
dell'art. 1916 cod. civ., quale norma invocata in subordine dall'ente appellante (ossia l'operativit� 
di detto art. 1916 in forza della L. n. 218 del 1995, art. 62, una volta esclusa l'applicabilit� 
del p. 116 SGB, con la conseguenza che la surroga era da escludersi sia perch� la prescritta 
comunicazione al Pr. era avvenuta soltanto nell'aprile del 2006, mentre gi� nel settembre 2004 
gli aventi causa del B. "erano stati tacitati di ogni pretesa dall'Assicurazione del convenuto, 
rilasciando ampia quietanza liberatoria"); 
che, pertanto, il giudice di appello, alla luce di quanto innanzi considerato, riteneva irrilevante 
"il concreto accertamento dell'eventuale esclusiva responsabilit� dell'appellato Pr."; 
che per la cassazione di tale sentenza ricorre il Deutsche Rentenversicherung Bund sulla 
base di un unico motivo, con cui denuncia, ai sensi dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione 
e/o falsa applicazione dell'art. 93 del Reg. CE n. 1408/1971 e successivo art. 85 del 
Reg. CE n. 883/2004 (ponendo in dubbio la portata del principio espresso dalla citata sentenza 
della Corte di giustizia e la sua rilevanza nella fattispecie); in ogni caso, instando preliminarmente 
per la rimessione alla Corte di giustizia UE, ai sensi dell'art. 234 del Trattato CE (attualmente 
art. 267 del TFUE), della questione interpretativa dell'art. 93 del Reg. CE n. 
1408/1971, sostituito dall'art. 85 del Reg. CE n. 883/2004; 
che resistono con separati controricorsi Pr. Mi. e la Carige Assicurazioni S.p.A., avendo 
entrambi svolto ricorso incidentale condizionato sulla base di un unico motivo; 
che il Deutsche Rentenversicherung Bund ha resistito con controricorso ai ricorsi incidentali 
condizionati; 
che la Carige Assicurazioni S.p.A. ha depositato memoria ex art. 378 cod. proc. civ. 
Considerato 
che il ricorso pone la questione dei limiti dell'azione di surrogazione esercitabile da un 
ente previdenziale di uno Stato membro, diverso dallo Stato nel cui territorio si � verificato il 
danno, per le prestazioni previdenziali erogate alla vittima o ai suoi aventi causa: nella specie, 
si tratta di un ente tedesco di assicurazione pensionistica che ha versato agli aventi causa del 
proprio assicurato - il defunto B.V., cittadino tedesco vittima di un sinistro sciistico mortale 
verificatosi nel nostro Paese - la somma complessiva di Euro 245.805,91 a titolo di pensione 
di reversibilit� in favore del coniuge e di rendita orfani in favore dei figli minori; 
che tale quaestio iuris, giacch� risolta dal giudice del merito in modo negativo per l'ente 
attualmente ricorrente (nel senso di escludere in capo ad esso il diritto di surroga), ha assunto, 
nella concreta vicenda processuale, carattere assorbente rispetto alla stessa verifica della responsabilit� 
per il sinistro mortale occorso al predetto B.: in tal senso, dovranno intendersi 
soltanto come virtuali i riferimenti ai concetti di fatto illecito, danno e responsabilit� imposti 
dal preliminare scrutinio della questione in diritto; 
che, quanto alla disciplina rilevante ai fini della decisione, l'art. 93 del Regolamento 
CEE n. 1408/1971 del Consiglio del 14 giugno 1971 ("relativo all'applicazione dei regimi di 
sicurezza sociale ai lavoratori subordinati, ai lavoratori autonomi e ai loro familiari che si 
spostano all'interno della Comunit�"), nel disciplinare i "Diritti delle istituzioni debitrici nei 
confronti di terzi responsabili", dispone (per che ci� che interessa):
CONTENZIOSO NAZIONALE 69 
"1. Se, in virt� della legislazione di uno Stato membro, una persona beneficia di prestazioni 
per un danno risultante da fatti verificatisi nel territorio di un altro Stato membro, gli 
eventuali diritti dell'istituzione debitrice nei confronti del terzo tenuto a risarcire il danno 
sono disciplinati nel modo seguente: a) quando l'istituzione debitrice � surrogata, in virt� 
della legislazione che essa applica, nei diritti che il beneficiario ha nei confronti del terzo, 
tale surrogazione � riconosciuta da ogni Stato membro"; 
che, peraltro, la citata disposizione � stata sostituita da quella dettata dall' art. 85 del 
Regolamento (CE) n. 883/2004 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 29 aprile 2004 
("relativo al coordinamento dei sistemi di sicurezza sociale") - che ha abrogato, salvo per 
determinati fini, il precedente Reg. n. 1408/1971 a decorrere dalla data di applicazione del 
Reg. n. 833 (correlata all'emanazione del regolamento di applicazione: artt. 90 e 91) - che, 
in ogni caso, ripropone l'identico testo della precedente art. 85 (Diritti delle istituzioni): "1. 
Se, In virt� della legislazione di uno Stato membro, una persona beneficia di prestazioni per 
un danno risultante da fatti verificatisi in un altro Stato membro, gli eventuali diritti dell'istituzione 
debitrice nei confronti del terzo, tenuto a risarcire il danno, sono disciplinati 
nel modo seguente: a) quando l'istituzione debitrice � surrogata, in virt� della legislazione 
che essa applica, nei diritti che il beneficiario ha nei confronti del terzo, tale surrogazione 
� riconosciuta da ogni Stato membro"; 
che la norma Europea applicabile ratione temporis dovrebbe essere quella in vigore al 
momento del pagamento della prestazione da parte della "istituzione debitrice" (ossia, esemplificando, 
l'ente previdenziale o l'assicuratore sociale, l� dove, pi� propriamente, secondo la 
sentenza della Corte di giustizia del 15 marzo 1984, in C-313/82, "Il termine istituzione di 
cui all' art. 93, del regolamento n. 1408/71, designa, per ciascuno Stato membro, l'ente o l'autorit� 
incaricata di applicare, in tutto o in parte, la normativa di uno Stato relativa ai settori 
o ai regimi di previdenza sociale menzionati da tale regolamento"): momento che, nel caso 
di specie, non risulta precisato dalla sentenza impugnata, n� indicato dal ricorrente, il quale 
comunque invoca il citato art. 85 del Reg. n. 833/2004; 
che, tuttavia, l'identit� dei testi normativi sopra richiamati (inseriti in provvedimenti che 
si pongono in diretta continuit�, l� dove il secondo Regolamento sostituisce il primo a fini di 
aggiornamento e semplificazione: cfr. Considerando 3) � tale da far ritenere rilevante ed esaustiva 
anche in riferimento all'art. 85 l'interpretazione dell'art. 93 del Reg. n. 1408/1971 fornita 
dalla Corte di giustizia; 
che, infatti, il citato art. 93 � stato interpretato una prima volta dalla sentenza della Corte 
di giustizia 2 giugno 1994 (in C-428/92), la quale ha dichiarato: "L'art. 93, n. 1 (...), va interpretato 
nel senso che le condizioni nonch� la portata del diritto di azione di un ente previdenziale, 
ai sensi del regolamento, nei confronti del responsabile di un danno che si sia verificato 
nel territorio di un altro Stato membro ed abbia comportato l'erogazione di prestazioni previdenziali 
sono determinate conformemente al diritto dello Stato membro di tale ente"; 
che lo stesso art. 93 � stato interpretato una seconda volta dalla Corte di giustizia, con 
la sentenza 21 settembre 1999 (in C-397/96), che ha dichiarato: "L'art. 93, n. 1, lett. a), (...) 
dev'essere interpretato nel senso che, nel caso di un danno verificatosi nel territorio di uno 
Stato membro e che abbia comportato il versamento di prestazioni di previdenza sociale alla 
vittima o ai suoi aventi diritto da parte di un ente di previdenza sociale, ai sensi di detto regolamento, 
appartenente ad un altro Stato membro, i diritti che la vittima o i suoi aventi 
diritto hanno nei confronti dell'autore del danno e nei quali detto ente si pu� essere surrogato, 
nonch� i presupposti dell'azione di risarcimento dinanzi ai giudici dello Stato membro sul cui
70 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2015 
territorio il danno si � verificato, sono determinati conformemente al diritto di tale Stato, ivi 
comprese le norme di diritto internazionale privato che sono applicabili. 
2) L'art. 93, n. 1, lett. a), (...), dev'essere interpretato nel senso che la surrogazione di un 
ente di previdenza sociale, ai sensi di detto regolamento, appartenente al diritto di uno Stato 
membro, nei diritti che la vittima o i suoi aventi diritto hanno nei confronti dell'autore di un 
danno verificatosi sul territorio di un altro Stato membro e che ha comportato il versamento 
di prestazioni di previdenza sociale da parte di detto ente, nonch� la portata dei diritti nei 
quali detto ente si � surrogato, sono determinate conformemente al diritto dello Stato membro 
cui appartiene detto ente, a condizione che l'esercizio della surrogazione prevista da tale diritto 
non ecceda i diritti che la vittima o i suoi aventi diritto hanno nei confronti dell'autore del 
danno in forza del diritto dello Stato membro sul cui territorio il danno si � verificato. 
3) � compito del giudice adito determinare ed applicare le pertinenti disposizioni della normativa 
dello Stato membro cui appartiene l'ente debitore, anche se tali disposizioni escludono o 
limitano la surrogazione di siffatto ente nei diritti che ha il beneficiario delle prestazioni nei confronti 
dell'autore del danno o l'esercizio di tali diritti da parte dell'ente che si � in essi surrogato"; 
che il Collegio reputa (contrariamente al quanto sostenuto dal ricorrente) che la sentenza 
del 1999 della Corte di giustizia, lungi dallo smentire o dal contraddire in parte la sentenza 
del 1994, ne completi la portata quanto, segnatamente, alla posizione della vittima e dei suoi 
aventi causa (soltanto accennata nella sentenza del 1994: cfr paragrafo 21); 
che, pertanto, il Collegio non ritiene di dover dar corso all'istanza di rimessione della 
questione interpretativa al Giudice di Lussemburgo, in applicazione del principio del c.d. acte 
claire, per cui "l'obbligo per il giudice nazionale di ultima istanza di rimettere la causa alla 
Corte di giustizia dell'Unione Europea, ai sensi dell'art. 267 del Trattato sul funzionamento 
dell'UE (gi� art. 234 del Trattato che istituisce la Comunit� Europea), viene meno quando non 
sussista la necessit� di una pronuncia pregiudiziale sulla normativa comunitaria, in quanto la 
questione sollevata sia materialmente identica ad altra, gi� sottoposta alla Corte in analoga 
fattispecie, ovvero quando sul problema giuridico esaminato si sia formata una consolidata 
giurisprudenza di detta Corte" (tra le altre, Cass., 26 marzo 2012, n. 4776); 
che dalla ricordata giurisprudenza della Corte di giustizia consegue che: 
1) il diritto di surrogazione dell'assicuratore sociale � disciplinato dalle norme dello 
Stato al quale appartiene l'ente surrogante, con il limite per cui tale surrogazione non pu� eccedere 
i diritti spettanti alla vittima o ai suoi aventi causa (ossia, l'ammontare del danno causato 
dal responsabile e liquidato secondo la legge del luogo dove � avvenuto il fatto illecito); 
2) i diritti che spettano alla vittima, o ai suoi aventi causa, nei confronti dell'autore del 
danno - nei quali l'ente previdenziale pu� surrogarsi - ed i presupposti dell'azione risarcitoria 
sono disciplinati dalle norme dello Stato in cui si � verificato il "danno" (ivi comprese le 
norme di diritto internazionale privato applicabili); 
che, dunque, nel caso di specie: 
a) il diritto al risarcimento del danno spettante alla vittima di un sinistro o ai suoi aventi 
causa (e, quindi, l'area del danno risarcibile) � individuato(a) dalle norme italiane; 
b) i presupposti ed i limiti dell'azione di surrogazione esercitabile dall'ente previdenziale 
sono dettati dalle norme tedesche; 
che, pertanto, essendo l'area del danno risarcibile ascrivibile alla disciplina del diritto 
dello Stato membro nel cui territorio si � verificato il danno, occorre allora stabilire se, in 
base all'ordinamento italiano, all'ambito del danno (patrimoniale) risarcibile a seguito di fatto 
illecito (nella specie: sinistro sciistico mortale) appartenga o meno la prestazione previdenziale
CONTENZIOSO NAZIONALE 71 
indennitaria, erogata a seguito dell'evento dannoso e in funzione di sostentamento della vittima 
del sinistro o dei suoi aventi causa; 
che, nella fattispecie, vengono infatti in rilievo prestazioni di tale (non contestata) natura, 
quali la pensione di reversibilit� e la rendita agli orfani erogate dall'ente previdenziale tedesco; 
che la giurisprudenza di questa Corte si � orientata, per lungo tempo ed in modo prevalente, 
nel senso che dal montante risarcitorio per danno patrimoniale conseguente a fatto illecito 
debbano escludersi le prestazioni erogate dall'assicuratore sociale o dall'ente 
previdenziale, non potendo in tal caso trovare rilievo il principio della compensatio lucri cum 
damno, giacch� prestazione previdenziale e danno non scaturiscono entrambi dal fatto illecito, 
posto che la prima sorge direttamente dalla legge (tra le tante, Cass., 7 ottobre 1964, n. 2530; 
Cass., 10 ottobre 1970, n. 1928; Cass., 14 marzo 1996, n. 2117; Cass., 31 maggio 2003, n. 
8828; Cass., 25 agosto 2006, n. 18490; Cass., 10 marzo 2014, n. 5504); 
che, pi� di recente, con la sentenza n. 13537 del 13 giugno che 2014 di questa Sezione, 
si � affermato il seguente principio (cosi massimato): "In tema di danno patrimoniale patito 
dal familiare di persona deceduta per colpa altrui, dall'ammontare del risarcimento deve essere 
detratto il valore capitale della pensione di reversibilit� percepita dal superstite in conseguenza 
della morte del congiunto, attesa la funzione indennitaria assolta da tale trattamento, che � 
inteso a sollevare i familiari dallo stato di bisogno derivante dalla scomparsa del congiunto, 
con conseguente esclusione, nei limi ti del relativo valore, di un danno risarcibile"; 
che tale pronuncia recupera un diverso orientamento (minoritario: Cass., 16 novembre 
1979, n. 5964; Cass., 24 maggio 1986, n. 3503), che nega la possibilit� di cumulare il risarcimento 
del danno con eventuali prestazioni previdenziali percepite in conseguenza del fatto 
illecito, in quanto il beneficio erogato dall'assicuratore sociale o dall'ente previdenziale abbia 
lo scopo di "attenuare il danno patrimoniale subito dai familiari della vittima", con ci� elidendosi 
in parte qua l'esistenza del danno risarcibile; 
che tra le varie conseguenze derivanti dall'applicazione di siffatto ultimo orientamento (illustrate 
diffusamente dalla citata sentenza n. 13537) vi sarebbe anche quella di consentire all'assicuratore 
sociale/ente previdenziale l'esercizio dell'azione di surrogazione nei diritti risarcitori del 
danneggiato in riferimento alle somme erogate a titolo di prestazione previdenziale indennitaria; 
che successivamente alla sentenza n. 13537 del 2014, altra sentenza di questa Sezione (n. 
20548 del 30 settembre 2014) ha ribadito il diverso principio (cosi massimato): "In tema di risarcimento 
del danno da illecito, il principio della compensatio lucri cum damno trova applicazione 
unicamente quando sia il pregiudizio che l'incremento patrimoniale siano conseguenza 
del medesimo fatto illecito, sicch� non pu� essere detratto quanto gi� percepito dal danneggiato 
a titolo di pensione di inabilit� o di reversibilit�, ovvero a titolo di assegni, di equo indennizzo 
o di qualsiasi altra speciale erogazione connessa alla morte o all'invalidit�, trattandosi di attribuzioni 
che si fondano su un titolo diverso dall'atto illecito e non hanno finalit� risarcitorie"; 
che, in siffatto contesto, si rende quindi opportuno investire le Sezioni Unite della risoluzione 
del contrasto sopra evidenziato, concernente la portata del principio della c.d. compensatio 
lucri cum damno nell'ambito delle conseguenze risarcitorie da fatto illecito, nella 
specie rilevante, segnatamente, in relazione alla limitazione del diritto al risarcimento del 
danno della vittima (o dei suoi aventi causa), in funzione del quale diritto l'assicuratore sociale/
ente previdenziale pu� esercitare l'azione di surrogazione ad esso spettante (nel caso all'esame, 
secondo il diritto tedesco) nei confronti del responsabile civile; 
che dalla risoluzione dell'anzidetto contrasto dipender�, peraltro, anche la sorte dei ricorsi 
incidentali condizionati proposti dalle parti controricorrenti in punto di (difetto di mo-
72 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2015 
tivazione sulla) natura giuridica dell'organismo assicurativo tedesco: ci� in quanto (eventualmente, 
ove si giunga all'accoglimento del ricorso) spetter� al giudice del merito accertare e 
motivare sull'effettivo carattere di "istituzione" ai sensi dell'art. 93 del Reg. n. 1408/1971 (cfr. 
la citata sentenza della Corte di giustizia del 15 marzo 1984, in C-313/82) del Deutsche Rentenversicherung 
Bund. 
PER QUESTI MOTIVI 
LA CORTE 
rimette gli atti al Primo Presidente per l'eventuale assegnazione del ricorso alle Sezioni 
Unite.
Cos� deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Terza Sezione Civile della Corte 
suprema di Cassazione, il 19 dicembre 2014.
CONTENZIOSO NAZIONALE 73 
Tra riservatezza e tutela della salute: un possibile 
bilanciamento tra diritto alla riservatezza della cartella 
clinica, diritto della madre a una scelta riproduttiva 
consapevole e diritto del concepturus a nascere sano 
NOTA A TRIBUNALE DI NAPOLI, SEZIONE I CIVILE, SENTENZA 18 SETTEMBRE 2014, N. 13212 
Vinca Giannuzzi Savelli* 
SOMMARIO: 1. La vicenda - 2. Il quadro normativo di riferimento: tra legge sul procedimento 
amministrativo e normativa sulla protezione dei dati personali - 3. La tutela della riservatezza 
e delle �ragioni familiari meritevoli di protezione� ex art. 9, co. 3, Codice privacy: 
un possibile bilanciamento tra rapporto parentale biologico e legittimo - 4. � configurabile 
un diritto alla salute della progenie? 
1. La vicenda. 
La D.I. (resistente) partoriva, presso il Presidio Ospedaliero di B., in anonimato, 
una neonata di sesso femminile. Il giorno successivo al parto l�infante 
veniva trasferita con urgenza al reparto di Terapia Intensiva Neonatale del Presidio 
Ospedaliero S. a causa di una sospetta patologia congenita, s� grave da 
determinarne, a pochi giorni dal ricovero, la morte. 
Ad un anno dall�infausto evento, la resistente recapitava al Presidio Ospedaliero 
S. formale istanza di accesso alla cartella clinica della neonata prematuramente 
scomparsa, allegando all�uopo copia fotostatica dell�attestato di 
nascita - rilasciato dal Presidio Ospedaliero di B. - e del proprio documento 
di riconoscimento. Cartella che avrebbe reso possibile - si badi - l�identificazione 
della patologia genetica potenzialmente trasmissibile alla futura progenie. 
Ci� nondimeno, la richiesta veniva dall�Azienda sia in prima che in 
seconda istanza - in seguito a reiterazione della medesima - rigettata, a norma 
del d.lgs. 30 giugno 2003, n. 196, in quanto priva di sufficiente documentazione 
attestante il collegamento tra la richiedente e la neonata. 
Avverso tale diniego, la resistente proponeva rituale ricorso al Garante 
per la protezione dei dati personali, ai sensi dell�art. 145 del d.lgs. 30 giugno 
2003, n. 196. Opportunit�, questa, colta dalla donna per fornire ulteriori (nonch�, 
necessarie) indicazioni utili all�attestazione del legame parentale, ovvero 
�di essere stata ricoverata presso il Presidio Ospedaliero di B., di aver partorito 
l�, [omissis], una neonata di sesso femminile, trasferita il giorno successivo 
presso il reparto di Terapia Intensiva Neonatale dell�Ospedale S., e di non aver 
riconosciuto la neonata�. 
(*) Avvocato dello Stato. 
Alla redazione della presente nota ha collaborato il dr. Davide Borelli dottore praticante presso l' Avvocatura 
distrettuale dello Stato di Napoli.
74 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2015 
Ritenuto legittimo il ricorso presentato dalla donna, il Garante si premurava 
di interpellare l�Azienda Ospedaliera S. per chiarimenti. Quest�ultima 
comunicava di non aver potuto soddisfare la richiesta in quanto non risultava 
esser mai stata ricoverata presso la struttura ospedaliera alcuna figlia legittima 
della resistente, rendendo tale circostanza impossibile procedere nella valutazione 
della sussistenza o meno di diritti o interessi legittimi, presupposti necessari 
per l�accesso ai dati richiesti. Interpellata ulteriormente dal Garante, 
l�Azienda dichiarava, peraltro, che �dall�anagrafe dei pazienti ricoverati (il 
giorno del parto, ndr) risulta essere pervenuta, a seguito di trasferimento da 
altro Istituto pubblico (Presidio Ospedaliero di B., ndr)� una neonata. 
Considerati sufficienti gli elementi raccolti nelle more del procedimento, 
il Garante, definitivamente pronunciandosi, ordinava all�Azienda Ospedaliera 
S. di consentire alla ricorrente l�accesso, entro trenta giorni, a tutti i dati sanitari 
contenuti nella cartella clinica relativa alla neonata. 
Con atto di citazione, ai sensi dell�art. 152 del d.lgs. 30 giugno 2003, n. 
196, l�Azienda Ospedaliera S. proponeva rituale ricorso per l�annullamento, 
previa sospensione dell�efficacia esecutiva, del provvedimento del Garante. 
2. Il quadro normativo di riferimento: tra legge sul procedimento amministrativo 
e normativa sulla protezione dei dati personali. 
La cartella clinica in quanto tale � da considerarsi documentazione sanitaria, 
ovvero l�insieme dei dati, delle informazioni e degli atti che definiscono 
ed oggettivano regole e comportamenti di ciascuna struttura organizzativa. 
Negli ultimi decenni la cartella clinica inizia a diventare uno strumento 
essenziale per le strutture sanitarie e al tempo stesso un problema piuttosto 
complesso. Da semplice registrazione di dati essenziali del paziente (e della 
sua malattia), si � passati a una raccolta di sempre pi� numerosi documenti 
sanitari e informazioni che nella loro articolazione organica e logica devono 
soddisfare numerose esigenze, non soltanto quelle rigorosamente clinico diagnostico 
terapeutiche del paziente. 
Ci� � dovuto, da un lato, all�incalzante sviluppo tecnologico ed ai notevoli 
progressi scientifici e, dall�altro, all�evoluzione di una serie di sistemi, quali 
quello politico, economico e sociale cui � strettamente legata quella che prima 
era semplicemente considerata assistenza sanitaria e che oggi � diventata un 
vero e proprio sistema sanitario articolato e complesso. 
Se da un lato � evidente il coinvolgimento delle norme concernenti l�accesso 
agli atti amministrativi ai sensi degli artt. 22 e ss. della legge del 7 agosto 
1990, nr. 241 (di seguito, Legge sul procedimento amministrativo), dall�altro 
non pu� negarsi l�esigenza del rispetto della riservatezza quale diritto fondamentale 
di rango costituzionale, regolato nel dettaglio dal decreto legislativo 
del 30 giugno 2003, nr. 193 (di seguito, Codice privacy). 
In tema i Giudici ermellini hanno avuto modo di chiarire che la finalit�
CONTENZIOSO NAZIONALE 75 
della cartella clinica � quella di riflettere in maniera fedele il decorso e l�evolversi 
della malattia e degli altri fatti clinici rilevanti, progressivamente e contestualmente 
al loro verificarsi. 
Inoltre, la cartella clinica, redatta da un medico di un ospedale pubblico, 
� caratterizzata dalla produttivit� di effetti incidenti su situazioni giuridiche 
soggettive di rilevanza pubblicistica, nonch� dalla funzione della documentazione 
di attivit� compiute (o non compiute) dal pubblico ufficiale che ne assume 
la paternit�. 
La prevalente dottrina attribuisce una rilevanza giuridica particolare alla cartella 
clinica, in quanto � l�unico strumento atto a trattare le informazioni per la 
cura del paziente e a permettere la comunicazione tra i diversi operatori sanitari. 
Data la peculiare rilevanza il medico incaricato della compilazione � considerato 
un pubblico ufficiale ai sensi e per gli effetti di cui all�art. 357 c.p., 
mentre il responsabile della compilazione, della conservazione e della buona 
tenuta � sempre il primario del reparto presso cui il paziente � ricoverato. 
Al medico incaricato della compilazione � richiesta particolare attenzione 
nell�inserimento degli elementi prescritti dall�art. 24 del Decreto del Ministero 
della Salute del 5 agosto 1977 e disposti secondo le modalit� previste dall�art. 
26 del Codice di deontologia medica. 
La cartella clinica ed i relativi referti devono, poi, essere conservati per 
un tempo illimitato in quanto rappresentano atti ufficiali essenziali a garantire 
la certezza dei dati clinici ivi riportati, nonch� preziosa fonte documentaria 
per ricerche di carattere storico-sanitario. Proprio in ragione di ci� l�art. 26, 
co. 3 del Codice di deontologia medica prescrive che �in caso di cessazione 
dell�attivit� della casa di cura le cartelle cliniche dovranno essere depositate 
presso l�ufficio comunale o consorziale di igiene�. 
� qui che assume, dunque, fondamentale rilevanza giuridica il tema dell�accesso 
da parte di terzi alle informazioni contenute in cartelle cliniche appartenenti 
a soggetti estranei, ancorch� defunti. 
Il giudice amministrativo �, infatti, ai sensi dell�art. 133, co. 1, nr. 6) del 
decreto legislativo del 2 luglio 2010, nr. 104 (di seguito, Codice del processo 
amministrativo), chiamato a contemperare interessi contrapposti. Si rende, 
dunque, necessaria una valutazione comparativa dei confliggenti interessi: da 
un lato la situazione giuridicamente qualificata dell�istante, titolare di un interesse 
diretto, qualificato, concreto ed attuale all�esame, presa visione e rilascio 
di copia della cartella clinica ai sensi dell�art. 22 della Legge sul 
procedimento amministrativo; dall�altro, il diritto del controinteressato alla riservatezza 
dei propri dati sensibili, ovvero di dati personali idonei a rivelare 
il suo stato di salute e il proprio orientamento sessuale, in quanto tali tutelati 
dal Codice privacy. 
Risulta piuttosto cospicua la casistica giurisprudenziale in tema di accesso 
alle cartelle cliniche.
76 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2015 
I parametri normativi di riferimento sono sostanzialmente contenuti negli 
artt. 7, 9, 60, 82 e 92 del Codice privacy. 
A norma dell�art. 9, co. 3 del Codice privacy �i diritti di cui all�art. 7 riferiti 
a dati personali concernenti persone decedute possono essere esercitati 
da chi ha un interesse proprio, o agisce a tutela dell�interessato o per ragioni 
familiari meritevoli di protezione�. Si badi, peraltro, che l�art. 7 considera non 
soltanto le posizioni soggettive di chi pu� esercitare il diritto di accesso (cfr. 
commi 1, 2 e 3), ma anche di chi pu� opporsi. 
Il Consiglio di Stato in una recente pronuncia ha, infatti, avuto modo di 
chiarire che l�art. 9, co. 3 Codice privacy �regola anche l�accesso alle cartelle 
cliniche, dal momento che non pu� trovare applicazione la disciplina specificamente 
prevista in materia dall�art. 92 del medesimo Codice, il quale consente 
l�accesso alle cartelle cliniche solo a persone diverse dall�interessato che 
possono far valere un diritto della personalit� o altro diritto di pari rango�. In 
effetti, se dovesse applicarsi tale disposizione anche dopo il decesso, neanche 
i pi� stretti congiunti potrebbero accedere ai dati personali del defunto in assenza 
dei presupposti richiesti dalla norma, con conseguenze assolutamente 
paradossali. Peraltro, �non � neppure utile il richiamo per analogia all�art. 82 
del medesimo codice, che regola la diversa situazione della prestazione del 
consenso al trattamento dei dati personali in caso di impossibilit� fisica o giuridica 
dell�interessato e che prevede che il consenso possa essere fornito, in 
assenza di chi esercita la potest� legale, da un prossimo congiunto, da un familiare, 
da un convivente o, in loro assenza, dal responsabile della struttura 
presso cui dimora l�interessato�. Da ci� si deduce che sopravvive una forma 
di tutela dei dati sensibili - cos� come altre forme di tutela - anche dopo la 
morte del soggetto, ma nelle forme specifiche e diverse previste dall�art. 9, 
che individua precisamente gli interessi che possono bilanciare quelli di terzi 
ad accedere ai dati personali: la tutela del defunto e le ragioni familiari meritevoli 
di protezione. 
Infine, l�art. 60 del Codice privacy stabilisce che quando il trattamento 
concerne dati idonei a rivelare lo stato di salute o la vita sessuale di un soggetto, 
il trattamento � consentito solo se la situazione giuridicamente rilevante 
che si intende tutelare con la richiesta di accesso ai documenti 
amministrativi � di rango quantomeno pari ai diritti dell�interessato, ovvero 
consiste in un diritto della personalit� o in altro diritto o libert� fondamentale 
e inviolabile. 
3. La tutela della riservatezza e delle �ragioni familiari meritevoli di protezione� 
ex art. 9, co. 3, Codice privacy: un possibile bilanciamento tra rapporto 
parentale biologico e legittimo. 
L�ambiguit� della formula adottata dal legislatore con riferimento ai �rapporti 
familiari� sembra lasciar spazio ad un�interpretazione estensiva della
CONTENZIOSO NAZIONALE 77 
norma, ricomprendente, per l�appunto, anche rapporti parentali, per cos� dire, 
biologici, ancorch� non propriamente �legittimi�. 
La decisione, infatti, riconosce il diritto della madre biologica ad accedere 
alla cartella clinica della figlia partorita in anonimato ai sensi dell�art. 30, co. 
1 del D.P.R. 3 novembre 2000, nr. 396 e deceduta per gravi patologie congenite 
pochi giorni dopo la nascita, ci� al fine di �consentirle un�eventuale ulteriore 
scelta riproduttiva consapevole e informata�. 
Il diritto alla salute e alla maternit� consapevole, a norma degli artt. 31 e 
32 Cost., viene, pertanto, ritenuto prevalente rispetto all�esigenza di limitare 
l�accesso ai dati sensibili del minore solo ai familiari in senso stretto e in genere 
ai soggetti legittimati (tutori, affidatari) consentendo, quindi, anche alla 
madre biologica innominata - che per sua scelta rinuncia al parto �riservato� 
e si palesa - di ottenere le informazioni cliniche necessarie. 
Il provvedimento offre uno spunto di riflessione su quelle che attualmente 
sono le forme di tutela e i connessi limiti alla riservatezza nell�ambito dei rapporti 
parentali sia legittimi che biologici. 
L�evoluzione socio-giuridica delle dinamiche familiari ha modificato 
anche i contenuti relazionali, rendendo spesso necessario un approfondimento 
nell�ambito di situazioni di conflittualit� portate all�attenzione dell�autorit� 
giudiziaria. 
Quelli che, dunque, in passato erano contrasti sulle informazioni che potevano 
scambiarsi i coniugi tra loro o con i figli - contrasti risolvibili nell�ambito 
di una normale dialettica familiare - sono oggi invece approdati nelle aule 
dei Tribunali. 
E cos� l�accesso a dati �sensibili�, o comunque riservati, della persona � 
stato riconosciuto al familiare titolare di interessi confliggenti ma valutati, di 
volta in volta, tutelabili in misura maggiore. 
Si �, ad esempio, attribuito al coniuge il diritto di visionare la cartella clinica 
del o della consorte in quanto utile ai fini dello scioglimento del matrimonio. 
Invero, come a pi� riprese affermato dalla giustizia amministrativa, a 
norma dell�art. 60 Codice privacy, sussiste il diritto del marito di accedere alla 
cartella clinica della moglie, nel caso in cui l�istanza di accesso sia giustificata 
dalla necessit� di promuovere validamente un azione giudiziaria volta all�annullamento 
del matrimonio innanzi al competente Tribunale diocesano; in tal 
caso, infatti, il fine dello scioglimento del vincolo matrimoniale costituisce 
una situazione giuridica di rango almeno pari alla tutela del diritto alla riservatezza 
dei dati sensibili relativi alla salute, in quanto involgente un significativo 
diritto della personalit�. 
Anche i dati reddituali del consorte - ove non condivisi in ambito familiare 
- sono stati considerati accessibili se necessari alla determinazione di un 
corretto assegno di mantenimento dei figli in un procedimento di cessazione 
degli effetti civili del matrimonio.
78 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2015 
Al tempo stesso, � stato consentito l�accesso ai dati reddituali del convivente 
more uxorio in quanto necessari alla determinazione di un corretto assegno 
di mantenimento dei figli in un procedimento di separazione personale. 
Anche in tal caso il diritto di accesso prevale sull�esigenza di riservatezza di 
terzi, in quanto esercitato per consentire la cura o la difesa processuale di interessi 
giuridicamente protetti e concernente un documento amministrativo indispensabile 
a tali fini, la cui esigenza non pu� essere altrimenti soddisfatta. 
Di conseguenza, in capo al coniuge separato sussiste, secondo consolidata giurisprudenza, 
nei confronti dell�Agenzia delle Entrate, il diritto di accesso alle 
dichiarazioni dei redditi del convivente more uxorio dell�altro coniuge. Tale 
istanza di accesso documentale, infatti, essendo rivolta a dimostrare la capacit� 
di reddito del convivente del coniuge separato, � funzionale ad esonerare il richiedente 
dall�obbligo di corresponsione dell�assegno di mantenimento. 
Ad una prima analisi sembra, dunque, potersi affermare che l�ordinamento 
(o meglio, l�interpretazione che la giurisprudenza fornisce delle norme 
coinvolte) consente che si attui un�ingerenza nella sfera personale di un familiare 
solo se strumentale alla difesa di interessi di pari rango, gi� posti al vaglio 
giurisdizionale: soltanto a tali condizioni il diritto all��informazione� prevale 
sulla riservatezza della persona in funzione di superiori esigenze familiari. 
Ma se tal criterio val bene per il componimento di conflitti infra-coniugali, 
nelle relazioni tra genitori e figli il favor � lapalissianamente sbilanciato in favore 
dei primi. 
� stato, infatti, riconosciuto al genitore il diritto a prender visione del 
tema svolto dalla figlia durante l�esame di maturit� per consentirgli di vigilare 
sui suoi orientamenti: pertanto, non per verificare il buon esito del percorso 
formativo intrapreso, ma allo scopo di �avere cognizione piena dei gusti, delle 
aspettative e degli orientamenti culturali che l�alunna sviluppa [�] e che [...] 
spesso, sfuggono ad un sano dibattito strettamente familiare� (sic!). 
In tal caso � stata dunque data priorit� assoluta (rectius, incondizionata) 
al diritto-dovere spettante al genitore di vigilare sulla crescita del figlio a discapito 
della sua riservatezza e della sua libert� di espressione, in una visione 
forse paternalistica ma funzionale al buon andamento della vita familiare. 
Buon andamento della vita familiare che diventa parametro scriminante 
anche per risolvere i contrasti che sorgono per lo scambio di informazioni sulla 
sfera intima all�interno di relazioni parentali biologiche e non legalizzate. 
La Corte Costituzionale con una recente pronuncia ha composto il conflitto 
tra il diritto del figlio adottato all�informazione sulle proprie origini biologiche 
e il diritto della madre naturale a restare anonima, ai sensi e per gli 
effetti di cui all�art. 30, co. 1 del DPR 3 novembre 2000, nr. 396, consentendo 
l�accesso alle notizie sulla nascita biologica previo interpello della madre ai 
fini di un�eventuale revoca dell�anonimato e, dunque, di una auspicata conciliazione 
familiare.
CONTENZIOSO NAZIONALE 79 
Su tale scia si inserisce la sentenza in epigrafe che a tutela del diritto 
alla maternit� consapevole e a protezione dell�unit� familiare costituita o 
costituenda, rende conoscibili alla madre �anonima� i dati sanitari del figlio 
naturale. 
Pu� ragionevolmente dedursi, dunque, che allo stato la riservatezza nei 
rapporti di parentela � destinata a recedere senz�altro dinanzi a interessi preminenti 
come la tutela del nucleo familiare ovvero di interessi di pari rango 
che nei singoli casi concreti vengano ritenuti funzionali al corretto svolgimento 
della vita familiare. Il rapporto parentale legittimo cede il passo a quello biologico, 
in ragione di superiori interessi di rango costituzionale. 
Nel corso degli anni il concetto stesso di famiglia si � evoluto, trascendendo 
ora l�elemento sia genetico che biologico, nel senso che la stessa non � 
pi� solo quella tradizionale di cui all�art. 29 Cost., ma anche - e soprattutto - 
quella sociale, intesa come societ� naturale o formazione sociale, tramite il 
viatico dell�art. 2 Cost. Ma un eloquente segnale del superamento del binomio 
verit� genetica - verit� biologica era gi� offerto dalla disciplina sull�adozione 
di minorenni. Non a caso, infatti, l�art. 27 della legge 4 maggio 1983, nr. 184 
consacra la piena equiparazione tra figlio adottivo e figlio legittimo. 
4. � configurabile un diritto alla salute della progenie? 
Ma un�ulteriore considerazione par qui imporsi. Il diritto alla riservatezza 
sembra cedere il passo non solo a �ragioni familiari meritevoli di protezione� 
- prescindendo, dunque, della natura del rapporto di filiazione sotteso, biologico 
o legittimo - ma anche a un diritto della futura progenie a nascer in salute. 
Approdo ermeneutico probabilmente azzardato, ma, tuttavia, potenzialmente 
plausibile. Il diritto della madre biologica a una �ulteriore scelta riproduttiva 
consapevole e informata� sembra, difatti, andar di pari passo con un potenziale 
diritto alla salute della futura progenie. 
Ci� nondimeno, i contributi dottrinali e giurisprudenziali in merito sembrano 
per lo pi� considerare il diritto alla salute in relazione al solo nascituro 
concepito e non anche al concepturus: eppure il codice del �42 in almeno due 
occasioni riconosce diritti in capo a quest�ultimo in quanto potenziale destinatario 
di disposizioni testamentarie e di donazioni a norma degli artt. 462 e 
784 c.c. La stessa Corte Costituzionale ha, in proposito, riconosciuto che �il 
patrimonio riservato per testamento o per donazione ad un nascituro non concepito 
deve essere considerato come un patrimonio a s� stante�. 
Gran parte della dottrina e della giurisprudenza ha a lungo dibattuto sul 
possibile riconoscimento di una capacit� giuridica, per cos� dire, �parziale� in 
capo al nascituro concepito. 
Secondo prevalente giurisprudenza �l�ordinamento tutela il concepito e 
l�evoluzione della gravidanza esclusivamente verso la nascita, riconoscendo 
semmai un �diritto a nascere� e �a nascere sano� e non un diritto �a non na-
80 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2015 
scere� o �a non nascere se non sano� (Cass. civ., sez. III, 29 luglio 2004, nr. 
14488 e Cass. civ., sez. III, 11 maggio 2009, nr. 10741)�. 
Inoltre, il diritto alla salute trova fondamento e tutela nell�art. 32 Cost., 
non solo come interesse della collettivit�, bens� come essenziale diritto dell�individuo, 
non limitandosi alle attivit� successive alla nascita, ma dovendosi 
ritenere esteso anche al dovere di assicurare condizioni favorevoli all�integrit� 
del nascituro nel periodo precedente all�evento della nascita. 
I Giudici ermellini, in un�ormai nota sentenza, giungono a ritenere il nascituro 
soggetto giuridico. Essi, in particolare, individuano analiticamente le 
fonti nazionali e sovranazionali su cui fondano detta ricostruzione: l�art. 1 
della l. 14 febbraio 2004, nr. 40 sulla procreazione medicalmente assistita; 
l�art. 1 della l. 22 maggio 1978, nr. 194, sul�interruzione volontaria di gravidanza; 
la sentenza della Corte Costituzionale del 10 febbraio 1997, nr. 25, che 
attribuisce al concepito il diritto alla vita, dando atto che il principio di tutela 
della vita umana sin dal suo inizio � oggetto di riconoscimento da parte della 
Dichiarazione dei diritti del fanciullo del 1989; l�art. 254, co. 1 c.c. che consente 
il riconoscimento del figlio naturale anche solo concepito; la l. del 29 
luglio 1975, nr. 405 sull�istituzione dei consultori familiari; l�art. 32 Cost. che, 
riferendosi all�individuo quale destinatario della tutela della salute, contempla 
implicitamente la protezione del nascituro; l�art. 3 della Dichiarazione universale 
dei diritti dell�uomo, che prevede il diritto alla vita spettante ad ogni individuo; 
nonch� l�art. 2 della Carta dei diritti fondamentali dell�Unione 
europea. La Suprema Corte coglie, pertanto, l�occasione per affermare che il 
nascituro concepito risulta comunque dotato di autonoma soggettivit� giuridica 
in quanto titolare sul piano sostanziale di interessi personali in via diretta, rispetto 
ai quali l�avverarsi della condicio iuris della nascita � condizione imprescindibile 
per la loro azionabilit� in giudizio per fini risarcitori. 
Seguendo l�iter ragionativo proposto da tanta e tale dottrina, peraltro avallato 
da consistenti pronunce giurisprudenziali, sembra oggi non potersi negare, 
dunque, una parziale capacit� giuridica al nascituro concepito; parimenti, sembra 
vicina l�estensione di detto riconoscimento anche al concepturus, titolare 
del diritto a nascere sano, diritto che in tal caso ha consentito alla madre biologica 
- non legittima - di accedere alla cartella clinica della neonata defunta, 
comprimendo, cos�, il suo fondamentale diritto alla riservatezza dei dati sanitari 
in essa archiviati. 
Tribunale di Napoli, Sezione I civile, sentenza 18 settembre 2014 n. 13212. 
(omissis) 
L�istante ha proposto ricorso ex art. 152 del d.lgs. 30 giugno 2003, n. 196 (Codice in materia 
di protezione dei dati personali, ndr) [omissis] al fine di ottenere - per le ragioni analiticamente 
indicate nell�atto introduttivo - l�annullamento, previa sospensione dell�efficacia esecutiva, 
del provvedimento del Garante per la protezione dei dati personali [omissis].
CONTENZIOSO NAZIONALE 81 
Con memoria difensiva [omissis] il Garante per la protezione dei dati personali ha chiesto 
dichiararsi inammissibile l�opposizione e, comunque, rigettarla in toto in quanto infondata in 
fatto ed in diritto. 
D.I., seppur regolarmente citata, non si � costituita in giudizio. 
Acquisita documentazione varia, concessi i termini per il deposito di note difensive, [omissis] 
dopo la discussione orale, il Giudice Unico ha dato lettura del dispositivo e della contestuale 
motivazione. 
Va preliminarmente dichiarata la contumacia di D.I. che non si � costituita in giudizio seppure 
regolarmente e tempestivamente citata [omissis]. 
In ordine alla ritualit� della costituzione in giudizio della difesa del Garante per la protezione 
dei dati personali non sfugge a chi scrive che il deposito della memoria difensiva � avvenuto 
tardivamente [omissis] e, dunque, senza il rispetto del termine di dieci giorni di cui 
all�art. 416 c.p.c. Tuttavia, considerato che la documentazione allegata alla memoria risulta 
gi� prodotta in atti da parte ricorrente, di fatto nessun rilievo, ai fini della decisione, assume 
la tardiva allegazione documentale di parte opposta. 
Tanto premesso in punto di rito, prima di passare all�esame del merito della controversia 
va, in questa sede, evidenziato che parte attrice ha chiesto l�annullamento, previa sospensiva, 
del provvedimento del Garante oggetto di impugnativa, per violazione e/o falsa applicazione 
degli artt. 9 e 92 del d.lgs. 30 giugno 2003, n. 196. 
In particolare l�istante ha dedotto che [omissis] D.I., asserendo di aver partorito [omissis], 
presso il Presidio Ospedaliero di B., una neonata di sesso femminile, trasferita il giorno successivo 
presso il reparto di Terapia Intensiva Neonatale del Presidio Ospedaliero del S. per il 
sospetto che la stessa fosse affetta da una malattia genetica, e di aver interesse all�accesso alla 
cartella clinica per l�esigenza di identificare la malattia genetica della figlia al fine di evitare 
ulteriori gravidanze con esiti infausti per il nascituro, chiedeva all�Azienda Sanitaria, ex art. 
92 del d.lgs. 30 giugno 2003, n. 196, copia della cartella clinica della neonata, allegando unicamente 
copia dell�attestato di nascita rilasciato dal Presidio Ospedaliero di B. e del documento 
di riconoscimento dell�istante. Tale richiesta, essendo ritenuta in contrasto con quanto 
disposto dalla normativa sulla privacy in quanto priva di qualsiasi documentazione attestante 
il collegamento tra la richiedente e la neonata, era rigettata dall�Azienda, una prima volta, 
[omissis], ed una seconda volta, in seguito a reiterazione, [omissis]. Avverso il diniego di accesso 
la D.I. proponeva ricorso al Garante per la protezione dei dati personali, esponendo, 
per la prima volta, di essere stata ricoverata presso il Presidio Ospedaliero di B., di aver partorito 
l�, [omissis], una neonata di sesso femminile, trasferita il giorno successivo presso il 
reparto di Terapia Intensiva Neonatale dell�Ospedale S., e di non aver riconosciuto la neonata. 
Il Garante chiedeva chiarimenti all�Azienda che [omissis] comunicava di non aver potuto soddisfare 
la richiesta perch� �presso la struttura ospedaliera non risultava essere mai stata ricoverata 
alcuna minore figlia legittima della signora D.I. Tale circostanza rende impossibile 
procedere nella valutazione della sussistenza o meno di diritti o interessi legittimi che possano 
rendere accessibili i dati richiesti�. Lo stesso Garante chiedeva ulteriormente all�Azienda di 
precisare se [omissis] risultasse ricoverata una neonata proveniente dal Presidio Ospedaliero 
di B. e, ricevuta risposta affermativa dall�Ospedale S., accoglieva il ricorso della D.I. ed ordinava 
all�Azienda l�ostensione della cartella clinica della neonata, condannando l�Azienda 
alle spese del procedimento. 
Ad avviso dell�opponente, il provvedimento era errato sia nella parte in cui riteneva illegittimo 
il diniego di accesso espresso dall�Azienda S. che in quella in cui condannava
82 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2015 
l�Azienda al pagamento delle spese e dei diritti della procedura perch�: 1) non conteneva alcuna 
valutazione sia in ordine alla sufficienza dell�istanza che in ordine agli obblighi gravanti 
sull�Azienda relativamente alla tutela dei dati sensibili; 2) era stato adottato in assenza di qualunque 
prova circa la legittimazione della D.I. alla proposizione dell�istanza; 3) era stato 
emesso sulla base di atti e documenti intervenuti successivamente all�istruttoria conclusasi 
con il diniego, avendo l�istante, solo in sede di ricorso, precisato di essere la madre naturale 
della neonata di cui aveva chiesto la cartella clinica, di non aver proceduto al riconoscimento 
della bambina ed allegato la propria cartella clinica da cui risultava il proprio parto avvenuto 
presso il Presidio Ospedaliero di B. Inoltre, sempre ad avviso dell�opponente, il provvedimento 
oggetto di doglianza era errato perch� adottato in assenza di prova dell�esistenza di un 
rapporto parentale, anche di fatto, necessario ai sensi dell�art. 9 del d.lgs. n. 196/2003 per 
l�accesso ai dati personali concernenti persone decedute, non essendo all�uopo sufficiente la 
circostanza - puramente casuale e da sola priva di qualunque rilevanza probatoria - che la 
neonata provenisse dal Presidio Ospedaliero di B. dove la D.I. aveva partorito. Da ultimo era 
indicata quale circostanza dirimente la circostanza che la neonata, a seguito del rifiuto di riconoscimento, 
era stata affidata al Tribunale dei Minori [omissis], le era stato attribuito un 
nome di fantasia ed era stata assegnata alla tutela di un tutore. Quindi solo quest�ultimo, in 
quanto esercente la potest� genitoriale, avrebbe avuto il diritto di accedere ai dati relativi alla 
neonata oggetto di tutela. Di conseguenza la D.I. avrebbe dovuto presentare istanza al Tribunale 
per i Minorenni per ottenere informazioni sulla neonata ed eventualmente formulare richiesta 
di accesso alla relativa cartella clinica. 
A confutazione delle argomentazioni dell�opponente la difesa del Garante ha evidenziato, 
sulla base della pi� recente giurisprudenza amministrativa, la sussistenza del diritto della D.I. 
all�accesso alla cartella clinica ai sensi dell�art. 9, co. 3 del d.lgs. 30 giugno 2003, n. 196 e, 
dunque, del conseguente obbligo dell�Ospedale di fornire la documentazione richiesta. 
Questo giudice ritiene - per le argomentazioni di seguito esposte - pienamente legittimo il 
provvedimento del Garante che va, dunque, confermato in ogni sua parte. 
Nella fattispecie in esame trovano applicazione gli artt. 4, 7 e 9 del d.lgs. 30.6.2003, n. 
196. In particolare, considerato che l�istanza della D.I. risulta volta ad ottenere copia della 
cartella clinica della figlia della richiedente e, dunque, la conoscenza di dati sensibili, cio� di 
dati personali idonei a rivelare lo stato di salute di una persona, ex art. 4, co. 1 del d.lgs. 30 
giugno 2003, n. 196, il diritto alla comunicazione di tali dati in forma intellegibile, concernendo 
una persona deceduta (circostanza pacifica tra le parti in causa), poteva essere esercitato 
solo nel caso in cui la predetta avesse un interesse proprio o agisse a tutela dell�interessato o 
per ragioni familiari meritevoli di protezione. Ebbene, nel caso sub iudice, come correttamente 
evidenziato nel provvedimento del Garante oggetto di impugnativa, ricorrono tutti i presupposti 
normativi per l�accoglimento della richiesta della D.I. 
Ed invero quest�ultima, in qualit� di madre, anche solo naturale (avendo la stessa esercitato 
il diritto a non essere nominata di cui all�art. 30, co. 1 del D.P.R. 3 novembre 2000, n. 396) di 
una bambina, nata [omissis] presso l�Ospedale di B. e trasferita il giorno successivo presso il 
reparto di Terapia Intensiva Neonatale dell�Azienda Ospedaliera S. [omissis] dove � deceduta 
[omissis], ha legittimamente esercitato il suo diritto di accesso alla cartella clinica al fine di 
disporre delle informazioni indispensabili all�esecuzione di indagini cliniche necessarie ad 
accertare la patologia genetica di cui potrebbe essere portatrice e le modalit� della sua trasmissione 
cos� da poter conseguentemente effettuare una valutazione del rischio procreativo 
e consentirle un�ulteriore scelta riproduttiva consapevole ed informata (cfr. provvedimento
CONTENZIOSO NAZIONALE 83 
del Garante per la protezione dei dati personali del 22 maggio 1999 e Corte Cost., sent., 18 
novembre 2013, n. 278). 
� indubbio, infatti, che a base della richiesta di accesso si profilano, in capo all�istante sia 
la titolarit� di un �interesse proprio� alla conoscenza dei dati sensibili della figlia, che la sussistenza 
di �ragioni familiari meritevoli di tutela�. 
In ordine al primo requisito va ricordato che affinch� l�istanza di accesso sia legittima � 
sufficiente secondo la precisa definizione dell�art. 22, co. 1, lett. b) della l. 7 agosto 1990, n. 
241 (Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti 
amministrativi, ndr) che l�istante sia titolare di un interesse giuridicamente rilevante, 
personale e concreto e ricollegabile al soggetto stesso da uno specifico nesso e che la documentazione 
richiesta sia direttamente riferibile a tale interesse oltre che individuata o ben individuabile 
(cfr. ex multis Cons. Stato, Sez. III, sent., 12 giugno 2012, n. 3459). Ebbene, 
considerato che la richiesta non � stata proposta da un soggetto qualunque bens� dalla madre 
naturale della minore deceduta, strettamente legata per ragioni personali, familiari ed affettive 
alla minore e motivata dall�esigenza di conoscere le ragioni del decesso, la donna risulta portatrice 
di una posizione qualificata alla conoscenza della documentazione in questione. N� a 
considerazioni diverse pu� pervenirsi sulla base del dato costituito dall�esercizio del diritto 
da parte della donna, a non essere nominata e ci� in quanto la �mancata genitorialit� giuridica� 
non comporta certo la negazione della �genitorialit� naturale� (cfr. Corte Cost., sent., 18 novembre 
2013, n. 278). Dunque, sebbene fosse stato nominato quale tutore il Tribunale per i 
Minorenni, non sfugge a chi scrive che, essendo deceduta la minore all�epoca dell�istanza di 
accesso, risulta di fatto venuta meno in capo a tale organo la legittimazione a conoscere i dati 
sensibili della neonata. 
Quanto all�ulteriore requisito, avendo la richiedente documentato con una consulenza genetica 
la necessit� di conoscere le informazioni sanitarie inerenti la minore per l�esecuzione 
delle indagini cliniche necessarie ad accertare la patologia genetica di cui la donna potesse 
essere portatrice e le modalit� della sua trasmissione cos� da poter effettuare una valutazione 
del rischio procreativo e consentirle un�ulteriore scelta riproduttiva consapevole ed informata, 
sussistono le ragioni familiari meritevoli di tutela e, dunque, la necessit� di tutelare 
diritti fondamentali, di rango costituzionale, contemplati dagli artt. 2, 29, 31 co. 2 e 32 della 
Costituzione. 
Del tutto inconferente al caso in esame �, inoltre, il richiamo - operato dalla difesa dell�opponente 
- al disposto di cui all�art. 92, co. 2, lett. b) del d.lgs. 30 giugno 2003, n. 196. Ed 
invero in base a tale disposizione la richiesta di rilascio di copia della cartella clinica da parte 
di soggetti diversi dal diretto interessato pu� essere accolta, in tutto in parte, solo se la richiesta 
sia giustificata dalla documentata necessit� di tutelare, in conformit� alla disciplina sull�accesso 
documenti amministrativi, una situazione giuridicamente rilevante di rango pari a quello 
dell�interessato ovvero consistente in un diritto della personalit� o in un altro diritto o libert� 
fondamentale ed inviolabile. Orbene � evidente che tale norma pu� trovare applicazione solo 
nei casi - diversi da quello sub iudice - in cui si debba operare un bilanciamento di interessi 
tra l�esigenza di tutela del diritto alla riservatezza dell�interessato - diritto personalissimo che 
si estingue con la morte del titolare, sopravvivendo solo una forma di tutela dei dati sensibili 
- come altre forme di tutela - anche dopo la morte, esclusivamente nelle forme specifiche previste 
dall�art. 9 del d.lgs. 30 giugno 2003, n. 196 (cfr. Cons. Stato, Sez. V, sent., 9 giugno 
2008, n. 2866; Cons. Stato, Sez. III, sent., 12 giugno 2012, n. 3459) - ed altri diritti di rango 
costituzionale.
84 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2015 
In ordine agli ulteriori motivi di doglianza dell�opponente, in precedenza riportati nei punti 
nr. 1 e 3, osserva la scrivente che, come tra l�altro correttamente evidenziato da parte opposta, 
il Garante, ad�to ex artt. 145 e ss. del d.lgs. 30 giugno 2003, n. 196, non essendo tenuto a 
tanto, ai fini dell�accoglimento della richiesta di accesso alla cartella clinica non ha effettuato 
alcuna valutazione del comportamento dell�Azienda Ospedaliera dal momento che la funzione 
del Garante non � quella di giudicare la condotta dei soggetti in causa ma solo di risolvere, in 
sede amministrativa, il conflitto tra il richiedente l�accesso ed il titolare; compito, in concreto, 
espletato nel pieno rispetto delle disposizioni sopra richiamate. 
Correttamente al solo fine di regolamentare, su richiesta della D.I., l�ammontare delle spese dei 
diritti inerenti il ricorso ed il riparto degli stessi tra le parti in causa, il Garante ha valutato il comportamento 
tenuto dall�Azienda Ospedaliera nel corso dell�intero procedimento amministrativo. 
Orbene, anche in relazione a tale punto della decisione, il provvedimento appare congruamente 
e correttamente motivato. 
In particolare, ad avviso di questo Giudice, parte opponente nel corso del procedimento 
instaurato a seguito del ricorso al Garante, non si � adeguatamente attivata per garantire l�effettivo 
esercizio dei diritti di cui all�art. 7 del d.lgs. 30 giugno 2003, n. 196. 
Ed invero se, per un verso, appare condivisibile la scelta dell�azienda di non dare positivo 
riscontro alle prime due istanze di accesso della D.I., non altrettanto pu� condividersi analoga 
scelta adottata dall�Ospedale nel corso del procedimento instaurato dinanzi al Garante. 
Infatti all�atto della disamina della prima e della seconda richiesta della D.I. gli elementi 
di valutazione forniti all�opponente e documentati allo stesso [omissis] sono: 1) generalit� 
della madre e del padre della neonata; 2) sesso di quest�ultima; 3) giorno, luogo ed orario 
della nascita; 4) Presidio Ospedaliero di provenienza; 5) giorno del ricovero della neonata 
presso il reparto di Terapia Intensiva Neonatale dell�Azienda; 6) generica indicazione delle 
ragioni del ricovero e di quelle a base della richiesta. 
Ebbene, considerato che tali richieste risultano carenti dell�indicazione delle generalit� 
complete della minore, della durata e dell�esito del ricovero, della patologia diagnosticata o 
anche solo sospettata nei confronti della neonata, l�Azienda compulsata non � stata posta in 
condizione di valutare la sussistenza, in concreto, dei presupposti di cui agli articoli - sopra 
richiamati - per l�accesso alla cartella clinica. 
Diversamente la stessa Azienda, nel corso del procedimento amministrativo, ha avuto modo 
di conoscere ulteriori e decisivi elementi indispensabili per la valutazione e per l�accoglimento 
della richiesta quali: 1) l�esercizio, da parte della madre, del diritto a non essere nominata ex 
art. 30 del D.P.R. 3 novembre 2000, n. 396; 2) la durata del ricovero; 3) il luogo e la data del 
decesso della neonata per una patologia genetica. 
La rilevanza e la decisivit� di tali dati scaturiscono dal fatto che, per un verso, risulta superata 
l�unica motivazione addotta dall�Azienda Ospedaliera a conforto del reiterato rigetto 
dell�istanza di accesso costituita dal mancato ricovero presso detta struttura di una figlia legittima 
della richiedente e che, per un altro, la normativa sopra richiamata, per le ragioni in 
precedenza esposte, non consente l�interpretazione restrittiva propugnata dall�opponente. 
In definitiva le carenze e le omissioni delle prime due richieste della D.I. giustificano la 
compensazione delle spese del procedimento fino all�ammontare di � 100,00 in quanto espressive 
di un comportamento poco collaborativo dell�istante. Diversamente, per le spese residue, 
quantificate in � 400,00, la condanna dell�Azienda Ospedaliera al pagamento delle stesse � 
correttamente motivata dalla facile accertabilit� delle circostanze addotte dalla richiedente a 
fondamento della sua istanza.
CONTENZIOSO NAZIONALE 85 
Per tutte le ragioni esposte il ricorso va rigettato perch� infondato. [omissis] 
P.Q.M. 
Il Tribunale, in composizione monocratica, letti gli artt. 1 e ss. del d.lgs. 30 giugno 2003, 
n. 196, definitivamente pronunciando nella controversa come innanzi proposta, cos� provvede: 
� Dichiara la contumacia di D.I.; 
� Rigetta l�opposizione e, per l�effetto, conferma il provvedimento del Garante per la protezione 
dei dati personali [omissis]; 
� Condanna l�Azienda Ospedaliera di rilievo nazionale S. [omissis], in persona del Direttore 
generale pro tempore [omissis], alla rifusione delle spese di costituzione e rappresentanza 
in favore del Garante per la protezione dei dati personali, in persona del 
Presidente pro tempore, elettivamente domiciliato ex lege presso l�Avvocatura Distrettuale 
dello Stato di Napoli [omissis]; 
� Dichiara non ripetibili le spese del procedimento nei confronti di D.I. 
Cos� deciso in Napoli il 18 settembre 2014.
86 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2015 
L�autonomia universitaria tra tradizione e modernit�: 
a proposito di due recenti pronunce del Consiglio di Stato 
NOTA A CONSIGLIO DI STATO, ADUNANZA PLENARIA, 28 GENNAIO 2015 N. 1; 
CONSIGLIO DI STATO, SEZIONE VI, ORDINANZA 22 GENNAIO 2015 N. 242 
Angelica Cardi* 
SOMMARIO: 1. Premessa: i termini del dibattito - 2. Il quadro normativo nazionale: la 
cornice istituzionale dell�autonomia universitaria - 3. La cittadinanza europea e il trasferimento 
da universit� di altri Stati membri nella decisione dell�Adunanza plenaria n. 1 del 2015 
- 4. I temi di legittimit� costituzionale relativi all�internazionalizzazione delle universit�: il 
caso del Politecnico di Milano nell�ordinanza del Consiglio di Stato. 
1. Premessa: i termini del dibattito. 
Le pronunce in commento (1) offrono lo spunto per alcune riflessioni sul 
tema dell�autonomia universitaria alla luce del rapporto tra fonti primarie 
(nella specie, leggi statali) e fonti secondarie (nella specie, gli statuti e i regolamenti 
adottati dagli atenei) (2). 
Tali recenti decisioni si incentrano su due profili diversi dell�autonomia 
universitaria (3), l�autonomia regolamentare e l�autonomia didattica, ma � 
(*) Dottore in Giurisprudenza, ammessa alla pratica forense presso l�Avvocatura dello Stato. 
(1) Cons. St., Ad. Plen., 28 gennaio 2015, n. 1, in Foro it., 9, 2015, 446, con nota di R. DE HIPPOLYTIS 
e in Urbanistica e appalti con nota di G. FERRARI e L. TARANTINO, Numero chiuso e trasferimento dall�estero 
nelle facolt� di medicina; e Cons. St., sez. VI, ord. 22 gennaio 2015, n. 242, in Foro it., 3, 2015, 129. 
(2) In tempi recenti, il tema dei limiti dell�autonomia universitaria � stato posto anche al centro 
del dibattito avente ad oggetto la legittimit� della previsione da parte degli atenei del regime del numero 
programmato per l�accesso all�universit�; in merito alla legittimit� del numero programmato per l�accesso 
all�universit� si � ritenuto che lo stesso sia funzionale a garantire il necessario bilanciamento tra 
il diritto all�istruzione e l�effettiva sussistenza di risorse umane e strumentali, sicch� la corretta previsione 
e disciplina del cd. numero chiuso non costituisce un�arbitraria limitazione del diritto allo studio, ma 
una garanzia di qualit� dell�insegnamento. Sul tema, in dottrina, si vd. R. CIFARELLI, Accesso all�universit� 
e numero programmato tra ordinamento italiano, comunitario e cedu: spunti di riflessione, in 
Giurisprudenza di merito, 2013, 1, 190 ss.; A. GANDINO, La questione del �numero chiuso universitario�: 
il punto di vista del giudice amministrativo, in Foro amm. TAR, 2005, 6, 2072 ss.; V. ANGIOLINI, 
Numero chiuso e autonomia universitaria, in Corriere giur., 1999, 5, 554 ss.; in giurisprudenza, si vd., 
ex multis, Cons. St., sez. VI, ord. 18 giugno 2012, n. 3541; Cons. St., sez. VI, 10 aprile 2012, n. 2063; 
Cons. St., sez. VI, 28 febbraio 2012, n. 647; Cons. St., sez. VI, 10 settembre 2009, n. 5434; T.A.R. Calabria-
Catanzaro, sez. II, 4 settembre 2012, n. 906. 
(3) La dottrina ha da tempo (si pensi a M.S. GIANNINI, voce �Autonomia (teoria generale e diritto 
pubblico)�, in Enc. dir., vol. IV, 1959, 356) rilevato che il concetto di autonomia non � univoco: a volte 
si rivolge semplicemente a indicare l�assenza di un vincolo, altre, per poter essere compreso, necessita 
di un aggettivo che ne specifichi il contenuto e i limiti. In relazione all�evoluzione che il concetto di autonomia 
ha avuto con riferimento alle universit�, l�autonomia � considerata prevalentemente normativa. 
Come previsto dall�art. 6 della l. n. 168 del 1989 l�autonomia si traduce nella capacit� dei singoli atenei 
di darsi un proprio statuto e dei regolamenti idonei a disciplinare i diversi aspetti della vita di un ateneo: 
organizzazione, didattica, amministrazione, contabilit�, personale ecc. 
CONTENZIOSO NAZIONALE 87 
possibile rinvenire un filo conduttore nell�impatto dei fenomeni di armonizzazione 
avviati dal diritto comunitario (4), sia in termini di equipollenza dei 
titoli di studio rilasciati dalle universit� degli Stati membri, sia in termini di 
�internazionalizzazione� degli insegnamenti e dei corsi di studio (5); si tratta, 
dunque, di due profili di attacco della modernit� a un tema tradizionale, l�autonomia 
regolamentare e didattica. 
La sentenza dell�Adunanza Plenaria del 28 gennaio 2015, n. 1 ha ad oggetto 
la questione se sia possibile per gli studenti iscritti alla facolt� di medicina 
e chirurgia di un�universit� di un altro Stato membro (nella specie, 
l�Universit� di Timisoara, in Romania) ottenere il trasferimento nell�analoga 
facolt� di un�universit� italiana (nella specie, nella Universit� di Messina) con 
riconoscimento delle carriere e conseguente iscrizione ad anni di corso successivi 
al primo, pur non avendo superato a suo tempo il test di accesso al predetto 
corso di laurea (oppure, pur avendolo affrontato conseguendo il 
(4) Cfr. Direttiva 2005/36/Ce del Parlamento europeo e del Consiglio, del 7 settembre 2005, relativa 
al riconoscimento delle qualifiche professionali, recepita nell�ordinamento nazionale con d.lgs. 6 
novembre 2007, n. 206; Direttiva 2013/55/Ue recante modifiche alla direttiva 2005/36/Ce; Direttiva 
2004/38/Ce del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004, sul diritto di libera circolazione 
e soggiorno dei cittadini degli Stati membri. 
Sul punto, l�art. 165 del Trattato di Lisbona (TFUE) prevede che �l'Unione contribuisce allo sviluppo 
di un'istruzione di qualit� incentivando la cooperazione tra Stati membri e, se necessario, sostenendo 
ed integrando la loro azione nel pieno rispetto della responsabilit� degli Stati membri per quanto riguarda 
il contenuto dell'insegnamento e l'organizzazione del sistema di istruzione, nonch� delle loro 
diversit� culturali e linguistiche�. 
Tali principi trovano conferma nelle pronunce della Corte di Giustizia UE, si vd., ex multis, Corte di 
Giust., 13 aprile 2010, n. 73, C-73/08; Corte di Giust., 23 ottobre 2007, n. 12, C-12/06; Corte di Giust. 
11 settembre 2007, n. 76, C-76/05. 
(5) In realt�, quanto ai sistemi d�istruzione superiore, l�Unione non ha la competenza a emanare 
normative dirette nella materia dell�autonomia universitaria, ma pu�, tuttavia, esercitare un�influenza 
indiretta attraverso l�affermazione del principio di libert� di stabilimento dei professionisti nei diversi 
Paesi membri e attraverso la promozione da parte della Comunit� del �riconoscimento accademico 
dei diplomi e dei periodi di studio�. Al fine di garantire la mobilit� dei professionisti, infatti, il legislatore 
comunitario ha emanato una serie di direttive (vd. nota precedente).Tale riconoscimento � diretto 
evitare che le legittime differenze fra i sistemi nazionali d�istruzione possano tradursi in arbitrarie discriminazioni 
fondate sulla nazionalit� a svantaggio dei cittadini appartenenti ad altri Stati membri. 
Tali direttive incidono inevitabilmente, sia pure in modo indiretto, sulle competenze esercitate dagli 
Stati in ordine alla definizione dei contenuti formativi degli ordinamenti didattici universitari. Al fine 
di raggiungere tale risultato, � necessario, tuttavia, avviare un processo di internazionalizzazione che 
conduca a un previo coordinamento dei contenuti della formazione, compresi i curricula universitari. 
L�effetto della normativa comunitaria sar� anche quello di creare inevitabilmente una concorrenza fra 
ordinamenti interessati dai processi di mobilit� in quanto il sistema di riconoscimento, garantendo il 
diritto dei cittadini europei di utilizzare le proprie conoscenze professionali in tutti gli Stati membri, si 
tradurr� inevitabilmente nell�interesse di questi di acquisire tali conoscenze ove le riterranno pi� qualificate. 
La funzione del mutuo riconoscimento dei diplomi, dunque, non � unicamente quella di permettere 
la libera circolazione dei professionisti nell�ambito dell�Unione europea ma anche quella di 
favorire la circolazione degli stessi sistemi d�istruzione nazionale, mettendoli a confronto. In tal senso 
si vd. G. VESPERINI, Per uno studio delle tendenze di riforma del sistema universitario, in Giorn. Dir. 
Amm., 2009, 1, 197 ss.
88 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2015 
punteggio minimo richiesto per l�idoneit�, senza collocarsi in posizione utile 
per ottenere l�accesso ad un�universit� italiana). 
L�Adunanza Plenaria � stata chiamata a individuare i presupposti richiesti 
nell�ordinamento vigente per il trasferimento in atenei italiani di studenti iscritti 
in universit� di altri Stati membri, e, in secondo luogo, a verificare la sussistenza, 
nel quadro dei principi che governano l�autonomia delle universit� italiane, 
di un potere regolamentare idoneo a prevedere legittimamente limitazioni 
al trasferimento di studenti provenienti da universit� di altri Stati membri. 
Con la seconda pronuncia in commento, invece, la sesta sezione del Consiglio 
di Stato solleva questione di legittimit� costituzionale dell�art. 2, comma 
2, lett. l) della legge 30 dicembre 2010, n. 240, in riferimento agli artt. 3, 6 e 
33 della Costituzione. 
La legge n. 240/2010 ha costituito, nel caso di specie, la base normativa 
della delibera del senato accademico del Politecnico di Milano, con cui � 
stata stabilita la obbligatoriet� della lingua inglese per gli insegnamenti nei 
corsi di laurea magistrale e di dottorato di ricerca a partire dall�anno accademico 
2014-2015 (6). 
Tale delibera, oggetto di impugnazione da parte di un consistente numero 
di docenti del Politecnico di Milano, � stata annullata ad opera del Giudice di 
primo grado, il quale, dopo aver ricavato indirettamente dalla Costituzione il 
principio del primato della lingua italiana, ha ritenuto che �l�internazionalizzazione 
delle Universit� deve essere compiuta rispettando il primato della lingua 
italiana, da intendere secondo le precisazioni sviluppate dalla Corte 
Costituzionale� (7). Secondo l�interpretazione del T.A.R. Lombardia, il processo 
di internazionalizzazione sarebbe compatibile con l�ordinamento nazionale 
solo nella misura in cui la lingua italiana non venga collocata in posizione 
marginale rispetto ad altre lingue tale da farne assumere un ruolo subordinato 
nel contesto dell�insegnamento universitario. Nell�ambito di tale linee interpretative, 
l�universit�, esercitando la propria autonomia didattica, avrebbe il 
potere di �selezionare� gli insegnamenti che si prestano ad essere impartiti in 
lingua straniera per la materia trattata, che di per s� si ritiene presentino una 
vocazione internazionale, o che abbiano trovato origini o sviluppo scientifico 
in una particolare lingua straniera. 
(6) In merito all�internazionalizzazione delle universit� si rileva un primo tentativo in tal senso 
con l�art. 1 ter del d.l. n. 7 del 2005 (poi convertito in l. 43 del 2005), il quale prevede l�obbligo delle 
universit� di adottare programmi triennali aventi ad oggetto, tra gli altri, i corsi di studio da istituire e 
attivare nell�ambito e programmi di internazionalizzazione. 
(7) T.A.R. Lombardia-Milano, sez. III, 25 maggio 2013, n. 1348, in Foro it., Rep. 2013, voce 
Istruzione Pubblica, n. 123, commentata da P. CARETTI - A. CARDONE, Ufficialit� della lingua italiana 
e insegnamento universitario: le ragioni del diritto costituzionale contro gli eccessi dell�esterofilia linguistica, 
in Giur. cost., 2, 2013, pg. 655 ss.; R. CIFARELLI, La tradizione della lingua italiana e l�esigenza 
di internazionalizzazione: una convivenza ancora possibile?, in Giur. merito, 10, 2013, pg. 2191.
CONTENZIOSO NAZIONALE 89 
L�oggetto dell�ordinanza n. 242 del 2015, resa nel giudizio di impugnazione 
della sentenza di primo grado, consiste proprio nella rimessione alla 
Corte Costituzionale della suddetta verifica di compatibilit� della legge n. 240 
del 2010 (che pone un criterio direttivo finalizzato a orientare l�autonomia 
universitaria al rafforzamento del processo di internazionalizzazione, consentendo 
alle istituzioni universitarie di istituire insegnamenti, corsi di studio e 
forme di selezione in lingua straniera) con il primato della lingua italiana, costituzionalmente 
imposto (8). 
2. Il quadro normativo nazionale: la cornice istituzionale dell�autonomia universitaria. 
Il profilo normativo comune alle due pronunce, � rinvenibile nelle disposizioni 
della Costituzione in tema di autonomia universitaria (9). 
Gli articoli 33 e 34 della Costituzione pongono i principi fondamentali 
in tema di istruzione, con riferimento, il primo, all�organizzazione scolastica 
(della quale le universit�, per quanto attiene all�attivit� di insegnamento, sono 
parte) (10), il secondo, al diritto di accedervi e di usufruire delle prestazioni 
che essa � chiamata a fornire (11). 
(8) Per un maggior approfondimento in merito ai tentativi legislativi di introdurre la formalizzazione 
costituzionale dell�italiano quale lingua ufficiale della Repubblica si vd. M. FRANCHINI, �Costituzionalizzare� 
l�italiano: lingua ufficiale o lingua culturale?, in www.rivistaaic.it.; in giurisprudenza 
si vd. C. Cost., 22 maggio 2009, n. 159, in Foro it., 2011, 1, 1309, commentata da D. BONAMORE, Conflitto 
fra Stato e Regione in tema di tutela delle lingue minoritarie e dei loro parlanti (art.6 Cost.), in Il 
diritto di famiglia e delle persone, 2010, 3, 1027 ss; C. Cost., 11 febbraio 1982, n. 28, in Giur. cost., 
1982, 1, pg. 247 ss. 
(9) Per il periodo antecedente all�entrata in vigore del testo unico delle leggi universitarie del 1933 
si vd. I. PORCIANI (a cura di), L�universit� tra otto e novecento: i modelli europei e il caso italiano, Napoli, 
Jovene, 1994, V.; S. CASSESE, L�universit� e le istituzioni autonome nello sviluppo politico dell�Europa, 
in Riv. trim. dir. pubbl., 1990, 3, 755 ss.; S. CASSESE, Discussioni sull�autonomia universitaria, in Foro 
it., 1990, 5, 205 ss.; U. POTOTSCHNIG, L�autonomia universitaria: strutture di governo e di autogoverno, 
in Giur. cost., 1988, 2305 ss.; L. EINAUDI, L�universit� italiana e la riforma Gentile, in Cronache economiche 
e politiche di un trentennio (1893-1925), vol. VII (1923-1924), Torino, 1965, 424 ss.; CRISAFULLI, 
Autonomia e libert� nella scuola, in Riv. giur. scuola, 1965, 23 ss.; M.S. GIANNINI, Autonomia (Saggio 
sui concetti di autonomia), in Riv. trim. dir. pubbl., 1951, 851 ss.; A.M. SANDULLI, L�autonomia delle universit� 
statali, in Annali Triestini, Studi in onore di Cosattini, Trieste, 1949, 61 ss. 
(10) In tal senso cfr. C. Cost., 14 dicembre 1972, n. 195, ove si legge che �Non vՏ dubbio che la 
libert� della scuola si estende a comprendere le universit�, che sono previste nel contesto del medesimo 
art. 33; e sarebbe, d'altronde, illogico che le garanzie di libert� per la scuola in genere non fossero applicabili 
anche alle universit� e agli istituti di istruzione superiore�. 
(11) Per una maggiore analisi dell�impatto della nuova previsione costituzionale sul sistema normativo 
previgente si vd. S. CASSESE - A. MURA, Commento agli art. 33 e 34 della Costituzione, in G. 
BRANCA (a cura di), Commentario alla Costituzione, Bologna, Zanichelli, 1976. I principi costituzionali 
in tema di autonomia universitaria non hanno inciso nell�immediato sulla normativa previgente, portando 
a prevalere un indirizzo di continuit� con il precedente assetto centralizzato e uniforme. Solo con la l. 
n. 168 del 1989 si � inteso dare finalmente attuazione ai principi posti dagli artt. 33 e 34 della Costituzione, 
in riferimento all�autonomia universitaria. A questi stessi principi �, infatti, a lungo sopravvissuta 
una normativa che aveva i suoi antecedenti nella legge Casati (l. 13 novembre 1895, n. 3725) e, soprat-
90 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2015 
L�articolo 33, dopo aver stabilito, al primo comma, che �l�arte e la 
scienza sono libere e libero ne � l�insegnamento� e, al secondo comma, che 
�la Repubblica detta le norme generali sull�istruzione ed istituisce scuole statali 
per tutti gli ordini e gradi�, prevede per le istituzioni di alta cultura, e, tra 
esse, per le universit�, �il diritto di darsi ordinamenti autonomi nei limiti stabiliti 
dalle leggi dello Stato� (art. 33, comma 6, Cost.). 
La Costituzione riconosce, dunque, l�unit� dell�ordinamento della pubblica 
istruzione ed insieme il diritto delle universit� �di darsi ordinamenti autonomi�; 
tale autonomia si esplica, dunque, nell�ambito di principi essenziali 
stabiliti dal legislatore. Si afferma, in tal modo, la sussistenza di una riserva 
di legge relativa che opera nel senso di garantire la fissazione di limiti legislativi 
entro cui dovr� esplicarsi poi l�autonomia universitaria (12). 
Il sistema universitario si configura, dunque, come un settore soggetto a 
forme di indirizzo e controllo da parte del legislatore statale, titolare del potere 
di porre limiti legislativi all�autonomia universitaria, �limiti che non sarebbero 
pi� tali ove le disposizioni di legge fossero circostanziate al punto da ridurre 
le universit�, che la Costituzione vuole dotate di ordinamenti autonomi, al 
ruolo di meri ricettori passivi di decisioni assunte al centro� (13). Tali limiti 
riguardano tanto l�autonomia organizzativa in senso stretto, quanto l�autonomia 
normativa che coinvolge i diritti di accesso alle prestazioni. 
L�introduzione del principio dell�autonomia da parte della Costituzione 
non ha prodotto negli anni successivi gli immediati mutamenti che era possibile 
attendersi; il sistema universitario ha, infatti, percorso la strada della riforma 
con estrema cautela e incertezza. Fino all�approvazione della l. 168 del 
1989, che ha specificato gli ambiti dell�autonomia, riferendosi a diverse materie 
e qualificandone la natura normativa, tale nozione si traduceva in un mero 
potere di autorganizzazione e autogoverno nei limiti di quanto consentito dalla 
legge statale (14). 
Con la legge n. 168 del 1989 (15), istitutiva del Ministero dell�Universit� 
tutto, nella riforma Gentile (l. 30 settembre 1923, n. 2101) cui si giunse dopo la prima guerra mondiale 
per effetto dei pieni poteri concessi al Governo. Il corpo di queste ultime norme si ritrova nel r.d. 31 
agosto 1933, n. 1592, recante il testo unico delle norme sull�istruzione superiore, rimasto in buona parte 
in vigore, come detto, fino alla l. n. 168/1989. 
(12) � bene qui ricordare comunque la critica da parte della dottrina pi� autorevole alla classificazione 
tra riserva assoluta e relativa, si vd. V. CRISAFULLI, Lezioni di diritto costituzionale, vol. II, (VI 
ed.), F. CRISAFULLI (a cura di), Padova, Cedam, 1993, 62 ss., ove si legge che �la classificazione delle 
riserve in assolute e relative � frutto esclusivo della elaborazione dottrinale e della giurisprudenza della 
Corte Costituzionale e raramente trova un sicuro fondamento nella formulazione testuale delle disposizioni 
costituzionali ed � perci� in larga misura affidata alla sensibilit� dell�interprete che pu� e deve 
utilizzare largamente ogni sorta di indizi desumibili dai principi del sistema, dalla tradizione storica, 
dalla connessione logica tra le diverse norme costituzionali�. 
(13) Corte Costituzionale, 27 novembre 1998, 383, con nota redazionale di A. CELOTTO e nota 
critica di A. D�ATENA, Un�autonomia sotto tutela ministeriale: il caso dell�universit�, in Giur. cost., 
1998, 3316 ss. 
CONTENZIOSO NAZIONALE 91 
e della ricerca scientifica e tecnologica, si assiste, invece, all�avvio di un ventennio 
di rilevanti trasformazioni, sia nei rapporti tra le universit� e lo Stato, 
sia nell�organizzazione interna e nel funzionamento degli atenei (16). 
Con tale intervento legislativo e, in particolare, con le previsioni contenute 
negli articoli 6 e 7, viene attribuita, per la prima volta, autonomia statutaria, 
didattica, scientifica, finanziaria e contabile alle universit� (17). 
L�ordinamento didattico subisce, poco dopo, nuove modifiche con l�entrata 
in vigore della legge 19 novembre 1990, n. 341 e dell�art. 17, comma 95, 
della legge 15 maggio 1997, n. 127, che, a distanza di pochi anni ha inteso 
�riformare la riforma� (18); tali interventi normativi hanno rappresentato un 
passo indietro rispetto all�autonomia riconosciuta con la l. 168/1989. 
E, infatti, la riforma del 1990 ha disposto la riorganizzazione degli ordinamenti 
didattici e l�innovazione degli insegnamenti mediante l�adozione 
di uno o pi� decreti adottati su proposta del Ministero con parere conforme 
del Consiglio universitario nazionale. Alle universit� era, dunque, rimessa 
la deliberazione dell�ordinamento didattico che doveva ad ogni modo essere 
approvato dal Ministero ed emanato con decreto dal rettore. Tali decreti, 
inoltre, avevano la funzione, oltre di stabilire gli insegnamenti da impartire, 
(14) R. FINOCCHI, Le universit�, in Trattato di diritto amministrativo, S. CASSESE (a cura di), tomo 
II, Milano, Giuffr�, 2000, 973 ss. 
(15) Tra gli atti legislativi pi� significativi, successivi alla Costituzione, pu� essere ricordata 
la legge 11 aprile 1953, n. 312, con la quale venne consentita la libera inclusione di nuovi insegnamenti 
complementari negli statuti delle universit�. Con la fine degli anni sessanta si apre la stagione 
dei cosiddetti �provvedimenti urgenti per l�universit��: tra i provvedimenti pi� innovativi di questo 
decennio si richiama la legge 11 dicembre 1969, n. 910, la quale riforma l�accesso all�universit�, 
prevedendo la possibilit� di accedervi per tutti coloro che abbiano conseguito un qualsiasi diploma 
di maturit�, indipendentemente dalla facolt� prescelta (�liberalizzazione dell�accesso�), inoltre, 
viene prevista la possibilit� per gli studenti di predisporre un piano di studi diverso da quelli stabiliti 
dall�ordinamento didattico in vigore purch� nell�ambito delle discipline effettivamente insegnate, 
da sottoporre alla previa approvazione del consiglio di facolt� (�liberalizzazione dei piani di studio�). 
La stagione della legislazione di urgenza si chiude con il d.l. 1 ottobre 1973, n. 580 e il d.p.r. 
11 luglio 1980, n. 382, i quali si focalizzano, in gran parte, sullo stato giuridico e sull�organizzazione 
del corpo docente, oltre all�introduzione di norme sulla sperimentazione organizzativa e didattica, 
quale il conferimento dell�autonomia amministrativa finanziaria e contabile ai dipartimenti, dotati 
di un proprio bilancio. Per ulteriori approfondimenti cfr. W. GASPARRI, voce �Universit� degli studi�, 
in Dig. disc. pubbl., 2000. 
(16) Sulla disciplina delle universit� dopo l�attuazione della l. n. 186 del 1989 la letteratura � 
molto vasta, si vd., tra gli altri, F. MERUSI, Legge e autonomia nelle universit�, in Dir. Amm., 2008, 4, 
739 ss.; F. MERLONI, voce �Universit��, in Dizionario di diritto pubblico, S. CASSESE (a cura di), vol. 
II, Milano, Giuffr�, 2006, 6103 ss.; R. FINOCCHI - L. FIORENTINO - A. MARI, Gli statuti delle universit�, 
Milano, Giuffr�, 2000; L. MAZZAROLLI, Il principio costituzionale di autonomia universitaria, in Dir. 
Amm., 1997, 1, 5 ss; D. SORACE, L�autonomia universitaria degli anni novanta: problemi e prospettive, 
in Dir. pubbl., 1996, 1, 139 ss; A. D�ATENA, Profili costituzionali dell�autonomia universitaria, in Giur. 
cost., 1991, 1, pg. 2973. 
(17) L�art. 6, comma 3, della l. 168/1989, prevede quale unico limite all�autonomia didattica il rispetto 
dei �principi generali fissati nella disciplina relativa agli ordinamenti didattici universitari�. 
(18) R. FINOCCHI, Le universit�, op. cit, 973.
92 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2015 
anche di determinare i curricula e i titoli di studio necessari per l�accesso 
alle professioni (19). 
L�autonomia, pertanto, restava confinata all�aspetto puramente organizzativo 
della didattica (20); tale assetto non ha subito rilevanti modifiche da 
parte della riforma introdotta dall�art. 17, comma 95, della l. n. 127/1997, al 
punto da far dubitare della legittimit� costituzionale di una normativa statale 
di eccessivo dettaglio, in violazione del principio di autonomia (21). 
Le nuove disposizioni hanno, infatti, mantenuto inalterata la ripartizione 
tra fonti statali e autonomia universitaria, intervenendo unicamente sulla disciplina 
quadro di emanazione ministeriale, prevedendo che tali decreti dovevano 
limitarsi a stabilire i �criteri generali�. 
Vi era, dunque, da attendersi che il legislatore nazionale, nel porre nuovamente 
mano agli ordinamenti universitari, desse risalto all�autonomia, liberando 
le funzioni didattiche dai vincoli centralistici. Tali intenti hanno trovato 
un assetto, se non definitivo, in fase di consolidamento, nella l. 2 agosto 1999, 
n. 264, recante norme in materia di accessi ai corsi universitari e nel regolamento 
adottato con il d.m. 3 novembre 1999, n. 509, le cui linee di fondo sono 
l�introduzione dei crediti formativi, l�uniformit� dei titoli di studio e l�ampio 
condizionamento da parte delle autorit� centrali (22). 
Dal quadro normativo sinteticamente tratteggiato, si desume che l�idea di 
fondo che ispira gli interventi legislativi di questi anni si trova adeguatamente 
(19) In dottrina � stata pi� volte ravvisata la natura contraddittoria delle riforme attuate negli anni 
novanta che, avviate per dare attuazione all�autonomia riconosciuta dall�art. 33 della Costituzione, hanno 
limitato la stessa ai profili marginali dell�attivit� universitaria, riservando le scelte di fondo al potere 
ministeriale, unico centro di governo dell�intero sistema. In tal senso cfr. F. MERLONI, L�autonomia delle 
universit� e degli enti di ricerca: alcuni nodi problematici, in Scritti in onore di M.S. Giannini, Milano, 
Giuffr�, 1988, 489 ss. 
(20) In tal senso, si vd. S. CASSESE, L�autonomia delle universit� nel rinnovamento delle istituzioni, 
in Foro it., 1993, 5, 82 ss. il quale afferma che, in tal modo, �si � fatto un passo indietro persino rispetto 
al testo unico del 1933, stabilendo dal centro non solo gli insegnamenti da impartire in ciascuna facolt�, 
ma anche la corrispondenza tra titoli di studio e posizioni� finendo per limitare �l�autonomia didattica 
all�organizzazione della didattica�. 
(21) Corte Costituzionale, 27 novembre 1998, n. 383, con nota critica di A. MARI, Riserva di legge 
aperta e limitazione delle iscrizioni all�universit�, in Giorn. dir. amm., 1999, 3, 221 ss. La decisione riguarda 
la legittimit� costituzionale dell�art. 17, comma 116, l. 127/1997 nella parte in cui attribuisce al 
Ministero dell�Universit� e della ricerca scientifica e tecnologica il potere di definire, su conforme parere 
del Cun, i criteri generali per la regolamentazione dell�accesso alle scuole di specializzazione e ai corsi 
universitari, anche a quelli per i quali l�atto emanato preveda una limitazione delle iscrizioni. Per gli 
sviluppi del dibattito in tema di programmazione degli accessi si vd. M. DE BENEDETTO, Il numerus 
clausus per l�accesso all�universit�, in Giorn. dir. amm., 2013, 11, 1046 ss.; G. MILO, Diritto all�istruzione 
universitaria e limitazione degli accessi, in Riv. trim. dir. pubbl., 2000, 1, 181 ss.; V. ANGIOLINI, 
Numero chiuso e autonomia universitaria, in Corr. giur., 1999, 4, 554 ss.; G. SENATORE, Accesso all�universit� 
e numero chiuso: una nuova pronuncia di costituzionalit� provvisoria, in Giur. it., 1999, 9; 
A.M. POGGI, Il caso dell�autonomia universitaria: la costruzione di un effettivo modello di autonomia 
di un soggetto pubblico, in L�effettivit� tra sistema delle fonti e controlli, in F. PIZZZETTI - A. BARDUSCO 
(a cura di), Milano, Giuffr�, 1998, 196 ss. 
CONTENZIOSO NAZIONALE 93 
sintetizzata sia dagli statuti, che qualificano le universit� come �comunit� di 
persone che concorrono alla realizzazione dei fini istituzionali conferiti�, sia 
dalla Corte Costituzionale (sentenza del 9 novembre 1988, n. 1017), secondo 
la quale �l�autonomia accademica si traduce in definitiva nel diritto di ogni 
singola universit� a governarsi liberamente attraverso i suoi organi e, soprattutto, 
attraverso il corpo dei docenti nelle sue varie articolazioni�. 
L�ampliamento dell�autonomia delle singole universit� nella scelta dei 
�contenuti� degli ordinamenti didattici ha subito un nuovo arresto con le determinazioni 
assunte nel 2007 (con due decreti ministeriali di pari data del 16 
marzo), in cui sono stabiliti il numero massimo degli esami o i crediti che possono 
essere riconosciuti in esito a convenzioni. 
Da ultimo, con la riforma cosiddetta Gelmini (legge 30 dicembre 2010, 
n. 240) (23), le universit� sono state chiamate, ancora una volta, a ridefinire 
la propria governance, modificando i rispettivi statuti secondo una procedura, 
entro un termine e nel rispetto di criteri direttivi indicati dall�art. 2 (24). 
L�intervento si � reso necessario in ragione del mutamento del contesto 
giuridico-istituzionale nel quale le universit� si sono trovate ad operare, seppur 
dotate di un assetto organizzativo ancorato a un modello istituzionale privo di 
autonomia; autonomia che, invece, le universit� avevano ormai da tempo acquistato 
(25). 
(22) Cfr. G. DELLA CANANEA, Universit� e professioni tra pseudoriforme e riforme a met�, in 
Giorn. dir. amm., 2002, 1, 102 ss. Sul punto, si segnala che un�ulteriore modifica al d.m. n. 509/1999 � 
stata disposta ad opera del d.m. 22 ottobre 2004, n. 270, prevedendo che, anche nel caso di corsi di 
laurea magistrale, per i quali non era previsto il numero programmato, l�universit� avrebbe potuto stabilire 
specifici criteri di accesso, la previsione di requisiti curriculari e �l�adeguatezza della personale 
preparazione verificata dagli atenei, con modalit� da definire nei regolamenti didattici�. 
(23) La legge n. 240/2010 � stata anche oggetto di dibattiti sotto il profilo della legittimit� costituzionale; 
sul punto cfr. F. MERLONI, La nuova governance delle universit� italiane, in Giorn. dir. amm., 2011, 
2, 353 ss. Secondo l�A. la legge Gelmini �rinvia alla fonte statutaria la definitiva disciplina degli organi di 
ateneo e dell�articolazione interna, ma interpreta in modo estensivo il potere di fissarne i limiti: non solo 
limiti esterni al potere statutario, ma limiti interni, con la puntuale predeterminazione del contenuto della 
futura disciplina statutaria�. Tale �riappropriazione di potere normativo�, sempre ad avviso dell�A., solleverebbe 
un duplice �problema di legittimit� costituzionale�: da un lato, sarebbe dubbia la ragionevolezza 
e la proporzionalit� di simile �evidente arretramento dei diritto di darsi ordinamenti autonomi rispetto al 
livello garantito dalla legge n. 168 del 1989�, dall�altro, la nuova disciplina legislativa potrebbe rappresentare 
una �eccessiva e non ragionevole compressione dello stesso autogoverno universitario, il tratto minimo 
e indefettibile al di sotto del quale non si potrebbe pi� parlare di autonomia delle universit��. 
(24) Per ulteriori approfondimenti sulla riforma Gelmini si vd. S. BATTINI, La nuova governance 
dell�universit�, in Riv. trim. dir. pubbl., 2011, 2, 359 ss.; C. MARZUOLI, Lo stato giuridico e il reclutamento: 
innovazioni necessarie ma sufficienti?, in Giorn. dir. amm. 2011, 4, 360 ss.; Z. ZENCOVICH, Ci 
vuole poco per fare un�Universit� migliore, Fagnano, Il Sirente, 2011. 
(25) Con la riforma Gelmini si avvia, infatti, la fase del cd. �Governo a distanza�: lo Stato fissa 
le regole �a maglie larghe�, quali standards, griglie, requisiti ecc., che hanno la funzione di delimitare 
lo spazio entro cui l�autonomia universitaria pu� essere legittimamente esercitata; introduce un�attivit� 
di valutazione dei risultati raggiunti dalle universit� attraverso l�esercizio dell�autonomia loro concessa 
dal cui esito dipende la concessione dei finanziamenti. 
94 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2015 
Si � giunti, dunque, a rielaborare i margini di autonomia statutaria delle 
universit�, imponendo l�esercizio della stessa nel rispetto di una trama piuttosto 
fitta di criteri direttivi fissati dal legislatore, che, nella sostanza, individuano 
un modello di governance uniforme per tutti gli atenei (26). 
In sintesi, allo stato attuale, � possibile riconoscere in capo alle universit�, 
che hanno conseguito la stabilit� e sostenibilit� del bilancio, nonch� risultati 
di elevato livello nella didattica e nella ricerca, la possibilit� di sperimentare 
propri modelli funzionali e organizzativi. 
Il legislatore, dunque, nel rispetto dell�art. 33 della Costituzione, ha attribuito 
alle universit� la facolt� di ricorrere a nuovi modelli, ma solo sulla base di accordi 
di programma con il Ministero dell�istruzione, universit� e della ricerca. 
L�autonomia normativa e consultiva da un lato, e l�autonomia economicofinanziaria, 
dall�altro, sono esercitate, nell�ambito dell�organizzazione interna 
di ciascuna universit�, rispettivamente, dal senato accademico e dal consiglio 
di amministrazione. 
I dipartimenti delle universit� sono, invece, titolari dell�esercizio delle 
attivit� finalizzate allo svolgimento della ricerca scientifica, delle attivit� didattiche 
e formative. 
Assume rilievo, nell�ambito del potere-dovere delle universit� di dotarsi 
di ordinamenti autonomi, anche la norma dettata dall�art. 1 del d.lgs. 27 gennaio 
2012, n. 18 sulla contabilit� economico patrimoniale degli atenei, che attribuisce 
alle universit� la facolt� di adottare sistemi e procedure di contabilit� 
analitica, in conformit� ai principi contabili e agli schemi di bilancio stabiliti 
e aggiornati con decreto del Ministro dell�istruzione, dell'universit� e della ricerca, 
di concerto con il Ministro dell�economia e delle finanze (27). 
(26) Tale modello non ha rappresentato un totale sovvertimento rispetto al passato; e, infatti, gli 
organi di governo necessari, ossia obbligatoriamente previsti dallo statuto, sono rimasti il rettore, il 
senato accademico, il consiglio di amministrazione e nucleo di valutazione cui si sono aggiunti il collegio 
dei revisori dei conti e il direttore generale. Significative innovazioni sono state introdotte, invece, nell�ambito 
della distribuzione delle funzioni tra gli organi e delle modalit� di costituzione degli stessi. In 
particolare, si identificano tre principali componenti organizzativo-funzionali del sistema di governance 
di ateneo: in primo luogo, rileva il ruolo centrale del rettore, il quale rappresenta l�ateneo e indirizza e 
coordina tutti i processi decisionali (essendo membro di diritto del senato e del consiglio di amministrazione); 
al senato, costituito su base elettiva, invece, spetta la titolarit� della funzione normativa nonch� 
i poteri di controllo sull�attivit� svolta dal consiglio di amministrazione; il consiglio di 
amministrazione, i cui membri sono designati secondo modalit� definite dagli statuti, � titolare della 
funzione di indirizzo strategico e di programmazione economico-finanziaria. Infine, l�ultima componente 
organizzativa e funzionale individuata dalla riforma Gelmini � il nucleo di valutazione, al quale sono 
affidati compiti di verifica della qualit� ed efficacia dell�offerta didattica e dell�attivit� di ricerca. 
Dal punto di vista didattico-organizzativo, invece, la riforma Gelmini individua un�unica sede deputata 
alle funzioni didattiche e di ricerca: il dipartimento, destinato a cumulare tutte le funzioni proprie delle 
facolt� e dei �vecchi�� dipartimenti. La riforma Gelmini conduce, dunque, all�eliminazione della pluralit� 
di strutture (ed in particolare il superamento della divisione delle funzioni di didattica e ricerca, le prime 
affidate alle facolt� e le seconde ai dipartimenti), rimettendo agli statuti la ridefinizione dell�articolazione 
interna, ponendo per� come vincolo e criterio direttivo la �semplificazione�� dell�articolazione interna.
CONTENZIOSO NAZIONALE 95 
Il legislatore, dunque, nel dettare i limiti entro cui deve svolgersi il diritto 
delle universit� di dotarsi di ordinamenti autonomi, non sempre � riuscito, con 
l�adozione di provvedimenti differenti, informati ad una pluralit� di indirizzi 
distinti, non del tutto conciliabili tra loro, a garantire l�intangibilit� di quel nucleo 
di autonomia riconosciuto in capo alle universit� (28). 
Ci� � reso evidente da un�analisi delle pronunce in commento, ove, da 
un lato, l�autonomia normativa viene valorizzata rimettendo all�atto tipico, 
ossia lo statuto, la determinazione dei criteri da adottare al fine di valutare il 
percorso formativo compiuto dallo studente che chiede il trasferimento provenendo 
da un ateneo straniero, mentre, dall�altro, l�autonomia didattica, ossia 
l�internazionalizzazione dei corsi di studi, in conformit� a quanto previsto 
dalla l. 240/2010, � frenata proprio dalla base sociale dell�autonomia stessa, 
ossia dai docenti, i quali, impugnando la delibera del senato accademico del 
Politecnico di Milano, conducono a porre in discussione la legittimazione primaria 
dell�autonomia riveniente dalla comunit� di riferimento (in quanto trova, 
come noto - almeno storicamente - nel riferimento al corpo sociale - l�universitas 
- un prius rispetto a ogni forma, inevitabilmente successiva, di riconoscimento 
pubblico dell�autonomia stessa). 
3. La cittadinanza europea e il trasferimento da universit� di altri Stati membri 
nella decisione dell�Adunanza plenaria n. 1 del 2015. 
Come anticipato, con la sentenza n. 1 del 2015, l�Adunanza Plenaria � 
giunta a una completa rimeditazione sulla questione che per anni � stata oggetto 
di dibattito dinanzi al giudice amministrativo, ossia il potere-dovere delle universit� 
italiane di accogliere le istanze di trasferimento da parte di quegli studenti 
che, senza essersi sottoposti al test di ammissione o senza essersi collocati in 
posizione utile per ottenere l�accesso ai corsi di laurea dell�area medico-chirurgica, 
chiedevano l�iscrizione ad anni successivi al primo, presso universit� italiane, 
con riconoscimento della carriera svolta presso un�universit� straniera. 
In giurisprudenza (29) � prevalsa sin qui la tesi negativa, ossia ostativa al 
riconoscimento della legittimit� del trasferimento da universit� straniere senza 
aver previamente superato il test preselettivo. 
(27) A. DI GIOVANNI, L�organizzazione interna delle universit�: tra dipartimenti e strutture di 
raccordo, in Competizione e governance del sistema universitario, (a cura di) E. PICOZZA - A. POLICE, 
Giappichelli, Torino, 2013, 421. 
(28) In tal senso si vd. G. VESPERINI, Per uno studio delle tendenze di riforma del sistema universitario, 
op. cit. 
(29) Cons. St., sez. VI, 3 marzo 2014, n. 963; Cons. St. sez. VI, 30 maggio 2014, n. 2829; Cons. 
St., sez. VI, 22 aprile 2014, n. 2028; Cons. St. sez. VI, 15 ottobre 2013, n. 5015; Cons. St., sez. VI, 24 
maggio 2013, n. 2866; Cons. St., sez. VI , 22 novembre 2013, n. 5561; Cons. St., sez. VI, 15 ottobre 
2013, n. 5015; Cons. St., sez. VI, 18 settembre 2013, n. 4657; Cons. St., sez. VI, 10 aprile 2012, n. 2063; 
T.A.R. Campania - Napoli, sez. VIII, 23 luglio 2014, n. 4102; T.A.R. Abruzzo - Pescara, sez. I, 20 gennaio 
2014, n. 48.
96 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2015 
Tale interpretazione era fondata su di una lettura restrittiva della normativa 
di riferimento, ossia l�art. 4, della l. 264 del 1999, che subordina l�ammissione 
ai corsi universitari al previo superamento di apposite prove di 
cultura generale e di accertamento della predisposizione per le discipline oggetto 
dei corsi medesimi (30). Da ci�, la giurisprudenza dominante ne deduceva, 
in passato, che lo studente che intendesse trasferirsi da un�universit� 
straniera o italiana doveva sottoporsi al test di ammissione, indipendentemente 
dall�aver frequentato proficuamente il primo anno (o anni successivi) di universit� 
straniere. La ratio del citato art. 4 della l. 264 del 1999 �, infatti, quella 
di fare in modo che l�accesso e la prosecuzione ai corsi di laurea di cui agli 
artt. 1 e 2 della l. 264 del 1999 siano garantiti in presenza di alti standard formativi, 
valutati alla luce di una prima selezione idonea a verificare l�attitudine 
del candidato allo studio di materie legate ad una professionalit� particolarmente 
complessa (31). Tali standard formativi non possono ritenersi ugualmente 
raggiunti per l�avvenuto superamento di prove di ammissione presso 
universit� di altri Stati membri data la mancanza di una normativa comunitaria 
di armonizzazione delle procedure di ammissione ai corsi universitari; infatti, 
non essendo uniformi a livello comunitario n� i programmi, n� le modalit� di 
selezione per l�accesso alle facolt� mediche, non � possibile una valutazione 
comparativa tra la selezione svolta in altri paesi comunitari e quella svolta sul 
territorio nazionale (32). 
Come affermato pi� volte dalla giurisprudenza in materia (33), infatti, l�or- 
(30) L�art. 4 della l. 264 del 1999 dispone che: �L'ammissione ai corsi di cui agli articoli 1 e 2 � 
disposta dagli atenei previo superamento di apposite prove di cultura generale, sulla base dei programmi 
della scuola secondaria superiore, e di accertamento della predisposizione per le discipline 
oggetto dei corsi medesimi, con pubblicazione del relativo bando almeno sessanta giorni prima della 
loro effettuazione, garantendo altres� la comunicazione dei risultati entro i quindici giorni successivi 
allo svolgimento delle prove stesse. Per i corsi di cui all'articolo 1, comma 1, lettere a) e b), il Ministro 
dell'universit� e della ricerca scientifica e tecnologica determina con proprio decreto modalit� e contenuti 
delle prove di ammissione, senza oneri aggiuntivi per il bilancio dello Stato�. 
(31) Al riguardo, torna attuale la riflessione di Concetto Marchesi che, nel dibattito in assemblea costituente, 
sosteneva che occorre �socchiudere, non spalancare le porte dell�universit�� per assicurarne una 
�salutare selezione�; la relazione di C. Marchesi � citata da S. CASSESE - A. MURA, Commento agli artt. 33 
- 34 in Commentario della Costituzione, G. BRANCA (a cura di), Bologna, Zanichelli, 1976, 216-217. 
(32) In tal senso cfr. nota prot. n. 437 del 18 febbraio 2010 del MIUR, Dipartimento per l�universit�, 
l�alta formazione artistica, musicale e coreutica e per la ricerca, Direzione generale per l�Universit�, 
lo studente e il diritto allo studio universitario. 
(33) Sul punto cfr. Cons. St., sez. VI, 10 aprile 2012, n. 2063, ove si legge che �Giova sottolineare 
al riguardo che: altra cosa � il riconoscimento delle qualifiche professionali, disciplinato al livello comunitario 
dalla direttiva 2005/36/CE (recepita nell'ordinamento nazionale con decreto legislativo 6 
novembre 2007, n. 206), mentre ben altra cosa � il c.d. �riconoscimento accademico�, il quale consente 
al possessore di un diploma di continuare gli studi o di avvalersi di un titolo accademico in un altro 
Stato membro. Questo secondo tipo di riconoscimento non conosce, allo stato attuale dell'evoluzione 
del diritto comunitario, misure di armonizzazione o di ravvicinamento delle legislazioni e resta interamente 
rimesso alle scelte normative dei singoli Stati membri. Se ci� � vero per il c.d. �riconoscimento 
accademico� in senso proprio, a maggior ragione � vero in relazione alle previsioni (che qui vengono
CONTENZIOSO NAZIONALE 97 
dinamento comunitario garantisce, ad alcune condizioni, il riconoscimento dei 
soli titoli di studio e professionali e non anche delle mere procedure di ammissione 
(34); ci� implica, dunque, che, pur essendovi un obiettivo di omogeneizzazione 
(come peraltro specificato dall�art. 165, comma 4 del TFUE) (35), restano 
ferme le responsabilit� degli Stati in materia di organizzazione dell�istruzione. 
D�altronde, la soluzione opposta, ossia l�accoglimento delle istanze di 
trasferimento da universit� di altri Stati membri a universit� italiane, pur senza 
aver previamente sostenuto il test di accesso, determinerebbe, ad opinione 
dell�indirizzo fino ad ora dominante, una vera e propria elusione del meccanismo 
di accesso previsto dall�art. 4 della l. 264 del 1999. 
Da ultimo, non pu� trascurarsi la discriminazione che si verificherebbe 
nei confronti degli studenti che svolgono la prova di ingresso secondo le modalit� 
previste dalla citata l. n. 264 del 1999, autorizzando il trasferimento e 
in rilievo) di cui alla l. 264 del 1999 circa l'accesso ai corsi di laurea e l'individuazione dei presupposti 
e delle condizioni per l'accesso agli anni dei corsi di laurea successivi al primo�. In tal senso, si vd. 
anche Cons. St., sez. VI, 10 marzo 2014, n. 1082, ove si legge che: �lo stesso articolo 149 del TFUE. 
si limita a fissare quale obiettivo meramente tendenziale dell�operato dell�Unione quello di favorire la 
mobilit� degli studenti e di promuovere il riconoscimento accademico dei diplomi e dei periodi di studio; 
tuttavia, lo stesso articolo 149, comma 4, chiarisce che l�azione dell�Unione europea si limita all�adozione 
di mere �azioni d�incentivazione�, �ad esclusione di qualsiasi armonizzazione delle disposizioni 
legislative e regolamentari degli Stati membri�. In senso conforme cfr. T.A.R. Calabria - Catanzaro, 
sez. II, 4 settembre 2012, n. 906. 
(34) In merito al riconoscimento dei titoli professionali sono ormai note le pronunce con cui la 
Corte di Giustizia ha escluso la natura abusiva del titolo professionale, in particolare il titolo di abilitazione 
per l�esercizio della professione forense, acquisito in uno Stato membro diverso da quello nel 
quale viene regolarmente esercitata la professione. La Corte di Giustizia, con la sentenza del 17 luglio 
2014, n. 58/13, ha affermato che: �l�art. 3 della direttiva 98/5, consentendo ai cittadini di uno Stato 
membro che ottengano il loro titolo professionale di avvocato in un altro Stato membro di esercitare la 
professione di avvocato nello Stato di cui sono cittadini con il titolo professionale ottenuto nello Stato 
membro di origine, non incide sulle strutture fondamentali, politiche e costituzionali n� sulle funzioni 
essenziali dello Stato membro di origine ai sensi dell'art. 4, par. 2, TUE�. In tal senso le Sezioni Unite 
della Corte di Cassazione hanno sostenuto che: �� illegittimo ogni ostacolo frapposto, al di fuori delle 
previsioni dalla normativa comunitaria, al riconoscimento, nello Stato di appartenenza, del titolo professionale 
ottenuto dal soggetto interessato in altro Stato membro in base all'omologazione del diploma 
di laurea gi� conseguito nello Stato di appartenenza. Peraltro, allorch� nello Stato di appartenenza 
l'accesso all'esercizio della professione sia subordinato, a differenza che nell'altro Stato membro, a 
prova abilitativa ed a tirocinio teorico-pratico, l'interesse pubblico al corretto svolgimento dell'attivit� 
professionale � idoneamente tutelabile attraverso il triennio di esercizio della professione con il titolo 
di origine (d'intesa con professionista abilitato) e la verifica dell'attivit� correlativamente espletata� 
(SS.UU. n. 28340/2011). 
(35) L�art. 149 del TFUE, al comma 1 prevede che: �L'Unione contribuisce allo sviluppo di 
un'istruzione di qualit� incentivando la cooperazione tra Stati membri e, se necessario, sostenendo ed 
integrando la loro azione nel pieno rispetto della responsabilit� degli Stati membri per quanto riguarda 
il contenuto dell'insegnamento e l'organizzazione del sistema di istruzione, nonch� delle loro diversit� 
culturali e linguistiche�; e al comma 4 afferma che: �Per contribuire alla realizzazione degli obiettivi 
previsti dal presente articolo: il Parlamento europeo e il Consiglio, deliberando in conformit� della 
procedura legislativa ordinaria e previa consultazione del Comitato economico e sociale e del Comitato 
delle regioni, adottano azioni di incentivazione, ad esclusione di qualsiasi armonizzazione delle disposizioni 
legislative e regolamentari degli Stati membri�.
98 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2015 
l�iscrizione ad anni successivi al primo di studenti provenienti da altri paesi 
comunitari che non abbiano superato i test predisposti dal Ministero dell�Istruzione, 
Universit� e Ricerca. 
L�Adunanza plenaria, con la decisione in commento, opera innanzitutto 
una ricognizione del quadro normativo in materia, rilevando l�esistenza di un 
vuoto normativo. 
Dopo aver precisato che nel nostro ordinamento non esiste, allo stato attuale, 
un �diritto al trasferimento�, rileva che le uniche disposizioni in materia 
di trasferimenti si rinvengono nei commi 8 e 9 dell�art. 3 del d.m. 16 marzo 
2007, che, senza alcun riferimento ai requisiti per l�ammissione, rimette ai regolamenti 
didattici di ciascun ateneo la disciplina dei trasferimenti degli studenti 
da un corso di laurea a un altro ovvero da un�universit� a un�altra sulla 
base del numero dei crediti maturati, prevedendo anche la possibilit� di ricorrere, 
se necessario, a colloqui al fine di verificare le conoscenze maturate (36). 
La lettura data dall�Adunanza plenaria all�art. 4 della l. 264 del 1999, interpretato, 
come detto, in via estensiva dal precedente orientamento giurisprudenziale, 
� nel senso che il test di accesso, quale condizione legittimante 
l�ammissione ai corsi universitari, si applicherebbe ai soli casi di �primo accoglimento 
dell�aspirante nel sistema universitario�, poich� preordinato a verificare 
che il candidato sia in possesso di nozioni di cultura generale sulla 
base dei programmi della scuola secondaria superiore, nonch� la predisposizione 
dello studente per le discipline oggetto dei corsi medesimi. Da ci� la 
conclusione secondo cui la norma non si riferisce tanto all�ipotesi di trasferimento 
di studenti universitari da un ateneo straniero ad uno nazionale, quanto 
allo studente che chiede di entrare e essere accolto per la prima volta nel sistema 
universitario. 
Tale interpretazione appare, inoltre, confermata dall�art. 6 del d.m. 22 ottobre 
2004, n. 270 che, nell�indicare i requisiti di ammissione ai corsi di studio, 
si riferisce espressamente al �possesso del diploma di scuola secondaria superiore�; 
il legislatore, quindi, nel disciplinare la procedura di ammissione ai 
corsi di studio, ha voluto riferirsi esclusivamente allo studente che si iscrive 
al primo anno di corso universitario, sulla base, appunto, del titolo di studio 
acquisito e delle conoscenze ad esso sottostanti. 
A sostegno dell�interpretazione restrittiva della normativa nazionale offerta 
dall�Adunanza plenaria, si aggiunge che il d.m. 28 giugno 2012 utilizza 
indifferentemente i termini �immatricolazione� e �ammissione�, evidenziando, 
dunque, un�equivalenza di significato tra i due termini, ove, come 
noto, il primo � comunemente riferito allo studente che si iscrive al primo anno 
di corso universitario (37). 
(36) Per ulteriori approfondimenti sul riconoscimento dei crediti maturati dallo studente si vd. A. 
MARI, La riforma degli ordinamenti didattici universitari, in Giorn. dir. amm., 2007, 8, 821 ss. 
CONTENZIOSO NAZIONALE 99 
All�esito dell�excursus normativo sopra richiamato, l�Adunanza plenaria 
rileva, dunque, l�assenza di specifiche disposizioni di legge in materia, atteso 
che le disposizioni normative vigenti non sono applicabili all�ipotesi del trasferimento 
di studenti universitari da un ateneo di un altro Stato membro ad 
uno nazionale, riferendosi esclusivamente al primo accesso dello studente al 
corso di laurea. 
L�Adunanza plenaria si propone, dunque, di ricavare dalla giurisprudenza 
comunitaria i principi applicabili alla fattispecie da essa esaminata. 
La giurisprudenza della Corte di Giustizia ha ritenuto che, se � pur vero 
che il diritto comunitario non arreca pregiudizio alla competenza degli Stati 
membri per quanto riguarda l�organizzazione dei sistemi di istruzione e di formazione 
professionale, gli Stati devono, nell�esercizio di tale potere, ad ogni 
modo, rispettare il diritto comunitario, in particolare le disposizioni relative alla 
libera circolazione e al libero soggiorno sul territorio degli Stati membri (38). 
Questi ultimi, ha aggiunto la Corte, sono quindi liberi di optare per un sistema 
di istruzione fondato sul libero accesso alla formazione, senza limiti di 
iscrizione del numero degli studenti, ovvero per un sistema fondato su un accesso 
regolato che selezioni gli studenti; tuttavia, sia che essi optino per l�uno 
o per l�altro, le modalit� del sistema scelto devono rispettare il diritto dell�Unione 
e, in particolare, il principio di libert� di circolazione e soggiorno in 
un altro Stato membro (39). 
La facolt� degli studenti provenienti da altri Stati membri di accedere agli 
studi di insegnamento superiore costituisce, dunque, l�essenza stessa del principio 
della libert� di circolazione. 
Se � pur vero, infatti, che il diritto comunitario garantisce, a talune condizioni, 
il riconoscimento dei soli titoli di studio e professionali e non anche 
delle procedure di ammissione, ci� non legittima ad escludere la possibilit� 
(37) Si veda, in particolare, l�art. 10, comma 1, (relativo a �graduatorie, soglia di punteggio minimo 
e valutazione delle prove�) ove si legge che �nell�ambito dei posti disponibili per le immatricolazioni, 
sono ammessi ai corsi di laurea e di laurea magistrale, di cui agli articoli 2, 4, 5 e 6 gli studenti 
comunitari e non comunitari di cui all'art. 26 della legge n.189/2002 nonch�, nell'ambito della relativa 
riserva di posti, gli studenti non comunitari residenti all'estero, secondo l'ordine decrescente del punteggio 
conseguito. Sono ammessi ai corsi gli studenti appartenenti a tutte le predette categorie e che 
abbiano ottenuto un punteggio minimo pari a venti�, nonch� il punto 9 dell�all.1, (relativo alle �procedure 
per la prova di ammissione ai corsi di laurea�) ove si legge che �i bandi di concorso, predisposti 
dagli Atenei, devono indicare: che gli studenti che partecipano all'unica prova prevista per l'ammissione 
ai corsi di laurea magistrale in medicina e chirurgia e in odontoiatria e protesi dentaria, debbano indicare 
nel sito riservato, ai fini della eventuale immatricolazione, l'opzione in via esclusiva per uno dei 
due corsi o, se l'interesse � per entrambi i corsi, l'indicazione in ordine preferenziale tra i due. L'omessa 
indicazione rende di fatto impossibile la relativa immatricolazione�. 
(38) In tal senso si vd., sentenze 13 aprile 2010, n. 73, causa C-73/08, 11 settembre 2007, causa 
C-76/05, Schwarz e Gootjes-Schwarz, Racc. pag. I-6849, punto 70; sentenza 23 ottobre 2007, cause riunite 
C-11/06 e C-12/06, Morgan e Bucher, Racc. pag. I-9161, punto 24. 
(39) Sul punto cfr. P. PROVENZANO, Libert� di circolazione delle persone (Istruzione - corso di 
laurea a �numero chiuso�), in Riv. italiana di dir. pubbl. comun., 2012, 6, 1192 ss. 
100 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2015 
del trasferimento da un ateneo straniero ad uno nazionale. Da ci� si desume 
esclusivamente, infatti, che il possesso dei requisiti di ammissione da un ateneo 
europeo non d� di per s� �diritto� al trasferimento dello studente in qualsiasi 
altro ateneo di diverso Stato dell�Unione europea. 
Da ultimo, l�Adunanza plenaria richiama l�art. 2 della convenzione di Lisbona 
sul riconoscimento dei titoli di studio stranieri, ratificata con l. 11 luglio 
2002, n. 148, ove si legge che �la competenza per il riconoscimento dei cicli 
e periodi di studio stranieri, ai fini dell�accesso all�istruzione superiore, del 
proseguimento degli studi universitari e del conseguimento dei titoli universitari 
italiani, � attribuita alle universit� ed agli istituti di istruzione universitaria, 
che la esercitano nell�ambito della loro autonomia e in conformit� ai 
rispettivi ordinamenti, fatti salvi gli accordi bilaterali in materia�. 
Secondo i giudici del collegio, dunque, tale norma sarebbe indicativa di 
un potere-dovere delle universit� di provvedere, nell�esercizio della propria 
autonomia regolamentare, al riconoscimento dei periodi di studio svolti in altri 
Stati membri, attraverso il confronto didattico dei corsi esteri con quelli nazionali 
e della valutazione del percorso formativo gi� seguito dallo studente, 
a prescindere dal tipo di accesso di quest�ultimo al sistema universitario. 
L�Adunanza plenaria, rimanda, in questo modo, all�autonomia didattica 
la conformazione attuativa della disciplina sul trasferimento con la definizione 
dei criteri volti a stabilire il numero dei posti disponibili per il trasferimento 
e, nell�ambito del numero dei posti disponibili, le modalit� di 
graduazione delle domande, nonch� i criteri per mezzo dei quali i crediti riconosciuti 
determinano l�iscrizione a un determinato anno di corso (con particolare 
riguardo all�ipotesi di iscrizione come �ripetenti� e all�ipotesi in 
cui lo studente non abbia superato alcun esame e conseguito alcun credito 
ovvero all�ipotesi in cui lo studente abbia superato un numero di esami tale 
da non potersi ritenere idoneo che alla sua iscrizione al primo anno previo 
superamento del test di ammissione). 
Nonostante l�orientamento favorevole della pi� recente giurisprudenza amministrativa 
all�accoglimento delle istanze di trasferimento (40), appare evidente 
come la regolazione della materia de qua verr� rimessa alla discrezionalit� degli 
atenei e solo la fase applicativa potr� rivelare se le universit� sapranno applicare 
correttamente tali criteri con l�atto tipico dell�autonomia, ossia lo statuto (41). 
(40) L�interpretazione offerta dall�Adunanza plenaria � stata confermata da successive pronunce 
del Consiglio di Stato; in tal senso si vd. Cons. St., sez. VI, 7 agosto 2015, n. 3907 e Cons. St., sez. VI, 
4 maggio 2015, n. 2228. 
(41) Per approfondimenti sullo statuto, quale fonte del diritto, si vd. C. MIRIELLO, Fonti del diritto 
e delegificazione: statuti universitari e potest� normativa in deroga alla legge, in Contr. e impr., 2011, 
1, 65 ss.; A. MARI, I limiti alla potest� statutaria delle universit�, in Giorn. dir. amm., 1998, 12, 1121 
ss.; R. FINOCCHI, Le universit�, op. cit., 997 ss.; R. FINOCCHI, Gli statuti delle universit�, in Giorn. dir. 
amm., 1995, 10, 1011 ss.
CONTENZIOSO NAZIONALE 101 
� tramite lo statuto, infatti, che si determina la ridefinizione �identitaria� 
dei singoli atenei; tale atto fondamentale di autorganizzazione identifica i �valori� 
e la �specifica missione� di cui ogni ateneo si fa portatore. 
A tal proposito, ogni ateneo ha il dovere di prestare la massima cura nella 
programmazione delle proprie attivit� didattiche, delle modalit� di svolgimento 
delle stesse nonch� nella scelta di altre strategie finalizzate a promuovere 
lo sviluppo e la diffusione delle attivit� didattiche e di ricerca svolte, quali 
ad esempio, la scelta relativa alla lingua dei corsi di laurea. Si tratta, infatti, di 
iniziative che, in quanto direttamente disciplinate dagli statuti stessi, si rivelano 
anch�esse indici del grado di �autonomia normativa� che l�ordinamento � disposto 
a riconoscere ai singoli atenei (42). 
Tale pronuncia rileva da un duplice punto di vista: in primo luogo, infatti, 
offre un�interpretazione logico-sistematica della normativa vigente maggiormente 
aderente al diritto comunitario. Seppure, infatti, lo stesso non contempla, 
allo stato attuale, misure di armonizzazione o riavvicinamento delle legislazioni 
in materia di accesso ai corsi universitari, nel panorama dei sistemi universitari 
europei, si sono venuti consolidando alcuni orientamenti di fondo volti a �favorire� 
e non ad �impedire� la circolazione di studenti e laureati (43). In secondo 
luogo, la pronuncia valorizza l�autonomia regolamentare delle universit�, rimandando 
al potere-dovere dei singoli atenei di elaborare una disciplina in tema 
di trasferimenti, anche prevedendo la subordinazione degli stessi al previo superamento 
di prove di verifica del percorso formativo compiuto. 
4. I temi di legittimit� costituzionale relativi all�internazionalizzazione delle 
universit�: il caso del Politecnico di Milano nell�ordinanza del Consiglio di 
Stato. 
La seconda pronuncia in commento, la cui decisione � stata sospesa in 
attesa della definizione del relativo giudizio da parte della Corte Costituzionale, 
offre l�occasione per riflettere sui limiti dell�autonomia didattica riconosciuta 
alle universit�. 
Come gi� anticipato, il dibattito sulla lingua della didattica universitaria 
� sorto a seguito dell�adozione, da parte del senato accademico del Politecnico 
di Milano (universit� pubblica scientifico-tecnologica che opera unicamente 
nei campi dell�ingegneria, architettura e disegno-industriale), della delibera 
(42) Ci si riferisce, in altri termini, al potere attribuito dall�ordinamento agli atenei di operare 
scelte discrezionali in ambito organizzativo e didattico. 
Tale autonomia �, tuttavia, pur sempre delimitata dai poteri di controllo riconosciuti in capo agli organi 
del governo: gli ordinamenti didattici sono sempre sottoposti al controllo preventivo da parte del Ministero, 
dell�Anvur e del Cun. 
(43) Al riguardo, ormai nota � la diffusione, ad esempio, di pratiche - nel cosiddetto progetto Erasmus 
- volte a favorire il mutuo riconoscimento (sulla base di autonome convenzioni di ateneo) di periodi 
di studio e di singole discipline frequentata all�estero.
102 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2015 
con la quale veniva stabilita l�attivazione, a partire dall�anno accademico 
2014-2015, di corsi di laurea magistrale e corsi di dottorato esclusivamente in 
lingua inglese (44). 
La decisione del senato accademico di rendere obbligatorio l�insegnamento 
in lingua inglese per quei corsi che, nel panorama del percorso scolastico-
universitario, costituiscono il massimo perfezionamento dell�istruzione 
dello studente, rappresenta un�aspirazione alla modernit� e ai nuovi obiettivi 
di internazionalizzazione (45) che trovano precisi riferimenti ordinamentali 
nell�art. 2, comma 2, lett. l) della l. 240 del 2010, che prevede che �per le medesime 
finalit� ed entro lo stesso termine di cui al comma 1, le universit� statali 
modificano, altres�, i propri statuti in tema di articolazione interna, con 
l'osservanza dei seguenti vincoli e criteri direttivi: (�) l) rafforzamento dell'internazionalizzazione 
anche attraverso una maggiore mobilit� dei docenti 
e degli studenti, programmi integrati di studio, iniziative di cooperazione interuniversitaria 
per attivit� di studio e di ricerca e l'attivazione, nell'ambito 
delle risorse umane, finanziarie e strumentali disponibili a legislazione vigente, 
di insegnamenti, di corsi di studio e di forme di selezione svolti in lingua 
straniera� (46). 
(44) G. FONTANA, Che lingua parla l�universit� italiana?, in www.rivistaaic.it, 2013; G. MILANI, 
Il T.A.R. della Lombardia boccia l�internazionalizzazione a senso unico dell�universit�, in 
www.federalismi.it; P. CARETTI - A. CARDONE, Ufficialit� della lingua italiana e insegnamento universitario: 
le ragioni del diritto costituzionale contro gli eccessi dell�esterofilia linguistica, in Giur. 
cost., 2013, 2, 655 ss. 
(45) Gli strumenti che fino ad oggi il legislatore ha adottato per promuovere la crescita del processo 
di internazionalizzazione anche in ambito universitario non si limitano solo all�autonomia didattica, 
estendendosi anche ad aspetti diversi, quali ad esempio, interventi di carattere finanziario: l�internazionalizzazione 
degli atenei �, infatti, uno degli elementi che contribuiscono all�acquisizione dei finanziamenti 
(a titolo esemplificativo si vd. d.m. 23 dicembre 2010, n. 50); non solo, nell�ambito di tale disegno 
riformatore, si segnala anche l�art. 16, comma 3, lett. f) della l. 240 del 2010 che, in tema di composizione 
delle commissioni di abilitazione, prevede l�integrazione delle commissioni con la selezione di commissari 
provenienti da universit� straniere o sorteggiati da apposite liste formate dall�Anvur. 
(46) Tale indirizzo era gi� stato espresso nell�art. 31 dell�all. 2 al d.m. 23 dicembre 2010, n. 50, 
che, in deroga al divieto per le universit� di istituire nuovi corsi di studio posto dal precedente art. 30, 
prevede che: �al fine di favorire la razionalizzazione e l�internazionalizzazione delle attivit� didattiche, 
il divieto di cui al punto � 30 non trova applicazione nei riguardi dell�istituzione di corsi di studio finalizzata 
all�accorpamento di corsi gi� presenti nel RAD (con contestuale cancellazione dal RAD degli 
stessi), ovvero di corsi omologhi a corsi gi� presenti nel RAD da attivare nella medesima sede didattica 
dei medesimi, che prevedano la erogazione delle attivit� didattiche interamente in lingua straniera, 
anche in relazione alla stipula di convenzioni con Atenei stranieri per il rilascio del doppio titolo o del 
titolo congiunto�; tale disposizione, sia pur priva di forza di legge, si pone a chiarimento ulteriore del 
senso che il legislatore ha voluto attribuire alla disposizione legislativa in esame, tentando di bilanciare 
le esigenze di razionalizzazione con quelle di internazionalizzazione. Pi� di recente, l�art. 2 del d.m. 15 
ottobre 2013, n. 827 ha stabilito il potenziamento della dimensione internazionale della ricerca e della 
formazione attraverso il reclutamento di studenti e di docenti all�estero, l�attrazione di studenti stranieri, 
il potenziamento dell�offerta formativa relativa a corsi di lingua straniera e il potenziamento della mobilit� 
a sostegno di periodi di studio e tirocinio all�estero degli studenti. Ad integrazione del suddetto 
decreto, � intervenuto, successivamente, il d.m. 14 febbraio 2014, n. 104. Infine, il d.m. 23 dicembre
CONTENZIOSO NAZIONALE 103 
La delibera suddetta, impugnata da cento docenti dell�ateneo, � stata dichiarata 
illegittima dai giudici di primo grado, in quanto ritenuta in contrasto 
con alcuni principi costituzionali tra cui la libert� di insegnamento (i docenti 
sarebbero in tal modo costretti dall�ateneo a impartire i propri corsi in inglese), 
il diritto allo studio (in quanto universit� pubblica dovrebbe garantire ai propri 
iscritti l�attivazione dei corrispondenti corsi in italiano) e, in particolare, con 
l�ufficialit� della lingua italiana (in quanto tale non suscettibile di essere posta 
in subordinazione ad altre lingue). 
Al contrario, il Consiglio di Stato ha riconosciuto la legittimit� dell�applicazione 
data dal Politecnico alla norma sopra citata, rilevandone la portata 
innovativa, tanto da superare il principio espresso dall�art. 271 del r.d. n. 1592 
del 1933, secondo il quale �la lingua italiana � la lingua ufficiale dell�insegnamento 
e degli esami in tutti gli stabilimenti universitari� (47) e promuovendo, 
al contrario, l�istituzione di corsi in lingua diversa dall�italiano; scelta 
riconducibile all�autonomia universitaria, legittimamente esercitata dal Politecnico 
di Milano (48). 
Ci� posto, tuttavia, i giudici di secondo grado hanno ritenuto non manifestamente 
infondata la questione di legittimit� costituzionale della nuova normativa 
che sembrerebbe porsi in contrasto, innanzitutto, con gli artt. 3 e 6 della 
Costituzione, dal momento che applicando l�uso della lingua inglese allo svol- 
2013, n. 1059 prevede, nell�all. A), che �per i corsi di studio internazionali si fa riferimento ai corsi 
che prevedono il rilascio del doppio titolo, del titolo multiplo o del titolo congiunto con atenei stranieri 
e quelli erogati integralmente in lingua inglese�. 
(47) I giudici di primo grado, offrendo una diversa nozione di �internazionalizzazione�, hanno 
ritenuto, al contrario, che tra l�art. 271 del r.d. n. 1592 del 1933 e l�art. 2, comma 2, lett. l) della l. 240 
del 2010 non sussista alcun rapporto di incompatibilit� tale da poter ritenere che la prima disposizione 
sia stata tacitamente abrogata per effetto dell�entrata in vigore della l. 240 del 2010 ex art. 15 disp. prel. 
c.c., in quanto la corretta interpretazione da dare alla normativa in esame, � volta a suggerire che l�art. 
2, comma 2, lett. l), della l. 240 del 2010 abbia voluto promuovere �l�affiancamento� dell�uso della 
lingua straniera a quella italiana, escludendo, dunque, di collocare quest�ultima in posizione subordinata 
rispetto alla lingua straniera. 
L�orientamento contrario sostiene, invece, che il richiamo a tale norma offre lo spunto per cogliere l�esortazione 
pi� volte rivolta al legislatore da dottrina e giurisprudenza in merito alla necessit� di un intervento 
legislativo che chiarisca gli obiettivi del sistema universitario nazionale e si offra di riordinare in modo 
chiaro la normativa fin�ora vigente, abrogando quelle disposizioni, quale l�art. 271 del r.d. n. 1952 del 
1933, che hanno perso la propria portata precettiva in quanto fortemente permeate dal contesto (e dal 
sentimento) dell�epoca in cui furono adottate. 
Sul punto si rimanda a S. CASSESE, Discussioni sull�autonomia universitaria, in Foro it.,1990, 5, 207, 
che, gi� nei primi anni �90, a proposito del r.d. n. 1592/1933, rilevava che ҏ ancora vigente una legge 
vecchia e fascista. Questo � un capitolo che si � protratto fin troppo tempo nella storia italiana�. 
(48) Tale iniziativa si colloca nel tentativo di accrescere la propria attrattivit� per gli studenti e i 
docenti stranieri, al fine di ottenere un aumento della domanda di formazione internazionale negli ambiti 
culturali e scientifici presidiati dall�ateneo. Dagli studi statistici di settore si � rilevato che al Politecnico 
su un totale di circa quarantamila studenti, risultano attualmente iscritti circa cinquemila studenti stranieri, 
con un incremento nell�anno accademico 2013-2014, di circa il venticinque percento rispetto all�anno 
accademico precedente. Tale incremento, seppure in misura pi� contenuta, � stato registrato anche 
nel numero delle docenze straniere titolari di incarichi didattici nei corsi di laurea magistrale.
104 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2015 
gimento della didattica di tutti i corsi (magistrali e di dottorato) si determinerebbe 
un�abolizione integrale della lingua italiana per i corsi considerati, senza 
tenere conto delle diversit� esistenti tra i corsi, alcuni tra i quali postulano una 
diversa trasmissione del sapere, maggiormente attinente alle tradizioni e ai valori 
della lingua italiana (49). 
Al riguardo, in dottrina, ci si � interrogati sulla compatibilit� tra la natura 
pubblica del servizio svolto dalle universit� statali e la scelta di svolgere la didattica 
in lingua inglese (precludendo, in tal modo, l�accesso a coloro che non 
sono in possesso delle competenze linguistiche necessarie). 
Tale dibattito si inserisce in una riflessione pi� ampia relativa al ruolo e 
alla missione di cui oggi gli atenei si fanno portatori; concentrare le proprie 
attenzioni sul diritto all�accesso all�universit�, in una fase economica recessiva, 
come quella che stiamo vivendo, risulta privo di senso laddove a tale 
sforzo non corrisponda allo stesso tempo un�equivalente attenzione a incrementare 
le opportunit� occupazionali che si offrono agli studenti laureati (50). 
E, infatti, gli atenei hanno il dovere di individuare gli strumenti idonei ad 
accrescere le capacit� competitive degli studenti che aspirano a inserirsi in un 
mercato del lavoro sempre pi� selettivo ed esigente; il primo passo per la realizzazione 
di questo obiettivo � proprio quello di rendere accessibile a tutti 
una lingua ormai universalmente ritenuta prioritaria (51). 
In secondo luogo, il Consiglio di Stato rileva la possibile violazione dell�art. 
33 che sancisce la libert� di insegnamento; l�obbligo per i docenti di insegnare 
in lingua straniera appare in contrasto con la libera espressione della 
comunicazione con gli studenti, dal momento che elimina la possibilit� di qualsiasi 
diversa scelta da parte dei docenti, ai quali appartiene la libert� e la responsabilit� 
dell�insegnamento (52). 
Tale contrasto � ancor pi� evidenziato dal fatto che, nel caso di specie, 
l�impugnazione della delibera del senato accademico proviene dall�azione del 
(49) In tal senso cfr. C. Cost., 22 maggio 2009, n. 159 ove si legge che �la consacrazione, nell�art.
1, comma 1, della legge n. 482 del 1999, della lingua italiana quale lingua ufficiale della Repubblica 
non ha evidentemente solo una funzione formale, ma funge da criterio interpretativo generale 
delle diverse disposizioni che prevedono l'uso delle lingue minoritarie, evitando che esse possano essere 
intese come alternative alla lingua italiana o comunque tali da porre in posizione marginale la lingua 
ufficiale della Repubblica; e ci� anche al di l� delle pur numerose disposizioni specifiche che affermano 
espressamente nei singoli settori il primato della lingua italiana�. 
(50) M. GIOVANNINI, Internazionalizzazione e lingua degli insegnamenti universitari: la desiderabile 
autonomia delle universit� italiane, in Riv. trim. dir. pubbl., 2015, 1, 139. 
(51) Al contrario, si realizzerebbe una discriminazione qualora si consentisse che i corsi di laurea 
in lingua inglese rimanessero una prerogativa delle universit� private, precludendo realmente, in questo 
caso, l�accesso ai meno agiati. 
(52) Peraltro, la Corte Costituzionale, con la sentenza del 6 luglio 1972, n. 143, ha affermato che 
la libert� di insegnamento viene garantita nel riservare alla scelta del docente i contenuti della didattica 
ma non si estende fino a limitare all�ateneo programmi didattici che si intendono uniformi per tutti gli 
insegnamenti del corso di laurea di riferimento.
CONTENZIOSO NAZIONALE 105 
corpo docenti stesso, titolare di quell�autonomia didattica che riconosce la libert� 
degli atenei di organizzare e stabilire le modalit� dei singoli insegnamenti; 
azione che, pone, dunque, in primo luogo, un tema di legittimazione dell�autonomia 
che si intende esercitare con tale processo di internazionalizzazione. 
La pronuncia riflette, in modo particolare, la tensione che si sta producendo 
tra il modello tradizionale (e nazionale) di universit�, quale luogo di 
sperimentazione culturale, trasmissione e diffusione del sapere e il nuovo ruolo 
che l�universit� � chiamata a svolgere nella societ� contemporanea, ossia di 
istituzione in grado di aprirsi alle esigenze della modernit� e di accrescere le 
capacit� competitive dei propri studenti. 
L�iniziativa dell�internazionalizzazione, finalizzata a favorire l�apertura 
delle universit� italiane allo scambio e al dibattito scientifico globale, dimostra 
la consapevolezza maturata a livello istituzionale della necessit� di allineare 
la didattica e la ricerca universitaria ai medesimi parametri accolti a livello 
europeo e internazionale (53). 
Dalla scarsa integrazione delle universit� italiane con i sistemi universitari 
europei, sotto il profilo della ricerca e della didattica, ne consegue, infatti, la 
difficolt� di attrarre dagli altri paesi un numero apprezzabile di studenti e di 
docenti nonch� di avviare relazioni di scambio culturale e professionale, elementi 
attualmente necessari al fine di poter valutare la �qualit�� del sistema 
universitario a livello europeo. 
Il raggiungimento dei suddetti obiettivi appare oggi un�esigenza di prioritaria 
importanza in quanto destinata a riflettersi sull�intero sistema universitario, 
a partire dall�immediato accesso alle risorse che lo Stato mette a 
disposizione degli atenei in grado di attrarre finanziamenti europei nonch� alle 
risorse stanziate a livello europeo per finanziare le universit� maggiormente 
coinvolte in progetti innovativi (54). 
L�internazionalizzazione del sistema universitario ha origine, dunque, dall�esigenza 
di consentire alle universit� italiane di acquisire competitivit� e centralit� 
a livello europeo e internazionale. 
Gli atenei sono chiamati a rielaborare le proprie attivit� di ricerca e formazione 
e a competere con le altre universit� europee al fine di ottenere i finanziamenti 
stanziati a livello comunitario ed erogati in base all�attitudine 
internazionale della ricerca prodotta. 
L�attivit� didattica e di ricerca delle universit� viene investita dai processi 
di globalizzazione in corso: esse sono valutate secondo indicatori in- 
(53) M. GIOVANNINI, op. cit.,139 ss. 
(54) Non pu� sottovalutarsi che oggi la capacit� diffusiva di una ricerca scientifica rappresenta 
un parametro preponderante di valutazione della sua qualit� nonch� della qualit� dell�universit� che l�ha 
finanziata. Al riguardo, si segnala il nuovo sistema di finanziamento delle attivit� di ricerca denominato 
�Horizon 2020� che supporter� il finanziamento di progetti di ricerca e innovazione per la durata di sei 
anni a partire dal 1 gennaio 2014.
106 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2015 
ternazionali che le collocano in classifiche internazionali (55), la qualit� 
della loro ricerca � misurata in base alla diffusione internazionale dei loro 
prodotti e alla capacit� di attrazione di studenti stranieri; il loro finanziamento 
dipende dalla capacit� di intercettare risorse messe a disposizione 
dai soggetti ultrastatali (56). 
La tensione tra spinte contrastanti e le sollecitazioni di modernit� e internazionalizzazione 
non potranno non pesare nella ponderazione tra valori costituzionali 
che orienter� la decisione della Corte Costituzionale, chiamata 
dall�ordinanza di rimessione a collocare spinte e sollecitazioni nel contesto 
dell�autonomia universitaria. 
Sar� la Corte a precisare fino a che punto il tentativo di sottrarre l�Universit� 
italiana al suo �splendido isolamento� (57) pu� declinarsi nel rispetto 
e nella salvaguardia dei principi costituzionali: ma questa � una pagina che attende 
ora di essere scritta dal giudice delle leggi e nell�attesa di essere letta e 
meditata non pu� che sospendersi ogni altra riflessione. 
Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, sentenza 28 gennaio 2015 n. 1 - Pres.ti Giovannini, 
Virgilio, Lignani, Baccarini, Pajno, De Lipsis, Est. Cacace - Universit� degli Studi di Messina 
(avv. gen. Stato) c. R.C. e S.P. (avv. Rubino). Intervenienti ad opponendum I.M. ed altri (avv. 
Cantelli). 
FATTO e DIRITTO 
1. - Gli odierni appellati, iscritti nell�anno accademico 2011/2012 al I anno di studi della Facolt� 
di Medicina dell�Universit� di Timisoara (Romania), presentavano alla Universit� degli 
Studi di Messina istanza per il trasferimento presso questa Universit� con iscrizione al II anno 
del corso di laurea in Medicina e Chirurgia per l�anno accademico 2012/2013. 
Con delibera del Consiglio di Corso di Laurea in Medicina e Chirurgia in data 12 settembre 
2012 l�Universit� degli Studi di Messina ha ritenuto dette domande non valutabili, con la motivazione 
che gli studenti, �provenendo da Universit� straniere, non hanno superato in Italia 
l�esame di ammissione al corso di laurea in Medicina e Chirurgia, requisito essenziale previsto 
dal Manifesto degli studi�. 
(55) A livello nazionale, invece, tale valutazione viene svolta dall�Anvur, costituita con la legge 
24 novembre 2006, n. 286, tale ente ha la funzione di �sovraintendere al sistema pubblico nazionale di 
valutazione della qualit� delle universit� e degli enti di ricerca�. 
(56) Si tratta di una contaminazione che richiama le origini stesse dell�Universit�, quando, nel 
medioevo, con l�espressione �internazionalizzazione� degli atenei ci si riferiva al rapporto che si instaurava 
tra maestri e scolari, i quali non avevano un collegamento, fondato sulla residenza, con il luogo 
ove sorgeva l�universit�, al contrario, sceglievano gli atenei formati dai maestri noti in base al merito e 
alla fama che li circondava e cosi potevano trasferirsi presso altri atenei ove richiamati da nuovi maestri. 
Per approfondimenti sulle origini storiche dell�universit� si vd. R. FINOCCHI, Le universit�, op. cit., 973. 
(57) Per riprendere una significativa espressione, per il panorama socio-culturale italiano, utilizzata 
da S. GAGLIARDUCCI - A. ICHINO - G. PERI - R. PEROTTI, Lo splendido isolamento dell�Universit� italiana, 
Relazione presentata al convegno Oltre il declino, Fondazione Rodolfo Debenedetti, Roma, 3 febbraio 
2005.
CONTENZIOSO NAZIONALE 107 
Gli interessati impugnavano i provvedimenti di diniego di trasferimento innanzi al TAR per 
la Sicilia - sezione staccata di Catania, che, con la sentenza indicata in epigrafe, accoglieva il 
ricorso, annullando gli atti impugnati, �con riguardo al dedotto omesso preavviso di rigetto 
� nonch� al lamentato difetto di istruttoria, laddove � in assenza di alcuna disposizione, 
anche interna, l�Amministrazione ha tout court rigettato la domanda di trasferimento dei ricorrenti, 
senza la previa valutazione dei crediti dagli stessi acquisiti presso l�Universit� straniera, 
necessari per l�eventuale iscrizione richiesta� (pagg. 2-3 sent.). 
All�esito della decisione del T.A.R. gli studenti, previa rinuncia alla prosecuzione dei loro studi 
presso l�universit� straniera di provenienza, hanno ottenuto l�iscrizione presso l�Universit� degli 
Studi di Messina, con la convalida di una parte delle attivit� formative e dei relativi esami superati. 
Avverso tale sentenza l�Universit� degli Studi di Messina ha poi proposto appello innanzi al 
Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana, contestando, in sostanza, il 
presupposto logico, posto a base della sentenza di primo grado, secondo cui �n� l�art. 4 della 
L. 264/99 n� il bando prevedono disposizioni in ordine all�ipotesi del trasferimento di studenti 
universitari da un Ateneo straniero ad uno nazionale� (pag. 2 app.). 
Resistevano all�appello innanzi al C.G.A.R.S. gli originarii ricorrenti, insistendo per la reiezione 
del gravame. 
Nella camera di consiglio del 25 luglio 2013 il C.G.A.R.S. respingeva - con ordinanza n. 
689/2013 - la domanda cautelare proposta dall�Amministrazione appellante. 
Successivamente, all�esito del passaggio in decisione della causa all�udienza collegiale del 7 
maggio 2014, il C.G.A.R.S. ha ritenuto, con Ordinanza n. 454/2014, che la problematica cui 
la controversia inerisce, �relativa alla precisa individuazione dei presupposti richiesti nell�ordinamento 
vigente per il trasferimento di studenti iscritti in universit� straniere a corsi di 
laurea dell�area medico-chirurgica, anche in considerazione di contrastanti pronunce giurisprudenziali, 
vada rimessa alla Adunanza Plenaria ex art. 99. comma 1 c.p.a.� (pag. 8 Ord.). 
Pi� in particolare, il C.G.A.R.S., rappresentati gli opposti orientamenti giurisprudenziali sul 
tema, ha poi esposto i profili che lo conducono a ritenere di condividere la tesi favorevole all�accoglimento 
dell�istanza di trasferimento di cui si tratta, cos� sintetizzando, dopo ampia ed 
esaustiva analisi, la disciplina, cui la materia deve ritenersi esposta: 
�A) Non esiste un diritto degli studenti iscritti ad una universit� straniera ad essere trasferiti 
in una universit� italiana (come non esiste tale diritto per coloro che fossero iscritti in una 
universit� italiana). E ci� quali che siano i corsi di studio oggetto delle relative aspirazioni. 
B) Per quanto riguarda gli studenti dei corsi di laurea delle classi per le quali l�ordinamento 
italiano prevede un numero limitato di accessi (e in particolare per quelli dell�area medicochirurgica), 
il trasferimento da altre sedi deve considerarsi regolato dalle medesime norme, 
sia che il trasferimento sia richiesto da studenti iscritti in universit� italiane, sia che esso lo 
sia da studenti iscritti in universit� straniere, dal momento che le norme relative agli accessi 
- e quindi alle immatricolazioni - non hanno riferimento ad altri studenti che a quelli appunto 
che aspirano ad accedere, per la prima volta, alla formazione universitaria. 
C) Limiti al trasferimento degli studenti dell�area medico-chirurgica sono costituiti dalla oggettiva 
disponibilit� nella sede di accoglienza di posti per la coorte alla quale lo studente trasferito 
dovrebbe essere aggregato, in base alla programmazione nazionale vigente per l�anno 
di riferimento, e dalle speciali norme eventualmente legittimamente adottate dalle sedi - in 
via regolamentare generale - in virt� della autonomia loro riconosciuta� (pagg. 34-35 Ord.). 
Conclusivamente, ad avviso del Collegio rimettente, �l�interesse ad un trasferimento da universit� 
straniera ad una universit� italiana, bench� non perseguibile in virt� di una disciplina
108 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2015 
primaria (oggi inesistente), non appare in contrasto (in mancanza anche di norme secondarie 
espresse) con i principi e dell�ordinamento comunitario e di quello interno. Il riconoscimento 
di segmenti di formazione conseguiti all�estero non appare infatti in alcuna misura precluso 
da principi, normative e prassi vigenti, come deve osservarsi, oltretutto, in considerazione di 
quanto gi� avviene con riferimento alle discipline Erasmus, per le quali le singole universit� 
sono pacificamente legittimate dall�ordinamento vigente (comunitario ed italiano) a stipulare 
(anche per i corsi dell�area medico-chirurgica) convenzioni in virt� delle quali - attraverso 
una valutazione in concreto ex ante (idoneit� di programmi, docenti, modalit� di accertamento 
del profitto) - esse riconoscono ai loro studenti, segmenti di formazione (attuata presso universit� 
straniere), che rifluiscono (con pieno effetto ai fini del titolo finale) sul contenuto della 
formazione che porta al conseguimento del titolo finale� (pagg. 35-36 Ord.). 
Si sono costituiti per resistere anche in questa sede gli appellati, che, con successiva memoria, 
premesse eccezioni di inammissibilit� e di improcedibilit� dell�appello sotto varii profili, insistono 
per l�infondatezza dello stesso. 
Memoria ha pure prodotto l�appellante, reiterando le tesi di gravame incentrate sul combinato 
disposto degli artt. 1 e 4 della legge 2 agosto 1999, n. 264, che a suo avviso �contempla l�obbligo 
di concorso sia per le iscrizioni al primo anno del corso di laurea in medicina e chirurgia 
ovvero odontoiatria e protesi dentaria, che per gli anni successivi� (pag. 2 mem.), sottolineando 
altres� �la totale compatibilit� con il diritto dell�Unione Europea� di tale previsione. 
Hanno proposto inoltre atto di intervento ad opponendum alcuni studenti di atenei comunitarii 
pubblici della Romania, che, vistesi respingere domande di trasferimento presso l�Universit� degli 
Studi di Messina analoghe a quelle che hanno dato luogo al presente giudizio, hanno proposto ricorsi 
in sede giurisdizionale (accolti dallo stesso T.A.R. Catania con diverse sentenze, di cui solo 
alcune sarebbero state appellate), sul cui esito prospettano la �scontata influenza della decisione� 
di questa Adunanza Plenaria; donde, affermano, la sussistenza del loro �interesse ad intervenire�. 
All�udienza del 19 novembre 2014 la causa � stata chiamata e trattenuta in decisione. 
2. - Preliminarmente, deve essere dichiarato inammissibile l�intervento ad opponendum dispiegato 
dagli studenti, che, adducendo di essere destinatarii di provvedimenti analoghi a 
quelli oggetto del presente giudizio, hanno dedotto un interesse al mantenimento dell�annullamento 
di questi, come pronunciato dal T.A.R. 
Invero, l�intervento ad opponendum svolto in grado di appello avverso l�impugnazione diretta 
contro la sentenza che ha accolto il ricorso di primo grado, la cui finalit� � appunto quella di 
contrastare le ragioni dell�Amministrazione ricorrente in appello, va correttamente qualificato 
come intervento ad adiuvandum degli originarii ricorrenti, per il quale la giurisprudenza richiede 
la titolarit� di una posizione giuridica dipendente da quella da questi dedotta in giudizio. 
Non essendo dunque sufficiente a supportare un siffatto intervento in giudizio la semplice titolarit� 
di un interesse di fatto (suscettibile invece di fondare il mero intervento ad opponendum 
�proprio� e cio� quello svolto a sostegno dell�Amministrazione resistente in primo grado) e 
non essendo gli odierni opponenti titolari di una posizione giuridica in qualche modo dipendente 
da quella degli appellati, � dunque da escludersi per essi la possibilit� di intervenire in causa 
in via litisconsortile, proponendo una domanda, che di fatto si configura, peraltro, come autonoma 
e parallela (se non addirittura contrassegnata da un potenziale conflitto con gli originarii 
ricorrenti) a quella proposta da questi ultimi, in quanto volta a tutelare una loro propria posizione 
giuridica attinta da provvedimenti analoghi a quelli per i quali qui si controverte. 
3. - Sempre in via preliminare, vanno esaminate le eccezioni di inammissibilit� ed improcedibilit� 
dell�appello sollevate dai resistenti.
CONTENZIOSO NAZIONALE 109 
Esse si rivelano tutte infondate. 
3.1 - Quanto, anzitutto, alla dedotta �acquiescenza prestata dall�Universit� di Messina alla sentenza 
del T.A.R. Catania�, che gli appellati pretendono di ricavare dal �riconoscimento delle 
materie� da essi sostenute all�estero (come effettuato dall�Universit� ai fini dell�iscrizione conseguita 
all�accoglimento del ricorso di primo grado), che costituirebbe a loro avviso �espressione 
di un potere discrezionale concretamente e deliberatamente esercitato�, ricordato chՏ pacifico 
che la spontanea esecuzione della pronuncia di primo grado non si configura come comportamento 
idoneo ad escludere l'ammissibilit� della relativa impugnazione (Cons. St., III, 21 giugno 
2012, n. 3679) giacch� l'eventuale accoglimento di questa � idoneo a travolgere i nuovi atti 
adottati dall'Amministrazione in esecuzione della sentenza di primo grado che verrebbero comunque 
meno con effetto retroattivo perdendo ab initio il loro fondamento giuridico ex art. 336 
c.p.c. (Cons. St., III, 18 giugno 2012, n. 3550; da ultimo, Cons. St., III, 1 agosto 2014, n. 4103), 
nella fattispecie il nuovo atto adottato dall�Amministrazione (di riconoscimento delle frequenze 
conseguite in altri Atenei e degli esami ivi sostenuti) non costituisce espressione di nuove, autonome, 
scelte discrezionali dell�Amministrazione stessa, ma mera esecuzione del dictum del 
Giudice di primo grado (che ha posto a fondamento del disposto annullamento degli atti impugnati 
la mancata �previa valutazione dei crediti� acquisiti dai ricorrenti presso l�Universit� straniera), 
in quanto l�Universit�, con la delibera del Consiglio di Corso di laurea in Medicina e 
Chirurgia assunta nella adunanza del 15 marzo 2013, peraltro assunta espressamente dando atto 
di �discutere in ordine ai provvedimenti � al fine di dare ottemperanza � alla Sentenza n. 
3037/2012 del Tar Sicilia, sez. 3� CT� e di �operare la comparazione dei programmi degli esami 
sostenuti da ciascuno dei ricorrenti� in adempimento di quanto disposto dalla Autorit� Giudiziaria 
(v. verbale della apposita Commissione in data 7 marzo 2013), non ha fatto altro che procedere 
al riconoscimento dei crediti di cui all�art. 23 del Regolamento Didattico d�Ateneo, che 
sono appunto �acquisiti in relazione ad attivit� di studio e ad esami sostenuti presso universit� 
straniere� (comma 2 dell�art. 23, cit.); s� che il riconoscimento degli esami sostenuti, effettuato 
previa comparazione dei programmi relativi dell�Ateneo di provenienza con i programmi del 
piano di studi dell�Universit� di Messina, non rappresenta nulla di pi� del riconoscimento di 
crediti (v. anche art. 5, comma 4, del D.M. 22 ottobre 2004, n. 270) dovuto in esecuzione della 
sentenza di primo grado, che ha appunto annullato gli atti impugnati facendo conseguentemente 
�obbligo all�Universit� di rideterminarsi, ponendo a fondamento di ogni ulteriore decisione la 
congruit� dei crediti maturati dai ricorrenti presso l�Ateneo straniero� (pag. 3 sent.). 
N�, per finire sul punto, la qualificazione degli atti posti in essere dall�Universit� successivamente 
alla sentenza di primo grado in termini di incompatibilit� con la volont� di avvalersi 
dell�impugnazione (e dunque in termini di acquiescenza alla sentenza stessa, preclusiva dell�impugnazione 
ai sensi dell�art. 329 c.p.c.) pu� affidarsi, come pretenderebbero gli appellati, 
alla valutazione di un mero funzionario dell�Universit� (v. nota prot. n. 34014 del 19 giugno 
2013 versata in atti), le cui personali considerazioni (aventi rilevanza esclusivamente interna, 
dal momento che interni all�Amministrazione ne sono i destinatarii) circa l�opportunit� di ricorrere 
in appello avverso la sentenza T.A.R. n. 3037/2012 e l�idoneit� degli atti adottati �a 
prestare acquiescenza� alla stessa non sono certo in grado di denotare in maniera precisa ed 
univoca il proposito dell�Amministrazione, che pu� esprimersi sulla materia controversa solo 
attraverso atti compiuti dal Rettore e dal Consiglio di Corso di Laurea (atti nella fattispecie 
del tutto insussistenti), di non contrastare gli effetti giuridici della pronuncia. 
3.2 - Quanto alla eccezione di improcedibilit� dell�appello per effetto dell�asserito intervenuto 
superamento dei provvedimenti di diniego di iscrizione oggetto del giudizio a seguito dei
110 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2015 
�successivi giudizi positivi ottenuti con riferimento ai vari esami sostenuti� e dunque della 
dimostrazione cos� asseritamente data dagli appellati circa la �propria idoneit� alla frequenza 
del corso di laurea in medicina e chirurgia�, anch�essa si rivela infondata. 
Ed invero non � possibile ritenere che il favorevole esito di alcuni esami del corso di studi, cui sՏ 
avuto accesso in relazione al favorevole esito del giudizio di primo grado instaurato contro il diniego 
di iscrizione motivato con il mancato superamento del test di accesso previsto per i corsi di 
laurea ad accesso limitato, possa ritenersi assorbente del mancato possesso di quel requisito di ammissione 
(su tale qualificazione v. l�art. 4, comma 2, della legge 2 agosto 1999, n. 264); questione, 
questa, chiaramente rilevante nel presente giudizio solo nella misura in cui da esso effettivamente 
dipenda, come qui dedotto dall�appellante, l�ammissione anche a seguito di trasferimento. 
In realt�, l�interesse alla decisione dell�appello dell�Amministrazione avverso la sentenza di 
annullamento di un diniego di iscrizione fondato sulla mancanza di un requisito di ammissione 
permane fin quando sia in corso la procedura, sull�ammissione alla quale (o, meglio, sulla 
rinnovata attivit� dell�Amministrazione di ammissione alla quale) il provvedimento giudiziale 
valido ed efficace abbia avuto carattere decisivo e condizionante. 
Occorre poi puntualizzare che non � invocabile nella fattispecie la possibilit� di sanatoria introdotta 
dall�art. 4, comma 2-bis, della legge n. 168/2005, sia perch� essa deve ritenersi ammessa 
soltanto per le varie ipotesi di procedimenti finalizzati alla verifica della idoneit� dei 
partecipanti allo svolgimento di una professione il cui esercizio risulti regolamentato nell'ordinamento 
interno ma non riservato ad un numero chiuso di professionisti mentre va esclusa 
per le selezioni di stampo concorsuale per il conferimento di posti a numero limitato, sia perch� 
il superamento del test di cui si tratta costituisce indubbiamente, come gi� detto, un requisito 
di ammissione (essendo qui controverso soltanto se esso sia richiesto anche per le 
ipotesi di trasferimento da altra universit� con richiesta di iscrizione ad anni successivi al 
primo) e non certo una �abilitazione� od un �titolo�, il cui conseguimento costituisce appunto 
indefettibile presupposto per l�applicazione della disposizione richiamata, all�applicazione 
della quale non pu� darsi comunque in ogni caso luogo quando il ricorso tenda a contestare 
una esclusione per mancanza dei requisiti ( Cons. St., VI, 15 febbraio 2012, n. 769 ). 
D�altra parte, l�art. 4, comma 2-bis, cit., riguardante, come sՏ detto, gli esami per il conseguimento 
di una abilitazione professionale, ha natura eccezionale e non � suscettibile di applicazione 
analogica (Cons. St., VI, 21 maggio 2013, n. 2727). 
In ogni caso, tale disposizione ha disposto la salvezza degli effetti di una nuova valutazione 
amministrativa, anche se effettuata d'ufficio o a seguito di un provvedimento giurisdizionale 
non definitivo, mentre in tema di ammissione ai corsi di laurea di cui si tratta vi � una fase 
procedimentale (quella riguardante l'ammissione), che non pu� ritenersi in alcun modo validamente 
surrogata dal successivo percorso di studi dello studente in ipotesi privo del requisito; 
studente che peraltro conserva l'interesse alla decisione sul proprio ricorso, perch� solo una 
sentenza definitiva di accoglimento di per s� consente di salvaguardare gli effetti degli atti 
amministrativi emessi in esecuzione della sentenza favorevole di primo grado, destinati in 
quanto tali ad essere travolti dalla pronuncia d�appello che definisca il giudizio nel senso della 
reiezione del suo ricorso originario. 
3.3 � Parimenti infondata � l�ulteriore eccezione di improcedibilit� dell�appello basata sull�intervenuto 
accoglimento, nelle more del giudizio di appello, del ricorso straordinario al Capo dello 
Stato a suo tempo proposto dagli odierni appellati avverso la graduatoria della procedura di ammissione 
al Corso di Laurea in Medicina e Chirurgia bandito dall�Universit� di Palermo per l�anno 
accademico 2011/2012; il che, secondo gli stessi, varrebbe a concretizzare quel �diritto all�iscri-
CONTENZIOSO NAZIONALE 111 
zione all�universit� italiana�, la cui mancanza � in sostanza alla base degli atti di diniego oggetto 
del giudizio, nonch� dell�appello proposto dall�Universit� degli Studi di Messina. 
Ritiene in proposito il Collegio che, pur in presenza del sopravvenuto provvedimento dell�Universit� 
degli Studi di Palermo di invito agli interessati a presentare domanda di immatricolazione 
o comunque di passaggio al corso di laurea in medicina e chirurgia di quella 
Universit� per effetto dell�accoglimento del ricorso straordinario proposto avverso la graduatoria 
del concorso per la ammissione a quel corso di laurea per l�anno accademico 2011/2012, 
il Giudice amministrativo non pu� sovrapporre la propria valutazione a quella riferibile esclusivamente 
ai poteri dell�Amministrazione, s� da poter ritenere oggi sussistente in capo agli 
odierni appellati quel requisito (il superamento della prova di ammissione di cui si tratta in 
una Universit� del territorio nazionale), la cui mancanza (da essi mai contestata) � posta a 
base degli atti di diniego qui controversi, da essi conseguentemente impugnati sotto il profilo 
secondo cui l�assenza di tale requisito non rileverebbe in senso ostativo nei loro riguardi, dal 
momento che l�onere di superamento del test d�ingresso sussisterebbe solo per l�accesso al 
primo anno di corso e non anche per il trasferimento da essi richiesto. 
Non avendo peraltro gli appellati proposto, in relazione a detta sopravvenienza, motivi aggiunti 
ex art. 104, comma 3, c.p.a. (nella misura in cui si possa predicare il possesso ex tunc, per effetto 
del predetto accoglimento del ricorso straordinario, del requisito del superamento della prova 
di ammissione), la stessa pu� risultare loro utile solo ai fini di una domanda di riesame, da parte 
dell�Universit� degli Studi di Messina, delle sue precedenti, qui contestate, determinazioni. 
4. � Si pu� passare, ora, all�esame del merito dell�appello, alla luce della compiuta ed efficace 
ricostruzione del quadro fattuale e giuridico operata dall�Ordinanza di rimessione, che si incentra 
sulla questione �se possa essere accolta la richiesta di quegli studenti che - da iscritti 
in corsi di laurea dell�area medico-chirurgica presso universit� straniere - hanno chiesto il trasferimento, 
con riconoscimento delle carriere e la iscrizione ad anni di corso successivi al 
primo, presso universit� italiane; e ci� tenendo presente che essi non si erano sottoposti al 
previsto test di accesso o che, pur avendolo affrontato conseguendo (come nel caso che ci occupa) 
il punteggio minimo richiesto per l�idoneit�, non si erano comunque collocati in posizione 
utile per ottenere l�accesso ad una universit� italiana� (pagg. 7-8 Ord.). 
4.1 - Questo Consiglio ha pi� volte ribadito (da ultimo, sez. VI, 22 aprile 2014, n. 2028 e 30 
maggio 2014, n. 2829) che � legittima l'esclusione da un qualsiasi anno di corso degli studenti 
di universit� estere, che non superino la prova selettiva di primo accesso, eludendo con corsi 
di studio avviati all'estero la normativa nazionale (v. anche Cons. Stato, sez.VI, 15 ottobre 
2013, n. 5015; 24 maggio 2013, n. 2866 e 10 aprile 2012, n. 2063). 
Secondo tale orientamento la disciplina recante la programmazione a livello nazionale degli 
"accessi" non farebbe distinzioni fra il primo anno di corso e gli anni successivi (art. 1, comma 
1, e 4 della legge 2 agosto 1999, n. 264, in rapporto alle previsioni del d.m. 22 ottobre 2004, 
n. 270, recante il regolamento sull'autonomia didattica degli atenei); di conseguenza, il rilascio 
di nulla osta al trasferimento da atenei stranieri e l�iscrizione agli anni di corso successivi al 
primo richiederebbero comunque il previo superamento della prova nazionale di ammissione 
prevista dall�art. 4 citato (ai fini, appunto, della �ammissione�), sia per l�immatricolazione al 
primo anno accademico, sia, come dedotto appunto dall�Universit� odierna appellante, per 
l�iscrizione ad anni successivi in conseguenza del trasferimento. 
4.2 � Tale conclusione, di legittimit� dei dinieghi adottati nei casi in cui si tratti di trasferimento 
da ateneo straniero senza previo superamento dei tests d�accesso in Italia, deve essere, ad avviso 
del Collegio, sottoposta ad un�attenta rimeditazione, sulla base delle attente osservazioni
112 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2015 
attinenti all�interpretazione logico-letterale dell�anzidetta normativa di riferimento formulate 
dall�Ordinanza di rimessione all�esame. 
4.3 - Ed invero, sul piano puramente letterale e sistematico valga rilevare: 
- a livello di normazione primaria e secondaria, le uniche disposizioni in materia di trasferimenti 
si rinvengono ai commi 8 e 9 dell�art. 3 del D.M. 16 marzo 2007 in materia di �Determinazione 
delle classi di laurea magistrale�, che, senz�alcun riferimento a requisiti per l�ammissione, disciplinano 
il riconoscimento dei crediti gi� maturati dallo studente (�8. Relativamente al trasferimento 
degli studenti da un corso di laurea ad un altro, ovvero da un'universit� ad un'altra, 
i regolamenti didattici assicurano il riconoscimento del maggior numero possibile dei crediti 
gi� maturati dallo studente, secondo criteri e modalit� previsti dal regolamento didattico del 
corso di laurea di destinazione, anche ricorrendo eventualmente a colloqui per la verifica delle 
conoscenze effettivamente possedute. Il mancato riconoscimento di crediti deve essere adeguatamente 
motivato. 9. Esclusivamente nel caso in cui il trasferimento dello studente sia effettuato 
tra corsi di laurea appartenenti alla medesima classe, la quota di crediti relativi al 
medesimo settore scientifico-disciplinare direttamente riconosciuti allo studente non pu� essere 
inferiore al 50% di quelli gi� maturati. Nel caso in cui il corso di provenienza sia svolto in modalit� 
a distanza, la quota minima del 50% � riconosciuta solo se il corso di provenienza risulta 
accreditato ai sensi del regolamento ministeriale di cui all'art. 2, comma 148, del decreto-legge 
3 ottobre 2006, n. 262, convertito dalla legge 24 novembre 2006, n. 286�). 
- per quanto concerne pi� da vicino la fattispecie all�esame, l�obbligo, per gli studenti provenienti 
da Universit� straniere, del �superamento del test di ammissione in Italia secondo le 
modalit� stabilite dal MIUR� � recato, nella parte concernente i �trasferimenti�, nel Manifesto 
degli Studi dell�Universit� di Messina per l�anno accademico 2012 -2013 approvato dal Senato 
Accademico, che tuttavia il T.A.R. ha ritenuto, con statuizione non impugnata da nessuna 
delle parti in causa e dunque passata in giudicato, �atto di natura informativa, privo di rilevanza 
giuridica per i fini di cui al ricorso� (pag. 2 sent.); 
- mentre, come sՏ visto, con specifico riguardo ai trasferimenti nessuno specifico requisito 
di ammissione � previsto, l�art. 4 della legge 2 agosto 1999, n. 264 subordina l�ammissione 
ai corsi i cui accessi sono programmati a livello nazionale (art. 1) o dalle singole universit� 
(art. 2) al �previo superamento di apposite prove di cultura generale, sulla base dei programmi 
della scuola secondaria superiore, e di accertamento della predisposizione per le discipline 
oggetto dei corsi medesimi�; 
- sebbene la norma non riferisca espressamente la locuzione �ammissione� al solo �primo accoglimento 
dell�aspirante nel sistema universitario� (per usare l�efficace espressione dell�Ordinanza 
di rimessione), a rendere sicuramente preferibile e privilegiata tale interpretazione 
pu� valere, nell�ambito del corpus complessivo delle norme concernenti l�accesso ai corsi di 
studio universitarii, l�art. 6 del D.M. 22 ottobre 2004, n. 270, che, nell�indicare i �requisiti di 
ammissione ai corsi di studio�, fa esclusivo riferimento, ai fini della ammissione ad un corso 
di laurea (di primo livello o magistrale: vedansi i commi dall�1 al 3), al �possesso del diploma 
di scuola secondaria superiore�, chՏ appunto il titolo imprescindibile previsto per l�ingresso 
nel mondo universitario; il che rende palese che quando il legislatore fa riferimento alla ammissione 
ad un corso di laurea, intende riferirsi appunto allo studente (e solo allo studente) 
che chieda di entrare e sia accolto per la prima volta nel sistema; 
- a ci� si aggiunga, sempre in un�ottica di lettura sistematica delle disposizioni di vario rango 
che si accavallano nella materia de qua, che, nel definire �modalit� e contenuti delle prove di 
ammissione ai corsi di laurea ad accesso programmato a livello nazionale a.a. 2012-2013� (chՏ
CONTENZIOSO NAZIONALE 113 
esattamente l�anno accademico per il quale gli odierni appellati hanno richiesto all�Universit� 
di Messina il poi denegato nulla-osta al trasferimento), il D.M. 28 giugno 2012 usa indifferentemente 
i termini �ammissione� ed �immatricolazione� (v. in particolare l�art. 10, comma 1, relativo 
a �graduatorie, soglia di punteggio minimo e valutazione delle prove�, nonch� il punto 9. 
dell�Allegato n. 1 relativo alle �procedure per la prova di ammissione ai corsi di laurea� di cui 
si tratta) ed � ben noto che il secondo dei veduti termini, come pure opportunamente sottolineato 
nell�ordinanza di rimessione, � comunemente riferito, nello stesso linguaggio ufficiale del Ministero 
dell�Istruzione, dell�Universit� e della Ricerca, allo studente, che si iscriva al primo anno 
di corso e che dunque sia un �novizio� dell�istituzione universitaria; 
- non irrilevante, inoltre, pu� essere il richiamo, nella fattispecie all�esame, del gi� citato Manifesto 
degli Studi dell�Universit� degli Studi di Messina, che, pur recando, come sՏ visto, 
l�obbligatoriet� del test di ammissione in Italia per gli studenti provenienti per trasferimento 
da Universit� straniere (clausola, come gi� detto, del tutto ininfluente ai fini del decidere alla 
luce della qualificazione datane dal T.A.R. con statuizione non contestata), riferisce espressamente 
la �prova di ammissione� al �primo anno di corso�, mentre per le �iscrizioni ad anni 
successivi al primo� si limita a stabilire il termine, entro il quale devono essere effettuate. 
Quanto al piano logico-sistematico valga notare: 
- se i contenuti della prova di ammissione di cui all�art. 4 della legge 2 agosto 1999, n. 264 
devono far riferimento ai �programmi della scuola secondaria superiore�, � evidente che la 
prova � rivolta a coloro che, in possesso del diploma rilasciato da tale scuola (v. il gi� citato 
art. 6 del D.M. n. 270/2004), intendono affrontare gli studi universitarii, in un logico continuum 
temporale con la conclusione degli studi orientati da quei �programmi� e dunque ai 
soggetti che intendono iscriversi per la prima volta al corso di laurea, sulla base, appunto, del 
titolo di studio acquisito e delle conoscenze ad esso sottostanti; 
- non a caso, in tale direzione, una ulteriore specificazione si ritrova nell�allegato �A� al gi� 
citato D.M. 28 giugno 2012 (�Modalit� e contenuti delle prove di ammissione ai corsi di laurea 
ad accesso programmato a livello nazionale a.a. 2012-2013�), che, nel definire i programmi relativi 
ai requisiti delle prove di ammissione ai corsi di laurea magistrale in Medicina e Chirurgia, 
prevede che �le conoscenze e le abilit� richieste fanno comunque riferimento alla preparazione 
promossa dalle istituzioni scolastiche che organizzano attivit� educative e didattiche coerenti 
con i Programmi Ministeriali�: ne risulta evidente, come correttamente sottolinea l�Ordinanza 
di rimessione, �il riferimento della norma ad un accertamento da eseguirsi al momento del passaggio 
dello studente dalla scuola superiore all�universit� e dunque la dichiarata funzione alla 
quale la prova risponde: verificare la sussistenza - nello studente che aspira ad essere ammesso 
al sistema universitario - di requisiti di cultura pre-universitaria� (pagg. 25-26). 
- ancora, se la prova stessa � volta ad accertare la �predisposizione per le discipline oggetto dei 
corsi�, � vieppi� chiaro che tale accertamento ha senso solo in relazione ai soggetti che si candidano 
ad entrare da discenti nel sistema universitario, mentre per quelli gi� inseriti nel sistema (e 
cio� gi� iscritti ad universit� italiane o straniere) non si tratta pi� di accertare, ad un livello di per 
s� presuntivo, l�esistenza di una �predisposizione� di tal fatta, quanto piuttosto, semmai, di valutarne 
l�impegno complessivo di apprendimento (v. art. 5 del D.M. n. 270/2004) dimostrato dallo 
studente con l�acquisizione dei crediti corrispondenti alle attivit� formative compiute; 
- non a caso, allora, i gi� richiamati commi 8 e 9 dell�art. 3 del D.M. 16 marzo 2007 danno rilievo 
esclusivo, in sede ed ai fini del trasferimento degli studenti da un�universit� ad un�altra, 
al riconoscimento dei crediti gi� maturati dallo studente, �secondo criteri e modalit� previsti 
dal regolamento didattico del corso di laurea magistrale di destinazione�;
114 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2015 
- nella stessa direzione, per quanto riguarda pi� da vicino la fattispecie all�esame, l�art. 23 del 
Regolamento Didattico di Ateneo dell�Universit� degli Studi di Messina, per i casi di trasferimento 
di ateneo, non prevede alcuna prova di �ammissione�, ma solo il �riconoscimento dei crediti � 
[anche] in relazione ad attivit� di studio e ad esami sostenuti presso universit� straniere�. 
In assenza, in definitiva, di specifiche, contrarie disposizioni di legge (atteso che, come risulta 
dall�excursus sopra compiuto, l�art. 4 della legge n. 264/1999 non � applicabile all�ipotesi del 
trasferimento di studenti universitarii da un Ateneo straniero ad uno nazionale), potr� legittimamente 
dispiegarsi, nella materia de qua, la sola autonomia regolamentare degli Atenei, che, 
anche eventualmente condizionando l�iscrizione-trasferimento al superamento di una qualche 
prova di verifica del percorso formativo gi� compiuto: 
- stabilir� le modalit� di valutazione dell�offerta potenziale dell�ateneo ai fini della determinazione, 
per ogni anno accademico ed in relazione ai singoli anni di corso, dei posti disponibili 
per trasferimenti, sulla base del rispetto imprescindibile della ripartizione di posti effettuata 
dal Ministero negli anni precedenti per ogni singola �coorte al quale lo studente trasferito dovrebbe 
essere aggregato� (pag. 35 Ord. rimess.) e delle intervenute disponibilit� di posti sul 
plafond di ciascuna �coorte�; 
- nell�ambito delle disponibilit� per trasferimenti stabilir� le modalit� di graduazione delle 
domande; 
- fisser� criterii e modalit� per il riconoscimento dei crediti, anche prevedendo �colloqui per la verifica 
delle conoscenze effettivamente possedute� (art. 3, comma 8, del D.M. 16 marzo 2007); 
- in tale ambito determiner� i criterii, con i quali i crediti riconosciuti (in termini di esami sostenuti 
ed eventualmente di frequenze acquisite) si tradurranno nell�iscriziione ad un determinato anno 
di corso, sulla base del rispetto dei requisiti previsti dall�ordinamento didattico della singola universit� 
per la generalit� degli studenti ai fini della iscrizione ad anni successivi al primo, con particolare 
riguardo alla eventuale iscrizione come �ripetenti� ed all�ipotesi, sottolineata 
dall�Ordinanza di rimessione, in cui �lo studente in questione non ha superato alcun esame e conseguito 
alcun credito� (pag. 30 Ord., che correttamente sottolinea come essa �non determinerebbe 
alcun vincolo per la sede di destinazione ai fini di una sua iscrizione�), od all�ipotesi in cui lo 
studente abbia superato un numero di esami in numero tale da non potersi ritenere idoneo che 
alla sua iscrizione al solo primo anno, ai fini della quale, peraltro, non potr� che affermarsi il suo 
obbligo di munirsi del requisito di ammissione di cui all�art. 4 della legge n. 264/1999. 
4.4 - Una volta tratta, come sՏ visto, la conclusione secondo cui il superamento del test pu� 
essere richiesto per il solo accesso al primo anno di corso e non anche nel caso di domande 
d�accesso dall�esterno direttamente ad anni di corso successivi al primo (nel quale il principio 
regolante l�iscrizione � unicamente quello del riconoscimento dei crediti formativi, con la 
conseguenza, chՏ il caso di sottolineare, che gli studenti provenienti da altra universit� italiana 
o straniera, che presso la stessa non abbiano conseguito alcun credito o che pur avendone conseguiti 
non se li siano poi visti riconoscere in assoluto dall�universit� italiana presso la quale 
aspirano a trasferirsi, ricadranno nella stessa situazione degli aspiranti al primo ingresso), occorre 
considerare la compatibilit� di una siffatta proposizione con l�ordinamento europeo. 
Ne emerge, come si vedr� di seguito, la maggior aderenza della stessa alle coordinate comunitarie, 
rispetto a quella della rigida tesi che sostiene invece (per la verit�, come sՏ visto, in 
contrasto con la stessa interpretazione letterale e logico-sistematica della normativa nazionale 
di riferimento) che lo studente, che intenda trasferirsi da una universit� straniera ad una italiana, 
deve sottoporsi al test d�ammissione indipendentemente dal fatto di avere ormai superato 
presso l�ateneo di frequenza gli esami del primo (o dei successivi) anni.
CONTENZIOSO NAZIONALE 115 
L'ordinamento comunitario garantisce, a talune condizioni, il riconoscimento dei soli titoli di 
studio e professionali e non anche delle procedure di ammissione, che non risultano armonizzate; 
ci�, tuttavia, lungi dal confermare la veduta tesi restrittiva, significa nient�altro che il 
possesso dei requisiti di ammissione ad un ateneo europeo non d� di per s� �diritto� al trasferimento 
dello studente in qualsiasi altro Ateneo di diverso Stato dell�Unione Europea. 
Detta tesi si rivela in realt� contraria all�apicale principio di libert� di circolazione e soggiorno 
nel territorio degli Stati comunitarii (art. 21 del Trattato sul funzionamento dell�Unione europea), 
suscettibile di applicazione non irrilevante nel settore dell�istruzione tenuto conto delle 
competenze attribuite all�Unione per il sostegno e completamento dell�azione degli Stati membri 
in materia di istruzione e formazione professionale (art. 6, lettera e), del Trattato), nonch� 
degli obiettivi dell�azione dell�Unione fissati dall�art. 165 n. 2 secondo trattino del Trattato 
stesso, teso proprio a �favorire la mobilit� degli studenti �, promuovendo tra l�altro il riconoscimento 
accademico dei diplomi e dei periodi di studio�. 
Ferma, dunque, la non equipollenza delle competenze e degli standards formativi richiesti per 
l�accesso all�istruzione universitaria nazionale (s� che non sarebbe predicabile l�equivalenza 
del superamento della prova di ammissione ad un�universit� straniera con quella prevista 
dall�ordinamento nazionale), una limitazione, da parte degli Stati membri, all�accesso degli 
studenti provenienti da universit� straniere per gli anni di corso successivi al primo della Facolt� 
di medicina e chirurgia (qual � indubbiamente la necessit� del superamento, ai fini dell�accesso 
stesso, di una prova selettiva nazionale predisposta, come sՏ visto, ai soli fini della 
iscrizione al primo anno, in quanto volta ad accertare la �predisposizione� ad un corso di studi 
in realt� gi� in parte compiuto da chi intenda iscriversi ad uno degli anni successivi), si pone 
in contrasto con il predetto principio di libert� di circolazione. 
La stessa Corte di Giustizia ha confortato tale tesi con la sentenza 13 aprile 2010, n. 73 resa nel 
procedimento C-73/08, affermando che, se � pur vero che il diritto comunitario non arreca pregiudizio 
alla competenza degli Stati membri per quanto riguarda l'organizzazione dei loro sistemi 
di istruzione e di formazione professionale - in virt� degli artt. 165, n. 1, TFUE, e 166, n. 1, 
TFUE -, resta il fatto, tuttavia, che, nell'esercizio di tale potere, gli Stati membri devono rispettare 
il diritto comunitario, in particolare le disposizioni relative alla libera circolazione e al libero 
soggiorno sul territorio degli Stati membri (v., in tal senso, sentenze 11 settembre 2007, causa 
C-76/05, Schwarz e Gootjes-Schwarz, Racc. pag. I-6849, punto 70, nonch� 23 ottobre 2007, 
cause riunite C-11/06 e C-12/06, Morgan e Bucher, Racc. pag. I-9161, punto 24). 
Gli Stati membri, ha aggiunto la Corte, sono quindi liberi di optare o per un sistema di istruzione 
fondato sul libero accesso alla formazione - senza limiti di iscrizione del numero degli 
studenti -, ovvero per un sistema fondato su un accesso regolato che selezioni gli studenti. 
Tuttavia, che essi optino per l'uno o per l'altro di tali sistemi ovvero per una combinazione 
dei medesimi, le modalit� del sistema scelto devono rispettare il diritto dell'Unione e, in particolare, 
il principio di libert� di circolazione e soggiorno in un altro Stato membro. 
Si deve ricordare che, in quanto cittadini italiani, gli odierni appellati godono della cittadinanza 
dell'Unione ai termini dell�art. 17, n. 1, CE (ora art. 20 TFUE) e possono dunque avvalersi, 
eventualmente anche nei confronti del loro Stato membro d'origine, dei diritti afferenti a tale 
status (v. sentenza Corte di Giustizia UE 26 ottobre 2006, causa C-192/05, Tas-Hagen e Tas, 
Racc. pag. I-10451, punto 19). 
Tra le fattispecie che rientrano nell'ambito di applicazione del diritto comunitario figurano quelle 
relative all'esercizio delle libert� fondamentali garantite dal Trattato CE, in particolare quelle attinenti 
alla libert� di circolare e soggiornare nel territorio degli Stati membri, quale conferita dal-
116 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2015 
l'art. 18 CE (ora art. 21 TFUE) (v. sentenze Corte di Giustizia UE 11 settembre 2007, causa C- 
76/05, Schwarz e Gootjes-Schwarz, punto 87 e giurisprudenza citata; nonch� sentenza della stessa 
Corte 23 ottobre 2007, n. 12, nelle cause riunite C-11/06 e C-12/06). 
Tale considerazione � particolarmente importante nel settore dell'istruzione, tenuto conto degli 
obiettivi perseguiti dagli artt. 3, n. 1, lett. q), CE e 149, n. 2, secondo trattino, CE (ora art. 165 
TFUE), ovverossia, in particolare, favorire la mobilit� degli studenti e degli insegnanti (v. citate 
sentenze D'Hoop, punto 32, e Commissione/Austria, sentenza 7 luglio 2005, causa C- 
147/03, Racc. pag. I-5969, punto 44). 
Poich� il presente contenzioso riguarda appunto studi compiuti in un altro Stato membro, va 
ancora sottolineato che una normativa nazionale che penalizzi taluni suoi cittadini per il solo 
fatto di aver esercitato la loro libert� di circolare e di soggiornare in un altro Stato membro 
rappresenta una restrizione delle libert� riconosciute dall'art. 18, n. 1, CE (ora art. 21 TFUE) 
a tutti i cittadini dell'Unione (v. sentenze Corte Giustizia UE 18 luglio 2006, causa C-406/04, 
De Cuyper, Racc. pag. I-6947, punto 39; Tas-Hagen e Tas, cit., punto 31, nonch� Schwarz e 
Gootjes-Schwarz, cit., punto 93). 
Pi� in generale, poi, la facolt� per gli studenti provenienti da altri Stati membri di accedere 
agli studi di insegnamento superiore costituisce l'essenza stessa del principio della libera circolazione 
degli studenti (v. sentenza 7 luglio 2005, causa C-147/03, Commissione/Austria, 
cit., punti 32, 33 e 70, nonch� la giurisprudenza ivi richiamata e, successivamente, la sentenza 
Bressol, Chaverot e altri/Comunit� francese del Belgio, n. 73/2010, cit.). 
Le restrizioni all'accesso ai detti studi, introdotte da uno Stato membro, devono essere quindi 
limitate a quanto necessario per il raggiungimento degli obiettivi perseguiti e devono consentire 
un accesso sufficientemente ampio per i detti studenti agli studi superiori. 
A tal riguardo, se, come sottolineato nella stessa Ordinanza di rimessione, la ratio del sistema 
disegnato dall�art. 4 della legge n. 264/1999 � quella di far s� che l�accesso (ed il proseguimento 
nella formazione universitaria) ai corsi di laurea a numero programmato sia caratterizzato 
dal perseguimento di alti standards formativi, la ulteriore modalit� di selezione predicata 
dalla veduta tesi restrittiva anche per le iscrizioni ad anni diversi dal primo non risulta strettamente 
necessaria ai fini del raggiungimento degli obiettivi perseguiti, dal momento che la 
capacit� dei candidati provenienti da universit� straniere ed interessati al trasferimento per 
tali anni ben pu� essere utilmente accertata, cos� come avviene per i candidati al trasferimento 
provenienti da universit� nazionali, mediante un rigoroso vaglio, in sede di riconoscimento 
dei crediti formativi acquisiti presso l�universit� straniera in relazione ad attivit� di studio 
compiute, frequenze maturate ed esami sostenuti, della qualificazione dello studente, il cui 
assoggettamento ad una prova di ammissione (richiesta, come sՏ visto, dall�ordinamento nazionale 
solo riguardo alle immatricolazioni) non risulterebbe congruo rispetto all�obiettivo di 
garanzia di una elevata qualit� dell�istruzione universitaria nazionale. 
In proposito, si devono anche ricordare i principii della Convenzione di Lisbona sul riconoscimento 
dei titoli di studio stranieri, come ratificata con legge 11 luglio 2002, n. 148, il cui art. 
2 stabilisce che: "La competenza per il riconoscimento dei cicli e dei periodi di studio svolti all'estero 
e dei titoli di studio stranieri, ai fini dell'accesso all'istruzione superiore, del proseguimento 
degli studi universitari e del conseguimento dei titoli universitari italiani, � attribuita alle 
Universit� ed agli Istituti di istruzione universitaria, che la esercitano nell'ambito della loro autonomia 
e in conformit� ai rispettivi ordinamenti, fatti salvi gli accordi bilaterali in materia". 
Il che rappresenta indice normativo significativo del potere/dovere attribuito all�autonomia 
dell�universit� di riconoscere i periodi di studio svolti all�estero (e dunque anche quelli non
CONTENZIOSO NAZIONALE 117 
sfociati in un �titolo� ivi conseguito), tenendo conto del dato sostanziale costituito dalla completezza, 
esaustivit�, corrispondenza dei corsi da accreditare con gli omologhi corsi nazionali, 
prendendo in considerazione i contenuti formativi del corso di studii seguito all�estero con 
riferimento alle discipline oggetto d'esame; potere, questo, rispetto al quale completamente 
ultronea risulta la pretesa di effettuazione di una preliminare verifica della �predisposizione� 
a studi gi� in parte compiuti. 
Detta norma consente anche di superare qualsiasi dubbio di discriminazione fra studenti universitarii 
provenienti da universit� italiane (che comunque hanno a suo tempo superato, ai 
fini dell�accesso all�universit� di provenienza, una prova di ammissione ex art. 4 della legge 
n. 264/1999) e studenti universitarii provenienti da universit� straniere (che una prova di ammissione 
alla stessa non abbiano sostenuto o che comunque abbiano superato una prova di 
tal fatta del tutto irrilevante per l�ordinamento nazionale), giacch� il trasferimento interviene, 
sia per lo studente che eserciti la sua �mobilit�� in ambito nazionale che per lo studente proveniente 
da universit� straniere, non pi� sulla base di un requisito pregresso di ammissione 
agli studi universitarii ormai del tutto irrilevante perch� superato dal percorso formativo-didattico 
gi� seguito in ambito universitario, ma esclusivamente sulla base della valutazione dei 
crediti formativi affidata alla autonomia universitaria, in conformit� con i rispettivi ordinamenti, 
sulla base del principio di autonomia didattica di ciascun ateneo (art. 11 della legge n. 
341 del 1990, che affida l'ordinamento degli studi dei corsi e delle attivit� formative ad un regolamento 
degli ordinamenti didattici, denominato "regolamento didattico di ateneo"; v. anche 
l'art. 2, comma 2, del d.m. 22 ottobre 2004, n. 270, che dispone che - ai fini della realizzazione 
della autonomia didattica di cui all'art. 11 della legge n. 341 del 1990 - le universit�, con le 
procedure previste dalla legge e dagli statuti, disciplinano gli ordinamenti didattici dei propri 
corsi di studio in conformit� con le disposizioni del medesimo regolamento, nonch� l'art. 11, 
comma 9, dello stesso D.M., che, a proposito dei regolamenti didattici di ateneo, prevede che 
le universit�, con appositi regolamenti, riordinano e disciplinano le procedure amministrative 
relative alle carriere degli studenti in accordo con le disposizioni del regolamento statale). 
4.5 � Ultimo punto in discussione, nel dibattito circa la necessit� o meno del superamento 
della prova preselettiva prevista per l�accesso al primo anno di corso quale condizione per il 
trasferimento, � quello degli inconvenienti (creazione di un processo di emigrazione verso 
universit� comunitarie aggirando la normativa sull�esame di ammissione), che deriverebbero 
dalla affermazione della inapplicabilit� ai �trasferimenti� dalle universit�, tanto pi� se di altro 
Stato comunitario, del requisito del superamento della prova di accesso prevista dall�art. 4 
della legge n. 264/1999. 
Ritiene il Collegio che siffatte obiezioni, pur suffragate da serie preoccupazioni in ordine alla 
necessit� di garantire il rispetto dei principii e degli obiettivi in tema di accesso agli studi universitarii 
di cui si tratta ai pi� meritevoli (e cio� a coloro i quali dimostrino di possedere le 
maggiori conoscenze ed attitudini con riferimento ad un determinato standard qualitativo), 
non consentano in alcun modo di interpretare la normativa nazionale e sovranazionale di riferimento 
nel veduto senso programmaticamente �antielusivo�: 
- non certo la prima, in quanto, come sՏ visto, l�art. 4 della legge n. 264/1999 � applicabile 
ai soli fini dell�immatricolazione e della frequenza al primo anno di corso; 
- non la seconda, in presenza di norme sovranazionali, che tendono a garantire la mobilit� di studenti 
e laureati attraverso procedure di riconoscimento non solo di titoli, ma anche dei �cicli e 
periodi di studio svolti all�estero � ai fini � del proseguimento degli studi universitari�, la cui 
competenza � demandata alle �Universit� � che la esercitano nell�ambito della loro autonomia�
118 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2015 
(art. 2 legge n. 148/2002); garanzia, questa, che sarebbe gravemente ostacolata, senza alcuna giustificazione 
adeguata, dalla pretesa di negare la valutazione sul merito degli studii effettuati all�estero 
e quindi l�accesso universitario in mancanza del superamento di �apposite prove di cultura 
generale� dettate esclusivamente per gli studenti che chiedono di iscriversi al primo anno. 
- in realt�, la �predisposizione� di uno studente che abbia gi� effettuato un percorso formativo 
all�estero, e che magari sia prossimo alla laurea, � ormai superata dallo stesso percorso di 
studii fino ad allora effettuato, mentre la capacit� ed il merito di tali studenti (il cui diritto ex 
art. art. 34, comma 2, Cost. ad attingere ai gradi pi� alti degli studi la Corte Costituzionale ha 
ritenuto, con la sentenza n. 383/1998, equamente contemperato col diritto di accedere all�istruzione 
universitaria per effetto del sistema approntato dalla regolamentazione nazionale per 
l�accesso alla facolt� di medicina) vanno accertati, ai fini della iscrizione ad anni successivi 
al primo presso l�universit� italiana di destinazione, mediante una rigorosa valutazione di quel 
percorso, affidata alle Universit�, da effettuarsi anche mediante un riscontro della effettiva 
equipollenza delle competenze e degli standards formativi dell�Universit� di provenienza rispetto 
a quelli assicurati dall�istruzione universitaria nazionale, la cui presunta �superiorit�� 
� in fin dei conti preconcetta, o, come accortamente osservato dall�Ordinanza di rimessione, 
�assertiva e sostanzialmente assiomatica�. 
Del resto, a voler seguire le obiezioni che fanno riferimento ai detti inconvenienti, elusivo finirebbe 
per configurarsi anche lo stesso conseguimento di un titolo di studio all�estero, il cui 
riconoscimento � tuttavia garantito, se pure a certe condizioni. 
Deve allora a fortiori ritenersi ugualmente garantito nell�ordinamento nazionale il riconoscimento 
di �segmenti� di formazione compiuti all�estero (parimenti previa valutazione concreta 
dei loro contenuti e caratteristiche), che non solo, come osservato dall�Ordinanza di rimessione, 
�non appare � in alcuna misura precluso da principi, normative e prassi vigenti�, ma 
� espressamente previsto dalla Convenzione di Lisbona come dal nostro Paese ratificata. 
Il problema �elusione�, e quello connesso �intransigenza/lassismo�, si risolvono invero non 
con la creazione di percorsi ad ostacoli volti ad inibire la regolare fruizione di diritti riconosciuti 
dall�ordinamento, ma predisponendo ed attuando un rigido e serio controllo, affidato 
alla preventiva regolamentazione degli Atenei, sul percorso formativo compiuto dallo studente 
che chieda il trasferimento provenendo da altro Ateneo; controllo che abbia riguardo, con specifico 
riferimento alle peculiarit� del corso di laurea di cui di volta in volta si tratta, agli esami 
sostenuti, agli studii teorici compiuti, alle esperienze pratiche acquisite (ad es., per quanto riguarda 
il corso di laurea in medicina, attraverso attivit� cliniche), all�idoneit� delle strutture 
e delle strumentazioni necessarie utilizzate dallo studente durante quel percorso, in confronto 
agli standards dell�universit� di nuova accoglienza. 
Peraltro, una generalizzata prassi migratoria (prima in uscita da parte degli studenti che non abbiano 
inteso sottoporsi o che non abbiano superato la prova nazionale di ammissione e poi in 
ingresso da parte degli stessi studenti che abbiano compiuto uno o pi� anni di studii all�estero) 
in qualche modo elusiva nel senso di cui sopra � da escludersi sulla base dell�indefettibile limite 
dei posti disponibili per il trasferimento, da stabilirsi in via preventiva per ogni accademico e 
per ciascun anno di corso dalle singole Universit� sulla base del dato concernente la concreta 
potenzialit� formativa di ciascuna, alla stregua del numero di posti rimasti per ciascun anno di 
corso scoperti rispetto al numero massimo di studenti immatricolabili (non superiore alla offerta 
potenziale ch�esse possono sostenere) per ciascuno di quegli anni ad esse assegnato. 
Siffatto limite (generalmente esiguo in quanto risultante da mancate iscrizioni degli idonei 
nelle selezioni di ammissione degli anni precedenti o da cessazioni degli studii o da trasferi-
CONTENZIOSO NAZIONALE 119 
menti in uscita) costituisce parametro di contrasto sufficientemente efficace rispetto al temuto 
movimento migratorio elusivo, come dimostra nella fattispecie all�esame lo stesso Manifesto 
degli studi oggetto del giudizio, che, a fronte dei 225 posti disponibili per l�accesso al corso 
di laurea in Medicina e Chirurgia, stabilisce, alla voce �trasferimenti�, che �il numero massimo 
di Studenti trasferiti che potranno essere iscritti ad ogni di corso � cinque�. 
5. � Sulla base delle considerazioni che precedono, l�appello dell�Amministrazione all�esame, 
che contrasta la sussistenza dei vizii di violazione delle norme partecipative e di difetto di 
istruttoria ravvisati dal T.A.R. sulla base del solo assunto che l�Universit� �nel negare il nulla 
osta al trasferimento ha dato esecuzione a norme vincolanti cosicch� non le pu� essere contestato 
alcun difetto di istruttoria n� di difetto di comunicazione del preavviso di diniego� 
(pagg. 4-5 app.), dev�essere respinto, dovendo, come sՏ visto, escludersi che la possibilit� 
per gli odierni appellati di transitare alla Facolt� di Medicina e Chirurgia dell�Universit� degli 
Studi di Messina possa, sulla base, della vigente normativa nazionale ed europea, essere condizionata 
all�obbligo del test di ingresso previsto per il primo anno, che non pu� essere assunto 
come parametro di riferimento per l�attuazione del �trasferimento� in corso di studii, salvo il 
potere/dovere dell�Universit� di concreta valutazione, sulla base dei parametri sopra indicati, 
del �periodo� di formazione svolto all�estero e salvo altres� il rispetto ineludibile del numero 
di posti disponibili per trasferimento, cos� come fissato dall�Universit� stessa per ogni accademico 
in sede di programmazione, in relazione a ciascun anno di corso. 
6. � Il ricorso, previa dichiarazione di inammissibilit� dell�atto di intervento ad opponendum, 
va quindi respinto, con conseguente conferma, nei sensi di cui in motivazione, della sentenza 
impugnata. 
Le spese del presente grado di giudizio possono essere integralmente compensate fra le parti, 
alla luce dei contrasti giurisprudenziali esistenti sulla questione controversa. 
P.Q.M. 
il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Adunanza Plenaria, definitivamente pronunciando 
sull�appello in epigrafe: 
- dichiara inammissibile l�atto di intervento ad opponendum; 
- respinge l�appello e, per l�effetto, conferma, nei sensi di cui in motivazione, la sentenza impugnata. 
Spese compensate. 
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall�Autorit� amministrativa. 
Cos� deciso in Roma, add� 19 novembre 2014. 
Consiglio di Stato, Sezione Sesta, ordinanza 22 gennaio 2015 n. 242 - Pres. Baccarini, Est. 
Vigotti - Ministero dell�Istruzione dell�Universit� della Ricerca, Politecnico di Milano (avv. 
gen. Stato) c. A.A. ed altri (avv.ti Cabiddu e Sorrentino). 
Il Ministero dell'istruzione dell'universit� e della ricerca e il Politecnico di Milano chiedono 
la riforma della sentenza, in epigrafe indicata, con la quale il Tribunale amministrativo della 
Lombardia ha accolto il ricorso dei docenti del Politecnico di Milano, odierni resistenti, volto 
all�annullamento della deliberazione del Senato accademico del 21 maggio 2013 nella parte 
in cui, confermando quanto gi� stabilito con precedenti determinazioni, ha reso obbligatorio 
l�insegnamento in lingua inglese nei corsi di laurea magistrale e di dottorato di ricerca a partire 
dall�anno accademico 2014-2015, in attuazione dell�obiettivo di internazionalizzazione degli
120 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2015 
atenei previsto dall�art. 1, comma 2, lett. l) della legge 30 dicembre 2010, n. 240 (Norme in 
materia di organizzazione delle universit�, di personale accademico e reclutamento, nonch� 
delega al Governo per incentivare la qualit� e l'efficienza del sistema universitario). 
La norma appena citata dispone che le universit� statali provvedano, entro sei mesi dalla data di entrata 
in vigore della legge, a modificare i propri statuti in materia di organizzazione e di organi di 
governo dell'ateneo, con l'osservanza dei seguenti vincoli e criteri direttivi: �l) rafforzamento dell'internazionalizzazione 
anche attraverso una maggiore mobilit� dei docenti e degli studenti, programmi 
integrati di studio, iniziative di cooperazione interuniversitaria per attivit� di studio e di 
ricerca e l'attivazione, nell'ambito delle risorse umane, finanziarie e strumentali disponibili a legislazione 
vigente, di insegnamenti, di corsi di studio e di forme di selezione svolti in lingua straniera. 
I) La sentenza impugnata, dopo aver respinto alcune eccezioni preliminari svolte dalle Amministrazioni 
resistenti, ha rilevato: a) il contrasto dell�obbligatoriet� dell�insegnamento in 
lingua inglese con il principio, di rilevanza costituzionale, desumibile dall�art. 6 Cost., che 
prevede la tutela delle minoranze linguistiche, e da altre disposizioni di legge costituzionale, 
della centralit� e dell�ufficialit� della lingua italiana; b) la necessit� di garantire che la lingua 
italiana non subisca trattamenti deteriori rispetto a lingua straniere non oggetto di specifiche 
norme di tutela, necessit� della quale � espressione, per gli insegnamenti universitari, l�art. 
271 del regio decreto 31 agosto 1933, n. 1592, secondo il quale �la lingua italiana � la lingua 
ufficiale dell�insegnamento e degli esami in tutti gli stabilimenti universitari� e che non pu� 
ritenersi incompatibile, e quindi abrogato ai sensi dell�art. 15 delle disposizioni preliminari 
al codice civile, dalla norma del 2010, altrimenti dovendosi dubitare della legittimit� costituzionale 
dell�art. 2 comma 2 lett. l) della medesima legge n. 240; c) la non collocazione, per 
effetto di quest�ultima disposizione, della lingua italiana in posizione subordinata rispetto a 
lingue straniere, perch� l�uso della congiunzione �anche�, nel testo della norma, esclude la 
tassativit� dell�indicazione, in coerenza sia con l�autonomia ordinamentale delle universit�, 
sia con la vocazione della norma stessa, volta a porre criteri direttivi, sicch� l�uso della lingua 
straniera deve affiancare, e non sostituire, quello dell�italiano. 
Il Tribunale amministrativo ha quindi accolto il ricorso, avendo riscontrato l�incoerenza della 
valorizzazione della lingua straniera con il quadro appena delineato: i provvedimenti impugnati 
hanno infatti escluso per la parte specialistica della preparazione universitaria l�utilizzabilit� 
della lingua italiana, tanto in fase di insegnamento, quanto in sede di esame, cos� 
marginalizzandone in maniera indiscriminata l�uso, che il sistema normativo vuole, invece, 
preminente e che � anche funzionale alla diffusione dei valori che ispirano lo Stato italiano. 
Una corretta applicazione dei principi sopra esposti avrebbe dovuto consentire, secondo il 
Tar, la scelta tra l�apprendimento in italiano e quello in lingua straniera, mentre l�imposizione 
di quest�ultima in via esclusiva viola anche la libert� di insegnamento garantito dall�art. 33 
della Costituzione. Inoltre, l�imposizione generalizzata non tiene conto della specificit� di alcuni 
insegnamenti, che mal si prestano all�uso dell�inglese e impedisce la diffusione, pur essa 
da comprendere nell�obiettivo dell�internazionalizzazione, della didattica italiana all�estero: 
la scelta del Politecnico, quindi, non riflette neppure l�obiettivo perseguito, mentre sacrifica 
in misura eccedente rispetto a tale obiettivo gli interessi dei docenti e quelli degli studenti. 
II) Con l�appello in esame il Ministero e il Politecnico di Milano ripropongono le eccezioni 
di irricevibilit� e di inammissibilit� del ricorso per carenza di interesse, disattese dal primo 
giudice, e evidenziano la irrilevanza del principio della tutela delle minoranze linguistiche, 
postulata dalla legge 15 dicembre 1999, n. 482, invece valorizzato dalla sentenza impugnata. 
Negano, quindi, l�effetto di marginalizzazione della lingua italiana, che resta quella utilizzata
CONTENZIOSO NAZIONALE 121 
nei corsi di laurea triennale e, quindi, nella maggior parte dei corsi di studio del Politecnico 
il quale, con i provvedimenti impugnati, si prefigge di favorire il principio costituzionale del 
diritto alla formazione e all�elevazione professionale del lavoratori (art. 35 Cost.) anche mediante 
la possibilit� di accedere, in condizioni di uguaglianza, alle procedure concorsuali per 
l�assunzione all�impiego (art. 51 Cost.), senza impingere sulla libert� di insegnamento. 
III) Le eccezioni preliminari riproposte con l�appello non sono fondate. 
Come ha ritenuto la sentenza impugnata, la deliberazione del Senato accademico in data 21 
maggio 2012 non pu� ritenersi meramente riproduttiva della volont� gi� espressa con le linee 
strategiche approvate il 15 dicembre 2012, dal momento che essa � stata assunta all�esito di 
un procedimento rinnovato, con ampia discussione collegiale, su impulso di un gruppo di docenti 
che avevano chiesto al rettore il riesame delle linee strategiche, nella parte concernente 
appunto l�uso esclusivo della lingua inglese, e di altri analoghi atti propulsivi, dei quali il 
provvedimento stesso d� contezza. 
Del pari infondata � l�eccezione di carenza di interesse al ricorso, sollevata in ragione (contrastante 
con il contenuto della prima eccezione) della pretesa natura programmatica della deliberazione 
impugnata, come tale priva di portata immediatamente lesiva. � sufficiente leggere 
il contenuto dell�atto, nel quale si dispone che dall�anno 2014-2015 la lingua inglese sar� la 
lingua esclusiva per i corsi di laurea magistrale e per i dottorati di ricerca, per avvertirne la 
portata cogente e, quindi, immediatamente lesiva degli interessi dedotti in causa. 
IV) Nel merito, osserva il Collegio che l�art. 2, comma 2, lett. l) della legge n. 240 del 2010, 
sopra riportato, legittima l�applicazione che ne � stata data dal Politecnico, giacch� l�attivazione 
di corso in lingua inglese, nella lettera della norma, non � soggetta a limitazioni n� a condizioni. 
Tale conclusione � avvalorata da quanto dispone l�art. 31 dell�allegato n. 2 al decreto ministeriale 
23 dicembre 2010, n. 50, che, sia pure atto privo di forza di legge, nondimeno vale a chiarire il 
senso della disposizione legislativa in esame. Il citato art. 31, in deroga al divieto per le universit� 
di istituire nuovi corsi di studio posto dal precedente art. 30, consente, al fine di favorire l�internazionalizzazione 
delle attivit� didattiche, la possibilit� di attivare corsi che ne prevedano l�erogazione 
�interamente in lingua straniera�, sia pure, come ha osservato il Tribunale 
amministrativo, nelle sedi nelle quali sia gi� presente un omologo corso. Poich�, peraltro, la 
legge n. 240 del 2010, successiva al decreto appena ricordato, non contiene una simile condizione, 
l�applicazione datane dal Politecnico appare, sotto questo aspetto, legittima. 
Le contrarie considerazioni sulle quali si fonda la sentenza impugnata, che ha negato un effetto 
di abrogazione tacita della norma risalente, non sembrano condivisibili: la portata dell�art. 2, 
comma 2, lett. l) � di innovazione del sistema e del principio del quale � espressione l�art. 271 
del regio decreto n. 1592 del 1933, che, sul punto, appare superato dalla possibilit� di istituire 
corsi in lingua diversa dall�italiano; cos� come la congiunzione �anche� nel testo della norma 
del 2010 non vale a sminuirne la portata innovativa, nel senso postulato dal Tar, dato che, comunque, 
legittima �anche� l�istituzione di corsi in lingua straniera, istituzione che appartiene 
alla libera scelta dell�autonomia universitaria, esercitata dal Politecnico nel senso che si � detto. 
V) L�applicazione del parametro normativo alla fattispecie in esame, cos� precisato, comporterebbe 
l�accoglimento dell�appello; il Collegio, peraltro, dubita della conformit� alla Costituzione 
della norma. 
V.1) L�art. 2, comma 2, lett. l) della legge n. 240 del 2010, nella parte in cui consente l�attivazione 
generalizzata ed esclusiva (cio� con esclusione dell�italiano) di corsi in lingua straniera, 
non appare manifestamente congruente, innanzitutto, con l�art. 3 della Costituzione, 
dal momento che si applica allo svolgimento dell�attivit� didattica per tutti i corsi (magistrali
122 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2015 
e di dottorato) del Politecnico, come ha evidenziato l�istruttoria disposta dal Collegio con 
l�ordinanza n. 1779 del 2014. Se, infatti, per alcuni insegnamenti pu� predicarsi il vantaggio 
di un uso pi� spinto della lingua inglese, e la conseguente attrazione della forma linguistica 
nel contenuto stesso dell�insegnamento, il pari trattamento generalizzato non tiene conto delle 
diversit� esistenti tra i corsi, tali da postulare, invece, per alcuni di essi una diversa trasmissione 
del sapere, maggiormente attinente alla tradizione e ai valori della cultura italiana, della 
quale il linguaggio � espressione. E soprattutto ingiustificato appare, nell�ottica considerata, 
l�abolizione integrale della lingua italiana per i corsi considerati. 
V.2 La giurisprudenza della Corte Costituzionale da tempo ha affermato che la Costituzione conferma 
per implicito che il nostro sistema riconosce l'italiano come unica lingua ufficiale (sentenze 
22 maggio 2009, n. 159 e 20 gennaio 1982, n. 28). Pur in presenza del principio di tutela delle 
minoranze linguistiche, sancito dall�art. 6 della Costituzione, la Corte ha ribadito che �la consacrazione, 
nell'art. 1, comma 1, della legge n. 482 del 1999, della lingua italiana quale �lingua ufficiale 
della Repubblica� non ha evidentemente solo una funzione formale, ma funge da criterio 
interpretativo generale delle diverse disposizioni che prevedono l'uso delle lingue minoritarie, 
evitando che esse possano essere intese come alternative alla lingua italiana o comunque tali da 
porre in posizione marginale la lingua ufficiale della Repubblica; e ci� anche al di l� delle pur 
numerose disposizioni specifiche che affermano espressamente nei singoli settori il primato della 
lingua italiana�. Se quindi questa � la scala di valori, che pur in presenza di una specifica norma 
di rango costituzionale a tutela di una diversa lingua pone quella italiana in posizione di supremazia, 
tanto pi� tale criterio deve valere nei confronti di una lingua straniera, nei confronti della 
quale non esiste, ovviamente, alcun obbligo di tutela (mentre � necessaria la �preservazione del 
patrimonio linguistico e culturale della lingua italiana�: Corte Cost., sentenza n. 159 del 2009). 
V.3) L�imposizione dell�uso esclusivo dell�inglese (che nel verbale del consiglio di corso di studio 
in ingegneria elettrica del 21 novembre 2013, depositato in atti, viene addirittura qualificato 
�lingua ufficiale di erogazione�) appare anche non manifestamente congruente con la libert� di 
insegnamento, sancita dall�art. 33 della Costituzione. Il riservare ai docenti l�attivit� didattica 
per i corsi avanzati, gi� di per s�, non appare giustificato alla luce di tale principio; n� l�obbligo 
di cui si discute appare rispettoso della libera espressione della comunicazione con gli studenti, 
dal momento che elimina qualsiasi diversa scelta, eventualmente ritenuta pi� proficua da parte 
dei professori, ai quali appartiene la libert�, e la responsabilit�, dell�insegnamento. 
VI) La questione di costituzionalit� dell�art. 2, comma 2, lett. l) della legge 30 dicembre 2010, 
n. 240 appare, quindi, rilevante e non manifestamente infondata; il giudizio deve, di conseguenza, 
essere sospeso in attesa della definizione del relativo giudizio da parte della Corte 
Costituzionale. 
P.Q.M. 
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), non definitivamente pronunciando: 
a) solleva questione di legittimit� costituzionale dell�art. 2, comma 2, lett. l) della legge 30 
dicembre 2010, n. 240, nella parte di cui in motivazione, in riferimento agli articoli 3, 6, e 33 
della Costituzione; 
b) sospende il giudizio e ordina la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale; 
c) dispone che, a cura della segreteria, la presente ordinanza sia notificata alle parti in causa 
e al Presidente del Consiglio di ministri e sia comunicata ai Presidenti delle due Camere del 
Parlamento. 
Spese al definitivo. 
Cos� deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 25 novembre 2014. 
CONTENZIOSO NAZIONALE 123 
Gli atti defensionali della Avvocatura dello Stato 
sulla trascrizione dei matrimoni omosessuali 
CONSIGLIO DI STATO, SEZIONE TERZA, SENTENZA 26 OTTOBRE 2015 NN. 4897, 4898, 4899 
La sentenza in rassegna � una delle tre sentenze depositate dal Consiglio 
di Stato in tema di trascrizione dei matrimoni tra persone dello stesso sesso 
celebrati all�estero, che hanno visto contrapposti il Ministro dell�Interno Alfano 
e il Sindaco di Roma Marino, che aveva trascritto detti matrimoni con 
ampio risalto mediatico in Campidoglio il 18 ottobre 2014 (1). 
Il TAR del Lazio (con le sentenze n. 3907/15, 3911/15, 3912/15, 4028/15 
e 5924/15) accogliendo parzialmente i ricorsi presentati dalle varie coppie, dal 
Comune di Roma e dal Sindaco di Roma e dal Codacons, ha ritenuto legittima 
la circolare del Ministro dell�Interno del 7 ottobre 2014 nella parte in cui afferma 
l�intrascrivibilit� dei matrimoni tra persone dello stesso sesso derivante 
�dalla loro inidoneit� a produrre, quali atti di matrimonio, qualsiasi effetto 
giuridico nell�ordinamento italiano, in considerazione del difetto di un requisito 
sostanziale richiesto dalla normativa vigente in materia di stato e capacit� 
delle persone (la diversit� di sesso dei nubendi) che non pu� essere superato 
dalla mera circostanza dell�esistenza di una celebrazione valida secondo la 
lex loci ma priva dei requisiti sostanziali prescritti dalla legge italiana relativamente 
allo stato e alla capacit� delle persone�. 
Tuttavia, il TAR ha ritenuto illegittima l�ultima parte della medesima circolare 
avente ad oggetto il potere di intervento diretto del Prefetto sui registri 
dello stato civile, sulla base del quale � stato adottato il decreto prefettizio di 
annullamento delle trascrizioni dei matrimoni celebrati all�estero tra persone 
dello stesso sesso in quanto, a norma del combinato disposto degli articoli 453 
c.c. e 95, comma 1 e 109 del D.P.R. n. 396/2000 �una trascrizione nel registro 
degli atti di matrimonio pu� essere espunta e/o rettificata solo in forza di un 
provvedimento dell�Autorit� giudiziaria e non anche adottando un provvedimento 
amministrativo da parte dell�Amministrazione centrale, neanche esercitando 
il potere di sovraordinazione che, effettivamente, il Ministro 
dell�Interno vanta sul Sindaco in tema di stato civile�. 
Il Consiglio di Stato ha invece integralmente accolto gli appelli dell�Avvocatura 
dello Stato in rappresentanza e difesa del Ministro dell�Interno e re- 
(1) Le altre due sentenze del Consiglio di Stato emesse sui ricorsi del Sindaco di Roma e del 
Codacons, rispettivamente la n. 5039/2015, Sez. III, e la n. 5043/2015, Sez. III, hanno integralmente 
accolto le eccezioni processuali dell�Avvocatura dello Stato in rappresentanza e difesa del Ministero 
dell�Interno sia in relazione alla non giustiziabilit� di un contrasto tra un organo dello Stato (il Sindaco 
in qualit� di ufficiale di governo) e un organo sovraordinato dello stesso, sia in relazione al difetto 
di legittimazione e alla carenza di interesse del Codacons e delle coppie che non hanno chiesto 
la trascrizione del loro matrimonio in Italia.
124 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2015 
spinto gli appelli incidentali delle coppie, affermando, da un lato, che �il matrimonio 
omosessuale, deve, infatti, intendersi incapace, nel vigente sistema 
di regole, di costituire tra le parti lo status giuridico proprio delle persone coniugate 
(con i diritti e gli obblighi connessi) proprio in quanto privo dell�indefettibile 
condizione della diversit� di sesso dei nubendi, che il nostro 
ordinamento configura quale connotazione ontologica essenziale dell�atto di 
matrimonio� e, dall�altro, che �le predette disposizioni [art. 54, comma 11 e 
12 d.lgs 267/2000 e art. 9 D.P.R. 396/2000] devono necessariamente intendersi 
come comprensive anche del potere di annullamento gerarchico d�ufficio da 
parte del Prefetto degli atti illegittimi adottati dal Sindaco, nella qualit� di ufficiale 
di governo, senza il quale, peraltro, il loro scopo evidente, agevolmente 
identificabile nell�attribuzione al Prefetto di tutti i poteri idonei ad assicurare 
la corretta gestione della funzione in questione, resterebbe vanificato�. 
Si pubblica uno dei 5 appelli redatti per il Ministro dell�Interno, unitamente 
alla memoria successiva al deposito della nota sentenza della Corte Europea 
dei Diritti dell�Uomo del 21 luglio 2015, Oliari ed altri c. Italia che ha condannato 
l�Italia per non aver ancora legiferato in materia di unioni civili tra persone 
dello stesso sesso (e non di matrimoni tra persone dello stesso sesso). 
CT 42472/14 avv. Ferrante
AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO 
CONSIGLIO DI STATO 
IN SEDE GIURISDIZIONALE 
RICORSO IN APPELLO CON ISTANZA DI SOSPENSIONE 
Per il MINISTERO DELL�INTERNO (C.F. 97149560589) in persona del Ministro pro tempore - 
Prefetto della Provincia di Roma, rappresentato e difeso dall�Avvocatura Generale dello Stato 
(C.F. 80224030587) presso i cui uffici � per legge domiciliato in Roma, via dei Portoghesi 12 
(per il ricevimento degli atti, FAX 06/96514000 e PEC ags_m2@mailcert.avvocaturastato.it) 
C O N T R O 
OMISSIS, rappresentate e difese dagli Avv.ti Mario Di Carlo e Stefania Masini ed elettivamente 
domiciliate presso lo studio di quest�ultima in Roma, via Antonio Gramsci, 24 
E 
SINDACO DI ROMA CAPITALE, rappresentato e difeso dall�Avvocatura Comunale di Roma, domiciliato 
in Roma, via Tempio di Giove, 21 
PER L�ANNULLAMENTO PREVIA SOSPENSIONE 
della sentenza del TAR Lazio del 9 marzo 2015, n. 3912, notificata il 24 marzo 2015 
** ** ** 
Con ricorso al T.A.R. Lazio, ritualmente notificato, le ricorrenti hanno chiesto la declaratora 
di nullit� o, in subordine, l�annullamento, previa sospensione, del decreto del Prefetto 
di Roma in data 31 ottobre 2014 n. 247747/2014, con il quale � stato disposto l�annullamento
CONTENZIOSO NAZIONALE 125 
delle �trascrizioni nel registro dello stato civile di Roma Capitale, Parte II, Serie C10, anno 
2014, atti dal n. 1 al n. 16 dei matrimoni tra persone dello stesso sesso celebrati all�estero�, 
tra i quali l�atto n. 3 del matrimonio celebrato tra le ricorrenti a Barcellona (Spagna) il 18 settembre 
2010, della circolare del Prefetto di Roma n. 19/2014 prot. n. 227369, del decreto prefettizio 
prot. n. 0241669/2014 del 22 ottobre 2014, con il quale � stata disposta una 
verificazione straordinaria degli atti dello stato civile e di ogni altro atto collegato, in particolare 
della circolare del Ministro dell�Interno prot. n. 10863 del 07 ottobre 2014. 
Il predetto ricorso � stato notificato, a cura delle ricorrenti, per notizia, anche al Sindaco 
di Roma ed al Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Roma. 
Nel ricorso � richiamata l�istanza cautelare notificata il 31 ottobre 2014 ai sensi dell�art. 
61 c.p.a., con la quale le predette ricorrenti hanno chiesto al TAR Lazio l�adozione di misure 
cautelari provvisorie ante causam, al fine di inibire al Prefetto e al Sindaco di procedere all�annotazione, 
sul registro dello stato civile, del decreto del Prefetto del 31 ottobre 2014 n. 
247747/2014, sopra indicato, nelle more dell�instaurazione del giudizio. 
Tale istanza � stata respinta dal TAR Lazio, Sezione I Ter, con decreto cautelare in data 
4 novembre 2014, n. 5544/2014, non ritenendo il Presidente sussistere, nel caso in questione, 
il lamentato periculum in mora, consistente nella diretta incidenza del provvedimento sullo 
status personale delle ricorrenti, che lamentavano di non aver potuto esercitare il diritto di difesa. 
Lo stesso Presidente ha, invece, riconosciuto che tale diritto avrebbe potuto trovare piena 
esplicazione innanzi al Collegio incaricato di decidere sulla adozione dei provvedimenti cautelari 
eventualmente richiesti con apposito ricorso. 
All�udienza del 27 novembre 2014, � stato disposto rinvio al merito. 
Con il ricorso, le ricorrenti lamentano, in fatto, che - avendo il Sindaco di Roma Capitale 
proceduto, in data 18 ottobre 2014, alla trascrizione, nel registro dei matrimoni di Roma, del 
matrimonio dalle stesse contratto a Barcellona (Spagna) - con decreto del 31 ottobre 2014, 
prot. n. 27747/2014 il Prefetto di Roma abbia disposto, �pur non avendone il potere�, l�annullamento 
della trascrizione del loro matrimonio. 
Si dolgono altres� che il Prefetto, con il decreto in questione, abbia ordinato all�ufficiale 
di stato civile di Roma Capitale, Sindaco o altro funzionario da questi delegato, di provvedere 
a tutti i conseguenti adempimenti materiali �compresa l�annotazione del presente provvedimento 
nei registri dello stato civile� e che lo stesso Prefetto abbia reso nota la propria volont� 
di provvedere in tempi rapidissimi. 
In diritto le ricorrenti sostengono: 
1) La nullit� del decreto prefettizio per difetto assoluto di attribuzione ed incompetenza assoluta, 
la violazione dell�art. 453 c.c. e dell�art. 95 d.P.R. 396/2000, nonch� la violazione degli artt. 
12, c. 6, 11 c. 3, 5 c.1 lett a), 12 c. 1, 69 c.1 lett (i), 100 d.P.R. 396/2000 e del D.M. 5 aprile 2002. 
2) La violazione e falsa interpretazione degli artt. 9 d.P.R. 396/2000 e 54, commi 3 e 11 
d. lgs. n. 267/2000 nella parte in cui � stato esercitato un potere sostituitvo del Prefetto. 
3) L�illegittimit� dell�ordine di annotare per violazione dell�art. 453 c.c, degli artt. 69, 
11 c. 3, 12 c. 1 del d.P.R. 396/2000 e del D.M.5 aprile 2002. 
4) L�illegittimit� del procedimento per violazione degli artt 7 e 10 della legge 241/90 
nonch� per violazione del diritto di difesa e dell�art. 24 della Costituzione. 
Il TAR Lazio, con la sentenza impugnata, ha parzialmente accolto il ricorso. 
Il Giudice di primo grado, infatti, ha ritenuto legittima la circolare del Ministro dell�Interno 
del 7 ottobre 2014 nella parte in cui afferma l�intrascrivibilit� dei matrimoni tra persone 
dello stesso sesso derivante �dalla loro inidoneit� a produrre, quali atti di matrimonio, qualsiasi
126 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2015 
effetto giuridico nell�ordinamento italiano, in considerazione del difetto di un requisito sostanziale 
richiesto dalla normativa vigente in materia di stato e capacit� delle persone (la diversit� 
di sesso dei nubendi) che non pu� essere superato dalla mera circostanza dell�esistenza 
di una celebrazione valida secondo la lex loci ma priva dei requisiti sostanziali prescritti dalla 
legge italiana relativamente allo stato e alla capacit� delle persone�. 
Tuttavia, il TAR ha ritenuto illegittima l�ultima parte della medesima circolare avente 
ad oggetto il potere di intervento diretto del Prefetto sui registri dello stato civile, sulla base 
del quale � stato adottato il decreto prefettizio di annullamento delle trascrizioni dei matrimoni 
celebrati all�estero tra persone dello stesso sesso in quanto, a norma del combinato disposto 
degli articoli 453 c.c. e 95, comma 1 e 109 del D.P.R. n. 396/2000 �una trascrizione nel registro 
degli atti di matrimonio pu� essere espunta e/o rettificata solo in forza di un provvedimento 
dell�Autorit� giudiziaria e non anche adottando un provvedimento amministrativo da parte 
dell�Amministrazione centrale, neanche esercitando il potere di sovraordinazione che, effettivamente, 
il Ministro dell�Interno vanta sul Sindaco in tema di stato civile�. 
Avverso tale sentenza, ingiusta e lesiva degli interessi dell�amministrazione, si propone 
appello con istanza di sospensione per i seguenti motivi 
FATTO 
Con circolare n. 40^/ba-030/011/DAIT del 7 ottobre 2014, indirizzata a tutti i Prefetti, 
il Ministro dell�Interno � intervenuto in materia di trascrizione nei registri dello stato civile 
dei matrimoni tra persone dello stesso sesso celebrati all�estero, sottolineando �l�esigenza di 
garantire che la fondamentale funzione di stato civile, esercitata, in ambito territoriale, dal 
Sindaco nella veste di ufficiale di Governo, sia svolta in piena coerenza con le norme attualmente 
vigenti che regolano la materia� (All. n. 1). 
Con circolare prefettizia n. 19/2014 prot n. 227369 la circolare ministeriale � stata diramata 
a tutti i sindaci della provincia di Roma (All. n. 2) . 
Avendo appreso da organi di stampa che era intenzione del Sindaco di Roma Capitale 
di procedere alle trascrizioni dei suddetti matrimoni, con nota in data 16 ottobre 2014, il Prefetto 
di Roma ha invitato il Sindaco a non procedere alla trascrizione dei matrimoni in questione, 
preannunciando l�adozione dei provvedimenti di legge (All. n. 3). 
In data 17 ottobre 2014, l�ufficio di Gabinetto del Sindaco di Roma Capitale ha preannunciato 
che, in data 18 ottobre, il Sindaco avrebbe proceduto, con apposita cerimonia, alla 
trascrizione di matrimoni di persone dello stesso sesso celebrati all�estero (All. n. 4). 
Con nota del 20 ottobre 2014, avendo appreso dagli organi di stampa, che hanno riservato 
all�evento grande rilievo mediatico, della cerimonia effettivamente tenutasi in Campidoglio 
il 18 ottobre 2014, il Prefetto di Roma ha invitato il Sindaco a disporre, celermente, 
l�annullamento degli atti di trascrizione dei suddetti matrimoni, con l�avvertimento che, in 
mancanza, si sarebbe proceduto all�annullamento ai sensi di legge (All. n. 5). 
In data 18 e 20 ottobre 2014, la Prefettura ha emanato due comunicati stampa, il primo 
per preannunciare l�invito al Sindaco a cancellare le trascrizioni, il secondo per informare che 
in quella stessa data era stata trasmessa al Sindaco una nota per sollecitare l�annullamento 
delle trascrizioni effettuate. In entrambi i comunicati, si � affermata la volont� del Prefetto di 
Roma di procedere, in caso di inerzia del Sindaco, all�annullamento degli atti, secondo le previsioni 
di legge (All. n. 6 e 7 ). 
Con lettera del 22 ottobre 2014, il Sindaco di Roma Capitale, in risposta alla prefettizia 
del 20 ottobre 2014, ha comunicato al Prefetto di aver proceduto, in data 18 ottobre 2014, alle
CONTENZIOSO NAZIONALE 127 
trascrizioni in questione alla luce di una attivit� ermeneutica del �diritto vivente�, ritenendo 
di aver operato legittimamente (All. n. 8). 
Con decreto prot. n. 0241669/2014, del 22 ottobre 2014, il Prefetto di Roma ha affidato 
l�incarico a due funzionarie della Prefettura di Roma di procedere ad una verificazione straordinaria 
dei registri di matrimonio dello stato civile, finalizzata all�accertamento della effettiva 
trascrizione degli atti, da effettuarsi, in data 23 ottobre 2014, ai sensi degli articoli 9 e 
104 del d.P.R. 3 novembre 2000, n. 396, presso gli uffici di Roma Capitale (All. n. 9). 
La verificazione � stata effettivamente svolta in data 23 ottobre 2014, come da verbale 
redatto nella circostanza (All. n. 10), con il quale si d� atto che si acquisiscono, in copia conforme 
all�originale, gli atti del registro matrimoni, Parte II, serie C10, anno 2014, atti dal n. 
1 al n. 16, quindi anche l�atto n. 3 relativo alle ricorrenti e copia dei relativi allegati (All. n. 
10B). Tale documentazione � relativa alla trascrizione dei matrimoni celebrati all�estero tra 
persone dello stesso sesso effettuata dal sindaco Marino in data 18 ottobre 2014. 
� stato, quindi, adottato il decreto prefettizio n. 247747/2014 del 31 ottobre 2014, oggetto 
di impugnazione con l�odierno ricorso (All. n. 11). 
Con dichiarazioni agli organi di stampa, il Sindaco Marino ha affermato di non voler 
procedere all�annullamento degli atti (All. n. 12). 
Nella perdurante inerzia del Sindaco di Roma in qualit� di Ufficiale di Governo, nonostante 
l�espresso ordine impartitogli dal Prefetto di Roma con il decreto n. 247747/2014 del 
31 ottobre 2014 di provvedere all�annotazione del decreto medesimo nei registri dello stato 
civile, con decreto del Prefetto di Roma n. 284812/14 del 4 dicembre 2014 (All. 13), � stato 
conferito l�incarico ad un dirigente della Prefettura di dare esecuzione al predetto decreto di 
annullamento n. 247747/2014 del 31 ottobre 2014. 
In data 5 dicembre 2014, detto dirigente ha quindi provveduto ad apporre le annotazioni 
a margine degli atti dal n. 1 al n. 16 del registro dello stato civile di Roma Capitale - Atti di 
matrimonio - Parte II - Serie C10, come da apposito verbale in pari data (all. 14). 
DIRITTO 
1. La sentenza del TAR Lazio. 
La sentenza impugnata, pur riconoscendo che, allo stato dell�attuale normativa, le coppie 
omosessuali non vantano in Italia n� un diritto a contrarre matrimonio, n� la pretesa alla trascrizione 
di unioni celebrate all�estero, hanno accolto le censure di parte ricorrente aventi ad 
oggetto i poteri dell�Amministrazione centrale in materia di stato civile, statuendo che nella 
citata materia non esisterebbe un potere di sovraordinazione del Prefetto rispetto al Sindaco 
esercitabile attraverso un potere di annullamento da parte dell�Amministrazione centrale che, 
di conseguenza, sarebbe vincolata ad applicare l�art. 95 del D.P.R. n. 396/2000. 
Secondo il TAR Lazio, infatti, il sistema dello stato civile � un sistema chiuso che, perci�, 
non consentirebbe possibilit� di intervento sui registri dello stato civile ulteriori rispetto 
a quelle delineate dal codice civile e dal D.P.R. 396/2000 che non contemplerebbero un intervento 
diretto del Ministero dell�interno, per il tramite del Prefetto, ma attribuirebbero il potere 
di annullamento delle trascrizioni illegittime solo all�Autorit� giudiziaria. 
Secondo tale ricostruzione l�ufficiale di stato civile avrebbe solo il potere di aggiornare 
i registri e correggere eventuali errori materiali ma non sarebbe titolare di poteri di annullamento 
o di autotutela, potendo soltanto disporre l�annotazione di rettificazioni operate dall�Autorit� 
giudiziaria. 
Di conseguenza, conclude il TAR Lazio, una trascrizione nel registro degli atti di ma-
128 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2015 
trimonio potrebbe essere espunta e/o rettificata solo in forza di un provvedimento dell�Autorit� 
giudiziaria e non anche adottando un provvedimento amministrativo da parte dell�Amministrazione 
centrale, neanche esercitando il potere di sovraordinazione che, effettivamente, il 
Ministro dell�Interno vanta sul Sindaco. 
La ricostruzione del quadro normativo applicabile al caso di specie � censurabile sia 
sotto il profilo della erronea applicazione della normativa sullo stato civile e della giurisprudenza 
prevalente in materia di funzioni statali esercitate a livello locale, sia sul piano della 
logicit� e congruit� della motivazione. 
Prima di procedere alla censura dell�impugnata sentenza pare opportuno, per completezza, 
premettere una breve ricostruzione del quadro giuridico in materia di trascrivibilit� del 
matrimonio celebrato all�estero tra persone dello stesso sesso. 
2. Ricostruzione del quadro normativo e giurisprudenziale vigente. Impossibilit� 
di configurare in assenza di un intervento del legislatore una pretesa alla trascrizione 
nei registri dello stato civile del matrimonio tra persone dello stesso sesso. 
La pretesa avversaria prende le mosse da una erronea ricostruzione - disattesa dal Giudice 
di primo grado - secondo la quale gli ultimi sviluppi della giurisprudenza, sia ordinaria 
sia costituzionale, da un lato, ed il quadro normativo europeo ed internazionale, dall�altro, 
dovrebbero indurre ad un mutamento della posizione tradizionale secondo cui la diversit� di 
sesso dei nubendi rappresenta un requisito fondamentale affinch� l�unione tra due persone 
possa produrre gli effetti giuridici previsti dall�ordinamento per il matrimonio, compresa anche 
la trascrizione nei registri dello stato civile e tutte le implicazioni che tale atto determina. 
Come invece correttamente affermato dal TAR, la diversit� di sesso dei nubendi � - unitamente 
alla manifestazione di volont� matrimoniale dagli stessi espressa in presenza dell�ufficiale 
dello stato civile celebrante - secondo la costante giurisprudenza della Corte di 
cassazione, requisito minimo indispensabile per la stessa �esistenza� del matrimonio civile 
come atto giuridicamente rilevante (cfr., ex plurimis, le sentenze n. 1808 del 1976, n. 1304 del 
1990, n. 1739 del 1999, n. 7877 del 2000). In questi esatti termini si � espressa la Corte di cassazione 
anche nella recente sentenza n. 4184 del 2012 ex adverso invocata (punto 2.2.2.). 
In realt�, giova sin da ora precisare che, nonostante l�indubbia evoluzione del quadro 
sociale e giuridico di riferimento, l�eventuale equiparazione dei matrimoni omosessuali a 
quelli celebrati tra persone di sesso diverso e la conseguente trascrizione di tali unioni nei registri 
dello stato civile rientrano nella competenza esclusiva del legislatore nazionale in quanto 
espressione di discrezionalit� politica. Prova ne � che � all�esame della Commissione Giustizia 
del Senato, l�A.S. n. 14, recante la disciplina delle coppie di fatto e delle unioni civili e, pertanto, 
non vi sono, allo stato, le basi giuridiche per considerare la trascrizione dei matrimoni 
celebrati all�estero tra persone dello stesso sesso un atto legittimo. 
A sostegno di ci� va in primo luogo rilevato che, nonostante la trascrizione abbia ai 
sensi della normativa vigente natura meramente certificativa e dichiarativa, la sola sussistenza 
dei requisiti di validit� previsti dalla lex loci quanto alla forma di celebrazione secondo il diritto 
internazionale privato non esime l�ufficiale di stato civile dalla previa verifica della sussistenza 
dei requisiti di natura sostanziale previsti dalla legge italiana relativamente allo stato 
e alla capacit� delle persone. 
In questa direzione, infatti, conduce un duplice riferimento normativo. 
In primo luogo, l�art. 27, comma 1, della legge di riforma del diritto internazionale privato 
n. 218/1995, secondo cui �la capacit� matrimoniale e le altre condizioni per contrarre matrimonio 
sono regolate dalla legge nazionale di ciascun nubendo al momento del matrimonio�.
CONTENZIOSO NAZIONALE 129 
Tale disposizione va, inoltre, letta in combinato disposto con l�art. 115 del codice civile, secondo 
cui �il cittadino � soggetto alle disposizioni contenute nella sezione prima di questo capo, 
anche quando contrae matrimonio in paese straniero secondo le forme ivi stabilite�. 
Ne consegue che, al di l� della validit� formale della celebrazione secondo la legge straniera, 
resta in capo all�ufficiale di stato civile, ai fini della trascrizione, il dovere di verificare 
la sussistenza dei requisiti sostanziali necessari secondo la legge italiana affinch� la celebrazione 
possa produrre effetti giuridicamente rilevanti. 
Non vi � dubbio che, ai sensi del codice civile vigente, la diversit� di sesso dei nubendi 
rappresenti un requisito sostanziale necessario affinch� il matrimonio produca effetti giuridici 
nell�ordinamento interno. Nell�attuale ordinamento civilistico, infatti, l�istituto del matrimonio 
si fonda sulla diversit� di sesso dei coniugi, come pu� agevolmente desumersi da una ricognizione 
delle disposizioni codicistiche in materia. Rileva, in proposito, per tutte, l�art. 107 
c.c., in base al quale l�ufficiale dello stato civile �riceve da ciascuna delle parti personalmente, 
l'una dopo l'altra, la dichiarazione che esse si vogliono prendere rispettivamente in marito e 
in moglie, e di seguito dichiara che esse sono unite in matrimonio�. Ma nella medesima direzione 
depongono anche gli articoli 108, 143 e 143 bis del medesimo codice e l�art. 64, 
comma 1, lett. e) del d.P.R. 396/2000. 
Inoltre, come confermato dal Giudice di primo grado, non assume alcuna rilevanza in 
senso contrario l�art. 65 della legge 218/1995. Infatti, come precisato anche dalla Corte di 
Cassazione nella sentenza n. 4184 del 2012, l�atto di matrimonio celebrato all�estero, sebbene 
soggetto a determinate forme solenni che prevedono la ricezione della volont� dei nubendi 
da parte dei soggetti investiti di un pubblico ufficio, non � certo assimilabile ad un provvedimento 
proveniente dall�autorit� amministrativa o giurisdizionale, ma resta un atto negoziale 
e come tale deve essere considerato ai fini della individuazione delle norme che ne disciplinano 
gli effetti nell�ordinamento interno. 
Pertanto, il matrimonio celebrato all�estero tra persone dello stesso sesso � privo dei requisiti 
sostanziali necessari per procedere alla trascrizione ai sensi dell�art. 10 del d.P.R. 
396/2000. Peraltro, tali conclusioni sono pienamente rispondenti ai medesimi principi statuiti 
dalla Corte di Cassazione nella richiamata pronuncia 4184 del 2012, nella parte in cui viene 
precisato che �l�intrascrivibilit� delle unioni omosessuali dipende non pi� dalla loro inesistenza 
e neppure dalla invalidit�, ma dalla loro inidoneit� a produrre, quali atti di matrimonio, 
qualsiasi effetto giuridico nell�ordinamento italiano�. 
A bene vedere infatti la Suprema Corte, nella citata sentenza ex adverso invocata, non 
ha mai affermato il riconoscimento o la trascrivibilit� del matrimonio tra persone dello stesso 
sesso, anzi afferma proprio il contrario sostenendo espressamente a pi� riprese l�intrascrivibilit� 
di tale atto matrimoniale. 
La pronuncia della Cassazione citata prende le mosse da un�analoga vicenda in cui la 
richiesta di trascrizione di un matrimonio contratto all�estero da due cittadini italiani dello 
stesso sesso era stata rifiutata dall�ufficiale di stato civile del comune di Latina. 
Sul provvedimento di rifiuto della trascrizione si pronunciavano nel volgere di qualche 
anno il Tribunale di Latina in prima istanza, la Corte d�Appello di Roma in seconda istanza 
e, da ultimo, anche la Corte di Cassazione. 
In tutti i gradi di giudizio veniva confermata l�intrascrivibilit� nell�ordinamento dello 
Stato italiano dell�atto di matrimonio tra persone dello stesso sesso. 
La Corte di Cassazione, chiamata a pronunciarsi sulla sentenza della Corte d�Appello 
di Roma conferma, come detto, l�intrascrivibilit� del matrimonio omosessuale ritenendolo
130 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2015 
�inidoneo� a produrre effetti giuridici nell�ordinamento italiano. Dunque un atto totalmente 
inefficace per il nostro ordinamento. 
Ma tali conclusioni non mutano neppure ove la questione venga esaminata sul piano 
della legittimit� costituzionale ovvero in relazione al contesto normativo e giurisprudenziale 
europeo, come correttamente affermato dal TAR Lazio nella sentenza impugnata. 
Con riferimento al primo aspetto, infatti, la Corte costituzionale, con giurisprudenza conforme 
sin dalla nota pronuncia n. 138 del 2010 - nel respingere la questione di legittimit� costituzionale 
delle disposizioni del codice civile che non consentono la celebrazione del matrimonio 
tra persone dello stesso sesso e la sua trascrizione nei registri dello stato civile - ha statuito che 
l�art. 29 Cost. si riferisce alla nozione di matrimonio definita dal codice civile come unione tra 
persone di sesso diverso e questo significato del precetto costituzionale non pu� essere superato 
con un�interpretazione creativa n�, peraltro, con specifico riferimento all�art. 3, comma 1, Cost., 
le unioni omosessuali possono essere ritenute tout court omogenee al matrimonio. � vero, comunque, 
che la Corte ha stabilito che tra le formazioni sociali di cui all�art. 2 Cost. in grado di 
favorire il pieno sviluppo della persona umana nella vita di relazione, nel contesto di una valorizzazione 
del modello pluralistico, rientra anche l�unione omosessuale. Tuttavia, secondo la 
medesima giurisprudenza costituzionale, spetta al Parlamento, nell�esercizio della sua piena discrezionalit� 
politica, individuare con atto di rango legislativo le forme di garanzia e di riconoscimento 
per le unioni suddette, scegliendo, in particolare, se equiparare tout court il matrimonio 
omosessuale a quello eterosessuale, ovvero introdurre forme diverse di riconoscimento giuridico 
della stabile convivenza della coppia omosessuale. In questo quadro lo spazio di intervento della 
Corte costituzionale � circoscritto alla sola possibilit� di tutelare specifiche situazioni (come � 
avvenuto con le sentenze n. 559 del 1989 e n. 404 del 1988 in materia di locazioni e di assegnazione 
di alloggi di edilizia residenziale per le convivenze more uxorio). 
La Corte costituzionale ha quindi concluso, nella richiamata sentenza che �la censurata 
normativa del codice civile che, per quanto detto, contempla esclusivamente il matrimonio 
tra uomo e donna, non pu� considerarsi illegittima sul piano costituzionale. Ci� sia perch� 
essa trova fondamento nel citato art. 29 Cost., sia perch� la normativa medesima non d� 
luogo ad una irragionevole discriminazione, in quanto le unioni omosessuali non possono 
essere ritenute omogenee al matrimonio�. 
Tali affermazioni di principio sono state ribadite con la recente sentenza della Corte costituzionale 
n. 170 dell�11 giugno 2014 che � intervenuta sulla normativa che prevede l�automatica 
cessazione degli effetti civili del matrimonio in caso di rettificazione di attribuzione di sesso di 
uno dei due coniugi, chiarendo che �la nozione di matrimonio presupposta dal Costituente (cui 
conferisce tutela l�art. 29 Cost.) � quella stessa definita dal codice civile del 1942 che stabiliva 
e tuttora stabilisce che i coniugi dovessero essere persone di sesso diverso (sentenza n. 138 del 
2010�, (punto 5.2. del Considerato in diritto) e sottolineando espressamente l�essenzialit� del 
requisito dell�eterosessualit� del matrimonio (punto 5.1. del Considerato in diritto). 
Per quanto, invece, concerne il riferimento al contesto normativo europeo, va rilevato che 
non possono risultare dirimenti i richiami alle disposizioni di cui agli articoli 12 della CEDU e 
9 della Carta dei diritti fondamentali dell�Unione Europea, nota anche come �Carta di Nizza�. 
La prima disposizione, infatti, statuendo che �uomini e donne in et� adatta hanno diritto 
di sposarsi e di fondare una famiglia secondo le leggi nazionali regolanti l�esercizio di tale 
diritto�, fa riferimento alla nozione tradizionale di matrimonio fondato sulla diversit� di sesso 
dei nubendi e rinvia, inoltre, alla legislazione dei singoli Stati per la disciplina delle condizioni 
che regolano l�esercizio del diritto.
CONTENZIOSO NAZIONALE 131 
Per quanto, invece, riguarda l�art. 9 della Carta di Nizza, va evidenziato che tale disposizione, 
stabilendo che �il diritto di sposarsi e il diritto di costituire una famiglia sono garantiti 
secondo le leggi nazionali che ne disciplinano l�esercizio�, volutamente ha omesso il 
riferimento alla diversit� di sesso dei nubendi, con ci� lasciando aperta a ciascuno Stato europeo 
la possibilit� di un riconoscimento delle unioni tra persone dello stesso sesso. Tuttavia, 
anche quest�ultima disposizione anzich� vincolare i legislatori nazionali, rimette, pi� correttamente, 
a questi ultimi la decisione in materia. 
Tale interpretazione del quadro normativo europeo � stata autorevolmente avallata dalla 
Corte Europea dei diritti dell�uomo che, nella pronuncia del 24 giugno 2010, Prima Sezione, 
caso Schalk e Kopf contro Austria, in un caso analogo a quello in esame, ha statuito che il rifiuto 
dell�ufficiale di stato civile di adempiere le formalit� richieste per la celebrazione di un 
matrimonio tra persone dello stesso sesso non contrasta con la CEDU. 
In particolare, la stessa Corte Europea ha osservato che il matrimonio ha connotazioni 
sociali e culturali radicate che possono differire molto da una societ� all�altra e, proprio per 
questo, ha ritenuto di non potersi spingere a sostituire l�opinione delle autorit� nazionali con 
la propria. Di conseguenza, ha ritenuto di dover rimettere ai legislatori nazionali di ciascuno 
Stato aderente alla CEDU la decisione di permettere o meno il matrimonio omosessuale e la 
conseguente decisione in merito alla trascrivibilit� o meno dello stesso. 
Va ricordato che alla nozione di matrimonio come �unione di due persone di sesso diverso� 
secondo la definizione comunemente accolta dagli Stati membri, ha espressamente fatto ricorso 
la Corte di giustizia UE nella sentenza 31 maggio 2001, cause riunite C-122/99 P e C-125/99 P, 
ritenendola sottesa alle disposizioni dell�ordinamento comunitario che vi fanno riferimento. 
Pertanto, stante l�assoluta riserva di legislazione nazionale in materia, come sottolineato 
dalla Corte di Cassazione nella richiamata sentenza n. 4184 del 2012, le coppie omosessuali 
non possono, al momento, far valere n� il diritto a contrarre matrimonio, n� il diritto alla trascrizione 
delle unioni celebrate all�estero. 
Tanto premesso, si pu�, quindi, concludere che � proprio la stessa giurisprudenza ex adverso 
citata a smentire l�assunto delle parti ricorrenti. 
La Cassazione, infatti, ha solo statuito la non contrariet� all�ordine pubblico delle unioni 
tra persone dello stesso sesso e, in piena adesione con tale assunto, si pone la circolare del 7 
ottobre 2014 del Ministro dell�Interno che ha precisato che l�intrascrivibilit� dei matrimoni 
tra persone dello stesso sesso deriva �dalla loro inidoneit� a produrre, quali atti di matrimonio, 
qualsiasi effetto giuridico nell�ordinamento italiano�. E ci� in considerazione del difetto 
di un requisito sostanziale richiesto dalla normativa vigente in materia di stato e capacit� delle 
persone (la diversit� di sesso dei nubendi) che non pu� essere superato dalla mera circostanza 
dell�esistenza di una celebrazione valida secondo la lex loci ma priva dei requisiti sostanziali 
prescritti dalla legge italiana relativamente allo stato e alla capacit� delle persone. 
Non pu�, poi, indurre a ritenere superato un quadro giurisprudenziale assolutamente 
granitico, l�isolato precedente del Tribunale di Grosseto del 3-9 aprile 2014, peraltro annullato 
in sede di reclamo della Corte d�appello di Firenze con decreto del 19 settembre 2014, e successivamente 
smentito da pi� pronunce: decreto del Tribunale di Pesaro del 21.10.2014 n. 
1428 (All. n. 15) e decreto del Tribunale di Avellino del 9.10.2014, n. 877 (All. n. 16). 
Tutto ci� premesso, si pu� quindi affermare che non pu� ritenersi superato, in assenza 
di un intervento del potere legislativo - unico potere legittimato ad intervenire in materia di 
stato e capacit� delle persone e segnatamente nel campo dei requisiti sostanziali richiesti affinch� 
il matrimonio possa produrre effetti giuridici - il solido orientamento giurisprudenziale
132 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2015 
e costituzionale che considera l�unione tra persone dello stesso sesso inidonea a produrre 
effetti per l�ordinamento e, quindi, non suscettibile di trascrizione. 
3. Erroneit� della sentenza in relazione alla ricostruzione dei poteri del Prefetto in 
materia di stato civile e della sua posizione di sovraordinazione rispetto al Sindaco nella 
veste di Ufficiale del Governo nonch� in relazione all�affermata inconfigurabilit� del potere 
di annullamento in via gerarchica della trascrizione del matrimonio - Contraddittoriet� 
e illogicit� della motivazione. 
La sentenza impugnata � censurabile sia sotto il profilo della erronea applicazione della 
normativa sullo stato civile e della giurisprudenza prevalente in materia di funzioni statali 
esercitate a livello locale, sia sul piano della logicit� e congruit� della motivazione. 
Per quanto riguarda il primo profilo, va innanzitutto sottolineato che il Giudice di primo 
grado ricostruisce il rapporto tra il Ministero dell�interno (e per questo il Prefetto) ed il Sindaco 
nella materia in esame prendendo le mosse esclusivamente dalla normativa regolamentare in 
materia di stato civile e dalle disposizioni del codice civile in materia di atti di stato civile, 
obliterando, tuttavia, che i principi generali in materia di funzioni governative esercitate a livello 
locale e, segnatamente, di stato civile sono in realt� contenuti nell�art. 54 TUEL. 
Infatti, il d.P.R. n. 396/2000, recante la normativa regolamentare in materia di stato civile, 
va letto ed interpretato alla luce dei principi posti dalla normativa di rango primario contenuta 
nell�art. 54 del TUEL. 
Alla luce di tali principi l�Ufficiale di stato civile opera quale mero subordinato del Ministro 
dell�interno (e per esso del Prefetto), non disponendo di una propria ed autonoma sfera 
di competenza in materia di stato civile. 
Ci� in quanto, come ampiamente evidenziato nel giudizio di primo grado, vi � una posizione 
generale di sovraordinazione del Prefetto, rispetto al Sindaco, in materia di stato civile. 
La Suprema Corte ha infatti pi� volte chiarito come �l�attivit� di tenuta dei registri dello 
stato civile costituisca prerogativa statale, svolta in via delegata secondo l�espressa previsione 
dell�art. 1 comma 2 del D.P.R. 396/2000: il sindaco, quale ufficiale del Governo, o chi lo sostituisce 
a norma di legge, � ufficiale dello stato civile. Persiste dunque un potere di sovraordinazione 
dell�amministrazione dello Stato rispetto all�attivit� svolta dal sindaco in siffatta 
materia, cos� come previsto dall�art. 9 del cennato D.p.R. 396/2000 e puntualizzato dalla costante 
giurisprudenza della corte di legittimit�� (Cass. Civ. Sez. Unite, n. 21658/2009). 
E ancora: �nell�esercizio della funzione di tenuta dei registri dello stato civile, il Sindaco assumendo 
la veste di ufficiale di governo, agisce quale organo dello Stato in posizione di dipendenza 
gerarchica anche rispetto agli organi statali centrali� (Cass, sez. I, 14 febbraio 2000, n. 1599). 
Nel citato decreto della Corte d�appello di Firenze del 19 settembre 2014 si precisa come 
�l�attivit� di tenuta dei registri dello stato civile costituisca prerogativa statale, svolta in via 
delegata secondo l�espressa previsione dell�art. 1 comma 2 del D.P.R. 396/2000: il sindaco, 
quale ufficiale del Governo, o chi lo sostituisce a norma di legge, � ufficiale dello stato civile. 
Persiste dunque un potere di sovraordinazione dell�amministrazione dello Stato rispetto all�attivit� 
svolta dal sindaco in siffatta materia, cos� come previsto dall�art. 9 del cennato 
D.p.R. 396/2000 e puntualizzato dalla costante giurisprudenza della corte di legittimit� (da 
ultimo, Cass. Civ. Sez. Unite, n. 21658/2009)�. 
Del tutto errato � quindi l�assunto del Giudice di primo grado che nega l�esistenza di una 
posizione generale di sovraordinazione del Prefetto, rispetto al sindaco, in materia di stato civile. 
Tale materia rientra, infatti, nella competenza esclusiva dello Stato ed � esercitata in 
ambito territoriale dal Sindaco nella veste di ufficiale di Governo, ai sensi dell�art. 54 del
CONTENZIOSO NAZIONALE 133 
TUEL che, come indicato nella rubrica, attiene proprio alle �attribuzioni del sindaco nei servizi 
di competenza statale�. 
La tutela dell�interesse pubblico alla regolarit� e continuit� del servizio di stato civile e 
della sua fondamentale funzione di presidio a tutela della certezza del diritto e dei rapporti 
giuridici tra privati e tra questi e l�Amministrazione spetta, quindi, al Ministro dell�interno. 
Quest�ultimo, in quanto titolare della funzione, ha il potere d�indirizzo nei confronti 
dell�Ufficiale di stato civile che, in quanto Ufficiale di Governo, opera quale articolazione locale 
del Governo nazionale ed �, quindi, gerarchicamente sottoposto al Ministro. 
In questa veste, infatti, il Sindaco non rappresenta la comunit� locale, bens� attua la 
legge nazionale ed �, perci�, tenuto, ai sensi dell�art. 9 del d.P.R. 396/2000, �� ad uniformarsi 
alle istruzioni che vengono impartite dal Ministero dell'interno�. Parimenti sintomatico della 
relazione gerarchica intercorrente con il potere esecutivo rispetto ai servizi di competenza 
statale � il comma successivo della medesima disposizione, a mente del quale �la vigilanza 
sugli uffici dello stato civile spetta al Prefetto�. 
In una relazione del tipo di quella appena evidenziata, quindi, l�organo subordinato agisce 
quale mera emanazione a livello locale e, di conseguenza, residua in capo all�organo sovraordinato, 
unico ed effettivo titolare della funzione, il potere di intervenire per rimuovere 
eventuali atti posti in essere in violazione delle direttive impartite. 
Nella medesima direzione depone anche l�art. 54, comma 3, del d.lgs. 267/2000, a mente del 
quale il sindaco, quale ufficiale di Governo, sovrintende alla tenuta dei registri dello stato civile. 
Dal complesso delle disposizioni citate emerge, quindi, che al Prefetto, quale organo 
territoriale del Governo - e, quindi, titolare della funzione di stato civile in ambito provinciale 
- spetta il potere di dettare disposizioni in materia di stato civile vincolanti per il Sindaco nella 
veste di Ufficiale di Stato civile. 
Nel caso in cui quest�ultimo non si conformi alle disposizioni impartite si configura, 
pertanto, quella situazione di inerzia che giustifica l�intervento sostitutivo del Prefetto ai sensi 
dell�art. 54, comma 11, del TUEL. Tale potere di sostituirsi all�organo subordinato anche al 
fine di rimuovere atti non conformi all�ordinamento attraverso l�annullamento � contenuto 
necessario e tipico delle relazione interorganiche di tipo gerarchico. 
Peraltro, il potere di annullamento d�ufficio in via gerarchica costituisce espressione del 
medesimo interesse pubblico alla regolare ed uniforme tenuta dei registri dello stato civile 
garantito con il riconoscimento del potere di indirizzo e di vigilanza sui medesimi registri (citato 
art. 9) e, finanche, di intervento sostitutivo in caso di inerzia da parte degli ufficiali di 
stato civile (citato art. 54, comma 11). 
Va, inoltre, precisato che, contrariamente a quanto affermato dal TAR Lazio, il potere 
di annullamento gerarchico delle trascrizioni illegittimamente effettuate dall�Ufficiale di stato 
civile non si pone affatto in contrasto col principio di riserva di legge di cui all�art. 97 Cost. 
ma si fonda sul combinato disposto dell�art. 54 TUEL - che attribuisce al Prefetto una chiara 
posizione di sovraordinazione rispetto all�Ufficio di stato civile che si traduce anche nella 
possibilit� di esercitare un potere sostitutivo in caso di inerzia - e l�art. 21 nonies della legge 
241 del 1990. Quest�ultima disposizione, infatti, contrariamente a quanto affermato nella sentenza 
impugnata, rappresenta la norma generale su cui si fonda il potere di annullamento d�ufficio 
e giustifica anche l�annullamento gerarchico in presenza di una norma di legge che 
preveda tra due organi una relazione di tipo gerarchico. 
A favore di una tale interpretazione militano plurime argomentazioni. In primo luogo va osservato 
che l�art. 21 nonies non pu� essere inteso come mera norma di rinvio ai casi previsti dalla
134 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2015 
legge. Se cos� fosse, infatti, si tratterebbe di una disposizione inutile, in quanto priva di quella 
portata innovativa che � tipica delle fonti del diritto. In quest�ottica, quindi, l�espressione �il provvedimento 
amministrativo illegittimo pu� essere annullato d�ufficio dall�organo che lo ha emanato, 
ovvero da altro organo previsto dalla legge� deve essere intesa come norma che abilita all�annullamento 
d�ufficio anche nel caso di relazioni interorganiche analoghe a quella in questione. 
Non vi �, quindi, la mancanza di una norma di rango primario che conferisca all�Amministrazione 
il potere di adottare un provvedimento di annullamento in via gerarchica delle 
trascrizioni illegittime. 
Inoltre, contrariamente a quanto affermato dal TAR, la circostanza che, in caso di inerzia 
dell�Ufficiale di stato civile, il Prefetto possa intervenire in via sostitutiva depone proprio in 
direzione della possibilit� di intervenire anche mediante l�annullamento in via gerarchica. 
Orbene, se il pi� comprende il meno, allora il Prefetto potr� non soltanto esercitare il 
potere sostitutivo in luogo dell�Ufficiale di stato civile inerte ma anche rimuoverne gli atti 
contrari alla legge nel caso in cui quest�ultimo non si sia attenuto alle disposizioni impartite 
dall�organo che, a livello territoriale, attua le disposizioni impartite a livello centrale dal Ministro, 
vero e unico titolare della funzione governativa di stato civile. 
Peraltro, va rilevato che il Ministro dell�interno, con la circolare impugnata, aveva dettato 
precise disposizioni che vietavano di procedere a trascrizioni contra legem. Il Sindaco di 
Roma ha deliberatamente omesso di applicare tali direttive, restando colpevolmente inerte 
anche rispetto al preciso invito di rimuovere gli atti illegittimamente compiuti e giustificando 
cos� l�intervento prefettizio. 
Del tutto inconferente � anche il richiamo alla normativa del codice civile in materia di 
trascrizioni. Questa normativa, infatti, risale al 1942, ad un periodo nel quale vi era un sistema 
di controlli molto pervasivi nei confronti delle autonomie locali. In quell�epoca, perci�, non 
era nemmeno ipotizzabile che una funzione governativa potesse essere esercitata a livello locale 
in maniera difforme rispetto alle indicazioni provenienti dal Governo, vero e unico titolare 
della funzione. Proprio per questo motivo, la normativa codicistica non regola il caso limite 
in cui la trascrizione venga illegittimamente effettuata dall�Ufficiale di stato civile in violazione 
di legge ed in aperto contrasto con le direttive ministeriali. 
Inoltre, contrariamente a quanto affermato nella sentenza impugnata, va rilevato che 
sulla sussistenza in capo al Prefetto del potere di annullamento in via gerarchica degli atti illegittimamente 
posti in essere dal Sindaco quale Ufficiale del Governo si � pronunciata in 
senso affermativo anche la giurisprudenza amministrativa. 
In particolare, il Consiglio di Stato ha sul punto affermato che nelle materie di competenza 
statale nelle quali il Sindaco agisce nella veste di Ufficiale del Governo spetta al Prefetto 
promuovere ogni misura idonea a garantire l�unit� di indirizzo e di coordinamento, promuovendo 
le misure occorrenti e svolgendo, cos�, una fondamentale funzione di garante dell�unit� 
dell�ordinamento in materia. 
Secondo il Consiglio di Stato, infatti, �l�adozione di ogni misura non pu� che includere 
anche il potere di annullamento d�ufficio degli atti adottati dal sindaco quale ufficiale di governo, 
che risultano essere illegittimi o che comunque minano la menzionata unit� di indirizzo� 
(in questo senso, testualmente, Cons. Stato, Sez. V, 19 giugno 2008, n. 3076). 
� perci� erroneo quanto affermato dal TAR, secondo cui la giurisprudenza appena richiamata 
attiene ad una fattispecie e ad un caso non omogenei all�oggetto del presente giudizio. 
Infatti, anche se il precedente in esame attiene alla materia della sicurezza - nella quale 
i rapporti tra il Prefetto ed il Sindaco sono regolati dalla legge n. 121 del 1981 che delinea tra
CONTENZIOSO NAZIONALE 135 
le due autorit� una relazione di dipendenza funzionale - a maggior ragione i principi ivi statuiti 
sono applicabili allo stato civile che, lo si ripete ancora una volta, rientra nel novero di quelle 
funzioni la cui titolarit� � statale e che vengono esercitate a livello locale dal Sindaco quale 
mero Ufficiale del Governo. 
Quest�ultimo, infatti, non dispone nella citata materia di una sfera di discrezionalit� autonoma 
n� tantomeno del potere di discostarsi dalle direttive governative. 
Nel caso in esame, quindi, non vi � alcuna cogestione della materia come nel caso della 
sicurezza pubblica, ma una titolarit� esclusiva in capo al Ministero dell�interno e, perci�, un 
rapporto gerarchico vero e proprio tra Prefetto e Sindaco. 
Pertanto, se i principi affermati nella citata giurisprudenza del Consiglio di Stato possono 
trovare applicazione in una materia (la pubblica sicurezza) contrassegnata da una situazione 
di cogestione e da un rapporto di dipendenza funzionale tra i due organi coinvolti, a maggior 
ragione, dovranno regolare la situazione in esame, nella quale l�unico ed esclusivo titolare 
della funzione in discussione � il Ministro dell�interno. 
Quanto all�asserita violazione dell�art. 95 del d.P.R. 396/2000 recante �Delle procedure 
giudiziali di rettificazione relative agli atti dello stato civile e delle correzioni�, si osserva 
che detta norma appare chiaramente applicabile al singolo che intenda ottenere la rettificazione 
di un atto dello stato civile che lo riguarda e certamente non al Ministro dell�interno - e per 
esso al Prefetto - che, in quanto titolare della funzione di stato civile, si proponga di rimuovere 
gli effetti di atti illegittimamente posti in essere, in contrasto con una sua precisa direttiva, da 
parte del sindaco in veste di ufficiale del Governo, in spregio alla propria posizione di subordinazione 
rispetto ad esso. 
Non � quindi configurabile alcuna invasione della sfera del potere giurisdizionale in 
quanto il Ministro dell�interno, esercitando istituzionalmente la funzione di stato civile, ha il 
potere-dovere di evitare che gli ufficiali di stato civile effettuino la trascrizione di atti non 
consentiti dall�ordinamento giuridico. 
Giova altres� rilevare che le procedure giudiziali di rettificazione e correzione degli atti 
dello stato civile presuppongono che le trascrizioni siano state eseguite dall�ufficiale di stato 
civile in attuazione o, quanto meno, in coerenza con le direttive ministeriali e non, come � invece 
accaduto nel caso di specie, in aperto contrasto con le stesse e senza, per di pi�, adempiere 
agli inviti formulati dal Prefetto. 
Il riferimento dell�art. 95 D.P.R. n. 396/2000 anche ad �un atto indebitamente registrato� 
non pu� che riferirsi al caso in cui l�ufficiale dello stato civile abbia trascritto, anche inconsapevolmente, 
un atto che non avrebbe potuto trascrivere - si pensi ad esempio al matrimonio 
tra due persone di cui una risulti gi� coniugata all�estero - e certamente non all�ipotesi di un 
atto trascritto dal Sindaco in qualit� di ufficiale di stato civile in dichiarato spregio ad una 
precisa direttiva dell�organo sovraordinato che lo aveva espressamente diffidato dal farlo. 
Nell�esempio citato, solo l�Autorit� giudiziaria ordinaria, adita dall�altro coniuge o dal 
Pubblico Ministero, potrebbe disporre la cancellazione dell�atto indebitamente registrato nell�ignoranza 
dello stato di bigamia. 
La peculiarit� della fattispecie oggetto del presente giudizio giustifica, invece, l�annullamento 
gerarchico degli atti illegittimamente posti in essere dall�Ufficiale di stato civile che 
ha deliberatamente agito in violazione dell�art. 9 del d.P.R. 396/2000 e dell�art. 54 TUEL, 
rendendo necessario - con la sua condotta violativa della legge, prima, e con la sua inerzia, 
poi - l�intervento in via gerarchica del Prefetto per garantire l�unitariet� dell�ordinamento. 
Negare la possibilit� di tale intervento significherebbe negare la titolarit� della funzione
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di indirizzo e vigilanza ex art. 9 D.P.R. n. 396/2000 in capo al Ministro dell�interno ed il suo 
potere di impartire istruzioni vincolanti: �l�ufficiale dello stato civile � tenuto ad uniformarsi 
alle istruzioni che vengono impartite dal Ministro dell�interno�. 
La tutela dell�interesse pubblico alla regolare ed uniforme tenuta dei registri dello stato 
civile � infatti garantito con il riconoscimento del potere di indirizzo e di vigilanza del Ministro 
(citato art. 9) e, finanche, con il potere di intervento sostitutivo in caso di inerzia da parte 
degli ufficiali di stato civile (citato art. 54, comma 11 TUEL). 
Quanto, infine, all�annotazione a margine dei registri dello stato civile del decreto prefettizio 
si precisa che si tratta esclusivamente di una mera operazione materiale, conseguente al 
provvedimento di annullamento, resa necessaria dalla particolare natura della trascrizione e dalla 
necessit� di rimuovere gli effetti di un atto illegittimamente posto in essere e non consentito dall�attuale 
ordinamento dello stato civile. Non sussistono, perci�, contrariamente a quanto affermato 
dal TAR, le paventate violazioni della normativa vigente e, in particolare, dell�art. 453 c.c. 
Quest�ultima disposizione, infatti, riguarda le ipotesi di ulteriori annotazioni in calce a 
quelle correttamente eseguite - ad esempio la cessazione degli effetti civili del matrimonio o 
la rettificazione dell�attribuzione di sesso - e non, come nel caso di specie, di una mera operazione, 
esecutiva del decreto prefettizio, conseguente all�esercizio del potere di annullamento 
d�ufficio di un atto illegittimamente trascritto, che si fonda sulla sovraordinazione del Prefetto 
rispetto all�Ufficiale di stato civile. 
Non coglie nel segno quindi il rilievo del TAR secondo il quale il Prefetto, sostituendosi al 
Sindaco non potrebbe esercitare poteri maggiori di quelli vantati da quest�ultimo il quale non potrebbe 
annullare le trascrizioni sicch� atti di tal genere non potrebbe assumerli neanche il Prefetto. 
Al riguardo, si evidenzia, infatti, che, nel rispetto del principio di leale collaborazione, 
il Prefetto, esercitando i propri poteri di indirizzo e di vigilanza in materia, abbia in primo 
luogo richiamato l�attenzione dell�Ufficiale di stato civile sulla necessit� di rispettare il quadro 
normativo vigente e, successivamente, solo dopo averlo diffidato, sia stato necessitato, a tutela 
del preminente interesse pubblico pi� volte evidenziato in precedenza, a intervenire in via gerarchica, 
decretando la rimozione dell�atto posto in essere in maniera illegittima e senza conformarsi 
alle norme di legge e alle direttive dell�organo (Ministro in sede centrale - Prefetto 
in sede provinciale) effettivo titolare della funzione. 
Quanto al paventato generale �potere di revisione degli atti di stato civile� che deriverebbe, 
secondo il TAR, contra legem in capo all�Ufficiale di Stato civile dal potere di sovraordinazione 
del Prefetto rispetto al Sindaco, si osserva che un conto � l�annullamento di un 
atto illegittimo compiuto dall�organo subordinato da parte dell�organo sovraordinato ai sensi 
dell�art. 21 nonies della legge n. 241 del 1990 e dell�art. 54, comma 11 TUEL, un conto � 
l�autoannullamento da parte dello stesso organo, certamente precluso se non in esecuzione di 
una precisa direttiva dell�organo sovraordinato. 
A tal riguardo, si evidenzia l�illogicit� e l�incongruenza della motivazione della sentenza 
impugnata che, a p. 24 epressamente menziona �il potere di sovraordinazione che, effettivamente, 
il Ministro dell�interno vanta sul Sindaco in tema di stato civile� salvo poi, nel corso 
della motivazione (p. 28), dubitare della configurabilit� di detto potere di sovraordinazione 
negandone, comunque, il suo contenuto tipico, rappresentato dall�annullamento in via gerarchica 
degli atti illegittimamente posti in essere dall�organo subordinato. 
Si precisa, inoltre, che, nel rispetto dei principi generali in materia di annullamento d�ufficio, 
il Prefetto di Roma, nel solco delle direttive ministeriali, ha osservato il principio del contrarius 
actus (Cons. Stato, Sez. III, n. 739/2013 e V, n. 66/2013), il quale impone che, in sede di ritiro di un
CONTENZIOSO NAZIONALE 137 
precedente provvedimento, vengano rispettate le medesime formalit� previste per l�atto annullato. 
Pertanto, una volta decretato l�annullamento, il Prefetto ha ordinato all�Ufficiale di stato 
civile di porre in essere le operazioni conseguenti, compresa l�annotazione del decreto a margine 
delle trascrizioni illegittimamente effettuate, esecutiva dell�annullamento d�ufficio e resa 
necessario dal rispetto della regola del contrarius actus. 
Tutto ci�, quindi, non configura alcuna manomissione degli atti dello stato civile. Ne 
deriva, quindi, che, una volta ammesso in materia di stato civile, come negli altri servizi statali 
esercitati a livello locale dal Sindaco quale Ufficiale di Governo, il potere statale di annullamento 
d�ufficio a tutela dell�unitariet� dell�ordinamento, vanno coerentemente consentite tutte 
le attivit� necessarie perch� quel potere possa compiutamente esplicare i propri effetti, tra i 
quali rientra necessariamente proprio l�annotazione. 
Pertanto, come gi� osservato in precedenza, non vi � alcuna annotazione posta in essere 
in violazione dell�art. 453 del codice civile, trattandosi, in realt�, di una mera operazione materiale, 
conseguente all�annullamento d�ufficio di trascrizioni illegittime e necessaria per consentire 
l�operativit� del provvedimento prefettizio. 
Ebbene, se manomissione vi � stata, ne �, in realt�, autore il Sindaco di Roma che, nonostante 
il quadro normativo vigente, le direttive ministeriali e i reiterati inviti del Prefetto, 
ha consapevolmente violato la legge, rendendo necessario l�intervento di annullamento delle 
trascrizioni illegittime e le conseguenti operazioni materiali, volte a rimediare all�alterazione 
dei registri di stato civile da parte di chi, a livello locale, dovrebbe, invece, esercitare la funzione 
nel rispetto di quanto statuito dal potere centrale. 
Non � quindi configurabile alcuna violazione della normativa vigente in materia di stato 
civile, ma il doveroso esercizio di un potere necessario per garantire l�unitariet� della funzione 
a livello nazionale, gravemente messa in pericolo da trascrizioni effettuate in maniera illegittima 
oltre che in palese e pervicace contrasto con le direttive impartite dall�organo istituzionalmente 
deputato alla corretta gestione degli atti di stato civile. 
4. Erroneit� della sentenza in relazione all�applicabilit� dell�art. 21 nonies della 
legge 241 del 1990 ai fini dell�annullamento d�ufficio della trascrizione - Contraddittoriet� 
e illogicit� della motivazione. 
La contraddittoriet� e illogicit� della motivazione � ravvisabile anche laddove il TAR 
ha, da un lato, respinto la tesi avversaria circa l�inconfigurabilit� della trascrizione del matrimonio 
come �atto amministrativo�, dalla quale deriverebbe l�inapplicabilit� della legge 241 
del 1990 e, dall�altro, ha affermato la non invocabilit� dell�art. 21 nonies della stessa legge 
quale base normativa del potere di annullamento del Prefetto. 
Correttamente il TAR ha disatteso le censure attinenti all�asserita violazione delle norme 
procedimentali di cui agli articoli 7 e 8 della legge n. 241 del 1990. 
Per quanto riguarda, in primo luogo, la mancata comunicazione di avvio del procedimento, 
si osserva che il provvedimento impugnato � assistito da una congrua motivazione 
circa la sussistenza delle ragioni di urgenza che l�hanno giustificata. 
Innanzitutto, va sottolineata la natura vincolata del provvedimento, essendo stato quest�ultimo 
adottato nell�esercizio del potere-dovere di agire al fine di garantire l�esercizio uniforme, 
a livello nazionale, della funzione di stato civile, presidiando, per questa via, anche la 
fondamentale esigenza di garanzia della certezza del diritto e dei rapporti giuridici. 
Considerata tale natura, quindi, soccorre l�art. 21 octies della legge 241 del 1990, in 
quanto la partecipazione dei privati interessati al procedimento non avrebbe potuto in alcun 
modo incidere sul contenuto dispositivo del provvedimento.
138 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2015 
Inoltre, non si possono sottacere le particolari e gravi ragioni di urgenza consistenti nell�esigenza 
di evitare il grave vulnus per la certezza del diritto e l�unitariet� dell�ordinamento, 
delle quali il Prefetto di Roma ha dato atto in maniera congrua ed esauriente nel provvedimento 
impugnato. 
D�altra parte, le controparti non hanno minimamente dato dimostrazione di come la loro 
partecipazione al procedimento avrebbe potuto incidere sul suo esito. 
La piena legittimit� dell�impugnato provvedimento emerge anche ove si tenga conto 
che, in ossequio ai principi generali ed alla consolidata giurisprudenza amministrativa in materia 
(ex plurimis, Cons. St., sez. V 25 luglio 2013 n. 3969), la motivazione ha dato conto 
anche dell�esistenza di un interesse pubblico preminente - non circoscritto alla mera esigenza 
di ripristino della legalit� violata - in grado di giustificare l�adozione del provvedimento di 
annullamento in via gerarchica. 
Inoltre, del tutto infondate e contraddittorie appaiono le affermazioni delle controparti 
circa l�inapplicabilit� dell�art. 21 nonies della legge n. 241 del 1990. 
Infatti, da un lato le controparti lamentano la violazione degli articoli 7 e 10 della legge 
n. 241 del 1990, dall�altro, con evidente contraddizione, ritengono che la trascrizione nel registro 
dell�atto di matrimonio non integrerebbe un provvedimento amministrativo e pertanto 
non sarebbe soggetto alla disciplina della legge n. 241 de 1990. 
La trascrizione dell�atto di matrimonio sarebbe, secondo la singolare tesi di controparte, 
�un atto pubblico formale� con effetto dichiarativo e di certificazione. 
Tale tesi � stata correttamente respinta dal TAR. 
Orbene, come noto, sono atti amministrativi gli atti giuridici di diritto pubblico compiuti 
dai soggetti attivi della pubblica amministrazione nell�esercizio di una potest� amministrativa. 
(Landi - Potenza, Manuale di diritto amministrativo, p. 185). In particolare, gli atti amministrativi 
possono concretarsi in atti di accertamento, che consistono nella constatazione obiettiva 
di fatti o situazioni (Zanobini, Corso di diritto amministrativo, p. 268). Gli atti di 
accertamento constatano l�esistenza nel soggetto di determinati requisiti, cui consegue l�acquisto 
d�una capacit�, d�uno status o situazione giuridica, d�un diritto. Gli accertamenti sono 
indispensabili per il sorgere della capacit�, dello status, della situazione o del diritto: anche 
se i requisiti preesistono l�atto formale di accertamento � richiesto ad substantiam. 
Tra gli atti di accertamento, assumono particolare rilievo, per quanto qui interessa, i certificati 
che integrano dichiarazioni di conoscenza di qualit� personali d�un soggetto o della titolrit� 
di status, capacit� o diritti o dell�esistenza di rapporti giuridici. I certificati sono rilasciati in base 
a constatazioni dirette della pubblica amministrazione o alle risultanze di atti in suo possesso. 
Da tali pacifiche e manualistiche proposizioni definitorie non si comprende davvero come 
l�atto di trascrizione del matrimonio possa non essere considerato un provvedimento amministrativo 
bens� �un atto pubblico formale� con effetto dichiarativo e di certificazione, come se 
l�atto amministrativo non fosse un atto pubblico formale e come se non vi fossero, tra gli atti amministrativi, 
anche quelli con effetto dichiarativo e di certificazione come, appunto, i certificati. 
Dalla condivisione di queste premesse, da parte del TAR, sarebbe dovuta conseguire, 
quale logica conseguenza, l�affermazione dell�applicabilit� dell�art. 21 nonies della legge n. 
241 del 1990 a supporto del potere di annullamento del Prefetto. 
Anche sotto tale profilo, quindi, la motivazione della sentenza impugnata si appalesa 
illogica e contraddittoria. 
Infatti, come visto in precedenza, il potere di annullamento gerarchico del Prefetto nelle 
materie di competenza statale esercitate dal Sindaco a livello locale si fonda su specifiche e
CONTENZIOSO NAZIONALE 139 
ben solide basi giuridiche, peraltro confermate anche dalla citata giurisprudenza in materia 
del Consiglio di Stato. 
Inoltre, va evidenziato che nel caso dei matrimoni celebrati all�estero la trascrizione assume 
un valore ulteriore rispetto a quello ordinario, in quanto deve essere preceduta da una 
delibazione in merito alla sussistenza dei requisiti sostanziali in materia di stato e capacit� 
delle persone. Alla luce di tale circostanza non si pu�, quindi, negare che a monte della trascrizione 
vi sia un procedimento amministrativo culminante con l�esercizio di un potere-dovere 
di verifica dei requisiti sostanziali in materia di stato e capacit� delle persone che, quindi, 
d� vita ad un provvedimento produttivo di effetti nella sfera giuridica dei destinatari, all�esito 
di una fattispecie complessa a formazione progressiva. Del tutto legittimo �, quindi, il riferimento 
all�art. 21 nonies della legge 241 del 1990. 
In conclusione, le argomentazioni che precedono hanno evidenziato che non � configurabile 
in capo alle odierne parti appellate una pretesa alla trascrizione di un matrimonio tra 
persone dello stesso sesso celebrato all�estero e che, al contrario, il provvedimento prefettizio 
di annullamento � assistito da solide basi giuridiche ed � stato adottato nel rispetto di una corretta 
procedura. 
Sull�istanza cautelare 
Per quanto riguarda il periculum in mora, si rileva che a sostegno dell�istanza cautelare 
milita l�esigenza di garantire che la fondamentale funzione di stato civile sia esercitata in maniera 
uniforme a livello nazionale, a presidio del preminente interesse pubblico all�unitariet� 
dell�ordinamento, che rischierebbe di essere compromessa ove fosse consentita l�introduzione 
surrettizia di una tipologia di matrimonio al momento non prevista dall�ordinamento, nonch� 
a tutela dell�esigenza di evitare un grave nocumento alla certezza del diritto e delle posizioni 
giuridiche soggettive nei rapporti tra privati e tra privati ed Amministrazioni pubbliche. 
La Circolare del Ministro dell�interno impugnata in questa sede e i conseguenti provvedimenti 
di annullamento degli atti di trascrizione dei matrimoni tra persone dello stesso sesso celebrati 
all�estero, adottati dal Prefetto di Roma e da altri Prefetti sul territorio nazionale, sono 
infatti finalizzati a tutelare l�unitariet� dell�ordinamento giuridico in una materia in cui solo il 
legislatore pu� intervenire per disciplinare forme di riconoscimento delle unioni omosessuali. 
Si pensi che a fronte di trascrizioni gi� avvenute, alcune coppie omosessuali hanno richiesto 
la carta di identit� con la dicitura �coniugato�, altre il congedo matrimoniale al proprio datore di 
lavoro. Potrebbero inoltre essere avanzate pretese volte ad ottenere detrazioni fiscali per il coniuge 
a carico o pensioni di reversibilit� o altri benefici fiscali in assenza di copertura finanziaria. 
� del tutto evidente quindi che il singolo Sindaco, contravvenendo a specifiche direttive, 
non pu� arrogarsi il diritto di �creare� diritti, anche di contenuto economico, a carico del bilancio 
dello Stato, non suffragati dall�esistenza di una norma che solo il legislatore nazionale 
pu� introdurre. 
Per contro, nessun irreparabile pregiudizio pu� verificarsi in capo alle parti appellate 
nelle more del giudizio di merito di secondo grado. 
Innanzi tutto, va precisato che, dalla sentenza impugnata, non potrebbe comunque derivare 
un loro diritto ad ottenere la trascrizione del matrimonio celebrato all�estero ma semmai 
una loro pretesa a che la medesima trascrizione venga annullata all�esito del giudizio di volontaria 
giurisdizione di cui all�art. 95 D.P.R. n. 396/2000. Nessun vantaggio sostanziale potrebbero 
quindi ritrarre le odierne parti appellate dall�esecuzione della sentenza di primo grado. 
Inoltre, a sostegno dell�istanza cautelare avanzata in primo grado, le controparti si sono 
limitate ad affermazioni generiche circa un presunto danno all�identit� personale ed alla sfera
140 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2015 
familiare, senza per� dimostrare in che modo l�annullamento d�ufficio pregiudichi la loro 
sfera personale e non sia possibile attendere l�esito del giudizio di merito. 
In realt�, le argomentazioni in questione sono smentite dalla circostanza che il decreto 
del Prefetto non incide su uno status quo consolidato, in quanto il provvedimento del Sindaco 
� stato annullato, proprio al fine di non pregiudicare l�unitariet� dell�ordinamento giuridico e 
la certezza del diritto, con l�urgenza del caso, per cui non si vede quale modificazione di segno 
negativo nella sfera giuridica dei destinatari il decreto impugnato possa aver prodotto. Il preteso 
danno lamentato dalle parti ricorrenti � tutt�altro che irreparabile ben potendo lo status 
dalle stesse vantato essere ripristinato in caso di esito favorevole del giudizio. 
Se poi � vero che le controparti hanno contratto matrimonio in Spagna da oltre quattro 
anni e solo ora hanno sentito l�urgenza di tutelare anche in via giurisdizionale il loro preteso 
diritto a trascrivere tale atto in Italia, sfugge la ricorrenza di un reale periculum in mora in attesa 
dell�esito del giudizio. 
Davvero paradossale appare infine il cenno all�interesse pubblico a che non vengano 
manomessi �con atti extra ordinem� i registri dello stato civile, �creando un precedente gravissimo� 
in quanto se di atti extra ordinem si pu� parlare tali sono proprio quelli consistiti 
nella trascrizione di matrimoni contratti all�estero tra persone dello stesso sesso in totale assenza 
di una norma di legge che ci� consenta nell�ordinamento italiano e nonostante le precise 
e reiterate direttive in senso contrario impartite dal Ministro dell�interno e dal Prefetto al Sindaco 
in qualit� di ufficiale di Governo. 
Tutto ci� premesso, l�amministrazione in epigrafe, come sopra rappresentata e difesa 
CHIEDE 
che il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, in accoglimento del presente appello, 
voglia annullare, previa sospensione, la sentenza impugnata. 
Ai fini della prenotazione a debito, ai sensi della l. 488/99, si dichiara che il contributo 
unificato ammonta ad euro 650,00, a norma dell�art. 13, comma 6-bis, lettera e) del D.P.R. 30 
maggio 2002, n. 115, aumentato della met� ex art. 1, comma 27, l. 24 dicembre 2012, n. 228. 
Roma, 22 maggio 2015 
Wally Ferrante 
Avvocato dello Stato 
RELATA DI NOTIFICA 
AI SENSI DELL�ART. 55 DELLA LEGGE 19 GIUGNO 2009, N. 69 
L�Avvocatura Generale dello Stato, con sede in Roma, via dei Portoghesi n. 12, ai sensi 
dell�art. 55 della legge 19 giugno 2009, n. 69, nell�interesse del Ministero dell�interno, in persona 
del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso ex lege, ha notificato l�antescritto atto a: 
OMISSIS, rappresentate e difese dagli Avv.ti Mario Di Carlo e Stefania Masini ed elettivamente 
domiciliate presso lo studio di quest�ultima in Roma, via Antonio Gramsci, 24, ivi 
spedendone copia conforme all�originale a mezzo di Poste Italiane spa - Centro di Meccanizzazione 
Postale di Roma Fiumicino (CMP FCO) - Sportello Avanzato per il Servizio Integrato 
Notifiche (SIN) presso l�Avvocatura Generale dello Stato (AGS) - con raccomandata a.r. n. 
____________________ in Roma il___________________ 
CR0N.N. 
Avvocato dello Stato
CONTENZIOSO NAZIONALE 141 
RELATA DI NOTIFICA 
AI SENSI DELL�ART. 55 DELLA LEGGE 19 GIUGNO 2009, N. 69 
L�Avvocatura Generale dello Stato, con sede in Roma, via dei Portoghesi n. 12, ai sensi 
dell�art. 55 della legge 19 giugno 2009, n. 69, nell�interesse del Ministero dell�interno, in persona 
del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso ex lege, ha notificato l�antescritto atto a: 
SINDACO DI ROMA CAPITALE, rappresentato e difeso dall�Avvocatura Comunale di Roma, 
domiciliato in Roma, via Tempio di Giove, 21, ivi spedendone copia conforme all�originale 
a mezzo di Poste Italiane spa - Centro di Meccanizzazione Postale di Roma Fiumicino (CMP 
FCO) - Sportello Avanzato per il Servizio Integrato Notifiche (SIN) presso l�Avvocatura Generale 
dello Stato (AGS) - con raccomandata a.r. n. ____________________ in Roma 
il___________________ 
CR0N.N. 
Avvocato dello Stato 
CT 42472/14 avv. Ferrante
AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO 
CONSIGLIO DI STATO 
IN SEDE GIURISDIZIONALE 
SEZ. III - R.G. 4543/15 
UDIENZA 8.10.2015 
MEMORIA PER IL MERITO 
Per il MINISTERO DELL�INTERNO (C.F. 97149560589) in persona del Ministro pro tempore - 
Prefetto della Provincia di Roma, rappresentato e difeso dall�Avvocatura Generale dello Stato 
(C.F. 80224030587) presso i cui uffici � per legge domiciliato in Roma, via dei Portoghesi 12 
(per il ricevimento degli atti, FAX 06/96514000 e PEC ags_m2@mailcert.avvocaturastato.it) 
C O N T R O 
OMISSIS, come in atti rappresentate e difese 
** ** ** 
Nel richiamare integralmente quanto gi� dedotto con il ricorso in appello, va precisato 
ulteriormente quanto segue in relazione al controricorso e al ricorso incidentale delle parti 
appellate. 
1. Innanzi tutto si prende atto del fatto che le controparti, pur avendo inammissibilmente 
censurato, ai punti 4 e 5 del controricorso in data 13 luglio 2015 la sentenza impugnata nella 
parte in cui ha respinto le relative censure, riconoscendo la legittimit� della Circolare del Ministro 
dell�interno laddove afferma che, allo stato attuale della legislazione nazionale, le coppie omosessuali 
non vantano un diritto a contrarre matrimonio, n� ad ottenere la trascrizione di matrimoni 
celebrati all�estero, hanno ritenuto, successivamente, di notificare il predetto atto �affinch� esso 
possa valere, ove occorra, (in realt� imprescindibilmente) anche quale ricorso incidentale�. 
L�imprescindibilit� dell�appello incidentale � tanto evidente se sol si pensi che, in difetto 
di esso, sarebbe passato in giudicato il capo della sentenza che ha ricostruito il quadro normativo 
e giurisprudenziale vigente nel senso dell�infondatezza di una pretesa volta ad ottenere 
la trascrizione di matrimoni tra persone dello stesso sesso celebrati all�estero, con la conse-
142 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2015 
guenza che le parti appellate non avrebbero potuto ritrarre dall�esecuzione della sentenza impugnata, 
alcun vantaggio immediato e diretto. 
Le trascrizioni illegittimamente effettuate dal Sindaco di Roma, infatti, sarebbero state 
comunque sottoposte all�annullamento da parte di altro organo, in assenza di un titolo giuridico 
su cui fondare la relativa pretesa e pertanto nessuna concreta utilit� avrebbero potuto conseguire 
le controparti dall�accoglimento del ricorso di primo grado. 
Ci� detto, va precisato che non � vero che la sentenza impugnata �non ha inciso in alcun 
modo sull�annotazione della cancellazione� della trascrizione in quanto avendo annullato, 
nei limiti di cui in motivazione, i provvedimenti impugnati, essa ha inciso anche su detta annotazione 
(tutt�ora presente solo perch� la sentenza non � stata ancora eseguita in attesa dell�esito 
dell�appello) che, si ricorda, � stata impugnata dalle parti ricorrenti con motivi aggiunti. 
Infatti le controparti, pur affermando che la trascrizione del matrimonio negli atti dello 
stato civile, non integrerebbe un provvedimento amministrativo bens� �un atto pubblico formale 
con effetto dichiarativo e di certificazione� (categoria che, come si � gi� pi� volte ribadito, � 
al contrario a tutti gli effetti una specie di atto amministrativo, appunto con valore dichiarativo 
e certificativo e non costitutivo), ha ritenuto necessario, correttamente, con atto notificato, 
estendere i motivi di ricorso gi� spiegati, sia in via diretta, sia per illegittimit� derivata, al decreto 
del Prefetto di Roma del 4 dicembre 2014 con il quale � stato nominato un delegato per 
l�esecuzione dell�annotazione del decreto di annullamento della trascrizione de quo nonch� al 
relativo verbale di annotazione nei registri dello stato civile del 5 dicembre 2014. 
Ci� sul presupposto che detti atti costituiscano provvedimenti amministrativi (e se lo 
sono le annotazioni alle trascrizioni, a maggior ragione lo debbono essere le trascrizioni medesime) 
e all�evidente scopo di non rendere improcedibile il ricorso per sopravvenuta carenza 
di interesse in ragione della mancata impugnazione dell�atto finale con il quale la trascrizione 
del matrimonio � stata privata di ogni effetto giuridico. 
2. Ci� precisato, vanno svolte alcune brevi considerazioni in relazione alla richiesta di 
archiviazione della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Udine del 25 novembre 
2014, prodotta in primo grado e nuovamente invocata in questa sede dalle controparti. 
Con tale provvedimento, il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Udine, 
ha chiesto l�archiviazione del procedimento penale instaurato, su esposto dell�Associazione 
LGBTI - Rete Lenford, a carico del Prefetto di Udine e del commissario ad acta da questi 
nominato per provvedere all�annullamento della trascrizione del matrimonio tra due persone 
dello stesso sesso celebrato in Sudafrica, non ravvisando la sussistenza dell�elemento psicologico 
per la configurazione delle ipotesi di reato di falso ideologico (�assai arduo�), di usurpazione 
di funzioni pubbliche e di abuso di ufficio (�per il quale mancherebbe in aggiunta 
anche il vantaggio patrimoniale�). 
Tuttavia, il predetto Procuratore della Repubblica, esulando totalmente dalle funzioni 
proprie del pubblico ministero e dai confini del procedimento penale, ha svolto alcune considerazioni 
che avrebbero pi� opportunamente dovuto trovare ingresso in un giudizio amministrativo 
o semmai nel giudizio di volontaria giurisdizione di cui all�art. 75 R.D. 30 gennaio 
1941, n. 12 (ordinamento giudiziario) in base al quale il pubblico ministero �esercita la vigilanza 
sul servizio dello stato civile e le altre attribuzioni demandategli nella stessa materia, 
in conformit� alle leggi e ai regolamenti�. 
Tali considerazioni vanno comunque radicalmente contestate. 
Quanto all�affermazione che �il dominus dello stato civile � e resta il Sindaco� e che la 
legge non legittimerebbe �un ruolo cos� autoritario e di simile prevaricazione del Prefetto�,
CONTENZIOSO NAZIONALE 143 
vale la pena ricordare che la rubrica dell�art. 54 TUEL recita �Attribuzioni del sindaco nelle 
funzioni di competenza statale�, tra le quali rientrano appunto quelle di cui al comma 3, in 
cui il Sindaco, quale ufficiale del governo, sovrintende alla tenuta dei registri di stato civile. 
Ai sensi del comma 11 di detta norma, �nel caso di inerzia del sindaco � il prefetto pu� intervenire 
con proprio provvedimento�. 
Inoltre, ai sensi dell�art. 9 del D.P.R. 396/2000 recante regolamento per la revisione e la 
semplificazione dell�ordinamento dello stato civile, �L�ufficiale dello stato civile � tenuto ad 
uniformarsi alle istruzioni che vengono impartite dal Ministero dell�interno�. 
Il potere sostitutivo del Prefetto e l�obbligo del Sindaco di uniformarsi alle direttive del 
Ministro dell�interno sono quindi espressamente previsti dalla legge. 
Non vi � stata quindi alcuna �forzatura� del dato normativo; n� questa pu� essere ravvisata 
nel fatto che la base normativa che ha sorretto l�operato del Prefetto trovi in parte la propria collocazione 
anche in una fonte diversa dall�ordinamento dello stato civile (il TUEL o la legge 241/90). 
Destituito di fondamento � quindi l�assunto secondo il quale non vi sarebbe una posizione 
generale di sovraordinazione del Prefetto, rispetto al Sindaco, in materia di stato civile. 
Quanto alla tesi del Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Udine dell�inapplicabilit� 
dell�art. 21 nonies l. 241/90 in quanto �la trascrizione operata dall�ufficiale di 
stato civile non � per nulla un provvedimento amministrativo�, avendo mera natura dichiarativa, 
non si pu� che ribadire che, secondo le pi� basilari nozioni manualistiche, sono da considerarsi 
atti amministrativi gli atti giuridici di diritto pubblico compiuti dai soggetti attivi 
della pubblica amministrazione nell�esercizio di una potest� amministrativa, tra i quali vanno 
annoverato gli atti di accertamento. 
Tra questi ultimi, assumono particolare rilievo, per quanto qui interessa, i certificati che 
integrano dichiarazioni di conoscenza di qualit� personali d�un soggetto o della titolarit� di 
status, capacit� o diritti o dell�esistenza di rapporti giuridici. 
Non si comprende quindi come l�atto di trascrizione del matrimonio possa non essere 
considerato un provvedimento amministrativo bens� �una mera, se pur giuridicamente significativa, 
attivit� dichiarativa ed attestativa� come se non vi fossero, tra gli atti amministrativi, 
anche quelli con effetto dichiarativo e attestativo come, appunto, i certificati. 
Quanto alla considerazione secondo la quale �se al rifiuto dell�ufficiale di stato civile 
di ricevere in tutto o in parte una dichiarazione, di eseguire una trascrizione, un�annotazione 
o altro adempimento il cittadino pu� rivolgersi al Tribunale, analogamente deve valere nel 
caso opposto e cio� nel caso in cui una eseguita trascrizione dall�ufficiale di stato civile sia 
stata fatta, ma la si ritenga invece errata o contraria all�ordine pubblico�, si osserva che la 
proprosizione � condivisibile nella parte in cui pone sullo stesso piano, ai fini della procedura 
da seguire, il �cittadino� che pretenda la trascrizione o l�annotazione nei registri dello stato 
civile e il �cittadino� che intenda opporsi alla trascrizione o all�annotazione illegittimamente 
avvenuta, come ad esempio nel caso della trascrizione del matrimonio tra due persone di cui 
una risulti gi� coniugata all�estero e il cui coniuge intenda appunto promuovere la cancellazione 
della trascrizione del matrimonio avvenuta in Italia. 
� evidente invece che la formulazione dell�art. 95 D.P.R. 396/2000 �Chi intende promuovere 
la rettificazione di un atto dello stato civile � deve proporre ricorso al Tribunale � 
� non pu� certamente ritenersi applicabile al Ministro dell�interno e per esso al Prefetto, titolari 
della funzione in materia di stato civile, di esclusiva competenza statale ed esercitata in ambito 
territoriale dal Sindaco in veste di ufficiale di Governo, al fine di garantire la certezza del diritto 
e dei rapporti giuridici tra privati e tra questi e la pubblica amministrazione.
144 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2015 
La Circolare del Ministro dell�interno impugnata in questa sede e i conseguenti provvedimenti 
di annullamento degli atti di trascrizione dei matrimoni tra persone dello stesso sesso 
celebrati all�estero, adottati dal Prefetto di Roma e da altri Prefetti sul territorio nazionale, sono 
infatti finalizzati a tutelare l�unitariet� dell�ordinamento giuridico in una materia in cui solo il 
legislatore pu� intervenire per disciplinare forme di riconoscimento delle unioni omosessuali. 
3. Ci� detto, si osserva che le controparti assumono il difetto assoluto di attribuzione del 
Prefetto ad annullare la trascrizione di un matrimonio nei registri dello stato civile in virt� della 
specificit� della disciplina dell�ordinamento dello stato civile che, sembra di capire, renderebbe 
inapplicabili le norme generali che disciplinano �qualsiasi procedimento amministrativo� quali 
l�art. 21 nonies della legge n. 241/90 nonch� le norme speciali attinenti proprio al rapporto tra 
Prefetto e Sindaco in veste di Ufficiale di Governo quali l�art. 54 TUEL che regola le �attribuzioni 
del sindaco nelle funzioni di competenza statale�, contemplando, al comma 3, la tenuta 
dei registri di stato civile, e che al comma 11 prevede espressamente il potere sostitutivo del 
Prefetto nell�adozione di provvedimenti omessi dal Sindaco anche in tale ambito. 
Alla luce di tali norme tanto cogenti quanto chiare, che sanciscono la competenza statale 
nella materia della tenuta degli atti dello stato civile e la competenza delegata del Sindaco 
quale organo periferico dello Stato (tale � l�Ufficiale di Governo) ci si domanda come possa 
essere messo in dubbio il potere gerarchico del Prefetto rispetto al Sindaco, peraltro paci ficamente 
riconosciuto dalla Corte di cassazione anche a Sezioni Unite (Cass., Sez. Un. n. 
21658/2009; Cass., sez. I, n. 1599/2000) - a nulla rilevando che si tratterebbe di �organi incardinati 
in enti soggettivamente diversi�. 
Infatti il Sindaco � incardinato presso un ente diverso dallo Stato solo quando riveste le 
funzioni di organo di vertice del Comune e non anche nelle sue funzioni di Ufficiale di Governo, 
riconducibili formalmente e sostanzialmente allo Stato medesimo. 
Peraltro, anche volendo, per mera ipotesi, configurare il suddetto rapporto come di �coordinamento� 
o di �gerarchia impropria�, lo stesso Autore citato da controparte definisce tale 
rapporto come �una figura (almeno tendenzialmente) di sovraordinazione predisposta per realizzare 
la unit� di indirizzo di uffici od enti dotati di autonomia. Essa comporta in ogni caso 
nell�ufficio coordinatore il potere di impartire direttive (in senso tecnico) e negli uffici coordinati 
l�obbligo di tenerle presenti e di non discostarsene se non per plausibili motivi�. 
Al riguardo va ribadito che l�adozione della Circolare del Ministro dell�interno impugnata 
in questa sede � finalizzata proprio a garantire quell�unit� di indirizzo degli uffici ricoperti 
dai Sindaci che, sul territorio nazionale, avevano iniziato ad adottare provvedimenti di 
trascrizione di matrimoni tra persone dello stesso sesso celebrati all�estero, questi si, �interventi 
creativi�, con buona pace della tassativit� degli atti trascrivibili nei registri dello stato 
civile e, sinanco, provvedimenti generali con i quali venivano impartite direttive in tal senso 
agli ufficiali di stato civile, come quello adottato dal Sindaco di Napoli (oggetto del ricorso 
dichiarato inammissibile dal TAR Lazio con sentenza del 9 marzo 2015, n. 3900) arrogandosi 
indebitamente scelte discrezionali spettanti solo ed esclusivamente al Legislatore, come ripetutamente 
ribadito sia dalla Corte costituzionale, sia dalla Corte di cassazione. 
Inoltre, � vero che gli atti dello stato civile attingono la loro legittimit� esclusivamente 
e direttamente dalla legge e certamente non da istruzioni del Ministro ma � anche vero che 
dette istruzioni si fondano proprio sul rispetto della legge che invece il Sindaco di Roma ha 
palesemente violato, contravvenendo al chiaro disposto dell�art. 27, comma 1 della legge di 
riforma del diritto internazionale privato n. 218/1995, secondo cui �la capacit� matrimoniale 
e le altre condizioni per contrarre matrimonio sono regolate dalla legge nazionale di ciascun
CONTENZIOSO NAZIONALE 145 
nubendo al momento del matrimonio�, dell�art. 115 del codice civile, secondo cui �il cittadino 
� soggetto alle disposizioni contenute nella sezione prima di questo capo, anche quando contrae 
matrimonio in paese straniero secondo le forme ivi stabilite�, dell�art. 107 c.c., in base 
al quale l�ufficiale dello stato civile �riceve da ciascuna delle parti personalmente, l'una dopo 
l'altra, la dichiarazione che esse si vogliono prendere rispettivamente in marito e in moglie, 
e di seguito dichiara che esse sono unite in matrimonio�, degli articoli 108, 143 e 143 bis del 
medesimo codice e dell�art. 64, comma 1, lett. e) del d.P.R. 396/2000 in base ai quali la diversit� 
di sesso dei nubendi rappresenta un requisito sostanziale necessario affinch� il matrimonio 
produca effetti giuridici nell�ordinamento interno, come ripetutamente confermato sia 
dalla Corte costituzionale (sentenze n. 138 del 2010 e n. 170 del 2014), sia dalla Corte di cassazione 
(sentenza n. 4184 del 2012). 
4. Da ultimo, la Suprema Corte, con la sentenza del 9 febbraio 2015, n. 2400 versata in 
atti, ha confermato la legittimit� del diniego dell�ufficiale di stato civile di procedere alle pubblicazioni 
di matrimonio richieste da due persone dello stesso sesso, ribadendo che, secondo la 
sentenza n. 138 del 2010 della Corte costituzionale, �l�art. 12 CEDU e l�art. 9 della Carta dei 
diritti fondamentali dell�Unione Europea lasciano al legislatore nazionale di stabilire forme e 
disciplina giuridica delle unioni, tra persone dello stesso sesso. Tali scelte rientrano pienamente 
nel margine di discrezionalit� dei singoli stati, dovendosi escludere, per questa specifica tipologia 
di unioni l�imposizione di un modello normativo unico da trarre dal paradigma matrimoniale�. 
Pertanto, prosegue la Suprema Corte, deve escludersi �che la mancata estensione del 
modello matrimoniale alle unioni tra persone dello stesso sesso determini una lesione dei parametri 
integrati della dignit� umana e dell�uguaglianza, i quali assumono pari rilievo nelle 
situazioni individuali e nelle situazioni relazionali rientranti nelle formazioni sociali costituzionalmente 
protette ex artt. 2 e 3 Cost.�. 
Peraltro, non solo la giurisprudenza nazionale ma anche quella europea conforta la legittimit� 
degli atti impugnati. 
Invero, per giustificare l�operato del Sindaco, la controparte riporta enfaticamente ampi 
stralci della sentenza della CEDU, 24 giugno 2010, caso Schalk e Kopf contro Austria quasi 
dimenticando le conclusioni finali cui � giunta la Corte Europea che, come noto, ha statuito 
che il rifiuto dell�ufficiale di stato civile di adempiere le formalit� richieste per la celebrazione 
di un matrimonio tra persone dello stesso sesso non contrasta con la CEDU. 
Si ricorda infatti che l�art. 12 della CEDU prevede espressamente che �uomini e donne 
in et� adatta hanno diritto di sposarsi e di fondare una famiglia secondo le leggi nazionali 
regolanti l�esercizio di tale diritto� e fa riferimento alla nozione tradizionale di matrimonio 
fondato sulla diversit� di sesso dei nubendi. 
La Corte di cassazione, nella citata sentenza n. 2400 del 2015, ha infatti sottolineato che 
�la linea tracciata dalla Corte di Strasburgo in ordine al margine di apprezzamento degli Stati 
membri � rimasta coerente nelle sentenze Schalk and Kopf c. Austria del 24 giugno 2010, 
Gas e Dubois c. Francia del 15 marzo 2012 fino alla pi� recente Hamalainen c. Finlandia del 
16 luglio 2014. L�art. 12, ancorch� formalmente riferito all�unione matrimoniale eterosessuale, 
non esclude che gli Stati membri estendano il modello matrimoniale anche alle persone dello 
stesso sesso, ma nello stesso tempo non contiene alcun obbligo al riguardo. Nell�art. 8, che 
sancisce il diritto alla vita privata e familiare, � senz�altro contenuto il diritto a vivere una relazione 
affettiva tra persone dello stesso sesso protetta dall�ordinamento, ma non necessariamente 
mediante l�opzione del matrimonio per tali unioni�. 
N� il quadro pu� dirsi mutato alla luce della recente sentenza della CEDU del 21 luglio 2015,
146 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2015 
Oliari ed altri c. Italia (la coppia Oliari e A. fu proprio quella che approd�, su rimessione della 
Corte d�appello di Trento, alla Corte costituzionale, che pronunci� la sentenza n. 138 del 2010). 
La Corte di Strasburgo, infatti, lungi dall�affermare la sussistenza di obbligo dello Stato 
italiano di estendere l�istituto del matrimonio anche alle coppie omosessuali, negando la violazione 
dell�art. 12 della Convenzione, che disciplina appunto il diritto al matrimonio, si � limitata 
a riconoscere il diritto delle persone dello stesso sesso a vedere disciplinata e protetta 
la loro unione da uno specifico quadro normativo, conformemente all�art. 8 della Convenzione, 
che prevede il diritto al rispetto della vita privata e familiare (v. punto 185). 
Si tratta quindi di un monito al Legislatore italiano, de iure condendo e nell�ambito della 
sua discrezionalit� politica, dal quale non pu� trarsi alcun vincolo nel presente giudizio, che attiene 
esclusivamente alla legittimit� dei provvedimenti impugnati nel quadro della legislazione vigente. 
Molto chiara � invece l�affermazione della Corte secondo la quale la Convenzione non impone 
agli Stati membri di consentire l�accesso al matrimonio alle persone dello stesso sesso, n� 
sotto il profilo della violazione dell�art. 12, n� sotto il profilo della violazione dell�art. 14, che prevede 
il divieto di discriminazione, �senza alcuna distinzione fondata soprattutto sul sesso, la razza, 
il colore, la lingua, la religione, le opinioni politiche o altre opinioni, l�origine nazionale o sociale, 
l�appartenza ad una minoranza nazionale, sui beni di fortuna, nascita o ogni altra condizione�. 
Si vedano in particolare i punti 191, 192 e 193: �191. The Court notes that in Schalk 
and Kopf the Court found under Article 12 that it would no longer consider that the right to 
marry must in all circumstances be limited to marriage between two persons of the opposite 
sex. However, as matters stood (at the time only six out of forty-seven CoE member States 
allowed same-sex marriage), the question whether or not to allow same-sex marriage was left 
to regulation by the national law of the Contracting State. The Court felt it must not rush to 
substitute its own judgement in place of that of the national authorities, who are best placed 
to assess and respond to the needs of society. It followed that Article 12 of the Convention 
did not impose an obligation on the respondent Government to grant a same-sex couple like 
the applicants access to marriage. The same conclusion was reiterated in the more recent Hamalainen, 
where the Court held that while it is true that some Contracting States have extended 
marriage to same-sex partners, Article 12 cannot be construed as imposing an obligation on 
the Contracting States to grant access to marriage to same-sex couples. 192. The Court notes 
that despite the gradual evolution of States on the matter (today there are eleven CoE States 
that have recognised same-sex marriage) the findings reached in the cases mentioned above 
remain pertinent. In consequence the Court reiterates that Article 12 of the Convention does 
not impose an obligation on the respondent Government to grant a same-sex couple like the 
applicants access to marriage. 193. Similarly, in Schalk and Kopf, the Court held that Article 
14 taken in conjunction with Article 8, a provision of more general purpose and scope, cannot 
be interested as imposing such an obligation either. The Court considers that the same can be 
said of Article 14 in conjunction with Article 12�. 
La legittimit� degli atti impugnati � quindi pienamente confermata anche dalla pi� recente 
giurisprudenza della CEDU. 
5. Quanto all�invocato art. 19 del D.P.R. 396/2000, in base al quale possono essere trascritti 
gli atti dello stato civile formati all�estero relativi a cittadini stranieri residenti in Italia, 
appare del tutto evidente l�inconferenza di tale norma rispetto alla fattispecie di cui trattasi in 
cui entrambe le ricorrenti sono cittadine italiane. 
N� detta norma pu� ritenersi applicabile alle trascrizioni, effettuate dal Sindaco di Roma, 
di matrimoni tra persone dello stesso sesso di cui una sola abbia la cittadinanza italiana.
CONTENZIOSO NAZIONALE 147 
La pretesa di estendere la portata della richiamata disposizione di legge anche a casi 
nella stessa assolutamente non contemplati stride non solo con il suo chiaro tenore letterale 
ma anche con la sua ratio che, come riconosciuto da controparte, � esclusivamente quella di 
�offrire agli interessati la possibilit� di ottenere dagli uffici dello stato civile italiani la copia 
integrale degli atti che li riguardano cos� come formulati all�estero� . 
E certamente la limitazione della richiamata norma agli atti riguardanti cittadini stranieri 
residenti in Italia non pu� affatto ritenersi discriminatoria nei confronti dei cittadini italiani, 
essendo pacifico che la violazione del principio di uguaglianza ricorre solo quando vengano 
trattate in modo diverso due situazioni identiche e non anche quando siano disciplinate in 
modo diverso situazioni differenti. 
N� � dato comprendere cosa intenda controparte quando si duole della non trascrivibilit� 
di matrimoni contratti all�estero fra italiani che �si traduce nel mancato risconoscimento di 
uno status acquisito validamente all�estero che l�individuo ha diritto a vedersi riconosciuto 
in quanto tale, a prescindere da ogni ulteriore considerazione sul fatto che da questo diritto 
possano sorgere un complesso di diritti e doveri che costituiscono appunto il rapporto�. Non 
si vede come possa sussistere un interesse tutelabile al riconoscimento di uno status se non 
per ottenere anche il riconoscimento degli effetti che ne derivano. 
Infatti, se davvero la trascrizione di siffatti matrimoni fosse priva di effetti in Italia verrebbe 
meno ogni concreto interesse delle odierne parti appellate ad ottenere detta trascrizione 
e ad impugnare l�atto che l�ha annullata. 
� vero invece, come si � cercato di dimostrare anche esemplificativamente (nell�illustrare 
l�istanza di sospensione della sentenza) che da dette trascrizioni potrebbero derivare 
effetti, anche di contenuto economico, a carico del bilancio dello Stato in assenza di copertura 
finanziaria, non esistendo una norma di legge che tali trascrizioni consenta. 
6. Quanto al decreto del Tribunale di Grosseto del 9 aprile 2014 invocato da controparte, 
che ha ordinato la trascrizione nei registri dello stato civile del matrimonio contratto all�estero 
tra due persone dello stesso sesso, si ricorda che la stessa � stata annullata dalla Corte d�appello 
di Firenze con decreto del 19 settembre 2014 per motivi attinenti all�integrit� del contraddittorio. 
A seguito del rinvio al giudice di primo grado il Tribunale di Grosseto, con decreto del 26 febbraio 
2015, n. 215 ha nuovamente accolto la domanda degli istanti; detto provvedimento � stato 
successivamente annullato con decreto del 1.7.2015, n. 1014 della Corte d�appello di Firenze. 
Del resto � stato proprio in ragione di tale isolato precedente (che avrebbe comunque potuto 
costituire un precedente per altri analoghi casi in altre parti del territorio italiano) che il 
Ministro dell�interno si � determinato ad adottare la Circolare qui impugnata al fine di assicurare 
quella uniformit� di indirizzo che, sola, pu� garantire la certezza dei rapporti giuridici. 
Peraltro in senso opposto si sono determinati successivamente sia il Tribunale di Pesaro, 
con decreto del 21 ottobre 2014 n. 1428 in atti, sia il Tribunale di Avellino con decreto del 9 
ottobre 2014, n. 877 in atti. 
Il primo provvedimento citato ha, tra l�altro, chiarito che �allo stato difetta nel nostro ordinamento 
una qualunque disciplina e tutela delle unioni tra soggetti dello stesso sesso. Il giudice 
non pu� certamente sostituirsi al legislatore, stabilendo i diritti, le garanzie e gli obblighi 
delle unioni omosessuali. D�altra parte, nel vuoto normativo esistente, la mancata trascrizione 
di una unione tra soggetti dello stesso sesso non d� luogo in s� ad alcuna irragionevole discriminazione 
e quindi non costituisce una violazione dell�art. 3 della Costituzione, in quanto - 
come affermato dalla Corte costituzionale - le unioni omosessuali, allo stato, non possono essere 
ritenute omogenee al matrimonio (vedere in questo senso Corte costituzionale n. 138/2010)�.
148 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2015 
Nel citato decreto del 1 luglio 2015, inoltre, la Corte d�appello di Firenze mette in risalto 
che �il Tribunale ha ritenuto di poter esaminare la questione della trascrivibilit� dell�atto di 
matrimonio contratto all�estero da persone del medesimo sesso �in disparte da ogni considerazione 
su possibili ed auspicabili interventi legislativi futuri� stigmatizzando �la contraddizione 
che si rinviene tra l�affermata consapevolezza della necessit� di un intervento del 
legislatore e la pretesa di poter decidere comunque (�in disparte�) sulla tutela di situazioni 
giuridiche soggettive che non ha trovato riconoscimento nel diritto positivo�. 
Last but not least, va evidenziato che, in identico contenzioso, il TAR Veneto, con la 
sentenza del 29 luglio 2015, n. 878, ha integralmente respinto il ricorso avverso il provvedimento 
del Prefetto di Treviso che, in ossequio alla Circolare ministeriale, ha annullato la trascrizione 
del matrimonio tra due persone dello stesso sesso contratto all�estero. 
In detta pronuncia si afferma che �non pu� essere condiviso l�assunto di parte ricorrente 
secondo cui nel quadro normativo vigente non sussisterebbero in capo al Prefetto, quale organo 
territoriale del Governo, i contestati poteri di annullamento d�ufficio in via gerarchica e di intervento 
sostitutivo in relazione agli atti adottati dal Sindaco quale incaricato ex lege della tenuta 
dei registri dello stato civile�. 
Infatti, prosegue il TAR Veneto, �la posizione di sovra-ordinazione statale nei confronti 
del sindaco quale ufficiale di Governo ed il conseguente potere d�annullamento d�ufficio, in 
via gerarchica, degli atti illegittimamente adottati in tal veste, trovano espresso riconoscimento 
normativo nella disposizione di cui all�art. 9, commi 1 e 2 del d.P.R. n. 396/2000, a tenore del 
quale il sindaco, in qualit� di esecutore della legge nazionale e non anche di rappresentante 
della comunit� locale, � tenuto �ad uniformarsi alle istruzioni che vengono impartite dal Ministero 
dell�Interno�, istruzioni della cui corretta esecuzione � specificatamente incaricato il 
prefetto in quanto titolare del relativo potere di vigilanza (cfr., in tal senso, Cass. Civ., sez. 
un., n. 21658 del 2009). 
Il TAR Veneto precisa, inoltre, nella richiamata pronuncia che �sempre sotto il profilo 
normativo, la sussistenza del potere del prefetto di sostituirsi al sindaco in caso di mancato 
adempimento alle istruzioni impartite dal Ministro dell�Interno, trova puntuale riscontro nell�art. 
54, comma 11, del d.lgs. n. 267/2000, il quale, proprio in tema di tenuta dei registri dello 
stato civile, prevede espressamente, in caso di inerzia del sindaco, il potere d�intervento del 
prefetto �con proprio provvedimento�. 
Quanto all�osservanza della procedura di cui all�art. 95 del d.P.R. n. 396/2000, il TAR Veneto 
chiarisce che detta disposizione va interpretata �nel senso che essa abbia quale punto di riferimento 
il singolo individuo che chiede la rettificazione di un atto di stato civile che lo riguardi 
e non anche il Ministro dell�Interno, ovvero il prefetto, nell�atto di rimuovere l�illegittima trascrizione 
di una tipologia di matrimonio allo stato non riconosciuto dall�ordinamento giuridico, 
a fronte, peraltro, del rifiuto espresso da parte del sindaco in questione di procedere in tal senso�. 
Quanto all�art. 453 c.c., in base al quale �nessuna annotazione pu� essere fatta sopra 
un atto gi� scritto nei registri se non � disposta per legge ovvero non � disposta dall�autorit� 
giudiziaria�, va precisato che l�amministrazione appellante non ne ha mai sostenuto �l�abrogazione 
implicita�, come sostenuto dalle controparti, n� ha mai ammesso che i poteri attribuiti 
al Ministro o al Prefetto confliggano con detta norma, �riguardando invero detta disposizione 
le ipotesi di annotazioni in calce a quelle correttamente eseguite, quali, ad esempio, la cessazione 
degli effetti civili del matrimonio o la rettificazione dell�attribuzione del sesso, e non 
anche quelle conseguenti all�esercizio del potere di annullamento d�ufficio di una trascrizione 
disposta in aperto contrasto con i dettami dell�ordinamento giuridico, trascrizione che, nel
CONTENZIOSO NAZIONALE 149 
caso di specie, � stata effettuata al solo fine di introdurre surrettiziamente una tipologia di matrimonio 
allo stato non prevista dalla legge e che potrebbe peraltro ingenerare un falso affidamento 
nei confronti degli stessi ricorrenti, non potendo costoro beneficiare, stante 
l�inefficacia di tale atto per lo Stato italiano, di nessuno dei vantaggi che la legge riconosce 
invece al matrimonio celebrato tra persone di sesso diverso (quali, ad esempio, il diritto di 
succedere ab intestato o il diritto alla pensione di reversibilit�, entrambi spettanti al coniuge 
superstite)� (cfr. TAR Veneto, sent. cit. n. 878 del 2015). 
In ragione di quanto sopra esposto, si ritiene che l�operato del Ministro dell�interno 
prima e del Prefetto poi, nell�ambito dei poteri di sorveglianza e sostitutivi ad essi conferiti 
dalla legge, sia pienamente legittimo e finalizzato a ricondurre l�azione dei Sindaci quali Ufficiali 
di Governo nel rispetto della legalit� e nell�osservanza dei principi dell�ordinamento 
giuridico italiano. 
Tutto ci� premesso, l�amministrazione in epigrafe, come sopra rappresentata e difesa 
CHIEDE 
che il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, in accoglimento del presente appello, 
e previo rigetto dell�appello incidentale, voglia annullare la sentenza impugnata. 
Roma, 7 settembre 2015 
Wally Ferrante 
Avvocato dello Stato 
Consiglio di Stato, Sezione Terza, sentenza 26 ottobre 2015 n. 4897 - Pres. G. Romeo, Est. 
C. Deodato - Ministero dell�Interno, Prefetto di Roma (avv. Stato W. Ferrante) c. Sindaco di 
Roma Capitale (avv.ti R. Murra), Omissis (avv. L. Torchia, M.S. Masini, M. Di Carlo). 
FATTO 
Con la sentenza impugnata il Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, dopo aver riconosciuto 
l�insussistenza di qualsivoglia diritto alla trascrizione negli atti dello stato civile 
di matrimoni tra coppie omosessuali celebrati all�estero (e, di conseguenza, la legittimit� della 
circolare in data 7 ottobre 2014 con cui il Ministro dell�interno ne aveva stabilito l�intrascrivibilit� 
in Italia), ha, nondimeno, giudicato illegittimi (annullandoli, in parziale accoglimento 
del ricorso di primo grado) l�impugnato provvedimento con cui il Prefetto di Roma aveva decretato 
l�annullamento delle trascrizioni dei matrimoni celebrati all�estero dai ricorrenti e la 
presupposta, menzionata circolare (nella parte in cui invitava i Prefetti ad annullare dette trascrizioni), 
sulla base dell�assorbente rilievo per cui la rettifica o la cancellazione degli atti 
dello stato civile resta riservata in via esclusiva all�autorit� giudiziaria ordinaria. 
Avverso la predetta decisione proponeva appello il Ministero dell�interno, contestando la correttezza 
del gravato giudizio di illegittimit�, sulla base delle argomentazioni difensive di seguito illustrate 
ed esaminate, e domandandone la riforma, con conseguente reiezione del ricorso di primo grado. 
Resistevano gli originari ricorrenti, contestando la fondatezza dell�appello, difendendo la correttezza 
del giudizio di illegittimit� formulato dai giudici di prima istanza, impugnando, in 
via incidentale, la statuizione relativa alla illegittimit� della trascrizione in Italia di matrimoni 
tra coppie omosessuali contratti all�estero (ed insistendo nel rivendicare il relativo diritto) e 
concludendo per la reiezione dell�appello principale del Ministero e per la parziale riforma 
della decisione impugnata, in accoglimento del proprio appello incidentale.
150 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2015 
Resisteva anche Roma Capitale, contestando la fondatezza dell�appello del Ministero e concludendo 
per la sua reiezione. 
Il ricorso veniva trattenuto in decisione alla pubblica udienza dell�8 ottobre 2015. 
DIRITTO 
1.- Come gi� rilevato in fatto, il Tribunale capitolino ha affermato la intrascrivibilit� dei matrimoni 
contratti all�estero tra persone dello stesso sesso, ma ha riconosciuto la illegittimit� 
del provvedimento prefettizio di annullamento delle relative trascrizioni (e della presupposta 
circolare, nei limiti sopra precisati). 
La decisione appellata si compone, quindi, di due distinti accertamenti: uno favorevole al Ministero 
dell�interno e uno favorevole ai ricorrenti (e al Sindaco di Roma). 
Entrambe tali statuizioni sono state appellate: in via principale quella demolitoria del decreto 
prefettizio di annullamento della trascrizione; in via incidentale quella di accertamento dell�insussistenza 
di un diritto delle coppie omosessuali alla trascrizione nei registri dello stato 
civile dei loro matrimoni celebrati all�estero. 
Il rispetto dell�ordine logico nella disamina delle censure ritualmente introdotte nel giudizio 
di appello impone di principiare dall�esame dell�appello incidentale, siccome afferente ad una 
questione (la trascrivibilit� in Italia di matrimoni omosessuali contratti all�estero) logicamente 
antecedente rispetto a quella (il potere del Prefetto di annullare le loro trascrizioni in Italia) 
oggetto dell�appello principale. 
2.- Mediante le censure articolate nell�appello incidentale gli originari ricorrenti reclamano, 
a ben vedere, il (o, meglio, l�affermazione del) diritto alla trascrizione in Italia di matrimoni 
omosessuali celebrati all�estero, insistendo, perci�, nel dedurre l�illegittimit� della gravata 
circolare del Ministro dell�interno (l� dove aveva impartito istruzioni impeditive di esse). 
Cos� decifrata la domanda, occorre procedere a una preliminare (e sintetica) ricognizione dei 
principi e delle regole che governano la trascrizione degli atti di matrimonio formati in un 
altro Paese (e alla cui stregua dev�essere giudicata la fondatezza della pretesa sostanzialmente 
azionata dagli originari ricorrenti). 
2.1- Gli artt. 27 e 28 della legge 31 maggio 1995, n. 218 (Riforma del sistema italiano di 
diritto internazionale privato) stabiliscono i presupposti di legalit� del matrimonio (nei casi 
in cui alcuni elementi della fattispecie si riferiscano ad ordinamenti giuridici di diversi Stati), 
prevedendo, in particolare (e per quanto qui rileva) che le condizioni (soggettive) di validit� 
�sono regolate dalla legge nazionale di ciascun nubendo�� (art. 27) e che �il matrimonio � 
valido, quanto alla forma, se � considerato tale dalla legge del luogo di celebrazione o dalla 
legge nazionale di almeno uno dei coniugi�� (art. 28). 
L�art. 115 del codice civile assoggetta, inoltre, espressamente i cittadini italiani all�applicazione 
delle disposizioni codicistiche che stabiliscono le condizioni necessarie per contrarre matrimonio 
(tale dovendosi intendere il rinvio alla sezione prima del terzo capo, del titolo sesto, del 
libro primo del codice civile), anche quando l�atto viene celebrato in un paese straniero. 
La lettura combinata delle disposizioni citate, che disegnano un sistema regolatorio univoco 
circa l�identificazione degli elementi che condizionano la validit� e l�efficacia del matrimonio 
tra cittadini italiani celebrato all�estero, esige l�enucleazione degli indefettibili requisiti sostanziali 
(quanto, segnatamente, allo stato ed alla capacit� dei nubendi) che consentono al 
predetto atto di produrre, nell�ordinamento nazionale, i suoi effetti giuridici naturali. 
E risulta agevole individuare la diversit� di sesso dei nubendi quale la prima condizione di validit� 
e di efficacia del matrimonio, secondo le regole codificate negli artt. 107, 108, 143, 143 
bis e 156 bis c.c. ed in coerenza con la concezione del matrimonio afferente alla millenaria tra-
CONTENZIOSO NAZIONALE 151 
dizione giuridica e culturale dell�istituto, oltre che all�ordine naturale costantemente inteso e 
tradotto nel diritto positivo come legittimante la sola unione coniugale tra un uomo e una donna. 
A prescindere, quindi, dalla catalogazione squisitamente dogmatica del vizio che affligge il 
matrimonio celebrato (all�estero) tra persone dello stesso sesso (che si rivela, ai fini della soluzione 
della questione controversa, del tutto ininfluente), deve concludersi che, secondo il 
sistema regolatorio di riferimento (per come dianzi riassunto), un atto siffatto risulta sprovvisto 
di un elemento essenziale (nella specie la diversit� di sesso dei nubendi) ai fini della sua idoneit� 
a produrre effetti giuridici nel nostro ordinamento (Cass. Civ., sez. I, 9 febbraio 2015, 
n.2400; sez. I, 15 marzo 2012, n.4184). 
Che si tratti di atto radicalmente invalido (cio� nullo) o inesistente (che appare, tuttavia, la 
classificazione pi� appropriata, vertendosi in una situazione di un atto mancante di un elemento 
essenziale della sua stessa giuridica esistenza), il matrimonio omosessuale deve, infatti, 
intendersi incapace, nel vigente sistema di regole, di costituire tra le parti lo status giuridico 
proprio delle persone coniugate (con i diritti e gli obblighi connessi) proprio in quanto privo 
dell�indefettibile condizione della diversit� di sesso dei nubendi, che il nostro ordinamento 
configura quale connotazione ontologica essenziale dell�atto di matrimonio. 
2.2- Cos� riscontrata l�inattitudine del matrimonio omosessuale contratto all�estero da cittadini 
italiani di produrre qualsivoglia effetto giuridico in Italia, occorre esaminare il regime positivo 
della sua trascrivibilit� negli atti dello stato civile. 
Risulta, al riguardo, decisiva la previsione dell�art. 64 del d.P.R. 3 novembre 2000, n. 396 (Regolamento 
per la revisione e la semplificazione dell�ordinamento dello stato civile) che, l� dove cataloga 
(con un�elencazione tassativa) gli elementi e i contenuti (formali e sostanziali) prescritti per 
la trascrivibilit� dell�atto di matrimonio, impone evidentemente (ancorch� implicitamente) all�ufficiale 
dello stato civile il potere (rectius: il dovere) di controllarne la presenza, prima di procedere 
alla trascrizione dell�atto (da valersi quale atto dovuto, pur a fronte della sua natura dichiarativa, e 
non costitutiva, solo se ricorrono tutte le condizioni elencate nella predetta disposizione). 
Ne consegue che il corretto esercizio della predetta potest� impedisce all�ufficiale dello stato 
civile la trascrizione di matrimoni omosessuali celebrati all�estero, per il difetto della condizione 
relativa alla �dichiarazione degli sposi di volersi prendere rispettivamente in marito e 
moglie�, prevista dall�art. 64, comma 1, lett. e), d.P.R. cit., quale condizione dell�atto di matrimonio 
trascrivibile (cos� come dall�art. 16, d.P.R. cit., rubricato �Matrimonio celebrato all�estero�, 
che utilizza, evidentemente, la dizione �sposi� nell�unica accezione codicistica, 
codificata all�art. 107 c.c., di marito e moglie). 
Anche escludendo, quindi, l�applicabilit� alla fattispecie considerata del fattore ostativo previsto 
all�art. 18 d.P.R. cit. (non potendosi qualificare come contrario all�ordine pubblico il 
matrimonio tra persone dello stesso sesso), la trascrizione dell�atto in questione deve intendersi 
preclusa proprio dal difetto di uno degli indispensabili contenuti dell�atto di matrimonio trascrivibile 
(e la cui verifica preliminare deve ritenersi compresa nei doverosi adempimenti affidati 
all�ufficiale dello stato civile). 
2.3- Una volta accertata l�inesistenza, alla stregua dell�ordinamento positivo, di un diritto alla 
trascrizione dei matrimoni omosessuali celebrati all�estero (e, quindi, la legittimit� della circolare 
del Ministro dell�interno che la vieta), occorre verificare se il titolo rivendicato dagli 
originari ricorrenti possa essere affermato in esito ad un�operazione ermeneutica imposta dal 
rispetto di principi costituzionali o enunciati in convenzioni internazionali. 
Gli appellanti incidentali sostengono, infatti, che il rispetto dei diritti e delle libert� sanciti in 
atti europei o in trattati internazionali ovvero riconosciuti da decisioni di organi di giustizia
152 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2015 
sovranazionali vincolino i giudici nazionali, ai sensi dell�art. 117, primo comma, Cost., a una 
lettura dell�apparato regolatorio ut supra riassunto, nel senso di ammettere la trascrizione in 
Italia di matrimoni tra coppie omosessuali celebrati all�estero. 
2.4.- La compatibilit� del divieto, in Italia, di matrimoni tra persone dello stesso sesso (e, 
quindi, si aggiunga, come logico corollario, della trascrizione di quelli celebrati all�estero) � 
gi� stata scrutinata ed affermata dalla Corte Costituzionale (Corte Cost., sent. 11 giugno 2014, 
n. 170; sent. 15 aprile 2010, n. 138; ordinanze n. 4 del 2011 e n. 276 del 2010), che ha chiarito 
come la regolazione normativa censurata risulti, per un verso, compatibile con l�art. 29 della 
Costituzione (contestualmente interpretato come riferito alla nozione civilistica di matrimonio 
tra persone di sesso diverso) e, per un altro, conforme alle norme interposte contenute negli 
artt. 12 della CEDU e 9 della Carta dei diritti fondamentali dell�Unione Europea (d�ora innanzi 
Carta di Nizza), nella misura in cui le stesse rinviano espressamente alle legislazioni nazionali, 
senza vincolarne i contenuti, la disciplina dell�istituto del matrimonio, riservandosi l�eventuale 
delibazione dell�incostituzionalit� di disposizioni legislative che introducono irragionevoli 
disparit� di trattamento delle coppie omosessuali in relazioni ad ipotesi particolari (per le quali 
si impone il trattamento omogeneo tra le due tipologie di unioni). 
Come si vede, dunque, il Giudice delle leggi ha gi� affermato la coerenza dell�omessa omologazione 
del matrimonio omosessuale a quello eterosessuale, alla stregua dei parametri ivi 
esaminati e, in particolare, a quello previsto all�art. 29, che, nella lettura della Corte Costituzionale 
si risolve in una costituzionalizzazione del matrimonio tra persone di sesso diverso, 
sicch� non possono ravvisarsi margini per uno scrutinio diverso ed ulteriore della compatibilit� 
della regolazione in questione con la Carta fondamentale della Repubblica. 
2.5- Non solo, ma le medesime conclusioni si impongono anche all�esito dell�interpretazione 
della normativa di riferimento alla stregua degli artt. 8 e 12 della CEDU, per come interpretati 
dalla Corte di Strasburgo (in particolare nella recente sentenza in data 21 luglio 2015, Oliari 
e altri contro Repubblica Italiana, indicata dagli appellanti incidentali a sostegno della prospettazione 
ermeneutica proposta). 
La tesi sostenuta dagli appellanti incidentali, secondo la quale il rispetto del dictum del recente 
pronunciamento della Corte di Strasburgo imporrebbe all�interprete una lettura della normativa 
nazionale permissiva delle trascrizioni in questione (secondo i canoni consacrati nelle sentenze 
della Corte Costituzionale nn. 348 e 349 del 2007, n. 80 del 2011 e n. 15 del 2012), per quanto 
brillantemente formulata ed argomentata, non persuade e non vale, in ogni caso, a superare l�infrangibile 
ostacolo dell�art. 29 Cost. (per come inteso e valorizzato dalla Corte Costituzionale). 
Una lettura attenta della sentenza c.d. Oliari, infatti, non solo non avalla l�assunto degli originari 
ricorrenti, ma ne costituisce, al contrario, la pi� efficace smentita. 
La Corte di Strasburgo, infatti, con la predetta sentenza, ha, da un lato, riconosciuto la violazione 
da parte dello Stato italiano, con un significativo esempio di overruling, dell�art. 8 della 
CEDU, che tutela la vita familiare, nella misura in cui non assicura alcuna protezione giuridica 
alle unioni omosessuali, ma ha, da un altro lato, confermato la precedente giurisprudenza 
(sentenza 24 giugno 2010, Schalk e Kopf contro Austria) che negava la configurabilit� dell�inosservanza 
dell�art. 12 (diritto al matrimonio), e, quindi, del corrispondente art. 9 della 
Carta dei diritti fondamentali dell�Unione Europea (d�ora innanzi Carta di Nizza), ribadendo, 
al riguardo, che la regolazione legislativa del matrimonio e, quindi, l�eventuale ammissione 
di quello omosessuale (che la Corte non ritiene, in astratto, vietato) rientra nel perimetro del 
margine di apprezzamento e, quindi, della discrezionalit� riservata agli Stati contraenti. 
Lungi, quindi, dall�affermare l�obbligo della Repubblica italiana di riconoscere il diritto al matri-
CONTENZIOSO NAZIONALE 153 
monio omosessuale, la Corte di Strasburgo ha espressamente e chiaramente negato la sussistenza 
e, quindi, a fortiori, la violazione di tale (presunto) diritto, limitandosi ad imporre allo Stato di assicurare 
una tutela giuridica alle unioni omosessuali (ma, anche qui, riconoscendo un margine di 
apprezzamento, seppur pi� limitato, nella declinazione delle sue forme e della sua intensit�). 
2.6- Ma, anche esaminando la questione sotto il dedotto profilo del necessario rispetto delle libert� 
di circolazione e di soggiorno (per come enunciate dagli artt. 20, 21, comma 1, e 18 TFUE e 21 
della Carta di Nizza), si perviene alle stesse conclusioni. 
Perch� possano giudicarsi violate le predette libert�, infatti, con conseguente obbligo dei giudici 
nazionali di disapplicare la normativa nazionale che ne costituisce limitazione o impedimento, 
� necessario che la fattispecie giudicata rientri entro i confini del diritto europeo, in 
quanto direttamente regolata da atti dell�Unione o in quanto espressamente attribuita dai Trattati 
alle sue competenze istituzionali, dovendo, altrimenti, negarsi ogni rilievo alle predette 
libert�, l� dove interferiscano con disposizioni nazionali del tutto estranee al perimetro della 
regolazione europea e non siano funzionali alla garanzia della sua piena attuazione (Corte di 
Giustizia dell�Unione Europea, sentenza 15 novembre 2011, causa C-2561/11; sentenza 5 ottobre 
2010, causa C-400/10). 
Nel caso di specie, tuttavia, come gi� visto, la regolazione legislativa del matrimonio, e, di 
conseguenza, anche i presupposti del riconoscimento giuridico dei matrimoni celebrati in un 
Paese straniero (ivi compresi quelli appartenenti all�Unione Europea) esula dai confini del 
diritto europeo (non essendo dato di rinvenire alcuna previsione europea che vincoli gli Stati 
membri ad un�opzione regolatoria, che, anzi, resta espressamente riservata alla discrezionalit� 
dei singoli Stati proprio dall�art. 9 della Carta di Nizza) ed attiene, in via esclusiva, alla sovranit� 
nazionale, di talch� resta inconfigurabile, nella fattispecie considerata, qualsivoglia 
violazione delle libert� di circolazione e di soggiorno. 
2.7- Non appare, in definitiva, configurabile, allo stato del diritto convenzionale europeo e sovranazionale, 
nonch� della sua esegesi ad opera delle Corti istituzionalmente incaricate della loro 
interpretazione, un diritto fondamentale della persona al matrimonio omosessuale, sicch� il divieto 
dell�ordinamento nazionale di equiparazione di quest�ultimo a quello eterosessuale non pu� giudicarsi 
confliggente con i vincoli contratti dall�Italia a livello europeo o internazionale. 
Ne consegue che, a fronte della pacifica inconfigurabilit� di un diritto (di genesi nazionale o 
sovranazionale) al matrimonio omosessuale, resta preclusa all�interprete ogni opzione ermeneutica 
creativa che conduca, all�esito di un�operazione interpretativa non imposta da vincoli 
costituzionali o (latu sensu) internazionali, all�equiparazione (anche ai meri fini dell�affermazione 
della trascrivibilit� di matrimoni contratti all�estero tra persone dello stesso sesso) 
dei matrimoni omosessuali a quelli eterosessuali. 
2.8- Non solo, ma il dibattito politico e culturale in corso in Italia sulle forme e sulle modalit� 
del riconoscimento giuridico delle unioni omosessuali sconsiglia all�interprete qualsiasi forzatura 
(sempre indebita, ma in questo contesto ancor meno opportuna) nella lettura della normativa 
di riferimento che, allo stato, esclude, con formulazioni chiare e univoche, qualsivoglia 
omologazione tra le unioni eterosessuali e quelle omosessuali. 
2.9- Si aggiunga, quale argomento conclusivo, che, aderendo alla tesi prospettata dagli originari 
ricorrenti, si finirebbe per ammettere, di fatto, surrettiziamente ed elusivamente il matrimonio 
omosessuale anche in Italia, tale essendo l�effetto dell�affermazione della trascrivibilit� 
di quello celebrato all�estero tra cittadini italiani, nonostante l�assenza di una previsione legislativa 
che lo consenta e lo regoli (e, anzi, in un contesto normativo che lo esclude chiaramente, 
ancorch� tacitamente) e, quindi, della relativa scelta (libera e politica) del Parlamento
154 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2015 
nazionale (che, si ripete, resta l�unica autorit� titolare della relativa decisione, come chiarito 
anche dalla Corte di Strasburgo). 
2.10- Alle considerazioni che precedono consegue, quindi, la reiezione dell�appello incidentale. 
3.- Occorre, a questo punto, procedere all�esame dell�appello principale, con il quale il Ministero 
dell�interno critica il giudizio di illegittimit� del decreto prefettizio di annullamento delle 
trascrizioni, disposte dal Sindaco di Roma Capitale, di matrimoni tra coppie omosessuali celebrati 
all�estero e della presupposta circolare. 
3.1- Come gi� rilevato in fatto, i giudici di prima istanza, pur avendo riconosciuto l�illegittimit� 
delle predette trascrizioni, hanno negato al Prefetto il potere di annullarle d�ufficio, reputando 
la relativa potest� riservata in via esclusiva al giudice ordinario (per effetto del 
combinato disposto degli artt. 95 d.P.R. cit. e 453 c.c.). 
Il Ministero appellante critica tale statuizione, sulla base dell�assunto (in sintesi) che il potere 
gerarchico di sovraordinazione del Prefetto al Sindaco, quale ufficiale di governo delegato 
alla tenuta dei registri di stato civile, comprende, in s�, anche quello (generale) di autotutela 
sugli atti adottati contra legem dall�organo subordinato. 
3.2- Lo scrutino della fondatezza della predetta tesi esige una preliminare ricognizione dei 
caratteri della relazione interorganica tra Prefetto e Sindaco, nell�espletamento delle competenze 
considerate. 
Nel nostro ordinamento l�esercizio di alcune funzioni di competenza statale � stato affidato 
al Sindaco, che le esercita non come vertice dell�ente locale, ma nella diversa qualit� di ufficiale 
di governo. 
Tale peculiare modalit� organizzatoria � stata, in particolare, decisa con riferimento alle funzioni 
che esigono un rapporto di prossimit� con i cittadini e il cui esercizio � parso al legislatore pi� efficacemente 
esercitabile dall�organo di vertice dell�ente locale pi� vicino ai cittadini (il Comune). 
Tra le materie affidate alla cura del Sindaco quale ufficiale di governo � compresa anche la tenuta 
dei registri di stato civile, ad esso attribuita dall�art. 54, comma 3, d.lgs. 18 ottobre 2000, n. 267. 
Il particolare modello organizzativo in esame implica che la titolarit� della funzione resta intestata 
all�amministrazione centrale (e, segnatamente, al Ministero dell�interno) e che il Sindaco 
la esercita solo quale organo delegato dalla legge. 
Un ulteriore corollario della titolarit� statale della funzione attinente alla tenuta dei registri di 
stato civile � che il Sindaco resta soggetto, nell�esercizio delle pertinenti funzioni, alle istruzioni 
impartite dal Ministero dell�interno, alle quali � tenuto a conformarsi (art. 54, comma 
12, d.lgs. cit. e art. 9, comma 1, d.P.R. cit.). 
La potest� di sovraordinazione dell�Amministrazione centrale sull�organo per legge delegato 
all�esercizio di una sua funzione si esplica, poi, per mezzo dell�assegnazione al Prefetto, che 
esercita istituzionalmente l�autorit� del Ministero dell�interno sul territorio, dei poteri di vigilanza 
sulla tenuta degli atti dello stato civile (art. 9, comma 2, d.P.R. cit.) e di sostituzione al 
Sindaco, in caso di sua inerzia nell�esercizio di taluni compiti (art. 54, comma 11, d.lgs. cit.). 
Si tratta, come si vede, di un sistema coerente e coordinato di disposizioni che configurano la 
relazione interorganica in questione come di subordinazione del Sindaco al Ministero dell�interno, 
e, per esso, al Prefetto, e che assoggettano, quindi, il primo ai poteri di direttiva e di vigilanza 
del secondo (Cass. SS. UU., 13 ottobre 2009, n. 21658; Cass. Civ., sez. I, 14 febbraio 
2000, n. 1599). 
Tale soggezione risulta, in particolare, il pi� logico corollario della titolarit� della funzione in 
capo al Ministero dell�interno e della mera assegnazione al Sindaco, quale ufficiale di governo, 
dei compiti attinenti al suo esercizio.
CONTENZIOSO NAZIONALE 155 
Il vincolo di subordinazione del Sindaco al Ministero dell�interno obbedisce, inoltre, all�esigenza 
di assicurare l�uniformit� di indirizzo nella tenuta dei registri dello stato civile su tutto il territorio 
nazionale e che resterebbe vanificata se ogni Sindaco potesse decidere autonomamente sulle regole 
generali di amministrazione della funzione o, peggio, se potesse disattendere, senza meccanismi 
correttivi interni all�apparato amministrativo, le istruzioni ministeriali impartite al riguardo. 
3.3- Cos� ricostruita la natura del rapporto interorganico in questione, occorre accertare se, 
tra i poteri assegnati al Prefetto, resti o meno incluso quello di annullare gli atti dello stato civile 
di cui il Sindaco ha ordinato contra legem la trascrizione. 
Reputa il Collegio che la potest� in questione debba intendersi implicitamente implicata dalle 
funzioni di direzione (art. 54, comma 12, d.lgs. cit.), sostituzione (art. 54, comma 11, d.lgs. 
cit.) e vigilanza (art. 9, comma 2, d.P.R. cit.). 
In ossequio ai criteri ermeneutici sistematico e teleologico, infatti, le predette disposizioni devono 
necessariamente intendersi come comprensive anche del potere di annullamento gerarchico 
d�ufficio da parte del Prefetto degli atti illegittimi adottati dal Sindaco, nella qualit� di 
ufficiale di governo, senza il quale, peraltro, il loro scopo evidente, agevolmente identificabile 
nell�attribuzione al Prefetto di tutti i poteri idonei ad assicurare la corretta gestione della funzione 
in questione, resterebbe vanificato. 
A ben vedere, infatti, se si negasse al Prefetto la potest� in questione, la sua posizione di sovraordinazione 
rispetto al Sindaco (allorch� agisce come ufficiale di governo), in quanto chiaramente 
funzionale a garantire l�osservanza delle direttive impartite dal Ministro dell�interno ai Sindaci e, 
in definitiva, ad impedire disfunzioni o irregolarit� nell�amministrazione dei registri di stato civile, 
rimarrebbe inammissibilmente sprovvista di contenuti adeguati al raggiungimento di quel fine. 
Tale conclusione � stata gi� raggiunta dalla giurisprudenza amministrativa (Cons. St., sez. V, 
19 giugno 2008, n. 3076), se pur nell�esame dell�esercizio di una diversa funzione amministrata 
dal Sindaco quale ufficiale di governo (la sicurezza pubblica), proprio in esito ad una 
coerente ricostruzione della natura e delle finalit� della relazione interorganica in questione 
ed alla conseguente valorizzazione dell�esigenza di assicurare la correttezza e l�uniformit� 
dell�amministrazione dei compiti statali delegati dalla legge al Sindaco. 
E non vale enfatizzare le differenze tra le due situazioni, trattandosi, in entrambi i casi, della 
correzione, da parte del Prefetto, di disfunzioni amministrative imputabili al Sindaco (ed apparendo, 
anzi, nel caso di specie, ancora pi� pregnante l�esigenza di autotutela, a fronte di un 
atto non solo illegittimo, ma inesistente o, comunque, abnorme, nel senso etimologico latino 
di �fuori dalla norma�). 
Dev�essere, quindi, affermata la sussistenza, in capo al Prefetto, della potest� di annullare le trascrizioni 
in questione, quale potere compreso certamente, ancorch� implicitamente, nelle funzioni 
di direzione, sostituzione e vigilanza attribuitegli dall�ordinamento nella materia in discussione. 
3.5- Non �, quindi, necessario invocare l�art. 21-nonies legge 7 agosto 1990, n.241 a fondamento 
del potere di autotutela controverso, potendosi risolvere favorevolmente il problema 
della sua esistenza in esito all�analisi interpretativa che precede. 
Non pu�, tuttavia, non osservarsi, al riguardo, che non si ravvisano ostacoli all�applicazione 
della predetta, generale disposizione alla fattispecie in esame, l� dove attribuisce il potere di 
annullare d�ufficio un atto illegittimo non solo all�organo che lo ha emanato, ma anche �ad 
altro organo previsto dalla legge�. 
Non pu�, in particolare, ritenersi preclusiva, a tal fine, l�osservazione del difetto di una disposizione 
legislativa che preveda il potere del Prefetto di annullare d�ufficio gli atti dello stato civile 
illegittimamente adottati dal Sindaco, posto che, se si accedesse all�opzione ermeneutica
156 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2015 
per cui la norma citata esige, per la sua applicazione, l�esplicita attribuzione legislativa del 
potere di annullare in autotutela gli atti adottati da un altro organo, la stessa risulterebbe priva 
di qualunque senso in quanto inutilmente ripetitiva di una potest� gi� assegnata da un�altra 
norma (con la conseguenza che la stessa prospettazione interpretativa dev�essere disattesa). 
La disposizione in esame dev�essere, viceversa, letta ed applicata nel senso che � ammesso 
l�annullamento d�ufficio di un atto illegittimo da parte di un organo diverso da quello che lo 
ha emanato in tutte le ipotesi in cui una disposizione legislativa attribuisce al primo una potest� 
di controllo e, in generale, di sovraordinazione gerarchica che implica univocamente anche 
l�esercizio di poteri di autotutela. 
E non vale neanche a negare l�applicabilit� al caso controverso dell�art. 21 nonies legge cit. il 
rilievo, a dire il vero poco comprensibile, che la trascrizione di un atto dello stato civile non 
pu� essere qualificata come un provvedimento amministrativo, ma come un �atto pubblico formale� 
(e come tale, pare di capire, estraneo all�ambito applicativo della predetta disposizione). 
� sufficiente, al riguardo, osservare che la suddetta distinzione non trova alcun fondamento 
positivo e che vanno qualificati come provvedimenti amministrativi tutti gli atti, con rilevanza 
esterna, emanati da una pubblica amministrazione, ancorch� privi di efficacia autoritativa o 
costituiva e dotati di soli effetti accertativi o dichiarativi, con la conseguenza che anche gli 
atti dello stato civile devono essere compresi nel perimetro dell�ambito applicativo della disposizione 
in commento (e che, per la sua valenza generale, non tollera eccezioni o deroghe 
desunte in esito a incerti percorsi ermeneutici). 
3.6. Cos� riconosciuto, in capo al Prefetto, il potere di autotutela in questione, occorre verificare 
se il sistema di regole che assegna al giudice civile i poteri di controllo, rettificazione 
e cancellazione degli atti dello stato civile (e integrato dal combinato disposto degli artt. 95 
d.P.R. cit. e 453 c.c.) costituisca o meno un limite o, addirittura, una preclusione al suo esercizio 
(come ritenuto dai giudici di primo grado). 
Le disposizioni citate, in effetti, paiono (a una prima lettura) devolvere in via esclusiva al giudice 
ordinario i poteri di cognizione e di correzione degli atti dello stato civile. 
Sennonch�, a ben vedere, il relativo apparato regolatorio postula, per la sua applicazione, 
l�esistenza di atti astrattamente idonei a costituire o a modificare lo stato delle persone, tanto 
da imporre un controllo giurisdizionale sulla loro corretta formazione, con la conseguenza 
dell�estraneit� al suo ambito applicativo di atti radicalmente inefficaci, quali le trascrizioni in 
parola, e, quindi, del tutto incapaci (per quanto qui rileva) di assegnare alle persone menzionate 
nell�atto lo stato giuridico di coniugato. 
L�esigenza del controllo giurisdizionale, infatti, si rivela del tutto recessiva (se non inesistente), 
a fronte di atti inidonei a costituire lo stato delle persone ivi contemplate, dovendosi, quindi, ricercare, 
per la loro correzione, soluzioni e meccanismi anche diversi dalla verifica giudiziaria. 
Non solo, ma il sistema di regole in esame risulta costruito come funzionale (unicamente) 
alla tutela dei diritti e degli interessi delle persone fisiche contemplate (o pretermesse) nell�atto, 
e non anche alla protezione di interessi pubblici, tanto che l�art. 95, comma 2, d.P.R. 
cit., assegna al Procuratore della Repubblica una iniziativa meramente facoltativa (usando 
appositamente il verbo potere: �Il Procuratore della Repubblica pu��promuovere�). 
Se la norma fosse stata concepita anche a tutela di un interesse pubblico, infatti, la disposizione 
sarebbe stata formulata con l�uso del verbo promuovere all�indicativo presente, e, cio�, con 
la previsione della doverosit� dell�istanza, quando risulta necessaria a ripristinare la legalit� 
violata (sarebbe stata cio� formulata con l�espressione: �Il Procuratore della Repubblica promuove 
il procedimento��).
CONTENZIOSO NAZIONALE 157 
L�art. 453 c.c., peraltro, per la sua univoca formulazione testuale, deve intendersi limitato all�affidamento 
al giudice ordinario dei soli poteri di annotazione e non pu�, di conseguenza, 
ritenersi ostativo all�esercizio dei (diversi) poteri di eliminazione dell�atto da parte dell�autorit� 
amministrativa titolare della funzione di tenuta dei registri dello stato civile. 
3.7- N� la gi� rilevata inefficacia degli atti in questione priva di significato l�intervento di autotutela 
in questione, posto che, al contrario, proprio la permanenza di un�apparenza di atto, 
che, ancorch� inefficace, potrebbe legittimare (finch� materialmente esistente) richieste ed 
istanze alla pubblica amministrazione di prestazioni connesse allo stato civile di coniugato 
(con conseguenti complicazioni burocratiche e, probabilmente, ulteriori contenziosi), impone 
la sua eliminazione dal mondo del diritto. 
E tale esigenza risulta soddisfatta solo dall�identificazione di uno strumento (anche) amministrativo 
(e non necessariamente giurisdizionale) di correzione di atti dello stato civile abnormi 
(nel senso etimologico gi� ricordato) ed eseguiti in difformit� dalle istruzioni impartite dall�autorit� 
statale titolare della funzione. 
Solo gli interventi dei Prefetti in autotutela gerarchica valgono, in effetti, a rimuovere, con 
garanzie di uniformit� su tutto il territorio nazionale, un�apparenza di atto (che, finch� resta 
in vita, appare idoneo a generare incertezze e difficolt� amministrative) e, quindi, in definitiva, 
ad assicurare la certezza del diritto connessa a questioni relative allo stato delle persone. 
L�esigenza appena segnalata non risulta, infatti, garantita dalla riserva in via esclusiva del potere 
di cancellazione delle trascrizioni al giudice ordinario che, proprio per il carattere diffuso 
e indipendente della sua attivit�, rischia di vanificare, con interpretazioni diverse e contrastanti, 
l�esigenza di uniformit� di indirizzo su una questione cos� delicata (come dimostra il decreto 
in data 13 marzo 2015, con cui la Corte d�Appello di Napoli ha ordinato la trascrizione di un 
matrimonio omosessuale celebrato all�estero). 
3.8- Alle considerazioni che precedono consegue, in definitiva, l�accoglimento dell�appello 
del Ministero e, in riforma del capo di decisione impugnato, l�integrale reiezione del ricorso 
di primo grado contro il provvedimento con cui il Prefetto di Roma ha annullato le trascrizioni 
dei matrimoni omosessuali celebrati all�estero dagli originari ricorrenti. 
4.- La novit� della questione trattata e la natura degli interessi controversi giustificano la compensazione 
tra le parti delle spese del doppio grado di giudizio. 
P.Q.M. 
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza), definitivamente pronunciando 
sull'appello, come in epigrafe proposto, respinge l�appello incidentale, accoglie quello principale 
e, per l�effetto, in parziale riforma della decisione appellata, respinge il ricorso di primo 
grado e compensa tra tutte le parti le spese di entrambi i gradi di giudizio. 
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorit� amministrativa. 
Vista la richiesta dell'interessato e ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'art. 52, comma 
1, D. Lgs. 30 giugno 2003 n. 196, a tutela dei diritti o della dignit� della parte interessata, 
manda alla Segreteria di procedere all'annotazione di cui ai commi 1 e 2 della medesima disposizione, 
nei termini indicati nella predetta istanza. 
Cos� deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 8 ottobre 2015. 
LEGISLAZIONE ED ATTUALIT� 
I �golden powers� esercitabili dal Governo 
a tutela di interessi strategici dello Stato 
Francesco Maria Ciaralli* 
SOMMARIO: 1. Premessa - 2. Dall�introduzione dei poteri speciali nell�ordinamento interno 
al primo intervento della Corte di Giustizia. La difficile convivenza delle golden shares 
con il diritto comunitario - 3. La nuova disciplina nazionale ed il conseguente intervento della 
Corte di Giustizia - 4. La disciplina vigente e la tassonomia dei nuovi golden powers. Casi 
concreti di esercizio dei poteri speciali. 
1. Premessa. 
La necessit� di tutelare gli interessi essenziali dello Stato in settori strategici 
� all�origine dell�introduzione di poteri speciali d�intervento, riservati 
al Governo, a fronte di operazioni straordinarie relative ad imprese attive nei 
settori strategici della difesa e sicurezza nazionale, nonch� delle comunicazioni, 
energia e trasporti. 
La disciplina dei poteri speciali rappresenta, nella prospettiva diacronica 
della sua evoluzione, un osservatorio privilegiato per comprendere la dialettica 
tra il diritto dell�Unione europea e la tutela degli interessi nazionali. 
Le tre principali riforme che hanno interessato il regime italiano dei poteri 
speciali, infatti, sono state stimolate da decisioni della Corte di Giustizia, costanti 
nel richiedere l�introduzione di criteri obiettivi e trasparenti, che precludano 
un impiego abusivo dei golden powers in pregiudizio degli investimenti 
stranieri e della libera circolazione dei capitali all�interno del mercato unico. 
L�attualit� della materia � accresciuta dal recente completamento dei decreti 
attuativi, che determinano l�effettiva operativit� della riforma introdotta 
(*) Dottorando di Ricerca in �Diritto ed Impresa� presso l�Universit� Luiss Guido Carli di Roma, gi� 
praticante forense presso l�Avvocatura Generale dello Stato e tirocinante presso il Consiglio di Stato.
160 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2015 
in via d�urgenza con il decreto legge 15 marzo 2012, n. 21, convertito dalla 
legge 11 maggio 2012, n. 56. 
Il presente studio ha l�obiettivo di ricostruire, con riferimenti empirici a 
casi di concreto impiego dei poteri speciali da parte del Governo, i profili funzionali 
e strutturali della disciplina vigente, nonch� la dialettica tra istituzioni 
comunitarie e nazionali che ha condotto al superamento del modello golden 
shares e alla definitiva introduzione dei golden powers. 
2. Dall�introduzione dei poteri speciali nell�ordinamento interno al primo intervento 
della Corte di Giustizia. La difficile convivenza delle golden shares 
con il diritto comunitario. 
Il mutamento dei moduli di intervento pubblico nell�economia, sollecitato 
sia da una rinnovata visione dei rapporti tra Stato e mercato sia da concrete 
esigenze di bilancio (1), ha indotto il legislatore degli anni Novanta ad intraprendere 
un articolato processo di trasformazione degli enti pubblici, che costituivano 
la base del modello di economia mista vigente in Italia sin dagli 
anni Trenta del secolo scorso (2). 
Il processo di privatizzazione sostanziale degli enti pubblici economici e 
degli enti di gestione, la cui trasformazione in societ� per azioni � stata disposta 
in via d�urgenza dal decreto legge 11 luglio 1993, n. 333 (3), rinviene il pa- 
(1) La strumentalit� delle privatizzazioni sostanziali all�obiettivo di ridurre il debito pubblico � 
generalmente condivisa in dottrina (ex plurimis, LA SPINA - MAJONE, Lo Stato regolatore, Bologna, 2000, 
pp. 277 ss., nonch� SAN MAURO, Golden shares, poteri speciali e tutela di interessi nazionali, Roma, 
2004, p. 34). Non � irrilevante, in tal senso, che tutti gli interventi normativi, dispiegatisi durante i primi 
anni Novanta, aventi per oggetto le privatizzazioni, hanno rivestito la forma del decreto legge. 
Gi� alla base del decreto legge 5 dicembre 1991, n. 386, convertito con legge 29 gennaio 1992, n. 35, 
disponente la trasformazione facoltativa di enti pubblici economici, enti di gestione ed aziende autonome, 
vi era l�esigenza di fronteggiare l�incremento del debito pubblico. Nel bilancio di previsione del 1991, 
infatti, erano stati appostati proventi per 6 mila miliardi, non realizzati per mancata adozione dei decreti 
attuativi; del pari, nella legge finanziaria per il 1992, erano stati iscritti ricavi per 15 mila miliardi, non 
realizzati (dati da CONSIGLIO NAZIONALE DELL�ECONOMIA E DEL LAVORO, La privatizzazione delle imprese 
pubbliche, aspetti giuridico-normativi ed economico-finanziari, Roma, 1997, p. 63). 
(2) � interessante rilevare che sin dagli anni �80, pur in assenza di apposita disciplina normativa, 
era iniziato un primo processo di privatizzazione, basato sulla dismissione di partecipazioni azionarie 
da parte degli enti di gestione; sul punto GIANNINI, Diritto pubblico dell�economia, Bologna, 1995, nonch� 
CASSESE, Privatizzazioni annunciate, mezze privatizzazioni e pseudo privatizzazioni in Italia, in 
Economia e credito, 1992, pp. 45 ss. 
Si riferiscono a tale periodo le cessioni dell�Alfa Romeo dall�IRI alla Fiat nel 1986, del gruppo Lanerossi 
dall�ENI al Gruppo Marzotto nel 1987, la contrazione nel 1988 della partecipazione dell�IRI in Mediobanca, 
nonch� la cessione della Cementir dall�Iri al gruppo Caltagirone nel 1992 (dati da CONSIGLIO 
NAZIONALE DELL�ECONOMIA E DEL LAVORO, cit.). 
(3) Il decreto legge del 1993 fa seguito al decreto legge 5 dicembre 1991, n. 386, convertito con 
legge 29 gennaio 1992, n. 35, che prevedeva la trasformazione facoltativa in societ� per azioni di enti 
pubblici, aziende autonome ed enti di gestione, nel rispetto dei criteri di economicit� ed efficienza deliberati 
dal CIPE su proposta del Ministro del bilancio e della programmazione economica, d�intesa con 
i ministri competenti (art. 1, comma 1 e 2).
LEGISLAZIONE ED ATTUALIT� 161 
rametro normativo di riferimento nel decreto legge 31 maggio 1994, n. 332, 
convertito con legge 30 luglio 1994, n. 474. 
La trasformazione in societ� per azioni di enti quali IRI, ENI, INA ed 
ENEL, con correlativa previsione dei procedimenti di dismissione dei rispettivi 
pacchetti azionari, ha fatto emergere sin da subito l�esigenza di tutelare gli interessi 
nazionali essenziali sottesi alle attivit� delle nuove societ� legali (4). 
A tal fine, simmetricamente al procedimento di privatizzazione sostanziale 
(5), il decreto legge 332 del 1994 ha previsto l�introduzione negli statuti 
delle societ� controllate, direttamente o indirettamente, dallo Stato nei settori 
strategici, di clausole conferenti poteri speciali al Ministro dell�economia e 
delle finanze, fortemente incidenti sulla corporate governance (6). 
Il successo invero modesto della tecnica facoltativa di privatizzazione indusse il legislatore nel 1993 a 
disporre per legge la trasformazione in societ� per azioni di IRI, ENI, INA ed ENEL (art. 15). Inoltre, 
l�art. 18 del medesimo decreto conferiva al CIPE la facolt� di disporre la trasformazione in societ� per 
azioni di enti pubblici economici a prescindere dal loro settore di attivit�; tale facolt� � stata in seguito 
esercitata con riferimento a Ferrovie dello Stato alle Poste Italiane. 
(4) La natura giuridica delle societ� risultanti dal processo di privatizzazione � al centro di un intenso 
dibattito dottrinale. In ragione degli intrusivi poteri di cui � ex lege investito il Ministero dell�economia 
e delle finanze, taluni Autori hanno opinato la natura speciale di tali societ�, con ci� intendendosi 
che agli elementi propri della disciplina generale vengono aggiunti elementi differenziali ulteriori (MARSAR�, 
Societ� speciali e societ� anomale, in Enciclopedia giuridica, XXIX, Roma). 
La dottrina pi� accorta evidenzia la distinzione tra la nozione di societ� speciale e quella di societ� anomala, 
per tale intendendosi la societ� in cui difetta un elemento della fattispecie regolata dalla norma 
generale. Sono in particolare ascritte a tale categoria le societ� che, avendo scopi pubblici, sono carenti 
dello scopo-fine costituito dal lucro (si annoverano in tale ambito la Ristrutturazione Elettronica S.p.A., 
nonch� AGE Control S.p.A.). Per approfondimenti, si segnala IBBA, Le societ� �legali�, Torino, 1992, 
nonch� CONSIGLIO NAZIONALE DELL�ECONOMIA E DEL LAVORO, cit., p. 65 s.). 
� opportuno soggiungere che autorevole dottrina opina nel senso di denominare le societ� risultanti dai 
processi di privatizzazione come societ� legificate anzich� legali, onde sottolinearne la preesistenza - 
sub specie di enti pubblici - alla trasformazione in s.p.a. 
Per quanto concerne i rapporti tra la disciplina generale e quella speciale prevista per le societ� partecipate, 
� interessante rammentare quanto osservato in materia dalla Relazione al Codice civile, giusta la 
quale ҏ lo Stato medesimo che si assoggetta alla legge delle societ� per azioni per assicurare alla propria 
gestione maggiore snellezza di forme e nuove possibilit� realizzatrici�. Sicch� gli elementi di specialit� 
non possono raggiungere un�intensit� tale da svuotare sostanzialmente il modello codicistico, non consentendo 
di ricondurre la societ� legale al tipo previsto dalla disciplina generale. 
(5) L�art. 1, comma 2, della 30 luglio 1994, n. 474, prevede che l�alienazione delle partecipazioni 
sia attuata �di norma� tramite offerta pubblica di vendita, potendo tuttavia essere effettuata mediante 
trattative dirette con i potenziali acquirenti o con il ricorso ad entrambe le procedure. 
La maggior parte delle vendite � stata effettuata attraverso procedure competitive ovvero offerte pubbliche 
di vendita con contestuale quotazione dei titoli, ci� che ha permesso di collocare le azioni con 
underpricing inferiore rispetto ad analoghi fenomeni avvenuti in altri Paesi europei (SANMAURO, ibid., 
nonch� MACCHIATI, Breve storia delle privatizzazioni in Italia: 1992-1999, in Mercato, concorrenza e 
regole, 1999, pp. 44 ss.). 
(6) L�art. 2, comma 1, della legge 30 luglio 1994, n. 474, nel testo originario, stabilisce quanto 
segue: �Tra le societ� controllate direttamente o indirettamente dallo Stato operanti nel settore della difesa, 
dei trasporti, delle telecomunicazioni, delle fonti di energia, e degli altri pubblici servizi, sono individuate 
con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, adottato su proposta del Ministro 
dell'economia e finanze, di intesa con il Ministro delle attivit� produttive, nonch� con i Ministri competenti
162 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2015 
La compatibilit� di tali poteri con il diritto comunitario � stata oggetto di 
un complesso, e finanche turbolento, confronto tra la Commissione europea e 
lo Stato italiano, che ha indotto la Corte di Giustizia ad accertare due volte 
nell�arco di un decennio la violazione dei Trattati istitutivi da parte della disciplina 
nazionale sui poteri speciali (7). 
� rilevante considerare come entrambi gli interventi della Corte di Giustizia 
abbiano censurato la normativa nazionale affermando che essa provoca 
�l�effetto di scoraggiare gli investitori, particolarmente quelli che intendono 
stabilirsi in Italia al fine di esercitare un�influenza sulla gestione delle imprese 
interessate dalla normativa di cui trattasi�. 
Nella specie, l�art. 2 della legge 30 luglio 1994, n. 474, nella versione anteriore 
alla prima censura europea, prevedeva in capo all�allora Ministro del 
Tesoro due ipotesi di diritti di gradimento, un potere di veto sulle operazioni 
straordinarie nonch� un potere di nomina, tali da configurare un controllo interno 
ed ex ante sulle operazioni societarie di maggiore rilevanza, riguardanti 
le societ� partecipate nei settori della difesa, dei trasporti, delle telecomunicazioni, 
delle fonti di energia ed altri pubblici servizi. 
In primo luogo, si prevedeva che fosse soggetto al gradimento del governo 
l�ingresso di nuovi soci nelle societ� privatizzate, qualora la partecipazione 
assunta fosse rilevante, per tale intendendosi quella pari o superiore alla 
ventesima parte del capitale rappresentato da azioni ordinarie dotate di diritto 
di voto nell�assemblea ordinaria; tale potere speciale � stato, in effetti, previsto 
negli statuti allora vigenti di Enel e Finmeccanica (art. 6 e 5.1. bis). 
Era altres� prevista la possibilit�, concretamente esercitata, che gli statuti 
fissassero una soglia inferiore al 5%, previo decreto ministeriale. Tale � stata 
individuata nel 3% del capitale sociale con riferimento ad ENI e, caso quanto 
mai attuale, a Telecom Italia (art. 6 e 5 dei rispettivi statuti coevi) (8). 
per settore, previa comunicazione alle competenti Commissioni parlamentari, quelle nei cui statuti, prima 
di ogni atto che determini la perdita del controllo, deve essere introdotta con deliberazione dell'assemblea 
straordinaria una clausola che attribuisca al Ministro dell'economia e delle finanze la titolarit� di uno 
o pi� dei seguenti poteri speciali da esercitare di intesa con il Ministro delle attivit� produttive�. 
(7) L�allora Corte di Giustizia delle Comunit� europee � intervenuta con sentenze 23 maggio 2000 
e 26 marzo 2009, statuendo in entrambi i casi che la discrezionalit� accordata al Governo nell�esercizio 
dei poteri speciali ostasse all�esigenza di prevedibilit� della disciplina applicabile, considerata come 
elemento indefettibile ai fini della libera circolazione di capitali all�interno del mercato unico. 
(8) Il limite � stato fissato con i decreti del Ministro del Tesoro 24 marzo 1997. 
Lo specifico interesse per Telecom Italia �, d�altra parte, vicenda di questi giorni. Risale al 30 ottobre 
2015 la seguente nota pubblicata sul sito istituzionale del Governo italiano: �Il Governo segue attentamente 
l'evoluzione della vicenda Telecom Italia�. � quanto afferma il Sottosegretario alla Presidenza 
del Consiglio Claudio De Vincenti in merito ai movimenti che potrebbero verificarsi nella compagine 
azionaria della societ�. �L'interesse del Paese - prosegue il Sottosegretario - � che qualsiasi cambiamento 
nella composizione dell'azionariato, che naturalmente deve attenersi a corrette regole di mercato sulle 
quali le Autorit� preposte alla trasparenza, alla regolazione e alla tutela della concorrenza svolgono funzioni 
di controllo, risponda a criteri di rafforzamento industriale di una societ�, come Telecom, strategica 
per lo sviluppo del sistema di telecomunicazioni italiano�.
LEGISLAZIONE ED ATTUALIT� 163 
In caso di rifiuto di gradimento o di inutile decorso del termine (ipotesi 
di silenzio-rigetto), il cessionario era tenuto a trasferire entro un anno le azioni 
corrispondenti alla partecipazione rilevante, posto in ogni caso che i diritti di 
voto ad esse relativi non potevano essere esercitati nelle more della valutazione 
del Governo. 
Si prevedeva inoltre, quale condizione di validit�, il potere di esprimere 
il gradimento alla conclusione dei patti parasociali in cui fosse globalmente 
rappresentata una partecipazione rilevante come sopra determinata. Tuttavia, 
in mancanza di gradimento, il patto veniva qualificato ex lege come 
inefficace, inducendo la dottrina ad interrogarsi sull�effettiva natura giuridica 
del potere (9). 
Nel caso in cui, dal comportamento dei soci sindacali in assemblea, fosse 
desumibile una condotta esecutiva del patto anche in carenza di gradimento 
espresso, si disponeva l�impugnabilit� delle delibere assunte con il voto determinante 
dei soci stessi. 
A completamento del sistema, si prevedevano in capo al Ministro dell�economia 
e delle finanze (allora Ministro del Tesoro) un potere di veto ed 
un potere di nomina. 
Il potere di veto era esercitabile per paralizzare le delibere concernenti le 
operazioni straordinarie; nella specie: scioglimento della societ�, fusioni, scissioni, 
cambiamento dell�oggetto sociale, trasferimento della sede sociale all�estero 
e cessione d�azienda. Si prevedeva inoltre, quale clausola di chiusura, 
il potere di veto su tutte le modifiche statutarie idonee a sopprimere o anche 
solo modificare i poteri speciali conferiti al Governo. 
Si � rilevato in dottrina che la disposizione normativa difettava di ogni 
riferimento alla procedura da seguire per l�opposizione del predetto veto, rimettendo 
ai singoli statuti la relativa disciplina (10); tale aspetto � stato in seguito 
oggetto di rimeditazione da parte del legislatore, sulla scorta delle 
sollecitazioni provenienti anche dalle istituzioni comunitarie. 
L�ultimo potere speciale, coerente con l�impostazione prescelta dal legislatore 
sin dall�introduzione del Codice civile del 1942 (11), conferiva al Governo 
il potere di nominare almeno un amministratore od un numero di 
amministratori non superiore ad un quarto, nonch� un sindaco. Tale norma co- 
(9) LIBONATI, La faticosa articolazione delle privatizzazioni, in Giur. Comm., 1995, I, opina nel 
senso che l�inefficacia vada interpretata come radicale inidoneit� a produrre effetti giuridici, conseguente 
all�invalidit�. Cfr. SAN MAURO, op. cit., p. 99. 
(10) FRENI, Le privatizzazioni delle imprese pubbliche, in Giorn. dir. amm., 3/2004, pp. 263 ss.; 
LIBONATI, op. cit.; SODI, Poteri speciali, golden share e false privatizzazioni, in Riv. Soc., 1996, 368; 
SAN MAURO, cit., p. 101. 
(11) � eloquente in materia la Relazione al Codice civile che, nel giustificare i poteri di nomina, 
afferma che questi ineriscono a �particolari categorie di societ�, che pur non assumendo la struttura di 
enti pubblici, assumono tuttavia particolari lineamenti in quanto investono interessi nazionali particolarmente 
eminenti�.
164 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2015 
stituiva, secondo le pi� accorte ricostruzioni della dottrina, un�applicazione 
dell�art. 2459 c.c. allora vigente (12). 
Cos� articolato il sistema dei poteri speciali, la Commissione europea ne 
ha ravvisato l�incompatibilit� con il diritto comunitario. Con specifico riferimento 
ai decreti attuativi relativi alle privatizzazioni di ENI e Telecom (13), 
la Commissione ha spiegato ricorso (19 febbraio 1999) avverso i poteri speciali 
siccome conformati dall�art. 2 della legge 30 luglio 1994, n. 474. 
La Commissione ha asserito che, al fine di assicurare il rispetto delle libert� 
fondamentali e degli obblighi di cui agli articoli 52, 59 e 73B del Trattato 
istitutivo della Comunit� europea, fosse necessario il rispetto congiunto di 
quattro parametri. Nella specie, la disciplina nazionale deve prevedere strumenti 
atti a garantire che i poteri speciali non siano applicati in modo discriminatorio, 
siano giustificati da motivi imperativi di interesse generale, siano 
idonei a conseguire il risultato perseguito e non eccedano quanto a ci� necessario 
(principio di proporzionalit�) (14). 
Il Governo nazionale, onde evitare la sentenza di condanna della Corte 
di Giustizia, ha adottato, nelle more del procedimento, il DPCM 11 febbraio 
2000, ancorando i poteri speciali all�obiettivo di salvaguardare vitali interessi 
dello Stato e imprescindibili motivi di interesse generale, con riguardo ai settori 
dell�ordine pubblico, sicurezza pubblica, sanit� e difesa (15). 
La Corte di Giustizia, ritendo non rilevante la sopravvenienza normativa 
alla stregua delle regole processuali applicabili, ha pronunciato sentenza di 
condanna nei confronti della Repubblica italiana, statuendo che l�istituto della 
golden share, ex se non incompatibile con il diritto comunitario, deve essere 
assoggettato a criteri obiettivi e trasparenti, che ne precludano un impiego abusivo 
in pregiudizio degli investimenti stranieri e della libera circolazione dei 
capitali all�interno del mercato unico. 
Con specifico riguardo agli investimenti esteri, dalla sentenza 23 maggio 
(12) A seguito della riforma del diritto societario, operata con il decreto legislativo 17 gennaio 
2003, n. 6, gli artt. da 2458 a 2461 sono stati abrogati. L�attuale disciplina concernente i poteri di nomina 
� prevista dagli artt. 2449 e 2450. 
(13) Il 5 ottobre 1995 il governo italiano ha introdotto, con decreto del Presidente del Consiglio 
dei Ministri, i poteri speciali di cui all'art. 2 del testo coordinato nello statuto dell'ENI SpA (societ� operante 
nei settori energetico e petrolchimico). 
Il 21 marzo 1997, con un decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, sono state individuate STET 
SpA e Telecom Italia SpA (rispettivamente holding e societ� operativa del settore delle telecomunicazioni) 
quali societ� nei cui statuti avrebbero dovuto essere introdotti i poteri speciali prima della privatizzazione. 
STET SpA e Telecom Italia SpA sono state successivamente fuse. 
(14) Sentenza della Corte di Giustizia della Comunit� europea 23 maggio 2000, punto 13. 
(15) � interessante notare che, come rilevato nel punto 14 della citata sentenza: �Nel controricorso 
il governo italiano non ha contestato il fatto che le disposizioni nazionali controverse siano incompatibili 
con il diritto comunitario. Esso ha solo confermato la sua intenzione di conformarsi al parere motivato 
del 10 agosto 1998 ed ha aggiunto che il disegno di legge che aveva preparato a tal fine era stato approvato 
dal Consiglio dei Ministri il 18 dicembre 1998 ed era stato presentato al Parlamento�.
LEGISLAZIONE ED ATTUALIT� 165 
2000 della Corte di Giustizia si evince che il richiamo all�interesse nazionale 
non � idoneo a costituire un parametro sicuro ed affidabile al fine di evitare 
ingiustificate discriminazioni; � invece necessario circoscrivere la discrezionalit� 
del Governo nazionale con l�introduzione di norme pi� stringenti. 
3. La nuova disciplina nazionale ed il conseguente intervento della Corte di 
Giustizia. 
Il legislatore nazionale si � conformato al dictum della Corte di Giustizia 
mediante l�art. 4 della legge finanziaria per il 2004 (l. 24 dicembre 2003, n. 
350), che ha profondamente mutato la disciplina dei poteri speciali, riformando 
la legge del 1994. 
Obiettivo della nuova disciplina � procedimentalizzare l�esercizio dei poteri 
speciali, vincolandoli alla tutela degli interessi vitali dello Stato, con conseguente 
impugnabilit� dinanzi al Giudice amministrativo dei provvedimenti 
svianti rispetto all�obiettivo ovvero adottati in violazione delle regole procedurali 
stabilite dalla legge. 
In primo luogo, i diritti di gradimento, da esercitare ex ante rispetto all�assunzione 
della partecipazione rilevante, vengono sostituiti da diritti di opposizione 
da esercitare ex post, entro dieci giorni da apposita comunicazione 
contestuale alla richiesta di iscrizione nel libro dei soci. 
Il provvedimento di opposizione deve essere motivato in relazione al concreto 
pregiudizio arrecato dall�operazione agli interessi vitali dello Stato, ed � 
impugnabile nel termine di decadenza di sessanta giorni dinanzi al Tribunale 
amministrativo regionale per il Lazio, funzionalmente competente. 
Del pari, il diritto di gradimento alla conclusione di patti parasociali viene 
sostituito con un diritto di opposizione, da esercitarsi entro dieci giorni decorrenti 
dalla comunicazione della Consob, a sua volta informata ai sensi dell�art. 
122 del decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58. Nelle more di decorrenza 
del termine per l�esercizio del potere, i diritti amministrativi sono sospesi. Il 
provvedimento di opposizione � impugnabile dinanzi al Giudice amministrativo, 
ferma restando che, qualora dal comportamento in assemblea dei soci 
sindacali possa desumersi il mantenimento di impegni assunti con l�adesione 
agli accordi opposti, le delibere approvate con il voto determinante dei soci 
stessi sono impugnabili. 
Il medesimo assoggettamento al controllo giudiziale viene esteso dal legislatore 
al potere di veto all�adozione di delibere disponenti operazioni straordinarie, 
da esercitarsi mediante potere motivato. D�altra parte il legislatore, 
onde circoscrivere i poteri speciali a misure di controllo sulla struttura della 
societ�, senza impingere nelle decisioni di gestione, prescrive che l�amministratore 
nominato dal Governo non possa avere diritto di voto. 
I menzionati interventi, prima facie, paiono andare nella direzione indicata 
dalla Corte di Giustizia, introducendo norme procedurali preordinate a li-
166 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2015 
mitare la discrezionalit� del Governo, riguardata in sede europea come un vulnus 
agli investimenti esteri ed alla libera circolazione dei capitali (16). 
Si introduce, in particolare, il requisito teleologico della tutela di interessi 
nazionali vitali come parametro di validit�, giudizialmente sindacabile, dell�atto 
di esercizio del potere. Tale criterio, tuttavia, implica in capo al Governo 
un margine di apprezzamento cos� lato da far apparire implausibile un efficace 
controllo da parte dell�Autorit� giudiziaria (17), anche perch� il sindacato 
estrinseco e non sostitutivo (sub specie della figura sintomatica dell�eccesso 
di potere per sviamento) esercitabile sulla discrezionalit� amministrativa non 
sembra rispondente a quanto prescritto dalla Corte di Giustizia. Con la commentata 
sentenza del 23 maggio 2000, infatti, la semplice finalizzazione del 
potere speciale alla tutela di interessi nazionali � stata ritenuta parametro che 
di per s� �non consente agli investitori di conoscere le situazioni in cui detti 
poteri verranno utilizzati�. 
Avvertito di questi profili problematici, il Governo ha adottato il DPCM 
10 giugno 2004, al precipuo fine di limitare la discrezionalit� nell�esercizio 
dei poteri speciali. Vi si dispone, infatti, che: �I poteri speciali di cui all�art. 
2 del decreto legge n. [332/1994] sono esercitati esclusivamente ove ricorrano 
rilevanti e imprescindibili motivi di interesse generale, in particolare con riferimento 
all�ordine pubblico, alla sicurezza pubblica, alla sanit� pubblica e 
alla difesa, in forma e misura idonee e proporzionali alla tutela di detti interessi, 
anche mediante l�eventuale previsione di opportuni limiti temporali, 
fermo restando il rispetto dei principi dell�ordinamento interno e comunitario, 
e tra questi in primo luogo del principio di non discriminazione� (18). 
Cionondimeno, la Commissione europea ha ritenuto, con specifico riferimento 
agli statuti di Telecom Italia, ENI ed ENEL, che la disciplina nazionale 
dei poteri speciali implicasse ingiustificate ingerenze sull�assetto proprietario 
e sulle decisioni di gestione delle societ� privatizzate (19). 
(16) FRENI, op. cit., p. 267. 
(17) SAN MAURO, op. cit., p. 98. 
(18) A ci� si aggiunga che l�art. 1, secondo comma, del decreto, ha partitamente indicato le circostanze 
in cui � legittimo esercitare i poteri speciali, ferma restando la finalizzazione alla tutela degli 
interessi vitali dello Stato. Si precisa, infatti, che i poteri sono esercitabili in presenza: a) grave ed effettivo 
pericolo di una carenza di approvvigionamento nazionale minimo di prodotti petroliferi ed energetici, 
nonch� di erogazione dei servizi connessi e conseguenti e, in generale, di materie prime e di beni 
essenziali alla collettivit�, nonch� di un livello minimo di servizi di telecomunicazione e di trasporto; 
b) grave ed effettivo pericolo in merito alla continuit� di svolgimento degli obblighi verso la collettivit� 
nell�ambito dell�esercizio di un servizio pubblico, nonch� al perseguimento della missione affidata alla 
societ� nel campo delle finalit� di interesse pubblico; c) grave ed effettivo pericolo per la sicurezza degli 
impianti e delle reti nei pubblici servizi essenziali; d) grave ed effettivo pericolo per la difesa nazionale, 
la sicurezza militare, l�ordine pubblico e la sicurezza pubblica; e) emergenze sanitarie. 
(19) La Commissione ha osservato, con parere del 13 ottobre 2005, come i provvedimenti in materia 
di poteri speciali �accordassero alle autorit� ampi poteri discrezionali, parere che � stato comunicato 
all�Italia (IP/03/177). La disposizione in oggetto � stata nuovamente modificata dalla legge 24 dicembre
LEGISLAZIONE ED ATTUALIT� 167 
In particolare, la Commissione ha censurato con un nuovo ricorso dinanzi 
la Corte di Giustizia la disciplina nazionale nella parte in cui annette al Governo 
eccessiva discrezionalit�, atteso che ci� � idoneo a produrre l�effetto di 
�scoraggiare gli investitori�, particolarmente quelli che intendono stabilirsi 
in Italia al fine di esercitare un�influenza sulla gestione delle imprese interessate 
dalla normativa di cui trattasi. 
Inoltre, si � ravvisata l�illegittimit� della normativa nazionale anche nella 
misura in cui ha conferito poteri speciali pur in presenza, nei settori dell�energia 
e delle telecomunicazioni, di una disciplina comunitaria di armonizzazione 
che indica i provvedimenti necessari per garantire la tutela degli interessi fondamentali 
dello Stato. 
Il Governo italiano ha eccepito, a sua volta, che il decreto del 2004, da parte 
sua, non avrebbe introdotto alcuna misura discrezionale, ma si sarebbe limitato 
a specificare i casi e i presupposti di adozione delle misure previste dal suddetto 
decreto legge. Si � fatto inoltre valere il principio di sussidiariet�, secondo cui 
la normativa nazionale � pi� adatta di quella comunitaria a disciplinare situazioni 
che presentino un pericolo per gli interessi vitali dello Stato, situazioni che solo 
quest�ultimo pu� valutare tempestivamente e correttamente (20). 
La Corte di Giustizia ha accolto, con sentenza 26 marzo 2009, il ricorso 
della Commissione. Con riferimento ai poteri speciali di opposizione, � stata 
infatti ravvisata la violazione del principio di libera circolazione dei capitali, 
nella misura in cui la disciplina nazionale non � conforme al principio di proporzionalit�, 
il quale richiede che le misure adottate siano idonee a garantire 
il conseguimento dello scopo perseguito e non vadano oltre quanto necessario 
per il suo raggiungimento (v. sentenza Commissione/Germania, cit., punto 73 
e la giurisprudenza ivi citata). 
Si rileva, in particolare, che la mera acquisizione di una partecipazione 
che ammonti a oltre il 10% del capitale sociale di una societ� operante nel settore 
dell�energia o ogni altra acquisizione che conferisca un�influenza significativa 
su una tale societ�, in linea di principio, non pu� essere considerata, 
2003 n. 350. La legge cos� modificata sostituisce la precedente procedura di autorizzazione con un diritto 
di opposizione meno restrittivo, e prevede che con decreto del Presidente del Consiglio vengano definiti 
i criteri per l�esercizio dei poteri speciali e che tale esercizio venga limitato unicamente ai casi in cui vi 
sia pregiudizio per gli interessi vitali dello Stato. Il decreto attuativo � stato adottato il 10 giugno 2004. 
Nell�ambito di applicazione del decreto ricadono societ� privatizzate come Telecom ITALIA, Eni ed 
Enel. Nonostante i miglioramenti rispetto alla legge del 1994, la Commissione ritiene tuttavia ingiustificati 
i restanti controlli sull�assetto proprietario delle societ� privatizzate e sulle decisioni di gestione. 
A parere della Commissione una regolamentazione adeguata potrebbe rispondere alle preoccupazioni 
dello Stato italiano formulate nel decreto attuativo. Le attuali restrizioni sono sproporzionate rispetto al 
loro scopo, e configurano pertanto restrizioni alla libera circolazione dei capitali�. 
(20) � da rilevare che il Governo ha dedotto che l�unico profilo rilevante del ricorso della Commissione 
fosse quello inerente al difetto di prevedibilit� dell�esercizio dei poteri speciali, tale da vulnerare 
potenzialmente gli investimenti esteri (punto 27 della sentenza 26 marzo 2009 della Corte di Giustizia).
168 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2015 
di per s�, come una minaccia reale e sufficientemente grave per la sicurezza 
dell�approvvigionamento (v. sentenza 17 luglio 2008, Commissione/Spagna, 
cit., punti 38 e 51). 
� di conseguenza onere del singolo Stato membro, pena l�ingiustificata 
compromissione degli investimenti esteri, dettagliare i casi specifici in cui 
si ritiene che l�acquisizione possa arrecare pregiudizio agli interessi vitali 
dello Stato (21). 
Con riferimento al diritto di veto alla conclusione di patti parasociali, la 
Corte di Giustizia afferma che tale misura � idonea a violare il principio della 
libert� di stabilimento, che viene in rilievo quando la partecipazione � tale da 
conferire all�investitore straniero una sicura influenza sulle decisioni della societ� 
e da consentirgli di indirizzarne le attivit� (22). 
La Corte statuisce in proposito che il decreto del 2004 non contiene precisazioni 
sulle circostanze in cui i criteri di esercizio del potere di veto previsto dall�art. 
2, comma 1, lett. c), del decreto legge n. 332/1994 possono trovare applicazione. 
Sebbene tale potere possa essere esercitato soltanto in situazioni di pericolo 
grave ed effettivo o di emergenze sanitarie, a norma dell�art. 1, comma 
2, di detto decreto, in mancanza di precisazioni sulle circostanze concrete che 
consentono di esercitare il potere in parola gli investitori non sanno quando 
tale potere di veto possa trovare applicazione. 
Per l�effetto, la disciplina dei poteri speciali, come emergente da ultimo 
dal DPCM 10 giugno 2004 � stata dichiarata incompatibile con i principi di 
libera circolazione dei capitali e libert� di stabilimento, valorizzando la necessit� 
che gli investitori di altri Stati membri debbano poter contare su una 
disciplina accessibile e prevedibile, che consenta di pronosticare le circostanze 
in cui i poteri speciali saranno esercitati. 
Il legislatore nazionale ha dovuto, di conseguenza, innovare profondamente 
la disciplina dei poteri speciali. 
(21) Si afferma altres� che �la mera enunciazione di cui all�art. 1, comma 1, del decreto del 2004 
secondo cui i poteri speciali devono essere esercitati soltanto in conformit� con il diritto comunitario 
non pu� rendere l�applicazione di siffatti criteri compatibile con quest�ultimo. Infatti, il carattere generale 
e astratto dei criteri non � tale da garantire che l�esercizio dei poteri speciali sar� effettuato conformemente 
ai requisiti di diritto comunitario (v., in tal senso, sentenza 13 maggio 2003, causa C 463/00, 
Commissione/Spagna, Racc. pag. I 4581, punti 63 e 64)�. 
(22) Con riferimento al principio di proporzionalit�, la Corte di Giustizia al punto 64 rileva che: 
�In riferimento ad un diritto di opposizione a determinate decisioni di cessione o di attribuzione a titolo 
di garanzia degli elementi patrimoniali di societ� operanti nel settore petrolifero, la Corte ha giudicato 
che, poich� l�esercizio di tale diritto non era subordinato ad alcuna condizione che limitasse il potere 
discrezionale del ministro in ordine al controllo dell�identit� dei detentori degli elementi patrimoniali 
di queste societ�, il regime considerato andava oltre quanto necessario per conseguire l�obiettivo fatto 
valere, ossia la prevenzione di un pregiudizio all�approvvigionamento minimo di prodotti petroliferi in 
caso di minaccia effettiva. La Corte ha aggiunto che, in mancanza di criteri oggettivi e precisi nella 
struttura di detto regime, la normativa in esame era sproporzionata rispetto all�obiettivo indicato (v. sentenza 
Commissione/Francia, cit., punti 52 e 53)�.
LEGISLAZIONE ED ATTUALIT� 169 
4. La disciplina vigente e la tassonomia dei nuovi golden powers. Casi concreti 
di esercizio dei poteri speciali. 
A s�guito della menzionata sentenza 26 marzo 2009, il Governo � intervenuto 
approvando in via d�urgenza il decreto legge 15 marzo 2012, n. 21, 
convertito con legge 11 maggio 2012, n. 56. 
Il decreto muta profondamente la previgente disciplina al fine di conformarla 
ai principi di proporzionalit� e prevedibilit� ritenuti dalla Corte di Giustizia 
indispensabili al fine di non �scoraggiare gli investitori esteri, particolarmente 
quelli che intendono stabilirsi in Italia al fine di esercitare un�influenza sulla 
gestione delle imprese interessate dalla normativa di cui trattasi�. 
La disciplina introdotta nel 2012 si contraddistingue per due principali 
profili di novit� rispetto a quella contenuta nel decreto legge 31 maggio 1994, 
n. 332, avente per oggetto la privatizzazione sostanziale degli enti pubblici 
economici. 
In primo luogo, le due normative si differenziano per perimetro applicativo. 
I poteri speciali, infatti, a differenza delle golden shares, non si configurano 
come strumento a disposizione del Governo per conservare un�influenza 
sulla corporate governance delle societ� privatizzate, ma si atteggiano a mezzo 
di tutela dell�interesse nazionale con riguardo ad attivit� ed assets considerati 
di rilevanza strategica. 
I poteri speciali assurgono, dunque, a strumento di controllo degli investimenti 
esteri che possano arrecare una �minaccia di grave pregiudizio� agli interessi 
pubblici sottesi a settori sensibili, partitamente individuati nel decreto. 
In secondo luogo, l�esercizio dei poteri speciali prescinde dal possesso 
di qualsiasi partecipazione azionaria in capo allo Stato, mentre la previgente 
disciplina subordinava l�operativit� dei poteri al controllo pubblico, diretto o 
indiretto, delle societ� privatizzate. 
Il raffronto con la precedente disciplina delle golden shares fa emergere 
il marcato carattere pubblicistico dei nuovi poteri speciali, che non richiedono 
l�inserimento negli statuti delle relative clausole. 
Il decreto legge del 2012 conferisce, dunque, al Presidente del Consiglio 
dei Ministri la potest� di esercitare i poteri speciali con riguardo ad attivit� di 
rilevanza strategica per il sistema della difesa e sicurezza nazionale (art. 1) e 
con riguardo alle reti e agli impianti di rilevanza strategica nei settori dell�energia, 
dei trasporti e delle comunicazioni (art. 2). 
Per quanto concerne il primo settore, con d.P.C.M. 6 giugno 2014, n. 108, 
� stato introdotto il �Regolamento per l�individuazione delle attivit� di rilevanza 
strategica per il sistema di difesa e sicurezza nazionale�, in sostituzione 
del precedente d.P.C.M. 253/2013. 
Si considerano dotate �di rilevanza strategica� le attivit� di studio, ricerca, 
progettazione, sviluppo, produzione, integrazione e sostegno al ciclo di 
vita di specifici sistemi e materiali partitamente indicati nel decreto.
170 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2015 
In caso di grave pregiudizio per gli interessi essenziali della difesa e della 
sicurezza nazionale, il Presidente del Consiglio pu� esercitare, con proprio 
decreto adottato su conforme delibera del Consiglio dei Ministri e previa proposta 
del Ministro competente, i golden powers tassativamente previsti dall�art. 
1 del decreto. 
Nella specie, il Governo pu� imporre specifiche condizioni relative alla 
sicurezza degli approvvigionamenti, alla sicurezza delle informazioni, ai trasferimenti 
tecnologici, al controllo delle esportazioni nel caso di acquisto, a 
qualsiasi titolo, di partecipazioni in imprese che svolgono attivit� di rilevanza 
strategica per il sistema di difesa e sicurezza nazionale. 
Tali condizioni, come illustrato nel prosieguo, sono state effettivamente 
imposte in due occasioni. 
Il potere, connotato da un contenuto atipico, � inedito, non essendo stato 
previsto n� dall�originaria versione del d.l. 31 maggio 1994, n. 332, n� dai 
successivi provvedimenti adottati a seguito della sfavorevole sentenza 23 maggio 
2000 della Corte di Giustizia. 
Il secondo golden power previsto dal decreto del 2012 coincide, invece, 
con il diritto di veto gi� riconosciuto al Governo, sia pure con esclusivo riferimento 
alle societ� privatizzate, dal precedente decreto del 1994. 
Si abilita, pertanto, il Presidente del Consiglio a porre il veto all'adozione 
di delibere dell'assemblea o degli organi di amministrazione di un'impresa 
strategica, aventi ad oggetto le seguenti operazioni straordinarie: (i) la fusione 
o scissione della societ�, (ii) il trasferimento dell'azienda o di rami di essa o 
di societ� controllate, (iii) il trasferimento all'estero della sede sociale, (iv) il 
mutamento dell'oggetto sociale, (v) lo scioglimento della societ�. 
Il terzo potere previsto dal decreto 21/2012, infine, amplia una facolt� 
gi� introdotta dal d.l. 24 dicembre 2003, n. 350, che ha riformato l�art. 2 del 
�Decreto privatizzazioni�, abrogato in parte qua. 
Il Governo pu�, in particolare, opporsi all�acquisto di partecipazioni, a 
qualsiasi titolo, da parte di un soggetto diverso dallo Stato italiano, enti pubblici 
italiani o soggetti da questi controllati. 
Il potere di opposizione pu� essere attivato qualora l�acquirente venga a 
detenere, direttamente o indirettamente, anche attraverso acquisti successivi 
o per interposta persona, un livello della partecipazione al capitale con diritto 
di voto in grado di compromettere nel caso specifico gli interessi della difesa 
e della sicurezza nazionale. 
A tal fine, si considerano altres� le partecipazioni detenute da terzi con 
cui l�acquirente abbia stipulato patti parasociali di cui all�art. 122 del testo 
unico in materia di intermediazione finanziaria recato dal d.lgs. 24 febbraio 
1998, n. 58, ovvero quelli di cui all�art. 2341 bis c.c. 
Mentre il potere di opposizione previsto dal decreto del 1994 era attivabile 
solo qualora la partecipazione acquisita superasse nel complesso la ventesima
LEGISLAZIONE ED ATTUALIT� 171 
parte delle azioni dotate di diritto di voto nell�assemblea ordinaria, il nuovo 
potere speciale � svincolato da un parametro quantitativo predeterminato per 
riferirsi unicamente all�incidenza che la partecipazione possa avere sugli interessi 
vitali della difesa. 
Al fine di conformare la disciplina nazionale alle indicazioni della Corte 
di Giustizia, il legislatore del 2012 ha fissato i criteri che il Governo deve considerare 
nelle valutazioni inerenti all�esercizio del potere. 
Con riguardo al potere di veto, si stabilisce che il Governo consideri, tenendo 
conto dell'oggetto della delibera, la rilevanza strategica dei beni o delle 
imprese oggetto di trasferimento, l'idoneit� dell'assetto risultante dalla delibera 
o dall'operazione a garantire l'integrit� del sistema di difesa e sicurezza nazionale, 
la sicurezza delle informazioni relative alla difesa militare, gli interessi 
internazionali dello Stato, la protezione del territorio nazionale, delle infrastrutture 
critiche e strategiche e delle frontiere. 
Ai fini, invece, dell�esercizio del potere di imporre specifiche condizioni 
all�acquisizione di partecipazioni rilevanti, nonch� del potere di opposizione, 
si stabilisce che il Governo debba considerare l'adeguatezza dell�acquirente 
rispetto alla regolare prosecuzione delle attivit�, al mantenimento del patrimonio 
tecnologico, anche con riferimento alle attivit� strategiche chiave, alla 
sicurezza e alla continuit� degli approvvigionamenti, oltre che alla corretta e 
puntuale esecuzione degli obblighi contrattuali assunti nei confronti di pubbliche 
amministrazioni, direttamente o indirettamente, dalla societ� le cui partecipazioni 
sono oggetto di acquisizione, con specifico riguardo ai rapporti 
relativi alla difesa nazionale, all'ordine pubblico e alla sicurezza nazionale. 
Con riguardo alla tutela degli interessi essenziali concernenti la difesa e 
la sicurezza nazionale, si prescrive altres� che il Governo debba valutare l�esistenza, 
tenuto conto anche delle posizioni ufficiali dell'Unione europea, di motivi 
oggettivi che facciano ritenere possibile la sussistenza di legami fra 
l'acquirente e paesi terzi che non riconoscono i principi di democrazia o dello 
Stato di diritto, che non rispettano le norme del diritto internazionale o che 
hanno assunto comportamenti a rischio nei confronti della comunit� internazionale, 
desunti dalla natura delle loro alleanze, o hanno rapporti con organizzazioni 
criminali o terroristiche o con soggetti ad esse comunque collegati. 
La procedura di attivazione dei poteri speciali, con riferimento ai settori 
della difesa e sicurezza nazionale, � disciplinata dal d.P.R. 19 febbraio 2014, 
n. 35, che individua i soggetti tenuti alla notifica, il contenuto e la validit� 
della notifica stessa, la procedura istruttoria e le amministrazioni coinvolte, 
nonch� la procedura di irrogazione delle sanzioni amministrative pecuniarie 
in caso di inosservanza delle determinazioni adottate. 
Ci� posto con riferimento ai primi due settori, il d.P.R. n. 85/2014 ha individuato 
gli assets di rilevanza strategica nei settori dell'energia (reti energetiche 
di interesse nazionale, inter alia: rete nazionale di trasporto del gas
172 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2015 
naturale, infrastrutture di approvvigionamento di energia elettrica e gas da altri 
Stati, rete nazionale di trasmissione dell'energia elettrica), dei trasporti (grandi 
reti ed impianti di interesse nazionale, tra cui: porti di interesse nazionale, aeroporti 
di interesse nazionale e rete ferroviaria nazionale di rilevanza per le 
reti trans-europee), e delle comunicazioni (reti dedicate e rete di accesso pubblica 
agli utenti finali in connessione con le reti metropolitane, i router di servizio 
e le reti a lunga distanza etc.) (23). 
Qualsiasi delibera, atto o operazione, adottato da una societ� che detiene 
uno o pi� degli attivi suindicati, che abbia per effetto modifiche della titolarit�, 
del controllo o della disponibilit� degli attivi medesimi o il cambiamento della 
loro destinazione, nonch� le operazioni straordinarie, deve essere notificato 
alla Presidenza del Consiglio che ha il potere di apporre il veto. 
In ottemperanza alla menzionata sentenza della Corte di Giustizia, si prescrive 
che il potere speciale possa essere esercitato solo a fronte di una �situazione 
eccezionale, non disciplinata dalla normativa nazionale ed europea 
di settore, di minaccia di grave pregiudizio per gli interessi pubblici relativi 
alla sicurezza e al funzionamento delle reti e degli impianti e alla continuit� 
degli approvvigionamenti�. 
Inoltre, si attribuisce al Governo la facolt� di condizionare all�assunzione 
di impegni diretti a tutelare gli interessi vitali dello Stato l'acquisto a qualsiasi 
titolo da parte di un soggetto esterno all'Unione europea di partecipazioni in 
societ� che detengono gli attivi individuati come strategici, di rilevanza tale 
da determinare l'insediamento stabile dell'acquirente in ragione dell'assunzione 
del controllo della societ� la cui partecipazione � oggetto dell'acquisto, ai sensi 
dell'articolo 2359 del codice civile. 
Al fine di garantire la compatibilit� comunitaria dei poteri speciali, il legislatore 
del 2012 precisa che i poteri speciali suindicati possono essere esercitati 
esclusivamente sulla base di criteri oggettivi e non discriminatori. 
A tale fine il Governo deve valutare i seguenti criteri: a) l'esistenza, tenuto 
conto anche delle posizioni ufficiali dell'Unione europea, di motivi oggettivi che 
facciano ritenere possibile la sussistenza di legami fra l'acquirente e paesi terzi 
che non riconoscono i principi di democrazia o dello Stato di diritto o hanno 
rapporti con organizzazioni criminali o terroristiche o con soggetti ad esse comunque 
collegati; b) l'idoneit� dell'assetto risultante dall'atto giuridico o dall'operazione, 
tenuto conto anche delle modalit� di finanziamento della 
acquisizione e della capacit� economica, finanziaria, tecnica e organizzativa dell'acquirente, 
a garantire: 1) la sicurezza e la continuit� degli approvvigionamenti; 
2) il mantenimento, la sicurezza e l'operativit� delle reti e degli impianti. 
(23) COMINO A., Golden power per dimentiare la golden share: le nuove forme di intervento pubblico 
sugli assetti societari nei settori della difesa, della sicurezza nazionale, dell�energia, dei trasporti 
e delle comunicazioni, in Rivista Italiana di Diritto Pubblico Comunitario, fasc. 5, 2014.
LEGISLAZIONE ED ATTUALIT� 173 
La procedura per l�attivazione dei poteri speciali nei settori dell�energia, 
dei trasporti e delle comunicazioni � disciplinata dal d.P.R. 25 marzo 2014, n. 
86, che ha introdotto i medesimi passaggi procedimentali previsti dal d.P.R. 
19 febbraio 2014, n. 35, in materia di difesa e sicurezza nazionale. 
Esaminata la tassonomia dei golden powers siccome previsti dal decreto 
del 2012, � ora rilevante sul piano empirico analizzare i casi di esercizio, nonch� 
le numerose ipotesi in cui il Consiglio dei Ministri ha optato per non fare 
uso dei poteri conferiti dalla legge. 
A tal fine, riveste particolare importanza l�acquisizione del ramo di 
azienda Avio - Settore propulsione e trasmissione di potenza da parte di General 
Electric Aviation, divisione della General Electric Company, per il tramite 
della Nuovo Pignone Holding S.p.A., da essa controllata. 
Il Consiglio dei Ministri, considerato che la societ� Avio S.p.A. svolge 
attivit� di progettazione e produzione di componenti e sistemi per la propulsione 
aerospaziale, nonch� di apparati per la trasmissione di potenza, in ambito 
sia civile che militare, e che tali attivit� assumono rilevanza strategica nei settori 
della difesa e della sicurezza nazionale, ai sensi dell'art. 1, comma 1, lettera 
f), del citato decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 30 novembre 
2012, n. 253, ha deliberato di esercitare i poteri speciali adottando il d.P.C.M. 
6 giugno 2013. 
Il Governo, ai sensi dell�art. 1, comma 1, lett. a), del d.l. 21/2012, relativo 
ai settori della difesa e sicurezza nazionale, ha fissato le condizioni cui assoggetta 
il completamento dell�operazione, anche in considerazione della lettera 
del 20 dicembre 2012 con cui la General Electric Aviation si � impegnata ad 
accettare eventuali condizioni all�acquisto. 
Nella specie, il Governo italiano impone alle societ� General Electric 
Company, Nuovo Pignone Holding S.p.A. e GE Avio S.r.l. di: 
- garantire la continuit� delle attivit� di produzione, manutenzione, revisione 
e supporto logistico dei sistemi di propulsione aerospaziali e navali forniti 
da GE Avio s.r.l. alle Forze armate e alle altre amministrazioni pubbliche, 
nonch� la continuit� di produzione, revisione e supporto logistico necessaria 
per assicurare il rispetto degli impegni assunti nell'ambito dei programmi di 
collaborazione internazionale a cui partecipa l'Italia; 
- assicurare uno standard delle attivit� di ricerca e sviluppo necessario 
per mantenere le capacit� di produzione, manutenzione e logistica di GE Avio 
s.r.l. in relazione alle attivit� strategiche e strategiche chiave; 
- nominare, previo assenso del Ministero della difesa, il dirigente di GE 
Avio s.r.l. preposto ai trasferimenti e alle esportazioni dei materiali di armamento, 
con cittadinanza italiana, in considerazione della stretta connessione tra 
le politiche nazionali relative a tali materiali e il sistema di difesa nazionale; 
- nell'ambito delle attivit� strategiche e strategiche chiave (ivi inclusi i 
programmi di cooperazione internazionale militare di cui l'Italia � parte) im-
174 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2015 
piegare prevalentemente personale di nazionalit� italiana, nel rispetto, in 
quanto applicabili, delle necessarie autorizzazioni e procedure di sicurezza 
delle informazioni, ai sensi delle leggi e dei regolamenti vigenti; 
- nominare, previo assenso del Ministero della difesa e approvazione dell'Ufficio 
centrale per la segretezza del Dipartimento informazioni per la sicurezza 
della Presidenza del Consiglio dei Ministri, il dirigente di GE Avio s.r.l. 
responsabile per le questioni relative alla sicurezza, con cittadinanza italiana, 
in considerazione della rilevanza strategica delle sue attivit� per il sistema di 
difesa e di sicurezza nazionale. 
Altro significativo caso riguarda l�acquisizione da parte di Mubadala Development 
Company, societ� di investimento del Governo degli Emirati Arabi 
Uniti, delle quote di maggioranza di Piaggio Aero Industries S.p.A. 
Il Consiglio dei Ministri 18 aprile 2014, n. 14, �esercitando i propri poteri 
speciali di sorveglianza su tutte le attivit� che sono connesse allo svolgimento 
della funzione istituzionale della difesa e della sicurezza nazionale, si � 
espresso positivamente per l�acquisizione, indicando specifiche condizioni 
per la tutela delle capacit� tecnologiche e industriali, della continuit� di produzione, 
delle attivit� di rilevanza strategica sviluppate da Piaggio Aero Industries 
S.p.A., in particolare nel settore dei velivoli a pilotaggio remoto�. 
All�esercizio dei poteri speciali non ha fatto seguito, per esigenze di sicurezza, 
la pubblicazione del d.P.C.M. 
Per quanto concerne il mancato esercizio di poteri speciali, � interessante 
considerare che il Consiglio dei Ministri 23 ottobre 2014, n. 34, ha accolto la 
proposta del ministero dell�Economia e Finanze di non esercitare il potere di 
veto in relazione al conferimento della partecipazione in Terna da CDP a CDP 
Reti, nonch� all�autorizzazione alla vendita di quota di minoranza delle azioni 
di RAI Way S.p.A. finalizzata alla quotazione di RAI Way. 
Inoltre, il Consiglio dei ministri 30 giugno 2015, n. 71, ha accolto la proposta 
del Ministro dello Sviluppo Economico di non esercitare i poteri speciali 
in relazione alla operazione infragruppo di fusione inversa mediante incorporazione 
delle societ� Gestioni Partecipazioni Srl, Gestioni Partecipazioni Old 
Srl e Petren Srl in Ital Gas Storage Srl, in quanto l�attivit� di stoccaggio rimane 
comunque regolata da precise norme comunitarie, indipendentemente dalla 
composizione societaria di controllo della societ� operatrice. 
Da tale excursus di carattere empirico � possibile concludere che il Governo 
italiano tende a fare un uso assai cauto dei poteri speciali conferiti dal 
decreto legge 15 marzo 2012, n. 21, e, nelle ipotesi di concreto esercizio, opta 
per la modalit� meno invasiva di intervento.
LEGISLAZIONE ED ATTUALIT� 175 
I servizi pubblici locali con particolare riferimento 
al servizio di gestione dei rifiuti solidi urbani 
Giuliano Gambardella* 
SOMMARIO: 1. I servizi pubblici locali: profili generali - 2. Servizi pubblici locali a rilevanza 
economica e servizi privi di tale rilevanza - 3. Recenti interventi legislativi sulle 
modalit� di affidamento dei servizi pubblici locali: dall�art. 23 bis del d.l. 25 giugno 2008 
n.112 all�art. 4 del d.l. n. 13 agosto del 2011 n.138 ed al decreto Milleproroghe �modifiche 
alla disciplina dei servizi pubblici locali - 3.1 L�iniziativa referendaria e la sentenza della 
Corte Costituzione del 26 gennaio 2011, n. 24. L�esito del referendum e la disciplina applicabile 
- 3.2 La disciplina introdotta dall�art. 4 del d.l. n. 13 agosto 2011 n.138 - 4. Brevi 
considerazioni sui rifiuti urbani e il loro impatto sull�ambiente - 5. Nozioni introduttive dei 
rifiuti solidi urbani. Disciplina comunitaria nazionale e regionale - 6. Competenze statali, 
regionali, provinciali e comunali, delle Camere di Commercio e delle ASL in materia ambientale 
con particolare riferimento alla gestione dei rifiuti solidi urbani - 7. Distinzione 
tra rifiuti urbani e rifiuti speciali - 8. La gestione dei rifiuti: profili storici fino all�entrata 
in vigore del testo unico - 8.1 La gestione dei rifiuti prima del D.P.R. 10 settembre 1982 n. 
915 - 8.2 La legge 20 marzo 1941 n. 366 sullo smaltimento dei rifiuti solidi urbani - 9. I 
Principi della gestione dei rifiuti - 10. La riforma della gestione dei rifiuti solidi urbani - 
11. Conclusioni. 
1. I servizi pubblici locali: profili generali. 
La nozione di servizio pubblico locale � stata considerata da molti studiosi 
del diritto tra le pi� tormentate e di difficile interpretazione del nostro ordinamento 
giuridico; manca infatti nel nostro sistema una definizione compiuta. 
Invero l�art. 33 del d.lgs. 31 marzo 1998 n. 80, ai fini del riparto di giurisdizione, 
non delimita puntualmente i connotati di tale nozione limitandosi a qualche 
esemplificazione. Lo stesso discorso vale anche per l�art. 113 del d.lgs. 18 agosto 
2000 n. 267 e per la legge sullo sciopero dei servizi pubblici essenziali. 
Preso atto di ci�, voci autorevolissime (Benvenuti, Cassese, Merusi) 
hanno rinunciato alla ricerca di una nozione in senso giuridico dei servizi pubblici 
locali, facendo ricorso alle scienze economiche, al fine di delineare gli 
aspetti principali del tema e dedicandosi piuttosto allo studio dei regimi particolari 
da cui queste attivit� sono rette (1). A tal riguardo, si cita l�art. 43 della 
Costituzione che menziona nel medesimo contesto �i servizi pubblici�, �le 
fonti di energia� e �le situazioni di monopolio�. 
Successivamente, la dottrina ha individuato, sempre al fine di ottenere 
(*) Avvocato del libero Foro, Dottore di ricerca in diritto amministrativo presso l�Universit� degli Studi 
di Roma Tor Vergata. 
(1) R. CHIEPPA - R. GIOVAGNOLI, Manuale di diritto amministrativo, II Edizione 2012, pag. 968.
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una definizione unitaria della nozione di servizio pubblico locale, due teorie: 
la teoria soggettiva e la teoria oggettiva. 
Secondo la concezione soggettiva (o nominalistica), il servizio pubblico 
consiste in un�attivit� non avente forma autoritativa rivolta a terzi, la cui titolarit� 
� assunta da un ente pubblico. 
Secondo questa teoria, avente carattere meramente residuale, l�attivit� � 
svolta da un pubblico potere e prescinde dalle caratteristiche dell�attivit� svolta 
dall�ente pubblico. 
Quello che rileva � dunque la decisione della pubblica amministrazione di 
assumere nella propria sfera di competenza una determinata attivit�, in quanto 
ritenuta di interesse collettivo, in tal modo conseguendone la titolarit�. Conseguentemente, 
nell�ottica del diritto amministrativo, servizio pubblico in senso 
stretto pu� aversi solo in rapporto a compiti che il soggetto pubblico consideri 
propri nell�ambito delle sue competenze istituzionali; a tali compiti sono chiamate 
a partecipare anche persone fisiche o giuridiche private, posto che il loro 
svolgimento non implica (di norma) esercizio di poteri autoritativi, ma l�attivit� 
viene comunque riferita all�organizzazione pubblica globalmente intesa� (2). 
Alla teoria soggettiva, ampiamente criticata, si contrappone la teoria oggettiva. 
Secondo quest�ultima, a prescindere dalla titolarit� del servizio, � la natura 
dell�attivit� svolta e la sua sostanziale rispondenza ad un interesse generale 
ad assumere rilievo ai fini della qualificazione di quell�attivit� in termini 
di servizio pubblico. 
La teoria oggettiva parte dal presupposto che quella di servizio pubblico 
� una nozione caratterizzata da oggettivi tratti di diritto pubblico e conserva 
la natura pubblica, derivante dalla penetrante disciplina pubblicistica e dalle 
finalit�, anche quando i soggetti componenti l�organizzazione che ne cura l�attuazione, 
siano di natura privata. 
Si definisce servizio pubblico, quindi, ogni attivit� che sia oggetto di applicazione 
di un regime giuridico peculiare, volto alla tutela dell�interesse pubblico 
attraverso di essa perseguito e indipendentemente dalla natura giuridica 
degli operatori. 
Secondo una parte della dottrina (3) la nozione oggettiva di servizio pubblico 
� imperniata su un�organizzazione settoriale, o, secondo altra terminologia 
su di un ordinamento sezionale, in cui operano sia soggetti pubblici che 
privati, il cui agire � diretto e controllato attraverso poteri pubblici di governo 
del settore. 
Tale dottrina sembra rievocare una risalente affermazione di M.S. Giannini 
secondo il quale �se tutti i soggetti componenti l�organizzazione o buona 
(2) R. VILLATA, La riforma dei servizi pubblici locali, G. Giappichelli, Ed. 2011, pag. 8. 
(3) G. NAPOLITANO, Regole e mercato nei servizi pubblici, Ed. 2005, pagg. 88, 192.
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parte di essi hanno natura privata, non per questo � privata l�organizzazione, 
che, invece, per le sue finalit�, per la sua partecipazione intima di un organo 
dello Stato, per la sua penetrante disciplina pubblicistica che vi si esprime, 
ha natura francamente pubblicistica� (4). 
Tra le due teorie � prevalsa quella oggettiva. A favore della teoria oggettiva 
ha inciso altres�, l�art. 43 Cost. il quale prevede che �a fini di utilit� generale, 
la legge pu� riservare originariamente o trasferire, mediante 
espropriazione e salvo indennizzo, allo Stato, ad enti pubblici ed a comunit� 
di lavoratori e di utenti, determinate imprese o categorie di imprese che si riferiscano 
a servizi pubblici essenziali o a fonti di energia o a situazioni di monopolio 
ed abbiano carattere di interesse generale�. 
Tale disposizione offre diversi argomenti a favore della teoria oggettiva 
di servizio pubblico. 
Il primo deriva dalla considerazione che la riserva o il trasferimento a favore 
dello Stato o altro ente pubblico delle imprese che si riferiscono a pubblici 
servizi essenziali � prevista dall�art. 43 Cost. come mera possibilit�, con la 
conseguenza che � costituzionalmente ammessa l�eventualit� di una gestione 
di tali servizi pubblici ad opera di privati. 
Inoltre, l�art. 43 Cost., contempla tra i possibili destinatari della riserva o 
del trasferimento della titolarit� (e non gi� della gestione) non solo lo Stato ed 
altri enti pubblici, ma anche le comunit� di lavoratori e utenti, ossia soggetti 
che hanno natura privata. 
A favore della teoria oggettiva � intervenuto anche il diritto comunitario. 
L�ordinamento comunitario, infatti, contiene una nozione di servizio pubblico 
che, sebbene non precisata nei suoi esatti confini da una chiara enunciazione 
normativa a carattere generale, prescinde dalla natura pubblicistica o 
privatistica del soggetto gestore che li caratterizzi per la sottoposizione della 
relativa attivit� ad un regime derogatorio rispetto a quello comune. 
La disposizione fondamentale che disciplina a livello nazionale i servizi 
di interesse generale � l�art. 106 tuel (d.lgs. 18 agosto 2000 n. 267) che, dopo 
aver previsto al par. 1 la generale sottoposizione alla disciplina comunitaria 
delle imprese pubbliche e di quelle cui gli Stati membri �riconoscono diritti 
speciali o esclusivi� introduce, al par. 2 una deroga al regime concorrenziale 
per l�esercizio dei �servizi di interesse economico generale o aventi carattere 
di monopolio fiscale�, sia pure nei limiti della �missione� affidata alle imprese 
incaricate della relativa gestione e purch� non risultino compromessi gli interessi 
della Comunit�. 
Ad una prima lettura della norma traspare una nozione di interesse economico 
generale che prescinde dalla natura giuridica del soggetto preposto 
(4) R. CHIEPPA - R. GIOVAGNOLI, Manuale di diritto amministrativo, II Edizione 2012, pag. 968.
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all�espletamento dell�attivit� economica, ma che si caratterizza per la sottoposizione 
della stessa attivit� ad una disciplina che, costituendo deroga, sia 
pur parziale, al regime concorrenziale, d� luogo ad una conformazione pubblicistica 
dell�attivit�, giustificata dalla necessit� di perseguire gli specifici 
compiti assegnati al gestore del servizio. 
2. Servizi pubblici locali a rilevanza economica e servizi privi di tale rilevanza. 
I servizi pubblici locali si suddividono in servizi a rilevanza economica 
e servizi privi di rilevanza economica. 
Circa la dibattuta questione della rilevanza economica dei servizi pubblici 
rivolti all�utenza deve farsi oramai riferimento al potere autonomistico degli 
enti locali nell�organizzazione degli stessi e dei fattori che in concreto possono 
condizionarne la portata, fatte salve specifiche discipline di settore (5). 
Sui servizi pubblici locali di rilevanza economica si ricorda un�importante 
decisione del Consiglio di Stato del 2013 (6) secondo la quale: �stante la abrogazione 
referendaria dell�art. 23 bis D.L. 25 giugno 2008, n. 112 e la declaratoria 
di incostituzionalit� dell�art. 4 del D.L. 13 agosto 2011, n. 138 e le 
ragioni del quesito referendario (lasciare maggiore scelta agli enti locali sulle 
forme di gestione dei servizi pubblici locali, anche mediante internazionalizzazione 
e societ� in house), � venuto meno il principio con tali disposizioni 
perseguito, dell�eccezionalit� del modello in house per la gestione dei servizi 
pubblici locali di rilevanza economica. Si applica invece la disciplina sui presupposti 
e condizioni per l�utilizzo della societ� in house�. 
Anche che il Tar Campania (7), nel far proprio tale orientamento, ha sostenuto 
che: �la scelta dell�ente locale sulle modalit� di organizzazione dei 
servizi pubblici locali e, in particolare la opzione tra modello in house e ricorso 
al mercato, debba basarsi sui consueti parametri di esercizio delle scelte 
discrezionali, vale a dire: �valutazione comparativa di tutti gli interessi pubblici 
e privati coinvolti; individuazione del modello pi� efficiente ed economico; 
adeguata istruttoria e motivazione�. 
Inoltre, il Tar Brescia con la sentenza n. 558 dell�11 giugno 2013, ha precisato 
che, in sede di uniformazione del diritto interno alla pronuncia della 
Corte Costituzionale, il legislatore, con il D.L. 18 ottobre del 2012 convertito 
in legge n. 221 del 17 dicembre 2012 (art. 34 comma 20), ha scelto di non indicare 
� un modello preferibile, ossia non predilige l�in house, n� la piena 
espansione della concorrenza nel mercato e per il mercato e neppure il partenariato 
pubblico - privato, ma rinvia alla scelta concreta del singolo ente 
affidante�. L� in house providing (usata per la prima volta in sede comunitaria 
(5) Tar Lombardia Brescia, sentenza n. 558 del 11 giugno 2013. 
(6) Consiglio di Stato Sez. VI, sentenza n. 762 del 11 febbraio 2013. 
(7) Tar Campania, Sez. I, sentenza n. 1925 del 11 aprile 2013.
LEGISLAZIONE ED ATTUALIT� 179 
nel Libro Bianco sugli appalti del 1998) identifica il fenomeno di "autoproduzione" 
di beni, servizi o lavori da parte della pubblica amministrazione: ci� 
accade quando quest�ultima acquisisce un bene o un servizio attingendoli all�interno 
della propria compagine organizzativa senza ricorrere a terzi tramite 
gara e dunque al mercato. Il modello si contrappone a quello dell�outsourcing, 
o contracting out (la c.d. esternalizzazione), in cui la sfera pubblica si rivolge 
al privato, demandandogli il compito di produrre e /o fornire i beni e servizi 
necessari allo svolgimento della funzione amministrativa. La prima definizione 
giurisprudenziale della figura � fornita dalla sentenza della Corte di giustizia 
delle Comunit� europee del 18 novembre 1999, causa C-107/98, Teckal. In 
quella sede - a estrema sintesi delle considerazioni della Corte - si � affermato 
che non � necessario rispettare le regole della gara in materia di appalti nell�ipotesi 
in cui concorrano i seguenti elementi: 
a) l�amministrazione aggiudicatrice esercita sul soggetto aggiudicatario 
un "controllo analogo" a quello esercitato sui propri servizi; 
b) il soggetto aggiudicatario svolge la maggior parte della propria attivit� 
in favore dell�ente pubblico di appartenenza. 
In ragione del "controllo analogo" e della "destinazione prevalente dell�attivit�", 
l�ente in house non pu� ritenersi "terzo" rispetto all�amministrazione 
controllante ma deve considerarsi come uno dei servizi propri dell�amministrazione 
stessa: non �, pertanto, necessario che l�amministrazione ponga in 
essere procedure di evidenza pubblica per l�affidamento di appalti di lavori, 
servizi e forniture. 
Da ci� deriva una maggiore autonomia degli enti locali nella scelta delle 
tipologie organizzative. L�ordinamento infatti non propone una specifica tipologia 
organizzativa demandando agli enti l�individuazione di un percorso 
di adeguatezza alle condizioni esistenti ovvero: al tipo di servizio, alla rimunerativit� 
della gestione, all�organizzazione del mercato, alle condizioni delle 
infrastrutture e delle reti e principalmente all�interesse della collettivit�. 
Ai sensi del D.L. 18 ottobre 2012 n. 179, nel rispetto dei criteri previsti 
dall�art. 34, comma 20, la scelta dei modelli organizzativi dei servizi pubblici 
va effettuata dunque sulla base della reale situazione di fatto. Si prende come 
riferimento l�economicit� della gestione, la parit� tra gli operatori e l�adeguata 
informazione alla collettivit�. Ci� deve essere legato all�imprescindibile interesse 
dell�utente del servizio affinch� ne fruisca nel miglior modo possibile e 
certamente alle condizioni pi� convenienti. Il nuovo assetto risulta inoltre ampiamente 
coerente con quanto, ancora oggi confermato dall�art. 112 del TUEL 
(d.lgs. 18 ottobre 2000 n. 267), il quale espressamente prevede che: �Gli enti 
locali, nell�ambito delle rispettive competenze, provvedono alla gestione dei 
servizi pubblici che abbiano per oggetto la produzione di beni ed attivit� rivolte 
a realizzare fini sociali ed a promuovere lo sviluppo economico e civile 
delle comunit� locali�.
180 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2015 
Preso atto che l�ordinamento, con il D.L. 18 ottobre 2012 n. 179 non aderisce 
a priori ad un�opzione organizzativa, tracciando piuttosto un percorso di 
adeguatezza alle condizioni esistenti, e che i servizi pubblici locali comprendono 
anche quelli resi agli utenti in modo meramente erogativo, che per loro 
natura non richiedono un�organizzazione di impresa in senso tecnico ed obiettivo 
come stabilito in una pronuncia del Consiglio di Stato; ne consegue che, 
per la classificazione tra servizi pubblici locali a rilevanza economica e non, 
deve farsi riferimento non tanto a definizioni giuridiche quanto pratiche e di 
natura eminentemente di fattibilit� finanziaria: �per qualificare un servizio 
pubblico come avente rilevanza economica o meno si deve prendere in considerazione 
non solo la tipologia o la caratteristica merceologica del servizio 
(vi sono attivit� meramente erogative come l�assistenza agli indigenti), ma 
anche la soluzione organizzativa che l�ente locale, quando pu� scegliere sente 
pi� appropriata per rispondere alle esigenze dei cittadini (ad esempio servizi 
della cultura e del tempo libero da erogare a seconda della scelta dell�ente 
pubblico con o senza copertura dei costi) (8). 
Sempre ai fini della distinzione tra servizi pubblici di rilevanza economica 
e non, il Consiglio di Stato aveva gi� ritenuto in precedenza che � l�Ente a 
�qualificare� il servizio affermando che la rilevanza economica non dipende 
dalla sola capacit� di produrre utili dal modulo gestionale, ma deriva dai vari 
elementi di sviluppo del contesto quali: �la struttura del servizio, le modalit� 
di espletamento, gli specifici connotati economico-organizzativi, la disciplina 
normativa, la natura del soggetto chiamato ad espletarlo� (9). 
Questa sentenza, rafforzando le interpretazioni giurisprudenziali in precedenza 
assunte in ordine al riconoscimento della competenza esclusiva dell�Ente 
a determinare la qualificazione di un servizio pubblico locale come 
economicamente significativo o meno, afferma espressamente: �la scelta delle 
modalit� di erogazione e del regime giuridico, al quale le varie attivit� sono 
sottoposte, dipende, in definitiva, pi� da valutazioni politiche che dai caratteri 
intrinseci dei servizi�. 
In conclusione, pu� affermarsi che sono classificabili come servizi a rilevanza 
economica tutti quei servizi pubblici locali assunti dall�ente laddove 
la tariffa richiedibile all�utente sia potenzialmente in grado di coprire integralmente 
i costi di gestione e di creare un utile di impresa che non deve essere di 
modesta entit�. 
Per cui non hanno rilevanza economica quei servizi che, per obbligo di 
legge o per disposizione statutaria o regolamentare del Comune, prevedono o 
consentono l�accesso anche a fasce deboli non in grado di contribuire, laddove 
naturalmente questa sotto-contribuzione sia tale da compromettere una gestione 
(8) Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza n. 5409 del 23 ottobre 2012. 
(9) Consiglio di Stato, sentenza n. 6529 del 10 settembre 2010.
LEGISLAZIONE ED ATTUALIT� 181 
remunerativa del servizio e non sia possibile prevedere eventuali compensazioni 
economiche agli esercenti i servizi, nei limiti delle disponibilit� di bilancio. 
3. Recenti interventi legislativi sulle modalit� di affidamento dei servizi pubblici 
locali: dall�art. 23 bis del d.l. 25 giugno 2008 n. 112 all�art. 4 del d.l. 13 
agosto del 2011 n. 138 ed al decreto Milleproroghe �modifiche alla disciplina 
dei servizi pubblici locali�. 
Prima del referendum del 12 e 13 giugno 2011, i servizi pubblici locali 
di rilevanza economica avevano raggiunto un quadro normativo piuttosto delineato, 
la cui fonte si rinveniva da una parte nell�art. 23 bis del d.l. 25 giugno 
del 2008 n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008 n. 
133, e successive modificazioni; dall�altra nel regolamento di attuazione approvato 
con d.p.r. 7 settembre 2010 n. 168. 
Prima dell�abrogazione referendaria, l�art. 23 bis, gi� modificato dal d.l. 
25 settembre 2009 n. 135 aveva inteso favorire la gestione dei servizi pubblici 
locali di rilevanza economica da parte di pi� soggetti scelti a seguito di gara 
ad evidenza pubblica. 
La norma, quindi, limitava i casi di affidamento diretto della gestione, 
consentendo la gestione in house soltanto in presenza di situazioni del tutto 
eccezionali che non permettono un efficace ed utile ricorso al mercato. 
In particolare, l�art. 23 bis del d.l. 25 giugno 2008 n. 112 prevedeva tre 
forme di conferimento dei servizi pubblici locali di rilevanza economica: le 
prime due �ordinarie� e sostanzialmente equiparate, la terza �straordinaria�, 
possibile in presenza di situazioni eccezionali. 
La norma prevedeva che l�affidamento avvenisse in via ordinaria mediante 
procedure competitive ad evidenza pubblica a favore delle societ� di 
capitali, ma, pi� in generale, degli imprenditori o societ� in qualunque forma 
costituite. Come ulteriore ipotesi di conferimento della gestione �in via ordinaria� 
del tutto equiparata alla precedente, la norma stabiliva l�affidamento a 
societ� a partecipazione mista pubblica e privata, a condizione che la selezione 
del socio avvenisse mediante procedure competitive ad evidenza pubblica, le 
quali avessero ad oggetto, al tempo stesso la qualit� di socio e l�attribuzione 
di specifici compiti operativi connessi alla gestione del servizio e che al socio 
fosse attribuita una partecipazione non inferiore al 40 per cento. 
In deroga alle modalit� di affidamento ordinario appena menzionate, l�art. 
23 bis del d.l. 25 giugno 2008 n. 112 prevedeva che per situazioni eccezionali 
che, a causa di peculiari caratteristiche economiche, sociali, ambientali e geomorfologiche 
del contesto territoriale di riferimento, non permettevano un efficace 
ed utile ricorso al mercato, l�affidamento potesse avvenire a favore di 
societ� a capitale interamente pubblico, partecipata dall�ente locale, che avesse 
i requisiti richiesti dall�ordinamento comunitario per la gestione in house e, 
comunque, nel rispetto dei principi della disciplina comunitaria in materia di
182 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2015 
controllo analogo sulla societ� e di destinazione prevalente dell�attivit�. 
Sull�art. 23 bis del d.l. 25 giugno 2008 n. 112 � intervenuta un�importante 
sentenza della Corte Costituzionale: la n. 325 del 5 ottobre 2010. 
Con tale pronuncia la Consulta ha ritenuto compatibili con l�ordinamento 
comunitario le limitazioni introdotte dal legislatore statale all�affidamento �in 
house� ed ha respinto ogni dubbio di legittimit� costituzionale. 
In specie, la Corte Costituzionale, disattendendo la tesi prospettata da numerose 
Regioni che avevano impugnato l�art. 23 bis del d.l. 25 giugno 2008 
n. 112, non accettando un�etero-determinazione da parte del legislatore statale 
nella materia dei servizi pubblici locali secondo le stesse Regioni rientrante 
nella competenza residuale regionale ex. art. 117 quarto comma cost., ha ribadito 
che la disciplina dell�affidamento e della gestione dei servizi pubblici 
locali di rilevanza economica, ivi compreso il servizio idrico non pu� che rientrare 
nell�esercizio della competenza esclusiva statale in materia di tutela della 
concorrenza, ai sensi dell�art. 117 secondo comma lett.e) Cost. (a differenza 
dei servizi pubblici locali privi di rilevanza economica che rientrano nella 
competenza organizzativa di regioni ed enti locali). 
Pi� nel dettaglio la Corte ha ribadito che l�affidamento senza gara � un�eccezione 
e non la regola del diritto europeo, che vede nella pubblica gara il naturale 
mezzo per individuare il gestore dei servizi pubblici locali di rilevanza 
economica. 
Il giudice delle leggi, escludendo espressamente che l�art. 23 bis costituisse 
applicazione necessitata del diritto dell�unione europea, ha affermato 
che esso integra solo una delle diverse discipline possibili della materia che il 
legislatore avrebbe potuto legittimamente adottare senza violare il primo 
comma dell�art. 117 Cost. 
La Corte, nella pronuncia de qua, ha altres� precisato che l�introduzione 
di regole concorrenziali pi� rigorose di quelle minime richieste dal diritto 
dell�Unione europea non � imposta dall�ordinamento comunitario, non � costituzionalmente 
obbligata, ai sensi del primo comma dell�art. 117 Cost., ma 
neppure si pone in contrasto con la normativa comunitaria, che, in quanto diretta 
a favorire l�assetto concorrenziale del mercato, costituisce solo un minimo 
inderogabile per gli Stati membri. 
L�unica censura regionale accolta dal giudice delle leggi ha riguardato il 
comma 10, lett. a) del citato art. 23 bis del d.l. 25 giugno 2008 n. 112, dichiarato 
incostituzionale limitatamente alle parole �l�assoggettamento dei soggetti affidatari 
diretti dei servizi pubblici locali al patto di stabilit� interno�, in quanto 
la specifica prescrizione, concernente il patto di stabilit� impatta su di un ambito 
di competenza concorrente (il coordinamento della finanza pubblica, ex art. 
117 terzo comma cost.) ed esula, quindi, dalla tutela della concorrenza. Cos� 
che la disposizione andava introdotta con fonte di rango primario e non regolamentare, 
per il divieto previsto dall�art. 117, sesto comma, della Cost.
LEGISLAZIONE ED ATTUALIT� 183 
3.1 L�iniziativa referendaria e la sentenza della Corte Costituzione del 26 gennaio 
2011, n. 24. L�esito del referendum e la disciplina applicabile. 
L�art. 23 bis del d.l. 25 giugno 2008, n. 112, nonostante la pronuncia della 
Corte Costituzionale, � stato nuovamente oggetto di nuove censure. 
A tal riguardo, la Consulta, con la sentenza del 26 gennaio del 2011 n. 
24, ha dichiarato ammissibile il quesito referendario diretto all�abrogazione 
dell�art. 23 bis del d.l. del 25 giugno del 2008 n. 112. 
In specie, l�iniziativa referendaria, che si concretizzava nell�elaborazione 
anche di altri due quesiti dichiarati per� inammissibili dalla Corte Costituzionale, 
riguardava essenzialmente il servizio idrico. A seguito dell�esito referendario, 
formalizzato con il d.p.r. 18 luglio del 2011 n. 113, l�art. 23 bis venne 
abrogato (con efficacia �ex nunc�) a decorrere dal giorno successivo alla pubblicazione 
del decreto stesso nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana. 
L�abrogazione dell�art. 23 bis del d.l. 25 giugno 2008 n. 112 ha comportato, 
conseguentemente, la caducazione, con effetto abrogante con la medesima 
decorrenza, del regolamento approvato con d.p.r. 7 settembre del 2010 
n. 168 adottato sulla base della norma di delega contenuta nel comma 10 del 
medesimo articolo. 
Dall�abrogazione del citato art. 23 bis del d.l. 25 giugno 2008 n. 112 � 
conseguita l�applicazione immediata, nell�ordinamento italiano, della normativa 
comunitaria. 
In particolare, i principi comunitari consentono che l�affidamento dei servizi 
pubblici possa avvenire secondo tre diverse modalit�. 
La prima � la procedura ad evidenza pubblica per l�affidamento della gestione. 
La seconda � il modello della c.d. gara a doppio oggetto, riguardante 
sia la qualit� di socio che la gestione del servizio in cui la societ� viene costituita 
per una specifica missione in base ad una gara che ha ad oggetto la scelta 
del socio e l�affidamento della specifica missione (10). 
Il terzo � il modello dell�affidamento in house da ritenersi ammissibile, 
venuto meno l�art. 23 bis, senza i limiti e le condizioni previste dalla legge 
nazionale. 
Tre modelli di gestione, quindi, tendenzialmente coincidenti con quelli 
gi� previsti dall�art. 23 bis del d.l. 25 giugno 2008, n. 112 appena abrogato. 
Le principali differenze riguardano il venir meno delle previsioni di limiti 
previsti al modello dell�in house, (che nel diritto comunitario non sembra essere 
un modello eccezionale) e il venir meno dei limiti percentuali di partecipazione 
pubblica o privata in caso di gara a doppio oggetto. 
Vengono meno, infine, le disposizioni del regolamento di cui al d.p.r. n. 
168 del 7 settembre 2010, tra cui di rilievo quelle �sui puntuali criteri per la 
(10) Corte di Giustizia CE, Sez. III, 15 ottobre 2009, procedimento C-196/08, Acoset SPA.
184 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2015 
disciplina delle gare, comprese quelle a doppio oggetto in tema di societ� 
miste; sulle cause di incompatibilit� tra le funzioni di affidamento e di regolazione 
dei servizi pubblici e quelle di gestione; sull�obbligo per le societ� in 
house e miste di seguire procedure concorsuali nelle assunzioni di personale�. 
Rimangono valide le discipline di settore inerenti la distribuzione del gas 
e dell�energia elettrica, il trasporto ferroviario regionale e la gestione delle farmacie 
comunali, gi� escluse dall�applicazione dell�art. 23 bis del d.l. 25 giugno 
2008, n. 112. 
3.2 La disciplina introdotta dall�art. 4 del d.l. 13 agosto 2011 n. 138. 
Successivamente all�abrogazione dell�art. 23 bis del d.l. 25 giugno del 
2008 n. 112 � entrato in vigore l�art. 4 del d.l. n. 138/2011, rubricato �Adeguamento 
della disciplina dei servizi locali al referendum popolare e alla Normativa 
dell�Unione Europea� e contenente la disciplina dei servizi pubblici 
locali di rilevanza economica introdotta dal legislatore per colmare il vuoto 
normativo verificatosi dopo l�abrogazione referendaria; disciplina che � stata 
successivamente ritoccata dall�art. 9 della legge 12 novembre 2011 n. 183 
(legge di stabilit� 2012). 
La norma in questione, riprendendo il contenuto dell�art. 23 bis del d.l. 
n. 112 del 25 giugno 2008, oggetto di referendum abrogativo, � stata a sua 
volta censurata dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 199 del 2012. 
Rispetto all�art. 23 bis del d.l. 25 giugno 2008 n. 112 che si ispirava al 
principio della �concorrenza per il mercato�, il citato art. 4 del d.l. 13 agosto 
2001, n. 138 si ispirava al principio della �concorrenza nel mercato�. La regola, 
non era pi� l�attribuzione di un diritto di esclusiva ad un soggetto scelto 
mediante gara (appunto concorrenza per il mercato), ma la liberalizzazione 
dell�attivit� di gestione, secondo un modello in base al quale ogni operatore 
economico interessato poteva provvedere ad erogare il servizio. 
Secondo il sistema previsto dall�art. 4 del d.l. 13 agosto 2001 n. 138, l�attribuzione, 
previa gara, di un diritto di esclusiva era un�eccezione cui si poteva 
ricorrere soltanto qualora la possibilit� di una gestione concorrenziale fosse 
stata ritenuta non possibile. 
La nuova norma, al comma 1, obbligava gli enti locali a verificare la realizzabilit� 
di una gestione concorrenziale dei servizi pubblici locali di rilevanza 
economica, attraverso la liberalizzazione di tutte le attivit� economiche compatibilmente 
con le caratteristiche di universalit� e accessibilit� del servizio e 
limitando, negli altri casi, l�attribuzione di diritti di esclusiva alle ipotesi in cui, 
in base ad un�analisi di mercato, la libera iniziativa economica privata non risultasse 
idonea a garantire un servizio rispondente ai bisogni della comunit�. 
Si trattava di un adempimento obbligatorio che l�ente locale doveva fare 
prima di procedere con la riorganizzazione di qualsiasi servizio locale e successivamente 
con cadenza periodica.
LEGISLAZIONE ED ATTUALIT� 185 
A tal fine, doveva essere approvata da parte dell�organo competente una 
delibera, la quale doveva essere adeguatamente pubblicizzata, trasmessa all�Autorit� 
garante della concorrenza e del mercato e contenere l�illustrazione 
puntuale della verifica compiuta e, in particolare nei casi in cui si escludeva 
la liberalizzazione le ragioni della decisione ed i benefici per la comunit� locale 
derivanti dal mantenimento di un regime di esclusiva del servizio per 
come previsto e disciplinato dai commi 2 e 4 dell�art. 4 del d.l. 13 agosto del 
2011 n. 138. 
Un altro nodo da sciogliere era l�opportunit� di esternalizzare con gara 
contestualmente pi� servizi pubblici, ma a condizione che derivasse un vantaggio 
economico da tale scelta. 
La legge de qua era per la realizzazione della concorrenza nel mercato, 
ossia di un processo di liberalizzazione delle attivit� economiche, il quale ha 
come contraltare l�eliminazione dei diritti di esclusiva. Si tratta di diritti da attribuire, 
realizzando la concorrenza per il mercato e quindi previa procedura 
competitiva ad evidenza pubblica. 
Al comma 8 dell�art. 4 del d.l. 13 agosto 2011 n. 138 si stabiliva che, nel 
caso in cui l�ente locale, a seguito della verifica di cui al comma 1, intendesse 
procedere all�attribuzione dei diritti di esclusiva, il conferimento della gestione 
dei servizi pubblici locali dovesse avvenire in favore di imprenditori o di societ� 
in qualunque forma costituite individuate mediante procedure competitive 
ad evidenza pubblica, nel rispetto dei principi del trattato sul 
funzionamento dell�Unione europea e dei principi generali dei contratti pubblici 
(principi di economicit�, di imparzialit�, di trasparenza, di adeguata pubblicit�, 
di non discriminazione, di parit� di trattamento, di mutuo 
riconoscimento e di proporzionalit�). 
Le medesime procedure dovevano essere indette nel rispetto degli standard 
qualitativi, quantitativi, ambientali, di equa distribuzione sul territorio e 
di sicurezza definiti dalla legge, ove esistente, dalla competente autorit� di 
settore, o, in mancanza di essa, dagli enti affidanti. 
I commi 6 e 7 dell�art. 4 del d.l. 13 agosto 2011 n. 138 chiarivano, rispettivamente, 
che l�attribuzione dei diritti di esclusiva ad un�impresa incaricata 
della gestione dei servizi pubblici locali non comportava per i terzi il divieto 
di produzione dei medesimi servizi per uso proprio ai sensi dell�art. 9 della 
legge 7 agosto 1990 n. 241 e che i soggetti gestori di servizi pubblici locali, 
qualora intendessero svolgere attivit� in mercati diversi da quelli in cui erano 
titolari di diritti di esclusiva, fossero soggetti alla disciplina prevista dall�art. 
8 commi 2 bis e quater della legge 1 ottobre 1990 n. 287. 
Il comma 12 dell�art. 4 del d.l. 13 agosto 2011 n. 138 confermava la possibilit� 
di affidare il servizio pubblico locale ad una societ� mista previa gara 
con doppio oggetto. 
A tal riguardo, il comma 12 del suddetto decreto, al fine di promuovere e
186 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2015 
proteggere l�assetto concorrenziale, indicava alcune prescrizioni specifiche per 
il bando di gara o la lettera di invito concernenti la c.d. �gara a doppio oggetto�, 
con la precisazione che al socio privato dovesse essere conferita una partecipazione 
alla societ� mista pubblica e privata non inferiore al 40 per cento. 
Il comma 13 dell�art. 4 del d.l. 13 agosto 2011 n. 138, in deroga alla procedura 
competitiva ad evidenza pubblica, consentiva l�affidamento in favore 
di societ� in house a capitale interamente pubblico e in presenza di requisiti 
richiesti dall�ordinamento europeo, solo se il valore economico del servizio 
oggetto dell�affidamento fosse pari o inferiore alla somma complessiva di 
900.000 euro annui, senza la previsione di ulteriori limiti o condizioni. 
Questo implica che, al di sotto di tale soglia, gli enti potevano gestire un 
servizio pubblico di rilevanza economica in regime di autoproduzione. 
Il comma 15 del d.l. 13 agosto 2011 n. 138 prevedeva che le societ� �in 
house� e le societ� a partecipazione mista pubblica e privata, affidatarie dei 
servizi pubblici locali, applicassero le disposizioni del codice dei contratti pubblici 
per l�acquisto dei beni e servizi. 
Infine il comma 17 stabiliva, con specifico riguardo all�assunzione del 
personale, che le societ� a partecipazione pubblica che gestiscono servizi pubblici 
locali adottassero, con propri provvedimenti, criteri e modalit� per il reclutamento 
del personale e per il conferimento degli incarichi nel rispetto dei 
principi di cui all�art. 35, comma 3 del d.lgs. del 30 marzo 2001 n. 165 prevedendo 
altres� il divieto di reclutare personale e conferire incarichi fino all�adozione 
dei predetti atti. Tale disposizione non si applicava alle societ� quotate 
nei mercati regolamentati. 
Con la sentenza n. 199 del 2012, la Corte Costituzionale ha dichiarato 
l�illegittimit� costituzionale dell�art. 4 del d.l. 13 agosto del 2011, n. 138 (Ulteriori 
misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo) per 
violazione dell�art. 75 Cost., ripristinando la situazione precedente. 
Affermava la Corte Costituzionale che la nuova disciplina avrebbe riprodotto 
la norma oggetto dell�abrogazione referendaria del 12 e 13 giugno 2011 
(art. 23 bis del d.l. 25 giugno del 2008 n. 112) e parti significative delle norme 
di attuazione della medesima, di cui al d.p.r. 7 settembre del 2010 n. 168, recando 
una disciplina che rende ancor pi� limitate le ipotesi di affidamento diretto 
e, in particolare, di gestione in house di quasi tutti i servizi pubblici locali 
di rilevanza economica, in violazione appunto del divieto di riproposizione 
della disciplina formale e sostanziale oggetto di abrogazione referendaria, di 
cui all�art. 75 Cost. 
Secondo la Corte Costituzionale, l�art. 4 del d.l. 13 agosto del 2011, n. 
138 da una parte rende ancor pi� remota l�ipotesi dell�affidamento diretto dei 
servizi, in quanto non solo limita in via generale l�attribuzione di diritti di 
esclusiva alle ipotesi in cui, in base ad un�analisi di mercato, la libera iniziativa 
economica privata non risulti idonea a garantire un servizio rispondente ai bi-
LEGISLAZIONE ED ATTUALIT� 187 
sogni della Comunit� (comma 1), analogamente a quanto disposto dall�art. 23 
bis comma 3 del d.l. 25 giugno del 2008, n.112 ma la vincola anche al rispetto 
di una soglia commisurata al valore degli stessi, il superamento della quale 
(900.000 euro, nel termine originariamente adottato; ora 200.000 euro, nel 
testo vigente del comma 13) determina automaticamente l�esclusione della 
possibilit� di affidamenti diretti. 
Tale effetto si verifica a prescindere da qualsivoglia valutazione dell�ente 
locale, oltre che della Regione, ed anche, in linea con l�abrogato art. 23 bis del 
d.l. 25 giugno 2008 n. 112, in difformit� rispetto a quanto previsto dalla normativa 
comunitaria , che consente, anche se non impone, la gestione diretta del servizio 
pubblico da parte dell�ente locale, allorquando l�applicazione delle regole 
di concorrenza ostacoli, in diritto ed in fatto, la � speciale missione� dell�ente 
pubblico ai sensi e per gli effetti dell�art. 106 del TFUE, alle sole condizioni del 
capitale totalmente pubblico della societ� affidataria, del c.d. �controllo analogo� 
ed infine dalla dedizione prevalente in favore dell�aggiudicante. 
Inoltre, nonostante l�esclusione dall�ambito di applicazione della nuova 
disciplina del servizio idrico integrato, secondo il giudice delle leggi, risulta 
evidente l�analogia, talora la coincidenza, della disciplina contenuta nell�art. 
4 rispetto all�abrogato art. 23 bis del d.l. 25 giugno del 2008 n. 112 e l�identit� 
della ratio ispiratrice. 
In conclusione merita precisare che per effetto della sentenza n. 199/2012 
della Corte Costituzionale, ritorna quel vuoto che aveva caratterizzato la fase 
tra l�abrogazione referendaria del giugno del 2012 e l�emanazione del d.l. 13 
agosto 138 del 2011, n. 138. 
Trovano nuovamente applicazione i principi comunitari che consentono 
l�affidamento dei servizi pubblici secondo tre modalit�. La prima mediante 
procedura ad evidenza pubblica per l�individuazione del gestore. La seconda 
mediante il modello della gara a doppio oggetto (per l�individuazione del socio 
ed il contestuale affidamento del servizio), che ora potr� avvenire senza le 
condizioni e i limiti previsti dall�art. 4 del d.l. n. 138 del 2011. La terza, l�affidamento 
in house, anche utilizzabile senza i limiti e le condizioni previsti 
dalla legge nazionale. 
Dopo questa storica pronuncia, torna a parlarsi di servizi pubblici locali 
prima con l�art. 34, c. 20 e 21 del D.L. 18 ottobre 2012, n. 179 e successivamente 
con la legge 27 febbraio 2014, n. 15 (con la quale � stato convertito il 
Decreto Milleproroghe - D.L. 30 dicembre 2013 n. 150). 
L�art. 34 del d.l. 18 ottobre 2012, n. 179 prevedeva al comma 20 �Per i 
servizi pubblici locali di rilevanza economica, al fine di assicurare il rispetto 
della disciplina europea, la parit� tra gli operatori, l'economicit� della gestione 
e di garantire adeguata informazione alla collettivit� di riferimento, l'affidamento 
del servizio � effettuato sulla base di apposita relazione, pubblicata sul 
sito internet dell'ente affidante, che d� conto delle ragioni e della sussistenza
188 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2015 
dei requisiti previsti dall'ordinamento europeo per la forma di affidamento prescelta 
e che definisce i contenuti specifici degli obblighi di servizio pubblico e 
servizio universale, indicando le compensazioni economiche se previste�. 
Al comma 21 dell�art. 34 del d.l. 18 ottobre 2012 n. 179 si stabiliva che 
�Gli affidamenti in essere alla data di entrata in vigore del presente decreto 
non conformi ai requisiti previsti dalla normativa europea devono essere adeguati 
entro il termine del 31 dicembre 2013 pubblicando, entro la stessa data, 
la relazione prevista al comma 20. Per gli affidamenti in cui non � prevista 
una data di scadenza gli enti competenti provvedono contestualmente ad inserire 
nel contratto di servizio o negli altri atti che regolano il rapporto un 
termine di scadenza dell'affidamento. Il mancato adempimento degli obblighi 
previsti nel presente comma determina la cessazione dell'affidamento alla data 
del 31 dicembre 2013�. 
Successivamente, il d.l. n. 150 del 31 dicembre 2013, convertito in legge 
27 febbraio 2014 n. 15, con l�art. 13 comma 1, ha previsto che �In deroga a 
quanto previsto dall�articolo 34, comma 21 del decreto-legge 18 ottobre 2012, 
n. 179, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221, 
al fine di garantire la continuit� del servizio, laddove l�ente responsabile dell�affidamento 
ovvero, ove previsto, l�ente di governo dell�ambito o bacino territoriale 
ottimale e omogeneo abbia gi� avviato le procedure di affidamento 
pubblicando la relazione di cui al comma 20 del medesimo articolo, il servizio 
� espletato dal gestore o dai gestori gi� operanti fino al subentro del nuovo gestore 
e comunque non oltre il 31 dicembre 2014�. 
Al fine di �salvare� dalla cessazione i numerosi affidamenti non conformi 
e non suscettibili di adeguamento, con il Decreto Milleproroghe (d.l. 30 dicembre 
2013 n. 150) si �, per l�appunto, inteso derogare al citato art. 34, senza 
tuttavia limitarsi a prorogare al 31 dicembre 2014 il termine ivi previsto del 
31 dicembre 2013. 
Pertanto, il legislatore invece di introdurre una ennesima e prevedibile 
proroga, ormai consueta nel settore dei servizi pubblici locali, ha introdotto 
nuove disposizioni che si intrecciano con la esistente disciplina in tema di ATO 
(ambito territoriale ottimale) e prevedono una vera e propria deroga a quanto 
previsto dal comma 21 dell�art. 34 cit. 
Con specifico riguardo al comma 2 dell�art. 13 della legge 27 febbraio 
2014 n. 15, a tenore del quale �la mancata istituzione o designazione dell'ente 
di governo dell'ambito territoriale ottimale ai sensi del comma 1 dell'articolo 
3-bis del decreto-legge del 13 agosto 2011, n. 138, convertito, con modificazioni, 
dalla legge 14 settembre 2011 n. 148, ovvero la mancata deliberazione 
dell'affidamento entro il termine del 30 giugno 2014, comportano l'esercizio 
dei poteri sostitutivi da parte del Prefetto competente per territorio, le cui spese 
sono a carico dell'ente inadempiente, che provvede agli adempimenti necessari 
al completamento della procedura di affidamento entro il 31 dicembre 2014�;
LEGISLAZIONE ED ATTUALIT� 189 
pertanto, pare si possa ritenere, al fine di tentare un coordinamento con il precedente 
comma, che il duplice obbligo di definire gli ATO e i relativi enti 
d�ambito e di deliberare l�affidamento entro il 30 giugno 2014 o al pi� tardi 
entro il 31 dicembre 2014, riguardi proprio gli affidamenti non �conformabili� 
alla normativa comunitaria (lett. c). Per tali affidamenti, non essendo possibile 
rimuoverne la contrariet� alla norme europee, si deve, per l�appunto, dare 
corso alle procedure di gara (e quindi inevitabilmente e prioritariamente alla 
determinazione degli enti d�ambito o bacino territoriale ottimale, per legge 
competenti all�affidamento: la locuzione �ovvero� in questo caso confonde). 
Ebbene, ritenendo che l�ambito del comma 2 dell�art. 13 della legge 27 
febbraio 2014 n. 15, si riferisca a tutti gli affidamenti in essere o comunque a 
tutti quelli non conformi ma suscettibili di adeguamento (fase transitoria), si 
perverrebbe al risultato di aggiungere alla �condizione� dell�adeguamento alla 
normativa comunitaria (richiesta dall�art. 34 comma 21 D.L. 18 ottobre 2012 
n. 179) l�ulteriore condizione dell�adeguamento alla normativa nazionale sugli 
ATO (ossia all�art. 3-bis D.L. n. 138 del 13 agosto 2011), norma quest�ultima 
pensata per� per la fase �a regime�, ossia per i nuovi affidamenti. 
In conclusione, � opportuno evidenziare che il citato art. 13 del decreto 
legge del 30 dicembre 2013 n. 150, � stato richiamato in recentissime delibere 
di affidamento per giustificare l�inerzia o il tardivo �adeguamento�. 
In base alla nuova formulazione dell�art. 13 pare possibile ritenere che: 
- rientrano nell�ambito applicativo della deroga di cui al comma 1 dell�art. 
13 del decreto legge del 30 dicembre 2013 n. 150 (e quindi beneficiano dello 
slittamento al 2014 degli adempimenti richiesti dall�art. 34, comma 21 cit. e 
della prosecuzione delle gestioni in essere) anche tutti i casi in cui si sia in 
presenza di affidamenti non conformi al diritto comunitario e non siano stati 
ancora determinati gli ambiti territoriali ottimali e/o non sia stato istituito un 
ente d�ambito o bacino; � necessario tuttavia che siano state gi� avviate le procedure 
di affidamento dei servizi; 
- gli enti affidanti possono provvedere, qualora non l�abbiano gi� fatto, 
all�adeguamento degli affidamenti non conformi al diritto comunitario ed al 
diritto nazionale, pubblicando la relazione di cui all�art. 34, comma 21, D.L. 
18 ottobre 2012 n. 179 entro il pi� lungo termine del 31 dicembre 2014 (in 
luogo del termine decorso del 31 dicembre 2013). 
Ad una pi� attenta analisi del quadro normativo sembra allora possibile 
individuare tre tipi di affidamenti: 
a) affidamenti conformi alla normativa europea (non rientranti nell�ambito 
applicativo dell�art. 13), per i quali siano stati espletati gli adempimenti 
di cui al comma 20 dell�art. 34 ovvero che, se inizialmente non conformi, siano 
stati �adeguati� alla normativa comunitaria entro il 31 dicembre 2013; questi 
ultimi non dovrebbero ritenersi assoggettati al termine del 31 dicembre 2014, 
ma al termine previsto nel contratto o negli altri atti regolatori del rapporto;
190 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2015 
b) affidamenti non conformi alla normativa europea e suscettibili di adeguamento, 
ai quali - sia pure con qualche forzatura - si potrebbe applicare il 
comma 1 dell�art. 13 per consentire l�adeguamento entro il pi� lungo termine 
del 31 dicembre 2014, evitando cos� la cessazione ex lege (comma 3, art. 13 cit.); 
c) affidamenti non conformi alla normativa europea e non suscettibili di 
adeguamento, ai quali si applica propriamente l�art. 13. Si tratta di affidamenti 
per i quali, a causa della contrariet� alla normativa comunitaria, non sia possibile 
provvedere all�adeguamento con apposita relazione e quindi neppure alla indicazione 
della data di scadenza nel contratto o in altro atto regolatorio (ad esempio, 
gli affidamenti diretti non aventi i requisiti per l�in house comunitario). Tali affidamenti 
sarebbero dovuti cessare al dicembre 2013 ma sono mantenuti in vita 
per effetto del Decreto Milleproroghe, al fine di evitare interruzioni del servizio 
pubblico, fino, al massimo, al 31 dicembre 2014, alla condizione che sia stata 
avviata la messa a gara o comunque il nuovo affidamento dei relativi servizi. 
Alla base del Decreto Milleproroghe (d.l. 30 del dicembre 2013 n. 150 vi 
� probabilmente la consapevolezza della ampia inosservanza di entrambe le 
norme sopra richiamate (ossia l�art. 34, comma 21, cit. e l�art. 3 bis cit., tanto 
da suscitare l�intervento del legislatore prima con il �Decreto Milleproroghe� 
e poi con la conversione dello stesso) e quindi della necessit� di imporne l�attuazione. 
Da tale buon intento origina, tuttavia, una ennesima sovrapposizione 
di piani, senza un coordinamento soddisfacente (11). 
4. Brevi considerazioni sui rifiuti urbani e il loro impatto sull�ambiente. 
Nell�ambito dei servizi pubblici locali, i rifiuti occupano un posto d�eccezione 
nella gerarchia d�importanza delle problematiche globali dell�ambiente. 
Ci sono poi particolari categorie di rifiuti cosiddetti �urbani e industriali� 
che rivestono una posizione chiave dal momento che, date le dimensioni volumetriche 
in gioco, le moderne societ� industriali sono inadeguate a fronteggiare 
le conseguenze che l�inquinamento ambientale sta provocando in danno 
delle presenti e future generazioni. 
CՏ chi ha autorevolmente osservato (12) che la problematica dell�inquinamento 
del suolo connessa ai rifiuti solidi urbani � pari quasi a quella dell�inquinamento 
atmosferico (si pensi che circa 32,5 milioni in Italia e 2,4 
milioni solo in Veneto sono le tonnellate di rifiuti solidi urbani prodotti dalle 
famiglie e dal commercio). Oltre 130 milioni sono invece le tonnellate dei rifiuti 
solidi speciali prodotti, di cui 52 milioni per residui inerti da costruzioni, 
(11) Conversione del Decreto Milleproroghe: modifiche alla disciplina dei servizi pubblici locali 
di F. SCURA, 13 marzo 2014 in Diritto dei servizi pubblici locali. 
(12)AMEDEO LEVORATO in La Regolazione ed il controllo dei servizi di gestione dei rifiuti urbani, 
Buone pratiche di regolazione a cura di ANDREA ATZORI, PIETRO BARONI, AMEDEO LEVORATO e ANNA 
MORETTO, Ed. 2010, pag. 9.
LEGISLAZIONE ED ATTUALIT� 191 
73 milioni classificati come non pericolosi e 9 milioni considerati pericolosi. 
In Italia, i rifiuti finiscono per un quarto in raccolta differenziata merceologica 
(carta, plastica, vetro, ferro e alluminio), il resto in 250 discariche e in 
50 inceneritori autorizzati. 
Sebbene gli attuali orientamenti politici siano indirizzati alla chiusura 
delle discariche, tuttavia si registrano, soprattutto al Sud Italia, ancora molte 
discariche abusive, spesso oggetto di incendi incontrollati con liberazione di 
fumi tossici. Gli inceneritori (o ammortizzatori), invece, sono in aumento perch� 
le loro tecnologie sono pi� sicure e vengono monitorate soprattutto dalle 
aziende pubbliche, attente al rispetto dei livelli di tutela sanitaria ed ambientale 
nei confronti dei cittadini. 
La gestione del ciclo integrato dei rifiuti, oltre che un ambizioso traguardo 
di sicurezza e tutela ambientale, rappresenta, quindi una componente economica 
e finanziaria molto rilevante nel settore dei servizi pubblici locali (13). 
Soprattutto, a seguito della vicenda che aveva interessato la regione Campania 
nel 2007, la Corte di Giustizia, con la sentenza del 16 luglio 2015 (14) ha condannato 
l'Italia a una maxi multa da 20 milioni di euro per non aver rispettato 
la normativa europea sui rifiuti in Campania. 
(13) Nel 2007 secondo i dati ISPRA - APAT, i Comuni italiani hanno speso 7,8 miliardi di euro, 
in media 131 euro per abitante, per sostenere la spesa della raccolta, spazzamento, trasporto e smaltimento 
dei rifiuti urbani, con una copertura complessiva dei costi tramite tariffa e tassa pari al 90%. Il 
restante 10 % � stato sostenuto dai Comuni medesimi, o da interventi straordinari dello Stato. Nel corso 
dell�ultimo decennio, l�adozione della Tariffa di igiene ambientale intesa come prestazione di servizio 
e quindi soggetta ad Iva, ha progressivamente escluso i costi ed i ricavi dai bilanci comunali, per trasformarli 
in prestazioni di servizi. 
(14) Sentenza Corte di Giustizia Europea in causa C- 653/13 del 16 luglio 2015. 
La direttiva relativa ai rifiuti ha l�obiettivo di proteggere la salute umana e l�ambiente. Gli Stati membri 
hanno il compito di assicurare lo smaltimento e il recupero dei rifiuti, nonch� di limitare la loro produzione, 
in particolare promuovendo tecnologie pulite e prodotti riciclabili e riutilizzabili. Essi devono in 
tal modo creare una rete integrata ed adeguata di impianti di smaltimento, che consenta all�Unione nel 
suo insieme e ai singoli Stati membri di garantire lo smaltimento dei rifiuti. 
L�Italia ha trasposto la direttiva �rifiuti� nel 2006 e, per quanto riguarda la regione Campania, una legge 
regionale ha definito 18 zone territoriali omogenee in cui si doveva procedere alla gestione e allo smaltimento 
dei rifiuti urbani prodotti nei rispettivi bacini. 
In seguito ad una situazione di crisi nello smaltimento dei rifiuti manifestatasi nella regione Campania 
nel 2007, la Commissione ha proposto un ricorso per inadempimento contro l�Italia, imputandole la mancata 
creazione, in quella regione, di una rete integrata ed adeguata di impianti atta a garantire l�autosufficienza 
nello smaltimento dei rifiuti sulla base del criterio della prossimit� geografica. La Commissione 
riteneva infatti che tale situazione rappresentasse un pericolo per la salute umana e per l�ambiente. 
Con una sentenza del 4 marzo 2010, la Corte ha constatato che l�Italia, non avendo adottato, per la regione 
Campania, tutte le misure necessarie per assicurare che i rifiuti fossero recuperati o smaltiti senza 
pericolo per la salute dell�uomo e senza recare pregiudizio all�ambiente e, in particolare, non avendo 
creato una rete adeguata ed integrata di impianti di smaltimento, era venuta meno agli obblighi ad essa 
incombenti in forza della direttiva 2006/12. 
Nell�ambito del controllo dell�esecuzione della sentenza della Corte, la Commissione � giunta alla conclusione 
che l�Italia non ha garantito un�attuazione corretta della prima sentenza. La Commissione riferisce 
che tra il 2010 e il 2011 sono stati segnalati pi� volte problemi di raccolta dei rifiuti in Campania,
192 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2015 
Il governo del ciclo integrato dei rifiuti � cresciuto in vent�anni, di pari 
passo con le esigenze dello sviluppo urbano, territoriale e tecnologico, attraverso 
un insieme di normative nazionali e regionali di riferimento. Tra i pi� 
importanti interventi normativi va ricordato il decreto Ronchi (d.lgs. 5 febbraio 
1997 n. 22) che ha introdotto la gestione obbligatoria dei rifiuti territoriali e il 
decreto legislativo 3 aprile 2006 n. 152. 
Caratteri dominanti della normativa sono stati il principio �chi inquina 
paga�, mutuando dalla UE la progressiva crescita della raccolta differenziata 
con destinazione al recupero e reimpiego delle frazioni differenziate e la termovalorizzazione. 
che si sono conclusi con l�accumulo per diversi giorni di tonnellate di rifiuti nelle strade di Napoli e di 
altre citt� della Campania. Inoltre, in detta regione si � accumulata una grande quantit� di rifiuti storici 
(sei milioni di tonnellate di �ecoballe�), che deve ancora essere smaltita, il che richieder� verosimilmente 
un periodo di circa quindici anni. 
Inoltre, la Commissione stima che, alla scadenza del termine impartito per l�esecuzione della sentenza 
(15 gennaio 2012), le capacit� mancanti di trattamento dei rifiuti per categoria di impianti ammontavano 
a 1 829 000 tonnellate per le discariche, a 1 190 000 tonnellate per gli impianti di termovalorizzazione 
e a 382 500 tonnellate per gli impianti di trattamento dei rifiuti organici. Allo stesso modo, persistevano 
carenze strutturali in termini di impianti di smaltimento dei rifiuti, indispensabili nella regione Campania. 
Pertanto, ritenendo non soddisfacente la situazione, la Commissione ha proposto un nuovo ricorso per 
inadempimento contro l�Italia, chiedendo alla Corte di constatare il mancato rispetto della sua prima 
sentenza del 2010. Nell�ambito di questo nuovo ricorso per inadempimento, la Commissione chiede che 
la Corte condanni l�Italia a pagare una somma forfettaria giornaliera di EUR 28 089,60 per il periodo 
compreso tra la sentenza del 2010 e la sentenza odierna, nonch� una penalit�, eventualmente a carattere 
degressivo, di EUR 256 819,20 per ciascun giorno di ritardo nell�attuazione della sentenza del 2010, a 
partire dalla sentenza odierna. 
Nella sua sentenza, la Corte constata che l�Italia non ha correttamente eseguito la sentenza del 2010 e 
la condanna a pagare, da un lato, una penalit� di EUR 120 000 per ciascun giorno di ritardo nell�attuazione 
della sentenza del 2010 (penalit� dovuta a far data da oggi) e, dall�altro, una somma forfettaria di 
EUR 20 milioni. 
La Corte convalida gli argomenti della Commissione, in particolare per quanto riguarda il problema 
dell�eliminazione delle �ecoballe� e il numero insufficiente di impianti aventi la capacit� necessaria per 
il trattamento dei rifiuti urbani nella regione Campania. La Corte sottolinea inoltre che, tenuto conto 
delle notevoli carenze nella capacit� della regione Campania di smaltire i propri rifiuti, � possibile dedurre 
che una siffatta grave insufficienza a livello regionale pu� compromettere la rete nazionale di impianti 
di smaltimento dei rifiuti, la quale cesser� cos� di presentare il carattere integrato e adeguato 
richiesto dalla direttiva. Ci� pu� compromettere seriamente la capacit� dell�Italia di perseguire l�obiettivo 
dell�autosufficienza nazionale nello smaltimento dei rifiuti. 
La Corte constata poi che l�inadempimento addebitato all�Italia si � protratto per pi� di cinque anni, il 
che costituisce un periodo considerevole. Poich� dunque l�Italia non ha attuato correttamente la sentenza 
del 2010, la Corte decide di infliggerle una penalit� giornaliera e una somma forfettaria, in quanto dette 
sanzioni finanziarie costituiscono un mezzo appropriato al fine di garantire l�esecuzione integrale della 
prima sentenza. 
Per quanto riguarda la penalit� giornaliera di EUR 120 000, questa � suddivisa in tre parti, ciascuna di un 
importo giornaliero di EUR 40 000, calcolate per categoria di impianti (discariche, termovalorizzatori e 
impianti di trattamento dei rifiuti organici). Quanto alla somma forfettaria di EUR 20 milioni, la Corte 
tiene conto, ai fini del calcolo della stessa, del fatto che un inadempimento dell�Italia in materia di rifiuti 
� stato constatato in pi� di 20 cause portate dinanzi alla Corte. Orbene, una simile reiterazione di condotte 
costituenti infrazione da parte di uno Stato membro in un settore specifico dell�azione dell�Unione pu� richiedere 
l�adozione di una misura dissuasiva, come la condanna al pagamento di una somma forfettaria.
LEGISLAZIONE ED ATTUALIT� 193 
L�approccio ad una soluzione moderna ed innovativa del problema dei rifiuti 
non � stato un risultato certamente omogeneo a livello nazionale, soltanto 
nel Nord Italia, infatti, questi obiettivi sono stati perseguiti con esito positivo. 
Il problema da superare per avere un�efficiente gestione e smaltimento 
dei rifiuti � legato alla natura del rapporto tra enti locali ed aziende di gestione. 
Questo rapporto, almeno nel Nord Italia, ha funzionato ed ha portato ad 
un maggiore successo delle operazioni di organizzazione del ciclo dei rifiuti. 
In questo contesto, particolare importanza � stata assunta dai cosiddetti Ambiti 
Territoriali Ottimali (ATO), previsti e disciplinati dall�art. 148 del d.lgs. 3 
aprile del 2006 n. 152, su cui sono organizzati servizi pubblici integrati (ad 
esempio quello idrico e quello dei rifiuti), sui quali agiscono le Autorit� d�ambito 
con funzione di controllo e di regolazione delle tariffe, della qualit� della 
raccolta e degli impianti di smaltimento. 
Nel corso del tempo, nella maggior parte delle regioni d�Italia, il processo 
di nascita e sviluppo degli ATO ha determinato una forte interazione e, spesso, 
�commistione� tra enti pubblici e Autorit� d�ambito, creando un �trait 
d�union� tra l�attivit� industriale e l�esercizio contemporaneo di una problematica 
funzione di regolazione. 
Successivamente il Parlamento, con riferimento alla gestione dei rifiuti 
ed in particolare alle Autorit� d�ambito, il cui operato � stato contestato soprattutto 
nelle regioni meridionali, ha approvato una legge al fine di migliorarne 
la regolamentazione. 
Con la legge 23 dicembre del 2009 n. 191, dopo il comma 186 � stato introdotto 
il comma 186 bis dell�art. 2 a tenore del quale �Decorso un anno 
dalla data di entrata in vigore della presente legge, sono soppresse le Autorit� 
d�ambito territoriale di cui agli articoli 148 e 201 del decreto legislativo n. 
152 del 2006 e successive modificazioni. Decorso lo stesso termine, ogni atto 
compiuto dalle Autorit� d�ambito territoriale � da considerarsi nullo. Entro 
un anno dalla data di entrata in vigore della presente legge, le regioni attribuiscono 
con legge le funzioni gi� esercitate dalle Autorit�, nel rispetto dei 
principi di sussidiariet�, differenziazione e adeguatezza. 
Le disposizioni di cui agli articoli 148 e 201 del citato decreto legislativo 
n. 152 del 2006 sono efficaci in ciascuna regione fino alla data di entrata in 
vigore della legge regionale di cui al periodo precedente. I medesimi articoli 
sono comunque abrogati decorso un anno dalla data di entrata in vigore della 
presente legge�. 
Secondo la norma de qua, quindi, le regioni, entro un anno, avrebbero 
dovuto attribuire le funzioni esercitate dalle Autorit� d�ambito idrici e dei rifiuti 
con criteri di sussidiariet�, differenziazione ed adeguatezza. 
Ne consegue che, dopo questo intervento normativo, si dovranno individuare 
nuovi assetti che tengano conto delle prescrizioni normative del T.U. 
dell�Ambiente (d.lgs.3 aprile del 2006, n. 152) che consistono nell�organiz-
194 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2015 
zazione dell�assetto della gestione dei servizi integrati a livello territoriale, 
nella garanzia di competitivit� nell�affidamento della gestione dei servizi, secondo 
quanto ultrattivamente previsto dall�art. 23 bis del d.l. 25 giugno 2008, 
n. 112, cos� come modificato dal d.l. del 26 settembre 2009 n. 135 (riforma 
dei servizi pubblici locali). 
La ratio del d.l. 26 settembre 2009 n. 135 era la riduzione generale dei 
costi degli enti locali e della spesa pubblica (15). 
5. Nozioni introduttive dei rifiuti solidi urbani. Disciplina comunitaria nazionale 
e regionale. 
La definizione di rifiuto solido urbano � disciplinata dal codice dell�ambiente 
(d.lgs. 3 aprile del 2006, n. 152) e pi� precisamente dalla sua quarta 
parte intitolata �norme in materia di gestione dei rifiuti e di bonifica dei siti 
inquinati�, si veda in particolare l�art. 184. 
Detta disposizione in analisi disciplina la classificazione dei rifiuti, distinguendo 
tra rifiuti urbani e rifiuti speciali e, secondo le caratteristiche della 
pericolosit�, tra rifiuti pericolosi e rifiuti non pericolosi. 
Sono rifiuti urbani: 
a) I rifiuti domestici, anche ingombranti, provenienti da locali e luoghi 
adibiti ad uso di civile abitazione; 
b) I rifiuti non pericolosi provenienti da locali e luoghi adibiti ad usi diversi 
da quelli di cui alla lettera a), assimilati ai rifiuti urbani per quantit� e 
qualit�, ai sensi dell�art. 198, comma 2, lettera g); 
c) I rifiuti provenienti dallo spazzamento delle strade; 
d) I rifiuti di qualunque natura o provenienza, giacenti sulle strade ed 
aree pubbliche o sulle strade ed aree private comunque soggette ad uso pubblico 
o sulle spiagge marittime lacuali e sulle rive dei corsi d�acqua; 
e) I rifiuti vegetali provenienti da aree verdi, quali giardini parchi e aree 
cimiteriali; 
f) I rifiuti provenienti da esumazioni ed estumulazioni, nonch� gli altri 
rifiuti provenienti da attivit� cimiteriale diversi da quelli di cui alle lettere b) 
e) ed f). 
In definitiva, i rifiuti urbani sono definiti ricalcando di fatto la vecchia 
distinzione fissata dalla legge 20 marzo 1941 n. 366 tra �rifiuti interni e rifiuti 
esterni� (16). 
(15) Va ricordata al proposito anche la norma di cui all�art. 2 della legge 29 dicembre 2009 n. 
191, recante �disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello stato, o legge finanziaria 
del 2010� che al comma 186 lettera e) prevede l�obbligo per i Comuni di �sopprimere i consorzi 
di funzioni tra enti locali, facendo salvi i rapporti di lavoro a tempo indeterminato esistenti, con assunzione 
delle funzioni gi� esercitate dai consorzi soppressi e delle relative risorse e con successione ai 
medesimi consorzi di tutti i rapporti giuridici e ad ogni altro effetto�. 
(16) DELL�ANNO, Manuale di diritto ambientale, 2003, 471.
LEGISLAZIONE ED ATTUALIT� 195 
Precisamente, i rifiuti provenienti dallo spazzamento delle strade disciplinati 
alla lett. c) dell�art. 184 del d.lgs. 3 aprile 2006 n. 152 e quelli di qualunque 
natura o provenienza, giacenti sulle strade ed aree pubbliche o sulle 
strade ed aree private comunque soggette ad uso pubblico o sulle strade marittime 
e lacuali e sulle rive dei corsi d�acqua di cui alla lettera d) dell�art. 184 
del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152, che nel sistema previgente erano �considerati 
rifiuti urbani� oggi, con l�entrata in vigore del codice dell�ambiente sono considerati 
rifiuti urbani a tutti gli effetti. 
Anche le alghe appartengono, avendo caratteristiche organolettiche simili agli 
scarti vegetali, alla categoria dei rifiuti speciali assimilabili a quelli urbani (17). 
Inoltre, in materia di rifiuti, sia la dottrina che la giurisprudenza hanno 
individuato due specie di assimilabilit�. La prima � un�assimilabilit� di tipo 
tecnologico, che consente ai rifiuti speciali il conferimento nelle discariche 
destinate ai rifiuti urbani; l�altra � un�assimilabilit� di tipo giuridico, che determina 
identit� di disciplina fiscale amministrativa e penale tra la categoria 
dei rifiuti assimilati e quella dei rifiuti urbani. Il criterio dell�assimilabilit� costituisce, 
dunque, una vera e propria �norma di chiusura� del sistema (18). 
Ci� posto, per una corretta disamina dello studio dei rifiuti, � opportuno 
dare atto dell�evoluzione normativa che la materia dei rifiuti ha conosciuto 
nel corso degli ultimi trent�anni, dalla disciplina comunitaria a quella nazionale 
fino a quella regionale. 
In passato, la materia dei rifiuti era disciplinata dalla legge 20 marzo 1941 
n. 366 che, sebbene individuasse i fondamentali interessi pubblici presenti 
nella materia, era tuttavia limitata alla tematica dei rifiuti solidi urbani e non 
aveva avuto per alcuni punti essenziali concreta attuazione (19). 
Rimaneva, quindi, il problema della copertura della materia per i rifiuti diversi 
da quelli urbani, materia che, prima della seconda fase dei trasferimenti 
delle funzioni alle Regioni, restava affidata agli strumenti normativi secondari 
e amministrativi previsti per la tutela dell�igiene pubblica a livello locale. Solo 
con il d.p.r. 24 luglio 1977 n. 616, di attuazione della delega di cui all'art. 1 della 
L. 22 luglio 1975, n. 382 all�art. 101, veniva configurato per la prima volta un 
settore di competenze relativo alla materia dei rifiuti sia urbani che industriali. 
Successivamente, a seguito dell�emanazione ed attuazione di alcune direttive 
comunitarie in materia di rifiuti che trovano fondamento anche nell�esigenza 
di protezione connessa ai valori costituzionali primari, previsti e 
disciplinati dagli articoli 9 e 32 Cost., sono diventate operanti tre fonti normative: 
fonti comunitarie, fonti nazionali e fonti regionali. 
(17) C. pen. 7 marzo 1995, n. 3997, R.g. amb. 96, 86. 
(18) DELL�ANNO, Manuale di diritto ambientale, 2003, 471. 
(19) V. ONIDA, I rifiuti solidi: profili istituzionali e normativi, in AA.VV. Rischio rifiuti, Convegno 
nazionale a cura dell�Associazione comuni del Legnanese e della USL n. 70 di Legnano, 1988, pag. 35. 
196 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2015 
Gi� a partire dagli anni settanta, alcune direttive comunitarie (Direttive 
CEE 75/442 sui rifiuti, Direttiva CEE 76/403 sullo smaltimento dei policlorodifenili 
e policlorotrifenili e 78/319 sui rifiuti tossici e nocivi ) avevano indotto 
il legislatore nazionale ad emanare il d.p.r. 10 settembre 1982 n. 915 di 
attuazione delle tre direttive (CEE) sopra citate. 
In tempi pi� recenti, a seguito di ulteriori interventi ad opera del legislatore 
comunitario (Direttiva CEE 91/156 sui rifiuti, Direttiva CEE 91/689 sui 
rifiuti pericolosi e Direttiva CEE 94/62 sugli imballaggi e rifiuti di imballaggi), 
� stato emanato il d.lgs. 5 febbraio 1997, n. 22 (decreto Ronchi) che, insieme 
al codice dell�ambiente, costituisce la fonte principale di disciplina dei rifiuti. 
In particolare, la direttiva n. 91/156 fornisce una definizione di rifiuto inteso 
come �qualsiasi sostanza o oggetto che rientri nelle categorie riportate 
in allegato I e di cui il detentore si disfi o abbia deciso di disfarsi� (20). 
La finalit� della direttiva rivolta agli Stati membri � quella di adottare le 
misure appropriate per promuovere �in primo luogo la prevenzione o la riduzione 
della produzione o della nocivit� dei rifiuti; in secondo luogo il recupero 
dei rifiuti mediante operazioni di riciclo, di reimpiego, di riutilizzo o di ogni 
altra azione intesa a ottenere materie prime secondarie o l�uso di rifiuti come 
fonte di energia� (art. 3). 
Sotto il profilo operativo, tale direttiva obbliga gli Stati membri ad una 
serie di attivit� ed adempimenti quali, per esempio, l�individuazione di un preciso 
regime di competenze per attuare le disposizioni in materia (art. 6); l�istituzione 
di un sistema di pianificazione che, sulla base dell�analisi del tipo, 
quantit� e origine dei rifiuti tenda a stimare i costi delle operazioni di smaltimento 
o recupero, o a localizzare i luoghi e gli impianti dello smaltimento; 
ancora un regime di autorizzazione per le imprese che effettuano operazioni 
di smaltimento e recupero, ai sensi degli artt. 9 e 10; infine la predisposizione 
di un sistema di iscrizione e controllo dei soggetti che esercitano lo smaltimento 
ed il recupero dei rifiuti (artt. 12 e 13). 
Per tutto quanto il resto viene confermata l�applicazione per le attivit� di 
smaltimento dei rifiuti del principio �chi inquina paga�, secondo cui il costo 
dello smaltimento dei rifiuti deve essere sostenuto dal detentore che consegni 
i rifiuti ad un raccoglitore o ad un�impresa di cui all�art. 9. 
In Italia, le direttive comunitarie in materia di rifiuti (Direttiva comunitarie 
91/156/CEE sui rifiuti, Direttiva 94/62/CEE sugli imballaggi e rifiuti da imballaggi, 
Direttiva 91/689/CEE sui rifiuti pericolosi) sono state recepite con il decreto 
legislativo 5 febbraio 1997 n. 22 e, successivamente, con il testo unico in 
materia ambientale, previsto e disciplinato dal d.lgs. 3 aprile 2006 n. 152. 
� opportuno a tal riguardo fare un breve excursus sul punto. 
(20) Sono 16 le categorie dell�allegato I (ad esempio residui di produzione, prodotti fuori norma, 
prodotti scaduti, ecc.) la cui esemplificazione � tassativa e non tassativa.
LEGISLAZIONE ED ATTUALIT� 197 
Il decreto Ronchi (d.lgs. 5 febbraio 1997 n. 22) era intervenuto con l�intento 
di semplificare il sistema delle fonti, prima caratterizzato dalla compresenza 
di molteplici leggi e disposizioni succedutesi nel corso del tempo. 
Tuttavia, in ragione della complessit� della materia e della sua evoluzione, 
il legislatore � intervenuto pi� volte dapprima con d.lgs. 8 novembre 1997, n. 
389 (decreto Ronchi bis), poi con la legge 9 dicembre 1998, n. 426 (Ronchi 
ter) ed infine con la legge n. 31 luglio 2002 n. 179. 
Soltanto nel 2006 � entrato in vigore il testo unico dell�ambiente emanato 
in attuazione della legge 15 dicembre 2004, n. 308, contenente la delega al 
Governo per il riordino, il coordinamento e l�integrazione della legislazione 
in materia ambientale e misure di diretta applicazione. 
I rifiuti sono disciplinati nella parte quarta del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152 (articoli 
da 177 a 266) contenente disposizioni in materia di gestione dei rifiuti, di 
gestione degli imballaggi, di bonifica dei siti inquinati, del relativo sistema sanzionatorio 
e dei connessi compiti di vigilanza assegnati agli organi di controllo. 
Con riferimento alle fonti regionali, va rimarcato che le stesse erano gi� 
previste e contenute nel decreto Ronchi (d.lgs. 5 febbraio 1997 n. 22), all�art. 
1 comma 2 prima delle modifiche apportate dal successivo d.lgs. 8 novembre 
1997 n. 389 e della modifica del titolo V della Costituzione (legge cost. 18 ottobre 
del 2001 n. 3). Ai sensi di questa disposizione �le Regioni a statuto ordinario 
regolano la materia disciplinata dal presente decreto nel rispetto delle 
disposizioni in esso contenute che costituiscono principi fondamentali della 
legge statale ai sensi dell�art. 117, comma 1 Cost�. 
La riforma costituzionale del 2001, ha chiarito una volta per tutte il dibattito 
sul �se� la tutela dell�ambiente rientri nella potest� legislativa concorrente 
regionale oppure nella potest� legislativa esclusiva dello Stato. Ai sensi 
dell�art. 117 comma 2 lett. s) cost. � previsto che la tutela dell�ambiente rientra 
tra le materie di legislazione esclusiva dello Stato. 
Tuttavia merita sottolineare che, nonostante ci�, la giurisprudenza della 
Corte Costituzionale, con la sentenza n. 407 del 2002 ha valorizzato e riconosciuto 
anche le competenze regionali in materia ambientale qualificando l�ambiente 
come �materia trasversale�. 
6. Competenze statali, regionali, provinciali, comunali, delle Camere di Commercio 
e delle ASL in materia ambientale con particolare riferimento alla gestione 
dei rifiuti solidi urbani. 
A livello costituzionale le competenze statali e regionali in materia ambientale 
sono previste e disciplinate dall�art. 117 co. 2 lett. s). 
A tal proposito merita precisare che, soltanto a seguito della riforma del Titolo 
V della Parte II della Costituzione, avvenuta con la legge costituzionale 18 
ottobre del 2001, n. 3, l�ambiente ha per la prima volta conosciuto una specifica 
menzione nella Carta Fondamentale, e precisamente nel novellato art. 117 Cost. 
198 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2015 
La nuova formulazione dell�art. 117 Cost. ribalta completamente l�impostazione 
precedente, dove erano indicate tassativamente le materie nelle quali 
le regioni potevano legiferare (in concorrenza con lo Stato) mentre in tutte le 
altre vi era potest� legislativa esclusiva dello Stato. 
Con la legge costituzionale del 18 ottobre del 2001, n. 3, sono elencate 
tassativamente le materie attribuite alla legislazione esclusiva dello Stato (art. 
117 co. 2 cost.) ed alla legislazione concorrente dello Stato e delle Regioni 
(art. 117 co. 3 cost.) mentre si afferma che spetta alle Regioni la potest� legislativa 
in riferimento ad ogni materia non espressamente riservata in base ai 
commi precedenti (art. 117 co. 4 cost). 
Si ha una competenza legislativa regionale e residuale che rispecchia la 
residualit� delle funzioni amministrative regionali disciplinata dall�art. 1 della 
legge 15 marzo 1997 n. 59 (Bassanini 1) riconfermata dal d.lgs. n. 31 marzo 
1998, n. 112 che ha dato attuazione alla legge stessa. 
Secondo il principio di residualit�, laddove non sia espressamente indicato 
altrimenti, una materia deve ritenersi oggetto di potest� legislativa da 
parte delle regioni. 
Per quanto concerne la potest� regolamentare, l�art. 117 co. 6 cost. dispone 
che lo Stato la mantiene soltanto nelle materie in cui ha potest� legislativa 
esclusiva, mentre spetta alle Regioni la possibilit� di intervenire con 
regolamento nelle materie concorrenti ed in quelle riconosciute di competenza 
regionale. 
Pi� nel dettaglio, prima della suddetta riforma sull�art. 117 cost., sono 
stati emanati i decreti legislativi 5 febbraio 1997 n. 22, il decreto legislativo 8 
novembre 1997 n. 389 ed il d.lgs. 31 marzo 1998, n. 112, di definizione delle 
competenze in tema di gestione dei rifiuti tra Stato, Regioni, Province e Comuni 
e la ripartizione � avvenuta per materia. Alla competenza generale statale 
seguivano le competenze enumerate di Regioni ed enti locali. 
Dopo la legge costituzionale 18 ottobre 2001 n. 3 che ha modificato anche 
l�art. 117 cost., la ripartizione delle competenze avviene non sul terreno della 
divisione per settori bens� sul terreno degli interessi. 
Nella difficolt� di identificare e delimitare i confini di una �materia� in 
senso tecnico qualificabile come �tutela dell�ambiente�, la Corte Costituzionale 
(21) ha precisato che l�ambiente nella sua unit� rappresenta un valore costituzionalmente 
protetto, valore che, in quanto tale, conferisce alla materia 
una trasversalit� necessaria in ordine alla quale si manifestano competenze diverse, 
non solo statali, ma anche regionali, in relazione all�interesse perseguito. 
(21) Corte Cost. sent. n. 407 del 2002; Corte Cost. sent. n. 322 del 2003; Corte Cost. sent. n. 307 
del 2003; Corte Cost. sent. 312 del 2003; Corte Cost. sent. n. 259 del 2004; Corte Cost. sent. n. 108 del 
2005; Corte Cost. sent. n. 108 del 2005; Corte Cost. sent. n. 135 del 2005; Corte Cost. sent. n. 214 del 
2005; Corte Cost. sent. n. 398 del 2006; Corte Cost. sent. n. 303 del 2007.
LEGISLAZIONE ED ATTUALIT� 199 
In particolare allo Stato spettano le determinazioni degli obiettivi, delle priorit�, 
degli indirizzi generali delle politiche di tutela ambientale che rispondono 
ad esigenze meritevoli di disciplina uniforme sull�intero territorio nazionale. 
Detto ci�, allo Stato spetta il potere di fissare standard di tutela globali 
non limitati a singoli fenomeni circoscritti ed a singole realt� territoriali, di 
coordinare e ricondurre ad unit� le diverse azioni di tutela, senza, tuttavia, 
escludere la competenza regionale in ordine alla tutela ambientale rivolta alla 
cura di interessi funzionalmente collegati al territorio di riferimento. 
La Regione, pur non potendo intervenire per tutelare l�ambiente in via 
primaria, pu�, infatti disciplinare il settore nella misura in cui l�ambiente si 
intreccia con le materie di competenza regionale, in vista della protezione di 
interessi localizzati (22). 
Con altre pronunce (23), la Corte Costituzionale ha precisato che le Regioni 
possono stabilire livelli pi� elevati di tutela ambientale, ma non al fine 
di tutelare l�ambiente, gi� salvaguardato dalla disciplina statale, ma di disciplinare 
adeguatamente ci� che � di loro competenza (24). 
In questa logica, il contemperamento del valore ambiente con il valore autonomistico 
deve tradursi nell�espressione, da parte dello Stato che legifera in via 
esclusiva, di interventi normativi tali da garantire l�uniformit� di tutela laddove 
l�interesse infranazionale della Repubblica lo richiede. L�oggettiva necessit� di 
un interesse unitario che reclama l�intervento statale in via esclusiva deve tuttavia 
essere ancorata a precisi parametri di giudizio, al fine di evitare che la cooperazione 
tra Stato e Regioni in materia ambientale si tramuti, tramite il ricorso indiscriminato 
ad esigenze unitarie, in una esclusione di fatto delle autonomie locali 
dal governo del settore per i profili attinenti al territorio di riferimento. 
A tal proposito, la Corte Costituzionale (25) ha affermato che lo Stato ha 
un interesse tanto rilevante, da indurre necessariamente a ritenere che la Regione 
non disponga dei poteri e dei mezzi adeguati ad un�idonea tutela di quel 
particolare interesse, acciocch� l�apprezzamento statale sulla rilevanza dell�interesse 
unitario non comprima in modo ingiustificato le autonomie locali; 
che la natura dell�interesse sia tale da poter essere soddisfatto solo attraverso 
la disciplina di aspetti che esorbitano dalle competenze regionali; che l�interesse 
richieda l�adozione di provvedimenti cos� urgenti da poter essere rimessi 
all�intervento normativo delle Regioni. 
(22) Corte Cost. sent. n. 536 del 2002; Corte Cost. sent. 322 del 2003; Corte Cost. sent. n. 307 del 
2003; Corte Cost. sent. n. 312 del 2003; Corte Cost. sent. n. 259 del 2004; Corte Cost. sent. n. 108 del 
2005; Corte Cost. Sent. n. 135 del 2005; Corte Cost. sent. n. 214 del 2005. 
(23) Corte Cost. sent. n. 30 del 2009; Corte Cost. sent. n. 61 del 2009; Corte Cost. sent. n. 104 del 
2009; Corte Cost. sent. n. 105 del 2009. 
(24) Corte Cost. sent. n. 33 del 2011; Corte Cost. sent. n. 44 del 2001. 
(25) Corte Cost. sent. n. 177 del 1988; Corte Cost. sent. n. 346 del 1990; Corte Cost. sent. n. 336 del 
2005; Corte Cost. sent. n. 336 del 2003; Corte Cost. sent. n. 307 del 2003; Corte Cost. sent. n. 103 del 2006.
200 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2015 
Nell�ambito della tutela dell�ambiente e dell�ecosistema di competenza 
esclusiva statale, si colloca, ai sensi dell�art. 117 co. 2 lett. s) della Costituzione, 
la disciplina dei rifiuti. 
Ai sensi di questo articolo, deve intendersi riservato allo Stato il potere 
di fissare livelli di tutela uniforme sull�intero territorio nazionale, livelli minimi 
di tutela da intendersi come tutela adeguata e non riducibile secondo la 
Corte Costituzionale (26), restando ferma la competenza delle Regioni per la 
cura degli interessi ambientali (27). 
Pi� nel dettaglio le Regioni, nell�esercizio delle loro competenze sono tenute 
al rispetto della normativa statale, ma possono stabilire livelli di tutela 
pi� elevati per il raggiungimento dei propri fini in tema di tutela della salute, 
valorizzazione dei beni ambientali, governo del territorio. 
A tal riguardo, stabilisce un�altra importante pronuncia della Corte Costituzionale 
(28) che se le competenze regioni incidono sull�ambiente, ci� avviene 
non nell�esercizio di competenze ambientali, ma nell�esercizio delle 
competenze loro attribuite dalla Costituzione. 
� il principio dell�unitariet� della tutela che giustifica la competenza statale 
(gi� prevista e disciplinata dal d.lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, dal d.lgs. 8 
novembre 1997 n. 389 e d.lgs. 31 marzo 1998 n. 112) per diverse concorrenti 
motivazioni tra le quali si ricordano la definizione dei criteri generali e delle 
metodologie per la gestione integrata dei rifiuti; per la definizione delle linee 
guida per le attivit� di recupero energetico dei rifiuti nonch� dei contenuti minimi 
delle autorizzazioni; per l� individuazione delle iniziative e delle misure 
per la prevenzione e la limitazione della produzione dei rifiuti; per l�individuazione 
dei flussi omogenei di produzione di rifiuti con pi� elevato impatto 
ambientale; per l�adozione di criteri generali per la redazione di piani di settore; 
per l�individuazione delle iniziative per favorire il riciclaggio; per la determinazione 
delle linee guida e dei criteri generali per la bonifica dei siti 
inquinati; per l�indicazione dei criteri generali relativi alle caratteristiche delle 
aree non idonee alla localizzazione degli impianti di smaltimento; per l�ado- 
(26) Corte Cost. sent. n. 61 del 2009. 
(27) Corte Cost. sent. n. 10 del 2009; Corte cost. sent. n. 249 del 2009; Corte Cost. sent. n. 244 
del 2011. 
(28) Corte Cost. sent. n. 61 del 2009. La sentenza n. 61/2009 � occasione per la Corte di tracciare 
una sintesi della propria giurisprudenza in materia di rifiuti. In primo luogo, il settore dei rifiuti � riconducibile 
alla competenza esclusiva statale in materia di tutala dell�ambiente (gi� sent. n. 10/2009; sentenze 
n. 277 e 62 /2008); di conseguenza le Regioni, nell�esercizio legittimo di loro competenze devono 
rispettare la normativa statale, potendo stabilire per il raggiungimento dei fini propri - livelli di tutela 
pi� elevati (gi� sentenze n. 104 e 105 del 2008). Cos� facendo, le discipline regionali possono incidere 
sul bene materiale �ambiente�, ma non al fine di tutelarlo (in quanto gi� salvaguardato dalla disciplina 
statale) bens� al fine di disciplinare �adeguatamente� gli oggetti delle loro competenze. Inoltra la Corte 
chiarisce cosa debba intendersi per �standard minimi di tutela �adeguata e non riducibile�. Ci� in estrema 
sintesi implica l�impossibilit� per le Regioni di pervenire ad una modificazione della nozione di rifiuto�.
LEGISLAZIONE ED ATTUALIT� 201 
zione di un modello uniforme del certificato di avvenuto smaltimento, dei registri 
di carico e scarico, nonch� del modello e del formulario relativo al trasporto 
dei rifiuti di carico, di indicazione e adozione di norme tecniche, di 
adozione dei metodi per l�analisi dei rifiuti, di autorizzazione allo smaltimento 
nelle acque marine ed infine per individuazione dei rifiuti smaltibili direttamente 
in discarica e di individuazione dei rifiuti elettrici. 
Nel codice dell�ambiente (d.lgs. 3 aprile 2006, n.152) le competenze statali, 
regionali, provinciali e comunali sono previste e disciplinate al capo II 
della parte IV, titolo I, agli artt. 195, 196, 197 e 198. 
Nell�attuale quadro normativo, la definizione dei criteri generali da parte 
dello Stato, pi� volte richiamata dall�art. 195 del ricordato codice dell�ambiente 
(d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152), � legittima nella misura in cui trova concreta 
espressione in interventi normativi statali tali da garantire uniformit� di 
tutela, laddove e per quanto l�interesse unitario della Repubblica lo richieda, 
come pi� volte sottolineato dalla Corte Costituzionale. 
Sorgerebbero invece dubbi sulla legittimit� sulla locuzione utilizzata 
dall�art. 195 del d.lgs. 3 aprile 2006 n. 152, ove la sua esegesi tendesse a trasformare 
i suoi criteri generali in concreta azione legislativa attraverso prescrizioni 
stringenti e di dettaglio, senza che l�agire statale fosse sorretto da 
esigenze di garanzia di interessi non frazionabili. 
Una volta soddisfatte le esigenze di uniformit� di disciplina, la competenza 
esclusiva statale deve, secondo le indicazioni della legge delega, comporsi 
con l�intervento del legislatore regionale in vista della tutela di interessi 
localmente differenziati. 
Le esigenze di uniformit� devono, cio�, contemperarsi, alla luce del 
nuovo art. 117 Cost. con le istanze di differenziazione. 
Sotto questa prospettiva, appaiono legittime non soltanto le gi� citate previsioni 
relative alla definizione dei criteri generali cui fanno seguito le specificazioni 
regionali, ma anche la previsione relativa all�attribuzione allo Stato 
della competenza ad individuare gli impianti di recupero e di smaltimento di 
preminente interesse nazionale, con l�intesa della Conferenza Unificata (29). 
Trattandosi di impianti di preminente interesse nazionale, la valutazione 
relativa alla loro individuazione deve essere attribuita allo Stato in coerenza 
con il principio di sussidiariet�, in vista dell�obiettivo del soddisfacimento 
dell�esigenza unitaria di una dislocazione strategica dei medesimi impianti sul 
territorio nazionale. Il previsto coinvolgimento delle Regioni in sede di Conferenza 
Unificata consente al legislatore locale di partecipare alla determinazione 
degli impianti, attivit� che incide su competenze regionali attinenti al 
�governo del territorio e tutela della salute�, in ordine alle quali spetta co- 
(29) CERUTI, Approvazione degli impianti per lo smaltimento dei rifiuti ed enti locali, in R.g. amb. 
96, 5, 657.
202 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2015 
munque allo Stato dettare i principi fondamentali come puntualizzato dalla 
Corte Costituzionale (30). 
Inoltre, con riferimento al Catasto dei rifiuti, previsto e disciplinato dall�art. 
117 co. 2 lett. s), la Corte Costituzionale, nella pronuncia sopracitata rileva 
come detta norma intenda garantire la formazione di un quadro 
conoscitivo unitario e aggiornato dei quadri raccolti, anche ai fini della pianificazione 
dell�attivit� di gestione dei rifiuti. In tal senso, le funzioni svolte dal 
Catasto sono prodromiche alla fissazione di livelli uniformi di tutela dell�ambiente 
e di esclusiva competenza statale. 
Lo stesso dicasi per il piano di comunicazione e di conoscenza ambientale, 
assegnando alla competenza dello Stato con riguardo al piano nazionale, 
con riserva alle Regioni della definizione dei piani di conoscenza e comunicazione 
locali. 
Secondo la Corte Costituzionale, tale attribuzione non determina alcuna 
lesione delle sfere di competenza regionale, in quanto non impedisce alle Regioni 
di predisporre propri piani territoriali sulla base dei quali lo Stato pu� 
provvedere a definire, nel rispetto delle attribuzioni regionali, un adeguato 
piano nazionale. 
Con riferimento all�attribuzione allo Stato del compito di determinare i 
criteri generali differenziati per i rifiuti urbani e per i rifiuti speciali ai 
fini dell�elaborazione dei piani regionali dei rifiuti nonch� le linee guida per 
gli ambiti territoriali ottimali, occorre ricordare che gi� l�art. 18 co. 1 lett. i) 
del d lgs. 5 febbraio 1997, n. 22 attribuiva la competenza allo Stato. 
Per la Corte Costituzionale (31), tale attribuzione risponde all�esigenza di 
individuare i criteri generali in modo uniforme ed omogeneo sul territorio nazionale, 
tenendo conto delle competenze regionali in tema di governo del territorio, 
alla luce del principio di leale collaborazione principio che sottende anche 
alla previsione della competenza statale in tema di linee guida per la definizione 
delle gare d�appalto per la concessione del servizio di gestione integrata dei rifiuti, 
dove la tutela della concorrenza, di competenza statale, interferisce con la 
materia dei servizi pubblici locali di competenza regionale residuale. 
La determinazione statale dei criteri generali e degli standards di bonifica 
dei siti inquinati, nonch� la determinazione statale dei criteri per l�individuazione 
degli interventi di cui alla lett. r) del co. 1 dell�art. 195 del d.lgs. 3 aprile 2006, 
n. 152 come modificato dall�art. 18 del d.lgs. 3 dicembre 2010 n. 205, pur se 
espressione della competenza esclusiva statale in tema di tutela ambientale e 
dell�ecosistema, avviene sulla base dell�intesa con la Conferenza Unificata. 
Secondo la Corte Costituzionale (32), con riferimento alle aree adibite 
alla produzione agricola o all�allevamento del bestiame opera il principio di 
(30) Corte Cost. sent. n. 249 del 2009. 
(31) Corte Cost. sent. n. 49 del 2009.
LEGISLAZIONE ED ATTUALIT� 203 
leale collaborazione che impone l�apporto partecipativo delle Regioni, alle 
quali il co. 4 dell�art. 117 Cost. assegna la competenza legislativa residuale in 
agricoltura. 
Si delinea in tal modo un sistema di intervento in materia di gestione dei 
rifiuti. 
Nel nuovo art. 117 Cost. la distribuzione delle competenze tra Stato e Regioni 
sulla tutela dell�ambiente e con essa sulla gestione dei rifiuti, pongono 
il problema del concreto funzionamento di questa rete istituzionale; infatti, accertata 
la necessaria cooperazione tra Stato e Regioni, la questione � stabilire 
come si attui tale collaborazione per giungere ad una condivisione della responsabilit� 
legislativa, coerente con il riconoscimento delle autonomie (33). 
Un�altra materia riservata alla competenza esclusiva dello Stato � l�individuazione 
degli obiettivi di qualit� dei servizi di gestione dei rifiuti e precisamente 
l�individuazione, nel rispetto delle attribuzioni costituzionali delle 
regioni, degli impianti di recupero e smaltimento di preminente interesse da 
realizzare per la modernizzazione e lo sviluppo del paese (art. 195 lett. f) del 
d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152. 
Mentre in precedenza soltanto lo Stato era competente in materia ambientale 
e le Regioni intervenivano negli spazi segnalati dallo stesso legislatore 
statale, come si � visto oggi lo Stato � legittimato a legiferare in via esclusiva 
solo per quanto attiene alla garanzia del soddisfacimento degli interessi unitari. 
Cos�, con specifico riferimento agli obiettivi di qualit�, lo Stato dovrebbe essere 
competente per la determinazione dei soli standard essenziali di prestazione 
del servizio agli utenti, rientrando nella sfera delle attribuzioni regionali 
la determinazione degli specifici obiettivi di qualit� che possono non necessariamente 
essere uguali su tutto il territorio nazionale. Comunque sia, la previsione 
di competenza statale per l�individuazione in toto degli obiettivi di 
qualit� del vecchio art. 117 cost. appare scarsamente conforme al novellato 
assetto delle competenze, sollevando dubbi di legittimit� costituzionali con riguardo 
alla legge delega, violata proprio nella parte in cui vincola il legislatore 
delegato a conformare le disposizioni del codice ambientale al ruolo delle Regioni 
derivante dalla riforma costituzionale. 
Perplessit� sono state sollevate sull�assegnazione allo Stato sia della de- 
(32) Corte Cost. sent. n. 247 del 2009. �La sentenza n. 247 risulta di particolare interesse in quanto 
affronta la questione relativa alla rivendicazione della competenza legislativa da parte delle Regioni a 
regolamentare la tariffa per la gestione dei rifiuti urbani dichiarandola non fondata. La Corte riconduce 
la relativa disciplina alla competenza esclusiva, sia se la si qualifichi come corrispettivo per il servizio 
reso, sia se la si ritenga un�imposizione di tipo tributario; in ogni caso non � possibile ricondurla ad alcuna 
competenza regionale. Peraltro, la Corte ha affermato pi� volte che la determinazione delle tariffe 
dei servizi pubblici affidati in concessione rientra nella materia dell�ordinamento civile� in Rassegna 
sulla giurisprudenza costituzionale delle regioni a statuto ordinario, anno 2009, marzo 2010, pag. 19. 
(33) DESIDERI, Il riparto delle attribuzioni per la tutela dell�ambiente, in DESIDERI Autonomie territoriali 
e tutela dell�ambiente 2001, 10 ss.
204 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2015 
terminazione dei criteri generali per l�organizzazione della raccolta differenziata 
dei rifiuti urbani (art. 195 lett. q del d.lgs. 3 aprile 2006 n. 152, attivit� gestionale 
interamente localizzata, dunque da affidare alla competenza regionale, sia 
della determinazione delle linee generali inerenti le forme ed i modi della cooperazione 
tra gli enti locali (art. 195 lett. o) del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152). 
A tal riguardo, si richiama una importante pronuncia della Corte Costituzionale 
(34) secondo la quale, se per enti locali si intendono le Province e Comuni 
all�interno della medesima Regione, come pare doversi intendere dal 
riferimento alla �riscossione della tariffa sui rifiuti urbani ricadenti nel medesimo 
ambito territoriale ottimale�, il coordinamento tra gli enti sub regionali 
ricade nella competenza regionale e non gi� statale. Vero � che si tratta di previsione 
che, pur incidendo su ambiti di competenza regionale, quali quello 
della promozione delle forme di cooperazione tra gli enti locali e quello dei 
servizi pubblici locali, � finalizzata all�esigenza di individuazione dei criteri 
pi� idonei a garantire l�efficiente espletamento del servizio. 
Merita precisare che la riforma costituzionale, in contrapposizione al sistema 
precedente, imposta le relazioni tra enti locali non pi� nella prospettiva 
verticistica Stato-Regioni-enti locali secondo un sistema �a cascata�, ma nella 
diversa ottica orizzontale, legata alla valutazione degli interessi da soddisfare. 
Interessi che, quando sono localizzabili, come lo sono quelli implicati nel coordinamento 
tra gli enti sub regionali, sono da affidare alle Regioni, depositarie 
o interpreti delle istanze di differenziazione. 
Occorre altres� precisare che il terzo comma dell�art. 117 cost., come modificato 
dall�art. 18 del d.lgs. 3 dicembre del 2010, n. 205 prevede che le fun- 
(34) Corte Cost. sent. n. 249 del 2009. �La sentenza n. 249 del 2009 risulta di particolare interesse 
in quanto non soltanto ribadisce la sussistenza di un intreccio di competenze legislative statali e regionali 
in materia di gestione dei rifiuti ma coglie anche l�occasione per fare alcune precisazioni di carattere processuale 
affermando che il giudizio di legittimit� costituzionale in via principale deve svolgersi �esclusivamente 
tra soggetti titolari di potest� legislativa, fermi restando per i soggetti privi di tale potest� i mezzi 
di tutela delle loro posizioni soggettive, anche costituzionali, di fronte ad altre istanze giurisdizionali�. 
Inoltre, la medesima sentenza individua i limiti entro cui � ammissibile una dichiarazione di cessazione 
della materia del contendere: � necessario che le norme abrogate non abbiano prodotto effetti durante il 
periodo della loro vigenza, non essendo sufficiente che esse siano state in via transitoria in vigore. 
Ribadisce altres� il principio secondo cui non sono ammissibili le censure prospettate dalle Regioni rispetto 
a parametri costituzionali diversi dalle norme che operano il riparto di competenze con lo Stato, 
qualora queste non si risolvano in lesioni delle competenze regionali stabilite dalla Costituzione. 
La medesima sentenza, in materia di interventi previsti dal piano regionale di gestione dei rifiuti, stabilisce 
che non pu� farsi discendere dall�art. 120, secondo comma cost., una riserva a favore della legge statale di 
ogni disciplina del potere sostitutivo, dovendosi viceversa riconoscere che la legge regionale, intervenendo 
in materie di propria competenza e nel disciplinare, ai sensi dell�art. 117, terzo e quarto comma, e dell�art. 
118, primo e secondo comma, Cost., l�esercizio di funzioni amministrative di competenza dei Comuni, preveda 
anche poteri sostitutivi in capo a organi regionali, per il compimento di atti o attivit� obbligatorie, nel 
caso di inerzia o di inadempimento da parte dell�ente competente, al fine di salvaguardare interessi unitari 
che sarebbero compromessi dall�inerzia o dall�inadempimento dei medesimi� in Rassegna sulla giurisprudenza 
costituzionale delle regioni a statuto ordinario, anno 2009, Torino, marzo 2010, pag. 18.
LEGISLAZIONE ED ATTUALIT� 205 
zioni di cui al primo comma, ivi comprese dunque quelle di cui alle lett. l), o) 
e q), dell�art. 195 del d.lgs. 3 aprile 2006 n. 152, sono esercitabili dallo Stato 
e dalla Conferenza unificata, dalle Regioni e dalle provincie autonome. Ci� 
implica, che le funzioni statali siano esercitate, in applicazione del principio 
di leale collaborazione, anche dalle Regioni, secondo quanto previsto e disciplinato 
dall�art. 117, co. 3� e 4� Cost. 
Sotto questo profilo il principio di collaborazione costituisce un filtro necessario 
per il legittimo esercizio delle competenze statali. 
Un ultimo riferimento riguarda i criteri di assimilazione. 
Secondo quanto previsto dall�art. 14, 46� comma della legge 22 dicembre 
2011 n. 2014, di conversione del d.l. 6 dicembre 2011 n. 214, le esigenze unitarie 
sono soddisfatte dalla definizione dei criteri di assimilazione da parte del 
Ministro dell�ambiente e della tutela del territorio e del mare, d�intesa con il 
Ministro dello sviluppo economico. 
Infine, in riferimento alla funzione di indirizzo e di coordinamento delle 
competenze statali, si ricorda una importante pronuncia della Corte Costituzionale 
(35). In particolare con specifico riferimento alla competenza in materia 
ambientale, la Corte afferma che la forte incidenza della competenza 
statale sulle funzioni regionali impone che queste scelte almeno nelle linee 
generali, siano operate dallo Stato con leggi, che dovranno inoltre determinare 
adeguate procedure e precisi atti formali per procedere alle specificazioni ed 
articolazioni ulteriori che si rendano necessari nei vari settori. Se le �adeguate 
procedure� rinviano agli atti di indirizzo e coordinamento, l�ammissibilit� 
dell�intervento � circoscritta dal principio di legalit� ed � operante nell�ambito 
delle competenze esclusive dello Stato, in un contesto, tuttavia di concertazione 
tra gli enti coinvolti nel processo (36). 
In questa prospettiva la funzione di indirizzo e di coordinamento disciplinata 
dall�art. 195 del Codice dell�ambiente (d.lgs. 3 aprile 2006 n. 152) risulta 
conforme all�art. 117 Cost. nella misura in cui � diretta ad operare 
restrizioni della competenza regionale, anche in materie di competenza statale, 
ma � esercitata nel rispetto del principio di leale collaborazione. 
Le competenze regionali sono disciplinate dall�art. 196 del codice dell�ambiente 
(d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152). Sono tre i punti essenziali su cui bisogna 
soffermarsi. 
Il primo concerne i rapporti tra l�art. 196 del d.lgs. 3 aprile 2006 n. 152 e 
l�art. 19 del d.lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, il secondo i limiti della competenza 
regionale ed il terzo il potere sostitutivo regionale nei confronti degli enti locali. 
Prima dell�entrata in vigore dell�art. 196 del codice dell�ambiente (d. lgs. 
3 aprile del 2006 n. 152), l�art. 19 del d.lgs. 5 febbraio 1997 n. 22 attribuiva 
(35) Corte Cost., sent. n. 88 del 2003. 
(36) BIN - FALCON - TOSI, Diritto regionale. Dopo le riforme 2003, 200.
206 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2015 
alle Regioni le funzioni inerenti alla programmazione mediante la predisposizione 
dei piani regionali, l�elaborazione e l�approvazione dei piani di bonifica, 
la definizione dei criteri per la localizzazione degli impianti di smaltimento. 
In linea di continuit� normativa l�art. 196 del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152 
ripropone quasi integralmente le disposizioni dell�art. 19 del decreto Ronchi 
(d.lgs. 5 febbraio 1997, n. 22). 
Le modifiche rispetto alla precedente disciplina sono rappresentate, da 
un lato, dalla precisazione di cui al primo comma della lett. p) dell�art. 196 
del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152 che stabilisce la continuit� dell�applicazione 
delle disposizioni del d.m. 8 maggio 2003 n. 203, con temporanea salvezza 
delle disposizioni regionali esistenti. 
Un�altra modifica concerne la semplificazione formale della lett. i) del 
co. 1 dell�art. 196 del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152, semplificazione nel cui testo 
di riordino scompare la specificazione che, per gestione integrata dei rifiuti, 
deve intendersi �il complesso delle attivit� volte ad ottimizzare il riutilizzo, il 
riciclaggio, il recupero e lo smaltimento dei rifiuti�. 
� stato altres� soppresso il comma 4 bis dell�art. 19 del d.lgs. 5 febbraio 
1997, n. 22, il quale affidava l�organizzazione della gestione dei rifiuti prodotti 
dalle navi nelle aree portuali alle autorit� marittime: il silenzio sul punto porta 
ad interrogarsi se la mancata riproposizione della norma significhi la sottrazione 
della competenza alle autorit� marittime per essere affidata allo Stato, 
fermo restando che l�art. 195 2 �co lett. p) del d. lgs. 3 aprile 2006, n. 152, 
come modificato dal d.lgs 3 dicembre 2010 n. 205, assegna alla competenza 
statale l�autorizzazione allo smaltimento dei rifiuti nella acque marine su proposta 
dell�autorit� marittima, nella cui zona di competenza si trova il porto 
pi� vicino al luogo dove deve essere effettuato lo smaltimento, ovvero si trova 
il porto da cui parte la nave con il carico da smaltire. 
La Regione, cos� come lo Stato, ha dei limiti sulle competenze che devono 
essere evidenziati e l�art. 196 del d.lgs. 3 aprile 2006 n. 152 li disciplina dettagliatamente. 
Nel settore dei rifiuti ad esempio, accanto ad interessi inerenti alla tutela 
ambientale, di competenza statale, vengono in rilievo interessi sottostanti ad 
altre materie (37). 
Secondo giurisprudenza consolidata della Corte Costituzionale (38), la competenza 
statale pertanto non pu� escludere la possibilit� per le Regioni di intervenire 
nell�esercizio delle loro competenze quali la tutela della salute, ed il governo 
del territorio, nel rispetto dei livelli uniformi di tutela predisposti dallo Stato. 
(37) RENNA, Il sistema degli �standard ambientali� tra fonti europee e competenze nazionali, in 
POZZO - RENNA, L�ambiente nel nuovo titolo V, 2004, 123 e ss. Cfr. VIDETTA, Il problema dell�allocazione 
della competenza ad emanare norme tecniche. Il caso della �bonifica dei siti inquinati�. Sanit� pub. e 
priv. 2003, 551 ss. 
(38) Corte Cost. sent. n. 244 del 2011.
LEGISLAZIONE ED ATTUALIT� 207 
Se � riservato allo Stato il potere di fissare livelli di tutela uniforme sull�intero 
territorio nazionale, resta ferma la competenza delle Regioni alla cura 
di interessi funzionalmente collegati con quelli propriamente ambientali. Inoltre 
la Corte Costituzionale (39) ha statuito che nell�esercizio delle loro competenze, 
le Regioni, nel rispetto della normativa statale, possono stabilire, per 
il raggiungimento dei propri fini, livelli di tutela pi� elevati. 
Il principio della tutela pi� rigorosa del livello territoriale inferiore (40) 
riconosciuto anche dalla Corte Costituzionale (41) gi� vigente nel vecchio art. 
117 Cost. � stato successivamente riconosciuto dopo la riforma costituzionale 
da diverse pronunce della Corte Costituzionale (42). 
Secondo dottrina accreditata (43), configurare il potere delle Regioni di 
adottare una tutela pi� rigida rispetto a quella statale, proprio in quanto diretta 
ad assicurare un pi� elevato livello di garanzie per la popolazione ed il territorio 
interessato � soluzione che sembra aderire al nuovo complesso istituzionale. 
Un'altra importante tematica affrontata dall�art. 196 del codice dell�ambiente 
(d.lgs. 3 aprile 2006 n. 152) concerne il potere sostitutivo regionale nei 
confronti degli enti locali. 
Ai sensi dell�art. 196 del codice dell�ambiente (d.lgs. 3 aprile 2006 n. 
152), letto in combinato disposto con l�art. 118 Cost., la Regione pu�, nell�esercizio 
delle proprie competenze, attribuire funzioni amministrative alle 
Province ed ai Comuni. 
Il problema di fondo � quello di stabilire se, in caso di inadempimento da 
parte degli enti locali il potere sostitutivo debba essere esercitato dallo Stato 
oppure dalla Regione. 
Sul punto � intervenuta la Corte Costituzionale (44) che ha precisato, con 
riguardo al mancato esercizio di funzioni assegnate dalla Regione agli enti locali 
in tema di gestione dei rifiuti, che l�art. 120 2� comma Cost., non preclude 
al legislatore regionale la possibilit� di disciplinare l�esercizio di funzioni conferite 
agli enti locali, prevedendo anche poteri sostitutivi in capo ad organi regionali 
nel caso di inerzia o di inadempimento. 
La Corte Costituzionale in successive pronunce ha chiarito che le ipotesi 
di esercizio dei poteri sostitutivi regionali devono essere previste e disciplinate 
(39) Corte Cost. sent. n. 225 del 2009; Corte Cost. sent. n. 373 del 2010. 
(40) CECCHETTI, Principi costituzionali per la tutela dell�ambiente, 2000, 34 s. 
(41) Corte Cost. sent. n. 382 del 1999. 
(42) Corte Cost. sent. n. 407 del 2002; Corte Cost. sent. n. 222 del 2003; Corte Cost. sent. n. 307 
del 2003; Corte Cost. sent. n. 312 del 2003; Corte Cost. sent. n. 259 del 2004; Corte Cost. sent. n. 108 
del 2005; Corte Cost. sent. n. 135 del 2005; Corte Cost. sent. n. 214 del 2005; Corte Cost. sent. n. 62 
del 2008; Corte Cost. sent. n. 104 del 2008; Corte Cost. sent. n. 105 del 2008; Corte Cost. sent. n. 12 
del 2009; Corte Cost. sent. n. 30 del 2009; Corte Cost. sent. n. 61 del 2009. 
(43) ROMANO TASSONE, Stato, Regioni ed enti locali nella tutela dell�ambiente, Dir. Amm., anno 
1993, pag. 117. 
(44) Corte Cost. sent. n. 313 del 2003; Corte Cost. sent. n. 172 del 2004.
208 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2015 
dalla legge locale, la quale deve definire i presupposti sostanziali e procedurali; 
inoltre la sostituzione pu� essere prevista esclusivamente per il compimento 
di atti privi di discrezionalit� nell�an (45) e che l�esercizio del potere sostitutivo 
deve essere affidato ad un organo di Governo della Regione o deve comunque 
svolgersi sulla base di decisione di questo (46); che, in conformit� al 
principio di leale collaborazione, devono sussistere garanzie procedurali per 
l�esercizio del potere sostitutivo, quali l�esistenza di un procedimento in cui 
l�ente sostituito sia messo in condizioni di interloquire con gli organi deputati 
alla sostituzione attraverso un autonomo adempimento (47). Ne consegue che 
le Regioni, in caso di allocazione di funzioni connesse alle attribuzioni assegnate 
dall�art. 196 presso gli enti locali, sono legittimate, in caso di inadempimento, 
all�esercizio dei poteri sostitutivi (48). 
Le competenze provinciali sono previste e disciplinate dall�art. 197 del 
codice dell�ambiente (d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152). 
L�art. 197 del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152 � in stretto collegamento con 
l�art. 19 del d.lgs. n. 18 agosto del 2000, n. 267. 
Una conferma la si trova nella prima parte del primo comma dell�art. 197 
del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152, il quale recita: in attuazione dell�art. 19 del 
decreto legislativo 18 agosto 200, n. 267, alle province competono in linea 
generale le funzioni amministrative concernenti la programmazione ed organizzazione 
del recupero e dello smaltimento dei rifiuti a livello provinciale, 
da esercitarsi con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione 
vigente ed in particolare: 
a ) il controllo e la verifica degli interventi di bonifica e di monitoraggio 
ad essi conseguenti; 
b) il controllo periodico su tutte le attivit� di gestione, di intermediazione 
e di commercio di rifiuti, ivi compreso l�accertamento delle violazioni delle 
disposizioni di cui alla parte quarta del presente decreto; 
c) la verifica ed il controllo dei requisiti previsti per l�applicazione delle 
procedure semplificate, con le modalit� di cui agli articoli 214, 215 e 216; 
d) l�individuazione, sulla base delle previsioni del piano territoriale di 
coordinamento di cui all�art. 20, comma 2, del decreto legislativo 18 agosto 
200, n. 267, ove gi� adottato, e delle previsioni di cui all�art. 199, comma 3 
lettera d) e h), del d.lgs. 3 aprile 2006 n. 152, nonch� sentiti l�Autorit� d�ambito 
ed i Comuni, delle zone idonee alla localizzazione degli impianti di smaltimento 
dei rifiuti, nonch� delle zone idonee alla localizzazione degli impianti 
di recupero e di smaltimento dei rifiuti. 
(45) Corte Cost. sent. n. 177 del 1888. 
(46) Corte Cost. sent. n. 460 del 1989; Corte Cost. sent. n. 342 del 1994; Corte Cost. sent. n. 313 
del 2003. 
(47) Corte Cost. sent. n. 53 del 2003. 
(48) Corte Cost. sent. n. 227 del 2004.
LEGISLAZIONE ED ATTUALIT� 209 
Nell�ambito delle competenze delle province � opportuno analizzare sia 
la competenza ed il principio di sussidiariet�, sia la violazione di competenze. 
Con riferimento alla competenza ed al principio di sussidiariet�, bisogna 
fare un breve excursus normativo. 
In particolare, l�art. 14 della legge 8 giugno 1990, n. 142 e l�art. 20 del 
d.lgs. 5 febbraio 1997, n. 22 attribuivano alle Province tutte le funzioni amministrative 
concernenti la programmazione e l�organizzazione dello smaltimento 
dei rifiuti a livello provinciale, oltre alle funzioni di controllo e di verifica relative 
sia agli interventi di bonifica, sia alle attivit� di gestione dei rifiuti, nonch� 
al potere di individuare, sulla base delle previsioni del piano territoriale di coordinamento, 
le zone idonee alla localizzazione degli impianti di smaltimento. 
In attuazione dell�art. 19 del tuel (d.lgs. 18 ottobre del 2000, n. 267), l�art. 
197 del codice dell�ambiente (d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152) interviene sulle precedenti 
attribuzioni delle province, assegnando loro le funzioni amministrative 
relative alla programmazione ed organizzazione del recupero e dello smaltimento 
dei rifiuti a livello provinciale, con particolare riferimento ai poteri di 
vigilanza e di controllo, anche avendo riguardo agli enti ed alle imprese che 
producono rifiuti pericolosi. La Provincia quindi � il soggetto competente al 
controllo periodico su tutte le attivit� di gestione degli impianti per il trattamento 
dei rifiuti e, quindi, sia sul rispetto delle condizioni prescritte in sede 
di autorizzazione che sulla successiva conduzione dell�impianto. 
A tal proposito (49) il Tar della Lombardia ha rilevato che la Provincia � 
legittimata ad imporre interventi di revisione e miglioria degli impianti con 
effetti permanenti, diversi da quelli temporanei e contingenti che caratterizzano 
le decisioni del Sindaco, il quale, con ordinanza, si trova a far fronte a situazioni 
imprevedibili ed eccezionali. 
Anche secondo il Tar Veneto (50) nell�esercizio delle funzioni di controllo, 
la Provincia � legittimata a disporre adempimenti strumentali: cos� che 
la richiesta di riempimento di moduli non comporta la violazione dei principi 
e di tipicit� degli atti amministrativi. 
L�indicazione delle funzioni amministrative delle Province, contenuta nell�art. 
197 non sembra possa considerarsi esaustiva. Invero, ai sensi dell�art. 
117 co. 2 lett. p) Cost. spetta allo Stato in via esclusiva la determinazione delle 
funzioni fondamentali di Comuni, Province, e Citt� metropolitane. 
Osserva autorevole dottrina (51) che l�art. 118, co. 1 Cost., stabilendo i 
criteri di allocazione delle risorse che valgono per tutti i livelli di governo, attribuisce 
tutte le funzioni amministrative ai Comuni. 
(49) TAR Lombardia Milano, Sez. IV, 2 aprile 2008, n. 792. 
(50) TAR Veneto, Sez. III, 14 giugno 2011, n. 985. 
(51) D�AURIA, Funzioni amministrative e autonomia finanziaria delle Regioni e degli enti locali, 
F. it. 2002, V, 185 ss.; BIN, La funzione amministrativa nel titolo V della Costituzione.
210 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2015 
Ai sensi del vecchio art. 117 Cost., lo Stato poteva legittimamente indicare, 
come infatti ha fatto nel d.lgs. 5 febbraio 1997 n. 22, le funzioni da assegnare 
alle Province, nell�ottica del parallelismo delle funzioni legislative e 
secondo l�impianto tradizionale che vedeva le competenze degli enti locali affidate 
alla determinazione statale. 
Dopo la riforma costituzionale del 18 ottobre 2001 n. 3, l�individuazione 
di tali funzioni appare, ex art. 118 Cost., svincolata dal potere dello Stato, al 
quale � riconosciuto solo il potere di dettare le funzioni fondamentali degli 
enti locali, per essere specificata dallo stesso costituente, laddove stringe l�allocazione 
delle funzioni amministrative all�interno dei principi di sussidiariet�, 
differenziazione e adeguatezza. 
Il secondo comma dell�art. 118 Cost., prevede poi che gli enti locali indicati 
sono titolari di funzioni proprie ma anche di funzioni conferite con legge 
statale o regionale, secondo le rispettive competenze. In capo agli enti locali 
sono dunque individuabili funzioni fondamentali, funzioni proprie e funzioni 
conferite. 
Secondo autorevole dottrina (52) alle Province dunque spettano non solo 
funzioni fondamentali, che sono proprie dell�art. 197 del d.lgs. 3 aprile 2006, 
n. 152 e che afferiscono alla soglia minima ed indefettibile di funzioni amministrative, 
ma anche funzioni proprie e funzioni conferite. 
Le funzioni proprie fanno riferimento alla sfera di autonomia gi� assegnata 
dalla legislazione vigente alle Province, che deve necessariamente comporsi 
con i principi di allocazione espressi dal 1� comma dell�art. 118 Cost. 
Ci� significa che, di fronte alla sussistenza della competenza provinciale in 
ordine allo svolgimento di tutte le funzioni amministrative in materia di gestione 
di rifiuti a livello locale affermata dall�art. 20 del d.lgs. 5 febbraio 1997, 
n. 22, il legislatore delegato pu� sottrarre attribuzioni spostandole ad altro livello, 
nella misura in cui ci� risponda ai principi di sussidiariet�, differenziazione 
e adeguatezza. 
Se dunque le competenze elencate nell�art. 197 del d.lgs. 5 febbraio 1997, 
n. 22 rappresentano le funzioni fondamentali, le competenze previste dall�art. 
20 del decreto Ronchi (d.lgs. 5 febbraio 1997 n. 22) appartengono all�area 
delle funzioni tradizionalmente proprie, che il legislatore statale pu� modificare 
solo ove cio� risulti conforme all�art. 118 cost. 
Le funzioni conferite sono quelle oggetto di trasferimento, attribuzione 
e delega agli enti territoriali dalle leggi statali e regionali, in applicazione dei 
principi di sussidiariet�, differenziazione e adeguatezza. Le funzioni in questione 
sono individuabili su un duplice versante; da un lato sono quelle che, 
(52) MERLONI, Il destino dell�ordinamento degli enti locali e del relativo testo unico nel nuovo titolo 
V della Costituzione, Reg. 2002, 414; Corte Cost. sent. 83 del 1997; D�ATENA, La difficile transizione 
in tema di attuazione della riforma del tit. V, Reg. 2002, 308.
LEGISLAZIONE ED ATTUALIT� 211 
tradizionalmente proprie dei Comuni sulla base della legislazione ordinaria di 
settore, vengono spostate presso la Provincia. 
Dall�altro sono quelle, ulteriori e nuove, che il legislatore pu� individuare 
nella disciplina o ri-disciplina dei settori affidati alla sua cura e che non ritenga 
di dover allocare presso il Comune. Cos� che alla Provincia potranno competere 
ulteriori funzioni amministrative, sulla base dell�allocazione che il legislatore 
regionale ma anche statale, potr� decidere in ottemperanza ai principi 
di sussidiariet� e di adeguatezza. 
Strettamente connesso al principio di sussidiariet� � la violazione delle 
sue competenze. 
In particolare, nel caso in cui gli enti locali, che si ritengano lesi nelle 
loro attribuzioni, intendano rivendicare giudizialmente le funzioni loro non 
assegnate, si pone il problema dell�individuazione dei meccanismi di tutela 
delle competenze. Occorre, al riguardo, evidenziare che le Province non sono 
legittimate ad adire la Corte Costituzionale. 
Agli enti locali la Costituzione non riconosce alcuna tutela nei confronti 
n� dello Stato n� delle Regioni, essendo consentito solo a questi il ricorso alla 
Corte Costituzionale per difendere le proprie sfere di competenza. 
Come � stato autorevolmente osservato (53), soltanto lo Stato pu� ricorrere 
in tutti i casi in cui ritenga che la legge regionale abbia ecceduto la competenza, 
quindi anche quando abbia invaso l�autonomia degli enti locali. 
Il problema � se esiste tutela e qual � il soggetto competente ad attuarla 
nel caso di violazione della competenza provinciale da parte della legge statale, 
soprattutto l� dove lo Stato violi i criteri di riparto delle attribuzioni amministrative 
dell�art. 118 Cost., come nel caso dell�art. 197 del codice dell�ambiente 
(d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152). 
In questo caso, la Regione non potrebbe adire la Corte, non riguardando 
tale allocazione la sfera di competenza esclusiva regionale; n� potrebbero farlo 
gli enti locali, esclusi dai soggetti legittimati a ricorrere per vizio di legittimit� 
costituzionale. Al riguardo, sottolineando il ruolo della Regione, evidenziato 
nel passato dalla Corte Costituzionale (54) di ente esponenziale della Comunit� 
locale, si potrebbe ipotizzare, proprio per la doppia valenza dell�ente Regione, 
di soggetto legislatore e di soggetto rappresentante e portavoce delle 
comunit� locali, un intervento processuale della Regione in caso di invasione 
statale delle prerogative degli enti locali, diretto a far valere il rispetto 
dei criteri di allocazione dell�art. 118 Cost. 
Titolo fondante la legittimazione della Regione all�intervento potrebbe es- 
(53) D�AURIA, Funzione amministrativa e autonomia finanziaria delle Regioni e degli enti locali, 
F. it, 2002, V, 185; VESPERINI, Le Regioni e gli enti locali in CASSESE, Trattato di diritto amministrativo, 
2000, II, 1644 ss. 
(54) Corte Cost. sent. n. 276 del 1991.
212 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2015 
sere costituito non dall�essere la Regione soggetto legislatore leso nelle sue 
competenze, ma soggetto politico contenitore di realt� locali che agisce in qualit� 
di rappresentante unitario di specificit� presenti sul suo territorio. Se si accoglie 
questa impostazione, si potrebbe allora ipotizzare un intervento regionale 
dinanzi la Corte Costituzionale per violazione da parte dello Stato delle competenze 
provinciali, laddove si ritenesse la sussistenza di un esproprio delle 
funzioni amministrative in tema di programmazione ed organizzazione dello 
smaltimento dei rifiuti non sorretto dai criteri di sussidiariet� ed adeguatezza. 
Anche i Comuni, al pari delle Province, delle Regioni e dello Stato hanno 
competenza, ai sensi e per gli effetti dell�art. 198 del d.lgs. 3 aprile 2006 n. 
152 sulla gestione dei rifiuti urbani ed assimilati. 
Con riferimento alla gestione dei rifiuti, l�art. 198 del d.lgs. 152 del 3 aprile 
2006 riporta quasi integralmente l�art. 21 del d.lgs. 5 febbraio 1997 n. 22. 
Rispetto alla precedente disciplina si rinvengono novit� nel 1� e nel 4� 
co. dell�art. 198 del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152, nella omessa riproposizione 
del 2� comma lett. d) e del 4� comma dell�art. 21 del d.lgs. 5 febbraio 1997, e 
nella modifica del 3� comma della medesima norma. 
Nell�ottica della semplificazione, il legislatore delegato elimina la definizione 
di rifiuti urbani, identificati dal 2� comma lett. d) e dall�art. 21 del 
d.lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, come quei rifiuti provenienti dalla pulizia delle 
strade ovvero, di qualunque natura e provenienza, giacenti sulle strade ed aree 
pubbliche. 
Tale soppressione, se ha agevolato la lettura della norma, non appare, tuttavia, 
fondamentale ai fini del riordino della legislazione. 
La definizione � il presupposto per l�identificazione dell�ambito di applicazione 
di una disciplina e la conservazione di tale definizione avrebbe forse 
potuto essere funzionale ad una sorta di actio finium regundorum tra competenze 
degli enti locali. 
Detto ci�, merita prestare attenzione sulle altre modifiche apportate dal 
legislatore delegato rispetto alla precedente disciplina. 
Pi� nel dettaglio, laddove il 1� comma dell�art. 21 prevedeva che i Comuni 
effettuassero la gestione dei rifiuti urbani ed assimilati avviati allo smaltimento 
in regime di privativa di cui alla legge 8 giugno 1990, n. 142, il 1� comma dell�art. 
198 del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152 dispone ora, in armonia con la disciplina 
dettata in tema di gestione dei rifiuti contenuta negli articoli successivi, 
che i Comuni concorrono, nell�ambito delle attivit� svolte a livello degli ambiti 
territoriali ottimali, alla gestione dei rifiuti urbani ed assimilati. Gestione che, 
come ha osservato la Corte Costituzionale (55) tuttavia, non pu� comprendere 
l�esercizio da parte del Comune, della funzione di rilascio, rinnovo e modifica 
dell�autorizzazione alla gestione dei centri di raccolta dei rifiuti. 
(55) Corte Cost. sent. n. 127 del 2010.
LEGISLAZIONE ED ATTUALIT� 213 
Fino all�inizio dell�attivit� del soggetto aggiudicatario della gara ad evidenza 
pubblica indetta dall�Autorit� d�ambito, i Comuni continuano la gestione 
dei rifiuti urbani e dei rifiuti assimilati in regime di privativa secondo 
le regole per l�erogazione dei servizi pubblici locali di rilevanza economica 
dettati dal 5 � comma dell�art. 113 tuel (d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267). 
Con il codice dell�ambiente, il conferimento da parte del Comune della 
gestione del servizio pubblico o a societ� di capitali, individuate con gara ad 
evidenza pubblica, o a societ� a capitale misto pubblico e privato, nella quale 
il socio privato � scelto con gara ad evidenza pubblica, o, infine, a societ� a 
capitale interamente pubblico, a condizione che gli enti pubblici soci esercitino 
sulle societ� un controllo analogo a quello sui propri servizi, lascia il posto 
all�attivit� di individuazione del soggetto affidatario del servizio di gestione 
integrata dai rifiuti urbani da parte dell�Autorit� d�ambito, prevista e disciplinata 
dall�art. 202 del codice dell�ambiente (d.lgs. 3 aprile 2006, n.152). 
Il Comune, dunque, secondo la nuova disciplina, non � pi� il perno della 
procedura di affidamento del servizio e di selezione del soggetto aggiudicatario 
della gara, ma si limita a �concorrere� alla gestione dei rifiuti urbani con l�Autorit� 
d�ambito, alla quale spettano ora le funzioni di affidamento del servizio. 
Fino all�inizio delle attivit� del soggetto che risulter� aggiudicatario, i 
Comuni conservano le proprie funzioni in materia, le quali sono tuttavia, sottoposte 
alla condizione risolutiva dell�avvenuta aggiudicazione, appunto della 
gara. La posizione del Comune passa da attivit� centrale, come era nell�art. 
21 del d.lgs. 5 febbraio 1997, n. 22 ad un�attivit� di supporto, collaterale a 
quella, ora centrale, svolta dall�Autorit� d�ambito. Disposizione questa che se 
da un lato pu� trovare giustificazione nell�esigenza di superare la frammentazione 
delle gestioni dei rifiuti tramite il ricorso ad una gestione integrata, condotta 
sulla base di adeguate dimensioni territoriali, desta, dall�altro, perplessit� 
sotto il profilo della sottrazione ai Comuni della gestione in privativa. 
E ci� non tanto e non solo nell�ottica del confronto con il precedente regime, 
con arretramento delle competenze comunali, quanto anche e soprattutto 
alla luce dell�art. 118 cost., il quale affida tutte le funzioni amministrative ai 
Comuni, facendone il perno dell�azione amministrativa locale. 
N� al riguardo, appare del tutto congruente il richiamo alle esigenze dell�adeguatezza 
amministrativa per legittimare lo spostamento delle competenze 
dai Comuni all�Autorit� d�ambito. 
Laddove la tutela delle esigenze unitarie ha condotto il Costituente a consentire 
una diversa allocazione delle funzioni amministrative, tale spostamento 
� previsto dall�art. 118 cost. solo in senso ascendente, tra enti locali, dunque, 
dai Comuni alle Province, Citt� metropolitane e Regioni e non anche a favore 
di altri enti, come l�Autorit� d�ambito, appunto, sia pur creati dalle Regioni e 
partecipati dagli enti locali. 
Sono state apportate modifiche anche sull�approvazione dei progetti di
214 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2015 
bonifica da parte del Comune ad opera del 4 � comma dell�art. 198 del codice 
dell�ambiente (d.lgs. 3 aprile 2006 n. 152) e del 3� comma dell�art. 21 del 
d.lgs. 5 febbraio n. 1997 n. 22. 
In particolare, mentre il 3� comma dell�art. 21 del decreto Ronchi (d. lgs. 
5 febbraio 1997, n. 22) prevedeva, tra le competenze comunali l�approvazione 
dei progetti di bonifica dei siti inquinati, il 4 � comma dell�art. 198 del codice 
dell�ambiente (d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152) sostituisce il potere di approvazione 
con il potere consultivo. 
Laddove, infatti, sotto la vigenza del d.lgs. 5 febbraio 1997, il Comune 
era chiamato dall�ordinamento a svolgere un�attivit� di controllo, condizionando, 
tramite il provvedimento permissivo, l�operativit� dei progetti di bonifica 
dei siti inquinati, ora, l�art. 198 del decreto legislativo n. 152 del 3 aprile 
2006 sottrae tale potere ai Comuni, per ridisegnarlo in termini di attivit� ausiliaria, 
priva di autonomia funzionale. 
Dall�entrata in vigore del codice dell�ambiente, i Comuni sono obbligati 
non pi� a permettere o a negare, bens� solo ad esprimere un loro parere in ordine 
all�approvazione dei progetti di bonifica rilasciata dalle Regioni. La formula 
normativa �sono altres� tenuti�, se indica che il parere dei Comuni � 
obbligatorio, nulla dice in ordine alla vincolativit� o meno di tale parere. 
Il legislatore delegato non esplicita se il parere obbligatorio che i Comuni 
devono esprimere sia da considerarsi non vincolante, cos� come la Regione 
possa discostarsi da esso, oppure vincolante cos� da assumere il volto di atto 
preparatorio alla determinazione del contenuto finale dell�approvazione dei 
progetti di bonifica. 
A tal riguardo si ricorda un�importante pronuncia del Tar Campania (56) 
la quale ribadisce che, nel silenzio della legge sulla natura di un parere espressamente 
prescritto, questo � da ritenersi obbligatorio ma non vincolante; detto 
ci� � inevitabile concludere in ordine alla restrizione delle competenze comunali 
rispetto al precedente regime ad opera del legislatore delegato, in favore 
di uno spostamento delle competenze verso l�alto non giustificato da esigenze 
di trattamento unitario degli interessi coinvolti. 
Con l�introduzione del 4� comma dell�art. 198 del codice dell�ambiente 
(d.lgs. 3 aprile 2006 n. 152), il legislatore si muove nella direzione opposta a 
quella del principio di sussidiariet� e di partecipazione delle comunit� locali 
che, nel governo della materia � imposta dall�art. 118 Cost. 
La disposizione costituzionale, in base alla quale le funzioni amministrative 
sono attribuite ai Comuni, salvo che, per assicurarne l�esercizio unitario, 
siano conferite a Province, Citt� metropolitane, Regioni e Stato, appare pretermessa 
dall�art. 198 del codice dell�ambiente (d lgs. 3 aprile 2006, n. 152), 
nella misura in cui i Comuni vedono scemare alcune attribuzioni senza che 
(56) TAR Campania Napoli, sez. II, sent. n. 554 del 1985.
LEGISLAZIONE ED ATTUALIT� 215 
ci� risponda ad esigenze di efficienza ed adeguatezza dell�azione amministrativa, 
senza cio�, che l�arretramento delle competenze rispetto al precedente 
regime sia sorretto da esigenze di migliore cura degli interessi locali. 
Rimane da analizzare ancora il problema della sussidiariet� orizzontale a seguito 
dell�entrata in vigore del codice dell�ambiente (d.lgs. 3 aprile 2006, n.152). 
In particolare, rispetto al precedente art. 21 del d.lgs. 5 febbraio 1997 n. 
22, scompare il riferimento alla collaborazione tra Comuni e associazioni 
di volontariato. 
L�art. 21 del d.lgs. 5 febbraio 1997, n. 22 mostrava di voler realizzare un 
governo della materia fortemente legato al territorio di riferimento, coinvolgendo 
coloro che sono maggiormente interessati, ovvero i cittadini. � questo, 
quel principio di sussidiariet� c.d. orizzontale che la riforma della Costituzione 
ha previsto e valorizzato. Invero, l�art. 118, 4� comma Cost. prevede che lo 
Stato, le Regioni, le Citt� metropolitane, le Province e Comuni debbano favorire 
l�iniziativa dei cittadini singoli e associati per lo svolgimento di attivit� 
di interesse generale. 
Tuttavia, come osservato da autorevole dottrina (57), collegando la distribuzione 
dei compiti con la societ� civile, l�art. 118 Cost. con la formula 
�favoriscono� indica non tanto la facolt� dei soggetti istituzionali di erogare 
aiuti a privati per lo svolgimento di una certa attivit� di interesse generale, attivit� 
questa sempre svolta, quanto, piuttosto, l�obbligo di preferire che lo svolgimento 
di una certa attivit� di interesse generale sia svolta da cittadini, singoli 
o associati. 
Secondo altra dottrina (58) tali soggetti sono pretermessi dal legislatore 
del codice ambientale, il quale con operazione di riordino del testo previgente 
di dubbia legittimit� costituzionale, cancella la partecipazione della societ� civile 
dall�area della gestione dei rifiuti, eliminando dal panorama normativo 
ci� che prima della riforma costituzionale del 2001, poteva essere considerato 
auspicabile e che, successivamente alla riforma del titolo V, � diventato principio 
cardine dell�ordinamento. 
A livello locale le Camere di Commercio svolgono un ruolo importante, 
specificatamente nell�ambito dei rifiuti. Infatti, nell�ottica della semplificazione 
e dell�integrazione dei molteplici adempimenti gravanti sulle imprese dal punto 
di vista della compatibilit� ambientale, esse in particolare ricevono le dichiarazioni 
ambientali; si occupano dell�albo degli operatori e raccolgono e conservano 
dati rilevanti per l�ambiente, grazie alla creazione di una banca dati. 
(57) D�ATENA, Forma Stato. Dalla piramide dell�arcipelago, in Impresa e Stato, 96, 47. 
(58) POGGI, La sussidiariet� nelle riforme amministrative: dal d.lgs. 112 del 1998 al T.U. sulle autonomie 
locali, Quad. reg. 2001, 935; CALAMO SPECCHIA, Libert� pluralistiche e pubblici poteri, 1999; 
BALDASSARRE, La riforma del governo locale in Italia, Reg. 1997, 752; ARENA, Il principio di sussidiariet� 
orizzontale nell�art. 118 u.c. della Cost. in AA.VV., Studi in onore di Giorni Berti, 2005, 177 ss.
216 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2015 
Anche le Asl svolgono importanti funzioni in materia ambientale e connesse 
a quelle sanitarie. In particolare le Asl svolgono funzioni di competenza 
tecnica e di controllo nel campo della prevenzione e dell�igiene ambientale. 
Tuttavia, merita sottolineare che le ASL svolgono una funzione di non 
scarsa importanza nel procedimento di rilascio dell�autorizzazione integrata 
ambientale, gi� prevista e disciplinata dal codice dell�ambiente (d.lgs. 3 aprile 
2006 n. 152) all�art. 29 quater, successivamente modificata dal d.lgs. 16 gennaio 
2008 n. 4 e da ultimo dal d.lgs. 14 marzo 2014 n. 46. 
In particolare, l�ASL, su specifica richiesta, pu� supportare il Comune 
territorialmente competente con valutazioni, proposte e pareri per quanto concerne 
gli aspetti previsti dagli articoli 216 e 217 T.U.LL.SS (testo unico sulle 
leggi sanitarie Regio decreto 27 luglio 1934, n. 1265). 
Salvo casi eccezionali debitamente motivati, le osservazioni ed i pareri 
di competenza delle ASL vengono espresse con un unico atto o in un�unica 
verbalizzazione. 
Pertanto, al fine di favorire la corretta applicazione degli artt. 216 e 217 
T.U. LL.SS. testo unico sulle leggi sanitarie l�Asl, ricevuta la comunicazione 
di avvio del procedimento, verifica la possibile appartenenza dell�Azienda agli 
elenchi delle lavorazioni insalubri di prima o di seconda classe ex art. 216 
T.U.LL.SS testo unico sulle leggi sanitarie gi� citate secondo gli aggiornamenti 
recati con specifici decreti ministeriali (l�ultimo emanato e tuttora vigente � il 
decreto del Ministero della Sanit� del 5 settembre del 1994). 
L�esito positivo di tale verifica andr� segnalato al SUAP (sportello unico 
per le attivit� produttive del Comune competente) ed alla Provincia. 
Inoltre, sempre su specifica richiesta dell�Autorit� competente, nell�ambito 
dei procedimenti sia di AIA (autorizzazione integrata ambientale) che di 
AUA (autorizzazione unica ambientale) ed ancora altre autorizzazioni ambientali, 
l�ASL pu� effettuare, attraverso le strutture del competente servizio 
PSAL (prevenzione sicurezza ambienti di lavoro) valutazioni ed esprimere 
conseguenti pareri per gli aspetti specifici in materia di igiene e sicurezza sul 
lavoro. 
7. Distinzione tra rifiuti urbani e rifiuti speciali. 
La distinzione tra rifiuti urbani e rifiuti speciali � contenuta nell�art. 184 
del codice dell�ambiente (d.lgs. 3 aprile 2006 n. 152). 
� opportuno evidenziare che, mentre il diritto comunitario distingue tra 
rifiuti in generale (direttiva n. 91/156), rifiuti pericolosi (direttiva n. 91/ 689) 
e di imballaggio (direttiva n. 94/62), la normativa nazionale opera una classificazione 
pi� complessa distinguendo tra rifiuti urbani, rifiuti speciali, rifiuti 
pericolosi e rifiuti di imballaggio. 
La classificazione di cui all�art. 184 del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152 non 
risponde ad una esigenza meramente classificatoria, ma pi� propriamente ana-
LEGISLAZIONE ED ATTUALIT� 217 
litica, giacch� la qualificazione di un rifiuto come urbano o speciale implica 
effetti rilevanti in merito alla disciplina applicabile (59). 
Pi� nel dettaglio, la diversa provenienza dei rifiuti implica una diversa 
gestione degli stessi. Ad esempio mentre la gestione dei rifiuti urbani spetta 
all�Amministrazione comunale, in regime di privativa, quella dei rifiuti speciali 
si pone a carico dei produttori. 
Un'altra differenza la si rinviene in materia di smaltimento perch� mentre �lo 
smaltimento� dei rifiuti solidi urbani impone agli utenti il pagamento della tassa 
comunale, quest�ultima non � prevista per lo smaltimento dei rifiuti speciali. 
Gi� nel decreto Ronchi (d.lgs. 5 febbraio 1997 n. 22) all�art. 21 era prevista 
la gestione dei rifiuti urbani in privativa dai comuni; questa ha trovato conferma 
anche nella legge 8 giugno 1990, n. 142, successivamente confluita nel d.lgs. 
18 agosto 2000, n. 267 e dall�art. 23 del d.lgs. 5 febbraio1997 n. 22 e da ultimo 
nel d lgs. 3 aprile del 2006 n. 152 e precisamente all�art. 177, che ha integrato 
i contenuti delle precedenti normative, attuando le direttive comunitarie. 
Per contro, come si � detto, la gestione dei rifiuti speciali � a carico dei 
produttori, cio� di coloro la cui attivit� ha prodotto rifiuti e dai detentori dei 
rifiuti stessi. 
8. La gestione dei rifiuti: profili storici fino all�entrata in vigore del testo unico. 
8.1 La gestione dei rifiuti prima del D.P.R. 10 settembre 1982 n. 915. 
Come � noto, il diritto ambientale ha tardato ad affermarsi nel nostro ordinamento, 
a differenza dell�ambito comunitario, ove, sin dal Trattato istitutivo 
del 25 marzo 1957, si � dimostrato un notevole interesse per tale materia. 
Anche la normativa in materia di gestione dei rifiuti � stata introdotta in un 
testo legislativo organico ad hoc nel nostro paese solo con il d.p.r. 10 settembre 
1982 n. 215 il quale, con ritardo di sette anni, recepiva peraltro in modo ritenuto 
da molti commentatori incompleto, la direttiva del Consiglio del 15 luglio 
75/442/CEE. 
Fino a quel momento, i primi accenni normativi al problema dell�inquinamento 
da rifiuti potevano rinvenirsi nel testo unico delle leggi sanitarie (r.d. 
27 luglio 1934, n. 1265). 
In particolare il suo art. 217 prevedeva la competenza del sindaco a prescrivere 
le norme da applicare per la prevenzione dei danni o dei pericoli per 
la salute pubblica originati da vapori, gas o altre esalazioni, scoli di acque, �rifiuti 
solidi o liquidi� provenienti da manifatture o fabbriche; la stessa norma 
conferiva al sindaco il potere di vigilare sull�esecuzione delle suddette norme 
e di provvedere di ufficio in caso di inadempimento nei modi e termini stabiliti 
nel testo unico della legge comunale e provinciale. 
(59) BENIAMINO CARAVITA, Diritto dell�ambiente, terza edizione 2005, pag. 195.
218 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2015 
Con riferimento al settore abitativo, il successivo art. 218, lett. b) del citato 
r.d. 27 luglio 1934 n. 1265 prevedeva l�emanazione di regolamenti locali 
di igiene e sanit� finalizzati ad assicurare che lo smaltimento delle acque immonde, 
delle materie escrementizie e di altri rifiuti avvenisse in modo da non 
inquinare il sottosuolo; inoltre l�ultimo comma della citata norma prevedeva 
che i predetti regolamenti dovessero contenere le norme per la razionale raccolta 
delle immondizie stradali e domestiche e per il loro smaltimento. Si trattava, 
come si vede, non di precetti o cautele prescritti al cittadino o 
all�operatore economico, ma di norme dirette agli organi amministrativi ed attributive 
di poteri. 
La loro applicazione era pertanto rimessa ad oneri di attivazione del sindaco 
o del prefetto. Dal punto di vista penale non era quindi prevista alcuna 
sanzione per il detentore del rifiuto, eccettuata la contravvenzione di cui all�art. 
650 c.p. per l�eventuale inosservanza di provvedimenti legalmente dati dall�autorit� 
per ragione di igiene pubblica, sulla cui applicabilit� ai casi di specie, 
tuttavia, la giurisprudenza, anche di legittimit�, � sempre stata oscillante, propendendo 
talora per l�applicazione dell�art. 106 r.d. 3 marzo 1934 n. 383 (testo 
unico della legge comunale e provinciale), che prevedeva una sanzione amministrativa 
per la violazione delle ordinanze emesse dal sindaco in conformit� 
alle leggi ed ai regolamenti (60). 
La tutela si fondava sull�applicazione di sanzioni amministrative indirette, 
dove l�amministrazione aveva il potere di provvedere d�ufficio allo smaltimento 
o in alternativa negava l�abitabilit� dell�edificio urbano per ragioni sanitarie 
(61). L�inadempimento dei doveri di controllo da parte dei soggetti 
sopra riportati (il Sindaco e del Prefetto) configurava il delitto di omissione 
di atti d� ufficio (62). 
8.2 La legge 20 marzo 1941 n. 366 sullo smaltimento dei rifiuti solidi urbani. 
Dopo pochi anni entr� in vigore la l. 20 marzo 1941, n. 366, in materia 
di raccolta, trasporto e smaltimento dei rifiuti solidi urbani. Tale testo normativo 
si apriva con una norma definitoria, secondo la quale, agli effetti dell�applicazione 
della legge stessa, dovevano essere considerati rifiuti solidi urbani: 
(60) Favorevole all�applicazione dell�art. 650 c.p. Cass. pen., sez. I, 29 gennaio 1986, GHIDINI, 
in Giust. pen., 1987, II, 334; Id., sez. I, 3 febbraio 1983, FRALLONARDO, in Cass. pen., 1984, 1121; Id., 
sez. I, 17 novembre 1982, SEBASTIANI, ivi, 1984, 1121; Id., sez. VI, 27 febbraio 1978, CUSANI, ivi, 1979, 
1316. Contra: Cass. pen., sez. I, 2 luglio 1996, n. 8537, GIARDINA, in Riv. pen., 1996, 1218; Id., sez. I, 
6 novembre 1995, n. 826, TORTOLA, ivi, 1996, 468; secondo le quali l�ipotesi contravvenzionale di cui 
all'art. 650 c.p. avrebbe natura sussidiaria, e sarebbe configurabile solo nei casi di violazione di ordinanze 
sindacali per ragioni di igiene emesse extra ordinem, al fine di ovviare ad improvvise emergenze dovute 
a fatti gravi, quali pubbliche calamit� o epidemie. 
(61) Cfr. artt. 221 e 222 r.d. 1265/34. 
(62) Cass. pen., sez. VI, 21 giugno 1985, PUCCINI, in Giust. pen., 1986, II, 1; Pretura Soave, 9 
maggio 1978, LUI, in Foro amm., 1979, I, 2000.
LEGISLAZIONE ED ATTUALIT� 219 
a) le immondizie ed i rifiuti delle aree pubbliche, o comunque destinate, anche 
temporaneamente, ad uso pubblico (rifiuti esterni); b) le immondizie ed, in 
genere, gli ordinari rifiuti dei fabbricati a qualunque uso adibiti (rifiuti interni). 
Invero, la norma sembrava definire rifiuti, �i rifiuti e le immondizie�; tuttavia, 
la finalit� della disposizione non era quella di delineare la nozione di rifiuto, 
intesa secondo il senso comune, bens� quella di porre una distinzione 
tra rifiuti urbani esterni ed interni, assoggettati dalla legge in esame a disciplina 
parzialmente differenziata. 
La normativa, abrogata definitivamente dall� art. 56, d.lgs. 5 febbraio 
1997 n. 22, prevedeva delle sanzioni penali poste a tutela dei precetti e divieti 
in essa contemplati. In particolare, l�art. 46 della legge 20 marzo 1941 n. 366 
puniva con l�ammenda da 100 a 5.000 lire, i contravventori che avessero violato 
le disposizioni inerenti lo svolgimento dei servizi di raccolta trasporto e 
smaltimento, mentre venivano sanzionate meno severamente le violazioni alle 
altre disposizioni della legge, tra le quali il divieto di gettito e deposito dei rifiuti 
nelle pubbliche vie (art. 17). 
Tali sanzioni sono state dapprima elevate ad opera dell�art. 3, legge 12 
luglio 1961 n. 603 e quindi depenalizzate con la legge 29 luglio 1975 n. 406. 
Tuttavia, pare corretto affermare che la normativa in esame non annoverasse 
tra i propri obiettivi primari la tutela penale della gestione dei rifiuti, n� in verit�, 
se non incidentalmente, la tutela della salute e dell�ambiente. Essa infatti 
circoscriveva il proprio ambito ai soli rifiuti urbani, con esclusione dei rifiuti 
in qualsiasi modo prodotti nelle aree extraurbane; inoltre limitava la propria 
disciplina ai soli rifiuti solidi, con esclusione, dunque, dei rifiuti liquidi, i quali 
continuavano ad essere assoggettati esclusivamente alla disciplina in materia 
sanitaria (peraltro ben pi� attenta alla prevenzione dell�inquinamento idrico 
che a quello del suolo e sottosuolo). 
Tali esclusioni rivelano la ratio ispiratrice della norma, che sembrava enfatizzare 
soprattutto gli aspetti economici della gestione dei rifiuti e in particolare 
la necessit� di ridurre gli sprechi e di incentivare il recupero dei 
materiali riutilizzabili nell�industria e nell�agricoltura. Tale intento, il quale 
apparirebbe oggi pionieristico, anticipando di mezzo secolo l�ispirazione dell�ultima 
direttiva europea in materia di rifiuti, in verit� non pu� e non deve 
essere interpretato alla luce degli odierni principi di tutela ambientale e sviluppo 
sostenibile. Come � stato giustamente osservato, la normativa deve essere 
piuttosto, e pi� prosaicamente, calata nel periodo di guerra in cui fu 
emanata (63). 
Se si considera questa impostazione, unitamente all�esistenza di una clausola 
di riserva dell�art. 46, che escludeva l�applicabilit� della contravvenzione 
(63) Cfr. V. PAONE, La tutela dell�ambiente e l�inquinamento da rifiuti, Milano, 2008, pag. 15.
220 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2015 
nel caso la fattispecie costituisse reato pi� grave, ben si comprende come tale 
normativa abbia avuto applicazioni del tutto sporadiche, rimanendo affidata 
la tutela ambientale in materia di rifiuti prevalentemente all�art. 674 c.p. 
Successivamente, lo smaltimento dei rifiuti in Italia � stato regolato organicamente 
dal d.p.r. del 10 settembre 1982 n. 915, emanato in attuazione 
delle direttive CEE n. 75/442 (relativa ai rifiuti pericolosi), n. 76/403 (relativa 
allo smaltimento dei policlorodifenili e dei policlorotrifenili) e n. 78/319 (relativa 
ai rifiuti in generale). Tale d.p.r. 10 settembre 1982 n. 915 � un dispositivo 
"quadro" nel quale sono contenuti diversi principi che riguardano la 
classificazione dei rifiuti, le competenze attribuite allo Stato (indirizzo e coordinamento), 
alle Regioni (pianificazione, rilascio autorizzazioni, catasto rifiuti 
ed emanazione di norme specifiche), alle Province (controllo) ed ai 
Comuni (smaltimento dei rifiuti solidi urbani), i criteri generali di regolamentazione 
dell'attivit� di smaltimento dei rifiuti, le disposizioni fiscali, finanziarie 
e sanzionatorie. 
Il sistema introdotto da tale decreto si fondava sulla gestione del rifiuto 
mediante l�attivit� di eliminazione dello stesso senza valorizzarne la possibilit� 
di riutilizzo e riciclo. Per questa e per altre ragioni i diversi Governi fecero ricorso 
a reiterati interventi d�urgenza, finalizzati a limitare la produzione dei 
rifiuti e favorire quelle attivit� di gestione del rifiuto che il D.P.R. 10 settembre 
del 1982 aveva trascurato di promuovere. 
Con il d.lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, (il cosiddetto �Decreto Ronchi�), recante 
disposizioni in attuazione delle direttive 91/156/CEE sui rifiuti, 
91/689/CEE sui rifiuti pericolosi e 94/62/CE sugli imballaggi e sui rifiuti di 
imballaggio, il legislatore, prendendo le mosse dall�esigenza di attuare nel nostro 
ordinamento giuridico le nuove direttive europee, ha tentato un riordino 
dell�intera normativa. 
Il decreto, infatti, unitamente ad alcuni decreti di attuazione e ad alcune 
norme che lo hanno modificato, si presenta come legge generale di tutti i residui 
delle attivit� umane. La materia � pertanto regolata anche da numerose 
norme regionali, la cui produzione si � recentemente incrementata. 
Il d.lgs. 5 febbraio 1997 n. 22 sembra fondarsi su due principi di ordine 
generale. 
In primo luogo, vieta a chiunque detenga rifiuti di abbandonarli, imponendo 
di provvedere al loro smaltimento o recupero nelle varie forme previste 
dal decreto stesso a seconda del tipo di detentore. 
In secondo luogo il decreto, dopo aver ribadito che la gestione dei rifiuti 
costituisce attivit� di pubblico interesse, si preoccupa di indicare la priorit� 
della riduzione della quantit� e pericolosit� dei rifiuti prodotti e del loro recupero, 
riutilizzo e riciclaggio, rispetto allo smaltimento. Quest�ultimo � anzi 
esplicitamente qualificato come la �fase residuale� della gestione dei rifiuti. 
In particolare il decreto raccomanda la riduzione della quantit� di rifiuti da av-
LEGISLAZIONE ED ATTUALIT� 221 
viare allo smaltimento finale attraverso (art. 4 del d.lgs. 5 febbraio 1997 n. 22) 
il reimpiego ed il riciclaggio, le altre forme di recupero per ottenere materia 
prima dai rifiuti, l'adozione di misure economiche e la determinazione di condizioni 
di appalto che prevedano l'impiego dei materiali recuperati dai rifiuti 
al fine di favorire il mercato dei materiali medesimi, nonch� l'utilizzazione principale 
dei rifiuti come combustibile o come altro mezzo per produrre energia. 
L�attivit� di smaltimento (art. 5 del d.lgs. 5 febbraio1997 n. 22) deve, 
inoltre, essere attuata facendo ricorso ad una rete integrata ed adeguata di impianti 
che tenga conto delle tecnologie a disposizione e che non comportino 
costi eccessivi al fine di: 
- realizzare l'autosufficienza nello smaltimento dei rifiuti urbani non pericolosi 
in ambiti territoriali ottimali; 
- permettere lo smaltimento dei rifiuti in uno degli impianti appropriati 
pi� vicini, al fine di ridurre i movimenti dei rifiuti stessi, tenendo conto del 
contesto geografico o della necessit� di impianti specializzati per determinati 
tipi di rifiuti; 
- utilizzare i metodi e le tecnologie pi� idonei a garantire un alto grado di 
protezione dell'ambiente e della salute pubblica. 
Ad oggi, in continuit� con il decreto Ronchi (d lgs. 5 febbraio 1997 n.22), 
il testo unico dell�ambiente (d.lgs. 3 aprile 2006, n.152) all�art. 177, in combinato 
disposto con l�art. 178, ribadisce il carattere di pubblico interesse di 
tutte le fasi della gestione dei rifiuti. 
Le finalit�, chiare e generali, sono indirizzate alla lotta agli inquinamenti, 
alla flessione del tasso di produzione dei rifiuti, all�incentivazione del loro riciclo 
e recupero, cos� da garantire una tutela integrata dell�ambiente, del paesaggio 
e della salute (64). 
In particolare, le novit� introdotte dal nuovo codice dell�ambiente riguardano 
l�allargamento del numero dei principi e l�introduzione dei criteri cui 
deve conformarsi l�attivit� di gestione dei rifiuti, il riconoscimento del ruolo 
svolte dalle Province, nonch� la creazione di un sistema sinergico di collaborazione 
tra amministrazioni pubbliche e soggetti privati. Si tratta in concreto 
di una serie di innovazioni protese a garantire il rafforzamento della tutela ambientale 
generalizzata attraverso il potenziamento dello strumentario creato 
per il raggiungimento delle finalit� cui � rivolta l�intera normativa. 
Quanto al criterio della compatibilit� delle altre norme di settore con la 
nuova disciplina va precisato che l�espressione ricorrente al co. 3 del citato art. 
177 del d. gs. 3 aprile 2006, n. 152 (prima della novella del 2010 contenuta nel 
co. 1 della medesima norma) non funziona quale deroga all�applicazione della 
disciplina in commento, ma � volta esclusivamente a riconoscere la validit� 
(64) DELL�ANNO Man. Dir. Amb. 2003, 485.
222 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2015 
delle disposizioni attuative e direttive comunitarie disciplinanti la gestione di 
determinate categorie di rifiuti, in rispondenza ai canoni della particolarit� ovvero 
della complementariet�, nonch� in conformit� dei principi di matrice comunitaria, 
richiamati dal successivo art. 178 del codice dell�ambiente. 
Nel rispetto di queste prescrizioni sopravvivono al nuovo t.u. ambientale, 
ad esempio, norme come il d.lgs. del 24 giugno 2003, n. 209, attuativo della 
dir. n. 2000/53/CE del 18 settembre 2000 del Parlamento europeo e del Consiglio 
relativa ai veicoli fuori uso, o il d.lgs. n. 36 del 2003 di recepimento 
della direttiva 99731/CE del 26 aprile 1999 del Consiglio, in materia di discarica 
dei rifiuti. 
Un�altra importante novit� dell�art. 177 del d.lgs. 3 aprile 2006 n. 152 � 
l�eliminazione sin dalla data della sua entrata in vigore, della previsione del 
conferimento alle Regioni a statuto ordinario della competenza a disciplinare 
la materia della gestione dei rifiuti nel rispetto delle disposizioni del decreto, 
cui veniva riconosciuta la natura di principi fondamentali della legislazione 
statale, ai sensi dell�art. 117 co.1 Cost. 
Il quinto e l�ottavo comma del nuovo art. 177 del d.lgs. 3 aprile 2006 n. 
152, riprendono letteralmente i commi quarto e quinto del decreto Ronchi 
(d.lgs. 5 febbraio 1997, n. 22). 
Innanzitutto il codice allarga la cerchia dei soggetti pubblici chiamati ad 
instaurare il sistema di collaborazione energetica d�intesa con i privati. 
Al pari dello Stato, delle Regioni e degli enti locali, infatti, anche alle 
Province autonome sono riconosciuti i poteri e le funzioni di competenza in 
materia di gestione dei rifiuti, nonch� la facolt� di adottare qualsiasi tipo di 
azione opportuna per il raggiungimento delle finalit� prescritte e di avvalersi 
della collaborazione di soggetti pubblici o privati. 
Rispetto a quanto previsto dal citato art. 2 co. 4 del d.lgs. 5 febbraio 1997 
n. 22 (decreto Ronchi) vengono inclusi nel novero degli strumenti di azione 
amministrativa concordata i protocolli d�intesa, anche sperimentali. 
L�articolo inoltre legittima il ricorso alle forme consensuali di esercizio 
della potest� amministrativa. L�utilizzo di questi duttili e rapidi strumenti di 
regolamentazione, appare idoneo a fugare il rischio di chiudere la disciplina 
dei settori e delle fasi di gestione dei rifiuti nel rigore dei provvedimenti legislativi 
(65). 
Viene inoltre prevista la strutturazione di un sistema sinergico di collaborazione 
tra Pubbliche Amministrazioni e soggetti privati e, vengono definiti, 
ex novo e con precisione i margini del contesto unitario entro il quale procedere 
alla redazione delle norme tecniche, alla realizzazione dei sistemi di accreditamento 
e dei sistemi di certificazione relativi, anche indirettamente, alle materie 
ambientali in generale ed alla gestione dei rifiuti nello specifico. 
(65) Cass. Pen. 2 aprile 2001 e Cons. St. 3 gennaio 2002, n. 11.
LEGISLAZIONE ED ATTUALIT� 223 
Un ultimo aspetto da evidenziare � l�adeguamento degli ordinamenti regionali 
e provinciali alle disposizioni di tutela dell�ambiente e dell�ecosistema. 
Va sottolineato che il co. 7 dell�art. 177 del d.lgs. 3 aprile 2006 n. 152, 
discostandosi da quanto era previsto nel decreto Ronchi all�art. 1, impone alle 
Regioni, senza differenziare tra quelle a statuto ordinario e quelle a statuto 
speciale, e alle Province autonome di adeguare i propri ordinamenti alle norme 
di tutela dell�ambiente e dell�ecosistema, ribadendo il margine temporale annuale 
gi� previsto dal legislatore del 1997. 
9. I Principi della gestione dei rifiuti. 
Con riferimento alla gestione dei rifiuti, prima dell�entrata in vigore del 
codice dell�ambiente (d.lgs. 3 aprile 2006 n.152) la materia era ispirata ad una 
serie di principi. 
Innanzitutto la gestione dei rifiuti doveva essere eseguita senza produrre 
alcun tipo di inquinamento vale a dire senza pericolo per la salute dell�uomo, 
senza usare procedimenti o metodi che avrebbero potuto recare pregiudizio 
all�ambiente e, in particolare: 
- senza determinare rischi per l�acqua, l�aria, il suolo e per la fauna e la flora; 
- senza causare inconvenienti da rumori o odori; 
- senza danneggiare il paesaggio ed i siti di particolare interesse, tutelati 
in base alla normativa vigente. 
Inoltre, ai sensi dell�art. 2 comma 1 del decreto Ronchi (d.lgs. 5 febbraio 
1997 n. 22) la gestione dei rifiuti andava considerata come attivit� di pubblico 
interesse, con l�importante implicazione pratica che tale qualificazione dell�attivit� 
giustificava la tutela pubblicistica della materia prevista dal decreto 
ed in secondo luogo consentiva l�applicazione dell�istituto della espropriazione 
per il reperimento degli spazi necessari per la realizzazione di opere, costruzioni 
ed impianti diretti allo smaltimento dei rifiuti. 
Va precisato che la qualificazione dell�attivit� come �di pubblico interesse� 
acquista poi valore sostanziale se viene messa in relazione con il principio 
di responsabilit� condivisa di cui all�art. 2 comma 3 (66). 
La gestione dei rifiuti, essendo di pubblico interesse, si conformava ai principi 
di responsabilizzazione e cooperazione di tutti i soggetti coinvolti nella produzione, 
distribuzione, utilizzo e consumo dei beni da cui originavano i rifiuti. 
Come sopra riportato, la responsabilizzazione dei produttori e detentori di 
rifiuti trovava la sua pi� palese conferma nel principio del �chi inquina paga�, 
previsto dall�art. 10, secondo cui gli oneri delle attivit� di smaltimento erano a 
carico del detentore o del produttore; quest�ultimo poteva provvedere in proprio 
allo smaltimento dei rifiuti speciali o tramite conferimento a terzi autorizzati. 
Rispetto alla precedente disciplina va sottolineato che si dava pi� atten- 
(66) P. FICCO, F. GERARDINI, La gestione dei rifiuti, Milano, 1997, pag. 14.
224 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2015 
zione al concetto di gestione anzich� al concetto di smaltimento dei rifiuti e 
questo � stato dovuto soprattutto all�intervento comunitario come � stato successivamente 
confermato anche nel codice dell�ambiente. 
Gli articoli 3, 4 e 5 del decreto Ronchi (d. lgs. 5 febbraio 1997 n. 22) 
gi�individuavano un ordine di priorit� dei rifiuti. 
Ai sensi dell�art. 3 del suddetto decreto, occorreva innanzitutto adottare 
iniziative dirette a favorire in via prioritaria, la prevenzione e la riduzione e 
pericolosit� dei rifiuti, mentre, ai sensi dell�art. 4 sempre del decreto Ronchi 
(d.lgs. 5 febbraio 1997 n. 22) la gestione dei rifiuti deve avvenire attraverso il 
recupero degli stessi; infine l�art. 5 del decreto Ronchi (d.lgs. 5 febbraio 1997 
n. 22) considera come residuale la fase dello smaltimento nell�ambito della 
gestione dei rifiuti. 
Infine, con l�art. 178 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, a fianco 
del principio di responsabilizzazione e della cooperazione dei soggetti che 
concorrono all�attuazione di gestione dei rifiuti cui � correlato un obbligo di 
reciproco controllo rispondente alla necessit� di impedire la frammentazione 
del ciclo del prodotto sotto il profilo delle responsabilit� (67) e del principio 
del �polluver pays�, secondo il quale �chi inquina paga�, per la prima volta, 
la norma richiama il principio di prevenzione ed il principio di precauzione. 
Anche nella gestione dei rifiuti viene dunque imposta la soggezione ad 
un regime autorizzatorio e l�adozione di misure protettive di soglia pi� elevata 
a fronte della minaccia di un danno serio ed irreversibile dell�ambiente anche 
laddove non ricorra una piena certezza scientifica. 
Vengono introdotti per la prima volta nell�art. 178 del d.lgs. 3 aprile 2006 
n. 152 i criteri di efficacia, di efficienza e trasparenza quali parametri necessari 
nello svolgimento delle fasi della raccolta, del trasporto, smaltimento e recupero 
in cui si avvicenda la gestione dei rifiuti, al fine di garantire il raggiungimento 
degli obiettivi prefissati, l�ottimizzazione delle risorse assegnate o 
disponibili e la riduzione dei costi. 
10. La riforma della gestione dei rifiuti solidi urbani. 
In tempi recenti non sono mancate voci autorevolissime (68), che gi� sostenevano 
la necessit� di una riforma in tema di rifiuti solidi urbani. In particolare 
prima della proposta di legge Delrio (legge 7 aprile 20l4 n. 56), sono 
state fatte diverse osservazioni che si fondavano essenzialmente su tre importanti 
principi. 
Il primo principio era quello di attribuire i costi di gestione dei rifiuti ai 
soggetti che immettono sul mercato prodotti potenzialmente generatori di rifiuti. 
(67) NITTI, La gestione dei rifiuti, in Dir. Pen. Amb. 2006, 254. 
(68) La riforma della gestione dei rifiuti urbani TULLIO FANELLI, MARCELLO CLARICH, LUIGI DE 
PAOLI, ALESSANDRO ORTIS, GIANNI SILVESTRINI, FEDERICO TESTA in Idee per lo sviluppo sostenibile.
LEGISLAZIONE ED ATTUALIT� 225 
Il secondo principio, concernente il contributo ambientale da caricare sul 
prezzo dei prodotti immessi al consumo, doveva coprire i costi per il recupero 
dei suddetti prodotti a fine vita (per brevit� �i rifiuti�) in modo da consentirne 
il riuso, il riciclo o lo smaltimento (tramite termovalorizzatore o in discarica). 
Il terzo principio della riforma doveva prevedere l�introduzione di meccanismi 
economici che incentivassero la partecipazione attiva dei cittadini e 
delle comunit� locali alla riduzione della produzione dei rifiuti da mandare in 
discarica o verso termovalorizzatori massimizzando la raccolta differenziata. 
In specie, con riferimento al primo principio merita precisare che, applicando 
un adeguato contributo ambientale a carico dei produttori/importatori 
di beni e servizi si sarebbe potuto non solo generare il flusso di cassa necessario 
ai Comuni per coprire i costi di raccolta e smaltimento ma anche per incentivare 
la raccolta differenziata e il riciclaggio. 
Nel nuovo modello organizzativo dei servizi pubblici, il contributo ambientale 
avrebbe potuto, in tutto o in parte, essere traslato sui prezzi dei beni 
e servizi (prezzi comunque soggetti alla compressione concorrenziale); di conseguenza, 
il pagamento dei costi di gestione dei rifiuti urbani da parte dei cittadini 
sarebbe avvenuto all�atto dell�acquisto dei prodotti e sarebbe stato 
connesso e modulato con la natura e il quantitativo dei rifiuti che originano 
dai prodotti acquistati. 
Tale nuovo modello avrebbe consentito di stimolare i produttori a ridurre 
le componenti dei prodotti che generano rifiuti, attribuire equamente i costi di 
gestione del sistema dei rifiuti, eliminare la TARES o altre forme di tassazione 
(TARI), rimuovere anche l�iniquit� connessa al problema della morosit�. 
Nel complesso si sarebbe trattato di una manovra da circa 10 miliardi di 
euro all�anno, che, non solo non avrebbe determinato un innalzamento del prelievo 
fiscale ma avrebbe portato nel tempo ad una maggiore efficienza con 
minori costi per i cittadini e le imprese. 
Inoltre tale proposta non avrebbe inciso n� sull�equilibrio finanziario dei 
Comuni (che anzi, si sarebbero visti sollevati dagli oneri e dalle incertezze relative 
alla riscossione delle imposte), n� sull�attuale sistema dei consorzi 
(CONAI), se non in termini di rafforzamento. 
Il nuovo modello sarebbe stato infine del tutto compatibile (ed anzi pi� aderente) 
agli indirizzi comunitari, ad iniziare da quello del �chi inquina paga�. 
Il secondo principio, invece, si ispirava al pi� generale principio che �l�inquinatore 
paga� affermato in molti documenti dell�Unione Europea come cardine 
della politica ambientale europea, facendo corrispondere il pagamento al 
costo per l�abbattimento dell�inquinamento medesimo. 
Il terzo principio, infine, era considerato come un corollario del secondo 
in quanto il costo della raccolta differenziata fa parte dei costi complessivi per 
affrontare il tema della minimizzazione dei costi ambientali legati allo smaltimento 
dei prodotti acquistati dai consumatori. Allo stesso tempo, per�, tra-
226 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2015 
sforma in elemento positivo, premiato monetariamente, il comportamento dei 
cittadini che collaborano attivamente per incrementare la raccolta differenziata 
e la sua qualit�. 
In tal modo si sarebbe potuti passare da una situazione nella quale i cittadini 
pagano per conferire i rifiuti ad una situazione nella quale i cittadini 
vengono pagati per fare la raccolta differenziata e per il corretto conferimento 
dei rifiuti. 
Inoltre, la piena attuazione della nuova previsione di gestione dei rifiuti 
urbani avrebbe consentito di accelerare il raggiungimento di una elevata percentuale 
di raccolta differenziata; ridurre di conseguenza la necessit� di aprire 
nuove discariche; ridurre i fenomeni criminosi associati alla gestione dei rifiuti 
urbani; creare occasioni per lo sviluppo di filiere industriali, di norma ad elevata 
intensit� tecnologica. Soprattutto, la proposta di legge avrebbe reso il sistema 
di gestione dei rifiuti urbani sempre pi� efficiente non solo dal punto di 
vista ambientale ma anche economico, con minori costi per le amministrazioni 
a grazie ai minori conferimenti in discarica ed ai maggiori ricavi connessi alle 
vendite di materiali recuperati e con conseguente diminuzione dei contributi 
ambientali in relazione ai miglioramenti in termini quantitativi e qualitativi 
dei prodotti che generano rifiuti. 
Naturalmente tale proposta, sebbene finalizzata a massimizzare il riciclaggio 
dei rifiuti, avrebbe inciso non solo sulla riduzione delle quantit� da 
conferire in discarica ma anche sull�aumento di quelle da destinare al compostaggio 
e alla termovalorizzazione; va notato, tuttavia, che la migliore caratterizzazione 
dei rifiuti avrebbe contribuito a superare l�innaturale 
�territorialit�� nella gestione degli impianti di chiusura del ciclo dei rifiuti, ed 
in particolare dei termovalorizzatori. 
Recentemente il Governo Renzi ha avviato un processo di riforma dei 
servizi pubblici locali di rilevanza economica (legge n. 56 del 7 aprile 2014) 
con l�obiettivo di favorirne l�efficienza e consentire alle Amministrazioni regionali 
e locali di: 
a) rafforzare le proprie competenze e migliorare le attivit� di regolazione, gestione, 
affidamento, controllo, vigilanza e monitoraggio dei servizi pubblici locali; 
b) adattare le norme regionali all'ordinamento nazionale e ai principi comunitari; 
c) modernizzare il settore ed accelerare gli investimenti programmati. 
I principali elementi della riforma consistono essenzialmente nel superamento 
della frammentazione organizzativa e gestionale e nella regolamentazione 
della gestione in house. 
Con riferimento alla prima va precisato che secondo l�art. 3 bis del d.l. 
13 agosto 2011, n.138, Regioni e Province autonome �delimitano gli ambiti 
o bacini territoriali ottimali (ATO), che devono avere dimensioni almeno provinciali. 
Dimensioni inferiori devono essere giustificate in base ai principi di
LEGISLAZIONE ED ATTUALIT� 227 
proporzionalit�, adeguatezza ed efficienza e ai criteri di differenziazione territoriale 
e socio-economica�; individuano o designano gli enti di governo degli 
ambiti o bacini territoriali ottimali. 
In caso di mancata delimitazione da parte di Regioni o Province autonome, 
a partire dal 1� luglio 2012, il Consiglio dei ministri era autorizzato ad 
esercitare i poteri sostitutivi procedendo con la perimetrazione degli ambiti o 
bacini territoriali ottimali (art. 8 della legge 5 giugno 2003, n. 131). 
La mancata istituzione o designazione dell'ente di governo dell�ambito o 
bacino comporta l�esercizio dei poteri sostitutivi da parte del Prefetto competente 
per territorio (art. 13 D.L. 30 dicembre 2013 n. 150). 
Gli enti locali de lege data, devono obbligatoriamente aderire agli enti di 
governo degli ATO entro il 1� marzo 2015 o entro 60 giorni dall�individuazione 
o designazione dell�ente di governo d�ambito. 
Trascorsi questi termini, il Presidente della Regione esercita, dopo la diffida 
ad adempiere entro trenta giorni, i poteri sostitutivi nei confronti degli 
enti locali inadempienti. 
Secondo l�art. 3 bis del d.l. 13 agosto 2011, n. 138, gli enti di governo 
degli ambiti o bacini territoriali ottimali svolgono le funzioni di organizzazione 
dei servizi pubblici locali a rete di rilevanza economica, curando: 
- la scelta della forma di gestione. 
- la determinazione delle tariffe all�utenza (per quanto di competenza). 
- l�affidamento della gestione e il relativo controllo. 
Con riferimento alla regolamentazione delle gestioni in house merita precisare 
che gli enti di governo degli ATO possono affidare direttamente la gestione 
di servizi pubblici locali a societ� in house. 
Nel d.l. n. 150 del 30 dicembre 2013 convertito in legge n. 15 del 27 febbraio 
2014, vi sono norme tese a limitare l�inefficienza gestionale degli enti 
territoriali; si cita come esempio l�art. 13 co. 2 del suddetto decreto (termini 
in materia di servizi pubblici locali) ai sensi del quale: �La mancata istituzione 
o designazione dell'ente di governo dell'ambito territoriale ottimale ai sensi 
del comma 1 dell'articolo 3-bis del decreto-legge del 13 agosto 2011, n. 138, 
convertito, con modificazioni, dalla legge 14 settembre 2011, n. 148, ovvero 
la mancata deliberazione dell'affidamento entro il termine del 30 giugno 2014, 
comportano l'esercizio dei poteri sostitutivi da parte del Prefetto competente 
per territorio, le cui spese sono a carico dell'ente inadempiente, che provvede 
agli adempimenti necessari al completamento della procedura di affidamento 
entro il 31 dicembre 2014�. 
Tornando a ritroso, in caso di affidamento in house, la relazione redatta 
ai sensi dell�art. 34 del d.l. 18 ottobre 2012, n. 179, deve contenere indicazioni 
in merito all�assetto economico-patrimoniale della societ�, al capitale investito 
e all�ammontare dell�indebitamento; questi dati devono essere aggiornati ogni 
3 anni.
228 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2015 
Gli enti locali che affidano servizi pubblici locali a societ� in house devono 
accantonare, nel primo bilancio utile e successivamente ogni triennio, 
una somma pari all�impegno finanziario corrispondente al capitale proprio 
previsto per ciascun triennio nonch� redigere il bilancio consolidato con il 
soggetto affidatario in house. 
Gli organi di vertice delle Regioni e degli enti locali devono definire e 
approvare entro il 31 marzo 2015 un piano operativo di razionalizzazione, indicando: 
1) modalit� e tempi di attuazione. 
2) dettaglio dei risparmi da conseguire, anche attraverso l�aggregazione 
di societ� di servizi pubblici locali di rilevanza economica. 
Il servizio di gestione rifiuti urbani, comprendente le attivit� di raccolta, 
trasporto, recupero e smaltimento, pu� essere organizzato in modo integrato 
per l�intero ciclo (inclusa la gestione e la realizzazione degli impianti) oppure 
con l�affidamento di singoli segmenti (raccolta, raccolta differenziata, commercializzazione, 
smaltimento). 
Il servizio � organizzato sulla base di ambiti territoriali ottimali (ATO), 
secondo criteri che fanno riferimento al superamento della frammentazione 
delle gestioni; conseguimento di adeguate dimensioni gestionali; sistema della 
viabilit� locale; localizzazione e capacit� degli impianti esistenti e pianificati. 
Le regole in base alle quali le Regioni definiscono l�assetto territoriale e 
organizzativo del servizio discendono da un complesso di norme contenute 
nel Testo Unico Ambientale (d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152), nel d.l. 13 agosto 
2011 n. 138 (art. 3-bis), nella legge 23 dicembre 2009 n. 151 (art. 2 comma 
186-bis) e nel D.L. 31 maggio 2010 n. 78. 
Le Regioni delimitano gli ATO secondo criteri idonei a massimizzare l'efficienza 
del servizio e ne individuano i soggetti di governo. 
Sulle amministrazioni regionali correva l�obbligo, entro il 31 dicembre 
2012, di riattribuire le funzioni di organizzazione del servizio eventualmente 
in capo alle Autorit� d�ambito. 
Le recenti norme sulla razionalizzazione della spesa pubblica (d.l. 6 luglio 
2012 n. 95) attribuiscono questa funzione ai Comuni, che la esercitano in 
forma aggregata, sulla base delle aree ottimali delimitate dalle Regioni. 
Le Regioni devono verificare la dimensione ottimale degli ATO e dettare 
gli indirizzi per l�organizzazione del servizio, in forma prevalentemente associata, 
da parte dei comuni. 
Infine il processo di riordino dei servizi pubblici locali di rilevanza economica 
deve tener conto anche delle norme di settore e cio� del d.lgs. 3 aprile 
2006, n. 152, per il servizio idrico e dei rifiuti del d.lgs. 19 novembre 1997 n. 
422 (che conferisce alle regioni ed agli enti locali funzioni e compiti in materia 
di trasporto pubblico locale). 
Infine, la legge Delrio (legge n. 56 del 7 aprile 2014) all�art. 1 co. 90, ha
LEGISLAZIONE ED ATTUALIT� 229 
imposto allo Stato o alle Regioni, in funzione della materia, la soppressione 
di enti o agenzie (consorzi, societ� in house) alle quali siano state attribuite 
funzioni di organizzazione dei servizi pubblici di rilevanza economica in ambito 
provinciale o sub-provinciale, con contestuale riattribuzione di tali funzioni 
alle province. 
Le Regioni che emanano provvedimenti normativi per la soppressione di 
questi enti sono destinatarie di risorse finanziarie premiali. 
11. Conclusioni. 
Il problema dell�affidamento dei servizi pubblici locali di rilevanza economica 
ed in particolar modo quello relativo alla tematica della gestione dei 
rifiuti solidi urbani, nonostante i ripetuti interventi legislativi � rimasto tuttora 
un nodo da sciogliere. 
Infatti, da un parte vi � il legislatore che ha finora cercato di legittimare 
l�affidamento dei servizi pubblici locali con reiterati interventi legislativi: si 
citano come esempi l�art. 23 bis della d.l. 25 giugno 2008 n. 112, l�art. 4 del 
d.l 13 agosto del 2011 n. 138 e da ultimo il d.l. 30 dicembre 2013 n. 150 c.d. 
decreto milleproroghe e da ultimo la legge 7 aprile 2014 n. 56. 
Dall�altra parte la Corte Costituzionale che con la sentenza n. 199 del 
2012, ha dichiarato costituzionalmente illegittimi gli articolo 23 bis del d.l. 25 
giugno 2008 n. 112 e l�art. 4 del d.l. 13 agosto 2011 n. 138 vanificando i tentativi 
del legislatore. 
L�istituto giuridico dell�in house providing � stato considerato legittimo 
in presenza delle tre condizioni del controllo analogo, della dedizione prevalente 
e della partecipazione pubblica totalitaria; tuttavia, in presenza delle 
stesse, il soggetto in house � solo formalmente e non sostanzialmente distinto 
dall�amministrazione o dalle amministrazioni controllanti, delle quali costituisce 
una longa manus o braccio operativo. 
Merita sottolineare che la libert� delle amministrazioni di autoorganizzarsi 
costituisce principio da sempre riconosciuto dalla Corte di giustizia 
dell�U.E., ma esso per� convive con l�altro principio cardine del Trattato �di 
tutela della concorrenza�. 
CՏ chi ha giustamente osservato (69) �che si tratta di due principi che non 
vivono su due rette parallele che non si incontrano mai; essi, invece, vanno coordinati 
tra di loro, dato che la libert� di autoorganizzazione se incide sul principio 
di concorrenza non � pi� consentita; anzi essa non pu� mai portare al 
punto di chiudere l�accesso al mercato�. Anche se, secondo la giurisprudenza 
della Corte di Giustizia dell�UE, quando l�amministrazione affida direttamente 
(69) C. VOLPE, L'affidamento in house. Questioni aperte sulla disciplina applicabile. (Relazione, 
riveduta e corretta, svolta nel seminario di studi su "La gestione dei servizi pubblici locali a rilevanza 
economica" organizzato dalla Societ� sarda degli avvocati amministrativisti a Cagliari il 4 luglio 2014).
230 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2015 
a un soggetto in house un servizio o un appalto, essa non incide sul mercato 
proprio perch� non si verifica alcuna relazione di mercato, intesa come rapporto 
intersoggettivo. � chiaro per� che, nella sostanza, l�affidamento diretto toglie 
comunque la possibilit� agli operatori del settore di conseguire una commessa 
pubblica. E allora la chiave di volta la si trova nell�art. 106, comma 2, primo 
periodo, del TFUE, secondo cui �Le imprese incaricate della gestione di servizi 
di interesse economico generale o aventi carattere di monopolio fiscale sono 
sottoposte alle norme dei trattati, e in particolare alle regole di concorrenza, 
nei limiti in cui l'applicazione di tali norme non osti all'adempimento, in linea 
di diritto e di fatto, della specifica missione loro affidata�. 
In definitiva quindi, nell�ambito della gestione di servizi di interesse economico 
generale, ossia dei servizi pubblici di rilevanza economica, vanno innanzitutto 
osservate le regole di concorrenza. 
Solo allorquando l�applicazione delle regole di concorrenza ostacoli 
l�adempimento della specifica missione affidata ai soggetti incaricati della gestione 
dei servizi, consistente nella soddisfazione dei bisogni degli utenti destinatari 
dei servizi, � consentito non applicarle e quindi affidare direttamente 
il servizio ad un soggetto in house in deroga alla concorrenza. � quanto accade 
nell�ipotesi del cosiddetto fallimento del mercato, nozione nota agli economisti, 
che si verifica quando l�indizione di una procedura di evidenza pubblica 
diventa antieconomica per l�ente pubblico poich� non si trovano sul mercato 
soggetti interessati a svolgere lo specifico servizio, o a svolgerlo alle condizioni 
richieste.
LEGISLAZIONE ED ATTUALIT� 231 
La �messa alla prova�: novit� applicative e criticit� 
di uno strumento giuridico di deflazione carceraria 
Vincenzo Laruffa* 
SOMMARIO: 1. La ratio dell'istituto della messa alla prova - 2. La natura giuridica dell�istituto 
- 3. Profili critici - 4. Considerazioni conclusive. 
1. La ratio dell'istituto della messa alla prova. 
Il sistema punitivo italiano, anzi l�intero ordinamento giuridico statale, si 
fonda su alcuni istituti che rappresentano i capisaldi intorno ai quali ruota tutta 
l�attivit� legislativa, in particolar modo in ambito penale. Il riferimento, comՏ 
noto, va in primo luogo al principio dell�obbligatoriet� dell�azione penale (art. 
112 Cost.), al principio di legalit� (art. 25, comma 2 Cost.) e, in secondo luogo, 
al principio del consenso dell�imputato. 
Questi sono quegli elementi che, pi� di ogni altro, influenzano il processo 
penale sia nella sua gestione interna che nella riforma della sua struttura. 
Tuttavia, di recente, a questi tre cardini del sistema penale italiano ne � 
intervenuto uno nuovo, quello della deflazione penale, un�esigenza nata principalmente 
su impulso della Corte di Giustizia che (in numerose pronunce per 
violazione dell�art. 3 della CEDU) ha affermato l�estrema urgenza di attuare 
riforme che decongestionino le carceri degli Stati in cui il sovraffollamento � 
particolarmente allarmante, primo fra tutti l�Italia. 
Sulla base di quest�insieme di principi, il legislatore ha configurato (e ancora 
oggi sta proseguendo in questo senso) una serie di strumenti che mirano 
a prevenire la condanna detentiva, decongestionando i procedimenti penali, al 
fine di ottenere nel lungo termine, anche effetti di decarcerizzazione. 
Naturalmente, decongestionare i procedimenti penali, non significa perseguire 
solo alcune fattispecie di reato rispetto ad altre, per le quali si esclude 
la perseguibilit� penale, in quanto, se cos� fosse, si violerebbe il summenzionato 
principio costituzionale dell�obbligatoriet� dell�azione penale, che rende 
impossibile bloccare a priori le notitiae criminis. 
Diversamente, il decongestionamento avviene grazie al c.d. sistema bifasico 
del processo, che consente all�imputato di scegliere una �via preferenziale� 
che gli consente di uscire dal contesto processuale prima ancora della 
pronuncia del giudice (il riferimento va agli istituti quali: il patteggiamento, il 
rito abbreviato o la mancata opposizione al decreto penale di condanna). 
Si evidenzia, inoltre, che a questi istituti gi� in vigore ne sono intervenuti 
altri, principalmente orientati a produrre effetti di deflazione carceraria, com'� 
(*) Dottore in Giurisprudenza, ammesso alla pratica forense presso l�Avvocatura dello Stato.
232 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2015 
avvenuto, ad esempio, con il famoso Decreto legge n. 146 del 2013 (meglio 
conosciuto come decreto �svuota carceri�) (1), oppure con la nuova Legge 28 
aprile 2014, n. 67 (2), entrata in vigore il 17 maggio 2014, che ha introdotto 
nel sistema della giustizia penale ordinaria l�istituto della �messa alla prova�, 
gi� conosciuto da oltre un ventennio nell�ambito del procedimento penale a 
carico degli imputati di minore et� (3). 
Tuttavia, nonostante la �messa alla prova� prevista per gli adulti sia stata 
ispirata da quanto gi� previsto per i minori, i due istituti non sono tra loro sovrapponibili, 
in quanto il primo si discosta nettamente dal secondo. 
Infatti, l�originaria fattispecie nasce sia dall�esigenza di limitare il pi� 
possibile la permanenza del minore all�interno della struttura detentiva, che 
dalla necessit� di intervenire sulla sua giovane coscienza, affinch� dal trattamento 
rieducativo nasca un sentimento di pentimento e di ravvedimento che 
lo responsabilizzi e lo allontani dal commettere nuovi reati. 
Per converso, con la messa alla prova per gli imputati adulti, pur essendo 
astrattamente possibile il raggiungimento di un obiettivo risocializzativo, si 
vuole principalmente promuovere una soluzione alternativa alla detenzione, 
che ripensi la gestione del processo penale al fine di garantire la trattazione 
dei soli procedimenti relativi a fatti che necessariamente sono meritevoli di 
un accertamento dibattimentale (4) e per i quali l�extrema ratio non pu� che 
essere la detenzione in carcere. 
In altre parole, lo scopo dell�istituto, nella sua prima applicazione, � fondamentalmente 
di tipo educativo e risocializzativo, infatti, proprio per queste 
ragioni, pu� essere richiesto in qualsiasi fase processuale (anche in appello). 
(1) Successivamente convertito con la Legge n. 10 del 2014. 
(2) Recante: �Deleghe al Governo in materia di pene detentive non carcerarie e di riforma del 
sistema sanzionatorio. Disposizioni in materia di sospensione del procedimento con messa alla prova 
e nei confronti degli irreperibili�. 
(3) L�istituto della �sospensione con messa alla prova� � stato introdotto, per la prima volta, con 
il Dpr n. 448/88, ai sensi del quale all�art. 28: �1. Il giudice, sentite le parti, pu� disporre con ordinanza 
la sospensione del processo quando ritiene di dover valutare la personalit� del minorenne all'esito della 
prova disposta a norma del comma 2. Il processo � sospeso per un periodo non superiore a tre anni 
quando si procede per reati per i quali � prevista la pena dell'ergastolo o della reclusione non inferiore 
nel massimo a dodici anni; negli altri casi, per un periodo non superiore a un anno. Durante tale periodo 
� sospeso il corso della prescrizione. 
2. Con l'ordinanza di sospensione il giudice affida il minorenne ai servizi minorili dell'amministrazione 
della giustizia per lo svolgimento, anche in collaborazione con i servizi locali, delle opportune attivit� 
di osservazione, trattamento e sostegno. Con il medesimo provvedimento il giudice pu� impartire prescrizioni 
dirette a riparare le conseguenze del reato e a promuovere la conciliazione del minorenne con 
la persona offesa dal reato. 
3. Contro l'ordinanza possono ricorrere per cassazione il pubblico ministero, l'imputato e il suo difensore. 
4. La sospensione non pu� essere disposta se l'imputato chiede il giudizio abbreviato o il giudizio 
immediato. 
5. La sospensione � revocata in caso di ripetute e gravi trasgressioni alle prescrizioni imposte�. 
(4) Cfr. F. FIORENTIN, Rivoluzione copernicana per la giustizia riparativa, in Guida dir., 2014, 63.
LEGISLAZIONE ED ATTUALIT� 233 
Nel caso dell�applicazione nei confronti degli imputati adulti, invece, le 
finalit� sono ben diverse e riassumibili essenzialmente in tre obiettivi: 
1. ridurre il sovraffollamento carcerario; 
2. ridurre il numero dei procedimenti penali; 
3. incentivare le condotte riparatorie (5). 
Emerge quindi un unico scopo deflattivo che verrebbe di fatto assicurato 
con il buon esito del programma di messa alla prova, successivamente accertato 
con sentenza dichiarativa di estinzione del reato stesso. 
Siamo quindi di fronte ad una soluzione che non si propone come alternativa 
al modello sanzionatorio classico, ma, discostandosi da quest�ultimo, 
occupa un ruolo di �valvola di sfogo� (6) per l�intero sistema, in quanto evita 
l�ingresso in carcere degli autori di reati meno gravi, riducendo la popolazione 
carceraria e ponendo un rimedio concreto all�ormai noto sovraffollamento 
degli istituti penitenziari italiani. 
2. Natura giuridica dell�istituto. 
La sospensione del procedimento con messa alla prova trae origine dall�istituto 
della probation del diritto anglosassone, seppur se ne discosta nella 
fase applicativa (7); infatti, a differenza della c.d. probation penitenziaria, essa 
trova applicazione prima ancora della definizione del processo, anzi, tende addirittura 
ad anticiparlo. 
A differenza degli altri riti alternativi al processo, che venivano applicati 
solo sul piano meramente processuale, la messa alla prova vanta una duplice 
natura, da un lato un profilo sostanziale che lo annovera tra le cause di estinzione 
del reato e, dall'altro, un profilo processuale, perch� rientra tra i c.d. procedimenti 
speciali alternativi al processo penale (8). 
� evidente, dunque, che il nuovo istituto si pone come diretta espressione 
di rinnovamento del tradizionale sistema sanzionatorio punitivo - deterrente, 
volto ad affermare sanzioni alternative alla detenzione che per� escludano la 
celebrazione del processo. 
Si potrebbe affermare che con la messa alla prova, l'ordinamento ha voluto 
concludere una sorta di "patto" con l'imputato, definibile in un rapporto 
di do ut des in cui lo Stato � disposto a offrire un trattamento sanzionatorio 
di maggior favore, o comunque di carattere meno afflittivo, per convincere 
(5) Cit. M. ZANCHETTI, E. MANCUSO, Sospensione del procedimento e messa alla prova: profili sostanziali 
e profili processuali, in http://www.liuc.it/formaprof/cm/upload/POF_25%20marzo2015.pdf, 5. 
(6) Cit. F. GIUNCHEDI, Probation italian style: verso una giustizia riparativa, in Archivio Penale, 2014, 4. 
(7) Infatti, nel diritto anglosassone, la probation si applica a seguito di una sentenza di condanna e 
non anticipatamente come, per converso, avviene nell�ordinamento giuridico italiano; (cfr. G. TABASCO, La 
sospensione del procedimento con messa alla prova degli imputati adulti, in Arch. Pen., 2015, 1, 125 ss.). 
(8) Come ad esempio nel caso del giudizio abbreviato, dell�applicazione della pena su richiesta 
delle parti, del giudizio direttissimo, come anche in quello immediato.
234 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2015 
l'imputato a rinunciare al processo e quindi alla garanzia della plena cognitio. 
Venendo al profilo prettamente tecnico-applicativo della messa alla prova, 
secondo quanto previsto dall�art. 168 bis del codice penale, ci si rende conto 
che, analogamente a quanto gi� da tempo il codice aveva previsto per i minori, 
anche nel caso di imputati adulti l�istituto della messa alla prova consiste essenzialmente 
nell�affidamento dell�interessato ai servizi sociali, affinch� possa 
svolgere un programma di trattamento studiato ad hoc (9), e quindi commisurato 
alla gravit� del reato per il quale la misura viene concessa. In particolare, 
essa pu� consistere, in attivit� di volontariato o in altre attivit� di rilievo sociale 
(10), come anche nella prestazione di condotte riparative volte all�eliminazione 
delle conseguenze dannose e pericolose che sono derivate dal fatto illecito 
(11), integrate, �ove possibile� (12), anche da condotte risarcitorie. 
In altre parole, pi� che programma di trattamento si tratta di un percorso 
riabilitativo e risocializzativo che l�imputato � portato a svolgere per il suo 
ravvedimento e successivo reinserimento sociale. Relativamente all�ambito 
applicativo, o meglio al �campo d�azione� previsto dall�istituto, si evidenziano 
- a differenza di quanto avviene con la messa alla prova per i minorenni - una 
serie di limiti distinguibili sia sul piano oggettivo che su quello soggettivo. 
La classe dei limiti oggettivi, svolge un ruolo sostanziale per un eventuale 
giudizio di applicabilit� o meno dell�istituto (13). Il primo di questi � legato 
essenzialmente alla gravit� del reato, configurabile dal maggiore plesso edittale 
di pena previsto dal codice per ogni fattispecie di reato; per cui viene posto 
un tetto di quattro anni di reclusione come limite massimo per poter chiedere 
di essere ammesso alla messa alla prova, mentre non vi � alcun limite massimo 
di pena per quanto riguarda tutti coloro che sono imputati per reati puniti con 
la sola pena pecuniaria, in quanto, per questi casi, � sempre possibile accedere 
al procedimento speciale (14). 
(9) Il programma di trattamento deve essere elaborato d�intesa con l�Ufficio di Esecuzione Penale 
Esterna (UEPE), e deve comprendere tutte le prescrizioni di cui si compone la messa alla prova. 
(10) Pi� precisamente, un lavoro di pubblica utilit� che consiste nella prestazione di una attivit� 
non retribuita in favore della collettivit�, il quale deve tenere conto della professionalit� e delle attitudini 
lavorative dell�imputato e le cui modalit� di svolgimento non devono pregiudicare le sue esigenze di 
lavoro, studio, famiglia e di salute. 
(11) Cfr. art. 168 bis, 2� comma, c.p. 
(12) L�inciso �ove possibile� (ex Art. 168 bis, 2� comma, c.p), caratterizza sia le disposizioni procedurali 
dedicate alla promozione dell�esperimento conciliativo, sia quelle sostanziali dedicate al risarcimento 
del danno nel programma di messa alla prova. In questo modo, ha fatto ufficialmente ingresso 
nell�ordinamento italiano la mediazione penale (ex Art. 464 bis, 4 comma, c.p.p.), in quanto tra i contenuti 
essenziali del programma di trattamento sono previste condotte volte a promuovere, ove possibile, 
la mediazione con la persona offesa. 
(13) Con riferimento ai limiti oggettivi per l�applicazione dell'istituto, l�art. 168 bis c.p. stabilisce 
al primo comma che l�imputato pu� richiedere la sospensione del processo con messa alla prova �nei 
procedimenti per reati puniti con la sola pena pecuniaria o con la pena edittale detentiva non superiore 
nel massimo a quattro anni, sola, congiunta o alternativa alla pena pecuniaria, nonch� per i delitti indicati 
dal comma 2 dell�art. 550 del codice di procedura penale� (cit. Art. 168 bis, 1� comma, c.p.).
LEGISLAZIONE ED ATTUALIT� 235 
Da ci� ne deriva che la tipologia di illeciti per i quali � possibile optare 
per la sospensione del processo con messa alla prova, copre in gran parte quei 
reati c.d. �bagatellari� procedibili ad istanza di parte, in quanto finalizzati ad 
ottenere, non tanto la restrizione carceraria del responsabile dal punto di vista 
penale, quanto le restituzioni o il risarcimento del danno derivato dal reato (di 
cui all�art. 185 c.p.); l�insieme di questi elementi - come giustamente ha evidenziato 
l�autore F. Giunchedi - ha inoltre determinato un duplice effetto sul 
piano deflattivo, sia a favore della giustizia penale, che di quella civile (15). 
Per converso, il secondo limite oggettivo, anch�esso previsto all�art. 168 
bis c.p., stabilisce che il beneficio della messa alla prova non pu� essere concesso 
due volte nei confronti dello stesso imputato (16). In concreto, occorre 
preliminarmente ravvisare che la recente applicazione dell�istituto rende estremamente 
improbabile il caso in cui un soggetto si ritrovi, per la seconda volta 
(17), a chiedere che venga concessa la misura della messa alla prova. Tuttavia, 
al fine di scongiurare ogni ipotesi contraria, come il caso in cui un soggetto 
imputato in procedimenti diversi chieda di essere ammesso alla prova (18), il 
legislatore ha stabilito che l�imputato alleghi all�istanza di messa alla prova 
una autocertificazione mediante la quale dichiari di non aver presentato altre 
istanze e comunque di non esservi stato ammesso (19). 
Sul piano soggettivo - a differenza di quanto avviene in sede minorile, in 
cui non si evidenzia alcun limite di tale specie - l�art. 168 bis c.p. dispone un 
solo limite soggettivo, per cui la misura della messa alla prova non pu� essere 
applicata: al delinquente professionale, al delinquente abituale e n� tantomeno 
al delinquente per tendenza. In altre parole, la ratio di questa preclusione voluta 
dal legislatore, ruota intorno ad un giudizio prognostico che il giudice � chia- 
(14) Oltre al mero rimando ai reati contenuti dall�art. 550 c.p.p., per i quali � possibile chiedere 
di essere ammessi alla prova. 
(15) Cfr. F. GIUNCHEDI, Probation italian style: verso una giustizia riparativa, in Archivio Penale, 
2014, 3. 
(16) Una circostanza, questa, che emerger� dal certificato del casellario giudiziale. Infatti, la disposizione 
di cui all�art. 3 (L), comma 1 del D.p.r. 14 novembre 2002 n. 313, prevede che in esso venga iscritta anche 
�l�ordinanza che ai sensi dell�articolo 464 quater c.p.p. dispone la sospensione del procedimento con messa 
alla prova� (cfr. M. ZANCHETTI, E. MANCUSO, Sospensione del procedimento e messa alla prova: profili sostanziali 
e profili processuali, in http://www.liuc.it/formaprof/c,/upload/POF_25%20marzo2015, 32). 
(17) Resta certamente pi� plausibile che si verifichi l�ipotesi in cui il soggetto che chieda l�applicazione 
della misura speciale, ne abbia gi� beneficiato per un reato commesso quando era minorenne. 
In questo caso, a differenza di quanto affermato da parte della dottrina, pur trattandosi della medesima 
persona imputata in due momenti diversi, la messa alla prova non pu� essere negata perch� il soggetto 
ne ha gi� beneficiato, infatti, l�istituto previsto per i minorenni � completamente diverso da quello previsto 
per le persone adulte, divergendo non soltanto nei limiti applicativi, ma soprattutto nelle norme 
che li disciplinano. 
(18) Cfr. V. BOVE, Messa alla prova per gli adulti: una prima lettura della L. 67/14, in 
www.scuolamagistratura.it ed in Diritto Penale Contemporaneo, www.penalecontemporaneo.it, 2014, 9. 
(19) A. SALVATORI, R. ARATA, La scommessa �culturale� della sospensione con messa alla prova 
alla verifica delle aule di tribunale, in Questione Giustizia, www.questionegiustizia.it, 2014, 31.
236 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2015 
mato a compiere sulla base della pericolosit� sociale dell�imputato, per comprendere 
la capacit� di quest�ultimo a delinquere. � evidente che, nonostante 
la norma voglia escludere l'applicabilit� della messa alla prova per tutti coloro 
che possono ragionevolmente essere definiti pericolosi per il loro profilo delinquenziale, 
non viene fatto alcun richiamo alla figura del recidivo, con la 
controversa conseguenza di poter accordare la misura speciale anche a quei 
soggetti nei confronti dei quali � gi� stata emessa una condanna definitiva. 
Nessun limite, invece, sembra essere stato previsto in ordine ai rapporti 
tra la messa alla prova e gli altri istituti speciali per l�imputato; quindi, nell�ipotesi 
in cui un soggetto abbia gi� beneficiato della sospensione con messa 
alla prova, si dovesse trovare imputato per un nuovo reato, pu� chiedere di 
usufruire della sospensione condizionale della pena. 
Infine, una volta avanzata la richiesta di sospensione del procedimento 
con messa alla prova (nel rispetto dei termini e delle modalit� dettate dagli 
artt. 464 bis c.p.p. e seguenti), il giudice, dopo aver appurato la sussistenza 
dei requisiti previsti dalla legge e l�assenza di qualsiasi limite prescritto, accorda 
l�applicazione dell�istituto con ordinanza di sospensione del procedimento 
e indica la data di udienza in cui verr� espletata la valutazione della 
relazione conclusiva redatta dall�UEPE, che riporta l�andamento del programma 
svolto dall�imputato e l�esito dello stesso. 
3. Profili critici. 
Il primo elemento critico sul quale non si � ancora consolidato un orientamento 
univoco n� in dottrina e n� tantomeno in giurisprudenza, riguarda l'influenza 
di eventuali circostanze aggravanti rispetto al calcolo del massimo 
edittale di pena ai fini dell'applicabilit� della messa alla prova. 
La questione ha sollevato intensi dibattiti e, ancora oggi, vi sono idee fortemente 
contrapposte. A tal proposito, infatti, sin da quando i giudici di legittimit� 
hanno cominciato la disamina delle problematiche legate al nuovo istituto, 
hanno espresso un giudizio negativo rispetto alla questione relativa al calcolo 
delle circostanze aggravanti nel giudizio di ammissibilit� della messa alla prova, 
disponendo che si dovesse considerare solo ed esclusivamente il massimo di 
pena per il reato per il quale si stava procedendo, sia nell'ipotesi di fattispecie 
tentata che consumata, al fine di accertare che il plesso edittale non superi il 
massimo di quattro anni di reclusione previsti dall'art. 168 bis c.p. (20). 
Successivamente a questa prima pronuncia, la Corte di Cassazione � tornata 
sulla questione con una nuova sentenza che si discosta integralmente 
dall�originario orientamento, nonostante la nuova pronuncia sia stata promulgata 
da parte dalla medesima composizione giudicante che aveva emesso la 
prima sentenza in materia (Cass. Pen. sez. VI, sent. n. 36687 del 10 settembre 
(20) Cfr. Cass. sez. VI, n. 6483, del 13 febbraio 2015.
LEGISLAZIONE ED ATTUALIT� 237 
2015). Infatti, la Corte ha ritenuto che il giudice, nel decidere l'applicabilit� o 
meno dell'istituto della messa alla prova, dovrebbe tener conto anche della 
presenza di eventuali circostanze aggravanti ad effetto speciale ed applicare 
l'art. 550 c.p.p. (21), richiamato dall'art. 168 bis del c.p. 
A placare le numerose controversie in uno scenario cos� incerto, � intervenuta 
un'ultima pronuncia della quarta sezione della Corte di Cassazione che, 
con la sentenza n. 32787 (del 27 luglio 2015), ha reimpostato l'originario orientamento, 
in virt� del quale, le circostanze aggravanti non possono rientrare 
nel calcolo del livello massimo di pena. 
A sostegno del nuovo orientamento appena riproposto, la Corte ha osservato 
che: 
a) per quanto riguarda il dato meramente letterale descritto all�interno 
dell�art. 168 bis c.p., contrariamente a quanto la Corte aveva precedentemente 
affermato, non compie alcun rinvio sistematico all'art. 550 c.p.p. nella sua interezza, 
quanto piuttosto, solo ed esclusivamente al suo secondo comma, escludendo 
sia il rimando all'art. 4 c.p.p. (citato nel 1 comma dell'art. 550 c.p.p.) 
che l'incidenza del calcolo delle circostanze aggravanti nel giudizio di ammissibilit� 
della messa alla prova; 
b) la ratio deflattiva dell'istituto sarebbe rimasta vanificata laddove il giudice 
- nel considerare le eventuali circostanze aggravanti ad effetto speciale - 
avesse escluso dalla messa alla prova il responsabile di un reato punito con 
una pena detentiva che rientra nei limiti previsti dall'art. 168 bis c.p.; si pensi 
ad esempio, al caso in cui un soggetto imputato per reati in tema di sostanze 
stupefacenti, puniti con la pena della reclusione da sei mesi a quattro anni, si 
trovi ad essere escluso dall'istituto dalla messa alla prova perch� la sostanza 
stupefacente era stata consegnata ad un minorenne, quale circostanza aggravante 
del reato. 
Dunque secondo la Corte di Cassazione occorre considerare il solo dato 
edittale della pena, tralasciando qualsiasi altro elemento, come a voler ricordare 
che il ruolo del giudice si deve limitare ad eseguire una operazione meramente 
aritmetica, per evitare che l'applicazione del nuovo istituto avvenga 
sulla base di un giudizio del tutto discrezionale. Infatti, si deve considerare 
che quando il giudice � chiamato a decidere se concedere o meno l'istituto 
della messa alla prova, non ha ancora a disposizione degli elementi probatori 
certi che gli permettano di avere una completa cognizione dei fatti. 
Un secondo elemento critico sorto con la prima e del tutto sperimentale 
sospensione del processo con messa alla prova dell�imputato adulto, riguarda 
la possibile parziale applicazione dell�istituto. Pi� precisamente, ci si interroga 
sull�ammissibilit� di una richiesta di separazione dei procedimenti al fine di 
(21) Secondo questo orientamento della Corte di legittimit�, si tratterebbe di un invio sistematico 
all'intero articolo e non esclusivamente al secondo comma.
238 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2015 
poter chiedere la messa alla prova o solo per alcuni capi d'imputazione, oppure 
solo per alcuni imputati. 
Emergono quindi due ipotesi: 
a) la prima, di carattere soggettivo, si pu� verificare nel caso in cui in un 
processo vi siano pi� imputati dei quali alcuni chiedono di essere ammessi 
alla messa alla prova e altri no. Tale ipotesi, tuttavia, non desta alcuna incertezza 
da parte della giurisprudenza, infatti � pacifica la circostanza in cui un 
imputato scelga un rito diverso rispetto ad un altro, come ad esempio nel caso 
del patteggiamento; 
b) la seconda ipotesi, per converso, ha una natura oggettiva e si riferisce 
a quei casi in cui vi � un solo imputato chiamato a risponde di pi� reati, e quest'ultimo 
chiede di essere ammesso alla messa alla prova solo per alcuni dei 
capi d'imputazione (magari perch� non tutti rientrano sotto il tetto dei quattro 
anni di reclusione previsto dall�art. 168 bis c.p.). 
Tale questione ha diviso l�opinione dei giudici di merito e di legittimit�, 
i quali hanno assunto posizioni nettamente diverse. Infatti, secondo il Tribunale 
di Torino (22) (che nel 2014 si � espresso con un giudizio favorevole alla parziale 
applicazione dell'istituto) la sospensione del processo con messa alla 
prova dell�imputato � un istituto che non tende solo alla deflazione processuale, 
come per converso avviene nel caso del patteggiamento parziale, bens� 
anche a dare applicazione a delle esigenze costituzionali ben pi� importanti, 
quali appunto la risocializzazione dell�autore del reato (art. 27, comma 3, 
Cost.); per questi motivi, a parere del Tribunale di Torino, � necessario ammettere 
la separazione dei procedimenti e concedere la messa alla prova anche 
per i soli capi di imputazione che rientrano sotto il regime previsto dall�art. 
168 bis c.p. (23). 
Inoltre, l�inammissibilit� dell�istanza di applicazione dell�istituto solo per 
alcuni capi di imputazione, avrebbe portato a delle conseguenze paradossali. 
�Ragionando astrattamente, infatti, occorre chiedersi cosa sarebbe accaduto 
nel caso in cui all'imputato di un processo oggettivamente cumulativo a cui 
siano stati addebitati diversi reati, per le quali non tutti ammettono l'istituto 
della messa alla prova, sia stata respinta l�istanza di sospensione con messa 
alla prova e all'esito del giudizio, lo stesso sia stato assolto per i soli reati che 
precludevano l�accesso alla messa alla prova e condannato per i reati per i 
quali avrebbe avuto diritto alla sospensione del processo e dunque, alla messa 
alla prova. In un simile scenario e in assenza di meccanismi di �recupero� dei 
benefici previsti dall�art. 168 bis e ss. c.p., la posizione soggettiva dell�imputato 
ne risulterebbe fatalmente pregiudicata� (24). 
(22) Cfr. Trib. Torino, Sent. 3783 del 21 maggio 2014.
LEGISLAZIONE ED ATTUALIT� 239 
4. Considerazioni conclusive. 
Il miglior modo per concludere questo breve excursus riguardo un istituto 
tanto innovativo quanto controverso quale appunto � la sospensione del processo 
con messa alla prova, non pu� che essere la risposta alla domanda: a distanza 
di circa due anni dalla legge che lo ha previsto, si pu� affermare che 
tale istituto funzioni? 
La risposta, paradossalmente, � estremamente semplice e intuitiva; infatti, 
affinch� una diversa e non convenzionale �via processuale� venga intrapresa 
dall�imputato, la prima cosa da fare � assicurarsi che essa sia utile, vantaggiosa 
e premiale, rispetto a tutte le numerose altre strade che di norma l�imputato 
sceglie perch� consigliate dal difensore. 
Basti considerare, ad esempio, la sospensione condizionale che, di norma, 
l�imputato incensurato preferisce al di sopra di ogni altro istituto, proprio perch� 
gli permette di ottenere la sospensione della pena senza l�obbligo di dover 
fare nulla, a differenza della messa alla prova che richiede l�adempimento di 
uno specifico programma riparativo e risocializzativo. Altre strade possibili 
sono il patteggiamento, oppure la prescrizione che considerando i tempi medi 
di definizione di un processo, offre un risultato certamente migliore. 
Alla luce di quanto fin qui riportato, emerge chiaramente che la problematica 
principale dell�istituto della messa alla prova, riguarda essenzialmente 
il suo effetto di anticipazione della pena che lo rende poco appetibile e meno 
premiale di tanti altri. 
Infatti, non va dimenticato che la messa alla prova interviene prima ancora 
del dibattimento e della sentenza definitiva, quando ancora l�imputato � 
(o meglio, dovrebbe essere) considerato presunto innocente. 
A riprova di quanto fin qui esposto, si evidenzia che nel programma di 
trattamento applicato all�imputato che � stato "messo alla prova", si possono 
riscontrare tutti gli elementi che tipicamente sono presenti nelle misure punitive, 
tra questi: la tipizzazione all�interno del codice penale delle modalit� di 
applicazione dell�istituto, come ad esempio lo stabilire aprioristicamente la 
durata della messa alla prova prevista per un determinato reato; il rimando all�art. 
133 c.p. quale principio generale indispensabile per la commisurazione 
della pena ma, soprattutto, l�aver previsto l�estinzione del reato all�esito positivo 
della messa alla prova, come a configurare uno sconto di pena anticipata. 
(23) M. MIEDICO, �Sospensione del processo e messa alla prova per imputati maggiorenni: un 
primo provvedimento del Tribunale di Torino� in Diritto Penale Contemporaneo, 25/06/2014, in 
http://www.penalecontemporaneo.it/sospensione_del_processo_e_messa_alla_prova_per_imputati_maggiorenni.it 
(24) Cit. Trib. Torino, Sent. 3783 del 21 maggio 2014, 2.
CONTRIBUTI DI DOTTRINA 
Il ricorso straordinario al Presidente della Repubblica e la 
non ottemperabilit� dei decreti presidenziali ante L. n. 69/2009 
Domenico Andracchio* 
Il dovere fondamentale del potere 
� la sollecitudine per il bene comune della societ�: 
da qui derivano i suoi diritti fondamentali 
(Giovanni Paolo II) 
SOMMARIO: 1. Le origini storiche del ricorso al Capo dello Stato e le ragioni della sua 
preservazione nell�attuale sistema della giustizia amministrativa - 2. La natura giuridica del 
ricorso straordinario prima della L. n. 69/2009: le argomentazioni della �tesi amministrativa� 
e quelle della �tesi giurisdizionale� - 3. La �canonizzazione giurisdizionale� del ricorso straordinario 
per effetto dell�entrata in vigore dell�art. 69 della L n. 69/2009 e della giurisprudenza 
successiva alla novella normativa - 4. Il rimedio dell�ottemperanza avverso i decreti 
presidenziali - 5. La negata ottemperabilit� dei decreti presidenziali adottati in epoca anteriore 
alla L. n. 69/2009: la decisione dell�Adunanza Plenaria n. 15/2015 - 6. Critica e considerazioni 
conclusive. 
1. Le origini storiche del ricorso al Capo dello Stato e le ragioni della sua 
preservazione nell�attuale sistema della giustizia amministrativa. 
Il ricorso straordinario al Presidente della Repubblica (1) affonda le sue 
radici storiche in quelle che erano le precipue caratteristiche (organizzative e 
funzionali) della forma di governo nota come monarchia costituzionale. In 
prospettiva di �correlazione e trasmigrazione istituzionale�, non deve sorprendere 
che in uno Stato repubblicano (qual � quello attuale) sia stato accordato 
(*) Avvocato e cultore di giustizia amministrativa presso l�Universit� della Calabria; gi� praticante presso 
l�Avvocatura generale dello Stato. 
(1) La bibliografia in tema di ricorso straordinario al Presidente della Repubblica � vastissima.
242 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2015 
usbergo giuridico ad un istituto di matrice autenticamente monastica. La figura 
del Capo dello Stato, invero, sia pure con le sue indefettibili specificit�, non 
pu� essere considerata una creazione dei moderni apparati statuali. � stato gi� 
rilevato che �se � certo e corretto discorrere di questa istituzione soltanto con 
la nascita dello Stato, che, se non � moderno, non � Stato, � altrettanto certo 
Per evitare di ridurre l�intero scritto ad una mera elencazione dei molteplici contributi che gli studiosi 
hanno dedicato all�esame del rimedio giustiziale di cui ci si occupa, sia consentito, in questa sede, menzionare 
gli scritti di: CAMMEO F., Il ricorso straordinario al Re, in Quest. dir. amm., Firenze, 1900; BORSI 
U., Sui ricorsi straordinari al re al momento della proclamazione della Repubblica e sui ricorsi analoghi 
eventualmente istituibili, in L�amministrazione italiana, 1946, pp. 168 ss.; AGR� S., Osservazioni sull�ammissibilit� 
attuale del ricorso straordinario al Capo dello Stato, in Rass. Avv. St., 1948, pp. 10 ss.; 
SANDULLI A.M., Sull�ammissibilit� del ricorso straordinario al Presidente della Repubblica, in Scritti 
giuridici in onore di Antonio Scialoja, Bologna, 1953, pp. 401 ss.; CIARDULLI E., Il ricorso straordinario 
al Capo dello Stato e la nuova Costituzione, in Rass. Avv. St., 1953, pp. 30 e ss.; ANDRIOLI V., Ricorso 
straordinario al Presidente della Repubblica e tutela giurisdizionale dei diritti soggettivi, in Riv. infor. 
e mal. prof., I, 1954, pp. 172 ss.; BOSCO M., Natura e fondamento del ricorso straordinario al Presidente 
della Repubblica, Milano, 1959; CONTI M., Ancora sull�inammissibilit� del ricorso straordinario al 
Presidente della Repubblica, in Rass. Avv. St., 1962, pp. 6 ss.; CANTUCCI M., La permanenza del ricorso 
straordinario dopo le recenti riforme, in Studi Guicciardi, Padova, 1975, pp. 168 ss.; ANGIOLIONI V., 
Ricorso straordinario, uguaglianza delle parti nel giudizio amministrativo e autonomie locali, in Le 
Regioni, 1982, pp. 233 ss.; ANCORA T., Riconsiderazione dell�istituto del ricorso straordinario al Presidente 
della Repubblica, in Cons. St., II, 1986, pp. 1383; D�ALESSIO M.T. - PECCHIOLI N., Ricorso straordinario 
al Presidente della Repubblica e rinvio pregiudiziale: la logica �fuzzy� della Corte di giustizia, 
in Riv. it. dir. pubbl. comun., 1998, pp. 699 ss.; FIUMARA O., Ricorso straordinario al Presidente della 
Repubblica e rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia nella CE, in Rass. Avv. St., 1998, pp. 47 ss.; 
GIOVANNINI M., Il ricorso straordinario come strumento alternativo alla giurisdizione amministrativa: 
il difficile percorso di un rimedio efficace, in Dir. amm., 2002, 61 ss.; ID., L�equiparazione tra ricorso 
straordinario e giurisdizionale: un�occasione sfumata, in Giorn. dir. amm., VI, 2005, pp. 652 ss.; LODI 
P.L., Il ricorso straordinario al Presidente della Repubblica (rassegna di giurisprudenza), in Cons. St., 
II, 2004 pp. 1865 ss.; MARUOTTI L., Il giudicato. La decisione del ricorso straordinario da parte del 
Presidente della Repubblica in Trattato di diritto amministrativo, in CASSESE S. (a cura di), Diritto Amministrativo 
speciale, Il processo amministrativo, Tom. V, Milano, 2004, pp. 4452 ss.; ID., Il ricorso 
straordinario dalle origini fino alle modifiche di cui al decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104. La concorrenza 
con il giudizio civile, in www.giustamm.it, 2011; PIGNATELLI N., La natura del ricorso straordinario 
e la nozione di �giudizio�: la Corte costituzionale e l��ircocervo�, in Giur. cost., 2004, pp. 2149 
ss.; ASPRONE M., Il ricorso straordinario al Presidente della Repubblica, spunti di riflessione, in Nuova 
rass., 2007, pp. 1645 ss.; ANDREIS M., Ricorso straordinario e tutela risarcitoria, in Urb. e app., 2008, 
pp. 1313 ss.; ID., Ricorso straordinario e azione di ottemperanza, in Urb. e app., 2011, pp. 541 ss.; BERTONAZZI 
L., Il ricorso straordinario al Presidente della Repubblica: persistente attualit� e problemi irrisolti 
del principale istituto di amministrazione giustiziale, Milano, 2008; ID., Recenti novit� normative 
in tema di ricorso straordinario al Presidente della Repubblica, in Urb. e app., 2009, pp. 1285 ss.; TORRICELLI 
S., Ricorso straordinario al Presidente della Repubblica e risarcimento del danno: i pregi della 
staticit�, in Foro amm. - CDS, 2008; CARBONE L., Le revisione del ricorso straordinario al Presidente 
della Repubblica e la riaffermata natura giurisdizionale del rimedio, in Foro amm. - TAR, 2009, pp. 
2664 ss.; SALVIA F., Il ricorso al Capo dello Stato e l�effettivit� della tutela (rilievi critici sull�approccio), 
in Foro amm. - CDS, 2009, pp. 1606 ss. QUINTO P., Il Codice e la giurisdizionalizzazione del ricorso 
straordinario, in www.giustamm.it, 2010; FRENI F., L�amministrazione giudiziale nel prisma della Costituzione: 
il �nuovo� ricorso straordinario al Capo dello Stato nella legge 18 giugno 2009 n. 69, in 
Dir. proc. amm., 2010, 184 ss.; ID., Il nuovo ricorso straordinario al Presidente della Repubblica: storia, 
disciplina e natura del rimedio dopo la legge 18 giugno, n. 69, Roma, 2013; MARTINI G., Il ricorso straordinario 
al Capo dello Stato dopo la riforma introdotta con la L. 69/2009, in www.giustamm.it, 2010;
CONTRIBUTI DI DOTTRINA 243 
che essa si � forgiata di concetti che la precedevano� (2). La prerogativa del 
Capo dello Stato di pronunziare una �decisione definitiva ed insindacabile� 
sulle istanze proposte dagli amministrati che lamentavano un torto subito a 
causa degli apparati pubblici � da farsi risalire - senza dubbio - al periodo in 
cui il Re ricopriva il duplice ruolo di Capo dell�esecutivo e di Capo dello Stato, 
cos� da potersi atteggiare pure a �garante� dell�osservanza della legge in ogni 
ambito dell�ordinamento giuridico. Nell�assolvere a quest�ultima funzione, il 
monarca si poneva, per tal modo, in un rapporto di alternativit� rispetto al 
corpo dei giudici; ne discendeva, cos�, la distinzione (sopravissuta sino a i 
giorni nostri) tra la �funzione giurisdizionale ritenuta dal Re� e la �funzione 
giurisdizionale delegata agli organi della magistratura�. 
La sostanziale eccezionalit� che sottendeva (e continua a sottendere) all�inconsueto 
esercizio della funzione lato sensu giurisdizionale da parte di una 
istituzione diversa rispetto alla magistratura ha giocoforza indotto taluni a qualificare 
il ricorso straordinario al Presidente della Repubblica come un �residuo 
monarchico� (3) ovvero come un �relitto storico� (4); da qui il sorgere di 
dubbi e di perplessit� sulla compatibilit� del ricorso straordinario con l�ordinamento 
giuridico costituzionale. In proposito, una attenta dottrina, superando 
l�epidermico ancoraggio dell�istituto alla sola giurisdizione ritenuta, ha rilevato 
che �sebbene il ricorso straordinario debba ricondursi nell�ambito delle fun- 
MORANO G., Ricorso Straordinario al Presidente della Repubblica, novit� legislative e osservazioni 
giurisprudenziali, in www.altalex.it, 2010; AULETTAA., Giurisdizionalizzazione del ricorso straordinario 
al Presidente della Repubblica: una partita chiusa?, in www.giustamm.it, 2011; VIOLA L., Ricorso straordinario 
al Presidente della Repubblica e codice del processo amministrativo: un rapporto problematico, 
in www.federalismi.it., 2011; BENETAZZO C., Il ricorso straordinario al Presidente della Repubblica 
da rimedio amministrativo a strumento �alternativo� al ricorso giurisdizionale, in www.giustamm.it, 
2012; CALABR� M., La funzione giustiziale della pubblica amministrazione, Torino, 2012; SCOCA F.G., 
Osservazioni sulla natura del ricorso straordinario al Capo dello Stato, in Giur. it., 2013, 11, 2374 ss.; 
ID., La Corte costituzionale e il ricorso straordinario al Presidente della Repubblica, in Giur. Cost., 
2014, pp. 1476 ss.; CARBONE A., Corte costituzionale e ricorso straordinario come rimedio giustiziale 
alternativo alla giurisdizione, in www.giustamm.it, 2014; ID., Il ricorso straordinario al Presidente della 
Repubblica tra interventi legislativi e arresti giurisprudenziali, in Corr. Giur., 2014, pp. 224 ss.; TANDA 
P., Le nuove prospettive del ricorso straordinario al Capo dello Stato, Torino, 2014; ID., Le ricadute 
della sentenza n. 73/2014 della Corte costituzionale sulla c.d. giurisdizionalizzazione del ricorso straordinario 
al Capo dello Stato, in www.federalismi.it, 2014; POZZI A., Riflessioni sulla c.d. giurisdizionalizzazione 
del ricorso straordinario, in www.giustamm.it, 2014; ID., Il ricorso straordinario salvato 
dalla Consulta?, in www.giustamm.it, 2014; FENNI B., Il ricorso straordinario al Capo dello Stato e la 
sua progressiva giurisdizionalizzazione, in www.ildirittoamministrativo.it, 2014; FURNO E., La Corte 
costituzionale suggella la c.d. giurisdizionalizzazione del ricorso straordinario con una decisione che 
apre nuovi interrogativi, in www.giustamm.it, 2014. 
(2) GALLIANI D., Il Capo dello Stato e le leggi. Aspetti storici, profili comparatistici, ordinamento 
italiano, Vol. II, Milano, 2011, p. 28; LOEWENSTEIN K., La Monarchia nello Stato moderno, Roma, 1969; 
MARAVALL J.A., Stato moderno e mentalit� sociale, Bologna, 1991. 
(3) ETTORE F.M., Le nuove frontiere del ricorso straordinario al Presidente della Repubblica nella 
giurisprudenza della Corte costituzionale, in Nuova rass., 1988, p. 681. 
(4) SATTA F., Giustizia amministrativa, Padova, 1997, p. 10.
244 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2015 
zioni di giustizia ritenuta, una tale giustificazione teorica non pu� reggere 
nell�ambito dello Stato moderno e soprattutto nella forma di Stato configurata 
dalla Costituzione; cos� che la giustificazione della permanenza del ricorso in 
parola, pi� che un retaggio di sviluppi storici, per effetto dei quali il ricorso 
giurisdizionale appariva un semplice perfezionamento del ricorso straordinario, 
� tendenzialmente pratica: l�economicit�, la maggior comodit� temporale 
e la tendenziale informalit� del rimedio a tutela dell�interesse di una parte. 
Unico � l�obiettivo di tutela perseguito dal ricorso straordinario e giurisdizionale, 
ma diverse le due forme di essa; da questa unitariet� funzionale e duplicit� 
strutturale dei due rimedi deriva la scelta del legislatore di averlo 
mantenuto in vita� (5). Ma l�efficacia e, quindi, il permanere in vita di questo 
rimedio non ha registrato unanimit� di vedute. A fronte di quanti sostenevano 
che �il ricorso straordinario al Capo dello Stato potrebbe essere espunto dal 
sistema della giustizia amministrativa italiana, in quanto il tendenziale rispetto, 
da parte della magistratura amministrativa, del paradigma della ragionevole 
durata � idoneo a depauperare quella economicit� che ha costituito (per lungo 
tempo) l�unica vera ragione incentivante all�utilizzo di esso� (6), si attesta 
quel diverso orientamento dottrinale secondo il quale �l�opportunit� di preservare 
il ricorso straordinario si desume, in primo luogo, dalla circostanza 
che la Regione Sicilia (per il tramite dell�art. 23, comma 4, dello Statuto regionale 
(7), approvato con R.D.L. del 15 maggio 1946, n. 455 poi convertito 
nella legge costituzionale del 26 febbraio 1948, n. 2) ha introdotto questo strumento 
di �tutela giustiziale� soltanto dopo l�entrata in vigore della Carta costituzionale 
e, secondariamente, da un tutt�oggi persistente favore per il suo 
utilizzo; ci� che vale, senz�altro, a testimoniare la indubbia utilit� pratica dello 
stesso, nell�ottica della tutela delle situazioni soggettive lese dall�esercizio 
della funzione amministrativa� (8). 
Il favore per la seconda impostazione dottrinale trova conforto, peraltro, 
nella circostanza che il ricorso straordinario al Capo dello Stato �ha rappresentato 
per un lungo periodo della nostra storia istituzionale, l�unica forma di 
garanzia e tutela del cittadino nei confronti dei provvedimenti della pubblica 
(5) VITTA C., Diritto amministrativo, Torino, 1950, p. 392. 
(6) LANDI G., La funzione consultiva del Consiglio di Stato: passato, presente e futuro, in Studi 
per il centocinquantenario del Consiglio di Stato, Roma, 1981, p. 1287. 
(7) L�art. 23 dello Statuto della Regione Sicilia, per esteso, cos� dispone: �Gli organi giurisdizionali 
centrali avranno in Sicilia le rispettive sezioni per gli affari concernenti la Regione. Le Sezioni del Consiglio 
di Stato e della Corte dei Conti svolgeranno altres� le funzioni rispettivamente consultive e di controllo 
amministrativo e contabile. I magistrati della Corte dei Conti sono nominati, di accordo, dai 
Governi dello Stato e della Regione. I ricorsi amministrativi, avanzati in linea straordinaria contro atti 
amministrativi regionali, saranno decisi dal Presidente della Regione, sentite le Sezioni regionali del 
Consiglio di Stato�. 
(8) FERRARI G., I ricorsi amministrativi, in CASSESE S. (a cura di), Trattato di diritto amministrativo, 
V, Milano, 2003, p. 4187.
CONTRIBUTI DI DOTTRINA 245 
amministrazione� (9), a causa del fatto che �a seguito dell�abolizione del Tribunale 
del contenzioso amministrativo operato dalla legge n. 2248 del 20 
marzo 1865, All. E, e sino alla legge 31 marzo 1889, n. 5992 fu radicata, nella 
giurisprudenza del Consiglio di Stato, la convinzione che il rimedio amministrativo 
avesse il rilievo e la dignit� di uno strumento posto a difesa dei legittimi 
interessi dell�amministrato� (10). Muovendo in questa prospettiva, � stata 
la giurisprudenza costituzionale a troncare, in radice, qualunque forma di speculazione 
dottrinale tesa a screditare la concreta utilit� pratica garantita dal ricorso 
straordinario. Il giudice delle leggi, con la sua tradizionale eloquenza, 
ha infatti affermato che �la permanenza attuale di una ragione giustificativa 
di tale istituto non sta nella sua improbabile natura di appello al sovrano o al 
vertice amministrativo, ma piuttosto in ci� che il ricorso straordinario costituisce, 
per la Pubblica Amministrazione, un mezzo ulteriore di garanzia della 
legalit� e dell�imparzialit� della propria azione - che, insieme al buon andamento, 
sono pur sempre i valori costituzionali supremi cui deve ispirarsi l�attivit� 
amministrativa - e, per i cittadini, uno strumento aggiuntivo, rispetto a 
quelli ordinari, di tutela dei propri diritti soggettivi e interessi legittimi, la cui 
adeguata protezione rappresenta un valore altrettanto primario e, in un certo 
senso, speculare rispetto a quelli precedentemente ricordati� (11). 
(9) POZZI A., Ricorso straordinario ed effettivit� della tutela, Relazione tenuta in occasione della 
giornata di studio in onore di Cino Vitta tenutasi presso il Consiglio di Stato il giorno 21 novembre 
2003, in www.giustizia-amministrativa.it. 
(10) GIANNINI M.S. - PIRAS A., voce Giurisdizione amministrativa, in Enc. dir., XIX, Milano, 
1970, p. 231. 
(11) C. cost., 2 luglio 1966, n. 78, in www.cortecostituzionale.it, nella quale la Consulta si preoccupa 
anche di sviscerare, con un�impostazione ammirevole ed elegante, i rapporti tra il ricorso straordinario 
e ricorso giurisdizionale. In essa, infatti, � dato leggere che l�ordinamento amministrativo italiano 
ammette �il concorso di due rimedi giuridici avverso un medesimo atto; e lo regolano permettendo all�interessato 
una scelta fra i medesimi, sulla base di una valutazione di convenienza. Quando l�interessato 
preferisce proporre ricorso straordinario, � egli stesso che ritiene di poter prescindere dalla tutela giurisdizionale, 
cos� come ritiene di farne a meno quando lascia decorrere il termine stabilito per invocarla. 
Le norme denunciate cio� offrono una alternativa che sollecita l�autonomia soggettiva, e, cos� essendo, 
non intaccano il precetto costituzionale che garantisce quella tutela, perch� esso non obbliga l�interessato 
a rivolgere la sua autonomia unicamente nel senso dell�esperimento della protezione assicurata: concetti 
simili ha espresso la Corte nella sua sentenza 5 febbraio 1963, n. 2, e in quella successiva del 4 giugno 
1964, n. 47, si � pure rilevato che l�art. 113 non impedisce alla legge ordinaria di regolare l�esercizio 
della tutela giurisdizionale nei modi e con la efficacia che pi� aderisca alle singole situazioni, purch� 
quell�esercizio non sia reso estremamente difficile o puramente apparente (v. anche sentenze 16 dicembre 
1964, n. 118, e 3 luglio 1962, n. 87). Ai fini della questione, non importa conoscere per qual motivo 
l�ordinamento non ammette il ricorso giurisdizionale al Consiglio di Stato quando sia stato proposto 
quello straordinario: il sistema peraltro appare in logica coerenza con il fatto che il ricorso straordinario 
� ammissibile anche quando non lo sia pi� il ricorso giurisdizionale per il decorso del termine assegnato 
per il suo esperimento. Importa soltanto rilevare che il principio contestato, dando alla parte piena libert� 
di adire alla tutela giurisdizionale, e facendo dipendere dalla libera determinazione di lei la decadenza 
da quella tutela, non la rende n� impossibile, n� difficile, n� fittizia: la legge anzi offre, in seno allo 
stesso ordinamento amministrativo, una protezione ai diritti soggettivi o agli interessi legittimi, che si
246 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2015 
2. La natura giuridica del ricorso straordinario prima della L. n. 69/2009: le 
argomentazioni della �tesi amministrativa� e quelle della �tesi giurisdizionale�. 
La disciplina del ricorso straordinario al Presidente della Repubblica � 
contenuta nel D.P.R. del 24 novembre 1971, n. 1199, recante norme in tema 
di �Semplificazione dei procedimenti in materia di ricorsi amministrativi� 
(artt. 8 - 15). Tale testo normativo, �dopo essere stato dimenticato, per lungo 
tempo, dal legislatore, � venuto configurandosi come l�oggetto privilegiato di 
una serie - sia pure disorganica - di interventi legislativi che hanno finito, da 
un lato, per rafforzare quel parallelismo tra tutela giurisdizionale e tutela in 
sede straordinaria che esisteva fin dall�origine e, dall�altro, per eliminare o comunque 
ridurre quel carattere �ambivalente� che lo caratterizzava� (12). Giova 
dare conto che gli interventi di novella legislativa registratisi in tema di ricorso 
straordinario sono stati attuati attraverso: a) l�art. 3 della legge del 21 luglio 
2000, n. 205, che ha ammesso la azionabilit� della tutela cautelare al fine di 
ottenere la riparazione dei danni gravi ed irreparabili derivanti dall�esecuzione 
dell�atto impugnato; b) l�art. 15 della medesima legge, il quale, nell�ottica di 
avvicinare il parere reso dal Consiglio di Stato ai contenuti propri della sentenza, 
ha disposto che detti pareri siano �pubblici e rechino l�indicazione del 
presidente del Collegio e dell�estensore�; c) con la legge del 18 giugno 2009, 
n. 69, la quale ha condotto a termine quel processo di �giurisdizionalizzazione
� del ricorso straordinario da molti auspicato. 
Con riguardo a quest�ultimo intervento legislativo � stato fatto notare che 
mediante �l�art. 69 della L. n. 69/2009 si sono volutamente superati quelli che 
si configuravano come i due principali ostacoli - elaborati dalla giurisprudenza 
costituzionale e da quella di legittimit� - alla affrancazione del rimedio del ricorso 
straordinario dall�area dei rimedi di tipo puramente amministrativo nonch� 
alla equiparazione del decreto di decisione sul ricorso ad una sentenza 
anzich� a un atto amministrativo, ai fini soprattutto della sua esecuzione/ottemperanza
� (13). Tali ostacoli - come meglio si vedr� nel proseguo - erano 
aggiunge a quella giurisdizionale quando la parte ritiene di poterne fare a meno o da essa � decaduta. E 
in questo senso essa aumenta la possibilit� di reazioni contro l�atto amministrativo illegittimo. 
La sostanza del sistema � che la proposizione del ricorso straordinario ha il medesimo effetto del decorso 
del termine prescritto per la presentazione del ricorso giurisdizionale: la perdita del diritto a questo rimedio 
si produce prima del tempo ordinario a seguito di un atto volontario al quale si addiviene nella 
consapevolezza del valore che vi ha dato la legge, perch� questo valore non pu� non essere presente a 
colui che utilizza il dettato della norma dalla quale l�effetto deriva. Non conta il motivo per cui l�interessato 
addiviene alla scelta, cos� come non conta la causa dell�inutile decorso del termine fissato per 
l�esperimento della tutela giurisdizionale; non conta nemmeno qualificare la situazione giuridica che si 
determina mediante la proposizione del ricorso straordinario. Rileva invece l�osservare, e la Corte altra 
volta l�ha gi� fatto presente (sentenza 4 giugno 1964, n. 47), che la genericit� del precetto contenuto 
nell'art. 113 della Costituzione non � tale da permettere di opinare che l�esperimento della tutela giurisdizionale 
non possa essere assoggettata a cause di decadenza, e da far ritenere che la protezione accordata 
sia invocabile in perpetuit��. 
(12) VIRGA G., Il paradosso del ricorso straordinario, in www.lexitalia.it, 2011, p. 1.
CONTRIBUTI DI DOTTRINA 247 
rappresentati dalla natura parzialmente vincolante del parere reso dal Consiglio 
di Stato, che consentiva al Governo (previa deliberazione del Consiglio dei 
Ministri) di assumere un determinazione di segno contrario rispetto a quanto 
consigliato dal giudice amministrativo e anche dalla carenza dei requisiti indefettibili 
dei procedimenti giurisdizionali, quali la celebrazione del procedimento 
dinanzi ad un giudice terzo e imparziale (14) nonch�, in ultima battuta, 
dall�impossibilit� di sollevare, in sede di decisione del ricorso straordinario, 
una questioni di legittimit� costituzionale (15). 
La natura del ricorso straordinario al Presidente della Repubblica - sino 
a prima che entrasse in vigore la L. n. 69/2009 - ha formato oggetto di un acceso 
dibattito, dal momento che lo stesso � stato presto bollato come �un istituto 
singolare, anomalo, che unisce a spiccati caratteri amministrativi un 
procedimento contenzioso sui generis finalizzato alla risoluzione non giurisdizionale 
di un conflitto concernente la legittimit� di atti amministrativi definitivi
� (16). Le opzioni ermeneutiche che, per lungo tempo, si sono contesi 
il campo oscillavano tra l�indole amministrativa e l�indole giurisdizionale dello 
stesso; delle due, quella maggiormente asseverata era la prima. 
I corifei della tesi in ossequio alla quale occorreva riconoscere al ricorso 
(13) VOLPE C., Il ricorso straordinario al Presidente della Repubblica: un rimedio antico ma ancora 
attuale?, in www.giustamm.it, 2015, p. 2. 
(14) C. cost., 15 luglio 2005, n. 282, in www.cortecostituzionale.it, in cui si � stabilito che �essendo 
il ricorso straordinario al Capo dello Stato un rimedio per assicurare la risoluzione non giurisdizionale 
di una controversia in sede amministrativa, deve escludersi che la decisione che conclude questo procedimento 
amministrativo di secondo grado abbia la natura o gli effetti degli atti di tipo giurisdizionale. 
Questa Corte ha pi� volte affermato la natura amministrativa del ricorso straordinario al Presidente della 
Repubblica: giudicando manifestamente infondata la questione di costituzionalit� della normativa di cui 
al d.P.R. 24 novembre 1971, n. 1199, concernente il ricorso straordinario al Presidente della Repubblica, 
prospettata per violazione, tra l�altro, degli articoli 76 e 77 della Costituzione, proprio sul rilievo che, 
nonostante la peculiarit� del suindicato ricorso, esso rientrava indubbiamente tra quelli amministrativi 
cui la legge di delegazione si riferiva (ordinanze n. 301 e n. 56 del 2001; v., altres�, sentenza n. 298 del 
1986); ritenendo che il Consiglio di Stato, in sede di parere sul ricorso straordinario al Presidente della 
Repubblica, opera come organo non giurisdizionale ed � pertanto privo di legittimazione a sollevare 
questioni di legittimit� costituzionale (sentenza n. 254 del 2004; ordinanza n. 357 del 2004)�. 
(15) C. cost., 21 luglio 2004, n. 254, in www.cortecostituzionale.it, nel cui snodo motivazionale 
cos� si legge: �Si sottolinea, inoltre, che ancora di recente questa Corte - ribadendo il proprio risalente 
consolidato orientamento (sentenze n. 78 del 1966 e n. 31 del 1975) - ha affermato la natura amministrativa 
del ricorso straordinario al Presidente della Repubblica, giudicando manifestamente infondata 
la questione di costituzionalit� della normativa di cui al d.P.R. n. 1199 del 1971, concernente il ricorso 
straordinario al Presidente della Repubblica, prospettata per violazione, tra l�altro, degli articoli 76 e 77 
Cost., proprio sul rilievo che, nonostante le peculiarit� del suindicato ricorso, esso rientrava indubbiamente 
tra quelli amministrativi cui la legge di delega si riferiva (v. ordinanze n. 56 e n. 301 del 2001, 
nonch� sentenza n. 298 del 1986). Questa conclusione � ineludibile qualora si noti che l�art. 14, primo 
comma, del d.P.R. n. 1199 del 1971 stabilisce che, ove il ministro competente intenda proporre (al Presidente 
della Repubblica) una decisione difforme dal parere del Consiglio di Stato, deve sottoporre l�affare 
alla deliberazione del Consiglio dei ministri, provvedimento quest�ultimo, per la natura dell�organo 
da cui promana, all�evidenza non giurisdizionale�. 
(16) C. cost., 9 luglio 1982, n. 148, in www.cortecostituzionale.it.
248 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2015 
straordinario una natura amministrativa facevano leva su una pluralit� di argomentazioni. 
Innanzitutto il dato nomencleare: il tenore del titolo che caratterizza, 
e continua a caratterizzare, il D.P.R. n. 1199/1971, ossia 
�Semplificazione dei procedimenti in materia di ricorsi amministrativi�, induceva 
a ricondurre, gi� di per s�, il ricorso straordinario nell�alveo dei ricorsi 
amministrativi. Assai pi� incisivamente, per�, una autorevole dottrina, ebbe 
modo di evidenziare la non equivalenza tra il ricorso straordinario e quello 
giurisdizionale sul presupposto della ontologica e insuperabile diversit� del 
petitum: �mentre il ricorso straordinario pu� avere ad oggetto solo atti amministrativi 
definitivi, per quello giurisdizionale la definitivit� del provvedimento 
non costituisce una causa di inammissibilit�� (17). Nondimeno, si � pure segnalato 
che �l�evoluzione del ricorso giurisdizionale era idonea a riprovare 
una netta diversificazione rispetto al ricorso straordinario, poich�, mentre quest�ultimo 
si risolve sempre in uno strumento di proposizione di una azione di 
annullamento, il ricorso al giudice amministrativo consente di esperire anche 
azioni non meramente costitutive, o addirittura di accertamento e di condanna� 
(18). Ma per quanto potessero essere solidi e fondati, gli elementi sopraccennati 
lasciavano, tuttavia, qualche margine di incertezza. La dottrina e la giurisprudenza 
iniziarono, quindi, a convergere, in modo tetragono, nel fare leva 
su quella che era la caratteristica idonea a disvelare, pi� d�ogni altra, la distanza 
esistente tra il ricorso straordinario e il ricorso giurisdizionale; id est il potere 
riconosciuto al Consiglio dei Ministri di proporre al Presidente della Repubblica 
- dietro impulso del Ministero competente per ratione materiae - una decisione 
dal contenuto difforme rispetto alle indicazioni, formalmente 
consacrate, nel parere del Consiglio di Stato. Poich� un siffatto potere presupponeva, 
all�evidenza, il riconoscimento di un ampio margine di apprezzamento 
discrezionale in favore del Ministro competente, si � fatto notare che �pur a 
voler proditoriamente sostenere la natura giurisdizionale del ricorso straordinario, 
si sarebbe potuto paralare, in modo anomalo, di una natura soltanto potenzialmente 
tale, visto che il parere del Consiglio di Stato e le garanzie che 
caratterizzano il processo potevano essere agevolmente vanificate da una scelta 
politica del Governo, ossia dall�esercizio di un potere evidentemente estraneo 
a qualsiasi procedimento giurisdizionale� (19). 
Una disamina ancora pi� lucida, tesa ugualmente a rimarcare la natura 
amministrativa del ricorso straordinario al Presidente della Repubblica, venne 
condotta anche dalla Corte costituzionale, la quale, dopo aver puntualizzato 
(17) PIGNATELLI N., Sulla �natura� del ricorso straordinario: la scelta del legislatore (art. 69, L. 
69/2009), in www.giustizia-amministrativa.it, p. 5. 
(18) TRAVI A., voce Ricorso straordinario al Capo dello Stato, in Dig. disc. pubbl., Torino, 1997, 
p. 423.
(19) BACHELET V., Ricorso straordinario al Capo dello Stato e garanzia giurisdizionale, in Riv. 
trim. dir. pubbl., II, 1959, p. 798.
CONTRIBUTI DI DOTTRINA 249 
che �il procedimento che si innesca a seguito della proposizione di un ricorso 
straordinario, bench� temperato dalla contaminazione di elementi dall�indubbio 
taglio giurisdizionale, per via del fatto che ci si trova, pur sempre, alla presenza 
di un meccanismo teleologicamente volto ad assicurare la composizione 
di una controversia avente ad oggetto il riconoscimento di diritti o di interessi 
legittimi, continua, a conservare il suo carattere amministrativo e, di conseguenza, 
a non potere essere qualificato come un procedimento formalmente 
e/o sostanzialmente giurisdizionale�, si � spinta sino ad escludere la riconducibilit� 
del ricorso straordinario pure alla categoria degli atti di amministrazione 
attiva, in quanto questi, lungi dall�essere collegati alla risoluzione di 
controversie, sono caratterizzati dal perseguimento degli specifici fini e dalla 
soddisfazione degli interessi generali che la legge attribuisce alle singole pubbliche 
amministrazioni (20). 
(20) C. Cost., 19 dicembre 1986, n. 298, in www.cortecostituzionale.it, nel cui snodo motivazione 
� dato leggere che �l�attuale disciplina legislativa, contenuta nel capo III (artt. 8 e 15) del d.P.R. 24 novembre 
1971 n. 1199 (Semplificazione dei procedimenti in materia di ricorsi amministrativi), ha conservato 
la natura del tutto atipica che quest�istituto ha assunto sin dall�epoca della monarchia 
costituzionale. Essa, infatti, ne conferma il carattere di rimedio straordinario contro eventuali illegittimit� 
di atti amministrativi definitivi, che i singoli interessati possono attivare con modica spesa, senza il bisogno 
dell�assistenza tecnico-legale e con il beneficio di termini di presentazione del ricorso particolarmente 
ampi (artt. 8 e 9). La sua procedura prevede che l�istruttoria sia svolta dai Ministeri competenti 
o, in mancanza di questi, dalla Presidenza del Consiglio (art. 11), i quali, quando si tratta di atti amministrativi 
emanati da enti diversi dello Stato, possono avvalersi, e di fatto risulta che ci� non avvenga, 
della pi� piena collaborazione di questi ultimi. La decisione � adottata nella forma tipica degli atti governativi, 
il decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Ministro competente (che poi controfirma 
l�atto), previo conforme parere del Consiglio di Stato (solo nel caso in cui il Ministro intenda 
proporre una pronunzia difforme rispetto a quest�ultimo parere, il d.P.R. � adottato su deliberazione del 
Consiglio dei Ministri, che deve essere sorretta da un�adeguata motivazione circa la diversa interpretazione 
del diritto seguita) (art. 14). Il d.P.R., al pari di ogni atto del Governo � poi sottoposto al visto 
della Corte dei conti. 
Il carattere amministrativo del procedimento risulta tuttavia temperato dall�esigenza derivante dal fatto 
che si � pur sempre in presenza di un meccanismo di risoluzione di una controversia avente ad oggetto 
il riconoscimento di diritti o di interessi legittimi e, soprattutto, in considerazione di una caratteristica 
peculiare dell�istituto: la sua alternativit�, peraltro attenuata nel tempo, rispetto al ricorso giurisdizionale. 
Beninteso, siffatti caratteri non sono tali da far tramutare il ricorso straordinario in un procedimento formalmente 
e/o sostanzialmente giurisdizionale e, quindi, in una dichiarazione del diritto diretta a far stato 
fra le parti e pronunziata da un organo istituzionalmente imparziale. Prova ne sia che, tanto per ricordare 
gli elementi pi� importanti, la complessiva disciplina legislativa del procedimento manca di alcune fondamentali 
caratteristiche delle attivit� giurisdizionali, quali, ad esempio, la bilateralit� del contraddittorio, 
una qualsiasi garanzia di difesa tecnica, l�imparzialit� istituzionale dell�organo decidente. Nondimeno, 
in considerazione delle predette esigenze, la legislazione e la giurisprudenza, compresa quella di questa 
Corte, si sono sforzate di stabilire sostanziali parallelismi e sicuri raccordi con l�attivit� giurisdizionale. 
I principali fra questi sono, oltre al carattere contenzioso del procedimento, la facolt� dei privati - cui 
questa Corte con sentenza n. 148/1982 ha equiparato gli enti pubblici non statali autori dell�atto impugnato 
- di chiedere in limine litis la trasportazione della controversia nella sede giurisdizionale e quella 
di impugnare presso il giudice amministrativo la decisione del ricorso per vizi di forma o di procedimento, 
nonch� l�estensione allo stesso ricorso straordinario del rimedio della revocazione e dell�azione 
giudiziaria di fronte al giudice ordinario. 
Se la previsione di tali garanzie, come ha riconosciuto questa Corte (sentenza n. 78/1986), rende il ricorso
250 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2015 
Su un versante diametralmente opposto si collocavano, invece, quanti 
erano convinti (ancora prima della riforma del 2009) che il ricorso straordinario 
al Presidente della Repubblica presentasse degli elementi che, se valutati 
con la massima acribia, palesavano la indole giurisprudenziale del rimedio disciplinato 
dal D.P.R. n. 1199/1971. I commentatori persuasi della stretta rassomiglianza 
esistente tra il ricorso straordinario e quello giurisdizionale erano 
giunti sino al punto di affermare che il �ricorso giurisdizionale altro non � che 
il perfezionamento di quello straordinario� (21). Deducevano, quindi, tutta 
una serie di argomentazioni che, almeno da un punto di vista quantitativo, 
erano tutt�altro che inferiori rispetto a quelle propugnate da coloro che sostenevano 
la tesi amministrativa. Principalmente, ritenevano che, alla stregua del 
processo, anche il procedimento instaurantesi a seguito della proposizione del 
ricorso straordinario, assicurava alle parti un�ampia garanzia del principio del 
contraddittorio, quale �possibilit� di far valere (mediante antitesi dialettica) 
un diritto dinanzi ad una autorit� coi mezzi offerti in generale dall�ordinamento 
giuridico� (22). Ci� che poteva desumersi - ad avviso di costoro - tanto dalla 
circostanza che il ricorso doveva essere notificato, a pena di inammissibilit�, 
straordinario non incompatibile con l�art. 113 Cost., non pu� tuttavia comportare l�effetto di integrarlo 
nel sistema di tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi legittimi verso gli atti della Pubblica Amministrazione 
facente capo allo stesso art. 113. Tantomeno ci� appare sostenibile ove si voglia alludere a 
una pretesa costituzionalizzazione del ricorso straordinario, considerato che attualmente � nella piena libert� 
del legislatore ordinario stabilire una disciplina positiva sostanzialmente diversa da quella vigente 
oppure conservare intatta quella attuale o, finanche, decretare l�abolizione dell�istituto stesso. In realt�, 
il ricorso straordinario al Presidente della Repubblica, come da tempo riconoscono senza contrasto alcuno 
da giurisprudenza e dottrina, � un procedimento amministrativo di secondo grado, attivabile su ricorso 
dei singoli interessati, di carattere spiccatamente contenzioso ed avente ad oggetto atti amministrativi definitivi: 
si tratta, dunque, di un atto amministrativo, le cui singolari peculiarit� non possono comunque 
indurre l�interprete a configurarlo come una sorta di ircocervo giuridico. Sulla base dei caratteri appena 
descritti risulta chiaramente come il ricorso straordinario, se non pu� essere minimamente assimilato ad 
atti di tipo giurisdizionale o �paragiurisdizionale�, non pu� tuttavia essere definito neppure come atto di 
amministrazione attiva. �, certo, vero che la decisione del ricorso � giuridicamente imputabile ad un organo 
politico-amministrativo, mentre l�intervento del Consiglio di Stato � pur sempre costituito da un 
parere, che, anche se rappresenta normalmente il contenuto della decisione, � comunque, dal punto di 
vista giuridico, espressione di una funzione consultiva obbligatoria, ma non vincolante. Ed � altrettanto 
vero che questo carattere appare addirittura accentuato nel caso, in verit� di rarissima evenienza, in cui 
gli organi di governo intendano discostarsi dal parere del Consiglio di Stato e adottino in conseguenza 
un�apposita deliberazione del Consiglio dei Ministri, vale a dire una decisione dell�organo supremo di 
direzione politico-amministrativa. Tuttavia, tanto nella sua forma pi� comune quanto sotto specie di autotutela 
(comՏ nel caso dell�annullamento d�ufficio del governo a norma dell�art. 6 1. com. e prov.), 
l�amministrazione attiva � caratterizzata nella sua essenza dal perseguimento degli specifici fini e dalla 
soddisfazione dei particolari interessi che la legge attribuisce alle singole amministrazioni pubbliche�. 
(21) ALESSI R., Sistema istituzionale del diritto amministrativo italiano, Milano, 1953, p. 626. 
(22) C. Cost., 22 dicembre 1961, n. 70, in www.cortecostituzionale.it In dottrina, sulla portata del 
principio del contraddittorio nel diritto amministrativo si v: MIGLIORINI L., Il contraddittorio nel processo 
amministrativo, Rimini, 1984; MERUSI F., Il principio del contraddittorio nel diritto amministrativo, in 
Dir. proc. amm., I, 1985, pp. 6 ss.; FIGORILLI F., Il contraddittorio nel procedimento amministrativo (dal 
processo al procedimento con pluralit� di parti), Napoli, 1997; SATTA F., Contraddittorio e partecipazione 
nel procedimento amministrativo, in Dir. amm., II, 2010, pp. 299 ss.
CONTRIBUTI DI DOTTRINA 251 
ad almeno uno dei controinteressati, ai quali, diversamente dalla logica del ricorso 
gerarchico per il quale la mancata notifica non � sanzionata con la inammissibilit�, 
veniva riconosciuta la possibilit� di presentare deduzioni e 
memorie, quanto dal potere riconosciuto al Ministero competente di ordinare 
l�integrazione del contraddittorio per la ipotesi in cui la parte ricorrente avesse 
notificato l�atto introduttivo solo ad alcuni controinteressati. 
Ulteriori �indice di giurisdizionalit�� venivano poi individuati: a) nella 
riconosciuta possibilit� per i controinteressati di impugnare il decreto decisorio 
dinanzi al Consiglio di Stato al fine di dedurre la esistenza di �vizi di 
forma o di procedimento�, ma anche di �vizi di carattere sostanziale derivanti 
dal fatto che la loro ingiustificata pretermissione avesse costituito un impedimento 
oggettivo alla formulazione della richiesta di trasposizione giurisdizionale
� (23); b) nella possibilit� di proporre avverso il decreto decisorio un 
tipico mezzo di impugnazione dei provvedimenti giurisdizionali, quale la revocazione 
e; c) nella invocabilit� della tutela cautelare nelle more del �procedimento 
principale� in virt� di quanto previsto dall�art. 3, comma 4 della 
Legge del 21 luglio 2005, n. 205, recante �Disposizioni in materia di giustizia 
amministrativa�. � noto che tale legge, nel recepire una prassi inaugurata 
dall�Adunanza Generale del Consiglio di Stato (24), ha previsto che �nell�ambito 
del ricorso straordinario al Presidente della Repubblica pu� essere 
concessa, a richiesta del ricorrente, ove siano allegati danni gravi e irreparabili 
derivanti dall�esecuzione dell�atto, la sospensione dell�atto medesimo. La sospensione 
� disposta con atto motivato del Ministero competente, su conforme 
parere del Consiglio di Stato� (25). 
(23) VACIRCA G., Decisione di ricorso straordinario e vizi deducibili in sede giurisdizionale del 
controinteressato pretermesso, in Foro amm. - TAR, V, 1986, p. 1750. 
(24) Cons. St., ad. gen., 24 settembre 1936, n. 236, in Foro amm., I, pp. 60 ss. 
(25) Sulle specifiche connotazioni procedurali che assume la tutela cautelare nell�ambito del procedimento 
che si instaura sul ricorso straordinario al Presidente della Repubblica si v: Cons. St., comm. 
spec., 28 aprile 2009, n. 920, in www.giustizia-amministrativa.it, ove si � affermato che �in sede di ricorso 
straordinario, al fine di rendere compatibile l�urgenza di provvedere sulla domanda cautelare con 
la tutela dell�Amministrazione e dei contro interessati, il collegio: a) accerta preliminarmente se la domanda 
cautelare � assistita dai prescritti requisiti del �periculum in mora� e del danno grave ed irreparabile; 
b) nel caso di sussistenza dei prescritti requisiti adotta una deliberazione cautelare provvisoria, 
che diventa definitiva se il Ministero competente od una qualsiasi delle parti non ne chieda il riesame 
entro il termine di 60 giorni (in analogia all�identico termine previsto dall�art. 9, comma 4, d.P.R. n. 
1199/1971), e nella quale si preannuncia il rinvio del ricorso a data fissa per l�esame del merito una 
volta decorso un ulteriore termine di 120 giorni (per consentire eventuali domande d�accesso o la presentazione 
e lo scambio tra le parti di eventuali memorie, motivi aggiunti o ricorsi incidentali, ovvero 
la predisposizione della relazione ministeriale); c) nel caso di riesame, adotta una deliberazione cautelare 
definitiva, contenente la fissazione della data per l�esame di merito; d) dispone la trasmissione immediata 
(senza passare attraverso il Segretariato Generale) della deliberazione cautelare dalla sezione al Ministero 
competente mandando alla segreteria di pubblicare il parere sul sito istituzionale del Consiglio di Stato; 
e) in analogia con quanto previsto per il ricorso giurisdizionale, deve ritenersi consentita anche l�emanazione 
di altre misure cautelari provvisorie�. 
252 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2015 
Orbene, in un contesto all�interno del quale esistevano elementi di incertezza 
ed evanescenza normativa era pi� che prevedibile (e peraltro lecita) la 
elaborazione di opzioni ermetiche plurime e antitetiche. E poich� la disputa 
concernente la natura giuridica da accordare al ricorso straordinario al Presidente 
della Repubblica (amministrativa ovvero giurisdizionale) non assumeva 
soltanto un rilievo meramente teorico, ma, al contrario, finiva con l�atteggiarsi 
come il punto d�origine di tutta una serie di questioni di indubbia portata pratica, 
� stato presto auspicato, da pi� parti, un intervento del legislatore nazionale 
che potesse chiarire, risolutivamente, quale fosse la natura giuridica di 
un rimedio che, per la sua alternativit� rispetto al ricorso giurisdizionale, non 
poteva continuare ad essere regolato - anche al fine di scongiurare tutti quei 
ributtanti fenomeni di abuso connessi alla incertezza del diritto - da una disciplina, 
sotto alcuni aspetti, troppo approssimativa. 
3. La �canonizzazione giurisdizionale� del ricorso straordinario per effetto 
dell�entrata in vigore dell�art. 69 della L. n. 69/2009 e della giurisprudenza 
successiva alla novella normativa. 
Gli auspici di una riforma idonea ad offrire indicazioni �nette� e �precise
� sulla natura giuridica del ricorso straordinario al Presidente della Repubblica 
non sono rimasti inevasi. Il legislatore si � determinato, invero, ad 
incidere sull�originario assetto del D.P.R. n. 1199/1971 con una novella che 
ha modificato, profondamente, alcuni delle indefettibili connotazioni del rimedio 
straordinario. Ritenendo di dover accordare preferenza alle discettazioni 
argomentative sviluppate da quella dottrina che era nel senso di 
affermare la natura giurisdizionale del ricorso straordinario, � stata attuata 
una riforma con la quale sono stati soppressi i due attributi sino ad allora concepiti 
(dall�impostazione imperante) come principali ostacoli alla giurisdizionalizzazione 
del ricorso straordinario: la natura parzialmente vincolante 
del parere reso dal Consiglio di Stato e la impossibilit� di sollevare questioni 
di legittimit� costituzionale. 
Un siffatto radicale mutamento di prospettiva si � registrato - come oramai 
noto - per il tramite dell�art. 69 della L. n. 69/2009. Con questa norma � stata, 
innanzitutto, modificata la sostanza del parere reso in sede consultiva dal Con- 
Peraltro, sempre la giurisprudenza amministrativa ha riconosciuto la necessit� di riconoscere il diritto 
alla tutela cautelare anche al ricorrente incidentale; Cons. St., ad. gen., 8 febbraio 1990, n. 16, in Foro 
amm., II, 1990, pp. 270 ss., ha disposto che Ǐ meritevole di apprezzamento nel disegno di legge delega 
sul processo amministrativo la previsione (art. 1 comma 3 lett. w) n. 8) che estende anche al procedimento 
paragiustiziale straordinario la tutela cautelare, salva la necessit� di precisare che detta tutela 
possa essere esercitata anche dal ricorrente incidentale�. Nella dottrina si rinvia, tra i diversi contributi, 
a: ROHERSSEN G., La sospensione dell�esecuzione dei provvedimenti impugnati con ricorso straordinario, 
in Arch. ric. giur., 1948, pp. 786; GALLO C.E., La sospensione dell�esecuzione del provvedimento impugnato 
nel ricorso straordinario (Nota a Cons. St. comm. spec., 3 maggio 1991, n. 16), in Dir. proc. 
amm., III, 1993, pp. 548 ss.
CONTRIBUTI DI DOTTRINA 253 
siglio di Stato a seguito della richiesta formulata dal Ministro ratione materiae. 
Per vero, in precedenza il parere del supremo Consesso della giustizia amministrativa 
era obbligatorio ma non vincolante: il Ministro competente doveva, 
necessariamente, richiederlo, bench� le indicazioni formulate dal giudice amministrativo 
potevano essere superate da una diversa volont� politica, per via 
del fatto che appariva ineludibile che �l�art. 14, primo comma del D.P.R., n. 
1199 del 1971, stabilendo che, ove il Ministro competente intenda proporre (al 
Presidente della Repubblica) una decisione difforme dal parere del Consiglio 
di Stato, deve sottoporre l�affare alla deliberazione del Consiglio dei ministri, 
lascia desumere che il decreto presidenziale, per la natura dell�organo da cui 
promana, non � giurisdizionale� (26). La disciplina attuale della �decisione del 
ricorso straordinario� � contenuta in un�articolo 14 del D.P.R. n. 1199/1971 
completamente riscritto dall�art. 69 della L. n. 69/2009, il quale stabilisce che 
�la decisione del ricorso straordinario � adottata con decreto del Presidente 
della Repubblica su parere conforme del Consiglio di Stato�. Il tenore letterale 
dell�inciso �conforme al parere del Consiglio di Stato� sembrerebbe aver 
escluso, ictu oculi, qualsiasi possibilit� per il Ministro competente di adottare 
un decisione discorde rispetto a quanto indicato dal giudice amministrativo. 
Oltretutto, sempre l�art. 69 della L. n. 69/2009 ha introdotto nell�art. 13 
del D.P.R. n. 1199/1971 la espressa legittimazione del Consiglio di Stato a sollevare, 
anche nell�ambito del procedimento sul ricorso straordinario, questione 
di legittimit� costituzionale che non risulti manifestamente infondata. Le due 
modificazioni apportate dalla novella del 2009 sono collegate indissolubilmente 
l�una all�altra. � fuor d�ogni dubbio che la legittimazione del Consiglio 
di Stato a sollevare questione di legittimit� costituzionale si profila, invero, 
come una inevitabile conseguenza della sopravvenuta vincolativit� del suo 
parere, la quale, ha fatto in modo che la decisione sui ricorsi straordinari, ancorch� 
formalmente presidenziale, si atteggi a provvedimento sostanzialmente 
imputabile al giudice amministrativo. La pi� attenta dottrina ha affermato che 
la riconosciuta possibilit� per il Consiglio di Stato di sollevare questione di 
legittimit� costituzionale in sede di ricorso straordinario determina �l�insorgere 
di un nuovo giudice a quo� (27). Dalla originaria negazione della legittima- 
(26) C. Cost., 28 luglio 2004, n. 254, in www.cortecostituzionale.it. Interessanti spunti di riflessione 
si rinvengono, sia pure incidentalmente, in: MANGIAA., Accesso alla Corte, pareri vincolanti, pareri 
decisori. La decostituzionalizzazione dell�art. 137 Cost., in Quad. cost., II, 2014, pp. 1481 ss. 
(27) In questo senso: FURNO E., La Corte costituzionale e le sezioni consultive del Consiglio di 
Stato in sede di ricorso straordinario al Capo dello Stato: l'insorgere di un nuovo giudice a quo!, in 
Forum quad. cost., 2015, pp. 1 ss. Per alcune riflessioni svolte, sullo stesso argomento, prima della riforma 
del 2009, si v.: ESPOSITO M., Ricorso straordinario al Presidente della Repubblica e giudizio incidentale 
di legittimit� costituzionale: anacronismi decisori del giudice delle leggi, in Giur. cost., 2004, 
pp. 2249 ss., POZZI A., Ricorso straordinario al Capo dello Stato e principi costituzionali, in Rass. Cons. 
St., 2005, I, pp. 589 ss.; DIMODUGNO N., Ricorso straordinario e incidente di legittimit� costituzionale: 
un problema risolto?, in Dir. proc. amm., II, 2005, pp. 779 ss.
254 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2015 
zione a rimettere gli atti alla Corte costituzionale si faceva discendere, infatti, 
la impossibilit� di qualificare il Consiglio di Stato (in sede di parere sul ricorso 
straordinario) come una giurisdizione. Questo, nonostante la giurisprudenza 
europea avesse gi� avuto modo di affermare che �il Consiglio di Stato anche 
quando emette un parere nell�ambito di un ricorso straordinario costituisce 
una giurisdizione ai sensi dell�art. 177 del Trattato Ce, in ragione del fatto che 
la consultazione del Consiglio di Stato � obbligatoria e che il suo parere, esclusivamente 
basato sull�applicazione delle norme di legge, costituisce il progetto 
della decisione che verr� formalmente emanata dal Presidente della Repubblica 
italiana� (28). Nondimeno, la stessa Corte costituzionale, rendendosi autrice 
di �interpretazioni discriminatorie�, se da un lato era giunta ad attribuire 
la qualificazione di giudice a quo ad istituzioni che esercitavano funzioni paragiurisdizionali 
come quella esercitata dal Consiglio di Stato nel procedimento 
di cui al D.P.R. 1199/1971 (cio� la �Corte dei conti in sede di controllo 
preventivo degli atti del governo� (29), la �Sezione disciplinare del Consiglio 
(28) Corte giust. CE, 16 ottobre 1997, cause riunite da C-69/96 a C-79/96, Garofalo c. Ministero 
della Sanit�, in www.curia.europa.eu. 
(29) C. cost., 18 novembre 1976, n. 226, in www.cortecostituzionale.it, ove si legge che �al problema 
pregiudiziale della legittimazione della Sezione di controllo della Corte dei conti a proporre questioni 
di legittimit� costituzionale ai sensi dell�art. 1 della legge cost. 9 febbraio 1948, n. 1, e dell�art. 
23 della legge 11 marzo 1953, n. 87, deve darsi risposta affermativa, anche coerentemente con i criteri 
in precedenza enunciati ed applicati da questa Corte quanto ai requisiti necessari e sufficienti affinch� 
le questioni medesime possano considerarsi promananti da un �giudice� nel corso di un �giudizio� (art. 
1 legge cost. cit.). In presenza delle espressioni testuali adoperate in quest�ultima disposizione e della 
terminologia, letteralmente pi� restrittiva, della legge n. 87, la Corte, in tema di ammissibilit� di questioni 
sollevate in sede di volontaria giurisdizione, fin dalla sent. n. 4 del 1956 (seguita e confermata da numerose 
altre adottate in prosieguo di tempo) ebbe a dare di quelle disposizioni una interpretazione estensiva, 
rispondente alla ratio che informa il vigente sistema di sindacato di legittimit� costituzionale in 
via incidentale e consistente, essenzialmente, nella duplice esigenza: a) che tale sindacato non abbia ad 
esplicarsi in astratto, ma in relazione a concrete situazioni di fatto, alle quali siano da applicare norme 
di dubbia costituzionalit�; b) che i giudici, soggetti come sono esclusivamente alla legge (art. 101, secondo 
comma, Cost.), che ad essi � vietato disapplicare, non siano costretti ad emettere decisioni fondandosi 
su leggi della cui conformit� alla Costituzione abbiano motivo di dubitare, ma debbano, in tal 
caso, provocare una pronuncia di questa Corte, sospendendo frattanto il procedimento, quale che ne sia 
la natura. Giacch� �il preminente interesse pubblico della certezza del diritto (che i dubbi di costituzionalit� 
insidierebbero), insieme con l'altro della osservanza della Costituzione, vieta che dalla distinzione 
tra le varie categorie di giudizi e processi (categorie del resto dai contorni sovente incerti e contestati) 
si traggano conseguenze cos� gravi� (sent. n. 129 del 1957). Ed infatti, procedendo al controllo sugli 
atti del Governo, la Corte dei conti applica le norme di legge da cui questi sono disciplinati, ammettendoli 
al visto e registrazione, soltanto se ad esse conformi: di tal che, essendo strettamente vincolata dalle 
leggi in vigore, potrebb�essere costretta, in pratica, a rifiutare il visto quando l�atto contrasti con norme 
pur di dubbia costituzionalit�, o viceversa ad apporlo anche ove sia stato adottato sulla base e nel rispetto 
di norme, che siano, a loro volta, di dubbia costituzionalit�. Nell�una e nell�altra ipotesi, la situazione �, 
dunque, analoga a quella in cui si trova un qualsiasi giudice (ordinario o speciale), allorch� procede a 
raffrontare i fatti e gli atti dei quali deve giudicare alle leggi che li concernono�. In dottrina, per un�analisi 
critica, si rimanda a: ONIDAV., Note critiche in tema di legittimazione del giudice �a quo� nel giudizio 
incidentale di costituzionalit� della legge (con particolare riferimento alla Corte dei conti in sede di 
controllo), in Giur. it., IV, 1968, pp. 232 ss.
CONTRIBUTI DI DOTTRINA 255 
superiore della magistratura� (30), i �Commissari per la liquidazione degli usi 
civici� (31), il �Consiglio nazionale forense in sede disciplinare� (32) e i �Collegi 
arbitrali negli arbitrati rituali� (33)), dall�altro lato era granitica nel negare, 
(30) C. cost., 2 febbraio 1971, n. 12, in www.cortecostituzionale.it, nella quale si legge che Ǐ 
sufficiente la constatazione, non controvertibile, che il legislatore, con espresse ed univoche statuizioni, 
ha conferito carattere giurisdizionale alla funzione ora esercitata dalla Sezione disciplinare del Consiglio 
superiore della magistratura. A tutela dell�indipendenza dei magistrati la legislazione vigente, riconfermando 
un principio che gi� aveva ricevuto applicazione nell�ordinamento democratico prefascista e che 
ancor pi� valida giustificazione trova nella posizione che all�ordine giudiziario nel suo complesso ed ai 
singoli suoi appartenenti riserva la Costituzione repubblicana - stabilisce che il procedimento disciplinare 
si svolga nelle forme e nei modi che sono tipici del processo, affinch� al provvedimento destinato ad incidere 
sullo stato dell'interessato, adottato con un atto che la legge definisce �sentenza� (cfr. la rubrica 
dell'art. 35 del r.d.l. n. 511 del 1946) e contro il quale � ammesso il ricorso alle Sezioni unite della Cassazione 
(art. 17, ultimo comma, legge 24 marzo 1958, n. 195), si addivenga con le garanzie che sono 
proprie e tipiche della funzione giurisdizionale. E non � senza rilievo la circostanza che il procedimento 
disciplinare a carico dei magistrati, a differenza dell�analogo procedimento a carico dei pubblici dipendenti, 
viene instaurato da un soggetto (dal Ministro della giustizia, secondo l�art. 107, secondo comma, 
Cost.; anche dal procuratore generale presso la Corte di cassazione, in base all�art. 14 della legge 24 
marzo 1958, n. 195), rispetto al quale il Consiglio superiore � collocato in posizione di assoluta estraneit� 
ed indipendenza�. 
(31) C. cost., 15 luglio 1959, n. 43, in www.cortecostituzionale.it. 
(32) C. cost., 6 luglio 1970, n. 114, in www.cortecostituzionale.it. In essa si afferma che �circa 
l�ordinanza del Consiglio nazionale forense, va anzitutto riconosciuto che il rinvio a questa Corte risulta 
disposto nel corso di un giudizio davanti ad autorit� giurisdizionale come prescrive l'art. 23 della legge 
n. 87 del 1953. Questa Corte, con decisione n. 110 del 1967 ha ritenuto che, nei procedimenti disciplinari 
di cui agli artt. 38 e seguenti della legge n. 36 del 1934 sull�ordinamento delle professioni di avvocato 
e procuratore, il Consiglio nazionale, a differenza dei singoli Consigli dell�Ordine, svolge, quando � 
chiamato a decidere sui ricorsi contro i provvedimenti adottati da detti Consigli, funzione giurisdizionale 
per la tutela di un interesse pubblicistico, esterno e superiore a quello dell�interesse del gruppo professionale: 
il che pu� trovare conferma nella ricorribilit� contro le decisioni del Consiglio nazionale alle 
Sezioni unite della Corte di cassazione. Uguale considerazione va fatta per i giudizi che si svolgono davanti 
al Consiglio nazionale su ricorsi avverso provvedimenti dei Consigli dell�Ordine riguardanti la 
sospensione dell�esercizio professionale in base all�art. 261 del testo unico sulle imposte dirette. Vero 
che i Consigli dell'Ordine non sono chiamati, in questo caso, a differenza di quanto avviene nei comuni 
giudizi disciplinari, a valutare direttamente il comportamento del professionista e ad applicare eventualmente, 
a loro giudizio, la congrua sanzione, n� sono chiamati a dichiarare la sospensione di diritto 
secondo gli artt. 42 e 43 della legge professionale: bens� debbono far derivare il provvedimento da 
quanto �disposto� dall'Amministrazione finanziaria (art. 261 testo unico citato). Ci� tuttavia non toglie 
che, ove un gravame contro il provvedimento conseguenziale del Consiglio dell'Ordine sia portato all'esame 
del Consiglio nazionale, debba riconoscersi il carattere giurisdizionale sia alla sede adita, sia 
alle funzioni ivi esercitate. Al Consiglio nazionale � sempre attribuita, in questa fase conclusiva dello 
speciale iter disciplinare, un notevole margine di giudizio, destinato al controllo se gli effetti costitutivi 
del provvedimento sanzionatorio siano stati conseguiti dal punto di vista della legittimit� della procedura, 
con obbiettiva applicazione della legge. In questo controllo di legittimit� si sostanzia un potere decisorio 
e quindi, conseguentemente, il carattere giurisdizionale della funzione, esercitata con l�effetto di rendere 
ammissibile la proposizione di questioni di costituzionalit� delle norme da applicare�. 
(33) C. cost., 28 novembre 2011, n. 376, in www.cortecostituzionale.it, nella quale si � stabilito 
che �ai limitati fini che qui interessano, e senza addentrarsi nella complessa problematica relativa alla 
natura giuridica dell'arbitrato rituale, basta osservare che l�arbitrato costituisce un procedimento previsto 
e disciplinato dal codice di procedura civile per l�applicazione obiettiva del diritto nel caso concreto, ai 
fini della risoluzione di una controversia, con le garanzie di contraddittorio e di imparzialit� tipiche della 
giurisdizione civile ordinaria. Sotto l�aspetto considerato, il giudizio arbitrale non si differenzia da quello
256 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2015 
anche se solo implicitamente, la possibilit� che il giudice d�appello della giustizia 
amministrativa potesse sollevare questione di legittimit� costituzione in 
sede di ricorso straordinario. Ci� in virt� del dato che l�art. 1 della Legge costituzionale 
del 9 febbraio 1948, n. 1 ammette la possibilit� di sollevare la questione 
di legittimit� costituzionale soltanto �nel corso di un giudizio�; un 
�giudizio � del quale, nel caso del ricorso straordinario al Presidente della Repubblica, 
si riteneva dovesse escludersi. Certo � che, ove non � giunto il formante 
giurisprudenziale, � comunque arrivato il legislatore, il quale, 
sgomberando il campo da ogni dubbio, ha fatto in modo che la vincolativit� 
del parere del Consiglio di Stato divenisse la �chiave che consente di spalancare, 
anche per il rimedio straordinario, le porte del cielo� (34): id est l�ingresso 
del Consiglio di Stato (nell�esercizio della funzione consultiva sul 
ricorso straordinario) nel �paradiso� dei giudici a quo, autorizzati ad interloquire 
(incidentalmente) con la Corte costituzionale. 
Dall�entrata in vigore della L. n. 69/2009 all�assestamento della giurisprudenza 
verso il riconoscimento del carattere giurisdizionale del ricorso straordinario, 
il passo � stato breve. Nonostante continui a resistere una sofisticata 
impostazione dottrinale e giurisprudenziale, secondo la quale �il ricorso straordinario 
al Presidente della Repubblica, quale mezzo di tutela che si aggiunge 
alla tutela giurisdizionale, e costituisce anche mezzo di deflazione del contenzioso 
amministrativo che i costituenti vollero mantenere con la previsione del 
primo comma dell�art. 100 Cost., ha mantenuto la sua originaria natura e peche 
si svolge davanti agli organi statali della giurisdizione, anche per quanto riguarda la ricerca e l�interpretazione 
delle norme applicabili alla fattispecie. Il dubbio sulla legittimit� costituzionale della legge 
da applicare non � diverso, in linea di principio, da ogni altro problema che si ponga nell�itinerario 
logico del decidente al fine di pervenire ad una decisione giuridicamente corretta: anche le norme costituzionali, 
con i loro effetti eventualmente invalidanti delle norme di legge ordinaria con esse contrastanti, 
fanno parte del diritto che deve essere applicato dagli arbitri i quali - come ogni giudice - sono 
vincolati al dovere di interpretare le leggi secundum Constitutionem. In un assetto costituzionale nel 
quale � precluso ad ogni organo giudicante tanto il potere di disapplicare le leggi, quanto quello di definire 
il giudizio applicando leggi di dubbia costituzionalit�, anche gli arbitri - il cui giudizio � potenzialmente 
fungibile con quello degli organi della giurisdizione - debbono utilizzare il sistema di sindacato 
incidentale sulle leggi. La tesi della sospensione del giudizio arbitrale al fine di consentire alle parti di 
sottoporre il dubbio di legittimit� costituzionale al giudice ordinario, � solo apparentemente coerente 
con la disciplina dettata dall�art. 819 cod. proc. civ. in tema di questioni incidentali. La norma codicistica, 
infatti, postula che - una volta sospeso il procedimento arbitrale - il giudice competente adito dalle parti 
decida la questione incidentale; mentre, nel caso della questione di costituzionalit�, al giudice ordinario 
sarebbe demandato solo il compito di reiterare la valutazione di rilevanza e di non manifesta infondatezza, 
gi� effettuata dagli arbitri, al fine di sollevare davanti a questa Corte una questione pregiudiziale 
rispetto ad una decisione di merito che non spetta al giudice medesimo ma agli arbitri. Conclusivamente, 
dunque, va affermato, alla luce della richiamata giurisprudenza di questa Corte, che anche gli arbitri rituali 
possono e debbono sollevare incidentalmente questione di legittimit� costituzionale delle norme 
di legge che sono chiamati ad applicare, quando risulti impossibile superare il dubbio attraverso l�opera 
interpretativa�. 
(34) ESPOSITO M., Si aprono le �porte del cielo�: dall�arbitrato al ricorso straordinario al Presidente 
della Repubblica?, in Giur. cost., VI, 2001, pp. 3757 ss.
CONTRIBUTI DI DOTTRINA 257 
culiarit� di rimedio amministrativo, al quale le recenti innovazioni legislative 
hanno attribuito una maggiore forza� (35), l�indirizzo maggioritario ha optato 
per la natura giurisdizionale; ci� che vale per tutte le giurisdizioni: Corte di 
Cassazione, Consiglio di Stato e Corte costituzionale. Per quanto riguarda la 
giurisprudenza di legittimit�, le Sezioni Unite hanno chiarito che �il ricorso 
straordinario ha natura sostanzialmente giurisdizionale e non ostano a tale riconoscimento 
le persistenti peculiarit� che il rimedio in esame presenterebbe 
rispetto all�ordinario processo amministrativo, con precipuo riferimento al perimetro 
delle azioni esperibili, alle forme di esplicazione del contraddittorio, 
alle modalit� di svolgimento dell�istruttoria e al novero dei mezzi di prova acquisibili
� (36). Ad analoghe conclusioni � giunta oltre all�Adunanza Plenaria 
del Consiglio di Stato, secondo la quale deve essere riconosciuta prevalenza 
�all�orientamento che riconosce la natura sostanzialmente giurisdizionale del 
ricorso straordinario e dell�atto terminale della relativa procedura, in tal senso 
deponendo le ultime novit� normative che hanno interessato l�istituto e, in 
particolare, assumendo rilievo decisivo lo �ius superveniens� che ha attribuito 
carattere vincolante al parere del Consiglio di Stato con il connesso riconoscimento 
della legittimazione dello stesso Consiglio a sollevare, in detta sede, 
questione di legittimit� costituzionale� (37), anche la pi� recente giurisprudenza 
costituzionale, la quale ha rilevato che il ricorso straordinario al Presi- 
(35) Cons. St., Sez. I, 31 luglio 2014, n. 1033, in www.giustizia-amministrativa.it, nel quale viene, 
ulteriormente, specificato che �la nuova qualificazione della natura dell�istituto, cio� la sua dichiarata 
giurisdizionalizzazione, non rappresenterebbe un accrescimento della tutela complessiva e impoverirebbe 
il sistema delle tutele nell�ordinamento. L�estendersi della giurisdizionalizzazione nell�ordinamento, di 
per s�, non pu� ritenersi elemento positivo�. 
In dottrina, ad analoghe considerazioni critiche, giungono anche: D�ANGELO G., La c.d. giurisdizionalizzazione 
del ricorso straordinario al presidente della repubblica: profili critici di un orientamento che 
non convince, in www.giustamm.it, 2013; ID., Consiglio di Stato e �giurisdizionalizzazione� del ricorso 
straordinario, in Foro it., III, 2012, pp. 532 ss.; SCOCA F.G., Osservazioni sulla natura del ricorso straordinario 
al capo dello Stato, in Giur. it., 2013, pp. 2374 ss.; TRAVI A., La �giurisdizionalizzazione� del 
ricorso straordinario, in Foro it., III, 2013, pp. 483 ss. 
(36) Cass., SS. UU., 14 maggio 2014, n. 14014, in Riv. telematica �Nel diritto�, 2014. 
(37) Cons. St., ad. plen., 6 maggio 2013, n. 9, in Foro amm. - CdS, V, 2013, pp. 1169 ss., nella 
quale � possibile leggere, specificamente, che �lo sviluppo normativo riguardante la disciplina del ricorso 
straordinario (v. in particolare l�art. 3, comma 44, della legge 21 luglio 2000, n. 205, il quale ha previsto 
che, nell�ambito del ricorso straordinario al Presidente della Repubblica, pu� essere concessa, a richiesta 
del ricorrente, ove siano allegati danni gravi e irreparabili, la sospensione dell�atto impugnato; ma v. 
anche l�art. 69 della legge 18 giugno 2009, n. 69, il quale prevede la possibilit� di sollevare q.l.c. nell�ambito 
del procedimento di decisione del ricorso straordinario e l�art. 7, comma 8, del codice del processo 
amministrativo, di cui al d.lg. 2 luglio 2010, n. 104, il quale ha stabilito che il ricorso straordinario 
� ammissibile unicamente per le controversie devolute alla giurisdizione amministrativa) depone nel 
senso dell�assegnazione al decreto presidenziale emesso, su conforme parere del Consiglio di Stato, 
della natura sostanziale di decisione di giustizia e, quindi, di un carattere sostanzialmente giurisdizionale; 
ne deriva il superamento della linea interpretativa tradizionalmente orientata nel senso della natura amministrativa 
del decreto presidenziale, seppure contrassegnata da profili di specialit� tali da segnalare la 
contiguit� alle pronunce del g.a.�.
258 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2015 
dente della Repubblica �ha perduto la propria connotazione puramente amministrativa 
ed ha assunto la qualit� di rimedio giustiziale amministrativo, con 
caratteristiche strutturali e funzionali in parte assimilabili a quelle tipiche del 
processo amministrativo� (38). Del resto, il carattere giurisdizionale del ricorso 
straordinario � stato ulteriormente accentuato da varie disposizione del 
Codice del processo amministrativo; tra le quali la pi� significativa appare 
l�art. 7, comma 8 cod. proc. amm. che, nel recare la definizione e l�ambito generale 
della giurisdizione amministrativa, ha stabilito che il ricorso straordinario 
� ammissibile unicamente per le controversie devolute alla giurisdizione 
amministrativa e quindi nelle materie in cui il giudice amministrativo ha giurisdizione; 
cos� che la giurisdizione diventa generale presupposto di ammissibilit� 
del ricorso straordinario, non diversamente che per il ricorso ordinario 
al giudice amministrativo. 
Ecco che allora, alla luce delle intervenute modifiche legislative, e in aderenza 
alle conseguenti elaborazioni della dottrina e della giurisprudenza, se 
ne ricava che nell�attuale sistema della giustizia amministrativa � consentito 
alle parti (dietro accordo ovvero in mancanza di opposizione da parte dei soggetti 
notificatari del ricorso) di potersi liberamente avvalere di uno strumento 
di tutela alternativo rispetto al processo, ma pur sempre correlato ad esso, dal 
quale discende la celebrazione di una procedura in unico grado che culmina 
nell�adozione di un decreto presidenziale che recepisce in toto il parere reso 
dal Consiglio di Stato al fine della composizione della vicenda controversa. 
4. Il rimedio dell�ottemperanza avverso i decreti presidenziali. 
La questione che attiene alla natura giuridica del ricorso straordinario e 
del decreto presidenziale con il quale si conchiude la relativa procedura assume 
- lo si � gi� detto - una pregnante rilevanza pratica. Per quanto in questa sede 
di stretto interesse, � doveroso dar conto che dalla qualificazione del ricorso 
straordinario nei termini di rimedio amministrativo ovvero di rimedio sostanzialmente 
giurisdizionale discende, in prima battuta, la idoneit� o meno del 
decreto presidenziale ad assumere quelli che sono i connotati propri di una 
decisione caratterizzata dal crisma della intangibilit� (propria del giudicato) 
e, in seconda battuta, la possibilit� o meno di avvalersi del rimedio dell�ottemperanza 
nella denegata ipotesi in cui la parte soccombente non dovesse 
conformarsi spontaneamente ad un decreto presidenziale ormai divenuto immodificabile. 
Sino a prima della riforma del 2009, il constante insegnamento 
giurisprudenziale muovendo dall�assunto che il �ricorso straordinario al Capo 
dello Stato � espressamente ricompreso dal legislatore tra i rimedi di carattere 
amministrativo e, quindi, pur differenziandosi la sua disciplina per aspetti non 
irrilevanti da quella dettata per gli altri ricorsi amministrativi, non lo si pu� 
(38) C. cost., 2 aprile 2014, n. 73, in www.cortecostituzionale.it.
CONTRIBUTI DI DOTTRINA 259 
comunque ritenere di natura giurisdizionale�, giungeva ad affermare che il 
�decreto che provvede sul ricorso straordinario al Capo dello Stato, pur ponendosi 
al di fuori dell�ordine gerarchico della p.a. e su un piano alternativo 
rispetto alla tutela giurisdizionale, non pu� essere assimilato ai provvedimenti 
per i quali, ove rimasti ineseguiti, pu� essere esperito ricorso giurisdizionale 
in sede di ottemperanza� (39). 
Con le modifiche apportate nel 2009 alla disciplina del ricorso straordinario 
� venuto a mutare tutto. Alla riconosciuta natura sostanzialmente giurisdizionale 
del rimedio ha fatto seguito anche un mutamento di prospettiva 
quanto alla esecutoriet� dei decreti presidenziali; si � cos� affermato, con non 
indifferente eleganza stilistica, che �la qualificazione della decisione sul ricorso 
straordinario come decisione di giustizia inquadrabile nel sistema della 
giurisdizione amministrativa conduce al precipitato indefettibile della collocazione 
del decreto che definisce il ricorso al Capo dello Stato, reso in base 
al parere obbligatorio e vincolante del Consiglio di Stato, nel novero dei provvedimenti 
del giudice amministrativo, di cui alla lett. b) dell�art. 112, comma 
2, cod. proc. amm., con la conseguenza che il ricorso per l�ottemperanza deve 
essere proposto, ai sensi dell�art. 113, comma 1, del codice, dinanzi allo stesso 
Consiglio di Stato, nel quale si identifica il giudice che ha emesso il provvedimento 
della cui ottemperanza si tratta� (40). Oggi, quindi, non � dubbio 
che i decreti presidenziali con i quali viene conclusa la procedura che si instaura 
a seguito della proposizione del ricorso straordinario al Presidente della 
Repubblica, essendo attribuito alla paternit� del Consiglio di Stato (quale inevitabile 
effetto della vincolativit� del suo parere) viene fatto rientrare negli 
�altri provvedimenti esecutivi del giudice amministrativo� suscettibili di formare 
oggetto di un�azione di ottemperanza ex art. 112, comma 2, lett. b) cod. 
proc. amm. 
(39) In questo senso: Cass. SS.UU., 18 dicembre 2001, n. 15978, in Riv. amm. Rep. It., 2002, pp. 
229 ss., nonch� Cons. St., Sez. IV, 4 giugno 2009, n. 3463, in www.giustizia-amministrativa.it, nella 
quale, molto lapidariamente, si � affermato che Ǐ inammissibile il ricorso per ottemperanza proposto 
al fine di ottenere l�esecuzione del decreto che ha deciso un ricorso straordinario al Capo dello Stato�. 
(40) Cons. St., Sez. III, 28 ottobre 2013, n. 5162, in www.giustizia-amministrativa.it. Pi� di recente 
anche Cons. St., Sez. III, 24 novembre 2015, n. 5341, in Red. Giuffr�, 2015, ove si legge che �il ricorso 
straordinario al Presidente della Repubblica, in virt� del nuovo assetto normativo, ha natura sostanzialmente 
giurisdizionale in modo da assicurare un grado di tutela non inferiore a quello conseguibile agendo 
giudizialmente; dalla premessa della qualificazione del decreto decisorio, che definisce la procedura innescata 
dalla proposizione del ricorso straordinario come decisione di giustizia avente natura sostanzialmente 
giurisdizionale, si trae il duplice corollario dell�ammissibilit� del ricorso per ottemperanza al 
fine di assicurare l�esecuzione del decreto presidenziale e del radicamento della competenza in unico 
grado del Consiglio di Stato alla stregua del combinato disposto degli artt. 112 comma 2 lett. b) e 113 
comma 1, c.p.a. Il riconoscimento della competenza in unico grado del Consiglio di Stato anche in sede 
di ottemperanza scongiura l�anomalia logica della previsione di un giudizio di esecuzione in doppio 
grado finalizzato all�attuazione di uno iussum iudicis perfezionatosi all'esito di un giudizio semplificato 
in grado unico�.
260 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2015 
Quella della ammissibilit� del rimedio dell�ottemperanza anche per i decreti 
presidenziali che decidono sui ricorsi straordinari al Presidente della Repubblica 
� una soluzione che si pone in perfetta linea di corrispondenza con le indicazioni 
promananti dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell�Uomo. La 
Corte di Strasburgo, infatti, sul presupposto della irrefutabile �intangibilit� delle 
decisioni finali di giustizia rese da un�autorit� che non fa parte dell�ordine giudiziario
� (41) e sulla base della considerazione che �l�esecuzione di una sentenza 
o di una qualsiasi altra decisione deve essere considerata come facente parte integrante 
del �processo� ai sensi dell�art. 6 CEDU� (42), ha stabilito che si deve 
ammettere l�azione di esecuzione in relazione a una decisione di giustizia, quale 
indefettibile seconda fase della lite definita. E se questo era vero quando il decreto 
presidenziale sul ricorso straordinario si configurava come un �ircocervo giuridico 
che non pu� essere minimamente assimilato ad atti di tipo giurisdizionale 
o paragiurisdizionale� (43), diviene ancora pi� �giusto� ora che il provvedimento 
presidenziale, lungi dal rientrare nel novero di non meglio specificate decisioni 
di giustizia adottate da autorit� non faceti parte dell�ordine giudiziario, deve 
essere ricondotto tra i provvedimenti del giudice amministrativo. 
5. La negata ottemperabilit� dei decreti presidenziali adottati in epoca anteriore 
alla L. n. 68/2009: la decisione dell�Adunanza Plenaria n. 15/2015. 
La coattiva esecuzione (rectius, ottemperanza) dei decreti presidenziali 
adottati nell�epoca in cui il parere del Consiglio di Stato era obbligatorio (cio� 
dopo l�entrata in vigore dell�art. 69 della L. n. 69/2009) costituisce ormai, in 
dottrina come in giurisprudenza, ius receptum. Il problema si pone, piuttosto, 
con riferimento a tutti quei decreti presidenziali che, essendo attribuibili alla 
paternit� del Ministro competente, non possano essere considerati provvedimenti 
sostanzialmente giurisdizionali. Qual � la sorte di questi ultimi? � forse 
proponibile il rimedio dell�ottemperanza allorch� la p.a. non si conformi, spontaneamente, 
al loro contenuto dispositivo? Sulla questione � stato rilevato un 
contrasto giurisprudenziale che ha indotto la Quarta Sezione del Consiglio di 
Stato (44) a rimettere la soluzione dell�empasse all�Adunanza Plenaria. 
(41) C. Edu, 16 dicembre 2006, causa Murevich c. Croazia, in www.osseratoriocedu.it. 
(42) C. Edu, 16 ottobre 2007, ric. n. 64215/01, causa De Trana c. Italia in www.giustizia.it, nella 
quale � dato leggere che �il diritto all�esecuzione di una decisione giudiziaria � uno degli aspetti del diritto 
d�accesso alla giustizia. Tale diritto non � assoluto e per la sua stessa natura richiede una disciplina 
da parte dello Stato. Gli Stati contraenti godono in materia di un certo margine di valutazione. Spetta 
per� alla Corte decidere in ultima istanza sul rispetto delle esigenze della Convenzione. La situazione 
protratta di inadempimento della decisione giudiziaria costituisce una limitazione dell�effettivit� del diritto 
di accesso alla giustizia e le difficolt� amministrative che sarebbero derivate dal preteso comportamento 
negativo dei ricorrenti, non possono considerarsi come circostanze particolari atte a giustificare 
l�eccessivo protrarsi della mancata esecuzione della decisione giudiziaria favorevole ai ricorrenti�. 
(43) C. cost., 31 dicembre 1986, 298, in www.cortecostituzionale.it. 
(44) Cons. St., Sez. IV, 7 novembre 2014, n. 5506, in www.giustizia-amministrativa.it.
CONTRIBUTI DI DOTTRINA 261 
In effetti la possibilit� di ottenere la esecuzione coattiva delle decisioni 
assunte con i decreti presidenziali pronunciati, prima che entrasse in vigore 
l�art. 69 della L. n. 69/2009, su un ricorso straordinario � nel �fuoco� di due 
opposte teoretiche: una tesi negazionista ed una possibilista. 
Un primo orientamento, nella ferma convinzione di dover negare la portata 
retroattiva della riforma del 2009, � piegato nella convinzione della necessit� 
di escludere la esperibilit� del rimedio dell�ottemperanza avverso i 
decreti presidenziali emanati prima che intervenisse la novella legislativa del 
2009, con la quale � stata �canonizzata� la natura sostanzialmente giurisdizionale 
del ricorso straordinario e della decisione adottata all�esito della procedura 
che segue alla proposizione di questo rimedio. Pi� nello specifico, 
quanti sono persuasi della fondatezza di tale teoretica, nonostante riconoscano 
che, �pur non avendo la decisione sul ricorso straordinario originariamente 
una �funzione giurisdizionale�, una volta che il legislatore ordinario ne ha 
operato la revisione con la riforma del 2009, depurando il procedimento da 
ci� che non era compatibile con la �funzione giurisdizionale�, tale decisione, 
nella parte in cui prende come contenuto il parere del Consiglio di Stato, rientra 
a pieno titolo nella garanzia costituzionale dell�art. 103 Cost., comma 1, 
che fa salvi, come giudici speciali, il Consiglio di Stato e gli altri organi di 
giustizia amministrativa�, giungono alla conclusione che �la idoneit� alla formazione 
del giudicato da parte del decreto del Presidente della Repubblica, 
emesso all�esito del procedimento sul ricorso straordinario, va riconosciuta 
solo dal momento in cui tale procedimento ha assunto natura giurisdizionale� 
(45). Ne discende che nell�attuale sistema della giustizia amministrativa - 
come � stato acutamente rilevato dal Consiglio di Stato nell�ordinanza n. 5506 
del 2014 - � consentito distinguere due diverse tipologie di decreti presidenziali: 
quelli anteriori alla riforma del 2009 e quelli successivi ad essa. Mentre 
i decreti decisori resi prima dell�entrata in vigore della novella del 2009 sa- 
(45) Su questa posizione si attestata la giurisprudenza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione. 
Per vero, Cass., SS. UU., 6 settembre 2013, n. 20569, in Foro amm - CDS, 2013, pp. 2295, ha 
stabilito che �in tema di ricorso straordinario al Presidente della Repubblica, a seguito del mutamento 
del quadro normativo attuato con l�art. 69 della legge 18 giugno 2009, n. 69, e con l�art. 7 del d.lgs. 2 
luglio 2010, n. 104, la decisione presidenziale conforme al parere del Consiglio di Stato ripete dal parere 
stesso la natura di atto giurisdizionale in senso sostanziale. Ne consegue che solo rispetto ai decreti emanati 
successivamente a tale innovazione legislativa va riconosciuta l�idoneit� alla formazione del giudicato, 
senza che tale soluzione, in quanto fondata sulle nuove norme ordinarie, possa essere valutata 
quale overruling interpretativo rispetto ai precedenti orientamenti della giurisprudenza�. In senso analogo 
anche: C. Cass., Sez. III, 2 settembre 2013, n. 20054, in Giust. civ., 2013, in cui � consentito leggere 
che �Soltanto a partire dal 16 settembre 2010, data di entrata in vigore del d.lgs. 2 luglio 2010, n. 104, 
si � completato - in virt�, in particolare, di quanto stabilito dall'art. 7, comma 8, del citato d.lgs. (secondo 
cui il �ricorso straordinario � ammesso unicamente per le controversie devolute alla giurisdizione amministrativa�) 
- il processo di completa �giurisdizionalizzazione� del ricorso straordinario al Presidente 
della Repubblica. Ne consegue che solo le decisioni presidenziali adottate all�esito di ricorsi proposti a 
partire da tale data hanno natura giurisdizionale e sono suscettibili di passare in giudicato�.
262 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2015 
rebbero indefettibilmente portatori di una natura meramente amministrativa 
e, quindi, non suscettibili di esecuzione coattiva merc� ottemperanza, non ricorribili 
per Cassazione e disapplicabili, quelli resi (a prescindere dall�epoca 
di proposizione del ricorso) nella vigenza della disciplina di cui all�art. 69 
della legge n. 69/2009 sarebbero atti �nella sostanza giurisdizionali� e, pertanto, 
gravabili per Cassazione ex art. 111 della Costituzione, coercibili merc� 
l�ottemperanza, non disapplicabili n� dal giudice ordinario n� da quello amministrativo; 
essi (soli) integrerebbero un giudicato. 
Di contro, un secondo orientamento, che sembrava essere stato sostenuto 
dalla giurisprudenza amministrativa, riconosce la retroattivit� della L. n. 
69/2009 e, per l�effetto, ributta qualsiasi distinzione tra decreti presidenziali 
emessi in epoca anteriore ovvero posteriore all�entrata in vigore della novella. 
Tuttavia � doverosa una precisazione: ad un attento osservatore delle dinamiche 
giurisprudenziali non pu� di certo sfuggire che non esiste una pronuncia 
del giudice amministrativo nel cui snodo motivazionale sia stato incastonato 
un allestimento dogmatico e argomentativo contrario (espressamente) alla 
prima impostazione. Ciononostante, l�Adunanza Plenaria del Consiglio di 
Stato, n. 18 del 2012, nello stabilire che �ai sensi dell�art. 112, comma 2, cod. 
proc. amm., � ammissibile il ricorso dinanzi al giudice amministrativo per l�ottemperanza 
dei decreti di accoglimento di ricorsi straordinari al Capo dello 
Stato� (46), non attribuisce, almeno espressamente, alcun rilievo n� al dies 
dell�entrata in vigore della L. n. 69/2009 tampoco al dies di adozione del decreto 
presidenziale. Ma se esplicitamente, il Consiglio di Stato non ha statuito 
alcunch� sulla distinzione tra decreti presidenziali �ante� e �post� L. n. 
69/2009, comՏ possibile sostenere che la giurisprudenza amministrativa ha 
inteso ammettere (indipendentemente dall�entrata in vigore della novella del 
2009) la esperibilit� dell�azione di ottemperanza nei confronti di tutti i decreti 
presidenziali? Per rispondere al quesito pare opportuno rimembrare, brevemente, 
quelli che sono alcuni dei tratti precipui della motivazione della sentenza. 
Dal momento che �la concezione classica della motivazione applica lo 
schema del sillogismo sia nel giudizio di diritto sia nel giudizio di fatto� (47) 
e che, dal punto di vista strutturale il modello strettamente sillogistico era inadeguato 
perch� non teneva conto dell�esigenza di considerare �giustificate� 
dalla motivazione anche le premesse che il giudice esibisce a fondamento della 
propria decisione, ha preso sempre pi� piede la distinzione ragionevole tra 
�giustificazione interna� e �giustificazione esterna� (48); da qui la inevitabile 
considerazione che la motivazione non deve essere, necessariamente e inte- 
(46) Cons. St., ad. ple., 5 giugno 2012, n. 18, in Foro amm. - CDS, 2012, pp. 1520. 
(47) NAPPI A., Il controllo della Corte di cassazione sul ragionamento probatorio del giudice del 
merito, in Cass. pen., IV, 1998, p. 1270. 
(48) WROBLEWSKY J., Livelli di giustificazione delle decisioni giuridiche, in AA.VV. (a cura di), 
Etica e diritto, Bari, 1986, p. 203. 
CONTRIBUTI DI DOTTRINA 263 
gralmente, esplicita su tutti i punti della decisione. Oggi si ammette anche la 
motivazione implicita, la quale ricorre �quando i motivi della soluzione di una 
determinata questione debbono intendersi logicamente contenuti e indirettamente 
svolti nelle considerazioni e nelle ragioni esposte per dar conto della 
soluzione adottata rispetto ad altra questione, distinta dalla prima e la cui trattazione 
implica necessariamente, per imprescindibile presupposto logico, 
anche la trattazione della prima questione� (49). Nel caso dell�Adunanza Plenaria 
n. 18/2012 ci si trova in presenza di una motivazione esplicita, nel riconoscere 
la possibilit� di esperire il rimedio dell�ottemperanza avverso i decreti 
presidenziali ed implicita, nell�ammettere la irrilevanza della distinzione tra 
decreti presidenziali anteriori e posteriori alla L. n. 69/2009; una considerazione, 
quest�ultima, che viene confermata dal fatto che la vicenda concreta decisa 
in quella occasione aveva ad oggetto, appunto, un decreto presidenziale 
emesso nel 2006, ergo, in un momento anteriore alla novella del 2009. 
Il contrasto interpretativo sinora descritto � stato risolto (nell�ambito della 
giurisprudenza amministrativa) da una recente pronuncia dell�Adunanza Plenaria 
del Consiglio di Stato: la n. 7 del 2015. Ritenendo di accordare prevalenza 
al primo orientamento, si � infatti stabilito che �al decreto decisorio del ricorso 
straordinario al Capo dello Stato deve essere attribuito carattere giurisdizionale 
in considerazione delle riforme normative avutesi con la l. n. 69/2009 e con il 
cod. proc. amm. Le suddette novit� normative, per�, impediscono di ritenere 
che pure alle decisioni rese prima delle novit� medesime possa essere riconosciuta 
una valenza giurisdizionale, con conseguente intangibilit� della �res iudicata�: 
l�istituto del ricorso straordinario, infatti, non � stato interessato da 
una revisione interpretativa di portata retroattiva, ma da una riforma sostanziale 
ontologicamente inidonea a incidere in senso modificativo sulla natura giuridica 
dei decreti presidenziali adottati in un contesto normativo in cui la decisione, 
pur esibendo nel suo nucleo essenziale la connotazione di statuizione di carattere 
giustiziale, non poteva ancora considerarsi espressione di �funzione giurisdizionale� 
nel significato pregnante dell�art. 102 cost., comma 1, e dell�art. 
103 cost., comma 1. A sostegno dell�assunto della portata non retroattiva della 
novella si pone la decisiva considerazione che la valenza sostanzialmente giurisdizionale 
del �decisum� � ora fondata sulla riconduzione, gi� in astratto, della 
paternit� esclusiva della decisione all�autorit� giurisdizionale. Ne deriva l�assenza 
di detto requisito sostanziale per le decisioni adottate in un regime caratterizzato, 
prima dell�entrata in vigore dell�art. 69 della l. n. 69/2009, dalla 
concorrente paternit� in capo all�autorit� amministrativa, legittimata a esprimere, 
attraverso un aggravamento procedurale, un avviso contrario a quello sostenuto 
nell�apporto consultivo del Consiglio di Stato� (50). 
(49) Cass., Sez. IV, 11 luglio 1983, n. 160321, in Foro it., V, 1983, pp. 6363. 
(50) Cons. St., ad. pl., 14 luglio 2015, n. 7, in Foro amm. - CDS, 2015, pp. 1902 ss.
264 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2015 
6. Critica e considerazioni conclusive. 
Le argomentazioni sostenute dalla giurisprudenza pi� recente si ritiene 
essere non condivisibili. Esse, infatti, sembrano sottovalutare due aspetti imprescindibili: 
a) la necessit� di garantire la effettivit� della tutela giustiziale 
dei diritti e degli interessi legittimi, come esigenza imperativa ex se idonea a 
giustificare la retroattivit� di una legge e; b) la impossibilit� (per un certo periodo 
di tempo) di agire nei confronti della pubblica amministrazione con un 
rimedio alternativo rispetto al ricorso straordinario. 
Con riguardo al primo profilo, occorre muovere dal dato (ovvio) che la 
legge non dispone che per l�avvenire; essa, generalmente, non � retroattiva. E 
per�, nell�occuparsi della retroattivit� della legge, la Corte costituzionale ha 
affermato che �il legislatore pu� emanare norme con efficacia retroattiva, purch� 
la retroattivit� trovi adeguata giustificazione nell�esigenza di tutelare principi, 
diritti e beni di rilievo costituzionale, che costituiscono altrettanti motivi 
imperativi di interesse generale, ai sensi della Convenzione europea dei diritti 
dell�uomo� (51). Orbene, nell�attuale �sistema multilivello dei diritti fondamentali
� (52), l�ordinamento giuridico nazionale si arricchisce costantemente 
delle �situazioni giuridiche soggettive� e dei �mezzi di tutela� che �piovono� 
incessantemente dagli ordinamenti sovranazionali. A ci� si soggiunga che, 
mentre la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell�uomo ha ritenuto 
che nella nozione di �processo� debba farsi rientrare anche quella dell�esecuzione 
coattiva delle decisioni passate in giudicato (53), la Corte di giustizia 
(51) C. Cost., 4 luglio 2013, n. 170, in www.cortecostituzionale.it. 
(52) In dottrina, sul tema, si v.: MONTANARI L., I diritti dell�uomo nell�area europea tra fonti internazionali 
e fonti interne, Torino, 2002; BULTRINI A., La pluralit� dei meccanismi di tutela dei diritti 
dell'uomo in Europa, Torino, 2004; D�ATENAA. - GROSSI P., Tutela dei diritti fondamentali e costituzionalismo 
multilivello tra Europa e Stati Nazionali, Milano, 2004; CARLETTI C., I diritti fondamentali e 
l�Unione Europea tra Carta di Nizza e Trattato - Costituzione, Milano, 2005; CARTABIA M., I diritti in 
azione. Universalit� e pluralismo dei diritti fondamentali nelle Corti Europee, Bologna, 2007; BRONZINI 
G. - PICCONE V., La Carta e le Corti. I diritti fondamentali nella giurisprudenza europea multilivello, 
Taranto 2007; GAMBINO S., Multilevel costitutionalism e diritti fondamentali, in Dir. pubbl. comp. europ., 
III, 2008, pp. 1144 ss.; ID., La protezione multilevel dei diritti fondamentali (fra Costituzione, Trattati 
comunitari e giurisdizione), in Scritti in onore di Michele Scudiero, Napoli, 2008, II, pp. 1007 ss.; DEMURO 
G., Costituzionalismo europeo e tutela multilivello dei diritti. Lezioni, Torino, 2009; GAMBINO S., 
Diritti e diritto dell�Unione Europea (fra nuovi trattati, Costituzione e giudici), in Periferia, 2011, Vol. 
3, pp. 9 ss.; D�IGNAZIO G., Multilevel Constitutionalism tra integrazione europea e riforme degli ordinamenti 
decentrati, Milano, 2011; GAMBINO S., I diritti fondamentali dell�Unione europea fra �trattati� 
(di Lisbona) e Costituzione, in Riv. dir. cost., 2011, pp. 29 ss.; CARDONE A., La tutela multilivello dei diritti 
fondamentali, Milano, 2012; CARBONE S.M., I diritti della persona tra CEDU, diritto dell�Unione 
europea e ordinamenti nazionali, in Il Dir. dell�Ue, I, 2013; D�ALOIA A., Europa e diritti: luci e ombre 
dello schema di protezione multilevel, in Il Dir. dell�Ue, I, 2014. 
(52) CASSESE S., Diritto amministrativo comunitario e diritti amministrativi nazionali, in CHITI 
M.P. - GRECO G. (a cura di), Trattato di diritto amministrativo europeo, I, Milano, 2007, pp. 2 ss. 
(53) Corte Edu, 19 marzo 1997, ric. 18357/91, causa Hornsby c. Grecia, in www.osservatoriocedu.eu. 
Il Giudice di Strasburgo, nel chiarire che la fase esecutiva delle sentenze del giudice amministrativo che
CONTRIBUTI DI DOTTRINA 265 
Ue ha ricondotto, nondimeno, la procedura instaurantesi a seguito della proposizione 
del ricorso straordinario al concetto di �giurisdizione�, prima ancora 
che entrasse in vigore la L. n. 69/2009 (54). Rebus sic stantibus, non sembra 
possano residuare dubbi in merito al fatto che quella di garantire una tutela 
piena (necessariamente comprensiva anche della fase dell�esecuzione coattiva) 
alle situazioni giuridiche dedotte attraverso il rimedio del ricorso straordinario 
al Presidente della Repubblica si configura come un obiettivo da doversi far 
rientrare in quegli �imperanti motivi di interesse generale� che possono giustificare 
- come stabilito dalla giurisprudenza costituzionale - la retroattivit� 
di una legge. Tanto basterebbe a mettere in crisi la formula impiegata dall�Adunanza 
Plenaria n. 7/2015, in ossequio alla quale l�istituto del ricorso straordinario 
non sarebbe stato interessato da una revisione interpretativa di 
portata retroattiva, bens� da una riforma sostanziale ontologicamente inidonea 
a incidere in senso modificativo sulla natura giuridica dei decreti presidenziali 
adottati in un contesto normativo in cui la decisione, pur esibendo nel suo nucleo 
essenziale la connotazione di statuizione di carattere giustiziale, non poteva 
ancora considerarsi espressione di funzione giurisdizionale. 
Ma vՏ di pi�. Un�ulteriore colpo di scure alle argomentazioni svolte dai 
siano passate in giudicato � da ricondursi alla nozione di equo processo di cui all�art. 6 CEDU, � giunto 
ad affermare che �la Cour rappelle sa jurisprudence constante selon laquelle l�article 6 par. 1 (art. 6-1) 
garantit � chacun le droit � ce qu�un tribunal connaisse de toute contestation relative � ses droits et obligations 
de caract�re civil; il consacre de la sorte le �droit � un tribunal�, dont le droit d�acc�s, � savoir 
le droit de saisir un tribunal en mati�re civile, constitue un aspect (arr�t Philis c. Gr�ce du 27 ao�t 1991, 
s�rie A no 209, p. 20, par. 59). Toutefois, ce droit serait illusoire si l�ordre juridique interne d�un Etat 
contractant permettait qu�une d�cision judiciaire d�finitive et obligatoire reste inop�rante au d�triment 
d�une partie. En effet, on ne comprendrait pas que l�article 6 par. 1 (art. 6-1) d�crive en d�tail les garanties 
de proc�dure - �quit�, publicit� et c�l�rit� - accord�es aux parties et qu�il ne prot�ge pas la mise en 
oeuvre des d�cisions judiciaires; si cet article (art. 6-1) devait passer pour concerner exclusivement l�acc�s 
au juge et le d�roulement de l�instance, cela risquerait de cr�er des situations incompatibles avec le 
principe de la pr��minence du droit que les Etats contractants se sont engag�s � respecter en ratifiant la 
Convention (voir, mutatis mutandis, l�arr�t Golder c. Royaume-Uni du 21 f�vrier 1975, s�rie A no 18, 
pp. 16-18, paras. 34-36). L�ex�cution d�un jugement ou arr�t, de quelque juridiction que ce soit, doit 
donc �tre consid�r�e comme faisant partie int�grante du �process� au sens de l�article 6 (art. 6); la Cour 
l�a du reste d�j� reconnu dans les affaires concernant la dur�e de la proc�dure (voir, en dernier lieu, les 
arr�ts Di Pede c. Italie et Zappia c. Italie du 26 septembre 1996, Recueil des arr�ts et d�cisions 1996- 
IV, pp. 1383-1384, paras. 20-24, et pp. 1410-1411, paras. 16-20, respectivement). Ces affirmations rev�tent 
encore plus d�importance dans le contexte du contentieux administratif, � l�occasion d�un 
diff�rend dont l�issue est d�terminante pour les droits civils du justiciable. En introduisant un recours 
en annulation devant la plus haute juridiction administrative de l�Etat, celui-ci vise � obtenir non seulement 
la disparition de l�acte litigieux, mais aussi et surtout la lev�e de ses effets. Or la protection effective 
du justiciable et le r�tablissement de la l�galit� impliquent l�obligation pour l�administration de se plier 
� un jugement ou arr�t prononc� par une telle juridiction. La Cour rappelle � cet �gard que l�administration 
constitue un �l�ment de l�Etat de droit et que son int�r�t s�identifie donc avec celui d�une bonne 
administration de la justice. Si l�administration refuse ou omet de s�ex�cuter, ou encore tarde � le faire, 
les garanties de l�article 6 (art. 6) dont a b�n�fici� le justiciable pendant la phase judiciaire de la proc�dure 
perdraient toute raison dՐtre�. 
(54) Corte giust. Ue, 16 ottobre 1997, GAROFOLI, in Foro. it., 1997, pp. 401 ss.
266 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2015 
pi� recenti arresti giurisprudenziali viene inferto anche dal secondo soprarichiamato 
profilo. Con riferimento a questo, � risaputo che nel periodo compreso 
tra la legge abolitiva del contenzioso amministrativo (Legge del 20 
marzo 1865, n. 2248, All. E) e la c.d. legge �Crispi� (L. 31 marzo 1889, n. 
5992), il ricorso straordinario ha rappresentato l�unico rimedio esperibile per 
invocare la tutela di interessi legittimi; � a seguito dell�istituzione della Sezione 
IV del Consiglio di Stato (avvenuta ad opera proprio della Legge �Crispi�) 
che � stata introdotta la regola della alternativit� tra ricorso straordinario e ricorso 
giurisdizionale. � solo da questo momento che il ricorso straordinario 
pu� essere considerato �il frutto della libera scelta di prescindere dalla tutela 
giurisdizionale, che trova il suo fondamento nell�autonomia soggettiva accordata 
a ciascun amministrato� (55). Prima, invece, si profilava come l�unica 
strada possibile, efficace o meno che fosse. Se ne ricava che, sino a prima dell�istituzione 
della Sezione IV del Consiglio di Stato, non pu� essere sostenuto 
che, poich� le parti potendo/dovendo conoscere i limiti del ricorso straordinario 
rispetto al ricorso giurisdizionale, finivano con l�accettare (sebbene per 
facta concludentia) i �limiti� e le �spossatezze procedurali� del ricorso straordinario, 
soprattutto con riguardo alla impossibilit� (in fatto e in diritto) di 
pretendere l�esecuzione coattiva del decreto presidenziale adottato a conclusione 
della procedura. Come dire: non pu� essere contestato alcun addebito a 
quanti, in assenza di una strada alternativa, erano costretti ad avvalersi di un 
pure �monco� ricorso straordinario al Presidente della Repubblica. 
Combinando le riflessioni sottese alla critica che si ritiene di propugnare 
nei confronti degli approdi giurisprudenziali, si � allora convinti di poter giungere 
alle seguenti conclusioni. Ferma e incontrastata la possibilit� di proporre 
l�azione di ottemperanza nei confronti dei decreti presidenziali adottati dopo 
l�entrata in vigore della L. n. 69/2009, i decreti presidenziali emessi prima 
della legge �Crispi�, e rimasti ineseguiti, devono essere considerati idonei a 
�fare stato tra le parti�, e sono quindi suscettibili di formare oggetto di ottemperanza, 
poich� le �debolezze� del ricorso straordinario erano da attribuirsi, 
unicamente, ad un�irragionevole vulnus dell�ordinamento giuridico e non 
anche alla scelta delle parti - consapevole o meno che fosse - di comporre la 
loro controversia in una sede diversa rispetto a quella del processo in senso 
stretto. Parimenti, quelli emessi dopo l�introduzione della regola della alternativit� 
con il ricorso giurisdizionale, ma comunque prima della riforma attuata 
con la L. n. 69/2009, sono da considerarsi suscettibili di costituire �cosa 
giudicata� e di formare oggetto di azione di ottemperanza, in quanto il diritto 
costituzionale di difesa ex art. 24 Cost. e il diritto ad un processo equo ex art. 
111 Cost., letti alla luce della giurisprudenza delle Corti europee, possono essere 
interpretati in maniera tale da ricomprendere anche la procedura instau- 
(55) C. cost., 5 febbraio 1963, n. 2, in www.cortecostituzionale.it.
CONTRIBUTI DI DOTTRINA 267 
rantesi a seguito della proposizione del ricorso straordinario. Ma quand�anche 
si volesse sostenere la �natura amministrativa� del rimedio, l�essenza delle 
cose rimarrebbe invariata; il diritto ad una tutela effettiva delle pretese dedotte 
con la proposizione del ricorso straordinario al Presidente della Repubblica, 
trovando un solida copertura normativa nell�art. 41 della Carta di Nizza, assumerebbe, 
pur sempre, la declinazione di un diritto fondamentale idoneo a 
giustificare la portata retroattiva dell�art. 69 della L. n. 69/2009: il �diritto ad 
una buona amministrazione� (56). Ne discende che, collocando nell�alveo dei 
(56) L�art. 41 della Carta dei diritti fondamentali dell�Unione europea cos� dispone: �Ogni individuo 
ha diritto a che le questioni che lo riguardano siano trattate in modo imparziale, equo ed entro un 
termine ragionevole dalle istituzioni e dagli organi dell�Unione. Tale diritto comprende in particolare: 
il diritto di ogni individuo di essere ascoltato prima che nei suoi confronti venga adottato un provvedimento 
individuale che gli rechi pregiudizio, il diritto di ogni individuo di accedere al fascicolo che lo 
riguarda, nel rispetto dei legittimi interessi della riservatezza e del segreto professionale, l�obbligo per 
l�amministrazione di motivare le proprie decisioni. Ogni individuo ha diritto al risarcimento da parte 
della Comunit� dei danni cagionati dalle sue istituzioni o dai suoi agenti nell�esercizio delle loro funzioni 
conformemente ai principi generali comuni agli ordinamenti degli Stati membri. Ogni individuo pu� rivolgersi 
alle istituzioni dell�Unione in una delle lingue del trattato e deve ricevere una risposta nella 
stessa lingua�. 
In dottrina, sull�argomento, si v: PANEBIANCO M. (diritto a), Art. 41 - Diritto ad una buona amministrazione, 
in Repertorio della Carta dei diritti fondamentali dell�Unione europea - Annotato con i lavori 
preparatori e la giurisprudenza delle altre corti europee e della Corte costituzionale italiana, Milano, 
2001, pp. 379 ss.; BIFULCO R., Art. 41. Diritto ad una buona amministrazione, in BIFULCO R. - CARTABIA 
M. - CELOTTO A. (a cura di), L�Europa dei diritti. Commento alla Carta dei diritti fondamentali dell�Unione 
europea, Bologna, 2001, pp. 284 ss.; MARZUOLI C., Carta europea dei diritti fondamentali, 
amministrazione e soggetti di diritto: dai principi sul potere ai diritti dei soggetti, in VETTORI G. (a cura 
di), Carta europea e diritti dei privati, Padova, 2002, pp. 255 ss.; SANTINI F., Diritto ad una buona amministrazione: 
la prima applicazione della Carta dei diritti fondamentali dell�Unione europea (nota a 
Trib. I grado Ce, 30 gennaio 2002, n. 54/99), in Giur. it., 2002, pp. 1792 ss., ZITO A., Il diritto ad una 
buona amministrazione nella Carta dei diritti fondamentali dell�Unione europea e nell�ordinamento interno, 
in Riv. it. dir. pubbl. comunit., 2002, pp. 425 ss.; RAPELLI V., Il diritto ad una buona amministrazione 
comunitaria, Torino, 2004; RESTA D., Buona amministrazione e costituzione europea, in CELOTTO 
A. (a cura di), Processo costituente europeo e diritti fondamentali, Torino, 2004, pp. 77 ss.; CHITI M.P., 
Il principio di buona amministrazione, in CHITI M.P. - FRANCHINI C. - GNES M. - SAVINO M. - VERONELLI 
M., Diritto amministrativo europeo. Casi e materiali, Milano, 2005, pp. 39 ss.; GALETTA D.U., Il diritto 
ad una buona amministrazione europea come fonte di essenziali garanzie procedimentali nei confronti 
della pubblica amministrazione, in Riv. dir. pubbl. comunit., 2005, pp. 819 ss.; TRIMARCHI BANFI F., Il 
diritto ad una buona amministrazione, in CHITI M.P. - GRECO G., Trattato di diritto amministrativo europeo, 
I, Milano, 2007, pp. 49 ss.; CASSESE S., Il diritto alla buona amministrazione (Relazione alla 
giornata sul diritto ad una buona amministrazione per il 25� anniversario della legge �Sindic de Greuges� 
della Catalogna, Barcellona, 27 marzo 2009), in www.irpa.eu, 2009; PERFETTI L.R., Diritto ad 
una buona amministrazione, determinazione dell�interesse pubblico ed equit�, in Riv. it. dir. pubbl. com., 
2010, pp. 352 ss.; CAPUTI JAMBREGHI M.T.P., Buona amministrazione tra garanzie interne e prospettive 
comunitarie (a proposito di �class action� all�italiana), in www.giustamm.it, 2010; GALETTA D.U., Diritto 
ad una buona amministrazione e ruolo del nostro giudice amministrativo dopo l�entrata in vigore 
del Trattato di Lisbona, in Dir. Amm., III, 2010, pp. 601 ss.; GIUFFRIDA A., Il diritto ad una buona amministrazione 
pubblica e profili sulla sua giustiziabilit�, Torino, 2012; GALETTA D.U., Riflessioni sull�ambito 
di applicazione dell�art. 41 della Carta dei diritti UE sul diritto ad una buona amministrazione, 
anche alla luce di alcune recenti pronunce della Corte di giustizia, in Il Dir. dell�Ue, I, 2013, pp. 133 
ss.; ID., Il diritto ad una buona amministrazione fra diritto UE e diritto nazionale e le novit� dopo l�en-
268 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2015 
diritti costituzionalmente rilevanti anche la pretesa ad un procedura equa e finalisticamente 
orientata a far ottenere una decisone capace di incidere concretamente 
sulla situazione soggettiva dalla cui lesione scaturisce la 
proposizione del ricorso straordinario, discende che essa (alla stregua di ogni 
altro diritto fondamentale) � espressione di �valori senza tempo�; di guisa che 
appare corretto sostenere la retroattivit� della L. n. 69/2009: cio� a dire la giurisdizionalizzazione 
tout court del ricorso straordinario al Presidente della Repubblica 
e la assoggettabilit� di �tutti� i decreti presidenziali (a prescindere 
dal momento della loro adozione) al rimedio dell�ottemperanza (57). 
trata in vigore del Trattato di Lisbona, in CIVITARESE S. - MATTEUCCI F. - GUARIELLO P. (a cura di), 
Diritti fondamentali e politiche dell�Unione europea dopo Lisbona, Rimini, 2013, pp. 71 ss. TRUCCO 
L., L�uso fatto della Carta dei diritti dell�Unione europea nella giurisprudenza costituzionale, fasc. I, 
in www.giurcost.org, 2016. 
(57) La giurisprudenza ha gi� avuto modo di sostenere una tesi in parte analoga a quella qui propugnata. 
In Cons. St., Sez. V, 27 maggio 2015, n. 2713, in Dir. & Giust., 2015, si � infatti sostenuto che 
�a seguito del mutamento del quadro normativo disposto dall�art. 69 l. 18 giugno 2009, n. 69, e dal 
codice del processo amministrativo, per le decisioni straordinarie rese prima di tali riforme, vanno distinte 
quelle rese nel regime della alternativit�, da quelle rese prater legem su una controversia rimessa 
alla giurisdizione del giudice civile. Per quelle rese nel regime della alternativit� �prima� della revisione, 
le citate riforme hanno preso atto della loro gi� indiscussa cogenza ed immodificabilit� ed hanno aggiunto 
il rimedio del giudizio d�ottemperanza, a prescindere dall�epoca di proposizione del ricorso straordinario; 
per quelle rese prater legem prima della revisione su una controversia rimessa alla giurisdizione del 
giudice civile (ormai precluse dall�art. 7, comma 8, c. proc. amm.), esse - in quanto disapplicabili dal 
medesimo giudice e non decisorie della controversia - hanno invece conservato natura amministrativa, 
non potendo la legge sopravvenuta determinare una soccombenza non prevista dalla normativa previgente
�.
CONTRIBUTI DI DOTTRINA 269 
Fisco e cultura: la tassazione degli immobili 
di interesse storico artistico e l�intervento dei privati 
a sostegno del patrimonio culturale 
Maria Luisa Costanzo* 
SOMMARIO: 1. I beni culturali: profili storici, caratteri e disciplina - 2. La tassazione 
degli immobili di interesse storico artistico - 3. I privati e la cultura. 
1. I beni culturali: profili storici, caratteri e disciplina. 
Gli immobili di interesse storico artistico rientrano nel pi� ampio genus 
dei beni culturali. Ci� rende necessario, nonch� opportuno, un inquadramento 
dal punto di vista storico e legislativo. 
La locuzione �bene culturale� ha origini relativamente recenti. Si afferma, 
inizialmente, nel lessico internazionale con la Convenzione dell�Aja del 1954 
per la protezione dei beni culturali in caso di conflitto armato e fa la sua comparsa 
in Italia in un documento ufficiale, con i lavori della Commissione Franceschini, 
istituita con la legge n. 310/1964. Un vivo interesse per l�arte � 
presente, tuttavia, sin dall�epoca romana (1). 
Storicamente, le prime misure di tutela del patrimonio culturale italiano 
risalgono agli Stati preunitari e sono caratterizzate dalla preoccupazione di evitare 
l�uscita dei beni di carattere artistico e archeologico dai confini dello Stato 
(2). Dopo l�Unit� di Italia, si distinguono due interventi legislativi di forte rilievo. 
Il primo, sul finire degli anni Trenta, � dato dalla promulgazione delle 
due leggi Bottai: la legge n. 1089/1939, dedicata alla tutela delle cose d�arte e 
la legge n. 1497/1939, dedicata alle bellezze naturali. Entrambe esprimevano 
una particolare concezione di bene culturale, �estetizzante� ed �elitaria�, che 
richiedeva una tutela incentrata su una logica essenzialmente conservativa (3): 
i beni tutelati si caratterizzavano per il pregio e la rarit� (art. 1, l. n. 1089/1939) 
e per la loro non comune bellezza (l. n. 1497/1939). Il secondo intervento, in 
epoca Repubblicana, � rappresentato dalle 84 Dichiarazioni della Commissione 
Franceschini, la prima delle quali conteneva la definizione di �bene culturale�: 
si considerava tale qualunque cosa rappresentasse �testimonianza materiale 
avente valore di civilt��. Si assiste quindi al passaggio dal criterio �estetico�, 
proprio delle leggi Bottai, al criterio �storico� (4). 
(*) Dottore in Giurisprudenza, ammessa alla pratica forense presso l�Avvocatura dello Stato. 
(1) Risalgono in particolare a Giustiniano le prime forme di tutela del patrimonio artistico. G. 
VOLPE, Manuale di diritto dei beni culturali, Padova, 2013, p. 12. 
(2) T. ALIBRANDI - P.G. FERRI, I beni culturali e ambientali, Milano, 2001, p. 15. 
(3) M. AINIS. - M. FIORILLO, L�ordinamento della cultura, Milano, 2008, p. 154. 
(4) M. AINIS. - M. FIORILLO, L�ordinamento della cultura, Milano, 2008, p. 154.
270 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2015 
Attualmente, la disciplina di riferimento � contenuta nel Codice dei beni 
culturali e del paesaggio, D.Lgs. n. 42/2004 (5), il quale ha ad oggetto �le cose 
immobili e mobili che, ai sensi degli articoli 10 e 11, presentano interesse artistico, 
storico, archeologico, etnoantropologico, archivistico e bibliografico�, 
nonch� le �altre cose individuate dalla legge o in base alla legge, quali testimonianze 
aventi valore di civilt��. Al riguardo, deve essere chiarito che l�inclusione 
nei suddetti elenchi pu� non essere sufficiente per il riconoscimento 
del carattere culturale. Infatti, si distinguono casi in cui il bene � culturale ex 
lege (art. 10 co. 2) e casi in cui � invece richiesta una dichiarazione di interesse 
culturale, ovvero un provvedimento conclusivo di un procedimento amministrativo 
con il quale sorgono le limitazioni connesse alla particolare natura del 
bene (art. 10 co. 3). Vi sono infine delle �cose� per le quali vige una presunzione 
di interesse culturale, sino all�esito di una verifica ad opera del Ministero 
per i beni e le attivit� culturali (art. 10 co. 1). 
Il Codice si sofferma, inoltre, sulle modalit� di intervento del legislatore 
in questo settore, identificandole nella tutela, nella valorizzazione e nella gestione. 
La prima (art. 3), data dall�individuazione, protezione e conservazione 
del bene, � volta ad assicurare la �fruibilit�� dello stesso, consistente nell�obbligo 
dell�amministrazione di permetterne la fruizione (6). La seconda (art. 
6), da attuarsi sempre in forme compatibili con la tutela, consiste invece 
nell��esercizio delle funzioni�e nella �disciplina delle attivit�� volte a favorire 
la conoscenza, l�utilizzazione e la fruizione del patrimonio culturale con il fine 
ultimo di �promuovere lo sviluppo della cultura�. Tutele e valorizzazione 
sono strettamente connesse. Tale connessione si evince ancor di pi� ponendo 
l�attenzione al dettato costituzionale, laddove, dall�art. 9 Cost. �si trae l�idea 
che la tutela del patrimonio storico artistico nazionale non rifletta un semplice 
intento di conservazione, ma miri anche alla sua valorizzazione, come mezzo 
di promozione dell�arte, della tecnica e della scienza e pi� in generale di elevazione 
della cultura� (7). 
Il Codice detta, infine, un�analitica disciplina con riferimento alla protezione 
e conservazione, alla circolazione (sia in ambito nazionale che internazionale) 
e alle sanzioni, non solo amministrative, ma anche penali. Queste 
ultime, in particolare, sono contenute oltre che nel D.Lgs. n. 42/2004 anche 
nel Codice penale. Al riguardo, mentre il secondo contempla fattispecie incriminatrici 
volte a colpire ogni forma di aggressione diretta al bene (reati di 
(5) Tra questi compaiono: il Testo unico dei beni culturali e ambientali, emanato con d.lgs. 
490/1999; il d.lgs. 112/1998 per il conferimento di funzioni e compiti amministrativi agli enti locali; il 
d.lgs. 368/1998 istitutivo del nuovo Ministero per i beni e le attivit� culturali. 
(6) M.S. GIANNINI, I beni culturali, RTDP, 1976, 32, come citato da G. DE GIORGI CEZZI, in Il Codice 
dei beni culturali e del paesaggio, a cura di M.A. SANDULLI, p. 39. 
(7) F. PISTOLESI, Il ruolo delle agevolazioni fiscali nella gestione dei beni culturali in tempo di 
crisi, Rivista di diritto tributario, 2014, fasc. 11, p. 1213.
CONTRIBUTI DI DOTTRINA 271 
danno), il primo sanziona la mera violazione del relativo regime amministrativo 
(reati di pericolo). In proposito, la dottrina ha osservato come il Codice 
dei beni culturali tuteli in modo immediato la funzione amministrativa e solo 
indirettamente il bene culturale (8). 
Con riguardo alle misure di protezione e conservazione, in estrema sintesi, 
pu� osservarsi come le stesse siano tra loro complementari. Infatti, con le 
prime (artt. 20-28) si combattono possibili abusi, subordinando a controllo 
pubblico ogni intervento che possa coinvolgere i beni culturali, con le seconde 
(artt. 29-44) si tutela il bene a favore delle generazioni future (9). 
Relativamente alla circolazione in ambito nazionale, il legislatore prevede 
un distinto regime a seconda che il bene sia di un ente pubblico (incommerciabilit� 
o commerciabilit� controllata) o di un privato (piena commerciabilit� 
e solo in casi eccezionali commerciabilit� controllata). 
I beni culturali sono inoltre oggetto di attenzione del legislatore comunitario 
e destinatari altres� di disciplina in ambito internazionale. In particolare, 
mentre l�intento delle Convenzioni internazionali (10) � esclusivamente quello 
di proteggere il patrimonio culturale dei singoli Stati aderenti, la disciplina 
comunitaria � volta essenzialmente a conciliare il principio di libera circolazione 
delle merci con la conservazione del patrimonio culturale degli Stati 
membri (artt. 34, 35, 36 TFUE) (11). 
In questa sede deve essere infine evidenziato che con l�avvento della Costituzione 
la cultura � stata oggetto di specifiche previsioni. Da un lato, si � 
previsto un intervento pubblico in materia, con finalit� promozionale e di tutela 
(art. 9 Cost.), dall�altro si � inteso invece arginare ogni possibile interferenza 
pubblica in ambito culturale (art. 33 Cost.). Come osservato, le due disposizioni 
non sono in contrasto tra loro, postulando di contro la necessit� di individuare 
un punto di equilibrio tra l�azione dei pubblici poteri e la libert� della 
cultura (12). 
(8) CARPENTIERI, Tutela penale dei beni culturali e prospettive di riforma, in AA.VV. Beni culturali 
e sistema penale, a cura di S. MANACORDA - A. VISCONTI, atti del Convegno, Milano 16 gennaio 2013, 
p. 33. 
(9) Alle suddette misure si aggiungono le �prescrizioni di tutela indiretta� (artt. 45 e ss.), le quali 
non tutelano direttamente il bene, ma il contesto nel quale � inserito. Esse sono volte a �preservare la cornice 
ambientale di un immobile� (G. SCIULLO, Le funzioni, in Diritto e gestione dei beni culturali p. 74). 
(10) Convenzione UNESCO del 1970, recante la disciplina della restituzione dei beni culturali 
illecitamente esportati, e la Convenzione UNIDROIT del 1995, volta a fornire un nucleo uniforme di 
regole che superino il contrasto esistente tra le norme presenti nei singoli ordinamenti. Sul punto cfr. 
MARLETTA, La restituzione dei beni culturali, normativa comunitaria e convenzione Unidroit, Padova, 
1997, p. 201, come citato da G. MAGRI, La circolazione dei beni culturali nel diritto europeo: limiti e 
obblighi di restituzione, Napoli, 2011, p. 32. 
(11) G. MAGRI, La circolazione dei beni culturali nel diritto europeo: limiti e obblighi di restituzione, 
op. cit., p. 33. 
(12) F. MERUSI, Principi fondamentali, in AA.VV. Commentario alla Costituzione, a cura di G. 
BRANCA, Bologna, 1975, p. 435.
272 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2015 
2. La tassazione degli immobili di interesse storico artistico. 
L�esigenza di tutela del patrimonio storico artistico � avvertita anche in 
campo tributario. 
Il legislatore si � interessato per la prima volta alla materia, in modo unitario, 
con la legge n. 512/1982. Precedentemente a tale data si potevano rintracciare 
soltanto interventi normativi frammentari e scarsamente significativi 
(13). La legge n. 512/1982 non rappresenta, tuttavia, un testo organico della 
materia perch� si limita a prevedere norme di favore che si inseriscono nelle 
leggi vigenti (14). Essa contiene prescrizioni specifiche in materia di imposte 
dirette ed indirette. 
Con riferimento alle prime � opportuno verificare come l�esistenza del 
vincolo di interesse storico artistico possa rilevare nella determinazione della 
disciplina catastale. Ai fini del calcolo delle imposte dirette gravanti sugli 
immobili � infatti necessario calcolare la base imponibile, ricavabile dalla 
rendita catastale. 
Il catasto urbano � diviso in tre grandi gruppi: immobili a destinazione 
ordinaria; immobili a destinazione speciale (D); immobili a destinazione particolare 
(E). Gli immobili a destinazione ordinaria si suddividono ulteriormente 
in: immobili a destinazione abitativa (A); immobili per uso di alloggi 
collettivi (B); immobili commerciali (C). 
In ciascuna sottocategoria vengono inseriti gli immobili con la stessa destinazione 
d�uso. A questo criterio generale faceva in passato eccezione la categoria 
A/9 (Castelli, palazzi di eminenti pregi artistici o storici): un palazzo 
assoggettato a vincolo doveva essere inquadrato nella categoria A/9, a prescindere 
dal fatto che singole parti di questo potessero avere destinazioni proprie 
di altre categorie catastali (15). La tesi dell�unitaria classificazione non 
trova riscontro nell�attuale orientamento dell�Agenzia delle Entrate: � stato 
puntualizzato, in apposita circolare, che il riconoscimento dell�interesse culturale 
e il conseguente vincolo gravante su un immobile non influiscono sul 
classamento del bene, in quanto si deve fare riferimento, esclusivamente, alla 
destinazione d�uso di ciascuna unit� immobiliare (16). 
Tra le norme di favore riconosciute agli immobili storici che assumono 
rilievo sotto il profilo catastale si possono ricordare, inoltre, l�art. 5 bis del 
D.P.R. 601/1973 e l�art. 190 del TUIR. 
Da ultimo, la legge delega 11 marzo 2014, n. 23 ha chiarito che il vincolo 
(13) L. CONSOLI, Enciclopedia giuridica Treccani, volume 5, voce beni culturali. 
(14) Sul punto M.C. FREGNI, Il regime fiscale, in AA.VV. Diritto e gestione dei beni culturali, a 
cura di C. BARBATI - M. CAMMELLI, G. SCIULLO, Bologna, 2011, p. 260. 
(15) In questo senso: Corte Cass. sent. 19 novembre 1993, n. 11445. 
(16) Circ. 9 ottobre 2012, n. 5/T, citata da M. DELVAGLIO, I profili catastali degli immobili di interesse 
storico artistico, in Corriere tributario, 2012, n. 46, pp. 3581 e ss.
CONTRIBUTI DI DOTTRINA 273 
incide sulla determinazione del valore fiscale e quindi sull�attribuzione della 
rendita catastale, prevedendo delle riduzioni in sede di determinazione del valore 
patrimoniale medio ordinario e delle rendita media ordinaria (art. 2, co. 2 
lett. m) legge n. 23/2014). All�interno del testo � stata inserita anche la riforma 
del catasto, il cui iter attualmente � sospeso (17). 
Passando all�analisi delle disposizioni che specificamente riguardano la 
tassazione degli immobili di interesse storico artistico, � d�obbligo ricordare 
che, fino al periodo d�imposta 2011, risultava applicabile l�art. 11, comma 2, 
della legge n. 413/1991. Esso disponeva che, in ogni caso, il reddito degli immobili 
di interesse storico artistico dovesse essere determinato mediante l�applicazione 
della minore tra le tariffe di estimo previste per la zona censuaria 
nella quale fosse collocato l�immobile. Questa disposizione ha dato luogo, in 
passato, ad un ampio dibattito, tra contribuenti ed amministrazione finanziaria, 
al quale non sono rimaste estranee la Corte di Cassazione e la Corte Costituzionale. 
In particolare, il fisco, dopo una prima interpretazione restrittiva (con 
cui aveva riconosciuto il regime agevolato ai soli casi in cui l�immobile non 
fosse locato), ha mutato orientamento affermando che l�agevolazione dovesse 
essere concessa a tutti i fabbricati, compresi quelli dati in locazione, purch� 
ad uso abitativo (circolare 9/E del 14 marzo 2005), per poi estenderla a tutti i 
fabbricati, inclusi quelli ad uso diverso da quello abitativo (circolare 2/E del 
17 gennaio 2006). Ci� � avvenuto in seguito ai ripetuti interventi della Corte 
di Cassazione e della Corte Costituzionale. La prima ha avuto modo di affermare 
che il comma 2 dell�art. 11 contenesse �l�esclusiva ed esaustiva disciplina 
per la fissazione del reddito imponibile rispetto agli immobili di interesse 
storico artistico, da effettuarsi sempre con riferimento alla pi� bassa delle tariffe 
di estimo della zona, a prescindere dalla locazione del bene a canone superiore� 
(18). La seconda ha dichiarato infondata la questione di legittimit� 
costituzionale dell�agevolazione, in considerazione dei vincoli e degli obblighi 
gravanti sulla propriet� di detti beni, derivanti dalla tutela costituzionale accordata 
dall�art. 9 Cost. (19). 
La disciplina dettata dal comma 2 dell�art. 11 non � pi� applicabile a decorrere 
dal periodo di imposta 2012, per effetto delle modifiche intervenute 
(17) La riforma avrebbe dovuto rivedere i valori catastali degli immobili entro il 2019. In base 
alla bozza del decreto legislativo, gli immobili sarebbero stati raggruppati non pi� in classi e categorie, 
bens� in due tipologie di fabbricati: ordinari e speciali. In particolare, gli immobili in passato compresi 
nella categoria A9 sarebbero confluiti nella tipologia S15. Il valore degli immobili sarebbe stato determinato 
dalla superficie e non pi� dai vani e ad ogni unit� immobiliare sarebbero stati attribuiti una 
rendita e un valore patrimoniale, stimati in base alle caratteristiche dell�immobile e alla zona di appartenenza. 
Allo stato attuale, l�intervento � stato limitato all�approvazione del decreto con cui sono state 
dettate le regole per la composizione e le attribuzioni delle commissioni censuarie, competenti per la 
revisione dei valori immobiliari e delle rendite. 
(18) Sent. Corte Cass. 18 marzo 1999, n. 2442, in De Jure. 
(19) Sent. Corte Cost. 28 novembre 2003, n. 346, in De Jure.
274 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2015 
con D.L. n. 16/2012 (20). Da un lato, � stato soppresso il criterio della rendita 
figurativa, basato sull�irrilevanza, in ogni caso, del canone di locazione e sull�applicazione 
della minore delle tariffe d�estimo della zona censuaria nella 
quale � collocato l�immobile. Dall�altro, si � stabilito che, per gli immobili 
vincolati concessi in locazione, il reddito � pari al maggiore fra il canone, ridotto 
in modo forfettario del 35 per cento, e la rendita catastale rivalutata, risultante 
dall�applicazione delle tariffe d�estimo proprie dell�immobile (21). 
La riforma del 2012 ha interessato anche il trattamento fiscale degli immobili 
storici posseduti in regime di impresa. Essa ha riguardato solo gli immobili 
�patrimonio� dell�impresa, modificando l�art. 90, comma 1 del TUIR. 
In sintesi, se l�immobile non � locato la legge accorda due agevolazioni: la riduzione 
a met� della rendita effettiva rivalutata e la disapplicazione della maggiorazione 
prevista dall�art. 41. Se invece l�immobile � locato a terzi, il reddito 
� il maggiore fra il 65% del canone di locazione e il reddito medio ordinario, 
ottenuto applicando la tariffa d�estimo propria dell�immobile (21). 
Nel settore delle imposte dirette possono infine individuarsi alcune forme 
di agevolazione riconosciute agli immobili in questione. A titolo di esempio, 
possono essere ricordate: la possibilit� di detrarre le spese di manutenzione 
del bene medesimo (art. 15 TUIR, cui si aggiunge la detrazione fiscale sulle 
ristrutturazioni edilizie di cui all�art. 4, D.L. n. 201/2011); l�esclusione da tassazione 
degli immobili aperti gratuitamente al pubblico (art. 5 bis, D.P.R. n. 
601/1973); la possibilit� di estinguere i debiti fiscali mediante cessione di beni 
culturali (art. 28 bis, D.P.R. n. 602/1973). 
Nel settore delle imposte indirette, le norme di favore correlate alla natura di 
bene culturale si rintracciano nelle disposizioni in materia di IVA e, segnatamente, 
all�art. 10, comma 1, n. 22, D.P.R. n. 633/1972, il quale esenta le prestazioni rese 
da biblioteche e simili e quelle relative alla visita di musei, gallerie, ville, palazzi, 
giardini e simili. Non sono invece previste agevolazioni per l�acquisto di beni e 
servizi necessari per il restauro e la manutenzione dei cespiti culturali. 
Ulteriori norme di favore sono previste in materia di imposta successioni 
e donazioni. In particolare, con riferimento alle prime meritano menzione l�art. 
13 del D.Lgs. n. 346/1990, il quale prevede che i beni culturali sono esenti 
dall�imposta, purch� siano stati sottoposti a vincolo anteriormente all�apertura 
della successione e purch� siano stati adempiuti gli obblighi di protezione e 
conservazione; nonch�, l�art. 42 bis del D.P.R. n. 637/1972, il quale prevede 
che gli eredi e i legatari possono cedere allo Stato, a scomputo totale o parziale 
dell�imposta, beni culturali e opere di autori viventi. Con riguardo alle imposte 
(20) Per la nuova disciplina applicabile agli immobili di interesse storico artistico si veda: M. ZANNI, 
Il nuovo regime fiscale degli immobili di interesse storico artistico, Il Fisco, 2012, 27, p. 4225; C. ODRIZZI, 
Immobili storici: penalizzazione del regime fiscale, Guida alla contabilit� e bilancio, 2012, n. 12, p. 34. 
(21) Sul punto: M. ZANNI, Il nuovo regime fiscale degli immobili di interesse storico artistico, 
op. cit.
CONTRIBUTI DI DOTTRINA 275 
di donazione, invece, il riferimento � all�art. 59 del D.Lgs. n. 346/1990, il 
quale statuisce che in caso di donazione di un bene vincolato il negozio debba 
scontare l�imposizione �nella misura fissa prevista per l�imposta di registro�. 
Non sono pi� in vigore le agevolazioni previste in passato in materia di 
imposta di registro (22). 
Quanto premesso rende palese che ai beni culturali � riconosciuto un trattamento 
fiscale di favore. Da ci� deriva la necessit� di inquadrare il fenomeno 
agevolativo, definendo il concetto di �agevolazione tributaria� alla luce dei principali 
indirizzi dottrinali e analizzando il rapporto con i principi costituzionali. 
Occorre premettere che la complessit� del tema, messa in luce dalla stessa 
Corte Costituzionale (23), ha dato luogo ad orientamenti legislativi contrastanti. 
Il legislatore � pi� volte intervenuto al fine di provvedere ad una revisione 
del sistema agevolativo, senza tuttavia pervenire ad esiti soddisfacenti 
(24), a causa anche dell�assenza di una definizione normativa del concetto di 
�agevolazione tributaria�, genericamente definita �regola di favore per il contribuente 
che attenua il carico fiscale� (25). 
La dottrina � unanime nel considerare il termine �agevolazione� espressivo 
di un ampio genus comprensivo di figure diverse tra loro per caratteri e 
regime giuridico: esenzioni, deduzioni, detrazioni, regimi sostitutivi, eccetera. 
In virt� della constatazione di profili comuni a tale diverse figure, alcuni autori 
hanno tentato di elaborare una nozione generale del fenomeno (26). 
Le ragioni a fondamento delle concessioni di agevolazioni sono state ravvisate 
talvolta, in una ridotta manifestazione di capacit� contributiva, talaltra 
in obiettivi di politica economica e sociale (in questo secondo caso le agevolazioni 
configurerebbero delle �spese fiscali�, in quanto assimilabili a dei veri 
e propri sussidi) (27). 
Con riguardo al rapporto intercorrente tra le agevolazioni tributarie e la 
Costituzione, i principi che vengono in rilievo sono: la riserva di legge (art. 
(22) Abrogate dall�art. 10, d.lgs. n. 23/2011. 
(23) Corte Cost. sent. n. 76/1958, in De Jure. 
(24) I tentativi di maggior rilievo sono due. Il primo risale alla Riforma tributaria degli anni settanta 
(art. 9, legge 825/1971), il secondo ai primi anni Novanta (art. 17 legge 408/1990). Entrambi sono 
fondati sul presupposto che le agevolazioni costituiscano deroghe ai principi di generalit� ed uniformit� 
dell�imposizione ed entrambi volti a sostituire le predette agevolazioni con sovvenzioni finanziarie. Sul 
punto si veda S. LAROSA, Le agevolazioni tributarie, in Trattato di diritto tributario, diretto da A. AMATUCCI, 
Padova, 1994, pp. 401 e ss. 
(25) La definizione � di P. BORIA, Il sistema tributario, Torino, 2008, p. 1031. 
(26) Possono al riguardo distinguersi due orientamenti. Secondo il primo (S. LA ROSA, Le agevolazioni 
tributarie, op. cit., pp. 406 e ss.) � necessario fare riferimento ai fini e alle funzioni della norma 
di favore, a prescindere dalle caratteristiche strutturali della stessa. Secondo il secondo orientamento (F. 
FICHERA, Le agevolazioni tributarie, Padova, 1992, pp. 25 e ss.) � indispensabile il contemporaneo riferimento 
all�elemento funzionale e al dato strutturale. 
(27) M. LECCISOTTI, Introduzione, in AA.VV. Le agevolazioni fiscali, a cura di M. LECCISOTTI, 
Bari, 1995, pp. 7 e ss.
276 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2015 
23 Cost.), la capacit� contributiva (art. 53 Cost.) e il principio di uguaglianza 
(art. 3 Cost.). 
Con riferimento al primo di essi, in dottrina si � posto il problema di verificare 
se anche le agevolazioni dovessero essere soggette al principio di legalit�, 
posto che l�art. 23 Cost. fa espressamente riferimento al solo fenomeno 
impositivo e non al sistema tributario nel complesso (28). 
Con riguardo al principio di capacit� contributiva, � d�obbligo ricordare 
che quest�ultimo ha da sempre costituito il referente costituzionale della materia 
delle agevolazioni tributarie, per il loro essere comunemente definite lesive 
della necessit� dell�uguale concorso di tutti alle spese pubbliche (29). In 
proposito, la dottrina assume posizioni differenti: alcuni autori sostengono la 
compatibilit� delle norme in questione con l�art. 53 Cost. (30), altri si spingono 
sino ad affermare che lo stesso principio di capacit� contributiva legittimi e 
renda doverosa la concessione delle agevolazioni (31), altri ancora negano che 
l�art. 53 Cost. sia un parametro idoneo a valutare la legittimit� costituzionale 
delle agevolazioni (32). 
Infine, i principali dubbi circa la compatibilit� con il principio di uguaglianza 
(art. 3 Cost.) sono dovuti al fatto che le agevolazioni comportano, 
come � ovvio, disparit� di trattamento. Si � posto, pertanto, il problema di verificare 
se tale disparit� sia giustificata. La dottrina � pressoch� unanime nel 
sostenere la compatibilit� tra agevolazioni e principio di uguaglianza, sulla 
base di varie argomentazioni (33). Giova inoltre rilevare che la Corte Costituzionale 
raramente si � pronunciata sul punto, sul presupposto di un�ampia discrezionalit� 
legislativa, sindacabile soltanto laddove sia viziata da 
irragionevolezza (34). 
Con particolare riguardo alle agevolazioni riconosciute agli immobili di 
interesse storico artistico, il dibattito dottrinale si era sviluppato, in passato, 
(28) Sul punto si veda: P. BORIA, Il sistema tributario, op. cit., p. 1041; F. MOCHETTI - R. ZENNARO, 
voce Agevolazioni, II, Problemi di legittimit� costituzionale e principi interpretativi, in Digesto banca dati; 
S. LA ROSA, Le agevolazioni, op. cit., pp. 430 e ss.; A. GUIDARA, Agevolazioni fiscali, in www.treccani.it. 
(29) Cos� S. LA ROSA, Le agevolazioni, op. cit., p. 416. 
(30) A. FEDELE, Profilo dell�imposta sull�incremento di valore delle aree fabbricabili, Napoli, 
1966, pp. 109 e ss., nota n. 60; S. LA ROSA, Le agevolazioni, op. cit., p. 420; E. DE MITA, Capacit� contributiva, 
in Digesto banca dati, 1987. 
(31) R. ZENNARO - F. MOSCHETTI, Agevolazioni fiscali, II, Problemi di legittimit� costituzionale, 
op. cit.; F. MOSCHETTI, Profili generali, in Trattato di diritto tributario, op. cit., pp. 225 e ss. 
(32) F. FICHERA, Le agevolazioni, op. cit., pp. 145 e ss. 
(33) Sul punto si vedano: R. ZENNARO - F. MOSCHETTI, Agevolazioni fiscali, II, Problemi di legittimit�, 
op. cit.; A.D. GIANNINI, Istituzioni di diritto tributario, Milano, 1974, p. 122; F. FICHERA, Imposizioni 
ed extrafiscalit� nel sistema costituzionale, Napoli, 1973, pp. 89 e ss., come citato da R. GALIERO, 
Agevolazioni fiscali e Costituzione, in Diritto e pratica tributaria, pp. 742 e ss.; S. LAROSA, Eguaglianza 
tributaria ed esenzioni fiscali, Milano, 1968, pp. 9 e ss., come citato da R. GALIERO, Agevolazioni fiscali, 
op. cit., pp. 742 e ss. 
(34) Sent. Corte Cost. 28 aprile 1983, n. 108, in De Jure.
CONTRIBUTI DI DOTTRINA 277 
prevalentemente sulla ratio del beneficio accordato dall�art. 11, comma 2, 
della legge 413/1991 (ovvero sull�opportunit� di determinare il reddito dell�immobile, 
sulla base della minore delle tariffe d�estimo della zona censuaria 
di riferimento, anche in presenza di un canone di locazione superiore, derogando 
al dettato dell�art. 37 TUIR). 
In sintesi, il fondamento delle agevolazioni riconosciute agli immobili di 
interesse storico artistico � stato ravvisato: 
- nella necessit� di compensare il proprietario dei vincoli che gravano 
sulla propriet� del bene. 
Il regime giuridico dei beni culturali in generale riduce il valore economico 
di detti beni dando luogo a minor capacit� contributiva (35). In questo 
senso il trattamento di favore non rappresenta un �privilegio�, ma �un�equa 
compensazione� (36). La stessa Corte Costituzionale ha affermato che la ratio 
delle agevolazioni in parola risiede �in un�esigenza di equit� fiscale, derivante 
dalla considerazione della minore utilit� economica che presentano i beni immobili 
di interesse storico o artistico in conseguenza dei vincoli e limiti cui la 
propriet� � sottoposta� (37); 
- nella tutela del paesaggio e del patrimonio storico artistico. 
In particolare, nello specifico settore dei beni culturali la concessione 
delle agevolazioni deriva dal contemperamento di due principi costituzionali: 
l�art. 53 Cost., espressione dell�interesse fiscale, e l�art. 9 Cost., posto a tutela 
del patrimonio storico artistico. Tale giustificazione non � condivisa da una 
parte della dottrina, la quale paventa il rischio di un�agevolazione che possa 
andare a vantaggio dei proprietari e non dei beni (38); 
- nella peculiare natura del bene. 
Una parte della dottrina ritiene che i beni culturali facciano parte di una 
categoria autonoma di propriet� in relazione all�utilizzo (per cui il proprietario 
assomiglia a un gestore) e al regime fiscale (39), tanto da rappresentare un 
�microsistema� distinto dall�imposizione ordinaria riservata agli altri beni 
(40). Pertanto, la ragione di una diversa incidenza del prelievo tributario risiede 
nella funzione sociale della propriet� di questa particolare tipologia di beni, 
(35) E. D�ALFONSO, L�agevolazione ICI per gli immobili di interesse storico od artistico tra vincolo 
diretto e indiretto, in Rassegna tributaria, 2009, fasc. 1, p. 264. 
(36) G. PISTORIO, Le imposte sugli immobili di interesse storico artistico: una querelle interpretativa 
non ancora del tutto risolta, in Giurisprudenza italiana, 2005, maggio-settembre, p. 1753. 
(37) Corte Cost. sent. 345/2003, in De Jure. 
(38) In questo senso M. ANNECCHINO, Osservazioni sulla costituzionalit� dell�esenzione riconosciuta 
ai proprietari di immobili vincolati, in Il Foro italiano, 2004, pp. 3288-3293. 
(39) G. LOMBARDI, Garanzia costituzionale del trattamento fiscale delle dimore storiche e funzione 
sociale di un nuovo tipo di propriet�, in fisconline. 
(40) P. SORRENTINO, Tassazione degli immobili di interesse storico artistico: il <<diritto vivente>> 
della Corte di Cassazione all�esame della Corte Costituzionale, in Bollettino tributario d�informazioni, 
2003, gennaio-aprile, p. 635.
278 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2015 
senza il pericolo che venga violato il principio di uguaglianza, non essendo le 
due situazioni comparabili (41). 
Infine deve essere tenuto in considerazione che gli stessi obblighi gravanti 
sul proprietario possono essere assimilati a contribuzione (42). � in proposito 
interessante notare �l�agnosticismo costituzionale� sulle modalit� attraverso 
cui concorrere alle spese pubbliche (43). 
In conclusione, tali sono le principali giustificazioni del trattamento differenziato 
riconosciuto agli immobili storici, giustificazioni dalle quali non si pu� 
prescindere, in quanto un�agevolazione, se priva di fondamento, risulta essere 
�un privilegio, costituzionalmente illegittimo e socialmente inaccettabile� (44). 
2. I privati e la cultura. 
Come � noto, le forme di finanziamento alla cultura possono essere di natura 
pubblica (contributi, sovvenzioni, ecc.) o di origine privata (erogazioni 
liberali e contributi da imprese, fondazioni ecc.). Pertanto, quando si riducono 
i fondi di natura pubblicistica l�unico modo per salvaguardare il patrimonio 
culturale � quello di coinvolgere i privati, rendendoli �responsabili� delle iniziative 
in ambito culturale (45). Il coinvolgimento dei privati sembra discendere 
dallo stesso dettato costituzionale (46). 
L�attrazione di fondi privati � avvenuta, essenzialmente, in due modi: 
erogazioni liberali (inquadrabili nel c.d. �mecenatismo culturale�) e sponsorizzazioni. 
Il �mecenatismo culturale� si attua attraverso l�elargizione di oneri liberali, 
solitamente in danaro, da parte di privati ed imprese verso enti (che si assumono 
il compito di destinarli ad importanti finalit� sociali), i quali non 
assumono l�obbligo di pubblicizzare il soggetto erogatore (distinguendosi, 
sotto questo aspetto, dalla sponsorizzazione) (47). 
(41) F. D�AYALAVALVA, Brevi riflessioni sulla locazione degli immobili storici dopo il Testo Unico 
sui beni culturali e ambientali, in Riv. dir. trib., parte I, 2003, p. 420. 
(42) In questo senso F. D�AYALAVALVA, Brevi riflessioni sulla locazione, op. cit., p. 420. 
(43) L. CASTALDI, Considerazioni intorno alla disciplina fiscale delle erogazioni liberali al c.d. 
Terzo settore, in Riv. dir. trib., 2011, parte I, tomo II, p. 944. 
(44) M. ANNECCHINO, Equivoci in tema di tassazione di immobili vincolati, in Il Foro italiano, 
2000, parte I, p. 1678. 
(45) E. DE SIMONE - A. DI MAJO, La politica di incentivi tributari: quale ruolo per le donazioni 
alla cultura in Italia? In AA.VV. L�intervento dei privati nella cultura, Firenze, 2013, pp. 25 e ss. 
(46) L�art. 118, comma 4, dispone: �Stato, Regioni, Citt� metropolitane, Province e Comuni favoriscono 
l�autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attivit� di interesse 
generale, sulla base del principio di sussidiariet��. Il principio di sussidiariet� si declina in due aspetti: 
in senso verticale comporta lo spostamento delle funzioni verso enti pi� vicini al cittadino; in senso orizzontale 
� volto a permettere al cittadino, sia come singolo che attraverso le formazioni sociali, di collaborare 
con le istituzioni nell�individuare gli interventi di interesse generale. Sul punto si veda: M. MISCALI, 
La fiscalit� del terzo settore: dall�agnosticismo legislativo al �diritto costituzionale alla sussidiariet� fiscale�, 
in AA.VV. La fiscalit� del terzo settore, a cura di G. ZIZZO, Milano, 2011, pp. 57 e ss.
CONTRIBUTI DI DOTTRINA 279 
Il legislatore tributario ha previsto al riguardo una serie di incentivi fiscali. 
In particolare, per le persone fisiche sono previste delle detrazioni di imposta 
(48), alle imprese � invece riconosciuta la possibilit� di dedurre dal reddito imponibile 
le erogazioni liberali (49), per gli enti non commerciali, infine, sono 
previste specifiche deduzioni e detrazioni (50), cui si aggiungono quelle dettate 
per le imprese (limitatamente all�attivit� commerciale esercitata). Occorre rilevare 
che non tutte le disposizioni di favore, pur rimanendo in vigore, trovano 
attualmente applicazione, a causa c.d. decreto Art Bonus che ha previsto, invece, 
il riconoscimento di un credito di imposta al soggetto erogatore (51). 
Gli enti destinatari delle erogazioni liberali costituiscono il �Terzo settore�, 
del quale non � possibile fornire una definizione precisa, stante l�eterogeneit� 
del fenomeno e la mancanza di dati normativi. Lo stesso pu� essere 
genericamente definito come l�insieme eterogeneo di enti privati che concorrono 
con lo Stato, in forza del principio di sussidiariet� orizzontale, nel garantire 
l�erogazione dei servizi essenziali per la collettivit� (52). Tra questi 
enti, accomunati dall�assenza di scopo di lucro e dallo scopo ideale di utilit� 
sociale, rientrano anche le ONLUS (artt. 10-29, D.Lgs. n. 460/1997). 
La ratio giustificativa delle agevolazioni ai soggetti che effettuano erogazioni 
liberali a tali enti � stata ravvisata nel considerare le stesse come una 
forma alternativa all�obbligo di concorso alle spese pubbliche, sancito dall�art. 
53 Cost. (53). Tale modo di intendere la disciplina fiscale di favore nei confronti 
delle erogazioni liberali rivelerebbe, ad avviso della dottrina (54), da un 
lato la crisi di rappresentativit� dello Stato, dall�altro il progressivo abbandono 
del modello di Stato sociale. 
Il legislatore, al fine di incentivare gli investimenti dei privati in cultura 
e preso atto della farraginosit� del sistema normativo, ha apportato diverse 
modifiche in materia di erogazioni liberali. Tra queste, meritano di essere citate 
l�emanazione del summenzionato decreto Art bonus (D.L. n. 83/2014) e le 
modifiche introdotte con l�art. 23 della legge n. 11/2011, il quale ha previsto 
un ampliamento delle finalit� che possono essere perseguite tramite la devo- 
(47) M. MATTIALA, Il contratto di sponsorizzazione, in AA.VV. La cultura ai privati, a cura di T.S. 
MUSUMECI, Padova, 2012, p. 57. 
(48) Art. 15, comma 1, lett. h), lett. h-bis), lett. i), TUIR. 
(49) Art. 100, comma 2, lett. f), lett. g), lett. h), lett. i), lett. m). 
(50) Artt. 146, 147 TUIR. 
(51) L�ART Bonus (D.L. 83/2014) ha sospeso, per tutto il periodo della sua vigenza (periodi di 
imposta 2014-2016, salvo proroghe), l�applicazione delle disposizioni di cui agli art. 15, comma 1, lett. 
h), lett. i) TUIR e art. 100, comma 2, lett. f) e lett. g) TUIR. 
(52) S. BOFFANO, Disciplina fiscale e �finalit�� degli enti del terzo settore, in AA.VV. La fiscalit� 
del terzo settore, op. cit., p. 75. 
(53) S. GIANONCELLI, La fiscalit� delle erogazioni liberali al terzo settore, in AA.VV. La fiscalit� 
del terzo settore, op. cit., p. 301 e ss. 
(54) L. CASTALDI, Considerazioni intorno alla disciplina fiscale delle erogazioni liberali al terzo 
settore, in Riv. dir. trib., 2011, Parte I, Tomo II, p. 942.
280 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2015 
luzione del 5 per mille dell�Irpef, includendo il finanziamento delle attivit� di 
tutela, promozione e valorizzazione dei beni culturali e paesaggistici (55). 
L�istituto del 5 per mille � una forma di finanziamento del settore no profit. 
Tutti i contribuenti (persone fisiche), hanno la facolt� di optare, in sede di 
dichiarazione annuale, per la devoluzione di una quota dell�Irpef a favore di 
enti che svolgono attivit� ritenute meritevoli dal legislatore. L�istituto, visto 
con favore dalla dottrina posto che consente al singolo cittadino di perseguire 
attivamente l�interesse generale (56), presenta tuttavia alcune criticit�, prima 
fra tutte la compressione del ruolo dello Stato che, complice la situazione di 
crisi di rappresentativit� in cui versa, vede ridimensionato il ruolo di ente esponenziale 
della collettivit�, a vantaggio di scelte dei singoli contribuenti, non 
di rado influenzate da logiche di mercato (57). Si distingue dall�istituto dell�8 
per mille, poich� in quest�ultimo caso non pu� parlarsi di un�autentica scelta 
da parte del contribuente (58). 
La novit� senza dubbio pi� significativa � rappresentata dal c.d. Art 
Bonus, il quale consiste nel riconoscimento di un credito d�imposta ai soggetti 
che effettuano versamenti in denaro vincolati a specifiche finalit�, tassativamente 
individuate dalla norma (59). 
Il credito d�imposta � pari al 65% delle erogazioni liberali effettuate in 
ciascuno dei due periodi di imposta successivi a quello in corso al 31 dicembre 
2013, del 50% delle erogazioni liberali effettuate nel periodo di imposta successivo 
a quello in corso al 31 dicembre 2015. La disposizione pone, inoltre, 
un limite al credito di imposta riconosciuto: 15% del reddito imponibile per 
persone fisiche ed enti non commerciali; 5 per mille dei ricavi annui per coloro 
che sono soggetti alle norme sul reddito di impresa. 
(55) Altri esempi di modifiche al sistema normativo delle erogazioni liberali sono: art. 40, comma 
9, del d.l. 201/2011 (che ha previsto la sostituzione degli adempimenti burocratici con un�autocertificazione, 
salvi i successivi controlli a campione dell�Agenzia delle Entrate); art. 14 d.l. 35/2005 (che ha 
previsto la possibilit� di dedurre dal reddito complessivo, nel limite del 10% del reddito complessivo 
dichiarato e nella misura massima di 70000 mila euro annui, le liberalit� in danaro erogate a favore di 
ONLUS e di fondazioni e associazioni riconosciute aventi per oggetto la tutela, promozione e valorizzazione 
dei beni di interesse storico artistico). 
(56) M. MISCALI, La fiscalit� del terzo settore, op. cit., pp. 54 e ss. 
(57) L. CASTALDI, Destinazione del 5 per mille Irpef, in Rass. trib. 1/2008, pp. 190 e ss. 
(58) Se il contribuente non effettua la scelta di devolvere il 5 per mille ad uno dei soggetti individuati, 
l�importo manterr� la sua originaria destinazione; diversamente, se il contribuente non effettua 
la scelta circa la destinazione dell�otto per mille, quest�ultimo sar� comunque devoluto ai soggetti individuati 
dal legislatore, in proporzione alle scelte fatte dagli altri contribuenti. Sul punto S. GIANONCELLI, 
La fiscalit� delle erogazioni liberali al terzo settore, inAA.VV. La fiscalit� del terzo settore, op. cit., pp. 
376 e ss. 
(59) Si tratta, in particolare, dei versamenti finalizzati alla manutenzione, protezione e restauro 
dei beni culturali pubblici; al sostegno degli istituti e dei luoghi della cultura di appartenenza pubblica; 
alla realizzazione di nuove strutture, con restauro e potenziamento di quelle esistenti; al sostegno delle 
fondazioni lirico-sinfoniche e di enti ed istituzioni pubbliche che, senza scopo di lucro, svolgono esclusivamente 
attivit� nello spettacolo.
CONTRIBUTI DI DOTTRINA 281 
Un altro strumento attraverso cui il privato pu� contribuire a tutelare e 
valorizzare il patrimonio culturale � dato dalla sponsorizzazione. Quest�ultima, 
dal punto di vista civilistico, pu� essere definita come il contratto attraverso 
il quale un soggetto (sponsorizzato o sponsee) si obbliga ad associare, dietro 
corrispettivo, alla propria attivit�, il nome o il segno distintivo di un altro soggetto 
(sponsor), divulgandone l�immagine presso il pubblico (60). In particolare 
si tratta di un contratto atipico (art. 1322 c.c.), a forma libera (art. 1350 
c.c.), di natura patrimoniale (art. 1174 c.c.), caratterizzato da un nesso sinallagmatico. 
La causa del contratto � il fine di pubblicit�, l�obbligazione che 
grava sullo sponsorizzato � un obbligazione di mezzi e non di risultato (61). 
L�esistenza di obblighi contrattuali corrispettivi distingue la sponsorizzazione 
dalla erogazioni liberali. 
Il ricorso alla sponsorizzazione in ambito culturale si � sviluppato in tempi 
relativamente recenti (62). Il quadro normativo cui fare riferimento � dato 
dagli artt. 26, 27, 199 bis del Codice dei contratti pubblici (D.Lgs. n. 163/2006) 
e dall�art. 120 del Codice dei beni culturali (D.Lgs. n. 42/2004). In particolare, 
ai sensi di tale ultima disposizione, la sponsorizzazione consiste in ogni contributo, 
anche in beni o servizi, erogato da soggetti privati per la progettazione 
o attuazione di iniziative in ordine alla tutela e alla valorizzazione del patrimonio 
culturale, con lo scopo di promuovere il marchio, il nome, l�immagine, 
l�attivit� o i prodotti del soggetto erogatore. 
Preso atto della vaghezza della disposizione, il Ministero per i beni e le 
attivit� culturali ha emanato norme tecniche e linee guida, con il fine di indirizzare 
l�azione degli uffici (63). In particolare le linee guida individuano tre 
diversi tipi di sponsorizzazione, ciascuno dei quali destinatario di una differente 
disciplina: sponsorizzazione tecnica, in cui la progettazione e la realizzazione 
di tutto o di parte dell�intervento � a cura e a spese dello sponsor; 
sponsorizzazione pura, in cui lo sponsor assume la sola obbligazione di finanziamento 
dell�intervento; sponsorizzazione mista, che risulta dalla combinazione 
delle prime due. 
Dal punto di vista fiscale, la sponsorizzazione assume rilevanza per lo spon- 
(60) V. AMATO, Enciclopedia giuridica Treccani, Volume 59, voce Sponsorizzazione. 
(61) Sull�inquadramento civilistico del contratto di sponsorizzazione si veda, da ultimo: S. D�ANDREA, 
Contratto di sponsorizzazione, in Pratica fiscale e professionale, 38/2013, pp. 31 e ss., banca 
dati ipsoa; G. MARTINELLI - C. MUSURACA, Il fenomeno delle sponsorizzazioni sportive: analisi giuridica 
e fiscale, in Enti non profit, 10/2011, banca dati ipsoa, pp. 29 e ss. 
(62) Il primo riferimento legislativo alle sponsorizzazioni risale al 1990 ed in particolare al c.d. 
�Legge Mamm�� (223/1990). Sul punto si veda: P. BARBERA, Commento all�art. 120, in AA.VV. Codice 
dei beni culturali e del paesaggio, a cura di M.A. SANDULLI, Milano, 2012, pp. 908 e ss.; G. FERRARI, I 
contratti di sponsorizzazione e la pubblica amministrazione, in Giurisprudenza di merito, 1/2011, pp. 
11 e ss.; G. FIDONE, Il ruolo dei privati: dalle sponsorizzazioni alla gestione del bene culturale, inAA.VV. 
L�intervento dei privati nella cultura, op. cit., pp. 61 e ss. 
(63) Allegato A, D.M. 19 dicembre 2012, in www.gazzettaufficiale.it.
282 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2015 
sor e per lo sponsorizzato, sia sul versante delle imposte dirette che indirette (64). 
In particolare, con riferimento alle prime: 
- Per lo sponsorizzato il corrispettivo ricevuto a fronte della prestazione 
dedotta in contratto � un componente positivo del suo reddito imponibile. Nel 
caso di ente commerciale, esso costituisce componente positivo del reddito di 
impresa ai fini Ires ed Irap. Nel caso di ente non commerciale, esso costituisce 
un componente positivo del reddito di impresa (se la sponsorizzazione � abituale) 
o un reddito diverso (se la sponsorizzazione � occasionale). 
- Per lo sponsor, la sponsorizzazione � un costo che, se soddisfa i requisiti 
di inerenza e competenza, � deducibile nella determinazione del reddito 
di impresa. Occorre in proposito rilevare che l�Amministrazione finanziaria 
ha frequentemente contestato la piena deducibilit� dei costi di sponsorizzazione 
facendo leva su due argomentazioni: la non inerenza del costo da un 
lato, la qualificazione come spese di rappresentanza dall�altro (e l�applicazione 
del conseguente regime di deducibilit� limitata ex art. 108 TUIR). 
Sotto il primo profilo, il fondamento normativo dell�inerenza di cui all�art. 
109 comma 5 non specifica cosa sia o meno inerente all�attivit� di impresa. 
In passato erano considerate inerenti le sole spese strettamente necessarie alla 
produzione di ricavi (Cass. 1888/1995); di recente sono state invece considerate 
inerenti tutte le spese correlate all�attivit� di impresa (anche potenziale) 
purch� sostenute nell�intento di fornire a quest�ultima un�utilit� (Cass. 
10062/2000). In particolare, devono considerarsi inerenti, in virt� di un criterio 
di tipo oggettivo, tutti quei costi sostenuti per realizzare le finalit� economiche 
dell�impresa (nel caso di societ�, espresse nell�oggetto sociale) (65). Non � 
necessario che il costo abbia dato luogo a ricavi (Cass. 6502/2000). Con particolare 
riguardo al tema delle sponsorizzazioni, i relativi costi saranno deducibili, 
quindi, solo se la sponsorizzazione � idonea a creare un�aspettativa di 
ritorno commerciale, ossia un aumento delle vendite (66). 
Sotto il secondo profilo, il legislatore non fornisce una definizione di cosa 
debba intendersi per spese di pubblicit� e propaganda da un lato, e spese di 
rappresentanza dall�altro. L�Agenzia delle entrate ha ravvisato l�elemento distintivo 
nella gratuit� che caratterizza le seconde e non le prime (67). La giu- 
(64) Sullo specifico tema del trattamento fiscale delle sponsorizzazioni in ambito culturale si veda: 
L. STAROLA, La sponsorizzazione dei beni culturali: opportunit� fiscali, Aedon 1/2010; R. LUNELLI, Attualit� 
e prospettive nel trattamento tributario dei beni storici tutelati, Il Fisco, 5/2013. pp. 654 e ss., 
banca dati ipsoa. 
(65) M. DAMIANI, Lo spettro largo dell�inerenza e la sua valenza anche quantitativa, in Corr. 
trib., in Banca dati ipsoa, 10/2013, pp. 771 e ss. 
(66) Cos� N. SIVIERO - A. BINDOLI, Congruit� ed inerenza delle spese di sponsorizzazione, op. 
cit., pp. 10 e ss. 
(67) R.M. 17 giugno 1992, n. 9/204; R.M. 17 settembre 1998, n. 148/E citate da M. GIUA, Il punto 
su sponsorizzazioni e mecenatismo, op. cit., p. 420; Circ. 34/E del 13 luglio 2009, allegato A, D.M. 19 
dicembre 2012.
CONTRIBUTI DI DOTTRINA 283 
risprudenza ha assunto nel tempo opinioni divergenti (68), esprimendo da ultimo 
il principio secondo cui costituiscono spese di rappresentanza quelle volte 
ad accrescere l�immagine o il prestigio dell�impresa, mentre sono spese di 
pubblicit� e propaganda quelle volte a reclamizzare il prodotto (69). La linea 
di demarcazione tra promozione del prodotto e promozione dell�immagine 
non � tuttavia sempre nitida, sarebbe quindi pi� opportuno fare riferimento 
alla natura della spesa e agli interessi delle parti. In particolare, le spese di 
sponsorizzazione per risultare deducibili come spese di pubblicit� dovrebbero 
reclamizzare un prodotto commerciale ed essere corrisposte a fronte di un obbligo 
corrispettivo (70). 
Sotto il versante delle imposte indirette, l�operazione � soggetta ad IVA, 
con applicazione dell�aliquota ordinaria sulle somme versate dallo sponsor a 
fronte della �prestazione di servizi� dello sponsee (71). Nel caso di sponsorizzazione 
tecnica, in cui l�impresa sponsor non fornisce una somma di denaro, 
ma si obbliga alla progettazione o realizzazione di tutto o parte dell�intervento, 
si realizza un�operazione permutativa, espressamente disciplinata sul piano fiscale 
dall�art. 11 del D.P.R. n. 633/1972 (72). 
Occorre dar conto infine dell�esistenza di nuovi modelli di coinvolgimento 
dei privati nel settore culturale, ascrivibili al c.d. �partenariato pubblico 
privato�. Con tale espressione si fa riferimento a quelle forme di cooperazione 
tra i pubblici poteri e i privati, che hanno lo scopo di finanziare, costruire e 
gestire infrastrutture o fornire servizi di interesse pubblico. 
In Italia non esiste una disciplina specifica per il partenariato pubblico 
privato. Possono tuttavia essere ricondotti a tale forma di collaborazione alcuni 
istituti regolati nel nostro ordinamento: le concessioni di servizi, il leasing finanziario 
e il project financing (73). 
Quest�ultimo, in particolare, � uno strumento di finanziamento di singoli 
progetti di investimento che si caratterizza, rispetto alle tradizionali forme di 
finanziamento dell�attivit� di impresa, per la propria capacit� di generare, attraverso 
la gestione dell�opera, flussi di cassa in grado di remunerare il capitale 
(68) Si veda l�allegato A al D.M. 19 dicembre 2012, in www.gazzettaufficiale.it che contiene una 
rassegna delle sentenze con cui la Suprema Corte si � espressa sul punto. 
(69) Cass. 15 aprile 2011, n. 8679, citata da L. STAROLA, Proposte fiscali per la valorizzazione 
del patrimonio culturale, Corr. trib., 6/2014, p. 494. 
(70) In questo senso si � espresso l�Assonime, approfondimento n. 6/2013, analizzato da G. FERRANTI, 
Le spese di sponsorizzazione tra pubblicit� e rappresentanza, in Corr. trib. 29/2013, pp. 2294 e ss. 
(71) Risoluzione 88/E dell�11 luglio 2005, citata dal Ministero nell�allegato A al D.M. 19 dicembre 
2012. La risoluzione � stata pronunciata dall�Agenzia delle entrate, a seguito dell�istanza di interpello 
proposta da una pubblica amministrazione che aveva stipulato contratti di amministrazione per la realizzazione 
di una mostra. 
(72) Sul punto si veda M. GIUA, Il punto su mecenatismo e sponsorizzazioni culturali, op. cit., 
pp. 418 e ss. 
(73) Sul partenariato pubblico privato si veda: M. CLARICH - G. FONDERICO, Partenariato pubblico 
privato, in www.ilsole24ore.it.
284 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2015 
investito (74). Il privato nel concedere l�investimento non baser� la propria 
scelta sulla condizione di equilibrio economico finanziario del soggetto, bens� 
sulla prospettiva reddituale della specifica iniziativa finanziata. 
Il project financing, la cui applicazione al settore dei beni culturali � 
espressamente consentita dall�art. 197, comma 3, del Codice dei contratti pubblici 
(D.Lgs. n. 163/2006), � un istituto che permette di individuare un punto 
di equilibrio tra l�esigenza di profitto (rectius di economicit�) propria del 
mondo privato e i principi di tutela e conservazione; equilibrio che permette 
di raggiungere importanti risultati, in termini di efficienza, sul piano della valorizzazione 
dei beni culturali (75). 
(74) Per la definizione, la disciplina e l�applicabilit� del project financing ai beni culturali si veda 
A. CARDARELLA, Il project financing nei beni culturali, in AA.VV. La cultura ai privati, op. cit., pp. 96 
e ss. 
(75) A. GRANELLI - F. TAMBURELLA, Intraprendere la cultura, Roma, 2006, pp. 219 e ss.
CONTRIBUTI DI DOTTRINA 285 
Giudici amministrativi, economia e strategie processuali 
Maria Vittoria Lumetti* 
Giuseppe Camardi** 
SOMMARIO: 1. L�analisi economica del diritto: dal silete theologi al silete iuriconsulti - 
2. Osmosi tra diritto pubblico e diritto privato. I criteri produttivi della P.A. e l�Amministrazione 
di risultato - 3. Le strategie processuali per incentivare l�economia: il sistema dualistico 
e l�opzione tra giurisdizione unitaria e giurisdizione ripartita. Il nuovo sistema di tutela circolare 
ed integrata - 4. Giusto processo e sorte del processo cautelare: procedimentalizzazione 
e potere conformativo - 5. Il vincolo di rimessione all�Adunanza Plenaria (art. 99 c.p.a.) e la 
funzione nomofilattica del Consiglio di Stato - 6. (segue) La risoluzione anticipata di questioni 
di massima (art. 72 c.p.a.): precedente conforme, persuasivo, carismatico ma non vincolante 
- 7. La �contaminazione� con il sistema del common law potenzia la funzione nomofilattica 
del giudice amministrativo - 8. Il giudice amministrativo ai tempi dell�economia, tra diritto 
globale e decostruzione giuridica - 9. Conclusioni. Gli effetti della giuridificazione. Verso un 
processo �economico� di risultato? 
1. L�analisi economica del diritto. Dal �silete theologi� al �silete iuriconsulti�. 
Il presente lavoro costituisce una riflessione sulla dimensione e sulle conseguenze 
dell�impatto dell�economia sulla giustizia amministrativa e su quello 
che da pi� parti si delinea come presentimento o intendimento in merito a ci� 
che � stato definito come �fine del diritto� (1). Si cercher� di chiarire se il cosiddetto 
�silete iuriconsulti� (2) � pi� che mai attuale, in quanto ormai � l�economia 
che ci domina, oppure se la questione non sta proprio in questi termini. 
� un dato certo che il mercato la concorrenza e le forze che si sviluppano 
(*) Avvocato dello Stato. 
(**) Avvocato del libero Foro. 
(1) P. ROSSI, Fine del diritto?, (a cura di P. ROSSI), Bologna 2009, 56 ss. 
(2) G.C. SPATTINI, Le decisioni tecniche dell�Amministrazione e il sindacato giurisdizionale, in 
Dir. proc. amm., n. 1, 2011, 134-137: �Proprio nel ventesimo secolo si assiste all�evento della scomparsa 
d�una delle pi� grandi acquisizioni della civilt� occidentale, ovvero lo ius publicum europaeum, il quale 
nasceva dalla intimazione rivolta dai giuristi ai teologi: �Silete, theologi, in munere alieno!�, ossia dalla 
definitiva separazione tra il diritto canonico e il diritto dei nuovi sovrani che saranno poi consacrati 
dalle paci di Vestfalia. Schmitt osserva che con il grande conflitto interno europeo, che apre la strada al 
prevalere della scienza e della tecnica, in realt� detta intimazione si capovolge in quella nuovissima e 
opposta �Silete iurisconsulti!�: il campo � dominato dalla tecnica e dalla scienza, quindi dai tecnici e 
dagli economisti, e non pi� dai giuristi (bench� oggi taluno, dopo la devastante crisi finanziaria del 2008 
tuttora in corso, abbia provato a ribaltarla nuovamente in un �Tacete economisti!�, riaffermando dunque 
la supremazia del diritto sull�economia ...)�. Cfr. E. NOLTE, Der europaische Burgerkrieg 1917-1945. 
Nationalismus und Bolschewismus, Propylaen Velag, Berlin, 1987, 67 ss. (tr. it. Sansoni, Firenze, 1988); 
F. FUKUYAMA, The End of History and the Last Man, Free Press, New York, 1992, 35 ss. (pubblicato in 
Italia da Rizzoli, La fine della storia e l�ultimo uomo, 1992). 
286 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2015 
in societ� altamente complesse e differenziate orientano anche l�analisi del diritto. 
Parrebbe che ormai il campo sia in parte dominato dalla tecnica e dalla 
scienza (3) e quindi dagli economisti e dai tecnici ed in misura solo recessiva 
dai giuristi. 
Ma � un dato altrettanto incontrovertibile che il giudice amministrativo � 
diventato, si pu� dire, il giudice naturale dell�economia (4), soprattutto a seguito 
della devoluzione del settore in materia di appalti e delle autorit� amministrative 
indipendenti. 
Come tale, � diventato anche il giudice della garanzia. 
L�analisi economica del diritto � il termine in uso per indicare gli studi 
interdisciplinari di diritto e discipline economiche che hanno come oggetto di 
indagine le norme giuridiche, sia sotto il profilo positivo che normativo. 
Secondo la prospettiva dell�analisi economica, i problemi giuridici debbono 
essere analizzati e risolti attraverso una comparazione tra i diversi gradi 
d�efficienza delle molteplici soluzioni ipotizzabili (5). 
Da questo confronto, effettuato con modalit� analitiche �prese a prestito� 
dalla scienza economica ed in particolare, dalla microeconomia, emerger� la 
scelta pi� efficiente, ossia quella in grado di garantire, a ciascun soggetto coinvolto, 
il maggior numero possibile di vantaggi. 
Il termine economia � indubbiamente un termine polisenso che in larga 
parte pu� essere interpretato come sinonimo di analisi economica del diritto 
(economic analysis of law) (6). 
Il distacco del diritto dell�economia dalle matrici originarie del diritto privato 
e del diritto pubblico � relativamente recente (7). 
(3) Sui rapporti tra scienza e diritto v. S. JASANOFF, La scienza davanti ai giudici. La regolazione 
giuridica della scienza in America, Milano, 2001, 51 e 165 ss.; M. TARUFFO, Le prove scientifiche 
nella recente esperienza statunitense, in Riv. Trim. dir. proc. civ. 1996, 219, e A. DONDI, 
Paradigmi processuali ed �expert witness testimony� nell�ordinamento statunitense, in Riv. Trim. 
dir. proc. civ. 1996, 261. In particolare, sul tema del libero convincimento del giudice nel nostro ordinamento 
nella dottrina processualcivilista, soprattutto in relazione alla prova scientifica, cfr. V. 
DENTI, Scientificit� della prova e libera valutazione del giudice, in Riv. dir. proc., Milano, 1972, 414; 
G. CANZIO, Prova scientifica, ragionamento probatorio e libero convincimento del giudice nel processo 
penale, in https://www.giustiziacampania.it/file/1053/file/relazionecanzio17.10.03.doc. 
(4) E. FERRARI, M. RAMAJOLI, M. SICA, Il ruolo del giudice di fronte alle decisioni amministrative 
per il funzionamento dei mercati, Torino 2006, 54 ss. 
(5) Per un approfondimento dei metodi della scuola americana di Law and economics (EAL) M. 
VATIERO, Understanding Power. A �Law and Economics� Approach, Saarbr�cken, VDM-Verlag Publisher, 
2009, 35 ss. 
(6) A. NICITA and M. VATIERO, The Contract and the Market: Towards a Broader Notion of Transaction?, 
Studi e Note di Economia, 17-22, 2007. 
(7) Il Premio Nobel Oliver Williamson ha pi� volte individuato nell�economista americano John 
R. Commons un precursore di alcuni concetti basilari dell�analisi economica del diritto come la transazione, 
A. NICITA e VATIERO, The Contract and the Market: Towards a broader notion of transaction? in 
Studi e note di economia, 1, 7-22, 2007. Una radice europea dell'analisi economica del diritto � il filone 
sviluppatosi attorno alla Scuola di Friburgo (anche chiamato Ordoliberale) negli anni immediatamente 
precedenti della Seconda Guerra Mondiale, M. VATIERO, op. cit., 2009, 38 ss.
CONTRIBUTI DI DOTTRINA 287 
A causa della connessione esistente tra sistema giuridico e sistema politico, 
l�analisi economica del diritto, suddivisa in analisi positiva (o descrittiva) 
e analisi normativa (o prescrittiva), condivide alcuni campi d�indagine con 
l�economia e le scienze politiche (8). 
Non � infatti un caso che il codice di procedura amministrativa si apra 
con una norma che codifica il principio di effettivit�: �la giurisdizione amministrativa 
assicura la tutela piena ed effettiva secondo i principi della Costituzione 
e del diritto europeo� (9). 
Il contenuto della norma � arricchito dall�art. 7, comma 7 del codice 
stesso, il quale dispone che il principio di effettivit� debba essere realizzato 
attraverso �la concentrazione davanti al giudice amministrativo di ogni forma 
di tutela degli interessi legittimi nonch�, nelle particolari materie indicate dalla 
legge, dei diritti soggettivi�. 
L�art. 2, comma 2 codifica, invece, il principio della ragionevole durata, 
imponendo la cooperazione per la celere conclusione del processo non solo al 
giudice, ma anche alle parti. 
Ma il concetto chiave, � quello di �efficienza�. Mentre l�analisi positiva 
si concentra sull�aspetto statico (una norma � efficiente oppure non lo �), quella 
normativa sviluppa il problema da un punto di vista dinamico, al fine di individuare 
la regola pi� efficace e consigliabile. Preliminarmente, occorre chiedersi 
quando una norma sia efficiente. Una prima definizione viene dal 
cosiddetto �ottimo paretiano� (o efficienza paretiana elaborata dall�economista 
Vilfredo Pareto): il sistema economico pi� efficiente � quello che realizza 
un�allocazione di risorse tale per cui non sia possibile migliorare ulteriormente 
la condizione di un individuo senza peggiorare quella di un altro (10). L�analisi 
positiva si concentra sul tentativo di prevedere gli effetti delle diverse regole 
giuridiche e di comprendere quali potrebbero essere le conseguenze di differenti 
scelte normative applicate ai medesimi problemi. 
(8) Per un esempio concreto di analisi economica di un atto normativo, cfr. NICOLA C. SALERNO, 
Pensioni: 'effetti collaterali' di quando il Giudice deve supplire, suo malgrado, al Legislatore. Un 
commento alla sentenza della Suprema Corte di Cassazione n. 3240 del 2010, disponibile sia sul sito 
www.actainrete.org., sia sul sito www.astrid-online.it. 
(9) In materia cfr. R. CHIEPPA, Il Codice del processo amministrativo, Milano, 2011, 370; P. CHIRULLI, 
L�istruzione, in Il nuovo processo amministrativo, Commentario diretto da R. CARANTA, Bologna, 
2011, 537; M. CLARICH, Le azioni, in Gior. dir. Amm., 2010, 1126; C.E. GALLO, Il Codice del processo 
amministrativo: una prima lettura, in Gior. dir. Amm., 2010, 1021; C. SALTELLI, Processo amministrativo 
di primo grado, in Codice del processo amministrativo, Commentario (a cura di G. LEONE, L. MARUOTTI, 
C. SALTELLI), Padova, 2010, 594; F.G. SCOCA, Mezzi di prova e attivit� istruttoria, in Il processo amministrativo, 
Commentario (a cura di A. QUARANTA, V. LOPILATO), Milano, 2011, 539; G. MANFREDI, Il 
regime probatorio nel codice del processo amministrativo, in Urb. e app., 2011, 473, (nota a Cons. Stato, 
sez. IV, 11 febbraio 2011, n. 924). 
(10) N. BOBBIO, Pareto e il sistema sociale, Firenze, Sansoni, 1973, 17 ss. e dello stesso autore, 
Saggi sulla scienza politica in Italia, Bari-Roma, Laterza, 1969 (1996); A.K. SEN, The Impossibility of 
a Paretin Liberal: Reply in Journal of Political Economy, n. 79, 1971, 1406-1407.
288 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2015 
Ad esempio, nel campo degli illeciti civili, si confrontano i diversi effetti 
che potrebbero avere norme improntate alla responsabilit� oggettiva da altre 
incentrate sul dolo e sulla colpa (11). 
L�analisi normativa compie un passo avanti rispetto a quella economica 
in quanto intende suggerire la soluzione pi� efficiente ai diversi problemi coinvolgenti 
i vari attori del diritto, dal legislatore intento a regolare la fattispecie 
astratta sino al giudice alle prese con il caso concreto (12). 
2. Osmosi tra diritto pubblico e diritto privato. I criteri produttivi della P.A. e 
l�Amministrazione di risultato. 
L�ulteriore considerazione da farsi riguarda il fatto che negli ultimi due 
decenni si � assistito ad un rilevante processo di osmosi tra diritto pubblico e 
diritto privato (13). 
Prescindendo da altre considerazioni che spesso fotografano momenti patologici 
dell�ordinamento, non si pu� non dare il giusto rilievo alle norme di 
diritto amministrativo sostanziale che dettano i principi cui deve necessariamente 
ispirarsi l�azione amministrativa (14). 
Da tempo il concetto di analisi economica ha investito il settore della P.A. 
ed in particolare lo svolgimento dell�attivit� procedimentale (15). ComՏ noto, 
con la legge 241/90 sono state dettate le regole di condotta dell�Amministra- 
(11) I.F. CARAMAZZA, Risarcimento del danno e giudizio amministrativo, in Rass. Avv. Stato, 2002, 
37; S. GIACCHETTI, L�esecuzione delle statuizioni giudiziali nei confronti della P.A. e la foresta di Sherwood, 
in www.giust.it/articoli/giacchetti_esecuzione.htm.; S. GIACCHETTI, La riforma infinita del processo 
amministrativo, in www.giust.it. 
(12) M.S. GIANNINI, Diritto pubblico dell�economia, Bologna, Il Mulino, 1977, 299 ss.; R.A. POSNER, 
The Rise and Fall of Administrative law, Austin, Wolters Kluwer, VII ed., 2007, 555 ss. 
(13) Sul punto TRIMARCHI BANFI, Il diritto privato dell�amministrazione pubblica, in Dir. Amm., 
2004, 667, il quale ribadisce che �i fondamenti del diritto amministrativo si compongono in unit� attorno 
al postulato del carattere funzionale dell�attivit� dell�amministrazione, qualunque sia la forma 
nella quale essa si manifesta�. Per la bibliografia sulla questione v. G. GRECO, Accordi amministrativi. 
Tra provvedimento e contratto, Torino, 2003; G. GRECO, L�azione amministrativa secondo il diritto 
privato: principi, in La disciplina generale dell�azione amministrativa. Saggi ordinati in sistema, a 
cura di V. CERULLI IRELLI, Napoli, 2006, 79; C. CUDIA, Funzione amministrativa e soggettivit� della 
tutela: dall�eccesso di potere alle regole del rapporto, Milano, 2008; G. GUARINO, Eurosistema. Analisi 
e prospettive, Milano, 2006. Cfr. inoltre F. LUBRANO, Le sovvenzioni nel diritto amministrativo, Milano, 
2008; M. IANNONE, L�intervento pubblico nell�economia e le regole di concorrenza comunitaria, Torino, 
2009; E. GALLO, L�articolo 6 della manovra economica d�estate e l�adunanza plenaria n. 15 del 
2011: un contrasto soltanto apparente, in giustamm.it, 10/2011 e dello stesso autore, Ancora su SCIA 
e tutela del terzo le questioni irrisolte e le soluzioni prospettate, in attesa della pronuncia della Plenaria, 
in www.giustamm.it.; G. GRECO, La SCIA e la tutela dei terzi al vaglio dell'Adunanza Plenaria: 
ma perch�, dopo il silenzio assenso e il silenzio inadempimento, non si pu� prendere in considerazione 
anche il silenzio diniego? in Dir. amm. proc., 2010, 359. 
(14) Sulla tendenza a qualificare come provvedimento la dichiarazione del privato di inizio attivit�, 
v. G. CORSO, Conclusioni, in La legge sul procedimento amministrativo vent�anni dopo, 429 ss., in part. 
442-443; M. CLARICH, Termine del procedimento e potere amministrativo, Torino, Giappichelli, 1995 e 
F. MERUSI, La certezza dell�azione amministrativa fra tempo e spazio, in Sentieri interrotti della legalit�, 
Bologna, il Mulino, 2007, 39 ss.
CONTRIBUTI DI DOTTRINA 289 
zione ed il loro rispetto consente di affermare che il potere discrezionale non 
� pi� libero ma controllato e controllabile dagli stessi interessati, prima che si 
formalizzi definitivamente. 
Il rispetto di tali regole, la piena trasparenza sui criteri applicati in concreto, 
il pieno ed effettivo contraddittorio tra Amministrazione e soggetti privati 
si pongono come garanzia dell�ordinamento ma anche come limiti alla 
tutela da richiedere (16). 
L�idea alla base dell�utilizzo sempre pi� crescente del modello privatistico, 
che nel settore dell�economia, pi� che in altri settori, presenta aspetti costruttivi, 
potrebbe essere che �ciascuno persegue il suo interesse (e non un fine sociale) 
e che dal complesso delle attivit� dei singoli nasce il vantaggio reciproco e 
quindi la pubblica utilit�. Se al contrario, a ciascuno venisse imposta la benevolenza 
(la solidariet�), verrebbe meno la molla che spinge ad agire, e l�utilit� 
sociale ne sarebbe pregiudicata� (17). Parallelamente, tale percorso ha coinvolto 
ed interessato anche il livello giurisdizionale relativo all�attivit� della 
P.A. Infatti, comՏ stato osservato, riforma della Pubblica amministrazione e 
riforma del processo insieme stanno e insieme cadono (18), ed i cambiamenti 
(15) L�allineamento tra diritto amministrativo e processo economico � venuto meno nel momento 
in cui � entrato in crisi il ruolo dello Stato nell�economia e si � cominciato a dubitare del carattere 
necessariamente virtuoso dell�operare degli apparati pubblici, cfr. G. NAPOLITANO, Diritto 
amministrativo e processo economico, in G. NAPOLITANO, Diritto amministrativo e processo amministrativo, 
in www.giustizia-amministrativa.it (Relazione al 60 convegno di studi amministrativi, Varenna, 
18-20 settembre 2014); v. R.A. POSNER, The Rise and Fall of Administrative law, Austin, Wolters Kluwer, 
VII ed., 2007, 555. 
(16) V. M.S. GIANNINI, Diritto pubblico dell�economia (1977), Bologna, il Mulino, 1995, 299, laddove 
critica il fatto che l�analisi di tali disfunzioni abbia interessato molto pi� la scienza dell�amministrazione 
che le scienze del diritto, osservando che �� La continua crescita del debito sovrano ha 
evidenziato l�insostenibilit� di un perimetro cos� ampio di intervento pubblico, imponendo il varo di impegnativi 
programmi di spending review, basati sulla dismissione di compiti pubblici, sulla cessione ai 
privati di imprese e beni, sulla riduzione degli ausili finanziari ai privati e sul taglio delle prestazioni 
sociali ai cittadini. Ci� non determina necessariamente una ritirata dal diritto amministrativo, ma certo 
impone un profondo ripensamento dei suoi istituti. Le privatizzazioni, come � apparso chiaro sin dalla 
loro prima ondata, nel Regno Unito negli anni Ottanta e nei paesi dell�Europa continentale, a cominciare 
dall�Italia, negli anni Novanta del XX secolo, impongono l�abbandono dell�articolato sistema di imprese 
pubbliche ed enti di privilegio fiorito lungo tutto il Novecento, ma richiedono spesso la costruzione di 
una complessa architettura regolatoria: soprattutto se le imprese alienate operano in mercati monopolistici 
o che comunque vanno aperti a una dimensione concorrenziale integrata a livello europeo e globale�. 
(17) G. CORSO, Manuale di diritto amministrativo, Torino, Giappichelli, 2015, il quale riporta 
ADAMO SMITH, La ricchezza delle nazioni, libro I, cap. II. 
(18) E. GALLO, L�articolo 6 della manovra economica d�estate e l�adunanza plenaria n. 15 del 
2011: un contrasto soltanto apparente, in giustamm.it, 10/2011; dello stesso autore, Ancora su SCIA e 
tutela del terzo le questioni irrisolte e le soluzioni prospettate, in attesa della pronuncia della Plenaria, 
in www.giustamm.it.; G. GRECO, La SCIA e la tutela dei terzi al vaglio dell'Adunanza Plenaria: ma perch�, 
dopo il silenzio assenso e il silenzio inadempimento, non si pu� prendere in considerazione anche 
il silenzio diniego?, in Dir. amm. proc., 2010, 359. 
(18) Si nota infatti che il discrimen tra l�attivit� amministrativa di diritto privato e l�attivit� privata 
di diritto privato va rinvenuto nel fatto che, mentre la prima � attivit� formalmente privatistica ma so-
290 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2015 
intervenuti nel modo di essere della P.A. e nel modo di incidere sulla sua 
azione, hanno imposto la necessit� di intervenire nel processo amministrativo, 
che della tutela dell�equilibrio del complesso assetto di interessi governato 
dall�azione pubblica costituisce strumento e presidio di effettivit�. 
Si nota infatti che il discrimen tra l�attivit� amministrativa di diritto privato 
e l�attivit� privata va rinvenuto nel fatto che, mentre la prima � attivit� 
formalmente privatistica ma sostanzialmente amministrativa, la seconda � sia 
formalmente che sostanzialmente privatistica. Interessante � anche l�origine 
storica della distinzione, che deve essere riportata, in definitiva, alla nascita 
dello Stato di diritto. Prima di tale momento, infatti, la distinzione tra attivit� 
pubblicistica e attivit� privatistica delle pubbliche amministrazioni era coincisa, 
nel passaggio dallo Stato assoluto allo Stato di polizia, con quella di attivit� 
della P.A., non soggetta alle regole del diritto (l�attivit� iure imperii), ed 
attivit� giuridicamente regolata (19). 
Collegata, � la questione se l�Amministrazione possa operare sul mercato 
in concorrenza con operatori privati, o se ci� implica ex se una violazione delle 
regole della fair competition (20). 
L�art. 1 della l. 241 del 1990 sancisce il principio di legalit� dell�azione 
amministrativa, individuandone i criteri informatori e gli obiettivi (21). 
stanzialmente amministrativa, la seconda � sia formalmente che sostanzialmente privatistica. L�origine 
storica della distinzione deve essere riportata, in definitiva, alla nascita dello Stato di diritto: prima di 
tale momento, infatti, la distinzione tra attivit� pubblicistica e attivit� privatistica delle pubbliche amministrazioni 
era coincisa, nel passaggio dallo Stato assoluto allo Stato di polizia, con quella di attivit� 
della P.A. non soggetta alle regole del diritto (l�attivit� iure imperii) ed attivit� giuridicamente regolata. 
V. anche A.M. SANDULLI, Stato di diritto e Stato sociale, in Nord e Sud, 1963, 23. M. CLARICH, Il processo 
amministrativo a rito ordinario, in Riv. di Dir. Proc. Amm., 2002, n. 4. G. PITTALIS, Relazione al Seminario 
Aspetti problematici nella riforma del processo amministrativo, Bologna, 2000. 
(19) G. PERICU, Note in tema di attivit� di diritto privato, ora in Scritti giuridici, Milano 2009, 101, 
il quale rileva �non � possibile � operare un controllo della rispondenza alla realt� della distinzione stessa. 
Sia sufficiente osservare che le argomentazioni che sono state avanzate, per cui in ogni atto posto in essere 
dalla pubblica amministrazione sarebbe sempre presente la tutela, il perseguimento di un interesse pubblico, 
non possono indurre a disconoscere che in alcuni atti tale interesse (meglio forse si direbbe lo scopo istituzionale 
dell�ente) appare direttamente perseguito, mentre in altri � perseguito mediatamente, in quanto, 
per se stesso, l�atto � indirizzato al mantenimento in vita dell�ente pubblico, cio� mira a consentire il funzionamento 
materiale dell�apparato organizzativo e l�accrescimento dei suoi mezzi economici �. 
(20) Il concetto � insito nella nozione stessa di mercato, inteso quale meccanismo creato da coloro 
che, esercitando la propria libert� d�impresa, si pongono come portatori di un�offerta capace di attirare 
una domanda, V. SPAGNUOLO VIGORITA, Attivit� economica privata e potere amministrativo, Napoli 
1962, spec. cap. I; G. PERICU, Le sovvenzioni come strumento di azione amministrativa, Parte I, Milano, 
1967 e Parte II, Milano, 1971; A. AULETTA, Note in tema di capacit� di diritto privato delle amministrazioni 
pubbliche. A proposito di una recente sentenza dell�Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, in 
www.giustamm.it. 
(21) Cfr. sul punto P. CAPOTOSTI, Legalit� ed efficienza nell'amministrazione, in Rass. Parlam., 
2001, 869; G. FIORE, Privatizzazioni e interesse pubblico tra efficienza e garanzie, in Notariato, 2001, 
403; A. PIAZZA, Responsabilit� civile ed efficienza amministrativa. Milano, 2001; R. MELE, M. VESCI, 
L�efficienza e l'efficacia nella p.a.: dove stiamo approdando, in Economia Dir. Terziario, 1997, 471; 
I. MASSA PINTO, Norma generale esclusiva e antropologia positiva (o perversa?): le implicazioni giu-
CONTRIBUTI DI DOTTRINA 291 
Il principio di efficacia, col quale si indica la concreta attitudine dell�azione 
amministrativa a produrre risultati pratici di cura effettiva degli interessi 
pubblici ad essa affidati, � stato introdotto legislativamente dall�art. 1 
della la legge 7 agosto 1990, n. 241, e costituisce, per certi aspetti, una novit� 
per il nostro ordinamento. 
L�efficacia � intesa come principio di praticit� dell�azione amministrativa, 
laddove, oltre il rispetto del procedimento, � in grande rilievo il risultato finale 
e pratico e si differenzia dal medesimo termine in uso nella scienza dell�amministrazione. 
A tale principio, immanente nell�ordinamento, spetta un ruolo 
di verifica, di contemperamento e di adattamento dei criteri e delle regole dettati 
dagli altri principi al caso concreto. 
Questa esigenza nasce dal fatto che i criteri efficientistico-produttivi fissati 
da ciascuna amministrazione, magistratura compresa, in base ai sistemi 
informatici e statistici possono non risultare adeguati nel caso di sopravvenienze 
di nuove circostanze. 
La legge 7 agosto 1990, n. 241 annovera fra i suoi principi ispiratori anche 
la pubblicit� o conoscibilit� dell�azione amministrativa, nonch� il diritto di 
accesso, entrambi di grande rilievo per la qualit� dei rapporti tra pubbliche 
amministrazioni e cittadini (22). 
Il principio di economicit� � stato successivamente disciplinato dalla normativa 
sulla semplificazione dei procedimenti (art. 2 l. 537/93). La l. 241 del 
1990 all�art. 1 stabilisce che �l�attivit� amministrativa persegue i fini determinati 
dalla legge ed � retta dai principi di imparzialit�, proporzionalit�, legittimo 
affidamento, efficacia, efficienza, economicit� e pubblicit�, e dai principi dell�ordinamento 
comunitario�. Non solo, ma il comma 1 ter precisa che a tali 
ridico-costituzionali del ddl. di revisione dell�art. 41 della Costituzione, in www.costituzionalismo.it; 
P. CARPENTIERI, La riforma dell�art. 41 della Costituzione e la tutela del patrimonio culturale, in 
www.giustamm.it. 
(22) Sulla tutela dell�ambiente in una prospettiva gius-economica, G. MORBIDELLI, Principi, in 
Commentario al codice dei contratti pubblici, diretto da G. FRANCO e G. MORBIDELLI, Egea, 2013, 11; 
G. AMATO e L. LAUDATI (a cura di), The Anticompetitive Impact of Regulation, Cheltenham, Edwar Elgar, 
2001. Con specifico riferimento al caso italiano, M. D�ALBERTI, Riforma della regolazione e sviluppo 
dei mercati in Italia, in M. D�ALBERTI e G. TESAURO (a cura di), Regolazione e concorrenza, Bologna, 
il Mulino, 171 ss.; G.D. COMPORTI, Contenuto e limiti del governo amministrativo dell�inquinamento 
elettromagnetico alla luce del principio di precauzione, in Riv. Giur. Ambiente, 2005, 2, 215. Sull�impatto 
della disciplina europea, S. TORRICELLI, Libert� economiche europee e regime del provvedimento amministrativo 
nazionale, Rimini, Maggioli, 2013. Nell�ambito dell�analisi di tipo istituzionale: con riferimento 
al principio di precauzione, F. DE LEONARDIS, Il principio di precauzione nell�amministrazione 
di rischio, Milano, Giuffr�, 2005, 65 ss. nonch� M. SIMONCINI, La regolazione del rischio e il sistema 
degli standard. Elementi per una teoria dell�azione amministrativa attraverso i casi del terrorismo e 
dell�ambiente, Napoli, Editoriale scientifica, 2010, 97 ss. M.V. LUMETTI, Note sul principio di precauzione 
nel sistema di civil law e common law (relazione �Precautionary principle in common law and 
civil law� alla conferenza internazionale su �The precautionary emf approach: rational, legislation and 
implementation� tenutasi in Benevento nel febbraio 2006, in Rass. Avv. St., 2009, n. 2, 414 e in 
www.itssd.org (versione inglese).
292 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2015 
principi sono sottoposti �i soggetti privati preposti all�esercizio di attivit� amministrative� 
(23). Sono individuati ulteriori principi e corollari dell�azione 
amministrativa, al fine di meglio delineare nel concreto le direttrici dell�attivit� 
provvedimentale e dell�agire amministrativo in generale (24). L�esigenza che 
l�azione amministrativa raggiunga gli scopi di cura dell�interesse pubblico cui 
� preordinata in maniera efficiente e con il minor dispendio di mezzi � riassunta 
nel criterio di economicit� dell�azione (minor dispendio di mezzi procedimentali 
e minor esborso di somme). Ne consegue l�estensione dell�azione amministrativa 
e l�inscindibilit� del momento organizzatorio da quello gestorio degli 
apparati pubblici, cui si aggiunge il principio della separazione tra indirizzo 
politico e gestione amministrativa. Il principio di ragionevolezza dell�azione 
amministrativa � l�espressione sintetica della proporzionalit�, adeguatezza, 
coerenza e congruit� delle scelte discrezionali, come tale sovraordinato a quello 
di efficienza, efficacia, economicit� e trasparenza. 
L�evoluzione dei valori costituzionali di cui agli art. 41, 1, 2 e 3 comma, 
cos� come collegati all�art. 43, testimoniano quanto siano mobili le frontiere 
tra Stato e mercato. 
Che l�iniziativa economica sia libera, risulta un principio costituzionalizzato, 
tuttavia essa non deve svolgersi in contrasto con l�utilit� sociale, che si 
pone come limite alla libert� d�impresa. 
La teoria dell�azione amministrativa muta, inoltre, anche attraverso la regolamentazione 
del rischio, in riferimento alla prevenzione del terrorismo, 
della corruzione e alla tutela ecoambientale (25). 
3. Le strategie processuali per incentivare l�economia: il sistema dualistico e 
l�opzione tra giurisdizione unitaria e ripartita. Il nuovo sistema di tutela circolare 
ed integrata. 
In ambito europeo, ci� che assume rilievo � il rispetto in concreto dei 
principi di natura sostanziale (imparzialit�, trasparenza, proporzionalit�, ade- 
(23) Cfr. F. MERUSI, Democrazia e autorit� indipendenti. Un romanzo � quasi � giallo, Bologna, 
2000, 34 ss. Cfr. dello stesso autore, L�integrazione fra la legalit� comunitaria e la legittimit� amministrativa 
nazionale, in Dir. amm., 2009, 43-59, spec. 49-50. 
(24) I medesimi criteri si trovano enunciati anche nel d.lgs. 29/93 sul riordino della pubblica amministrazione 
e sulla privatizzazione del pubblico impiego, nella legge 109/94 sui lavori pubblici, nella 
legge 20/94 sulla riforma del sistema dei controlli della Corte dei conti e nella legge 59/97 sul decentramento 
amministrativo e in altri interventi normativi degli anni 90, sul punto A. PAJNO, Il giudice delle 
autorit� amministrative indipendenti, in Dir. proc. amm., 2004, 617 ss. 
(25) E. PICOZZA e V. RICCIUTO, Diritto dell�economia, Giappichelli Torino, 2013, 122 ss; M. VATIERO, 
Understanding power. A law and economics approach, Saarbrucken: VDM-Verlag Publisher, 
2009, 35 ss.; M. CLARICH, La tutela dell�ambiente attraverso il mercato, in Associazione italiana dei 
professori di diritto amministrativo, Annuario 2006, Milano, Giuffr�, 2007, 103 ss.; M. CAFAGNO, Principi 
e strumenti di tutela dell�ambiente, Torino, Giappichelli, 2007, 63 ss. Sulle recenti riforme v. F. CARINGELLA, 
M. GIUSTINIANI, O. TORIELLO, La riforma Renzi della Pubblica Amministrazione, Dike 
Giuridica, 2014, laddove si commenta la l. n. 114 del 2014. 
CONTRIBUTI DI DOTTRINA 293 
guatezza, congruit�, logicit� e ragionevolezza) e processuale (effettivit� e pienezza 
della tutela, attraverso un giusto processo, rimesso ad un giudice terzo). 
In tale contesto, pu� dirsi realizzata un�area della giustizia fondata sulla 
fiducia: fiducia reciproca tra coloro che dettano le norme e coloro che le applicano 
e fiducia nel sistema da parte di coloro che ne beneficiano (cittadini 
ed operatori economici). Ed in tale contesto, sfumano le formule organizzative 
dell�ordinamento. Non pare casuale l�inserimento della delega per la riforma 
del processo amministrativo in una legge (la l. n. 69/2009) proprio in tema di 
sviluppo economico, di semplificazione e di competitivit�. E nemmeno casuale 
� l�inserimento dell�art. 137 che, posto a chiusura del codice, introduce la clausola 
di invarianza finanziaria, imponendo che le amministrazioni competenti 
debbano provvedere all�attuazione del codice nell�ambito delle risorse umane, 
strumentali e finanziarie disponibili senza nuovi o maggiori oneri per la finanza 
pubblica. 
Per quanto riguarda i costi della riforma nel processo civile, l�art. 35 del 
d.lgs. n. 150 del 2011 ha introdotto la clausola di invarianza finanziaria e al 
comma 1 cos� dispone: �dall�attuazione del presente decreto non devono derivare 
nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica. Le amministrazioni 
interessate provvedono agli adempimenti previsti dal presente decreto 
con l'utilizzo delle risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione 
vigente�. �, d�altronde, risaputo che l�inefficienza del sistema processuale, 
che sia civile amministrativo o penale, ha delle ricadute inevitabili 
sul sistema economico della nazione, in quanto disincentiva gli investimenti 
esteri e danneggia l�economia locale. Diminuire l�input, ossia il numero delle 
cause che entrano nel sistema processuale, accelerare le decisioni, in modo 
tale che cresca l�output, ossia il numero delle decisioni finali, presenta benefici 
riflessi anche sull�andamento economico nazionale. Qualit� ed efficienza, economicit� 
e risultato: ecco che cosa si intende per analisi positiva ed analisi 
normativa. L�opzione tra giurisdizione unitaria e giurisdizione ripartita assume 
un diverso rilievo ove considerata nel contesto europeo ed alla luce del processo 
di integrazione dei diversi ordinamenti nazionali. Ma � anche vero che 
deve registrarsi un sostanziale avvicinamento tra l�ordinamento inglese (laddove 
sono state previste sezioni specializzate per i giudizi in materia amministrativa) 
e quello francese (nel cui ambito il giudice amministrativo ha assunto 
un livello di indipendenza e di terziet� non inferiore a quello dei giudici civili 
e spagnoli) (26). 
(26) Sui profili comunitari e sulla creazione della c.d. Cassazione amministrativa sulla base 
del modello francese v. M.V. FERRONI, Il ricorso in Cassazione avverso le decisioni del Consiglio di 
Stato, Padova, 2005, 377 ss. Code de justice administratif, cos� come modificato da un decreto del 
1997 in attuazione di una legge del 1995, cfr. al riguardo J. BERTHOUD, E. COENT-BOCHARD, V. HAIM, 
O. YEZNIKIAN, L�ex�cution des d�csions de justice, in AJDA, p. 864 ss. In generale J. WOEHRLING, 
La reforme du contentieux administratif vue des tribunaux administratif de premiere instance, in Dir.
294 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2015 
Se esaminato da questa angolazione, il nostro sistema giudiziario appare 
sicuramente rispettoso dei canoni europei. Gli interventi del legislatore, le pronunce 
della Corte costituzionale e delle nostre magistrature superiori, come 
unanimemente riconosciuto, consentono di affermare il superamento del rigido 
dualismo diritti soggettivi ed interessi legittimi, l�effettiva tutela del rapporto, 
sin dalla fase cautelare, la pienezza della tutela (azione risarcitoria), la sua effettivit� 
(ottemperanza). 
Si sta realizzando, quindi, un sistema organico ed omogeneo del nostro 
ordinamento giudiziario ed il giudice amministrativo � sempre pi� il giudice 
ordinario delle situazioni soggettive affidate alla sua competenza (27). 
Il percorso non � stato sempre agevole e lineare e sicuramente pu� e deve 
essere migliorato. � tuttavia dato certo che l�attuale sistema dualistico rende 
un servizio che segna ampi miglioramenti in termini di efficienza e tempestivit�. 
A ci� si aggiunge l�apporto dell�Avvocatura dello Stato nel processo amministrativo, 
volto a garantire l�omogenea trattazione della difesa dello Stato 
in giudizio (28), �conferendo oltre ad un preciso significato istituzionale ed 
un carattere di assoluta originalit�, anche il raccordo tra il concorso alla formazione 
del diritto vivente attraverso la dialettica del contenzioso ed il canale 
interiore ed istituzionale della appartenenza all�organismo statuale, da cui riceve 
e cui pu� trasmettere, anche attraverso l�attivit� consultiva, impulsi idonei 
a meglio comprendere il continuo divenire della societ� e favorire l�adeguamento 
ad esso dell�attivit� statuale. L�esperienza giuridica dell�Avvocatura 
dello stato riflette dunque le grandi crisi di trasformazione attraversate dal diritto 
dalla societ� e dallo Stato italiano a partire dalla sua originaria configurazione� 
(29). 
In questa fase in cui la certezza del diritto � posta a dura prova, non sembrerebbe 
opportuno incidere radicalmente anche sulla giurisdizione (30). 
Proc. Amm., 1995, p. 842 e sulla Legge n. 2000-597 del 30 giugno 2000 relativa ai r�f�r� davanti 
alle giurisdizioni amministrative, C. SILVESTRI, Il sistema dei r�f�r�s, in Foro it., 1998, V, c. 9 ss.; G. 
PALEOLOGO, Modo di lavoro dei Consigli di Stato italiano e francese in sede giurisdizionale, in 
Estratto dal volume �I Consigli di stato di Francia e d�Italia�, a cura di GIOVANNI PALEOLOGO, Milano, 
1998, 15. Sulla situazione tedesca v. W. HEILEK, Cenni sulla giustizia amministrativa in Baviera/
Germania, in www.diritto.it/articoli/amministrativo/heilek.htm,.1ss. Sulle diversit� tra Consiglio 
di Stato e Cassazione v. E. PICOZZA, Processo amministrativo, in Enc. Dir., vol. XXXVI, Milano, 1987 
463 ss. Sul sistema inglese v. G. MORBIDELLI, L. PEGORARO, A. REPOSO, M. VOLPI, Diritto pubblico 
comparato, Torino, 2004, 64 ss. e A. PAJNO, Giustizia amministrativa � op. cit., 24. 
(27) M. NIGRO riportato da V.A. QUARANTA V. LOPILATO, Il processo amministrativo, Hoepli, 2011, 7. 
(28) Come ha ben evidenziato il dott. G. Letta nell�intervento in occasione dell�insediamento 
dell�Avvocato Generale dello Stato Ignazio Francesco Caramazza, in Raccolta di scritti, vol. II, Roma, 
2012, 707. 
(29) Sono le belle parole di I.F. CARAMAZZA, L�avvocato del processo amministrativo, in Raccolta 
di scritti, Roma, 2012, 272-273, ove si evidenzia anche che �Con specifico riferimento alla giustizia 
amministrativa si potrebbe dire anzi qualcosa di pi�: vi � una profonda interrelazione tra l�istituzione 
dell�Avvocatura dello Stato e la nascita del processo amministrativo in Italia ed una profonda interrelazione 
fra l�evolvere di questo ed il mutare di quella�.
CONTRIBUTI DI DOTTRINA 295 
Al contrario, deve essere assicurata la certezza della giurisdizione specie 
in un periodo in cui il legislatore non sempre si avvale di quanto previsto dall�art. 
113, 3 comma della Costituzione. � una esigenza che potrebbe essere 
soddisfatta in tempi ragionevoli anche perch� non sembra richiedere la modifica 
della Carta costituzionale. Ci si riferisce alla ipotesi di istituire il Tribunale 
dei conflitti (31). Ove tale consesso fosse previsto nell�ambito della Corte di 
cassazione, verrebbe rispettato il vincolo posto dalla Costituzione e potrebbe 
essere istituito con legge ordinaria. Lo stesso, inoltre, potrebbe essere composto 
in maniera paritaria tra magistrati ordinari ed amministrativi. E, sotto tale 
profilo, si ripercorrerebbero esperienze gi� conosciute nell�ambito del nostro 
ordinamento, come il Tribunale superiore delle acque pubbliche. 
Tale consesso dovrebbe sicuramente risolvere i casi in cui deve riconoscersi 
se il giudice adito abbia il potere di decidere. 
Invero, dalla affermazione del principio della concentrazione e della connessione 
della tutela risarcitoria con quella di annullamento in capo ad un 
unico giudice, � derivato un ulteriore assestamento dei rapporti tra giurisdizioni, 
con l�introduzione della translatio iudicii, ormai praticata sia dal giudice 
ordinario che dal giudice amministrativo. 
Alla base del concetto vi � l�obiettivo di non far ricadere sul cittadino le 
conseguenze dell�avere erroneamente adito un giudice in luogo di un altro 
(32). L�impiego dell�attivit� giurisdizionale era circoscritto al limitato fine di 
(30) Cfr. sul punto G. NAPOLITANO, Diritto amministrativo e processo amministrativo, in 
www.giustizia-amministrativa.it, che riporta, in nota 13, R. PRODI, Abolire Tar e Consiglio di Stato per 
non legare le gambe all�Italia, in Il Messaggero, 11 agosto 2013 e precisa che �a questa critica, tuttavia, 
si � ragionevolmente obiettato che proprio sul giudice amministrativo si scaricano due dei principali difetti 
del nostro sistema giuridico-istituzionale: da un lato, un assetto normativo caotico e contraddittorio; 
dall�altro, un�amministrazione inefficiente, incapace di decidere nei tempi assegnati dall�ordinamento 
(L. TORCHIA, Giustizia ed economia, in Gior. dir. amm., 2014, pp. 337-338)�. Sul punto cfr. anche A. 
PAJNO, Giustizia amministrativa � op. cit., 2. 
(31) Sul Tribunal des conflits in Francia v. il punto di vista del Conseiller � la Cour de cassation, 
gi� vice-pr�sident du Tribunal des conflits, JEAN-LOUIS GALLET, Rapport sur la r�forme du Tribunal des 
conflits, in AJDA, 2013, 2130: �L�origine et la mission du Tribunal des conflits ont leur ancrage dans l'- 
histoire. N� une premi�re fois en 1848 mais de fa�on �ph�m�re, il rena�t durablement en 1872 dans la loi 
du 24 mai 1872 portant r�organisation du Conseil d� Etat et remettant en vigueur la loi du 4 f�vrier 1850 
sur l'organisation de la juridiction. Sa raison d'�tre r�side dans la loi des 16-24 ao�t 1790 et le d�cret du 
16 fructidor an III qui posent le principe de la s�paration des autorit�s administratives et judiciaires et, 
partant, inscrivent la dualit� juridictionnelle dans notre ordonnancement juridique�. 
(32) Trova attuazione l�idea di Andrioli che, partendo dalle posizioni soggettive �paritariamente� 
tutelate (interessi legittimi o diritti soggettivi posti sullo stesso piano), afferm� che giudice ordinario e 
giudice amministrativo non rappresentano pi� due mondi incomunicabili. Se il criterio che li distingue 
si riallaccia all�oggetto delle rispettive cognizioni, ne discende che la competenza giurisdizionale non � 
un presupposto della domanda, ma � la condizione di validit� del provvedimento del giudice. Cfr. sul 
punto R. ORIANI, Sulla translatio iudicii dal giudice ordinario al giudice speciale (e viceversa), in Foro 
it., 2004, V, 9 e dello stesso autore �� possibile la �translatio iudicii� nei rapporti tra giudice ordinario 
e giudice speciale: divergenze e consonanze tra Corte di cassazione e Corte costituzionale�, in Foro 
it., 2007, I, 1013. L�autore precisa che la translatio iudici �� una prospettiva propria della costruzione
296 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2015 
individuare il giudice competente. La Corte Costituzionale, intervenuta poco 
dopo la pronuncia della Cassazione, con la sentenza, 12 marzo 2007, n. 77 ha 
statuito che �� incostituzionale l�art. 30 l. 6 dicembre 1971 n. 1034 (istituzione 
dei tribunali amministrativi regionali), nella parte in cui non prevede che gli 
effetti, sostanziali e processuali, prodotti dalla domanda proposta a giudice 
privo di giurisdizione si conservino, a seguito di declinatoria di giurisdizione, 
nel processo proseguito davanti al giudice munito di giurisdizione� (33). 
Nella trasmigrazione tra giudice amministrativo e giudice ordinario la 
causa � rimessa davanti al giudice ordinario competente per territorio (34). 
Secondo la Consulta non � condivisibile la premessa del ragionamento della 
Cassazione, secondo cui manca, nell�ordinamento, un espresso divieto della 
translatio iudicii nei rapporti tra giudice ordinario e giudice speciale (35). 
Anche l�art. 59 della legge n. 69 del 2009 detta disposizioni in materia di 
risoluzione delle questioni di giurisdizione, volte a conservare gli effetti sostanziali 
e processuali della domanda rivolta ad un giudice privo di giurisdizione, 
qualora il processo sia poi proseguito davanti al giudice munito di 
giurisdizione. L�istituto della translatio iudicii, ha dunque, posto fine all�incomunicabilit� 
tra giudice amministrativo e giudice ordinario e, nel rapporto 
tra giudice ordinario e giudice speciale, ha costituito argomento di rinnovato 
dibattito dottrinario (36). 
di Andrioli: gi� nella prolusione napoletana del 1958 (Progresso del diritto e stasi del processo, in Studi 
giuridici in memoria di Calamandrei, Padova, 1958, V, 409 ss. ed, ora, in ANDRIOLI, Scritti giuridici. I. 
Teoria generale del processo, Milano, 2007, 61 ss.), segnalava questa esigenza ricordando il passo della 
sentenza della Corte di Cass. 16 luglio 1953, n. 2329, in Foro it., 1954, I, 19, con nota di Andrioli, con 
riferimento ad un caso di individuazione del giudice competente in sede di impugnazione per nullit� di 
un lodo arbitrale: �questo frazionamento, in tappe successive, dell�esame di un presupposto processuale, 
questa moltiplicazione di giudizi, questo impiego di attivit� giurisdizionale al limitato e circoscritto fine 
di individuare il giudice competente � contrario, non soltanto alla regola somma dell�economia processuale, 
ma anche allo scopo stesso del processo, che � diretto all�attuazione della legge e non alla reiterazione 
dei provvedimenti, nei quali la funzione meramente strumentale che spetta al presupposto 
processuale, verrebbe ad essere esasperata fino a soverchiare e ad assorbire il fine ultimo e supremo, 
che � la realizzazione della giustizia sostanziale�. Cfr. anche dello stesso autore, Sulla translatio iudicii 
dal giudice ordinario al giudice speciale (e viceversa), in Foro it., 2004, V, 9. 
(33) La pronuncia � pubblicata in Foro it., 2007, parte I, col. 1009. 
(34) V. T.A.R. Lazio Roma Sez. II ter, 24 luglio 2008, n. 7386. 
(35) Premessa indispensabile � la considerazione di carattere generale che, seppure in tema di giurisdizione 
non sia espressamente stabilita una disciplina improntata a quella prevista per la competenza 
(articoli 44, 45 e 50 c.p.c.), ammissiva della riassunzione della causa dal giudice incompetente a quello 
competente, neppure sussiste la previsione di un espresso divieto della translatio iudicii nei rapporti tra 
giudice ordinario e giudice speciale, v. sul punto Cass., sez. un., 22 febbraio 2007, n. 4109, in Foro it., 
2007, I, 1009: �A tal fine, decisivo argomento � quello rinvenibile dalla disposizione dell'art. 382 cod. 
proc. civ., concernente la decisione da parte della Cassazione delle questioni di giurisdizione�. 
(36) Cfr. sul punto B. RAGANELLI, L�evoluzione della giurisprudenza e il recente intervento del legislatore 
in tema di �translatio iudicii�, in Dir. proc. amm., 2010, 730 ss.; E. PICOZZA, Il processo � op. cit., 
Milano, 2008, 390 ss.; R. ORIANI, Ancora sulla translatio iudicii nei rapporti tra giudice ordinario e giudice 
speciale, in Corr. Giur., 2044, 1187; A. TRAVI, Difetto di giurisdizione e riassunzione della causa: alcune 
questioni aperte, in Urb. e app., 2088, 7, 855 (commento a Cons. St., sez. VI, 13 marzo 2008, n. 1059).
CONTRIBUTI DI DOTTRINA 297 
Il legislatore, prendendo atto di tali importanti pronunce, � intervenuto a 
pi� riprese, prima con la legge 69/2009, poi con il codice processuale amministrativo: 
la translatio era dapprima prevista esclusivamente in materia di 
competenza dall�art. 50 c.p.c. e non era ritenuta applicabile al riparto di giurisdizione 
(37). La norma non modifica il codice di procedura civile e fa 
espressamente salva la disciplina dell�istituto del regolamento preventivo di 
giurisdizione di cui all�art. 41 c.p.c. Ai sensi del citato articolo 59, comma 1 
il giudice che, in sede civile, amministrativa, contabile, tributaria o di giudizi 
speciali, dichiari il proprio difetto di giurisdizione indica altres�, se esistente, 
il giudice nazionale che ritiene munito di giurisdizione: la pronuncia sulla giurisdizione 
resa dalle sezioni unite della Corte di cassazione � vincolante per 
tutti i giudici e per le parti, anche in altro processo (38). 
I commi successivi riguardano gli aspetti procedurali e gli effetti conseguenti 
alla declaratoria del difetto di giurisdizione del giudice adito. Il codice 
di procedura amministrativa ha, dal canto suo, regolato la materia stabilendo 
all�art. 11 comma 3 che �Se in una controversia introdotta davanti ad altro giudice 
le sezioni unite della Corte di cassazione, investite della questione di giurisdizione, 
attribuiscono quest�ultima al giudice amministrativo, ferme 
restando le preclusioni e le decadenze intervenute, sono fatti salvi gli effetti 
processuali e sostanziali della domanda, se il giudizio � riproposto dalla parte 
che vi ha interesse nel termine di tre mesi dalla pubblicazione della decisione 
delle sezioni unite�. 
Precisazione importante viene fatta al comma 7, laddove si specifica che 
gli effetti della sospensione cautelare perdono la loro efficacia dopo trenta 
giorni la pubblicazione del provvedimento che dichiari il difetto di giurisdizione 
del Tribunale che le ha emanate, concedendo alle parti di riproporre le 
domande cautelari innanzi al giudice munito di giurisdizione. 
Le prove raccolte davanti all�organo risultato privo di giurisdizione possono 
essere valutate come argomenti di prova (art. comma 6) e, nei giudizi riproposti, 
il giudice pu� concedere la rimessione in termini per errore scusabile, 
ove ne ricorrano i presupposti (art. 11 comma 5). 
4. Giusto processo e sorte del processo cautelare: procedimentalizzazione e 
potere conformativo. 
Se diamo una occhiata alla statistica, possiamo notare che numerosi uffici 
(37) Cfr. F. CARINGELLA, Il riparto di giurisdizione, vol. I, Giuffr�, 2008, 130 ss. e dello stesso 
autore, Il riparto di giurisdizione, in www.giustizia-amministrativa.it; V. anche M.V. LUMETTI, Processo 
amministrativo e tutela cautelare, Cedam, 2012, 75 ss. 
(38) V. Corte Cass., sez. un. civ., ord. 22 novembre 2010, n. 23596 in www.lexitalia.it n. 12/2010 
in relazione all�estensione del principio della �translatio iudicii� e dell�ammissibilit� o meno del regolamento 
preventivo di giurisdizione a seguito di una sentenza declinatoria della giurisdizione e della 
riassunzione della causa innanzi al giudice indicato come competente. 
298 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2015 
giudiziari ordinari hanno raggiunto tempi di definizione dei giudizi di primo 
grado di livello europeo (39). 
La giustizia amministrativa, a sua volta, con gli strumenti del nuovo codice 
e la sensibilit� di numerosi magistrati, riesce a definire il doppio grado di 
giudizio di merito in 12/18 mesi, anche in fattispecie non regolate da procedure 
accelerate (40). Nel processo civile, per la prima volta, nel 2010 � calato l�arretrato: 
per la diminuzione dell�input � stato determinante sia lo strumento 
della mediazione civile, che ha accresciuto il numero delle controversie conciliate 
ancor prima del loro radicamento davanti all�autorit� giurisdizionale, 
sia il ricorso al rito sommario di cognizione, finalizzato a semplificare le cause 
di pronta e facile istruttoria (41). Per accelerare l�output � stata molto utile la 
scelta dell�investimento informatico: i protagonisti del processo civile devono 
ora dialogare attraverso posta elettronica certificata e chi tenta di allungare i 
tempi del processo � sanzionato fino ad arrivare all�estinzione. Inoltre, l�introduzione 
di un filtro in cassazione da parte della riforma del 2011 dovrebbe 
dare risultati ancora pi� incoraggianti (42). 
� di tutta evidenza che l�analisi economica del diritto coinvolge il concetto 
di norme efficienti contenenti regole giuridiche in grado di orientare l�amministrazione 
-giustizia e di renderla amministrazione-giustizia di risultato. 
E, sotto tale angolazione prospettica, con riferimento soprattutto al rinnovato 
ruolo del processo amministrativo quale strumento di regolazione di 
contrapposti interessi, � stato autorevolmente sostenuto che, oggi, sarebbe pi� 
appropriato parlare di �giurisdizione di risultato� (43). 
(39) Cfr. i dati in www.istat.it/it/archivio e in Inaugurazione anno giudiziario 2015 in 
www.cortedicassazione.it. ; V. ALESSANDRO PAJNO, Giustizia amministrativa ed economia, in 
www.giustizia-amministrativa.it, 2. 
(40) Confronta i dati in Inaugurazione anno giudiziario al Consiglio di Stato, in 
www.giustizia-amministrativa.it. 
(41) Per quanto riguarda il processo civile, ogni anno in Italia vengono incardinate circa 4.800.000 
cause, ne vengono decise 4.600.000. 200.000 di differenziale ogni anno moltiplicato per 25-30 anni 
equivale a circa 5-6 milioni di cause arretrate. 
(42) Se la regola del giudizio del processo civile � quella dell�onere della prova, regola di giudizio 
del processo amministrativo � quella dell�onere del principio di prova da fornirsi dal ricorrente e che 
viene poi integrato dai poteri acquisitivi del giudice. V. I.F. CARAMAZZA, Intervento di ringraziamento 
all�atto del conferimento del premio A. Sorrentino 2005, in Rass. Avv. St., genn. mar. 2005, VII: �In 
realt�, come dimostr� MARIO NIGRO nel suo scritto Giudice amministrativo signore della prova, la differenza 
era ancora pi� profonda, in quanto se il giudice civile diceva alle parti �datemi il fatto, vi dar� 
il diritto�, il giudice amministrativo diceva al ricorrente �dammi dei motivi di ricorso plausibili e ben 
fatti e ti dar� fatto e diritto�. 
(43) N. PAOLANTONIO, Il sindacato di legittimit� sul provvedimento amministrativo, Cedam, 2000, 
66 ss; M. CLARICH, Il processo amministrativo a rito ordinario, in Riv. di Dir. Proc. Amm., 2002, n. 4; 
L. IANNOTTA, La considerazione del risultato � op. cit., 301; G. PERICU G. PITTALIS, Relazione al Seminario 
Aspetti problematici nella riforma del processo amministrativo, Bologna, 2000; R. GAROFOLI, 
La tutela cautelare degli interessi negativi, in Rivista di Diritto Processuale Amministrativo, 2002, n. 
4; sul processo cautelare dopo la legge n. 205 del 2000 cfr. R. GAROFOLI - M. PROTTO, Tutela cautelare, 
monitoria e sommaria nel nuovo processo amministrativo, Milano, 2002.
CONTRIBUTI DI DOTTRINA 299 
Quest�ultima � da intendersi sia nel senso che il processo � in grado di 
assicurare alla parte che ha ragione tutto ci� che le spetta sulla base del diritto 
sostanziale, sia nel senso di far rientrare, nell�oggetto della cognizione, non 
gi� soltanto il frammento di azione amministrativa, rappresentato dall�atto impugnato, 
bens� anche la pretesa sostanziale in termini di spettanza o non spettanza 
di un certo bene della vita, che il ricorrente mira a conseguire o a 
conservare, al di l� dello schermo dell�atto o della sequenza di atti impugnati. 
Il complessivo disegno riformatore realizzato dal legislatore attraverso le ultime 
leggi processuali e sostanziali, dalla l. n. 205/00 alla riforma della l. n. 
241/90 effettuata con le leggi n. 15 e n. 80 dell�anno 2005, sino a giungere al 
codice processuale, hanno indotto l�amministrazione da una parte ed il giudice 
amministrativo dall�altra, ad adottare una concezione sostanzialistica dell�azione 
amministrativa. Nell�economia della giustizia l�offerta deve infatti 
soddisfare la domanda e garantire l�organizzazione ottimale del contenzioso, 
delle udienze nonch� una celere risoluzione finale delle controversie pendenti. 
La semplificazione dei riti determina trasparenza e accelerazione delle cause. 
Il procedimento cautelare, dal canto suo, garantendo la celerit� della tutela, 
contribuisce a migliorare non solo il sistema giuridico ma anche quello 
economico, anche alla luce del ruolo recessivo che l�intervento cautelare � destinato 
ad assumere rispetto alla definizione del merito della causa. 
E la presentazione dell�istanza di fissazione del merito, pena l�improcedibilit� 
della trattazione, evidenzia l�intento del legislatore di evitare che si 
possano spendere risorse inutili e di consentire tutela a situazioni che non saranno 
mai oggetto di decisione nel merito. Il ruolo nell�economia del processo 
amministrativo � anche �quantitativo�, oltre che organizzativo, laddove la �parentesi� 
cautelare ricopre la delicata funzione di raccordo tra l�introduzione 
del giudizio e la decisione. 
La tutela cautelare, adattata alla generale trasformazione del processo amministrativo, 
ha coinvolto sempre pi� il giudice in rilevanti decisioni inerenti 
ai delicati settori economici rimessi alla sua giurisdizione esclusiva (44). 
(44) G. FERRARI, Il nuovo codice del processo amministrativo, Roma, 2011, 205. V. F. GAROFOLI 
... op. cit., 14, il quale osserva che con l�ordinanza propulsiva il giudice amministrativo, �riscontrata la 
sussistenza dei consueti presupposti del fumus e del periculum, sollecita l�amministrazione affinch� faccia 
luogo alla rinnovazione del procedimento ed al riesame del provvedimento impugnato, completando 
l�istruttoria o valutando taluni profili, anche sostanziali, inizialmente trascurati�. Tuttavia alcune pronunce 
hanno puntualizzato che in sede di riesame l�amministrazione non deve emettere un provvedimento 
satisfattivo per il ricorrente, sostitutivo dell�atto precedentemente adottato che ignora in tutto o 
in parte il tenore precettivo della misura cautelare (T.a.r. Campania Napoli sez. IV, sent., 19 novembre 
2014, n. 5980; Tar Marche 30 novembre 2009, n. 1443; Tar Lazio sez. II ter, 17 marzo 2008, n. 2421, 
T.a.r. Lazio Roma sez. I bis, sent., 2 ottobre 2014, n. 10128; T.a.r. Lazio Roma sez. III bis, sent., 24 novembre 
2014, n. 11711); A. MONACILIUNI, I limiti della tutela cautelare nel processo amministrativo, in 
http://www.lexitalia.it/private/articoli/monacil_sospensive.htm; V. G. SAPORITO, Esecuzione dei provvedimenti 
cautelari e rapporti tra giudice ed amministrazione, in La tutela cautelare nel processo 
amministrativo, a cura di M. ROSSI SANCHINI, Milano, 2006, 89. Il remand o ordinanza propulsiva, �
300 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2015 
L�atipicit� della misura cautelare amministrativa si estrinseca pertanto 
nella depitizzazione dei suoi requisiti e dell�oggetto del suo contenuto (45). 
Relativamente al primo profilo, i requisiti delle misure cautelari, ossia il 
periculum in mora e fumus boni iuris, consentono un tasso sempre pi� alto di 
discrezionalit� come si verifica, ad esempio, in merito ai provvedimenti di 
confisca o demolizione di opere edilizie abusive (46). 
una tecnica processuale che ha trovato consenso soprattutto nei tribunali amministrativi. Infatti l�ordinanza 
propulsiva concede al ricorrente un�ulteriore interlocuzione con l�amministrazione, proprio 
al fine di raggiungere una eventuale composizione stragiudiziale, pur continuando l�atto inizialmente 
impugnato ad esplicare i propri effetti, v. G. FERRARI, Il nuovo codice del processo amministrativo, 
Roma, 2010, 206. Per una disamina di alcuni casi cfr. D. DE CAROLIS, Tutela cautelare e atti negativi, 
in La tutela cautelare nel processo amministrativo, a cura di M. ROSSI SANCHINI, Milano, 2006, 135; 
A. TRAVI, Misure cautelari di contenuto positivo e rapporti tra giudice amministrativo e pubblica 
amministrazione, in Dir. Proc. Amm., 1997, 167; T.a.r. Lazio Roma sez. II ter, sent., 21 ottobre 2014, 
n. 10574. V. Anche Cons. St., sez. V, 19 febbraio 2007, n. 833; cfr. Tar per l�Emilia Romagna - 
Parma ord. n. 288/2005 (v., ex multis, Cons. Stato, sez. IV, 31 maggio 2007 n. 2839 e Tar Emilia- 
Romagna sez. Parma sent. n. 133/2008). Per un approccio critico circa le ordinanze cautelari propulsive 
v. S. GIACCHETTI, L�esecuzione delle statuizioni giudiziali nei confronti della p.a. e la 
foresta di Sherwood, in http://www.lexitalia.it/articoli/giacchetti_esecuzione.htm nonch�, dello 
stesso autore, La riforma infinita del processo amministrativo, ivi. Per la loro ammissibilit� (sia 
pure con un distinguo), cfr. A. MONACILIUNI, I limiti della tutela cautelare nel processo amministrativo, 
in www.lexitalia.it/private/articoli/monacil_sospensive.htm, il quale osserva che nel caso delle 
ordinanze propulsive, disciplinata in altri ordinamenti ed in particolare in quello tedesco, l�unico comportamento 
necessitato imposto dal giudice � quello di effettuare una nuova valutazione della situazione; 
T.a.r. Campania Napoli sez. III, sent., 2 dicembre 2014, n. 6302; P. VIRGA, Il regime degli atti adottati 
a seguito di ordinanze cautelari propulsive, in www.lexitalia.it n.7-8/2007, commento a Corte costituzionale 
- ordinanza 20 luglio 2007 n. 312. 
(45) Troppo tardi il principio dell�atipicit� della tutela cautelare � stata riconosciuta, afferma 
E. PICOZZA, Il processo amministrativo, 2008, 168; F. SAITTA, L�atipicit� delle misure cautelari 
nel processo amministrativo, tra mito e realt�, in Giurisdiz. Amm., 2006, IV, 215; E. PICOZZA, Disposizioni 
generali, in Codice del processo amministrativo, a cura di E. PICOZZA, 2010, 3; A. DI 
CUIA, La sospensione dell'esecuzione del provvedimento impugnato nel processo amministrativo, 
in www.jus.unitn.it/cardozo/obiter_dictum/dicuia.htm; R. LEONARDI, La tutela cautelare nel processo 
amministrativo, Milano, 2011, 3. 
(46) F.G. SCOCA, Attualit� dell'interesse legittimo?, in Dir. Proc. Amm., 2011, 379 ss.; R. DE NICTOLIS, 
Processo amministrativo, Milano, 2011, 648; M. ANDREIS, La tutela cautelare, in Il nuovo processo 
amministrativo, a cura di R. CARANTA, Bologna, 2011, 342. 
(46) Riportato da A. MONACILIUNI, I limiti della tutela cautelare nel processo amministrativo, in 
Cons. di St., 1997, II, 1657, nota 4. 
(46) M. ANDREIS, Tutela sommaria e tutela cautelare nel processo amministrativo, Milano, 1996, 201. 
(46) Cfr. Sul punto R. GAROFOLI, La tutela cautelare degli interessi negativi. Le tecniche del remand 
e dell�ordinanza a contenuto positivo alla luce del rinnovato quadro normativo, in Dir. Proc. Amm., 2002, 
13. La giurisprudenza cui si fa riferimento � quella di Consiglio di Stato, IV sez., 3 marzo 1934, n. 62, in 
Foro amm., 1934, I, 1, 130: �pu� ordinarsi la sospensione di un provvedimento di concessione per coltivazione 
di tabacchi, poich� la revoca potrebbe produrre danni gravi ed irreparabili troncando cos� un�impresa gi� avviata 
e facendo cadere i contratti stipulati dai ricorrenti con i coltivatori�, cit. da R. GAROFOLI, � op. cit., 14. 
(46) R. GAROFOLI, La tutela cautelare � op. cit., 14. 
(46) Cass., Sez. Un., 25 ottobre 1973, n. 3732, in Cons. Stato, 1973, II, 1333; E. FOLLIERI, Giudizio 
cautelare amministrativo e interessi tutelati, Milano, 1981, 129 ss.; C. VARRONE, Discrezionalit� amministrativa 
e inibitoria degli atti a contenuto negativo, in Foro amm., 1996, II, 731 ss.; A. TRAVI, La tutela cautelare 
nei confronti dei dinieghi di provvedimenti e delle omissioni della p.a., in Foro amm., 1990, 329 ss. 
CONTRIBUTI DI DOTTRINA 301 
Del resto, tale processo di sostanzializzazione della tutela � stato indotto 
ed al tempo stesso accelerato proprio dalla influenza del diritto comunitario 
e segnatamente dalla necessit� di offrire un�adeguata risposta sia 
alle esigenze di effettivit�/tempestivit�/completezza della tutela giurisdizionale 
imposte dalla giurisprudenza comunitaria, sia alla necessit� dell�omologazione 
della nostra tutela giurisdizionale con le istanze affermate 
nell�ordinamento comunitario, anche alla luce delle esperienze degli altri 
paesi dell�unione europea. 
In questo senso, gi� a partire dalla codificazione ex art. 7, l. n. 205/00 del 
diritto al risarcimento innanzi al G.A. del danno da lesione di interessi, si 
evince la necessit�, imposta al legislatore nazionale, di ampliare il novero delle 
soluzioni processuali idonee a dar risposta a tutte le tipologie di posizioni giuridiche 
vantate dai privati, quale che ne sia la qualificazione che per esse l�ordinamento 
statuale abbia scelto (47). 
Alla progressiva riduzione dell�intervento statale nel settore delle attivit� 
economiche, oltre alle privatizzazioni (si pensi alla vicenda del pubblico impiego), 
si contrappone una progressiva estensione della sfera di competenza 
del diritto amministrativo. 
In tal senso, vanno segnalate, l�istituzione delle autorit� amministrative 
indipendenti (48) nonch� l�assoggettamento alla disciplina della evidenza pubblica 
di attivit� svolta da soggetti privati (ma esercenti pubbliche funzioni). 
Si tratta di innovazioni che hanno condotto una parte della dottrina a segnalare 
la sempre pi� spiccata connotazione del diritto amministrativo come una sorta 
di �diritto misto�. In tale linea evolutiva va inquadrato il comma 1-bis dell�art. 
1 della l. 241 del 1990 introdotto dalla novella del 2005, ai sensi del quale, 
nell�adozione di atti di natura non autoritativa, la pubblica amministrazione 
�agisce secondo le norme del diritto privato�, salvo diversa disposizione di 
legge. Anche nel diritto amministrativo a presidio delle libert� costituzionali 
(46) E. PICOZZA, Le situazioni giuridiche soggettive � op. cit., 499 ss.; R. GAROFOLI, � op. cit., 
14. Sulla sospensione del diniego di esonero dalla prestazione del servizio militare: Cass., sez. Un., 25 
ottobre 1973 n. 3732, in Cons. Stato, 1973, II, 1333; Cons. Stato, sez. IV, 23 aprile 1996 ord. n. 575, in 
Riv. Amm., 1996, 441; Cons. Stato, sez. IV, 2 aprile 1996 ord. n. 456, ivi, 1996, 301; Cass., sez. Un., 25 
ottobre 1973, n. 3732, in Cons. Stato, 1973, II, 1333. In dottrina, L. CUONZO, Sospendibilit� in sede di 
giurisdizione amministrativa dei c.d. Provvedimenti negativi: in particolare, del provvedimento del ministero 
della difesa che nega la dispensa dal servizio militare, in Cons. Stato, 1974, II, 719. 
(46) V. Adunanza plenaria del Consiglio di Stato ord. 8 ottobre 1982 n. 17 circa l�ammissione all�esame 
di maturit�, di cui infra. V. A. DE CUIA, La sospensione dell'esecuzione del provvedimento impugnato 
nel processo amministrativo, in www.jus.unitn.it/cardozo/obiter_dictum/dicuia.htm. 
(47) F. CARINGELLA, Architettura e tutela dell�interesse legittimo dopo il codice del processo amministrativo: 
verso il futuro!, in www.giustizia-amministrativa.it., che fa una attenta disamina dell�evoluzione 
dell�interesse legittimo concludendo per la sua attualit� e vitalit�. 
(48) F. MERUSI, Le leggi di mercato, Bologna, 2002, 14 ss. Sul collegamento tra lo sviluppo delle 
autorit� indipendenti e i cambiamenti nelle modalit� di intervento nell�economia v. L. TORCHIA, (a cura 
di), Lezioni di diritto amministrativo progredito, Bologna, 2010, 127 ss.
302 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2015 
in campo economico, si assicura, dunque, l�intermediazione procedimentale 
e la sua declinazione secondo il modello del contraddittorio paritario. Che dire 
poi della cosiddetta procedimentalizzazione del processo cautelare? Sempre 
pi� frequentemente il processo amministrativo ingenera un processualprocedimento, 
in tutti quei casi in cui la fase cautelare diventi una riedizione o prosecuzione 
dell�attivit� amministrativa. 
Infatti, l�osmosi e il rapporto dialettico tra cautela e procedimento inducono 
a considerare il momento cautelare come parentesi, in vista della prosecuzione 
del processo amministrativo in sede giurisdizionale. 
Assistiamo anche alla capacit� dell�ordinanza di consumare il potere 
provvedimentale e, proprio a fronte della processualit� partecipata in sede cautelare, 
il procedimento si fa contenzioso. 
Tale � la ratio rinvenibile nel superamento della identificazione della 
misura cautelare adottabile unicamente con la sospensione dell�esecuzione 
dell�atto impugnato, evidentemente inadeguata ad assicurare una effettiva e 
piena tutela interinale delle posizioni soggettive, realizzata con la novella dell�art. 
21, l. n. 1034/71 (che peraltro evoca chiaramente la formulazione letterale 
dell�art. 700 c.p.c., rimandando a quella tipologia di tecnica di tutela). � 
possibile affermare che la misura cautelare abbia seguito l�evoluzione del 
giudizio di merito, nel quale, grazie all�effetto conformativo, sono state ritenute 
ammissibili le azioni costitutive di annullamento e di condanna all�emanazione 
dell�atto amministrativo. A partire dal d.lgs n. 80/1998, ma in 
particolar modo dalla legge n. 205/2000, pu� dirsi mutato il quadro della tutela 
innanzi al giudice amministrativo: l�introduzione delle azioni di condanna 
al risarcimento del danno, anche in forma specifica, ha accresciuto notevolmente 
i poteri del giudicante, non solo istruttori, ma anche e soprattutto decisori 
(49). Il codice ha dunque conferito un impulso maggiore a tale 
impostazione, adeguando anche la misura cautelare ai tempi e all�aumento 
esorbitante del contenzioso. La tendenza espansiva delle sospensive produce 
i suoi effetti sul procedimento amministrativo soprattutto attraverso la procedura 
del remand, od ordinanza propulsiva, con il quale il giudice rinvia 
l�affare all�amministrazione con l�indicazione di un indirizzo operativo (50). 
Si tratta di una tecnica processuale che ha trovato consenso soprattutto nei 
tribunali amministrativi: l�ordinanza propulsiva concede al ricorrente un�ulteriore 
interlocuzione con l�amministrazione, proprio al fine di raggiungere 
l�eventuale composizione stragiudiziale, pur continuando l�atto inizialmente 
impugnato ad esplicare i propri effetti (51). 
(49) Sulla evoluzione della materia ed in particolare della pregiudiziale amministrativa ci si permette 
di rinviare a M.V. LUMETTI, Risarcimento del danno e violazione dell�interesse legittimo, Giuffr�, 
2008, 283 ss. 
(50) M.V. LUMETTI, La tendenza espansiva della sospensiva: dalla ordinanza tipica all�ordinanza
CONTRIBUTI DI DOTTRINA 303 
Il giudice non si limita a sospendere l�atto impugnato ma ordina all�amministrazione 
di riesaminare la questione tenendo presenti i motivi di ricorso 
oppure imponendo una valutazione della posizione del ricorrente. 
Il contenuto positivo dell�ordinanza propulsiva mira, dunque, a sollecitare 
l�attivit� dell�amministrazione intesa a preservare gli interessi del ricorrente 
nelle more della decisione di merito, oppure ad ordinare alle amministrazioni 
di riesaminare il provvedimento impugnato. 
5. Il vincolo di rimessione all�Adunanza Plenaria (art. 99 c.p.a.) e la funzione 
nomofilattica del Consiglio di Stato. 
La nomofilachia (52) � l�attivit� svolta dal giudice al fine di garantire il 
coordinamento e l�unificazione della giurisprudenza a fronte dell�insorgere di 
diversi orientamenti e contrasti (53). Viene intesa come messa a fuoco della 
situazione normativa per orientare le pronunce dei giudici, renderle coerenti e 
prevedibili al fine di garantire il pari trattamento giuridico dei cittadini che ricorrono 
all�autorit� giurisdizionale. 
La funzione si estrinseca in una lettura sostanziale e non formale della 
norma, in una interpretazione orientata della legge, culturalmente volta a garantire 
l�applicazione virtuosa della norma (54). L�esatta osservanza della 
legge, ossia il rispetto da parte di tutti i giudici del limite esterno della giurisdizione, 
differisce dall�uniforme interpretazione della legge (c.d. nomofilachia 
in senso generico). Invero, al giudice si chiede l�esatta interpretazione 
della legge, in considerazione della soggezione ad essa (art. 101 Cost.) ma, 
atipica. L�ordinanza cautelare propulsiva e la tecnica processuale del remand. Problemi applicativi e 
vincolo conformativo, in www.neldiritto.it, n. 1, 2015, 121. 
(51) F. CARINGELLA, Architettura e tutela dell�interesse legittimo dopo il codice del processo amministrativo: 
verso il futuro! in www.giustizia-amministrativa.it. 
(52) La nomofilachia cerca di dare una soluzione a tali problemi ricorrendo a discipline concettuali 
formalizzatrici definitorie di leggi generali e categorie di comportamento o differenze individuali. Si avvale 
di metodologie di ricerca del linguaggio: quest�ultimo viene descritto e sottoposto ad un significato universale. 
Nomotetica � termine che etimologicamente deriva dal greco .�... (n�mos) e .....�. (�che tende 
a stabilire�), ripreso dal tedesco (Nomothetisch). Esso indica il confronto tra metodi di ricerca e di confronto 
di diverse impostazioni metodologiche inteso a descrivere i vari fenomeni comprendendoli sotto delle 
leggi. L�approccio � di tipo nomotetico (between people), in quanto individua leggi generali del comportamento 
e definisce differenze individuali in una prospettiva in cui il sapere generalizzante crea norme universalmente 
valide. Nel caso delle leggi si utilizza anche il termine parolanomotetico. Discipline concettuali 
formalizzatrici definitorie di leggi e categorie leggi generali di comportamento o differenze individuali. S. 
OGGIANU, Giurisdizione amministrativa e funzione nomofilattica, Padova, 2011, 97, indica l�etimologia 
del termine nomofilachia: il termine sta ad indicare la legge (.�...,) e l�atto del custodire (........�., 
letteralmente �profilassi� �immunizzazione�). E. CARBONE, Quattro tesi sulla nomofilachia, in Pol. dir., 
2044, 599 ss.; V. MARCEN�, La neutralizzazione del potere giudiziario. Regole sulla interpretazione e sulla 
produzione del diritto nella cultura giuridica italiana tra Ottocento e Novecento, Napoli, 2009. 
(53) In generale v. C. CONSOLO, Giurisdizione esclusiva e nomofilachia in Atti del convegno di 
Firenze 4 maggio 2004 a cura della associazione italiana degli studiosi del processo amministrativo. 
(54) La legge non deve mai soffocare la vitalit� e la iniziativa del paese: La l�galit� acutuelle 
nous tue (come fu detto da Viennet nella Camera francese nella seduta del 23 marzo 1833).
304 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2015 
poich� a fronte della stessa formulazione, il risultato ermeneutico pu� differire 
per ragioni che attengono ai tre termini del rapporto (legge, fatto e giudice), 
vale a dire alla plurivocit� del linguaggio, alla variet� degli accadimenti 
e alla diversit� della precomprensione dell�interprete, � il giudice a dover realizzare 
la reductio ad unitatem, senza tuttavia giungere ad un interpretativismo 
eccessivo. 
L�uniforme interpretazione della legge � stata sino ad ora assicurata dal 
Consiglio di Stato, prevalentemente in via pretoria, in assenza di specifiche 
disposizioni normative. La funzione si � arricchita quantitativamente a seguito 
dell�istituzione dei Tar, non risultando pi� circoscritta ai soli contrasti tra le 
sezioni giurisdizionali del Consiglio di Stato, risolti all�Adunanza Plenaria, 
ma anche qualitativamente operando su pronunce di giudici chiamati a pronunciarsi 
su questioni radicate in un territorio circoscritto. Il fondamento della 
funzione nomofilattica del giudice amministrativo � ora rinvenibile dell�art. 
99 c.p.a.: il comma 1 attribuisce alla sezione del Consiglio di Stato la possibilit� 
di rimettere il ricorso all�esame dell�Adunanza Plenaria se rileva che il 
punto di diritto sottoposto al suo esame ha dato luogo o possa dare luogo a 
contrasti giurisprudenziali. 
Si tratta di una novit� rilevante introdotta dal codice e che ha gi� determinato 
un incremento delle pronunce da parte dell�Adunanza Plenaria. 
Prima della decisione, il Presidente del Consiglio di Stato su richiesta 
delle parti o anche d�ufficio, pu� deferire all�Adunanza Plenaria qualunque 
ricorso, al fine di risolvere questioni di massima di particolare importanza o 
per dirimere contrasti giurisprudenziali (comma 2). 
A seguito della rimessione, effettuata con ordinanza motivata, l�Adunanza 
Plenaria decide l�intera controversia, salvo che ritenga di enunciare il principio 
di diritto e di restituire per il resto il giudizio alla sezione remittente (art. 99 
comma 4). Se ritiene che la questione � di particolare importanza pu�, in ogni 
caso, enunciare il principio di diritto nell�interesse della legge anche quando 
dichiara il ricorso irricevibile, inammissibile o improcedibile, ovvero l�estinzione 
del giudizio. In tali casi la pronuncia dell�adunanza plenaria non ha effetto 
sulla sentenza impugnata (art. 99 comma 5). 
Il ruolo nomofilattico del Consiglio di Stato � rafforzato ed avvalorato 
anche dal vincolo di rimessione all�Adunanza Plenaria da parte della sezione 
che, dovendosi pronunciare su un ricorso, ritiene di non condividere un principio 
enunciato dall�adunanza plenaria (55). Il ruolo del giudice amministrativo 
come nomoteta � confermato dal fatto che il ruolo nomofilattico della 
(55) � stato osservato che non vi � peraltro nessuna incompatibilit� ontologica tra nomofilachia 
e giudizio di merito: a ciascun giudice si chiede, infatti, l�esatta interpretazione della legge in considerazione 
della soggezione ad essa disposta dell�art. 101 della Costituzione P. CALAMANDREI, La Cassazione 
civile � 62 e 76: proprio la contemporanea esistenza di una pluralit� di giudici dello stesso grado 
nel territorio dello Stato � la causa pratica della disformit� della giurisprudenza nello spazio.
CONTRIBUTI DI DOTTRINA 305 
Cassazione non costituisce principio generale avente dignit� costituzionale, 
bens� mero principio dell�ordinamento giuridico processuale e del relativo diritto 
(56). 
6. (segue) La risoluzione anticipata di questioni di massima (art. 72 c.p.a.): 
precedente conforme, persuasivo, carismatico ma non vincolante. 
Una ipotesi in cui il giudice di primo grado svolge funzione di nomofilachia 
� quella prevista e regolata dall�art. 72 del codice. 
Per la prima volta � stata creata una corsia preferenziale per quei ricorsi 
che, anche a seguito di rinuncia ad altri motivi o eccezioni (sempre che le parti 
concordino sui fatti di causa), vertono sulla medesima questione di diritto. 
L�art. 72 prevede infatti che, qualora al fine della decisione della controversia 
occorra risolvere una singola questione giuridica e le parti concordino sui fatti 
di causa, il Presidente pu� fissare con priorit� l�udienza di discussione (art. 
72, comma 1). Risulta evidente che la trattazione e la risoluzione di una questione 
di diritto considerata rilevante e risolutiva permette che si formi, peraltro 
con sollecitudine, una interpretazione giurisprudenziale uniforme relativamente 
alle nuove questioni di massima prospettate. 
I giudici e le parti stesse potranno pertanto giovarsene per orientare le future 
attivit� processuali. Tale novit� � rilevante soprattutto se ricollegata alla 
considerazione che il diritto comunitario determina anche il superamento del 
principio di esclusione della responsabilit� del magistrato nell�esercizio dell�attivit� 
interpretativa, nonostante che tale esclusione fosse stata confermata, 
in passato, dalla stessa Corte costituzionale (57). 
7. La �contaminazione� con il sistema del common law potenzia la funzione 
nomofilattica del giudice amministrativo. 
Il progressivo rafforzamento delle istanze sopranazionali (Corte di giustizia 
delle Comunit� europee, ma anche Corte europea dei diritti dell�uomo), 
determina un fenomeno ormai non pi� nuovo nel nostro ordinamento, ossia 
l�esercizio della funzione di nomofilachia da parte di tali pronunce. Queste ultime, 
infatti, tendono a garantire una omogeneit� degli istituti simili nei vari 
ordinamenti e pu� accadere che censurino orientamenti giurisprudenziali delle 
stesse Corti supreme, come � accaduto nel nostro ordinamento in materia di 
espropriazione nel caso dell�occupazione appropriativa (58). Anche il prece- 
(56) Sul punto cfr. sentenza Corte Cost. 6 luglio 2004 n. 204 e la tesi interpretativa dell�Avvocatura 
dello Stato, punto 1.4. in fatto, ultimo capoverso della sentenza medesima, riportata e commentata da 
M.V. FERRONI, Il ricorso in cassazione � op. cit., 121-122. Alla Cassazione � attribuita, infatti, la funzione 
nomofilattica solo per quanto concerne le sentenze del giudice ordinario e nei confronti delle sentenze 
del giudice amministrativo il controllo � esercitato solo sulle questioni inerenti la giurisdizione. 
(57) S. OGGIANU, Giurisdizione � op. cit., 290, il riferimento � alla legge n. 117/1988 ed alla 
sent. della Corte Cost. 18 gennaio 1989 n. 18 in Giur cost., 1989, I, 1 62 ss.
306 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2015 
dente conforme persuasivo, carismatico ma non vincolante attribuisce, pertanto, 
un valore aggiunto all�attivit� interpretativa del giudice. 
Un tema aperto � stabilire se la nomofilachia, propria soprattutto dei paesi 
di common law, sia estensibile anche ai sistemi di civil law e se, afferendo all�esercizio 
stesso della funzione giurisdizionale, essa prescinda dalla rilevanza 
che nell�ordinamento assume la codificazione. 
Il giudice cui spetta la nomofilachia in senso lato � infatti �sovraordinato� 
agli altri appartenenti allo stesso ordine, ma non in ragione della successione 
temporale dell�intervento, bens� per l�orientamento che fornisce in merito alle 
modalit� applicative delle disposizioni normative. 
� stato riscontrato che la primazia del diritto europeo, particolarmente di 
quello di origine giurisprudenziale, comporta una rilevanza della funzione nomofilattica 
e del correlativo vincolo del precedente, fino ad allora inconsueta 
negli ordinamenti di civil law, con la conseguenza che il diritto comunitario 
sta assumendo sempre pi� connotati analoghi a quelli di un sistema di common 
law. ComՏ noto, common law e civil law sono i due ordini, sistemi e metodi 
che governano il diritto nel mondo. Il sistema di civil law � di carattere normocentrico 
e, in quanto imperniato sul diritto codificato, esclude il vincolo 
del precedente: ne deriva l�indispensabile controllo centralizzato sulla interpretazione 
delle norme. I concetti di norma e di sistema normativo risultano 
centrali nel discorso teorico-giuridico del sistema di civil law, laddove nei 
paesi di common law il diritto � di formazione giudiziaria (judge made law), 
spontanea, consensualistica, di tipo casistico, elaborata per il singolo caso concreto, 
equitativa e consuetudinaria: tutto ruota in gran parte attorno ai precedenti 
simili, all�analogia da fatto a fatto, alla ratio decidendi equamente 
adattata. L�elemento legislativo � solo uno degli elementi che compongono il 
combinato empirico, e non � vincolante e neppure il pi� importante. Nel sistema 
di civil law i giudici e gli studiosi del diritto e della dogmatica giuridica 
si riferiscono alle norme come allo specifico oggetto del loro approccio alle 
questioni giuridiche: l�ordinamento giuridico � un ordinamento normativo, 
ossia � costituito dall�insieme di tutte le norme giuridiche valide. 
La �contaminazione� con il sistema del common law potenzia, dunque, 
la funzione nomofilattica del giudice amministrativo (59). 
(58) V. L. MARUOTTI, Sulla prevalenza delle disposizioni della CEDU, rispetto alle contrastanti 
leggi nazionali, in www.giustizia-amministrativa.it., il quale osserva che �Affermare che una legge contraria 
alla CEDU sia applicabile in uno Stato, in attesa che sia dichiarata incostituzionale dalla sua Corte 
Costituzionale, da un lato indebolisce la tutela dei diritti fondamentali (per definizione lesi fino a quando 
vi sia la sentenza di incostituzionalit�) e dall�altro comporta una disparit� di trattamento (tra i cittadini 
degli Stati aderenti al Consiglio Europeo)�. Cfr. G. VACIRCA, Appunti sul risarcimento del danno nella 
giurisdizione amministrativa di legittimit�, in Giust. civ., 2001, 350, il quale evidenzia il valore non assoluto 
della funzione di nomofilachia: �... deve ... ritenersi che una certa dialettica fra gli organi giurisdizionali 
possa essere utile quando si tratti di adattare gli istituti a esigenze nuove�. 
CONTRIBUTI DI DOTTRINA 307 
� da rilevare che le differenze in materia di precedente tra sistemi di common 
law e civil law risultano attenuate ove si analizzi il diritto applicato. 
� proprio ai �giuristi di common law che si deve la definizione del diritto 
romano come �written reason�, �la ragione scritta!� (60). 
Il riferimento al precedente conforme equivale all�esercizio della funzione 
nomofilattica del giudice cautelare e determina il controllo diffuso del 
giudice amministrativo, considerato che � proprio in sede cautelare che il pi� 
delle volte la vertenza viene decisa con l�adozione della sentenza in forma 
semplificata. Vien da chiedersi se la funzione nomofilattica sia, per cos� dire, 
pi� vicina al sistema ed alla metodologia adottata nei paesi di civil law o di 
quelli di common law. Il precedente conforme costituisce gi� di per s� una 
forma di controllo sul giudice, concretizza una funzione nomofilattica, similmente 
a quanto accade nei paesi di common law: nel nostro ordinamento �, 
tuttavia, il giudice che sceglie come esercitare questa funzione, e questo determina 
la vera differenza. Si va delineando un�evoluzione laddove il precedente 
conforme, seppure non vincolante, attribuisce un valore aggiunto 
all�attivit� interpretativa del giudice: la funzione nomofilattica diventa sempre 
pi� rilevante, anche a causa della crescente importanza delle fonti comunitarie 
(59) Sono i giudici e le professioni liberali (avvocati) che invece nel sistema di common law 
creano il diritto: il diritto viene realizzato con regole ricavabili dal criterio (ratio decidendi) adottato 
per risolvere il singolo caso concreto secondo equit�. Il diritto nei paesi di civil law � invece realizzato 
dal legislatore con norme generali e astratte, mentre il sistema di common law � il frutto di una lenta, radicale 
profondissima e remotissima evoluzione che fa tesoro di tutte le precedenti esperienze storiche, 
conservando quanto di positivo esse hanno apportato fino all�attualit�. Come ricorda A. AARNIO, La teoria 
dell�argomentazione e oltre. Alcune osservazioni sulla razionalit� della giustificazione giuridica, in 
L�analisi del ragionamento giuridico. Materiali ad uso degli studenti, a cura di P. COMANDUCCI e R. 
GUASTINI, Torino, 1987, 211, gli studiosi adottano asserzioni intorno a norma giuridiche valide, intese 
come espressioni prescrittive: esse vengono chiamate asserzioni normative. Le norme non sono n� vere 
n� false: appartengono al campo delle espressioni prescrittive. V. sul punto l�analisi di L. MAZZELLA, Il 
dispotismo indulgente, Milano, 2013, 11 ss. 
(59) � per questo che il filone storico angloamericano non conosce filosofia teoretica e razionalistica, 
nelle varie forme di teologia, ideologia, utopia, come si riscontra invece nel filone opposto del 
razionalismo metodologico della conoscenza umana (ebraismo dogmatico e antidogmatico o veterotestamentario). 
L�Europa continentale � legata ad una giuridicit� di carattere sistematico, concettuale, 
aprioristico, vincolante, negazione di ogni diritto spontaneo e consuetudinario, al contrario della common 
law che rimane empiristica ed equitativa, sul piano sostanziale come nei metodi produttivi e realizzativi, 
con una vera e propria antitesi tra la centralit� ecclesiastica romana e il nord dell�Europa. Civil law � di 
matrice giustinianea, common law di origine metodologica romano-classica. � la civilt� greco-romana 
che ci fa conoscere le origini e le matrici dei sistemi moderni, sia nell�aspetto dogmatico che in quello 
antidogmatico: jus gentium, diritto empirico, equitativo, consuetudinario, internazionale, commerciale, 
in cui si fondono i caratteri della latinit� con quelli dell�ellenismo (diritto pragmatico dell�et� romanoclassica). 
Con il crollo dell�impero romano si formano l�assolutismo cesaropapistico e il dogmatismo 
ecclesiastico che informano tutto il medioevo di una giuridicit� sistematica e teorica, basata sul corpus 
giustinianeo, sottoposta alla teologia, perfetta antitesi rispetto al diritto romano classico. Cfr. sul punto 
P. D�AMICO, Common law, Torino 2005, 1-5. 
(60) Come evidenzia I.F. CARAMAZZA, Europa: l�unico continente che ha un contenuto, in Raccolta 
di scritti, vol. II, Roma, 2012, 854. 
308 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2015 
(61). Il diritto amministrativo non risulta iperregolato e ipernormato come il 
diritto civile, il quale � prossimo alla metodologia tipica del sistema civil law: 
il processo amministrativo � tributario, in parte, del percorso intellettivo e 
culturale tipico dell�organizzazione giudiziaria del common law. 
8. Il giudice amministrativo �ai tempi dell�economia�, tra diritto globale e 
decostruzione giuridica. 
Il concetto di giurisdizione inteso come espressione della sovranit� statale 
si � affievolito nel tempo, e si �, dunque, trasformato. 
Attualmente, la giurisdizione � considerata sempre pi� un servizio per la 
collettivit� e come tale, erogatrice di un prodotto, il prodotto-sentenza, termine 
che stride con la nostra tradizione giuridica, ma che drammaticamente � in 
linea con il mutato conteso globale caratterizzato dalla c.d. concorrenza degli 
ordinamenti giuridici, in cui anche la giustizia deve adeguarsi alle regole della 
concorrenza e il prodotto deve garantire soluzioni tempestive ed efficaci (62). 
Sarebbe tuttavia sufficiente sottolineare che, in un contesto in cui il linguaggio 
del legislatore deve essere chiaro e intellegibile, anche la sentenza 
giustamente deve contenere statuizioni chiare e comprensibili. 
La sentenza, come il provvedimento e la norma, deve offrire due elementi: 
uno descrittivo e l�altro costruttivo. Il primo, mette in luce i risvolti pratici, il 
secondo interviene direttamente proponendo ridefinizioni di concetti destinati 
ad incidere sull�interpretazione. 
Ne consegue che la sentenza � sinonimo di economia della giustizia, efficienza, 
tempestivit�, adeguamento alle regole della concorrenza. 
Nell�economia della giustizia l�offerta deve soddisfare la domanda e garantire 
l�organizzazione ottimale del contenzioso, delle udienze e una celere 
risoluzione finale delle controversie pendenti. La semplificazione dei riti determina 
trasparenza e accelerazione delle cause e il processo cautelare amministrativo, 
garantendo la celerit� della tutela, contribuisce a migliorare non 
solo il sistema giuridico ma anche quello economico. 
(61) M. BIN, Funzione uniformatrice della cassazione e valore del precedente giudiziario, in 
Contr. e impr., 1998, 551. G. MONETA, Dal decreto legislativo 80/1998 alla legge 205/2000 ovvero la 
storia finita della giurisdizione amministrativa, in Contratto e impresa, 2001, 861. L. IANNOTTA, La 
considerazione del risultato nel giudizio amministrativo: dall�interesse legittimo al buon diritto, in Dir. 
Proc. Amm., 1998, 299. 
(62) N.C. SALERNO, Pensioni: effetti collaterali di quando il giudice deve supplire, suo malgrado, 
al legislatore. Un commento alla sentenza della Suprema Corte di Cassazione n. 3240 del 2010, in 
www.astrid.online.it. Per un approfondimento dei metodi della scuola americana di Law and economics 
(EAL), A. NICITA and M. VATIERO, The Contract and the Market: Towards a Broader Notion of Transaction?, 
Studi e Note di Economia, 1-7-22, 2007. M. VATIERO, Understanding Power. A �Law and Economics� 
Approach, Saarbr�cken, VDM-Verlag Publisher, 2009. 
CONTRIBUTI DI DOTTRINA 309 
9. Conclusioni. Gli effetti della giuridificazione. Verso un processo �economico� 
di risultato? 
Vi � chi sostiene che in realt�, nonostante l�indubbio predominio dell�economia, 
alla fine sussista una giuridificazione massiccia dei rapporti fra gli Stati 
e fra gli individui, che si realizza attraverso un enorme aumento delle competenze 
dei giudici. La giuridificazione consiste in una espansione del ruolo e 
delle funzioni del giudice, nel senso che qualunque rapporto ormai viene sottoposto 
a una qualche forma di sindacato giurisdizionale. 
Pertanto parrebbe forse eccessivo parlare di �tramonto� o addirittura di 
fine del diritto, in quanto si assiste invece al fenomeno opposto che vede la riconduzione 
dei nuovi valori di scienza e tecnica nello stesso ambito giuridico 
e che consente, a chi esercita la giurisdizione, di sussumerli all�interno del 
proprio, sempre pi� pervasivo, potere di sindacato (63). 
E ci� accade in specie, con riguardo alle decisioni che le pubbliche amministrazioni, 
anche e soprattutto indipendenti, devono adottare per garantire 
l�ordinato funzionamento dei mercati, nessuna delle quali sembra sfuggire ad 
un pi� o meno penetrante controllo giurisdizionale. 
Cos� si vengono per� a mettere in gioco i delicati equilibri richiesti dal 
principio di separazione dei poteri e la persistenza di una qualche riserva di 
funzione amministrativa (tanto nei confronti del legislatore che, in forme differenti, 
del giudice), che parrebbe doversi evincere dal rispetto di un principio 
di legalit� non unidirezionale. Il rischio � altrimenti di determinare la �decostruzione� 
dello stesso diritto amministrativo. 
La permeabilit� dei confini statuali da parte della globalizzazione del diritto 
e dell�economia mette in discussione proprio gli istituti di garanzia procedurale 
e di democrazia rappresentativa tipici della cultura occidentale dello 
stato di diritto, che entro quelli erano nati e si erano rafforzati, con inevitabili 
e problematiche ricadute sulla discrezionalit�, pure nella direzione di una compressione 
dei suoi margini da parte di scienza e tecnica. 
N� a tal proposito si deve sottovalutare, come � stato visto, l�influenza 
del diritto comunitario e della corte di giustizia. Il radicale mutamento di approccio 
registrato circa il modo di considerare l�atteggiarsi dell�azione amministrativa, 
provvedimentale e non, ha guidato il percorso evolutivo 
�dall�amministrazione per atti all�amministrazione per risultati�. Tale percorso 
ha favorito l�interpretazione e la rielaborazione di alcuni principi cardine dell�agire 
amministrativo, attraverso gli strumenti dell�analisi economica del diritto, 
ed in particolare offrendo una rivisitazione in chiave fenomenologica e 
non pi� meramente programmatoria del concetto di risultato, anche al fine di 
(63) P. ROSSI, Fine del diritto?, (a cura di P. ROSSI), Bologna 2009, 56 ss. 
(63) F. MERUSI, Democrazia e autorit� indipendenti. Un romanzo � op. cit., 34 ss. 
(63) G.C. SPATTINI, Le decisioni tecniche dell�Amministrazione � op. cit., 138.
310 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2015 
arginare i noti tropi o emblemata. Il risultato, pertanto, costituisce la proiezione 
in termini di diritto cogente del percorso di positivizzazione dei valori costituzionali 
di buon andamento della P.A. operata sin dalla l. 241/90 con l�introduzione 
nell�ordinamento dei principi di efficacia ed efficienza. 
Come abbiamo visto, anche con riferimento al procedimento cautelare, 
ferma la caratteristica di strumentalit�, si � cercato di accentuare la sua efficacia 
anticipatoria, nel senso di potenziare una tutela capace di garantire la fruttuosit� 
del provvedimento finale cui la domanda cautelare rimane finalizzata. 
Quindi forse non � poi cos� vero lo stilema �fine del diritto�, o il cosiddetto 
�silete iuriconsulti�, e che ormai � l�economia che ci domina: sempre riemerge 
la cosiddetta giuridificazione e la devoluzione in ultima istanza di tutte le questioni 
al giudice. 
Anzi: la presunta supremazia sul diritto dell�economia, sul cui significato 
sarebbe opportuno fare pure delle riflessioni (64), costituisce un dato che non 
ostacola la giuridificazione ma ne espande il ruolo e la funzione del giudice e 
non ne determina affatto la fine del diritto. 
Fin ad ora il giudice amministrativo, ferma restando la lente razionalizzatrice 
del diritto e del suo primato, � sicuramente riuscito ad assicurare un 
positivo approccio alla complessit� essenzialmente grazie a due fattori fondamentali 
della sua giurisdizione: l�elevato grado di specializzazione unito alla 
esiguit� e flessibilit� di regole processuali. Avvalendosi di questi due preziosi 
ingredienti, egli ha potuto accostarsi in modo responsabile ed incisivo alle problematiche 
dell�azione pubblica, fino ad offrire al ricorrente, singolo o associato, 
una tutela capace di proiettarsi oltre il provvedimento amministrativo e 
di attingere direttamente all�utilit� perseguita nel caso concreto. 
Il giudice amministrativo ha mantenuto il primato del diritto, nel rispetto 
della convivenza civile e dei principi costituzionali, sempre in ossequio alla 
concezione umanistica del giudice stesso, in una sorta di stilizzazione estrema 
e virtuosa, di geometria e di incastro perfetto di tassellature, perch� la persona 
e la dignit� dei suoi diritti vengono prima dell�economia. 
(64) Sul fatto che alla base delle difficolt� del rapporto tra economia e sistemi giurisdizionali sembri 
influire �anche una economia ridotta a finanza, fondata sull�idea tradizionale che il comportamento 
razionale dell�homo oeconomicus sia solo quello volto alla massimizzazione dell�interesse personale, 
inteso come idoneo ad escludere dalla razionalit� ogni altro tipo di interesse superindividuale� v. A. 
PAJNO, Giustizia amministrativa � op. cit., 6 e M. FRACANZANI - S. BARONCELLI (a cura di), Quale religione 
per l�Europa? (Atti del LII Convegno Internazionale dell'Istituto di Studi Europei "Antonio Rosmini" 
di Bolzano), Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 2014, 22 ss.
CONTRIBUTI DI DOTTRINA 311 
Revirement delle Sezioni Unite sul riparto di giurisdizione in 
tema di assegnazione delle ore di sostegno agli alunni disabili 
Iolanda Luce* 
La questione del riparto di giurisdizione in tema di assegnazione di docenti 
di sostegno ad alunni disabili torna ad essere al centro dell�attenzione 
degli operatori del diritto: una recente pronuncia delle Sezioni Unite della Cassazione, 
infatti, qualificando la mancata o insufficiente assegnazione di ore di 
sostegno agli allievi portatori di handicap come condotta discriminatoria ai 
sensi della legge 1 marzo 2006 n. 67, � tornata ad affermare, nella materia de 
qua, la sussistenza della giurisdizione ordinaria. 
Al fine di chiarire i termini della questione � bene ricostruire il quadro 
normativo vigente in materia. 
Come � noto, la legge n. 104 del 1992 detta la disciplina generale di riferimento 
per 1�assistenza, 1�integrazione sociale e i diritti delle persone portatrici 
di handicap, con particolare attenzione alla problematica dell�integrazione 
scolastica, cui si riferiscono gli artt. 12 e ss. 
La legge in esame va necessariamente integrata con le ulteriori disposizioni 
di dettaglio che regolano la materia, giacch� si pone quale norma di principi, 
abbisognevole quindi di una disciplina di integrazione e specificazione: 
pertanto, per il profilo che qui ci interessa, � necessario richiamare il D.M. n. 
331 del 24 luglio 1998, che detta disposizioni concernenti la riorganizzazione 
della rete scolastica e la formazione delle classi, nonch� il D.M. n. 141\1999, 
relativo alle modalit� di formazione delle classi di sostegno con alunni in situazione 
di handicap. 
Pi� in particolare, il D.lvo 16 aprile 1994, n. 297, all�art. 319, co. 1, prevedeva 
che le dotazioni organiche dei ruoli provinciali comprendessero posti di sostegno 
da istituire in ragione di un posto ogni quattro alunni disabili: in sostanza, 
ad ogni alunno veniva assegnato un quarto delle ore di servizio del docente, e , 
quindi, per la scuola secondaria di I e II grado, a fronte di 18 ore di attivit� settimanale 
del docente, venivano assegnate all�alunno disabile 4,30 ore settimanali. 
L�art. 40, co. 1 della L. n. 449\1997 ha abrogato tale disposizione e ha introdotto 
la dotazione organica provinciale di sostegno, fissandola nella misura 
di un docente per ogni gruppo di 138 alunni complessivamente frequentanti 
gli istituti scolastici della Provincia. 
Lo stesso art. 40 ha altres� previsto la possibilit� di derogare a tale rapporto, 
in presenza di handicap particolarmente gravi. 
Tale norma era stata abrogata dall�art. 2 della legge n. 244\2007 ma la 
(*) Avvocato dello Stato.
312 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2015 
predetta disposizione � stata successivamente dichiarata incostituzionale dalla 
Corte Costituzionale con sentenza n. 80\2010. 
La legge 27 dicembre 2002, n. 289, all�art. 35, co. 7, nel richiamare a 
sua volta la legge 104\92 e la legge 449\97, prevede che le attivit� di sostegno 
in deroga al rapporto provinciale insegnanti\alunni 1\138 � autorizzata dal Direttore 
Generale preposto all�Ufficio Scolastico Regionale. 
Lo schema di decreto interministeriale diramato con Circolare del Ministero 
Pubblica Istruzione n. 19 del 13 febbraio 2007, infine, nell�impartire disposizioni 
sulla determinazione degli organici del personale docente per 
1�anno scolastico 2007\2008, all�art. 9 quantifica 1�entit� complessiva della 
dotazione organica di sostegno a livello provinciale mediante rinvio alla tabella 
E, e dispone che la distribuzione degli insegnanti di sostegno venga correlata 
alla effettiva presenza degli alunni disabili. 
Bisogna altres� ricordare l�art. 19, comma 11 del D.L. 98/2011, convertito 
in legge 111/2011 nella parte in cui prevede che �l�organico di sostegno � assegnato 
complessivamente alla scuola � la scuola provvede ad assicurare la 
necessaria azione didattica e di integrazione per i singoli alunni disabili, usufruendo 
tanto dei docenti di sostegno che dei docenti di classe�. 
La predetta previsione legislativa � stata ripresa dal MIUR che con C.M. 
63/2011 ha precisato: �l�organico di sostegno � assegnato alla scuola �. e 
non al singolo alunno disabile� Sulla base di tale assegnazione le scuole programmeranno 
gli interventi didattici ed educativi al fine di assicurare la piena 
integrazione dell�alunno disabile�. Cos� in termini C.M. 194\2015. 
L�Ufficio Scolastico Provinciale, inoltre, rimane vincolato all�obbligo del 
pieno rispetto della dotazione organica provinciale di sostegno attribuita all�intera 
provincia, nel rispetto delle norme richiamate dal DPR n. 81 del 20 marzo 2009. 
Peraltro la deroga al criterio di cui all�art. 40 co. 1 citato (1\138) � prevista 
come meramente eventuale, e solo in presenza di handicap particolarmente 
gravi, secondo una valutazione che spetta esclusivamente all�Amministrazione, 
a mezzo degli organi previsti dalla normativa di settore: pi� in particolare 
tale organo � il Gruppo dl Lavoro per 1�integrazione scolastica, istituito 
presso ogni Ufficio Scolastico Provinciale, e formato da dirigenti tecnici e docenti, 
con il compito di valutare non solo il tipo e la gravit� dell�handicap (cos� 
come attestati dalla Asl), ma le potenzialit� dell�alunno e gli interventi programmati 
dalla scuola a favore dell�alunno stesso (come da C.M. 11 aprile 
1994, n. 123, e da D.M. 331\98 artt. 41 e 42). 
Il Gruppo di Lavoro provinciale deve valutare i seguenti documenti: 
la Diagnosi funzionale redatta dalla Unit� Multidisciplinare della ASL 
competente, e contenente la descrizione analitica dello stato psicofisico dell�alunno; 
il Profilo dinamico funzionale, redatto da un gruppo di lavoro interdisciplinare 
della ASL (composto dai docenti curriculari, dai docenti di 
sostegno e dai genitori dell�alunno) e contenente la descrizione delle difficolt�
CONTRIBUTI DI DOTTRINA 313 
e dello sviluppo potenziale dell�alunno; il Piano educativo individualizzato, 
redatto anch�esso da un gruppo di lavoro designato dalla ASL, e contenente 
gli interventi educativi e didattici previsti e la proposta al Gruppo di Lavoro 
provinciale del numero di ore di sostegno a favore dell�alunno interessato. 
Va da ultimo osservato che il Decreto legge 31 maggio 2010 n. 78, all�art. 
15, ha stabilito che �per l�anno scolastico 2010\11 � assicurato un contingente 
di docenti di sostegno pari a quello in attivit� di servizio di insegnamento 
nell�organico di fatto dell�anno scolastico 2009\10, fatta salva l�autorizzazione 
di posti di sostegno in deroga al predetto contingente da attivarsi esclusivamente 
nelle situazioni di particolare gravit� di cui all�art. 3 comma 3 della 
legge n. 104\92�. 
Quanto sopra detto consente di ritenere non del tutto convincenti le argomentazioni 
della Suprema Corte di Cassazione espresse nella recente pronuncia 
n. 25011 del 25 novembre 2014: secondo i giudici del Supremo Consesso 
la mancata assegnazione all�alunno disabile di un sufficiente numero di ore di 
sostegno integrerebbe una discriminazione indiretta, ai sensi dell�art. 2 della 
legge n. 67\2006: secondo tale disposizione ricorre una discriminazione indiretta 
quando �una disposizione, un criterio, una prassi, un atto, un patto o un 
comportamento apparentemente neutri mettono una persona con disabilit� in 
una posizione di svantaggio rispetto ad altre persone�; al contrario sussiste 
una ipotesi di discriminazione diretta quando �per motivi connessi alla disabilit�, 
una persona � trattata meno favorevolmente di quanto sia stata o sarebbe 
trattata una persona non disabile in situazione analoga�. 
Il successivo art. 3 attribuisce al giudice ordinario le controversie sorte 
in caso di atti o comportamenti discriminatori, richiamando le regole procedurali 
di cui al D.lgs. n. 150\11. 
Pertanto, alla luce delle citate disposizioni, le Sezioni Unite, richiamando 
altres� la rilevanza che la tutela del fanciullo e del portatore di disabilt� riveste 
anche in ambito europeo e internazionale (basti solo qui richiamare la Convezione 
di New York sui diritti del fanciullo nonch� la Convezione EDU sui diritti 
dell�uomo e le libert� fondamentali e la Carta Europea dei diritti 
fondamentali dell�Unione), ha concluso nel senso della sussistenza della giurisdizione 
ordinaria nella materia de qua. 
Dirimente, secondo le Sezioni Unite, la circostanza che l�art. 2 della legge 
finanziaria n. 244\2007 (che aveva eliminato la possibilit� di assunzioni con 
contratto a tempo determinato, in deroga al rapporto docenti\alunni, di insegnanti 
di sostegno in presenza di handicap particolarmente gravi) � stato dichiarato 
illegittimo dalla Corte Costituzionale con sentenza n. 80\2010 nonch� 
il fatto che, oggi, la legge n. 111\2011 consenta la possibilit� di istituire posti 
in deroga �allorch� si renda necessario per assicurare la piena tutela dell�integrazione 
scolastica�. 
314 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2015 
Pertanto, si legge nella sentenza delle Sezioni Unite, la questione dirimente 
� quella di stabilire se ci si trovi di fronte ad un diritto fondamentale ad essere 
seguiti da un docente specializzato ovvero �se vi sia ancora per la pubblica amministrazione 
autorit� spazio discrezionale per diversamente � modulare gli 
interventi della salvaguardia del diritto all�istruzione dello studente disabile�. 
La sentenza conclude nel senso che �l�omissione o le insufficienze nell�apprestamento, 
da parte dell�amministrazione scolastica, di quell�attivit� 
doverosa, si risolvono in una sostanziale contrazione del diritto fondamentale 
del disabile all�attivazione, in suo favore, di un intervento corrispondente alle 
specifiche esigenze correlate rilevate, condizione imprescindibile per realizzare 
il diritto ad avere pari opportunit� nella fruizione del servizio scolastico�. 
Le conclusioni cui giungono le Sezioni Unite si pongono in evidente contrasto 
con altri autorevoli precedenti della stessa Cassazione: in particolare, 
sempre le Sezioni Unite, con le ordinanze n. 1144\07 e n. 2013\2009, avevano 
affermato la giurisdizione ordinaria nelle controversie in esame. 
Nel senso della sussistenza della giurisdizione esclusiva del GA nella 
materia de qua anche la consolidata giurisprudenza amministrativa (ex multis: 
Consiglio di Stato, sez. VI, 21 marzo 2005, n. 1134, nella quale i Giudici di 
Palazzo Spada ritengono che nella fattispecie in esame l�Amministrazione 
eserciti propri poteri autoritativi e organizzativi, non venendo in rilievo atti 
amministrativi di natura paritetica). 
Sempre in punto di giurisdizione si richiama la recente sentenza n. 3111 
del TAR Sicilia del 3 dicembre 2014 e la n. 2036 del TAR Toscana del 11 dicembre 
2014, che hanno entrambe smentito le conclusioni cui sono giunte di 
recente le Sezioni Unite della Cassazione con sentenza n. 25011 del 25 novembre 
2014. 
Secondo i giudici siciliani, in particolare, la legge n. 67\2006 non pone alcuna 
norma attributiva della giurisdizione al GO in materia, limitandosi a stabilire 
all�art. 3 comma 2 quale rito si applichi una volta che la domanda, con 
valutazione logicamente pregiudiziale, sia stata riconosciuta come appartenente 
alla giurisdizione ordinaria in applicazione dei normali criteri di riparto. 
�Lo stesso articolo 4 comma 2 della legge 67\2006 chiarisce definitivamente 
che la regola del riparto, in materia di tutela antidiscriminatoria, segue 
il generale criterio basato sulla dicotomia diritto soggettivo\interesse legittimo�: 
di qui la naturale salvezza della giurisdizione amministrativa sia di legittimit� 
sia, come nel caso che ci occupa, esclusiva. 
E poich� �nel caso in esame, la domanda ha ad oggetto l�accertamento 
della necessit� per il minore di vedersi erogato il servizio didattico previa predisposizione, 
da parte dell�amministrazione, di misure di sostegno didattiche o 
assistenziali necessarie per evitare che il soggetto disabile altrimenti fruisca 
solo nominalmente del percorso di istruzione � si versa nelle ipotesi di giuri-
CONTRIBUTI DI DOTTRINA 315 
sdizione esclusiva sui diritti ex art. 133 comma 1 lett. C del cod. proc. amm.vo�. 
Le conclusioni della pi� recente giurisprudenza amministrativa sembrano, 
a parere di chi scrive, maggiormente convincenti, e ci� in virt� di una serie 
molteplice di argomentazioni: in primo luogo non pare possa revocarsi in dubbio 
che la norma dell�art. 3 della legge n. 67\2006, unitamente all�art. 28 del 
d.lgs. n. 150\11 che l�art. 3 richiama, � da qualificarsi in termini di norma meramente 
processuale che non introduce un nuovo criterio di riparto. 
Ci� risulta peraltro confermato dalla lettura del successivo art. 4 comma 
2 a norma del quale �le associazioni e gli enti di cui al comma 1 possono intervenire 
nei giudizi per danno subito da persone con disabilit� e ricorrere in 
sede di giurisdizione amministrativa per l�annullamento di atti lesivi delle persone 
stesse�: tale norma conferma infatti, anche in tema di tutela antidiscriminatoria, 
il generale criterio di riparto diritto soggettivo\interesse legittimo. 
Occorre ancora osservare che il fatto che la situazione soggettiva dedotta 
in giudizio assurga a rango di diritto fondamentale non � circostanza di per s� 
sufficiente ad escludere la sussistenza della giurisdizione amministrativa: � 
noto infatti il consolidato orientamento della giurisprudenza, sia di legittimit� 
che costituzionale, che ammette la giurisdizione amministrativa pur a fronte 
della lamentata lesione di un diritto inviolabile della persona, ogni qualvolta 
la dedotta violazione sia riconducibile ad una attivit� di tipo autoritativo della 
pubblica amministrazione (Corte Costituzionale n. 140\2007). 
Il nodo da sciogliere � allora relativo alla natura della attivit� svolta dall�amministrazione 
scolastica nella predisposizione dell�orario di insegnamento 
e, pi� in particolare, nella assegnazione delle ore di sostegno agli alunni disabili: 
occorre cio� chiarire se siamo oppure no di fronte ad un attivit� di tipo 
autoritativo e discrezionale. 
Ebbene, � evidente che nella materia che ci occupa �l�attivit� amministrativa 
� caratterizzata da una discrezionalit� prevalentemente tecnica, nel senso 
che non pu� prescindere dalla fondamentale valutazione medico-legale sulle 
caratteristiche specifiche ed il grado di gravit� dell�handicap del singolo 
alunno, ma alla quale si accompagna e si aggiunge una discrezionalit� amministrativa 
pura, nel senso che le esigenze del singolo alunno diversamente abile 
devono essere comunque contemperate con le esigenze generali del comparto 
scuola � e con le esigenze generali del bilancio del settore scuola ed in generale 
della finanza pubblica�� (ordinanza Tribunale di Firenze n. 13744\05). 
Dall�esame complessivo delle disposizioni sopra analizzate emerge come 
le stesse, nello stabilire i criteri che debbono presiedere alla formazione della 
classi, laddove in esse siano presenti alunni portatori di handicap, non stabiliscono 
alcun orario minimo di sostegno, e quindi non attribuiscono a tali alunni 
un diritto a pretendere nei confronti dell�Amministrazione scolastica la presenza 
di personale di sostegno aggiuntivo o per orario maggiorato rispetto a 
quello che 1�Amministrazione stessa ha predisposto.
316 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2015 
Ne deriva che la determinazione organica dei posti di sostegno e 1�assegnazione 
del personale docente di sostegno attiene ad una attivit� di carattere 
prettamente amministrativo, che esplica la potest� di auto-organizzazione propria 
della Amministrazione interessata. 
In sostanza, 1�Amministrazione conserva la discrezionalit� che le � propria 
nell�organizzare la distribuzione degli alunni e del personale, nel rispetto 
della normativa vigente di riferimento. 
La posizione del privato di fronte a tale discrezionalit�, pur qualificata dalla 
legge stessa come �diritto�, deve quindi necessariamente coordinarsi e contemperarsi 
con il pubblico interesse di cui 1�Amministrazione � portatrice: su ci� la 
giurisprudenza � pacifica: ad esempio, in materia di diritto al trasferimento ex 
art. 33 legge 104 /92, si � stabilito che �la posizione soggettiva del dipendente 
seppur positivamente configurata come diritto resta in ogni caso condizionata 
alla sussistenza di un contrario interesse pubblico�, Tar Veneto n. 1307/98; cos� 
anche Tar Lombardia, n. 1326\96 ha ribadito che �il beneficio ex art. 33 V 
comma della legge n. 104, seppur positivamente configurato come diritto, resta 
in ogni caso condizionato dalla sussistenza di un contrario interesse pubblico�. 
Ci� vuol dire che il diritto del soggetto va correlato e contemperato con 
1�interesse pubblico alla corretta organizzazione degli uffici, e, nel caso in 
esame, con la corretta organizzazione delle classi e del personale scolastico: 
il privato, cio�, non vanta una acritica configurazione di un diritto da parte 
dell�Amministrazione ad ottenere sempre quel docente o quel certo numero 
di ore di sostegno, in quanto all�Amministrazione � sempre consentita ed anzi 
imposta una valutazione comparativa tra gli interessi privati e pubblici, attenenti 
alla corretta auto-organizzazione gestione delle risorse di cui dispone. 
A tale valutazione si aggiunge, poi, quella di carattere pi� squisitamente 
medico e didattico, riservata dall�ordinamento agli organismi appositamente 
designati. 
Ancora � bene osservare che nella relazione tecnica del Gruppo di lavoro 
si sottolinea in particolare che 1�integrazione scolastica degli alunni portatori di 
handicap si realizza anche mediante una visione complessiva delle singole realt� 
scolastiche in cui 1�alunno deve integrarsi, e cio� tenendo conto anche delle risorse 
di cui 1�Amministrazione scolastica dispone, delle situazioni di fatto delle 
classi, delle prassi didattiche pi� consolidate in materia di integrazione. 
Aumentare pertanto la delega dell�insegnante di sostegno significherebbe 
accrescere la solitudine della coppia sostegno / alunno, isolando i due soggetti 
dal contesto di riferimento, con evidenti conseguenze negative per 1�inserimento 
sociale e il recupero dei minori. 
� evidente quindi che non sono solo le ore di sostegno a garantire una 
buona progettazione educativa e didattica ma anche tutte le altre componenti 
ed iniziative, attraverso le quali 1�istituzione scolastica predispone un piano 
educativo individualizzato e adeguato ai bisogni dell�allievo.
CONTRIBUTI DI DOTTRINA 317 
Anche dalla lettura dei provvedimenti di volta in volta emessi dall�Amministrazione 
scolastica si evince che alla base della assegnazione del docente 
di sostegno si pone sempre una valutazione autoritativa della p.A., frutto di 
quella tipica ponderazione e comparazione di interessi in cui si sostanzia il 
concetto stesso di discrezionalit�. 
A riprova di ci� il fatto che il legislatore ha recentemente provveduto a 
dettare dei precisi criteri cui l�Amministrazione deve attenersi al momento 
della assegnazione dell�insegnante di sostegno. 
Ci riferiamo, in particolare, all�art. 15 commi 1, 2, 2 bis del D.L. 12 settembre 
2013 n. 104 convertito dalla legge 8 novembre 2013, n. 128, che stabilice 
criteri ben precisi a presidio della assegnazione di docenti di sostegno 
in deroga. 
Risulta pertanto pienamente condivisibile l�affermazione secondo la quale 
siamo �al di fuori di un vicenda meramente esecutivo-adempitiva, in cui l�Amministrazione 
sarebbe priva di poteri autoritativi, di un diritto in tesi gi� conformato� 
(TAR Sicilia n. 3111\2014 citato): di cui la sussistenza, nella materia 
de qua, della giurisdizione amministrativa esclusiva. 
Recentemente la sesta sezione del Consiglio di Stato, con ordinanza n. 
4373 del 21 settembre 2015, ha rimesso la questione della individuazione del 
giudice munito di giurisdizione all�Adunanza Plenaria: pi� in particolare, i 
giudice remittenti, preso atto che la sentenza delle Sezioni Unite della Cassazione 
n. 25011\2014 rappresenta una radicale modifica del precedente consolidato 
indirizzo interpretativo, definito dalla stessa Corte come �costante�, 
ritengono che la qualificazione della pretesa dell�alunno disabile ad un adeguato 
monte ore di sostegno in termini di diritto assoluto non appare sufficiente 
di per s� sola a fondare la giurisdizione ordinaria, alla luce del chiaro disposto 
dell�art. 133 comma 1 lett. c) del cpa. 
Appare indubbio, infatti, che non venga in discussione il diritto dell�alunno 
all�insegnamento di sostegno, quanto piuttosto �la consistenza e le 
modalit� di effettuazione di tale prestazione� In altri termini � controverso 
non l�an ma il quantum della prestazione stessa��. 
L�ordinanza di rimessione risulta pregevole e degna di nota perch�, muovendo 
dalla ricostruzione del complessivo impianto normativo vigente, giunge 
alla individuazione di un complesso procedimento amministrativo caratterizzante 
la materia che ci occupa: pi� in particolare tale procedimento, sfociante 
in un accertamento costitutivo, si compone di due fasi prodromiche rispetto 
alla fase di approvazione del Piano educativo individualizzato, che delle dette 
fasi rappresenta il momento finale ed esecutivo. 
Tali fasi prodromiche sono date l�una dall�accertamento dello stato di 
handicap, l�altra dalla individuazione del relativo fabbisogno di insegnamento 
con erogazione delle risorse necessarie. 
La pronuncia delle Sezioni Unite sembra differenziare tali fasi anche in
318 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2015 
punto di giurisdizione, laddove afferma che dopo l�elaborazione del PEI non 
residuerebbe pi� in capo all�Amministrazione scolastica alcun margine di 
discrezionalit�, che invece sussisterebbe nelle precedenti fasi del descritto 
procedimento. 
In altre parole, dalla lettura del decisum delle Sezioni Unite sembrerebbe 
derivare che la distinzione di interesse legittimo e diritto soggettivo, e dunque 
il riparto di giurisdizione che su quella distinzione viene dalla stessa Corte 
fondato, dipenda dall�oggetto del ricorso, ossia dal fatto che si contesti a monte 
il contenuto del Piano Educativo (in tal caso sussisterebbe la giurisdizione amministrativa) 
o, piuttosto, la sua mancata attuazione (in tal caso la giurisdizione 
sarebbe del giudice ordinario). 
Tale conclusione, oltre a non essere convincente per tutto quanto sopra 
detto, appare discutibile anche per le conseguenze pratiche che comporta in 
tema di oneri di doppia impugnazione con evidente pregiudizio dei noti valori 
della concentrazione e semplificazione della tutela giurisdizionale. 
RECENSIONI 
MICHELE GERARDO - ADOLFO MUTARELLI, Prescrizione e decadenza 
nel diritto civile. Aspetti sostanziali e strategie processuali. 
(G. Giappichelli Editore, Torino, 2015, pp. XVIII-446) 
Prefazione 
La prescrizione e la decadenza rappresentano istituti idonei a saggiare le 
capacit� dell'interprete costituendo una sorta di meccanismo ad incastro che 
impone una rigorosa coerenza ricostruttiva della disciplina. Ed � per questo 
che nessuno studioso della materia riesce a sottrarsi al proposito di operarne 
una ricostruzione personale, per quanto possibile, originale. 
� opinione degli autori che per il perseguimento della migliore tenuta 
ed organicit� della ricostruzione della materia sia necessario un rigoroso ancoraggio 
alla disciplina offerta dal codice civile che costituisce una sorta di 
diritto comune degli istituti in esame. Nella riferita prospettiva � sembrato 
pertanto indispensabile, sia rispetto alla utilit� dell'indagine sia rispetto alla 
fruibilit� della stessa da parte degli addetti ai lavori, partire dal dato normativo 
letto e scomposto alla luce dei canoni ermeneutici applicabili (artt. 12 e 14, 
disp. prel. c.c.). 
Si � pertanto privilegiata l'interpretazione del testo normativo fatto oggetto 
di analisi semantiche e sintattiche (della lingua e/o del linguaggio settoriale 
in cui � stato formulato) comparando, all'occorrenza, il significato 
assunto da singoli termini o istituti nei contesti normativi diversi in cui essi 
hanno cittadinanza. 
In via sussidiaria, ove l'interpretazione letterale della disposizione � apparsa 
inidonea ad offrire una chiara ed inequivoca lettura, si � fatto ricorso all'interpretazione 
sistematica al fine di illuminarne il contenuto alla luce di tutte 
altre (con utilizzo dell'argomento topografico o della sedes materiae e dell'argomento 
della costanza terminologica). In chiave sincretica rispetto all'illustrato 
iter ermeneutico si �, ovviamente, tenuto in debito conto non solo la
2 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 4/2015 
mens legis ma anche la formazione storica delle norme da interpretare (puntando 
al raffronto tra le situazioni giuridiche che precedono e seguono l'emanazione 
di tali norme) individuando il continuum o gli arresti dell'evoluzione 
normativa. 
Si ritiene, infine, di dover precisare che, nonostante la formale imputazione 
dei singoli capitoli, il lavoro � frutto di riflessione ed elaborazione comune 
degli autori. 
Anche se l'avv. Adolfo Mutarelli non riveste pi� la qualit� di avvocato 
dello Stato entrambi gli Autori esprimono riconoscenza all�Avvocatura dello 
Stato presso cui hanno maturato un�esperienza professionale interdisciplinare 
nei diversificati campi dell�ordinamento da cui � sorto lo stimolo per il presente 
lavoro. 
Santo Stefano del Sole, giugno 2015 
Gli Autori
Finito di stampare nel mese di marzo 2016 
Stabilimenti Tipografici Carlo Colombo S.p.A. 
Vicolo della Guardiola n. 22 - 00186 Roma