ANNO LXVII - N. 1 GENNAIO - MARZO 2015 
RASSEGNA 
AVVOCATURA 
DELLO STATO 
PUBBLICAZIONE TRIMESTRALE DI SERVIZIO
COMITATO SCIENTIFICO: Presidente: Michele Dipace. Componenti: Franco Coppi - Giuseppe Guarino - 
Natalino Irti - Eugenio Picozza - Franco Gaetano Scoca. 
DIRETTORE RESPONSABILE: Giuseppe Fiengo - CONDIRETTORI: Giacomo Arena e Maurizio Borgo. 
COMITATO DI REDAZIONE: Lorenzo D�Ascia - Gianni De Bellis - Sergio Fiorentino - Paolo Gentili - Maria 
Vittoria Lumetti - Francesco Meloncelli - Marina Russo - Massimo Santoro - Carlo Sica - Stefano 
Varone. 
CORRISPONDENTI DELLE AVVOCATURE DISTRETTUALI: Andrea Michele Caridi - Stefano Maria Cerillo - 
Luigi Gabriele Correnti - Giuseppe Di Gesu - Pierfrancesco La Spina - Marco Meloni - Maria 
Assunta Mercati - Alfonso Mezzotero - Riccardo Montagnoli - Domenico Mutino - Nicola Parri - 
Adele Quattrone - Pietro Vitullo. 
HANNO COLLABORATO INOLTRE AL PRESENTE FASCICOLO: Guglielmo Bernabei, Federico Casu, Giuseppe 
Cerrone, Luca dell�Osta, Alessandro De Stefano, Ettore Figliolia, Fabrizio Gallo, Mariana 
Giordano, Antonio Grumetto, Paolo Marchini, Leonello Mariani, Francesco Molinaro, Giancarlo 
Montedoro, Glauco Nori, Gabriele Pepe, Diana Ranucci, David Romei, Ines Sisto, Marco 
Stigliano Messuti. 
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AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO 
RASSEGNA - Via dei Portoghesi, 12, 00186 Roma 
E-mail: rassegna@avvocaturastato.it - Sito www.avvocaturastato.it 
Stampato in Italia - Printed in Italy 
Autorizzazione Tribunale di Roma - Decreto n. 11089 del 13 luglio 1966
INDICE - SOMMARIO 
SEMINARIO 
Giuseppe Fiengo, Roma, li 8 luglio 1977: il recupero di una testimonianza. 
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 
Atti del Seminario �Un nuovo ordinamento dell�Avvocatura dello Stato� 
tenutosi a Roma l�8 luglio 1977 a cura del Centro studi e iniziative per la 
riforma dello Stato . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 
Ugo Spagnoli, Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 
Luciano Violante, Il ruolo dell�Avvocatura dello Stato fra legittimazione 
dell�autorit� e difesa della parte amministrazione . . . . . . . . . . . . . . . . . 
Fabio Lorenzoni, Riforma dell�Avvocatura e decentramento autonomistico 
dello Stato, fra giustizia amministrativa e nuove prospettive delle 
professioni private . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 
Benedetto Baccari, Problemi e prospettive degli avvocati giovani ed anziani 
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 
Piergiorgio Ferri, L�Avvocatura dello Stato a garanzia della parit� tra le 
parti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 
Pietro Conti, Il quadro politico istituzionale di una possibile riforma. . . 
Giovanni Bestente, La questione della collegialit� . . . . . . . . . . . . . . . . . 
Danilo Laurenti, Il superamento di alcuni luoghi comuni . . . . . . . . . . . . 
Enrico Vitaliani, I punti �ancora saldi� dell�Avvocatura dello Stato . . . 
Luigi Mazzella, La diversa funzione tra il giudice e il consulente. . . . . . 
Filippo Marzano, L�avvocato dello Stato �amicus curiae� . . . . . . . . . . . 
Plinio Sacchetto, Imparzialit� ed efficienza nell�attivit� consultiva . . . . 
Antonio Freni, Il rapporto tra l�avvocato e la politica . . . . . . . . . . . . . . 
Roberto Maffioletti, Conclusioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 
Franco Battistoni Ferrara, La primazia di una decisione politica trasparente 
e responsabile . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 
Piero Piacentini, La temporaneit� degli incarichi direttivi . . . . . . . . . . . 
CONTENZIOSO NAZIONALE 
Paolo Marchini, La Corte costituzionale e l�I.R.E.S.A. (Imposta regionale 
sulle emissioni sonore degli aerombili civili) come tributo di scopo ambientale 
(C. cost., sent. 13 febbraio 2015 n. 13). . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 
David Romei, L�incandidabilit� del Sindaco e degli amministratori locali 
che hanno causato lo scioglimento del Consiglio comunale per infiltrazioni 
mafiose (Cass. civ., Sez. Un., sent. 30 gennaio 2015 n. 1747) . . . . 
Francesco Molinaro, Danno da emotrasfusioni: Quando inizia la responsabilit� 
del Ministero della salute? (Cass. civ., Sez. Terza, sent. 22 gennaio 
2015 n. 1136) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 
Luca Dell�Osta, La pubblicit� degli avvisi d�asta sui quotidiani e la discrezionalit� 
del giudice dell�esecuzione (art. 490 c.p.c.) (T.a.r. Emilia 
Romagna, Sez. Prima, sent. 26 febbraio 2015 n. 175) . . . . . . . . . . . . . . . 
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I PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 
Leonello Mariani, La difesa in giudizio nei rimedi risarcitori (art. 3 CEDU) 
a favore di soggetti detenuti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 
Alessandro De Stefano, Onere di pagamento del contributo unificato in 
caso di soccombenza reciproca nel giudizio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 
Antonio Grumetto, L�obbligo di pubblicazione dei dati patrimoniali da 
parte dei componenti degli organi di indirizzo politico delle p.A. . . . . . . 
Alessandro De Stefano, Applicabilit� di misure di salvaguardia di assetto 
idrogeologico in mancanza di approvazione di una generale attivit� di 
pianificazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 
Marco Stigliano Messuti, Ines Sisto, Sulla gestione del demanio marittimo 
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 
Alessandro De Stefano, Negoziazione assistita e patrocinio erariale . . . 
Ettore Figliolia, Opere protettive in corrispondenza dei cavalcavia autostradali: 
spettanza degli oneri manutentivi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 
Diana Ranucci, Il fondo patrimoniale e la sua opponibilit� ai creditori 
LEGISLAZIONE ED ATTUALIT� 
Giuseppe Fiengo, Opere pubbliche: il progetto e poi, l�appalto . . . . . . . 
Federico Casu, Giuseppe Cerrone, Per una rilettura costituzionale dell�art. 
262 del codice penale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 
Fabrizio Gallo, La protezione sussidiaria per violenza indiscriminata ex 
art. 14 lett. c) D.l.vo 251/2007, tra diritto interno e diritto dell�unione europea. 
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 
Giancarlo Montedoro, Mariana Giordano, La legge di stabilit�: le politiche 
economiche possibili fra diritto costituzionale e diritto europeo . . . 
CONTRIBUTI DI DOTTRINA 
Glauco Nori, Qualche dettaglio in pi� sulla sentenza FIOM: La legittimit� 
costituzionale della norma di risulta . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 
Guglielmo Bernabei, Difficile sviluppo del rapporto tra decreto legge e 
legge di conversione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 
David Romei, L�ordine logico di esame del ricorso principale ed incidentale 
alla luce dei recenti arresti dell�Adunanza Plenaria. . . . . . . . . . . . . 
Gabrile Pepe, La primazia negli organi collegiali pubblici: ricadute applicative 
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 
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SEMINARIO 
Roma, li 8 luglio 1977: il recupero di una testimonianza 
Nel rimettere a posto le carte della Rassegna, ho ritrovato un vecchio 
�ciclostilato� che riportava gli atti di un convegno svolto a Roma l�8 luglio 
1977 (ndr: lo stesso giorno nasceva mio figlio Francesco), presso il Centro 
Problemi dello Stato del Partito Comunista Italiano. L�iniziativa rivestiva uno 
spiccato carattere di novit�, perch� dopo l�apertura di Ugo Spagnoli, poi divenuto 
noto per la riforma delle carriere della magistratura ordinaria, e la 
relazione di Luciano Violante, apriva un dibattito nel quale erano attivamente 
presenti sia importanti componenti della Democrazia Cristiana che esperti 
del nuovo Partito Socialista Italiano. Cominciava l�epoca di Bettino Craxi e 
si avviavano i primi tentativi del �compromesso storico�. 
Il tema del convegno aveva ad oggetto il ruolo istituzionale dell�Avvocatura 
dello Stato, regolata ancora dal Testo Unico redatto del 1933, nel 
nuovo ordinamento della Repubblica democratica e pluralista, in un contesto 
amministrativo che si andava articolando con l�istituzione delle regioni a statuto 
ordinario e con l�entrata in funzione dei Tribunali Amministrativi Regionali. 
In pratica questo incontro fu il viatico politico per la riforma 
dell�Avvocatura dello Stato, poi approvata in Parlamento con la legge 3 aprile 
1979 n. 103. 
Tra i primi compiti di una rivista penso che vi sia quello di conservare in 
qualche modo la testimonianza dei momenti fondamentali della storia dell�Istituto, 
evitando quelle dispersioni di atti e di cose che il tempo e l�accumulo 
del lavoro quotidiano rendono involontariamente normali. 
VՏ poi un�ulteriore ragione, che mi induce alla pubblicazione di questi 
atti (Massimo Severo Giannini diceva in proposito che �pi� crescono le giustificazioni, 
pi� aumenta la cattiva coscienza�), e sono i nomi dei colleghi che 
intervennero in quel dibattito: Benedetto Baccari, Giovanni Bestente, Pier 
Giorgio Ferri, Antonino Freni, Danilo Laurenti, Luigi Mazzella, Plinio Sacchetto, 
Enrico Vitaliani ed altri.
2 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2015 
� stata la generazione di avvocati dello Stato che hanno immaginato il 
futuro del nostro lavoro, il modo di approcciarsi ad una amministrazione oramai 
caratterizzata dal pluralismo dei soggetti decisori (lo Stato, le Regioni, 
le comunit� locali, ma anche le nascenti Autorit� indipendenti e la Comunit� 
Economica Europea), generazione alla quale mi sembra doveroso rendere 
omaggio, per quello che hanno pensato ed, in parte, anche realizzato. 
I temi di fondo svolti nel dibattito attengono essenzialmente: a) alla necessit� 
di assicurare un sistema chiaro e trasparente nel rapporto tra la scelta 
politica e la trattazione tecnica degli avvocati pubblici, in termini semplici la 
corretta gestione delle liti e degli affari consultivi; b) al riconoscimento dell�autonomia 
professionale (e delle carriere) degli avvocati e procuratori dello 
Stato, in alternativa al carattere fortemente accentrato del potere, nelle mani 
dell�Avvocato Generale e degli avvocati distrettuali, che derivava dalla legislazione 
dell�Anteguerra; c) alle modalit� di raccordo della difesa erariale 
con la difesa delle regioni a statuto ordinario e degli enti infraregionali. Sul 
punto il modello operativo tendeva a muoversi sulla base dell�esperienza fatta 
con le regioni ad autonomia speciale i cui statuti, con legge costituzionale, 
prevedevano il patrocinio obbligatorio da parte dell�Avvocatura dello Stato; 
d) all�actio finium regundorum dell�attivit� consultiva tra l�Avvocatura dello 
Stato ed il Consiglio di Stato, che si andava sempre pi� affrancando dal carattere 
domestico della sua giurisdizione per divenire, sulla base della previsione 
costituzionale, giudice d�appello sull�esercizio dei poteri pubblici. 
Ed � proprio la tematica svolta nel convegno del luglio del 1977 che mostra 
forse la ragione di fondo per la quale la Rassegna pubblica gli atti: 
l�estremo interesse ed attualit� delle idee ivi espresse ed il fondamento di 
quanto spesso ancora oggi si rivendica nel nostro lavoro come profonda riforma 
e/o innovazione della struttura e funzione dell�Avvocatura dello Stato. 
In definitiva le idee non hanno tempo; e molte cose che ancora oggi si 
esprimono come necessit� di adeguamento alla nuova organizzazione dei pubblici 
poteri, non sono altro, in realt�, che �ritorni ad un nostro passato�, pensato 
e vissuto, talvolta nelle prassi, e comunque nelle coscienze di chi in quei 
colleghi, in quei tempi e in quelle idee ha creduto e crede fermamente. 
G.F.
SEMINARIO 3 
CENTRO STUDI E INIZIATIVE 
PER LA RIFORMA DELLO STATO 
ATTI DEL SEMINARIO PER 
U N N U O V O O R D I N A M E N T O 
DELL� AVVOCATURA DELLO STATO 
ROMA, 8 LUGLIO 1977 
SOMMARIO 
Introduzione 
Ugo Spagnoli 
Relazioni 
Luciano Violante: Il ruolo dell'Avvocatura dello 
Stato fra legittimazione dell'autorit� e difesa 
della parte amministrazione. 
Fabio Lorenzoni: Riforma dell'Avvocatura e decentramento 
autonomistico dello Stato, fra giustizia 
amministrativa e nuove prospettive delle professioni 
private. 
Dibattito 
Benedetto Baccari 
Pier Giorgio Ferri 
Pietro Conti 
Giovanni Bestente 
Danilo Laurenti 
Enrico Vitaliani 
Luigi Mazzella 
Filippo Marzano 
Plinio Sacchetto 
Antonio Freni 
Conclusioni 
Roberto Maffioletti 
Comunicazioni Scritte 
Franco Batistoni Ferrara 
Piero Piacentini
4 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2015 
I N T R O D U Z I O N E 
UGO SPAGNOLI (*) 
Ringrazio i presenti che hanno voluto partecipare a questo seminario indetto dal Centro 
per la Riforma dello Stato con lo scopo di giungere ad un primo momento di approfondimento 
e di dibattito su un tema che per la verit�, almeno per l'esperienza del Centro, non � stato fino 
ad oggi dibattuto come in realt� meritava. 
Per questo abbiamo ritenuto di affrontare in sede di riflessione preliminare una serie di 
temi che riguardano oggi il ruolo e la funzione dell'Avvocatura dello Stato, anche in riferimento 
alle trasformazioni dell'assetto statale, in modo da toccare sia problemi pi� ampi sia 
questioni di riforma dell�Avvocatura. C'� stata una serie di riunioni di notevole interesse, e da 
esse � venuta l'esigenza di avere un momento pi� ampio di confronto, onde esaminare i punti 
di arrivo di questo nostro studio e chiedere l'apporto, il contributo di un pi� vasto numero di 
appartenenti all'Avvocatura dello Stato. 
Si tratta di un problema che presenta aspetti diversi e complessi, sentiamo per� che non 
pu� essere pi� una questione che si dibatta soltanto all'interno dell�istituzione. Occorre un 
momento di approfondimento e di conoscenza esterna che non abbia puramente e semplicemente 
un riflesso legislativo, senza che siano tenuti presenti i contenuti culturali, istituzionali 
delle questioni non solo da parte delle forze politiche, ma anche da parte di quelle forze culturali 
che si occupano dei problemi dello Stato. 
Ecco, quindi, l'esigenza nostra -direi; se ce lo consentite, pi� nostra che vostra- di sapere, 
capire, approndire. Vogliamo conoscere il valore, il ruolo, la funzione, degli avvocati dello 
stato che costituiscono a nostro avviso un patrimonio prezioso, e che devono essere giustamente 
inquadrati anche in una riforma pi� ampia dello Stato, in modo che l'apporto di una ricchezza 
di conoscenze professionali specifiche, ma di alto rilievo, come a tutti � noto, possa in realt� 
avere uno spazio, un giusto riconoscimento, un ruolo effettivo nell'ambito di queI processo di 
democratizzazione e di trasformazione dello Stato che costruiamo giorno per giorno. 
Di qui l'esigenza di questa nostra iniziativa per affrontare problemi che noi non conosciamo 
in maniera approfondita e per cui chiediamo soprattutto un contribuo dal dibattito per 
avere una visione pi� ampia e pi� dettagliata di questo delicato aspetto del funzionamento 
dello Stato. Il confronto ci pu� consentire di avere materiali validi che poi, per quanto potr� 
essere necessario potranno avere un riflesso nei momenti di riforma, senza incidere sull'autonomia 
delle forze politiche parlamentari che ovviamente agiranno come riterranno pi� opportuno, 
ma fornendo l'apporto di un momento di approfondimento quale riteniamo si possa 
avere anche nel corso di questo nostro incontro. 
Ecco perch� le relazioni di Violante e di Lorenzoni non vogliono avere un carattere definito 
e conclusivo: sono indicazioni di problemi, di temi, dei punti nodali di maggior interesse, 
con indicazioni di soluzioni l� dove le soluzioni possono essere gi� in qualche modo individuate, 
con impostazione di problemi l� dove invece le questioni sono ancora aperte e dove 
sentiamo di pi� il bisogno dell'apporto di un confronto. 
Ci avviciniamo, quindi, ai temi dell'Avvocatura dello Stato non certo con la pretesa di 
(*) Deputo PCI, presidente del Centro per la Riforma dello Stato, poi giudice costituzionale dal 1986 al 
1995.
SEMINARIO 5 
dare indirizzi che abbiano in qualche modo un carattere definitivo, ma veramente per consentire 
un confronto e un approfondimento di questi problemi che non si svolga pi�, ripeto, 
all�interno dell'istituto, ma che abbia questo riflesso esterno. 
Questo � il metodo che abbiamo seguito fino ad oggi e che riteniamo di seguire, sapendo 
di non considerare conclusiva questa nostra iniziativa. I problemi della Avvocatura dello Stato 
hanno trovato recentemente attenzione nella grande stampa, ma � stata una parentesi che si � 
rinchiusa abbastanza rapidamente; noi teniamo invece a riaprirla, non certo a livelli di grande 
pubblicistica, ma di studio; salvo poi vedere quali potranno essere i frutti e l'uso che di questo 
materiale si potr� fare e che noi intendiamo raccogliere. 
Questo volevo dire come premessa di questa nostra riunione, con un ringraziamento che non 
� soltanto formale, ma sincero. � uno sforzo che compiamo, che riteniamo sia giusto compiere, 
perch� la questione interessa profondamente, ce ne siamo accorti sempre pi� cammin facendo, per 
implicazioni e questioni che in realt� non erano cos� facilmente presenti all'attenzione generale. 
Debbo dire ancora che proprio per questo, per la partecipazione vostra, per l'adesione 
che c'� stata abbiamo ritenuto anche apportare una modificazione nel nostro programma. Avrei 
dovuto assumere io le conclusioni di questo nostro seminario, ma mi sembrava un p� presuntuoso 
-e lo dico sinceramente-, che dovessi concludere su questioni che per la verit� conosco 
abbastanza superficialmente, anche se ho seguito nei limiti in cui mi � stato possibile i lavori 
preparatori. Abbiamo invece ritenuto che fosse pi� consono al dibattito che le conclusioni venissero 
assunte dal Senatore Maffioletti che ha seguito molto pi� di me questa questione anche 
sul terreno legislativo: se ne � occupato gi� nel corso della scorsa legislatura quando il problema 
si era aperto al Senato, e quindi ha una conoscenza certamente pi� approfondita, pi� 
diretta e pi� puntuale dei problemi. Per questo abbiamo pensato giusto che fosse Maffioletti 
ad assumere la funzione di trarre le conclusioni che, come ho detto, saranno interlocutorie, 
perch� non pensiamo certamente di concludere i nostri incontri con questo seminario. 
Dette queste cose a m� di premessa, per dare una valutazione ed una motivazione a questa 
nostra iniziativa, ringrazio non solo gli intervenuti ma anche coloro che nella fase preparatoria 
hanno portato al Centro il frutto delle loro conoscenze, delle loro indicazioni, ci hanno 
consentito di lavorare e di costruire. 
LUCIANO VIOLANTE (*) 
Il ruolo dell'Avvocatura dello Stato fra legittimazione 
dell'autorit� e difesa della parte amministrazione 
1) L'Avvocatura dello Stato, nella sua qualit� di organo gestore del contenzioso p.A. e di organo 
di consulenza delle amministrazioni centrali e periferiche, assume oggi, in relazione alla 
vastit� dell'intervento pubblico, al decentramento della p.a. ed al conseguente progressivo affermarsi 
di un nuovo diritto amministritivo, ruolo primario per una corretta amministrazione 
della cosa pubblica e quindi per un corretto rapporto tra cittadino e Stato. 
(*) Magistrato, docente universitario. Deputato PCI, presidente della Camera dei deputati dal 1996 al 
2001.
6 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2015 
All'ampiezza e alla qualit� dei compiti che pesano oggi sugli Avvocati dello Stato, alla 
progressiva crescita della funzione di consulenza delle avvocature distrettuali e dell'Avvocatura 
generale, al sorgere di nuovi compiti di tutela dello Stato dinnanzi ad organismi internazionali, 
fa riscontro una struttura dello istituto di tipo assolutamente verticistico, disciplinata 
in un T.U. del 1933, nella quale l'avvocato generale � sostanzialmente il dominus di tutti gli 
affari, esercita poteri specifici di avocazione e riveste in definitiva il ruolo di una sorta di ministro-
ombra del contenzioso della p.a. Il rapporto rigidamente gerarchico che lega i singoli 
procuratori e avvocati all'avvocato generale riflette direttamente i caratteri fondamentali dell'assetto 
che alla p.a. aveva dato il regime fascista (1) ed � pertanto idoneo a rispondere alle 
esigenze di un'amministrazione fondata sul decentramento, sull'autonomia locale, sulla responsabilit� 
dei pubblici funzionari. 
Il deciso rilievo di questa idoneit� non pu� peraltro porre in ombra le indiscusse caratteristiche 
di capacit� tecnica e di credibilit� che l'Avvocatura dello Stato tuttora conserva, pur 
tenendo presente che l'altissimo livello dell'istituto e la voluta indeterminatezza di alcuni 
aspetti delle sue funzioni hanno frequentemente avuto funzione deresponsabilizzante degli 
organi politici e degli stessi organi amministrativi. 
Pertanto l'adeguamento dell'Avvocatura alla mutata realt� costituzionale e sociale del 
paese deve farsi carico della necessit� di salvaguardare questo patrimonio di professionalit� 
che lo istituto ha accumulato negli oltre cento anni della sua attivit� e di rivalutare, insieme, 
il momento della responsabilit� politica per le scelte generalissime in materia di contenzioso, 
al fine di evitare che esso sia rimbalzato dagli organi politici a quelli tecnici e viceversa. 
Non si tratta di un compito agevole. 
Per l'Avvocatura, come per molti altri apparati dello Stato che hanno a lungo vissuto 
nella separatezza della societ� civile, la maggior parte degli interventi e delle proposte di riforma 
hanno toccato solo problemi di carriera interna senza porsi fino in fondo la questione 
generale dell�adeguamerrto della struttura e delle funzioni dell'istituto alla nuova realt� dell�amministrazione 
pubblica e senza cogliere la questione della priorit� della riforma delle 
strutture rispetto agli altri problemi (2). 
� quindi possihile che l'intento di affrontare la riforma in maniera organica possa essere 
interpretato come sintomo di stravolgimento delle linee di fondo di un istituto della cui qualit� 
professionale nessuno dubita e come manifestazione di un fin de non recevoir rispetto alle richieste 
di modifica delle carriere. 
Evidentemente ci si � fatti carico anche di questa possibilit� ed � doveroso precisare che 
dai risultati del lavoro sinora avviato, e dei quali questo seminario costituisce una prima puntualizzazione, 
(3) emerge con chiarezza l'esigenza di muoversi in una prospettiva che consente 
alla amministrazione pubblica di avvalersi in maniera ancora pi� intensa dell'apporto degli 
avvocati dello Stato per la gestione del contenzioso sia sotto il profilo consultivo-preventivo 
che sotto quello della condotta in giudizio. 
� emersa altres� l'esigenza -proprio per il potenziamento della prima prospettiva- di evitare 
che l'intervento dell'Avvocatura, specie a livello consultivo, possa essere strumentalmente 
utilizzato per deresponsabilizzare il funzionario, o anche l'uomo di governo, mascherando 
dietro il tecnicismo dell�intervento, scelte d'indirizzo politico altrimenti non confessabili. 
Si propende, infine, per la separazione della carriera economica da quella funzionale 
per valorizzare gli elementi di professionalit�, selezione e responsabilizzazione in un quadro 
di giusta attuazione di questo principio. 
2) L'Avvocatura dello Stato � da alcuni autorevoli scrittori (4) qualificata come organo ausiliaro
SEMINARIO 7 
dell'amministrazione centrale dello Stato, posta alle dirette dipendenze del Presidente del Consiglio; 
questa dipendenza sarebbe da intendersi come dipendenza gerarchica. Le avvocature 
distrettuali sono definite nella stessa prospettiva, come organi locali dell'amministrazione statale, 
destinati a coadiuvare in sede locale, col consiglio e l'assistenza legale, le diverse amministrazioni 
statali. L�Avvocatura sarebbe titolare esclusivamente del c.d. jus postulandi, che 
non implica alcuna diretta disponibilit� del rapporto sostanziale dedotto in giudizio. (5) 
Questa interpretazione, per cos� dire riduttiva, del ruolo dell'Avvocatura dello Stato si 
fonda -significativamente- sul noto parere espresso dall�adunanza generale del Consiglio di 
Stato nella riunione del 23 novembre sul caso Varvesi. (6) 
In quell'occasione il Consiglio di Stato, che forse, seppure solo in parte, giudicava anche 
in rem suam, escluse che l'Avvocatura fosse un organo di rilievo costituzionale, escluse che 
le funzioni dell'Avvocatura potessero essere ricondotte al c.d. Stato ordinamento, escludendo 
con ci� che l'Avvocatura avesse la funzione di garantire un po� il rispetto della legalit� in 
astratto e dell�interesse pubblico generale. 
L'amminisrazione resterebbe titolare del potere-dovere di stabilire se il giudizio deve 
assere instaurato o continuato e, in casi di particolare rilievo, se, date tesi difensive possono 
essere e fino a che punto sostenute. Peraltro, quando ritenesse di non poter seguire l'indirizzo 
segnatole, l'Avvocatura potrebbe declinare l'incarico e l'amministrazione potrebbe avvalersi 
di un libero professionista. 
Al polo opposto si collocano quelle tesi, sostenute in maniera particolarmente argomentata 
negli scritti per il centenario dell'Avvocatura, (7) per le quali l'istituto, per le specifiche 
attribuzioni costituzionali, va considerato organo avente rilievo costituzionale; il rapporto con 
il Presidente del Consiglio si esplicherebbe in una forma di "alta sorveglianza" e non avrebbe 
contenuto gerarchico e sarebbe pertanto affine al rapporto tra Ministro della Giustizia e magistrati; 
il rapporto con le amministrazioni si risolverebbe in una ripartizione di competenze 
e non quindi nella sovraordinazione di un ente all'altro; l�amministrazione potrebbe disporre, 
quando ci� � consentito dalla legge, del diritto controverso, ma la funzione di assistenza legale 
resterebbe comunque rimessa alle decisioni dell'avvocato generale. Anche in questa seconda 
prospettiva, in caso di dissenso, l' Avvocatura potrebbe declinare l'incarico e l'amministrazione 
affidare la tutela dei propri interessi a liberi profossionisti. 
Non � certo questa la sede per addentrarsi in una disputa che qualche volta � limitata da 
considerazioni meramente settoriali, altre volte incide su aspetti puramente formali ed altre 
volte ancora sembra confondere ci� che l'Avvocatura � oggi, ci� che � scritto nel T.U. del 
1933 e ci� che l'istituto dovrebbe essere nel nuovo sistema costituzionale e amministrativo. 
Oggi l'Avvocatura dello Stato � l'avvocato generale dello Stato non a caso, e senz'ombra 
di ironia, � stato scritto da autorevoli studiosi del problema che "l'autonomia dell'istituto viene 
assicurata mediante l'ampia sfera di competenza riservata all'avvocato generale". (8) 
Egli �, nell'attuale sistema, il reale ed unico titolare della funzione consultiva e difensiva, 
che esercita attraverso l'emanazione di direttive, circolari limitatrici dei poteri delle singole 
avvocature distrettuali, l'avocazione, la sostituzione degli avvocati che gestiscono un affare 
con altri di sua fiducia. Si tratta, evidentemente, di poteri che egli esercita legittimamente perch� 
conferitigli dalla legge del 1933, ma non per questo meno suscettibili di discussione in 
una sede che si ponga il problema della riforma generale dell'istituto. 
Il Presidente del Consiglio dei ministri � il responsabile politico dell'Avvocatura; questa 
responsabilit� comporta l�esercizio di poteri d'indirizzo e di controllo che sono esercitati in 
pratica attraverso un rapporto esclusivo, di tipo fiduciario, tra il capo dell'Esecutivo e l'avvo-
8 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2015 
cato generale; i suoi amplissimi poteri sono funzionali proprio a questo tipo di rapporto istituzionale 
esclusivo con il Presidente del Consiglio, al quale pu�, rispondere -nell'attuale sistema- 
solo perch� titolare di questi particolari poteri, tra essi -� bene non dimenticarlo- si 
annovera la risoluzione delle divergenze di parere sia tra gli uffici distrettuali dell'Avvocatura, 
e sin qui poco male, e sia tra questi e gli uffici amministrativi, il che � nell'attuale sistema decisamente 
pi� grave. 
Non � certo qui in discussione il concreto operato dei singoli avvocati generali, ma � 
necessario ribadire che questo assetto dell'Avvocatura � inadeguato alle attuali esigenze di un 
corretto espletamento del servizio di consulenza e di difesa dello Stato. 
Porre in capo ad un soggetto politicamente non responsabile la soluzione dei conflitti 
tra Avvocatura o amministrazione significa spostare la sede naturale del conflitto dal terreno 
politico amministrativo a quello apparentemente tecnico e neutrale dell'avvocato generale, 
che si carica di sotterranea ma non meno intensa politicit� sol che si pensi al rapporto esclusivo 
che lega quest'alta carica dello Stato al Presidente del Consiglio. 
L'esistenza di poteri autoritativi cos� ampi in materia talmente complessa costituisce il 
riflesso di una concezione neutrale del diritto e degli apparati burocratici dello Stato, di carattere 
ottocentesco, per la quale la certezza della soluzione giuridica del conflitto � un fatto 
di mera applicazione di norme e la funzione degli apparati pubblici � la realizzazione di essenziali 
ed evidenti finalit� dello Stato. 
In questa concezione l'ordinamento giuridico assume i caratteri della organicit� e della 
completezza e ben pu� una sola persona, se dotata delle conoscenze, dell'esperienza e del prestigio 
necessari, porsi come individuatore, sempre e comunque, dei criteri giuridici per la risoluzione 
del conflitto attraverso la interpretazione della razionalit� immanente dell'ordinamento. 
� stato veramente scritto abbastanza sul carattere mistificante che questa concezione � 
andata acquisendo nel tempo; d'altronde nessuno forse meglio degli avvocati dello Stato sa 
quanto vario, lacunoso e contraddittorio possa essere l'ordinamento giuridico e, in particolare, 
il diritto amministrativo, che costituisce per cos� dire la loro riserva di caccia. Tutti intendiamo 
quindi l'inadeguatezza nel nostro sistema di direttive centralizzate, destinate a coprire sia 
il contenzioso che il consultivo, e valide per tutto il territorio nazionale. 
� significativo, peraltro che al miraggio del tecnicismo puro della funzione dell'avvocato 
dello Stato non si sono sottratte neanche quelle posizioni, sicuramente apertte e democratiche, 
che nell'intento di rivendicare in questo universo autoritario spazi di autonomia rispetto all'amministrazione, 
cercando forse di recuperare su questo terreno quanto non poteva chiedersi 
sull'altro, quelle posizioni -dicevo- che hanno teorizzato un ruolo "giustiziale" degli avvocati 
dello Stato, che opererebbero sempre "per la corretta applicazione del diritto e di tutte le norme 
dell'ordinamento giuridico". 
Il problema evidentemente � di stabilire con quale criterio possa stabilirsi nel nostro ordinamento 
quella che volta per volta � l'esatta applicazione del diritto e di distinguere nettamente 
la funzione istituzionale di chi propone una tesi per la risoluzione di una controversia 
e la funzione istituzionale di chi quella controversia deve risolvere. 
� indubbio che in numerose ipotesi, probabilmente nella maggior parte dei casi, � richiesta 
al tecnico del diritto un'operazione meramente applicativa dei principi facilmente individuabili 
mediante schemi interpretativi noti. Ma � altrettanto vero che nei casi pi� complessi 
il solo tecnicismo o non � sufficiente o pu� essere un fatto mistificatorio. 
Nel ruolo istituzionale di consigliere e difensore di una c.d. "parte imparziale" (9) ci 
sono notevoli margini di ambiguit�, che sono destinati a restare tali se non si pongono da un
SEMINARIO 9 
lato forme istituzionali di partecipazione e di collegialit� per la risoluzione delle questioni pi� 
complesse e dall'altro chiare linee di indirizzo politico del contenzioso da parte di chi dell'ente 
� il responsabile politico. 
Lo Stato, l'amministrazione � pur sempre una parte in senso puro dal punto di vista processuale. 
Sostenere la concezione della parte imparziale o della parte un po� meno parte delle 
altre pu� significare muoversi nell'ottica del superamento di una fondamentale acquisizione 
garantistica dello Stato di diritto, che va in giudizio non per farsi riconoscere la propria imparzialit� 
ma per contrastare da pari a pari la pretesa avversaria. 
Tanto maggiore � l'esigenza di superare questa ambiguit� quanto pi� se ne consideri la 
sua funzione deresponsabilizzante rispetto all�autorit� politica o amministrativa, quando l'avvocato 
pu� sostenere di essere il mediatore tecnico della volont� del suo cliente e il cliente di 
non aver veste per dubitare di ci� che il tecnico del diritto ha operato in suo nome. 
Questa ambiguit� non � rimasta caratteristica astratta nella storia dell'Avvocatura; essa 
si � per cos� dire materializzata in numerose vicende remote ed anche molto vicine a noi. Si 
pensi, ad esempio, al noto iter del decreto delegato relativo ai superburocrati, quando in vista 
della registrazione con riserva (che � una richiesta meramente politica) il governo chiese un 
parere all'Avvocatura sull'operato tecnico-giuridico dalla Corte dei Conti, che nella specie 
non aveva senso se non in vista di un travestimento tecnico della decisione, meramente politica, 
dell'imposizione della registraziorne con riserva, travestimento che comportava appunto 
la deresponsabilizzazione politica. 
Analoghe considerazioni possono farsi per la nota questione della presunta incostituzionalit� 
del ricorso straordinario al Capo dello Stato e per la posizione che l'Avvocatura sostenne 
nelle prime udienze dinnanzi alla Corte Costituzionale, quando si batt� per l'abrogazione implicita 
di tutte le norme precedenti al 1948 che apparissero contrarie alla Costituzione. 
L'apparente nobilt� dei propositi appariva frustrata allo occhio di chi avesse considerato 
che l�accoglimento di quest'ultima tesi avrebbe spostato sulla Cassazione il sindacato di costituzionalit� 
per le leggi antecedenti alla Costituzione, che erano la maggioranza. 
3) L'insieme di queste considerazioni convince dell'improrogabilit� di una riforma dell�Avvocatura, 
che la adegui alle nuove strutture dell'amministrazione, alla reale complessit� del 
nostro sistema giuridico a quanto di profondamente nuovo � maturato in questi ultimi anni 
nel nostro diritto amministrativo. 
Agli interventi autoritativi vanno sostituite forme di consultazione collegiale istituzionalizzata, 
che consentano -senza scapito per l'efficienza, di potenziare l'apporto della capacit� 
professionale e dell'esperienza dei singoli; occorrer� conferire maggiore autonomia alle avvocature 
distrettuali, anche per renderle idonee alla difesa delle Regioni a statuto ordinario, 
senza per� addivenire ad una frammentazione dell�istituto il quale deve pur sempre conservare 
dei prevalenti momenti di unit� di indirizzo. 
Dovranno in questa prospettiva essere rideterminati i compiti di ordinamento e di indirizzo 
degli avvocati distrettuali e dell' avvocato generale. 
Dovranno infine fornirsi specifiche soluzioni al problema dei rapporti tra indirizzo politico 
e conduzione tecnica degli affari riconducendo l'indirizzo politico alla presidenza del 
Consiglio e la conduzione tecnica del contenzioso nell'ambito dello indirizzo politico dell'avvocato 
generale e agli avvocati distrettuali. 
4) L'art. 17 del T.U. del 1933 sancisce la dipendenza degli uffici dell'Avvocatura dal Capo 
del governo e la loro direzione da parte dell'avvocato generale. 
Indipendentemente dalle pur rilevanti controversie dottrinali sul senso di questa dipen-
10 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2015 
denza, mi pare che essa non possa esaurirsi, come � stato recentemente ed autorevolmente 
scritto, nel potere del Presidente del Consiglio di "provvedere nei casi stabiliti dalla legge" e 
di "vigilare sull'andamento dei lavori", a meno che nella prima espressione non si faccia rientrare 
la fondamentale funzione costituzionale di direzione e di indirizzo politico. (10) 
Il problema �, naturalmente, quello di precisare con la maggiore chiarezza possibile il 
contenuto specifico ed i limiti di questa funzione, e tenere nettamente distinta l'attivit� consultiva 
dall'attivit� di patrocinio in giudizio delle amministrazioni dello Stato. 
Nei confronti dell'attivit� consultiva nessuna possibilit� di interferenza � ammissibile; su 
questo � necessario essere molto fermi. � altresi necessario che per la legge di riforma si studi 
una sorta di actio finium regundorum con le competenze consultive del Consiglio di Stato; � 
interesse della collettivit� e di una corretta amministrazione che non esista la possibilit�, per 
chi esercita i poteri di direzione della politica generale del governo, di servirsi, a sua scelta dell'uno 
o dell'altro organo di consulenza. Il protrarsi di questa situazione potrebbe far ritenere 
che in alcuni casi non si richieda un parere, ma una forma di copertura tecnica di decisioni 
delle quali non si vuole assumere l'intera responsabilit� politica, dinnanzi al Parlamento. 
Non � facile operare per questa divisione; forse il punto � nel concentrare tendenzialmente 
nell'Avvocatura la titolariet� dell'attivit� consultiva relativa a specifiche possibilit� di 
contenzioso, lasciando nel Consiglio di Stato la titolarit� delle altre forme di attivit� consultiva 
che gli competono in base all'art. 100 della Costituzione. All'Avvocatura distrettuale dovrebbe 
inoltre competere l'attivit� consultiva per le articolazioni base dell'amministrazione. 
Per quanto attiene al contenzioso mi sembra che debba permanere nel Presidente del 
Consiglio, per il contenzioso statale, e nel corrispondente organo regionale, per il contenzioso 
regionale, la titolariet� di quella che si pu� chiamare la direzione politica del contenzioso: se 
costituirsi parte civile in alcuni procedimenti, se abbandonare determinate liti, se iniziarne altre. 
Questo naturalmente nei casi che il Presidente del Consiglio, nella sua responsabilit� politica, 
riterr� meritevoli di intervento, e fermo il principio generale dell'autonomia dell�ufficio 
d� difensore. 
Al fine di consentire al Presidente del Consiglio un consapevole esercizio dei suoi doveri 
dovr� disporsi il potenziamento dell'obbligo d'informativa dell'avvocato generale, gi� oggi tipicizzato 
dall'art. 15 del T.U., in relazione a tutte le controversie di un certo rilievo. 
Questa maggior presenza del capo del governo dovrebbe consentire anche di risolvere 
i problemi di conflitto tra amministrazione ed Avvocatura sul terreno politico-amministrativo, 
che � quello loro proprio. 
Che fare per� se il conflitto rimane e l'Avvocatura ricusa di seguire l'indirizzo dell'amministrazione 
ritenendolo giuridicamente infondato o scorretto? 
In tali casi pressoch� unanimemente si fa appello a quella norma del T.U., l'articolo 5, 
che consente in casi eccezionali che l'amministrazione si avvalga di liberi professionisti. Si 
ritiene quindi che l'avvocato dello Stato possa rifiutarsi di difendere l'amministraz�one e che 
perci� l'amministrazione si rivolga ad un privato. 
Il caso non si � mai verificato, ma non e un caso di scuola perch� la risoluzione del quesito 
implica una certa concezione dei rapporti tra amministrazione ed Avvocatura. 
Il ricorso al citato articolo 5 come criterio di risoluzione del conflitto non sembra adeguato 
sia perch� la ratio di quella disposizione era tutt�altra -come ha acutamente osservato 
Jemolo- (11) quella cio� di impedire forme di clientelismo per le quali ministri o direttori generali 
intendessero affidare cause ad avvocati amici, sia perch� pare difficilmente configurabile 
nel nostro sistema un rifiuto di un pubblico funzionario, per quanto elevato e particolare nel
SEMINARIO 11 
suo ruolo istituzionae, ad adempiere alla sua funzione, fatti salvi naturalmente i noti limiti 
sulla liceit� dell'attivit� richiesta. 
Proprio la particolarit� della funzione dell'avvocato dello Stato consiglia di adottare una 
soluzione intermedia, analoga alla registrazione della Corte dei Conti. Di fronte al rifiuto dell'Avvocatura, 
espresso dall'avvocato generale, il governo potr� chiedere egualmente di tenere 
il comportamento richiesto, iniziare o abbandonare una lite, costituirsi parte civile in un certo 
procedimento o non costituirsi, ma dovr� risponderne al Parlamento. 
Di particolare delicatezza � il problema dell'indirizzo politico del governo in materia di 
giudizi di costituzionalit�. Qui oltre alla direttiva di fondo ci pu� essere un aspetto di valutazione 
da parte del Presidente del Consiglio dei motivi politici per i quali si chiede la conservazione 
di una norma. Forse molti ricordano il polemico intervento di Massimo Severo Giannini 
sulla Giurisprudenza Costituzionale all'indomani della difesa da parte dell�Avvocatura 
della costituzionalit� degli artt. 553 c.p. e 112 del TULPS, quando, scriveva Giannini, il Presidente 
del Consiglio era apparso "come un sostenitore della mistica della stirpe". (12) 
D'altronde nel febbraio scorso la commissione affari costituzionali della Camera rilevava 
con molta fermezza l�assenza di dibattito politico, o per lo meno la sua assoluta clandestinit�, 
in materia di giudizi di costituzionalit�, anche "per predisporre gli strumenti idonei a salvaguardare 
le finalit� sociali perseguite con le leggi eventualmente dichiarate costituzionalmente 
illegittime". La risoluzione poneva poi un problema di rilevanza centrale impegnando il governo 
a riferire periodicamente alla commissione Affari Costituzionali "sui motivi del suo intervento 
o del suo non intervento". Questa richiesta sembra perfettamente legittima e va anzi 
allargata ad una forma di relazione periodica-biennale ad esempio del Presidente del Consiglio 
alle Camere sul funzionamento dell'Avvocatura, sugli indirizzi politici impartiti sui problemi 
di maggiore rilevanza politica. (13) 
5) Concludendo per quale Avvocatura dello Stato ci muoviamo? Per quali prospettive di fondo? 
A me pare che una risposta precisa ad alcuni di questi interrogativi possa venire sopratutto 
da1 dibattito; anche se il significato della riforma che proponiamo, nelle sue linee generalissime 
alla discussione del seminario non pu� essere interpretato in chiave di aumento o di 
diminuzione di poteri, ma di spostamento dell'istituto dal terreno dell'ambiguit� istituzionale 
in cui lo aveva collocato il fascismo a quello della linearit� della responsabilit� e della correttezza 
costituzionali. 
note: (1) Sulle trasformazioni [del]l'istituto rispetto al presente T.U. 1933 cfr. F. Battistoni Ferrara, La 
difesa dello Stato in giudizio e la situazione italiana, in l'Avvocatura dello Stato, Roma, 1976, p. 370 ss. 
2) Nella V^ legislatura furono presentate alla Camera due proposte di legge, una aveva come primo firmatario 
l'on. Di Primo (n. 2898) e l'altro l'on. Bozzi (n. 3028). 
Nella VI^ legislatura furono presentati due progetti alla Camera, n. 1187 presentato dell'on. Mauro Ferri 
e n. 1293 presentato dall'on. Lenoci e quattro al Senato: n. 288, sen. Bartolomei, n. 337 sen. Arena, n. 
426 sen. Cucinelli, n. 684 sen.Viviani; venne presentato anche un disegno di legge di iniziativa governativa 
n. 1574 che assorb� tutti gli altri. Questo disegno venne aggiunto con numerosi emendamenti nella 
seduta del 18 giugno 1975. A seguito dello scioglimento delle Camere il disegno non complet� 1'iter legislativo, 
ma � stato ripresentato nel corso di questa legislatura (sen. Cipellini ed altri) con il n. 78. 
3) In questa introduzione sono esposti sinteticamente alcuni risultati del lavoro di un gruppo di tecnici, 
prevalentemente avvocati dello Stato, presso il Centro Studi e Iniziative per la Riforma dello Stato. 
4) G. Zanobini, corso di diritto amministrativo, 30, 1958, Milano, 56 ss. R. Alessi, Sistema istituzioanle del diritto 
amministrativo italiano, Milano 1960, 141. G. Treves, l'organizzazione amministrativa, Torino 1967, 133. 
5) Sulla capacit� dell'Avvocatura a stare in giudizio cfr. Andrioli, Legittimazione processuile della pub-
12 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2015 
blica Amministrazione e modificazioni, in Foro Italiano, 1958, IV, p. 217 ss; cfr. anche S. Laporta, Interesse 
pubblico e patrocinio "facoltativo" di enti non statali da parte dell'Avvocatura, Rassegna Avv. 
stato, 1975, p. I sez. IV, p. 696 ss. 
6) C. Stato Ad. generale 23 novembre 1967, Varvesi c. Avvocatura dello Stato, Foro Amministrativo 
1969, I, sez. 2, p. 838. 
7) Gli scritti, tutti di notevole livello scientifico sono raccolti nel volume "L "Avvocatura dello Stato" 
edito dal Poligrafico dello Stato, 1976. 
8) S. Laporta e r. Canarizi l'Avvocatura dello Stato. La difesa dell�Avvocatura dello Stato in materia di 
improponibilit� assoluta e di conflitti di giurisdizione, in Avvocatura dello Stato, cit. p. 396. 
9) L. Piccardi, Il problema della difesa dello Stato in giudizio e R. Cananzi [...] italiana, in Riv. di diritto 
pubblico 1931, p. 590. 
10) S. Laporta e R. Cananzi, l'Avvocatura dello Stato, p. 395. 
11) A.C. Jemolo, l�Avvocatura dello Stato, Archivio Filippo Serafini 1968, 232 ss. 
12) M.S. Giannini, Per una maggiore ponderazione degli interventi del Presidente del Consiglio, Giur. 
Cost., 1965, pag. 67 ss. 
13) Considerazioni analoghe a quelle svolte per la Corte Costituzionale valgono per il patrocinio dinnanzi 
al giudice Comunitario, v. F. Favara, Le comunit� Europee e l'Avvocatura dello Stato, in l'Avvocatura 
dello Stato cit., p. 513 ss. 
FABIO LORENZONI (*) 
Riforma dell'Avvocatura e decentramento autonomistico dello Stato, 
fra giustizia amministrativa e nuove prospettive delle professioni private 
1) In questa mia introduzione dei lavori del seminario dopo quanto ha detto Luciano Violante in 
ordine alla collocazione dell'Avvocatura nel nostro quadro istituzionale, vorrei sottoporre alla discussione 
alcuni punti di riforma, parte dei quali sono stati gi� affrontati in sede parlamentare nella 
scorsa legislatura, altri riguardano questioni che solo pi� di recente sono venuti a maturazione. 
La discussione mi pare che possa concentrarsi in primo luogo sul riassetto delle carriere, 
sull'ordinamento interno per quanto riguarda lo status professionale dell�avvocato, in secondo 
luogo sull�organizzione del lavoro, ed in particolare sull'assetto di vertice dell'istituto, e sul 
rapporto che � necessario creare fra la nuova organizzazione dell'Avvocatura e la riforma amministrativa 
che si � realizzata con il completamento dei poteri alle regioni; ed infine sul rapporto 
che si pu� porre fra l'Avvocatura dello Stato e il mondo della professione forense. 
Su questi punti l"Avvocatura, che pure ha mantenuto un alto grado di funzionalit� e di 
efficienza, non � rimasta inerte e separata dal pi� generale processo di riforma con il quale si 
sono date risposte negli ultimi anni ad una crisi che ha investito molti degli apparati amministrativi 
e dell�organizzazione del nostro Stato. L'Avvocatura del resto opera in un ambito che 
tocca tre aspetti fondamentali delle nostre istituzioni: in primo luogo investe i ruoli in cui si 
esercita in Italia la giustizia amministrativa, tocca quindi gli assetti e le funzioni della pubblica 
amministrazione, ed infine l'attivit� della difesa in giudizio collega il ruolo dell�Avvocatura 
al problema pi� generale della professione forense. 
In tutti e tre questi aspetti negli ultimi anni si sono avuti fermenti e risultati di riforma 
di cui l'Avvocatura � necessariamente coinvolta fino a richiedere una ridefinizione del suo 
ruolo che non pu� pi� essere legato al disegno del testo unico del 1933. 
(*) Vicedirettore dell�Istituto Studi sulle Regioni del C.N.R.; oggi avvocato in Roma.
SEMINARIO 13 
2) Per quanto riguarda la giustizia amministrativa, pur con tutti i limiti di alcune riforme che 
si sono potute realizzare in modo frammentario, mi sembra per� che si possa riconoscere in 
genere un miglioramento degli istituti di garanzia del cittadino destinatario dell'azione amministrativa. 
Nello schema classico dello Stato di diritto in cui si collocano sostanzialmente 
gli istituti di giustizia amministrativa, il cittadino negli ultimi anni ha conseguito pi� precise 
garanzie per la tutela delle proprie situazioni soggettive qualificate, attraverso la istituzione 
dei tribunali amministrativi regionali, attraverso la semplificazione delle procedure dei ricorsi 
gerarchici e del ricorso straordinario, attraverso la generalizzazione del silenzio rifiuto, attraverso 
ancora le riforme del contenzioso tributario. 
In questo quadro � importante sottolineare che l'amministrazione pubblica sta in giudizio 
tendenzialmente alla pari nelle controversie con il privato, e in modo ancora pi� specifico che 
questa parit� di posizione processuale � sottolineata dalla difesa in giudizio della parte amministrazione 
con il patrocinio della Avvocatura. 
Questa articolazione degli strumenti garantistici � una peculiarit� italiana, in altri paesi 
anche a sistemi di giustizia amministrativa manca questo ruolo di un'Avvocatura che difende 
la parte amministrazione secondo i moduli del patrocinio forense. 
Senza voler enfatizzare questi istituti mediante i quali la parit� delle posizioni rispettive 
dello Stato e del cittadino � pur sempre una parit� tendenziale, mi sembra per� ugualmente 
da non sottovalutare questo nostro patrimonio ed in particolare il carattere garantistico della 
funzione di un�Avvocatura che difende in giudizio l�amministrazione come parte. 
3) Per altro verso 1'Avvocatura � un ufficio pubblico in cui gli avvocati che esercitano il patrocinio 
forense sono anche pubblici funzionari. L�origine dell'istituto muove proprio dallo 
scorporo dalle rispettive amministrazioni attive dei funzionari che erano preposti all'attivit� 
di difesa. L'avvocato dello Stato nel suo rapporto con l�ufficio di appartenenza � un funzionario, 
ed in questo suo status professionale partecipa al processo di riforma amministrativa 
che � in atto, e che, pur con le difficolta e le resistenze al riordinamento che si sono registrate, 
pone in risalto tutta la questione dello statuto del dipendente pubblico e la colloca su un terreno 
ben diverso di quanto non fosse stato in occasione dell'emanazione del testo unico del '57. � 
vero che le leggi di delega per i1 riordinamento dell'amministrazione centrale dello Stato, ed 
il decreto delegato del '72 sulla dirigenza hanno escluso dalla loro sfera di applicazione l�Avvocatura; 
per� con la Legge n. 775 del '70 l'art. 7, nell'ampliare la presenza e la rappresentanza 
sindacale nei consigli di amministrazione dei ministeri, ha espressamente disposto che le medesime 
norme si applichino agli organi collegiali comunque denominati e che esercitino in 
tutto o in parte le funzioni dei consigli di amministraziane presso il Consiglio di Stato, la 
Corte dei Conti, la Avvocatura,1'ISTAT. Ci� significa che non si possono creare compartimenti 
stagni, ed i processi di espansione dalla partecipazione vanno a toccare tutti i settori dell'amministrazione, 
anche quelli organizzati ancora in forma spiccatamente gerarchica. 
Questo della gerarchia interna dell'Avvocatura � forse l'aspetto pi� macroscopico ed indica 
una improrogabile necessit� di adeguamento dell�istituto ai principi di organizzazione 
amministrativa che si stanno affermando in tutti i settori della vita delle istituzioni. 
Su questo punto tutte le modifiche parziali si sono avute nel testo unico originario del 
'33, dal decreto legislativo del '48 alla legge del '55, a quella del '62, a quella ancora del '66, 
hanno comportato solo ritocchi nelle carriere, hanno determinato ampliamenti di organici, ma 
hanno confermato sempre l'impianto fondamentale dell'accentramento dei poteri nell'avvocato 
generale, dominus principale di tutte le vertenze, responsabile monocratico di tutta la vita e 
dell'assetto dell'istituto. Ad esso si affianca anche il segretario generale per la gestione-am-
14 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2015 
ministrativa ed operativa degli uffici, e l'unica parvenza di collegialit� si esaurisce in alcune 
funzioni consultive, che hanno un rilievo piuttosto scarso e sono esercitate dalla commissione 
permanente la cui composizione � tutta di derivazione dei vertici burocratici. 
L'introduzione invece dei due organismi collegiali, per il governo del personale, e per la 
direzione tecnica, deve comportarne una composizione democratica, deve attribuire a questi 
organismi poteri reali di partecipazione alla gestione dell'istituto. Non deve snaturare la funzionalit� 
dell�Avvocatura, n� si sottovaluta l'importanza che vi siano momenti di coordinamento 
e di direzione unitaria della politica difensionale e consultiva; ma affinch� questa 
funzionalit� e questo coordinamento siano fondati su una reale dialettica interna e sulla valorizzazione 
della stessa professionalit� tecnica degli avvocati che esercitano poi in concreto le 
singole attivit� su cui viene esercitato il coordinamento, non si pu� prescindere da una profonda 
modifica degli attuali criteri in base ai quali � organizzato l'assetto di vertice dell'istituto. 
Una responsabilit� pi� precisa della politica dell'Avvocatura, e un suo fondamento partecipativo 
nel corpo degli avvocati e dei procuratori dello Stato attraverso gli organismi collegiali 
serve naturalmente anche, e forse in modo pi� pregnante, per quanto riguarda l'attivit� consultiva, 
pur legata a quella di difesa in giudizio, ma che tocca pi� da vicino il rapporto con le amministrazioni 
patrocinate. Come nelle amministrazioni attive si vengono definendo momenti di responsabilizzazione 
dei funzionari e di partecipazione interna negli organismi collegiali, cos� non 
puo' pensarsi che 1e funzioni proprie dell'Avvocatura possano continuare ad essere gestite con 
i moduli organizzativi attuali che sono ancora quelli vigenti in base al testo unico del '33. 
Analogamente, per quanto riguarda la semplificazione delle qualifich� e 1�automaticit� 
della progressione nelle classi di stipendio, queste riforme rientrano nella logica complessiva 
del riordinamento della pubblica amministrazione. Per l'Avvocatura in particolare l'alto contenuto 
professionale dell'attivit� svolta, insieme alla ampiezza della sfera di discrezionait� 
tecnica insita nel lavoro di difesa in giudizio dell'amministrazione, richiedono, forse anche in 
altri rami dell�amministrazione, un ordinamento interno flessibile e fondato sulla responsabilit� 
del singolo funzionario piuttosto che non su una rigidit� di assetti burocratici che frustrano 
la capacit� di iniziativa e la creativit� dei singoli. 
� tutta l'organizzazione del lavoro di un ufficio come l'Avvocatura che deve rispondere 
a criteri nuovi di mobilit� e di funzionalit� propri di un'attivit� che, per il suo stesso carattere, 
non � ripetitivit� di mera applicazione di regole tecniche, e non pu� quindi essere irrigidita in 
moduli organizzativi frammentati e fissi quali sono quelli applicati per le attuali divisioni dei 
ruoli burocratici. 
4) Un altro modo molto significativo con cui l'Avvocatura pu� rendersi partecipe della riforma 
in atto nel nostro apparato pubblico � quello connesso con l'attuazione delle regioni a statuto 
ordinario. Il decentramento e la democratizzazione di gran parte dell 'amministrazione, indotti 
dal primo trasferimento delle funzioni del '72 e dal suo completamento che si sta varando in 
queste settimane in forza della legge n� 382, non ha trovato l 'Avvocatura impreparata a leggere 
in questa vicenda una grande occasione per l'attuazione del disegno costituzionale. Ed � stato 
segnalato dagli stessi ambienti dell'Avvocatura l�opportunit� che questa istituzione non resti 
esclusa da questo processo, anche per il positivo risultato che si � realizato con la difesa delle 
Regioni a statuto speciale. 
Il problema non � naturalmente quello di regionalizzare l'Avvocatura; ci� che viene proposto 
� che la difesa delle Regioni nelle controversie con i privati sia assunta normalmente dall'Avvocatura. 
Ma � anche evidente che questa possibilit� di estendere la difesa delle regioni ordinarie 
va vista in un quadro che prende le mosse da una ristrutturazione interna dell'Avvocatura stessa.
SEMINARIO 15 
Senza un suo adattamento ai caratteri nuovi dello Stato regionalizzato � ben difficile adottare 
questa soluzione, mentre se la ristrutturazione si realizza non mi pare vi siano altri ostacoli 
di natura costituzionale, cos� come non ve ne sono stati per la normale difesa delle regioni a 
statuto speciale nei giudizi in cui non vi sia conflitto di interessi fra regioni e Stato centrale. 
Per decidere di generalizzare questo sistema occorre per� che la Avvocatura stessa garantisca, 
in primo luogo a s� medesima, forme di articolazione regionale delle responsabilit� 
nella conduzione delle liti: deve essere rotta l'attuale dipendenza gerarchica di tutti gli uffici 
dall'organo di vertice centrale, e deve essere attribuita agli organi distrettuali la responsabilit� 
della difesa delle regioni. Solo cos� infatti si pu� evitare che il ricorso al patrocinio dell'Avvocatura 
da parte delle regioni non mascheri forme che vengano a recuperare una direzione 
della loro propria amministrazione da parte dell'autorit� di governo centrale. 
Alla decisione in tal senso si dovr� inoltre pervenire in primo luogo in un rapporto di 
consultazione con le regioni perch� non si possono far calare dall'alto soluzioni che queste, 
nella loro autonomia costituzionale, non condividano. 
In questo quadro potr� realizzarsi da un lato una maggiore attrazione dell'Avvocatura 
nei problemi del rinnovamento e della democratizzazione dello Stato, lo stesso istituto avr� 
occasioni per valorizzare la sua articolazione interna e una responsabilizzazione pi� diretta 
dei singoli uffici periferici. Ma dovr� servire anche, peraltro verso, a sciogliere quell'ambiguit� 
di cui parlava prima Violante e che ancora permane nei rapporti fra l'Avvocatura e l'amministrazione 
che � parte in giudizio, secondo le norme del testo unico del '33. In particolare gli 
art. 13 e 15 determinano questa ambiguit�; infatti, in base a questi articoli sia nell�attivit� consultiva 
sia in quella difensionale l'Avvocatura avrebbe il compito -dice il testo unico- "di consigliare 
e dirigere l�amministraziorie quando si tratta di promuovere, contestare o abbandonare 
il giudizio", ovvero spetterebbe all'avvocato generale di "risolvere le divergenze di parere fra 
gli uffici distrettuali dell�Avvocatura e gli uffici amministrativi" nella trattazione degli affari 
contenziosi e consultivi. 
L'ambiguit� deriva da una concezione dell'Avvocatura che gi� Violante definiva appunto 
come "ministro ombra" del contenzioso. Occorre sciogliere questa ambiguit�, tanto pi� se 
l'Avvocatura difende amministrazioni regionali costituzionalmente autonome, rendendo non 
chiari gli ambiti di responsabilit� rispettivi: la decisione di promuovere o abbandonare la lite 
spetta all�amministrazione; le modalit� con cui la 1ite deve essere condotta o abbandonata 
spetta all'Avvocatura. 
Ritengo che questa necessit� di chiarezza nei rispettivi rapporti sia una necessit� di ordine 
anche pi� generale, ma � assolutamente essenziale nel caso della difesa delle regioni ordinarie. 
Qui infatti, oltre a tutto, mentre il rapporto di rappresentanza in giudizio si stabilisce 
con il presidente della regione, la decisione sull'opportunit� della lite, e in genere su come 
gestire il contenzioso, in base a molti statuti deve essere assunta con il coinvolgimento del 
consiglio regionale. 
Non mi pare si pongano altre esigenze di adeguamento alla possibilit� di difendere normalmente 
le regioni in giudizio. Per quanto riguarda la quantit� numerica degli avvocati e dei 
procuratori legali solo un'attenta rilevazione dei caratteri e del numero delle liti fra cittadini 
e amministrazione regionali potr� suggerire gli eventuali adeguamenti di organico che si dovessereo 
rendere necessari. Nel fare questa valutazione occorre per� avere presente, di fronte 
ad un�eventualit� di incremento degli organici, il rischio che una forzata immissione di nuove 
leve di avvocati con tempi pi� accelerati di quanto non sia stato possibile finora realizzare 
non vada a scapito della funzionalit� del complesso dell�istituto; mentre per altro vero non va
16 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2015 
sottovalutato il fatto che molte delle funzioni e dei poteri amministrativi regionalizzati sono 
aumentati in termini numerici, rispetto a prima della regionalizzazione. Si dovrebbe piuttosto 
pensare ad una riduzione delle vertenze giudiziarie perch� l�esercizio dell�attivit� gi� statale 
da parte delle regioni si accompagna con tutta una serie di misure di potenziamento delle 
forme di consultazione e di partecipazione amministrativa che sono tese proprio a prevenire, 
e quindi a limitare, la conflittualit� fra amministrazione e cittadino. 
5) Per quato riguarda infine l'attivit� forense che � quella propria dell�Avvocatura dello Stato, 
pur considerando la particolarit� di questo istituto che fa parte di un articolato sistema di giustizia 
amministrativa ed � inserito a tutti gli effetti, nell'organizzazione amministrativa pubblica, 
mi sembra inutile mettere in evidenza due aspetti molto significativi che possono 
costituire il terreno concreto su cui realizzare obiettivi di socializzazione della specifica funzione 
pubblica esercitata, senza scapito per la sua efficienza tecnica, ma anzi valorizzandola 
proprio nei suoi contenuti pi� specifici. 
L'attivit� di difesa di un'amministrazione pubblica -si � detto- � importante venga svolta 
in una stretta analogia con la difesa di qualsiasi altra parte in giudizio: � questo un criterio garantistico 
di valorizzare. Non pu� sfuggire d'altra parte una tensione a stabilire un rapporto 
pi� stretto fra la tecnicit� dell'attivit� difensionale e la tecnicit� delle decisioni del cliente. 
E questo suggerisce all'avvocato dello Stato di entrare nel merito dei modi in cui l'amministrazione 
perviene a certi atti o comportamenti oggetto della lite. � una tensione rispetto 
alla quale bisogna avere molta cautela, e occorre evitare che il senso stesso dell'autonomia 
della difesa in giudizio dell'amministrazione come parte non venga perso in una confusione 
e in una ambiguit� dei ruoli. Ma questa tensione pu� essere in qualche modo recuperata in 
positivo, su un terreno pi� propriamente culturale, con la diffusione di una consapevolezza 
pi� matura sul ruolo generalmente politico delle attivit� intellettuali, ed in particolare nel caso 
specifico dell'attivit� forense. 
Da fermenti di questo genere il mondo degli avvocati privati � rimasto nel suo complesso 
gravemente escluso, soprattutto in confronto con quanto ad esempio nella magistratura � cresciuta 
l'attenzione sugli stessi temi. Qualcosa si � realizzato nella vita associativa degli avvocati 
degli enti pubblici; ma i problemi del rapporto fra gli intellettuali operatori forensi e la 
dinamica degli interessi messi in gioco dalle liti giurisdizionali, sono problemi che coinvolgono 
tutti gli avvocati, quelli dello Stato, quelli degli enti pubblicici, quelli privati. 
Questi problemi, su un piano essenzialmente culturale e di battaglia ideale, possono costituire 
un ricco terreno in cui realizzare esperienze di allargamento della consapevolezza politica. 
A partire dalla tecnicit� specifica del suo proprio ruolo professionale l'avvocato pu� 
avere un rapporto con la societ� e con i problemi del suo governo, del suo sviluppo, della sua 
trasformazione, che non resti tutto chiuso nella logica interna dell'istituzione in cui opera, n� 
sia limitata all'orizzonte dell'organizzazione pubblica quale essa �, bens� si protenda verso 
quegli obiettivi di riforma e di rinnovamento che sono resi necessari dalle dinamiche reali e 
dal processo storico e che possono essere interpretati e diretti secondo le linee di movimento 
proprie della specificit� del lavoro esercitato. 
Voglio fare solo un esempio per indicare in che senso potrebbe essere sviluppata questa 
occasione di scambio e di fermento reciproco fra le esperienze dell�Avvocatura e quelle della 
attivit� forense. Il problema della conduzione collegiale di una vertenza o pi� in generale di 
un intero studio professionale, il problema degli studi associati, � un problema che si affaccia 
nel mondo della professione privata, e che se affrontato decisamente, pu� costituire un modo 
di grandi prospettive per superare certi aspetti della crisi di questo ambiente professionale.
SEMINARIO 17 
L'Avvocatura dello Stato, cos� come le avvocature degli enti pubblici dispongono di un 
patrimonio ricco di esperienza di organizzazione moderna e complessa per esercitare 1'attivit� 
legale della parte in giudizio, senza perdere le peculiarit� proprie di una professione storicamente 
fondata sull'iniziativa individuale e sulla capacit� del singolo avvocato. 
� un esempio che prospetto solo per verificare su un terreno concreto questa possibilit� 
di socializzazione delle esperienze e delle culture costruite proprio all'interno del ruolo professionale 
esercitato nell'ambito di un ufficio pubblico. Lo indico pi� che altro come ipotesi 
di lavoro, ma credo valga la pena di pensare a forme di intenso scambio fra diverse esperienze, 
per avviare una riflessione critica e progettuale su questo genere di problemi che riguardano 
diversi modi di esercizio dell�attivit� forense. 
Anche questi problemi hanno implicazioni ampie e di lunga prospettiva in una societ� 
che � sempre pi� complessa e sempre pi� caratterizzata da fenomeni organizzativi. 
Se questi fenomeni organizzativi non sono arricchiti di partecpazione e di consapevolezza 
democratica, se i momenti dell'organizzazione non sono permeati di tensione critica e 
conoscitiva diffusa, rischiano solo di accentuare le spinte settorialistiche e le chiusure corporative. 
Ma l'organizzazione indotta dalle pi� diverse esigenze della moderna societ� industriale 
non � di per s� un ostacolo all'estrinsecazione e alla valorizzazione delle capacit� personali. 
Solo la chiusura nei modelli culturali propri di forme sociali arcaiche e premoderne portano 
a contrapporre la libert� individuale del professionista singolo, rispetto a momenti di strumentazione 
operativa pi� complessa come quella degli studi associati. 
Ci� che si pu� proporre � proprio la progettazione di forme di compartecipazione di una 
pluralit� dei singoli professionisti associati nell'esercizio di specifiche e complementari professionalit�. 
L'esempio dell'Avvocatura dello Stato e i suoi fermenti interni di democratizzazione 
confermano una linea che pu� essere indicata anche agli avvocati privati per essere pi� 
pronti a percepire e a confrontarsi con la dinamica reale che � in atto nel mondo produttivo, 
nell'organizzazione pubblica, nella formazione stessa di nuove soggettivit� collettive. 
6) In sintesi � questo il quadro generale e l'ambito dei problemi in cui realizzare un nuovo ordinamento 
dell'Avvocatura, che superi il regime del testo unico del '33 considerato da tutti 
inadeguato, e che nello stesso tempo assicuri una serie di condizioni dello status normativo 
ed economico degli avvocati e dei procuratori tali da esaltarne la qualificazione professionale, 
tali da promuovere la partecipazione e la responsabilit� per la conduzione degli affari e della 
politica complessiva dell'istituto. Una riforma che non si esaurisca in un angusto ritocco delle 
carriere e degli organici, come � stato fatto in precedenza, e che sappia dare risposta alla crisi 
generale che sta vivendo il nostro ordinamento. 
Un'Avvocatura rinnovata che si collochi in un contesto di riforma dei tre settori della 
giustizia amministrativa, della pubblica amministrazione e della professione forense potr� allora 
consentire una serie di conseguenze. In primo luogo, si diceva, il problema delle carriere 
va risolto per superarne la frammentazione, la rigidit� dei gradi. Le due qualifiche fondamentali 
del procuratore e dell�avvocato sono adesso in discussione anche per l'ordinamento della 
professione privata, ma possono gi� costituire senzaltro un passo avanti nell�Avvocatura dello 
Stato, per rendere 1a divisione interna del lavoro pi� aderente ai compiti dell�istituto e per 
consentire meglio di utilizzare le professionalit� specifiche dei singoli. 
Lo stesso sganciamento della progressione della carriera economica da quella funzionale 
in un contesto generale di riforma amministrativa, consente quella mobili� e flessibilit� nell�attribuzion� 
degli incarichi che deve caratterizzare un'amm�nistrazione moderna. Mentre, 
quindi, 1a progressione economica e della carriera potr� cedere automaticamente con il solo
18 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2015 
limite "salvo demerito", la carriera funzionale -cio� l�assegnazione degli uffici, i trasferimenti, 
il conferimento degli incarichi, i procedimenti disciplinari- dovr� essere attribuita al governo 
[di] un organo collegiale formato per elezione interna, in modo da fondare su una reale base 
partecipativa i criteri di selezione dei dirigenti, e la verifica degli orientamenti che vengono 
perseguiti mediante le scelte organizzative finora tutte riservate all�avvocato generale. 
In tal modo la democratizzazione interna dell�istituto potr� conseguentementre portare 
ad una personalizzazione delle specifiche funzioni, ad una responsabilizzazione dei singoli 
avvocati per la trattazione delle questioni, salvo le attivit� d�indirizzo, di verifica e di controllo 
che dovranno essere attribuite ai capi degli uffici, ed in caso di contrasto, ad un organo collegiale, 
anch�ess'o elettivo preposto alla direzione tecnica dell'Avvocatura. 
Un sistema di questo genere richiede una forza e capacit� di sintesi unitaria ed una reale 
tensione partecipativa sui problemi della gestione complessiva dell'istituto, per la quale � indispensabile 
molta chiarezza nella distinzione dei ruoli istituzionali fra Avvocatura e autorit� 
politica di governo. 
In questo quadro, quindi, devono essere viste le relazioni periodiche dell'avvocato generale 
al Presidente del Consiglio dei Ministri sulle linee di fondo dell'azione di difesa e di 
quella consultiva esercitata, sui rapporti che si sono avuti con le amministrazioni, sui problemi 
giuridici di maggior rilievo che sono emersi nel periodo cui si riferisce la relazione. Anche 
presso le avvocature distrettuali, di cui dovr� potenziarsi l'autonomia funzionale, dovranno 
costituirsi organismi collegiali di coordinamento tecnico. Cos� a questi uffici saranno richieste 
le stesse relazioni periodiche che la Avvocatura centrale fa al Presidente del Consiglio, anche 
in previsione dell'eventuale estensione delle funzioni istituzionali dell'Avvocatura a favore 
delle regioni a statuto ordinario. 
Questa possibilit� di estensione della difesa e della consulenza delle regioni da parte 
dell'Avvocatura dovr� essere prevista in una legge nazionale, ma saranno poi le singole regioni 
che dovranno deliberare con propria legge di ricorrere in modo normale al patrocinio ed alla 
consulenza dell'Avvocatura, salvo nei casi in cui vi sia conflitto di interesse con lo Stato. 
Il rapporto dovr� stabilirsi con l'Avvocatura distrettuale e dovr� necessariamente essere 
congegnato un modo per garantire l'autonomia dell'avvocatura distrettuale da quella centrale; 
dovr� essere fatta una relazione periodica sulla gestione del contenzioso regionale; questa relazione 
potrebbe essere presentata al Presidente della Giunta, il quale poi stabilir� in base alle 
norme dello statuto i modi per investire il consiglio regionale delle questioni di maggior rilievo 
politico e amministrativo. 
Queste sono le indicazioni secondo me emerse dal lavoro di riflessione che si � fatto presso 
il Centro per la Riforma dello Stato, e che possono costituire la base di una discussione per collocare 
su un terreno concreto una esigenza di rinnovamento di cui nella Avvocatura si avverte 
la urgente necessit�. Le indicazioni che ho dato sono aperte, sono vere e proprie ipotesi di lavoro 
per questo nostro seminario; ma ritengo anche, che solo in un quadro unitario che comprenda 
tutta questa gamma di probemi, con questa complessit� di misure indispensabili, il nuovo ordinamento 
della Avvocatura sar� realmente un atto di rinnovamento che si inserisce in una logica 
unitaria gi� riconoscibile in tutta la complessit� delle misure di riforma che si stanno realizzando 
nel nostro assetto amministrativo, per consentire che questo organismo, come chi vi lavora, si 
renda partecipe di un pi� generale processo di rinnovamento dello Stato e della societ�.
SEMINARIO 19 
D I B A T T I T O 
BENEDETTO BACCARI (*) 
�Problemi e prospettive degli avvocati giovani ed anziani � 
Mi chiamo Bendetto Baccari, sono avvocato dello Stato, Presidente dell'Associazione 
degli Avvocati e Procuratori dello Stato. 
Prendo la parola per portarvi un saluto, un augurio di buon lavoro, anche da parte dei 
colleghi che cortesemente invitati a questa riunione non sono potuti intervenire perch� impegnati 
in compiti di istituto, e un ringraziamento perch� finalmente si parla con volont� d� approfondimento 
dei problemi dell'Avvocatura dello Stato, anche al di fuori del ristretto ambito 
degli addetti ai lavori, in una prospettiva pi� ampia, moderna ed aderente alla realt� democratica 
del paese in cui viviamo. 
L'Avvocatura dello Stato non � infatti soltanto un gruppo di avvocati altamente qualificati 
per unanime riconoscimenti (basti pensare ai nostri concorsi che alle volte si risolvono 
con un solo vincitore), avvocati che se fossero retribuiti a parcella costerebbero all'erario almeno 
dieci volte quello che costano attualmente. Ma � un istituto che potrebbe costituire il 
centro propulsore della giustizia nella pubblica amministrazione attraverso l�attivit� consultiva, 
un filtro della giustizia che potrebbe attraverso questa attivit�, esercitata anche per le 
leggi e per i regolamenti, assicurare la legittimit� dell'operato della pubblica amministrazione, 
garantendo i cittadini e contribuendo a ridimensionare la crisi degli organi che istituzionalmente 
esercitano il potere giurisdizionale e specialmente delle giurisdizioni amministrative, 
al presente gi� sommerse dai ricorsi. 
� un centro di esperienza ed un osservatorio ineguagliabile che potrebbe essere utilizzato 
opportunamente per la soluzione di una parte dei problemi dell'occupazione giovanile, se si pensa 
per esempio che i 50 mila giovani che saranno occupati nell'amministrazione dei beni culturali 
ed ambientali al termine di questa loro esperienza, specialmente se � negativa, saranno dei disorientati, 
mentre praticando l 'Avvocatura dello Stato saprebbero almeno come operare pi� congenialmente 
alla loro tendenza ed ai loro interessi, evitando di essere poi impiegati scontenti per 
s� e dannosi per i cittadini; e se si pensa, tra l�altro, che noi abbiamo una segretaria ogni dieci 
avvocati, il che � veramente rivisibile pure senza voler fare paragoni con qualsiasi, anche modesto, 
studio professionale privato, pi� pronto ovviamente ad adeg.arsi alle reali esigenze dell�attivit� 
svolte, non essendo condizionato dall�intervento del legislatore, o con qualsiasi ufficio 
pubblico utile o inutile, come si qualificano oggi certi enti inspiegabilmente ancora esistenti. 
Infine, per non continuare con un discorso esemplificativo che pure interessante esorbiterebbe 
dai limiti di questo intervento, c'� il problema del patrocinio delle regioni a statuto 
ordinario (patrocinio che cos� bene ed utilmente ha funzionato gi� per le regioni a statuto speciale), 
problema di attualit� vivissima, forse anche troppo viva se � vero che stamane il Consiglio 
dei Ministri si occupa dei decreti delegati, dove, non figurerebbe nessun accenno alla 
questione nonostante essa fosse stata all'ordine del giorno delle commissioni parlamentari, e 
che la delega andr� a scadere il 25 luglio corrente. 
(*) Avvocato dello Stato e poi Vice Avvocato Generale. 
Il titolo di questo e dei successivi interventi unitamente a quelli delle due comunicazioni finali non 
costituiscono parte degli atti originari (n.d.r.). 
20 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2015 
Essenziale, comunque, � evitare che i colleghi pi� esperti, vadano via delusi, e dico delusi 
a ragione: nel mio corso universitario, e scusate il riferimento personale, tra le medie pi� 
alte di voti, che magari non significano molto ma costituiscono un riscontro obiettivo, erano 
quelle di Tommaso Morlino, attuale Ministro del Bilancio, di Giorgio Napolitano, che molti 
di voi conosceranno almeno di nome, e di me, che vi parlo. Ebbene a parte Giorgio Napolitano 
che laureatosi gi� con una tesi brillantissima sui problemi del Mezzogiorno, sotto la guida del 
caro e indimenticabile Emilio Sereni, ha poi profuso da sempre i tesori del suo ingegno nell'attivit� 
politica, Tommaso Morlino ed io vincemmo il concorso in Avvocatura dello Stato, 
istituto allora prestigioso, mentre altri con media pur sempre lusinghiere entrarono in magistratura 
o in altre carriere dello Stato e cos� via, fino a quelli che con medie pi� basse o senza 
concorso, entrarono in banche o enti pubblici similari per una carriera che allora si presentava 
molto meno allettante, mo1to pi� modesta. 
Ora, quelli entrati in magistratura, dopo un certo numero di anni diventano Presidenti 
di Cassazione spesso nelle loro citt�, con la funzione magari di Pretore, ed i nostri colleghi 
che dalla Magistratura con concorsi difficili (e successivi giri d'Italia) sono entrati in Avvocatura, 
se non avessero effettuato queste prove e affrontato questi sacrifici sarebbero Presidenti 
di Cassazione, mentre da noi non diventerebbero mai, rebus sic stantibus, vice avvocati generali, 
qualifica pari a quella di Presidente di Cassazione, quelli entrati in vari enti, poi, sovente 
si ritrovano con retribuzioni mensili pari all'incirca ai nostri stipendi annui, con un lavoro 
meno impegnativo e con massiccio numero di collaboratori alle volte anche solo decorativi. 
Soprattutto per� � essenziale evitare che vadano via i giovani, valorosissimi fino a stupirmi 
che vengano richiamati ancora dal fascino della tradizione e della passione per il tipo 
di lavoro (passione che � comune anche ai meno giovani molti dei quali continuano a restare 
perdendoci di persona pure sul piano economico); ma poi all'impatto con la realt� questi giovani, 
dopo una sosta in area di parcheggio, evadono facilmente verso prospettive molto pi� 
comode ed anche i meno giovani lo faranno. 
L'unica alternativa a tutto ci� � lo scioglimento dell'istituto che altrimenti, conservando 
gli elementi meno attivi, finirebbe per essere antieconomico e nocivo agli interessi dello Stato? 
Se si vuole questo, si faccia pure; le soluzioni per gli attuali avvocati dello Stato non mancano: 
i pi� anziani ne guadagnerebbero sotto tutti i punti di vista in ispecie se si dedicassero 
poi all'attivit� professionale cos� detta libera con l'esperienza che si ritrovano, come � accaduto 
per molti di quelli che hanno lasciato l'istituto; i pi� giovani pure, se inseriti nelle varie Magistrature 
con grande ed ovvia utilit� per queste. Ma se ci� non si vuole si proceda presto e 
bene per una indispensabile riforma prima che sia troppo tardi. 
Io che ho ovviamente a disposizione la documentazione di tutto quanto vi ho rifer�to, 
conclusivamente spero che questi rapidi accenni potranno trovare eco nella successiva discussione, 
nelle risposte dei relatori, cui sono particolarmente grato, come sono particolarmente 
grato all�onorevole Spagnoli ed al Centro di Studi e Iniziative per la Riforma dello Stato, ripromettondomi 
di fare avere allo stesso taluni documenti ed il notiziario dell'Associazione 
che ho l'onore di presiedere. 
Spero pure che questi rapidi accenni potranno trovare eco nella conclusione del Senatore 
Maffioletti ed intanto rinnovo a tutti il mio ringrazmamento e l'augurio di buon lavoro, in particolare 
di un lavoro concreto e proficuo.
SEMINARIO 21 
PIERGIORGIO FERRI (*) 
�L�Avvocatura dello Stato a garanzia della parit� tra le parti� 
Porto il saluto dell'Associazione Democratica degli Avvocati e Procuratori dello Stato 
ed aggiungo che � un saluto che vuole esprimere una piena soddisfazione per questa possibilit� 
di incontro organizzata dal Centro Studi e Iniziative per la Riforma dello Stato, perch� coincide 
con l'impostazione dell'azione che svolgiamo sia all'interno che all'esterno dell'Avvocatura. 
Il nostro convincimento � che i problemi di un istituto come l'Avvocatura dello Stato vanno 
dibattuti con la massima ampiezza, col massimo coinvolgimento di forze politiche e sociali 
che operano nell�ambito della collettivit� nazionale. 
Come abbiamo, quindi, sempre favorito ed accolto con piacere il dibattito sulla stampa, 
cos� riteniamo che le occasioni per discutere i problemi dell'Avvocatura debbano essere estese 
ai settori pi� vasti. 
Tutto questo � il risvolto esterno di una concezione dell'Avvocatura che non deve essere 
un organismo chiuso in se stesso o, peggio ancora, quello che oggi si suol definire un corpo 
separato dello stato che tende a risolvere i suoi problemi in una sorta di autarchia interna che 
� ordinamento costituzionale, non riconosce, ma che deve cercare invece di collocarsi nel 
contesto complessivo dei poteri pubblici cos� come sono ordinati nella nostra Costituzione 
per assolvere quella che deve essere 1a sua funzione e partecipare, quindi, nella forma migliore 
alla corretta dialettica democratica. 
Mi pare che tutto questo abbia molta importanza perch� altrimenlti si finisce per concepire 
il problema della revisione dell'Avvocatura. in una chiave troppo settoriale, che tende, 
sotto motivazioni pi� o meno giustificate, a privilegiare problemi interni, di categoria, senza 
vederne i riflessi con quelli che sono invece i problemi fondamentali di struttura. 
Le due pregevoli relazioni che hanno introdotto questo dibattito hanno evidenziato una 
linea di tendenza al di fuori della quale il futuro dell'Avvocatura dello Stato non avrebbe prospettive 
valide. Ed � una linea che muove dalla considerazione che il ruolo dell'Avvocatura 
nell'ambito dell'ordinamento costituzionale deve essere strettamente legato al momento della 
professionalit�. Come � stato giustamente rilevato, l'Avvocatura dello Stato opera collocandosi 
in certe fasi dell'azione pubblica in cui il pubblico potere, anche se portatore di interessi superiori 
e quindi di mezzi autoritativi, deve accettare una posizione sostanzialmente paritaria 
nei confronti del cittadino per sottomettersi, nel rispetto del principio di legalit�, alla verifica 
della conformit� o meno del suo operato ai dettati dell'ordinamento giuridico. 
Da questa pariteticit� nasce uno scontro dialettico che ha la sua vita naturale nel processo 
e porta come conseguenza immediata una competitivit� del modo con cui certi interessi vengono 
fatti valere, sia in fase di elaborazione consultiva, sia in fase di confronto giudiziario. 
Non bisogna ignorare che all'interesse pubblico portato dalle amministrazioni e difese sul 
piano giuridico dell'Avvocatura dello Stato, si contrappongono spesso interessi economici rilevantissimi 
i quali trovano il loro strumento di protezione nella libera professione, alla quale quindi 
� necessario contrapporre una difesa che si ponga su uno stesso piano di capacit� professionale. 
Aggiungo che negli ultimi decenni l'attuazione della Costituzione ha accentuato al massimo 
questa pariteticit�, eliminando giustamente dall'ordinamento alcuni istituti che erano delle 
trincee protettive del potere pubblico, formavano preclusioni davanti al giudice ostacolando la 
(*) Avvocato dello Stato, poi Vice Avvocato Generale.
22 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2015 
tutela delle legittime posizioni dei soggetti privati. Basta ricordare la soppressione del �solve 
et repete� nel campo della controversia tributaria, l'abrogazione di molte nullit� insanabili circa 
il modo con cui incardinare un processo nei confronti delle pubbliche amministrazioni. 
Nei tempi pi� recenti, l�istituzione dei Tribunali Amministrativi Regionali, ha portato 
una nuova apertura di visuali nel processo amministrativo e a nuove forme pi� penetranti di 
protezione dell�individuo nei confronti delle manifestazioni del potere pubblico: si pu� constatare 
un impiego nuovo del potere di sospensione degli atti amministrativi, che tende sempre 
pi� ad assicurare che il processo amministrativo offra quella effettivit� di tutela che a volte il 
ritardo del giudizio di merito rischia di sminuire. 
L'Avvocatura dello Stato deve affrontare questa nuova dialettica processuale nel modo 
pi� efficace per garantire che nel gioco corretto dei mezzi di tutela che la Costituzione assicura 
al cittadino, l'interesse pubblico non ne venga pregiudicato. Aggiungo ancora che l'esigenza di 
professionalit� cresce nel momento in cui gli sviluppi degli istituti processuali tendono a privilegiare 
la oralit� del processo; in una impostazione del processo che valorizza un rapporto di 
immediatezza fra parte e giudice e dove quindi l'efficacia della difesa � sempre pi� affidata a 
quelle forme di dialogare che sono caratteristiche della professione forense, la mentalit� e la 
formazione professionale di un funzionario amministrativo, anche del pi� preparato risulterebbero 
inidonee a spiegare una valida forza di convincimento a sostegno delle ragioni che la P.A., 
per non soccombere, deve addurre a giustificazione della legittimit� del proprio operato. 
Ma la professionalit�, oltre a essere una condizione essenziale per l'efficacia del servizio 
che l'Avvocatura dello Stato deve rendere alle istituzioni democratiche, ha anche un riflesso 
interno che si collega strettamente all'analisi problematica, ma non meno ferma, che Violante 
ha poc'anzi svolto in relazione ai rapporti della funzione dell'Avvocatura con il momento politico 
e con quello amministrativo. � indubbio che questo rapporto deve essere ispirato ad 
estrema chiarezza per evitare forme di interferenze e confusioni, per cui il ruolo del consulente 
o dell'avvocato venga a sostituirsi al ruolo del politico o dell'amministratore, ponendosi anche 
come ostacolo alla identificazione delle ragioni di una decisione amministrativa, magari non 
priva di rilievo politico. 
Direi che questo aspetto diventa ancora pi� rilevante, o meglio se ne acquista maggiore 
coscienza, nel momento in cui gli avvocati dello Stato sentono il dovere di promuovere una 
messa a disposizione del loro istituto a favore delle Regioni a statuto ordinario, ravvisando in 
ci� un non trascurabile contributo per consolidare e dare vigore operativo a questa nuova dimensione 
di governo, caratterizzata da una nuova concezione della gestione della cosa pubblica 
e da una sua maggiore vicinanza al cittadino, ma non meno bisognosa di quel supporto 
tecnico che garantisca l'efficienza e la legalit� dell�azione amministrativa. 
Non si pu� infatti ignorare che a seguito dell'attuazione dell�ordinamento regionale vi 
� stato non soltanto un passaggio di poteri dal centro alla periferia, ma soprattutto un mutamento 
di struttura nel modo in cui in sede periferica questi poteri vengono gestiti. 
C'� gi� stato in Italia un decentramento amministrativo che ha creato figure di potenti 
burocrati regionali o provinciali, come ad esempio i provveditori delle opere pubbliche, detentori 
di poteri decisionali notevoli, come l'approvazione dei piani regolatori. 
La riforma regionale ha ricondotto, nella sede locale, questi poteri in capo ad organi 
rappresentativi delle collettivit�. Secondo quello che � stato il prevalente indirizzo organizzativo 
delle Regioni, ci� che prima decideva un provveditore oggi lo delibera una giunta regionale, 
cio� un organo che � chiamato a rispondere del proprio operato ad una assemblea 
elettiva che mantiene un raccordo diretto con gli interessi della collettivit� locale.
SEMINARIO 23 
� nella sede regionale dove probabilmente si sentirebbe ancora pi� grave e inamissibile 
un intervento, una struttura tecnico-giuridica che possa prevedere o sovrapporsi a valutazioni 
che l'ordinamento vuole che siano assunte da amministratori politicamentre responsabili e 
quindi al di fuori di una mentalit� burocratica, tendenzialmente neutra o portata a gabellare 
per neutra una scelta che per� non si esterna e non si ricollega a meccanismi di controllo da 
parte della collettivit�. Sarebbe quindi difficilmente accettabile che, nell'istaurarsi di un collegamento 
tra Regioni e Avvocatura dello Stato la distinzione tra le due competenze, politicoamministrativa 
e tecnico-giuridica, non si ponesse nel modo pi� chiaro, nel senso cio� che la 
Regione conservi pienamente la disponibilit� del rapporto che ha in contestazione, sia nella 
forma della libera recenzione del risultato di una consulenza resa dall'Avvocatura, sia con la 
sua libera decisione in ordine ai nodi essenziali di gestione della lite. 
� su simili premesse che potr� costruirsi un rapporto di collaborazione tra l�Avvocatura 
dello Stato e le Regioni a statuto ordinario. E questo rapporto, come esattamente ricordava 
Lorenzoni, richieder� per essere reso operante una libera determinazione della Regione medesima, 
che per� dovr� tener conto di condizioni obiettive solo in presenza delle quali la funzione 
tecnica dell'Avvocatura pu� assumere un valore qualificante. Alludo alla necessit� che 
essa abbia i caratteri della stabilit�, giacch� non avrebbe senso mettere in gioco l'Avvocatura 
per una consulenza o difesa saltuaria, in cui i pregi del suo intervento non avrebbero occasione 
di dispiegarsi, cio� la sua capacit� di dare una coerente configurazione giuridica, una strategia 
generale al contenzioso della Regione, come anche la possibilit� di quei rapporti di informazione 
continua gi� prospettati da Violante, che consentirebbero all'autorit� politica di conoscere 
l'andamento del contenzioso e di verificare quindi certi effetti degli indirizzi 
politico-amministrativi adottati nelle sedi costituzionalmente responsabili. 
Io credo che per far s� che tutto questo si realizzi � indispensabile un grande impegno 
rinnovatore, poich� questa delimitazione di competenze, questa distinzione tra ragione politico-
amministrativa e ragione giuridica, che devono appartenere a due ordini separati, � una 
distinzione estremamente difficile. Non basterebbe proclamare in una norma di legge che 
l'Avvocatura dello Stato deve occuparsi solo di diritto e non deve invadere la competenza politico-
amministrativa; l'esperienza insegna che queste invasioni avvengono sempre in forma 
surrettizia, attraverso una impostazione giuridica della questione che solo in apparenza � motivata 
da una convinzione di carattere tecnico mentre in realt� nasconde una scelta di altra natura; 
e questa, proprio avvalendosi di una tale copertura di neutralit� tecnica fornita dalla 
motivazione giuridica, mira a sostituirsi alla valutazione politico-amministrativa che dovrebbe 
essere effettuata nella sua sede naturale. E si pu� anch� verificare un gi� rilevato fenomeno 
inverso, di una autorit� che cerchi di sottrarsi alla sua responsabilit� politico-amministrativa 
facendosi coprire da una valutazione tecnico-giuridica che apparentemente la vincoli e perci� 
la immunizzi da controllo. 
Un compito che quindi si pone oggi dinnanzi al legislatore che intenda, come sembra 
ormai indispensabile, intervenire su questa materia, � quello di dare all�Avvocatura dello Stato 
una strutturazione interna che adeguatamente contrasti queste possibili tendenze alla subdola 
violazione degli ordini di competenza. La soluzione del problema va ricercata, a mio avviso, 
nello sviluppo della professionalit� all�interno dell�istituto. 
� ben vero che la funzione di consulenza e di rappresentanza delle PP.AA. appartine 
all�Avvocatura dello Sato come istituto; lo dice l�art. 1 del vigente T.U. 1933 e non � inesatto 
perch� ci muoviamo dell�ambito dei rapporti di carattere pubblico in cui il momento istituzionale 
� quello determinante. Ma non si pu� ignorare, mentre volutamente lo ignor� il legi-
24 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2015 
slatore del 1933, che se la funzione di consulenza e patrocinio � dell�Avvocatura dello Stato, 
l�esercizio di questa � invece un momento che coinvolge la posizione di coloro che dell�Avvocatura 
fanno parte, degli avvocati e procuratori dello Stato. I compiti che sono loro affidati 
presentano un carattere di estrema soggettivazione: quando redige l�atto di consulenza o nel 
momento in cui agisce nel processo l�avvocato dello Stato vi pone una propria valutazione 
obiettiva, un proprio impegno di coscienza. Se l�avvocato dello Stato possiede, come nessuno 
dubita, la vocazione e l�impegno umano dell�avvocato, si sente automaticamente legato ad 
un codice di comportamento che lascia ben poco spazio per distinguere la personalit� individuale 
dei suoi attributi dai comportamenti tenuti nell�adempimento dell�ufficio. 
Non a caso il testo unico del 1933 non parla mai dell�Avvocatura o del procuratore dello 
Stato come soggetto agente nell'ambito della sua istituzione; in quel testo essi sono oggetto 
di poteri che vengono esercitati nei loro confronti, ma non soggetti dotati di una titolarit� di 
funzioni. Una sola volta vi figura come soggetto l�avvocato dello Stato, ed � in una norma organizzativa 
indispensabile (art. 1) dove si dice che egli � abilitato dinnanzi a tutte le giurisdizioni 
e vi rappresenta le PP.AA. senza bisogno di mandato speciale. Esternamente l'avvocato 
dello Stato sembra dunque un guerriero con una potente armatura, ma � un'armatura sul cui 
uso egli non ha possibilit� di interferire. Si � cio� dato all'avvocato dello Stato soltanto lo 
strumento di legittimazione all'esercizio del suo ministero, ma non gli � stata data una regola 
di azione cui egli abbia il potere-dovere di attenersi e di cui lui sia individualmente responsabile 
come pubblico funzionario. 
Sotto questo profilo l'organizzazione interna dell'Avvocatura presenta, potremmo veramente 
dire, un vuoto giuridico, perch� non di altro si pu� parlare per un ordinamento dove si 
contempla soltanto un potere dell'avvocato generale di sovrintendenza, di impartire istruzioni 
generali e particolari, al quale quindi dovrebbe far riscontro una posizione di assoluta e completa 
sottomissione che ha come conseguenza l'esclusione dell'avvocato dello Stato dalla partecipazione 
alla formazione delle linee di gestione tecnica dell'istituto. 
Coloro che sono tiepidi, o addirittura contrari, ad una incisiva riforma dell'attuale struttura 
verticistica, dicono di temere che si verrebbe a perdere il dato caratteristico dell'Avvocatura dello 
Stato, cio� un'attivit� di consulenza e di difesa coordinata e ispirata a indirizzi unitari. Tutto ci� 
invece non � affatto in discussione, ma � altrettanto indispensabile che l'avvocato dello Stato 
quando agisce come consulente o come difensore non sia estraneo alle posizioni che esprime, 
perch� altrimenti viene a mancare il presupposto stesso del suo impegno professionale. 
Oggi l�avvocato dello Stato ha una competenza assolutamente parcellare e frazionata, in 
quanto � dispersa in tanti atti di assegnazione di affari consultivi e contenziosi; dovrebbe invece 
essergli data la possibilit� di dare stabilmente il proprio contributo alla gestione dei vari settori 
del contenzioso delle PP.AA. A tale scopo, � necessario articolare in forme stabili l'organizzazione 
interna dell'Avvocatura dello Stato, utilizzando adeguatanente lo strumento della collegialit�. 
Una vera riforma dell'organizzazione e del funzionamento dell'Avvocatura dello Stato 
che ne valorizzi la vocazione professionale non potr� prescindere, a mio avviso, ad una definizione 
della funzione dell'avvocato dello Stato, munita delle necessarie garanzie, che rappresenti 
il fattore dinamico essenziale per la esplicazione dei compiti di istituto. 
Vorrei solo aggiungere, per finire, che una cosa veramente inaccettabile della vigente 
normativa � il contrasto stridente tra l'assenza di formulazioni sulla funzione dell'avvocato 
dello Stato e una carriera che si articola in cinque gradi. Oggi che si riorganizzano gli apparati 
pubblici rifiutando la logica autoritaria del "grado" e nella consapevolezza che possono esistere 
soltanto delle qualifiche corrispondenti ad altrettante realt� funzionali, come pu� essere con-
SEMINARIO 25 
servato un ordinamento che, in presenza di una unica ed indifferenziabile realt� funzionale, 
quella professionale, costringe l'avvocato ed il procuratore dello Stato ad arrampicarsi su di 
una inverosimile scala gerarchica? Fino al 1955 � esistita anche una qualifica di sostituto avvocato 
dello Stato "di seconda classe"; abolita in quei tempi la terza classe nelle ferrovie, 
forse si pens� che anche gli avvocati dello Stato potevano fare a meno di un grado! 
Vi � quindi molto da fare per una nuova e pi� incisiva presenza dell'Avvocatura dello 
Stato nell'ordinamento costituzionale. Il nostro incontro di oggi � sicuramente un momento 
molto importante per la presa di coscienza e l'approfondimento dei vari delicati problemi che 
debbono essere affrontati e risolti; sono certo che da esso scaturiranno nuove prospettive e 
nuovi contributi per il raggiungimento di questo obiettivo che assume un rilievo primario in 
un programma generale di rinnovamento dei pubblici apparati per renderli pienamente aderenti 
allo spirito democratico della Costituzione ed efficacemente operanti al servizio della comunit� 
nazionale. 
PIETRO CONTI (*) 
�Il quadro politico istituzionale di una possibile riforma� 
Dovr� scusarmi perch� il mio discorso probabilmente oltre che essere contenuto dovr� 
porsi in un'ottic� forse non pienamente capace di sfruttare gli elementi di elaborazione e di 
proposta che sono stati oggetto della preparazione di questo incontro. Per semplificare prender� 
in esame alcuni argomenti introducendo poi alcune considerazioni all'interno di essi. 
Una prima domanda che mi pongo � questa: come l'Avvocatura dello Stato � vista dal 
complesso degli amministratori pubblici? � un problema importante in quanto si tratta di una 
massa di operatori politici e pubblici che incide nella struttura dello Stato, nella formazione 
degli orientamenti e delle scelte generali che debbono essere compiuti. Pertanto, verificare 
questi orientamenti ed agire su di essi � essenziale se si vuole che quel processo di apertura 
nel dibattito, che qui � stato sottolineato, abbia quella misura necessaria a formare una consistente 
presa di coscienza del paese nella sua parte attiva. 
L'Avvocatura dello Stato si � vista pi� come un istituto al servizio dello stato-persona 
piuttosto che al servizio dello stato-ordinamento ed � collocato anche, in virt� del tipo di esperienza 
politica che, il nostro paese ha vissuto nel corso di questi anni, in funzione della gestione 
dello stato-persona visto come lo strumento attraverso il quale � stato possibile realizzare 
un certo sistema di direzione politica, una certa metodologia nei rapporti tra le istituzioni. 
C'�, quindi, un ambito di lavoro che deve essere recuperato in questo senso attraverso 
un ampio confronto. Quindi quel processo di rinnovamento non pu� essere il risultato, appunto 
anche per questa seconda valutazione, di un nuovo assetto della societ�. Quella certezza di 
funzioni, quell'ordinato assetto di funzioni e di compiti, quel rigore nei comportamenti della 
pubblica amministrazione, quel modo di essere diverso dallo Stato, oggi propone senza dubbio 
una scelta di questo genere. 
Il dibattito, quindi, rispetto all'istituto non trova un vuoto, trova un terreno di confronto 
che travalica il tema specifico per abbracciare il complesso delle questioni. In questo senso, 
(*) Presidente della Regione Umbria, deputato del PCI.
26 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2015 
mi sembra ci sia un elemento assai importante di vantaggio nell'introdurre questo tema dell'istituto, 
delle funzioni e delle innovazioni che debbono essere proposte all'interno di questa 
esperienza politica nuova che il paese sta vivendo e che dovr� essere costruito, definendola 
nei suoi momenti successi e rispetto ai dati acquisiti a questo momento. 
� un processo, quindi, che esiste al di l� delle nostre singole volont� e di questo processo 
io credo si debba e si possa approfittare. 
Una seconda questione che volevo porre �, questa: che cosa si sta verificando? Certo, 
c'� un decentramento, per cui voi rivendicate un decentramento anche del vostro assetto, dell�assetto 
dell'istituto, e c'� il problema del trasferimento di una organicit� di funzioni, al complesso 
della pubblica amministrazione nei suoi momenti essenziali, nei suoi momenti 
istituzionali essenziali, di funzioni prescritte dalla Costituzione, come nel caso dell�art. 117 il 
trasferimento organico suggerito dalla commissione parlamentare degli affari regionali con 
la 382, ma c'� anche un trasferimento di funzioni amministrative che sono tipiche materie gestite 
fino a ieri dall'amministrazione statale e di competenza primaria dell'amministrazione 
centrale dello Stato. 
� un trasferimento diretto alle amministrazioni municipali, ai comuni italiani per cui i 
comuni si inseriscono anche essi come momento dello Stato, gestori di funzioni dello Stato 
ed � evidente che anche la natura del comune tende a cambiare, a non essere pi� vista e considerata 
come espressione di una capacit� autarchica di gestione, invece per tutte le ragioni, 
da quelle relative alla formazione delle risorse all'amministrazione derivata che questi hanno, 
a questo tipo di funzioni nuove per tante altre ragioni, il comune stesso tende ad essere oggi 
un'entit� nella quale lo Stato si ordina e distribuisce funzioni e compiti. 
C'� un sostanziale spostamento, quindi, di attivit� e di rapporti con i cittadini nell'affermare 
interessi della comunit� e nei confronti con gli interessi pubblici. 
Tutto questo comporta naturalmente una profonda conflittualit�. Basti pensare a tutte le 
questioni riguardanti il trasferimento della competenza relativa al settore agrario o alla titolarit� 
data come funzione amministrativa alle amministrazioni comunali. Quindi, le regioni avranno 
una competenza legislativa e le amministrazioni comunali saranno titolari della funzione amministrativa. 
La stessa cosa si ripete per quanto riguarda la sanit� e tutta un'altra serie di funzioni. 
Aumentano quindi le conflittualit� verificabili nei diversi settori, della vita pubblica statale, 
sociale ed economica del paese nei confronti dei cittadini. Tutto questo propone, quindi, 
un discorso di decentramento che risponda a questa esigenza se si vuole che l'istituto proprio 
quella capacit� che in passato l�assolveva centralmente in quanto vi era un tipo di Stato 
accentrato, un certo tipo di regime politico, di direzione politica del paese, e, quindi, preservava 
un certo tipo di interessi rispetto agli interessi che esprimeva quell'organizzazione dello 
Stato, attraverso una centralit� della istituzione. 
C'� per� un altro dato che, a mio parere, tende ad affermarsi con sempre maggiore insistenza 
e che non pu� essere sottovalutato. Abbiamo tutti gli strumenti di partecipazione, questa 
costellazione di istituzioni partecipative che pongono dei problemi e in relazione ad una normativa 
che rispetto ad essi si va sempre pi� affermando con un carattere statale, regionale, 
anche municipale attraverso i regolamenti ed in relazione anche a processi di assunzione di 
momenti decisionali che questi organismi vengono progressivamente assumendo. 
C'�, quindi, tutto un discorso che riguarda i rapporti all'interno del sistema partecipativo 
e della pubblica amministrazione affinch� non abbiano a verificarsi poi condizioni nelle quali 
venga meno quella capacit� di responsabilizzazione politica precisa, di programmazione della 
spesa pubblica e dell'intervento pubblico pi� in generale ed anche capacit� di realizzare il
SEMINARIO 27 
massimo di partecipazione. Secondo me, tutto questo processo evidenzia 1'esigenza della consulenza 
che qui � stata prospettata rispetto ad un'esperienza passata, che per� a mio parere 
potrebbe pi� proiettarsi rispetto ad un futuro nel quale la responsabilit� ed il modo di essere 
di chi assume la responsabilit� politica non abbia pi� quei caratteri di ambiguit� rispetto allo 
uso degli strumenti posti a disposizione in passato, vi sia quindi profonda lealt� di comportamento 
rispetto agli istituti di tutta la pubblica amministrazion�, perch� � questo il dato centrale, 
perch� noi potremmo avere anche la legge pi� avanzata nel riorganizzare e nel rendere pi� 
attuale l�istituo, ma se si dovesse continuare ad avere degli operatori politici i quali stravolgono 
la norma per andare ad una pratica quotidiana che quantomeno la accantona per agire su altri 
meccanismi ovviamente non avremmo risolto il problema, mentre il problema � primario per 
quanto riguarda il modo di comportamento delle responsabilit�. 
Per quanto riguarda le regioni, per quel che ne so, una regione soltanto � a statuto ordinario, 
anche qui per quantro riguardo alle regioni a statuto speciale l'esperienza fatta � un po� 
anomala, di questo vorrei si tenesse conto, in quanto si � agito su un tipo di ordinamento regionale 
che manteneva un sistema binario di organizzazione dell'attivit� statale; quindi, bisogna 
considerare quell'esperienza come un fatto anomalo, assolutamente diverso rispetto a 
quello che oggi invece si propone di realizzare. 
Per quanto ne so, c'� una regione soltanto che ha previsto nella normativa statutaria l'utilizzazione 
dell'istituto per la assunziorie della difesa dei propri interessi, se non sbaglio, siccome 
sono stato presidente di giunta per alcuni anni e partecipavo al processo di formazione 
degli statuti, la Regione Abbruzzo statu� questo. 
Io personalmente, ho fatto esperienza invece di introdurre successivamente, autonomamente 
senza prescriverlo nella normativa statutaria, ma in forza di una scelta politica e quindi 
trasformatasi in un atto legislativo, l'utilizzazione degli uffici dell�Avvocatura dello Stato 
come strumenti possibili di difesa, quando questi avessero carattere di rilevante interesse generale 
per la comunit� e nei rapporti pubblici. � un' esperienza abbastanza interessante che 
conferma quanto dicevo all'inizio. � stato necessario andare a due letture della legge nel senso 
che ad un certo momento si � trovata un'opposizione, non si � stati capaci di superare un dato 
di valutazione che veniva offerto dalla maggioranza consiliare rispetto ad un'esperienza passata, 
non veniva colto secondo me il dato di novit� che si poteva introdurre, il processo che 
poteva aprirsi attraverso una presenza delle Regioni anche in questo campo che andasse ad 
una piena utilizzazione di questo strumento, compatibilmente con tutte quelle esigenze, con 
tutti quei limiti che sono stati indicati. 
In seconda lettura invece il provvedimento � passato e perci� si � instaurato questo rapporto, 
certo non basta un'esperienza, occorre conquistare la platea del paese rispetto a questo 
settore e rispetto anche alle istituzioni minori, perch� per quanto riguarda i comuni ci sono 
degli elementi assai gravi riferiti alle grandi amministrazioni. Avere un elemento di stabilizzazione 
del quadro di riferimento per tutto quanto riguarda la difesa propria e la consulenza � 
elemento assai importante rispetto appunto ad una pratica di lottizzazione dei patrocini e delle 
consulenze che si � avuta in passato e soprattutto per quanto riguarda le pubbliche amministrazioni. 
Questo � un tema sul quale bisogna riflettere. 
Le piccole amministrazioni non sono in condizioni n� di disporre di un minimo di apparato 
interno n� di accedere al patrocinio di legali privati che abbiano una professionalit� 
sufficiente e che conservino anche una autonomia, autonomia rispetto alle influenze dell'ambiente 
e quindi al localismo che a volte pu� prendere la mano al di l� della stessa capacit� 
professionale. Pensiamo al dramma che qui si presenta, abbiamo fatto di recente alcuni con-
28 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2015 
vegni sulla legge 10 nel Mezzogiorno d'Italia, il dramma che si pone a quelle amministrazioni, 
come essere difese e tutelate rispetto ai provvedimenti che esse adottano e a tutta la massa di 
ricorsi, di insorgenze che sopravvengono, sostenute poi anche da quegli apparati oscuri che 
si chiamano mafia e tutte, le cose di quel genere. 
Il problema principale per i comuni rivieraschi soprattutto della Sicilia, della Calabria 
e di tante altre regioni italiane era quello di avere la possibilit� di disporre di qualche momento 
che potesse rappresentare un punto di difesa rispetto alla normativa assunta dagli organi 
istituzionalmente preposti e dalla normativa amministrativa, di strumenti amministrativi che 
singole amministrazioni vanno ad adottare. 
Si � verificato, per esempio, in Calabria che la famosa legge sulla costruzione ad una 
certa distanza rispetto alle coste non � stata assolutamente rispettata, � stata violata in ogni 
parte di quel territorio. Pongo questo problema, dell'istituto e dei suoi possibili contributi a 
questo aspetto anche in difesa della pubblica amministrazione, quindi in questo senso, tendere 
ad essere sempre pi� l'istituto dello stato ordinamento, in quanto nell'ordinamento si trasfondono 
competenze e funzioni che sono sempre pi� tipicamente statali e quindi di interesse generale, 
mi sembra che ci sia una possibilit� di lavoro. 
Non sono in grado di avanzare proposte operative, ma non sarebbe forse sbagliato in 
qualche modo pensare ad un possibile incontro con questi momenti cos� significativi dell'assetto 
istituzionale del paese, quindi di un confronto sia con i rappresentanti delle Regioni, sia 
con i rappresentanti delle amministrazioni comunali e delle amministrazioni provinciali o 
comprensoriali a seconda della scelta che verr� fatta del legislatore in sede di riordino delle 
amministrazioni locali. 
GIOVANNI BESTENTE (*) 
�La questione della collegialit�� 
Gli interventi, tutti pregievoli, che mi hanno preceduto hanno posto in evidenza l'esigenza 
di attualizzare in modo articolato e globale la figura dell'Avvocatura dello Stato, per 
adeguarla alle esigenze nuove dell'ordinamento costituzionale. 
Uno dei punti essenziali che sono stati sottolineati anche nelle due relazioni di apertura 
di Violante e di Lorenzoni � quello della collegialit�; collegialit� che � stata giustamente identificata 
come una delle caratteristiche salienti di qualunque possibile rinnovamento dell'istituto. 
Io vorrei esaminare questo punto non tanto dall'esterno nella sua genericit� quanto in 
una certa misura dall'interno, visto dall�interno della Avvocatura dello Stato, cio� dalla parte 
degli avvocati. 
Dove si pone il problema della collegialit�? Si pone in due settori. 
Anzitutto si presenta nel settore che possiamo chiamare dell'auto-governo: ed allora significa 
democratizzazione interna dello istituto, significa sottrazione alla figura di una sola 
persona che riuniva in s� tutti i poteri di auto-governo, e faceva della vita dell'istituto e della 
vita professionale degli avvocati il bello e il cattivo tempo, di una somma di poteri, per attribuirli 
ad un organo collegiale che sia in una certa misura rappresentativo di tutte le categorie di av- 
(*) Avvocato distrettuale dello Stato di Torino.
SEMINARIO 29 
vocati e di procuratori dello Stato, in una visione di democrazia rappresentativa e partecipativa. 
Questo perch�? � evidente: a garanzia della giustizia e dell'imparzialit� dell'azione di auto-governo 
e di tutti quei provvedimenti di nomina, di promozione, di scelta a funzioni direzionali 
che interessano la vita dei singoli avvocati e procuratori e dell'istituto nella sua complessit�. 
L'altro settore in cui il problema della collegialit� si presenta � il settore dell'elaborazione 
delle linee tecniche di condotta dell'istituto. Qui direi che il problema pi� che porsi si impone 
(mi si passi il gioco di parole): si impone in vista non solo di quelle esigenze di imparzialit� 
e di giustizia che abbiamo sottolineato -tutti sappiamo che l'Avvocatura dello Stato fa parte 
della pubblica amministrazione e uno dei doveri della pubblica amministrazione � quello di 
imparzialit�- ma proprio in funzione di una precisa esigenza di efficenza e di funzionalit� dell'istituto. 
Il lavoro guiridico che tutti quotidianamente svolgiamo direi che per sua natura presenta 
esigenze tipiche di elaborazione di esperienze diverse, e di considerazione di punti di 
vista molteplici: vi sono inoltre questioni che non si esauriscono nell'ambito di una sola disciplina 
del diritto, ma che richiedono l'apporto di competenze svariate e di esperienze di diversa 
provenienza. 
Il lavoro giuridico, quindi, per se stesso postula la collegialit� che in fondo vediamo era 
attuata praticamente in tutti i grandi studi professianali, particolarmente nei grandi studi internazionali 
in cui tutti sanno che cՏ 1'esperto costituzionale, l'esperto di diritto commerciale, 
l 'esperto di diritto amministrativo, di diritto civile che di volta in volta vengono chiamati a 
portare il peso della loro specifica esperienza nei singoli campi in cui sono preposti. 
Questo avviene dunque gi� nella libera professione, proprio in vista della funzione tecnica 
e professionale dell'operatore di diritto. Ma questo punto non pu� non assunere una rilevanza 
tanto maggiore quando si tratta di un organo per sua natura generale ed istituzionale 
come l'Avvocatura dello Stato. 
Vorrei dire: qual � la caratteristica che costituisce almeno sotto un certo aspetto -il titolo 
preferenziale essenziale della difesa dell�Avvocatura dello Stato nel campo che le � proprio, 
rispetto ad altre forme di tutela? Io lo individuerei, pi� ancora che in altri aspetti che pure esistono, 
proprio ne1 fatto che si tratta di un organo generale e istituzionale che cio� estende per 
sua tipica funzione e che continua la sua attivit� alla totalit� del territorio nazionale ed alla 
totalit� dell�ordinamento giuridico. 
L�Avvocatura dello Stato presenta, in virt� di queste sue caratteristiche essenziali, un 
potenziale, vorrei dire, di lavoro di "equipe " e di collaborazione che forse non � stato mai interamente 
sfruttato, e che sarebbe gravissimo che nel quadro di una ristrutturazione dell'istituto 
non trovasse una idonea esplicazione ed un sufficiente sviluppo. Non che questo lavoro di 
"equipe" non sia mai stato realizzato in modo assoluto: le consultazioni fra colleghi ci sono 
sempre state, e d'altra parte sono esistite di fatto varie forme di integrazione di questa collaborazione, 
sia pure casuali oppure in funzione di controllo; per� le une e le altre sono state 
sempre affidate all'iniziativa, alla buona volont� di singole persone. 
Ma questo non evidentemente un modo efficiente di utilizzare il potenziale di lavoro di 
"equipe" dell'Avvocatura, perch� consente tutte le possibili discrasie e non funziortalit�. Perch� 
un lavoro di collaborazione possa svolgersi senza venir meno alle esigenze di efficienza di 
funzionalit� d�ll'istituto, ma anzi rispondendo in modo specifico a queste esigenze, occorre 
che ad esso venga preposto un organo stabile, un�organo che sia collegiale proprio per consentire 
uno scambio di esperienze diverse, un apporto di diverse competenze, una provenienza 
da campi di studio differenziati che si incontrino, si medino -direi che l�idoneit� pi� tipica 
dell'Avvocatura � proprio quella di mediare diverse esperienze- e trovino un punto di coagu-
30 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2015 
lazione e di unit�. Occorre inoltre che sia un organo istituzionalnente previsto e regolato perch� 
ad esso si possano porre delle richieste precise, e da esso si possano esigere risposte pronte 
ed altrettanto precise. 
Solo infatti quando ad un organo � attribuita istituzionalmente una funzione ad esso si 
pu� attibuire una corrispondente responsabilit� per il suo svolgimento e, quindi, da questo organo 
si possono esigere delle risposte pronte e puntuali, che non consentano lungaggini burocratiche 
e disfunzioni. 
Accanto, quindi, ad un organo collegiale per l'autogoverno si pone l'esigenza di uno o 
pi� organi -e questo � un punto che vedremo- collegiali di elaborazione tecnica delle linee 
decisioniali tanto nella condotta dei contenziosi, quanto nel consultivo. 
� chiaro che, ferma restando questa esigenza, quindi ferma restando l'opportunit� di 
prevedere questi organi, vi sono dei rischi da evitare. Uno di questi rischi, sui quali bisogna 
rassicurare tutti, � quello dell 'eccessiva frammentazione dell'istituto, ed un altro � quello dell'assemblearismo. 
Occorre dunque prevedere mezzi che ne impediscano nel modo pi� assoluto 
la verificazione. 
Cos�, � evidente che vi sono nella vita professionale quotidiana di ogni avvocato dello 
Stato affari che si possono esaurire nell�ambito del lavoro individuale, o per la loro modesta 
entit� o perch� si tratta di affari per i quali vi � gi� una direttiva, un orientamento giurisprudenziale 
o dottrinale ben determinato, per cui non occorre riunire un' assemblea per discuterne 
la soluzione. 
D'altra parte, gli organi in questione, se evidentemente dovranno essere democraticamente 
costituiti, dovranno essere anche dal punto di vista numerico, agili nel loro funzionamento 
e nella loro convocazione, ed incisivi nella loro azione. Inoltre bisogner� evitare che 
questi organi, che sono creati proprio in funzione della professionalit� del lavoro degli avvocati 
dello Stato, questa profissionalit� finiscano poi col mortificare: cio� bisogner� evitare che 
essi si trasformino in organi di pressione collegiale, cos� come prima potevano essere centri 
di pressione individuale. Si tratta di problemi di tecnica legislativa la cui soluzione forse, in 
vista proprio della costituzione democraticamente intesa degli organi in parola, non presenta 
gravi problemi. 
D'altra parte, sappiamo tutti che la vita dell'Avvocatura e il suo funzionamento si articola 
ad un livello centrale, che � quello dell�Avvocatura Generale, ed a livello territoriali che sono 
quelli delle Avvocatrure distrettuali, fra le quali vorrei per ragioni di correttezza logica comprendere 
la stessa Avvocatura distrettuale di Roma, perch� sappiamo che 1'Avvocatura Generale 
ha funzioni anfibie di Avvocatura distrettuale per il distretto di Roma e di Avvocatura 
Generale in funzione di coordinamento di tutte le Avvocature. 
Ora, la collegialit� dovr� essere prevista a livello distrettuale, anche perch� in vista di 
una possibile estensione della utilizzazione dell'Avvocatura agli enti Regionali, non sarebbe 
giusto che questi non potessero valersi dell'apporto collettivo, della collaborazione che essa 
comporta anche in sede locale. Dovr� inoltre essere prevista a livello centrale in funzione di 
coordinamento fra le azioni delle singole Avvocature distrettuali evidentemente dovrebbe limitare 
il suo intervento soltanto l� dove un coordinamento sia effettivamente richiesto, ci� 
soltanto nei campi in cui si pongano problemi di massima, questioni di carattere generale che 
per la loro natura e rilevanza possano e debbano sfuggire alla decisione, sia pure collegiale, 
ma comunque unica e settoriale di un singolo distretto. 
Questo meccanismo naturalmente deve incontrare un limite nella necessaria autonomia 
delle singole Avvocature distrettuali quando siano chiamate a curare gli interessi regionali. �
SEMINARIO 31 
chiaro che qui bisogna scongiurare il rischio -che � gi� stato messo in evidenza- di un recupero 
sotto il pretesto di un coordinamento fittizio di una gestione centrale di interessi, che invece 
l'ordinamento costituzionale vuole decentrati e nella disponibilit� degli enti regionali. 
In conclusione ci troviamo di fronte al problema degli organi collegiali, in un campo in 
cui varie e molteplici e diversamente articolate sono le esigenze ed i problemi dei quali bisogna 
tener conto. Ma solo attraverso la soluzione bilanciata di tutti questi vari problemi nel rispetto, 
sia ben chiaro, delle direttive politico-amministrative che devono essere sempre dell'autorit� 
politica -non dimentichiamo che l'Avvocatura � un organo esssenzialmente tecnico o professionale- 
nel rispetto della professionalit� dei singoli avvocati, nel rispetto delle autonomie 
nella misura pi� vasta possibile e cio� fin dove esse non incontrano un limite nelle necessit� 
effettive di coordinamento, sar� possibile uscire dall'attuale situazione di stasi. 
E fino a quando non sar� data una risposta coordinata e globale a tutte le esigenze che 
abbiamo cercato di sottolineare, non potremo sperare di fare dell'Avvocatura dello Stato quell'istituto 
in cui tutti desideriamo vivere e lavorare: cio� un istituto che rispetti le individualit� 
dei singoli avvocati e nello stesso tempo sia uno strumento efficiente e funzionale per la tutela 
degli interessi pubblici, cos� come richiesto e postulato dalle esigenze di uno stato decentrato 
e di una pubblica amministrazione moderna e funzionale. 
DANILO LAURENTI (*) 
�Il superamento di alcuni luoghi comuni� 
(Omissis) 
Ora, poich� non credo si possa ritenere che proposte di iniziativa parlamentare nascono nel 
vuoto, ma si debba invece ritenere che nascano dall'esame, dalla discussione, dalla convinzione 
che si tratta di un problema maturato, penso che sia abbastanza utile (anche se noi come diretti 
interessati siamo stanchi di questo iter) ricordare che il dibattito c'� stato e molto approfondito. 
Anzi, avendo partecipato agli studi fatti per la presentazione di uno di quei disegni di legge, 
devo dire di essere stato particolarmente lieto di sentire oggi dati come acquisiti dei punti che 
sin dal 1966, quando fu presentato il primo disegno di legge, di iniziativa del Sen. Bartolomei 
e altri, forse non erano cos� acquisiti come oggi. Ho sentito ad esempio il secondo relatore dare 
come acquisita la necessit� di due organi collegiali: per 1a direzione del personale e la conduzione 
tecnica dell'istituto. � fortuna e piacere, vedere che queste idee lanciate allora hanno messo 
lungo tempo per arrivare, ma finalmente sono arrivate e sono patrimonio comune. 
Sulle pregievoli relazioni ritengo di poter fare notazioni brevissime su due punti, per 
trattenermi un p� meno brevemente su un terzo. Questi tre punti sono del resto a mio parere 
collegati l'uno all'altro in maniera diretta ed indiretta e in modi anche diversi, ma coordinati. 
La prima relazione ha insisto in maniera particolare sul problema della funzione dell'Avvocato 
dello Stato: e dico "la funzione dell'Avvocato dello Stato" a ragion veduta, cio� 
non soltanto la funzione dell'Avvocatura dello Stato. Ho notato che il primo relatore ha segnalato 
una tendenza, rilevata dalla lettura degli atti pubblicati per il centenario dell�Avvoca- 
(*) Avvocato distrettuale dello Stato di Perugia. 
L�omissis non � dovuto a scelta editoriale ma alla mancanza del testo nel ciclostilato.
32 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2015 
tura, che porta a snaturare e a trasformare la funzione dell'Avvocato dello Stato da quella - 
esattamente definita dal relatore- di consigliere e di difensore, in una funzione di giudice dell'amministrazione. 
Aggiungo che questa tendenza si nota in maniera significativa anche 
leggendo le prefazioni alle relazioni quinquennali dell�avvocato generale dello Stato, al Presidente 
del Consiglio dei Ministri. Queste relazioni fino ad una certa data, erano fatte in forma 
di lettera: o meglio erano precedute da una lettera con la quale l�avvocato generale inviava la 
relazione al Presidente del Consiglio e da una cortese lettera di ringraziamento dello stesso 
Presidente. Da un certo anno in poi questa forma � cambiata: la pubblicazione � definita "relazione 
dell'avvocato generale al Presidente del Consiglio" solo perch� c'� scritto, in caratteri 
molto piccoli, nel frontespizio. E si sa che si tratta della relazione solo se si ricorda l'art. 15 
del testo unico del 1933 che la prescrive. 
Questo non � un fatto casuale, � un fatto altamente significativo della tendenza di trasformare 
l 'Avvocabura, l�avvocato dello Stato in giudice dell'amministrazione, esaltando in 
maniera distorta quel tanto di desiderio (umanamente comprensibile ma non giustificabile) 
dell�Avvocato dello Stato di affermare il suo potere nei confronti dell'amministrazione attiva. 
Sicch� ogni tanto mi viene in mente l'immagine di Tartarino di Tarrascona con il casco e il 
fucile: soltanto che sotto il piede non ha la canessa del leone ucc�so, ma l'intendente di finanza 
del quale finalmente l�Avvocato dello Stato ha conquistato le spoglie. 
Questa del resto � una cosa un po� curiosa perch� � un atteggiamento che non cammina 
per linee note, ma si intrufola da tutte le parti sicch�, per esempio, mi � capitato di sentirlo 
definire come atteggiamento estramamente progressista. 
Vorrei dire una piccola malignit�, se mi � consentita, ed � questa. L'Avvocatura ha celebrato 
l'anno scorso il centenario e, secondo me, solo per una forma di provincialismo romano, 
non celebra quest�anno il bicentenario: perch� l�Avvocatura Regia di Toscana fu fondata 
con motu proprio dal Granduca nel 1777, 27 maggio 1777. Ora, nel motu proprio c'era una 
bellissima frase che stranamente � stata ripetuta molte volte come fondamento storico del nostro 
voler essere "giudici" dell'amministrazione: grosso modo diceva questa frase che le cause 
del patrimonio, del fisco e delle regalie del Principe dovevano essere condotte in puro spirito 
di verit� e in modo che la ragione del fisco non prevalesse mai sulle ragioni del privato. 
Allora � stato detto: che questa � la democratizzazione dell'Avvocatura. Forse si � dimenticato 
che Pietro Leopoldo era un gran principe, ma era un sovrano assoluto. 
Il Granduca, poich� era una brava persona aveva accentuato l'"imparzialit�" dell'Avvocatura 
di fronte agli interessi del Principe. Ma non si dimentichi che il discorso della cosidetta 
"parte imparziale'' -al quale � stato fatto un accenno nella prima relazione- emerge in realt� 
solo quando manca "la parte". � proprio 1�assenza dello Stato come "parte" e la presenza del 
sovrano assoluto che accentua l'atteggiamento della "imparzialit�"; ed � strano che per indicare 
una linea di progresso si debba far ricorso a concetti che si muovono nell'ambito della teoria 
della sovranit� assoluta. Mi sembra, invece che la funzione dell'Avvocato dello Stato, sia individuabile 
solo se si collega al fatto che lo Stato, dal momento che si sottopone alla giurisdizione, 
� "parte" e che essa sia precisabile solo collegandola al principio costituzionale della 
legittimit� dell'azione amministrativa. 
Mi sembra che si tratti di un punto abbastanza importante da tenere presente nell�attivit� 
di studio, di approfondimento e poi nell'attivit� legislativa. Non credo che convenga a nessuno 
dare come corredo agli avvocati dello Stato la fotografia di Tartarino di Tarrascona. 
Il secondo, punto, collegato al primo, � il problema della struttura perch� la funzione 
pu� essere definita nella migliore delle maniere, ma se ad esse non corrisponde una struttura
SEMINARIO 33 
adeguata ci potranno essere solo belle proposizioni legislative che poi non riescono a realizzarsi 
nella pratica. 
Per quello che riguarda la strutura, gi� nel 1966, il disegno di legge Bartolomei e altri 
constatava che le qualifiche dell'Avvocatura dello Stato sono due: quella di procuratore e 
quella di avvocato; ad esse si aggiunge la terza che � quella dell'avvocato generale. 
Io sono personalmente rimasto della stessa opinione. 
Al contrario, ancora oggi esistono in Avvocatura nove qualifiche: quattro tra i procuratori 
e cinque tra gli avvocati. 
Non dimentichiamo che durante la guerra i magistrati avevano una bella divisa blu con 
tanti galloni e credo che 1�avessero anche gli avvocati dello Stato. Questi erano i gradi; e 
debbo chiaramente lamentarmi del fatto che anche nel testo della riforma uscito dal Senato e 
giacente ora nella cappa in commissione ne � stato eliminato, su gli avvocati uno solo. Il che 
significa che si continua per la strada che indicava un collega intervenendo nel dibattito: dei 
gradi inutili ne eliminiamo uno per volta; e cos� nel duemila, se ci saranno ancora gli avvocati, 
e se ci saranno ancora gli avvocati dello Stato, saremo finalmente riusciti, se si continua di 
questo passo, a realizzare nell'Avvocatura, quello di cui si parla tanto per il settore dell'impiego 
pubblico in generale: le qualifiche funzionali; che forse in altri settori sono difficili da individuare, 
certo pi� che in Avvocatura, dove, malgrado tutto, se non vogliamo trasformarci in 
Tartarini di Tarrascona, dobbiamo fare gli avvocati. 
Il discorso della struttura. ci riporta al discorso che, indicato ed accennato da tutti, � in 
realt� la cosa pi� nuova nel dibattito di oggi, cio� il problema della rappresentanza e della difesa 
delle Regioni. Diciamo che il problema si usa definirlo cos�, in termini indicativi e riassuntivi, 
ma l'Onorevole Conti che � stato protagonista in Umbria di una vicenda relativa proprio 
all'utilizzazione dell'Avvocatura dello Stato, che io ho avuto la possibilit� di seguire, ci 
ha gi� dato una dimensione molto pi� articolata e molto pi� vasta del problema. 
Dir� a proposito degli aspetti sui quali si � intrattenuto l'Onorevole Conti che c'� un'altra 
esperienza, non giunta per altro alla fine: la Regione Lombardia aveva preparato durante la 
sesta legislatura un disegno di legge ed aveva intenzione di presentarlo al Parlamento utilizzando 
il diritto di iniziativa legislativa dei consigli regionali. In un secondo momento venne 
preferito offrire l'elaborato come contributo al Ministro delle Regioni, nella speranza di una 
presentazione al Parlamento da parte del Governo, che poi non segu�. Tuttavia esistono una 
relazione e un articolato in cui il problema della difesa della regione affidata all'Avvocatura 
dello Stato � trattato con molta attenzione, con molta cura, con molta propriet�, con un aggancio 
che pu� servire per le esigenze che l'Onorevole Conti ha dianzi indicato. Ma ritengo 
di dovere subito aggiungere che ad esigenze di ambito cos� vasto con quello indicato l'Onorevole 
Conti, l'Avvocatura non � allo stato in grado di corrispondere, secondo la mia opinione. 
Credo che questo sia atteggiamento di saggezza e non solo di umilt�; se il legislatore riterr� 
che l'attivit� dell'Avvocatura possa essere utilmente adoperata per l'assistenza e, 1a difesa 
di enti diversi dallo Stato, sar� anche opportuno che misuri le esigenze con le possibilit�, 
per evitare che un'esigenza sentita rimanga poi non soddisfatta nella pratica e nella realt� per 
ragioni di impossibilit� materiale. 
Tornando all�esigenza prospettata dall'Onorevole Conti e alla bozza di disegno di legge 
proveniente dalla Regione Lombardia, dir� che in essa veniva indicata una strada a mio parere 
percorribile, tenendo conto che le funzioni amministrative trasferite dallo Stato alle Regioni 
possono essere poi delegate dalle Regioni stesse ad enti sub-regionali: comuni, provincie, 
comprensori, ecc. La soluzione legislativa suggerita era quella di prevedere che quando una
34 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2015 
Regione abbia istituzionalmente avuto il patrocinio dell'Avvocatura dello Stato, essa possa, 
con le leggi di delega di funzioni amministrative regionali ad enti sub-regionali, prevedere il 
patrocinio e l'assistenza dell'Avvocatura per gli enti delegati. 
Non � questa la soluzione dei problemi di cui parlava l'Onorevole Conti perch� si tratta 
di una soluzione in ambito pi� ristretto. Ma ripeto che sarei molto cauto di fronte all'ipotesi 
di un'estensione troppo massiccia della sfera di attribuzioni dell'Avvocatura e campi di attivit� 
cos� vasti come quelli che le attuali tendenze legislative vanno delineando per gli enti sub-regionali, 
perch� un'estensione in blocco cos� vasta potrebbe nella pratica impedire i risultati 
che invece si vorrebbero ottenere. 
Chiudo qui per evitare di andare troppo oltre il tempo che mi ero prefisso. Faccio una 
notazione conclusiva. Noi dobbiamo [avere] il coraggio -perch� questo � un confronto fra noi 
e gli altri- di rimanere avvocati dello Stato, di non andar a cercare glorie in campi che non 
sono nostri, di accettare la nostra funzione, quella che l'ordinamento ci attribuisce. E quando 
parlo di "ordinamento" non mi riferisco ovviamente al testo unico del 33; ma debbo anche 
aggiungere che forse sarebbe di buon gusto non citarlo troppo spesso, quel testo unico, per 
evitare di dover ricordare a noi, alle forze politiche, alle forze parlamentari che l'assoluta inadeguatezza 
dell'ordinamento attuale dell'Avvocatura � risultato acquisito fin dal 1966, data 
della presentazione dei primi disegni di legge di riforma; ma che per una serie di ragioni che 
in una sede diversa da questa potrebbero essere oggetto di polemica politica, il testo unico 
del '33 ce lo ritroviamo ancora sulle spalle. 
A questo punto sarebbe forse opportuno lasciar perdere per un momento la polemica 
sul testo unico del 1933, per cominciare veramente a convincerci del nostro ruolo, della nostra 
funzione e per renderci conto che se nel 1966 un problema di difesa delle Regioni non � stato 
esplicitamente affrontato nei disegni di legge di riforma, ci� � accaduto per il timore, che in 
fondo nelle parole dell'Onorevole Conti � pure riecheggiato, di essere visti dalle rappresentanze 
politiche regionali come dei potenziali nemici. Anche per la nostra partecipazione ed 
attivit�, (credo che ci si possa riconoscere) questa situazione � cambiata. E se oggi l'Onorevole 
Conti citava come positiva la sua esperienza di Presidente della Giunta regionale umbra, se ci 
sono regioni come l'Abbruzzo, la Lombardia, ed altre che hanno preso la strada gi� iniziata per 
usufruire del patrocinio e dell'assistenza dell'Avvocatura, ci� che cosa vuol dire? Vuol dire che 
se malgrado tutto -cio� malgrado le limitazioni, i pesi, la difficolt� dei movimenti- l'istituto � 
guardato con interesse positivo anche da chi aveva motivo forse di guardarlo con preoccupazione 
negativa; vuol dire che noi possiamo essere convinti di una nostra capacit� funzionale 
da mettere al servizio degli altri. Ma attenzione: questo noi dobbiamo fare nei confronti degli 
altri con quel tanto di umilt� e di intelligenza necessarie per comprendere la nostra posizione 
per metterci fuori dal nostro ruolo, per collocarci, nella posizione giusta, che deriva dalla chiara 
individuazione dei ruoli e dei compiti sui quali la prima relazione si � soffermata: il rapporto 
col Presidente del Consiglio, i1 rapporto con l'Avvocato generale, la necessit� di una partecipazione 
attiva degli avvocati all'individuazione e deliberazione delle linee di condotta tecnica 
dell�istituto, e di governo del personale, e la personale responsabilit� dell'avvocato nella cura 
degli affari che gli sono affidati. 
Questa � la posizione che in fondo, malgrado tutte le nostre limitazioni, ha portato verso 
di noi l'interesse anche degli altri, questo interesse verso di noi dobbiamo apprezzare nella 
giusta misura, sapendo bene per� che anche noi come altri istituti corriamo dei rischi, perch� 
ora possiamo anche lamentare che le nostre insufficienze sono colpa degli altri, e in particolare 
delle leggi e dei regolamenti.
SEMINARIO 35 
Ma dopo, una volta che la legge di riforma sia fatta, le nostre insufficienze, se ci saranno, 
e purtroppo ci saranno certamente, saranno solo nostre. Allora non avremo alibi. 
Questa � la mia posizione di avvocato dello Stato nei confronti del dibattito che si svolge 
e della riforma dell'istituto. Riforma della quale spero si possa valutare presto la approvazione. 
E quando dico "presto" voglio dire prima della celebrazione del terzo centenario, e anche 
prima del prossimo giubileo. 
ENRICO VITALIANI (*) 
�I punti �ancora saldi� dell�Avvocatura dello Stato� 
Laurenti ha detto molte cose che condivido pienamente. Un discorso sull'Avvocatura 
dello Stato non � possibil� senza stabilire un legame ed un confronto con la situazione della 
pubblica amministrazione nel nostro paese e, quindi, senza partire dalla costatazione e dalle 
ragioni della sua inefficienza, sulla quale il giudizio � comune ed incontrastato, ma sempre 
quando se ne parla da un punto di vista generale o, meglio ancora, generico, perch� quando 
si scende nel particolare, i giudizi non sono pi� cos� univoci e, anzi divergono fra loro. 
Sia ben chiaro che quando parlo di efficienza, non intendo efficientismo, ma, pi� in generale, 
e pi� semplicemente, capacit� di un'amministrazione, d� un istituto, di un'organizzazione 
di rispondere e di conseguire lo scopo per cui � costuito e per cui funziona. 
La inefficienza della pubblica amministrazione nel nostro paese -in particolare la inefficienza 
del personale addetto alla pubblica amministrazione- � a mio avviso la conseguenza, 
il prodotto storico del processo di formazione dello Stato italiano, partendo dal Regno di Sardegna 
e che mantenendo un ordinamento costituzionale ed un'organizzazione amministrativa 
rigidamente accentrati ha via via annesso altri Stati ed altri territori e, quindi, altre societ� civili, 
altre comunit� economico-sociali, diverse e perfino contrastanti fra loro, che sono entrate 
a farvi parte, conservando e difendendo strenuamente i loro interessi costituiti. 
Del nuovo Stato, oltre tutto, il potere � stato sempre appannaggio di gruppi ristretti ed 
� stato esercitato nello interesse di questi gruppi; lo sviluppo economico ha avuto sempre carattere 
settoriale; l'iniziativa economica pubblica carattere clientelare, assistenziale, senza una 
azione generale di politica economica e sociale, e, quindi, senza l'obiettivo ed il risultato di 
una trasformazione globale e coerente dell'assetto economico e sociale di tutto il paese. 
Lo sbocco di questa formazione storica e di questo tipo di azione politica e di sviluppo 
economico � quella situazione caratteristicamente italiana di coesistenza fra sviluppo ed arretratezza, 
fra rendita e profitto, fra grande industria ed intermediazione parassitaria. 
La pubblica amministrazione dello Stato italiano � nata su questo terreno e la burocrazia 
nazionale � quella di un paese, che � stato sempre governato in questo modo. 
E questi non sono accostamenti gratuiti, perch� l'esempio storicamente pi� importante 
di utilizzazione della pubblica amministrazione per interesse di parte -e qui parliamo di un 
fatto di importanza capitale- � il ruolo svolto dai prefetti nella storia del nostro paese, nella 
storia amministrativa e politica del nostro paese e, in generale, nell'amministrazione dell'interno. 
E se anche noi in Italia non abbiamo studi in questo senso, c'� un interessantissimo stu- 
(*) Avvocato dello Stato.
36 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2015 
dio su questo problema del prof. Robert Freed dell'Universit� di Los Angeles, che � stato tradotto 
in italiano dal consigliere Mario Battaglini, che tutti conosciamo, ed stato pubblicato 
dalla Casa Editrice Guiffr� nel 1967 con il titolo "Il prefetto in Italia" e con una presentazione 
di Leopoldo Piccardi. 
Un esempio pi� recente, pi� circoscritto, ma molto preoccupante, � quello, tuttora avvolto 
nel mistero, dei servizi di sicurezza, di cui parlano proprio oggi ancora una volta i giornali. 
Una burocrazia cresciuta ed allevata su questo terreno, quasi mai utilizzata per l'attuazione 
di una politica nazionale, una politica svolta nell'interesse generale del paese, ma che 
di volta in volta, in base alla legge, ma anche al di fuori e contro legge, � stata strumento di 
parte e, nel migliore dei casi, di tutela di interessi settoriali e particolari, ma pu� essere efficientemente 
poi, inevitabilmente, e questo l�aspetto pi� grave dell�evoluzione della burocrazia, 
ad organizzarsi in un insieme di corpi separati e far valere e prevalere, fra i mille interessi 
particolari, anche i propri interessi di guadagno, di carriera, di potere. 
CՏ poi la fase formale di disgregazione del corpo burocratico nella ricerca individuale 
del guadagno e del successo, che nel migliore dei casi si concreta nell�esercizio e nella tutela 
-e questo � il punto su cui vorrei richiamare l'attenzione- da parte dei funzionari dello Stato 
e, in generale, dai funzionari pubblici di interessi antagonisti e quelli della pubblica amministrazione: 
e cos� abbiamo il funzionario delle finanze, che fa il consulente tributario, o il funzionario 
delle belle arti, che si occupa di antiquariato e fa commercio di cose d'arte. � questa 
� una pratica, bisogna precisarlo, che � diffusa allo stato endemico nella pubblica amministrazione 
italiana, favorita dagli orari unici che finiscono alle due, dalle tolleranze, che germogliano 
per la ormai abituale inesistenza di una direzione e di una responsabilit� politica 
del funzionamento della pubblica amministrazione, ed anche dalle basse remunerazioni dei 
dipendenti dello Stato. 
Quando si parla di pubblica amministrazione bisogna aver chiaro tutto questo. 
Si pu� allora comprendere perch� la maggioranza dei cittadini considera con ostilit� e 
con timore l'autorit� pubblica. Ma � certo che questo atteggiamento non facilita la soluzione 
del problema di un risanamento della pubblica amministrazione, anche perch� si accompagna 
ad una riprovevole indulgenza nei confronti di quelle attivit� illecite, indicate in precedenza, 
e delle quali ogni cittadino cerca di trarre un proprio particolare vantaggio. 
E in questa serie di reazioni a catena sta la ragione, per cui si riscontra nella pubblica 
opinione una cos� grande discordanza dei giudizi e, in generale, una grande incertezza quando 
dalle denunce generiche si passa poi, nel concreto e nel particolare, a porre il problema del risanamento 
e della riforma della pubblica amministrazione, che nessuno sa ed in che forma 
deve augurarsi proprio in vista dei propri interessi particolari. 
Da tutto questo desidero trarre una prima, ma credo importante indicazione di metodo: 
quando ci si propone nel nostro paese di risanare e riformare la pubblica amministrazione, i 
discorsi di carattere generale e, soprattutto, le terapie plurivalenti e buone per tutte le situazioni 
sono assolutamente inutili. Si tratta invece di esaminare, caso per caso, istituto per istituto, 
quale sia la situazione concreta, quali i problemi da affrontare e quindi, quale sia la terapia 
specifica da applicare. 
Questo metodo � valido anche per l'Avvocatura dello Stato ed a me pare che un esame 
particolareggiato della sua storia, della sua formazione, della sua situazione presente portino 
a concludere che nel panorama della pubblica amministrazione essa rappresenti un istituto 
accettabile e non gravemente compromesso. 
Non � necessario che io ricordi qui, perch� tutti conoscono queste cose, quando e come
SEMINARIO 37 
sia nata l'Avvocatura dello Stato e, soprattutto, ricordi che l'esigenza di istituire un organo 
unico di patrocinio e di assistenza legale per tutte le amministrazioni dello Stato, le cui funzioni 
sono state poi estese a vantaggio di altri enti pubblici, sia sorta dalla famosa legge sull'abolizione 
del contenzioso amministrativo, con la quale venne affidata ai tribunali ordinari 
la cognizione delle cause, in cui si faceva questione di diritti civili e politici ancorch� vi fosse 
comunque coinvolta la pubblica amministrazione. 
La soluzione istituzionale, che fu data al problema posto da quella legge, mediante l'istituzione 
dell'Avvocatura dello Stato come organo unico e con competenza generale per il patrocinio 
e l'assistenza di tutte le amministrazioni, dalle quali, tuttavia, � autonoma sia da un 
punto di vista funzionale sia da un punto di vista gerarchico ed organizzativo, � stata sicuramente 
una soluzione particolarmente felice, perch�, da una parte, ha realizzato l'unificazione 
della funzione di difesa e di assistenza legale, consentendo valutazioni complessive e non settoriali 
ed episodiche degli interessi in gioco; dall'altra, ha frapposto tra amministrazione titolare 
dell'interesse controverso e giudice un organo con carattere di terziet�, funzionalmente e 
gerarchicamente autonomo. 
Questa soluzione realizza nell'ambito dell'amministrazione centrale dello Stato uno 
schema che nella moderna organizzazione aziendale si chiama di linea - staff, perch� ad un'organizzazione 
di linea, che � quella dei ministeri, nella quale l'autorit� e la responsabilit� discendono 
dall'alto, attraverso livelli gerarchici ed operativi successivi, si � aggiunto come 
supporto, come staff appunto, come appoggio unit� organizzativa con competenza tecnicogiuridica 
specializzata. Il sistema italiano, quindi, nonostante sia vecchio di cento anni, � in 
linea anche con 1e esigenze e le formule dell'organiizzazione aziendale moderna e questo 
concetto di staff corrisponde nel lessico giuridico e costituzionale a quello di organo ausiliario, 
di cui si � parlato nella relazione di Lorenzoni. 
Ci sono tre connotati che nell'attuale fisionomia dell'Avvocatura dello Stato si presentano, 
a mio avviso particolarmente qualificanti e tra loro indipendenti. 
In primo luogo, la posizione di autonomia funzionale rispetto ai singoli organi di organizzazione 
attiva e, in particolare, alla loro direzione burocratica e la posizione di autonomia 
gerarchica rispetto alla stessa direzione politica delle singole amministrazioni. Infatti, l�Avvocatura 
dipende dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri ed i provvedimenti, che la riguardano, 
devono essere adottati dal Consiglio dei Ministri. 
CՎ poi un secondo punto: la natura tecnico-giuridica delle funzioni, che l�Avvocatura 
svolge e che sono appunto definite dalla legge "rappresentanza, patrocinio, assistenza in giudizio 
delle amministrazioni" (art. 1 del testo unico) nonch� "tutela legale dei diritti e degli interessi 
dello Stato" (art. 13 del testo unico). 
C '� infine -e questo � il terzo punto- la natura professionale dell'attivit� e della prestazione 
di lavoro degli avvocati dello Stato, anche se legati all'Istituto da un rapporto di natura 
gerarchica, ma diverso da quello degli altri pubblici funzionari. E questo � un altro preciso 
connotato del rapporto che bisogna sempre ricordare anche nelle rivendicazioni, che vengono 
proposte e portate avanti. 
Tutti questi carateri dell�Istituto sono legati fra loro da un delicato equilibrio, dal quale 
dipende la sua efficenza e la sua utilizzabilit�. 
Per esempio, proprio su questo punto � di particolare importanza il discorso, che abbiamo 
sentito ripetere qui e sul quale io sono perfettamente daccordo con Laurenti: il problema 
se spetti all�Avvocattura o all�amministrasione di disporre del diritto controverso e di stabilire, 
quindi, se una lite debba essere intrapresa, proseguita, abbandonata. Problema che, secondo
38 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2015 
me, non sarebbe mai dovuto sorgere; che � sorto per quelle note infelici affermazioni, contenute 
nella nota introduttiva della Relazione del 1965; che � stato, sempre a mio avviso, definitivamente 
risolto dal parere dell�adunanza generale del Consiglio di Stato con corretta 
motivazione (anche se su alcuni punti di quella motivazione poteva esserci dissenso), parere 
che ha avuto 1'autorevole adesione di Carlo Arturo Iemolo. 
Nonostante tutto questo, il discorso si riaffaccia sempre ed � appunto, come si diceva, 
una sorta di Tartarino di Tarrascona, questo Avvocato dello Stato che desidera e tenta di dominare 
l�Intendente di Finanza o, peggio, il Ministro dei Lavori Pubblici, come � avvenuto. 
� inutile entrare nel merito giuridico della questione, che a me sembra chiaro, per� � utile ricordare 
che1'effettiva autorit� di un organo di assistenza legale, al pari di quella di un gualunque 
avvocato, non sta nei poteri, che riesce ad arrogarsi, ma nella capacit� e nell'efficienza, 
con cui � in grado di orientare e di difendere l�amministrazione. 
La rivendicazione di poteri, d'altra parte, rischia di alterare, sia il carattere tecnico-giuridico 
delle funzioni dell'Avvocutura dello Stato, con inevitabili ripercussioni sulla posizione 
di autonomia funzionale, perch� a questo punto sorger� inevitabilmente l�esigenza e il desiderio 
di controllare gerarchicamente o in altro modo l'Istituto. In altri termini, � questo il modo 
con cui si imbocca una strada, che pone in discussione la collocazione e la stessa fisionomia 
dell�Istituto, che rappesentano, invece, il felice approdo di una lunga evoluzione istituzionale 
che consente ulteriori sviluppi ed utilizzazioni, anche in considerazione, e questo dobbiamo 
ricordarlo, della probit� morale che caratterizza il corpo degli Avvocati dello Stato. 
Gli Avvocati dello Stato, infatti sia perch� provengono in gran parte dalla Magistratura, 
sia perch� godono del tattamento economico dei magistrati, svolgono la loro attivit� di lavoro 
a tempo pieno; e questo � dunque un caso assolutamente unico nella amminisrazione dello 
Stato. quindi, gli Avvocati dello Stato non esercitano, privatamente attivit� professionale di 
natura legale. Io ricordo solo un nostro collega, che adesso non � pi� fra noi, che faceva l�avvocato 
rotale, ma � stato un caso isolato. 
Di fronte a quello che, come ho detto, succede nell'amministrazione, il caso dell'Avvocatura 
� unico. Ne deriva che per gli Avvocati dello Stato non vi sono quelle confusioni di 
ruoli e quei fraintendimenti sull'interesse da tutelare, da perseguire, che caratterizza i pubblici 
funzionari del nostro paese. La chiarezza su questo punto � anzi esasperata da una sorta di 
accentuata chiusura castale della categoria, da una interpretazione formalistica del diritto di 
stampo liberale e da una concezione molto puntigliosa ed oltranzista dell'attivit� difensiva, 
che sono sicuramente dei difetti dell'Avvocatura dello Stato, ma che non giocano sul piano 
dell'inefficienza n� su quello di un disfacimento morale della categoria. 
L'Avvocatura dello Stato per la sua posizione nell'ordinamento della pubblica amministrazione 
� classificabile -si � detto- come organo ausiliario di tutela giuridica. E questo � vero 
anche se l'art. 100 della Costituzione non ne parla, dal che consegue soltanto che � un organo 
privo di rilevanza costituzionale. Io credo, comunque, che come organo ausiliario sia stato 
inadeguatamente utilizzato e si sia inadeguatamente espresso, perch� � quasi esclusivamente 
impiegato nell'attivit� di difesa in giudizio piuttosto che in quelle preventive di consulenza 
sugli atti legislativi ed amministrativi e, in generale, sull''attivit� dell'amministrazione. 
Questo problema, tuttavia, non si pu� risolvere solo nell'interno dell�Istituto, perch� � 
legato all'attuale frantumazione dell'attivit� legislativa del governo e al ruolo svolto dagli uffici 
legislativi che sono la proiezione dell'attuale sistema di lottizzazione dei ministeri fra partiti 
e correnti politiche; alla mancata riforma della Presidenza del Consiglio a quei compiti, 
che la Costituzione le assegna. � chiaro, comunque, che qualunque forza politica intenda af-
SEMINARIO 39 
frontare ed avviare a soluzione queste situazioni, che possiamo qualificare grottesche e paradossali 
dell'amministrazione centrale dello Stato, pu� trovare nell'Avvocatura dello Stato, adeguatamente 
diretta e valorizzata, un punto di riferimento ed un punto di forza. 
La posizione di autonomia funzionale e gerarchica dalla direzione burocratica delle singole 
amministrazioni consente di utilizzare l'Avvocatura dello Stato come elemento di collegamento 
tra direzione politica e direzione burocratica. 
C'� poi l'utilizzazione dell'Avvocatura dello Stato per la difesa delle Regioni, di cui si � 
ampiamente dibattuto in questo seminario, e per la possibile difesa -si � detto- degli enti locali 
minori. Ma su quest'ultimo punto sono d�accordo con quanto ha detto Laurenti: il fardello 
che si vuole porre sulle nostre spalle deve essere sopportabile e non si pu� quindi pretendere 
di far diventare l'Avvocatura dello Stato l'avvocato di tutti, di tutte le pubbliche amministrazioni. 
Il problema posto dall'Onorevole Conti � certamente un problema importante, ma va 
risolto con la riforma ed il potenziamento delle Avvocature degli Enti Pubblici. Ed anche questa 
� una riforma rimasta in aria nel corso di numerose legislatura. 
In questo quadro di possibili migliori ed ulteriori utilizzazioni dell'Avvocatura dello Stato 
� necessario individuarne e correggerne i difetti, che sono poi quelli che gi� ho indicati: una 
chiusura castale, una concezione formalistica del diritto e conseguentemente un atteggiamento 
di puntigliosit� nella difesa in giudizio piuttosto che una ricerca di soluzione dei problemi giuridici 
dell'azione amministrativa sul piano preventivo di adeguamento legislativo e di consulenza 
dell'amministrazione sia nell'attivit� amministrativa sia nell'attivit� di iniziativa legislativa. 
Tra i veri guasti dell'Avvocatura dello Stato sono stati prodotti dal governo dell�Istituto 
e, in particolare, dal governo del personale, che ha gravemente pregiudicato proprio il carattere 
professionale del lavoro degli Avvocati dello Stato ed ha introdotto degli elementi di corruzione 
interna, che non sono assolutamente sopportabili. Anche i favoritismi e la disparit� 
di trattamento, infatti, sono strumenti di corruzione. 
Naturalmente � una corruzione diversa da quella di cui prima ho parlato, ma � pur sempre 
una forma di corruzione delle coscienze, attuata con il sopruso � la forzatura della libert� 
individuale e della dignit� dei componenti dell�Istituto. 
Voglio concludere con questo: noi possiamo fare delle belle leggi, ma poi occorre farle 
applicare e rispettare e, quindi, non c'� solo un problema legislativo, ma un problema di amministrazione, 
di governo dell'Istituto, che non si risolve evidentemente una volta per tutte 
con la bacchetta magica della promulgazione della legge, ma per il quale � necessario che 
ogni giorno ognuno dei componenti dell'Istituto combatta e porti il suo contributo personale. 
LUIGI MAZZELLA (*) 
�La diversa funzione tra il giudice e il consulente� 
Prima che Laurenti prendesse la parola, avevo immaginato che nel suo intervento non 
sarebbe mancata una polemica, sia pure molto garbata, nei confronti della posizione espressa 
da Vitaliani, per lo meno riguardo alle vicende che nel passato hanno costellato la "storia" di 
questa difficile riforma dell�Avvocatura dello Stato. Ed invece non � stato cos�. Tra i due col- 
(*) Avvocato dello Stato, poi Avvocato Generale, ministro e giudice costituzionale dal 2005 al 2014.
40 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2015 
leghi, che mi hanno preceduto su questa tribuna, 1'accordo � stato perfetto, totale. Questo, 
ovviamente, non pu� non fare piacere a chi, come me, ha sempre sostenuto, all'interno dell'Avvocatura, 
che il discorso sulle modifiche dell'ordinamento dell�Istituto dovesse essere "unitario" 
ed "unitariamente'' portato avanti. 
Adesso, dunque, ci siamo. Nelle ottime relazioni introduttive di questo convegno sono 
contenute tutte le linee per cui abbiamo lottato nel corso di un decennio, spesso ampliate e 
migliorate dall'apporto costruttivo di quanti ad esse hanno intensamente lavorato. 
Soddisfazione e gioia, quindi, e nessun scandalo per il fatto che il colloquio con le forze 
politiche ha richiesto un cos� lungo tempo. Il collega Laurernti che sottolineava la tardivit� 
del consenso da parte di una grande forza politica non deve dimenticare le difficolt� che si 
sono incontrate allo stesso interno dell'Istituto per l'ostilit� o comunque per 1'indifferenza di 
tanti colleghi, timorosi del "nuovo" e del "diverso". Oggi molti di questi colleghi, talora investiti 
di "responsabilit� ufficiali", sono qui tra noi, non pi� "scandalizzati" dal fatto che si 
discute di istanze e proposte gi� contenute in documenti di partito, in articoli apparsi sulla 
stampa democratica, in interviste di rappresentanti dell'Associazione Democratica. 
Questa testimonianza di un cambiamento cos� radicale da parte di tali colleghi unita alla 
consapevolezza che ormai tutte le forze politiche che contano sono sulla linea della "riforma" 
ci induce a sperare che quanto prima si chiuder� per l'Avvocatura dello Stato quella fase di 
declino da me stesso e da altri sottolineata in altre occasioni. 
Non voglio, per�, limitare il mio intervento ad un'espressione di gioia per il superamento 
di tante polemiche, interne ed esterne, e per la la convergenza ampia e dichiarata risultante da 
questo convegno. C'� qualche aspetto specifico della relazione di Violante che mi sembra meritevole 
di un approfondimento. Mi riferisco, ad esempio, all�accenno fatto dal relatore all�azione 
di regolamento di confini tra Avvocatura e Consiglio di Stato. Non v'� dubbio alcuno 
che si tratti di un" 'azione" importantissima, i cui riflessi "politici" non possono sfuggire a chi 
ha seguito da vicino gli effetti che un'ideologia imperante in certi Istituti pu� determinare 
nella vita di un paese. 
Ma proprio perch� si tratta di un problema "scottante", esso non pu� essere affrontato 
senza tener conto di tutti i suoi corollari, in prima linea i rapporti tra Consiglio di Stato e Tribunali 
Regionali Amministrativi. Dobbiamo interrogarci a lungo ed in modo approfondito su 
quello che vogliamo sia un "giudice" e quello che intendiamo per "consulente". 
Dobbiamo ricordare a noi stessi ed agli altri che operano in altri settori quali "danni" 
possano derivare dalla "confusione " dei due ruoli. Dobbiamo chiederci quanta coerenza vi 
sia tra la norma che impone ai giudici amministrativi di 1� grado di essere sempre e soltanto 
"giudici" e quella che consente ai Consiglieri di Stato di essere giudici e consulenti, anzi come 
spesso accade prima "consulenti" e poi giudici nella stessa materia, negli stessi affari. 
Mi sembra, quindi, un grande merito della relazione di Violante quello di avere posto il 
dito sulla piaga e di avere sottoposto all'attenzione del convegno questa necessaria azione di 
delimitazione delle competenze "consultive" tra i due organi. 
Ritengo, per�, che il tema necessiti di un'attenzione ad hoc per una soluzione pi� drastica 
e radicale di quella che potrebbe venir fuori da una legge di riordinamento di uno solo dei 
due Istituti. 
Gli interventi che mi hanno preceduto hanno esaurito quasi tutti gli aspetti del problema 
e quindi non ho altro da aggiungere: � la sorte di chi parla tra gli ultimi. Vorrei soltanto in 
chiusura aggiungere il mio ringraziamento a quello che gi� il collega Ferri ha espresso a nome 
dell'Associazione Democratica degli Avvocati e dei Procuratori dello Stato. Questo convegno,
SEMINARIO 41 
dandoci modo di registrare un consenso cos� unanime su punti che per noi sono da ritenere 
vitali, ci ha fatto compiere un grande passo avanti sulla strada della riforma. 
FILIPPO MARZANO (*) 
�L�Avvocato dello Stato �amicus curiae� � 
Sar� telegrafico, svilupper� solo tre punti: il primo riguarda il ruolo dell�Avvocatura 
dello Stato, e cio� le prospettive di sviluppo dell'Avvocatura, il secondo, gli influssi e gli effetti 
che su queste prospettive di sviluppo possono esercitare le autonomie locali ed in particolare 
l'ente Regione, il terzo concerne l'ordinamento, con particolare riferimento alla gestione dell�Istituto, 
sia sotto l�aspetto della struttura che del trattamento economico. 
Sul primo punto, io direi -e questo mi deriva un po� dall�esperienza professionale- che 
il ruolo dell�Avvocatura di Stato � un po� legato al tipo di processo, in quanto nel processo 
amministrativo 1'Avvocatura svolge a mio avviso un ruolo diverso da quello che pu� evidentemnte 
sviluppare nel processo civile ordinario. Se noi giudici vediamo nei colleghi dell'Avvocatura 
di Stato dei collaboratori e ci sentiamo ad essi molto legati, non pu� negarsi che 
questo rapporto di fatto esistente � strettamente legato, a prescindere dai rapporti personali 
proprio al tipo di processo che, come � ben noto, sia che si ritenga che abbia per oggetto secondo 
gli uni 1'atto, o secondo altri il rapporto o pi� speficamente il sindacato del corretto 
esercizio del potere, contribuisce comunque in maniera notevole a far svolgere all'avvocato 
dello Stato un ruolo particolare e forse anche anomalo rispetto a quello che tradizionalmente 
compete all�avvocato, come difensore della parte. 
Questo aspetto mi ha indotto a riflettere se non sia il caso di introdurre anche in Italia un 
istituto gi� esistente nella Germania federale, dove nei processi amministrativi partecipa sempre 
un rappresentante del pubblico interesse, il quale in sostanza svolge una funzione sotto parecchi 
punti di vista analoga a quella che svolge il pubblico ministero nel processo penale italiano. 
Questo precedente di diritto comparato forse delinea con esattezza il ruolo che deve 
svolgere nel processo amministrativo l�avvocato dello Stato. Del resto la necessit� di introdurre 
anche nel processo amministrativo italiano un rappresentante del pubblico interesse - 
ed io credo che a nessuno meglio che all'Avvocatura dello Stato si possa attribuire questo 
compito- deriva, anche da un'esigenza che � fortemente sentita allo stato dell'attuale legislazione 
positiva nella quale abbiamo una quasi assoluta carenza di tutela giurisdizionale degli 
interessi collettivi. Al riguardo ritengo che piuttosto che abbandonare la tutela giurisdizizionale 
di questi interessi collettivi a delle formazioni libere che potrebbero sotto certi punti di vista 
essere espressione solo di interessi settoriali, occorre riflettere proprio in vista di una pi� efficace 
tutela giurisdizionale di tali interessi che non sia il caso di affidare all'Avvocatura dello 
Stato, una volta assodato il ruolo di rappresentante di pubblico interesse, la titolarit� dell'azione 
giurisdizionale nel campo in questione. 
Il secondo problema � quello del rapporto con le Regioni. Per quanto riguarda questo 
rapporto con 1e Regioni io non solo vedo favorevolmente uno sviluppo delle attribuzioni e 
dell'Avvocatura dello Stato, ma credo anche che ci� possa essere molto utile in questa nuova 
(*) Giudice del TAR, poi consigliere di Stato e Presidente di Sezione.
42 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2015 
fase della nostra vita nazionale, sempre che ci si intenda bene che le Regioni sono espressione 
di un decentramento democratico, e cio� di uno spostamento dei centri decisionali politici dal 
centro verso la periferia, in quanto � evidente che solo in questa logica la Regione pu� essere 
considerata come parte integrante dello Stato, e con esclusione di qualsiasi contrapposizione. 
Sotto tale ottica, credo anzi che l'Avvocatura dello Stato, possa svolgere una utilissima 
funzione di raccordo fra le Regioni e lo Stato. Poich� inoltre 1a riforma regionale � uno dei 
punti pi� qualificanti del nostro ordinamento costituzionale, io credo che bisogna fare una 
critica al nostro Parlamento il quale ha affidato, mediante leggi di delega, l'attuazione di tale 
riforma, al potere esecutivo, spogliandosi cos� delle proprie funzioni primarie. 
Gi� abbiamo avuto dei decreti delegati che hanno fatto nascere un vespaio di polemiche 
per la loro insufficienza sotto tanti punti di vista e per quanto ci si stia battendo, io ho paura 
che anche con i decreti delegati in attuazione della 382 sorgeranno questioni a non finire. � 
un problema, quindi, di metodo, in quanto si tratta di riforme che per la loro particolare importanza, 
non possono essere rimesse all'esecutivo ma devono comportare un impegno veramente 
massiccio del Parlamento. � evidente infatti che non si tratta di dire: "fino a questo punto faccio 
io, da quel puntro in poi fai te", logica alla quale purtroppo si � sempre ispirata la decretazione 
finora emanata in maniera regionale; ma si tratta di stabilire una volta per tutte in 
maniera chiara, ci� che spetta alle Regioni e ci� che spetta allo Stato, proprio perch� solo in 
tale maniera � possibile evitare in radice la possibilit� di conflitti o di contrasti. 
Il terzo punto � quello dell'ordinamento. Io credo che ormai su tale punto, sulla base 
degli interventi svolti, si sia verificata un'ampia convergenza, di opinioni nel senso che l�attuale 
struttura verticistica dell'Avvocatura dello Stato debba essere superata e che si debba arrivare 
verso un tipo di gestione collegiale, naturalmente poi sulla scia delle prospettive di 
sviluppo connesse all'attuazione dell'ordinamento regionale, appare di stretta conseguenzialit� 
congruo rafforzamento dell'Istituto soprattutto a livello di avvocature distrettuali. 
L'ultimo punto � quello del trattamento economico. Io direi che � un problema importante, 
e comunque da non prendere alla leggera, in quanto ritengo che per tali istituti tradizionali 
come l'Avvocatura dello Stato, come pure per tutte le giurisdizioni speciali, la questione 
del trattamento economico ha carattere vitale, proprio perch� � un elemento di sopravvivenza 
degli istituti stessi. � chiaro, infatti, che questi istituti, ai quali si accede solo con concorsi di 
II grado, sino a quando conserveranno una certa appetibilit� economica riusciranno a sopravvivere 
e riusciranno a mantenere anche elevato il livello professionale dei propri membri, altrimenti 
finiranno inevitabilmente con lo scadere e quindi con lo scomparire. Ne consegue 
pertanto che se si riconosce, come appunto si � verificato in questa sede, l'utilit� dell'Avvocatura 
dello Stato, deve conseguentemente darsi rilievo a tutti quegli elementi che attualmente 
danno vita al sistema. Per quanto riguarda il trattamento economico in genere degli Avvocati 
dello Stato e dei magistrati delle giurisdizioni speciali, penso che bisognerebbe finirla con 
quella tendenza legislativa diretta a confondere progressione di carriera e progressione del 
trattamento economico. In quanto per quelle che sono in sostanza delle semplici rivendicazioni 
economiche si sono quasi sempre usati degli strumenti spropositati, ed a tale equivoco non si 
� sottratta neppure la legge n� 831 del '73, riguardante i magistrati ordinari. 
Per dare cio� dei semplici benefici economici in conformit� a quei principi costituzionali 
in base ai quali il trattamento economico dei magistrati, sia ordinari che speciali o dei membri 
dell'Avvocatura dello Stato, deve essere ispirato a criteri atti ad assicurare una assoluta tranquillit� 
economica proprio per meglio garantire l'indipendenza di tutto personale, si � sempre 
fatto uso di strumenti diciamo abnormi o comunque spropositati, e cio� inventando carriere.
SEMINARIO 43 
Il problema per me � molto pi� semplice, in quanto una volta stabilito il trattamento economico 
iniziale, il quale deve essere evidentemente appetibile, altrimenti come gi� si � detto, 
questi istituti sono destinati a morire, e bisogna ridurre veramente al minimo le qualifiche lasciando 
solo quelle che hanno una effettiva rispondenza funzionale. Nell'ambito di tutte queste 
qualifiche bisogna poi stabilire solo una progressione economica fatta per classi. In questa prospettiva, 
d'altra parte, si muove tutta la politica del pubblco impiego nell'ambito del quale troviamo 
all'avanguardia l'impiego locale il quale � stato il primo ad introdurre, sia pure con alcune 
contraddizioni, il criterio della qualifica funzionale, nonch� quello della progressione economica 
per classi di stipendio, affermando il principio che dall'inizio al termine della carriera la 
retribuzione deve aumentare di una certa percentuale, la quale nell'attuale misura massima 
dell'85% risulta di gran lunga inferiore a quella prevista per altri fattori sia privati che pubblici. 
Per quanto riguarda i magistrati e gli Avvocati dello Stato debbo dire che l'attuale trattamento 
anche a volerlo guardare solo sotto il punto di vista della progressione economica 
per classi, la percentuale di aumento che va dalla qualifica di sostituto avvocato di Stato a 
quella corrispondente a Presidente di Sezione della Cassazione, che rappresenta il vertice 
massimo, � del 61%; addirittura inferiore alla percentuale ormai invalsa negli altri settori del 
pubblico impiego. 
Per quanto riguarda le propine, io ritengo che questi emolumenti vadano conservati. Indubbiamente 
detti incentivi economici hanno sempre esercitato una notevole funzione di stimolo 
sull'attivit� degli Avvocati di Stato, se a ci� si aggiunge poi un nuovo tipo di gestione 
collegiale dell'Istituto, si potranno anche evitare tutte quelle forme di favoritismi o altro, alle 
quali ha precedentemente accennato l'amico Vitaliani. 
PLINIO SACCHETTO (*) 
�Imparzialit� ed efficienza nell�attivit� consultiva� 
Cercher� di, non prolungare inutilmente questo dibattito, che � stato cos� ricco ed in cui 
anche il tema a cui volevo soffermarmi particolarmente, quello dell'attivit� consutiva dell�Avvocatura 
� stato gi� largamente toccato. 
� chiaro che la funzione consultiva va inquadrata nel problema in generale della pubblica 
amministrazione, in quanto serve come momeno non solo di verifica formale ma di coordinamento 
operativo fra organi e di propulsione dell'attivit� decisionale, e quindi la sua valorizzazione 
pu� essere, in una situazione generale come questa, un primo punto di partenza per una 
inversione di segno. Naturalmente anche all'interno dell'Avvocatura non mancano i problemi 
e le carenze; ma, ne ha dato atto il collega Vitaliani che non � sospetto di eccessive morbidezze 
nei giudizi autocritici, sostanzialmente 1�Avvocatura � uno strumento valido e gli avvocati 
dello Stato sono persone competenti e probe; se, quindi, disfunzioni e forme di attenuazionee 
di un impegno lucido e coerente possono esservi state, io credo con tranquilla coscienza di 
poter dire che non abbiamo intaccato quello che � il nerbo e la potenzialit� dell�Avvocatura. 
Questa � la premessa, per verificare anche la disponibilt� dell�Avvocatura all�esercizio 
di una funzione cos� delicata come quella consultiva. 
(*) Avvocato dello Stato, Avvocato distrettuale di Venezia e Avvocato Generale dal 1999 al 2001.
44 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2015 
A livello tecnico, 1�importanza assunta oggi dall�attivit� consultiva � strettamente collegata 
con la complessit� degli apparati organizzatori che lo Stato moderno -assumendo nella 
sfera del "pubblico" sempre pi� vasti ed essenziali settori di interessi- � andato istituendo. Ma 
il problema assume tanto maggiore rilevanza a livello politico in uno stato caratterizzato, 
come il nostro, dal pluralismo istituzionale ed in cui, pertanto, tutti i meccanismi dell�attivit� 
pubblica debbono essere articolati in modo da corrispondere a tale esigenza, per ragioni giuridico 
costituzionali prima ancora che tecnico-amministrative. Se, per tal modo, viene superata 
(o va impostata in diversi e pi� larghi termini) 1'antica querelle di origine weberiaria sulla 
c.d. neutralit� della P.A. (vedasi sulla relativa problematica Caralassarre, l' amministrazione 
e il potere politico), � evidente che anche l'attivit� consultiva- pur essendo di per s� tipicamente 
strumentale e conoscitiva (Giannini) - va collocata in un pi� ampio contesto. 
Mentre, quindi, ormai sul piano strumentale di consulenza tecnica si parla in un senso 
molto pi� ampio, non solo per le scienze naturali, ma anche per quelle giuridiche (tanto � vero 
che, lo dico per inciso, quando nella legge delega 382 del '75 sul trasferimento ulteriore di 
funzioni alle Regioni si prevede la possibilit� di utilizzazione da parte delle Regioni di uffici 
tecnici, secondo questa pi� larga accezione recepita dalla dottrina moderna ben vi potrebbero 
rientrare anche quelli legali), lo sviluppo degli organi consultivi diviene essenziale non solo 
per mettere appunto congegni e strumenti di amministrazione e per studiarne il raccordo sotto 
un profilo meramente efficientistico, ma per renderli adeguati ad un sistema costituzionale 
che ha il suo fulcro nella democrazia ed i suoi elementi portanti nelle strutture pluralistiche. 
La funzione dell'attivit� consultiva in questa nuova ottica corrisponde cio� non soltanto 
ad una esigenza di efficienza, ma prima ancora di garanzia (non solo per singoli, ma per la 
collettivit� in generale) e di imparzialit� dell�azione pubblica. Che l'instaurazione dell�autonomia 
in base all�art. 5 sia un elemento essenziale per la realizzazione di una reale imparzialit� 
� stato gi� pi� volte posto in rilievo: da ultimo il Berti, in una sua monografia nel Commentario 
alla Costituzione del Branca, ha sottolineato come solo una amministrazione fondata sull�autonomia 
e sul decentramento, non determinata a priori da rigide disposizioni legislative, tradotte 
autoritariamente dalla burocrazia gerarchizzata, pu� essere imparziale o comunque 
tendere all'imparzialit� e all'obiettivit� in quanto esprime quanto meno mediamente un numero 
sufficiente di interessi collettivi effettivi. 
Ora, se � chiaro che il principio della democraticit� pluralistica coinvolge tutti i settori 
della vita pubblica e si riflette sulla stessa configurazione dell'interesse pubblico, quando si 
parla di imparzialit�, specificatamente nell'attivit� consultiva, non si tratta solo di evitare discriminazioni 
arbitrarie tra i destinatari dell'azione amministrativa, ma di inquadrare i problemi 
nella totalit� dell�ordinamento costituzionale e dell'indirizzo politico generale che lo realizza, 
il che evidenzia ovviamente i limiti della cos� detta neutralit� dell'amministrazione. 
� in questo quadro pertanto che va collocata sia l'attivit� consultiva di interpretazione 
delle norme e degli istituti in senso proprio come quella preordinata a fini pi� direttamente operativi, 
e che si realizza nella predisposizione degli strumenti, dei raccordi, dei metodi applicativi 
resi necessari dalla realizzazione di nuove strutture e dalla messa in efficienza e dal 
coordinamento delle precedenti. 
La delicatezza e la complessit� dei problemi ha reso manifesta da tempo la necessit�, 
pi� volte sottolineata, di un lavoro di "�quipe" che assicuri al massimo -sin dal primo momento 
progettuale ed elaborativo- sia l'efficienza che l'imparzialit�, nel senso illustrato, dell'azione 
amministrativa: un lavoro di �quipe, quindi, in cui accanto all'ausilio della preparazione giuridica 
teorica siano presenti gli apporti della conoscenza diretta dei meccanismi operativi nella
SEMINARIO 45 
loro fisiologia e nella loro patologia, e l'aderenza immediata e l'altrettanto immediata possibilit� 
di reazione e di soluzione rispetto ai singoli concreti problemi, apporti in cui l'esperienza 
professionale da una prospettiva non limitata ma organica sembra difficilmente sostituibile. 
Ed � sotto questo profilo soprattutto che si qualifica la consulenza dell'Avvocatura, che, 
garantendo una visione organica e coordinata degli interessi pubblici e dei relativi strumenti, 
ed evitando frammentarie e contraddittorie iniziative ispirate da contingenti situazioni, pu� costituire 
elemento di chiarezza e, quindi, di garanzia dello spirito democratico dell'ordinamento. 
Ci� tanto pi� che l'Avvocatura, avendo fondamentalmente mantenuto larga indipendenza 
nelle varie amministrazioni ed avendo sempre contribuito al coordinamento della loro azione, 
potr� essere valorizzata non solo per un'attivit� consultiva in senso stretto, ma per fini largamente 
propulsivi, come supporto della necessaria ristrutturazione dell'apparato amministrativo 
secondo il nuovo modello dello Stato regionale. 
Quella � stata l'impostazione tendenziale dell�Avvocatura di inquadrare i problemi, salvo 
casi patologici o limitati, in un piano pi� ampio di visione dell'ordinamento costituzionale pu� 
trovare proprio il suo banco di prova e di verifica di fronte al problema del raccordo tra i poteri 
dello Stato in senso stretto e delle Regioni e, quindi, in primo luogo nella funzione consultiva 
e promozionale. � tanto vero ci� che il sistema gi� instaurato nell'assistenza alle Regioni a statuto 
speciale, che vanta una trentennale esperienza, ha avuto risultati nettamente positivi. 
L 'Avvocatura pu�, perci�, porsi come struttura tecnica essenziale in posizione strumentale 
rispetto alle decisioni del potere politico, centrale o regionale, capace di gestire norme 
emanate dai legislatori nella prospettiva del pubblico interesse generale. 
E queste possibilit� potrebbero sin d'ora essere utilizzate, per la funzione consultiva, 
anche per i comuni, le cui esigenze non erano sfuggite nei precedenti incontri e tanto pi� ora 
saranno accentuate dalla loro prevista funzione centrale sul piano delle autonomie; mentre 
per una analoga utilizzazione della funzione contenziosa, su cui ha pure richiamato l'attenzione 
dell'Onorevole Conti, sono tanto pi� pressanti la ristrutturazione dell'Avvocatura e la ricerca 
di mezzi adeguati per il suo funzionamento; problemi che solo il legislatore pu� risolvere. 
Comunque, un'assistenza istituzionalizzata, che superi l'ottica centralistica ed investa 
direttamente i problemi dell'autonomia, pu� essere preziosa per l'assistenza alle Regioni nei 
primi passi fondamentali del previsto trasferimento ad esse di altre essenziali funzioni e potrebbe 
ripercuotersi positivamente anche sugli enti locali, perch� l'Avvocatura in sede regionale 
sarebbe, secondo quanto si � detto e si dovrebbe prevedere legislativamente, autonoma 
politicamente dal potere centrale ed autonoma professionalmente e tecnicamente dal potere 
regionale, che del suo apporto per altro resterebbe sempre arbitro in sede politica. 
Nell'esaminare il problema del consultivo non si pu� naturalmente, lo ha gi� accennato 
il collega Mazzella, ignorare che vi � un organo di antica ed affermata tradizione come il Consiglio 
di Stato, cui � riconosciuta dalla stessa Costituzione un'attivit� consultiva generale e che 
esigenze di organicit�, chiarezza ed efficienza suggeriscono di puntualizzare le rispettive sfere. 
Una discriminazione teorica � difficile; semmai sono le origini, le posizioni storiche e 
le posizioni reali assunte oggi dall'organo a indicarne le possibilit� future e del resto l'art. 100 
lascia aperta una possibilit� di riesame come quella indicata dal collega Mazzella. 
Indubbiamente, e non posso che limitarmi a qualche breve indicazione, un primo elemento 
significativo, che non pu� che riflettersi sulla portata della sua funzione consultiva, � la funzione 
del Consiglio di Stato, diventata preminente. Ma anche analizzando le rispettive previsioni legislative 
delle funzioni consultive del Consiglio di Stato e la prassi che almeno tendenzialmente 
le ha attuate, gli elementi essenziali caratterizzanti ne emergono con una certa chiarezza.
46 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2015 
� essenziale per il Consiglio di Stato la funzione di assistenza del governo (che un tempo 
nasceva da una richiesta di un avallo della volont� del Principe) per determinati atti normativi 
o di portata generale specificatamente indicati, mentre la consulenza generale non si pu� dire 
che essa mai abbia assunto caratteri organici. 
Proprio il carattere formale e solenne della consulenza del Consiglio dello Stato ad iniziativa 
dei vertici ministeriali, previsto dalla legge essenzialmente come momento tipico e 
predeterminato in un pi� ampio iter procedimentale, ne identifica e delimita l�ordinaria possibilit� 
di utilizzazione. 
D'altra parte, se in base alla stessa analisi della legge queste funzioni trovano il loro momento 
focale nella consulenza sui poteri organizzati e quindi, al limite, sui poteri di alta amministrazione, 
la cui demarcazione dei poteri politici non � poi oggi d'altronde cos� pacifica, restano 
larghi spazi su cui la funzione consultiva del Consiglio di Stato non si esercita se non marginalmente 
ed � il campo dei rapporti intersoggettivi. Vi �, ad e sempio, un campo tipico come quello 
tributario in cui il ruolo dell'Avvocatura � sempre rimasto, a livello istituzionale ed organico privilegiato 
anche in linea di principio, ed � da chiedersi se abbia ancora ragione d'essere un duplice 
controllo sulle transazioni, in cui i presuppotti si affondano in una valutazione che richiede una 
particolare visione globale dei problemi reali. Mentre sembra incontestabile, anche collocando 
la consulenza dell�Avvocatura in rapporto con la sua funzione contenziosa, che sia un suo tipico 
campo di operativit� consultiva quello in materia di giudizi di costituzionalit�. 
Cos�, l'attivit� consultiva dell�Avvocatura potr� trovare un sempre pi� largo campo di 
utilizzazione -conform� alla sua specifica caratterizzazione professionale- nei settori in cui 
gli aspetti autoritativi dell'attivit� pubblica si alternino ed assumano rilievo quelli della contrattazione, 
rendendosi necessaria un'assistenza immediata ed assidua alla P.A. nella fase dei 
contatti preliminari con le categorie ed i privati. 
Quindi, se i problemi di una pi� puntuale determinazione dei rispettivi settori di competenza 
consultiva pu� considerarsi aperto da lungo tempo, esso si pone in termini pi� ampi di 
fronte alla segnalata estensione del "pubblico" ed all'articolazione degli apparati di gestione 
pubblica del sistema pluralistico. E la serie dei problemi immediati di interpretazione di norme 
nuove, della loro applicazione concreta, della delimitazione di competenze, della messa a punto 
di strumenti di raccordo e di meccanismi operativi � diventata imponente di fronte al trasferimento 
alle Regioni di numerose materie, gi� avvenuto ed in corso di ulteriore verificazione. 
In questa ottica l�assistenza dell'Avvocattra diventerebbe essenziale a livello di Regioni, 
sia che essa ne assuma o non ne assuma l'assistenza diretta, trattandosi di svolgere un'azione 
organica e permanente a livello diffuso, basata su un'esperienza immediata di problemi concreti, 
collaudata in modo insostituibile dalla pratica professionale, che offre, come abbiamo 
detto, attraverso la loro stessa patologia la conoscenza pi� completa dei meccanismi amministrati 
e, quindi la possibilit� di colmare le loro disfunzioni. 
Non a caso, del resto, la dottrin� pi� avvertita, (Giannini) aveva gi� notato come accanto 
ai pareri formali veri e propri -che si collocano in rigidi procedimenti di tipo complesso- l�amministrazione 
dello Stato moderno rende indispensabile anche un tipo di attivit� consultiva 
pi� sciolto e snello, al limite anche orale (il che non significa ovviamente n� che di esso non 
debba restare traccia n� che venga meno la sua funzione di garanzia). 
Altrettanto dicasi per l'enucleazione nell'ambito dell�attivit� consultiva, di quello di studio 
e di elaborazione di progetti, attivit� che infine pu� spesso sfociare (ed � bene sfoci) in concrete 
proposte idonee a colmare carenze, ritardi, fraintendimenti dell�amministrazione di fronte a tanti 
nuovi e complessi problemi. Dubito, quindi, anche con la piena coscienza dei limiti che in una
SEMINARIO 47 
fase almeno iniziale di attivit� potrebbero porsi, che una funzione del genere, pronta, duttile e 
realistica, ma innestata su una visione globale dei problemi dell'ordinamento generale, potrebbe 
essere assolta pi� efficacemente che da un'Avvocatura dello Stato adeguatamente ristrutturata. 
Per concludere, mi sembra confermato quanto rilevato dalle relazioni introduttive: l� Avvocatura 
ha conservato un grosso potenziale di esperienza e di efficienza tecnica (ed anzi va 
sottolineato, rispetto ad altri organi, che la sua composizione avviene su base totalmente tecnica) 
che, per altro, potr� realizzararsi di fronte a tali problemi tanto pi� efficacemente con una attivit� 
di �quipe ormai indispensabile per q.alsiasi seria attivit� conoscitiva e con una maggiore autonomia 
delle avvocature distrettuali, anche in vista dell'eventuale assistenza alle Regioni. 
Due punti che costituiscono i perni dell�auspicata reintegrazione e ristrutturazione dell�Avvocatura. 
ANTONIO FRENI (*) 
�Il rapporto tra l�avvocato e la politica� 
Chi parla per ultimo versa sempre in qualche difficolt�, perch�, in genere, trova che 
quelli molto pi� bravi che lo hanno preceduto, hanno esaurito gli argomenti; in particolare 
difficolt� versa poi chi come me, avendo partecipato ai lavori preparatori di questo convegno, 
trova gi� largo riscontro alle sue opinioni nelle relazioni introduttive, sulle quali si � articolato 
il dibattito, con apporti di sostanziale consenso. 
Perci� in questo breve intervento, che per essere l'ultimo non merita di essere svolto su 
di un tema specifico, vorrei limitarmi a sottolineare il rilevante interesse che in questo dibattito 
ha avuto il tema di un auspicabile rapporto Avvocatura-Regioni, che esprime la tendenza 
ad una diversa concezione dei rapporti tra Stato e Regioni ed anche del ruolo dell'Avvocatura. 
Al termine del nostro primo incontro, nel quale avemmo un approccio preliminare con 
i temi distinti, ma dei quali gi� intravedevamo la connessione, della riforma dell'Avvocatura 
e dell'eventuale attribuzione ad essa del patrocinio delle Regioni, se non ricordo male, tra il 
serio e il faceto, dissi a Violante, che coordinava i nostri lavori "non vorrei avere l'aria dell'ospite 
invitato a pranzo, nell'accomiatarsi cerca di portarsi via le posate d'argento, ma sono 
convinto che, se ci sar� dato il patrocinio delle Regioni, la riforma dell'Avvocatura avr� nei 
fatti un avvio che la legge non potr� tardare a sanzionare�, anche se ovviamente � preferibile 
che la legge, che aspettiamo da dieci anni, non tardi comunque. 
Infatti, non c'� possibilit� che l'Avvocatura "cos� come � costituita" assolva a questo 
nuovo ruolo, non gi� perch� non ne abbia le capacit� tecnico-professionali, che, anzi, possiamo 
dircelo senza false modestie, ci sono generalmente ed anche autorevolmente riconosciute, 
quanto perch� essa � costituita e strutturata a misura di uno Stato vecchio, di stampo 
burocratico, caratterizzato da una distinzione, spesso malintesa, tra politica e amministrazione, 
del resto tralatizia di una concezione monarchica dello Stato, nel quale, anche quando 
il potere politico si ricollega al popolo, la burocrazia, come la giustizia, fa capo alla "corona", 
la prima in posizione apparentemente meno vicina ma sostanzialmente pi� prossima della 
seconda. 
(*) Avvocato dello Stato e poi Vice Avvocato Generale.
48 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2015 
Questo spiega, secondo me, che nel risvolto della medaglia, che la Zecca, la quale non 
riesce a coniare gli spiccioli per i cittadini, ha potuto emettere in oro, argento e bronzo per 
celebrare il centenario dell�Avvocatura (quello che pochi intimi hanno festeggiato l'anno 
scorso, non il bicentenario, cui alludeva Laurenti), non si sia trovato di meglio per far ricordare 
al festeggiato che di rispolverare una vecchia frase di Costa, che � stato avvocato generale tra 
il 1885 e il 1897, secondo cui "l�Avvocatura cos� come � costituita esercita una vera missione 
� funzione di giustizia". 
Questa frase � s� una sintesi di quella visione giustizialista dell�Avvocatura, alla quale 
hanno gi� accennato criticamente Violante e altri intervenuti, ma nell'ottica di una differenziazione 
degli apparati burocratici, in una chiave di preminenza rispetto a questi apparati e di 
concorrenza con il giudice, che sostanzialmente finisce nella "separatezza'' e nel non sempre 
splendido isolamento di cui l�Avvocatura ha poi sovente sofferto. 
In una situazione di questo genere si spiega come mai ci sia stato (Mazzella e Laurenti 
hanno detto, con accento un po� critico, un tardivo interesse), io direi un interesse che ha stentato 
a trovare ingresso da parte di certe forze. Pur avendo con Laurenti e Mazzella condiviso 
da dieci anni tutte le battaglie per la riforma dell�Avvocatura nei sensi che oggi trovano largo 
consenso ma che in passato non ci hanno risparmiato, specie all�interno dello staff dirigente 
dell'Avvocatrura, critiche ed irrisioni, non me la sentirei per� di fare ad altri accuse o critiche 
per non aver subito condiviso quelle battaglie. C'� infatti una ragione per cui certi nodi arrivano 
al pettine in un dato momento. 
Stamane ho ascoltato con grande interesse 1e relazioni e tutti gli interventi, che mi sono 
sembrati estremamente pregievoli, ma ho ascoltato con particolarissino interesse l 'intervento 
dell�onorevole Conti il quale portava una sua esperienza di amministratore regionale. Mi sono 
rafforzato nell'idea che non � per caso che questo interesse per l�Avvocatrura e quindi, una 
volta approfondita la conoscenza dell'Avvocatura per una riforma di essa, avvenga nel momento 
in cui si pensa di attribuire a questo istituto il patrocinio delle Regioni. 
Perch� questo? Perch� le Regioni a statuto ordinario hanno modelli che sono diversi dai 
modelli ai quali noi eravamo abituati, hanno modelli diversi da quelli dello Stato centralizzato; 
hanno modelli diversi, e questo lo ha sottolineato bene l'onorevole Conti, da quelli delle Regioni 
a statuto speciale. 
L�Avvocatura cos� come � costiutita poteva servire agli interessi dello Stato centralizzato 
e burocratizzato e delle Regioni a statuto specicale, anche se in questa misura meno accentuata, 
in fondo l�Avvocatura � congeniale all�amministazione alla quale � raccordata, concepita come 
"burocrazia": entit� distinta dal potere politico e che gi� rappresenta per se stessa un polo politico 
autonomo. 
Non � senza significato, per esempio, che di un Presidente del Consiglio dei Ministri, 
al quale generalmente si riconoscono elevate capacit�, ci dicesse, con malcelato compiacimento 
che si occupava solo di politica, mentre lasciava stare l'amministrazione al suo capo 
di Gabinetto, personaggio di notevole esperienza e competenza, ma non politicamente rappresentativo. 
In un assetto del genere l'Avvocatura non ha alcun rapporto col potere politico, il rapporto 
� fra organismi burocratici. A questo punto si pu� capire come tutte le istanze per la riforma 
dell'Avvocatura, anche le nostre, legittime e non necessariamente corporative perch� 
provenienti da noi, giacch� noi prima di essere avvocati dello Stato siamo cittadini della Repubblica, 
partecipiamo alla vita politica, militando nei partiti, partecipiamo ai sindacati, militando 
nelle organizzazioni confederali, o in esse riconoscendoci (come fa 1'Associazione
SEMINARIO 49 
democratica degli Avvocati e Procuratori dello Stato) e quindi siamo portatori di valutazioni 
politiche anche se maturate nell'esperienza della realt� che professionalmente viviamo; dicevo, 
si pu� capire come queste istanze hanno avuto bisogno di tempo per maturare. 
� stato necessario che il problema dell'Avvocatura fosse visto nell'ottica di modelli organizzativi 
diversi da quelli ai quali eravamo abituati e che noi in un certo senso avevamo 
prefigurati, ma che ancora non esistevano come realt� concrete, operanti. 
In fondo, per dirla in modo semplificato, finch� il problema si poneva in termini di rapporti 
tra burocrazie e di preminenza dell'una o dell'altra (bella l'immagine fatta da Laurenti di Tartarino, 
ma potrebbe essere pi� calzante quella della statua di Sant'Agostino, che schiaccia l'eresia, ubicata 
all'ingresso del convento nel quale ha sede l'Avvocatura) ebbene, in siffatta fase, alla fin 
fine, non ha molta importanza stabilire se debba essere l'Avvocato dello Stato a schiacciare l'intendente 
o viceversa. Sono problemi di scarso interesse anche dal punto di vista politico. 
Quand'� che il problema si pone in termini effettivi? Si pone con le Regioni a statuto 
ordinario per le ragioni che molto bene ci ha illustrato Piero Ferri; sinteticamente perch� esse 
hanno modelli organizzativi in cui la presenza di chi ha la rappresentanza politica della collettivit� 
e addirittura di organismi di democrazia partecipatica � pi� accentuata. 
D�altra parte quanto � pi� vicino l'organo che ammininistra al cittadino e quanto pi� il 
cittadino partecipa all'amministrazione tanto pi� questo si sente. 
Probabilmente una cosa del genere emerger� anche per lo Stato centralizzato, nel limite 
in cui anch'esso adotti altri modelli. Io non so, perch� nell'Avvocatura ciascuno di noi � monade 
nel seno della monade onnicomprensiva dell'Avvocato generale e dei suoi pi� stretti collaboratori, 
ad esempio, se ed in che modo siano gestiti i rapporti con gli organi rappresentativi 
creati nell'ordinamento scolastico dai decreti Malfatti e dei quali si potr� dire tutto quello che 
si vuole ma � certo che realizzano una vasta partecipazione dei cittadini. 
Sarei curioso di sapere se 1'Avvocatura sia mai stata investita da una richiesta di parere 
da parte di questi organismi rappresentativi, se l'abbia dato e in che modo, con quali contatti 
con i componenti di questi organi, ovvero l'abbia rifiutato magari trinceraridosi dietro il dito 
di dire: tu non me lo dovevi chiedere direttamente, ma me lo dovevi far chiedere dal Provveditore 
degli Studi o da altro organo burocratico. 
Naturalmente quando cambiano i modelli organizzativi cambia anche il tipo di rapporto 
e la considerazione dell'Avvocatura dello Stato e credo che anche qui non sia senza significato 
che Violante abbia dedicato una parte della sua relazione, la parte finale, all'aspetto del nodo 
del rapporto fra l'Avvocatura dello Stato ed il potere politico; problema che ovviamente il rapporto 
con le Regioni rende pi� comprensibile. Il problema del rapporto con le Regioni diviene 
cos� in un certo senso la cartina di tornasole dei nodi di una seria riforma dell'Avvocatura. 
Un altro di questi nodi serio e non corporativo � quello dell'autonomia delle avvocature 
distrettuali. Finch� non si � posto il problema di avere un diverso rapporto con un altro "cliente" 
che, non � pi� lo Stato, ma sono le Regioni, in fondo quello di dare o no autonomia alle 
avvocature distrettuali poteva sembrare nella migliore delle ipotesi, un problema di bottega 
se non addirittura uno dei quei tradizionali giochi di potere interni nel quadro di quelle lotte 
e di quegli accordi delle burocrazie, che la classe politica farebbe bene a stroncare ma che 
di fatto preferisce lasciare gestire sino alla consunzione alla ccorporazione. Ma il problema 
diventa invece politico e quindi vero e comprensibile nel momento in cui l'autonomia delle 
avvocature distrettuali si collega ad un fatto serio che esiste nella realt� del paese, cio� al 
problema della difesa delle Regioni. In questo contetesto ha un senso, al di fuori non l'avrebbe 
avuto.
50 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2015 
Lo stesso � per il problema del rapporto fra l'Avvocatura e il potere politico. Questo problema 
in passato e finch� il potere politico � stato "omogeneo" pu� aver avuto momenti di 
tensione, ma normalmente non si � avvertito perch� l'Avvocatura, anche per la nomina dell'avvocato 
generale da parte del Presidente del Consiglio, alla fin fine era congeniale a quel 
tipo di potere politico che ho definito "omogeneo", intendendo riferirmi all'omogeneit� delle 
ideologie e degli interessi da esso rappresentati. 
Insomma nello Stato liberale o nello Stato fascista che ragione mai al mondo ci sarebbe 
stata che sorgesse un conflitto fra l'avvocato generale e il Presidente del Consiglio nel quale 
si riassumeva l'omogeneit� del potere politico? 
A parte che sarebbe stato un suicida quell' avvocato generale che avesse fatto sorgere un 
conflitto di questo genere perch� sarebbe suto allontanato nello spazio di pochi giorni, il conflitto 
sarebbe solo stato espressione di una incompatibilit� soggettiva e non di una sostanziale disomogeneit�, 
sicch� non si sarebbe potuto risolvere se non con l'allontanamento del pi� debole. 
Un problema di questo genere si pone invece quando la rappresentativit� politica si fa 
sempre pi� vasta e disomogenea, perch� allora bisogna evitare, qui ha ragione Violante, che 
alla fine l'avvocato generale faccia, sotto lo schermo di un fantomatico tecnicismo neutrale, 
una sua politica che sia la politica di una delle parti che cogestiscono il potere politico, mentre 
l'Avvocatura deve essere al servizio del potere politico nella sua globalit� e secondo un corretto 
rapporto istituzionale. E qui dobbiamo dirci francamente che un grave errore � stato compiuto 
allorch�, essendoci governi che avrebbero dovuto assicurare una pi� larga partecipazione, e 
non solo essi, non hanno capito la necessit� in quel momento di porre l'accento su questo problema 
e di battersi per una riforma seria dell'Avvocatura. 
A questo proposito a me pare di poter condividere molte delle cose che ha detto egregiamente 
Vitaliani. Molti problemi nascono quando l'avvocato dello Stato dimentica di essere 
un avvocato e crede di essere un giudice o un superiore, perch� in entrambi i casi non si giustappone 
ma si contrappone all'amministrazione, e quindi ne � visto con fiducia, con timore. 
Nessun avvocato pu� essere visto con timore dal suo cliente; nessun cliente pu� andare da un 
avvocato e pensare di essere giudicato o comandato da questo. La funzione dell'avvocato � 
quella di consigliare. Ha ragione Vitaliani: un buon avvocato si distingue per la fiducia che in 
lui ripone il cliente e che 1'avvocato si � saputo conquistare per le sue qualit� morali e per la 
sua capacit� professionale. Le ipotesi di conflitto saranno marginali, se c'� questa fiducia e 
tanto pi� si ridurranno nel limite in cui si eviter� che il parere (naturalmente non quello di 
"routine") nell'Avvocatura sia il parere di uno solo e si preferir� invece il parere che nasca da 
un dibattito collegiale. Un dibattito tecnico, ma siccome il dibattito tecnico allo stato puro 
non esiste, questo tipo di dibattito � anche un modo attraverso il quale emergono gli interessi 
che sono alla sostanza del rapporto, del problema che si deve considerare, perch� ciascuno di 
noi ha una formazione culturale, ha una formazione politica che naturalmente influisce anche 
sui suoi ragionamenti tecnici. 
Questa partecipazione assicura non solo una migliore qualit� del prodotto, ma anche 
una pi� ponderata valutazione. Trovo quindi, che questa sarebbe gi� una garanzia che depotenzierebbe 
le eventualit� di conflitto. Non cՏ dubbio comunque che l�Avvocatura non pu� 
essere depositaria di scelte politiche perch� l�Avvocatura e gli avvocati dello Stato non sono 
organi rappresentativi. Conseguentemente la scelta politica, anche per chiarezza, per evitare 
ambiguit�, deve spettare al potere politico che ne risponde al Parlamento. I modi tecnici per 
attuare quelle scelte politiche debbono essere invece riservati all�autonomia funzionale, alla 
capacit� professionale dell'avvocato dello Stato, perch� se cos� non fosse si correrebbe poi
SEMINARIO 51 
l'altro rischio di deresponsabilizzare l'avvocato dello Stato e non solo giuridicamente ma e 
soprattutto moralmente, che secondo me � la peggiore deresponsabilizzazione. 
Non so se si possa accettare per le ipotesi residuali di conflitto, il sistema proposto da 
Violante. 
Certo la soluzione attualmente prevista dall'art. 5 del T.U. � indubbiamente anomala e 
pu� prestarsi ad altre forme di evasione da un corretto rapporto con l 'Avvocatura, ed ha tutta 
l�aria di un modo di accomodamento all'italiana di certe situazioni. Se tensioni ci sono le tensioni 
debbono esplodere a farsi correttamente risolvere. Il sistema proposto da Violante che 
assomiglia a quello della registrazione con riserva e cio� che in caso di disaccordo l�avvocato 
dello Stato esegue, ma l�autorit� politica riferisce in Parlamento o l�autorit� regionale riferisce 
all�organo regionale rappresentativo, cos�, d'acchito, perch� l'ho ascoltato qui per la prima 
volta, mi lascia perplesso. Infatti dubito fortemente che un avvocato che non sia convinto 
possa portare avanti una tesi che ritiene insostenibile e non sarebbe dignitoso. Per� trovo che 
anche questo sia marginale perch� dobbiamo guardarci seriamente e dirci le cose come stanno; 
io non credo che capiti sovente che qualcuno voglia fare una cosa che sia assolutamente impossibile 
fare. Normalmente il parere dell'avvocato � un parere che dice: "con 70 probabilit� 
su 100 seguendo questa strada si ottiene questo risultato". Giocando sull'altro non trascurabile 
30% pu� anche seguirsi un'altra strada, del cui rischio il Governo deve rispondere. 
In tal caso il problema non si pone in termini drammatici, lo diverrebbe se il parere fosse 
nel senso che quel risultato non pu� raggiungersi. Non so a questo punto come possa risolversi 
questo conflitto. Se ci fosse una collegialit� all'interno della Avvocatura che garantisca che 
l'avvocato generale non si avvalga dei suoi poteri per suoi fini politici, per fare il ministro 
ombra del contenzioso, credo che si potrebbe anche immaginare in questo caso che il conflitto 
sia tecnico e non politico. Se un ponte non si pu� costruire, non si pu� costruire e farebbe 
bene a chi di dovere a prenderne atto. Il discorso allora � solo questo sulla "fiducia" del cliente 
nell'avvocato la collegialit� dell'avvocato pu� accrescere questa fiducia sia dal punto di vista 
professionale sia dal punto di vista politico. 
C O N C L U S I O N I 
ROBERTO MAFFIOLETTI (*) 
Ringrazio anzitutto gli intervenuti che hanno dato modo a questa riunione di svolgersi 
in modo costruttivo, sia perch� ha evitato, a me se volete una conclusione vera e propria, 
anche se questo seminario non aveva uno scopo consultivo, ma era un momento di approfondimento, 
sia perch� dal punto di vista del dibattito molte cose sono gi� state definite in modo 
unitario. La discussione si � ricollegata in modo proficuo a relazioni stimolanti ed apprezzate 
che hanno introdotto questo dibattito, proponendo dei punti che complessivamente sono stati 
ripresi, ampliati e sui quali vi � stato un contributo serio che costituir� un elemento prezioso 
per un lavoro di definizione, che sar� la vera sede conclusiva della discussione. 
Con questi limiti, quindi, mi permetto di svolgere solo alcune osservazioni che sono 
(*) Avvocato, senatore PCI dalla VI alla X legislatura.
52 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2015 
prevalentemente di carattere generale. La prima � certamente quella che noi discutiamo in 
una fase in cui alle trasformazioni sociali in atto nel nostro paese da alcuni anni si stanno accompagnando 
fasi di trapasso e di trasformazione sul piano istituzionale. 
�questo un processo complesso, che si svolge non pacificamente, ma pieno di contraddizioni 
e di problemi, ma � un processo di profondo cambiamento che attiene alla stessa vita 
costituzionale dello Stato, alla vita pubblica in generale. Siamo nel pieno svolgimento di un 
processo di redistribuzione delle funzioni e delle competenze: dallo Stato alle Regioni, dallo 
Stato agli enti locali, in un processo in cui � il ripensamento della sopravvivenza della provincia, 
della nascita di nuove istituzioni locali a carattere comprensoriale, dalla nascita di 
nuovi istituti e forme di partecipazione in settori vitali della pubblica amministrazione, soprattutto 
per quanto attiene ai servizi sociali; quindi, sta cambiando molto dell�ordinamento 
ed in questa fase discutiamo dell'Avvocatura dello Stato. 
� giusto che sia cos�, che prevalga una logica che dall 'esterno porti all'interno i problemi 
e non sia invece il contrario, quando le logiche prefabbricate o chiuse nell'ambito degli organismi 
non riescono a prevalere proprio perch� hanno questa angustia e non si collegano a problemi 
generali del paese. 
Noi abbiamo in questa fase, quindi, non solo questi processi di cambuiamento istituzionale, 
ma anche l'estensione progressiva del carattere pubblico della legislazione, dei caratteri 
pubblicistici della legislazione; un processo che vede anche, assieme ad un policentrismo istituzionale, 
un cambiamento tendenziale dell'atto amministrativo che tende sempre pi� ad essere 
un atto complesso, direi dello stesso comando legislativo che prima era rivolto in forma meccanica 
ad una burocrazia che lo eseguiva in modo puntuale o puntiglioso, se volete, che oggi 
diventa un comando legislativo pi� complesso che si rivolge a pi� organi, che richiede un'attivit� 
collaborativa, pi� professionale, da parte del pubblico funzionario, che richiede quindi 
nella tutela una attivit� pi� partecipata dello stesso difensore nel campo della interpretazione 
del diritto e della tutela giudiziaria. 
Si accresce con questo una professionalit� pubblica nuova per certi versi, che richiede di 
fare una cultura rinnovata nel campo di una compenetrazione crescente del diritto amministrativo 
col diritto costituzi�nale; ci� nel momento in cui sorge un diritto regionale ed occorre un processo 
di unificazione del diritto pubblico, che porti ad una moderna scienza dell'amministrazione che 
formi in modo unitario, in modo culturalmente nuovo i giuristi, gli operatori del diritto. 
Testimonianza di questo processo appena delineato, oggi tendenziale, sono l'estensione 
crescente dell'importanza dei tribunali regionali amministrativi, il cambio di qualit� cui sono 
sottoposti gli stessi modelli di organizzazione della pubblica ammininistazione e il fatto che in 
relazione al passaggio di poteri alle Regioni dallo Stato si prefigura la soppressione di gran parte 
delle direzioni generali e delle divisioni di molti ministeri; ci� sospinge oggettivamente verso 
una ridefinizione generale delle funzioni pubbliche, perch� questo si accompagna ad un processo 
di trasferimento e non solo per quanto riguarda la quantit� e 1'allocazione dei poteri, ma anche 
per quanto riguarda la qualit� e il contenuto di questi poteri; perch� � impossibile pensare, ad 
esempio, ad un riordinamento della pubblica amministrazione centrale solo come riaccorpamento 
degli spezzoni amministrativi che residuassero dei trasferimenti i nuovi poteri delle Regioni. 
�chiaro che le frammentazioni sussistenti e residue della amministrazione centrale per 
essere riordinate debbano essere ripensate in modo organico e, quindi, occorre una ridefinizione 
della stessa funzione, del concetto stesso di dicastero, un tempo collegato all'attivit� del ministro 
in senso proprio, spesso non collegato ad una materia organica, ma ad un'alluvionale formazione 
di competenze costruite da legislazioni stratificate nel tempo, uffizi del ministro come si
SEMINARIO 53 
diceva al tempo di Cavour. Ora invece il concetto di dipartimento o almeno di unit� amministrativa 
che sia preposta al compimento di un'attivit� amministrativa complessa e, quindi, capace 
di rendere un atto amministrativo completo, evitando i passaggi formali da un dicastero 
all�altro, gi� questo ci fa pensare ad un'azione della pubblica amministrazione di qualit� diversa, 
che tenda in un certo senso a trasformare l'atto amministrativo in atto programmatorio. 
Tutto questo pone problemi di adeguamento professionale, di qualit� nuova della professione 
del pubblico funzionario e di qualit� nuova e di disponibilit� nuova dell'avvocato 
dello Stato su questo terreno. Se ci fosse una c.ltura passiva, sorda, che si rinchiudesse nelle 
vecchie formule e non cogliesse il nuovo e non accompagnasse a questi processi il contributo 
di mobilitazione culturale anche degli operatori del diritto questa riforma, che � una riforma 
anche del modo di essere dello Stato, non andrebbe a compimento. 
Noi discutiamo quindi, di queste cose, con questo respiro e con queesto taglio, convinti 
che possiamo dare un contributo in questa direzione nella misura in cui sia la complessit� 
delle leggi, sia 1a complessit� degli atti amministrativi, sia l�urto delle cose che sottopone ad 
innovazioni continue gli stessi modelli dell'amministrazione sia centrale che periferica ci pongono 
problemi di valutazione giusta, equilibrata e seria dell'attivit� di tutela. 
In questo quadro istituzionale, quindi, noi discutiamo della Avvocatura dello Stato e non 
potevamo discuterne quando vi furono iniziative parlamentari che invece nascevano, diciamolo, 
sotto la spinta prevalente di esigenze interne; esigenze interne anche apprezzabili e giustificate, 
ma che si collocavano in un quadro diverso dal presente, in cui le forze di resistenza 
al nuovo e le forze che volevano conservare il vecchio quadro istituzionale erano in campo, 
sia apertamente che in modo coperto, nel difendere la vecchia struttura dell'apparato centrale. 
Era la fase in cui erano aperte le resistenze al decentramento regionale, erano aperte e spesso 
prepotenti le resistenze ad applicare la Costituzione per quanto riguarda i poteri regionali, ma 
anche erano sviluppate le politiche per una regolamentazione premiale di alti gradi e di alte 
sfere della pubblica amministrazione in una logica di conservazione. 
Tutto questo non � passato e non � sfumato come nebbia al sole, ma certo si apre un 
processo di qualit� diversa e questo � possibile soprattutto per il fatto che l'ordinamento regionale 
� oggettivamente l'asse trainante di un discorso di rinnovamento dello Stato ed � un 
discorso che non riguarda una vertenza, quindi, tra lo Stato e le Regioni in una visione conflittuale 
della questione, ma riguarda il modo di essere dello Stato, vi sono dunque le condizioni 
per rinnovare lo Stato e se, volete per unificare lo Stato su basi nuove, e v'� l'occasione 
di costruire un nuovo senso dello Stato di cui c'� bisogno in questo paese, un senso dello Stato 
che si costruisca su un processo di unificazione reale e che sostituisca al vecchio centralismo 
burocratico uno Stato capace di attuare la sintesi democratica, la sintesi politica e legislativa 
degli indirizzi. Uno Stato, quindi, che ha bisogno di una pubblica amministrazione rinnovata 
e in questo quadro capace di difendere i propri interessi sia nella sfera della sua potest� di imperio 
che nella sfera dei rapporti privati con i cittadini su un terreno adeguato e diverso. 
� chiaro che uno Stato cos� concepito non � lo Stato apparato centrale, � un stato inteso 
come ordinamento che comprende le Regioni e, quindi, che ha bisogno di un'Avvocatura che 
sia in grado di svolgere questa azione di collegamento con lo Stato ordinamento. Questo presuppone 
un adeguamento dell'istituto che punti soprattutto su una funzionalit� della sua struttura 
interna, sulla collegialit� del suo modo di lavorare, sulla rottura della struttura monocratica imperniata 
sulla figura anacronistica rispetto a questi compiti, a questa strumentaizione di un ordinamento 
che sia modellato su questo decentramento che lo Stato deve sempre pi� assumere. 
Questo vuol dire far perdere qualsiasi suggestione all'ipotesi del ruolo giustiziale del-
54 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2015 
l'Avvocatura, anzi comporta, in maniera equilibrata, un recupero della professionalit� sul terreno 
giusto, sul terreno di questa professionalit� pubblica che si richiede in genere a tutti 
coloro che collaborano all�attuazione delle leggi, in questa dimensione nuova alla quale ho 
accennato ed a una definizione, quindi, della sfera di azione dell'Avvocatura che riguadagni 
sul piano della qualit� anche la funzione consultiva. 
� chiaro che qui si aprono problemi relativi ad una definizione dei poteri relativi al Consiglio 
di Stato, ma questa � una salutare occasione perch� tutti i processi se sono collegati oggettivamente 
hanno una loro funzione naturale, tutto ci� che � meccanico, che attiene voglio dire ai rapporti 
diplomatici o dialettici interorganici, spesso corporativi, di quel dualismo corporativo che spesso 
si genera tra diversi poteri e funzioni dello Stato, � elemento patologico nella vita dell'ordinamento. 
Quando invece ci si pu� ricollegare ad una razionalit� generale dell�ordinamento questo � elemento 
salutare, che non comporta interventi strumentali o punitivi o corporativi. 
Sul terreno delle funzioni consultive del Consiglio di Stato vi � molto da definire, vi � 
molto da moralizzare, soprattutto per separare finalmente questo ruolo dei consultori del governo 
da quello dei giudici che � un elemento di inquinameno grave della nostra vita pubblica 
che deve essere in qualche modo affrontato. 
Abbiamo, quindi, questa esigenza di definire una funzione consultiva che ha un suo ambito 
di definizione, lo ha non solo per quanto riguarda le liti, la bont� delle liti, lo ha per l'importanza 
che assume sempre pi� la materia dei conflitti, i problemi di giurisdizione in un 
ordinamento pluralistico come il nostro, senza contare i problemi connessi ai giudizi di costituzionalit�. 
In molte questioni laddove al di l� del formalismo e vincendo un uso strumentale 
del parere del consiglio di Stato, spesso adottato per mascherare una decisione politica, si pu� 
utilizzare proficuamente il ruolo consultivo dell'Avvocatura senza stravolgere i punti essenziali 
dell'ordinamento nostro, che rimangono delineati dalla Costituzione del resto, si pu� introdurre 
nella funzione dell'Avvocatura dello Stato quegli elementi di modernit� e di dinamismo che 
ne debbono fare un elemento di razionalizzazione ulteriore della vita pubblica. 
� chiaro che questa professionalit� nuova che noi ricerchiamo si deve svolgere in quell�ambito 
di indirizzo e di controllo che deve svolgere non solo la Presidenza del Consiglio, ma 
anche le presidenze delle Regioni in questo caso e che questo pone come delicato ed interessante 
quel rapporto tra autonomia di definizione delle questioni giudiziarie ed indirizzo politico del governo. 
Qui abbiamo gi� ascoltato cose interessanti sia nella relazione di Violante che nella relazione 
di Lorenzoni ed anche nel corso del dibattito e credo che noi abbiamo gi� gli elementi per 
definire questo equilibrio e per definire una sfera di autonomia tecnico-professionale che non si 
riduce alla mera applicazione, ma conforta l�esercizio dell 'attivit� amministrativa con un apporto 
che gi� nella sfera professionale tiene conto dei fini statuali e che richiede, per potersi esplicare 
a pieno, che sia superata la struttura gerarchizzata, che ribadisce un momento di sottordinazione 
incompatibile con questo ruolo rinnovato dell�Avvocatura al servizio dello Stato e delle Regioni. 
Credo che questi sono gli elementi fondamentali di un discorso che tende a valorizzare 
certo le avvocature distrettuali e pone per� agli avvocati dello Stato nuove responsapilit�, non 
fa calare dall'alto un ordinamento che il Parlamento concede loro. Non si tratta, quindi, di 
premiare un servizio gi� egregio reso dagli avvocati dello Stato, perch� essi nella loro attivit� 
professionale hanno gi� guadagnato il rispetto dei giudici e di loro colleghi del foro privato, 
ma � un problema che interessa lo Stato, deve interessare le istituzioni della Repubblica. Avere 
uno strumento pi� efficiente, pi� adeguato, della difesa giudiziaria degli interessi pubblici 
deve corrispondere ad un interesse generale e richiedere, quindi, un impegno attivo anche sul 
piano dell'apporto delle categorie interessate.
SEMINARIO 55 
Le avvocature distrettuali possono essere valorizzate dal punto di vista strutturale con 
un disegno che richiede anche qui un rapporto vivo ed una mobilitazione professionale, qualcosa 
di pi� che non sia una semplice adesione burocratica ad un nuovo compito che si aggiunge 
agli altri. Una prova direi per gli avvocati dello Stato, una prova importante che noi 
che abbiamo voluto far uscire la tematica dell'Avvocatura dello Stato da una logica chiusa, 
che prevaleva almeno nei disegni di legge presentati al Senato nell'altra legislatura, sottraendo 
la disciplina legislativa dell'Avvocatura dello Stato a quella concatenazione meccanica dei 
trattamenti economici che � un portato della legislazione attuale, la nuova legge sull'Avvocatura 
dello Stato non potr� essere una specie della legge-pilota, che serva a trascinare meccanicamente 
altri trattamenti; occorre invece spogliarla di questi elementi e riportarla quindi ad 
un discorso di servizio dell�interesse dello Stato-ordinamento, nell�interesse della riforma 
della pubblica amministrazione, nell'interesse delle Regioni, per moralizzare la vita pubblica, 
per introdurre in tutta la vita pubblica, nello stato centrale e in sede regionale un rigore che 
sia anche dato dalla qualit�. � questa la principale riforma che noi dobbiamo introdurre perch� 
ciascuno faccia il suo dovere appieno, sia utilizzato in modo giusto a livello delle proprie capacit�, 
senza discriminazioni e favoritismi. 
Se avesse fatto questo il Presidente dell'I.R.I. nel dare il parere al governo sul centro siderurgico 
di Gioia Tauro forse avrebbe fatto meglio il proprio dovere; si � nascosto invece 
dietro un'accondiscendenza ai desideri del pubblico potere, non ha svolto la sua funzione nel 
momento che ha dato un consiglio sbagliato al governo; nessuno pu� concedere o deve concedere 
sul terreno della propria professionalit�, del proprio rigore culturale qualcosa che sia un 
omaggio al potere, ma deve svolgere il proprio ruolo nell'ambito delle leggi e dell'ordinamento. 
Noi concorriamo cos� a riformare ed a rinnovare, per accogliere qui quell'osservazione 
che non � solo polemica, ma ha il suo valore, che le leggi vanno fatte ma occorre che siano padroneggiate 
da una coscienza civile nuova, soprattutto con uno sforzo solidale delle forze democratiche 
perch� un solo partito non pu� rinnovare la pubblica amministrazione n� il paese. 
Ecco perch� credo che il contributo di questo dibattito va consegnato non tanto all'iniziativa 
dei singoli parlamentari o di un solo partito, ma ad un raffronto costruttivo fra forze 
democratiche perch� sia un materiale prezioso che giunga ad un'iniziativa legislativa in modo 
abbastanza sollecito, per riformare la struttura dell'Avvocatura dello Stato ponendola veramente 
al servizio dell'ordinamento repubblicano nel modo pi� adeguato ai tempi nostri. 
C O M U N I C A Z I O N I 
FRANCO BATISTONI FERRARA (*) 
� La primazia di una decisione politica �trasparente e responsabile� � 
Uno dei problemi fondamentali della riforma � costituito dalla previsione di un rapporto 
corretto tra Avvocatura dello Stato e potere politico. 
L'avvocatura � organo "tecnico-giuridico" e, come tale, non pu� essere investito di potere 
(*) Avvocato del libero foro.
56 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2015 
decisionale "politico", potere che non si connetterebbe n� ad un'investitura popolare, n� ad 
una correlativa responsabilit�. 
L'attivit� conteziosa dello Stato d� luogo tuttavia all'attuazione di indirizzi politici, sia 
con riferimento a gruppi di questioni omogenee, sia con riferimento a singole autorit� giurisdizionali. 
Gli esempi si potrebbero moltiplicare: basti tuttavia tenere presente l'atteggiamento 
da assumere davanti alla Corte Costituzionale; nei giudizi relativi alla legittimit� costituzionale 
delle leggi, ove, in un passato anche recente, non sono mancati esempi discutibili, di difesa 
ad oltranza di leggi in contrasto con la Costituzione, ovvero 1�atteggiamento da assumere rispetto 
alla tutela di interessi "diffusi" che, in qualche modo, si connettano o facciano capo ad 
interessi affidati ad una amministrazione dello Stato (per es., costituzione di parte civile in 
procedimenti penali per fatti di inquinamento o per frodi valutarie). 
Anche l'attivit� "consultiva" dell'Avvocatura, apparentemente "neutrale", pu� in realt� 
esprimere una valenza "politica" in quanto, sia pure come espressione di fenomeno patologico, 
pu� consentire di travestire decisioni politiche da giudizi tecnico-giuridici. 
Ci� accade �n quanto sia possibile, al governo, influire di fatto sulla formulazione di determinati 
"pareri '' in modo da precostituirne il contenuto e da poterli utilizzare come supporto 
tecnico-giuridico della propria decisione. In casi di questo genere (e ne sono accaduti), l'organo 
investito della responsabilit� politica "copre" la propria decisione con il parere "guidato" dell'organo 
tecnico-giuridico. 
Questo problema trascende l'Avvocacura dello Stato, in quanto riflette anche altri organi 
consultivi, quali, ad es. il Consiglio di Stato, ove l'influenza del potere politico sull'organo 
tecnico si attua attraverso l'utilizzazione di un grande numero di Consiglieri di Stato presso i 
Ministeri e quindi con un'anomala commistione di momenti "consultivi" e decisionali. Ulteriore 
problema si esprime nella possibilit�, per il governo, di rivolgersi, alternativamente, all'Avvocatura 
o al Consiglio di Stato per conseguire un parere, scegliendo per cos� dire, l'organo 
dal quale pu� attendersi una risposta conforme all'indirizzo che intende seguire. 
Prescindendo da quanto ora si � detto e, limitandosi a quanto riguarda direttamente l�Avvocatura, 
si pu� dire con certezza che � necessario, da un lato, fissare chiaramente la competenza 
decisionale delle amministrazioni attive e la responsabilit� politica del governo 
nell�indirizzo e nella gestione della politica del contenzioso e, un altro lato, assicurare all�Avvocatura 
una piena indipendenza tecnica, escludendo, o rendendo estremente difficile, che 1'autorit� 
politica possa influire sulla formulazione dei giudizi tecnico-giuridici dell'organo legale. 
Questi scopi possono essere ottenuti stabilendo l'obbligo dell�Avvocatura di conformarsi 
alla decisione e alle direttive dell'autorit� politica e, per converso, democratizzando la struttura 
interna dell'Avvocatura, prevedendone la gestione collegiale. 
L'ordinamento attuale, caratterizzato da un'imprecisa delimitazione di competenze e da 
un'organizzazione autoritaria e verticistica dell�organo legale, non risponde infatti a tali scopi. 
L�avvocato generale sembra investito di poteri decisionali nei confronti delle amministrazioni 
ed accentra tutti i poteri concernenti la condotta degli affari contenziosi e consultivi. Ne discende 
che, da un lato, il potere politico pu� influire sul contenuto "tecnico" dell'attivit� dell'Avvocatura 
attraverso l'avvocato generale e coprire cos� la propria responsabilit� e, da un 
altro lato, l'avvocato generale pu� realizzare una sua "politica del contenzioso" senza risponderne 
al governo e senza che il governo ne risponda al Parlamento. 
Una struttura collegiale elettiva, espressione democratica della partecipazione di tutti 
gli avvocati e Procuratori dello Stato, dovrebbe essere idonea ad assicurare l'indipendenza 
tecnica dell'organo legale, impedendo che esso venga usato in funzione di copertura della re-
SEMINARIO 57 
sponsabilit� politica del governo. A questa "indipendenza tecnica" deve corrispondere per� 
l'obbligo di attuare le direttive e le decisioni del potere politico responsabile di fronte al Parlamento 
ed al popolo. 
Questa subordinazione, che impedisce all'Avvocatura di atteggiarsi come "corpo separato", 
si esprime nell'art. 17 bis delle proposte di emendamento al testo della riforma approvata 
dal Senato. Di fronte a decisioni in contrasto con il suo parere "tecnico", l'Avvocatura non ha 
altro potere che quello di pretendene la "formalizzazione" come decisioni politiche, che a sua 
volta, comporta che il Parlamento ne venga informato: deve poi eseguire le decisioni politiche 
del governo, che � l�organo investito dalle relative responsabit�. 
� abbastanza ovvio che questo meccanismo di "delimitazione delle competenze" eserciter� 
efficacia soltanto per il fatto di essere concretamente previsto, anche se non entrer� in 
funzione se non in casi eccezionali. Solo in casi eccezionali, infatti, � verosimile che l'Avvocatura 
richieder� la "formalizzazione" della decisione politica del governo e, in casi ancora 
pi� eccezionali la decisione "politica" potr� essere assunta definitivamente in contrasto con il 
parere "tecnico" dell'organo legale. 
Di fatto, la natura di amministrazione legata al principio costituzionale di legalit� metter� 
l'Avvocatura in grado di esercitare, pur nella situazione di subordinazione al potere politico, 
un importante funzione giustiziale inerente all'azione amministrativa. 
Problema diverso, ed a livello diverso, � quello riguardante la facolt� del singolo avvocato 
di farsi sostituire nella trattazione di un affare quando il comitato consultivo non condivida 
la sua opinione. Qui ci� che viene in considerazione � la natura "professionale" 
dell'attivit� ed anche un criterio di buona organizzazione del lavoro dell'ufficio: � opportuno 
che un affare venga trattato da persona convinta della fondatezza della tesi che deve sostenere 
piuttosto che da una persona convinta di reagire e resistere in giudizio "a torto". 
Un collegamento tra i due problemi potrebbe verificarsi nel caso, in verit� teorico, di 
decisione "politica" in contrasto e con il parere "collegiale" dell'Avvocatura e di mancanza 
anche di un solo avvocato che condivida tale decisione. 
Ma, in tal caso, nessun avvocato o Procuratore dello Stato potrebbe pretendere di essere 
sostituito nella trattazione dello affare. La decisione politica si impone all'ufficio nel suo complesso, 
e, pertanto, a ciascun avvocato che ne fa parte e che, di conseguenza, � obbligato ad 
eseguirla ponendo al servizio di essa tutta la sua capacit� professionale. 
PIERO PIACENTINI (*) 
�La temporaneit� degli incarichi direttivi� 
In relazione alle proposte ed ai suggerimenti ascoltati, mi sembra opportuno sottolineare 
due aspetti della questione trattata. 
1) Trasferimento alla Avvocatura delle funzioni di consulenza gi� esercitate dal Consiglio di 
Stato.
Mi sembra soluzione corrispondente a principi logici pi� che giuridici. Se l'Avvocatura 
� l'organo istituzionalemnte preposto alla difesa delle amministrazinni dello Stato, e se il Con- 
(*) Avvocato di ente pubblico e poi magistrato.
58 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2015 
siglio di Stato � anche (e soprattutto) giudice delle controversie in cui sia parte un�amministrazione 
statale, un principio di logica, prima che giuridico, vuole che il parere sul come 
comportarsi per evitare possibili conseguenze giudiziarie venga chiesto all'avvocato e non al 
giudice che poi potrebbe essere chiamato a decidere sulla questione. 
Si potrebbe obiettere che l'attuale struttura del Consiglio di Stato � predisposta appunto per 
evitare ogni complicazione su tale punto, ma � facile rispondere che, comunque, per quanto possono 
essere diverse le persone che compongono la sezione chiamata a rendere il parere da quelle 
chiamate a giudicare l 'eventuale controversia successiva, il parere viene reso formalmente dal 
medesimo organo ed � questa circostanza che influisce non poco sull'atteggiamento del giudice. 
Ed � appena il caso di notare come tale influenza possa essere tanto pi� penetrante in un sistema 
articolato -caso come quello attuale- in un doppio grado di giurisdizione nel quale peraltro 
il giudice di primo grado � sottoposto in maniera piuttosto pesante ad un controllo totale (non 
solo per quanto riguarda la decisione, ma per tutto quanto concerne la sua carriera) da parte del 
giudice superiore, che -per di pi�- vanta un'anzianit� di istituto e consolidata fama di saggezza. 
Si viene cos� a creare una dipendenza psicologica -una sorta di timor reverentialis- del 
magistrato di primo grado nei confronti della pronuncia, sia pure resa come parere, dal giudice 
di grado superiore, il che non facilita certo l'adozione di una decisione contrastante. 
Un discorso a parte meritano per� quelle particolari funzioni di consulenza che si concretano 
nella titolarit� di uffici come quello legislativo, del gabinetto, o della segreteria particolare 
di vari Ministeri. 
Si tratta di casi che se da una parte fanno effettivamente dubitare della imparzialit� di 
un giudice che, collaboratore ad altissimo livello dell'amministrazione, si trovi poi a dover 
giudicare di provvedimenti sui quali non tanto ha espresso parere, quanto ha partecipato alla 
loro elaborazione (e il dubbio non � certamente fugato dalle considerazioni espressive nella 
recente sentenza delle Sezioni Unite sul punto) dall'altro non mi sembra opportuno risolvere 
con un taglio netto. 
Le funzioni sopra descritte si ricollegano (o dovrebbero ricollegarsi) ad un rapporto fiduciario 
tra il vertice politico dell'amministrazione e il soggetto chiamato a ricoprirle. E non 
sembra quindi opportuno limitare la possibilit� di scelta da parte del politico circa le persone 
da proporre a tali incarichi. 
Che sia necessario disciplinarli � un fatto, ma precludere completamente la possibilit� 
a magistrati di ricoprire tali incarichi (come si va dicendo da pi� parti) mi sembra azione paragonabile 
a quella del medico che di fronte ad un infezione sia pure diffusa suggerisca di amputare 
direttamente l'arto senza nemmeno pensare di ricorrere agli antibiotici. E la cura in 
questo caso potrebbe consistere oltre che nel necessario -anzi indispensabile- controllo generalizzato 
dal basso, nella collocazione fuori ruolo e nella sospensione dello stipendio e della 
progressione in carriera per coloro che, chiamati a tali funzioni, ritengono preferibile, per la 
loro coscienza, svolgere la detta opera di consulenza piuttosto che le funzioni di magistrato. 
A tali misure si potrebbe aggiungere quella di prevedere l'aver svolto tali funzioni come causa 
(temporanea o definitiva) di incompatibilit� e di ricusazione in tutte le controversie in cui sia 
parte l'amministrazione presso la quale tale attivit� sia stata esercitata. 
2) Consulenza e difesa delle Amministrazioni Regionali. 
Anche questo punto mi trova pienamente d'accordo. Come avvocato di ente pubblico 
prima e come magistrato poi ho avuto modo di apprezzare particolarmente (salvo rare eccezioni) 
l'attivit� professionale svolta dagli avvocati dello Stato. La lunga tradizione dell'Istituto 
e la vastit� delle materie che essi sono chiamati a trattare, li pone infatti all'altezza dei migliori
SEMINARIO 59 
professionisti. L'apporto di tale esperienza e di tale preparazione alla attivit� di enti come le 
Regioni, alla novit� delle quali si accompagna un'importanza mai raggiunta da altri enti locali, 
non pu� che essere di una estrema utilit�. 
A questo deve aggiungersi che la difesa istituzionale affidata ad un organo stabile e precostituito 
come l'Avvocatura dello Stato eviterebbe affidamenti di incarichi difensionali a professionisti 
privati scelti non per meriti professionali, ma per ragioni di lottizzazione politica. 
Tale situazione presenta per� un aspetto negativo. 
Si diceva (e si dice tuttora) che il vero capo dell'amministrazione comunale non fosse il 
Sindaco, ma il Segretario Comunale perch� "i politici passano, i Segretari Comunali restano". 
E d'altra parte il Segretario Comunale essendo organo tecnico aveva la possibilit� di bloccare 
qualsiasi deliberazione che non fosse di suo gradimento mediante il richiamo a norme, regolamenti, 
interpretazioni e prassi per lo pi� ignote agli amministratori, mascherando spesso 
l'opportunit� sotto il profilo della legittimit�. 
Non vorrei quindi che l'alta preparazione giuridica dell�Avvocatura in genere e delle 
Avvocature d�strettuali in particolare finisca con l'imporre una strada obbligata all'attivit� 
degli enti regionali impedendone ogni comportamento praeter legem (non ovviamente quello 
contra legem) specie se determinato da una diversa impostazione politica dell'organo decidente, 
che pure potrebbe essere necessario per impostare su nuovi binari tutta la vita amministrativa 
dell'ente. 
E, in relazione a tale aspetto del problema, particolare rilevanza assume quello della nomina 
dell'avvocato distrettuale. Se le avvocature locali devono assumere la difesa dell�ente 
regione, appare impensabile che la nomina del relativo capo venga fatta da Roma. Tra l'altro 
cos� facendo si potrebbe creare una voluta situazione di conflittualit� tra organo politico e organo 
tecnico. 
Questo problema per altro potrebbe trovare soluzione nell'ambito di una soluzione pi� 
generale valida per l'intero corpo dell'Avvocatura il cui ordinamento dovrebbe presentare il 
minimo di gerarchia ed il massimo di autonomia professionale per ogni singolo membro di 
essa: in tal caso la figura dell'avvocato distrettuale (organo gerarchico) potrebbe agevolmente 
essere sostituito dal coordinatore il cui incarico sarebbe limitato temporalmente la cui nomina 
potrebbe essere demandata ad una intesa tra i competenti organi regionali e gli organi centrali 
dell�Avvocatura.
CONTENZIOSO NAZIONALE 
La Corte costituzionale e l�IRESA(Imposta regionale sulle emissioni 
sonore degli aeromobili civili) come tributo di scopo ambientale 
NOTA A CORTE COSTITUZIONALE, SENTENZA 13 FEBBRAIO 2015 N. 13 
Paolo Marchini* 
La sentenza della Corte costituzionale in commento mette alla prova una 
delle prime attuazioni del federalismo fiscale regionale costituita dal tributo 
istituito proprio sulle emissione sonore degli aeromobili (I.R.E.S.A.). 
Il debutto dell�i.re.s.a. (1) non � stato brillante. 
Poche le Regioni che lo hanno istituito (gli aeroporti di rilievo non sono 
molti): tra queste la Regione Lazio, che non si � lasciata sfuggire l�occasione 
di fare cassa fissando un�aliquota sproporzionata rispetto a quelle delle altre 
Regioni per ripianare il noto deficit strutturale di bilancio e destinando solo il 
10% del gettito al disinquinamento acustico ambientale. 
Su segnalazione dell�antitrust il legislatore interviene a calmierare i tetti 
massimi di aliquota e la Regione Lazio impugna la legge statale ritenendola 
lesiva della propria autonomia finanziaria ex art. 119, comma 2, Cost., stante 
la pacifica natura di tributo proprio istituito dell�i.re.sa. 
La Corte ha rigettato il ricorso della Regione sia ascrivendo l�intervento 
statale alla materia concorrente del coordinamento tributario, sia alla materia 
esclusiva della tutela della concorrenza e dell�ambiente (lett. e) ed s) dell�art. 
117, comma 2). 
Rinviando alla memoria che segue gli approfondimenti sulle prime due 
questioni, qui mette conto porre in luce come la Corte (punti 4.2.1. e 4.2.2.) 
abbia, innanzitutto, dato cittadinanza alla controversa categoria dei tributi di 
(*) Avvocato dello Stato. 
(1) Per effetto dell�art. 8, comma 1, del d.lgs., n. 68/2011 (c.d. federalismo fiscale).
62 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2015 
scopo (2) e, in secondo luogo, abbia riconosciuto - su precisa sollecitazione 
dell�Avvocatura - la natura di tributo ambientale dell�i.re.s.a. (3): �Va, inoltre, 
evidenziato che l�imposta in esame, originariamente finalizzata a promuovere 
il disinquinamento acustico in relazione al traffico aereo, ha mantenuto uno 
scopo specifico, il quale tuttora comprende finalit� attinenti alla tutela dell�ambiente 
(art. 117, secondo comma, lettera s), Cost.). Lo dimostra la previsione 
della destinazione �prioritaria� del gettito �al completamento dei 
sistemi di monitoraggio acustico e al disinquinamento acustico e all�eventuale 
indennizzo delle popolazioni residenti [�] dell�intorno aeroportuale� (art. 
90, comma 1, della legge n. 342 del 2000). 
4.2.2.. L�intersezione delle molteplici finalit� della disposizione impugnata, 
tutte rientranti nella competenza legislativa statale, sorregge la legittimit� 
dell�intervento normativo in esame e conduce alla declaratoria di 
infondatezza delle censure�. 
L�Avvocatura, nella memoria, aveva anche proposto una possibile attrazione 
dell�intervento legilslativo alle materie concorrenti �porti ed aeroporti 
civili� e �grandi reti di navigazione� (art. 117, comma 3, Cost.), traendo 
spunto sia dalla rubrica (�Disposizioni urgenti per Expo 2015, per i lavori 
pubblici ed in materia di trasporto aereo�), sia dal tenore letterale e finalistico 
dell�incipit dell�art. 13, comma 15 bis, del d.l. 23 dicembre 2013, n.145 (disposizione 
impugnata dalla Regione Lazio): �Al fine di evitare effetti distorsivi 
della concorrenza tra gli scali aeroportuali e di promuovere l'attrattivit� del 
sistema aeroportuale italiano, anche con riferimento agli eventi legati all'EXPO 
2015 ... (omissis) �. 
La Corte, tuttavia, non si � pronunciata su tali questioni, ritenendole evidentemente 
assorbite. Sarebbe stata interessante, per�, una risposta al quesito: 
rientra nella materia �aeroporti civili� la promozione dell�attrattivit� del sistema 
nazionale aeroportuale attraverso la fissazione di un� aliquota massima 
dell�i.re.s.a.? 
AL 17621/14 Avv. Paolo Marchini 
CORTE COSTITUZIONALE 
MEMORIA ILLUSTRATIVA 
Per 
Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall�Avvocatura generale 
dello Stato, presso cui domicilia in Roma alla via dei Portoghesi n. 12; 
(2) Sulla compatibilit� costituzionale delle imposte di scopo extrafiscale rispetto alla capacit� 
contributiva A.F. AURICCHIO, Imposizione di scopo e federalismo fiscale, Maggioli ed., 2013, p. 15 e ss. 
(3) La natura di tributo ambientale dell�I.re.s.a. � controversa. Cfr. la dottrina riportata da C. SCIANCALEPORE, 
I tributi regionali di scopo tra disciplina vigente e prospettive di riforma, in A.F. AURICCHIO, 
Imposizione di scopo e federalismo fiscale, cit., p. 188, nota 12.
CONTENZIOSO NAZIONALE 63 
Contro 
REGIONE LAZIO, in persona del Presidente p.t., con l�avv. prof. Francesco Saverio Marini; 
nel giudizio di legittimit� costituzionale 
dell'articolo 13, comma 15 bis, del decreto legge 145/2013 convertito con modificazioni dalla 
legge n. 9 del 2014, promosso dalla Regione Lazio con ricorso notificato il 18 aprile 2014. 
*** 
Premessa 
Le materie, l�oggetto, le finalit� della norma impugnata. 
Sulla base degli insegnamenti di codesta Corte (peraltro, richiamati dalla Regione ricorrente 
nel IV motivo di ricorso) "per individuare la materia alla quale devono essere ascritte le disposizioni 
oggetto di censura, deve farsi riferimento all'oggetto ed alla disciplina delle medesime, 
tenendo conto della loro ratio e tralasciando gli aspetti marginali e gli effetti riflessi, 
cos� da identificare correttamente e compiutamente anche l'interesse tutelato" (sentenze nn. 
430-165-196/2007); "l'inquadramento in una materia piuttosto che in un'altra deve riguardare 
la ratio dell'intervento legislativo nel suo complesso e nei suoi aspetti fondamentali, non 
anche aspetti marginali o effetti riflessi dell'applicazione della norma" (sentenza n. 30/2005). 
Il comma 15-bis � stato inserito dalla legge di conversione 21 febbraio 2014, n. 9, nell'articolo 
13 del decreto-legge 23 dicembre 2015, numero 145, rubricato (enfasi ns.) "Disposizioni urgenti 
per Expo 2015, per i lavori pubblici ed in materia di trasporto aereo". 
Tale norma recita: "Al fine di evitare effetti distorsivi della concorrenza tra gli scali aeroportuali 
e di promuovere l'attrattivit� del sistema aeroportuale italiano, anche con riferimento agli eventi 
legati all'EXPO 2015, nella definizione della misura dell'imposta regionale sulle emissioni sonore 
degli aeromobili civili (IRESA), di cui agli articoli 90 e seguenti della legge 21 novembre 
2000, n. 342, il valore massimo dei parametri delle misure IRESA non pu� essere superiore a 
euro 0,50. Fermo restando il valore massimo sopra indicato, la determinazione del tributo � 
rimodulata tenendo conto anche degli ulteriori criteri della distinzione tra voli diurni e notturni 
e delle peculiarit� urbanistiche delle aree geografiche prospicienti i singoli aeroporti�. 
Dunque, gli oggetti della disposizione sono due: 
1) il valore massimo dei parametri delle misure IRESA da non superare nella definizione della 
misura dell'imposta; 
2) il presupposto dell'imposta costituito dalla distinzione tra emissioni sonore notturne e 
diurne prodotte dagli aeromobili in relazione alle specificit� urbanistiche delle aree contigue 
ai singoli aeroporti nazionali. 
Si tratta, all'evidenza, di un intervento statale di politica fiscale inserito tra gli interventi urgenti 
di avvio del piano "Destinazione Italia� le cui finalit�/rationes sono cos� espressamente individuate: 
a) evitare effetti distorsivi della concorrenza tra gli scali aeroportuali nazionali; 
b) promuovere in generale l'attrattivit� del sistema aeroportuale italiano; 
c) promuovere in particolare l'attrattivit� del sistema aeroportuale italiano in occasione dell'Expo 
2015. 
Le materie sulle quali la norma interviene, oltre quella strumentale-tributaria (trasversale), 
sono sia espresse, sia implicite, cos� evincibili: 
-espresse: 
I) la tutela della concorrenza 
II) il trasporto aereo (v. rubrica dell'articolo 13); 
III) gli aeroporti;
64 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2015 
-implicite: 
IV) la tutela dell'ambiente. 
La tutela della concorrenza e quella dell'ambiente sono materie appartenenti alla legislazione 
esclusiva dello Stato [rispettivamente, lett. e) e s), art. 117, comma 2]; il trasporto e la navigazione 
aerea sul territorio nazionale ed internazionale, nonch� gli aeroporti civili, costituiscono 
materia di legislazione concorrente ex art. 117, comma 3, Cost. 
Non appare revocabile in dubbio che il tenore letterale della disposizione, oltre che la sua collocazione 
sistematica, inducono a ritenere che la disposizione impugnata � dichiaratamente 
volta ad �evitare effetti distorsivi della concorrenza tra gli scali aeroportuali e di promuovere 
l'attrattivit� del sistema aeroportuale italiano", garantendo, per esigenze di uniformit� sul 
territorio nazionale, che il valore massimo dei parametri delle misure IRESA non pu� essere 
superiore a euro 0,50. 
L'intervento normativo in questione, pertanto, deve essere correttamente ascritto alla materia 
"tutela della concorrenza", di cui all'articolo 117, secondo comma, lettera e), della Costituzione. 
Inoltre, come meglio si dir�, viene in rilevo anche la materia �tutela dell�ambiente� di cui 
alla lettera s) dell�art. 117, comma 1, Cost., data la natura di tributo ambientale di scopo 
dell�IRESA. 
� evidente, inoltre, e non solo per il richiamo espresso, come il contenimento della misura 
massima dell'imposta in questione incida in modo determinante sul trasporto aereo nazionale 
ed internazionale. 
L�impostazione difensiva principale del Presidente del Consiglio, dunque, si impernia sulla 
tesi secondo cui l�intervento legislativo censurato si inscrive nell�ambito della potesta legislativa 
esclusiva dello Stato. 
In subordine, viene svolta la tesi che si tratta di norma di principio nella materia concorrente 
del "coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario" nonch� di quella inerente 
gli �aeroporti� e le �grandi reti di trasporto e navigazione� aerea. 
Infatti, il legislatore statale ha comunque fornito indicazioni e �criteri� distintivi per orientare, 
si ribadisce, in maniera uniforme, i legislatori regionali nell'esercizio dell'attivit� legislativa 
di propria competenza, garantendo, agli stessi la possibilit� di tener conto anche della specificit� 
dei territori degli aeroporti, laddove, ha precisato che "fermo restando il valore massimo 
sopra indicato, la determinazione del tributo � rimodulata tenendo conto anche degli ulteriori 
criteri della distinzione tra voli diurni e notturni e delle peculiarit� urbanistiche delle aree 
geografiche prospicienti i singoli aeroporti." 
Tanto premesso, di seguito si espongono le confutazioni ai singoli motivi del ricorso promosso 
dalla Regione Lazio. 
I 
Illegittimit� costituzionale dell'art. 13, comma 15-bis del decreto-legge 23 dicembre 2013, 
n. 145, inserito dalla legge di conversione 21 febbraio 2014, n. 9, per violazione degli articoli 
77, comma 2, 117, comma 3, e 119, commi l e 2 della Costituzione. 
Con il primo motivo di ricorso, la ricorrente intende dimostrare l'estraneit� della norma al 
contenuto del D.L. n. 145/2013, come modificato dalla L. n. 9/2014. Tale estraneit� sarebbe 
dedotta anche in ragione del fatto che la norma in parola � stata inserita nella sola fase di conversione 
del DL citato. 
Al riguardo, si ritiene di confermare, al contrario, l'assoluta coerenza ed omogeneit� del 
comma 15-bis rispetto alle altre norme contenute nell'art. 13. 
Infatti, l'articolo contiene disposizioni specifiche ed urgenti di disciplina e regolazione del
CONTENZIOSO NAZIONALE 65 
trasporto aereo, anche a favore di una maggiore concorrenza nel settore, come inequivocabilmente 
e chiaramente evidenziato dal titolo dell'articolo stesso, recante "Disposizioni urgenti 
per EXPO 2015, per i lavori pubblici ed in materia di trasporto aereo". 
La disposizione in oggetto fa parte di un articolato pacchetto di misure urgenti atte a disciplinare, 
appunto, il settore del trasporto aereo che, come noto, soffre una fase congiunturale 
estremamente delicata soprattutto a livello nazionale, ponendosi l'obiettivo di intervenire 
anche attraverso la r�modulazione/r�duzione di alcuni tributi dovuti dai soggetti che utilizzano, 
a vario titolo, gli aeroporti. 
La disposizione in questione si colloca, quindi, in maniera sistematica ed armonica rispetto a 
tale contesto complessivo, in quanto volta (anch'essa) ad introdurre misure di riduzione degli 
oneri tributari che gravano sui vettori aerei e, per traslazione, sui gestori aeroportuali e naturalmente 
sui passeggeri quali consumatori finali del servizio. 
Non solo. 
La coerenza della disposizione impugnata con le ulteriori norme recate dai commi presenti 
nell'articolo 13, appare ancor pi� evidente se si considera la specifica prospettiva dell'intervento 
volto a favorire un maggior grado di concorrenza nel mercato, attraverso l'eliminazione 
di fattori distorsivi delle dinamiche concorrenziali. Si vedano, per il settore aeroportuale, in 
particolare, i commi 14 e 15 del medesimo articolo - che prevedono l'obbligo di espletamento 
di procedure trasparenti e tali da garantire la pi� ampia partecipazione dei vettori potenzialmente 
interessati, ai fini dell'erogazione, da parte dei gestori aeroportuali, di contributi, sussidi 
o altre forme di emolumento per lo sviluppo delle rotte, con il coinvolgimento dell'ENAC e 
dell'Autorit� di regolazione dei trasporti anche ai fini della verifica del rispetto delle condizioni 
di trasparenza e competitivit� - e i commi da 16 a 18 - che esentano dall'addizionale comunale 
sui diritti di imbarco i passeggeri in transito negli scali aeroportuali nazionali, se provenienti 
da scali domestici, e prevedono che l'addizionale commissariale per Roma capitale, continui 
ad applicarsi a tutti i passeggeri con voli originanti e in transito negli scali Roma Fiumicino 
e Ciampino, ad eccezione di quelli intransito aventi origine e destinazione domestica -. 
Non da ultimo, va sottolineato lo sforzo del legislatore nazionale volto ad agevolare la mobilit� 
da e per il nostro Paese e ad intercettare una domanda di trasporto che sar� particolarmente 
significativa, anche in previsione dell'EXPO 2015: e ci� costituisce ulteriore elemento che 
palesa chiaramente l'assoluta connessione ed omogeneit� della disposizione in commento con 
le altre norme recate dall'articolo 13 del decreto-legge "Destinazione-Italia". 
II 
Illegittimit� costituzionale dell'art. 13, comma 15-bis del decreto legge 23 dicembre 2013, 
n. 145, inserito dalla legge di conversione 21 febbraio 2014, n. 9, per violazione degli articoli 
117, comma 2, lett. e) in combinato disposto con l'art. 3 della Costituzione. 
La Regione Lazio sembra tenere in debito conto il fatto che l'intervento normativo in questione 
� dichiaratamente volto all'esercizio di una competenza che la costituzione riconosce come 
statale (nella materia "tutela della concorrenza"), nondimeno ne lamenta il travalicamento dei 
limiti di ragionevolezza e proporzionalit�. 
Innanzitutto, occorre premettere che l'Autorit� garante della concorrenza e del mercato, nella 
segnalazione del 27 agosto del 2013 sull'IRESA (all.ta al ricorso), adottata ai sensi dell'articolo 
21 della legge n. 287/1990, ha inteso richiamare l'attenzione sui rischi di una applicazione dell'imposta 
disomogenea e limitata ad alcuni aeroporti nazionali. Infatti, pur in presenza di norme 
specifiche emanate solo da alcune Regioni, Lombardia (L.R. n. 18/12), Emilia Romagna (L.R. 
n. 15/12) Campania (L.R. n. 5/13), Calabria (L.R. n. 69/12) e Marche (L.R. n. 45/12), si � ri-
66 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2015 
scontrata una effettiva applicazione del tributo solo riella Regione Lazio (L.R. n. 2/13), per di 
pi� caratterizzata da livelli di imposizione estremamente elevati, ancorch� rapportati ai parametri 
indicati dalla Conferenza delle Regioni e delle Province Autonome. In proposito, vale 
sottolineare che l'Autorit� ha avuto modo di rilevare che "Tale difformi�, tuttavia, non trova 
giustificazione in ragioni di carattere tecnico e/o geografico e risulta in grado di alterare le 
condizioni di redditivit� dei vettori che fanno scalo in alcuni aeroporti rispetto ad altri, con 
conseguenze distorsive sotto il profilo concorrenziale per: 1) le compagnie aeree che offrono 
i propri servizi prevalentemente negli aeroporti dove l'IRESA ha un incidenza maggiore e non 
possono agevolmente spostarsi da uno scalo all'altro; 2) i consumatori (prevalentemente non 
price-sensitive) per i quali, a fronte di tariffe pi� alte determinate dal trasferimento a valle da 
parte delle compagnie aeree dei maggiori costi sopportati, possono risultare pi� attraenti 
scali limitrofi a quelli interessati da una maggiore tassazione; 3) le societ� di gestione degli 
aeroporti che vedono, conseguentemente, alterate le proprie condizioni di redditivit� a causa 
di una riduzione del numero di vettori e/ o consumatori che decidono di frequentare lo scalo. 
Il quadro normativo attualmente vigente non solo � difforme da Regione a Regione, particolarmente 
in termini di incidenza del tributo, ma soprattutto non risulta ispirato a criteri di efficienza 
e non rispecchia la natura di �imposta di scopo� dell'IRESA, cos� come disciplinata 
dalla legge 21 novembre 2000, n. 342 (artt. 90-95), essendo talvolta (come nel Lazio) destinata 
solo per il 10% alla gestione dei costi sociali dell'emissioni sonore provenienti dagli aerei". 
Di conseguenza, l'Autorit� ha auspicato la possibilit� del superamento delle problematiche 
concorrenziali evidenziate attraverso la definizione "con legge dello Stato" di criteri uniformi 
per il calcolo dell'imposta il cui gettito va devoluto alle Regioni di pertinenza, per essere, 
poi, destinato, ai sensi della L. n. 342/2000 (artt. 90-95) "in via prevalente" al sostegno del 
costo degli interventi necessari per contenere il rumore e compensare la popolazione residente, 
come appunto avviene in altri Stati membri dell'Unione (Regno Unito, Germania, Spagna e 
Olanda), nei quali il tributo contempla la previsione di aliquote differenziate tra voli diurni e 
notturni, la previsione di parametri di pagamento rapportati all'efficienza sonora degli aeromobili 
e non al solo tonnellaggio degli stessi, la previsione di classi di aliquote che tengano 
conto delle peculiarit� urbanistiche delle aree geografiche prospicienti i singoli aeroporti. 
Sul punto appare significativo il dato fornito dalla associazione dei gestori aeroportuali (Assoaereo) 
che ha quantificato la misura del tributo richiesto per un atterraggio/decollo, per aeromobili 
di analoghe caratteristiche (a lungo raggio), in 69 euro negli aeroporti della 
Lombardia e di 1.257 euro in quelli del Lazio (all. 1). 
Analoghe considerazioni sono state, peraltro, svolte dall'ENAC, Ente nazionale per l'Aviazione 
civile, che ha rilevato una imposta laziale mediamente maggiore di circa 10 volte rispetto 
a quella della Lombardia (all. 2). Per i possibili riflessi negativi sul piano internazionale lo 
stesso Ente, ha raccomandato che l'imposta in questione venisse rivalutata integralmente. 
Le conclusioni cui sono giunti i vari soggetti sopra richiamati, rendono del tutto palese quale 
fosse la disomogeneit� nell'applicazione dell'imposta a livello regionale ed i potenziali effetti 
distorsivi della concorrenza tra aeroporti da essa derivanti, tali da incidere profondamente 
sulle dinamiche economiche del trasporto aereo. 
Non meno rilevante � anche l�altra ratio dell�intervento statale, ossia la promozione della �attrattivit�� 
del sistema aeroportuale nel suo complesso ed a livello nazionale. 
� evidente, quindi, che un intervento normativo di livello statale che uniformasse l'applicazione 
dell'lRESA, si � reso non solo necessario ma indispensabile. Pertanto, lo stesso legislatore 
� intervenuto attraverso l'emanazione della disposizione impugnata con il ricorso in esame
CONTENZIOSO NAZIONALE 67 
da ascriversi, si ribadisce, alla competenza esclusiva dello Stato di cui all'articolo 117, secondo 
comma, lett. e) "tutela della concorrenza" con la finalit� di garantire l'uniforme ed omogenea 
applicazione sul territorio nazionale della disciplina sull'lRESA, dovendosi rilevare, diversamente 
da quanto sostenuto dalla ricorrente, che l'intervento normativo si pone correttamente 
in linea con le indicazioni dell'Antitrust. 
Ulteriore considerazione va svolta in relazione alle contestazioni concernenti la misura del 
tributo, ritenuta troppo bassa, rispetto ai parametri indicati nel documento della Conferenza 
delle Regioni e delle Province Autonome datato 6 dicembre 2012 e recante "IRESA (imposta 
regionale sulle emissioni sonore degli aeromobili): Modalit� applicative" (all. 3). Al riguardo, 
per la precisione, non pu� omettersi di evidenziare che siffatto documento, citato dalla Regione 
ricorrente, pur risultando apprezzabile il ruolo di coordinamento svolto dalla Conferenza delle 
Regioni e delle Province Autonome, non � mai stato sottoposto n� alla Conferenza Unificata, 
n� alla Conferenza Stato-Regioni. Lo stesso, quindi, costituisce un atto contenente 
modalit� applicative ed indicazioni operative che le sole Regioni hanno condiviso, al fine di 
evitare discriminazioni tra i vari enti territoriali all'atto dell'introduzione nei propri ordinamenti 
della disciplina dell'lRESA. E non pu� sottacersi che tale scopo, invero, non risulta sia stato 
raggiunto, posto che, come gi� evidenziato, le discipline regionali emanate in materia sono 
risultate sostanzialmente diversificate e disomogenee, tanto da tradursi, viceversa, nell'introduzione 
di meccanismi distorsivi della concorrenza. 
Si aggiunga che le censure mosse appaiono connotate da eccessiva genericit�, di talch�, nessuna 
prova viene fornita a sostegno del fatto che la fissazione del tetto massimo di imposta 
nella misura di euro 0,50, svuoti di contenuto l'imposta medesima e ne azzeri le 
incidenze, attese, di contro, tutte le considerazioni innanzi dispiegate, ivi compreso il fatto 
che comunque resta invariata la destinazione "in via prevalente" al sostegno del costo degli 
interventi necessari per contenere il rumore e compensare la popolazione residente, come appunto 
avviene in altri Stati della UE. 
Infine, nessun pregio pu� essere riconosciuto con specifico riguardo a quanto dedotto al punto 3 
del motivo di ricorso in commento, in relazione alla circostanza che costituirebbe indizio di irragionevolezza 
della norma impugnata, sotto il profilo del difetto di proporzionalit�, la considerazione 
che per effetto della norma impugnata gli introiti della Regione Lazio relativi alla 
riscossione dell'IRESA subiranno una decurtazione superiore al 70%, con perdite di circa 40 milioni 
di euro l'anno (la legge regionale n. 2 del 29 aprile 2013, istituendo l'lRESA e fissando le 
relative aliquote, ha stimato un gettito annuo di circa 55 milioni di euro), mentre con l'applicazione 
del tetto massimo introdotto dal contestato comma 15-bis, il gettito proveniente dall'lRESA 
per la Regione Lazio si attesterebbe a circa 15 milioni di euro, con una perdita di circa il 73%. 
Infatti, come rilevato dall'Autorit� garante della concorrenza e del mercato, nella segnalazione 
sopra richiamata, la Regione ricorrente ha destinato solo il 10% dei proventi derivanti dall'lRESA 
alla gestione dei costi sociali dell'emissioni sonore provenienti dagli aerei, con ci� non 
risultando, peraltro, in linea con i gi� menzionati e chiari precetti di cui alla legge n. 342/2000. 
III 
Illegittimit� costituzionale dell'art. 13, comma 15-bis del decreto legge del 23 dicembre 
2013, n. 145, inserito dalla legge di conversione 21 febbraio 2014, n. 9, per violazione 
degli articoli 3, 117, commi 2 e 3, e 119, commi 1 e 2 della Costituzione, anche con riferimento 
all'articolo 11 del D.Lgs. 6 maggio 2011, n. 68 e dell'articolo 19 della legge 31 
dicembre 2009, n. 196. 
Nel ribadire tutte le considerazioni fin qui svolte rispetto al corretto inquadramento della dispo-
68 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2015 
sizione impugnata nell'ambito della materia "tutela della concorrenza", in ordine al lamentato livello 
di dettaglio che caratterizzerebbe la norma contestata (punto 2 del motivo in esame) mette 
conto rammentare che codesta Corte Costituzionale ha pi� volte affermato (cfr. ex multis sentenza 
n. 46/2013) che l'art. 117, comma secondo, lettera e), Cost., attribuendo allo Stato, in via esclusiva, 
il compito di tutelare la concorrenza, consente allo stesso, nell'ambito di tale competenza, di porre 
in essere una disciplina dettagliata (sentenze n. 148 del 2009, n. 411 e n. 320 del 2008). � stato 
anche affermato che tale normativa ha carattere prevalente (sentenza n. 325 del 2010). 
Rispetto alle censure riferite alla violazione della autonomia finanziaria costituzionalmente 
riconosciuta dall'art. 119, commi 1 e 2, valga considerare che la riforma costituzionale del 
2001, pur caratterizzata dall'enfasi posta sull'autonomia finanziaria degli enti territoriali, non 
pu� essere intesa nel senso di ridurre la possibilit� di azione dello Stato entro margini tanto 
limitati da non consentire allo stesso di svolgere pratiche che, coinvolgendo aspetti finanziari, 
perseguano anche obiettivi che vadano oltre la mera dimensione economica (al riguardo, cfr. 
Corte Costituzionale, sentenza n. 378 del 2003) per impingere in profili di corretto assetto 
delle dinamiche concorrenziali, contestualmente connessi all'interesse pubblico che sottende 
la destinazione prioritaria del gettito derivante dall'imposta in argomento ai sistemi di monitoraggio 
e disinquinamento acustico e all'indennizzo delle popolazioni residenti nelle zone 
interessate dall'inquinamento. Il che � avvenuto nel caso di specie attraverso la disposizione 
impugnata che tali valori � volta a presidiare. 
*** 
L�IRESA come tributo ambientale di scopo 
L�intervento legislativo del quale si denuncia la incostituzionalit� � sostanzialmente volto alla tutela 
dell�ambiente poich� mira ad evitare l�esodo dagli aeroporti laziali di alcune compagnie aeree 
e la conseguente diminuzione di gettito destinato al finanziamento della realizzazione di opere di 
disinquinamento acustico, sicch� esso ricade nella lettera s) dell�art. 117, comma 2, Cost. 
Mette conto ricordare che in risposta all�esigenza di intervenire nei confronti del rumore causato 
dal traffico aereo, l�Unione Europea ha emanato le Direttive 2002/30/CE e 2002/49/CE, 
recepite nell�ordinamento nazionale, rispettivamente con il decreto legislativo 17 gennaio 
2005, n. 13, e con il decreto legislativo 19 agosto 2005, n. 194. la Direttiva 30/2002/CE ha 
introdotto il concetto di �approccio equilibrato� volto a risolvere i problemi �aeroporto per 
aeroporto� prevedendo una serie di restrizioni operative, tra cui l�eliminazione progressiva 
degli aerei pi� rumorosi, particolarmente per gli aeroporti metropolitani e per quelli con un 
traffico superiore a 50.000 movimenti all�anno; la Direttiva 49/2002/CE, non informata ad 
una visione settoriale ma relativa ad ogni aspetto della tutela dall�inquinamento acustico ha, 
tra l�altro, ridefinito i �descrittori acustici� del rumore ambientale, fornendo indirizzi per la 
loro determinazione anche nel caso del rumore degli aeromobili. 
La tesi della natura di tributo ambientale dell�Iresa � stata sostenuta da parte della dottrina 
e, in parte, dalla sezione centrale di controllo sulle Entrate della Corte Dei Conti nella Deliberazione 
n. 7/2012/G (pubblicata sul web). 
Quest'ultima ha affermato (enfasi ns.): �La Sezione non pu� non osservare, inoltre, come poca 
sensibilit� sia stata dimostrata in relazione all�aspetto sostanziale della vicenda rappresentato 
dalla composizione dell�assetto dei diversi interessi cui l�attuazione delle disposizioni relative 
all�IRESA tende. 
Le disposizioni normative, della cui inattuazione si tratta, trovano collocazione in un ben pi� 
ampio quadro normativo la cui cornice � costituita dal diritto alla salute, �fondamentale diritto 
dell�individuo e interesse della collettivit�� (art. 32 Cost.) e dalla tutela dell�ambiente,
CONTENZIOSO NAZIONALE 69 
alla quale la legge costituzionale n. 3/2001, nel riformare il titolo V della Costituzione, ha 
attribuito esplicito riconoscimento costituzionale (art. 117, comma 2, lett. s)). 
Infatti, proprio su impulso degli abitanti delle zone limitrofe ai sedimi aeroportuali di diverse 
regioni e a seguito delle loro doglianze per il rumore prodotto dallo scalo si sono formati comitati 
di quartiere, che hanno iniziato a sollevare la questione dell�inquinamento acustico, 
anche con l�adesione di associazioni ambientaliste, firmando petizioni per pretendere la chiusura 
notturna o ricorrendo all�autorit� giudiziaria� Pertanto, per quanto riguarda l�attuazione 
dell�imposta, che dovesse essere istituita a decorrere dal 1 gennaio 2013, ai sensi 
dell�art. 8 del d. lgs. 6 maggio 2011, n. 68, che l�ha trasformata in tributo proprio regionale, 
in ossequio ai principi recati dall�Accordo del 20 giugno 2002, Intesa inter-istituzionale tra 
Stato, regioni ed enti locali, ai sensi dell�art. 9, comma 2, lettera c), del decreto legislativo 
28 agosto 1997, n. 281, � opportuno che le prescrizioni di carattere generale siano coordinate 
e concordate in sede di Conferenza Unificata al fine di favorire uniformit� di disciplina nelle 
regioni ordinarie ed evitare che elementi operativi o di dettaglio possano condurre a discriminazioni 
tra le diverse regioni�. 
In dottrina si � sostenuta �la possibilit� di identificare questo come un vero tributo ambientale 
inteso nell�interpretazione moderna. Infatti, ci� si realizzerebbe proprio in virt� del fatto 
che la base imponibile si stima su fattispecie oggettive che hanno una diretta relazione causale 
con il danno prodotto, si pensi alla relazione tra il mero inquinamento acustico e il numero 
di decolli e atterraggi di un aereo, o il suo peso, o semplicemente sull�intensit� 
dell�emissione sonora� (D. SQUILLANTE, �Fiscalit� ecologica: dai tributi con finalit� ambientali 
extrafiscali ai tributi ambientali in senso stretto. L�imposta regionale sulle emissioni 
sonore, in www.innovazionediritto.unina.it). 
In conclusione, pu� sostenersi - con autorevole dottrina - la tesi secondo la quale, se � vero che 
la Regione pu� istituire e applicare un tributo proprio �solo se ha un presupposto originario di 
cui lo Stato non si � precedentemente appropriato e, naturalmente, solo se ha per oggetto materie 
di esclusiva competenza regionale e locale� (F. GALLO, I capisaldi del federalismo fiscale, 
Diritto e pratica trib., 2009, pag. 221), l�essere le materie principalmente interessate dall�intervento 
normativo in questione di pertinenza esclusiva della legislazione statale (tutela della concorrenza 
e dell�ambiente), lo rende pienamente legittimo ex art. 117, comma 2, lett. e) ed s). 
*** 
Legislazione concorrente e principii fondamentali di coordinamento del sistema tributario 
Stato-Regioni in attuazione dell�art. 119 Cost., espressi o deducibili dall�ordinamento 
giuridico. 
Nell�atto di costituzione si � sostenuta la tesi che l�IRESA, bench� istituita successivamente 
con legge regionale, non sarebbe un tributo proprio regionale istituito, con la conseguente attrazione 
nella competenza esclusiva legislativa statale di ogni intervento che ponga un tetto 
massimo alle aliquote. 
Tuttavia, anche inquadrando l�imposta in questione come tributo proprio istituito, l�intervento 
legislativo censurato nondimeno sarebbe legittimamente esercitato nell�ambito della potesta 
normativa concorrente ex terzo comma dell�art. 117 Cost., e non solo nell�ambito dei principi 
di coordinamento del �sistema tributario�, ma anche - a ben vedere - nelle materie �grandi 
reti di trasporto e navigazione� ed �aeroporti�. 
In tesi, si dimostrer� come, bench� non espressamente richiamati n� nella legge delega n. 
42/2009, n� nel decreto delegato n. 68/2011, i principii della tutela della concorrenza - realizzata 
attraverso un tetto massimo di aliquota - e quello della uguaglianza/non discriminazione
70 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2015 
tra passeggeri delle varie Regioni, costituiscano comunque principii di coordinamento del sistema 
tributario e non, come sostiene la Regione, norme di dettaglio. 
Occorre affrontare, brevemente, la spinosa questione della determinazione dei principii di coordinamento 
del sistema tributario e della attuazione dell�art. 119 Cost., c.d. federalismo fiscale, 
sia sotto il profilo delle fonti abilitate a farlo, sia sotto quello della loro individuazione 
statica o dinamica. 
Le fonti dei principii fondamentali di coordinamento. 
Come � noto l�attuazione dell�art. 119, comma 2, Cost., � avvenuta con la legge delega 5 maggio 
2009, n. 42; tuttavia non da questo tipo di fonte nascono tutti i principii di coordinamento, 
avendo l�art. 1 affidato alla fonte delegata la loro previsione dettagliata ed il loro ordinamento 
in sistema. 
Inoltre l'articolo 18 della legge delega contempla anche un "coordinamento dinamico della 
finanza pubblica" successivo, attuabile tramite la legge di stabilit� oppure tramite legge collegata 
con la manovra di finanza pubblica. 
Dalla lettura delle norme contenute nel decreto legislativo 6 maggio 2011, n. 68, il cui art. 8 
trasforma in tributo regionale l�IRESA, non risulta la previsione di alcun principio di non 
discriminazione e di uniformit� tra le aliquote nelle Regioni. 
Occorre, allora, chiedersi se i principi di coordinamento stabiliti dalla legge delega e dai decreti 
delegati costituiscono un numerus clausus o possano essere integrati da principi generali fondamentali 
dell�ordinamento vigente e da leggi successive, non solo di bilancio. 
Al quesito sembra potersi dare risposta affermativa. Infatti, nessun limite � posto al legislatore 
di attuare al meglio l�art. 119 Cost., financo tramite norme ricognitive di principi generali fondamentali 
quali quello di non discriminazione ed uguaglianza, del quale quello di omogeneit� 
di aliquote tra Regioni a fini di tutela del mercato dei voli ne costituisce evidente corollario. 
Del resto, soccorre in aiuto a tale tesi anche l�art. 1, comma 3, della legge n. 131/2003 laddove 
recita (enfasi ns.): �Nelle materie appartenenti alla legislazione concorrente, le Regioni esercitano 
la potest� legislativa nell'�mbito dei princ�pi fondamentali espressamente determinati 
dallo Stato o, in difetto, quali desumibili dalle leggi statali vigenti� (cfr. C. Cost. n. 94/2003). 
Poich�, allo stato, il quadro dei principii fondamentali di coordinamento non pu� dirsi esaustivo 
(per non dire lacunoso), anche per il rinvio dinamico in avanti autorizzato dall�art. 18 
della legge delega, la non menzione del principio di non discriminazione regionale pu� ben 
essere sanata dallo stesso comma 15 bis dell�art. 13 del d.l. n. 145/2013 che, si badi, nasce 
dalla legge di conversione e non da atto del Governo. 
Non pu� negarsi, infatti, che la norma abbia un ampio respiro, volta comՏ a tutelare il mercato 
concorrenziale del trasporto aereo e dell�intero sistema nazionale degli aeroporti, facendo essa 
leva sulle aliquote massime imponibili. 
Si tratta, pertanto, di norma di principio non di dettaglio. 
Inoltre, se la �enunciazione di obiettivi� costituisce la �cartina al tornasole� del carattere di 
normativa di principio (cfr. C. Cost. n 30/2005, punto 3 delle motivazioni), ebbene la norma 
censurata ne costituisce chiara espressione: infatti, non solo si prefigge di evitare gli effetti distorsivi 
della concorrenza che la Iresa laziale produce (primo obiettivo), ma intende promuovere 
(secondo obiettivo) durevolmente l'attrattivit� (leggasi competitivit�) dell�intero sistema aeroportuale 
italiano, avendo come (ulteriore) obiettivo immediato nazionale l'Expo 2015, evento 
sul quale il Paese confida per un rilancio dell�economia ed una uscita dalla grave crisi. 
In conclusione sul punto, il livellamento del tetto massimo delle aliquote posto dalla norma 
impugnata, per le finalit� prefisse, costituisce esso stesso principio generale di coordinamento
CONTENZIOSO NAZIONALE 71 
e non norma di dettaglio, in armonia con i principi di uguaglianza e non discriminazione desumibili 
dalla stessa Carta costituzionale e dal trattato UE al quale le Regioni sono vincolate 
ex art. 117, comma 1, Cost. 
GLI AEROPORTI ED IL SISTEMA DI TRASPORTO AEREO COME MATERIA CONCORRENTE 
Per le ragioni sopra esposte, non appare dubbio che il legislatore sia intervenuto a tutela dell�intero 
sistema nazionale aeroportuale civile (cos� testualmente il comma 15 bis cit.) e del 
correlato trasporto, rafforzandone la competitivit� e la redditivit�, attraverso una norma che, 
per quanto sopra dimostrato, � di principio. 
IV 
Illegittimit� costituzionale dell'art. 13, comma 15-bis del decreto-legge 23 dicembre 2013, 
n. 145, inserito dalla legge di conversione 21 febbraio 2014, n. 9, per violazione dell�articolo 
120, in combinato disposto con gli articoli 117 e 119 della Costituzione, sotto il profilo 
del principio della leale collaborazione. 
Quanto all'invocata violazione del principio di leale collaborazione, in disparte la circostanza 
che la disposizione impugnata, come gi� precisato, � la conseguenza dell'approvazione, nel 
corso dell'iter relativo alla conversione del DL 145/2013, di un emendamento parlamentare, 
giova, in ogni caso, rammentare che codesta Corte ha pi� volte sottolineato che tale principio 
�non trova applicazione in riferimento al procedimento legislativo e, inoltre, che esso non 
opera allorch� lo Stato eserciti la propria competenza esclusiva in materia di "tutela della 
concorrenza" �(cos� le sentenze n. 8 del 2013; n. 299 e n. 234 del 2012; n. 88 del 2009, n. 219 
del 2005 e n. 46 del 2013). 
A ci� si aggiunga che, come precedentemente evidenziato, il documento della Conferenza delle 
Regioni e delle Province Autonome datato 6 dicembre 2012, citato dalla Regione ricorrente, 
non � mai stato sottoposto n� alla Conferenza Unificata, n� alla Conferenza Stato-Regioni. 
*** 
Ultime considerazioni 
Non appare di pregio la difesa della Regione laddove afferma la violazione dell�art. 11 del 
d.lgs. n. 68/2011, per non avere la norma impugnata previsto la compensazione con modifica 
di aliquota o attribuzione di altri tributi. 
Codesta Corte ha affermato che il predetto art. 11 non pu� esser assunto a parametro, non rivestendo 
natura di norma interposta (sent. n. 121/2013). 
A stessa sorte pare essere destinato l�argomento svolto a pag. 23 del ricorso (i costi per la riscossione 
dell�i.r.e.s.a. con l�aliquota massima pari ad �.0,50 assorbirebbero interamente il 
gettito, snaturando lo scopo dell�imposta). 
A parte la facile obiezione che di tale circostanza non viene fornita prova (cfr. C. Cost. n. 
121/2013), occorre stigmatizzare come sia la Regione ad aver �sviato� le finalit� dell�imposta 
destinando solo il 10% (SIC!) del gettito agli scopi ambientali e risarcitori. 
Se la Regione Lazio invertisse la percentuale (90% o una minore) di finanziamento dello 
scopo tipico, potrebbe affermare lo stesso? 
La risposta �, all�evidenza, negativa. 
*** 
Richiamate le difese svolte in atto di costituzione, si insiste per la infondatezza di tutte le censure 
di incostituzionalit� sollevate in ricorso. 
Roma, 29 dicembre 2014 
L�AVVOCATO DELLO STATO 
Paolo Marchini
72 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2015 
Corte costituzionale, sentenza 13 febbraio 2015 n. 13 - Pres. Criscuolo, Red. Amato - avv. 
F.S. Marini per la Regione Lazio e avv. Stato P. Marchini per il Presidente del Consiglio dei 
ministri. 
(...) 
Considerato in diritto 
1.� Con ricorso spedito per la notifica il 18 aprile 2014, ricevuto dalla resistente il 24 aprile 
2014 e depositato nella cancelleria della Corte il 23 aprile 2014, la Regione Lazio ha promosso 
questione di legittimit� costituzionale dell�art. 13, comma 15-bis, del decreto-legge 23 dicembre 
2013, n. 145 (Interventi urgenti di avvio del piano �Destinazione Italia�, per il contenimento 
delle tariffe elettriche e del gas, per l�internazionalizzazione, lo sviluppo e la 
digitalizzazione delle imprese, nonch� misure per la realizzazione di opere pubbliche ed EXPO 
2015), convertito, con modificazioni, dall�art. 1, comma 1, della legge 21 febbraio 2014, n. 9. 
Il comma 15-bis dell�art. 13 viene censurato nella parte in cui stabilisce il valore massimo 
dell�aliquota dell�imposta regionale sulle emissioni sonore degli aeromobili civili (d�ora in 
avanti, �IRESA�), di cui agli artt. 90 e seguenti della legge 21 novembre 2000, n. 342 (Misure 
in materia fiscale). 
I parametri invocati nel ricorso sono l�art. 77, secondo comma, della Costituzione; l�art. 
117, secondo comma, lettera e), Cost., in combinato disposto con l�art. 3 Cost.; gli artt. 117, 
secondo e terzo comma, e 119, primo e secondo comma, Cost., in relazione all�art. 11 del decreto 
legislativo 6 maggio 2011, n. 68 (Disposizioni in materia di autonomia di entrata delle 
regioni a statuto ordinario e delle province, nonch� di determinazione dei costi e dei fabbisogni 
standard nel settore sanitario), e all�art. 19 della legge 31 dicembre 2009, n. 196 (Legge di 
contabilit� e finanza pubblica); nonch� l�art. 120 Cost., in combinato disposto con gli artt. 
117 e 119 Cost. 
2.. Le questioni di legittimit� costituzionale formulate in riferimento agli artt. 77, secondo 
comma, e 117, secondo comma, lettera e), Cost., in combinato disposto con l�art. 3 Cost., 
sono inammissibili. 
2.1.. Le censure relative alla violazione degli artt. 77, secondo comma, e 117, secondo 
comma, lettera e), Cost., in combinato disposto con l�art. 3 Cost., si riferiscono a parametri 
che non attengono al riparto delle competenze legislative tra Stato e Regioni. Questa Corte 
ha costantemente affermato che le questioni di legittimit� costituzionale prospettate da una 
Regione, nell�ambito di un giudizio in via principale, in ordine a parametri diversi da quelli 
riguardanti il riparto delle competenze legislative tra lo Stato e le Regioni, sono ammissibili 
soltanto se vi sia ridondanza delle asserite violazioni su tale riparto e il soggetto ricorrente 
abbia indicato le specifiche competenze ritenute lese e le ragioni della lamentata lesione (ex 
plurimis, sentenze n. 44 del 2014; n. 234, n. 220, n. 20 e n. 8 del 2013; n. 22 del 2012; n. 128 
del 2011; n. 326, n. 156, n. 52 e n. 40 del 2010; n. 341 del 2009). 
Secondo la prospettazione della ricorrente, i vizi denunciati sarebbero suscettibili di determinare 
la menomazione delle sue attribuzioni costituzionali e, specificamente, della sua autonomia 
finanziaria, tutelate dagli artt. 117, terzo comma, e 119 Cost., in considerazione della 
natura dell�IRESA quale tributo regionale proprio. 
2.1.1.. Va, peraltro, rilevato che, nel caso in esame, dalle evidenze documentali acquisite 
ai fini della valutazione dell�entit� della riduzione del gettito dell�imposta, emergono dati discordanti. 
La ricorrente evidenzia, in particolare, che la legge della Regione Lazio 29 aprile 2013, n. 
2, recante �Legge finanziaria regionale per l�esercizio 2013 (art. 11, legge regionale 20 no-
CONTENZIOSO NAZIONALE 73 
vembre 2001, n. 25)�, nell�istituire l�IRESA ha stimato un gettito annuo di 55.000.000 di euro 
(art. 5, comma 10). Essa, inoltre, afferma che - con l�applicazione dell�aliquota massima introdotta 
dalla norma impugnata - il gettito proveniente dall�IRESA si ridurrebbe a circa 
15.000.000 di euro, con una perdita di circa il 73 per cento. 
Tali dati si basano su registrazioni del traffico aereo risalenti al 2011; in ogni caso, non 
sono state fornite indicazioni n� in ordine alla composizione qualitativa del gettito, ripartita 
per classi di appartenenza degli aeromobili, n� in ordine all�effettiva riscossione, n� infine 
circa l�incidenza della diversa modulazione del tributo derivante dall�applicazione degli ulteriori 
criteri stabiliti dalla disposizione impugnata. Neppure risulta che la Regione Lazio si sia 
adeguata ai nuovi parametri stabiliti dal legislatore statale con la disposizione impugnata, ancorch� 
la stessa sia in vigore dal 22 febbraio 2014. 
Pu� aggiungersi che la stima del gettito del tributo per gli anni successivi al 2014, risultante 
dal bilancio di previsione per il triennio 2015-2017 (deliberazione della Giunta regionale del 
30 dicembre 2014, n. 943, recante �Bilancio di previsione finanziario della Regione Lazio 
2015-2017. Approvazione del �Bilancio finanziario gestionale�, ripartito in capitoli di entrata 
e di spesa�, pubblicato nel Bollettino Ufficiale della Regione 30 dicembre 2014, n. 104, supplemento 
n. 4), oltre ad essere indifferente rispetto alle modifiche normative denunciate, si 
discosta notevolmente dagli importi indicati nel ricorso. 
I dati forniti in ordine alla prospettata riduzione del gettito appaiono, quindi, inidonei per 
valutare l�incidenza della stessa riduzione sulle finanze regionali. 
2.1.2.. Pu� ritenersi, peraltro, pacifico che dalla determinazione statale della nuova e pi� 
ridotta aliquota consegua una riduzione del gettito e della disponibilit� finanziaria delle Regioni 
(ed, in particolare, di quelle Regioni che, con la propria autonoma disciplina del tributo, 
abbiano adottato aliquote superiori). Tuttavia, nel caso in esame, non � stato n� dedotto, n� 
tanto meno provato, che da tale riduzione consegua uno squilibrio incompatibile con le complessive 
esigenze di spesa regionale e, quindi, l�insufficienza dei mezzi finanziari dei quali la 
Regione dispone per l�adempimento dei propri compiti (ex plurimis, sentenze n. 155 del 2006; 
n. 431, n. 389, n. 29 e n. 17 del 2004). 
In definitiva, la tesi della ricorrente, secondo cui la lesione degli evocati parametri costituzionali 
determinerebbe una lesione dell�autonomia finanziaria regionale, si rivela meramente 
assertiva e non individua lo specifico vulnus che la disposizione impugnata arrecherebbe alle 
attribuzioni regionali. 
Devono, pertanto, dichiararsi inammissibili le questioni di legittimit� costituzionale promosse 
in riferimento all�art. 77, secondo comma, Cost., nonch� all�art. 117, secondo comma, 
lettera e), Cost., in combinato disposto con l�art. 3 Cost., posto che, in relazione ad esse, �il 
ricorso � generico quanto alla motivazione e carente [�] quanto alla pretesa ridondanza della 
disposizione impugnata sulla lesione delle proprie competenze� (ex plurimis, sentenze n. 79 
del 2014 e n. 246 del 2012). 
3.. La censura relativa alla violazione dell�art. 119, primo e secondo comma, Cost., in relazione 
all�art. 11 del d.lgs. n. 68 del 2011, e all�art. 19 della legge n. 196 del 2009, � infondata. 
3.1.. La Regione Lazio lamenta che la norma impugnata, incidendo in modo significativo 
sulle entrate regionali, sarebbe priva di copertura finanziaria, in quanto l�intervento statale 
non conterrebbe alcuna previsione circa l�onere - inteso come minore entrata - a carico dei 
bilanci regionali, n� alcuna indicazione circa le necessarie misure compensative. 
Ci� costituirebbe violazione dell�art. 11 del d.lgs. n. 68 del 2011, il quale - in attuazione 
dei principi stabiliti dall�art. 7, secondo comma, lettera t), della l. n. 42 del 2009 (Delega al
74 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2015 
Governo in materia di federalismo fiscale in attuazione dell�articolo 119 della Costituzione) 
- prevede, al primo comma, che �Gli interventi statali sulle basi imponibili e sulle aliquote 
dei tributi regionali di cui all�art. 7, comma 1, lettera b), numeri 1) e 2), della citata legge n. 
42 del 2009 sono possibili, a parit� di funzioni amministrative conferite, solo se prevedono la 
contestuale adozione di misure per la completa compensazione tramite modifica di aliquota 
o attribuzione di altri tributi�. 
Senza entrare nella questione se l�art. 11 sia parametro interposto, ovvero espressione di 
una competenza esclusiva dello Stato, ha rilievo l�attuale configurazione giuridica dell�IRESA 
quale �tributo proprio regionale�, cos� definito dall�art. 8 del d.lgs. n. 68 del 2011 e riconosciuto 
come tale da questa Corte (sentenza n. 18 del 2013), sia pure con le peculiarit� che saranno 
appresso indicate. Ci� esclude, ai sensi dell�art. 7, comma 1, lettera b), della legge n. 
42 del 2009, la necessit� di misure compensative, giacch� tale disposizione le prevede soltanto 
per altri tributi regionali. 
Da ci� discende l�infondatezza della denunciata violazione dell�art. 119, primo e secondo 
comma, Cost., in relazione all�art. 11 del d.lgs. 6 maggio 2011, n. 68, e all�art. 19 della legge 
31 dicembre 2009, n. 196. 
4.� La questione relativa alla violazione dell�art. 119, secondo comma, Cost. � infondata. 
4.1.. La ricorrente lamenta, in particolare, che la disposizione legislativa censurata, intervenendo 
nella materia del coordinamento del sistema tributario, affidata, ai sensi dell�art. 117, 
secondo comma, lettera e), Cost., alla competenza legislativa concorrente dello Stato e delle 
Regioni, non sarebbe volta a stabilire un principio fondamentale di coordinamento, ma detterebbe 
una statuizione di dettaglio di immediata applicazione nei confronti delle Regioni. 
4.2.. Va, in primo luogo, rilevato che la disposizione impugnata non stabilisce un�aliquota 
unica, ma un�aliquota massima modulabile da tutte le Regioni, sulla base dei criteri legislativamente 
indicati. Si tratta perci� non di una statuizione di dettaglio, ma, appunto, di una norma 
di coordinamento, resa necessaria dalle finalit� concorrenziali espressamente enunciate e concretamente 
perseguite dalla stessa disposizione. 
Tali finalit� corroborano la legittimit� dell�intervento, che si prefigge il fine di �evitare effetti 
distorsivi della concorrenza tra gli scali aeroportuali e di promuovere l�attrattivit� del sistema 
aeroportuale italiano�. L�obiettivo del rilancio della competitivit� del settore � destinato 
a realizzarsi, sia attraverso la determinazione di un limite massimo dell�imposta, sia con la 
sua modulazione che tenga conto della distinzione tra voli diurni e notturni e delle peculiarit� 
urbanistiche delle aree geografiche prospicienti i singoli aeroporti. 
Tali modalit� di realizzazione delle funzioni pro-concorrenziali della disposizione rispondono 
alle indicazioni formulate dall�Autorit� garante della concorrenza e del mercato nell�atto 
di segnalazione n. 1071 del 27 agosto 2013. In questa sede, infatti, �la definizione con legge 
dello Stato di criteri uniformi per il calcolo dell�imposta� era stata indicata come necessaria 
al superamento delle problematiche concorrenziali derivanti dalle difformit� tra le discipline 
regionali dell�imposta. 
4.2.1.. Va, inoltre, evidenziato che l�imposta in esame, originariamente finalizzata a promuovere 
il disinquinamento acustico in relazione al traffico aereo, ha mantenuto uno scopo 
specifico, il quale tuttora comprende finalit� attinenti alla tutela dell�ambiente (art. 117, secondo 
comma, lettera s), Cost.). Lo dimostra la previsione della destinazione �prioritaria� del 
gettito �al completamento dei sistemi di monitoraggio acustico e al disinquinamento acustico 
e all�eventuale indennizzo delle popolazioni residenti [�] dell�intorno aeroportuale� (art. 90, 
comma 1, della legge n. 342 del 2000). 
CONTENZIOSO NAZIONALE 75 
4.2.2.. L�intersezione delle molteplici finalit� della disposizione impugnata, tutte rientranti 
nella competenza legislativa statale, sorregge la legittimit� dell�intervento normativo in esame 
e conduce alla declaratoria di infondatezza delle censure. 
5.. Anche la questione relativa alla violazione dell�art. 120 Cost. � infondata. 
5.1.. Al riguardo, questa Corte ha costantemente escluso che le procedure collaborative 
fra Stato e Regioni (salvo che l�osservanza delle stesse sia imposta direttamente o indirettamente 
da norme costituzionali) trovino applicazione nell�attivit� legislativa dello Stato (sentenze 
n. 273 del 2013; n. 297 del 2012; n. 196 del 2004). 
Pertanto, la questione formulata in riferimento alla violazione dell�art. 120 Cost. risulta infondata. 
PER QUESTI MOTIVI 
LA CORTE COSTITUZIONALE 
dichiara inammissibili le questioni di legittimit� costituzionale dell�art. 13, comma 15-bis, 
del decreto-legge 23 dicembre 2013, n. 145 (Interventi urgenti di avvio del piano �Destinazione 
Italia�, per il contenimento delle tariffe elettriche e del gas, per l�internazionalizzazione, 
lo sviluppo e la digitalizzazione delle imprese, nonch� misure per la realizzazione di opere 
pubbliche ed EXPO 2015), convertito, con modificazioni, dall�art. 1, comma 1, della legge 
21 febbraio 2014, n. 9, promosse, in riferimento agli artt. 77, secondo comma, e 117, secondo 
comma, lettera e), della Costituzione, in combinato disposto con l�art. 3 Cost., dalla Regione 
Lazio, con il ricorso indicato in epigrafe; 
dichiara non fondate le questioni di legittimit� costituzionale dell�art. 13, comma 15-bis, 
del d.l. n. 145 del 2013, come convertito, promosse, in riferimento agli artt. 117, secondo e 
terzo comma, 119, primo e secondo comma, e 120 Cost., dalla Regione Lazio con il ricorso 
indicato in epigrafe. 
Cos� deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 9 
febbraio 2015. 
76 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2015 
L�incandidabilit� del Sindaco e degli amministratori locali 
che hanno causato lo scioglimento del Consiglio comunale per 
infiltrazioni mafiose 
NOTA A CASS. CIV., SEZ. UN., SENTENZA 30 GENNAIO 2015 N. 1747 
David Romei* 
SOMMARIO: 1. La vicenda - 2. La natura del procedimento diretto alla declaratoria di 
incandidabilit� degli amministratori locali �collusi� - 3. L�incandidabilit� degli amministratori 
locali responsabili dello scioglimento del consiglio comunale (o provinciale). Natura e 
funzione. 
1. La vicenda. 
Il Consiglio comunale di Ventimiglia, i cui organi elettivi erano stati rinnovati 
nelle consultazioni elettorali del 27-28 maggio 2007, a seguito degli 
accertamenti effettuati dai competenti organi del Ministero dell�Interno, � stato 
sciolto, ai sensi dell�art. 143, d.lgs. n. 18 agosto 2000, n. 267 (c.d. Testo Unico 
delle leggi sull�ordinamento degli Enti locali), con d.P.R. del 6 febbraio 2012. 
La procedura che ha condotto all�emanazione del citato d.P.R. prendeva 
le mosse da una serie di informazioni fornite dal Procuratore della Direzione 
distrettuale antimafia di Genova riguardanti: a) le frequentazioni del neoeletto 
Sindaco con una nota famiglia indicata come punto di riferimento per la malavita 
calabrese attiva nel ponente ligure; b) la vicenda legata alla costituzione 
(fortemente voluta dallo stesso Sindaco) di una societ� in house del Comune 
di Ventimiglia tramite la quale erano stati affidati vari lavori ad una cooperativa 
sociale direttamente riconducibile alla predetta famiglia. 
A seguito della trasmissione delle predette informative, la Prefettura di 
Imperia disponeva l�accesso presso il Comune ai sensi dell�art. 1, comma 4, 
d.l. n. 629/1982, convertito in l. n. 726/1982. Le risultanze del monitoraggio 
mettevano in luce, tra l�altro, come il territorio del Comune di Ventimiglia 
fosse caratterizzato dalla presenza stanziale di numerosi soggetti legati alla 
criminalit� organizzata che perseguono finalit� ed agiscono con metodi tipici 
delle associazioni mafiose, avvalendosi di un apparato composto da persone 
inserite nel tessuto sociale in grado di riferire le informazioni acquisite dai 
vertici decisionali. Il radicamento di tali gruppi sul territorio ne aveva favorito 
l�espansione della dimensione affaristica anche attraverso la presenza in attivit� 
economiche legali controllate tramite una fitta rete di partecipazioni societarie. 
Il crescente volume delle menzionate attivit� giustificava l�interesse 
delle predette organizzazioni ad individuare, in ambito locale, specifici refe- 
(*) Avvocato del libero Foro, gi� praticante foresene presso l�Avvocatura dello Stato.
CONTENZIOSO NAZIONALE 77 
renti politici ed amministrativi. Inoltre, le indagini ispettive avevano evidenziato 
la sostanziale continuit� tra le amministrazioni succedutesi negli ultimi 
due mandati, oltre a significativi collegamenti e frequentazioni tra alcuni componenti 
della compagine elettiva e dell�apparato burocratico con esponenti 
della locale criminalit�. 
Alla luce delle risultanze dell�attivit� svolta dalla Commissione d�accesso, 
la Prefettura di Imperia inoltrava al Ministero dell�Interno relazione negativa, con 
la quale proponeva ai superiori Uffici ministeriali lo scioglimento del Consiglio 
Comunale di Ventimiglia. Tale proposta esitava nel decreto di scioglimento del 
Consiglio Comunale, per la durata di 18 mesi, di cui al d.P.R. 6 febbraio 2012. 
A seguito dello scioglimento del Consiglio comunale, il Ministro dell�Interno 
trasmetteva al Presidente del Tribunale di Sanremo la proposta di scioglimento 
dell�Ente comunale, corredata dal d.P.R. del 6 febbraio 2012 e dalla 
relazione della Commissione d�accesso, ai fini della declaratoria di incandidabilit� 
degli amministratori locali. 
In seguito alla trasmissione della predetta proposta di scioglimento anche 
il Procuratore della Repubblica Tribunale di Sanremo, con autonomo ricorso, 
avanzava al Tribunale di Sanremo analoga richiesta di declaratoria di incandidabilit� 
alle elezioni regionali, provinciali, comunali e circoscrizionali destinate 
a svolgersi in Liguria degli amministratori che risultavano essere stati - direttamente 
o indirettamente - vicini ad ambienti legati alla criminalit� organizzata. 
Il procedimento veniva definito con decreto dell�8 maggio 2013, n. 167, 
con cui il Tribunale di Sanremo respingeva la richiesta di incandidabilit� avanzata 
congiuntamente dall�Amministrazione dell�Interno e dal pubblico ministero. 
Avverso tale provvedimento interponeva reclamo innanzi alla Corte d�appello 
di Genova il Ministero dell�Interno. 
Con decreto del 20 febbraio 2014, la Corte territoriale, in parziale accoglimento 
dello spiegato reclamo, dichiarava l�incandidabilit� del Sindaco del 
Comune di Ventimiglia �alle elezioni regionali, provinciali, comunali e circoscrizionali 
che si svolgono nella Regione Liguria limitatamente al primo 
turno elettorale successivo allo scioglimento del Consiglio comunale�. 
Contro la decisione il Sindaco di Ventimiglia proponeva ricorso straordinario 
per cassazione. 
Con la pronuncia in commento le Sezioni Unite, nel rigettare il ricorso, 
affrontano il delicato tema dello scioglimento dei Consigli comunali per infiltrazioni 
mafiose, soffermandosi, in particolare, sull�aspetto dell�incandidabilit� 
degli amministratori locali che, con la loro condotta, hanno causato lo 
scioglimento degli organi elettivi dell�ente locale d�appartenenza. 
2. La natura del procedimento volto alla declaratoria di incandidabilit� degli 
amministratori locali �collusi�. 
In primo luogo, le Sezioni Unite si soffermano sulla natura e sulle forme
78 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2015 
dello speciale procedimento disegnato dal legislatore all�art. 143, comma 11, 
T.U.E.L. (cos� come modificato dalla l. 15 luglio 2009, n. 94) per la pronuncia 
dell�incandidabilit� degli amministratori che, con le loro condotte, hanno causato 
lo scioglimento dell�Ente locale (1). 
La norma prevede che il giudizio sia instaurato direttamente a seguito di 
iniziativa del Ministro dell�Interno, il quale invia, senza ritardo, la proposta 
di scioglimento - corredata dalla relazione prefettizia di accompagnamento 
che ne costituisce parte integrante - al tribunale competente per territorio, che, 
a sua volta, valuta la sussistenza degli elementi di cui al comma 1 dell�art. 143 
T.U.E.L. con riferimento agli amministratori indicati nella proposta stessa. Per 
espressa previsione normativa, al procedimento si applicano, in quanto compatibili, 
le norme sul rito camerale di cui al libro IV, titolo II, capo VI, del codice 
di procedura civile (artt. 737 e ss.). 
Lo scarno tenore letterale della disposizione ha fatto sorgere non pochi 
dubbi sia in ordine alla veste formale che deve assumere l�atto introduttivo 
del giudizio, che sulla compatibilit� del procedimento con i principi della domanda, 
della regolare instaurazione del contraddittorio e del giusto processo 
applicabili anche ai procedimenti che si svolgono in camera di consiglio. 
Le Sezioni Unite, nel rigettare i motivi di ricorso agitati sul punto dal ricorrente, 
hanno chiarito che l�art. 143, comma 11, T.U.E.L. disegna una forma 
speciale di instaurazione del giudizio, destinato, poi, a svolgersi nelle forme 
del rito in camera di consiglio. Il legislatore, infatti, pur avendo disposto l�applicazione, 
in quanto compatibili, delle forme del rito camerale, ha in realt� 
creato una peculiare forma di introduzione del procedimento de quo, da un 
lato affidando direttamente al Ministro dell�Interno la legittimazione attiva all�introduzione 
del giudizio e, dall�altro, individuando nella trasmissione della 
sola proposta di scioglimento l�atto introduttivo del procedimento. 
La scelta di dettare una forma speciale e atipica di introduzione del giudizio 
� - ad avviso della Suprema Corte - coerente con la natura e il contenuto della proposta 
ministeriale e, al contempo, con le finalit� del rimedio dell�incandidabilit�. 
(1) Per una pi� approfondita analisi dell�istituto dello scioglimento dei consigli comunali (e provinciali) 
degli enti locali per infiltrazioni o condizionamento di tipo mafioso sia consentito rinviare a 
ROMEI, Lo scioglimento dei consigli comunali e provinciali per infiltrazioni o condizionamento mafioso, 
in Rassegna Avvocatura dello Stato, n. 2/2014, 358 e ss. Sull�argomento si vedano, altres�, ALFANOGULLOTTI, 
Lo scioglimento dei consigli comunali e provinciali per infiltrazioni e condizionamenti della 
criminalit� organizzata, in Nuova rassegna on line, 3, 2010; STADERINI, Diritto degli enti locali, Padova, 
2011; LONGO, Lo scioglimento dei consigli comunali per fenomeni di infiltrazione e di condizionamento 
di tipo mafioso e questione di contesto, in Foro amm. CdS, 2008, 880 e ss.; LEOTTA, Breve rassegna di 
giurisprudenza in materia di provvedimenti di scioglimento dei consigli comunali e provinciali per infiltrazioni 
e condizionamenti di tipo mafioso, Intervento al Workshop �Infiltrazioni mafiose e P.A.�, Siracusa, 
26 maggio 2007, in www.giustizia-amministrativa.it; GAGLIARDI, Lo scioglimento dei consigli 
comunali per infiltrazioni della criminalit� organizzata, in Foro amm. CdS, fasc. 11, 2005; CELLA, Lo 
scioglimento dei consigli comunali e provinciali per infiltrazioni o condizionamento di tipo mafioso, in 
Foro amm. TAR, 2004, 1209 e ss.
CONTENZIOSO NAZIONALE 79 
La decisione di affidare direttamente alla proposta ministeriale di scioglimento 
l�effetto di incardinare il giudizio � pienamente conforme con i principi 
della domanda e del giusto processo, essendo il relativo petitum 
determinato a monte dallo stesso legislatore nella dichiarazione di incandidabilit� 
degli amministratori locali coinvolti, mentre l�individuazione della 
causa petendi � effettuata tramite il rinvio alla proposta ministeriale di scioglimento 
nonch� all�allegata relazione prefettizia, all�interno della quale sono 
puntualmente individuate le condotte degli amministratori che hanno causato 
lo scioglimento del Consiglio comunale. La ratio di tale scelta riposa nell�avvertita 
esigenza di apprestare forme procedimentali essenziali, in grado 
di permettere una risposta giurisdizionale il pi� possibile ravvicinata nel 
tempo, al fine di arrestare quanto pi� velocemente possibile l�ingerenza inquinante 
delle consorterie mafiose nella vita delle amministrazioni democratiche 
locali. Peraltro, a riprova del carattere d�urgenza che riveste il 
procedimento, � l�esclusione dell�operativit� della sospensione feriale dei termini 
per i giudizi de quibus (2). 
Neppure convincenti appaiono, del resto, le doglianze mosse dal ricorrente 
circa la carenza di ius postulandi del Ministro dell�Interno, che, per la 
regolare introduzione del giudizio, avrebbe dovuto necessariamente avvalersi 
del patrocinio dell�Avvocatura dello Stato in applicazione del principio dell�obbligatoriet� 
della difesa tecnica. Al contrario le Sezioni Unite, richiamando 
l�applicabilit� in via analogica del principio generale per cui nei 
giudizi elettorali (di cui quello contemplato dall�art. 143, comma 11, T.U.E.L. 
costituisce una species) non � necessario il patrocinio di un difensore tecnico 
(3), potendo le parti stare in giudizio personalmente in ogni grado, sottolineano 
come questa facolt� debba essere necessariamente riconosciuta anche 
alla parte pubblica. Tale ultimo assunto, peraltro, si pone in evidente continuit� 
con l�interpretazione fornita dall�Avvocatura Generale dello Stato relativamente 
al principio della difesa personale delle parti nei giudizi elettorali 
di cui all�art. 23 c.p.a. (4). 
Malgrado le puntualizzazioni compiute dalla Suprema Corte, restano an- 
(2) Cfr. Trib. Marsala, 10 settembre 2012, in Giur. civile, 3, 2013, con nota adesiva di CARADONNA, 
Inapplicabilit� della sospensione feriale alla richiesta di incandidabilit� del Sindaco responsabile dello 
scioglimento del Consiglio comunale. 
(3) Cfr., per un�applicazione di tale principio, i giudizi istaurati ai sensi dell�art. 3, l. 23 dicembre 
1966, n. 1147 e dell�art. 22, d.lgs. 1 settembre 2011, n. 150. Per l�affermazione del principio si vedano 
Cass. civ., sez. un., 10 febbraio 1992, n. 1466, in Giust. civ. Mass., 1992, fasc. 2; Cass. civ., sez. un., 21 
gennaio 1977, n. 312 in Giust. civ. Mass., 1977, fasc. 1; Cass. civ., sez. I, 10 ottobre 1983, n. 5878, in 
Giust. civ. Mass., 1983, fasc. 9; Cass. civ., sez. I, 5 dicembre 1980, n. 6341, in Giust. civ. Mass., 1980, 
fasc. 12.; Cons. St., sez. V, 16 febbraio 2011, n. 999, in Foro amm. CdS, 2011, fasc. 2, 454; Cons. St., 
sez. V, 18 marzo 2002, n. 1565, in Foro it., 2003, III, 343; Cons. St., sez. V, 4 luglio 1986, n. 353, in 
Foro amm., 1986, 1333 e in Cons. Stato, 1986, I, 863. 
(4) Cfr. circolare dell�A.G.S. n. 52 del 29 settembre 2010, prot. n. 297377. 
80 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2015 
cora aperte diverse questioni, prima tra tutte quelle sulla natura e sulla forma 
del provvedimento conclusivo del giudizio (5). 
Nonostante il silenzio serbato dalla norma sul punto, deve, comunque, ritenersi 
che lo stesso debba rivestire la forma della sentenza per due ordini di 
ragioni (6). 
In primis, l�art. 143, comma 11, T.U.E.L., pur non prendendo posizione 
al riguardo, prevede che l�incandidabilit� debba essere dichiarata con provvedimento 
definitivo. � evidente che il tipico provvedimento destinato ad avere 
carattere di definitivit�, e cio� a passare in giudicato, � la sentenza. 
In secundis, la prevalenza accordata alla sostanza dei provvedimenti giudiziari 
rispetto alla forma dagli stessi rivestita, rapportata alla indubbia natura 
contenziosa del procedimento ex art. 143, comma 11, T.U.E.L. ed alla incidenza 
e stabilit� del provvedimento con cui lo stesso si conclude rispetto ai 
diritti soggettivi in discussione, fanno senz�altro propendere per la natura sostanziale 
di sentenza del provvedimento de quo, presentando la statuizione il 
requisito della decisoriet� e della definitivit�, con efficacia assimilabile a 
quella del giudicato, sicch� anche il decreto eventualmente emesso avrebbe, 
comunque natura sostanziale di sentenza. 
Dalla natura sostanziale di sentenza del provvedimento conclusivo del 
giudizio discende che l�incandidabilit� dichiarata con provvedimento definitivo, 
imposta dall�art. 143, comma 11, T.U.E.L., alla data fissata per la presentazione 
delle candidature, nonch� a quella dello svolgimento delle elezioni, 
non � ravvisabile laddove sia stata dichiarata solo dalla Corte d�appello, la cui 
decisione ha in s� tutte le caratteristiche necessarie per essere assoggettata al 
ricorso straordinario per Cassazione, non potendosi ricondurre in tal caso alla 
pronuncia dei giudici di secondo grado quella definitivit� strutturalmente e 
funzionalmente incompatibile con un ulteriore grado di giudizio. In pendenza 
del termine per il ricorso per Cassazione avverso la decisione di appello, dunque, 
gli amministratori locali devono essere ritenuti candidabili, con conseguente 
validit� delle elezioni che si siano svolte (7). 
In ogni caso, il giudizio diretto alla declaratoria di incandidabilit� � del 
tutto autonomo rispetto a quello eventualmente instaurato innanzi al giudice 
amministrativo avverso il decreto di scioglimento dell�ente. Difatti, l�impugnazione 
di tale atto, sebbene connesso al petitum o alla causa petendi del giudizio 
civile, non comporta una vincolo di pregiudizialit� tecnica-giuridica 
idoneo a determinare la sospensione, n�, a fortiori, il rinvio della trattazione 
del giudizio, la quale, ove disposta, determinerebbe la paralisi di fatto dello 
(5) Sul punto si veda ROMEI op. cit., 383-384. 
(6) App. Catanzaro, sez. I, 28 aprile 2014, n. 588 (inedita). 
(7) In questo senso ROMEI, op. cit., 384. In giurisprudenza cfr., ex plurimis, Cons. giust. amm. Sicilia, 
sez. giurisd., 2 aprile 2013, n. 395, in Guida al diritto, 2013, 20, 90, con nota di PONTE; T.A.R. Sicilia, 
Palermo, sez. II, 15 ottobre 2012, n. 2005, in Foro amm. TAR, 2012, 10, 3362.
CONTENZIOSO NAZIONALE 81 
stesso, in elusione della norma di cui all�art. 295 c.p.c. (8). 
3. L�incandidabilit� degli amministratori locali responsabili dello scioglimento 
del consiglio comunale (o provinciale). Natura e funzione. 
L�aspetto di maggior rilievo della pronuncia in commento � senz�altro 
quello concernente la natura della misura dell�incandidabilit� degli amministratori 
locali che, con la loro condotta, hanno causato lo scioglimento degli 
organi elettivi dell�ente locale d�appartenenza (9). 
Come gi� accennato, tale misura � stata introdotta nell�art. 143, comma 
11, T.U.E.L. dalla l. 15 luglio 2009, n. 94 (10). In particolare, la norma prevede 
che, fatta salva l�applicazione di ogni altra misura interdittiva ed accessoria 
eventualmente prevista, gli amministratori responsabili delle condotte che 
hanno dato causa allo scioglimento non possono essere candidati alle elezioni 
regionali, provinciali, comunali e circoscrizionali, che si svolgono nella regione 
nel cui territorio si trova l�ente interessato dallo scioglimento, limitatamente 
al primo turno elettorale successivo allo scioglimento stesso, qualora 
la loro incandidabilit� sia dichiarata con provvedimento definitivo. 
La previsione di cui all�art. 143, comma 11, T.U.E.L. costituisce una particolare 
ipotesi di responsabilit� dirigenziale, applicabile ad ampio spettro sia 
ai dirigenti che ai membri degli organi elettivi degli enti locali disciolti (11). 
Tuttavia, lungi dal trattarsi di una responsabilit� �automatica�, essa deve essere 
oggetto di accertamento in via definitiva da parte degli organi giurisdizionali a 
ci� preposti (12), in quanto esita nella sanzione della incandidabilit� - in ambito 
regionale - alle prime elezioni successive allo scioglimento dell�ente locale, 
impingendo quindi nella sfera soggettiva pi� intima dei candidati, in quanto ha 
ad oggetto il diritto, costituzionalmente garantito, di elettorato passivo (13). 
La norma si affianca al pi� ampio genus delle cause di incandidabilit� 
(8) Cfr., sul punto, ex plurimis, Cass. civ., sez. VI, 9 dicembre 2014, n. 25861, in Dir. & Giust., 
2014; Cass. civ., sez. VI, 24 ottobre 2013, n. 24071, in Dir. & Giust., 2013, con nota di VILLA; Cass. 
civ., sez. III, 12 maggio 2003, n. 7195, in Giust. civ. Mass., 2003, 5. Nel senso dell�insussistenza del 
vincolo di pregiudizialit� logico-giuridica si veda anche, con riferimento all�analoga vicenda relativa 
alla sussistenza di un giudizio di legittimit� sulla surroga disposta dal Consiglio comunale, Cons. giust. 
amm. Sicilia, sez. giurisd., 19 marzo 2010, n. 400, in www.giustizia-amministrativa.it; T.A.R. Sicilia, 
Palermo, sez. II, 11 ottobre 2011, n. 1777, in Foro amm. TAR, 2011, 10, 3273. 
(9) Per una panoramica sull�istituto di nuova introduzione sia consentito rinviare nuovamente a 
ROMEI, op. cit., 380 e ss. nonch� a ALFANO-GULLOTTI, op. cit. 
(10) In Gazz. Uff. 24 luglio 2009, n. 170. 
(11) Cfr. ROMEI, op. cit., 380-381. 
(12) L�accertamento, come esplicitamente disposto dallo stesso comma 11 dell�art. 143 T.U.E.L., 
ha ad oggetto la verifica della presenza di elementi su collegamenti o forme di condizionamento che 
consentano di individuare la sussistenza di un rapporto fra gli amministratori e la criminalit� organizzata: 
cfr., in tal senso, Trib. Catania, sez. I, 21 marzo 2014, in www.jusexplorer.it, 2014. 
(13) In tal senso T.A.R. Sicilia, Palermo, sez. II, 15 ottobre 2012, n. 2005, in Foro amm. TAR, 
2012, 10, 3362.
82 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2015 
originariamente previste dall�art. 15, l. n. 55/1990 (come modificato dalla l. 
16 gennaio 1992, n. 16) (14), successivamente confluito nell�art. 58 T.U.E.L. 
(da ultimo abrogato dall�art. 17, comma 1, lett. a), d.lgs. 31 dicembre 2012, n. 
235, c.d. legge Severino), delle quali condivide alcuni caratteri fondamentali 
(15). In generale, l�incandidabilit� costituisce una nuova incapacit� giuridica 
speciale, ontologicamente e teleologicamente diversa dalle altre situazioni che, 
del pari, impediscono l�elezione o la permanenza in una carica pubblica, perch� 
limitano l�esercizio del diritto di elettorato passivo (16). Infatti, le circostanze 
che importano l�incandidabilit�, escludono il diritto di elettorato passivo 
(rispetto alle elezioni amministrative) e non soltanto l�esercizio dello stesso, 
impedendo ai soggetti che ne sono colpiti persino di adire la situazione giuridica 
prodromica rispetto all�elezione, ovvero la candidatura. In quest�ottica, 
diversamente da quanto avviene con riferimento ai seppur analoghi istituti 
dell�ineleggibilit� e dell�incompatibilit�, l�incandidabilit� si palesa come la 
conseguenza, non la causa, della perdita del diritto di elettorato passivo. L�ineleggibilit� 
e l�incompatibilit�, infatti, pur limitando l�esercizio del diritto di 
elettorato passivo, discendono, per�, da situazioni che l�interessato pu� (e 
deve) rimuovere prima di essere candidato o al momento in cui viene eletto, 
e che vanno perci� ascritte alla categoria della incompatibilit�, che l�ordinamento 
pone in riguardo al possibile contrasto d�interessi tra l�eleggendo e 
l�ente che esso dovrebbe rappresentare (17). 
Malgrado le indubbie similitudini, la misura di cui all�art. 143, comma 11, 
T.U.E.L., va nettamente distinta dalla sanzione di incandidabilit� prevista dall�abrogato 
art. 58 T.U.E.L., che prevedeva, quali cause ostative alla candidabilit� 
alle elezioni provinciali, comunali e circoscrizionali, come presidente e componente 
di consigli e giunte, nonch� di aziende speciali ed istituzioni e di comunit� 
montane, l�aver riportato una condanna definitiva per il delitto previsto dall�art. 
416-bis c.p. (ovvero per gli altri enumerati dall�art. 58, lett. a), b), c) e d), 
T.U.E.L.), nonch� l�essere stati destinatari, in forza di un provvedimento definitivo, 
di una misura di prevenzione in relazione alla partecipazione ad associazioni 
di carattere mafioso (18). In tali casi, infatti, l�incandidabilit� consegue 
come vera e propria obbligatoria sanzione accessoria ad una sentenza di condanna 
definitiva per i delitti ivi espressamente indicati. Al contrario, la misura 
prevista dall�art. 143, comma 11, T.U.E.L., assume una precisa finalit� cautela- 
(14) In Gazz. Uff. 22 gennaio 1992, n. 17. 
(15) Cfr. ROMEI, op. cit., 381. 
(16) In tal senso, in dottrina, CINNERA, La partecipazione dell� �incandidabile� alle elezioni per 
il rinnovo dei consigli comunali (e provinciali): nullit� dei voti o delle elezioni?, in www.giustamm.it. 
Analogamente anche la giurisprudenza: cfr. Cons. Giust. Amm. Sicilia, sez. giurisd., 14 marzo 2000, n. 
113, in www.giustizia-amministrativa.it; T.A.R. Sicilia, Catania, sez. II, 27 maggio 1999, n. 1021, in 
www.giustizia-amministrativa.it. 
(17) Cfr. ROMEI, op. cit., 381; CINNERA, op. cit. 
(18) Sul punto si veda ALFANO-GULLOTTI, op. cit.
CONTENZIOSO NAZIONALE 83 
tiva e di prevenzione, s� da attuare una modalit� di controllo sulle candidature, 
quanto meno in una fase circoscritta temporalmente e, comunque, successiva 
alla proposta di scioglimento del consiglio, che, evidentemente, non � conseguenza 
immediata della proposta, ma va disposta con successivo d.P.R. 
Tale fondamentale differenza emerge, del resto, dallo stesso tenore letterale 
dell�art. 143, comma 11, T.U.E.L., il quale, nel prevedere che il tribunale 
valuti la sussistenza degli elementi di cui al comma 1 con riferimento agli amministratori 
indicati nella proposta stessa, impone al giudice l�effettuazione di 
una effettiva e nuova ponderazione dei fattori che hanno condotto allo scioglimento 
del consiglio comunale (o provinciale). Infatti, lungi dal sancire alcun 
automatismo tra lo scioglimento dell�ente e l�incandidabilit� degli amministratori 
decaduti dalla carica (come accade, invece, per l�incandidabilit� di cui 
all�art. 58 T.U.E.L., che deriva quale conseguenza automatica del venire in essere 
di una delle situazioni contemplate dalla norma), il legislatore ne ha rimesso 
l�accertamento alla magistratura ordinaria, che deve valutare, sia pure 
nelle forme rapide e sommarie del giudizio in camera di consiglio, nel cui ambito 
� comunque garantito il contraddittorio, la ricorrenza dei presupposti di 
cui all�art. 143, comma 1, T.U.E.L. relativamente alla posizione non dell�apparato 
amministrativo e/o burocratico nel suo complesso, ma di ogni singolo 
amministratore indicato nella proposta ministeriale. 
Ai fini della dichiarazione di incandidabilit�, infatti, � sufficiente la sola 
presenza di elementi su collegamenti o su forme di condizionamento che consentano 
di individuare la sussistenza di un rapporto fra gli amministratori e la 
criminalit� organizzata, ma che non devono necessariamente concretarsi in situazioni 
di accertata volont� degli amministratori di assecondare gli interessi 
della criminalit� organizzata, n� in forme di responsabilit� personali, anche 
penali, degli amministratori (19), ma tali, comunque, da rendere plausibile, 
nella concreta realt� contingente e in base ai dati dell�esperienza, l�ipotesi di 
una possibile soggezione degli amministratori alla criminalit� organizzata, 
quali i vincoli di parentela o di affinit�, i rapporti di amicizia o di affari, le notorie 
frequentazioni ovvero quando risulti comunque che gli organi elettivi 
siano gravemente venuti meno ai propri doveri di vigilanza e controllo sull�apparato 
gestionale - amministrativo dell�ente locale (20). Peraltro - sottolineano 
le Sezioni Unite - il Giudice, nella formazione del quadro indiziario su 
(19) In terminis Cons. St., sez. III, 6 marzo 2012, n. 1266, in www.giustizia-amministrativa.it. 
(20) Cfr., ex plurimis, Trib. Catania, sez. I, 21 marzo 2014, in www.jusexplorer.it. Sulla rilevanza 
dei rapporti parentali ai fini dello scioglimento del consiglio comunale (o provinciale) si vedano, tra le 
tante, Cons. St., sez. V, 14 maggio 2003, n. 2590, in www.giustizia-amministrativa.it; contra T.A.R. 
Campania, Napoli, sez. I, 8 marzo 2013, n. 1382, in Foro amm. TAR, 2013, 3, 913, secondo cui �i legami 
parentali non sono sufficienti a desumere la sussistenza di un inquinamento mafioso, in difetto di pi� 
significative circostanze sintomatiche di tentativi di ingerenze della criminalit� organizzata sulla conduzione 
dell�impresa e sugli esponenti aziendali�.
84 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2015 
cui fondare il proprio convincimento in ordine alla sussistenza dei presupposti 
di cui all�art. 143, comma 11, T.U.E.L., non � vincolato alle sole allegazioni 
contenute nella proposta ministeriale, ma pu� prendere in esame anche tutte 
le risultanze probatorie acquisite nel corso del procedimento camerale (21). 
Un ulteriore significativo elemento di differenziazione tra la disciplina 
contenuta negli artt. 58 e 143 T.U.E.L. attiene all�ambito temporale di efficacia 
delle due norme (22). 
Difatti, mentre la norma di cui all�art. 58 T.U.E.L. opera senza limiti di tempo 
(fatta salva la concessione della riabilitazione ai sensi dell�art. 178 T.U.E.L.), l�incandidabilit� 
ex art. 143, comma 11, T.U.E.L. ha efficacia limitata al primo turno 
elettorale successivo allo scioglimento del consiglio dell�Ente locale; turno che, 
tuttavia, la stessa norma riferisce �alle elezioni regionali, provinciali, comunali 
e circoscrizionali, che si svolgono nella regione nel cui territorio si trova l�ente 
interessato dallo scioglimento�. Difatti, �proprio l�univoco tenore letterale e 
grammaticale della norma, chiaramente evidenziato dall�utilizzo tra il penultimo 
e l�ultimo termine della richiamata enumerazione, della congiunzione coordinante 
copulativa �e�, solitamente adoperata per esprimere l�unione di due elementi, 
e non gi� della congiunzione coordinante semplice disgiuntiva �o�, 
solitamente usata per esprimere un�alternativa, consente, infatti, [...] di identificarne 
l�ambito applicativo in relazione a tutte le tornate elettorali di cui alla medesima 
enumerazione. Quanto, invece, all�ambito temporale di operativit� della 
dichiarazione di incandidabilit� assunta con provvedimento giurisdizionale definitivo, 
esso risulta dalla norma in commento testualmente circoscritto �al primo 
turno elettorale successivo allo scioglimento del consiglio�. L�inequivoco significato 
letterale della citata disposizione - in forza del quale la dichiarazione (definitiva) 
di incandidabilit� � destinata a produrre i suoi effetti esclusivamente con 
riferimento alle prime elezioni regionali, provinciali, comunali e circoscrizionali 
che si svolgono nella regione nel cui territorio si trova l�ente interessato dallo 
scioglimento successivamente allo scioglimento stesso comporta [...] che la pronuncia 
definitiva di incandidabilit�, ove sopravvenga [�] dopo lo svolgimento 
del primo turno di una o pi� elezioni tra quelle elencate, � destinata a produrre 
i suoi effetti esclusivamente con riferimento alle altre elezioni (tra quelle elencate) 
non ancora svoltesi dopo lo scioglimento, non anche con riferimento alle successive 
tornate delle elezioni gi� tenutesi nelle more del procedimento per la dichiarazione 
di improcedibilit�� (23). 
L�interpretazione che precede, invero, oltre che coerente con il tenore let- 
(21) In particolare, le Sezioni Unite affermano tale principio rigettando il motivo di ricorso formulato 
dal Sindaco secondo cui il giudice di merito, ai fini della declaratoria di incandidabilit�, avrebbe 
accordato rilevanza ad elementi ulteriori ed eteronomi rispetto a quelli individuati dalla proposta di scioglimento, 
quale l�ordinanza del G.I.P. che aveva disposto la custodia cautelare del ricorrente. 
(22) Cfr. ROMEI, op. cit., 382. 
(23) Cos� App. Napoli, sez. I, 16 agosto 2012, n. 2926 (inedita).
CONTENZIOSO NAZIONALE 85 
terale della disposizione (alla stregua del canone interpretativo di cui all�art. 
12 disp. prel. c.c.) �, altres�, rispettosa del principio generale di libero accesso 
di tutti i cittadini in condizione di uguaglianza alle cariche elettive (art. 51 
Cost.) e del costante orientamento della Corte costituzionale (24), secondo cui 
le limitazioni al diritto di elettorato passivo, per essere conformi al dettato 
dell�art. 51 Cost., devono considerarsi di stretta interpretazione, atteso che circoscrive 
il sacrificio del suddetto diritto entro i limiti temporali (previsti dalla 
stessa norma) strettamente necessari per il soddisfacimento delle esigenze di 
pubblico interesse dalla medesima norma perseguite attraverso la misura, di 
carattere preventivo, dell�incandidabilit�, esigenze individuabili, alla luce della 
ratio legis sottesa alla norma, nella necessit� di garantire un elettorato passivo 
scevro da contaminazioni e condizionamenti con ambienti della malavita organizzata 
(25). 
Valorizzando i principi espressi dalla Consulta e dalla giurisprudenza amministrativa, 
le Sezioni Unite si soffermano, infine, sulla natura della misura 
dell�incandidabilit�, la quale rappresenta un rimedio di extrema ratio volto ad 
evitare il ricrearsi delle situazioni che la misura dissolutoria ha inteso ovviare 
e a salvaguardare beni primari dell�intera collettivit� nazionale, individuabili 
non solo nella sicurezza pubblica, nella trasparenza e nel buon andamento 
delle amministrazioni comunali, ma soprattutto nel �regolare funzionamento 
dei servizi loro affidati, capaci di alimentare la �credibilit�� delle amministrazioni 
locali presso il pubblico e il rapporto di fiducia dei cittadini verso le istituzioni�; 
beni compromessi o messi in pericolo, non solo dalla collusione tra 
amministratori locali e criminalit� organizzata, ma anche dal condizionamento 
comunque subito dai primi, non fronteggiabile, secondo la scelta non irragionevolmente 
compiuta dal legislatore, con altri apparati preventivi o sanzionatori 
previsti dall�ordinamento. 
(24) Cfr., ex plurimis, Corte cost., 15 luglio 2010, n. 257, in Giur. cost., 2010, 4, 3117, e in Foro 
amm. CdS, 2011, 2, 377; Corte cost., 2 luglio 2008, n. 240, in Giur. cost., 2008, 4, 2845; Corte cost., 3 
ottobre 2003, n. 306, in Giur. cost., 2003, 5; Corte cost., 30 ottobre 1996, n. 364, in Giust. civ., 1997, I, 
345; Corte cost., 6 maggio 1996, n. 141, in Foro amm., 1997, 73; Corte cost., 13 luglio 1994, n. 295, in 
Riv. giur. polizia locale, 1996, 249; Corte cost., 17 giugno 1992, n. 280, in Giur. it., 1994, I,, 524, con 
nota di POLICE. In senso analogo anche la dottrina costituzionalistica: cfr., per tutti, MORTATI, Istituzioni 
di diritto pubblico, Padova, 1991, 480. 
(25) Sul punto si veda ROMEI, op. cit., 383. Analoga anche la posizione della giurisprudenza amministrativa: 
cfr. Cons. giust. amm. Sicilia, sez. giurisd., 22 gennaio 2013, n. 18, in Foro amm. CdS, 
2013, 1, 278.
86 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2015 
Cassazione Civile, Sez. Unite, sentenza 30 gennaio 2015, n. 1747 - Primo Pres. f.f. Rovelli, 
Pres. Sez. Salm�, Pres. Sez. Rordorf, Rel. Giusti, P.M. Apice (difforme) - S.G.A. (avv. ti Protto, 
Mazzola, Mazzeo, Corbyons) c. Ministero dell�Interno (avv. gen. Stato). 
Ritenuto in fatto 
1. Proclamato sindaco del Comune di Ventimiglia a seguito delle consultazioni elettorali del 2007, 
il sig. S.G.A. � rimasto in carica fino alla sospensione e al successivo scioglimento del consiglio 
comunale, scioglimento disposto - ai sensi dell�art. 143 del testo unico delle leggi sull'ordinamento 
degli enti locali, approvato con il d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267 - con decreto del Presidente della 
Repubblica del 6 febbraio 2012, su proposta del Ministro dell'interno del 2 febbraio 2012, quest'ultima 
corredata dalla relativa relazione del prefetto di Imperia del 4 gennaio 2012. 
Con nota prot. 15900/B745/2012, tali provvedimenti sono stati trasmessi dal Ministro dell'interno 
al Presidente del Tribunale di Sanremo �per le finalit� di cui all�art. 143, comma 11, del citato d.lgs.�. 
Ricevuta in data 17 marzo 2012 tale nota del Ministro con i relativi allegati, il Presidente del 
Tribunale di Sanremo, con provvedimento del successivo 29 marzo 2012, ne ha disposto la 
trasmissione al Procuratore della Repubblica presso lo stesso Tribunale per le determinazioni 
di competenza. 
Con ricorso in data 5 giugno 2012 ai sensi dell�art. 143, comma 11, del testo unico, il Procuratore 
della Repubblica ha chiesto al Tribunale di Sanremo di dichiarare l�incandidabilit� alle 
elezioni regionali, provinciali, comunali e circoscrizionali destinate a svolgersi in Liguria, limitatamente 
al primo turno elettorale successivo allo scioglimento del consiglio comunale di 
Ventimiglia, �di coloro che possono individuarsi quali passati amministratori della disciolta 
amministrazione che risultano essere stati - direttamente o indirettamente - vicini ad ambienti 
della criminalit� organizzata, ed in particolare di: S.G.A., P.M., M.V.�. 
Nel procedimento cos� introdotto si � costituito lo S., formulando eccezioni in rito e instando 
per il rigetto della domanda. 
Alla successiva udienza del 12 marzo 2013 si � costituito anche, con il patrocinio dell�Avvocatura 
distrettuale, il Ministero dell'interno, il quale si � associato alla domanda di incandidabilit� 
dello S. proposta dalla Procura della Repubblica con il ricorso introduttivo. 
Il procedimento � stato definito con decreto 8 maggio 2013, n. 167, con cui il Tribunale di 
Sanremo ha respinto la richiesta di incandidabilit� avanzata dal pubblico ministero. 
2. Avverso detto provvedimento ha proposto reclamo il Ministero dell�Interno, al quale ha resistito 
lo S. 
Con decreto reso pubblico mediante deposito in cancelleria il 20 febbraio 2014, la Corte d�appello 
di Genova, in parziale accoglimento del reclamo, ha dichiarato l�incandidabilit� dello 
S. alle elezioni regionali, provinciali, comunali e circoscrizionali, che si svolgono nella Regione 
Liguria limitatamente al primo turno elettorale successivo allo scioglimento del consiglio 
comunale di Ventimiglia (disposto con decreto del Presidente della Repubblica 6 febbraio 
2012), ha respinto il reclamo del Ministero nei confronti di M.V., ed ha condannato lo S. alla 
rifusione delle spese sostenute dal Ministero in entrambe le fasi del procedimento. 
2.1. Quanto all�eccepita inammissibilit� del reclamo perch� proposto da un soggetto - il Ministero 
dell�Interno - che non sarebbe stato parte della precedente fase, la Corte d�appello, 
per un verso, ha rilevato che il Ministero si � in realt� costituito nella precedente fase davanti 
al Tribunale depositando, all�udienza del 12 marzo 2013, comparsa di costituzione con cui 
ha espressamente domandato la dichiarazione di incandidabilit� dello S. (e del M.); per l�altro 
verso, ha sottolineato che l�art. 143, comma 11, del testo unico prevede una peculiare forma
CONTENZIOSO NAZIONALE 87 
di introduzione del procedimento che richiede la semplice trasmissione da parte del Ministro 
della proposta di scioglimento e che, nella specie, il Ministro si � attivato in conformit� del 
disposto normativo in questione inviando al competente Tribunale una nota con, allegate, la 
proposta di scioglimento e la copia del decreto del Presidente della Repubblica. 
La Corte territoriale ha escluso che sia mancata l'instaurazione del contraddittorio sulla detta 
nota del Ministro. 
La Corte di Genova ha quindi dichiarato manifestamente infondata, in riferimento agli artt. 
2, 3 e 24 Cost., art. 27 Cost., comma 2, art. 51 Cost., comma 1, artt. 48, 97 e 111 Cost., la 
questione di legittimit� costituzionale dell'art. 143, comma 11, del testo unico, nella parte in 
cui prevede l�incandidabilit� a determinate cariche elettive di soggetti che non sono stati condannati 
in via definitiva per la commissione di determinati reati. Nella fattispecie sono in 
gioco - ha rilevato il giudice del reclamo - esigenze cautelari che prescindono dalla commissione 
di un reato, e la misura interdittiva in questione, che ha come presupposto lo scioglimento 
del consiglio comunale ed � limitata al primo turno elettorale successivo allo 
scioglimento del consiglio, appare ragionevole e proporzionata in quanto diretta a prevenire 
compromissioni dell�autonoma determinazione degli enti locali e, quindi, a tutelare interessi, 
di rango costituzionale, riconducibili al principio di buon andamento dell�amministrazione e 
alla difesa dell'ordine e della sicurezza pubblica. 
La Corte distrettuale ha poi respinto l�eccezione in ordine alla mancata indicazione, nella proposta 
di scioglimento, degli amministratori responsabili dello scioglimento del consiglio comunale, 
rilevando che nella proposta si rinviene un espresso riferimento al sindaco del 
Comune di Ventimiglia e che in essa si da atto che l�allegata relazione del prefetto del 4 gennaio 
2012 costituisce parte integrante della proposta stessa. In questa relazione - ha osservato 
la Corte - si fa riferimento alle informazioni fornite dal Procuratore della Direzione distrettuale 
antimafia di Genova sulle frequentazioni del sindaco con la famiglia Ma., indicata come punto 
di riferimento per la locale malavita calabrese nel ponente ligure, e su come lo stesso sindaco 
avesse fortemente difeso la creazione della �Civitas� quale societ� in house del Comune di 
Ventimiglia, societ� tramite la quale sono stati affidati vari lavori alla cooperativa sociale 
�Marvon�, direttamente riconducibile alla famiglia Ma.. 
Ad avviso della Corte d'appello, la circostanza che lo S. - poi rinviato a giudizio per il reato 
di cui agli artt. 110 e 416-bis c.p. (concorso esterno in associazione mafiosa) - abbia tollerato 
ed accettato il conferimento del 70% delle opere appaltate nel 2008 alla cooperativa �Marvon� 
e si sia incontrato personalmente nel suo ufficio con il legale rappresentante di detta cooperativa 
per discutere dell'assegnazione di un lavoro sul mercato coperto del Comune, ricevendo 
anche dalla cooperativa un preventivo in proposito, prima di ogni deliberazione della giunta, 
consente di ravvisare elementi concreti, univoci e rilevanti sulla sussistenza di un particolare 
ed anomalo trattamento di favore riservato dal sindaco alla �Marvon� e, quindi, su collegamenti, 
quanto meno indiretti, del sindaco stesso con la criminalit� organizzata di tipo mafioso, 
cui va ricondotta la �Marvon�, ovvero su forme di condizionamento da parte di detta criminalit�, 
e ci� a prescindere dalla violazione o meno della normativa sugli appalti pubblici. 
3. Per la cassazione del decreto della Corte d�appello lo S. ha proposto ricorso, con atto notificato 
il 19 aprile 2014, sulla base di cinque motivi. 
Vi ha resistito, con controricorso, il Ministero dell�Interno. 
Gli altri intimati non hanno svolto attivit� difensiva in questa sede. 
In prossimit� dell'udienza il ricorrente ed il Ministero hanno depositato memorie illustrative.
88 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2015 
Considerato in diritto 
1. Con il primo motivo si denuncia violazione del d.lgs. n. 267 del 2000, art. 143, commi 4 e 
11, e degli artt. 72, 81, 737 e 738 c.p.c., il tutto in relazione all�art. 360 c.p.c., nn. 3) e 4), nonch� 
omesso esame circa il difetto di legittimazione �passiva� (recte: attiva) della Procura della 
Repubblica, in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 5. Il ricorrente deduce che l�atto introduttivo del 
procedimento � costituito nel caso di specie dal ricorso della Procura della Repubblica presso 
il Tribunale di Sanremo e non dalla proposta ministeriale, con conseguente violazione, da un 
lato, della disposizione del testo unico delle leggi sull�ordinamento degli enti locali che conferisce 
esclusivamente al Ministro la legittimazione a chiedere la valutazione del Tribunale 
ai fini della dichiarazione di incandidabilit�, e, dall�altro lato, delle norme del codice di rito 
che attribuiscono al pubblico ministero la facolt� di essere �sentito� nell�ambito del procedimento 
e non anche la legittimazione ad introdurlo. Di qui la prospettata nullit� dell�intero 
procedimento e dei provvedimenti giudiziali che lo hanno definito, sta in prima che in seconda 
istanza, nonch� l�erroneit� del decreto della Corte d�appello che non ha rilevato tale nullit�, 
e, in ogni caso, l�improponibilit� e/o l�inammissibilit� del ricorso introduttivo del procedimento, 
stante il difetto di legittimazione attiva della Procura della Repubblica. Nessun effetto 
di ratifica o di sanatoria dell�assenza di legittimazione attiva potrebbe essere attribuito, ad avviso 
del ricorrente, alla successiva costituzione in giudizio del Ministero dell'interno a mezzo 
dell�Avvocatura dello Stato. 
1.1. Il motivo � infondato perch� non tiene conto del concreto svolgimento del procedimento 
dinanzi al Tribunale di Sanremo. 
1.2.1. Occorre premettere che l�art. 143 del testo unico delle leggi sull�ordinamento degli enti 
locali - cos� come risultante dalla sostituzione operata dalla l. 15 luglio 2009, n. 94, art. 2, 
comma 30, (Disposizioni in materia di sicurezza pubblica) - prevede lo scioglimento dei consigli 
comunali e provinciali conseguente a fenomeni di infiltrazione e di condizionamento di 
tipo mafioso o similare. 
Dispone il citato art. 143, comma 1, che �i consigli comunali e provinciali sono sciolti quando 
... emergono concreti, univoci e rilevanti elementi su collegamenti diretti o indiretti con la 
criminalit� organizzata di tipo mafioso o similare degli amministratori ..., ovvero su forme di 
condizionamento degli stessi, tali da determinare un'alterazione del procedimento di formazione 
della volont� degli organi elettivi ed amministrativi e da compromettere il buon andamento 
o l�imparzialit� delle amministrazioni comunali e provinciali, nonch� il regolare 
funzionamento dei servizi ad essi affidati, ovvero che risultino tali da arrecare grave e perdurante 
pregiudizio per lo stato della sicurezza pubblica�. 
Ai sensi del successivo comma 4, lo scioglimento � disposto con decreto del Presidente della 
Repubblica, su proposta del Ministro dell�Interno, previa deliberazione del Consiglio dei ministri 
entro tre mesi dalla trasmissione della relazione del prefetto, ed � immediatamente trasmesso 
alle Camere. �Nella proposta di scioglimento sono indicati in modo analitico le 
anomalie riscontrate ed i provvedimenti necessari per rimuovere tempestivamente gli effetti 
pi� gravi e pregiudizievoli per l�interesse pubblico; la proposta indica, altres�, gli amministratori 
ritenuti responsabili delle condotte che hanno dato causa allo scioglimento�. 
In questo contesto si colloca la previsione, nel comma 11 dello stesso art. 143, dell�incandidabilit� 
temporanea degli �amministratori responsabili delle condotte che hanno dato causa allo scioglimento� 
del consiglio dell�ente locale. Costoro �non possono essere candidati alle elezioni regionali, 
provinciali, comunali e circoscrizionali, che si svolgono nella regione nel cui territorio si 
trova l�ente interessato dallo scioglimento, limitatamente al primo turno elettorale successivo allo
CONTENZIOSO NAZIONALE 89 
scioglimento stesso, qualora la loro incandidabilit� sia dichiarata con provvedimento definitivo�. 
Il citato comma 11, detta anche la disciplina del procedimento giurisdizionale rivolto alla dichiarazione 
della incandidabilit� degli amministratori responsabili. Vi si prevede infatti che 
�ai fini della dichiarazione d�incandidabilit� il Ministro dell�Interno invia senza ritardo la proposta 
di scioglimento di cui al comma 4, al tribunale competente per territorio, che valuta la 
sussistenza degli elementi di cui al comma 1 con riferimento agli amministratori indicati nella 
proposta stessa. Si applicano, in quanto compatibili, le procedure di cui al libro 4�, titolo 2�, 
capo 6�, del codice di procedura civile�. 
1.2.2. Dal tenore letterale della disciplina legislativa emerge che lo speciale procedimento camerale 
destinato a valutare la responsabilit� degli amministratori e i loro collegamenti inquinanti 
e ad amputare cautelativamente, con la dichiarazione di incandidabilit�, i rischi di 
proiezioni criminali nel primo turno elettorale successivo allo scioglimento che si svolge nel 
perimetro regionale di riferimento dell'ente disciolto, inizia con l'invio, da parte del Ministro 
dell'interno, della proposta di scioglimento al tribunale competente per territorio. 
� esatto che il procedimento giurisdizionale in questione si svolge - per espresso richiamo 
normativo - secondo la procedura camerale ex art. 737 c.p.c. e ss., e che proprio l�art. 737 
c.p.c., il quale apre il capo VI recante le �Disposizioni comuni ai procedimenti in camera di 
consiglio�, prevede che �i provvedimenti, che debbono essere pronunciati in camera di consiglio, 
si chiedono con ricorso al giudice competente�, e quindi richiede che la domanda assuma 
la forma del ricorso contenente i requisiti menzionati nell�art. 125 c.p.c.. 
Ma il legislatore - pur disponendo l�applicazione, �in quanto compatibili�, delle �procedure 
di cui al libro 4�, titolo 2�, capo 6�, del codice di procedura civile� - ha dettato, espressamente, 
una diversa forma di introduzione del procedimento de quo. Prevedendo che �ai fini della dichiarazione 
d�incandidabilit� il Ministro dell�Interno invia senza ritardo la proposta di scioglimento 
di cui al comma 4, al tribunale competente per territorio�, il citato art. 143, comma 
11, non solo affida al Ministro dell�Interno la legittimazione attiva, ma anche individua nella 
trasmissione della proposta di scioglimento avanzata dallo stesso Ministro l�atto introduttivo 
del procedimento. 
Si � quindi di fronte ad una forma speciale di instaurazione del giudizio, destinato poi a svolgersi 
- una volta appunto introdotto secondo le prescrizioni dettate dalla norma - nelle forme 
del rito in camera di consiglio. 
Si tratta di una scelta legislativa coerente con la natura e il contenuto della proposta ministeriale 
e, al contempo, con le finalit� del rimedio della incandidabilit�. 
Per un verso, infatti, la proposta di scioglimento del Ministro dell�Interno non solo indica le 
anomalie riscontrate e i provvedimenti necessari per rimuovere tempestivamente gli effetti 
pi� gravi e pregiudizievoli per l�interesse pubblico, ma contiene anche la menzione degli amministratori 
ritenuti responsabili delle condotte che hanno dato causa allo scioglimento: di 
qui l�idoneit� di detta proposta del Ministro, in quanto recante i nominativi degli amministratori 
responsabili e le ragioni della loro dedotta responsabilit�, a fungere, una volta inviata al 
tribunale competente ai fini della dichiarazione d�incandidabilit� di detti amministratori, da 
atto di impulso del relativo procedimento giurisdizionale. 
Per l�altro verso, occorre considerare che l�incandidabilit� temporanea e territorialmente delimitata 
rappresenta una misura interdittiva volta a rimediare al rischio che quanti abbiano 
cagionato il grave dissesto possano aspirare a ricoprire cariche identiche o simili a quelle rivestite 
e, in tal modo, potenzialmente perpetuare l�ingerenza inquinante nella vita delle amministrazioni 
democratiche locali. Nel disegno normativo, pertanto, l�attitudine postulatoria
90 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2015 
della proposta proveniente direttamente dalla parte sostanziale e la non necessit� per l�Amministrazione 
dell'interno, ai fini dell�introduzione del procedimento, di versare gli elementi 
gi� contenuti in quella proposta in un atto di ricorso, si giustificano con l�esigenza di apprestare 
forme procedimentali essenziali, in grado di permettere una risposta giurisdizionale il pi� possibile 
ravvicinata nel tempo. Risponde ad una logica di effettivit� del rimedio prefigurato dal 
legislatore il riservare alla stessa Autorit� cui sono demandate le funzioni di formalizzare la 
proposta di scioglimento dell'organo elettivo dell�ente esposto a infiltrazioni della criminalit� 
organizzata ovvero dalla stessa condizionato nel suo funzionamento, il compito anche di introdurre 
direttamente, con l�invio della proposta e dei relativi allegati, il procedimento giurisdizionale 
per la dichiarazione di incandidabilit� dei componenti degli organi politici che 
abbiano provocato o concorso a provocare lo scioglimento dell�ente. 
N� in senso contrario varrebbe il rilievo secondo cui il procedimento in questione, anche se costruito 
secondo il modello camerale, ha natura contenziosa, sicch� l�atto introduttivo dovrebbe 
essere sottoscritto da un difensore (l�Avvocatura dello Stato), trovando in esso piena applicazione 
il principio dell�obbligatoriet� della difesa tecnica, laddove il Ministro � privo di ius postulandi. 
Si tratta di obiezione che non considera la circostanza che, per regola generale (l. 23 dicembre 
1966, n. 1147, art. 3, e, ora, d.lgs. 1 settembre 2011, n. 150, art. 22; in giurisprudenza: Sez. 
Un., 21 gennaio 1977, n. 312; Sez. I, 20 novembre 1979, n. 6062; Sez. I, 29 novembre 1983, 
n. 7154), nei giudizi elettorali non � necessario il ministero di avvocato e le parti - quindi 
anche la parte pubblica - possono stare in giudizio personalmente in ogni grado. 
1.3. Tanto premesso sul piano della ricostruzione del quadro normativo, occorre rilevare che 
il ricorrente, nel denunciare la radicale nullit� dell�intero procedimento, muove dalla considerazione 
che l�iniziativa per la dichiarazione di incandidabilit� dello S., in conseguenza dello 
scioglimento del consiglio comunale di Ventimiglia, sarebbe stata assunta, invalidamente, 
dalla Procura della Repubblica di Sanremo anzich� dal Ministro dell�Interno. 
Ma si tratta di un rilievo erroneo. 
Risulta infatti dagli atti che l�iniziativa del procedimento � stata assunta, in conformit� della 
disciplina legislativa, dal Ministro dell�Interno, il quale ha inviato al competente Tribunale di 
Sanremo, �per le finalit� di cui all�art. 143, comma 11, del d.lgs.�, una nota con, allegate, la 
proposta di scioglimento del consiglio comunale con l�unita relazione del Prefetto di Imperia 
e la copia del decreto del Presidente della Repubblica con cui � stato disposto lo scioglimento 
del consiglio dell�ente locale. 
Vero � che, ricevuta in data 17 marzo 2012 la detta nota ministeriale, il Presidente del Tribunale 
di Imperia ha trasmesso gli atti al Procuratore della Repubblica per le sue determinazioni, 
e che quest'ultimo, anzich� limitarsi ad esprimere il parere ai sensi dell�art. 738 c.p.c., comma 
2, ha proposto a sua volta un ricorso per la dichiarazione di incandidabilit�, tra gli altri, dello 
S., gi� indicato, nell�atto del Ministro inoltrato al Tribunale, come responsabile delle condotte 
che hanno dato causa allo scioglimento. 
Ma, poich� al ricorso del Procuratore della Repubblica devono riconoscersi natura e funzione 
di sollecitazione della trattazione in sede camerale dell�atto ministeriale di avvio del procedimento, 
questa duplicazione e sovrapposizione di iniziative non ha posto nel nulla il gi� avvenuto 
esercizio, da parte del soggetto - il Ministro dell�Interno - a ci� legittimato, del potere di 
provocare il provvedimento del giudice. E neppure ha inficiato la ritualit� del contraddittorio, 
essendosi questo instaurato anche sulla proposta del Ministro e sui relativi allegati, ci� che 
ha consentito al destinatario della stessa - costituitosi in giudizio davanti al Tribunale a seguito 
della notifica ad esso effettuata del provvedimento con cui il Tribunale fissava l�udienza di
CONTENZIOSO NAZIONALE 91 
comparizione - di avere piena contezza dei fatti addebitatigli e della richiesta del Ministro, 
nei suoi confronti, della misura della incandidabilit�, avendo d�altra parte lo S. ottenuto termine 
a difesa a seguito della presentazione in giudizio da parte dell�Avvocatura dello Stato, 
in rappresentanza del Ministero, di memoria con cui � stato ribadito quanto contenuto nell�atto 
di instaurazione del procedimento. 
2. Il secondo mezzo censura �violazione del d.lgs. n. 267 del 2000, art. 143, commi 4 e 11, 
sotto diverso profilo; difetto assoluto di giurisdizione; violazione degli artt. 99 e 101 c.p.c., 
nonch� artt. 51 e 111 Cost., il tutto in relazione all'art. 360 c.p.c., nn. 1), 3) e 4)�. Ad avviso 
del ricorrente, il fatto che nella proposta ministeriale o anche nella relazione prefettizia alla 
stessa allegata si faccia �espresso riferimento� allo S., non significa che lo stesso sia stato poi 
�indicato� - come non lo � stato - dal Ministro dell�Interno come amministratore del disciolto 
consiglio comunale di Ventimiglia nei confronti del quale chiedere al Tribunale la dichiarazione 
di incandidabilit�, mancando d�altro canto, nella stessa prospettazione ministeriale o 
prefettizia, finanche l�indicazione delle ragioni per le quali lo S. avrebbe dovuto essere dichiarato 
incandidabile. Si sostiene che, essendo mancata detta indicazione, si � finito con l�attribuire 
alla Procura della Repubblica un potere costituente prerogativa esclusiva del Ministero 
dell�Interno, essendosi consentito che, dai riferimenti agli amministratori come riportati nell�atto 
ministeriale e in quello prefettizio, potesse desumersi in via interpretativa che la volont� 
del Ministro fosse quella di chiedere la declaratoria di incandidabilit� dello S., piuttosto che 
degli altri amministratori cui pure in detti provvedimenti si faceva riferimento. 
La Corte d�appello e, in precedenza, il Tribunale, attraverso l�attivit� ermeneutica posta in 
essere per �individuare� nello S. l�amministratore che avrebbe dovuto essere ma che non � 
stato �indicato� dal Ministro dell�Interno nella propria proposta di scioglimento del consiglio 
comunale di Ventimiglia ai fini della relativa dichiarazione di incandidabilit�, sarebbero incorsi 
in difetto assoluto di giurisdizione, avendo sostituito la propria attivit� a quella - provvedimentale 
- dell�Amministrazione. 
Sarebbero violati anche il principio della domanda, il principio della regolare instaurazione 
del contraddittorio e quello del giusto processo, applicabili nei procedimenti in camera di consiglio 
quando vengono in rilievo veri e propri diritti soggettivi, tra cui quello, di rilevanza costituzionale, 
di elettorato passivo. 
2.1. - Il motivo � infondato, non essendo configurabile alcuna indebita invasione di un campo 
riservato all'iniziativa ed all'azione della pubblica amministrazione, giacch� la valutazione della 
sussistenza, ad opera dell�autorit� giurisdizionale investita della pertinente richiesta del Ministro, 
della sussistenza degli elementi per la dichiarazione di incandidabilit� � stata effettuata 
con riferimento ad un amministratore - il sindaco di Ventimiglia - indicato nella proposta del 
Ministro, e nella relazione del prefetto che ne costituisce parte integrante, come responsabile 
delle condotte che hanno dato luogo allo scioglimento del consiglio comunale di quella citt�. 
Invero, la proposta di scioglimento contiene l�indicazione del sindaco S. come responsabile 
del degrado amministrativo del Comune di Ventimiglia, determinato ed alimentato dal clima 
di condizionamento mafioso; la relazione del prefetto di Imperia (in particolare nel paragrafo 
3, dedicato all'analisi di �compromissioni, interferenze e condizionamenti in contratti, appalti, 
autorizzazioni�) fa espresso riferimento al sindaco come soggetto che �quale vertice dell'amministrazione 
comunale e socio unico della Civitas, condivideva certamente con il presidente 
del consiglio di amministrazione tutte le decisioni pi� importanti della societ��, rilevando 
come la stessa formulazione dello statuto sociale della �Civitas� fosse stata concepita per 
porre il sindaco al centro di tutte le scelte strategiche; la medesima relazione del prefetto ri-
92 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2015 
chiama, ancora, le informazioni fornite dal Procuratore della Direzione distrettuale antimafia 
di Genova sulle frequentazioni del sindaco con la famiglia Ma. (indicata come punto di riferimento 
per la locale malavita calabrese nel ponente ligure), informazioni che avevano trovato 
conferma in ulteriori evidenze investigative, in particolare nella circostanza che lo stesso sindaco 
aveva fortemente difeso la creazione della �Civitas� quale societ� in house dei Comune, 
tramite la quale sono stati affidati vari lavori alla cooperativa sociale �Marvon� (direttamente 
riconducibile alla famiglia Ma.). 
3. Il terzo motivo (violazione del d.lgs. n. 267 del 2000, art. 143, comma 11, sotto ulteriore 
profilo; violazione dell'art. 737 c.p.c. e ss.; difetto assoluto di giurisdizione sotto altro profilo, 
in relazione all�art. 360 c.p.c., nn. 1 e 3) lamenta che il decreto impugnato abbia attribuito valenza 
decisiva ai fini della declaratoria di incandidabilit� ad elementi �eteronomi� rispetto a 
quelli di cui alla proposta di scioglimento. Il ricorrente sostiene che, a parte qualche sporadico 
richiamo alla relazione prefettizia che accompagnava la proposta ministeriale, gli elementi 
sulla base dei quali � stata ravvisata l�esistenza di contatti tra il ricorrente e la consorteria di 
stampo mafioso radicata nel territorio del Comune di Ventimiglia sarebbero stati desunti dall�ordinanza 
dei GIP di Genova del 22 novembre 2012 e, pi� in generale, dalle risultanze del 
procedimento in cui detto provvedimento era stato assunto. Siffatto modus procedendi costituirebbe 
la riprova che n� nella proposta ministeriale, n� nella allegata relazione prefettizia 
erano indicati gli amministratori nei cui confronti doveva farsi luogo alla declaratoria di incandidabilit� 
e precisate le ragioni per le quali la stessa si imponeva. La proposta ministeriale, 
seppure avente la funzione di introdurre il procedimento giudiziale in esame, resterebbe pur 
sempre un atto amministrativo, costituente prerogativa esclusiva dell�Amministrazione statale; 
e questo provvedimento - si rileva - finirebbe per essere inammissibilmente integrato e/o modificato 
nel suo contenuto, se fosse consentito al giudice civile di pronunciare l�incandidabilit� 
degli amministratori sulla base di elementi acquisiti aliunde e/o sopravvenuti rispetto ad esso, 
perch� si finirebbe per consentire al potere giurisdizionale di invadere i confini del potere amministrativo, 
con conseguente difetto assoluto di giurisdizione. 
3.1. Anche questa censura � priva di fondamento. 
Nel procedimento camerale di cui all�art. 143, comma 11, del testo unico delle leggi sull�ordinamento 
degli enti locali, il tribunale - chiamato a valutare, ai fini della dichiarazione di incandidabilit�, 
la sussistenza della responsabilit� degli amministratori in ordine alle condotte 
che hanno dato causa allo scioglimento - forma il proprio convincimento, non solo sulla base 
degli elementi gi� contenuti nella proposta di scioglimento del Ministro dell�Interno e nella 
allegata relazione del prefetto, ma anche prendendo in esame le risultanze probatorie acquisite, 
nel contraddittorio tra le parti, nel corso del procedimento; pertanto, correttamente i giudici 
del merito hanno ritenuto che il collegamento del sindaco con la criminalit� organizzata e 
l�incidenza di questa sul procedimento di formazione della volont� degli organi elettivi ed 
amministrativi fossero suffragati dalla sopravvenuta ordinanza di custodia cautelare emessa 
dai giudice per le indagini preliminari, prodotta nel procedimento camerale, e dalle deposizioni 
di cui si da atto nella stessa. 
4. Con il quarto motivo (violazione del d.lgs. n. 267 del 2000, art. 143, commi 1 e 11, in relazione 
all�art. 360 c.p.c., n. 3; violazione degli artt. 27 e 53 Cost.; in via subordinata: illegittimit� 
costituzionale del d.lgs. n. 267 del 2000, art. 143, commi 1 e 11, in relazione agli artt. 
27 e 53 Cost., recte art. 51, Cost.) - premesso che la declaratoria di incandidabilit� dello S. si 
� venuta a fondare essenzialmente sulla circostanza che una societ� in house del Comune, 
non oggetto di puntuale controllo e di adeguati indirizzi operativi da parte dell�ente di cui co-
CONTENZIOSO NAZIONALE 93 
stituiva un semplice braccio operativo e del suo vertice politico, aveva affidato un gran numero 
di commesse senza gare ad una cooperativa, la �Marvon�, controllata da consorteria di stampo 
mafioso radicatasi nel territorio di Ventimiglia - si censura il decreto impugnato per avere riconosciuto 
la sussistenza di un collegamento tra lo S. e il predetto sodalizio criminale senza 
verificare se sussistevano elementi gravi, precisi e concordanti che dimostrassero che il sindaco 
fosse consapevole della predetta circostanza (e del fatto che l�amministratore della cooperativa 
con il quale aveva avuto diversi incontri fosse a tutti gli effetti affiliato alla predetta 
consorteria di stampo mafioso). 
Secondo il ricorrente, non sarebbe consentito precludere l�esercizio del diritto, costituzionalmente 
garantito, di elettorato passivo, per il mero fatto che siano state - seppur in ipotesi illegittimamente 
- affidate commesse pubbliche (per effetto e in conseguenza, peraltro, di 
provvedimenti amministrativi dirigenziali o di deliberazioni giuntali) a una cooperativa che 
il sindaco ignorava essere riconducibile alla criminalit� organizzata. 
Con il quinto motivo (falsa applicazione dell'art. 143, commi 1 e 11, sotto altro profilo, nonch� 
del d.lgs. n. 267 del 2000, artt. 4 e 107, in relazione all�art. 360 c.p.c., n. 3) ci si duole che la 
Corte d�appello abbia ritenuto, al contrario del primo giudice, che il sindaco, proprio per la 
sua posizione apicale all'interno del Comune, era ben in grado di influenzare e condizionare 
la formazione della volont� dell�ente pubblico. Ad avviso del ricorrente, l�asserita idoneit� 
ad influenzare i dipendenti dell'ente locale e gli organi elettivi che discenderebbe dalla carica 
di sindaco, mai potrebbe avere una portata tale da coartare e comunque alterare il procedimento 
formativo della volont� degli organi elettivi e amministrativi dell'ente locale. 
4.1. I due motivi - i quali, stante la loro continuit� logica ed argomentativa, possono essere 
esaminati congiuntamente - sono infondati, per la parte in cui non sono inammissibili. 
Il decreto impugnato enumera una serie di elementi, analiticamente descritti, concretamente 
ed univocamente rilevatori della sussistenza di un particolare ed anomalo trattamento di favore 
riservato dal sindaco S., tramite la societ� in house �Civitas�, alla cooperativa �Marvon�, riconducibile 
alla famiglia Ma., referente della criminalit� organizzata calabrese nel ponente 
ligure: elementi ritenuti - con congruo e logico apprezzamento, affidato ad una motivazione 
accurata e minuziosa - denotativi di responsabilit� causativa dello scioglimento del consiglio 
comunale, che di per s� giustifica la sanzione della incandidabilit�. 
I motivi si risolvono, per un verso, in una inammissibile confutazione, nel merito, delle valutazioni 
operate dalla Corte territoriale. 
N�, in particolare, ha rilievo la circostanza che, secondo quanto riferito nella memoria illustrativa 
del ricorrente e ribadito in sede di discussione del ricorso, lo S. sarebbe stato poi assolto 
dal Tribunale di Genova dal reato di concorso esterno in associazione mafiosa perch� 
gli elementi acquisiti in sede penale �non consentono in alcun modo di dimostrare che l�imputato 
fosse consapevole del fatto che dietro la cooperativa Marvon si celassero soggetti appartenenti 
all'associazione di stampo ndranghetistico�. 
Invero, non solo il procedimento giurisdizionate volto alla dichiarazione di incandidabilit� � 
autonomo rispetto a quello penale, ma anche diversi ne sono i presupposti, perch� la misura 
interdittiva di cui all�art. 143, comma 11, del testo unico delle leggi sull�ordinamento degli 
enti locali non richiede che la condotta dell�amministratore integri gli estremi dell'illecito penale 
di (partecipazione ad associazione mafiosa o) di concorso esterno nella stessa: perch� 
scatti l�incandidabilit� alle elezioni, rileva la responsabilit� dell�amministratore nel grave stato 
di degrado amministrativo causa di scioglimento del consiglio comunale, e quindi � sufficiente 
che sussista, per colpa dello stesso amministratore, una situazione di cattiva gestione della
94 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2015 
cosa pubblica, aperta alle ingerenze esterne e asservita alle pressioni inquinanti delle associazioni 
criminali operanti sul territorio. Ed � quello che, appunto, la Corte d�appello ha accertato 
essersi verificato, quando ha sottolineato il mancato esercizio, da parte del sindaco S., del potere-
dovere di indirizzo e controllo sull'operato degli amministratori della �Civitas�, omissioni 
concretizzatesi in un atteggiamento di indubbia accettazione del particolare ed anomalo trattamento 
di favore riservato alla �Marvon�. 
D�altra parte, la proposta eccezione di legittimit� costituzionale, in riferimento agli artt. 27 e 
51 Cost., dell�art. 143, comma 11, del testo unico, � manifestamente infondata, giacch� la misura 
interdittiva della incandidabilit� dell�amministratore responsabile delle condotte che 
hanno dato causa allo scioglimento del consiglio comunale conseguente a fenomeni di infiltrazione 
di tipo mafioso o similare nel tessuto istituzionale locale, privando temporaneamente 
il predetto soggetto della possibilit� di candidarsi nell�ambito di competizioni elettorali destinate 
a svolgersi nello stesso territorio regionale, rappresenta un rimedio di extrema ratio 
volto ad evitare il ricrearsi delle situazioni che la misura dissolutoria ha inteso ovviare, e a 
salvaguardare cos� beni primari dell'intera collettivit� nazionale - accanto alla sicurezza pubblica, 
la trasparenza e il buon andamento delle amministrazioni comunali nonch� il regolare 
funzionamento dei servizi loro affidati, capaci di alimentare la �credibilit�� delle amministrazioni 
locali presso il pubblico e il rapporto di fiducia dei cittadini verso le istituzioni -, beni 
compromessi o messi in pericolo, non solo dalla collusione tra amministratori locali e criminalit� 
organizzata, ma anche dal condizionamento comunque subito dai primi, non fronteggiabile, 
secondo la scelta non irragionevolmente compiuta dal legislatore, con altri apparati 
preventivi o sanzionatori dell'ordinamento. 
5. Il ricorso � rigettato. 
Le spese, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza. 
Risultando dagli atti che il procedimento in esame � considerato esente dal pagamento del 
contributo unificato, non si deve far luogo alla dichiarazione di cui all�art. 13, comma 1-quater, 
del testo unico approvato con il d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, introdotto dalla l. 24 dicembre 
2012, n. 228, art. 1, comma 17, (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale 
dello Stato - Legge di stabilit� 2013). 
P.Q.M. 
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso delle spese processuali sostenute 
dal controricorrente Ministero, che liquida in complessivi �. 3.500 per compensi, oltre alle 
spese prenotate a debito. 
Cos� deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 27 gennaio 2015. 
Depositato in Cancelleria il 30 gennaio 2015.
CONTENZIOSO NAZIONALE 95 
Danno da emotrasfusioni: 
Quando inizia la responsabilit� del Ministero della Salute? 
NOTA A CASSAZIONE CIVILE, SEZIONE III, SENTENZA 22 GENNAIO 2015 N. 1136 
Francesco Molinaro* 
SOMMARIO: 1. Origini e prime pronunce giurisprudenziali in tema di responsabilit� da 
emotrasfusioni - 2. I tre orientamenti prospettati dalla giurisprudenza per accertare la responsabilit� 
in capo al Ministero - 3. � ammissibile la congiunta attribuzione dell'indennizzo 
ex l. 210/1992 e del risarcimento del danno - 4. La prescrizione dei danni da emotrasfusioni. 
1. Origini e prime pronunce giurisprudenziali in tema di responsabilit� da 
emotrasfusioni. 
La problematica inerente al danno da emotrasfusioni � sorta di recente nel 
mondo del diritto, in quanto ha avuto origine negli anni settanta ed ottanta, a 
causa dell'importazione in Italia di sacche di sangue da paesi di dubbia sicurezza. 
Con le trasfusioni di sangue infetto si possono veicolare i seguenti virus: 
HBV (epatite B), HCV (epatite C) e HIV (Aids), i quali si possono definire 
�virus lungolatenti�, cio� virus che possono rimanere asintomatici per lungo 
tempo e manifestarsi a distanza di molti anni dalla trasfusione. Ci� ha comportato 
che i primi casi di contenzioso civile, in materia di emoderivati, si sono 
avuti sul finire degli anni novanta del secolo scorso (1). 
La frequenza delle trasfusioni rendeva quasi impossibile l'individuazione 
dei responsabili della violazione tra i medici e le strutture ospedaliere. Quindi 
le vittime della trasfusione, nell'agire in giudizio, citavano il Ministero della 
Salute per aver omesso di predisporre idonei metodi di controllo sull'uso degli 
emoderivati, sulla loro produzione o commercializzazione, nonch� per non 
aver effettuato un�indagine anamnestica sui donatori di sangue (2). 
La prima sentenza in tema di danno da emotrasfusioni si � avuta nel 1998 
(3). In essa, il Tribunale di Roma ha condannato il Ministero della Salute per 
danni materiali, morali, biologici e alla vita di relazione patiti da 385 emofilici 
e talassemici contagiati, a causa del mancato controllo o della mancata vigilanza 
sulle trasfusioni di sangue o sull'assunzione di farmaci emoderivati infetti (4). 
(*) Dottore in Giurisprudenza, ammesso alla pratica forense presso l�Avvocatura dello Stato. 
(1) R. PARTISANI, La transazione sul danno da trasfusione contagiosa, da somministrazione di 
emoderivati infetti o da vaccinazione obbligatoria, secondo il regolamento emanato con D.M. 28 aprile 
2009, n. 132, in Responsabilit� civile e previdenza, 2010, p. 486. 
(2) G. MONTANARI VERGALLO - P. FRATI, La tutela risarcitoria dei pazienti danneggiati da emotrasfusioni 
infette, in Rivista italiana di medicina legale, 2009, p. 39. 
(3) Trib. Roma, sez. I, 27 novembre 1998, n. 21060. 
(4) R. PARTISANI, La transazione sul danno da trasfusione contagiosa, da somministrazione di 
emoderivati infetti o da vaccinazione obbligatoria, secondo il regolamento emanato con D.M. 28 aprile
CONTENZIOSO NAZIONALE 97 
Tale orientamento � stato espresso dalla Suprema Corte nel caso �Trilergan�, 
avente ad oggetto un farmaco che ha provocato infezioni da virus HBV (8). 
Alla luce di tale orientamento, la natura della responsabilit� del Ministero 
� extracontrattuale e si basa solo sull'art. 2043 c.c. 
2. I tre orientamenti prospettati dalla giurisprudenza per accertare la responsabilit� 
in capo al Ministero. 
Assodato che il Ministero della Salute pu� essere responsabile solo in 
base all'art. 2043 c.c., a causa dell'omesso controllo sulle trasfusioni di sangue, 
� importante individuare da quando il Ministero, in base alle conoscenze scientifiche 
acquisite, si potr� considerare responsabile. 
La giurisprudenza ha prospettato tre orientamenti per indicare la data, a 
partire dalla quale, sorge la responsabilit� in capo al Ministero. 
Il primo orientamento � quello espresso dalla Corte di Cassazione, nella 
prima causa affrontata sui danni da emotrasfusioni. 
Nella sentenza n. 11609/2005 la Suprema Corte ha affermato, successivamente 
alla data di scoperta dei virus emotrasmissibili, la responsabilit� colposa 
del Ministero della Salute. La responsabilit� � stata ravvisata 
nell�omissione di un dovere istituzionale di direzione, autorizzazione e sorveglianza 
sul sangue importato o prodotto per emotrasfusioni e sugli emoderivati, 
in quanto sul Ministero incombe un dovere di controllo e di predisposizione 
dei relativi "test" diagnostici, una volta raggiunte le necessarie conoscenze 
sulle singole patologie. 
Quindi � stata riconosciuta la responsabilit� in capo al Ministero a partire 
dalla data di scoperta di ciascun virus da parte dell'Organizzazione Mondiale 
della Sanit�. Per l'HBV sar� responsabile a partire dal 1978, per l'HIV a partire 
dal 1985 e per l'HCV a partire dal 1988. 
Il richiamo alla data di scoperta dei virus ha la funzione di tenere responsabile 
il Ministero solo per le trasfusioni successive alla piena conoscenza 
delle malattie trasmissibili e dei relativi test di identificazione. 
Quindi, prima di tali date, si conosceva solo che il sangue potesse veicolare 
dei virus ma, non essendo stato ancora riconosciuto dall'Organizzazione 
Mondiale della Sanit�, era impossibile accertare se il sangue fosse infetto e 
se, qualora lo fosse, avesse potuto portare il paziente a sviluppare quelle patologie 
che, solo sul finire degli anni Ottanta, furono conosciute e accertate 
con precisione (9). 
Questa lettura � conforme a quanto sostenuto dalla dottrina e dalla giuri- 
(8) A. BONUOMO, Dei danni da emotrasfusioni e delle relative responsabilit�, in Ragiusan, 2008, 
p. 143.
(9) G. MONTANARI VERGALLO - P. FRATI, La tutela risarcitoria dei pazienti danneggiati da emotrasfusioni 
infette, in Rivista italiana di medicina legale, 2009, p. 39.
98 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2015 
sprudenza, in relazione agli elementi dell'illecito civile, poich� esclude la responsabilit� 
del Ministero prima della scoperta dei virus emotrasmissibili, in 
quanto manca sia il nesso causale sia la colpa. 
Infatti, all'interno delle serie causali, si deve dare rilievo solo a quelle che 
�nel momento in cui si produce l'omissione non appaiono del tutto inverosimili, 
tenuto conto della norma comportamentale o giuridica, che imponeva 
l'attivit� stessa� (10). 
Quindi, adottando la teoria della causalit� materiale, il Ministero sar� responsabile 
solo quando la scienza medica abbia raggiunto le necessarie conoscenze 
sulla certezza delle diagnosi e sugli opportuni rimedi da adottare (11). 
Di conseguenza, nessun rimprovero pu� essere mosso al Ministero per la mancata 
conoscenza di ci�, che anche la scienza medica ignorava (12). 
Un secondo orientamento ritiene, invece, che il Ministero della Salute sia 
responsabile a partire dai primi anni Settanta (13), poich� ritiene irrilevante la 
possibilit� di identificare il singolo virus o i test idonei ad individuarlo, in 
quanto ci� che conta � la conoscenza circa la pericolosit� del sangue come 
veicolo di infezioni (14). 
Questo orientamento pone a sostegno delle proprie ragioni le seguenti disposizioni: 
la circolare ministeriale n. 50/1966, la c.d. �circolare Mariotti�, 
che vietava l'uso di sangue umano per eseguire trasfusioni di sangue in soggetti 
che avevano i valori delle transaminasi superiori a una certa unit� (15), e la l. 
592/1967 in base alla quale il Ministero doveva emanare le direttive tecniche, 
relative all'organizzazione, al funzionamento ed al coordinamento dei servizi 
inerenti la raccolta, preparazione, conservazione e distribuzione del sangue 
umano per uso trasfusionale e la correlativa vigilanza, nonch� il compito di 
autorizzare l'importazione e l'esportazione di sangue umano e dei suoi derivati 
per scopo terapeutico. 
Inoltre, riteneva che, gi� sul finire degli anni sessanta, le conoscenze 
scientifiche raggiunte erano tali da imporre, nell'attivit� di prelievo e raccolta 
del sangue, l'adozione di specifiche cautele, idonee a ridurre in misura apprezzabile 
il rischio di contagio da trasfusione (16). 
(10) Cass. Civ., sez. III, 31 maggio 2005 n. 11609. 
(11) A. BONUOMO, Dei danni da emotrasfusioni e delle relative responsabilit�, in Ragiusan, 2008, 
p. 144.
(12) R. PARTISANI, La transazione sul danno da trasfusione contagiosa, da somministrazione di 
emoderivati infetti o da vaccinazione obbligatoria, secondo il regolamento emanato con D.M. 28 aprile 
2009, n. 132, in Responsabilit� civile e previdenza, 2010, p. 489. 
(13) G.F. AIELLO, Responsabilit� del medico e della struttura sanitaria: danno da emotrasfusioni e violazione 
del diritto all'autodeterminazione terapeutica, in Responsabilit� civile e previdenza, 2010, p. 1757. 
(14) A. MANTALERO, Lo Stato co-autore del danno: il caso dei medicinali e dei danni da trasfusione 
tre variazioni sul tema: uranio impoverito, emoderivati e vajont, Torino, 2013, p. 98. 
(15) F. GRECO, Le Sezioni Unite ed il limite prescrizionale nel danno da emotrasfusioni infette, in 
Responsabilit� civile e previdenza, 2008, p. 841.
CONTENZIOSO NAZIONALE 99 
Di conseguenza riteneva responsabile il Ministero poich�, sin dalle emanazioni 
di tali disposizioni, avrebbe dovuto effettuare un controllo sulle sacche 
di sangue importate, in virt� della sua posizione e delle conoscenze scientifiche 
raggiunte circa la pericolosit� delle trasfusioni (17). 
Quindi l'adozione di alcune misure precauzionali, come il divieto alla donazione 
di sangue da parte di coloro che presentavano valori alterati nelle transaminasi 
o maggiori controlli nei confronti di coloro che provenivano da Stati 
ritenuti ad alto rischio, avrebbe consentito di ridurre il rischio di diffusione di 
tali malattie, in quanto si era a conoscenza dell�idoneit� del sangue a veicolare 
malattie (18). 
L'orientamento che riconosce la responsabilit� del Ministero della Salute 
a partire dai primi anni settanta ha avuto riscontro in una sentenza del Tribunale 
di Milano del 2007 (19). 
In tale sentenza il Tribunale lombardo ha addirittura affermato che, a seguito 
di pareri scientifici, il primo caso di trasmissione di epatite C risale al 1938. 
Il Tribunale di Milano ritiene che, nonostante l'epatite C sia stata ufficialmente 
riconosciuta dall'Organizzazione Mondiale della Sanit� solo nel 1988, 
prima degli anni settanta, si conosceva la possibilit� che il sangue potesse veicolare 
tale virus (seppur definito epatite non-A e non-B), quindi si sarebbero 
potute porre in essere misure precauzionali idonee, se non ad evitare l'evento 
lesivo, quanto meno a ridurlo (20). 
Tale orientamento parametra la prevedibilit� ed evitabilit� dell'integrit� fisica 
alla posizione di privilegio ricoperta dal Ministero, che non � solo tenuto all'attivit� 
di vigilanza e controllo ma � il referente della scienza medica italiana (21). 
L'ultimo orientamento � quello adottato dalle Sezioni Unite della Corte 
di Cassazione che nel 2008, in ben dieci sentenze correlate, hanno ritenuto responsabile 
il Ministero a partire dal 1978, affermando che: �In tema di patologie 
conseguenti ad infezione con i virus HBV (epatite B), HIV (AIDS) e HCV 
(epatite C) contratti a causa di assunzione di emotrasfusioni o di emoderivati 
con sangue infetto, non sussistono tre eventi lesivi, bens� un unico evento lesivo, 
cio� la lesione dell'integrit� fisica (essenzialmente del fegato) in conseguenza 
dell'assunzione di sangue infetto; ne consegue che gi� a partire dalla 
data di conoscenza dell'epatite B � sussiste la responsabilit� del Ministero 
(16) G. MONTANARI VERGALLO - P. FRATI, La tutela risarcitoria dei pazienti danneggiati da emotrasfusioni 
infette, in Rivista italiana di medicina legale, 2009, p. 39. 
(17) A. IEVOLELLA, Trasfusioni con sangue infetto, e poi la morte. L'ospedale � responsabile, in 
Diritto e giustizia, 2011, p. 287. 
(18) F. CAPONI - A. LO RUSSO, La tutela del danno da emotrasfusioni in giurisprudenza, in Il difensore 
civico della Toscana, http://www.itmnewday.it, p. 25. 
(19) Trib. Milano, sez . X 10 settembre 2007, n. 10104. 
(20) S. PERON, Il risarcimento del danno alla salute da emoderivati, in Foro Padano, 2007, p. 567. 
(21) F. GRECO, Le Sezioni Unite ed il limite prescrizionale nel danno da emotrasfusioni infette, 
in Responsabilit� civile e previdenza, 2008, p. 846.
100 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2015 
della salute, sia pure col limite dei danni prevedibili, anche per il contagio 
degli altri due virus, che non costituiscono eventi autonomi e diversi, ma solo 
forme di manifestazioni patogene dello stesso evento lesivo� (22). 
In base all'orientamento espresso dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, 
i virus dell'HBV, dell'HCV e dell'HIV non costituiscono tre distinti 
eventi lesivi ma un unico evento lesivo. Quindi il Ministero � responsabile a 
partire dalla data in cui l'Organizzazione Mondiale della Sanit� ha riconosciuto 
l'HBV (1978), poich� gli altri due virus colpendo sempre il fegato, ed avendo 
una struttura simile non configurano eventi autonomi e diversi, ma solo forme 
di manifestazione patogene del medesimo evento lesivo. 
Questo orientamento ha costituito il punto di riferimento a cui si � conformata 
la successiva giurisprudenza, affermando una presunzione di responsabilit� 
in capo al Ministero. In base a tale presunzione, dalla conoscenza del 
primo virus avvenuta nel 1978, il Ministero sar� anche responsabile per gli 
altri due virus, in quanto, essendo forme della stessa lesione all'integrit� fisica, 
la conoscenza dell�HBV avrebbe consentito di evitare o ridurre il pericolo di 
contrazione anche per i virus HIV e HCV. 
La ratio seguita dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione � che i che 
i virus HBV, HIV e HCV hanno effetti simili, in quanto colpiscono il fegato e 
chi ne � affetto presenta elevati livelli di transaminasi. Di conseguenza a partire 
dalla scoperta dell'HBV, proprio per la similarit� tra questi, il Ministero sarebbe 
potuto intervenire, ad esempio vietando a queste persone di donare, cos� 
da evitare anche la trasmissione dei virus dell'HIV e HCV. 
In tale sentenza la Suprema Corte ha adottato la teoria della regolarit� 
causale per individuare la responsabilit� del Ministero. 
In base alla teoria della regolarit� causale, la responsabilit� non si estende 
ai danni che non potevano prevedersi come regolare svolgimento causale in 
base ad un giudizio ex ante (23). 
Tuttavia parte della giurisprudenza, in alcune pronunce, ha condiviso un 
diverso orientamento ritenendo che, mentre nel diritto penale l'autore del fatto 
non pu� essere ritenuto responsabile per eventi imprevedibili, un�analoga limitazione 
non � ravvisabile nel diritto civile, poich� il diritto civile non � volto 
a punire il reo ma a risarcire la vittima per l'ingiusto danno subito. Di conseguenza, 
tale giurisprudenza, ha ricompreso tra i danni risarcibili anche gli 
eventi dannosi non prevedibili (24). 
Alla luce dell�orientamento espresso dalle Sezioni Unite della Corte di 
Cassazione, il 1978 sembra essere l'anno che fa da spartiacque per la respon- 
(22) Cass. Civ., Sez.Un., 11 gennaio 2008, n. 576. 
(23) F.P. PATTI - G.M. TANCREDI, Emotrasfusioni infette e presunzione del nesso di causalit�: la 
teoria del rischio specifico, in Danno e responsabilit�, 2012, p. 143. 
(24) C.M. BIANCA, La responsabilit� V, Milano, 2012, p. 144.
CONTENZIOSO NAZIONALE 101 
sabilit� del Ministero. Infatti, prima di tale data il Ministero non potr� essere 
considerato responsabile, in quanto non poteva esercitare alcun compito di vigilanza, 
poich� non si era riconosciuto nessuno dei virus emotrasmissibili e 
non si erano predisposti i relativi test. Viceversa, dopo il 1978, il Ministero 
sar� ritenuto responsabile poich� a seguito del riconoscimento dei virus da 
parte dell�Organizzazione Mondiale della Sanit�, ed avendo acquisito le conoscenze 
necessarie, potr� esercitare le attivit� di controllo e di vigilanza (25). 
Tuttavia nel 2015 sembra che l'opinione in merito alla responsabilit� del 
Ministero sui danni emotrasmissibili stia nuovamente mutando. Infatti la Corte 
di Cassazione nella sentenza n. 1136/2015 ha ripreso il primo orientamento 
della Corte di Cassazione, espresso nella sentenza n. 11609/2005. 
La Suprema Corte, infatti, distingue i tre virus considerando che essi 
danno luogo non a un�unica lesione, ma a tre diverse lesioni, in quanto, nonostante 
tutti e tre colpiscono il fegato e presentino elementi in comune, costituiscono 
tre malattie diverse, che derivano da ceppi diversi e richiedono cure 
diverse, ma soprattutto comportano effetti diversi in ordine al decorso della 
malattia e alla cronicizzazione della stessa (26). 
Nella sentenza n. 1136/2015, innanzitutto, si afferma che le Sezioni Unite 
nel 2008 considerando che i principi generali regolanti la causalit� materiale 
sono gli art. 40 e 41 del codice penale e quelli della regolarit� causale, con 
l'eccezione che, mentre nel penale vale la regola probatoria �dell'oltre ragionevole 
dubbio�, in sede civile vale quella �del pi� probabile che non�, (27) si 
dovrebbe verificare se una volta accertata l'omissione dell'attivit� a cui era tenuto 
il Ministero della Salute ed accertata la conoscenza oggettiva ai pi� alti 
livelli scientifici della possibile veicolazione di virus attraverso il sangue infetto 
ed accertata la patologia di HBV, HIV e HCV nel soggetto emotrasfuso 
si possa ritenere, in assenza di fattori alternativi, che l'insorgenza della malattia 
sia conseguenza dell'omissione del Ministero della Salute. 
La Suprema Corte ha quindi affermato che: �i tre virus sono diversi e diversa 
� la metodica di individuazione e la possibilit� di individuarli" e valorizzando 
l'assenza di colpa del Ministero - � pervenuta a conclusioni 
perfettamente coerenti con i principi affermati da questa Corte, atteso che non 
si � affatto limitata a rilevare che i markers dell'epoca dei fatti per cui � causa 
(1971) non potevano portare all'individuazione dei soggetti a rischio secondo 
un grado di probabilit� sufficiente, ma ha anche, rilevato che alla stessa data 
non era stato individuato n� il virus HCV (contratto dal ricorrente), n� il virus 
(25) S. OLIARI, Ancora in tema di trasfusioni di sangue: danno e (nessuna) responsabilit�, in 
Danno e responsabilit�, 2011, p. 888. 
(26) F. CAPONI e A. LO RUSSO, La tutela del danno da emotrasfusioni in giurisprudenza, in Il difensore 
civico della Toscana, http://www.itmnewday.it, p. 32. 
(27) D. FRAGNOLI, La responsabilit� per danni da emotrasfusioni �l'azione ipotizzata ma omessa, 
avrebbe impedito l'evento?, Lezione del 19 maggio 2012, in http://www.ordineavvocati.roma.it.
102 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2015 
HBV (il che equivale a dire che non c'era neppure la conoscenza del rischio 
del contagio dell'epatite B, ergo il rischio non era prevedibile). Si tratta di argomentazioni 
in fatto, sorrette da dati notori (e, invero, il virus dell'epatite B 
fu conosciuto alla met� degli anni 1970 e l'organizzazione mondiale della sanit� 
l'ha ufficialmente riconosciuto solo nel 1978), mentre in precedenza si 
conosceva solo che il sangue poteva veicolare virus. Ci� comporta che va 
esclusa la regolarit� causale tra il mancato controllo del Ministero e l'infezione 
da epatite C per l'emotrasfusione subita dalla parte istante proprio perch� 
l'evento infettivo da detti virus (lesione del fegato) era all'epoca 
astrattamente inverosimile e, anzi, addirittura anche astrattamente sconosciuto. 
In sostanza mancava il nesso causale tra la condotta omissiva del Ministero 
e l'evento lesivo, giacch�, per determinare una causalit� 
giuridicamente rilevante, dovendosi, all'interno delle serie causali concorrenti 
nella produzione dell'evento, dare rilievo a quelle soltanto che, nel momento 
in cui si produce l'evento causante non appaiano del tutto inverosimili, ma 
che si presentino come effetto non del tutto imprevedibile, secondo il principio 
della cd. causalit� adeguata o quella similare della cd. regolarit� causale�. 
Quindi, prima del riconoscimento da parte dell'Organizzazione Mondiale 
della Sanit�, non si pu� considerare responsabile il Ministero, in quanto, pur 
riconoscendo in capo ad esso il dovere di vigilanza, si deve sostenere che non 
poteva esercitarlo in concreto, poich�, non conoscendo l'esatta composizione 
molecolare, non avrebbe potuto rilevare attraverso un test di rilevazione diretta 
da imporre sul territorio nazionale, la presenza di virus nel sangue (28). Di 
conseguenza difettano gli elementi del nesso causale e della colpa. 
3. � ammissibile la congiunta attribuzione dell'indennizzo ex l. 210/1992 e 
del risarcimento del danno. 
Ulteriori problemi che ha suscitato la trasfusione di emoderivati, sebbene 
non menzionati nella sentenza n. 1136/2015, sono quelli della prescrizione e 
dell'indennizzo previsto dalla legge n. 210/92. 
I soggetti, vittime di trasfusioni infette, oltre all'azione di risarcimento 
danni, possono chiedere anche la corresponsione dell'indennizzo previsto dalla 
legge n. 210 del 1992 a favore dei soggetti lesi irreversibilmente da vaccinazioni 
obbligatorie, trasfusioni e somministrazione di emoderivati. 
Quindi la persona lesa, pu� invocare tre distinti rimedi: 
1) il risarcimento del danno quando l'amministrazione ha posto in essere 
una condotta colposa; 
2) l'equo indennizzo quando il danno non � dovuto da un fatto illecito ma 
in presenza di un obbligo legale; 
(28) F. GRECO, La responsabilit� del Ministero della Salute per emotrasfusioni infette, in Responsabilit� 
civile e previdenza, 2007, p. 1377.
CONTENZIOSO NAZIONALE 103 
3) l'indennizzo come misura di sostegno assistenziale in base agli art. 2 e 
32 della Costituzione (29). 
La prima ad ammettere la compatibilit� dell'indennizzo con il risarcimento 
danni � stata la Corte Costituzionale. Essa � giunta a tale conclusione, 
facendo leva sugli articoli 2 e 32 della Costituzione, in base ai quali si deve 
riconoscere un sostegno di tipo assistenziale a favore di tali soggetti. 
Infatti la ratio di tale norma � quella di tutelare maggiormente la salute 
di queste persone nei casi in cui le conoscenze scientifiche non permettono di 
escludere al 100% la possibilit� del contagio (30). 
Inoltre, la compatibilit� dell'indennizzo con il risarcimento del danno � 
giustificata anche dalla circostanza che essi siano totalmente differenti tra di 
loro in base ai presupposti, alle funzioni ed ai criteri di determinazione della 
somma dovuta (31). 
In un primo momento la Corte di Cassazione, nella erogazione della 
somma, indennitaria e risarcitoria, nei confronti della vittima si era orientata 
nel negare la possibilit� di esercitare il rimedio della �compensatio lucri cum 
damno�. 
Tuttavia, successivamente le Sezioni Unite della Corte di Cassazione 
hanno stabilito che: �la diversa natura giuridica dell'attribuzione indennitaria 
ex l. 210/1992 e delle somme liquidabili a titolo di risarcimento danni per il 
contagio da emotrasfusione infetta da H.I.V ed H.C.V., non osta a che l'indennizzo 
corrisposto al danneggiato sia integralmente scomputato dalle somme 
liquidabili a titolo di risarcimento, posto che in caso contrario la vittima si 
avvantaggerebbe di un ingiustificato arricchimento, godendo, in relazione al 
fatto lesivo del medesimo interesse tutelato di due diverse attribuzioni patrimoniali 
dovute dallo stesso soggetto (il Ministero della Salute) ed aventi causa 
nel medesimo fatto (trasfusione di sangue o somministrazione di emoderivati) 
cui direttamente si riferisce la responsabilit� del soggetto tenuto al pagamento� 
(32). 
Giustamente l'orientamento della Corte di Cassazione si � consolidato nel 
riconoscere la possibilit�, in presenza della congiunta attribuzione dell'indennizzo 
e del risarcimento danno, di effettuare la �compensatio lucri cum 
damno�, per evitare un ingiustificato arricchimento alla vittima e per non gra- 
(29) G. PONZANELLI, La misura dell'indennizzo per le �vittime� di vaccinazioni obbligatorie: il 
nuovo intervento della Corte Costituzionale, in Foro Italiano, 1998, p. 1371. 
(30) A. BUONOMO, Dei danni da emotrasfusioni e delle relative responsabilit�, in Ragiusan, 2008, 
p. 144.
(31) R. PARTISANI, La transazione sul danno da trasfusione contagiosa, da somministrazione di 
emoderivati infetti o da vaccinazione obbligatoria, secondo il regolamento emanato con D.M. 28 aprile 
2009, n. 132, in Responsabilit� civile e previdenza, 2010, p. 491. 
(32) S. PERON, Il risarcimento del danno alla salute da emoderivati, in Foro Padano, 2007, p. 
569.
104 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2015 
vare la Pubblica Amministrazione di pi� poste patrimoniali in presenza di un 
solo evento lesivo (33). 
4. La prescrizione dei danni da emotrasfusioni. 
In relazione al termine di prescrizione si � discusso da quando inizia a 
decorrere il dies a quo. 
Innanzitutto, il termine di prescrizione applicabile, nei confronti del Ministero, 
sar� quello quinquennale previsto nell'art. 2497 c.c., in quanto siamo 
nell'ambito della responsabilit� extracontrattuale, mentre nei confronti dell'azienda 
ospedaliera si dovr� applicare il termine decennale previsto nell'art. 
2496 c.c., in quanto siamo nell'ambito della responsabilit� contrattuale. 
La prescrizione del diritto al risarcimento del danno, disciplinata dall'art. 
2497 c.c. deve essere necessariamente letta congiuntamente all'art. 2935 c.c., 
il quale afferma che la prescrizione inizia a decorrere dal giorno in cui il diritto 
pu� essere fatto valere (34). 
Il termine di prescrizione � diverso a seconda che si agisca per il risarcimento 
iure hereditatis o per il risarcimento iure proprio. 
Per il risarcimento iure hereditatis, le prime pronunce sui danni da emotrasfusioni 
individuavano il dies a quo, da cui far decorrere il termine prescrizionale, 
dalla esteriorizzazione e manifestazione del pregiudizio subito. 
Tuttavia tale soluzione lasciava insoddisfatti poich� la vittima, seppure abbia 
preso coscienza della malattia, si potrebbe trovare nella situazione di impossibilit� 
di farla valere in giudizio ignorando la possibile causa della prescrizione 
in quanto i virus HBV, HCV e HIV sono �virus lungolatenti� che danno 
luogo ad una alterazione cronologica rispetto alla condotta lesiva, poich� la 
malattia si manifesta a distanza di molto tempo dalla condotta lesiva (35). 
Quindi, non si pu� individuare, come giorno da cui far decorrere il termine 
di prescrizione, il giorno del contagio poich� in tale giorno la vittima 
non ha ancora conoscenza della malattia e, inoltre, in presenza di molteplici 
trasfusioni, non potr� mai individuare quale fra queste le abbia fatto contrarre 
la malattia. N�, tantomeno, potr� individuare come giorno da cui far decorrere 
la prescrizione quello in cui si sia appresso di aver contratto una malattia emotrasmissibile, 
in quanto non sar� a conoscenza dell�ingiustizia del danno e del 
nesso causale per poter far valere il suo diritto (36). 
(33) R. PARTISANI, La transazione sul danno da trasfusione contagiosa, da somministrazione di 
emoderivati infetti o da vaccinazione obbligatoria, secondo il regolamento emanato con D.M. 28 aprile 
2009, n. 132, in Responsabilit� civile e previdenza, 2010, p. 491. 
(34) A. BARBARISI, Causalit� e prescrizione nei danni da emotrasfusioni infette, in Danno e responsabilit�, 
2013, p. 271. 
(35) D. GIANTI, Danno da emotrasfusione e questioni di legittimazione passiva: quando un errore 
costa caro, in Danno e responsabilit�, 2010, p. 1063. 
(36) S. OLIARI, Debito di sangue: danno da emotrasfusione e prescrizione, in Danno e responsabilit�, 
2009, p. 676.
CONTENZIOSO NAZIONALE 105 
A tal fine, la giurisprudenza successiva, ha affermato che il dies a quo inizier� 
a decorrere dal momento in cui si percepisca la malattia come danno ingiusto 
conseguente al comportamento colposo o doloso di un terzo, usando 
l�ordinaria diligenza e tenuto conto delle conoscenze scientifiche dell�epoca (37). 
Tuttavia tale assunto � stato diversamente interpretato dalle Corti, in 
quanto alcune hanno fatto coincidere la percezione della malattia con il responso 
della Commissione Medico Ospedaliera, mentre altre l�hanno fatto 
coincidere con la presentazione dell�istanza ex l. 210/1992 (38). 
Viceversa, il risarcimento iure proprio, fondandosi su una condotta integrante 
il reato di omicidio colposo, la stessa pu� essere fatta valere soltanto in 
conseguenza del decesso del congiunto. In tal caso si applica il termine ordinario 
decennale di prescrizione, decorrente dalla morte della vittima. 
Cass. civ., Sez. Terza, sentenza 22 gennaio 2015, n. 1136 - Pres. Segreto, Rel. Ambrosio, 
P.M. Basile (difforme) - M.F. (avv. Far� G. A.) c. Ministero della Salute (avv. gen. Stato). 
Svolgimento del processo 
Con sentenza n. 598 in data 27.04.2011, la Corte di appello di Torino, rigettando l'appello 
proposto da M.F., ha confermato la sentenza n. 1932/2010 del Tribunale di Torino di rigetto 
della domanda proposta dall'appellante nei confronti del Ministero della Salute (di seguito, 
brevemente, il Ministero) per il risarcimento danni da epatite C, conseguenti ad una trasfusione 
di sangue infetto praticatogli nell'anno 1971 presso la Casa di cura "Villa Pia" di Torino. 
La Corte territoriale ha confermato le argomentazioni e conclusioni del primo Giudice, escludendo 
una responsabilit� omissiva del Ministero, poich� all'epoca dei fatti non erano noti i 
virus e i relativi tests. 
Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione M.F., svolgendo un unico motivo, 
illustrato anche da memoria. 
Ha resistito il Ministero, depositando controricorso. 
Motivi della decisione 
1. Con l'unico motivo di ricorso si denuncia violazione degli artt. 2043, 2049 e 2050 cod. 
civ. e vizio di motivazione in relazione alla prevedibilit�/prevenibilit� dell'infezione HCV, 
nonch� violazione o falsa applicazione degli artt. 40 e 41 cod. pen. e dei principi di diritto 
affermati dalla Corte di cassazione (S.U. 11 gennaio 2008, n. 576). Al riguardo parte ricorrente 
lamenta che la Corte territoriale abbia disatteso le indicazioni fornite dalle Sezioni 
Unite in ordine alla presenza di altri fattori alternativi che avrebbero potuto escludere il nesso 
causale fra la condotta omissiva del Ministero e l'evento di contagio, adottando una nozione 
scientifica del "pi� probabile che non" che va, invece, riferito al criterio della causalit� materiale 
e della regolarit� causale. In particolare - a parere del ricorrente - la Corte di appello 
(37) A. BARBARISI, Causalit� e prescrizione nei danni da emotrasfusioni infette, in Danno e responsabilit�, 
2013, p. 271. 
(38) A. BARBARISI, Causalit� e prescrizione nei danni da emotrasfusioni infette, in Danno e responsabilit�, 
2013, p. 272.
106 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2015 
avrebbe erroneamente focalizzato l'attenzione sulla circostanza che i markers dell'epoca non 
erano in grado di fornire una consistente probabilit� (superiore al 50%) della possibilit� di 
prevenire il contagio, perch� il comportamento del Ministero non si esauriva nella sola omissione 
dei markers, ma, pi� in generale, nel mancato esercizio dell'attivit� di controllo e vigilanza 
sulla tracciabilit� del sangue. 
2. Il motivo non merita accoglimento. 
2.1. Prima di ogni altra considerazione occorre rilevare che parte ricorrente - pur deducendo 
violazione degli artt. 2049 e 2050 cod. civ. - non sviluppa argomentazioni in ordine all'asserita 
violazione, n� tantomeno individua il punto della decisione in cui le ridette violazioni di legge 
si sarebbero concretate; sicch�, in parte qua, il motivo deve ritenersi inammissibile per difetto 
di specificit�. 
In disparte si rileva che emerge dalle stesse allegazioni in ricorso che il fatto dannoso � stato 
dedotto in giudizio quale fatto proprio dell'Amministrazione statale, per inosservanza di compiti 
istituzionali ad essa riferibili e non gi� come illecito del dipendente, avendo al riguardo 
la Corte territoriale evidenziato (in termini non attinti dal presente ricorso) come non fosse 
stato neppure allegato che, nel caso specifico, le concrete modalit� della trasfusione avessero 
avuto, rispetto a quanto accadeva all'epoca, peculiarit� tali da far individuare una particolare 
negligenza dei sanitari. 
Inoltre questa Corte � costante nel ritenere che - pur essendo indubbio il connotato della pericolosit� 
insito nella pratica terapeutica della trasfusione del sangue e dell'uso degli emoderivati 
- ci� non si traduce nella pericolosit� anche della correlata attivit� di controllo e di 
vigilanza cui � tenuto il Ministero della salute; ne consegue che la responsabilit� di quest'ultimo 
per i danni conseguenti ad infezione da HIV e da epatite, contratte da soggetti emotrasfusi 
per omessa vigilanza da parte dell'Amministrazione sulla sostanza ematica e sugli emoderivati, 
� inquadrabile nella violazione della clausola generale di cui all'art. 2043 cod. civ. e non in 
quella di cui all'art. 2050 cod. civ. (Cass. Sez. Unite, 11 gennaio 2008, n. 576). 
2.1. Ci� premesso si osserva che, dopo le note sentenze delle Sezioni Unite del 21 gennaio 
2008, nn. 576 e segg. � ormai acquisito - con riguardo allo specifico tema della responsabilit� 
omissiva per contagio - come il problema della conoscenza del virus debba essere inquadrato 
anzitutto nell'ambito della regolarit� causale e quindi del nesso causale e solo in via residuale 
nell'ambito dell'elemento soggettivo: ci� in quanto ciascuno � responsabile soltanto delle conseguenze 
della sua condotta, attiva o omissiva, che appaiono sufficientemente prevedibili al 
momento nel quale ha agito, escludendosi in tal modo la responsabilit� per tutte le conseguenze 
assolutamente atipiche o imprevedibili. 
In particolare le Sezioni Unite - muovendo dalla considerazione che i principi generali che regolano 
la causalit� materiale (o di fatto) sono anche in materia civile quelli delineati dagli artt. 
40 e 41 cod. pen. e dalla regolarit� causale, salva la differente regola probatoria che in sede penale 
� quella dell'"oltre ogni ragionevole dubbio", mentre in sede civile vale il principio della 
preponderanza dell'evidenza o "del pi� probabile che non" - hanno precisato che la regola della 
"certezza probabilistica" non pu� essere ancorata esclusivamente alla determinazione quantitativa-
statistica delle frequenze di classe di eventi (cd. probabilit� quantitativa), ma va verificata 
riconducendo il grado di fondatezza all'ambito degli elementi di conferma disponibili nel caso 
concreto (cd. probabilit� logica) (cfr. Sez. Unite, sentenza 11 gennaio 2008, n. 581) . 
Da tale premessa concettuale � derivato con specifico riferimento all'azione - come quella in 
oggetto - per contagio da somministrazione di sangue ed emoderivati infetti, il seguente principio: 
premesso che sul Ministero gravava un obbligo di controllo, direttive e vigilanza in
CONTENZIOSO NAZIONALE 107 
materia di impiego di sangue umano per uso terapeutico (emotrasfusioni o preparazione di 
emoderivati) anche strumentale alle funzioni di programmazione e coordinamento in materia 
sanitaria, affinch� fosse utilizzato sangue non infetto e proveniente da donatori conformi agli 
standars di esclusione di rischi, il giudice, accertata l'omissione di tali attivit�, accertata, altres�, 
con riferimento all'epoca di produzione del preparato, la conoscenza oggettiva ai pi� alti livelli 
scientifici della possibile veicolazione di virus attraverso sangue infetto ed accertata - infine 
l'esistenza di una patologia da virus HIV o HBV o HCV in soggetto emotrasfuso o assuntore 
di emoderivati, pu� ritenere, in assenza di altri fattori alternativi, che tale omissione sia stata 
causa dell'insorgenza della malattia, e che, per converso, la condotta doverosa del Ministero, 
se fosse stata tenuta, avrebbe impedito la versificazione dell'evento. 
2.2. Dal principio sopra esposto in tema di nesso causale da comportamento omissivo, emerge 
anche il criterio per la delimitazione temporale della responsabilit� del Ministero: in altri termini 
si tratta di verificare se, ai fini della regolarit� causale, il virus dell'epatite C nell'anno 1971 - 
epoca in cui intervenne l'emotrasfusione individuata come causa della stessa malattia - fosse 
un evento assolutamente eccezionale ed imprevedibile e quindi estraneo alla regolarit� causale. 
Ci� in quanto in tema di patologie conseguenti ad infezione con i virus HBV (epatite B) , HIV 
(AIDS) e HCV (epatite C) contratti a causa di assunzione di emotrasfusioni o di emoderivati 
con sangue infetto, non sussistono tre eventi lesivi, bens� un unico evento lesivo, cio� la lesione 
dell'integrit� fisica (essenzialmente del fegato) in conseguenza dell'assunzione di sangue infetto; 
ne consegue che gi� a partire dalla data di conoscenza dell'epatite B - la cui individuazione 
spetta all'esclusiva competenza del giudice di merito, costituendo un accertamento di fatto - 
sussiste la responsabilit� del Ministero della salute, sia pure col limite dei danni prevedibili, 
anche per il contagio degli altri due virus, che non costituiscono eventi autonomi e diversi, ma 
solo forme di manifestazioni patogene dello stesso evento lesivo (S.U. n. 576/2008 cit.). 
2.3. Orbene la Corte territoriale - pur evidentemente muovendosi nell'ottica (respinta dalle 
Sezioni Unite) dell'esistenza di serie causali distinte per la considerazione che "i tre virus sono 
diversi e diversa � la metodica di individuazione e la possibilit� di individuarli" e valorizzando 
l'assenza di colpa del Ministero - � pervenuta a conclusioni perfettamente coerenti con i principi 
affermati da questa Corte, atteso che non si � affatto limitata a rilevare che i markers dell'epoca 
dei fatti per cui � causa (1971) non potevano portare all'individuazione dei soggetti a 
rischio secondo un grado di probabilit� sufficiente, ma ha anche, rilevato che alla stessa data 
non era stato individuato n� il virus HCV (contratto dal ricorrente), n� il virus HBV (il che 
equivale a dire che non c'era neppure la conoscenza del rischio del contagio dell'epatite B, 
ergo il rischio non era prevedibile). 
Si tratta di argomentazioni in fatto, sorrette da dati notori (e, invero, il virus dell'epatite B fu 
conosciuto alla met� degli anni 1970 e l'organizzazione mondiale della sanit� l'ha ufficialmente 
riconosciuto solo nel 1978), mentre in precedenza si conosceva solo che il sangue poteva veicolare 
virus. Ci� comporta che va esclusa la regolarit� causale tra il mancato controllo del 
Ministero e l'infezione da epatite C per l'emotrasfusione subita dalla parte istante proprio perch� 
l'evento infettivo da detti virus (lesione del fegato) era all'epoca astrattamente inverosimile 
e, anzi, addirittura anche astrattamente sconosciuto. In sostanza mancava il nesso causale tra 
la condotta omissiva del Ministero e l'evento lesivo, giacch�, per determinare una causalit� 
giuridicamente rilevante, dovendosi, all'interno delle serie causali concorrenti nella produzione 
dell'evento, dare rilievo a quelle soltanto che, nel momento in cui si produce l'evento causante 
non appaiano del tutto inverosimili, ma che si presentino come effetto non del tutto imprevedibile, 
secondo il principio della cd. causalit� adeguata o quella similare della cd. regolarit�
108 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2015 
causale (ex multis: Cass. 1 marzo 2007; n. 4791; Cass. 27 settembre 2006, n. 21020; Cass. 6 
luglio 2006, n. 15384). 
In conclusione il ricorso va rigettato. 
Le spese processuali vanno compensate. Invero la procedura transattiva prevista dalla L. 29 
novembre 2007, n. 222, di conversione del D.L. n. 159 del 2007 e dalla L. 24 dicembre 2007, 
n. 2444 per il componimento dei giudizi risarcitori per effetto di trasfusioni con sangue infetto 
(pur lasciando libera la P.A. se pervenire alla transazione) denota un sostanziale trend legislativo 
di favor della definizione stragiudiziale del contenzioso e tanto integra giusto motivo 
di compensazione delle spese processuali, a norma dell'art. 92 c.p.c., nella formulazione - applicabile 
alla fattispecie - anteriore alla modifica apportata dalla L. n. 263 del 2005, art. 2, 
comma 1. 
P.Q.M. 
La Corte rigetta il ricorso e compensa interamente le spese tra le parti. 
Cos� deciso in Roma, il 24 ottobre 2014. 
Depositato in Cancelleria il 22 gennaio 2015.
CONTENZIOSO NAZIONALE 109 
La pubblicit� degli avvisi d�asta sui quotidiani e la 
discrezionalit� del giudice dell�esecuzione (art. 490 c.p.c.) 
NOTA A T.A.R. EMILIA ROMAGNA, SEZIONE PRIMA,, SENTENZA 26 FEBBRAIO 2015 N. 175 
Luca Dell�Osta* 
SOMMARIO: 1. Introduzione. Il caso - 2. Le questioni di diritto all�esame del Tar - 3. La 
decisione. 3.1. L�esclusione della giurisdizione del giudice amministrativo - 3.2. L�interesse 
ad agire - 3.3. La giurisdizione del giudice ordinario - 4. Conclusioni - 5. La sentenza. 
1. Introduzione. Il caso. 
Di particolare interesse e di certa attualit� � la questione decisa dal Tar 
Emilia Romagna, sede di Bologna, sez. I, con la sentenza n. 175/2015 del 12 
febbraio 2015. Tale provvedimento � caratterizzato da alcune analogie con 
precedenti decisioni del Tar Campania, sede di Napoli e del Tar Lombardia, 
sede di Brescia (1). 
Il caso: la grave situazione economico-finanziaria manifestatasi a partire 
dal 2008 ha avuto ripercussioni significative anche in materia di giustizia. � 
cosa notoria, per esempio, che siano cospicuamente accresciute le procedure 
esecutive e fallimentari (2). La IV sezione civile del Tribunale di Bologna, 
che si occupa di tali materie, ha quindi conosciuto un aumento significativo 
dei procedimenti da trattare. 
In tale contesto, la severit� e la persistenza della situazione congiunturale 
hanno reso palese uno stato di acuta sofferenza causato dagli elevati costi della 
pubblicit� legale, divenuti spesso insostenibili per i creditori procedenti. Inoltre, 
si � anche assistito a un fenomeno sistematico di diserzione delle aste (correlato, 
verosimilmente, all�assenza di risorse economiche da investire nell�acquisto 
di beni immobili) che ha portato alla paralisi delle procedure di vendita. 
Da una parte, infatti, si � registrato un aumento del tasso medio di diserzione 
delle aste nel primo esperimento di vendita, con la necessit� di effettuare 
nuovi esperimenti per il medesimo lotto e quindi con ulteriore ripetizione delle 
forme pubblicitarie e aumento dei costi; dall�altra, quale inevitabile conseguenza, 
� stata registrata una riduzione dei ricavi derivanti dalle vendite esecutive 
e fallimentari a tutto svantaggio dei creditori. 
(*) Dottore in Giurisprudenza, ammesso alla pratica forense presso l�Avvocatura dello Stato. 
(1) Si fa riferimento, in particolare, a Tar Campania, Napoli, sez. I, sent. n. 1152/2012 (la cui decisione 
� stata poi riformata da Cons. Stato, sez. IV, sent. n. 4140/2013), e a Tar Lombardia, Brescia, 
sez. I, sent. n. 1202/2014. 
(2) In Italia, 6.155 imprese sono fallite nel 2007; 7.506 nel 2008; 9.381 nel 2009; 11.222 nel 2010; 
12.148 nel 2011; 12.519 nel 2012; 14.134 nel 2013; 15.651 nel 2014 (dati tratti da Cerved, Osservatorio 
su fallimenti, procedure e chiusure di imprese - 4q 2014, anche in www.know.cerved.it). 
110 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2015 
In particolare, al 30 ottobre 2013 nel Tribunale di Bologna risultavano 
depositati circa 850 pignoramenti immobiliari e circa 800 procedure esecutive 
arretrate in attesa di attivazione della fase di vendita degli immobili; inoltre a 
tale data la percentuale di diserzione media su primo esperimento di vendita 
risultava essere del 53,65%, a fronte di un deposito preventivo, richiesto al 
creditore procedente, pari a 4.000 euro, che di fatto determinava un costo 
medio per esperimento di vendita, per singolo lotto, di circa 1.000 euro (3). 
In questo contesto, sempre pi� critico, molti creditori procedenti si sono 
ritrovati nella oggettiva difficolt�, se non anche nella impossibilit�, di affrontare 
le spese necessarie per soddisfare gli oneri pubblicitari. 
La gravit� della situazione veniva peraltro ripetutamente segnalata al Tribunale 
di Bologna dalla totalit� dei soggetti istituzionalmente chiamati a cooperare, 
ciascuno nel proprio ruolo, alla amministrazione della giustizia (foro 
e curatori). 
Preso atto di ci�, in data 13 novembre 2013 i giudici della IV sezione 
civile del Tribunale di Bologna si riunivano in camera di consiglio, ai sensi 
dell�art. 47-quater dell�ordinamento giudiziario (4), e concordavano sulla necessit� 
di ridurre drasticamente i costi pubblicitari sostenuti dal ceto creditorio 
e di individuare nuovi standard minimi di esposizione pubblicitaria assicurati 
alle procedure esecutive e concorsuali, delegando al presidente della sezione 
il compito di reperire informazioni circa le offerte praticate dagli operatori normalmente 
utilizzati dal Tribunale, �fermo restando la possibilit� per il Giudice 
competente di adeguare la pubblicit� commerciale al caso concreto, ricorrendo 
anche alla stampa a livello nazionale o alla stampa di settore come nella ipotesi 
di beni di minor valore economico e di interesse specialistico� (5). 
Tale attivit� di acquisizione delle informazioni veniva effettivamente 
compiuta dal presidente della IV sezione mediante l�invito orale, rivolto agli 
operatori economici in precedenza gi� utilizzati dal Tribunale, di far conoscere 
i costi per le pubblicit� legali sia su cartaceo che su internet. 
A seguito della ricezione dei dati economici richiesti, la sezione riunitasi 
in camera di consiglio (ri)determinava - con le parole del verbale - �lo standard 
minimo di pubblicit� cartacea� in relazione all�offerta pervenuta dalla testata 
Il Corriere della Sera ed. Bologna, �salva ogni altra forma di pubblicit� necessaria 
per le particolarit� dei beni dedotti in procedura�. 
(3) Tutti i dati riportati sono desunti dal verbale della camera di consiglio della IV sezione civile 
del Tribunale di Bologna del 13 novembre 2013. 
(4) Di cui si riporta, di seguito, il primo comma: �Il presidente di sezione, oltre a svolgere il lavoro 
giudiziario, dirige la sezione cui � assegnato e, in particolare, sorveglia l�andamento dei servizi di cancelleria 
ed ausiliari, distribuisce il lavoro tra i giudici e vigila sulla loro attivit�, curando anche lo 
scambio di informazioni sulle esperienze giurisprudenziali all�interno della sezione. Collabora, altres�, 
con il presidente del tribunale nell�attivit� di direzione dell�ufficio�. 
(5) IV sezione civile del Tribunale di Bologna, verbale della camera di consiglio del 13 novembre 
2013.
CONTENZIOSO NAZIONALE 111 
Il presidente della sezione provvedeva pertanto a dare comunicazione di 
tale scelta al presidente del Tribunale (che approvava �l�atto di indirizzo�) e 
ai soggetti interessati. 
Avverso tale decisione ricorrevano al Tar Emilia Romagna, sede di Bologna, 
la Societ� Pubblicit� Editoriale spa e la Poligrafici Editoriale spa, rispettivamente 
concessionaria di pubblicit� ed editrice del quotidiano Il resto 
del Carlino, che fino a quel momento aveva gestito la maggior parte degli 
avvisi. 
2. Le questioni di diritto all�esame del Tar. 
In primo luogo, i ricorrenti richiamavano il precedente deciso dal Consiglio 
di Stato (Cons. Stato, sez. IV, sent. n. 4140/2013) sostenendo la giurisdizione 
del giudice amministrativo. In secondo luogo, lamentavano la violazione 
dell�art. 490 c.p.c. (6) dal momento che la decisione assunta dai giudici della 
IV sezione esorbitava dalle prerogative direzionali di natura giurisdizionale 
dei singoli magistrati, e infine eccepivano la falsa, parziale ed erronea applicazione 
dei principi propri delle procedure ad evidenza pubblica. 
Si costituivano quindi, con il patrocinio dell�Avvocatura dello Stato di 
Bologna, sia il Tribunale sia il ministero della Giustizia, che adducevano l�impossibilit� 
di equiparare gli atti della IV sezione a segmenti di una procedura 
di affidamento di un servizio della Pubblica Amministrazione, la mancanza di 
interesse ad agire, stante l�incapacit� degli atti impugnati di incidere nella sfera 
giuridica delle ricorrenti, e in subordine la tardivit� del ricorso (notificato nei 
termini ordinari e non in quelli previsti per il cd. �rito appalti�, dimidiati). 
3. La decisione. 
3.1. L�esclusione della giurisdizione del giudice amministrativo. 
La sentenza in esame ritiene il ricorso inammissibile. E questo perch� 
�nella presente fattispecie non si tratta di una procedura amministrativa di evi- 
(6) Si riportano, per comodit� di lettura, i primi tre commi: �Quando la legge dispone che di un 
atto esecutivo sia data pubblica notizia, un avviso contenente tutti i dati, che possono interessare il pubblico, 
deve essere affisso per tre giorni continui nell�albo dell�ufficio giudiziario davanti al quale si 
svolge il procedimento esecutivo. 
In caso di espropriazione di beni mobili registrati, per un valore superiore a 25.000 euro e di beni immobili, 
lo stesso avviso, unitamente a copia dell�ordinanza del giudice e della relazione di stima redatta 
ai sensi dell�articolo 173-bis delle disposizioni di attuazione del presente codice, � altres� inserito in 
appositi siti internet almeno quarantacinque giorni prima del termine per la presentazione delle offerte 
o della data dell�incanto. 
Il giudice dispone inoltre che l�avviso sia inserito almeno quarantacinque giorni prima del termine per 
la presentazione delle offerte o della data dell�incanto, una o pi� volte sui quotidiani di informazione 
locali aventi maggiore diffusione nella zona interessata o, quando opportuno, sui quotidiani di informazione 
nazionale e, quando occorre, che sia divulgato con le forme della pubblicit� commerciale. La 
divulgazione degli avvisi con altri mezzi diversi dai quotidiani di informazione deve intendersi complementare 
e non alternativa�.
112 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2015 
denza pubblica per la scelta del privato contraente [�] in quanto mancano 
tutte le caratteristiche della gara o della procedura negoziata per la scelta del 
privato contraente e, soprattutto, la stessa non � finalizzata alla stipulazione 
di un contratto vincolante con la pubblica amministrazione� (7). In altre parole, 
il Tar esclude che la procedura esperita dal Tribunale di Bologna, dal punto di 
vista sostanziale, possa essere equiparata a una gara, e conseguentemente che 
debbano essere applicate le disposizioni contenute nel d.lgs. 163/2006 (cd. 
�codice degli appalti�). E questo perch� si � in presenza di una �semplice indagine 
di mercato� (8), i cui esiti non possono certo ritenersi vincolanti per i 
giudici della sezione, che mantengono la loro piena indipendenza discendente 
�dall�articolo 490 del codice di procedura civile senza che detto potere possa 
essere escluso o limitato dal Presidente della sezione o da deliberazioni dei 
magistrati della sezione stessa� (9). 
Il tenore letterale della sentenza parrebbe ammettere che il tribunale, seppur 
a determinate condizioni (in presenza cio� delle �caratteristiche della gara 
o della procedura negoziata per la scelta del privato contraente�), possa divenire 
�stazione appaltante� nel senso di cui al d.lgs. 163/2006. D�altra parte, a 
questa conclusione erano giunti anche altri tre giudici. Il Tar Campania, Napoli, 
di fronte ad alcuni atti del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere preordinati 
a individuare una ditta a cui demandare in via esclusiva la pubblicit� 
delle vendite immobiliari inerenti alle procedure esecutive e/o fallimentari, 
statuiva che �nella fattispecie il Tribunale SMCV, che � amministrazione aggiudicatrice, 
ha posto in essere, per il tramite della propria organizzazione giudiziaria, 
tutta una serie di atti a rilevanza esterna che ben possono essere 
inquadrati come segmenti tipici di una procedura ad evidenza pubblica finalizzata 
all�affidamento di un servizio� (10). Il Consiglio di Stato ha confermato 
tale lettura, specificando che �l�avere i giudici coordinato preventivamente la 
relativa azione, sganciandola dal riferimento ai singoli procedimenti pendenti, 
ha fatto s� che l�attivit� posta in essere nei confronti delle testate giornalistiche 
(e per esse ai gestori della pubblicit�) esorbitasse dalle prerogative direzionali 
(7) Tar Emilia Romagna, Bologna, sez. I, sent. n. 175/2015, punto 2. 
(8) Ibidem. 
(9) Ibidem. Incidentalmente, si pu� aggiungere che il presidente della IV sezione civile ha legittimamente 
agito nell�esercizio di poteri attribuitigli dalla legge, e segnatamente dall�art. 47-quater dell�Ordinamento 
giudiziario (secondo il quale spetta al presidente di sezione il potere di distribuire il 
lavoro fra i giudici, di vigilare sulla loro attivit�, curando anche lo scambio di informazioni sulle esperienze 
giurisprudenziali all�interno della sezione): infatti, sulla base di quanto rilevato da tutti i giudici 
della sezione e delle difficolt� emerse dallo scambio di informazioni sulle esperienze giurisprudenziali 
(blocco delle procedure esecutive) il presidente, congiuntamente ai giudici della sua sezione, ha esaminato 
i dati attuali reperiti con riferimento ai costi standard della pubblicit� al fine di individuare non un 
soggetto aggiudicatario esclusivo, ma un nuovo standard minimo di riferimento, al quale parametrare 
le pubblicazioni degli avvisi. 
(10) Tar Campania, Napoli, sez. I, sent. n. 1152/2012, punto 2, in Il Foro amministrativo T.A.R., 
Giuffr�, vol. XI - marzo 2012.
CONTENZIOSO NAZIONALE 113 
di natura giurisdizionale dei singoli magistrati, per assumere carattere di evidenza 
pubblica� (11). 
Nell�ambito di una fattispecie quasi analoga (12), il Tar Brescia riteneva 
che �la selezione svolta dal Tribunale ha avuto come scopo l�individuazione 
di un soggetto [con il quale] il Tribunale ha avviato un rapporto di reciproca 
convenienza, con oneri sostenuti dai beneficiari delle procedure esecutive, 
ossia dai creditori procedenti e dalle curatele fallimentari. Tutto questo ha la 
sostanza di un procedimento a evidenza pubblica� (13). 
Tuttavia, non � chiaro - almeno con riferimento alla sentenza qui in commento 
- come tale impostazione possa conciliarsi con l�assunto per cui la �facolt� 
di scelta della forma di pubblicit� pi� idonea rientra nelle specifiche 
competenze di ciascun magistrato titolare della procedura esecutiva e discende 
dall�articolo 490 del codice di procedura civile senza che detto potere possa 
essere escluso o limitato dal Presidente della sezione o da deliberazioni dei 
magistrati della sezione stessa� (14). 
Infatti, pare che la sentenza del giudice bolognese presenti almeno un 
aspetto aporetico: da una parte esclude la giurisdizione amministrativa perch� 
la procedura esperita non ha caratteri assimilabili a una gara (si parla infatti di 
una mera �indagine di mercato� (15), correttamente interpretando la volont� 
dei giudici della IV sezione e accogliendo in toto la tesi difensiva dell�Avvocatura); 
tuttavia, non chiarisce come una potenziale (e, almeno teoricamente, 
legittima) gara indetta dal Tribunale per l�individuazione di un organo di 
stampa sul quale pubblicare gli avvisi possa (rectius: avrebbe potuto) conciliarsi 
con il disposto normativo dell�art. 490 c.p.c. che presuppone ampia libert� 
in capo al giudice procedente, pur ritenendo implicitamente la 
rideterminazione dello standard minimo o un atto di indirizzo non confliggenti 
con il citato articolo. 
In questo senso i precedenti giurisprudenziali - quand�anche possano essere 
messi a confronto con la decisione qui in commento - non sono concordi: 
da una parte, infatti, il Consiglio di Stato ha ritenuto che l�assemblea dei giudici, 
giungendo alla stipula di un contratto, avesse spogliato i singoli giudicanti 
�della loro autonomia direzionale�, ritenendo quindi l�azione amministrativa 
compiuta dal Tribunale di Santa Maria Capua Vetere �illegittima per violazione 
dell�art. 490 c.p.c.� (16) (reputando, conseguentemente, che i giudici 
possano divenire �stazione appaltante�, qualora la procedura esperita presenti 
(11) Cons. Stato, sez. IV, sent. n. 4140/2013, punto 3.1. 
(12) Una puntuale analisi delle differenze � contenuta in G. SCIULLO, L�autorit� giudiziaria ordinaria 
come �amministrazione aggiudicatrice�, in Urbanistica e appalti, Ipsoa, n. 2/2015. 
(13) Tar Lombardia, Brescia, sez. I, sent. n. 1202/2014, punto 18. 
(14) Tar Emilia Romagna, Bologna, sez. I, sent. n. 175/2015, punto 2. 
(15) Ibidem. 
(16) Cfr. Cons. Stato, sez. IV, sent. n. 4140/2013, punto 3.3.
114 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2015 
caratteristiche di gara, ma che tale procedura sia inevitabilmente contraria al 
disposto dell�art. 490 c.p.c., il quale postula la libert� del giudice nel scegliere 
il giornale su cui pubblicare l�avviso). In senso contrario, il Tar Brescia ha sostenuto 
che �il riconoscimento di una componente amministrativa, sottoposta 
ai principi dell�evidenza pubblica, all�interno dei provvedimenti giurisdizionali 
non contraddice n� il potere di direzione delle procedure esecutive assegnato 
al giudice, n� il principio secondo cui il giudice � soggetto soltanto alla legge� 
(17). E a fondamento di tale assunto si richiama il principio di coerenza dell�ordinamento 
�nel suo complesso�, arrivando a sostenere che, in mancanza 
di un rapporto stabile ed esteso nel tempo con un soggetto che garantisca la 
pubblicazione degli avvisi, �l�assenza di discriminazione � assicurata tramite 
il principio di rotazione (richiamato dall�art. 57 comma 6 del d.lgs. 163/2006 
per le procedure negoziate senza previa pubblicazione di un bando), che ogni 
singolo giudice applica nei propri provvedimenti� (18), giungendo quindi a 
una conclusione contraria rispetto a quella del Consiglio di Stato che, come 
evidenziato, ha escluso la possibilit� che una procedura di gara possa essere 
compatibile con il disposto dell�art. 490 c.p.c. (19). 
3.2. L�interesse ad agire. 
Nel caso in esame vՏ un aspetto ulteriore sul quale soffermarsi, legato 
all�interesse ad agire dei ricorrenti. Nell�ipotesi infatti in cui il TAR adito 
avesse statuito per l�annullamento degli atti gravati, tale decisione, a giudizio 
di chi scrive, non avrebbe potuto fornire alcun giovamento ai ricorrenti, e questo 
proprio in considerazione del fatto che i giudici - sia prima sia dopo la decisione 
- sono sempre rimasti liberi di scegliere il mezzo di stampa pi� 
opportuno sul quale far pubblicare gli avvisi di vendita. 
A ben diverse conclusioni si sarebbe dovuti giungere nel caso in cui la 
IV sezione del Tribunale di Bologna avesse stipulato un contratto, come tale 
vincolante, con Il Corriere della Sera ed. Bologna; in questo senso, sarebbe 
parsa condivisibile (seppure con un�aggiunta, che viene qui evidenziata tra 
parentesi quadre e in carattere corsivo) la conclusione a cui era giunto il Consiglio 
di Stato, per il quale l�assemblea dei giudici del Tribunale di Santa Maria 
Capua Vetere aveva �leso l�interesse [potenziale] di uno fra i quotidiani locali 
pi� diffusi ad ottenere occasioni di guadagno, sostanziate dal libero svolgersi 
del meccanismo di cui all�art. 490 c.p.c.� (20), dovendosi pertanto ritenere 
sussistente l�interesse dei ricorrenti all�annullamento degli atti gravati. 
(17) Tar Lombardia, Brescia, sez. I, sent. n. 1202/2014, punto 18. 
(18) Ibidem, punto 21. 
(19) Come verr� chiarito infra, comunque, l�esito della gara del Tribunale di Santa Maria Capua 
Vetere aveva effetti vincolanti per i giudici dell�esecuzione; di tale effetto vincolante non vՏ menzione 
invece nell�accordo stipulato fra il Tribunale di Bergamo e la societ� editoriale. 
(20) Cons. Stato, sez. IV, sent. n. 4140/2013, punto 3.3.
CONTENZIOSO NAZIONALE 115 
Ancora diverso il caso del Tar Brescia: il Tribunale aveva s� stipulato un 
contratto, ma i giudici delegati alle procedure concorsuali sarebbero comunque 
rimasti �liberi di scegliere se affidare o meno al Gruppo Edicom la gestione 
della pubblicit� delle aste, sulla base delle tariffe proposte�, potendo �quindi 
individuare anche un diverso intermediario� (21). 
3.3. La giurisdizione del giudice ordinario. 
Va da s� che il Tar Bologna, ritenendo non riconducibili gli atti impugnati 
nell�alveo dell�art. 7 del d.lgs. 103/2010, abbia specificato che la controversia 
�rientra nella giurisdizione del giudice ordinario� (22), davanti alla quale la 
causa potr� essere riassunta in applicazione dell�art. 11 del d.lgs. 103/2010 e 
della translatio iudicii. 
Si dubita, tuttavia, alla luce di quanto supra, che il giudice ordinario, investito 
della controversia, possa sostenere l�eventuale responsabilit� del Tribunale 
di Bologna, non essendo dimostrati (n� potendosi dimostrare) in alcun 
modo l�elemento soggettivo (dolo o colpa) in capo all�amministrazione e l�ingiustizia 
del danno subito dalle ricorrenti (23). 
4. Conclusioni. 
La sentenza in commento pare aver valorizzato adeguatamente gli aspetti 
di natura sostanzialmente non amministrativa dell�attivit� (�conoscitiva� (24)) 
svolta dal Tribunale di Bologna. 
Un confronto fra le sentenze citate, ossia le uniche che abbiano finora affrontato 
le problematiche relative alla pubblicazione degli avvisi ex art. 490 
c.p.c., porta complessivamente a ritenere che, se pure pu� essere condivisibile 
l�affermazione per cui �non deve sorprendere� una �nozione ampia di �amministrazioni 
dello Stato�, per la quale anche gli organi giurisdizionali sono 
suscettibili di qualificazione come �amministrazioni aggiudicatrici�� (25), 
aderendo a quanto statuito dal Tar Bologna e implicitamente a quanto aveva 
gi� sostenuto il Consiglio di Stato, il potere attribuito al giudice dall�art. 490 
c.p.c. per la scelta del soggetto a cui affidare la pubblicit� della gara non pu� 
essere in alcun modo compresso o limitato, n� subordinato all�applicazione 
di un non meglio circostanziato �principio di rotazione�, come enunciato dal 
(21) Tar Lombardia, Brescia, sez. I, sent. n. 1202/2014, punto 6. Va specificato che il Tar Brescia 
ha annullato gli atti �con cui � stato condotto il confronto tra i concorrenti� per la �violazione dei principi 
dell�evidenza pubblica� (punto 32). 
(22) Tar Emilia Romagna, Bologna, sez. I, sent. n. 175/2015, punto 3.1. 
(23) Sebbene in materia di responsabilit� civile per attivit� provvedimentale della pubblica amministrazione, 
si vedano Cass. civ., sez. III, sent. n. 13061/2007; Cass. civ., sez. VI-3, sent. n. 4172/2012; 
Cass. civ., sez. III, sent. n. 23170/2014. 
(24) Tar Emilia Romagna, Bologna, sez. I, sent. n. 175/2015, punto 2. 
(25) G. SCIULLO, op. cit.
116 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2015 
Tar Brescia che ha ritenuto sostanzialmente amministrativa non solo l�attivit� 
posta in essere, complessivamente, dai giudici del tribunale, ma anche l�attivit� 
di ciascun singolo giudice nell�ottica della procedura di cui all�art. 490 c.p.c. 
Si deve quindi inevitabilmente giungere alla conclusione - in accordo con 
il Consiglio di Stato e, almeno parzialmente, con la decisione qui in commento 
- per cui in nessun caso, a seguito di gara, un tribunale o i giudici che, nell�ambito 
di esso, si occupano di fallimenti possano stipulare un contratto per 
la pubblicazione degli avvisi di cui all�art. 490 c.p.c.: a tale azione, seppur 
teoricamente non incompatibile con la natura formalmente giurisdizionale di 
una delle parti dell�accordo, sarebbe ostativo lo stesso contenuto dell�art. 490 
c.p.c., che assegna al giudice la pi� ampia discrezionalit� - nel rispetto delle 
indicazioni in esso contenute - nella scelta dell�organo di stampa sul quale 
pubblicare gli avvisi. 
Tribunale Amministrativo Regionale per l�Emilia - Romagna, Sezione Prima, sentenza 
26 febbraio 2015 n. 175 - Pres. Perrelli, Est. Di Benedetto - Societ� Pubblicit� Editoriale 
S.p.A. e Poligrafici Editoraile S.p.A. (avv. C. Orlandi) c. Ministero della giustizia (avv. distr. 
Stato Bologna). 
FATTO e DIRITTO 
1. In data 13 novembre 2013 la quarta sezione civile e fallimentare del Tribunale di Bologna 
si � riunita a norma dell�articolo 47 ter dell�ordinamento giudiziario per esaminare il costo 
della pubblicit� standard delle procedure esecutive al fine di verificare la possibilit� di riduzione 
dei costi, relativi all�esposizione pubblicitaria, ritenuti insostenibili per i creditori procedenti. 
In tale sede � stata disposto di individuare uno standard minimo di esposizione pubblicitaria 
delle procedure esecutive concorsuali, delegando il Presidente a verificare la possibilit� di acquisire 
le migliori offerte degli operatori ad oggi gi� utilizzati dal Tribunale �fermo restando 
la possibilit� per il giudice competente di adeguare la pubblicit� commerciale al caso concreto, 
ricorrendo anche alla stampa di livello nazionale o alla stampa di settore come nell�ipotesi di 
beni di minor valore economico e di interesse specialistico�. 
In esecuzione del mandato ricevuto il Presidente della sezione acquisiva le diverse offerte da 
parte dei quotidiani �La Repubblica�, il �Resto del Carlino� ed il �Corriere della Sera�. 
All�esito di tale indagine di mercato il Presidente con proprio decreto del 29 gennaio 2014 
disponeva di dar corso alla ricezione dell�offerta pervenuta dal Corriere della Sera - ed. Bologna- 
, ossia quella di maggior convenienza, �rimodulando in via consequenziale, con la presente 
testata giornalistica, la pubblicit� cartacea della sezione quarta�. 
In data 22 gennaio 2014 si riuniva nuovamente la quarta sezione civile e fallimentare del tribunale 
di Bologna a norma dell�articolo 47 ter dell�ordinamento giudiziario e dopo ampia discussione 
e avuto riguardo alle esigenze, manifestate dal Foro e dai curatori, di contenimento 
dei costi delle procedure, determinava lo standard minimo di pubblicit� in relazione all�offerta 
pervenuta dalla testata il Corriere della Sera, ed Bologna, �salvo ogni altra forma di pubblicit� 
necessaria per le particolarit� dei beni prodotti in procedura�. 
Le societ� ricorrenti, concessionarie per la pubblicit� esclusiva per la vendita degli spazi pub-
CONTENZIOSO NAZIONALE 117 
blicitari sul quotidiano Il Resto del Carlino, impugnavano davanti al Tar, con il ricorso introduttivo, 
il decreto del Presidente della sezione quarta del Tribunale di Bologna del 29 gennaio 
2014 nonch� l�atto di assenso del 30 gennaio 2014 del Presidente del Tribunale di Bologna, 
deducendone l�illegittimit� e sostenendo la giurisdizione del giudice amministrativo in quanto 
l�attivit� svolta avrebbe esorbitato dalle prerogative direzionali di natura giurisdizionale dei 
singoli magistrati assumendo il carattere dell�attivit� amministrativa dell�evidenza pubblica. 
Con successivi motivi aggiunti impugnatori venivano altres� contestati i due verbali della sezione 
quarta del Tribunale di Bologna del 13 novembre 2013 e del 22 gennaio 2014 riproducendo 
in gran parte i vizi dedotti con il ricorso introduttivo ma evidenziando ulteriori aspetti 
di illegittimit� per quanto concerne la circostanza dell�assunzione collettiva della decisione 
contestata nonch� evidenziando ulteriori aspetti di illegittimit� derivante dalla circostanza 
della minore diffusione della testata indicata in quanto ci� �non pu� che comportare un minor 
numero di partecipanti alle aste per la vendita dei beni oggetto delle procedure esecutive�. 
Si sono costituiti in giudizio l�amministrazione intimata, rappresentata difesa dall�Avvocatura 
dello Stato, e la societ� contro interessata intimata che ha contro dedotto puntualmente alle 
avverse doglianze, eccependo il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo, la tardivit� 
dell�impugnativa e, comunque, l�infondatezza della stessa. 
Le parti hanno sviluppato ampiamente le rispettive difese con ulteriori scritti difensivi e la 
causa � stata trattenuta in decisione all�odierna udienza. 
2. Il ricorso � inammissibile. 
Va, preliminarmente rilevato che nella presente fattispecie non si tratta di una procedura amministrativa 
di evidenza pubblica per la scelta del privato contraente (che determinerebbe, 
comunque, la tardivit� dell�impugnativa rispetto dei termini previsti dall�articolo 120 del 
c.p.a.) in quanto mancano tutte le caratteristiche della gara o della procedura negoziata per la 
scelta del privato contraente e, soprattutto, la stessa non � finalizzata alla stipulazione di un 
contratto vincolante con la pubblica amministrazione (a differenza del caso deciso dal Consiglio 
di Stato con sentenza 4140/2013 con la quale si contestava la procedura di gara indetta 
con la forma di una vera e propria licitazione privata finalizzata alla stipulazione di un contratto 
con l�aggiudicatario). 
Si tratta, invece, di una semplice indagine di mercato il cui esito non ha carattere vincolante 
per i singoli magistrati nelle singole procedure esecutive in quanto, come testualmente chiarito 
dai verbali della seduta della sezione, convocata ai sensi dell�articolo 47 dell�ordinamento 
giudiziario, sia del 13 novembre 2013 che del 22 gennaio 2014, ciascun magistrato con riferimento 
alle singole procedure � libero di utilizzare ogni forma di pubblicit� che ritiene necessaria 
in relazione alla vendita dei beni . 
Del resto tale facolt� di scelta della forma di pubblicit� pi� idonea rientra nelle specifiche 
competenze di ciascun magistrato titolare della procedura esecutiva e discende dall�articolo 
490 del codice di procedura civile senza che detto potere possa essere escluso o limitato dal 
Presidente della sezione o da deliberazioni dei magistrati della sezione stessa. 
Si tratta nel particolare caso in esame, quindi, di un�attivit� conoscitiva e di mero indirizzo 
determinata dalla esigenza di coordinamento dell�attivit� giudiziaria dei magistrati, come 
espressamente consentito dall�articolo 47 dell�ordinamento giudiziario, finalizzata ad acquisire 
informazioni, concernenti i costi offerti per le forme di pubblicit� previste dalla legge per la 
vendita dei beni oggetto delle procedure esecutive, di ausilio per l�attivit� giurisdizionale dei 
singoli magistrati ove essi non ritengano opportuno in relazione a ciascuno dei procedimenti 
loro affidati di utilizzare le diverse forme di pubblicit� ritenute pi� idonee.
118 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2015 
3. In conclusione gli atti in contestazione non riguardano �provvedimenti, atti, accordi o comportamenti 
riconducibili anche mediatamente all�esercizio del potere amministrativo posto in 
essere da una pubblica amministrazione� e, conseguentemente ogni contestazione in proposito 
non � devoluta alla giurisdizione amministrativa ai sensi dell�articolo 7 del c.p.a. 
3.1. Tale controversia, in cui sostanzialmente le parti ricorrenti si lamentano di un asserito 
danno commerciale, costituito dalla temuta riduzione del proprio fatturato nella misura evidenziata 
nel ricorso introduttivo, derivante da un�attivit� (non amministrativa per le ragioni 
sopra esposte) dei giudici della quarta sezione del Tribunale di Bologna, rientra nella giurisdizione 
del giudice ordinario, davanti al quale la causa potr� essere riassunta, fatti salvi gli 
effetti processuali e sostanziali della domanda, entro il termine perentorio di tre mesi dal passaggio 
in giudicato della presente decisione ai sensi dell�articolo 11 del c.p.a. 
4. La particolarit� del caso, la novit� delle questioni dedotte e l�assenza di precedenti giurisprudenziali 
specifici concernenti casi analoghi giustificano l�integrale compensazione tra le 
parti delle spese di causa. 
P.Q.M. 
Il Tribunale Amministrativo Regionale per l�Emilia Romagna (Sezione Prima) 
definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo dichiara inammissibile 
per difetto di giurisdizione del giudice amministrativo. 
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall�autorit� amministrativa. 
Cos� deciso in Bologna nella camera di consiglio del giorno 12 febbraio 2015.
PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 
La difesa in giudizio nei rimedi risarcitori 
(art. 3 CEDU) a favore dei soggetti detenuti 
PARERE 22/12/2014-546529, AL 15330/14, AVV. LEONELLO MARIANI 
Con il decreto-legge 26 giugno 2014, n. 92, convertito con modificazioni 
dalla legge 11 agosto 2014, n. 117 (in Gazzetta Ufficiale del 20 agosto 2014, 
n. 192), recante �Disposizioni urgenti in materia di rimedi risarcitori in favore 
dei detenuti e degli internati che hanno subito trattamenti in violazione dell�articolo 
3 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell�uomo 
e delle libert� fondamentali, nonch� di modifiche al codice di procedura penale 
e alle disposizioni di attuazione, all�ordinamento del Corpo di polizia penitenziaria 
e all�ordinamento penitenziario, anche minorile�, � stata, tra l�altro, modificata 
la legge 26 luglio 1975, n. 354 recante norme sull�ordinamento 
penitenziario e sull�esecuzione delle misure privative e limitative della libert� 
(di seguito, per brevit�, anche O.P.). 
La novella ha introdotto nel corpo della legge n. 354/1975 l�art. 35-ter il 
quale dispone quanto segue: 
Art. 35-ter - Rimedi risarcitori conseguenti alla violazione dell'articolo 
3 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo 
e delle libert� fondamentali nei confronti di soggetti detenuti o internati 
1. Quando il pregiudizio di cui all'articolo 69, comma 6, lett. b), consiste, 
per un periodo di tempo non inferiore ai quindici giorni, in condizioni di detenzione 
tali da violare l'articolo 3 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti 
dell'uomo e delle libert� fondamentali, ratificata ai sensi della legge 4 agosto 
1955, n. 848, come interpretato dalla Corte europea dei diritti dell'uomo, su 
istanza presentata dal detenuto, personalmente ovvero tramite difensore munito 
di procura speciale, il magistrato di sorveglianza dispone, a titolo di risarcimento 
del danno, una riduzione della pena detentiva ancora da espiare pari, nella durata, 
a un giorno per ogni dieci durante il quale il richiedente ha subito il pregiudizio.
120 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2015 
2. Quando il periodo di pena ancora da espiare � tale da non consentire 
la detrazione dell'intera misura percentuale di cui al comma 1, il magistrato 
di sorveglianza liquida altres� al richiedente, in relazione al residuo periodo 
e a titolo di risarcimento del danno, una somma di denaro pari a euro 8,00 
per ciascuna giornata nella quale questi ha subito il pregiudizio. Il magistrato 
di sorveglianza provvede allo stesso modo nel caso in cui il periodo di detenzione 
espiato in condizioni non conformi ai criteri di cui all'articolo 3 della 
Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libert� fondamentali 
sia stato inferiore ai quindici giorni. 
3. Coloro che hanno subito il pregiudizio di cui al comma 1, in stato di 
custodia cautelare in carcere non computabile nella determinazione della pena 
da espiare ovvero coloro che hanno terminato di espiare la pena detentiva in 
carcere possono proporre azione, personalmente ovvero tramite difensore munito 
di procura speciale, di fronte al tribunale del capoluogo del distretto nel 
cui territorio hanno la residenza. L'azione deve essere proposta, a pena di decadenza, 
entro sei mesi dalla cessazione dello stato di detenzione o della custodia 
cautelare in carcere. Il tribunale decide in composizione monocratica 
nelle forme di cui agli articoli 737 e seguenti del codice di procedura civile. 
Il decreto che definisce il procedimento non � soggetto a reclamo. Il risarcimento 
del danno � liquidato nella misura prevista dal comma 2�. 
Con tale norma si completa pertanto il quadro delle misure, preventive e 
compensative, previste dall�ordinamento penitenziario nel caso di inosservanza, 
da parte dell�amministrazione, di disposizioni previste dalla legge sull�ordinamento 
penitenziario (l. n. 354/1975) e dal relativo regolamento (d.P.R. 30 giugno 
2000, n. 230) �dalla quale derivi al detenuto o all�internato un attuale e grave 
pregiudizio all�esercizio dei diritti� (art. 69, comma 6, lett. b) l. n. 354/1975). 
Sul piano sostanziale, nell�ipotesi in cui il pregiudizio all�esercizio dei 
diritti del ristretto sia consistito in un trattamento carcerario disumano o degradante 
- come tale violativo dell�art. 3 della CEDU -, l�art. 35-ter della l. n. 
354/1975 appresta un rimedio di carattere compensativo - che la legge espressamente 
qualifica come risarcitorio (v. la rubrica dell�art. 35-ter O.P.) - il quale 
consente al detenuto o all�ex detenuto di conseguire, mediante la determinazione 
in via forfettaria del danno da disumana o degradante detenzione, il risarcimento, 
a seconda dei casi, alternativamente o cumulativamente, in forma 
specifica - in natura - e/o per equivalente - in forma economico-pecuniaria -, 
del pregiudizio non patrimoniale in concreto subito. 
Pi� precisamente, allorquando la detenzione in condizioni non conformi 
ai criteri europei si sia protratta per un periodo di tempo non inferiore a quindici 
giorni e il periodo di pena ancora da espiare sia di durata tale da consentirlo, 
il risarcimento del danno avviene in forma specifica merc� una riduzione 
della pena detentiva residua in misura pari ad un giorno per ogni dieci giorni 
patiti nelle anzidette condizioni (art. 35-ter, comma 1, O.P.).
PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 121 
Quando la durata della pena detentiva ancora da espiare non sia invece 
tale da consentire integralmente l�anzidetta detrazione o nell�ipotesi in cui la 
detenzione in condizioni difformi dai parametri europei si sia protratta per un 
periodo di tempo inferiore a quindici giorni, il risarcimento del danno residuo 
ha viceversa luogo per equivalente mediante il riconoscimento di una somma 
di denaro pari ad 8,00 euro per ciascun giorno di detenzione subita in quelle 
condizioni (art. 35-ter, comma 2, O.P.). 
Parimenti per equivalente e nella misura dianzi indicata ha luogo il risarcimento 
se il rimedio � azionato da ex detenuti intendendo per tali sia coloro 
che hanno gi� terminato di espiare la pena detentiva in carcere sia coloro che 
hanno subito la detenzione in stato di custodia cautelare in carcere non computabile 
nella determinazione della pena da espiare (art. 35-ter, comma 3, O.P.). 
Sul piano processuale, la competenza giurisdizionale e, di riflesso, il 
rito sono diversamente determinati e disciplinati in funzione e in ragione della 
condizione e dello stato del richiedente e, cio�, a seconda che l�azione risarcitoria 
sia proposta da condannato tuttora ristretto ovvero da soggetto non 
pi� in vinculis. 
Nella prima ipotesi, la cognizione della domanda � riservata alla magistratura 
di sorveglianza e il procedimento si svolge, per effetto del richiamo 
agli artt. 666 e 678 cod. proc. pen. operato dall�art. 35-bis O.P., nelle forme 
del processo di sorveglianza (art. 678 cod. proc. pen.) e, di conseguenza, del 
processo di esecuzione (art. 666 cod. proc. pen., a sua volta richiamato dall�art. 
678 cod. proc. pen.). 
Nel secondo caso, la competenza a conoscere dell�azione - da proporsi, a 
pena di decadenza, nel termine perentorio di sei mesi dalla cessazione dello 
stato di detenzione o della custodia cautelare in carcere - � invece attribuita al 
tribunale civile del capoluogo del distretto di residenza dell�istante: il tribunale 
decide in composizione monocratica e il procedimento si svolge nelle forme 
del rito camerale di cui agli artt. 737 e segg. cod. proc. civ. 
Secondo quanto espressamente previsto dall�art. 35-bis O.P., il procedimento 
di reclamo avanti alla magistratura di sorveglianza si articola in due 
gradi di merito, il primo di fronte al magistrato di sorveglianza (commi 1, 2 e 
3), il secondo avanti al tribunale di sorveglianza (comma 4), e in un grado di 
legittimit� per sola violazione di legge (comma 4-bis). 
Il procedimento di reclamo avanti al tribunale distrettuale civile si articola 
invece in un unico grado di merito - posto che il comma 3 dell�art. 35-ter O.P. 
esplicitamente stabilisce che �il decreto che definisce il procedimento non � 
soggetto a reclamo� -, nonch�, come � da ritenere, malgrado il silenzio della 
norma, ex art. 111, comma 7, Cost., in un grado di legittimit� - sempre e solo 
- per violazione di legge. 
* 
Con circolare del 7 giungo 2014, questa Avvocatura Generale aveva dato
122 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2015 
disposizioni in merito al riparto delle competenze tra gli Istituti penitenziari e 
gli Uffici dell�Avvocatura dello Stato presenti sul territorio quanto alla trattazione 
dei reclami previsti dall�articolo 35-bis O.P. 
Con detta circolare questa Avvocatura generale ha in sintesi osservato: 
1. che, per il primo grado di giudizio, l�assenza di formalit� relative alla 
costituzione in giudizio (non � prevista per esempio la necessit� della costituzione 
mediante il deposito di un fascicolo ovvero l�assistenza obbligatoria da 
parte dell�Avvocatura dello Stato) nonch� l�alternativa tra la �comparizione� 
di un rappresentante dell�amministrazione e �la trasmissione di osservazioni 
e richieste� prevista dal comma 1 dello stesso art. 35-bis, inducono a ritenere 
che il procedimento in esame non preveda la necessaria costituzione in giudizio 
a mezzo dell�Avvocatura dello Stato; sicch�, salvo che per questioni di 
massima di particolare importanza - per le quali pu� essere interessata l'Avvocatura 
dello Stato competente per territorio -, si � concluso che i vari Istituti 
penitenziari possano provvedere direttamente alla difesa in giudizio dinanzi 
al Magistrato di sorveglianza, astenendosi dall�inviare il decreto di fissazione 
dell'udienza presso gli Uffici dell�Avvocatura; 
2. che, in caso di decisione sfavorevole del Magistrato di sorveglianza, 
salvo, ancora una volta, il caso di questioni di massima di particolare importanza, 
anche il reclamo al Tribunale possa essere proposto direttamente 
dalla Amministrazione; ci�, in quanto, in mancanza di una disciplina specifica 
per tale mezzo di impugnazione, deve ritenersi applicabile l�art. 680 cod. proc. 
pen. il quale prevede - comma 3 - che per l'impugnazione dei provvedimenti 
del magistrato di sorveglianza trovino applicazione le disposizioni generali 
sulle impugnazioni le quali, comՏ noto, consentono la proposizione delle impugnazioni 
direttamente da parte dall�interessato o da parte del suo difensore 
(art. 571 cod. proc. pen.); 
3. che resta invece ferma la competenza esclusiva della Avvocatura dello 
Stato in caso di proposizione, ex art. 35-bis, comma 4-bis, O.P., di ricorso per 
cassazione avverso la decisione resa dal tribunale di sorveglianza sul reclamo 
proposto avverso un provvedimento del magistrato di sorveglianza. 
* 
Tanto premesso � a chiedersi se le conclusioni - dianzi sinteticamente 
riassunte - cui si � pervenuti con riferimento al reclamo giurisdizionale disciplinato 
dall�art. 35-bis O.P. possano considerarsi tuttora valide a seguito dell�introduzione 
dell�ulteriore rimedio ora previsto dall�art. 35-ter per il caso di 
detenzione non conforme ai criteri di cui all�art. 3 della Convenzione europea 
per i diritti dell�uomo. 
Riesaminata la questione e salvo a diversamente determinarsi al sopravvenire 
di giurisprudenza di segno contrario, questo Generale ufficio ritiene che, allo 
stato, non sussistano valide ragioni per deflettere dalle conclusioni in precedenza 
attinte, neppure limitatamente al secondo grado del rimedio in questione.
PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 123 
Con riferimento al primo grado del procedimento, nulla � infatti sostanzialmente 
mutato ragion per cui deve senz�altro ribadirsi che la mancata previsione, 
da un lato, di una formale costituzione in giudizio dell�Amministrazione 
convenuta - la quale, a mente dell�art. 35-bis O.P. (sul punto non modificato 
dall�art. 35-ter O.P.), pu� a suo libito alternativamente o congiuntamente comparire 
e/o trasmettere osservazioni e richieste - e, dall�altro, la mancata prescrizione 
di un obbligo di difesa tecnica, inducono a ritenere che il 
procedimento in esame non richieda la necessaria costituzione in giudizio a 
mezzo dell�Avvocatura dello Stato: la quale, peraltro, come chiarito nella circolare 
citata, pu� tuttavia intervenire, su richiesta dell�Amministrazione penitenziaria 
o di sua iniziativa, ogniqualvolta ricorrano questioni di massima 
di particolare importanza che impongano o consiglino la sua diretta partecipazione 
al procedimento. 
Relativamente al secondo grado - rispetto al quale la questione della rappresentanza 
ed assistenza tecnica presenta indubbiamente profili di evidente, 
intuibile, maggiore delicatezza - si ritiene parimenti, e con riserva di successivo 
riesame, di confermare, allo stato, le gi� impartite direttive. 
Fermo restando che il problema si pone solo ed esclusivamente riguardo 
al procedimento rientrante nella competenza giurisdizionale della magistratura 
di sorveglianza - posto che il procedimento di competenza del giudice civile 
si articola in un unico grado di merito -, questa Avvocatura generale rammenta 
che con la circolare in precedenza citata si era espresso l�avviso che, per effetto 
del rinvio alle disposizioni generali sulle impugnazioni operato dall�art. 680, 
comma 3, cod. proc. pen. - il quale disciplina l�impugnazione dei provvedimenti 
del magistrato di sorveglianza relativi alle misure di sicurezza e in tema 
di delinquenza qualificata -, dovesse ritenersi estesa alla materia in esame 
anche la norma di cui all�art. 571 cod. proc. pen. la quale, comՏ noto, consente 
all�imputato di proporre l�impugnazione anche personalmente, senza necessit�, 
quindi, del ministero tecnico di un difensore (comma 1). 
E poich� il complesso normativo di cui agli artt. 35-bis e 35-ter O.P. rinvia 
a sua volta, quanto al procedimento relativo al reclamo, alle disposizioni di 
cui agli art. 666 e 678 cod. proc. pen. e, quindi, relativamente al procedimento 
di appello, alla norma di cui all�art. 680 cod. proc. pen., su tali basi si era perci� 
concluso che analoga facolt� di impugnazione e difesa diretta in fase di reclamo 
competesse all�Amministrazione penitenziaria. 
A tali considerazioni, da ritenersi tuttora valide, pu� qui aggiungersi che 
l�art. 680, comma 1, cod. proc. pen. stabilisce che avverso i provvedimenti del 
magistrato di sorveglianza concernenti le misure di sicurezza �possono proporre 
appello il pubblico ministero, l�interessato e il difensore�. 
La disposizione riconosce dunque una legittimazione autonoma e concorrente 
all�impugnazione sia - personalmente - al destinatario della misura 
di sicurezza o della dichiarazione di abitualit� o professionalit� nel reato o di
124 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2015 
tendenza a delinquere (ovvero, ex art. 666, comma 8, cod. proc. pen., al di loro 
tutore o curatore se infermi di mente) - sia al difensore dei medesimi soggetti, 
legittimazione autonoma e concorrente confermata, quanto al ricorso per cassazione, 
dall�art. 666, comma 6, cod. proc. pen. 
E poich� il termine �interessato�, impiegato dalla disposizione all�esame, 
� di una genericit� e latitudine tale da consentire di ricomprendere in esso non 
soltanto - secondo l�originaria, limitata accezione codicistica - colui al quale 
� stata applicata una misura di sicurezza o gli altri soggetti sopra indicati, ma 
anche - in via di interpretazione evolutiva - ogni altro soggetto, diverso dal 
pubblico ministero, che, come il detenuto reclamante ex artt. 35-bis e 35-ter 
O.P. o come l�Amministrazione penitenziaria reclamata, sia parte necessaria 
del procedimento disciplinato dagli artt. 678 e segg. del codice di rito penale 
per effetto di normative sopravvenute che quel procedimento abbiano successivamente 
esteso ad altre materie, � ragionevole concludere che anche l�Amministrazione 
penitenziaria possa interporre reclamo avverso la decisione del 
magistrato di sorveglianza direttamente e senza necessit� del patrocinio dell�Avvocatura 
dello Stato. 
Peraltro, ove si opinasse diversamente, dovrebbe necessariamente concludersi, 
per il principio di parit� delle parti nel processo e, ancor prima, per 
evidenti ragioni di coerenza logica, che l�obbligo di difesa tecnica nella fase 
di gravame del procedimento di reclamo ex artt. 35-bis e 35-ter O.P. riguarderebbe, 
in pari misura, sia l�Amministrazione penitenziaria convenuta sia il detenuto 
attore. 
* 
N� a diverse conclusioni � suscettibile di indurre il recente arresto di cui 
a Cass., Sez. un., 17 novembre 2014, n. 47239 che, comՏ noto, ha affermato 
il principio di diritto secondo il quale �la mancanza della procura speciale ai 
sensi dell�art. 100 cod. proc. pen. delle parti private diverse dall�imputato al 
difensore non pu� essere sanata, previa concessione di un termine da parte 
del giudice, ai sensi dell�art. 182, comma secondo, cod. proc. civ., ma comporta 
l�inammissibilit� dell�impugnazione�. 
La pronunzia, resa in riferimento a ricorso per cassazione ex art. 325 cod. 
proc. pen. proposto, nell�ambito di un procedimento di prevenzione patrimoniale 
ex l. 31 maggio 1965, n. 575, dal difensore, privo di procura speciale, 
del terzo assoggettato a provvedimento di confisca immobiliare, non pare infatti 
pertinente - riguardando essenzialmente lo jus postulandi del difensore - 
ai fini della soluzione della questione che ne occupa - concernente invece il 
diritto/potere della parte/Amministrazione penitenziaria di proporre l�impugnazione 
personalmente, senza l�assistenza di un patrocinatore -. 
L�art. 325 cod. proc. pen., il quale prevede e disciplina il ricorso per cassazione 
avverso le ordinanze in materia di misure cautelari reali emesse a 
norma degli artt. 322-bis e 324 cod. proc. pen. - disposizione applicabile anche
PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 125 
alle impugnazioni proposte contro provvedimenti che dispongono misure di 
prevenzione patrimoniale -, riconosce infatti il diritto di impugnazione, rispettivamente, 
al pubblico ministero, all�imputato (o al proposto) e al suo difensore 
nonch� alla persona alla quale le cose sono state sequestrate e a quella che 
avrebbe diritto alla loro restituzione. 
Il difensore della persona alla quale le cose sono state sequestrate e di 
quella che avrebbe diritto alla loro restituzione non ha dunque, a differenza 
del difensore dell�imputato (e del proposto), un autonomo e concorrente diritto 
di impugnazione. 
Inoltre, come afferma la Cassazione, questi soggetti processuali sono, al 
pari delle altri parti private diverse dall�imputato - parte civile, responsabile 
civile e persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria -, gravati �dall�onere 
di patrocinio�: con la conseguenza che essi, non solo - come previsto, 
in termini generali, dall�art. 100, comma 1, cod. proc. pen. - debbono necessariamente 
stare in giudizio col ministero di un difensore - il quale, non essendo 
titolare, a differenza del difensore dell�imputato, di un autonomo diritto 
di impugnazione, pu� proporre appello o ricorso per cassazione solo se a ci� 
abilitato, a mezzo di procura speciale, dalla parte rappresentata -, ma, a fortiori, 
non possono neppure, e a differenza, ancora una volta, dall�imputato, proporre 
personalmente l�impugnazione. 
Diversamente, come sՏ detto, l�art. 680, comma 1, cod. proc. pen. riconosce 
una legittimazione autonoma e concorrente all�impugnazione sia agli 
�interessati� - e, quindi, per quanto sՏ detto in precedenza e per quanto qui 
rileva, anche alle parti (necessarie) del procedimento di reclamo ex artt. 35- 
bis e 35-ter O.P. - sia al difensore di questi: di conseguenza, e a differenza 
delle altre parti private, gli �interessati� - e, quindi, anche le parti del procedimento 
di reclamo ex artt. 35-bis e 35-ter O.P., Amministrazione penitenziaria 
compresa - possono proporre gravame, quantomeno di merito, anche 
personalmente, senza necessit� del patrocinio di un difensore tecnico. 
* 
Nulla deve invece ritenersi innovato in relazione al procedimento davanti 
alla Corte di cassazione per il quale resta ferma la competenza esclusiva dell�Avvocatura 
dello Stato. 
* 
Sul presente parere � stato sentito, ai sensi dell�art. 26 della legge 3 aprile 
1979, n. 103, il Comitato consultivo dell�Avvocatura dello Stato il quale si � 
espresso in conformit�.
126 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2015 
Onere di pagamento del contributo unificato 
in caso di soccombenza reciproca nel giudizio 
PARERE 12/02/2015-70211, AL 39157/14, AVV. ALESSANDRO DE STEFANO 
1. Con la nota in riferimento codesta Amministrazione chiede il parere di 
questa Avvocatura sulla imputazione dell�onere di pagamento del contributo 
unificato di cui all�art. 13, comma 6 bis, del d.p.r. n. 115 del 2002 (introdotto 
dall�art. 21, comma 4, d.l. 4 luglio 2006, n. 223, convertito con modificazioni 
dalla l. 4 agosto 2006, n. 248, e pi� volte modificato con leggi successive), 
nell�ipotesi di soccombenza reciproca o parziale nel giudizio. 
2. Sulla questione questa Avvocatura si � gi� espressa con parere del 10 
maggio 2013, prot. 204029, reso su audizione del Comitato Consultivo ed allegato 
in copia. In tale parere si � sostenuto che il contributo deve essere posto 
�a carico della o delle parti soccombenti nei limiti della loro soccombenza�; 
da ci� consegue che, se le parti devono ritenersi soccombenti in parti uguali, 
l�onere del contributo deve essere diviso per met�. 
3. Sul tema si � recentemente pronunciato il Consiglio di Stato con sentenza 
del 3 febbraio 2014, n. 473, secondo cui in sede di ottemperanza al giudicato 
il giudice amministrativo non pu� disporre il rimborso del contributo 
anticipato dalla parte che sia risultata parzialmente vittoriosa, in quanto �il 
contributo in questione � oggetto di una obbligazione ex lege sottratta alla 
potest� del giudice, sia quanto alla possibilit� di disporne la compensazione, 
sia quanto alla determinazione del suo ammontare�. 
4. In senso opposto si � invece pronunciato il Tar Basilicata con sentenza 
del 23 gennaio- 28 febbraio 2013, n. 105, che - richiamando giurisprudenza 
del Consiglio di Stato asseritamente prevalente (Cons. Stato, sentenze nn. 
4596/11 e 1657/11) - ha affermato che �il predetto art. 13, comma 6 bis, DPR 
n. 115/2002 va interpretato nel senso che il rimborso del Contributo Unificato 
va corrisposto al ricorrente ogni volta che questi risulti vittorioso ed � comunque 
dovuto a prescindere indipendentemente da come il Giudice disponga 
in ordine alle spese, essendo lo stesso connesso esclusivamente al verificarsi 
della situazione di fatto rappresentata dall�accoglimento del ricorso�. Da ci� 
consegue che �in caso di accoglimento parziale del ricorso, la parte resistente 
soccombente va condannata [in sede di ottemperanza: n.d.r.] al pagamento 
del Contributo Unificato�. 
5. Le richiamate sentenze del Consiglio di Stato nn. 4596/11 e 1657/11, 
a propria volta, non affrontano in realt� il problema del riparto delle spese in 
caso di soccombenza reciproca o parziale, ma si limitano ad affermare che in 
sede di ottemperanza il giudice amministrativo pu� condannare la parte soccombente 
al pagamento - oltre che delle spese di lite e degli accessori (IVA, 
della CPA, spese generali) - anche del contributo unificato.
PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 127 
6. L�analisi della giurisprudenza citata induce dunque a ritenere che il recupero 
del contributo da parte del soggetto vittorioso (in tutto o in parte) rientra 
tra gli effetti del giudicato ed � soggetto, come tale, alla cognizione del giudice 
amministrativo in sede di ottemperanza. 
7. Nel caso di soccombenza parziale o reciproca, peraltro, sussistono 
orientamenti divergenti: la citata sentenza del Consiglio di Stato n. 473/14 nega 
il diritto al rimborso a favore di colui che abbia anticipato il pagamento del 
contributo, mentre il Tar Basilicata lo ammette in ogni caso in misura intera. 
Entrambe queste pronunce appaiono peraltro alquanto sommarie: la prima si 
limita a rilevare che il diritto al rimborso non pu� discendere dalla mera compensazione 
delle spese, e non esamina �ex professo� la disciplina relativa alla 
rivalsa, che � contenuta nell�art. 13, comma 6 bis 1, del citato d.p.r. n. 115 del 
2006; la seconda non appare adeguatamente motivata, perch� si richiama a 
giurisprudenza prevalente del Consiglio di Stato, che in realt� si limita ad esaminare 
gli aspetti di ordine processuale, e non quelli di carattere sostanziale. 
8. Queste oscillazioni giurisprudenziali hanno indotto questa Avvocatura 
a riesaminare la questione, al fine di verificare la correttezza delle conclusioni 
a suo tempo raggiunte con la consultazione innanzi citata. A seguito di un attento 
esame, si ritiene di dover confermare le conclusioni cui si � pervenuti 
con il precedente parere. 
9. Il citato art. 13, comma 6 bis 1, del d.p.r. n. 115 del 2006, dispone che: 
�L'onere relativo al pagamento dei suddetti contributi � dovuto in ogni caso 
dalla parte soccombente, anche nel caso di compensazione giudiziale delle 
spese e anche se essa non si � costituita in giudizio. Ai fini predetti, la soccombenza 
si determina con il passaggio in giudicato della sentenza�. 
10. Tale norma disciplina dunque i rapporti interni tra le parti inerenti al 
pagamento del contributo, e prevede il diritto di rivalsa del ricorrente o dell�appellante 
nel caso di esito favorevole della lite. La soccombenza nel giudizio 
della parte resistente o dell�appellato origina dunque un rapporto obbligatorio 
di natura civilistica, rimesso alla cognizione del giudice amministrativo in sede 
di ottemperanza e riguardante il recupero del contributo da parte del soggetto 
obbligato al versamento. 
11. In base ad una prima interpretazione, che sembra implicitamente accolta 
dalla citata sentenza del Consiglio di Stato n. 473/14, si potrebbe sostenere 
che la norma abbia inteso affermare che il soggetto obbligato al 
versamento del contributo � tenuto �in ogni caso� a sopportare il relativo 
onere economico, qualora sia risultato in qualche misura �soccombente�. In 
questo modo, si accentua il carattere tributario del contributo, quale onere connesso 
all�accesso alla tutela giurisdizionale, e si limita la rivalsa al solo caso 
in cui tale onere appaia manifestamente iniquo in considerazione dell�esito totalmente 
favorevole della lite. 
12. Ad una pi� attenta analisi, occorre rilevare tuttavia che la norma ha
128 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2015 
inteso favorire �in ogni caso� la rivalsa, anche se sia stata disposta la compensazione 
delle spese e se la parte resistente o appellata non si sia costituita. 
In questa ottica, non si giustifica il diniego del recupero del contributo anticipatamente 
versato nei casi in cui la parte resistente o appellata sia risultata 
soccombente solo in parte. 
13. Il diritto alla rivalsa anche in caso di soccombenza parziale non implica 
tuttavia che il recupero possa avvenire per l�intero. Tale soluzione non 
appare proporzionata, n� appare giustificata dalla lettera della legge (la quale 
stabilisce che il soccombente � sempre tenuto a sostenere l�onere del contributo, 
ma non dice che l�intero onere del contributo � a carico del soccombente 
parziale). 
14. L�inattendibilit� delle due soluzioni estreme impone di ricercare una 
soluzione logica che, nell�apparente silenzio del citato art. 13, comma 6 bis 1, 
del d.p.r. n. 115 del 2006, consenta di realizzare l�equo riparto dell�onere del 
contributo tra tutte le parti del giudizio nel caso di soccombenza parziale o reciproca. 
Questa soluzione appare evidente qualora si consideri che la norma, 
riferendosi formalmente al caso in cui si debba ravvisare un solo soccombente, 
ha inteso in realt� affermare che l�onere del contributo deve essere sostenuto 
da qualunque soccombente; ne consegue che, nel caso di soccombenza reciproca 
esso � dovuto non �dalla parte�, ma �dalle parti soccombenti�. In altri 
termini, la norma �minus dixit quam voluit�, perch� si � riferita al caso della 
soccombenza di una sola parte per affermare una regola valevole anche nel 
caso di soccombenza di pi� parti. 
15. Per quanto riguarda il criterio di riparto applicabile in quest�ultima 
ipotesi, occorre fare riferimento ai principi desumibili dalla rivalsa nelle obbligazioni 
solidali, alla quale la fattispecie in esame � riconducibile. Per tale 
ragione, in applicazione dell�art. 1298 c.c., l�obbligazione si divide in parti 
uguali tra tutti i soccombenti, salva la prova che la soccombenza si sia verificata 
in misura proporzionalmente diversa. In quest�ultimo caso, il riparto dovr� 
avvenire in rapporto alla rispettiva misura di soccombenza, da determinare in 
via equitativa sulla base delle risultanze di causa. 
16. Poich� nel caso di specie si pu� ragionevolmente affermare che la 
soccombenza si sia registrata in uguale misura, e non vi sono comunque elementi 
per stabilire che si sia verificata in misura diversa, si pu� riconoscere il 
diritto della controparte a recuperare il 50% dei contributi versati. 
17. Il presente parere � stato reso dopo l�audizione del Comitato Consultivo 
di questa Avvocatura, che si � espresso in conformit� nella seduta del 6 
febbraio 2015.
PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 129 
L�obbligo di pubblicazione dei dati patrimoniali da parte 
dei componenti degli organi di indirizzo politico delle p.A. 
PARERE 20/02/2015-86746, AL 31876/14, AVV. ANTONIO GRUMETTO 
� richiesto alla Scrivente un parere sui seguenti quesiti: 
�se un consigliere di amministrazione di codesta Amministrazione (*) sia 
tenuto a comunicare i dati di cui all�articolo 14, comma 1, lettera f) del D.lgs 
33/2013� 
�se in caso di risposta affermativa al precedente quesito, il rifiuto di fornire 
tali dati consenta l�applicazione delle sanzioni amministrative di cui al 
predetto D.lgs anche dopo le dimissioni del soggetto obbligato�. 
1. PREMESSA 
Giova preliminarmente osservare che, come precisato - su richiesta della 
Scrivente - da codesta Amministazione nella nota del 9 dicembre 2014, il 
primo quesito sottoposto a questo Organo legale non riguarda l'obbligo di un 
consigliere di amministrazione di comunicare gli altri dati previsti dall'articolo 
14 del D.Lgs n. 33/2013, ma solo l'obbligo, da parte del predetto soggetto, di 
rendere la dichiarazione patrimoniale di cui alla lettera f) della predetta disposizione. 
Sempre nella predetta nota, anche in questo caso su richiesta della Scrivente, 
codesta Amministrazione ha cura di precisare che �gli altri componenti 
del Consiglio di Amministrazione � hanno fornito le dichiarazioni � riferite 
all�anno 2012 �� nonch� �che � al momento � in corso la richiesta ai Consiglieri 
di aggiornamento annuale delle informazioni�. 
Il presente parere, quindi, verr� reso partendo dal dato di fatto, non esaminato 
dalla Scrivente, che il consigliere di amministrazione di codesta Amministrazione 
sia soggetto agli obblighi previsti ai sensi dell'articolo 14 del 
D.Lgs n. 33 del 2013 in quanto "incarico politico, di carattere elettivo o comunque 
di esercizio di poteri di indirizzo politico". 
In altri termini, il parere reso dalla Scrivente � limitato al profilo oggettivo 
della questione, vale a dire: se i presupposti perch� sorga l�obbligo di rendere 
le dichiarazioni di cui all�art. 14 lett. f siano gli stessi previsti per l�obbligo di 
rendere le dichiarazioni di cui agli artt. 2, 3 e 4 della L. n. 441 del 1982. 
2. SUL PRIMO QUESITO 
Cos� delimitato il quesito sottoposto alla Scrivente, si osserva quanto 
segue. 
(*) Termine interposto in sede di pubblicazione al fine di evitare l�identificazione del soggetto pubblico 
al quale il parere � diretto.
130 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2015 
La disposizione dell�art. 14 del D.lgs 33/2013 prevede che: 
Obblighi di pubblicazione concernenti i componenti 
degli organi di indirizzo politico 
1. Con riferimento ai titolari di incarichi politici, di carattere elettivo o 
comunque di esercizio di poteri di indirizzo politico, di livello statale regionale 
e locale, le pubbliche amministrazioni pubblicano con riferimento a tutti i propri 
componenti, i seguenti documenti ed informazioni: 
a) l'atto di nomina o di proclamazione, con l'indicazione della durata dell'incarico 
o del mandato elettivo; 
b) il curriculum; 
c) i compensi di qualsiasi natura connessi all'assunzione della carica; 
gli importi di viaggi di servizio e missioni pagati con fondi pubblici; 
d) i dati relativi all'assunzione di altre cariche, presso enti pubblici o privati, 
ed i relativi compensi a qualsiasi titolo corrisposti; 
e) gli altri eventuali incarichi con oneri a carico della finanza pubblica 
e l'indicazione dei compensi spettanti; 
f) le dichiarazioni di cui all'articolo 2, della legge 5 luglio 1982, n. 441, 
nonch� le attestazioni e dichiarazioni di cui agli articoli 3 e 4 della medesima 
legge, come modificata dal presente decreto, limitatamente al soggetto, al coniuge 
non separato e ai parenti entro il secondo grado, ove gli stessi vi consentano. 
Viene in ogni caso data evidenza al mancato consenso. Alle informazioni 
di cui alla presente lettera concernenti soggetti diversi dal titolare dell'organo 
di indirizzo politico non si applicano le disposizioni di cui all'articolo 7. 
2. Le pubbliche amministrazioni pubblicano i dati cui al comma 1 entro 
tre mesi dalla elezione o dalla nomina e per i tre anni successivi dalla cessazione 
del mandato o dell'incarico dei soggetti, salve le informazioni concernenti 
la situazione patrimoniale e, ove consentita, la dichiarazione del coniuge 
non separato e dei parenti entro il secondo grado, che vengono pubblicate 
fino alla cessazione dell'incarico o del mandato. Decorso il termine di pubblicazione 
ai sensi del presente comma le informazioni e i dati concernenti la 
situazione patrimoniale non vengono trasferiti nelle sezioni di archivio. 
Ritiene la Scrivente che, al fine di determinare l�ambito di applicazione 
dell�obbligo di pubblicazione dei dati di cui all�articolo 14 lett. f), non si debba 
far riferimento all�ambito di applicazione della legge n. 441 del 1982, bens� 
alla sedes materiae in cui tale obbligo di pubblicazione � inserito. 
L�articolo 14, infatti, individua l�ambito dell�obbligo di pubblicazione da 
esso disciplinato attraverso il riferimento, contenuto nel comma 1 del medesimo 
articolo, ai documenti e alle informazioni relative ai �titolari di incarichi 
politici di carattere elettivo o comunque di esercizio di poteri di indirizzo politico 
di livello statale regionale e locale�. 
� con riferimento a tale delimitazione soggettiva, contenuta nel comma
PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 131 
1 dell�articolo 14, che deve essere determinato l�ambito di applicazione dell�obbligo 
di pubblicazione di documenti e informazioni disciplinato dalla medesima 
disposizione. 
Ritenere diversamente - e cio� sostenere che ai fini della pubblicazione 
dei documenti delle informazioni di cui alla lettera f) dell�art. 14 debba farsi 
riferimento all�ambito di applicazione della legge n. 441 del 1982 ivi richiamata 
- significherebbe far dipendere l�applicazione di una disposizione del D.lgs n. 
33 del 2013 da disposizioni contenute in un diverso contesto normativo. 
A ci� si aggiunga che il richiamo contenuto nell�articolo 2 della legge 5 
luglio 1982 n. 441 non pu� essere inteso come un integrale rinvio ad una disposizione 
applicabile anche ai fini del D.lgs n. 33 del 2013 e ci� in quanto: 
1. solo la lettera f) dell�articolo 14 prevede che venga data evidenza al 
mancato consenso alla pubblicazione delle dichiarazioni di cui all�articolo 2 
della legge n. 441 del 1982 che riguardino il coniuge non separato e ai parenti 
entro il 2� grado, laddove la disposizione da ultimo richiamata nulla prevede 
a tale proposito; 
2. solo per la mancata comunicazione dei documenti e delle informazioni 
di cui all�articolo 14 � prevista la possibilit� di applicare una sanzione amministrativa 
pecuniaria da � 500 a 10.000 a carico del responsabile della mancata 
comunicazione, laddove non � prevista alcuna sanzione amministrativa per le 
dichiarazioni di cui all�articolo 2 della legge 5 luglio 1982 n. 441. 
La differenza di disciplina fra le 2 disposizioni in esame, quindi, rende 
ragione dell�interpretazione proposta, secondo cui la f) dell�articolo 14 non � 
meramente riproduttiva della disposizione di cui all�articolo 2 della legge n. 
441 del 1982. 
3. SUL SECONDO QUESITO 
Quanto al secondo quesito sottoposto, la Scrivente ritiene che la cessazione 
dall�incarico per dimissioni non faccia venire meno il potere di applicare 
la sanzione amministrativa prevista dall�articolo 47 del D.lgs n. 33 del 2013, 
per l�ipotesi di mancata incompleta comunicazione dell�informazione dei dati 
di cui all�articolo 14 concernenti la situazione patrimoniale complessiva del 
titolare dell�incarico al momento dell�assunzione in carica. 
Nel sistema del D.lgs n. 33 del 2013, infatti, la cessazione dell�incarico 
rileva solo ai fini dell�eventuale rimozione della pubblicazione dei dati e delle 
informazioni per i quali � obbligatoria la pubblicazione. Il comma 2 dell�articolo 
14, infatti, prevede che alla cessazione dell�incarico o del mandato venga 
meno l�obbligo di continuare a dare pubblicit� alle informazioni concernenti 
la situazione patrimoniale e, ove consentito, alla dichiarazione del coniuge 
non separato e dei parenti entro il 2� grado; ma ci� non implica che la cessazione 
dell�incarico o del mandato costituisca una causa di decadenza dal potere 
di irrogare la sanzione amministrativa prevista per l�inadempimento dell�ob-
132 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2015 
bligo di comunicare le informazioni e dati di cui all�articolo 14. 
Giova a questo proposito quanto previsto dal 3� comma dell�articolo 47 
del D.lgs n. 33 del 2013: quest�ultimo, infatti, prevedendo che le sanzioni di 
cui ai commi 1 e 2 sono irrogate dall�autorit� amministrativa competente in 
base a quanto previsto dalla legge 24 novembre 1981 n. 689, comporta che 
per le cause di estinzione del potere di applicare la sanzione debba aversi riguardo 
al sistema previsto in generale per le sanzioni amministrative dalla 
legge n. 689 del 1981, con ci� escludendosi, pertanto, la possibilit� di individuare 
cause di estinzione della potest� sanzionatoria diverse da quelle previste 
in via generale da quest�ultima legge.
* 
Giova da ultimo segnalare che, con deliberazione del 21 gennaio 2015 n. 
10, l�ANAC, dopo aver ricostruito l'evoluzione normativa relativa alla disciplina 
in materia di anticorruzione, in special modo con riguardo alle modifiche 
introdotte dal decreto-legge 90/14, ha ritenuto che "poich� il sistema della trasparenza 
che discende dalla legge 190/2012, dal D.Lgs 33/2013 e dal decretolegge 
90/2014 rientra nell'ambito della competenza statale, anche la disciplina 
sanzionatoria come delineata nell'articolo 47, comma 3, si ritiene debba essere 
sottratta da altre fonti normative ed interpretata ed applicata coerentemente"; 
alla luce di tale premessa l�ANAC ha ritenuto, con la citata 
deliberazione, ancora che tale Autorit� � ... � il soggetto competente ad avviare 
il procedimento sanzionatorio per le violazioni di cui all'articolo 47, co. 1 e 
2, del D.Lgs 33/2013, provvedendo all'accertamento, alle contestazioni e alle 
notificazioni ai sensi degli articoli 13 e 14 della legge 689/1981 ai fini del pagamento 
in misura ridotta �� e che � qualora non sia stato effettuato ad 
ANAC il pagamento in misura ridotta, il Presidente dell'Autorit�, �, ne d� 
comunicazione con un apposito rapporto ai sensi dell'articolo 17, co. 1, della 
legge 689/1981, al prefetto del luogo ove ha sede l'ente in cui sono state riscontrate 
le violazioni per l'irrogazione della sanzione definitiva�. 
La citata delibera si conclude affermando che la disciplina ora riassunta 
si applica qualora, alla data di pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale della delibera 
stessa, il procedimento sia stato avviato ma la fase istruttoria non sia 
stata ancora conclusa con la trasmissione degli atti all'ufficio cui spetta l'irrogazione 
della sanzione. 
Pertanto vorr� codesta Amministrazione tener conto di tali indicazioni 
nel successivo svolgimento del procedimento applicativo della sanzione. 
Nei sensi detti � il parere della Scrivente sul quale � stato sentito il Comitato 
consultivo il quale si � espresso in conformit�.
PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 133 
Applicabilit� di misure di salvaguardia di assetto idrogeologico in 
mancanza di approvazione di una generale attivit� di pianificazione 
PARERE 24/02/2015-93026, AL 40843/14, AVV. ALESSANDRO DE STEFANO 
1. Con la nota in riferimento codesta Amministrazione chiede il parere di 
questa Avvocatura sulla legittimit� del provvedimento adottato dal Comitato 
Istituzionale dell�Autorit� di bacino dei fiumi Liri-Garigliano e Volturno nella 
seduta del 3 luglio 2014, con il quale sono state approvate misure di salvaguardia 
per le aree individuate a pi� elevata pericolosit� e rischio idraulico 
(non ancora perimetrate nei Piani di Assetto Idrogeologico vigenti e non ancora 
soggette ad alcuna specifica regolamentazione), ai sensi dell�art. 65, 
comma 7, del d.lgs. n. 152 del 2006, che riproduce l�art. 17, comma 6 bis, 
della l. n. 183 del 1989. 
2. A tal proposito, codesta Amministrazione osserva che le misure di salvaguardia 
rappresentano misure di carattere provvisorio �da osservare in difetto 
della approvazione di una specifica disposizione di piano, allo scopo di 
consentire che gli effetti di quest�ultimo possano essere garantiti fino al momento 
in cui il provvedimento potr� esplicare in pieno la sua efficacia�, e 
che �in materia di territorio e di acque, le misure di salvaguardia si caratterizzano 
per l�estrema genericit� del loro oggetto e per il fatto di non essere 
necessariamente collegate alla previa adozione di un piano di bacino, o di 
un suo stralcio�. 
3. Tuttavia, codesta Amministrazione rileva che alcune recenti pronunce 
giurisprudenziali hanno escluso che il potere di adottare misure di salvaguardia 
possa essere esercitato indipendentemente dall�avvenuta adozione del 
piano da parte dell�organo deliberante, e che con recente nota del 20 agosto 
2014, n. 345203, diretta all�Autorit� di bacino del fiume Tevere, questa Avvocatura 
ha sostenuto che non sia opportuno adottare misure di tal genere in 
pendenza dell�espletamento della procedura di valutazione ambientale strategica; 
chiede quindi un definitivo parere sulla potest� delle Autorit� di Bacino 
di adottare simili misure e sulle iniziative da adottare a seguito della 
citata deliberazione del Comitato Istituzionale dell�Autorit� di bacino dei 
fiumi Liri-Garigliano e Volturno. 
4. Questa Avvocatura osserva che le misure di salvaguardia sono previste 
da varie norme di natura urbanistica ed ambientale (cfr., tra le altre, art. 3, l. 
n. 765 del 1967, in materia urbanistica; art. 6 della l. n. 394 del 1991, relativo 
alla tutela delle aree protette; art. 17, comma 6 bis, della l. n. 183 del 1989 ed 
art. 65, comma 7, della l. n. 152 del 2006, in tema di acque pubbliche) come 
strumenti di natura transitoria e con finalit� cautelari, prive di carattere conformativo, 
dirette ad evitare che i previsti effetti di un�attivit� di pianificazione 
in corso di svolgimento possano essere vanificati mediante interventi che con-
134 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2015 
trastino con i suoi obiettivi e che siano favoriti (o non impediti) dalla persistente 
mancanza di divieti e vincoli. 
5. Tenuto conto della strumentalit� delle misure di salvaguardia rispetto 
ai definitivi effetti che potranno derivare dalla imposizione di vincoli conformativi 
del territorio, la giurisprudenza della S. Corte ha costantemente affermato 
che la loro adozione � consentita solo quando sia stata gi� compiuta 
e resa nota un�attivit� di pianificazione, che sia tuttavia ancora in corso di 
approvazione. 
6. In materia urbanistica si � affermato che �le misure di salvaguardia� 
non hanno natura conformativa, trattandosi di misure transitorie con finalit� 
meramente cautelari e di salvaguardia� [e si riferiscono] a PRG adottato 
ma non ancora approvato� (Cass., 17 dicembre 2003, n. 19314. In senso conforme: 
Cass., 26 maggio 2004, n. 10126). Analogamente, si � precisato che le 
predette misure hanno lo scopo di �impedire che� con l�emissione di provvedimenti 
incompatibili con il piano in fase di approvazione, possa esserne pregiudicata 
la concreta attuazione� (Cass., n. 17681 del 2010); con la 
conseguenza che, qualora manchi l�adozione di un piano regolatore, �non possono 
essere adottate le misure di salvaguardia, in quanto non si ha una situazione 
di pendenza della fase di approvazione� (Cass., n. 6171 del 2007). 
7. Analoghi principi sono stati costantemente affermati con specifico riferimento 
alle misure di salvaguardia adottate a protezione del territorio dal 
rischio idrogeologico. Secondo la sentenza resa dalle SS.UU. della Corte di 
Cassazione il 16 marzo 2004 con il n. 5318, �Le misure di salvaguardia di 
competenza dell'Autorit� di bacino, ai sensi dell'art. 17, comma sesto - bis, 
Legge n. 183 del 1989, configurano un'anticipazione dell'operativit� di determinazioni 
gi� prese e di contenuto noto o conoscibile e sono rivolte ad 
evitare che i tempi occorrenti per il completamento dell'iter procedimentale, 
a sua volta necessario per l'efficacia di quelle determinazioni, possano vanificare 
gli obbiettivi perseguiti, consentendo (o addirittura stimolando) comportamenti 
divergenti dal tenore dell'atto in corso di approvazione. Esse, 
pertanto, presuppongono l'adozione di un piano di bacino in attesa di approvazione 
che, ove mancasse, porrebbe di fronte ad un'anomala ed inammissibile 
funzione di supplenza indirizzate ad ovviare all'inerzia degli organi 
competenti nel promuovere e concludere le fasi procedimentali della sua predisposizione 
e adozione�. 
8. In senso analogo si � affermato che: �In tema di acque pubbliche, il 
potere dell'Autorit� di bacino di prendere misure di salvaguardia, ai sensi dell'art. 
17, comma 6 bis, della legge 18 maggio 1989, n. 183, presuppone l'adozione 
di un piano di bacino in attesa di approvazione e, pertanto, quando tale 
piano non sia stato ancora adottato, esso difetta del tutto. La salvaguardia, 
difatti, riguarda le scelte effettuate con il piano di bacino, non le finalit� a tutela 
delle quali il piano medesimo deve essere predisposto ed adottato, per
PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 135 
cui essa trova i suoi limiti - genetici, funzionali e cronologici - nell'alveo progettuale 
cui deve raccordarsi. Diversamente, si attribuirebbe all'Autorit� di 
bacino un'anomala funzione di supplenza, per ovviare all'inerzia degli organi 
competenti nel promuovere e concludere le fasi procedimentali della predisposizione 
e dell'adozione del piano, e si eluderebbero modalit� indispensabili 
per la coordinata difesa di tutti gli interessi coinvolti, pubblici e privati� 
(Cass., 23 maggio 2006, n. 12084). 
9. La stretta connessione ed il rapporto di strumentalit� tra le misure di 
salvaguardia ed il piano di bacino si evincono d�altronde dal criterio sistematico 
di interpretazione. Sia l�art. 17, comma 6 bis, della l. n. 183 del 1989, sia 
l�art. 65, comma 7, del d.lgs. n. 152 del 2006 (nel quale la norma originaria � 
stata trasfusa), collocano la disciplina delle misure di salvaguardia all�interno 
di quella riguardante la formazione dei piani di bacino, cos� evidenziando l�intima 
relazione tra i due istituti. 
10. Per queste ragioni, si deve escludere la possibilit� di adottare misure 
di salvaguardia - come sembra avvenuto nel caso dell�Autorit� di bacino dei 
fiumi Liri-Garigliano e Volturno qui segnalato - in funzione meramente anticipatoria 
di un�attivit� di pianificazione non ancora avviata ed allo scopo di 
supplire alla mancanza di una adeguata regolamentazione del territorio. N� 
sembra possibile sostenere che l�adozione di simili misure possa essere legittimata 
dalla sola individuazione delle 4 classi di rischio di cui al D.P.C.M. del 
29 settembre 1998. Infatti, sebbene le mappe di rischio costituiscano lo strumento 
principale per orientare gli obiettivi del piano di gestione del rischio 
alluvioni, non si pu� affermare che la loro approvazione equivalga all�elaborazione 
di un piano, del quale devono essere ancora precisati e pubblicizzati i 
contenuti ed al quale i provvedimenti di salvaguardia devono fare necessario 
riferimento in funzione anticipatoria. 
11. Occorre a tal punto identificare il momento in cui il piano pu� ritenersi 
�adottato�, secondo i principi enunciati dalla giurisprudenza della S. Corte, 
ed in cui si possano ritenere integrate le condizioni per applicare le opportune 
�misure di salvaguardia�, allo scopo di conservare lo �status quo ante� e di 
evitare irreversibili e pregiudizievoli trasformazioni del territorio, capaci di 
compromettere gli obiettivi dell�intervento nelle more della sua definitiva approvazione. 
A tal fine, appare necessario considerare l�attuale disciplina del 
procedimento finalizzato all�approvazione dei piani di bacino, approfondendo 
e rimeditando le indicazioni (di carattere prevalentemente operativo) che sono 
state fornite all�Autorit� del fiume Tevere con la consultazione precedentemente 
richiamata. 
12. Questa analisi si rivela alquanto complessa e disagevole, per la difficolt� 
di ricostruire le fasi del procedimento secondo l�attuale Codice dell�Ambiente. 
Nell�ambito dello stesso d.lgs. n. 152 del 2006, si ravvisa infatti un 
concorso di norme apparentemente concorrenti o contrastanti tra loro, che oc-
136 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2015 
corre perci� armonizzare tra loro attraverso la attenta ricostruzione dell�evoluzione 
normativa e previa verifica della loro effettiva vigenza. 
13. Occorre considerare che le disposizioni sull�approvazione dei Piani 
di bacino sono contenute nella Terza Parte, Titolo II, Capo II, del citato Codice 
dell�Ambiente (artt. 65 e ss. del d.lgs. n. 152 del 2006), e recepiscono le norme 
gi� contenute nel Titolo II, Capo II, della citata legge n. 183 del 1989. In sintesi, 
esse affidano all�Autorit� di bacino il compito di redigere il piano (art. 
65, comma 2) e di adottare le correlate misure di salvaguardia (art. 65, comma 
7), sulla base degli indirizzi, dei metodi e dei criteri fissati dalla Conferenza 
Istituzionale permanente (art. 65, comma 3) e con la partecipazione dei tutti i 
soggetti interessati (art. 66, comma 7). A conclusione dell�istruttoria, il piano 
deve essere �adottato� dalla Conferenza Istituzionale permanente (art. 66, 
comma 2), ed �approvato� con d.p.c.m. (art. 66, comma 6). 
14. L�art. 66, comma 1, del d.lgs. in esame, prevede che nell�ambito di 
questo procedimento si inserisce, prima dell�approvazione, la valutazione 
ambientale strategica statale (V.A.S.). Inizialmente, questa disposizione si 
coordinava coerentemente con quelle dell�originario testo della Seconda Parte 
del Codice, che configurava la V.A.S. statale come un sub-procedimento, di 
competenza del Ministero dell�Ambiente, che si inseriva tra la fase dell�adozione 
e quella dell�approvazione del piano e si esauriva nella formulazione 
di un parere in merito al piano, gi� debitamente redatto ed adottato (o comunque 
proposto) dall�Autorit� di bacino nelle forme che si sono brevemente delineate 
al punto precedente (cfr. artt. 15 e ss. del d.lgs. n. 152 del 2006, nel 
testo originario). 
15. L� originario testo degli artt. 65 del d.lgs. n. 152 del 2006 � rimasto 
sostanzialmente inalterato; il Titolo II della Seconda Parte del Codice (che 
contiene, tra l�altro, la disciplina della V.A.S.) � stato invece interamente sostituito 
dall�art. 1, comma 3, del d.lgs. 16 gennaio 2008, n. 4. 
16. La novella legislativa ha profondamente modificato la struttura e la 
funzione della V.A.S.: mentre in precedenza essa costituiva un sub-procedimento 
�integrato nelle procedure ordinarie in vigore per l�adozione ed approvazione 
dei piani�, e perci� finalizzato alla verifica ambientale di un piano 
gi� compiutamente redatto e proposto o adottato dall�Amministrazione competente, 
dopo la riforma essa si � trasformata nella sede privilegiata per la redazione 
del piano, attraverso la partecipazione ed il confronto tra tutti i 
soggetti interessati e la valutazione integrata di tutti gli elementi che devono 
essere presi in considerazione per assicurare la tutela ambientale ed uno sviluppo 
sostenibile. 
17. Nel nuovo contesto, le norme della Parte Terza, Titolo II, Capo II, del 
Codice dell�Ambiente, recanti la disciplina del procedimento di approvazione 
del piano di bacino, pur essendo rimaste formalmente invariate, hanno subito 
una inevitabile ed implicita modificazione. Infatti, esse devono essere oggi in-
PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 137 
terpretate in correlazione non pi� alla vecchia V.A.S., alla quale fanno sostanziale 
riferimento, ma in combinazione con la nuova V.A.S., che - come detto 
- disciplina in modo totalmente diverso le modalit� di formazione del piano. 
Mentre la vecchia V.A.S. era �integrata nelle procedure ordinarie�, la nuova 
V.A.S. �costituisce � parte integrante del procedimento di adozione ed approvazione� 
del piano o programma (art. 11, u.c., d.lgs. cit., nel testo attuale). 
Da ci� consegue che le norme contenute negli artt. 65 e ss. del Codice devono 
ritenersi implicitamente modificate o abrogate, allorch� si pongano in contrasto 
con le disposizioni del Titolo II della Seconda Parte, cos� come sostituito 
dall�art. 1, comma 3, del d.lgs. 16 gennaio 2008, n. 4. 
18. Ci� premesso in via generale, si osserva che nel contesto normativo 
istituito dalla riforma del 2008, l�art. 66, comma 1, del Codice, che sottopone 
a valutazione ambientale strategica (V.A.S.) i piani di bacino, deve essere correlato 
con l�attuale testo dell�art. 6, comma 2, lett. a, dello stesso Codice, secondo 
cui sono sottoposti a tale valutazione �i piani e i programmi� che sono 
elaborati per la valutazione e gestione� delle acque�, allo scopo di �garantire 
un elevato livello di protezione dell'ambiente e contribuire all'integrazione 
di considerazioni ambientali all'atto dell'elaborazione, dell'adozione e approvazione 
di detti piani e programmi assicurando che siano coerenti e contribuiscano 
alle condizioni per uno sviluppo sostenibile� (art. 4, comma 4, lett. 
a, d.lgs. n. 152 del 2006). 
19. La V.A.S. � avviata dall�autorit� procedente �contestualmente al processo 
di formazione del piano o programma� (art. 11, comma 1, d.lgs. cit.), 
�sulla base di un rapporto preliminare sui possibili impatti ambientali significativi 
dell'attuazione del piano o programma� (art. 13, comma 1, d.lgs. cit.). 
Come si � gi� rilevato, essa �costituisce � parte integrante del procedimento 
di adozione ed approvazione� del piano (art. 11, u.c., d.lgs. cit.); essa �comprende� 
l�elaborazione del rapporto ambientale� (art. 11, comma 1, lett. b, 
cit.), in base ad una attivit� di collaborazione tra l�autorit� procedente e quella 
competente ad esprimere la valutazione ambientale strategica (art. 11, comma 
2, lett. b, d.lgs. cit.), secondo le disposizioni contenute nel predetto art. 13. 
20. L�elaborazione del rapporto ambientale conduce alla formulazione di 
una �proposta di piano o di programma�, che ҏ comunicata� all'autorit� 
competente� e che, per quanto prescritto dall�art. 14, commi 2 e 3, del d.lgs. 
in esame, � messa a disposizione, unitamente al rapporto ambientale, �dei soggetti 
competenti in materia ambientale e del pubblico interessato affinch� questi 
abbiano l'opportunit� di esprimersi� (art. 13, comma 5, d.lgs. cit.). 
21. Ai sensi dell�art. 14, comma 1, del d.lgs. n. 152 del 2006, nel testo vigente, 
�contestualmente alla comunicazione di cui all'articolo 13, comma 5, 
l'autorit� procedente cura la pubblicazione di un avviso nella Gazzetta Ufficiale 
della Repubblica italiana o nel Bollettino Ufficiale della regione o provincia 
autonoma interessata�, contenente �il titolo della proposta di piano o
138 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2015 
di programma, il proponente, l'autorit� procedente, l'indicazione delle sedi 
ove pu� essere presa visione del piano o programma e del rapporto ambientale 
e delle sedi dove si pu� consultare la sintesi non tecnica�. Dalla data di pubblicazione 
di tale avviso �decorrono i tempi dell'esame istruttorio e della valutazione� 
(art. 13, comma 5, cit.). Il rapporto ambientale �costituisce parte 
integrante del piano o del programma e ne accompagna l'intero processo di 
elaborazione ed approvazione� (art. 13, comma 3, d.lgs. cit.). 
22. Alla redazione del piano ambientale segue la fase di valutazione, che 
si svolge �anteriormente all'approvazione del piano o del programma� e 
comunque durante la fase di predisposizione dello stesso�, al fine di �garantire 
che gli impatti significativi sull'ambiente derivanti dall'attuazione di 
detti piani e programmi siano presi in considerazione durante la loro elaborazione 
e prima della loro approvazione� (art. 11, comma 3, d.lgs. cit.). La 
valutazione viene espressa, a seguito di consultazioni aperte alla partecipazione 
di tutti i soggetti interessati (art. 14 del d.lgs. in esame) e di apposite 
�attivit� tecnico-istruttorie�, attraverso un �parere motivato� dell�autorit� 
competente (art. 15, comma 1, d.lgs. cit.), che costituisce �un provvedimento 
obbligatorio e vincolante che sostituisce o coordina, tutte le autorizzazioni, 
le intese, le concessioni, le licenze, i pareri, i nulla osta e gli assensi comunque 
denominati in materia ambientale e di patrimonio culturale� (art. 5, 
comma 1, lett. o, del d.lgs. in esame). Sulla base di tale parere e tenuto conto 
dell�esito delle consultazioni, �l'autorit� procedente, in collaborazione con 
l'autorit� competente, provvede, prima della presentazione del piano o programma 
per l'approvazione �, alle opportune revisioni del piano o programma� 
(art. 15, comma 2, d.lgs. cit.). 
23. Ai sensi dell�art. 16 del d.lgs. in esame, il piano o programma cos� 
elaborato � trasmesso infine �all�organo competente alla adozione o approvazione�, 
unitamente al rapporto ambientale ed al parere motivato ed alla documentazione 
acquisita nell'ambito della consultazione. 
24. Dall�analisi normativa che precede si evince che la formazione del 
piano costituisce il frutto di un complesso iter procedurale, che � avviato contestualmente 
al procedimento V.A.S., si sviluppa all�interno di essa e si articola 
nelle seguenti fasi: 
� Redazione del �rapporto preliminare� da parte dell�Autorit� procedente; 
� Elaborazione del �rapporto ambientale� (che costituisce parte integrante 
del piano e ne accompagna l'intero processo di elaborazione ed approvazione), 
attraverso un�attivit� di collaborazione tra l�autorit� procedente e 
quella competente per la V.A.S.; 
� Elaborazione di una �proposta di piano�, da mettere a disposizione di 
tutti i soggetti interessati alla partecipazione al procedimento di V.A.S.; 
� �Elaborazione� o �predisposizione� del piano, che � contestuale allo
PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 139 
svolgimento della attivit� di valutazione che si realizza attraverso opportune 
consultazioni, sulla base delle necessarie indagini tecniche e di appositi atti 
istruttori; 
� Formulazione di un �parere motivato� da parte della autorit� competente 
ad esprimere la V.A.S.; 
� Revisione del piano; 
� �Adozione� o �approvazione� del piano da parte dell�Autorit� procedente. 
25. Nell�ambito di questo nuovo procedimento, occorre dunque identificare 
il momento in cui � possibile adottare le misure di salvaguardia, nel rispetto 
dei principi enunciati dalla giurisprudenza della S. Corte di Cassazione. 
26. Ad avviso di questa Avvocatura, questo momento si identifica con 
quello in cui sia stata formulata la �proposta di piano� da sottoporre a consultazione. 
Infatti, questo documento (a differenza di quelli redatti nelle fasi 
antecedenti) appare in grado di soddisfare i requisiti sostanziali individuati 
dalle SS.UU. della Cassazione con la sentenza n. 5318 del 2004 e ribaditi dalla 
S. Corte con la sentenza n. 12084 del 2006 e con le altre analoghe. Si tratta 
infatti di un documento sufficientemente preciso e dettagliato, che � idoneo 
ad individuare gli obiettivi prefissati, risponde a criteri di pubblicit� e di trasparenza, 
e fornisce una base sufficientemente affidabile per la elaborazione 
del progetto definitivo. Per tali ragioni, esso rappresenta un valido parametro 
per definire le misure che sono richieste in funzione preventiva e transitoria, 
secondo i citati indirizzi della giurisprudenza di legittimit�. 
27. Non appare ostativa la circostanza che gli obiettivi prefissati potrebbero 
essere modificati nella fase di elaborazione o di revisione del piano, perch� 
questa possibilit� rappresenta un fatto naturale per qualsiasi piano che 
sia stato gi� predisposto, ma non abbia ancora ricevuto la sua approvazione 
definitiva. La circostanza che il piano proposto sia suscettibile di rielaborazione 
nell�ambito delle consultazioni, pu� comportare piuttosto che le misure 
di salvaguardia adottate inizialmente possono essere progressivamente modificate 
ed opportunamente adattate nel corso del procedimento in modo da 
armonizzarsi con gli sviluppi dell�attivit� di pianificazione, sempre nel rispetto 
del termine triennale di efficacia stabilito dall�art. 65, comma 7, d.lgs. 
n. 152 del 2006. 
28. Con riferimento al caso specifico, si ritiene che non si possa ritenere 
legittimo il provvedimento adottato dal Comitato istituzionale dell�Autorit� 
di bacino dei fiumi Liri-Garigliano e Volturno nella seduta del 3 luglio 2014, 
in mancanza di qualunque strumento urbanistico e sulla sola base delle mappe 
della pericolosit� e del rischio alluvioni gi� approvate ai sensi della Direttiva 
2007/60/CE e del d.lgs. n. 49 del 2010. In via di astratto diritto, infatti, la citata 
delibera non avrebbe potuto essere adottata prima dell�avvio del procedimento 
finalizzato all�approvazione del piano di gestione del rischio alluvioni previsto
140 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2015 
dall�art. 4, comma 1, del d.lgs. n. 219 del 2010, nonch� della formazione e 
della pubblicazione di una proposta di piano nell�ambito della procedura 
V.A.S. da attivare contestualmente. 
29. Occorre tuttavia considerare che non si ravvisano le condizioni per 
ricorrere all�annullamento d�ufficio del provvedimento adottato, ai sensi dell�art. 
21 novies della l. 7 agosto 1990, e s.m.i., per insussistenza di ragioni di 
interesse pubblico che possano giustificare una simile determinazione. Viceversa, 
un eventuale provvedimento di autotutela contrasterebbe con tale interesse, 
perch� priverebbe di tutela le zone individuate a rischio e favorirebbe 
inopportuni interventi che potrebbero compromettere le esigenze di sicurezza. 
30. Ancor pi� decisamente, si ritiene che l�originario vizio del provvedimento 
potrebbe aver perduto rilevanza perch� - come emerge dal sito dell�Autorit� 
di bacino dei fiumi Liri-Garigliano e Volturno e come � stato confermato 
in un recente incontro che si � svolto presso questa Avvocatura sulle tematiche 
in discussione - la predetta Autorit� ha dato avvio nel contempo alla procedura 
di V.A.S. In tale ambito, sarebbero stati gi� redatti il rapporto ambientale e la 
proposta di Piano. 
31. Qualora da un�apposita istruttoria che l�Autorit� vorr� incidentalmente 
svolgere dovesse emergere che le misure di salvaguardia adottate sono 
coerenti con l�attivit� di pianificazione cos� avviata, si sarebbero realizzate le 
condizioni per la sanatoria di ogni eventuale illegittimit� della citata delibera 
del 3 luglio 2014. Secondo i principi generali del diritto amministrativo, infatti, 
si verifica la sanatoria quando un presupposto di legittimit� del procedimento, 
mancante al momento dell'emanazione dell�atto, viene emesso successivamente 
in modo da perfezionare ex post il procedimento di formazione del provvedimento 
illegittimo. In tali condizioni, dunque, il provvedimento di adozione 
delle misure di salvaguardia potr� conservare validit� ed efficacia fino all�approvazione 
definitiva del piano, e comunque per un periodo non superiore ai 
tre anni dalla data di emissione. 
32. Il presente parere � stato reso previa audizione del Comitato Consultivo 
di questa Avvocatura, che si � espresso in conformit� nella seduta del 6 
febbraio 2015.
PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 141 
Sulla gestione del demanio marittimo 
PARERE 27/02/2015-100167/196, AL 22724/13, 
AVV. MARCO STIGLIANO MESSUTI, AVV. INES SISTO 
La Direzione Marittima di Bari ha chiesto alla Avvocatura dello Stato un 
parere in ordine all�applicabilit� dell�art. 34 ovvero dell�art. 36 del Codice 
della Navigazione per la disciplina di alcune aree che, pur se ancora appartenenti 
al demanio marittimo, hanno sostanzialmente perso ogni funzione demaniale 
e sono di fatto da lungo tempo in uso al Comune di Bari che vi ha 
installato dei parcheggi pubblici a pagamento a volte gestiti direttamente e a 
volte dati in gestione a terzi. 
L�Autorit� marittima, volendo regolarizzare quella che sostanzialmente 
� un�occupazione di fatto di aree appartenenti al demanio marittimo, ha chiesto 
all�Avvocatura di chiarire se nella fattispecie si possa far ricorso all�istituto 
della consegna in uso gratuito di cui all�art. 34 del C.N. ovvero se sia invece 
necessario ricorrere al rilascio di una concessione ai sensi dell�art. 36 del medesimo 
Codice. 
L�art. 34 del C.N., nel testo modificato dall�art. 1 della L. n. 308/2004, 
prevede che, su richiesta dell�amministrazione statale, regionale o comunale, 
determinate parti del demanio marittimo possono essere destinate ad altri usi 
pubblici, cessati i quali riprendono la loro destinazione normale. 
L�art. 36 del Regolamento del C.N., che disciplina concretamente tale possibilit�, 
prevede che la destinazione temporanea delle aree demaniali in favore 
di altre amministrazioni debba essere autorizzata dal Ministro e debba avvenire 
attraverso un processo verbale di consegna redatto dal capo compartimento, 
precisando che tale consegna non comporta il versamento di alcun canone. 
Il terzo comma del medesimo articolo prevede per� che l�utilizzazione 
da parte di terzi di beni demaniali compresi nelle zone consegnate gratuitamente 
ad altre amministrazioni resta soggetto alla disciplina dell�art. 36 del 
C.N. ai sensi del quale l'occupazione e l'uso, anche esclusivo, di beni demaniali 
avviene attraverso il rilascio di una concessione a titolo oneroso. 
� stata proprio tale ultima previsione a far paventare all�Amministrazione 
una possibile responsabilit� contabile, in quanto la concessione demaniale marittima 
di cui all�art. 36 C.N. comporta il versamento di un canone da parte 
del terzo utilizzatore che andrebbe devoluto allo Stato. 
Riferisce la Direzione marittima che la Regione Puglia con circolare 2 
marzo 2012 n. 3668 ha affermato che le entrate riveniente dai parcheggi a pagamento 
non sono di ostacolo alla possibilit� di applicare l�art. 34 C.N in quanto 
i proventi scaturenti dalla gestione del parcheggio pubblico a pagamento avrebbero 
una destinazione vincolata alla manutenzione, riqualificazione e valorizzazione 
dell�area, ai sensi dell�art. 7 comma 7 del D. Lgs n. 285/1992 (Codice
142 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2015 
della Strada) il quale prevede che i proventi rivenienti dalla gestione del parcheggio 
pubblico a pagamento, in quanto spettanti agli Enti proprietari della 
strada, sono destinati alla installazione, costruzione e gestione di parcheggi in 
superficie, sopraelevai e sotterranei e al loro miglioramento e le somme eventualmente 
eccedenti ad interventi per migliorare la viabilit� urbana. 
Analoga posizione � stata successivamente assunta dalla Direzione Regionale 
dell�Agenzia del Demanio (nota 21 dicembre 2012 n. 28342) la quale 
ha affermato che l�introito ottenuto dal pagamento del prezzo da parte dei privati 
per la sosta compensa le spese di manutenzione e gestione e che le aree 
del demanio marittimo destinate alla realizzazione dei parcheggi a pagamento 
si possono assimilare alle aree su cui sono presenti opere pubbliche di urbanizzazione 
per cui vige l�istituto della consegna ex art. 34 C.N. 
Viceversa, il Ministero delle Infrastrutture e Trasporti, Direzione Generale 
dei Porti, ha espresso l�avviso che la destinazione dell�area a parcheggi a pagamento, 
comportando comunque un provento, anche se non necessariamente 
un lucro (nozione questa connessa a un fine speculativo) � inconciliabile con 
la possibilit� di applicare l�art 34 del C.N. il quale contempla la consegna gratuita 
delle aree demaniali solo nel caso della contemporanea presenza di tre 
requisiti: l�assolvimento di funzioni di pubblica utilit� comprese nella sfera di 
competenza istituzionale dell�amministrazione regionale o locale, la temporaneit� 
dell�uso e l�assenza di scopo lucrativo (nota 16 aprile 2012 n. 4893) 
**** 
Il quesito posto all�Avvocatura � quindi il seguente: se le aree ancora appartenenti 
al demanio marittimo ma di fatto utilizzate dall�Ente Locale che 
ne ha irreversibilmente mutato la destinazione, urbanizzandole e utilizzandole 
per la gestione di un servizio di parcheggi a pagamento svolto dall�Ente locale 
o da terzi, possano costituire oggetto di un provvedimento di consegna in uso 
gratuito ai sensi dell�art. 34 del C.N., ovvero se per questi casi si debba applicare 
l�art. 36 del C.N. con la conseguente necessit� del rilascio di una concessione 
demaniale a titolo oneroso.
*** 
Esaminato il quesito posto si ritiene che la questione vada affrontata e risolta 
in un prospettiva diversa da quella suggerita dall�Amministrazione. 
Si premette che l�art. 34 del C.N. nel testo novellato richiede, per la sua 
applicazione, la contemporanea presenza di tre requisiti: 
1) l�assolvimento di funzioni di pubblica utilit� comprese nella sfera di 
competenza istituzionale dell�amministrazione regionale o locale; 
2) la temporaneit� dell�utilizzazione; 
3) l�assenza di scopo lucrativo. 
Nella fattispecie l�uso pubblico cui le superfici demaniali sono state destinate 
dall�amministrazione comunale non sembra essere temporaneo bens� 
definitivo, mancando quindi il secondo dei richiamati requisiti.
PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 143 
Anche il terzo requisito non pu� ritenersi sussistente in quanto l�utilizzo 
del bene demaniale, pur se destinato ad assolvere un fine di pubblica utilit�, 
non pu� ritenersi privo di scopo lucrativo. 
Pertanto non sussistono i presupposti per ritenere applicabile l�art. 34 
C.N. e l�art. 36 del Regolamento. 
Fatta questa premessa, si ritiene che la soluzione pi� opportuna per sanare 
le situazioni in esame, nelle quali il mutamento della destinazione delle aree 
demaniali � ormai irreversibile avendo esse perso qualsiasi funzione attinente 
agli usi del mare, sia quella di procedere ad una loro sdemanializzazione con 
successiva cessione all�Ente locale. 
A quest�ultimo fine si rammenta che ai sensi dell�art. 5 del D. Lgs. n. 
85/2010 sono trasferiti ai Comuni, Province, Citt� Metropolitane e Regioni, 
a titolo non oneroso, i beni appartenenti al demanio marittimo e relative 
pertinenze, con esclusione di quelli direttamente utilizzati dalle amministrazioni 
statali. 
Il procedimento per attuare tale trasferimento � stato successivamente disciplinato 
dall�art. 56 bis, del D.L. n. 69/2013 convertito in L. n. 98/2013. 
Medio tempore, in attesa che la procedura si completi, si ritiene che le 
preoccupazioni dell�Autorit� Marittima in ordine ad un�eventuale responsabilit� 
contabile possano essere agevolmente superate facendo riferimento al 
disposto di cui all�art. 105, del D. Lgs. n. 112/1998, nel testo modificato dall�art. 
9 della L. n. 88/2001, ai sensi del quale sono state conferite alle Regioni 
(e da queste successivamente delegate ai Comuni ai sensi dell�art. 42 del D. 
Lgs. n. 96/1999) le funzioni relative �al rilascio delle concessioni di beni del 
demanio marittimo per finalit� diverse da quelle di approvvigionamento di 
fonti di energia, ad eccezione che nei porti finalizzati alla difesa militare e 
alla sicurezza dello Stato, nei porti di rilevanza internazionale e nazionale, 
nonch� nelle aree di preminente interesse nazionale� (lett.g, art. 105). 
L�art. 3, del gi� citato D. Lgs. n. 85/2010, sul trasferimento dei beni dallo 
Stato agli Enti Locali, espressamente fa salve le funzioni amministrative gi� 
conferite agli Enti Territoriali dalla normativa vigente e l�art. 4 comma 12 quater 
del D.L. n. 16/2012 convertito in L. n. 44/2012 espressamente prevede che: 
"Nelle more dell'attuazione delle disposizioni dell'articolo 5, commi 1, lettera 
e), e 5-bis, del decreto legislativo 28 maggio 2010, n. 85, le amministrazioni 
competenti proseguono nella piena gestione del patrimonio immobiliare statale, 
ivi comprese le attivit� di dismissione e valorizzazione". 
� pertanto evidente che allo stato attuale ogni funzione amministrativa 
sui beni del demanio marittimo, fatte salve quelle espressamente conservate 
allo Stato, appartenga alle Regioni ed ai Comuni. 
Con riferimento alla Regione Puglia occorre far riferimento alla L. R. n. 
17/2006 con cui � stato disciplinato l'esercizio delle funzioni amministrative 
connesse alla gestione del demanio marittimo e delle zone del mare territoriale
144 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2015 
conferite dallo Stato ai sensi dell'art. 117 della Costituzione, intendendosi per 
�gestione del demanio marittimo e delle zone del mare territoriale tutte le attivit� 
e i compiti individuati dall'articolo 105, comma 2, lettera l), del decreto 
legislativo 31 marzo 1998, n. 112� (art. 1 comma 3). 
L�art. 6 di detta legge, ha trasferito ai comuni costieri �l'esercizio di tutte 
le funzioni amministrative relative alla materia del demanio marittimo, fatte 
salve quelle espressamente individuate all'articolo 5� il quale ultimo ha riservato 
alla Regione �il rilascio della concessione di beni del demanio marittimo 
richiesti nell�uso del Comune� (art. 5 lett. f). 
La giurisprudenza ha avuto modo di chiarire che dal combinato disposto 
degli articoli 104 lett. v) e pp) e 105 commi 1 e 2 del D. Lgs n. 112/1998 
emerge un quadro normativo nel quale il demanio marittimo � considerato essenzialmente 
sotto il profilo funzionale piuttosto che della appartenenza, essendo 
state trasferite alle Regioni e, tendenzialmente, in via di ulteriore 
decentramento, ai Comuni tutte le funzioni che non siano relative ad usi specifici 
di portata nazionale (quali appunto la sicurezza della navigazione marittima 
e l�approvvigionamento energetico). 
Venendo ad applicare le richiamate disposizioni al caso prospettato si osserva 
che nessuna delle zone su cui sono stati realizzati i parcheggi a pagamento 
rientra fra quelle per le quali sono state riservate allo Stato funzioni 
autorizzatorie (art. 104 D. Lgs. n. 112/1998). 
Pertanto si ritiene che l�Autorit� marittima non possa pi� esercitare su di 
esse alcuna funzione amministrativa, al di fuori dei poteri di vigilanza e controllo 
sul corretto uso del bene comunque spettanti, essendo ogni potere ormai 
attribuito alla Regione o al Comune. 
Ne consegue che, ove i parcheggi a pagamento siano dati in gestione a 
terzi, sar� necessario che il Comune rilasci una concessione demaniale. 
Ove invece il parcheggio sia gestito dal Comune, si � dell'avviso che non 
occorra alcun titolo concessorio in quanto l'ente locale, nell'esercizio delle 
funzioni sopra illustrato, si limita a riservare a s� l'uso del bene. � pur vero 
che l�art. 5 lett. f) della L.R. n. 17/2006 prevederebbe, anche per tal casi, il rilascio 
di una concessione, tuttavia � da ritenere che la legge regionali utilizza 
in senso atecnico tale terminologia, posto che, secondo pacifica giurisprudenza, 
tra soggetti pubblici non pu� intercorrere un rapporto di concessione 
in senso proprio. 
Da ultimo, si evidenzia che, tra le diverse modalit� di gestione del bene 
da parte del Comune, quest'ultimo - ricorrendone le condizioni di legittimit� 
pi� volte chiarite dalla giurisprudenza - potr� utilizzare l'affidamento a societ� 
c.d. in house. 
Sulla questione � stato sentito il Comitato Consultivo di quest'Avvocatura, 
che nella seduta del 19 febbraio 2015 si � espresso in conformit�. 
PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 145 
Negoziazione assistita e patrocinio erariale 
PARERE 25/03/2015-146998, AL 45465/14, AVV. ALESSANDRO DE STEFANO 
Con la nota in riferimento codesta Agenzia rappresenta che l�art. 2 del 
d.l. 12 settembre 2014, n. 132, convertito in legge, con modificazioni, dall�art. 
1, comma 1, l. 10 novembre 2014, n. 162, ha introdotto l�istituto della convenzione 
di negoziazione assistita, che - ai sensi del successivo art. 3 ed al di 
fuori dei casi previsti dall�art. 5, comma 1 bis del d.lgs. 4 marzo 2010, n. 28 - 
costituisce condizione di procedibilit� delle controversie giurisdizionali aventi 
ad oggetto il pagamento di somme di denaro non eccedenti cinquantamila 
euro. Il comma 1 bis del citato art. 2 del d.l. n. 132 del 2014 dispone che: �� 
fatto obbligo per le amministrazioni pubbliche di cui all�articolo 1, comma 2, 
del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, di affidare la convenzione di 
negoziazione alla propria avvocatura, ove presente�. 
Codesta Agenzia � destinataria di quest�ultima disposizione, in quanto 
rientra tra gli Enti della Pubblica Amministrazione previsti dall�art. 1, comma 
2, del d.lgs. n. 165 del 2001, e fruisce del patrocinio di questa Avvocatura ai 
sensi dell�art. 43 del r.d. 30 ottobre 1933, n. 1611, come modificato dall�art. 
11, l. 3 aprile 1979, n. 103. Tuttavia, considerato che - in virt� di delibera del 
Consiglio di Amministrazione del 18 giugno 2008, n. 315, adottata con l�assenso 
di questo Generale Ufficio - si � affermata la prassi di affidare ad Avvocati 
del libero foro le cause attive e passive riguardanti pagamenti o recuperi 
di aiuti comunitari di valore inferiore ad � 30.000,00 e le cause seriali di natura 
patrimoniale di valore medio non superiore ad � 10.000,00 che non implichino 
la soluzione di questioni giuridiche delicate o complesse, codesta Agenzia 
chiede se possa affidare ad Avvocati del libero foro anche le relative procedure 
di negoziazione assistita, e se il limite di valore di � 30.000,00 previsto dalla 
predetta delibera possa essere aumentato ad � 50.000,00. 
Questa Avvocatura ritiene che l�art. 2, comma 1 bis, del d.l. n. 132 del 
2014 deve essere letto ed interpretato in coerenza con le regole generali che 
disciplinano il patrocinio legale degli Enti pubblici. Esso ha inteso affermare 
che gli Enti pubblici affidano le procedure di negoziazione assistita alla propria 
Avvocatura, nelle stesse forme e negli stessi termini (e, quindi, con le eventuali 
limitazioni) con cui affidano ad esse la trattazione delle relative cause. Sembra 
invece manifestamente infondata un�interpretazione puramente letterale, secondo 
cui la procedura di negoziazione assistita debba essere inderogabilmente 
affidata all�Avvocatura pubblica, anche quando la trattazione della causa nel 
merito possa essere rimessa, in via di ipotesi, ad un avvocato del libero foro. 
A prescindere da possibili considerazioni sul contrasto di una simile interpretazione 
con i canoni di efficienza e di buon andamento della pubblica 
amministrazione, a causa dell�irragionevole duplicazione degli affari e del
146 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2015 
possibile sdoppiamento delle linee difensive che essa comporterebbe, occorre 
infatti considerare che la negoziazione assistita non costituisce un procedimento 
�sui generis�, distinto ed indipendente dalla causa che potr� essere successivamente 
intrapresa dinanzi all�Autorit� giudiziaria, ma costituisce 
piuttosto una fase preliminare dell��iter� contenzioso, cos� da potersi considerare 
parte dell�intera controversia. Poich� essa costituisce una �species� di 
un pi� ampio �genus�, occorre ritenere che nel proprio ambito l�attivit� di difesa 
deve essere svolta nel rispetto delle stesse forme e degli stessi principi 
che regolano il patrocinio legale dell�Ente nel suo complesso. 
Per questi motivi, occorre ritenere che la negoziazione assistita deve essere 
curata, in via di principio, dallo stesso difensore che sar� poi chiamato a 
difendere la causa nella fase giurisdizionale. Pertanto, essa dovr� essere necessariamente 
curata da questa Avvocatura nei (soli) casi in cui la trattazione 
della relativa causa sia ad essa riservata; inoltre, i criteri stabiliti dalla citata 
delibera del Consiglio di Amministrazione del 18 giugno 2008, n. 315, che 
consentono di affidare specifiche tipologie di cause ad avvocati del libero foro, 
devono riferirsi al patrocinio della controversia nel suo complesso, comprendendo 
in essa la fase prodromica della negoziazione assistita. 
Si ritiene peraltro che la richiesta di parere cui si porge riscontro offre 
l�occasione per rimeditare ed approfondire alcuni aspetti della prassi alla quale 
si � fatto riferimento innanzi, sulla base dell�analisi delle disposizioni contenute 
nell�art. 43 del r.d. n. 1611 del 1933, che - come � noto - contiene la disciplina 
generale del patrocinio legale di questa Avvocatura a favore di Enti 
statali e di Pubbliche Amministrazioni diverse dallo Stato. 
Si osserva al riguardo che il terzo comma di tale norma dispone che il patrocinio 
legale di questa Avvocatura a favore di questi Enti ed Amministrazioni 
ha carattere �organico ed esclusivo�; e ci� nell�intento di assicurare ad essi 
la medesima uniformit� di indirizzi che questa Avvocatura assicura alle Amministrazioni 
dello Stato, a salvaguardia della legalit� e della imparzialit� della 
propria azione. 
Occorre altres� considerare che questo principio deve essere armonizzato 
con il comma successivo, in base al quale: �ove le Amministrazioni ed enti intendano 
in casi speciali non avvalersi della Avvocatura dello Stato, debbono 
adottare apposita motivata delibera da sottoporre agli organi di vigilanza�. 
Questa disposizione, letta ed interpretata in base ai principi di legalit� ed efficienza 
dell�attivit� amministrativa contenuti nell�art. 97 della Costituzione, 
fornisce la base legale per derogare, �in casi speciali�, alla regola della esclusivit� 
del patrocinio. 
In particolare, la previsione di possibili deroghe alla regola generale del 
patrocinio esclusivo potrebbe fornire la base legale di una disciplina convenzionale 
che, pur garantendo la natura �organica� della tutela erariale, consenta 
di ricorrere ad altre forme di difesa per particolari tipologie di controversie,
PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 147 
preventivamente ed obiettivamente individuate, che si incentrino prevalentemente 
su questioni di fatto, non prospettino significative questioni di diritto, 
abbiano un modesto valore economico e possano essere risolte sulla base di 
principi di massima consolidati. 
Questa soluzione potrebbe favorire la pi� immediata e diretta trattazione 
di tali affari, consentendo anche a questa Avvocatura di razionalizzare l�utilizzo 
delle proprie risorse e delle proprie capacit� operative, di valorizzare le 
proprie funzioni consultive, di meglio elaborare le strategie difensive e coordinare 
la gestione delle singole vertenze, e di attendere con maggiore efficienza 
alle numerose altre funzioni istituzionali ad Essa affidate dall�ordinamento. 
Come si � gi� accennato, per prassi amministrativa ormai consolidata codesto 
Ente si avvale del patrocinio di Avvocati del libero foro per la difesa 
delle seguenti tipologie di vertenze: 
a. Controversie attinenti ai rapporti di lavoro dei propri dipendenti regolati 
dal diritto privato; 
b. Procedimenti dinanzi alla Corte dei Conti; 
c. Procedimenti civili nei quali Agea � parte attiva, implicanti contestazioni 
di indebita percezione di aiuti comunitari e conseguente recupero dei relativi 
importi, di valore non superiore ad � 30.000,00; 
d. Procedimenti civili nei quali Agea � parte passiva promossi per negate 
erogazioni totali o parziali di aiuti comunitari di importo non superiore ad � 
30.000,00; 
e. Cause seriali di valore medio per ciascuna causa non superiore ad � 
10.000,00, sempre che non vengano in rilievo questioni giuridiche delicate o 
di difficile soluzione. 
L�esperienza fino ad ora maturata appare meritevole di una verifica congiunta, 
nel rispetto dei criteri ermeneutici che si sono innanzi delineati, nell�intento 
sia di verificare e risolvere alcune possibili criticit�, sia di darvi 
eventuale sviluppo (ad esempio, elevando da � 30.000,00 ad � 50.000,00 il limite 
massimo delle cause per negate erogazioni di aiuti comunitari che possono 
essere trattate senza il patrocinio di questa Avvocatura, cos� come 
proposto con la nota in riferimento). 
In particolare, appare necessario un adeguato esame delle seguenti questioni: 
a) Possibilit� di privilegiare il patrocinio diretto per la difesa di queste tipologie 
di cause, ai sensi dell�art. 3 del r.d. 30 ottobre 1933, n. 1611; 
b) Compatibilit� del patrocinio da parte di avvocati del libero foro con le 
disposizioni dell�art. 7, d.lgs. n. 29 del 1993; 
c) Criteri di attribuzione degli incarichi di collaborazione esterna; 
d) Coordinamento tra l�attivit� di patrocinio legale di questa Avvocatura 
e le altre forme di patrocinio; 
e) Limitazione del patrocinio esterno ai gradi di giudizio di merito, con
148 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2015 
esclusione di quello di legittimit� dinanzi alle Magistrature superiori, che dovrebbe 
essere riservato in ogni caso a questa Avvocatura; 
f) Esigenza di uniformare il patrocinio delle cause di lavoro dei dipendenti 
alle disposizioni dell�art. 417 bis del c.p.c., con conseguente assunzione 
del patrocinio diretto nei giudizi di primo grado (salvo il caso in cui vengano 
in rilievo questioni di massima o aventi notevoli riflessi economici) ed affidamento 
della difesa a questa Avvocatura nei gradi successivi; 
g) Necessit� di limitare il patrocinio delle cause seriali, diverse da quelle 
relative al recupero di aiuti comunitari, a quelle di valore massimo di � 
10.000,00 (eventualmente elevabile ad � 20.000,00, per tener conto dell�intervenuta 
svalutazione monetaria e degli accresciuti carichi di lavoro), perch� 
il riferimento al valore �medio� rappresenta un criterio eccessivamente incerto 
ed indeterminato. 
Si rimane dunque a disposizione per l�esame congiunto delle predette 
questioni, onde assicurare la maggiore aderenza dell�attivit� difensiva ai parametri 
della legalit� e dell�efficienza. 
Il presente parere � stato reso previa audizione del Comitato Consultivo 
di questa Avvocatura, che si � espresso in conformit� nella riunione del 6 febbraio 
2015.
PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 149 
Opere protettive in corrispondenza dei cavalcavia 
autostradali: spettanza degli oneri manutentivi 
PARERE 09/04/2015-172688/89, AL 29121/14, AVV. ETTORE FIGLIOLIA 
Esaminata la documentazione trasmessa, preso atto dei chiarimenti forniti 
da codesto Ministero, sia con la nota del 28 novembre u.s. che, da ultimo, con 
la nota del 26 gennaio u.s., ritiene questa Avvocatura Generale quanto segue. 
In primo luogo va rilevato che la circostanza che il soggetto concessionario 
della rete autostradale abbia a suo tempo realizzato con oneri a proprio 
carico le barriere di sicurezza laterali appostate sui cavalcavia in attraversamento 
delle opere autostradali, dimostra senz�altro che dette barriere perseguono 
anche rilevanti obiettivi di sicurezza della circolazione sulle autostrade, 
pur costituendo, a legislazione vigente, pertinenza della viabilit� ordinaria soprapassante, 
la cui titolarit� fa capo ad Enti diversi dal concessionario medesimo 
(Comuni, Province, ecc.), a titolo di propriet� ovvero di concessione. 
Al riguardo va invero rilevato che il quadro informativo trasmesso sembra 
effettivamente deporre, anche sulla base del tenore di talune convenzioni tipo 
che sono state qui inviate, per la duplice funzionalit� di dette barriere sia rispetto 
ai tratti autostradali, che riguardo alla viabilit� interessante i cavalcavia: 
ci� � dimostrato, oltretutto, da talune disposizioni presenti nelle citate convenzioni 
tipo in cui � prevista la divaricazione degli oneri manutentivi tra Concessionario 
ed Ente pubblico titolare della gestione del tratto stradale 
soprapassante, rispetto alle opere murarie, alla manutenzione del manto stradale 
nonch� afferente alla superficie dei manufatti stessi. 
Per quanto precede, rispetto ai danni provocati alle predette barriere dal 
traffico veicolare interessante la rete viaria sovrapassante, sembra potersi sostenere, 
in linea di diritto, e sulla base delle pertinenti disposizioni del codice 
della strada, in assenza di eventuali convenzionamenti di tenore diverso, che 
gli interventi di ripristino competano all'Ente titolare del tratto di strada ordinaria 
sovrapassante rispetto a quanto di stretta funzionalit� della rete viaria di 
propria competenza, che avr� necessariamente cura di provvedervi nel rispetto 
della pertinente vigente normativa al momento della realizzazione delle iniziative 
di manutenzione, sia ordinaria che straordinaria, altres� provvedendo, 
ove necessario, all'integrale sostituzione dei dispostivi protettivi in parola, 
onde garantire all�utenza le occorrenti condizioni di sicurezza. 
In altre parole, ad avviso della Scrivente, gli oneri di cui trattasi fanno 
capo all�Ente pubblico nei limiti di quanto rigorosamente funzionale alla sicurezza 
della circolazione sui tratti sovra passanti, laddove, per converso, per 
gli aspetti inerenti alla sicurezza della circolazione autostradale, i concessionari 
dovranno necessariamente farsi carico degli oneri connessi agli interventi concernenti 
le predette strutture protettive perch�, appunto, strumentali a garantire
150 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2015 
la sicurezza della circolazione autostradale sulla base della vigente normativa. 
Peraltro, a prescindere dagli obblighi di ripristino delle barriere in argomento 
facenti capo al soggetto titolare della rete viaria sovrastante, il concessionario 
autostradale non pu� per ci� solo ritenersi esente da quei doveri di 
diligente vigilanza connessi al dinamismo connaturato alla fruizione da parte 
dell'utenza delle opere autostradali, al fine di impedire, comunque, situazioni 
di pericolo all'integrit� delle persone e delle cose, se del caso praticando ogni 
utile intervento idoneo ad evitare contesti degenerativi del pericolo medesimo 
in situazioni di danno all�utenza medesima. 
Conseguentemente, a fronte di situazioni di potenziale pregiudizio per 
l�utenza derivanti dalla carenza di adeguati interventi di ripristino delle predette 
barriere, i concessionari dovranno disporre per la limitazione del traffico 
veicolare nelle more della realizzazione degli interventi di ricostruzione delle 
strutture in parola, se del caso attivandosi anche in sostituzione ed in danno 
dei soggetti pubblici inadempienti. 
Ci�, ovviamente, in disparte gli aspetti pi� prettamente economici afferenti 
alle eventuali azioni di rivalsa e di responsabilit� esperibili a carico del 
soggetto gestore e proprietario della rete viaria dei cavalcavia autostradali, 
conseguenti alle possibili iniziative di carattere sostitutivo e cautelare praticate 
dal concessionario autostradale per le finalit� di sicurezza dell�utenza. 
In tal senso, pertanto, risulta rilevante il ruolo di codesta Struttura di vigilanza 
ministeriale sull'operato delle concessionarie autostradali rispetto alle 
finalit� test� evidenziate nella presente consultazione, dovendo senz'altro procedere 
detta Struttura a compulsare adeguatamente gli enti gestori delle tratte 
autostradali affinch� il traffico veicolare comunque avvenga in condizioni di 
assoluta sicurezza per gli utenti. 
Nei termini suesposti � il richiesto parere. 
Sulle questioni oggetto del presente parere � stato sentito il Comitato Consultivo 
di questa Avvocatura che, nella seduta del 27 marzo 2015 si � espresso 
in conformit�. 
PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 151 
Il fondo patrimoniale e la sua opponibilit� ai creditori 
PARERE RESO IN VIA ORDINARIA IN DATA 30/04/2015-207274, AL 34191/13, AVV. DIANA RANUCCI 
Con la nota in riscontro codesta Direzione ha chiesto parere alla Scrivente 
in merito alla esecuzione delle sentenze rese dalla Corte dei Conti nel giudizi 
in oggetto, ed in particolare, indicazioni in merito ad eventuali ulteriori iniziative 
da intraprendere a tutela del credito erariale. 
Esaminate le situazioni concernenti le tre pratiche di recupero nei confronti 
del sig. G., si rappresenta quanto segue. 
1) Con riferimento al Progetto Port/IT/2/93, cd. Giudizio n. 1 (�Giudizio 
di responsabilit� iscritto al n. 2479/EL del registro di Segreteria�, conclusosi 
con sentenza n. 205/2008 della Corte dei Contri - sez. giurisdizionale per la 
Regione Molise) e al Progetto 94/AC/98, cd. Giudizio n. 3 (�Giudizio di responsabilit� 
iscritto al n. 2989/EL del registro di Segreteria�, conclusosi con 
sentenza n. 100/2010 della Corte dei Contri - sez. giurisdizionale per la Regione 
Molise), la Scrivente ritiene che tutte le iniziative intraprese fino a questo 
momento siano corrette e che, pertanto, in difetto di pagamento di quanto intimato 
al sig. G., bisogner� avviare la procedura esecutiva tramite Agente di 
riscossione. 
2) Con riferimento, invece, al Progetto 22/AC/98, cd. Giudizio n. 2 (�Giudizio 
di responsabilit� iscritto al n. 2453/EL del registro di Segreteria�, conclusosi 
con sentenza n. 204/2008 della Corte dei Conti - sez. giurisdizionale 
per la Regione Molise), codesta Amministrazione evidenzia che la procedura 
esecutiva � gi� stata avviata e che avverso la medesima cartella esattoriale di 
Equitalia Sud S.p.A. (per complessivi Euro 894.058,64) il sig. G. ha proposto: 
� opposizione alla Commissione Tributaria Provinciale di Campobasso 
(che ha dichiarato il proprio difetto di giurisdizione e il giudizio � stato riassunto 
innanzi al Tribunale di Campobasso, ove � ancora pendente); 
� atto di citazione in opposizione ex art. 615 c.p.c. innanzi al Tribunale di 
Campobasso (rectius, di Larino), conclusosi con la sent. n. 124/2014 dichiarativa 
della non assoggettabilit� ad ipoteca e impignorabilit� dei beni che l�amministrazione 
avrebbe voluto ipotecare, in quanto compresi in un fondo 
patrimoniale ex art. 167 c.c.; 
� atto di citazione in opposizione a pagamento somme ex art. 617 c.p.c. 
innanzi al Tribunale di Campobasso, ove il relativo giudizio � ancora pendente; 
� atto di citazione in opposizione all�iscrizione di ipoteca n. 11394/1158 
innanzi al Tribunale di Campobasso, giudizio pendente. 
Ci� posto, nel corso della causa conclusasi con la sentenza n. 124/2014, � 
emerso che il sig. G., in data 27 settembre 2004, ha costituito un fondo patrimoniale 
ex art. 167 c.c., che produce l�effetto per cui i beni ivi destinati non 
sono aggredibili dai creditori al ricorrere delle condizioni di cui all�art. 170 c.c.
152 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2015 
L�art. 170 c.c. statuisce che �L�esecuzione sui beni del fondo e sui frutti 
di essi non pu� aver luogo per debiti che il creditore conosceva essere stati 
contratti per scopi estranei ai bisogni della famiglia�. 
In base a tale disposizione deriva quindi che se l�obbligazione � contratta, 
dal soggetto che ha costituito il fondo patrimoniale, per finalit� familiari i beni 
che costituiscono il fondo possono essere aggrediti dai creditori; se, al contrario, 
l�obbligazione � contratta per scopi estranei ai bisogni familiari e il creditore 
ne � a conoscenza, la eventuale procedura esecutiva � azionabile solo su 
beni del debitore diversi da quelli costituenti il fondo patrimoniale. 
Il che � esattamente quanto ritenuto dal Tribunale di Larino nella citata 
sentenza n. 124/2014, che ha accolto l�eccezione formulata dal G. di esistenza 
del fondo, cos� bloccando la procedura esecutiva azionata da codesta Amministrazione 
in forza delle sentenze del Giudizio n. 2 (i.e., la sentenza n. 
134/2012 della sez. I Centrale della Corte dei Conti di Roma, che ha confermato 
in ogni sua statuizione la sentenza n. 204/2008 della Corte dei Conti - 
sez. giur. per la Regione Molise). Tanto � vero che ivi il Tribunale di Larino 
ha statuito che �i beni immobili elencati nelle comunicazioni preventive di 
iscrizione ipotecaria non sono assoggettabili ad ipoteca trattandosi di immobili 
ricompresi nel fondo patrimoniale ex art. 167 c.c.�. 
A parere della Scrivente la sentenza de qua avrebbe dovuto essere impugnata, 
anche per evitare un giudicato eventualmente pregiudizievole, per cui 
si chiede in via preliminare di sapere se la stessa sia stata appellata, ritenendosi 
sussistere valide ragioni per la censura, come si esporr� infra. 
In questa situazione appare infatti evidente che il G., in egual modo, potrebbe 
bloccare anche le procedure esecutive che verranno intraprese per il recupero 
dei crediti erariali, di cui alle sentenze favorevoli pronunciate nei 
Giudizi n. 1 e n. 3, ben potendosi prevedere che si realizzar� la medesima situazione 
fattuale del Giudizio n. 2. 
Alla luce delle sovraesposte considerazioni, la Scrivente ritiene, quindi, 
che occorre difendersi nel merito al fine di neutralizzare l�efficacia impeditiva 
del fondo patrimoniale, in quanto, palesemente, posto in essere dal sig. G. con 
fini meramente elusivi e con abuso del diritto. 
3) Preliminarmente, questa Avvocatura ritiene pertanto necessario 
proporre azione revocatoria ordinaria ex art. 2901 c.c. contro l�atto costitutivo 
del fondo patrimoniale, atteso che sia la dottrina che la giurisprudenza 
hanno evidenziato come il fondo patrimoniale, ed il correlativo divieto di esecuzione 
sui beni che ne fanno parte, sia spesso utilizzato in modo fraudolento. 
La giurisprudenza di legittimit�, nel precisare che il limite all'espropriazione, 
previsto per i crediti estranei ai bisogni della famiglia, opera tanto nell'ipotesi 
in cui questi siano sorti anteriormente alla sua costituzione quanto in 
quella in cui essi siano sorti successivamente alla medesima (cfr. Cass., nn. 
15862/2009, 12998/2006, 4933/2005, 8991/2003, 4422/2001, 3251/1996), ha
PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 153 
infatti ribadito la possibilit� di agire in revocatoria ordinaria, ex art. 2901 c.c., 
rispetto all'atto costitutivo del fondo, in tutte le ipotesi in cui possa ritenersi 
che sia stato costituito al solo fine di eludere le ragioni creditorie (1). 
In dettaglio, la Suprema Corte, con la sent. n. 3251/1996, ha affermato che 
�l� art. 170 del codice civile non limita il divieto di esecuzione forzata ai soli 
crediti (estranei ai bisogni della famiglia) sorti successivamente alla costituzione 
del fondo, ma estende la sua efficacia anche ai crediti sorti anteriormente, salva 
la possibilit� per il creditore, ricorrendone i presupposti, di agire in revocatoria 
ordinaria (�) al fine di far dichiarare l�inefficacia nei propri confronti dell�atto 
costitutivo del fondo patrimoniale che reca pregiudizio alle sue ragioni�. 
Come � noto, a norma dell�art. 2901 c.c., il creditore pu� domandare che 
siano dichiarati inefficaci nei suoi confronti gli atti di disposizione del patrimonio 
con i quali il debitore rechi pregiudizio alle sue ragioni, purch� concorrano 
le seguenti condizioni: 
a) se trattasi di atto a titolo gratuito, che il debitore sia a conoscenza del 
pregiudizio che l�atto arreca alle ragioni del creditore (se l�atto � successivo 
al sorgere del credito), oppure che l�atto sia preordinato a pregiudicare il soddisfacimento 
del creditore; 
b) in caso di atto a titolo oneroso, che il terzo sia consapevole del pregiudizio 
che l�atto arreca al creditore (la cd. scientia damni), in caso in cui l�atto 
di disposizione sia successivo al sorgere del credito, oppure che il terzo sia 
partecipe della dolosa preordinazione (il cd. consilium fraudis), se l�atto � precedente 
al sorgere del credito. 
Con riferimento, invece, all�eventus damni � opportuno ricordare che, secondo 
la pacifica giurisprudenza, ai fini del suo perfezionamento � sufficiente 
che sussista l�animus nocendi e che l�atto del quale si chiede la revocatoria 
renda pi� onerosa o difficile la riscossione di un credito determinando una variazione 
solo qualitativa o quantitativa del patrimonio, senza necessit� che 
porti al totale azzeramento della garanzia patrimoniale offerta dal debitore. 
Pertanto, per quanto in questa sede rileva, se � vero che la costituzione 
del fondo comporta l�effetto di anteporre in linea generale gli interessi della 
famiglia a quelli dei creditori, � anche vero che la legge non ha sottratto il 
fondo patrimoniale alla revoca ex art. 2901 del codice civile, al fine appunto 
di evitare che l�istituto possa essere utilizzato per scopi meramente strumentali 
o addirittura elusivi di obbligazioni di pagamento (sul punto, Cass. n. 
17418/2007) (2). 
(1) Cos�, M. ANTINOLFI, L�uso fraudolento del fondo patrimoniale. Il Fisco �creditore involontario�?, 
in Notariato, 2010, 3, p. 262 (nota a sentenza). Sul punto si v. inoltre A. BORGOGLIO, Fondo patrimoniale 
e iscrizione di ipoteca sui beni, in Il Fisco, 2013, 12. 
(2) S. CAPOLUPO, Fondo patrimoniale: � sempre inattaccabile dal Fisco?, in Il Fisco, 2010, 21 
(commento alla normativa).
154 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2015 
Siffatta conclusione � conforme a quanto dalla Suprema Corte affermato 
ripetutamente (Cfr. Cass. n. 4933/2005, n. 22537/2002, n. 4524/1997, n. 
8013/1996), per cui la costituzione del fondo patrimoniale pu� essere dichiarata 
inefficace nei confronti dei creditori mediante l�azione revocatoria ordinaria, 
quale mezzo di tutela del creditore rispetto agli atti del debitore di 
disposizione del proprio patrimonio. 
Nel caso di specie, peraltro, considerato che le vicende da cui sono scaturiti 
i giudizi contabili sono state accertate in sede penale gi� nei primi mesi 
dell�anno 2004 e che il fondo patrimoniale � stato costituito nel settembre del 
medesimo anno (segnatamente, il 27 settembre 2004), appare logico dedurre 
che lo scopo dello stesso sia stato semplicemente quello di eludere l�obbligo 
di restituzione dei contributi ricevuti dal sig. G. 
Alla luce delle indicazioni giurisprudenziali, sembra potersi concludere 
che ragionevolmente l�azione revocatoria potrebbe avere esito favorevole 
con l�effetto di ottenere la declaratoria di inefficacia del fondo 
patrimoniale nei confronti dei crediti erariali. 
Per tali motivi, la Scrivente evidenzia la urgente necessit� di azionare 
quanto prima la descritta azione revocatoria, al cui relativo incombente dovr� 
provvedere l�Avvocatura distrettuale di Campobasso competente per territorio, 
cui la presente nota � pure indirizzata. 
4) Si rileva ancora che il tribunale di Larino non ha n� sospeso n� annullato 
la cartella esattoriale emessa da Equitalia Sud S.p.A., che conserva pertanto 
la sua efficacia di titolo esecutivo, essendosi limitato a dichiarare la 
intangibilit� dei beni aggrediti. 
Per tale motivo questa Avvocatura ritiene opportuno insistere nel dare 
esecuzione, tramite Agente della riscossione, a tutte le sentenze favorevoli definitive, 
e quindi esecutive, della Corte dei Conti relative ai Giudizi di responsabilit� 
n. 1 e 3, ai fini del recupero dell�ingentissimo credito erariale. 
Ci� al fine quanto meno di incardinare i relativi giudizi ed interrompere 
la prescrizione. 
Come detto, � certo che controparte proporr� le relative opposizioni, eccependo 
l�esistenza del fondo patrimoniale, cui potr� replicarsi con le seguenti 
argomentazioni. 
Si premette che la giurisprudenza e la dottrina non sono univoche circa 
l�individuazione dei crediti per i quali non opera il divieto di aggressione sui 
beni facenti parte del fondo patrimoniale. 
Sembra comunque potersi ritenere che, secondo la giurisprudenza di legittimit�, 
i crediti in discorso possano essere non soltanto quelli contratti per 
soddisfare i bisogni della famiglia, intesi in senso restrittivo, ma anche quelli 
contratti per le �esigenze volte al pieno mantenimento ed all�armonico sviluppo 
della famiglia, nonch� al potenziamento della sua capacit� lavorativa, restando 
escluse solo le esigenze voluttuarie o caratterizzate da intenti meramente spe-
PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 155 
culativi� (Cass. n. 11683/2001, Cass. n. 134/1984). Dunque, alla nozione in 
parola, va attribuito un significato piuttosto ampio, in modo tale da non considerare 
quali �bisogni della famiglia� semplicemente quelli ritenuti indispensabili 
e strettamente legati all�esistenza della famiglia, bens� tutte quelle esigenze 
volte al pieno mantenimento ed all�armonioso sviluppo della stessa (3). 
In base a tale interpretazione, con ordinanza n. 3738 del 24 febbraio 2015, 
la Corte di Cassazione, sez. tributaria, ha accolto il ricorso del Fisco statuendo 
l�erroneit� della sentenza impugnata, che aveva operato una indebita e non 
provata equazione ritenendo il �credito di natura tributaria (ndr, debito sorto 
nell�esercizio dell�attivit� imprenditoriale del marito) e per ci� stesso, credito 
di natura extrafamiliare�. 
Al contrario, la Corte ha sostenuto che va sempre accertato in fatto se il 
debito in questione si possa dire contratto per soddisfare i bisogni della famiglia; 
con la precisazione che, se � vero che tale finalit� non si pu� dire sussistente 
per il solo fatto che il debito sia sorto nell'esercizio dell'impresa, � vero altres� 
che tale circostanza non � nemmeno idonea a escludere in via di principio che 
il debito si possa dire contratto, appunto, per soddisfare i bisogni familiari. 
In quest'ottica, dunque, non potranno essere sottratti all'azione esecutiva 
dei creditori i beni costituiti per bisogni ritenuti tali dai coniugi in ragione del 
tenore di vita familiare, cos� da ricomprendere anche i debiti derivanti dall'attivit� 
professionale o di impresa di uno dei coniugi qualora il fatto generatore 
dell'obbligazione sia stato il soddisfacimento di tali bisogni, da intendersi nel 
senso ampio sopra descritto (4). 
A parere della Corte quindi sussistono debiti, quali quelli tributari, che 
non devono ritenersi necessariamente estranei ai bisogni della famiglia, in 
quanto proprio nelle attivit� lavorative e imprenditoriali che costituiscono fonti 
di reddito, e quindi base di imposizione fiscale, essa trova i mezzi di sostentamento. 
Ne consegue che dette attivit� non possono essere considerate estranee 
al soddisfacimento dei bisogni familiari e, di conseguenza, non possono 
esserlo neanche le correlate obbligazioni tributarie, che costituiscono una indefettibile 
condizione per la legittima esplicazione delle attivit� stesse. In proposito 
� determinante l'insegnamento dei Giudici di legittimit� secondo i quali 
va considerato che �vanno ricompresi nei bisogni della famiglia anche le esi- 
(3) Cosi, M. BAILO LEUCARI, Corollari applicativi in tema di revocatoria del fondo patrimoniale: 
brevi note a margine della sentenza 13 ottobre 2009, n. 21658, Sezioni Unite Civili, Suprema Corte di 
Cassazione, in Dir. Fall., 2010, 6 (nota a sentenza). Sul punto si v. anche V. AMENDOLAGINE, Il fondo 
patrimoniale della famiglia nella giurisprudenza, in Corriere Giur., 2011, 7, p. 921 (commento alla normativa). 
(4) Cos�, A. TERLIZZI, Il doveroso adempimento delle obbligazioni tributarie e la costituzione del 
fondo patrimoniale, in Il Fisco, 2014, 7 (commento alla normativa). Sul punto si v. anche V. AMENDOLAGINE, 
Il fondo patrimoniale della famiglia nella giurisprudenza, in Corriere Giur., 2011, 7, p. 921 
(commento alla normativa).
156 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2015 
genze volte al pieno soddisfacimento ed all'armonico sviluppo della famiglia 
nonch� al potenziamento della sua capacit� lavorativa, con esclusione solo 
delle esigenze di natura voluttuaria o caratterizzate da interessi meramente 
speculativi� (CTR Lazio n. 818/2014). 
Aggiunge ancora la giurisprudenza che il debito tributario derivante dall'attivit� 
economica degli intestatari del fondo � equiparabile, in punto di qualificazione 
giuridica, alle obbligazioni civili contratte nell'esercizio 
dell'impresa ovvero nel corso della professione, da parte di tali soggetti (Cfr. 
Cass., Sez. trib., 7 luglio 2009, n. 15862, n. 1439/2009; 2845/2010; n. 
1295/2012; n. 7880/2012; n. 5385/2013). 
Applicando gli esposti principi al caso in esame, la Scrivente ritiene che 
i fondi illecitamente percepiti dal G. - da qualificare come obbligazioni creditorie 
dallo stesso assunte - possano ricomprendersi nella lata nozione di �crediti 
assunti per i bisogni della famiglia�, poich� non � dubbio che si tratti di 
fondi percepiti per l�esercizio di una attivit� imprenditoriale, i cui profitti presumibilmente 
sono stati destinati al soddisfacimento dei bisogni familiari. 
Nella specie, poich� in base all�insegnamento della Suprema Corte (5) � 
necessario un accertamento concreto, da constatare caso per caso, volto a verificare 
se l'attivit� che ha generato il debito (fiscale o "ordinario" che sia) non 
risulti voluttuaria o meramente speculativa (6), dovr� accertarsi quali cespiti 
immobiliari compongono il fondo patrimoniale, la natura degli stessi e la loro 
destinazione. 
Fermo restando quanto sovra esposto, si osserva infine che la Cassazione 
con la sentenza n. 15862/2009, pronunciata all�esito di orientamenti non sempre 
convergenti, ha posto un importante punto fermo, chiarendo in ipotesi di 
iscrizione ipotecaria avvenuta a fronte del mancato pagamento, da parte del 
debitore, delle cartelle esattoriali, che �si deve tenere conto della "relazione 
esistente tra gli scopi per cui il debito � stato, in concreto, contratto ed i bisogni 
della famiglia". 
Copiosa giurisprudenza di merito (7) ha ritenuto inoltre che la costitu- 
(5) M. FRANCISETTI BROLIN, Fondo patrimoniale, debito fiscale, onere della prova, in I Contratti, 
2014, 7, IPSOA, p. 722. 
(6) Cfr. Cass., Sez. trib., 7 luglio 2009, n. 15862, e n. 7880/2012, la quale aggiunge che si deve 
tenere conto della "relazione esistente tra gli scopi per cui il debito � stato, in concreto, contratto ed i 
bisogni della famiglia". 
(7) In tal senso si v. C.T.R. Piemonte sent. n. 16/1/11 dep. 31 gennaio 2011, la quale precisa, 
altres�, che "la necessit� eventuale di espletamento di un'azione revocatoria del fondo patrimoniale, costituito 
dopo l'emissione della cartella esattoriale, che si rendesse necessario, a fronte dell'opposizione 
all'esecuzione da parte del debitore, non incide sul diritto ad iscrivere ipoteca, anzi, se mai giustifica il 
ricorso alla cautela per tutelare, nelle more del giudizio, il credito per cui � causa"; C.T.P. Bari sent. 
373/2008, la quale ha statuito che l�ipoteca �ha il preminente interesse funzione di garantire il diritto, 
di credito, preservando i beni del debitore, sui quali � stata iscritta da atti impeditivi della loro suscettibilit� 
a soddisfare le ragioni creditorie: i beni ipotecari non vengono tuttavia sottratti alla disponibilit�
PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 157 
zione del fondo patrimoniale non sia opponibile all�Amministrazione finanziaria, 
la quale � ammessa ad iscrivere ipoteca ex artt. 76 e 77 del D.P.R. 29 
settembre 1973, n. 602 in quanto non trattasi di atto esecutivo bens� di misura 
di natura cautelare alla quale non osta il disposto dell�art. 170 del codice civile 
particolarmente laddove il mero consenso dei coniugi consenta di alienare, 
ipotecare o dare in pegno i beni (8). 
Nello stesso senso la Cassazione (sez. III, n. 5385/2013) ha statuito che 
�l�Agente della riscossione pu� iscrivere ipoteca anche sui beni conferiti in 
un fondo patrimoniale e che spetta al contribuente che intende contestare tale 
iscrizione l�onere di dimostrare che l�ente creditore era a conoscenza del fatto 
che i relativi debiti erano stati contratti per scopi estranei alla famiglia� (9). 
Peraltro, si rileva che la disciplina probatoria (10) in siffatta materia (Cfr. 
Cass. n. 12730/2007, Cass. n. 5684/2006, Cass. n. 11683/2001) appare sfavorevole 
ai titolari del fondo, in quanto la prova dell'estraneit� del debito ai bisogni 
della famiglia spetta al debitore "esistendo una presunzione di inerenza 
dei debiti a detti bisogni" (Cass., 15 marzo 2006, n. 5684) (11). 
In ultimo, con specifico riferimento ai debiti tributari derivanti dall�esercizio 
di attivit� commerciali di uno dei coniugi, anche il Giudice amministrativo, 
nel pronunciarsi su un ricorso avverso gli atti esecutivi (con conseguente 
riconoscimento della giurisdizione), ha ritenuto che la costituzione dell�immobile 
esecutato in fondo patrimoniale non � di ostacolo all�esecuzione immobiliare 
per crediti fatti valere dall�Amministrazione finanziaria �dato che 
i debiti per IRPEF, IVA e tasse varie devono ritenersi, per definizione, inerenti 
del fondo, la cui consistenza non viene intaccata�; T.A.R. Friuli Venezia Giulia sent. 369/2007, il quale, 
pronunciandosi su un ricorso avverso gli atti esecutivi (con conseguente riconoscimento della giurisdizione) 
ha ritenuto che la costituzione dell�immobile esecutato in fondo patrimoniale non sarebbe di ostacolo 
all'esecuzione immobiliare per crediti fatti valere dall'Amministrazione finanziaria "dato che i debiti 
per I.R.P.E.F., I.V.A. e tasse varie devono ritenersi per definizione, inerenti in maniera diretta e immediata 
ai bisogni della famiglia, dato che anche l'attivit� lavorativa ed imprenditoriale da cui il ricorrente 
trae i redditi che hanno dato origine ai vari debiti di imposta, � finalizzata al generale mantenimento 
dello stesso e della sua famiglia"; da ultimo, C.T.P. Vercelli sent. n. 11/04/11 dep. il 14 febbraio 2011, 
ha ritenuto che il debito verso l'erario, non derivando da attivit� voluttuarie o speculative, non possa essere 
ritenuto estraneo ai bisogni della famiglia ed ha posto in capo al contribuente l'onere di provare la 
conoscenza da parte del fisco-creditore dell'estraneit� del credito alle esigenze familiari. 
(8) Sul punto si v. LUCADOMENICI, Il fondo patrimoniale: negozio di protezione dei beni familiari, 
in Notariato, 2011, 5, p. 549 (commento alla normativa). 
(9) Cos�, A. BORGOGLIO, Ipoteca esattoriale e beni del fondo patrimoniale, in Il Fisco, 2013, 12, 
p. 1823. 
(10) Per uno studio approfondito sul tema, si rinvia a A. FERRARI, Fondo patrimoniale e debiti 
erariali o d�impresa, in Famiglia e Diritto, 2011, 3, 301. 
(11) Nello stesso senso si v. Trib. Genova, 26 marzo 2007, in Banca Dati Pluris-Cedam.Utetgiuridica, 
e Corte d�Appello di Genova, 19 agosto 2006, in Banca Dati Pluris-Cedam.Utetgiuridica, la 
quale ha inoltre statuito che "l'appellante non ha fornito alcuna prova in tal senso, limitandosi a sostenere 
in linea generale, che il debito tributario in ogni caso si pone in antitesi con le necessit� della famiglia, 
affermazione che � inidonea ad integrare la prova".
158 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2015 
in maniera diretta e immediata ai bisogni della famiglia, dato che anche l�attivit� 
lavorativa ed imprenditoriale da cui il ricorrente trae i redditi che hanno 
dato origine ai vari debiti di imposta, � finalizzata al generale mantenimento 
dello stesso e della sua famiglia� (TAR Friuli Venezia Giulia, n. 369/2007). 
Il TAR ha anche ritenuto che non sarebbe neanche possibile chiedere all�Amministrazione 
finanziaria di dimostrare che era a conoscenza del fatto che 
il debitore non aveva adempiuto all�obbligazione tributaria �per ragioni estranee 
ai bisogni della famiglia, essendo difficilmente ipotizzabile che un soggetto 
ometta il pagamento delle imposte dovute per motivi voluttuari o intenti speculativi, 
cos� come lo stesso presupposto della debenza di tali imposte (ottenimento 
di determinati redditi e/o espletamento di una data attivit� lavorativa) 
non possono ritenersi motivati da altra ragione che non sia la necessit� di provvedere 
al mantenimento di se stesso e del proprio nucleo familiare� (12). 
In conclusione codesti Uffici, ognuno per la parte di rispettiva competenza, 
dovranno adottare le seguenti azioni. 
a) proporre azione revocatoria contro il fondo patrimoniale; 
b) impugnare la sentenza del tribunale di Larino eccependo la inopponibilit� 
del fondo all�amministrazione per i motivi sopra esposti; 
c) porre in esecuzione tutte le altre sentenze favorevoli, ed in caso di opposizione, 
difenedersi secondo quanto esposto sub b). 
(12) Sul punto, si rinvia a S. CAPOLUPO, Fondo patrimoniale: � sempre inattaccabile dal Fisco?, 
in Il Fisco, 2010, 21 (commento alla normativa).
LEGISLAZIONE ED ATTUALIT� 
Opere pubbliche: il progetto e poi, l�appalto (*) 
� opinione diffusa che la corruzione negli appalti pubblici presenti in Italia 
aspetti sistemici, che portano a riproporre il fenomeno malgrado i ricorrenti 
scandali e l�unanime condanna che li accompagna. Diventa, quindi, utile capire 
quali siano questi problemi strutturali e vedere se esistono percorsi per risolverli. 
Robert McNamara, ministro della difesa ai tempi di J.F. Kennedy, poneva 
come requisito essenziale per realizzare senza sprechi una grande opera 
pubblica tre semplici condizioni: �the money� (i finanziamenti), �the management� 
(la gestione) e �the environmental impact assessment� (l�EIA, che 
corrisponde in Italia alla VIA, la valutazione d�impatto ambientale). Le tre condizioni 
riguardavano tutte il progetto definitivo, la cui esistenza e completezza 
costituiscono una pre-condizione e la base di partenza di ogni iniziativa. 
Il progetto e la direzione dei lavori. 
In questo contesto � noto che le amministrazioni pubbliche italiane, a partire 
dagli anni Ottanta, hanno perso progressivamente, in quasi tutti i settori 
della loro attivit�, la loro tradizionale capacit� tecnica: occorre oggi in qualche 
modo ricostruirla e metterla a disposizione di chi decide. � un�operazione 
lunga e complicata, che tuttavia pu� essere agevolata creando il modo, nel 
medio periodo, di fidelizzare i piccoli e grandi progettisti privati all�amministrazione 
che progetta piuttosto che alle imprese appaltatrici. Il rapporto tra i 
progettisti, anche privati, e i poteri pubblici deve essere diretto e non pu� dipendere 
dall�impresa che realizza l�opera. Il vantaggio dei progettisti sarebbe 
quello di avere maggiore stabilit� e trasparenza negli incarichi e di evitare il 
taglio dei loro onorari usualmente praticato dalle ditte appaltatrici. Per le amministrazioni 
quello di poter contare su un progetto ed una direzione dei lavori 
di pieno affidamento. 
(*) Versione integrale dell�articolo gi� pubblicato su �Il Sole 24 Ore� - 20 apr. 2015.
160 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2015 
L�OICE (l�associazione delle Organizzazioni di Ingegneria e Consulenza 
tecnico economica) nel 2000 - ministro dei Lavori pubblici Nerio Nesi - rifiut� 
questa ipotesi, prevalendo nelle votazioni ditte d�ingegneria collegate alle imprese 
di costruzioni. Da allora il problema non si � pi� posto: il progetto e le 
sue varianti restano il pi� delle volte saldamente in mano alle ditte appaltatrici. 
La separazione tra l�iter, tutto pubblico, del progetto e l�appalto, contratto privatistico 
necessario per realizzarlo, � il primo passo sulla strada della trasparenza 
e dell�efficienza. In altri termini l�attivit� di progettazione va finanziata 
autonomamente, anche a rischio di aspettare qualche anno per mettere i progetti 
in cantiere ... I prefetti in Francia ne hanno i cassetti pieni, pronti all�occorrenza, 
in relazione alla congiuntura economica, a renderli operativi. 
La stabilit� del progetto da mettere a gara. 
Qui la fretta � spesso cattiva consigliera e i dibattiti (e gli studi) preventivi 
non svolti nella fase in cui si elabora un progetto, si trascinano poi, per anni, 
nelle aule giudiziarie davanti ai TAR. L�inchiesta pubblica sul progetto e una 
procedura, anche semplificata, di Valutazione dell�Impatto Ambientale garantiscono 
la ragionevolezza (e probabilmente la non impugnazione) della scelta 
finale. Aspettare autorizzazioni, visti e pareri nella fase in cui l�opera � gi� 
stata appaltata apre un discorso a pi� interlocutori, foriero di tangenti e malaffare, 
che allunga indefinitamente i tempi dell�appalto. Se cՏ un progetto 
approvato ci dovrebbero essere contestualmente anche i permessi. 
I finanziamenti. 
La spesa per le opere pubbliche fa mille passaggi, viene parcellizzata ed 
erogata con il contagocce; tutto ci� non consente una programmazione dei pagamenti 
correlata a un realistico crono programma dei lavori. Le somme stanziate 
dovrebbero tener conto dei tempi nei quali si realizzano e si pagano le 
opere pubbliche e, ragionevolmente, degli eventuali oneri finanziari delle imprese 
appaltatrici. Una buona amministrazione deve tener inoltre conto anche 
delle spese di conservazione e manutenzione, programmando in sede di progetto 
le modalit� di gestione (il management di cui parla McNamara). Una 
serie di accordi con il mondo bancario pu� facilmente fluidificare questa fase, 
nella quale le somme risultano previste e/o vincolate sul bilancio pubblico, 
ma non sono a disposizione di chi deve realizzare l�opera, magari ferma a 
met�.
Va infatti considerato che un�opera pubblica in corso di realizzazione presenta 
una doppia passivit�: per i soldi fino a quel momento spesi e per la circostanza 
che non produce il servizio alla collettivit� che l�opera completa � 
destinata a rendere. La soluzione spesso adottata dei cosiddetti stralci funzionali 
� spesso solo una scusa per coprire un compromesso tra le priorit� politiche 
nella ripartizione dei fondi. I mancati collaudi e le richieste di risarcimento 
da parte degli appaltatori completano lo scenario dei costi aggiuntivi che restano 
a carico dei cittadini.
LEGISLAZIONE ED ATTUALIT� 161 
Resta un�ultima questione, che potremmo definire dell�indotto. 
L�opera pubblica, anche attraverso la sua mera localizzazione, valorizza 
uno spicchio di territorio: si propone un nuovo stadio con gli impianti connessi 
e, con l�occasione, si urbanizza a fini residenziali l�area limitrofa fino a quel 
momento destinata ad area protetta. Questa scelta di urbanizzazione, collaterale 
e secondaria, aderisce all�opera principale e finisce per condizionarla nel 
bene o nel male. Ma qui il problema diviene pi� complesso. Da sempre l�Italia 
� l�unico Paese in Europa a non conoscere una legge generale sul regime dei 
suoli, che renda economicamente neutra la scelta di dove allocare una infrastruttura 
pubblica servente. 
Fare opere pubbliche in un contesto cos� variabile diventa una sorta di 
gioco d�azzardo, spesso connotato da illegittimit� e corruzione. Meglio, almeno 
per questo aspetto, procedere con la regola di fare una cosa alla volta: 
l�opera pubblica. 
G.F.
162 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2015 
Per una lettura costituzionale dell�art. 262 del codice penale 
Federico Casu e Giuseppe Cerrone* 
SOMMARIO: 1. Il Problema - 2. La giurisprudenza costituzionale e di legittimit� - 3. Una 
possibile ipotesi di lavoro - 3.1. (segue) Il potere di dichiarare una notizia non divulgabile ai 
sensi dell�art. 262 del c.p. - 3.2. (segue) Il concetto di Autorit� competente a stabilire il vincolo 
d�indivulgabilit� ex art. 262 del c.p. - 4. Conclusioni. 
1. Il Problema. 
L�art. 262 del codice penale - una volta depurato delle sue disposizioni di 
dettaglio finalizzate ad incidere (1) sui livelli di punibilit� del delitto - contempla 
una condotta incriminatrice molto lineare: esso, infatti, punisce chiunque 
rivela, dolosamente o colposamente, notizie delle quali l�Autorit� 
competente abbia vietato la divulgazione (2). 
La sua struttura pone degli interrogativi sulla soglia di resistenza di una 
fattispecie che, se non adeguatamente �sintonizzata� con i principi dell�ordinamento 
costituzionale, potrebbe prima o poi impattare rovinosamente contro 
l�art. 25 della Costituzione. 
In dottrina, del resto, cՏ gi� chi sostiene che �... l�art. 262 si pone in netto 
contrasto con il principio di stretta legalit�, sotto il duplice profilo della riserva 
di legge e della determinatezza del fatto, nella misura in cui la determinazione 
dell�elemento centrale del precetto � affidata a un provvedimento amministrativo, 
senza la previa indicazione legale di parametri oggettivi stringenti� (3). 
Nessun dubbio, invece, sulla piena aderenza della norma all�ordinamento 
giuridico sussisteva per i primi commentatori del Codice penale che, nell�ottica 
ideologica di uno Stato autoritario, limitava scientemente il principio di legalit� 
di cui all�art. 1 c.p. con una serie di accorgimenti tecnici quali, ad esempio, 
l�utilizzo della responsabilit� oggettiva quale criterio d�imputazione della responsabilit� 
penale o la previsione di norme caratterizzate da fatti tipici a 
�basso tasso di specificazione�. 
�, in proposito, interessante rileggere le osservazioni di un Commentario 
Teorico-Pratico del 1930 riferite al combinato disposto degli artt. 256 terzo 
comma c.p. (4) e 262 primo comma c.p. (5) e ai due concetti di �notizie di vietata 
(*) Viceprefetti Aggiunti in servizio presso gli Uffici centrali del Ministero dell�Interno. 
(1) Ora facendo leva sulle circostanze aggravanti ed ora sulla specificit� o meno dell�elemento 
soggettivo. 
(2) In disparte il IV comma in base al quale �Le pene stabilite nelle disposizioni precedenti si applicano 
anche a chi ottiene la notizia�. 
(3) FIORELLA A., Questioni fondamentali della parte speciale del diritto penale, Ristampa agg. al 
30 settembre 2013, Giappichelli, Torino, p. 500. Si veda sul punto anche FIANDACA G. - ENZO M., Diritto 
Penale - Parte Speciale Vol. I, pp. 76-77, Zanichelli, Bologna, 2001. 
LEGISLAZIONE ED ATTUALIT� 163 
divulgazione� e di �divieto di divulgazione� disposto dall�Autorit� competente. 
Tali notizie, osservano gli autori (6), �... non costituiscono l�oggetto di segreti 
militari, nello stretto significato di quest�espressione, n� costituiscono segreti 
di Stato. Si tratta, tuttavia, di notizie rispetto alle quali l�Autorit� 
competente abbia fatto divieto di divulgazione, in considerazione di speciali 
esigenze dello Stato, ossia sempre nell�interesse dello Stato. Ci� risulta dal collocamento 
della disposizione tra quelle concernenti i delitti contro la personalit� 
dello Stato. La legge non indica gli specifici interessi a cui la notizia si 
riferisce, perch� qualsiasi interesse dello Stato ... ha giuridica rilevanza � (7). 
Sul divieto di divulgazione si precisava che mentre �� il Progetto del 1927 
parlava di <<notizie, di cui il Governo, nell�interesse dello Stato, ha vietato 
la divulgazione>>, il codice usa l�espressione <<notizie di cui l�Autorit� competente 
ha vietato la divulgazione>>. Di solito, quindi, il divieto sar� emanato 
dal Governo; ma potr� essere imposto da altre Autorit�, come, per es., dal comandante 
di una piazzaforte, nei limiti delle facolt� che gli sono conferite dalla 
legge. Il divieto dell�Autorit� competente non � necessario che si concreti in 
una delle forme in cui si attua il potere di ordinanza, perch� il divieto pu� essere 
disposto con una circolare o con una comunicazione ufficiale. In questi due ultimi 
casi, per�, poich� il divieto non deriva da una norma giuridica, deve essere 
dimostrato che l�agente abbia avuto notizia del contenuto della circolare o 
della comunicazione ufficiale. Il divieto pu� derivare anche da una diffida fatta 
da un�Autorit� competente a una persona, nel senso di non divulgare, nell�interesse 
dello Stato, notizie che siano a sua conoscenza�(8). 
Articolato e ampio risultava, inoltre, il concetto di �interesse� meritevole 
di tutela e ci� in funzione della necessit� di assicurare una protezione molto 
forte al bene giuridico della sovranit� statale interna ed esterna: �I beni o interessi 
politici dello Stato sono ... interni o costituzionali, ovvero esterni o internazionali, 
secondo che lo Stato viene riguardato nei rapporti interni, ovvero 
nei rapporti esterni o internazionali. I beni o interessi politici interni o costituzionali 
attengono all�esistenza, all�organizzazione costituzionale dello Stato 
e all�attivit� degli organi costituzionali dello Stato stesso e perci� alla perso- 
(4) �Se si tratta di notizie di cui l�Autorit� competente ha vietato la divulgazione, la pena � della 
reclusione da due a otto anni�. 
(5) �Chiunque rivela notizie, delle quali l�Autorit� competente ha vietato la divulgazione, � punito 
con la reclusione non inferiore a tre anni�. 
(6) Si trattava di Carlo Saltelli, Sostituto Procuratore Generale della Corte di Cassazione e Segretario 
della Commissione ministeriale per la riforma del Codice penale, e di Enrico Romano - Di Falco, 
Consigliere di Corte d�Appello, libero docente di Diritto penale e Segretario della citata Commissione 
ministeriale. 
(7) SALTELLI C. - ROMANO-DI FALCO E., Commento Teorico-Pratico del Nuovo Codice Penale, 
con prefazione del Guardasigilli Alfredo Rocco, Vol. II-Parte prima (artt. 241-498), 1930, Regia Tipo- 
Litografia delle Mantellate, Roma, pagg. 67-68. 
(8) SALTELLI C. - ROMANO-DI FALCO E., op. cit., pagg. 68-69. 
164 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2015 
nalit�, alla sovranit� e al governo dello Stato; i beni o interessi politici esterni 
o internazionali attengono all�esistenza dello Stato, alla sua organizzazione 
internazionale e all�attivit� dei suoi organi internazionali��(9). 
Tuttavia, a distanza di pi� di 80 anni dall�entrata in vigore del Codice 
Rocco il senso e la portata applicativa dell�art. 262 c.p. non sono pi� cos� scontati 
come negli anni �30, nel senso che il concetto di �interesse� dello Stato 
meritevole di tutela penale, che ora come allora presenta un ampio spettro di 
significati, non pu� fungere da unico parametro di riferimento per una decisione 
amministrativa di non divulgabilit� di una data notizia. 
Mutato il quadro prospettico, si pone la necessit�, alla luce dei principi 
costituzionali di tipicit�, tassativit� e determinatezza della fattispecie incriminatrice 
(10), di individuare le norme che, ad ordinamento vigente, circoscrivano 
il potere discrezionale dell�Autorit� di stabilire quando una notizia debba 
o meno ritenersi protetta ai sensi dell�art. 262 del c.p. 
E a ci� va, inoltre, aggiunta la questione di comprendere cosa debba intendersi 
per �Autorit� competente� e quale sia la forma del provvedimento 
recante il vincolo di indivulgabilit�. 
2. La giurisprudenza costituzionale e di legittimit�. 
Non pienamente soddisfacenti, in questo senso, risultano gli arresti della 
Corte costituzionale e della Corte di Cassazione che pure sono intervenute 
sulla tematica. 
Ancora oggi gli assunti esegetici di matrice giurisprudenziale relativi alla 
norma in esame sono riconducibili a Cass. Pen., I Sez., n. 3348 del 29 gennaio 
2002 e a Corte Costituzionale n. 295 del 28 giugno 2002 (11). 
I Giudici della Consulta hanno sostenuto, sulla scorta dell�orientamento 
assunto dalla Corte di Cassazione con la citata sentenza n. 3348/2002, la legittimit� 
costituzionale dell�art. 292 che non configurerebbe un�ipotesi di 
norma penale in bianco. 
Al contrario, la disposizione presenterebbe una �... sufficiente specificazione 
dei presupposti, del carattere, del contenuto e dei limiti dell�atto di natura 
amministrativa che impone il divieto assistito da sanzione penale...�. 
Pi� nel dettaglio, ad avviso della Corte costituzionale � condivisibile quanto 
affermato dalla Corte di Cassazione circa il fatto che le notizie di vietata divulgazione 
�... costituiscono categoria omogenea, sul piano dei requisiti oggettivi 
di pertinenza e di idoneit� offensiva, rispetto a quella delle notizie sottoposte a 
segreto di Stato. Facendo leva sul collegamento storico-sistematico riscontrabile 
(9) SALTELLI C. - ROMANO-DI FALCO E., op. cit., pag. 8. 
(10) Cfr. BRICOLA M., Commento all�art. 25, 2� e 3� comma, della Costituzione, in Commentario 
della Costituzione - Rapporti civili (art. 24-26), Zanichelli, Bologna, 1981, pagg. 227-316. 
(11) � la data di deposito della sentenza. La data della decisione � il 19 giugno 2002.
LEGISLAZIONE ED ATTUALIT� 165 
tra le due categorie di notizie� il giudice di legittimit� ha affermato� non soltanto 
che le notizie riservate debbono inerire ai medesimi interessi che, a mente 
dell�art. 12 della legge n. 801 del 1977 (12), giustificano il segreto di Stato; ma 
altres� che la loro diffusione deve risultare idonea - al pari di quanto avviene 
per le notizie sottoposte a segreto di Stato, in forza della norma definitoria da 
ultimo citata - a recare un concreto pregiudizio ai predetti interessi�� (13). 
Secondo questa ricostruzione, dunque, il perno intorno a cui ruoterebbe l�applicazione 
dell�art. 262 c.p. sarebbe costituito dal concetto di �interesse o ragion 
di Stato� (14) che, al tempo di quelle pronunce, rinveniva ancora il proprio ambito 
definitorio nell�art. 12 della legge 801 del 1977 (15) in base al quale: �Sono 
coperti dal segreto di Stato gli atti, i documenti, le notizie, le attivit� e ogni altra 
cosa la cui diffusione sia idonea a recar danno alla integrit� dello Stato democratico, 
anche in relazione ad accordi internazionali, alla difesa delle istituzioni 
poste dalla Costituzione a suo fondamento, al libero esercizio delle funzioni degli 
organi costituzionali, alla indipendenza dello Stato rispetto agli altri Stati e alle 
relazioni con essi, alla preparazione e alla difesa militare dello Stato��. 
Semplificando il percorso argomentativo della Corte costituzionale, ogni 
notizia in grado di ledere gli interessi dello Stato in misura non cos� incisiva da 
meritare la sua copertura attraverso l�apposizione del �segreto di Stato�, ma 
comunque meritevole di tutela mediante il vincolo d�indivulgabilit�, discrezionalmente 
stabilito da una data Autorit�, sarebbe tutelato ai sensi dell�art. 262. 
Essendo tuttavia molto lata la definizione di �interesse� dello Stato, non 
specificando granch� l�abrogato art. 12 della legge 801 del 1977 rispetto ai 
confini a suo tempo tracciati dai primi commentatori del Codice penale, altrettanto 
ampia risulta la discrezionalit� nell�ambito della quale l��Autorit� 
competente� pu� decidere il vincolo d�indivulgabilit�. 
Certo, l�art. 12 delimitava il concetto di Stato tramite l�aggettivo �democratico�, 
nel senso che con l�avvento della Repubblica anche lo Stato mutava 
le sue caratteristiche costituzionali, ma nulla di pi� aggiungeva alla definizione 
del concetto d�interesse di Stato che il Commentario Teorico-Pratico del 1930, 
voce ufficiale di chi materialmente aveva partecipato alla redazione del Codice, 
sostanzialmente riconduceva a tutto ci� che poteva in qualche modo entrare 
nell�orbita della personalit� interna ed internazionale dello Stato. 
(12) Oggi abrogata e sostituita dalla legge 124/2007. 
(13) Detta argomentazione � stata ripresa e condivisa anche da Cass. Pen, I Sez., n. 47224 del 28 
novembre 2013. 
(14) Concetto politico-giuridico oggetto di particolare attenzione da parte degli studiosi rinascimentali, 
la �Ragion di Stato� fu anche il titolo di una fortunata opera di Giovanni Botero (1544-1617). 
Il libro ebbe un posto di rilevo nell�ambito degli studi sulla storia del pensiero politico condotti, dalla 
met� del XIX secolo, da intellettuali di rilievo quali Burckhardt e Meinecke: cfr. BOTERO G., La ragion 
di Stato, Donzelli, Roma, 2009. 
(15) Recante �Istituzione e ordinamento dei servizi per le informazioni e la sicurezza e disciplina 
del segreto di Stato�.
166 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2015 
Affermazione questa suffragata dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione 
che, nel tentativo di definire il bene giuridico tutelato dagli articoli 
256 c.p. (16) e 261 c.p. (17), adotta la generica espressione di �interesse relativo 
alla personalit� internazionale o interna dello Stato�, ovvero tutto ci� 
che attiene alla sicurezza o ad un altro interesse politico interno o internazionale 
dello Stato (18). 
Del resto e sempre con riferimento all�art. 12 della legge 801 del 1977, 
se l�aggettivo �democratico� individuava, a livello costituzionale, una determinata 
forma di Stato, la congiunzione �anche� rimandava ad una serie indefinita 
di ipotesi cui connettere l�interesse all�integrit� statale. 
Troppo poco, comunque, per assicurare una tenuta costituzionale di lungo 
periodo dell�art. 262 c.p. e ci�, soprattutto, per l�assenza di parametri normativi 
volti sia a delimitare la discrezionalit� nella decisione sul vincolo d�indivulgabilit�, 
sia a chiarire cosa debba intendersi per �Autorit� competente�. 
Perplessit� che, probabilmente, sussistevano anche nei pensieri dei Giudici 
della Consulta che, proprio nella sentenza 295 del 2002, ritennero auspicabile 
che il legislatore si facesse carico �... dell�esigenza di una revisione 
complessiva della materia in esame: esigenza avvertita, per vero, gi� all�epoca 
dell�emanazione della legge n. 801 del 1977, il cui art. 18 assegnava carattere 
di �transitoriet�� al regime delineato dal titolo I del libro II del codice penale, 
in vista dell�emanazione di una �nuova legge organica relativa alla materia 
del segreto ��. 
3. Una possibile ipotesi di lavoro. 
Una revisione complessiva non gi� del titolo primo del libro secondo del 
Codice penale, ma della disciplina del segreto di Stato � alla fine arrivata con 
la legge 3 agosto 2007 n. 124 (19) cui vanno affiancati, ai fini del presente lavoro, 
due provvedimenti normativi di attuazione: il d.P.C.M. 12 giugno 2009, 
n. 7/2009 (20) e il d.P.C.M. 22 luglio 2011 (21). 
A fronte delle novit� ordinamentali della legge 124 del 2007 e dei connessi 
provvedimenti attuativi ed integrativi, risultano invero percorribili due 
strade: mantenere inalterato il percorso logico-argomentativo della sentenza 
(16) Rubricato �Procacciamento di notizie concernenti la sicurezza dello Stato�. 
(17) Rubricato �Rivelazione di Segreti di Stato�. 
(18) Cass. Pen., n. 8018 del 12 settembre 1985. 
(19) Recante �Sistema di informazione per la sicurezza della Repubblica e nuova disciplina del 
segreto�. 
(20) Recante �Determinazione dell�ambito dei singoli livelli di segretezza, dei soggetti con potere 
di classifica, dei criteri d�individuazione delle materie oggetto di classifica, nonch� dei modi di accesso 
nei luoghi militari o definiti di interesse per la sicurezza della Repubblica (Decreto 7/2009)�. 
(21) Recante �Disposizioni per la tutela amministrativa del segreto di Stato e delle informazioni 
classificate�. Per un�analisi delle novit� ordinamentali introdotte dalla presente legge cfr. ILLUMINATI 
G. ed altri, Nuovi profili del segreto di Stato e dell�attivit� di intelligence, Giappichelli, Torino, 2010. 
LEGISLAZIONE ED ATTUALIT� 167 
della Consulta n. 295 del 2002 oppure rinvenire parametri normativi utili per 
tipizzare e specificare ulteriormente il fatto tipico del 262. 
La prima soluzione sarebbe basata sulla semplice sostituzione del richiamo, 
contenuto nella sentenza n. 295/2002, all�art. 12 dell�abrogata legge 801 del 
1977 con l�art. 39 della legge 127 del 2007, secondo cui �Sono coperti dal segreto 
di Stato gli atti, i documenti, le notizie, le attivit� e ogni altra cosa la cui 
diffusione sia idonea a recare danno all�integrit� della Repubblica, anche in relazione 
ad accordi internazionali, alla difesa delle istituzioni poste dalla Costituzione 
a suo fondamento, all�indipendenza dello Stato rispetto agli altri Stati 
e alle relazioni con essi, alla preparazione e alla difesa militare dello Stato��. 
Cos� facendo, per�, le questioni sistematiche brevemente esposte nel precedente 
paragrafo potrebbero non trovare risposta. 
Ed infatti, l�art. 39, riproponendo lo schema dell�art. 12 della legge 801 
del 1977, non solamente non risolve il problema della delimitazione del concetto 
di �interesse� dello Stato, ma non offre alcun parametro per circoscrivere 
l�ambito di operabilit� dell�art. 262 c.p., sia per quanto riguarda i confini della 
discrezionalit� entro cui esercitare il potere d�indivulgabilit�, sia in riferimento 
all�individuazione dell��Autorit� competente� ad apporre il vincolo. 
A quest�ultimo riguardo, l�art. 39 potrebbe paradossalmente rendere ancora 
pi� indeterminata la fattispecie incriminatrice e ci� in ragione della riforma 
del titolo V della seconda parte della Costituzione e, pi� nello specifico, 
dell�art. 114 della Cost., che ha determinato un�espressa scissione fra il concetto 
di Repubblica e quello di Stato (22). 
Se, in altri termini, la Repubblica � ora l�architettura giuridica entro cui 
Comuni, Province, Citt� metropolitane, Regioni e Stato concorrono - nel rispetto 
dei ruoli loro assegnati dall�ordinamento - alle politiche pubbliche di 
tutela e sviluppo delle rispettive comunit�, ovvero si configura come un insieme 
di istituzioni tutte parimenti costitutive dell�ordinamento repubblicano, 
ne deriva che le stesse potrebbero a pieno titolo risultare coinvolte nella difesa 
dell�integrit� della Repubblica ai sensi dell�art. 39 della legge 124 del 2007: 
ci�, ovviamente, a meno di interpretare il termine �Repubblica� ex art. 39 in 
chiave non costituzionale, limitandolo al significato di Stato repubblicano. 
Ma se cos� non fosse o non fosse possibile, se per �Repubblica� dovesse 
viceversa intendersi l�insieme dei suoi elementi costitutivi, questo significherebbe, 
in teoria, che anche un Comune o una Regione potrebbero, in talune 
(22) Cfr., CRISAFULLI V. - PALADIN L., Commentario breve alla Costituzione, vers. aggiornata ad 
opera di Bartole S. e Bin R., II ed., CEDAM, Padova, 2008, pp. 5-6, 50, 1037-1039. La questione era 
comunque oggetto di dibattito sotto la vigenza del precedente testo Costituzionale: per una ricostruzione 
delle posizioni cfr. MORTATI C., Commento all�art. 1 della Costituzione, in Commentario della Costituzione 
� Principi fondamentali (art. 1-12), Zanichelli, Bologna, 1982,1-9 e BERTI G., Commento all�art. 
5 della Costituzione, in Commentario della Costituzione - Principi fondamentali (art. 1-12), Zanichelli, 
Bologna, 1982, 277-286.
168 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2015 
circostanze, reputare, in veste di �Autorit� competente� ai sensi dell�art. 262 
c.p., di determinarsi nel senso di apporre un vincolo d�indivulgabilit�. 
Tanto pi� se si considera il fatto che i Comuni, oltre ad assicurare le esigenze 
delle rispettive popolazioni, sono tradizionalmente titolari di funzioni 
tipicamente statali (anagrafe, stato civile, elettorale etc.) o che le Regioni - secondo 
la nuova formulazione dell�art. 117 della Cost. - risultano coinvolte, 
nelle materie di loro competenza e �... nel rispetto delle norme di procedura 
stabilite da legge dello Stato��, nel processo di attuazione ed esecuzione di 
accordi internazionali e degli atti dell�Unione europea; proprio quegli accordi 
internazionali che, ai sensi dell�art. 39 della legge 124 del 2007, potrebbero 
sottendere un interesse a tutelare l�integrit� della Repubblica. 
Peraltro, un�applicazione dell�art. 262 c.p. basata su una semplice dichiarazione, 
ampiamente discrezionale, circa la non divulgabilit� di una notizia, 
potrebbe, nei fatti, comprimere, invadendone la relativa sfera d�azione, il delitto 
di rivelazione ed utilizzazione di segreti di ufficio ex art. 326 c.p. 
Eppure - e questa � l�altra via percorribile - ad ordinamento vigente � possibile 
individuare un percorso esegetico che consenta di ri-allineare l�art. 262 
c.p. con l�art. 25 della Costituzione all�insegna di una maggiore specificazione 
della discrezionalit� governante l�esercizio del potere di vietata divulgazione 
e del concetto di �Autorit� competente� all�apposizione del relativo vincolo. 
3.1. (segue) Il potere di dichiarare una notizia non divulgabile ai sensi dell�art. 
262 del c.p. 
La legge 124 del 2007 distingue, rispettivamente agli articoli 39 e 42, due 
categorie omogenee di notizie: 
- le notizie coperte dal Segreto di Stato ai sensi del sopra citato art. 39: il 
vincolo � apposto e, ove possibile, annotato su espressa disposizione del Presidente 
del Consiglio dei Ministri sugli atti, documenti o cose che ne sono oggetto, 
anche se acquisiti all�estero; 
- le notizie coperte dalle seguenti classifiche di segretezza: segretissimo, 
segreto, riservatissimo e riservato (art. 42). 
In base all�art. 19 del d.P.C.M. 22 luglio 2011, le citate classifiche assicurano 
la tutela amministrativa di informazioni la cui diffusione sia idonea a 
recare un pregiudizio agli interessi della Repubblica e sono attribuite per le 
finalit� e secondo i criteri stabiliti dall�art. 4 del d.P.C.M. n. 7 del 12 giugno 
2009 secondo cui: 
a) la classifica di segretissimo � attribuita a informazioni, documenti, 
atti, attivit� o cose la cui diffusione non autorizzata sia idonea ad arrecare un 
danno eccezionalmente grave agli interessi essenziali della Repubblica; 
b) la classifica di segreto � attribuita a informazioni, documenti, atti, attivit� 
o cose la cui diffusione non autorizzata sia idonea ad arrecare un danno 
grave agli interessi essenziali della Repubblica;
LEGISLAZIONE ED ATTUALIT� 169 
c) la classifica di riservatissimo � attribuita a informazioni, documenti, 
atti, attivit� o cose la cui diffusione non autorizzata sia idonea ad arrecare un 
danno agli interessi essenziali della Repubblica; 
d) la classifica di riservato � attribuita a informazioni, documenti, atti, 
attivit� o cose la cui diffusione non autorizzata sia idonea ad arrecare un danno 
lieve agli interessi essenziali della Repubblica. 
Inoltre, ai sensi del comma 6 dell�art. 4 del d.P.C.M. n. 7/2009, le tabelle 
A, B, C e D �... allegate al presente regolamento individuano l�ambito dei 
singoli livelli di classifica, i soggetti cui � conferito il potere di classifica e le 
materie che possono essere oggetto di classifica, tra le quali quelle elencate 
nella colonna 3 delle tabelle stesse�: ad esempio, la colonna 3 della tabella 
A, riguardante le notizie classificate segretissimo, individua fra le varie informazioni 
quelle concernenti interessi nazionali di natura politica, economica, 
finanziaria, industriale, scientifica, tecnologica, sanitaria e di tutela ambientale; 
la tutela della sovranit� popolare, dell�unit� e dell�indivisibilit� della Repubblica; 
la tutela da qualsiasi forma di eversione o di terrorismo etc. 
Proseguendo, si potrebbe, dunque, sostenere che le notizie coperte da segreto 
di Stato e quelle oggetto di classifica di segretezza siano tutelate, rispettivamente, 
dall�art. 261 del c.p. e dall�art. 262 c.p. 
Con riferimento a quest�ultima disposizione, l�Autorit� competente potr� 
stabilire il vincolo d�indivulgabilit� della notizia solamente apponendo sul documento 
(23) la dicitura corrispondente ad una delle quattro classifiche sopra 
citate; il che significa anche che solamente quando il documento � classificato 
con una delle quattro classifiche di cui all�art. 42 della legge 124 del 2007 
esso potr� dirsi penalmente tutelato ex art. 262 c.p. 
Secondo questa ipotesi d�analisi, dunque, l�apposizione sul documento 
d�interesse o su un atto separato di una semplice dichiarazione recante un divieto 
di divulgazione, non associata a nessuna delle quattro citate classifiche 
di segretezza, non sarebbe sufficiente a consentire l�integrazione della fattispecie 
incriminatrice in esame; ma per garantire una piena applicabilit� della 
norma sarebbe altres� necessario che alla dicitura, apposta sul documento, corrispondente 
ad una delle classifiche (24) sia associata anche la dichiarazione 
del vincolo d�indivulgabilit� ex art. 262 c.p. e ci� per evitare che l�imputato 
possa far leva sull�ignoranza inevitabile del precetto. 
Come noto, infatti, la giurisprudenza ha oramai chiarito come l�ignoranza 
(23) La classifica potr� riguardare anche attivit� o cose, ma il caso pi� frequente � quello di documenti. 
(24) L�adempimento �, tra l�altro, espressamente richiesto dalla normativa di settore. L�art. 19, 
quarto comma, del d.P.C.M. 22 luglio 2011, stabilisce, infatti, che ��la data di classificazione di un�informazione 
deve essere annotata sull�informazione stessa, contestualmente all�apposizione della classifica, 
mediante dicitura �classificato � dal �� opportunamente compilata...�: es. �classificato 
RISERVATO (o RISERVATISSIMO) dal��.
170 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2015 
del precetto penale possa assumere rilevanza o come ignoranza della legge 
extrapenale ex art. 47, comma 3, c.p. (25) o come ignoranza inevitabile della 
norma penale ai sensi dell�art. 5 c.p. (26), cos� come modificato dalla sentenza 
n. 364 della Corte costituzionale (27): 
�In ordine all'art. 47 c.p., comma 3� la giurisprudenza� distingue, fra norme extrapenali 
integratrici del precetto che, essendo in esso incorporate, sono da considerarsi legge penale, 
per cui l'errore su di esse non scusa, ai sensi dell'art. 5 c.p.; e norme extrapenali non integratrici 
del precetto, ossia disposizioni destinate in origine a regolare rapporti giuridici di carattere 
non penale, non richiamate, neppure implicitamente, dalla norma penale. L'errore che cade 
su di esse esclude il dolo, generando un errore sul fatto, a norma dell'art. 47 c.p., comma 3 
(ex plurimis, Cass., Sez. 5, 20 febbraio 2001, Martini, Cass. pen. 2002, 3872; Cass., Sez. 6, 
18 novembre 1998, Benanti, Cass. pen. 2000, 2636). Orbene, anche a voler qualificare la L. 
n. 646 del 1982, art. 30 come norma extrapenale, appare difficile sostenere che essa non integri 
il precetto di cui all'art. 31, L. cit. che non solo la richiama espressamente ma si configura 
come una norma esclusivamente sanzionatoria della violazione del precetto di cui all'art. 30. 
Di talch� anzi la fattispecie incriminatrice risulta dal combinato disposto delle due norme: 
l'art. 30, norma precettiva, e l'art. 31, norma sanzionatoria. L'ignoranza del disposto dell'art. 
30 si traduce quindi in ignoranza di legge penale, che ricade sotto il disposto dell'art. 5 c.p. 
Rimane da verificare se non sia ravvisabile ignoranza inevitabile della legge penale. Prospettazione 
che occorre sempre riguardare con cautela, nella vastissima area dei mala quia prohibita. 
Orbene, al riguardo, la giurisprudenza, come � noto, sulla scia della citata pronuncia della 
Corte costituzionale, ha elaborato tre criteri: il criterio oggettivo; il criterio soggettivo; il criterio 
misto. Il criterio oggettivo � basato su una marcata spersonalizzazione, nel senso che 
esso opera laddove debba ritenersi che qualsiasi consociato, in una determinata situazione di 
tempo, di luogo ed operativa, sarebbe incappato nell'ignoranza o nell'errore sulla norma penale. 
Ci� pu� dipendere dall'oscurit� o dalla contraddittoriet� del testo legislativo; da un generalizzato 
caos interpretativo; dall'assoluta estraneit� del suo contento precettivo ai valori 
correnti nella societ� (Cass. Pen., VI Sez., n. 33590 del 3 settembre 2013 (ud. 15 giugno 
2012) �. 
Alla luce del quadro giurisprudenziale sopra descritto, essendo gli artt. 
42 della legge 124 del 2007, 19 del d.P.C.M. 22 luglio 2011 e 4 del d.P.C.M. 
n. 7/2009 norme extrapenali non integratrici del precetto di cui all�art. 262 del 
c.p. - �... ossia disposizioni destinate in origine a regolare rapporti giuridici 
di carattere non penale, non richiamate, neppure implicitamente, dalla norma 
penale ...� (28) - la loro, ancorch� indiretta, conoscenza da parte dell�agente 
risulta indispensabile ai fini dell�integrazione dell�elemento soggettivo; ci� 
essendo possibile solamente con l�avvertimento espresso, apposto sul docu- 
(25) �L�errore su una legge diversa dalla legge penale esclude la punibilit�, quando ha cagionato 
un errore sul fatto che costituisce reato�. 
(26) �Nessuno pu� invocare a propria scusa l�ignoranza della legge penale�. 
(27) Cfr. altres� Cass. Pen. SS.UU., n. 8154 del 10 giugno 1994. 
(28) Cass. Pen., VI Sez., n. 33590 del 3 settembre 2013.
LEGISLAZIONE ED ATTUALIT� 171 
mento, che la divulgazione di notizie ad esempio classificate �riservato� o �segreto� 
determinerebbe una responsabilit� ex art. 262 c.p. 
Come gi� osservato, la tesi che si propone sostiene che: 
- mentre l�art. 261 del c.p. punisce la rivelazione di segreti di Stato, l�art. 
262 c.p. sanziona la rivelazione di notizie classificate, ai sensi della normativa 
vigente, �riservato�, �riservatissimo�, �segreto� e �segretissimo�; 
- l�aggancio del 262 c.p. alla legge 124 del 2007 e ai conseguenti provvedimenti 
normativi attuativi e/o integrativi consente, ai fini del rispetto dell�art. 
25 secondo comma della Costituzione, di circoscrivere le ipotesi per le 
quali possa essere stabilito un divieto di divulgazione e i criteri secondo cui le 
quattro classifiche di segretezza possano essere apposte; 
- le notizie coperte da classifica di segretezza costituiscono - per usare le parole 
della Corte costituzionale (sent. 295 del 2002) - una �... categoria omogenea, 
sul piano dei requisiti oggettivi di pertinenza e di idoneit� offensiva, rispetto a 
quella delle notizie sottoposte a segreto di Stato� al cui interno la distinzione � 
basata sull�importanza delle informazioni e sulla gravit� del danno agli interessi 
essenziali della Repubblica, che una loro divulgazione potrebbe determinare. 
Taluni potrebbero, tuttavia, sostenere che solamente le notizie classificate 
�riservato� o �riservatissimo� possano, al limite, essere riconducibili all�art. 
262 c.p., ma non gi� quelle classificate �segreto� e �segretissimo� che, al pari 
delle notizie coperte dal segreto di Stato, sarebbero tutelate dal pi� grave delitto 
di cui all�art. 261 c.p. 
Ci� in forza di un�argomentazione in base alla quale l�art. 261, bench� 
rubricato �rivelazione di segreti di Stato�, punirebbe la rivelazione delle notizie 
di �carattere segreto� indicate nell�art. 256; disposizione che prevede il delitto 
di �Procacciamento di notizie concernenti la sicurezza dello Stato�, ovvero di 
chi si �... procura notizie che, nell�interesse della sicurezza dello Stato, o comunque 
nell�interesse politico, interno o internazionale, dello Stato, debbono 
rimanere segrete�. 
In altri termini, il Codice Penale, che all�epoca in cui fu scritto non stabiliva 
certo nette demarcazioni fra notizie coperte da segreto di Stato o altrimenti 
segrete o riservate, contemplerebbe due categorie di notizie: quelle lato 
sensu segrete, in cui includere le ipotesi di segreto di Stato ex art. 39 della 
legge 124 del 2007 e le informazioni classificate �segreto� e �segretissimo� 
ai sensi dell�art. 42 della legge 124 del 2007, e quelle comunque riservate e 
quindi non divulgabili, ovvero classificate �riservato� o �riservatissimo�. 
�, tuttavia, possibile contro argomentare che il Codice prevede una serie 
di disposizioni - gli artt. 256 (29), 257 (30), 258 (31), 261 (32) e 262 (33) - in 
cui emerge la presenza di due categorie omogenee, ma distinte, di notizie: 
(29) Procacciamento di notizie concernenti la sicurezza dello Stato: che punisce chiunque si procura 
sia notizie segrete, sia notizie di cui l�Autorit� competente ha vietato la divulgazione. 
172 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2015 
quelle appunto coperte da segreto di Stato e quelle altrimenti classificate e 
dunque di vietata divulgazione. 
Vero � che la suddetta distinzione risulta evidente nel binomio degli artt. 261- 
262, meno in quello costituito dagli artt. 257-258 e meno ancora nell�art. 256. 
Vero, altres�, che quest�ultima disposizione, cui il 261 fa rinvio per la 
definizione delle notizie coperte da segreto di Stato, utilizza in rubrica la pi� 
generica espressione di �notizie concernenti la sicurezza dello Stato� e che 
nel testo non reca l�espressione �segreto di Stato�, ma solamente quella di 
�notizie segrete�. 
La formulazione della rubrica �, tuttavia, volutamente generica poich� il 
corpo dell�articolo contempla le due ipotesi che gli articoli 258-259 e 261-262 
viceversa distinguono in maniera netta, ovvero da una parte la compromissione 
di notizie �segrete� e dall�altra quella di notizie �di cui l�Autorit� competente 
ha vietato la divulgazione�. 
Del resto, ricondurre le notizie classificate �segretissimo� e �segreto� all�art. 
261, al pari di quelle coperte dal �segreto di Stato�, solamente sulla base 
di un�analisi letterale dei testi normativi, significherebbe scardinare l�omogeneit� 
delle quattro classifiche di segretezza, senza considerare che una simile 
operazione determinerebbe, tra l�altro, conseguenze sul piano sanzionatorio 
(34) e, in ragione di ci�, problemi di sostenibilit� dell�art. 261 sotto il profilo 
del principio costituzionale di ragionevolezza. 
3.2. (segue) Il concetto di Autorit� competente a stabilire il vincolo d�indivulgabilit� 
ex art. 262 del c.p. 
Il potere di stabilire quando una notizia sia da classificare �segretissimo�, 
�segreto�, �riservatissimo� e �riservato� � riconducibile ad una serie circoscritta 
di Enti, pubblici o privati, facenti parte dell�Organizzazione nazionale 
per la sicurezza. 
Tale Organizzazione, ai sensi dell�art. 5 del d.P.C.M. 22 luglio 2011, � 
costituita dall�Organo nazionale di sicurezza, che fa capo al Dipartimento per 
le Informazioni della Sicurezza presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, 
dall�Ufficio centrale per la Segretezza istituito nell�ambito del citato Diparti- 
(30) Spionaggio politico-militare: che punisce chi si procura, a scopo di spionaggio politico-militare, 
notizie segrete. 
(31) Spionaggio di notizie di cui � stata vietata la divulgazione: che punisce chiunque si procura, 
a scopo di spionaggio politico-militare, notizie di cui l�Autorit� competente ha vietato la divulgazione. 
(32) Rivelazione di segreti di Stato: che, come gi� precisato, punisce chiunque rivela notizie segrete, 
che la rubrica meglio qualifica �segreti di Stato�. 
(33) Rivelazione di notizie di cui � stata vietata la divulgazione: che, come gi� precisato, punisce 
chiunque rivela notizie di cui l�Autorit� competente ha vietato la divulgazione. 
(34) Le pene stabilite dal 261 sono ovviamente pi� severe di quelle del 262: l�ambito di applicabilit� 
della normativa potrebbe, ad esempio, riguardare la diffusione a mezzo stampa di notizie classificate 
�segreto� o �segretissimo� di cui un giornalista sia venuto in possesso. 
LEGISLAZIONE ED ATTUALIT� 173 
mento, dagli Organi centrali di sicurezza e dagli Organi periferici di sicurezza, 
prevalentemente facenti capo alle compagini ministeriali (35), e dagli organi 
di sicurezza presso gli operatori economici (36). 
Il gi� citato d.P.C.M. 12 giugno 2009, n. 7 stabilisce per ogni tipo di classifica 
non solamente la corrispondente tipologia di informazione potenzialmente 
tutelabile, ma anche l�Autorit� competente all�apposizione della stessa. 
Tanto basta perch� il concetto di �Autorit� competente� di cui all�art. 262 
c.p. sia determinato in modo sufficientemente accettabile rispetto al principio 
di legalit� di cui all�art. 25 della Costituzione. 
4. Conclusioni. 
Le presenti considerazioni fanno breccia su un terreno d�analisi vastissimo 
e complesso che � costituito dal Sistema di informazione per la sicurezza 
della Repubblica, cos� come ridefinito dalla legge 124 del 2007. 
Molte questioni restano inesplorate anche nel piccolo spazio ritagliato da 
queste pagine. Si pensi, ad esempio, al fatto che, nonostante le considerazioni 
di cui sopra, la cautela di apporre una classifica di segretezza su un documento, 
magari accompagnata dalla dichiarazione d�indivulgabilit�, non sia comunque 
ex se sufficiente a rendere efficace l�art. 262 c.p., residuando comunque in 
capo al giudice penale il potere di stabilire se la predetta classifica sia stata 
apposta sulla base di una corretta o meno valutazione dell�Autorit� competente: 
la giurisprudenza �, infatti, attestata nel senso che il divieto di divulgazione 
resta soggetto a sindacato di legittimit� da parte del giudice penale, 
segnatamente in rapporto ai requisiti di inerenza contenutistica e di attitudine 
offensiva della notizia che ne costituisce oggetto (37). 
Sarebbe, tra l�altro interessante, scandagliare i profili della legittimit� 
dell�apposizione di una classifica di segretezza anche nell�ambito del diritto 
amministrativo e civile, soprattutto per quanto concerne gli atti e i procedimenti 
secretati inerenti a gare d�appalto della Pubblica Amministrazione. 
Ed ancora, di rilievo potrebbe essere approfondire la natura giuridica 
(pubblica, privata, mista?) di un operatore economico parte dell�Organizza- 
(35) Si pensi, ad esempio, al Ministero dell�interno e alle Prefetture. 
(36) Ai sensi dell�art. 12 del d.P.C.M. 22 luglio 2011 �L�operatore economico abilitato alla trattazione 
delle informazioni classificate, previa autorizzazione dell�Organo nazionale di sicurezza, istituisce 
una propria organizzazione di sicurezza, adeguata alle categorie di informazioni classificate che l�operatore 
economico ha necessit� di trattare, nonch� alle proprie dimensioni o caratteristiche infrastrutturali 
o gestionali�. Si pensi, solo a titolo di esempio, a quelle Societ� - molto spesso a partecipazione pubblica 
o comunque soggette a vigilanza da parte dello Stato - che svolgono attivit� di rilievo strategico come 
quelle volte alla produzione o allo sviluppo di tecnologie suscettibili di impiego civile/militare o alla gestione 
in concessione di infrastrutture stradali, ferroviarie, marittime ed aeree. L�operatore economico 
pu� anche essere un soggetto privato che, ai sensi dell�art. 40 del d.P.C.M. 22 luglio 2011, � abilitato a 
partecipare a gare d�appalto o procedure per l�affidamento di contratti classificati. 
(37) In questo senso anche Corte costituzionale n. 295 del 2002. 
174 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2015 
zione nazionale della sicurezza e delle relative decisioni in merito alla trattazione 
del carteggio classificato, e ci� soprattutto quando detto operatore avesse 
una natura societaria mista o esclusivamente privata. 
Non si �, neppure, analizzata la tematica della tutela delle informazioni 
classificate di altri Stati o di Organizzazioni internazionali, ad esempio riconducibili 
ad un�eventuale e fisiologica corrispondenza con lo Stato italiano; notizie 
che, difficilmente, potrebbero essere ricondotte sotto lo schermo 
protettivo del delitto di rivelazione di notizie di vietata divulgazione (38). 
In questa sede ci si �, invece, limitati a tentare una possibile lettura costituzionale 
dell�art. 262 c.p. nella convinzione che detta fattispecie conservi, 
comunque, una sua utilit�. 
Certo, diviene oramai improcrastinabile una revisione dell�intera disciplina 
penale a tutela del segreto di Stato o delle notizie comunque coperte da 
classifiche di segretezza e ci� in funzione, in primo luogo, di una pi� circoscritta 
definizione dei beni giudici da proteggere e delle relative condotte incriminatrici. 
Vi � poi un aspetto pi� ampio, di natura sistematica, consistente nel fatto 
che la tutela penale del Segreto di Stato e delle classifiche di segretezza, cos� 
come disciplinati dalla legge 124 del 2007, � oggi connessa non gi� solo al 
profilo internazionale della personalit� dello Stato, ma anche a quello interno. 
Ed infatti, come non considerare che la violazione di notizie comunque protette 
potrebbe, in teoria, agevolare quelle attivit� terroristiche o eversive sanzionate 
dall�art. 280 c.p., il quale risulta non a caso collocato fra i delitti posti a presidio 
della personalit� interna dello Stato? 
Ci si potrebbe, addirittura, interrogare, sull�opportunit� di una riforma 
del titolo I del libro II del Codice basata sul superamento della distinzione fra 
�Personalit� interna ed internazionale dello Stato� in favore del concetto di 
�Sovranit�� quale pi� specifico bene giuridico da tutelare (39). 
In conclusione, lo Stato repubblicano, bench� in questi ultimi anni abbia 
subito travasi di sovranit� verso l�esterno (l�Unione europea) e verso l�interno 
(le autonomie locali), continua ad essere titolare d�interessi ed esigenze ancora 
meritevoli di protezione penale. �, peraltro, tuttora valido il costrutto giuridico 
della �Sovranit�� di cui la persona giuridica dello Stato � titolare, rappresen- 
(38) Si segnala che ai sensi dell�art. 20 del d.P.C.M. 22 luglio 2011, rubricato �Classifiche di segretezza 
internazionali e comunitarie�, �Le classifiche di segretezza internazionali e comunitarie sono 
previste da trattati, convenzioni, accordi, regolamenti e decisioni comunque denominati, recepiti o a 
cui � data attuazione in conformit� alle norme previste dall�ordinamento�. Segue l�art. 21 (�Qualifiche 
di sicurezza�), in base al quale �Le informazioni classificate appartenenti ad organizzazioni internazionali 
e dell�Unione Europea ed a programmi intergovernativi recano le qualifiche previste dai rispettivi 
trattati, convenzioni, accordi, regolamenti e decisioni comunque denominati�. 
(39) Per una disamina sistematica dei delitti del Titolo I del Libro II del Codice penale cfr. MARCO 
PELISSERO - MAURIZIO RIVERDITI, Reati contro la personalit� dello Stato e contro l�ordine pubblico, 
Giappichelli, Torino, 2010.
LEGISLAZIONE ED ATTUALIT� 175 
tandone un elemento costitutivo: vi �, tuttavia, l�esigenza di ridefinirne i contorni 
attraverso una rimeditazione di che cosa sia oggi lo Stato in un�epoca 
dai grandi cambiamenti. 
In questo senso, il diritto costituzionale, e pi� in generale le discipline 
pubblicistiche, potranno rappresentare un valido strumento per orientare al 
meglio le future scelte legislative in campo penale. 
BIBLIOGRAFIA 
BERTI G., Commento all�art. 5 della Costituzione, in Commentario della Costituzione - Principi fondamentali 
(art. 1-12), Zanichelli, Bologna, 1982; 
BOTERO G., La ragion di Stato, Donzelli, Roma, 2009; 
BRICOLA M., Commento all�art. 25, 2� e 3� comma, della Costituzione, in Commentario della Costituzione 
- Rapporti civili (art. 24-26), Zanichelli, Bologna, 1981; 
CRISAFULLI V. - PALADIN L., Commentario breve alla Costituzione, vers. aggiornata ad opera di Bartole 
S. e Bin R., II ed., CEDAM, Padova, 2008; 
FIANDACA G. - ENZO M., Diritto Penale - Parte Speciale, Vol. I, pp. 76-77, Zanichelli, Bologna, 2001; 
FIORELLA A., Questioni fondamentali della parte speciale del diritto penale, Ristampa agg. al 30 settembre 
2013, Giappichelli, Torino; 
ILLUMINATI G. ed altri, Nuovi profili del segreto di Stato e dell�attivit� di intelligence, Giappichelli, Torino; 
MORTATI C., Commento all�art. 1 della Costituzione, in Commentario della Costituzione - Principi fondamentali 
(art. 1-12), Zanichelli, Bologna, 1982; 
PELISSERO M. - RIVERDITI M., Reati contro la personalit� dello Stato e contro l�ordine pubblico, Giappichelli, 
Torino, 2010; 
SALTELLI C. - ROMANO-DI FALCO E., Commento Teorico-Pratico del Nuovo Codice Penale, con prefazione 
del Guardasigilli Alfredo Rocco, Vol. II-Parte prima (artt. 241-498), 1930, Regia Tipo-Litografia 
delle Mantellate, Roma.
176 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2015 
La protezione sussidiaria per violenza indiscriminata ex art. 14 
lett. c) D. L.vo 251/2007, tra diritto interno e diritto dell�Unione 
europea 
Fabrizio Gallo* 
SOMMARIO: 1. Premessa - 2. L�applicazione della protezione sussidiaria per violenza indiscriminata 
in Italia: il caso del Pakistan nelle valutazioni della Commissione territoriale 
per il riconoscimento della protezione internazionale di Crotone e delle Autorit� giudiziarie 
del distretto di Corte d�Appello di Catanzaro - 2.1 La valutazione della Commissione territoriale 
di Crotone sul Pakistan - 2.2 La posizione della giurisdizione del distretto di Corte 
d�Appello di Catanzaro sul Pakistan - 3. Il diritto e la prassi negli altri Paesi europei - 4. 
Conclusioni. 
1. Premessa. 
La questione dell�applicazione della protezione sussidiaria ex art. 14, lett. 
c), D. L.vo 251/2007 � al momento l�aspetto di maggiore distonia, nel nostro 
Paese, tra gli orientamenti decisori delle autorit� amministrative di prima 
istanza, incaricate di valutare le richieste di protezione internazionale, e gli 
indirizzi giurisprudenziali. Si pu� anche dire che, dal punto di vista quantitativo, 
per quella che � la percezione degli operatori pratici del sistema, proprio 
sul punto della protezione sussidiaria per violenza indiscriminata si concentrano 
i ricorsi e le relative decisioni giurisdizionali (1). 
La norma citata deriva dall�art. 15(c) della Direttiva 2004/83/CE (c.d. Direttiva 
Qualifiche - QD) (2), che recita: �Sono considerati danni gravi: � la minaccia 
grave e individuale alla vita o alla persona di un civile derivante dalla 
violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale�. 
L�interpretazione della norma � stata orientata autorevolmente dalla Corte 
di Giustizia dell�Unione Europea con la sentenza Elgafaji (C-465/07 del 17 
febbraio 2009) (3). La controversia proveniva da un contenzioso maturato in 
Olanda tra i coniugi Meki e Noor Elgafaji e lo Staatssecretaris van Justitie. I 
due coniugi, che avevano fondato la loro domanda di protezione internazionale 
sulla persecuzione derivante dal lavoro di uno di loro, in Iraq, presso un�impresa 
britannica di sicurezza, vedevano rifiutata la loro richiesta dalla competente 
autorit� decidente, sulla base del fatto che non avevano dimostrato il 
(*) Viceprefetto. Presiede la Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale 
di Crotone. 
(1) Sulla rilevanza del contenzioso giurisdizionale in materia di protezione internazionale, si 
veda MICHELE DI PACE, Intervento alla cerimonia di inaugurazione dell�anno giudiziario 2014, in 
http://www.avvocaturastato.it/node/847. 
(2) Ora rifusa nella Direttiva 2011/95/UE. 
(3) Testo della sentenza su http://curia.europa.eu/juris/liste.jsf?language=it&num=C-465/07. 
LEGISLAZIONE ED ATTUALIT� 177 
rischio effettivo di minaccia grave ed individuale. Il Giudice olandese competente 
in ultima istanza sospendeva il giudizio per porre alla Corte di Giustizia 
dell�Unione Europea questioni interpretative pregiudiziali (4). 
In relazione a ci�, la Corte di Giustizia, con la sentenza sopra citata (i cui 
parametri sono applicati, nel nostro Paese dalla giurisprudenza consolidata 
della Corte di Cassazione (5)) ha stabilito che: 
a) la predetta norma deve essere interpretata nel senso che la sussistenza 
di una minaccia grave ed individuale alla vita o alla persona di un civile non 
necessita della prova che il richiedente sia oggetto di specifica minaccia per 
motivi peculiari alla situazione personale; 
b) la minaccia si considera, infatti, provata, eccezionalmente, quando il 
conflitto armato in corso nel paese del richiedente � di tale gravit� che la sola 
presenza del civile in quel paese rappresenta di per se un rischio effettivo di 
subire la minaccia; 
c) occorre bilanciare specificit� e generalit�. Tanto pi� il richiedente � 
eventualmente in grado di dimostrare di essere colpito in modo specifico a 
motivo di elementi peculiari della sua situazione personale, tanto meno elevato 
sar� il grado di violenza indiscriminata richiesto affinch� egli possa beneficiare 
della protezione sussidiaria (c.d. sliding scale). 
Malgrado l�elevato approfondimento della Corte di Giustizia sulla portata 
specifica dell�istituto della protezione sussidiaria per violenza indiscriminata, 
neanche la giurisprudenza comunitaria ha definito quale sia la soglia di tale 
violenza, oltre la quale si deve applicare a qualunque civile la protezione sussidiaria, 
n� ha indicato i criteri per una tale valutazione (6). 
(4) Per una sintetica ma esaustiva illustrazione della sentenza in questione, si veda Le sentenze 
della Corte di Giustizia dell�Unione Europea rilevanti in materia di asilo analizzate da Asilo in Europa, 
in http://www.asiloineuropa.it/wp-content/uploads/2014/03/Elgafaji_C465_2007.pdf. 
(5) Si vedano, a titolo di esempio, le ordinanze Cass. civ. Sez. VI - 1, Ord., 4 aprile 2013, n. 8281 
e Cass. civ. Sez. VI - 1, Ord., 13 gennaio 2014, n. 506. Tale ultima decisione era relativa a fattispecie 
prospettata da richiedente ghanese denegato che censurava, in primo luogo, l'abdicazione dei giudici 
delle precedenti istanze rispetto ai doveri di indagine officiosa con riguardo alla concreta condizione 
del Ghana e delle sue province agricole, in termini di vigenza di sicurezza ed ordine statuale e, in secondo 
luogo, la mancata applicazione delle norme sulla protezione sussidiaria pur in difetto dei requisiti per 
riconoscere uno status correlato a vis persecutoria. La Corte di Cassazione, nel riconoscere le ragioni 
del ricorrente, ha affermato che la protezione sussidiaria ben pu� essere accordata pur in difetto di effettiva 
vis persecutoria statuale a danno del richiedente ma per elidere le conseguenze disastrose del 
rimpatrio a carico di chi versi in situazioni di pericolo grave alla persona, pericolo indotto da condizioni 
endemiche di violenza e conflitto interni, anche a base territoriale limitata, ingenerate dalla connivenza 
o dalla latitanza del potere statuale: �rientra quindi nel quadro idoneo a concedere la protezione sussidiaria 
una condizione di comprovata esposizione ad effettivo pericolo di vita indotta dalla assenza di 
potere statuale di repressione del delitto e di prevalenza del potere delle autorit� tribali, in grado di far 
seguire alla minaccia la effettiva "sanzione" capitale�. 
(6) Si veda, al riguardo, UN High Commissioner for Refugees (UNHCR), Safe at Last? Law and 
Practice in Selected EU Member States with Respect to Asylum-Seekers Fleeing Indiscriminate Violence, 
p. 31, 27 July 2011, disponibile su: http://www.refworld.org/docid/4e2ee0022.html.
178 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2015 
Una guida, in tal senso, � sempre stata ritenuta la sentenza Sufi e Elmi v. 
UK (7) che, pur essendo stata emessa dalla Corte europea dei diritti dell�uomo, 
quindi da una diversa giurisdizione, che si occupa di una differente fonte normativa, 
ha fornito i parametri per giudicare se vi sia una situazione di conflitto 
interno tale da comportare, ex se, una violazione dell�art. 3 C.E.D.U. (8). La 
rilevanza di tale pronuncia sulla materia della protezione sussidiaria regolata 
dal diritto europeo si pu� evincere anche testualmente dal considerando 25 
della Direttiva Qualifiche (9) che recita: ��� necessario introdurre i criteri 
per l'attribuzione, alle persone richiedenti protezione internazionale, della 
qualifica di beneficiari della protezione sussidiaria. Tali criteri dovrebbero 
essere elaborati sulla base degli obblighi internazionali derivanti da atti internazionali 
in materia di diritti dell�uomo e sulla base della prassi esistente 
negli Stati membri�. 
La motivazione posta a fondamento della scelta del legislatore europeo 
di allargare il novero delle misure di protezione internazionale � la cristallizzazione, 
infatti, di un processo che ha condotto alla creazione dell�istituto della 
protezione sussidiaria proprio partendo dalle formulazioni contenute nelle convenzioni 
internazionali sui diritti dell�uomo ed in primo luogo dalla CEDU, 
nonch� dalle prassi applicative dei paesi membri dell�Unione Europea (10). 
I criteri indicati dalla Corte Europea per i Diritti dell�Uomo sono: 
a) la presa in considerazione del fatto che le parti coinvolte nel conflitto 
utilizzino metodi o tattiche di combattimento tali da accrescere il numero delle 
perdite tra i civili, o se prendano di mira civili di proposito; 
b) la diffusione dei suddetti metodi e/o tattiche tra le parti in conflitto; 
c) se il conflitto � localizzato o diffuso; 
d) il numero di civili uccisi, feriti e sfollati a seguito del conflitto. 
2. L�applicazione della protezione sussidiaria per violenza indiscriminata in 
Italia: il caso del Pakistan nelle valutazioni della Commissione territoriale 
per il riconoscimento della protezione internazionale di Crotone e delle Autorit� 
giudiziarie del distretto di Corte d�Appello di Catanzaro. 
Nel contesto normativo sopra descritto, si palesano alcuni casi, nel nostro 
Paese, in cui le valutazioni delle Autorit� decidenti sono divergenti rispetto a 
quelle della Giurisdizione, con riguardo alla situazione di violenza generalizzata 
presente in alcune aree del Mondo. 
(7) Aboubacar Diakit� v. Commissaire g�n�ral aux r�fugi�s et aux apatrides, C-285/12, European 
Union: Court of Justice of the European Union, 30 gennaio 2014, disponibile in: 
http://www.refworld.org/docid/52ea51f54.html. 
(8) Il testo della convenzione in http://www.echr.coe.int/Documents/Convention_ITA.pdf. 
(9) Direttiva 2004/83/CE. 
(10) Sulla correlazione tra CEDU e protezione sussidiaria, si veda La protezione internazionale 
degli stranieri in Italia, a cura di MARCO BENVENUTI, Napoli, 2011, pp. 176 ss.
LEGISLAZIONE ED ATTUALIT� 179 
Nello specifico, nel distretto di Corte d�Appello di Catanzaro, la questione 
si pone in particolare per i cittadini provenienti dal Pakistan e segnatamente 
dalle province del Punjab, del Kashmir e del Sindh. In una sentenza esemplare 
della Corte d�Appello menzionata (11), il predetto Giudice, prendendo le 
mosse dai parametri stabiliti in materia di protezione sussidiaria per violenza 
generalizzata, dalla Corte di Giustizia dell�Unione Europea e dalla Corte di 
Cassazione, ha ritenuto che �� il grado di violenza raggiunto nel territorio 
del Punjab � dal quale il richiedente proviene, � tristemente noto, e ribadito 
nel rapporto annuale Amnesty International del 2013 e la situazione non sembra 
affatto migliorata: basti pensare ai recenti attentati al mercato di Rawalpindi 
� dei primi mesi del 2014, che hanno causato decine di morti, e riportati 
da tutte le testate di informazione nazionale ed internazionale. Non pu� pertanto 
negarsi che una siffatta perdurante situazione di lotta armata, pericolo 
ed instabilit� politica, certamente sottoporrebbe il ricorrente - al di l� delle 
sue condizioni personali e anche in qualit� di semplice civile - a rischio grave 
ed effettivo di subire un danno grave alla vita o alla persona�. In ragione di 
ci�, al richiedente � stata riconosciuta la protezione sussidiaria. 
Occorre precisare che tale questione � aperta su quasi tutto il territorio 
nazionale e che, in altri distretti, la diversit� di valutazione si estende ad ulteriori 
Paesi come la Nigeria ma non solo (12). 
2.1 La valutazione della Commissione territoriale di Crotone sul Pakistan. 
Le valutazioni della Commissione di Crotone sulla possibilit� di applicazione 
della protezione sussidiaria per violenza indiscriminata rispetto a 
quella specifica area geografica, partono dalla considerazione che il Pakistan 
� una repubblica islamica federale che conta pi� 190 milioni di abitanti ed ha 
un�estensione territoriale di 796.095 km. (13) (il territorio italiano � pari a 
301.340 km2). Il Pakistan comprende 4 province e 2 territori ed amministra 
anche parte del Kashmir. Le province sono il Balocistan, il Khyber Pakhtunkhwa- 
KP, il Punjab ed il Sindh. Ci sono inoltre le Federally Administered Tri- 
(11) Corte d�Appello di Catanzaro, sentenza n. 933/2014 del 12 giugno 2014. 
(12) Per il riconoscimento della protezione sussidiaria per violenza indiscriminata in altri distretti di 
Corte d�Appello, si vedano, a proposito dei richiedenti originari della Nigeria, Tribunale di Roma, sentenza 10 
- 13 dicembre 2012 n. 15530, Tribunale di Bologna, ordinanze nn. 1083, 21 marzo 2013 e 841, 7 marzo 2013. 
Per il Gambia, si veda la sentenza della Corte d�Appello di Roma, 17 gennaio 2012. Nella sintesi del sito 
Melting Pot (http://www.meltingpot.org/Sentenza-della-Corte-di-Appello-di-Roma-del-17-gennaio-2012.html), 
�La Corte di Appello di Roma ha riconosciuto a un cittadino del Gambia il diritto alla protezione internazionale, 
in ragione delle informazioni raccolte dal MAE, dai rapporti di Amnesty International e 
da quelli del Dipartimento di Stato USA. Il Gambia � ritenuto dalla Corte di Appello un paese la cui situazione 
dei diritti umani � preoccupante, dove sono particolarmente a rischio gli oppositori del regime 
a qualsiasi titolo�. 
(13) I dati geografici e di popolazione del presente paragrafo sono tratti da The World Factbook 
in https://www.cia.gov/library/publications/the-world-factbook/geos/pk.html.
180 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2015 
bal Areas (FATA). Queste aree tribali, abitate esclusivamente da trib� Pashtun 
e dotate di uno speciale ordinamento autonomistico, sono sette: Khyber, Kurram, 
Orakzai, Mohmand, Bajaur, North Waziristan and South Waziristan (14). 
In relazione a situazioni di violenza indiscriminata in Pakistan, La Commissione 
territoriale di Crotone sottolinea come essa, dai dati ricavati da diverse 
fonti, non si possa ritenere estesa a tutto il territorio nazionale, in quanto, 
pur avendo i gruppi terroristici la capacit� di agire su gran parte del territorio 
nazionale, questi concentrano le proprie attivit� in alcune aree specifiche, in 
particolare: nel FATA, nel Khyber Pakhtunkhwa, nel Balochistan. 
Come riportato anche dal rapporto dell�United Kingdom - Home Office 
del 2013 (15): �Il South Asia Terrorism Portal (SATP) ha citato diverse statistiche 
sugli incidenti causati da attentati terroristici ed ha affermato nel suo 
lavoro di valutazione del 2013 che - Come nel 2011, la Federally Administered 
Tribal Areas (FATA) � rimasta la regione maggiormente affetta, in termini di 
perdite di civili, seguita dal Shind. Il Balochistan, che era la quarta zona e il 
Khyber Pakhtunkhwa, che era in terza posizione nel 2011, si sono scambiati 
posizione nel 2012. Il Punjab rimane, nella sua precedente posizione, la quinta 
e meno afflitta area del Paese� . 
Il citato sito South Asia Terrorism Portal (SATP), che tiene una lista estremamente 
aggiornata di vari attentati effettuati in Pakistan, emerge che nel 
2014, a fronte di 205 attentati a mezzo bomba, verificatisi in Pakistan dal 1� 
gennaio al 18 maggio 2014, che hanno portato alla morte di 387 persone ed al 
ferimento di pi� di 1136 persone, un solo attentato a mezzo bomba - peraltro 
senza vittime - � stato compiuto nella regione del Punjab e nessuno nell�Azad 
Kashmir (16). 
Per quel che riguarda invece le vittime di violenza di vario tipo - che pu� 
essere legata sia ad attivit� terroristiche, sia, invece a questioni di criminalit� - 
sempre nel sito South Asia Terrorism Portal (SATP), si possono ritrovare i 
dati relativi al 2013 ed al 2014. Da questi dati emerge chiaramente come le 
zone maggiormente rischiose - nelle quali cՏ una maggiore incidenza degli 
attacchi ed anche una maggiore pericolosit� di questi per la popolazione civile 
- sono il Sindh, il FATA, il Khyber Pakhtunkhwa ed il Balochistan, mentre la 
provincia del Punjab riporta un numero di molto inferiore di vittime civili, 
fino a giungere al Gilgit Baltistan e all�Azad Kashmir, dove non sono stati registrati 
episodi di sorta (17) (18). 
(14) Da BBC, Analysis: Pakistan's tribal frontiers, in http://news.bbc.co.uk/2/hi/south_asia/1711316.stm. 
(15) United Kingdom: Home Office, Country of Origin Information Report - Pakistan, 9 August 
2013, in: http://www.refworld.org/docid/5209feb94.html. 
(16) SATP: Bomb blast in Pakistan 2014, in 
http://www.satp.org/satporgtp/countries/pakistan/database/bombblast.htm. 
(17) SATP: Fatalities in Pakistan Region Wise: 2013, in 
http://www.satp.org/satporgtp/countries/pakistan/database/fatilities_regionwise2013.htm.
LEGISLAZIONE ED ATTUALIT� 181 
Sulla base delle predette evidenze, la Commissione di Crotone valuta che 
un grado di violenza indiscriminata tale da poter integrare i requisiti per il riconoscimento 
della protezione sussidiaria, secondo i criteri definiti dalla sentenza 
Elghafaji, si possa rinvenire con particolare evidenza nella zona del 
FATA, che misura 27,220 km2, popolata da poco pi� di 3.000.000 di abitanti, 
che si trova al confine con l�Afghanistan, subendo gli influssi negativi della 
situazione di combattimento che sono ancora in atto in quei luoghi (i gruppi 
talebani operanti in Afghanistan, utilizzano infatti la zona del FATA come rifugio 
dalle offensive delle forze militari afghane e internazionali e l� hanno 
istituito anche le loro basi logistiche) e che ha registrato almeno 530 vittime 
nel 2014 e 1716 nel 2013. 
Diversamente, emerge una situazione di minore pericolosit� della provincia 
del Punjab, sia in riferimento alla situazione geopolitica (lontananza 
della stessa dalla zona di conflitto afghana), al minore radicamento dei gruppi 
terroristici ed al minore numero di attacchi / vittime (81 tra morti e feriti nel 
2013 e 69 nel 2014) in quella che � la regione pi� popolosa del Pakistan (73,6 
milioni, pi� della met� del totale) e la seconda pi� vasta (205.340 km.). 
2.2 La posizione della giurisdizione del distretto di Corte d�Appello di Catanzaro 
sul Pakistan. 
A fronte delle suddette valutazioni e decisioni dell�autorit� decidente di 
prima istanza, la giurisprudenza del distretto di Corte d�Appello di Catanzaro 
si � andata orientando, segnatamente nel 2013 e 2014, verso il riconoscimento 
della protezione sussidiaria per violenza indiscriminata, senza accertamento 
dell�esposizione individuale a rischio, ai cittadini provenienti da qualunque 
area del Pakistan. 
Nello specifico, in questa direzione si � mosso il Tribunale di Catanzaro 
con numerose ordinanze (19). Non sono mancate, peraltro, in primo grado, decisioni 
di segno diverso che non riconoscevano la sussistenza dei requisiti per 
l�integrazione di quella forma di protezione in tutto il Pakistan. In uno di questi 
provvedimenti (20), il Tribunale citato rilevava come fosse nota la drammatica 
situazione che vivono le aree al confine con l�Afghanistan, il Balocistan, il 
Khyber Paktumkwa e le aree tribali. In tali aree, secondo quell�orientamento, 
doveva ritenersi sussistente un conflitto armato interno che mette a repentaglio 
la vita di chiunque vi risieda. Tuttavia, si concludeva, tale situazione non caratterizza 
l�intero Pakistan, nell�ambito del quale � ben possibile individuare 
delle aree ove non sussiste una situazione di conflitto armato. 
(18) SATP: Fatalities in Pakistan Region Wise: 2014, in 
http://www.satp.org/satporgtp/countries/pakistan/database/fatilities_regionwise2014.htm. 
(19) Si vedano, tra le molteplici, le Ordinanze del Trib. di Catanzaro nn. 856/2011, 854/2011, 
1464/2012 e 580/2013. 
(20) Trib. di Catanzaro, 4 dicembre 2012.
182 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2015 
Nel corso del 2014, l�orientamento favorevole al riconoscimento della 
protezione sussidiaria ai cittadini provenienti da qualsiasi area del Pakistan, 
a causa della violenza indiscriminata, si � andato consolidando in Corte 
d�Appello (21). 
Secondo il ragionamento del Giudice di secondo grado, che partiva dalle 
statuizioni della Corte di Giustizia dell�Unione Europea formulate con la sentenza 
Elgafaji, la situazione di violenza in aree come la provincia del Punjab 
era fatto notorio, richiamato anche nel rapporto di Amnesty International del 
2013 e confermato da recenti attentati a Rawalpindi. Da ci� si desumeva una 
perdurante situazione di lotta armata e di pericolo, aggravata dall�instabilit� 
politica, che esponeva i richiedenti a rischio di danno grave e meritevole, pertanto, 
del riconoscimento della protezione sussidiaria ex art. 14, lett. c), D.L.vo 
251/2007. 
3. Il diritto e la prassi negli altri Paesi europei. 
Il problema in esame non riguarda solo il confronto tra autorit� decidenti 
di prima istanza e giurisprudenza in Italia ma assume anche un rilievo notevole 
nella verifica di ci� che accade negli altri Paesi europei, tra diritto e prassi amministrativa. 
Molte informazioni sull�argomento si possono trarre dal rapporto 
dell'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR) del luglio 
2011 �Safe at last?�, una ricerca finalizzata proprio all�esame dell�atteggiamento 
dei Paesi europei rispetto al riconoscimento dalla protezione 
sussidiaria per violenza indiscriminata (22). Nello specifico, il rapporto citato 
esamina la situazione di Germania, Svezia, Gran Bretagna, Belgio, Francia ed 
Olanda. Per il carattere esemplare dei Paesi considerati, esso rappresenta un 
quadro conoscitivo veramente significativo. 
Secondo un primo nucleo di Paesi (Gran Bretagna e Olanda), che traggono 
argomento dalla parola �eccezionalmente� riportata nella sentenza Elgafaji 
(23), solo in casi eccezionali di conflitto si possono considerare integrati 
i requisiti per l�applicazione della protezione sussidiaria. Per ci� che concerne 
la situazione della Gran Bretagna, in verit�, occorre tenere presente che la relativa 
Corte d�Appello, ha affermato che la Corte di Giustizia dell�Unione Europea, 
con la sentenza Elgafaji, non ha introdotto un test aggiuntivo di 
eccezionalit� ma ha solo voluto indicare che non tutti i conflitti o situazioni di 
violenza sono tali da integrare i presupposti per l�applicazione della misura di 
protezione ma solo quelli che raggiungono un livello di violenza tale per il 
quale, senza che il richiedente costituisca un obiettivo specifico, tuttavia corre 
(21) Si vedano, tra i numerosi casi, le sentenze 31/2013, 773/2014 e 933/2014. 
(22) UN High Commissioner for Refugees (UNHCR), Safe at Last? Law and Practice in Selected 
EU Member States with Respect to Asylum-Seekers Fleeing Indiscriminate Violence, 27 luglio 2011, in: 
http://www.refworld.org/docid/4e2ee0022.html [accessed 2 March 2015]. 
(23) Vedi supra, paragrafo 1, lett. b).
LEGISLAZIONE ED ATTUALIT� 183 
rischi per la propria vita o per la propria incolumit� (24). Tuttavia, le analisi 
condotte dall�UNHCR evidenzierebbero che, sia per i decisori di prima istanza 
sia per la giurisprudenza britannica, quel particolare livello di violenza � in 
pratica considerato eccezionale (25). 
Ancora pi� netta ed esplicita � l�opzione che accomuna autorit� decidenti 
e giurisprudenza olandesi. Il Consiglio di Stato olandese ha infatti esplicitamente 
affermato, nella decisione successiva al caso Elgafaji che, per l�appunto, 
vedeva come parte lo Stato olandese, il principio per il quale l�art. 15 (c) QD 
� applicabile solo in casi eccezionali ed offre protezione solo negli improbabili 
casi in cui il grado di violenza indiscriminata sia tale che il rientro in patria 
del richiedente lo esponga a rischio reale di grave danno (26). 
Passando dal livello dell�interpretazione delle norme a quello delle valutazioni 
sui casi concreti, la rassegna della pratica amministrativa e giudiziaria indicava 
che, per le autorit� decidenti e la giurisprudenza, in Gran Bretagna ed Olanda, 
la soglia dell�eccezionalit� si riteneva superata solo per la citt� di Mogadiscio (27). 
In una pi� recente sentenza, l�Upper Tribunal britannico, ha espresso una 
posizione maggiormente articolata continuando a negare l�esistenza di una situazione 
di violenza indiscriminata rilevante ai fini dell�art. 15 (c) QD ma richiedendo 
alle autorit� decidenti di effettuare una precisa ricognizione dell�area di provenienza 
e delle informazioni aggiornate sullo stato del conflitto in quell�area (28). 
In Germania, le autorit� amministrative di prima istanza (29) riconoscono 
la sussistenza dei requisiti per l�applicazione generale della protezione sussidiaria 
per violenza indiscriminata solo per la citt� di Mogadiscio. La ricognizione 
effettuata dall�UNHCR ha consentito di appurare che alcune sentenze della magistratura 
tedesca hanno riconosciuto quella misura di protezione nei confronti 
di cittadini provenienti dall�Afghanistan, dall�Iraq e dalla Somalia (30). 
(24) Si veda UN High Commissioner for Refugees (UNHCR), cit. p. 32: �it is not every armed 
conflict or violent situation which will attract the protection of article 15 (c), but only one where the 
level of violence is such that, without anything to render them a particular target,civilians face real risks 
to their life or personal safety�. 
(25) Ibidem. 
(26) Ibidem, p. 33: �the unlikely event that the degree of indiscriminate violence in the ongoing 
armed conflict is so high that substantial grounds exist for believing that a civilian who returns to the 
country or, in this case, to the area concerned, simply by his presence there, [is at a real risk of serious 
harm]. Sentenza 25 maggio 2009, nel caso 200702174/2/V2. Se ne veda il testo in www.raadvanstate.nl. 
(27) Ibidem. 
(28) Nella sentenza segnalata (UK - Upper Tribunal, 28 November 2011, AMM and others v Secretary of state for 
the Home Department [2011] UKUT 00445 in http://www.asylumlawdatabase.eu/en/case-law/uk-upper-tribunal-28- 
november-2011-amm-and-others-v-secretary-state-home-department-2011#content), l�Upper Tribunal 
afferma anche che � probabile che una persona che non abbia recenti esperienze di vita in Somalia possa 
andare incontro a violazioni rilevanti ai sensi dell�art. 3 CEDU. Da tale linea argomentativa, sorgono 
articolate indicazioni dirette al riconoscimento dello status di rifugiato per specifiche categorie di persone, 
al di l� di precedenti esperienze di persecuzione. 
(29) BAMF - Bundesamt f�r Migration und Fl�chtlinge. 
(30) Si veda UN High Commissioner for Refugees (UNHCR), cit. p. 34.
184 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2015 
Analogamente, in Francia, i decisori di prima istanza riconoscono la sussistenza 
per l�applicazione della protezione sussidiaria per violenza indiscriminata 
alla sola citt� di Mogadiscio. Tuttavia, l�UNHCR ha segnalato diverse 
decisioni giurisprudenziali che individuano la sussistenza dei requisiti di cui 
all�art. 15 (c) QD per alcune regioni dell�Afghanistan (31). 
Le autorit� belghe riconoscono quella forma di protezione sussidiaria per 
alcune province, e distretti nelle province, dell�Afghanistan, per Baghdad ed 
i cinque governatorati centrali dell�Iraq, per alcune regioni dell�Est della Repubblica 
Democratica del Congo, per il Darfur, per Gaza, per il centro e sud 
Somalia. Valutazioni simili sono effettuate dalle autorit� di prima istanza della 
Svezia (32). 
La ragione della diversit� di valutazione e decisione rispetto ai casi pratici, 
che abbiamo appena avuto modo di segnalare e che, come si � visto, si determina 
sia confrontando le posizioni dei diversi Stati membri sia, all�interno di 
ciascuno di essi, le decisioni delle autorit� di prima istanza con quelle giurisprudenziali, 
deriva fondamentalmente dai criteri utilizzati per individuare il 
livello di violenza indiscriminata oltre il quale trova applicazione il riconoscimento 
della protezione sussidiaria, come indicato dalla Corte di Giustizia 
dell�Unione Europea nella sentenza Elgafaji. 
Infatti, come bene ha sintetizzato il rapporto UNHCR che si commenta, 
la Corte di Giustizia, nel fornire il prezioso supporto interpretativo sulla misura 
di protezione in questione, non ha spiegato quanto intesa debba essere la violenza 
indiscriminata per raggiungere la soglia critica n� come debba essere 
valutato il livello della violenza (33). 
In generale, vi sono due tipi di approccio alla questione della valutazione 
del livello di violenza indiscriminata. 
Il primo, che viene definito �olistico�, si fonda sull�adozione di una serie 
di criteri di carattere misto, sia quantitativi che qualitativi. L�esempio principale 
di tale tendenza � quello desumibile dalla sentenza Sufi e Elmi v. UK (34). 
Con quella decisione, la Corte Europea dei Diritti dell�Uomo ha individuato 
criteri di carattere qualitativo, relativi alle metodologie conflittuali adottate 
dalle parti contrapposte ed all�ampiezza del relativo utilizzo, e di carattere 
quantitativo (il numero dei civili uccisi, feriti e sfollati). Non dissimile � l�approccio 
proposto dall�UNHCR che fa riferimento alla generale situazione di 
sicurezza, al numero di attentati e di vittime, agli sviluppi prevedibili della situazione, 
alla capacit� d�intervento degli attori di protezione (35). 
La seconda tendenza, invece, fa esclusivo riferimento al numero dei civili ri- 
(31) Ibidem, p. 35. 
(32) Ibidem. 
(33) Ibidem. 
(34) Vedi supra. 
(35) Si veda UN High Commissioner for Refugees (UNHCR), cit. p. 42.
LEGISLAZIONE ED ATTUALIT� 185 
masti vittime del conflitto, a volte solo delle persone uccise, a volte anche dei feriti. 
Tale ultimo criterio � esplicitamente affermato in Germania dalla Corte 
Federale Amministrativa (36) la quale ha stabilito il principio dell�utilizzo del 
solo parametro numerico che si definisce come una frazione nella quale, al 
numeratore si indica il numero degli atti di violenza (o delle vittime) ed al denominatore 
il numero degli abitanti (37). 
Ancora pi� esemplare, seguendo il medesimo criterio di carattere quantitativo, 
� il ragionamento seguito dall�Home Office britannico nella valutazione 
della situazione della sicurezza in Afghanistan, ai fini del riconoscimento della 
protezione sussidiaria per violenza indiscriminata. Nelle linee guida destinate 
alle autorit� decidenti di prima istanza, si effettuata la comparazione tra il numero 
dei civili uccisi e feriti e la popolazione generale dell�Afghanistan. Se 
ne ricava la percentuale dello 0,02% dei civili colpiti nei primi sei mesi del 
2014 e dello 0,03% nel 2013, insufficiente, nelle valutazioni di quell�autorit�, 
a ritenere superata la soglia di rischio di cui alla sentenza Elgafaji (38). 
Sebbene, in via di principio, la giurisprudenza britannica si esprima a favore 
dell�adozione di un criterio misto, che tenga conto sia di fattori quantitativi 
sia qualitativi, il risultato ultimo cui essa perviene non � dissimile da quello 
derivante dalle decisioni di prima istanza (39). 
La giurisprudenza delle corti belghe ed olandesi sembra orientarsi, invece, 
verso un approccio olistico (40). 
4. Conclusioni. 
Il disallineamento applicativo che si registra tra i Paesi membri dell�Unione 
Europea e, all�interno degli stessi, tra autorit� decidenti ed autorit� 
giudiziarie, comporta notevoli ricadute negative che attengono alla tendenza 
di intere categorie di richiedenti asilo a spostarsi da una parte all�altra dell�Europa, 
alla ricerca di un luogo ove viga un�interpretazione pi� favorevole (41). 
(36) FAC, sentenza del 27 aprile 2010. Se ne veda il testo, con una sintesi in inglese, in 
http://www.asylumlawdatabase.eu/en/case-law/germany-federal-administrative-court-27-april-2010-10-c-409. 
(37) In un caso esaminato dall�Alta Corte Amministrativa del Baden-Wurttemberg (Sentenza del 
25 marzo 2010), si esaminava la situazione di sicurezza della provincia di Kirkuk, in Iraq. In quell�ambito, 
si evidenziava che, nell�area esaminata, nel 2009, vi era una popolazione stimata tra 900.000 ed 
1.130.000 abitanti. Nello stesso periodo, erano stati registrati 99 attacchi con un totale di 288 morti. Ci� 
determinava un dato oscillante tra 31,9 e 25,5 morti per 100.000 abitanti, insufficiente, nella valutazione 
di quella Corte, a raggiungere la soglia di violenza indiscriminata necessaria per riconoscere la protezione 
sussidiaria ex art. 15 (c) QD. Si veda UN High Commissioner for Refugees (UNHCR), cit. p. 43. 
(38) UK Home Office: Country Information and Guidance Afghanistan: Security, August 2014 in 
http://www.ecoi.net/file_upload/1226_1407914367_afghanistan-cig-security-2014-v-1-0.pdf. 
(39) Si veda UN High Commissioner for Refugees (UNHCR), cit. p. 44. 
(40) Ibidem. 
(41) Sulle problematiche di sistema, si veda il resoconto della Conferenza internazionale La gestione 
dei flussi di asilo: rafforzare gli strumenti, rafforzare il sistema, Roma, 18-19 novembre 2014 in 
http://www.ismu.org/2014/12/la-gestione-dei-flussi-di-asilo/
186 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2015 
Questo rinnovato �asylum shopping�, consegue anche, evidentemente, alle rilevanti 
difficolt� di funzionamento del meccanismo di determinazione dello 
Stato competente ad esaminare la domanda di protezione internazionale, secondo 
i dettami del Regolamento c.d. �Dublino� (42). 
Proprio la concretezza dei problemi sopraindicati reclama a gran voce la 
necessit� di pervenire ad un�applicazione omogenea dell�istituto. Come si � 
cercato di evidenziare nella disamina precedente, non mancano i punti di riferimento 
che possono essere presi come parametri per la soluzione del problema, 
tenuto conto, per esempio, delle indicazioni fornite al riguardo dalla 
Corte Europea dei Diritti dell�Uomo, con la sentenza Sufi e Elmi v. UK ed 
anche dall�UNHCR. 
Bisogna considerare, inoltre che vi sono numerosi ed accreditati centri di 
studio internazionali sul tema dei conflitti che, negli anni, hanno elaborato validi 
indicatori diretti alla loro classificazione. 
Tra questi ultimi, si vuole citare il caso della Uppsala University, un centro 
di studi universalmente conosciuto in materia di diritti umani e citato nei 
rapporti internazionali quale fonte autorevole ed imparziale. Il Dipartimento 
della ricerca sulla pace ed i conflitti di quella Universit� detiene una delle pi� 
importanti banche dati al mondo in materia di conflitti. In quel contesto, l�intensit� 
dei conflitti � stata cos� definita: minor, nei casi in cui si registrino almeno 
25 ma meno di 1000 morti all�anno, dovute a conflitti; war, per i casi in 
cui vi siano almeno 1000 morti all�anno, sempre dovuti a conflitto (43). 
Sotto il profilo metodologico, la prima via per pervenire a tale soluzione 
� senz�altro quella di un approfondimento giurisprudenziale interno. In proposito, 
occorre segnalare come la Corte d�Appello di Catanzaro, muovendo 
dalle posizioni prima richiamate, proprio all�inizio del 2015, nel mentre il presente 
scritto veniva redatto, ha cominciato ad elaborare una complessa giurisprudenza 
sull�argomento, incentrata principalmente nell�esame della 
situazione dei richiedenti asilo pachistani. 
Nella nuova valutazione sul Pakistan, la Corte d�Appello prende le mosse 
da una descrizione geopolitica dello Stato, evidenziandone le grandi ripartizioni 
e le relative peculiarit�. Successivamente, passa ad esaminare le dinamiche 
politiche di fondo, grazie anche alla consultazione del portale South 
Asia Terrorism Portal e l�incidenza degli attentati di matrice terroristica. 
Si rileva, in tal modo, che le aree maggiormente colpite sono quelle tribali, 
il Khyber Paktumkwa ed il Balocistan mentre le altre zone del Paese risultano 
meno sottoposte ad un tale problema. 
In particolare, per il Punjab, si effettua una comparazione tra il numero di 
(42) Regolamento (CE) 604/2013. 
(43) Si vedano le definizioni alla voce �Intensity level� in 
http://www.pcr.uu.se/research/ucdp/definitions/#Warring_party_2.
LEGISLAZIONE ED ATTUALIT� 187 
attacchi e vittime e la notevole estensione territoriale e l�entit� della popolazione. 
A conclusione di tale disamina, la Corte d�Appello, ha riconosciuto la 
sussistenza dei requisiti per la protezione sussidiaria per violenza indiscriminata 
per il Khyber Paktumkwa (44) mentre non ha ritenuto di dover riconoscere 
quella forma di protezione per i cittadini provenienti dal Punjab (45). 
Seppure tale giurisprudenza muoveva i primi passi proprio mentre venivano 
redatte queste note, ulteriori provvedimenti di quel Giudice possono indurre 
a ritenere che l�orientamento in questione si venga consolidando (46). 
Pi� in generale, allo scopo di colmare il divario tra i differenti atteggiamenti 
applicativi vigenti nei diversi Stati membri, sarebbe opportuno promuovere 
un rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia Europea, ai sensi dell�art. 
267 TFUE, diretto ad integrare l�indicazione interpretativa gi� fornita da quel 
Giudice con la sentenza Elgafaji, al fine di precisare quale sia la soglia oltre 
la quale la violenza indiscriminata produce, per la sola presenza del civile in 
quell�area, il serio rischio di danno grave e quali debbano essere i criteri per 
condurre tale valutazione. 
Ancora, ed infine, l�istituto esaminato potrebbe essere chiarito, nelle parti 
suddette, attraverso interventi normativi che dovrebbero riguardare, quanto 
alla normativa nazionale, l�art. 14, lett. c), del D.L.vo 251/2007 e, per l�ordinamento 
europeo, l�art. 15(c) QD (47). 
(44) Corte d�Appello di Catanzaro, Sez. I, n. 40/2015. 
(45) Corte d�Appello di Catanzaro, Sez. I, nn. 37/2015 e 42/2015. 
(46) Corte d�Appello di Catanzaro, Sez. I, nn. 270, 271 e 272 del 2015. 
(47) In proposito, occorre tenere conto che il Considerando 48 della Direttiva 2011/95/UE rileva 
che �L�attuazione della presente direttiva dovrebbe formare oggetto di valutazioni periodiche, tenendo 
conto in particolare dell�evolversi degli obblighi internazionali degli Stati membri in materia di �non 
respingimento�, dell�evoluzione dei mercati del lavoro negli Stati membri e dell�elaborazione di principi 
fondamentali comuni in materia d�integrazione�.
188 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2015 
La legge di stabilit�: le politiche economiche possibili 
fra diritto costituzionale e diritto europeo 
Giancarlo Montedoro* 
Mariana Giordano** 
SOMMARIO: 1. La riforma della governance europea - 2. Il quadro interno - 3. La legge 
di stabilit� nell�ordinamento italiano. 
1. La riforma della governance europea. 
Per far fronte alla crisi economica e finanziaria scoppiata nel 2008 le istituzioni 
europee hanno avviato la revisione della governance economica europea 
(Six-Pack, Fiscal Compact e Two-Pack). 
L'Unione Europea ha rafforzato il Patto di stabilit� e di crescita, imponendo 
regole numeriche di bilancio pi� stringenti, e prevedendo l�istituzione 
di un organismo nazionale di controllo del bilancio. 
Il Trattato firmato a Maastricht il 7 febbraio 1992, detta la disciplina 
sulla finanza pubblica degli Stati membri, individuando gli obiettivi per la 
convergenza europea, avviando il processo di costituzione dell'Unione monetaria 
europea. Il Trattato di Maastricht, oltre a richiedere il rispetto di due 
regole numeriche di bilancio (un rapporto indebitamento netto/PIL inferiore 
al 3% e un rapporto debito/PIL inferiore al 60% o comunque tendente a questo 
valore), prevede anche una procedura speciale, chiamata procedura per i 
disavanzi eccessivi, in caso di violazione di uno o di entrambi i criteri di finanza 
pubblica. 
Nel 1997 gli Stati membri hanno adottato il Patto di stabilita e crescita 
(PSC), diretto ad assicurare la solidit� delle finanze pubbliche nella zona euro 
e una convergenza continua e duratura delle economie degli Stati membri. Il 
PSC � stato rivisto una prima volta nel 2005 (PSC-II) e poi nel 2011 (PSCIII), 
con il cd. Six-Pack. Il PSC definisce i parametri di riferimento delle regole 
di bilancio che guidano le politiche degli Stati membri e fornisce i 
principali strumenti per la sorveglianza delle politiche stesse (braccio preventivo) 
e per la correzione dei disavanzi eccessivi (braccio correttivo). Il 
braccio preventivo assicura che la politica fiscale sia condotta in modo so- 
(*) Docente, Universit� Luiss Guido Carli; Consigliere di Stato; Direttore ufficio Affari Giuridici e Relazioni 
Costituzionali della Presidenza della Repubblica. 
(**) Docente, Universit� Luiss Guido Carli. 
Il presente scritto � la nota introduttiva al seminario �La legge di stabilit�: le politiche economiche 
possibili fra diritto costituzionale e diritto europeo� tenutosi presso la Luiss Guido Carli, Aula Toti, 
marted� 17 marzo 2015. 
La nota descrive la cornice europea ed interna dei temi trattati nel seminario.
LEGISLAZIONE ED ATTUALIT� 189 
stenibile over the cycle. Con la successiva modifica del PSC (regolamenti n. 
1055/2005 e 1056/2005), lo strumento chiave per la disciplina di bilancio e 
per la sorveglianza multilaterale � diventato il saldo strutturale, ossia il saldo 
di bilancio pubblico depurato dagli effetti del ciclo economico e dalle misure 
una tantum e temporanee. In tal modo la disciplina di bilancio si focalizza 
sul miglioramento delle finanze pubbliche in termini strutturali, cio� escludendo 
gli effetti di un eventuale rallentamento o espansione dell'economia e 
delle misure una tantum. L'adozione del saldo strutturale come parametro 
guida nasce dalla considerazione che quello nominale non consente una corretta 
interpretazione della politica di bilancio discrezionale, in quanto il saldo 
nominale di bilancio � influenzato da fattori contingenti, a causa degli effetti 
del ciclo economico sulle entrate e sulle spese di bilancio. La componente 
ciclica del saldo di bilancio delle amministrazioni pubbliche si ottiene con 
un procedura a due passi, che richiede la determinazione del cosiddetto output 
gap, una variabile non osservabile e altamente instabile. Il Pilastro della disciplina 
di bilancio con le modifiche del 2005 � l'Obiettivo di medio termine 
(MTO), cio� un certo valore-obiettivo del saldo di bilancio strutturale, che 
ciascun Stato membro deve adottare e rispettare. Si tratta dello strumento 
ideato per rispettare i vincoli di Maastricht sulla finanza pubblica. Il MTO 
dipende dalle condizioni cicliche normali del paese, dal livello del rapporto 
debito/PIL e dai costi derivanti dall'invecchiamento della popolazione (che 
impattano principalmente su pensioni, sanit� e assistenza). Gli Stati membri 
dovrebbero conseguire un saldo di bilancio strutturale pari all'MTO nazionale, 
ovvero un saldo in rapida convergenza verso il MTO. 
Occorre dunque osservare come, a partire dal 2005, la vera regola che 
deve essere rispettata non � tanto il limite del 3% sul saldo di bilancio nominale, 
che pure resta, ma la regola sul saldo strutturale, ossia il raggiungimento 
di quel valore del saldo strutturale scelto come target (MTO nazionale). Poich� 
si tratta di concetti complessi, la nuova regola risulta essere di pi� difficile 
comprensione per l'opinione pubblica rispetto a quella relativamente semplice 
del 3% sul saldo nominale di bilancio. 
Poich� questo quadro giuridico non risultava sufficiente a garantire che 
gli squilibri macroeconomici e finanziari di alcuni paesi non si riflettessero 
sulla stabilit� dell'intera Unione, la scelta dell'Unione Europea � stata quella 
di rafforzare ancor di pi� le regole dell'area euro, attraverso l'adozione della 
Direttiva e dei Regolamenti del Six Pack (2011) e del Two Pack (2013) e la 
stipula di un nuovo Trattato internazionale (Fiscal Compact). 
I principali correttivi contenuti nel Six-Pack riguardano: 
1) il rafforzamento del braccio preventivo del PSC (versione PSC-III), 
sia con la definizione di "deviazione significativa" dal MTO, o dal sentiero di 
convergenza verso di esso, sia con l'introduzione di sanzioni pecuniarie gi� in 
fase preventiva;
190 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2015 
2) il rafforzamento del braccio correttivo, con sanzioni progressive, che 
partono dall'imposizione di un deposito infruttifero dello 0,2% del PIL nella 
prima fase di una EDP, fino ad una sanzione pecuniaria che pu� raggiungere 
lo 0,5% del PIL; 
3) l'introduzione di una nuova regola sulla spesa (expenditure benchmark); 
4) la definizione operativa del criterio del debito posto dal Trattato di 
Maastricht; 
5) la definizione dei requisiti minimi del sistema di regole e procedure di 
bilancio di ciascun paese (sistema contabile, metodologie e prassi in materia 
di previsioni, norme e procedure di bilancio, sistemi di coordinamento tra livelli 
di governo). In particolare, ogni Stato deve dotarsi: a) di nuove regole 
nazionali di bilancio, che facilitino la disciplina di bilancio; b) di un sistema 
di programmazione di bilancio pluriennale, che preveda espressamente il rispetto 
del MTO nazionale (Direttiva n. 85/2011). 
Il Two-Pack ha rafforzato la procedura di monitoraggio da parte della 
Commissione dei disegni di legge di bilancio degli Stati Membri appartenenti 
alla zona euro, e ha ribadito l'obbligo, gi� previsto dalla Direttiva 85/2011, 
di costituire un guardiano fiscale indipendente (Fiscal council) in ciascun 
paese. Il 2 marzo 2012 i Capi di Stato e di Governo degli Stati Membri dell'eurozona, 
nell'intento di sviluppare un coordinamento pi� stretto delle loro 
politiche economiche, hanno sottoscritto, il Trattato sulla stabilit�, sul coordinamento 
e sulla governance nell'unione economica e monetaria (cd. 
Fiscal Compact). 
Si tratta di un accordo di diritto internazionale, dunque al di fuori del diritto 
dell'Unione europea. Si applica nella misura in cui � compatibile con i 
Trattati su cui si fonda l'Unione europea e con il diritto dell'Unione europea, 
e non pregiudica la competenza dell'Unione in materia di unione europea (art. 
2, paragrafo e) del Fiscal compact). 
Riafferma l'obbligo del rispetto del MTO nazionale, di cui alla Direttiva 
n. 85/2011, e non contiene innovazioni sostanziali sulla disciplina gi� esistente 
dettata dal Patto di stabilit� e crescita come risultante dalle modifiche 
e integrazioni apportate dal Six-Pack. Il TSCG riafferma inoltre quanto previsto 
gi� dal Six-Pack, in termini di velocit� di riduzione del rapporto 
debito/PIL. Quando il rapporto tra debito pubblico e PIL di uno Stato supera 
il valore di riferimento del 60% di cui all'art. 1 del protocollo sui disavanzi 
eccessivi, lo Stato dovr� operare una riduzione �a un ritmo medio di un ventesimo 
all'anno" (art. 4). 
Il mancato inserimento nell'ordinamento interno della regola del rispetto 
del MTO, consente agli Stati membri di adire la Corte di giustizia, dopo che 
la Commissione abbia presentato una relazione sulle disposizioni adottate, 
prevedendosi il potere della Corte di giustizia di irrogare sanzioni (art. 8).
LEGISLAZIONE ED ATTUALIT� 191 
La revisione della governance europea operata nel 2011-2013 con il 
Six-pack e il Two-Pack non ha comportato alcun cambiamento sostanziale 
delle regole di bilancio con riferimento agli investimenti. Il cammino 
verso la ridefinizione delle regole di bilancio europee, con l'esclusione 
degli investimenti dal computo dei saldi, come auspicato da molti osservatori, 
� tuttavia ancora molto lungo. Nel gennaio del 2015, in sede di 
interpretazione dei Regolamenti, la Commissione ha formalizzato le linee 
guida della cosiddetta "clausola degli investimenti", gi� delineata timidamente 
dalla Commissione nella nota lettera del Presidente Barroso del 3 
luglio 2013, e applicabile in sede di attuazione operativa del braccio preventivo, 
sotto ipotesi molto restrittive (rispetto del vincolo sul saldo nominale 
del 3%, tasso di crescita del PIL negativo, limitate categorie di 
spese ammissibili). La principale innovazione rispetto alla impostazione 
originaria, sta nel fatto che il ricorso alla clausola degli investimenti diventa 
indipendente dalle condizioni cicliche dell'intera area euro e della 
Unione nel suo complesso, essendo collegata alla sola situazione ciclica 
dello Stato Membro. L'altro elemento di novit� introdotto nel gennaio 
2015 dalla Commissione, sempre in sede di interpretazione dei Regolamenti, 
consiste nello scomputo, nell'ambito del braccio preventivo e correttivo, 
dei contributi nazionali al costituendo Fondo EFSI, delineato dal 
Piano Junker. Si tratta di una misura necessaria, affinch� il Fondo, dotato 
inizialmente di soli 21 miliardi di euro, possa raccogliere capitali sufficienti. 
Peraltro, non sono ancora chiari i criteri di allocazione delle risorse 
del Fondo, e di conseguenza tale incertezza potrebbe inibire il coinvolgimento 
dei paesi membri. 
2. Il quadro interno. 
In Italia � stata approvata la Legge costituzionale 20 aprile 2012, n. 1 (introduzione 
del principio del pareggio di bilancio nella Carta costituzionale 
in revisione dell'art. 81 Cost.). 
La normativa avr� ricadute pratiche sul funzionamento del complesso 
delle pubbliche amministrazioni chiamate tutte ad assicurare �l'equilibrio dei 
bilanci e la sostenibilit� del debito pubblico� (nuovo primo comma dell'art. 
97 della Costituzione). 
Il clima di emergenza economico-finanziaria attraversato dall'Italia ha 
certamente favorito un rapido iter parlamentare della riforma costituzionale, 
che oltre a dare attuazione a uno dei capisaldi del Six-Pack, e cio� la previsione 
del principio del rispetto del MTO, risponde alla specifica richiesta avanzata 
dalla lettera della BCE, spedita al Governo italiano il 5 agosto 2011 dall'allora 
Presidente della BCE Jean Claude Trichet, secondo cui sarebbe stata appropriata 
anche una riforma costituzionale che rendesse pi� stringenti le regole 
di bilancio. 
192 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2015 
A tal fine � stato innanzitutto riscritto l'art. 81 della Costituzione (1), introducendo 
il principio dell'equilibrio di bilancio per il bilancio dello Stato, e 
facendo venire meno il carattere formale della legge di bilancio (2). 
Successivamente � stata approvata la legge rinforzata n. 243 del 24 dicembre 
2012, recante disposizioni per l'attuazione del principio del pareggio 
di bilancio ai sensi dell'art. 81, sesto comma, della Costituzione (3). 
(1) L'art. 81 Cost. novellato risulta cos� formulato: �Lo Stato assicura l'equilibrio tra le entrate e 
le spese del proprio bilancio, tenendo conto delle fasi avverse e delle fasi favorevoli del ciclo economico. 
Il ricorso all'indebitamento � consentito solo al fine di considerare gli effetti del ciclo economico e, previa 
autorizzazione delle Camere adottata a maggioranza dei rispettivi componenti, al verificarsi di 
eventi eccezionali. 
Ogni legge che importi nuovi o maggiori oneri provvede ai mezzi per farvi fronte. 
Le Camere ogni anno approvano con legge il bilancio e il rendiconto consuntivo presentati dal Governo. 
L'esercizio provvisorio del bilancio non pu� essere concesso se non per legge e per periodi non superiori 
complessivamente a quattro mesi. 
Il contenuto della legge di bilancio, le norme fondamentali e i criteri volti ad assicurare l'equilibrio tra 
le entrate e le spese dei bilanci e la sostenibilit� del debito del complesso delle pubbliche amministrazioni 
sono stabiliti con legge approvata a maggioranza assoluta dei componenti di ciascuna Camera, 
nel rispetto dei principi definiti con legge costituzionale�. 
(2) La legge costituzionale n. 1 del 2012 � intervenuta anche sugli articoli 97, 117 e 119. Per 
quanto riguarda l'art. 97, aggiunge l'obbligo per le pubbliche amministrazioni di assicurare l'equilibrio 
dei bilanci e la sostenibilit� del debito pubblico. Nel 117 inserisce tra le materie di competenza esclusiva 
dello Stato l�"armonizzazione dei bilanci pubblici". All'art. 119, laddove afferma l�autonomia finanziaria 
di entrata e di spesa di Comuni, Province, Citt� metropolitane e Regioni, la nuova legge costituzionale 
aggiunge che questa deve rispettare l'equilibrio dei relativi bilanci e che i citati enti locali concorrono 
ad assicurare l'osservanza dei vincoli economici e finanziari derivanti dall'ordinamento dell'Unione europea. 
Nell�ottavo comma dell'art. 119, quando afferma che possono ricorrere all'indebitamento solo 
per finanziare spese di investimento, specifica che tale ricorso � possibile "con la contestuale definizione 
di piani di ammortamento e a condizione che per il complesso degli enti di ciascuna Regione sia rispettato 
l'equilibrio di bilancio". L'art. 5 della legge costituzionale n. 1 del 2012 disciplina il contenuto della 
legge cui fa riferimento il co. 6 dell'art. 81 (legge rinforzata), statuendo che la stessa (da approvare entro 
il 28 febbraio 2013, art. 5. co. 3), dovr� disciplinare, tra l�altro il contenuto della legge di bilancio dello 
Stato. L'ultimo comma dell'art. 5 della legge costituzionale prevede che "Le Camere, secondo modalit� 
stabilite dai rispettivi regolamenti, esercitano la funzione di controllo sulla finanza pubblica con particolare 
riferimento all'equilibrio tra entrate e spese nonch� alla qualit� e all'efficacia della spesa delle 
pubbliche amministrazioni". 
(3) Per quanto riguarda il suo contenuto, il capo I indica l�oggetto ed elenca le definizioni. In particolare 
l�art. 1 (Oggetto) specifica che la stessa potr� essere abrogata, modificata e derogata solo in 
modo espresso e da una legge successiva, con la stessa maggioranza assoluta adoperata per la sua adozione 
che � quella prevista dall�art. 81, co. 6 della Costituzione. Il Capo II ("Principio dell'equilibrio dei 
bilanci e sostenibilit� del debito delle amministrazioni pubbliche"), all�art. 3 ("Prinicipio dell�equilibiro 
dei bilanci") definisce il concetto di equilibrio dei bilanci, specificando che l�equilibrio dei bilanci, che 
le pubbliche amministrazioni devono concorrere ad assicurare ai sensi del nuovo primo comma dell'art. 
97 della Costituzione, corrisponde all'obiettivo di medio termine, individuato sulla base dei criteri stabiliti 
dall'ordinamento dell'Unione europea. L'art. 4 riafferma l'obbligo per le pubbliche amministrazioni di 
concorrere ad assicurare la sostenibilit� del debito pubblico. Qualora il rapporto debito/PIL superi il valore 
di riferimento definito dall'ordinamento dell'Unione Europea (60% del PIL), in sede di definizione 
degli obiettivi deve tenersi conto della necessit� di garantire una riduzione dell'eccedenza rispetto a tale 
valore. Gli eventi eccezionali, che consentono scostamenti temporanei del saldo strutturale dall'obiettivo 
programmatico devono intendersi i periodi di grave recessione economica, sia dell'area euro che dell'intera 
Unione europea, e gli eventi straordinari, al di fuori del controllo dello Stato, incluse le gravi
LEGISLAZIONE ED ATTUALIT� 193 
Con tale legge viene istituito l'organismo indipendente, di cui all'art. 5, 
co. 1, lettera f), della legge costituzionale n. 1 del 2012, denominato "Ufficio 
parlamentare di bilancio", presso le Camere, il cui compito � quello di analisi 
e verifica degli andamenti di finanza pubblica e di valutazione dell'osservanza 
delle regole di bilancio (art. 16, Capo VII). 
Tale normativa trova applicazione a decorrere dal 1� gennaio 2014, ad 
eccezione del capo IV (Equilibrio dei bilanci delle regioni e degli enti locali e 
concorso dei medesimi enti alla sostenibilit� del debito pubblico) e dell'art. 15 
(contenuto della legge di bilancio), applicabili dal 1� gennaio 2016. 
3. La legge di stabilit� nell'ordinamento italiano. 
La legge di stabilit� per l'anno 2015 � stata il caso di prima applicazione 
e sperimentazione in vivo del nuovo quadro giuridico e costituzionale (4). 
Va quindi analizzata al fine di coglierne il valore di primo precedente e 
in chiave prospettica cercando di collocarla nel quadro del percorso italiano 
crisi finanziarie e le gravi calamit� naturali, con rilevanti ripercussioni sulla situazione finanziaria generale 
del paese (art. 6). Il Capo III disciplina il meccanismo di correzione qualora si determinino scostamenti 
del saldo del conto consolidato o del saldo strutturale rispetto agli obiettivi programmatici, 
diversi da quelli gi� considerati per il caso di eventi eccezionali. Il Capo VI (Bilancio dello Stato) all'art. 
15 indica il contenuto della legge di bilancio, la quale diventer� legge sostanziale a partire dal 2016 
(anno di entrata in vigore della disposizione). Il contenuto della legge di stabilit� confluir� nello stesso 
disegno di legge di bilancio. Per ragioni di trasparenza circa il contenuto e il peso delle innovazioni legislative, 
il contenuto della legge di bilancio sar� composto di due distinte sezioni. La legge 243/2012 
stabilisce infatti che la prima sezione rechi le innovazioni legislative e il livello del saldo netto da finanziare, 
e la seconda contenga la previsione di bilancio a legislazione vigente. Entrambe le sezioni sono 
redatte sia in termini di competenza, sia di cassa. 
(4) La legge di stabilit�, insieme alla legge di bilancio, costituisce la manovra di finanza pubblica 
per il triennio di riferimento e rappresenta lo strumento principale di attuazione degli obiettivi programmatici 
definiti con la Decisione di finanza pubblica (DEF). Essa sostituisce la legge finanziaria e rispetto 
a quest'ultima prevede novit� sia in ordine ai tempi di presentazione sia in merito ai contenuti. Il disegno 
di legge di stabilit� viene presentato in Parlamento entro il 15 ottobre (in passato era il 30 settembre). 
Dal punto di vista del contenuto � snella. Non pu� contenere norme a carattere ordinamentale o organizzatorio, 
anche qualora esse si caratterizzino per un rilevante miglioramento dei saldi, norme di delega, 
n� quelle relative ad interventi di natura localistica o micro settoriale. Al fine di rendere pi� immediato 
e trasparente il raccordo tra gli effetti della legge di stabilit� sul bilancio dello Stato e sul conto economico 
delle Amministrazioni Pubbliche, � prevista, a corredo del disegno di legge di stabilit�, la predisposizione 
di una apposita Nota tecnica illustrativa. Tale nota espone i contenuti della manovra, gli 
effetti sui saldi di finanza pubblica articolati nei vari settori di intervento e i criteri utilizzati per la quantificazione 
degli stessi. Essa contiene, altres�, le previsioni del conto economico delle amministrazioni 
pubbliche e del relativo conto di cassa, integrate con gli effetti della manovra per il triennio di riferimento. 
Occorre osservare che la materia, la cui disciplina era contenuta nella ormai abrogata legge 468 
del 1978, � stata aggiornata dalla legge 196 del 2009 (Legge di contabilit� e di finanza pubblica) per 
adeguarla al mutato contesto istituzionale ed economico (Unione Monetaria, evoluzione della struttura 
dell'economia, federalismo fiscale). 
Per adeguare il sistema nazionale delle decisioni di bilancio alle nuove regole europee � stato necessario 
un successivo intervento legislativo, legge 39 del 2011, che ha modificato la legge 196/2009, al fine di 
assicurare la coerenza della programmazione finanziaria delle amministrazioni pubbliche con le procedure 
ed i criteri dettati dall'Unione Europea.
194 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2015 
di rientro dal deficit e dal debito, cercando di capire quali sono le scelte successive 
che il Parlamento italiano dovr� affrontare nella prossima congiuntura 
economica (5). 
Il Governo con la Nota di Aggiornamento al DEF 2014 ha modificato gli 
obiettivi di finanza pubblica, rimandando al 2017 il raggiungimento del Medium 
Term Objective (MTO), che per il nostro paese coincide con l'equilibrio strutturale 
di bilancio, pur impegnandosi a tenere il deficit nominale al di sotto del 3%. 
La Commissione europea il 2 novembre scorso ha reso pubbliche le proprie 
valutazioni sui progetti di bilancio dei paesi euro, ai sensi del Regolamento 
Ue 473/2013 (parte del Two-Pack). Il programma dell'Italia ha ricevuto 
il via libera e non � prevista alcuna procedura di infrazione a suo carico, riconoscendo 
che la riduzione dello squilibrio macroeconomico relativo all'elevato 
livello di debito � resa particolarmente difficoltosa date le circostanze 
eccezionali (la prolungata recessione, la bassa inflazione, la differenza negativa 
tra prodotto reale e prodotto potenziale superiore al 4%). La Commissione 
ha per� ravvisato un rischio di non conformit� con i requisiti del Patto 
di stabilit� e crescita e ha segnalato che in marzo sar� necessario valutare i 
progressi sotto il profilo del grado di attuazione delle politiche economiche, 
la finalizzazione delle leggi finanziarie e i passi avanti compiuti sul fronte 
delle riforme istituzionali. 
Lo scopo del seminario � cercare di abbozzare un quadro teorico e di raccogliere 
riflessioni che valutino sul piano giuridico il valore della legge di bilancio 
e della legge di stabilit� alla luce del nuovo parametro costituzionale, 
che comporta un'indubbia maggiore complessit� delle scelte parlamentari e 
l'eventualit� della loro contestazione in sede giudiziaria nazionale e sovranazionale. 
Si tratta altres� di raccogliere l�opinione di autorevoli economisti sul 
percorso che il futuro ci riserva, stretto fra esigenze di austerit� ed adozione 
di misure che favoriscano la crescita. 
L'idea del seminario � l'idea di un esercizio intellettuale �riformista� che, 
a partire dai vincoli di bilancio, cerchi di definire che spazio hanno i riformisti, 
le politiche di riforma economica possibili. 
Il problema � l'indagine rigorosamente tecnica sulla consentita "flessibilit�" 
delle regole di bilancio nel diritto vigente. 
A diritto vigente la famosa "flessibilit�" delle regole di bilancio che cosa 
(5) Sulla legge di bilancio e la legge stabilit� � poi intervenuta la legge rinforzata di attuazione 
del principio del pareggio dei bilancio, che al Capo VI ("norme relative al bilancio dello Stato") definisce 
il principio dell'equilibrio e il contenuto della legge di bilancio, secondo quanto stabilito dal nuovo art. 
81 della Costituzione (novellato dalla legge costituzionale n. 1 del 2012). La legge n. 243, art. 15, prevede 
l'unificazione in un unico documento (la legge di bilancio) dei contenuti della legge di stabilit� e legge 
di bilancio, disciplinati dalla legge n. 196 del 2009, a decorrere dal primo gennaio del 2016 (art. 21, Co. 
3). Le modalit� di attuazione della nuova disciplina in materia di Contenuto della legge di bilancio sono 
rinviate alla legislazione ordinaria.
LEGISLAZIONE ED ATTUALIT� 195 
�? Quali margini ci offre? � un'illusione o una realt�? Le regole europee ci 
vincolano eccessivamente e vanno riviste o ci garantiscono da tentazioni del 
passato legate a gestioni non accorte e rigorose della finanza pubblica? 
Quello della flessibilit� delle regole del pareggio di bilancio � un problema 
rispetto al quale i giuristi da soli non hanno la possibilit� di dare risposte 
e neanche forse gli economisti da soli. 
I temi sono vari. Le incertezze segnalate da Massimo Luciani, sin dal seminario 
in Corte Costituzionale di due anni fa, sono inscritte nell'art. 81 e riguardano 
la sua interpretazione. Intanto i giuristi devono familiarizzare con 
nozioni come "ciclo economico" o "ricorso all'indebitamento" o "sostenibilit� 
del debito". Nello stesso art. 81 da una parte, al comma 2, si parla di indebitamento, 
dall'altra parte, nell'ultimo comma, di sostenibilit� del debito. Si tratta 
di due nozioni diverse che vanno stabilite e non c'� ancora giurisprudenza costituzionale 
che le definisca. 
Le questioni sono tante e non riguardano solamente la legge di stabilit�. 
Un'altra questione riguarda la legge 243/2012, che contiene anch'essa 
altre definizioni di tipo giuridico/economico. Per esempio la nozione di 
"obiettivo di medio termine", che presa dai documenti comunitari e traslata 
in una legge di attuazione costituzionale, all'art. 3, co. 2 della 243/2012 diviene 
"equilibrio di bilancio" per cui una nozione si risolve nell�altra, il pareggio 
di bilancio diviene (o �) una regola di equilibrio e l'equilibrio � - 
transitoriamente - un percorso di avvicinamento al pareggio e, forse, in conclusione, 
un approdo sempre incerto e discutibile tra strutturalit� ed eccezionalit� 
del ciclo economico. 
Nella legge n. 243 del 2012 gli obiettivi di medio termine che sono nei 
documenti comunitari vengono assunti come obiettivi che devono essere conseguiti 
dalle manovre di bilancio nel loro complesso. E questo si tira dietro 
altre domande: ci si pu� chiedere se ci� significhi che abbiamo costituzionalizzato 
tutti i documenti comunitari oppure se ci� comporti che ci sono dei 
margini di azione. I documenti comunitari - in sostanza - vanno sempre letti 
per la valenza che hanno in via generale nell'ordinamento giuridico con la conseguenza 
che detta valenza varia a seconda che l'obiettivo sia fissato da una 
fonte comunitaria inderogabile o derogabile? 
Si tratta di documenti di natura complessa, proprio perch� contabili, un 
reticolo complesso di atti di valenza plurima, di natura diversa, con effetti incerti 
che spaziano dalla vera e propria vincolativit� giuridica alla soft law. 
Un'altra nozione decisiva per affrontare la crisi � quella di stato di eccezione. 
Nella legge n. 243 del 2012 troviamo regole sugli "eventi eccezionali" 
(art. 6 legge 243/2012), occorre osservare che la nozione di "equilibrio di bilancio" 
� definita rispetto ad un'altra nozione economica, che � quella di (obiettivo 
di medio termine o pareggio in termini di) �saldo strutturale�. La 
strutturalit� � l'opposto dell'eccezionalit�. Uno scostamento temporaneo dal
196 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2015 
saldo strutturale sembrerebbe la posizione in cui si trova l'Italia, che viene invocata 
come legittima poich� si ritiene di essere in presenza di eventi eccezionali 
(grave recessione economica, grave crisi finanziaria). 
Ma quanto pu� durare questa situazione eccezionale? 
C'� poi il Fiscal Compact che incombe e riguarda le specifiche misure 
autonome e la necessit� di ridurre lo stock del debito: quindi il Paese oltre ad 
avere di fronte a s� gli obiettivi di avvicinamento al pareggio di bilancio ha il 
dovere di ridurre il debito. 
Se non riprende la crescita il Fiscal Compact difficilmente verr� rispettato. 
La crescita � legata anche alla questione degli investimenti pubblici ed 
in particolare all'individuazione degli investimenti possibili, che ci possono 
permettere di immettere domanda pubblica in senso keynesiano, che conduca 
ad una ripresa consistente. 
Le politiche di flessibilit� hanno due gambe, la prima � la critica di una 
visione troppo rigida del saldo strutturale, la seconda riguarda le condizioni 
rispetto alle quali sono possibili investimenti pubblici che non rientrino nel 
patto e quindi consentano di sperare che la crescita venga innescata e divenga 
attuabile un percorso graduale di riduzione del debito.
DOTTRINA 
Qualche dettaglio in pi� sulla sentenza FIOM: 
La legittimit� costituzionale della norma di risulta 
Glauco Nori* 
1.- Sulla sentenza n. 231 del 2013 della Corte costituzionale si sono gi� 
fatte alcune osservazioni in questa Rassegna (1). Ci si ritorna con qualche dettaglio 
in pi� anche per tenere conto di quanto � avvenuto nel frattempo. 
Secondo la Corte la legittimit� costituzionale dell�art. 19 della legge n. 
300 del 1970 era venuta meno per le modifiche apportate con referendum. 
Nella sentenza di ammissione del referendum la legittimit� della norma di 
risulta non era stata verificata secondo un orientamento assunto da tempo. La 
Corte inizialmente aveva ritenuto di avere �soltanto il compito di verificare se 
la richiesta di referendum � riguardi le materie che l�art. 75, secondo comma, 
della Costituzione esclude dalla votazione popolare� (sent. n. 10/1971). Probabilmente 
per non creare ostacoli ad un strumento di democrazia diretta aveva 
limitato il suo intervento a quanto la Costituzione prevedeva espressamente. 
Restava, di conseguenza, fuori dalle sue indagini anche la legittimit� costituzionale 
della norma di risulta �tanto pi� che la conseguente situazione normativa 
potrebbe dar luogo, se e quando si realizzi, ad un giudizio di legittimit� 
costituzionale, alle condizioni e nei limiti prescritti� (sent. n. 24/1981). 
Nella sentenza n. 231 l�argomento non � stato affrontato, ma nella sentenza 
1/2014 � ancora negata �la possibilit� di sindacare in sede di giudizio 
di ammissibilit� del referendum abrogativo profili di legittimit� costituzionale 
in particolare attinenti alla ragionevolezza delle predette norme�. 
(*) Professore, Avvocato dello Stato, Presidente emerito del Comitato scientifico di questa Rassegna. 
(1) GLAUCO NORI, Una questione di principio sulla sentenza Fiom, nota a Corte costituzionale, 
sentenza 23 luglio 2013 n. 231, in Rass. Avv. Stato 2013, Vol. 2, pp. 67 ss., nota che di seguito integralmente 
si ripubblica come premessa al presente articolo:
198 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2015 
� La sentenza della Corte costituzionale n. 231 del 2013, che ha richiamato l�attenzione per il rilevo dei 
giudizi di merito che l�hanno provocata, fa sorgere anche una questione di principio sulla quale la Corte 
non si � soffermata, almeno formalmente, alla quale � il caso di accennare: � stata dichiarata costituzionalmente 
illegittima una norma nel testo modificato attraverso un referendum, diventata illegittima proprio 
per le modifiche referendarie. 
Nel suo testo originario la disposizione legislativa non avrebbe fatto sorgere la questione di merito 
perch� l�associazione sindacale interessata, anche dopo il suo rifiuto di sottoscrivere il contratto aziendale, 
avrebbe partecipato ugualmente alla rappresentanza sindacale aziendale, in quanto aderente ad una 
delle confederazioni maggiormente rappresentative sul piano nazionale. 
Una volta venuto meno questo titolo di legittimazione a seguito del referendum, � diventata attuale la 
questione sulla quale la Corte si � pronunciata dichiarando la illegittimit� costituzionale dell�art. 19, 
primo comma, lettera b), della legge 20 maggio 1970, n. 300 �nella parte in cui non prevede che la rappresentanza 
sindacale aziendale possa essere costituita anche nell�ambito di associazioni sindacali che, 
pur non firmatarie dei contratti collettivi applicati all�unit� produttiva, abbiano comunque partecipato 
alla negoziazione relativa agli stessi contratti quali rappresentanti dei lavatori dell�azienda�. 
La Corte ha giudicato corretta la premessa formulata dal giudice remittente secondo il quale �la soluzione 
di una lettura estensiva della espressione �associazioni firmatarie�, nel senso della sua riferibilit� anche 
alle organizzazioni che abbiano comunque partecipato al processo contrattuale - cui, in analoghe circostanze, 
altri giudici di merito sono pervenuti, in funzione di una �interpretazione adeguatrice� al 
dettato costituzionale della disposizione in esame - non �, preliminarmente, ritenuta condivisibile dal 
Tribunale rimettente, per l�univocit� del dato testuale che inevitabilmente vi si opporrebbe�. 
Il referendum che ha modificato l�originaria disposizione oggi dichiarata illegittima, � stato dichiarato 
ammissibile dalla Corte con sentenza n. 1 del 1994 dopo aver rilevato che erano state rispettate le esigenze 
di chiarezza, univocit� ed omogeneit� del quesito e che la coesistenza di due quesiti referendari 
per l�art. 19 non dava luogo a inconvenienti applicativi della normativa di risulta. 
Di fronte a due sentenze, di cui la prima ha dichiarato ammissibile un referendum abrogativo e la seconda 
ha dichiarato illegittima costituzionalmente la norma nella formulazione risultante dal referendum, cՏ 
da domandarsi se e come vadano coordinate. 
La sentenza n. 213 ha evidentemente presupposto che sulla verifica della legittimit� costituzionale della 
norma non avesse nessun rilievo la sentenza sull�ammissibilit� del referendum. In mancanza di indicazioni 
sulla ragione si pu� tentare una ricostruzione. 
� stato l�art. 2 della legge costituzionale n. 1 del 1953 che ha attribuito alla Corte costituzionale la competenza 
a giudicare dell�ammissibilit� delle richieste di referendum ai sensi del secondo comma dell�art. 
75 Cost. Per questo la Corte costituzionale nella sua prima giurisprudenza si � limitata a verificare se le 
richieste riguardavano leggi per le quali appunto il secondo comma dell�art. 75 Cost. non consentiva il 
referendum. 
Quando le richieste di referendum sono diventate pi� impegnative e complicate la Corte ha esteso la 
sua indagine sulla norma di risulta perch� non si creassero vuoti normativi o si stravolgesse la disciplina 
precedente o si incontrassero difficolt� applicative. 
�Con la sentenza n. 16 del 1978 la Corte ha affermato che al di l� dei casi di ammissibilit� del referendum 
enunciati espressamente dall�art. 75, secondo comma, sono presenti nella Costituzione riferibili 
alle strutture od ai temi delle richieste referendarie, valori che debbono essere tutelati escludendo i relativi 
referendum. Di qui l�elaborazione e la formale enunciazione, sempre in detta sentenza, di precise 
ragioni costituzionali di inammissibilit�, tra le quali si iscrive la non abrogabilit� delle �disposizioni 
legislative ordinarie a contenuto costituzionalmente vincolato��. � questa una delle premesse dalle quali 
� partita la Corte nella sentenza n. 35 del 1997 nella quale ha concluso per la non ammissibilit� del referendum 
abrogativo di parti della legge sull�aborto perch� �l�abrogazione � travolgerebbe ... disposizioni 
di contenuto normativo costituzionalmente vincolato sotto pi� aspetti, in quanto renderebbe nullo 
il livello minimo di tutela necessaria dei diritti costituzionalmente inviolabili ��. 
Oggi l�art. 19 � stato dichiarato illegittimo costituzionalmente perch� �in collisione con i precetti di cui 
agli art. 2, 3, e 39 Cost.�. In linea di principio quindi il referendum non sarebbe stato ammissibile perch� 
eliminava il contenuto normativo costituzionalmente vincolato provocando la �esclusione di un soggetto 
maggiormente rappresentativo a livello aziendale o comunque significativamente rappresentativo, s� 
da non potersene giustificare la stessa esclusione dalle trattative�.
DOTTRINA 199 
2.- La posizione assunta con la sentenza n. 10/1971 nel frattempo era 
cambiata. 
�Ci� non toglie, per�, che si dimostra troppo restrittiva quella configurazione 
del giudizio di ammissibilit�, per cui sarebbe affidato alla Corte solo il 
compito di verificare se le richieste di referendum abrogativo riguardino materie 
che l�art. 75 secondo comma Cost. esclude dalla votazione popolare � 
Tale interpretazione non ha nessuna altra base, in effetti, al di fuori dell�assunto 
- postulato pi� che dimostrato - che la testuale indicazione della cause d�inammissibilit�, 
contenuta nel capoverso dell�art. 75, sia rigorosamente tassativa; 
laddove � altrettanto sostenibile - in ipotesi - che essa presuppone una serie di 
cause inespresse, previamente ricavabili dall�intero ordinamento costituzionale 
del referendum abrogativo�. E poco dopo: �occorre cio� stabilire, in via preliminare, 
se non si impongano altre ragioni, costituzionalmente rilevanti, in 
nome delle quali si renda indispensabile precludere il ricorso al corpo elettorale, 
ad integrazione delle ipotesi che la Costituzione ha previsto in maniera 
puntuale ed espressa. Diversamente, infatti, si determinerebbe la contraddizione 
consistente nel ritenere - da un lato - che siano presenti, nel nostro ordi- 
Il coordinamento tra le due sentenze, quella che ha dichiarato ammissibile il referendum e quella che ha 
dichiarato incostituzionale la norma di risulta, comporta qualche difficolt�. I criteri possono essere diversi, 
ognuno con dei pro e dei contro. 
Sembra difficile sostenere che, in sede di ammissibilit� del referendum, la Corte non debba domandarsi 
se gli effetti normativi dell�abrogazione risultino in contrasto con la Costituzione perch� sarebbe irragionevole 
che il Giudice di costituzionalit� possa consentire la formazione di norme incostituzionali e 
perch�, come si � visto, la Corte in varie occasioni lo ha fatto. Questa prima ipotesi sembra improbabile. 
Se nella sentenza non � detto nulla a proposito della legittimit� costituzionale della normazione di risulta, 
il silenzio sarebbe privo di effetti preclusivi e non porterebbe ad un giudicato implicito: significherebbe 
solo che l�indagine non � stata fatta e che quindi pu� essere fatta successivamente. In favore di questa 
seconda ipotesi potrebbe operare il principio secondo il quale la dichiarazione di legittimit� costituzionale 
di una norma non impedisce che sia dichiarata illegittima successivamente per motivi diversi. Come 
noto, la Corte ha chiarito da tempo che giudica solo sulle questioni sollevate con il ricorso o con l�ordinanza 
di rimessione. Si dovrebbe tenere conto, peraltro, della differenza delle situazioni: nel caso del 
referendum il giudizio � ufficioso e la Corte non interviene su sollecitazione del ricorrente o del giudice 
remittente, ma in un procedimento formalizzato. 
Se anche il silenzio nella sentenza di ammissibilit� portasse effetti preclusivi, questi sarebbero superati 
e il conflitto tra le due sentenze sarebbe solo apparente - � questa la terza ipotesi - perch� nel frattempo 
si sarebbe modificata la situazione di fatto facendo diventare illegittima una norma che all�inizio non lo 
era. In questo senso sembra il richiamo a quanto il Giudice remittente aver rilevato a proposito della 
sentenza n. 244 del 1996 e dell�ordinanza n. 345 del 1996, vale a dire che �quelle pronunzie - legate ad 
un diverso contesto, connotato dalla unitariet� di azione dei sindacati e dalla unitaria sottoscrizione 
dei contratti collettivi applicati all�azienda, nel quale �ragionevolmente quella sottoscrizione poteva 
essere assunta a criterio misuratore della forza del sindacato e della sua rappresentativit�� - vadano 
ora �ripensate alla luce dei mutamenti intercorsi nelle relazioni sindacali degli ultimi anni�, caratterizzate 
dalla rottura della unit� di azione delle organizzazioni maggiormente rappresentative e alla conclusione 
di contratti collettivi separati�. 
Prendendo spunto da questa vicenda potrebbe essere utile che la Corte in sede di giudizio di ammissibilit� 
del referendum effettuasse espressamente una verifica della legittimit� costituzionale delle norme di risulta 
�. 
200 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2015 
namento costituzionale ipotesi implicite di inammissibilit�, inerenti alle caratteristiche 
essenziali e necessarie dell�istituto del referendum abrogativo; e che 
questa Corte non possa - dall�altro - ricavarne conseguenze di sorta, solo perch� 
il testo dell�art. 75 secondo comma Cost. non le considera specificamente 
� Chiarendo che deve comunque trattarsi di richieste �presentate a norma 
dell�art. 75� tale disposizione [art.2, primo comma, legge cost. n. 1/1953] riconosce 
alla Corte il potere-dovere di valutare l�ammissibilit� dei referendum 
in via sistematica; � questa Corte ritiene che esistono in effetti valori di ordine 
costituzionale, riferibili alle strutture od a temi delle richieste referendarie, da 
tutelare escludendo i referendum, al di l� della lettera dell�art. 75 secondo 
comma Cost. E di qui seguono, precisamente, non uno ma quattro distinti complessi 
di ragioni d�inammissibilit�� (sent. n. 16/1978). 
A questa conclusione la Corte � arrivata dopo avere ripetuto che il giudizio 
di ammissibilit� del referendum �si atteggia con caratteristiche specifiche 
ed autonome nei confronti degli altri giudizi riservati a questa Corte, ed in 
particolare rispetto ai giudizi sulle controversie relative alla legittimit� costituzionale 
delle leggi e degli atti aventi forza di legge� (il rilievo si trovava gi� 
in sent. n. 251/1975). 
L�ammissibilit� dei referendum deve essere, dunque, valutata �in via sistematica�, 
secondo i principi desumibili dalla Costituzione che non sarebbero 
interessati quando la Corte dichiara ammissibile un referendum che rende incostituzionale 
una norma che non lo era. 
3.- Che la Corte, partecipando a �un procedimento unitario che si articola 
in pi� fasi consecutive e consequenziali� (sent. n. 251/1975) non debba impedire 
che diventi incostituzionale una norma che non lo era prima, provoca qualche 
perplessit� che la Corte ha dimostrato di non avere anche recentemente. 
Un ripensamento, per il quale non ci sarebbero ostacoli normativi, meriterebbe 
di essere almeno preso in considerazione perch� eviterebbe complicazioni, 
come quelle nel caso sul quale � intervenuta incidentalmente. 
Una volta che la stessa Corte ha escluso il carattere tassativo dell�elenco 
dell�art. 75 Cost., la diversit� del giudizio di ammissibilit� del referendum, rispetto 
a quello incidentale di legittimit�, va vista non nel �limitato oggetto�, 
come � detto nella sentenza n. 10/1971 e come poteva sembrare inizialmente, 
ma perch� investe solo le questioni proposte. Per questo una norma, anche se 
gi� riconosciuta costituzionale, pu� essere dichiarata successivamente illegittima 
sotto profili diversi. 
L�ammissibilit� del referendum � accertata d�ufficio, come fase necessaria 
del procedimento di ammissione tanto che anche per questo la Corte ha ritenuto 
di avere una sfera di indagine pi� ampia di quella riportata nell�art. 75. 
Per escludere la verifica della legittimit� della norma di risulta una motivazione 
non era necessaria quando la Corte, seguendo la sentenza n. 10/1971,
DOTTRINA 201 
ha ribadito il carattere limitato del suo giudizio. Non era ugualmente necessaria 
quando il referendum � stato dichiarato inammissibile per ragioni diverse. Lo 
diventava quando affermava che �la prospettata illegittimit� costituzionale di 
tale divieto assoluto non pu� essere presa in considerazione e vagliata al fine 
di pervenire ad una pronuncia di inammissibilit� del quesito referendario� 
con un assunto �postulato pi� che dimostrato�, come quello sulla tassativit� 
dell�elenco dell�art. 75. 
Che la norma di risulta, anche se incostituzionale, vada applicata fino a 
che la questione non sia sollevata in un giudizio da chi vi ha interesse, comporta 
che il rispetto della Costituzione � rimesso alla iniziativa degli interessati, 
non della Corte nel procedimento d�ufficio nel quale non possono essere applicati 
gli stessi limiti del giudizio incidentale per la mancanza di un provvedimento 
di remissione. 
Se la Corte ritenesse dovuta l�indagine, una volta ammesso il referendum 
la legittimit� costituzionale della norma di risulta si dovrebbe considerare 
ormai accertata, quanto meno per implicito, e la riproposizione della questione 
diventerebbe inammissibile. 
Andrebbe escluso il giudicato che, come si dice, copre il dedotto e il deducibile 
cosicch� il principio diventa inapplicabile quando una domanda non 
cՏ. Si potrebbe avere una preclusione, ma non sembra il caso di soffermarsi 
ulteriormente sull�argomento. Quello che andrebbe chiarito � se, qualunque 
ne sia la ragione, dopo una sentenza di ammissibilit� si possa mettere in dubbio 
la legittimit� costituzionale della norma di risulta. 
Con la sentenza di ammissibilit� la Corte pu� contribuire a modificare 
anche sostanzialmente il testo originario. �La abrogazione, totale o parziale, 
di una legge o di un atto avente valore di legge� (art. 75 Cost.), almeno all�inizio, 
ha fatto pensare che attraverso il referendum si potessero eliminare, 
in tutto o in parte, gli effetti della legge senza modificarne la natura. L�orientamento 
� poi cambiato e attraverso un referendum, per esempio, � diventata 
maggioritaria una legge che inizialmente era proporzionale e viceversa. In pratica 
con il referendum non si abroga soltanto, ma si pu� anche modificare una 
norma. Anche questa potrebbe essere una ragione valida a giustificare il riesame 
della questione. 
Effetti preclusivi, naturalmente, non possono essere dedotti da sentenze 
emesse sul presupposto che il Giudice non era tenuto a verificare la legittimit� 
della norma di risulta e per questo non l�ha verificata. 
4.- Una volta che sulla questione nessun argomento poteva essere dedotto 
dalla sentenza n. 1/1994, vanno ricercati i motivi che hanno portato alla decisione. 
La Corte, affrontando successivamente la stessa questione, ha dichiarato 
incostituzionali norme gi� ritenute legittime quando la situazione di fatto presupposta 
si era cos� modificata da far diventare irragionevole la vecchia disci-
202 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2015 
plina. In questo caso l�incongruit� tra l�ammissione del referendum e la dichiarazione 
successiva di illegittimit� della norma di risulta sarebbe esclusa 
anche se la sentenza di ammissione producesse una preclusione. Ma non sembra 
che in questo senso sia stato il giudizio della Corte. 
L�art. 19 rimaneggiato era stato dichiarato costituzionalmente legittimo 
in diversi giudizi incidentali. I giudici remittenti per questo avevano prospettato 
come fatto nuovo la rottura della unit� d�azione sindacale, provocata dalla 
mancata sottoscrizione dei contratti da una delle associazioni maggiori. Il presupposto 
era che nell�unit� sindacale la Corte avesse visto la condizione della 
legittimit� costituzionale della norma. I precedenti portano ad escluderlo. 
�Il legislatore, onde garantire un effettivo pluralismo sindacale, ha consentito 
sufficienti spazi di liber� e di azione al sindacalismo autonomo mediante 
la disposizione di cui alla lett. b) del medesimo art. 19, che prevede che rappresentanze 
aziendali possono essere costituite nell'ambito di associazioni sindacali 
non affiliate alle confederazioni maggiormente rappresentative, semprech� queste 
siano firmatarie di contratti collettivi nazionali o provinciali di lavoro applicati 
nell'unit� produttiva. Per questa via, alle associazioni sindacali che 
raccolgano adeguati consensi � dato modo di affermarsi e di fruire delle ulteriori 
attribuzioni previste dal titolo III dello Statuto� (sent. n. 334/1988). 
Il quadro normativo era poi riassunto dalla sentenza n. 30 del 1990: nella 
lett. a) dell�art.19 erano tutelate le associazioni con maggiore rappresentativit� 
�a livello pluricategoriale�, mentre nella lett. b) il �sindacalismo autonomo, 
semprech� esso si dimostri capace di esprimere - attraverso la firma dei contratti 
collettivi nazionali o provinciali � - un grado di rappresentativit� idoneo 
a tradursi in effettivo potere contrattuale a livello extra-aziendale� (n. 4). 
Dell�unit� sindacale in queste sentenze non cՏ traccia n� poteva esserci: 
le confederazioni, in quanto pi� rappresentative, erano tutelate direttamente 
anche se non avessero concluso contratti, mentre quelle non affiliate solo se 
firmatarie. Una volta previsto che ci fossero associazioni che non firmavano, 
diventava difficile collegare la legittimit� della norma all�unit� di azione. 
Sulla stessa linea la Corte si � mantenuta nella sentenza n. 244/1996 con 
la quale ha dichiarato la legittimit� costituzionalmente dell�art. 19 post-referendum: 
�L�esigenza di oggettivit� del criterio legale di selezione comporta 
un�interpretazione rigorosa della fattispecie dell�art. 19, tale da far coincidere 
il criterio con la capacit� del sindacato di imporsi al datore di lavoro, direttamente 
o attraverso la sua associazione, come controparte contrattuale � 
L�art. 19 valorizza l�effettivit� dell�azione sindacale, desumibile dalla partecipazione 
alla formazione della normativa contrattuale collettiva (sentenza 
n.492 del 1995) quale indicatore di rappresentativit��. La legittimit� dell�esclusione 
di chi non aveva sottoscritto il contratto confermava che l�unit� 
dell�azione sindacale non era presupposta dalla norma. 
La Corte non ha, dunque, seguito la tesi dei remittenti che si fosse modi-
DOTTRINA 203 
ficata la situazione di fatto alla quale la norma era condizionata, sia pure implicitamente 
che, pertanto, non poteva incidere sulla legittimit�. 
5.- La Corte ha ritenuto incostituzionali norme sulle quali si era gi� 
espressa anche quando, dichiarata la illegittimit� solo parziale, il legislatore 
non era intervenuto malgrado fosse stato sollecitato a rimediare agli inconvenienti 
che la norma residua avrebbe potuto produrre. 
Nemmeno questo argomento risulta seguito. 
Con la sentenza n. 1 del 1994 la Corte ha ammesso il referendum dopo 
avere escluso che la coesistenza di due quesiti, definiti rispettivamente massimale 
e minimale, potesse produrre perplessit� per gli elettori o inconvenienti 
applicativi della normativa di risulta: anche nel caso di votazione favorevole 
ad entrambi il risultato positivo sul minimale sarebbe stato assorbito da quello 
sul massimale. 
La sentenza rilevava alla fine che �la norma residua ammetterebbe indiscriminatamente 
ai benefici del titolo III della legge qualsiasi gruppo di lavoratori 
autoqualificantesi �rappresentanza sindacale aziendale�, senza alcun 
controllo del grado di effettiva rappresentativit��. L�osservazione era evidentemente 
riferita al quesito massimale che �esprime chiaramente l�intendimento 
� dei promotori di ottenere l�abrogazione di tutti i criteri di �maggiore rappresentativit�� 
adottati dal citato art. 19, primo comma, lett. a) e b)�. Per questo 
aggiungeva che �il legislatore potr� intervenire dettando una disciplina 
sostanzialmente diversa da quella abrogata, improntata a modelli di rappresentativit� 
sindacale compatibili con le norme costituzionali e in pari tempo 
consoni alle trasformazioni sopravvenute nel sistema produttivo e alla nuove 
spinte aggregative degli interessi collettivi dei lavoratori�. 
A proposito delle spinte aggregative degli interessi collettivi dei lavoratori 
era richiamata la sentenza n. 30 del 1990: �questa Corte � ha ripetutamente 
sottolineato (sentt. nn. 54 del 1974 e 334 del 1988) la razionalit� di una scelta 
legislativa caratterizzata dal ricorso a tecniche incentivanti idonee ad impedire 
un�eccessiva dispersione e frammentazione dell�azione di autotutela ed a favorire 
una sintesi degli interessi non circoscritta alle logiche particolaristiche di 
piccoli gruppi di lavoratori�. Nella sentenza n. 54 del 1974 la scelta del legislatore 
era stata giudicata razionale perch� evitava �che singoli individui o piccoli 
gruppi isolati di lavoratori, costituiti in sindacati non aventi requisiti per 
attuare una effettiva rappresentanza aziendale possano pretendere di espletare 
tale funzione compiendo indiscriminatamente nell�ambito dell�azienda attivit� 
non idonee e non operanti per i lavoratori e possano dar vita ad un numero imprevedibile 
di organismi, ciascuno rappresentante pochi lavoratori ...�. 
Da questi richiami si ha la conferma che la precisazione finale nella sentenza 
n. 1 del 1994 si riferiva al caso dell�abrogazione massimale. La norma, 
prodotta dalla abrogazione minimalista, consentendo la costituzione della rap-
204 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2015 
presentanza sindacale aziendale ad iniziativa dei lavoratori nell�ambito delle 
associazioni sindacali firmatarie di contratti collettivi di lavoro applicati all�unit� 
produttiva non avrebbe avuto bisogno di nessuna integrazione legislativa; 
avrebbe solo introdotto un criterio selettivo pi� rigido con la 
qualificazione delle sole associazioni sindacali che, attraverso la sottoscrizione 
dei contratti di lavoro, diventavano parti di un rapporto contrattuale per la disciplina 
del lavoro nell�azienda che poi con la sentenza n. 492/1995 � stato dichiarato 
legittimo. 
Il �monito� del legislatore era restato senza effetto dopo che il referendum 
non aveva dato il risultato massimale che ne costituiva la condizione. 
Anche quello delle sentenza n. 30 del 1990, per la sua funzione diversa, 
non poteva avere qualche rilievo. 
Erano stati dichiarati inderogabili i criteri selettivi dell�art. 19, escludendo, 
di conseguenza, che, attraverso patti con l�imprenditore, si potessero 
riconoscere le misure di sostegno ad associazioni che non avessero i requisiti 
richiesti dalle lett. a) e b). Per �inverare, nella mutata situazione, i principi di 
libert� e di pluralismo sindacale� si sarebbero dovute seguire altre vie: �da 
un lato, strumenti di verifica dell�effettiva rappresentativit� delle associazioni, 
ivi comprese quelle di cui all�art. 19 dello statuto; dall�altro la possibilit� che 
misure di sostegno � siano attribuite anche ad associazioni estranee a quelle 
richiamate in tale norme, che attraverso una concreta, genuina, incisiva 
azione sindacale pervengano a significativi livelli di reale consenso�. In questo 
caso il richiamo alla libert� di azione ed al pluralismo sindacale era giustificato. 
Escluso che la disciplina dell�art. 19 potesse essere derogata 
convenzionalmente, le norme sulla rappresentativit� si sarebbero dovute aggiornare 
per la valorizzazione �dell�effettivo consenso come metro di democrazia 
anche nell�ambito dei rapporti tra lavoratori e sindacato� estendendo 
le misure di sostegno ad associazioni �estranee a quelle richiamate da tale 
norma� che svolgevano una genuina ed incisiva azione sindacale. 
I criteri fissati dall�art. 19 erano stati valutati insufficienti non nei confronti 
delle associazioni gi� prese in considerazione, ma solo perch� non consentivano 
di ampliarne il numero a seguito delle evoluzioni intervenute nel 
frattempo. Per questo concludeva che �l�apprestamento di tali nuove regole 
� � ormai necessario per garantire una pi� piena attuazione, in materia, dei 
principi costituzionali�. L�inattivit� del legislatore avrebbe potuto incidere 
sulla legittimit� dell�art. 19 non per i criteri di individuazione della associazioni, 
che gi� tutelava, ma solo per non avere esteso il numero delle associazioni 
tutelate. 
6.- La dichiarazione della illegittimit� costituzionale della norma non pu�, 
dunque, essere vista come rimedio alla mancata risposta del legislatore ai solleciti 
ricevuti. 
DOTTRINA 205 
Sulla legittimit� costituzionale della norma di risulta era stato manifestato 
qualche dubbio, ricordato dalla Corte, per uno �sbilanciamento� sia in eccesso 
che in difetto (2): in eccesso, se la sottoscrizione solo adesiva, senza una partecipazione 
attiva alla contrattazione, fosse stata ritenuta sufficiente ad accreditare 
il sindacato; in difetto, se per non avere sottoscritto il contratto, dopo 
essere stata protagonista nelle trattative, fosse restata esclusa anche l�associazione 
�sorretta da ampio consenso dei lavoratori�. 
Secondo la Corte le sue sentenze successive al referendum avrebbero 
preso in esame solo il primo dei due �punti critici�e �per questo aspetto� ha 
richiamato la sentenza n. 244/1996. Nella parte della sentenza gi� trascritta 
(�l�aver tenuto fermo come unico indice giuridicamente rilevante di rappresentativit� 
effettiva il criterio della lettera b), esteso per� all�intera gamma 
della contrattazione collettiva, si giustifica, in linea storico-sociologica e 
quindi di razionalit� pratica, per la corrispondenza di tale criterio allo strumento 
di misurazione della forza di un sindacato, e di riflesso della sua rappresentativit��) 
la Corte ha ritenuto �giustificata� la nuova disciplina in 
termini generali (� ... respinto dalla volont� popolare il principio della rappresentativit� 
presunta sotteso all�abrogata lettera a)� ). Non sembra, pertanto, 
che la sentenza si riferisca al solo primo dei �punti critici�. 
�L�attuale scenario delle relazioni sindacali e delle strategie imprenditoriali 
� - teoricamente � gi� presente nel sistema della lettera b) del primo 
comma, dell�art. 19, ma di fatto sin qui oscurato dalla esperienza pratica della 
perdurante presenza in azienda dei sindacati confederali - viene ora compiutamente 
ad emersione�. Per come � formulato e per la sua collocazione non � 
univoco il senso che l�inciso ha assunto nell�ambito della motivazione. Dopo 
avere premesso che non aveva avuto occasione di esaminarlo, la Corte ha precisato 
che nel decidere sul secondo dei �punti critici� avrebbe dovuto tenere 
conto dei �nuovi rapporti sindacali�. Il criterio era coerente: la questione non 
poteva essere affrontata trascurando la situazione del momento. Non sembra 
sufficiente a dedurne che l�unit� sindacale fosse la condizione presupposta 
dall�art. 19. 
La illegittimit� � stata vista nel contrasto con gli artt. 2, 3 e 39 Cost. 
La violazione dell�art. 39, primo e quarto comma, Cost. sembra l�argomento 
meno forte della motivazione, con una funzione prevalentemente di 
conferma. Nel primo comma la libert� � riferita alla organizzazione e non alla 
sua capacit� di azione (nella Commissione dei 75 si rilev� che �ci si � attenuti 
a quella dizione [secondo comma] in forma negativa perch� si vuole che il 
(2) G. AMOROSO, Le rappresentanze sindacali aziendali dopo il referendum: �nuovi� problemi. 
Il nuovo articolo nel contesto della giurisprudenza del �vecchio� art. 19 Stat. Lav., in A. MARESCA - 
G. SANTORO PASSARELLI - L. ZOPPOLI, Rappresentanza e contributi sindacali dopo i referendum, in Arg. 
Dir. Lav., I, 1996, p. 87.
206 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2015 
sindacato sia completamente immune da qualsiasi influenza statale�). La capacit� 
di stipulare i contratti, enunciata nel quarto comma, comporta anche il 
potere di non stipularli e l�art. 19 non ha fatto altro che fissare gli effetti dell�esercizio 
negativo di quella capacit�. 
� sulla violazione dell�art. 3, in relazione all�art. 2, che la sentenza risulta 
fondata. 
�Questi ultimi [i sindacati] infatti nell�esercizio della loro funzione di 
autotutela dell�interesse collettivo � sarebbero privilegiati o discriminati sulla 
base non gi� del rapporto con i lavoratori � bens� del rapporto con l�azienda 
per il rilievo condizionante attribuito al dato contingente di aver prestato il 
proprio consenso alla conclusione di un contratto con la stessa�. 
La Corte ha concentrato l�attenzione sul consenso dell�azienda il cui atteggiamento 
�consonante� condizionerebbe l�accesso ai benefici; non ha dato 
rilievo al dissenso del sindacato che, non sottoscrivendo il contratto, ha esercitato 
la sua autonomia. � il consenso della controparte ad essere condizionante 
o � il sindacato che sceglie la posizione differenziata dissentendo? La 
discriminazione ha struttura unilaterale perch� provocata dalla volont� della 
controparte; il dissenso contrattuale �, invece, bilaterale e le due volont�, che 
non si incontrano, si trovano sullo stesso piano. 
L�azienda, non aderendo alle condizioni proposte dal sindacato, esercita 
la sua autonomia come fa il sindacato quando non accetta quelle dell�azienda. 
La rappresentativit� del sindacato, pi� che pregiudicata, sembra presupposta 
perch� � con i rappresentati del sindacato dissenziente che l�azienda non conclude 
il contratto. Che sia interessata l�autonomia e non la rappresentativit�, 
� ancora pi� evidente quando il contratto � concluso con le altre associazioni: 
per non discriminare, l�azienda non potrebbe che accettare le proposte del sindacato 
dissenziente. Quando ci si trova sul piano dell�autonomia, si potr� criticare 
il modo in cui � esercitata sotto il profilo della opportunit� e della buona 
politica imprenditoriale, ma non valutarla dal punto di vista costituzionale, 
sempre che non emerga che l�obiettivo, se non unico, almeno principale, sia 
stato danneggiare le controparti, ipotesi che in questo caso dovrebbe essere 
esclusa visto che gli altri sindacati avevano sottoscritto il contratto. 
Secondo la Corte la norma non sarebbe pi� ragionevole �nel momento in 
cui viene meno alla sua funzione di selezione dei soggetti in ragione della loro 
rappresentativit� e, per una sorta di eterogenesi dei fini, si trasforma invece 
in meccanismo di esclusione di un soggetto maggiormente rappresentativo a 
livello aziendale, o comunque significativamente rappresentativo�. 
L�argomento della Corte, se � stato inteso correttamente, pu� essere schematizzato 
cos�: l�art. 19, nel suo testo di origine, aveva ammesso al trattamento 
privilegiato i sindacati pi� rappresentativi gi� in linea di principio (lett. a) e 
quelli che la rappresentativit� se l�erano conquistata sul campo (lett. b); eliminando 
la lett. a) il referendum ha consentito l�esclusione anche dei sindacati
DOTTRINA 207 
la cui rappresentativit� era un �dato oggettivo�; la norma entra in contrasto 
con la sua ratio di origine perch� pu� portare, come in effetti � successo, alla 
esclusione di sindacati che rappresentano un gran numero di lavoratori, anche 
molti di pi� di quelli rappresentati da chi ha sottoscritto il contratto. 
Ma la sentenza n. 244/1996 aveva ritenuto �giustificata� la normativa di 
risulta dopo avere esaminato questi profili. Quella decisione poteva essere superata, 
seguendo la tesi dei giudici remittenti, se l�art. 19 avesse avuto come 
presupposto normativo l�unit� sindacale. Che cos� non sia, lo ha confermato 
indirettamente anche la Corte quando ha tenuto a precisare che le sue sentenze 
precedenti, quindi anche la n. 244/1996, investivano solo il primo dei �punti 
critici�. 
7.- La Corte non si � posta un'altra domanda, probabilmente per l�orientamento 
dato alla motivazione. 
Le funzioni della rappresentanza sindacale aziendale, non indicate dalla 
legge, dovrebbero essere intese in senso ampio, tutte quelle che, per l�organizzazione 
dell�azienda e secondo le discipline collettive, sono necessarie per la 
tutela del lavoro subordinato. Il legislatore non le ha definite, si deve presumere, 
per non costringerle all�interno di un modello che si sarebbe potuto dimostrare 
inadeguato con l�evolversi delle esigenze. Una volta eliminati dalla lett. b) 
dell�art. 19 i �nazionali o provinciali�, tra i contratti collettivi sono rientrati 
quelli aziendali. Nel caso, che ha provocato il giudizio costituzionale, unico 
contratto applicabile ai rapporti tra il datore ed i lavoratori era quello aziendale 
sulla cui esecuzione la rappresentanza sindacale avrebbe dovuto vigilare e contribuire. 
Che questa funzione potesse essere svolta coerentemente da un sindacato 
che non aveva sottoscritto il contratto e che, di conseguenza, la sua 
esclusione fosse irragionevole, avrebbe meritato una motivazione pi� articolata. 
I sindacati, che avevano firmato il contratto, nella gestione si sarebbero 
potuti trovare in disaccordo con quello che non ne aveva condiviso il contenuto 
e l�esclusione avrebbe consentito una vita pi� ordinata e meno conflittuale all�interno 
dell�azienda. Poteva addirittura creare qualche dubbio di irragionevolezza 
fare partecipare alla gestione del contratto anche i rappresentanti di 
chi lo aveva ritenuto dannoso. 
La Corte ha rilevato anche �il contrasto che, sul piano negoziale, ne deriva 
ai valori del pluralismo e della libert� di azione del sindacato�. Che il 
pluralismo possa essere pregiudicato quando l�associazione sindacale � stata 
ammessa alle trattative e l�esclusione dalla rappresentanza aziendale � dovuta 
ad una sua determinazione negoziale, presa nel pieno esercizio della sua libert� 
d�azione, non era cos� scontato. Quando certi effetti sono collegati alla mancata 
conclusione di un contratto la libert� di azione, piuttosto che pregiudicata, pu� 
addirittura essere confermata poich� � per libera scelta che il contratto non � 
sottoscritto. 
208 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2015 
Dando la prevalenza al punto di vista dell�associazione esclusa, il cui interesse 
era di ridurre gli effetti negativi della mancata sottoscrizione, � stata 
messa in secondo piano la posizione non solo della controparte contrattuale, 
ma anche dei sindacati sottoscrittori che non compaiono mai nella motivazione. 
Era anche loro interesse non vedere coinvolto nella gestione dell�unico 
contratto applicabile chi non lo aveva sottoscritto per le prevedibili difficolt� 
operative che avrebbero potuto indebolire la posizione nei confronti del datore 
di lavoro. 
8.- Che una controversia cos� complessa, da richiedere una motivazione 
molto articolata, sia provocata dagli effetti prodotti da un referendum abrogativo, 
come si � rilevato, giustifica qualche perplessit� sotto il profilo della ragionevolezza. 
Non sembra coerente che la Corte costituzionale contribuisca 
ad introdurre una norma incostituzionale sulla quale si riserva di intervenire 
quando la questione sar� sollevata in via incidentale, col risultato che nel frattempo 
sar� applicata (nel caso esaminato per venti anni). 
Un riesame sarebbe utile anche per verificare se possa essere considerato 
�giusto� un processo nel quale una norma, per come � stata rimaneggiata da 
un referendum, viene dichiarata incostituzionale dopo un notevole numero di 
anni di applicazione dalla stessa Corte sotto il cui esame � caduta nel giudizio 
di ammissibilit�; questo perch� la Corte, escludendo l�esame preventivo senza 
un motivazione adeguata, ha ritenuto di poterne verificare la legittimit� solo 
in via incidentale quando la questione sia sollevata in un giudizio. 
Fondato o meno che sia il dubbio, sarebbe il caso di evitare che la questione 
finisca alla Corte di Strasburgo, sollevata in un giudizio nel quale si facesse 
valere l�affidamento prodotto da una norma applicata per lungo tempo 
dopo essere passata all�esame di chi successivamente la deve dichiarare incostituzionale.

DOTTRINA 209 
Difficile sviluppo del rapporto tra 
decreto legge e legge di conversione 
Guglielmo Bernabei* 
SOMMARIO: 1. Teoria della novazione e peculiarit� della legge di conversione - 2. Decreto-
legge e legge di conversione come fasi di un unico procedimento - 3. La carenza dei 
presupposti del decreto lgge come vizio in procedendo della legge di conversionae - 4. Emendamenti 
in sede di conversione - 5. Contraddizioni ed incoerenze della giurisprudenza costituzionale. 
1. Teoria della novazione e peculiarit� della legge di conversione. 
La sindacabilit� da parte della Corte costituzionale dei presupposti del 
decreto-legge trova il suo compimento soltanto quando si ammette che la carenza 
di tali presupposti possa inficiare anche la legge di conversione; ci� 
perch� � difficile che l�eventuale giudizio incidentale si concluda entro i sessanta 
giorni di vigenza autonoma del decreto-legge. Fino al 1995, e con incertezze 
anche dopo, fino al biennio 2007-2008, il giudice delle leggi aveva 
sempre fatta propria l�idea che la verifica in ordine alla sussistenza dei presupposti 
fosse assorbita dalla valutazione del Parlamento. Questo orientamento 
muove dalla premessa che la legge di conversione sia espressione 
dell�ordinaria potest� legislativa delle Camere e, dunque, non si differenzi da 
qualsiasi altra legge (1). L�impostazione accolta originariamente dalla Corte 
si collega alla teoria della novazione (2), secondo la quale la legge di conversione 
si sostituisce al provvedimento governativo, sanandone, o comunque 
rendendo inoppugnabili gli eventuali vizi derivanti dalla violazione dell�art. 
77 della Costituzione. 
Per comprendere il concetto di novazione occorre rifarsi all�ampia elaborazione 
compiuta nell�ambito del diritto privato che l�ha definita come una 
modalit� di estinzione dell�obbligazione cui si accompagna la costituzione di 
(*) Dottore di ricerca e cultore della materia in diritto costituzionale presso l�Universit� di Ferrara. 
(1) Cfr. A. CELOTTO, L�abuso del decreto-legge, Padova, 1997, pag. 121; cfr. L'emergenza infinita: 
la decretazione d'urgenza in Italia, a cura di Andrea Simoncini, Macerata, 2006; cfr. V. DI CIOLO, Questioni 
in tema di decreti-legge, Milano, 1970; cfr. L. PALADIN, La formazione delle leggi. Art. 77, in 
Commentario della Costituzione, Roma, 1979, pag. 84; cfr. G. PICCIRILLI, L�emendamento nel processo 
di decisione parlamentare, Padova, 2009, pag. 195; cfr. S. ROMANO, Sui decreti-legge e lo stato di assedio 
in occasione del terremoto di Messina e di Reggio Calabria, in Riv. dir. pubbl., 1909, ed ora in 
Scritti minori, I, Milano, 1950; cfr. G. SERGES, Brevi note sulla legge di conversione del decreto-legge 
come legge �tipizzata� e sui limiti al potere di emendamento parlamentare, in Studi in onore di Aldo 
Loiodice, Bari, 2012, pag. 309; cfr. G. VIESTE, Il decreto-legge, Napoli, 1967. 
(2) Cfr. G. PITRUZZELLA, La legge di conversione del decreto-legge, Padova, 1989, pag 34. Cfr. 
A. SIMONCINI, Tendenze recenti della decretazione d�urgenza in Italia, in L�emergenza, op. cit., pag. 23; 
cfr. E. CACACE, La decadenza del decreto-legge, in Rass. Parlam., 2011, pag. 69. 
210 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2015 
una obbligazione nuova, che si sostituisce all�originaria (3); in questo modo, 
la novazione opera un�innovazione radicale e non una semplice modificazione 
del rapporto obbligatorio, con la conseguenza di rendere indipendente la disciplina 
del nuovo rapporto rispetto a quella del rapporto precedente (4). 
La dottrina giuspubblicistica (5) nel richiamare la nozione di novazione 
per inquadrare i rapporti tra decreto-legge e legge di conversione non ha attribuito 
alla novazione un significato giuridico univoco, finendo talora per allontanarsi 
dagli schemi giuridici elaborati dalla scienza del diritto privato (6). 
Infatti, o si � sostenuto che per effetto della conversione-novazione il decretolegge 
cessi di vivere giuridicamente, cosicch� la legge di conversione sostituirebbe 
il decreto stesso fin dall�inizio (7), oppure si � affermato che anche 
dopo la conversione il decreto-legge continua ad esistere sebbene non autonomamente 
ma in inscindibile unione con la legge che l�ha convertito (8). Per 
quanto riguarda l�oggetto della conversione, la distinzione corre tra gli studiosi 
che lo individuano nell�intero decreto-legge (9) e quelli che fanno riferimento 
alle singole disposizioni in esso comprese (10); allo stesso modo si discute se 
la legge che opera la novazione del decreto-legge retroagisca oppure si limiti 
a proiettare nel futuro le disposizioni del decreto stesso. Nonostante tali diversit�, 
� possibile individuare un presupposto comune alle varie teorie della 
novazione; infatti, dato che queste configurano il decreto-legge come un atto 
eccezionale, ne consegue che la legge di conversione viene ritenuta lo strumento 
per mezzo del quale restaurare il principio costituzionale che affida alle 
Camere l�esercizio della funzione legislativa (11). 
(3) Cfr. G. RESCIGNO, Novazione (Diritto civile), in Nov. Dig. XI, Torino, 1968, pag. 432. 
(4) Cfr. G. FILIPPETTA, L�emendabilit� del decreto-legge e la farmacia del costituzionalista, in Rivista 
telematica giuridica dell�Associazione italiana dei costituzionalisti, n. 4/2012; cfr. N. LUPO, L�omogeneit� 
dei decreti-legge (e delle leggi di conversione): un nodo difficile ma ineludibile per limitare le 
patologie della produzione normativa, in www.astrid-online.it/rassegna, n. 4/2012; cfr. A. CARDONE, 
La �normalizzazione dell�emergenza�. Contributo allo studio del potere extra-ordinem del Governo, 
Torino, 2011; cfr. Q. CAMERLENGO, Il decreto-legge e le disposizioni �eccentriche� introdotte in sede 
di conversione�, in Rass. Parlam., 2011, pag. 91; cfr. A. SIMONCINI, Le funzioni del decreto-legge. La 
decretazione d�urgenza dopo la sentenza n. 360/1996 della Corte costituzionale, Milano, 2003, pag. 56. 
(5) Cfr. C. MORTATI, Istituzioni di diritto pubblico, Padova, 1984, pag. 709; L. PALADIN, op. cit. 
pag. 84; F. MODUGNO - D. NOCILLA, Riflessioni sugli emendamenti al decreto-legge, in Dir. e soc. 1973, 
pag. 357; Cfr. G. SILVESTRI, Alcuni profili problematici dell�attuale dibattito sui decreti-legge, in Pol. 
Dir. 1996, pag. 422. 
(6) Cfr. G. PITRUZZELLA, op. cit. pag. 37; cfr. F. SORRENTINO, La Corte costituzionale tra decretolegge 
e legge di conversione: spunti ricostruttivi, in Dir. e Soc., 1974, pag. 506. 
(7) Cfr. C. ESPOSITO, Decreto-legge, in Enc. Dir., XI, Milano, 1962, pag. 832; cfr. C. MORTATI, 
op. cit. pag. 710. 
(8) Cfr. F. MODUGNO - D. NOCILLA, op. cit. pag. 359. 
(9) Cfr. C. ESPOSITO, Decreto-legge, in Enc. Dir. XI, Milano, 1962, pag. 849. 
(10) Cfr. L. PALADIN, op. cit. pag. 86. 
(11) Cfr. V. CRISAFULLI, Lezioni di diritto costituzionale, II, 1, VI ediz., Padova, 1993, pag. 104; 
cfr. G. PITRUZZELLA, op. cit. pag. 39.
DOTTRINA 211 
Il decreto-legge �, dunque, visto come l�espressione di un potere derogatorio, 
sia pure in via provvisoria, rispetto alla norma generale sulla produzione 
legislativa. Pertanto si ha una norma derogatrice, l�art. 77, comma 2, Cost. e 
una norma generale, l�art. 70 Cost., la cui legittima operativit� viene temporaneamente 
derogata in seguito all�esercizio del potere normativo d�urgenza 
del Governo. L�art. 77 Cost., in quest�ottica, concede al Governo una potest� 
che eccede l�ambito della sua normale possibilit� di produzione normativa e 
questa situazione trova legittimazione soltanto se si ammette che l�ordine delle 
competenze normative venga �ripristinato� entro breve lasso di tempo, attraverso 
l�intervento parlamentare di conversione (12). 
Teorie di questo tipo, inoltre, risentono dell�influsso del pensiero, dominante 
in epoca statutaria, in base al quale il principio di separazione dei poteri 
imponeva che il potere normativo venisse attribuito in via esclusiva al Parlamento, 
dovendosi considerare l�esercizio di tale funzione da parte del Governo 
come meramente eccezionale (13). L�aspetto di queste teorizzazioni che maggiormente 
suscita perplessit� riguarda il fatto di ritenere che la legge di conversione 
sia idonea a sanare i vizi propri del decreto-legge. Questa posizione, 
infatti, trascura un dato importante: in un ordinamento giuridico a costituzione 
rigida, una legge ordinaria non pu� sanare un vizio di legittimit� costituzionale; 
infatti, se anche � indiscutibile che le Camere possono adottare una legge 
con il medesimo contenuto del decreto-legge viziato e magari dotata di efficacia 
retroattiva, ci� pu� avvenire solo nell�ambito di un procedimento diverso, 
che non presenta i vincoli temporali e le peculiarit� proprie 
dell�approvazione della legge di conversione (14). 
Va sottolineato come la Costituzione subordini l�adozione del decretolegge 
alla sussistenza di determinate condizioni, allo scopo di rivestire quest�atto 
di particolari cautele proprio perch� esso non offre quelle garanzie di ponderazione 
e di partecipazione che invece caratterizzano le leggi ordinarie (15). Inol- 
(12) Cfr. V. ANGIOLINI, Necessit� ed urgenza nel diritto pubblico, Padova, 1984, pag. 5 il quale 
afferma che �con larga approssimazione, i poteri sospensivi e derogatori sono quelli che, deviando dalle 
regole o principi su cui si regge il sistema o l�ordinamento giuridico, ne rimettono in gioco l�unit� e 
l�armonia interiore. Il sistema giuridico, in s� compiuto ed unitario, subisce, in taluni frangenti per il 
tramite della sospensione o della deroga, un�alterazione delle regole o principi che garantiscono la sua 
unificazione. In particolare, la deroga � intesa come sottrazione di taluni fatti all�impero delle regole o 
dei principi giuridici dell�ordinamento, la quale pu� essere duratura ed introdurre una cesura permanente 
nel sistema di diritto ordinario; la sospensione, invece, � intesa come una sorta di parentesi nella vita 
dell�ordinamento, consistendo in una paralisi dell�efficacia di alcune sue norme che poi tornerebbero a 
riespandere i propri effetti senza essere soggette ad eliminazione�. 
(13) Cfr. G. PITRUZZELLA, op. cit. pag. 43. 
(14) Cfr. A. CONCARO, Il sindacato di costituzionalit� sul decreto-legge, Milano, 2000, pag. 89. 
(15) Cfr. C. FRESA, Provvisoriet� con forza di legge e gestione degli stati di crisi, Padova, 1981, 
pag. 29, il quale sottolinea che � il principio di diversificazione degli ambiti di competenza non ha rilevanza 
solo organizzativa, ma esprime un suo valore specifico, in quanto si connette direttamente al principio 
di tutela delle minoranze�.
212 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2015 
tre, la predisposizione di limiti rigorosi e severi all�emanazione del decretolegge 
risponde anche alla ratio di salvaguardare i diritti degli individui, in considerazione 
del particolare regime di efficacia disposto dall�art. 77 Cost. (16). 
Quindi, le teorie delle novazione vanno respinte soprattutto per il fatto che 
non tengono nella giusta considerazione il fatto che l�adozione della legge di 
conversione sia subordinata all�esistenza di un legittimo provvedimento da 
convertire, da cui consegue che il vizio del decreto-legge derivante dalla carenza 
dei presupposti non � sanabile da una fonte primaria dotata della stessa 
forza di quella del provvedimento viziato. 
Siamo in presenza di un potere, quello di conversione, che non � definibile 
come manifestazione dell�ordinaria potest� legislativa del Parlamento. 
La novazione sembra trascurare le indubbie peculiarit� che contraddistinguono 
la legge di conversione (17). Prima di tutto, essa si differenzia dalle 
altre leggi in quanto presuppone un decreto da convertire; in secondo luogo, 
non risulta dotata di un contenuto proprio ma si richiama al contenuto precettivo 
del decreto-legge (18); inoltre, essa non � votata, come le altre leggi, �articolo 
per articolo�, ma � composta di un articolo unico, sul quale ha luogo la 
votazione, salva l�eventuale proposizione di emendamenti; infine, il procedimento 
di conversione deve necessariamente concludersi entro sessanta giorni, 
pena la decadenza ex tunc del provvedimento governativo. A queste si unisce 
il carattere unitario dell�intero procedimento. 
2. Decreto legge e legge di conversione come fasi di un unico procedimento. 
La particolarit� della legge di conversione viene sottolineata grazie al legame 
che unisce l�atto parlamentare al provvedimento governativo d�urgenza, 
configurandosi, in questo modo, un procedimento sostanzialmente unitario. 
Questa impostazione vede svilupparsi la relazione tra decreto-legge e 
legge di conversione come �tappe di un�unica sequenza procedimentale, da 
considerarsi unitariamente per gli effetti da essa prodotti nell�ordinamento� 
(19). In questo senso, la legge di conversione non pu� essere considerata allo 
stesso modo di un�altra legge approvata dalle Camere, in quanto presuppone 
l�esistenza di un decreto-legge da convertire al quale rimanda anche nella propria 
formulazione testuale. 
(16) Cfr. V. ANGIOLINI, op. cit. pag. 291, il quale sostiene che �la distinzione dei poteri formali tra 
Governo e Parlamento non � fine a s� stessa, ma � anche strumentale alla garanzia delle posizioni di libert� 
dei privati�. 
(17) Cfr. V. ANGIOLINI, op. cit. pag. 296; cfr. C. FRESA, Provvisoriet� con forza di legge e gestione 
degli stati di crisi, Padova, 1981, pag. 35. 
(18) La legge di conversione, infatti, non riproduce le disposizioni del decreto, ma si limita a far 
riferimento alla sua portata precettiva; mentre la sua intitolazione non si richiama alla materia trattata, 
ma si limita ad operare un mero rinvio al provvedimento governativo. 
(19) Cfr. V. ANGIOLINI, Attivit� legislativa del Governo e giustizia costituzionale, in Riv. Dir. Cost. 
1996, pag. 230.
DOTTRINA 213 
Il legame tra decreto-legge e legge di conversione � da tempo al centro 
dell�elaborazione dottrinale (20), e il fatto che le due fonti diano vita ad un 
procedimento unitario era gi� sostenuto nell�ambito di una ricostruzione elaborata 
negli anni �70 (21). Si era, infatti, affermato che l�atto parlamentare andava 
qualificato come �una legge tipica a competenza predeterminata� (22), 
proprio tenendo presente il dato che il suo contenuto � condizionato da quello 
del decreto-legge, venendosi a creare una precisa ed unica sequenza che vede 
i due atti essere l�uno il presupposto dell�altro. In particolare, la relazione che 
viene ad istaurarsi tra decreto-legge e legge di conversione � un procedimento 
avente �natura complessa, in quanto la legittimit� costituzionale della legge 
di conversione non va valutata solo considerando tale legge separatamente rispetto 
al decreto-legge, ma anche in stretta connessione con questo� (23), e 
ci� comporta la possibilit� che la legge di conversione possa essere viziata 
non solo in s� e per s� ma anche per il fatto che abbia convertito un procedimento 
illegittimo. Tuttavia, va rilevato che questa impostazione non viene portata 
alle estreme conseguenze, finendo per accodarsi al pensiero tradizionale 
che vede la legge di conversione sostituirsi retroattivamente al decreto-legge 
nell�ottica della teoria della novazione. 
Un�altra ricostruzione sostiene che l�art. 77 della Costituzione configuri 
un �procedimento legislativo alternativo, nel quale l�iniziativa del Governo 
non � diretta a rendere possibile o promuovere il dibattito parlamentare, ma a 
precostituire una legge obbligando il Parlamento a pronunciarsi su di essa, ap- 
(20) Cfr. P. CARNEVALE, Il vizio di evidente mancanza dei presupposti giustificativi al debutto quale 
causa di declaratoria di incostituzionalit� di un decreto-legge, in www.associazionedeicostituzionalisti.it 
2007; cfr. A. CELOTTO, CՏ sempre una prima volta� (La Corte costituzionale annulla un decreto-legge 
per mancanza dei presupposti), in Cass. pen., 2007, pag. 3599; cfr. V. DI CIOLO, Riflessioni in tema di 
decreti-legge non convertiti, in Atti del seminario svoltosi in Roma, Palazzo della Consulta, nel giorno 
11 novembre 1994, Milano, 1996, pag. 127; cfr. A. Di GIOVINE, La decretazione d�urgenza in Italia tra 
paradossi, ossimori e prospettive di riforma, in Studi parlamentari e di politica costituzionale, 1996, 
pag. 20. Inoltre cfr. anche R. DICKMANN, La Corte costituzionale si pronuncia sul modo d�uso del decreto-
legge, in www.consultaonline.it; cfr. G. MONACO, Decreto-legge, legge di conversione e sanatoria 
di fronte al sindacato della Corte costituzionale, in Dir. Pubbl., 2007, pag. 581; cfr. A. SEVERINI, La riforma 
delle Province, con decreto-legge, �non s�ha da fare�, in Osservatorio dell�associazione italiana 
dei costituzionalisti, luglio 2013. 
(21) Cfr. V. DI CIOLO, Questioni in tema di decreto-legge, Milano, 1976, pag. 303. 
(22) Cfr. V. DI CIOLO, op. cit. pag. 302, dove si afferma che vanno considerate tipiche le leggi 
emanate con l�osservanza di particolari procedimenti, o che sono volte a conseguire finalit� particolari, 
gi� predisposti dalla Costituzione; in questo modo �la legge di conversione sarebbe tipica, non gi� per 
essere approvata attraverso uno speciale procedimento, ma in quanto essa persegue un fine gi� predisposto 
dalla Costituzione, il fine cio� di eliminare la responsabilit� del Governo e di stabilizzare definitivamente 
gli effetti del decreto-legge�. 
(23) V. DI CIOLO, op. cit. pag. 306, dove si precisa, inoltre che �in base al principio generale secondo 
il quale gli atti preparatori del procedimento operano anche da presupposti per gli atti successivi 
della serie procedimentale, � da ritenere che il decreto-legge costituisca, nel contempo, sia la fase preparatoria 
del procedimento complesso formato dal decreto e dalla legge di conversione, sia l�atto presupposto 
del procedimento di formazione della legge di conversione�.
214 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2015 
provandola o disapprovandola o modificandola entro tempi certi� (24). Questa 
impostazione vuole sottolineare il fatto che l�emanazione del decreto-legge 
avviene allo scopo di provocare una deliberazione delle Camere, spingendole 
a pronunciarsi in ogni caso. 
In base alle considerazioni esposte, si nota come la legge di conversione 
non � assimilabile all�ordinaria attivit� legislativa del Parlamento in quanto � 
strettamente legata al decreto-legge da un vincolo preciso di carattere procedurale, 
formando cos� una �sequenza tipica�, la quale si sviluppa secondo un 
percorso alternativo e diverso rispetto a quello stabilito per l�approvazione 
della legge ordinaria (25). Tuttavia, si constata che nessuna delle impostazioni 
che si rifanno all�unicit� della serie procedimentale descritta dall�art. 77 Cost. 
si spinge fino al punto di far conseguire all�eventuale mancanza dei presupposti 
giustificativi del decreto-legge l�incostituzionalit� della legge di conversione. 
Questo significa che in dottrina, prima delle svolta operata dalla Corte 
costituzionale con le sentenze 171/2007 e 128/2008, non si era ancora intrapreso 
il percorso poi sviluppato dalla Corte, nonostante esso rappresenti la logica 
conclusione della teoria dell�unicit� procedimentale. Questa posizione 
dottrinale � probabilmente dovuta al voler evitare il rischio di un contrasto tra 
le scelte operate dal Governo e dal Parlamento (26). 
La peculiarit� del legame che unisce decreto-legge e legge di conversione 
� posto alla base di un�altra elaborazione dottrinale (27), secondo la quale il 
meccanismo dell�art. 77 prefigurerebbe un �concorso necessario della fonte legislativa 
del Governo e di quella del Parlamento sul medesimo oggetto� (28). 
Questa posizione, seppur qualifichi la legge di conversione come manifestazione 
della funzione legislativa ordinaria delle Camere, ha il pregio di ritenere 
definitivamente superata la teoria della novazione, respingendo con decisione 
il pensiero che vede decreto-legge e legge di conversione come espressione di 
due serie procedimentali autonome e distinte. Infatti, dato che la Costituzione 
collega il procedimento della formazione della legge di conversione alla presenza 
di un decreto-legge va notato che �non esiste il normale iter di formazione 
della legge parlamentare, ma si ha un procedimento che ha per 
presupposto il procedimento di formazione del decreto-legge� (29); in tal senso, 
il decreto-legge non va inteso come un fatto giuridico in grado di consentire la 
(24) Cfr. G. BERTI, Manuale di interpretazione costituzionale, Padova, 1994, pag. 175, dove si 
afferma che �attraverso un procedimento alternativo ormai �normalizzato� si ottiene cos� l�anticipazione 
di un effetto legislativo, rispetto alla manifestazione della volont� parlamentare�. 
(25) Cfr. G. SILVESTRI, Alcuni profili problematici dell�attuale dibattito sui decreti-legge, in Pol. 
Dir. 1996, pag. 425. 
(26) Cfr. V. ANGIOLINI, La Corte e i decreti-legge: decisioni politiche e garanzie costituzionali, in 
Le Regioni, 1998, pag. 1146. 
(27) Cfr. G. PITRUZZELLA, op. cit. pag. 70. 
(28) Cfr. G. PITRUZZELLA, op. cit. pag. 79. 
(29) Cfr. G. PITRUZZELLA, op. cit. pag. 127. 
DOTTRINA 215 
competenza legislativa del Parlamento, perch� � evidente che questa competenza 
pu� essere esercitata anche in assenza del decreto-legge, ma come un 
fatto giuridico capace di individuare l�oggetto del procedimento di conversione. 
E questo conferma la caratteristica dell�art. 77, comma 2, Cost., di dare luogo 
a due procedimenti collegati da un nesso di presupposizione (30), facendo cadere 
l�antinomia che sembra sussistere tra i primi due commi dello stesso art. 77 Cost. 
Infatti, il contrasto diviene solo apparente se il precetto costituzionale viene interpretato 
nei seguenti termini: �il Governo non pu�, senza delegazione delle Camere, 
emanare decreti cha abbiano valore di legge, a meno che vi siano casi 
straordinari di necessit� ed urgenza in presenza dei quali il Governo, sotto la sua 
responsabilit�, pu� adottare provvedimenti provvisori con forza di legge� (31). 
Seguendo le conseguenze di questa riflessione, la legge di conversione si 
configura come una variante della legge ordinaria del Parlamento, �dotata di 
proprie peculiarit� procedimentali e di efficacia� (32). In modo particolare, 
per quanto riguarda l�efficacia ne consegue che gli aspetti che la caratterizzano 
evidenziano la produzione di un effetto di conservazione delle disposizioni 
del decreto-legge e la capacit� di emendare il decreto stesso limitatamente al 
suo oggetto (33). Secondo questa ricostruzione, quindi, la legge di conversione 
� priva di efficacia retroattiva, in quanto ha il compito di conservare, stabilizzandole, 
le disposizioni del provvedimento governativo; conseguentemente 
essa �incider� sull�efficacia delle disposizioni del decreto-legge seguendo le 
regole proprie della successione temporale delle leggi. Tra decreto-legge e 
legge di conversione si viene a creare una integrazione dei rispettivi contenuti 
normativi�(34). Questa integrazione non significa la sostituzione ab inizio 
della seconda nei confronti del primo, ma il �rafforzamento� della situazione 
giuridica prodotta, in via provvisoria, dal provvedimento governativo (35). 
Su questo aspetto � bene soffermarsi per alcune precisazioni. Applicando 
il percorso logico di questa impostazione dottrinale, l�effetto conservativo 
della legge di conversione riguarda le disposizioni introdotte dal decreto-legge 
e non l�atto in quanto tale, come prefigurato dalla teoria della novazione. Infatti, 
l�atto fonte viene a configurarsi come un �atto istantaneo ad effetti permanenti 
che si esauriscono nella creazione delle disposizioni, le quali soltanto 
possono ancora subire vicende estintive� (36). In questo senso, l�effetto di 
conservazione della legge di conversione si dirige alla totalit� delle disposizioni 
del decreto-legge e questo ben esprime l�unicit� procedimentale. Infatti, 
(30) Cfr. G. PITRUZZELLA, op. cit. pag. 128. 
(31) Cfr. G. PITRUZZELLA, op. cit. pag. 146. 
(32) Cfr. G. PITRUZZELLA, op. cit. pag. 185. 
(33) Cfr. G. PITRUZZELLA, op. cit. pag. 186. 
(34) Cfr. G. PITRUZZELLA, op. cit. pag. 134. 
(35) Cfr. G. PITRUZZELLA, op. cit. pag. 132. 
(36) Cfr. G. PITRUZZELLA, op. cit. pag 132.
216 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2015 
tra decreto-legge e legge di conversione non si verificano cesure, ma vi � una 
continuit� di fondo che li lega; le medesime disposizioni, con le loro caratteristiche, 
portata operativa ed anche vizi, passano da un atto che � per natura 
provvisorio in uno definitivo, il quale, conservandole, le stabilizza, rendendo 
certa la loro presenza nell�ordinamento. 
Pertanto, proprio perch� la conservazione riguarda le disposizioni e non 
l�atto, appare ammissibile che le Camere discriminino tra disposizione e disposizione 
convertendone alcune e negando, preferibilmente in modo espresso, 
la conversione e il relativo effetto conservativo ad altre. 
3. La carenza dei presupposti del decreto legge come vizio in procedendo della 
legge di conversione. 
La Corte costituzionale, gi� nella sentenza n. 29 del 1995, compie un esplicito 
riferimento alla unicit� della serie procedimentale del decreto-legge e della 
legge di conversione; infatti, nell�evidente mancanza dei presupposti � individuato 
non soltanto un vizio del decreto ma anche un vizio in procedendo della 
stessa legge di conversione (37). La Corte ammette l�eventualit� che il Parlamento, 
in sede di conversione, abbia valutato erroneamente l�esistenza dei presupposti 
di validit� in realt� insussistenti e, di conseguenza, convertito in legge 
un atto che non poteva essere legittimamente oggetto di conversione. In ogni 
caso si tende ad escludere che il sindacato di costituzionalit� vada a sovrapporsi 
al correlativo esame svolto dalle Camere in sede di conversione, in quanto 
quest�ultimo richiede una valutazione del tutto diversa e, precisamente, di tipo 
prettamente politico sia con riguardo al contenuto della decisione sia con riguardo 
agli effetti della medesima. Tuttavia, tale aspetto pu� essere considerato 
superfluo qualora si noti che il sindacato della Corte tende a comportare inevitabilmente 
un riesame delle scelte operate dal legislatore alla luce dei principi 
costituzionali, senza escludersi a priori una parziale coincidenza o sovrapposizione 
tra i due giudizi, quello parlamentare e quello costituzionale (38). Semmai, 
il riconoscimento dell�eventualit� che le Camere, in sede di conversione, siano 
portate a compiere un �errore di valutazione� sulla sussistenza dei presupposti 
giustificativi appare particolarmente rilevante sotto un altro punto di vista, indice 
di una profonda evoluzione del modo con cui la Corte si pone rispetto al feno- 
(37) Cfr. L. PALADIN, Atti legislativi del governo e rapporti fra poteri, in Quad. cost. 1996, pag. 
24, il quale critica fortemente il fatto che la Corte ammetta un proprio sindacato sull� �erronea valutazione� 
dei presupposti operata dalle Camere, chiedendosi se �dovr� trattarsi di un errore tecnicamente 
inteso, dovuto ad una falsa od inesatta credenza dei parlamentari, oppure se il vizio imputabile agli 
organi legislativi consista, molto pi� semplicemente, nel fatto di essersi basati su criteri di giudizio non 
condivisibili dall�organo di giustizia costituzionale�. 
(38) Si ricordi, in tal senso, il precetto posto dall�art. 28 della legge 87 del 1953, il quale preclude 
all�organo di giustizia costituzionale di operare valutazioni di natura politica e che coinvolgano l�uso 
del potere discrezionale del Parlamento.
DOTTRINA 217 
meno dell�abuso della decretazione d�urgenza e alle cause che ne sono alla base. 
Si deve, quindi, tenere presente l�argomentazione della Corte nelle sentenze 
171/2007 e 128/2008 dove, superando le passate incertezze, afferma che spetta 
ad essa assicurare una piena effettivit� alle garanzie di tutela dei diritti fondamentali, 
che potrebbero essere lesi dal Governo quando abusi della decretazione 
d�urgenza nell�apodittica enunciazione di circostanze straordinarie di necessit� 
ed urgenza. Posta questa considerazione come premessa generale al suo operato, 
la Corte pu� aggiungere che persistere nella posizione che vede la legge di conversione 
come atta a sanare in ogni caso i vizi del decreto-legge significherebbe 
attribuire in concreto al legislatore ordinario il potere di alterare il riparto costituzionale 
delle competenze del Parlamento e del Governo quanto alla produzione 
delle fonti primarie. Ed � proprio in questo senso che le disposizioni della 
legge di conversione si saldano con il decreto-legge in un unicum giuridico (39), 
assolvendo ad una funzione stabilizzante del secondo che si dispiega nel presupposto 
che il Parlamento � chiamato a pronunciarsi riguardo ad una situazione 
giuridica modificata da disposizioni poste dal Governo, al quale, di regola, non 
� affidato il compito di emanare atti avente forza di legge. Di conseguenza, in 
caso di difetto originario nel decreto-legge dei presupposti giustificativi si configura 
un error in procedendo della legge di conversione, pienamente sindacabile 
dalla Corte costituzionale. Questa chiave di lettura porta ad evidenziare 
che, mentre nella giurisprudenza passata era presente un atteggiamento velatamente 
�sanzionatorio� nei confronti del Governo, considerato l�unico responsabile 
della degenerazione della decretazione d�urgenza (40), ora si vuole 
attribuire, nel pensiero della Corte, un peso decisivo al ruolo svolto dalle Camere, 
in modo che il decreto-legge non diventi uno strumento di �iniziativa legislativa 
rinforzata� (41), il cui contenuto pu� essere il frutto di estenuanti 
contrattazioni da parte dei gruppi parlamentari, per evitare che questi possano 
�decidere tutto�, trascurando cos� completamente la necessit� che il provvedimento 
governativo sia supportato da precise circostanze giustificative. 
Pertanto, se anche la valutazione sulla concreta presenza dei �casi straordinari 
di necessit� ed urgenza� viene rimessa in misura notevole alla valutazione 
di opportunit� del Governo, presentando cos� un margine ampio di 
discrezionalit�, tutto ci� non significa che la successiva fase di conversione 
abbia un potere d�azione illimitato, in quanto � sempre subordinato alla sussistenza 
di un legittimo atto da convertire. 
(39) Cfr. R. DICKMANN, Il decreto-legge come fonte del diritto e strumento di governo, in 
www.Federalismi.it, pag. 4. 
(40) Si ricordi la sentenza n. 302 del 1988, dove, con specifico riferimento al fenomeno della reiterazione, 
si pongono in rilievo le distorsioni che esso crea rispetto agli equilibri istituzionali, trascurando 
completamente il fatto che spesso l�adozione di un decreto-legge avviene proprio su sollecitazione dei 
gruppi parlamentari, i quali partecipano insieme al governo nella determinazione del suo contenuto. 
(41) Cfr. A.CONCARO, Il sindacato di costituzionalit� sul decreto-legge, Milano, 2000, pag. 99.
218 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2015 
Se, quindi, il decreto-legge presenta una �evidente mancanza�, per usare 
il linguaggio della Corte, dei presupposti non si vede in base a quali valutazioni 
il Parlamento possa fondare il proprio potere di conversione; da ci� si ricava, 
al fine di ottenere una piena situazione di legittimit� costituzionale, la necessaria 
permanenza dei presupposti giustificativi dal decreto-legge alla legge di 
conversione. A sostegno di questo, gi� in passato, alcuni settori della dottrina 
(42) avevano sostenuto che i vizi propri del decreto-legge si traducessero anche 
in vizi della legge di conversione: queste ricostruzioni, a posteriori, ossia alla 
luce della giurisprudenza costituzionale delle sentenze 171/2007 e 128/2008, 
sembrano adattarsi pienamente alla nozione di vizio in procedendo accolta dal 
giudice delle leggi. 
In particolare, ora, costituiscono un punto di riferimento le posizioni (43) 
che vedevano i presupposti di necessit� ed urgenza come condizioni per la valida 
conversione in legge, la cui assenza � in grado di viziare il decreto-legge 
stesso e di travolgerne tutti gli effetti. 
Quindi, prendendo in considerazione queste riflessioni e aggiornandole 
grazie alla presa di posizione della Corte, � possibile affermare che i requisiti 
e i limiti del decreto-legge siano in realt� i requisiti e i limiti della legge di 
conversione, ammettendo cos� che il sindacato della Corte stessa possa esplicarsi 
nei confronti di entrambi gli atti. 
Tutto questo va compreso meglio se si tiene presente, ricordandola, la 
funzione che svolgono decreto-legge e legge di conversione nel contesto dell�unicit� 
procedimentale di fondo. Il primo svolge la funzione di predisporre 
una disciplina che sia idonea a fronteggiare situazioni che, per la loro imprevedibilit� 
e per la rapidit� di intervento di cui necessitano, non sono suscettibili 
di essere regolate attraverso i normali strumenti messi a disposizione dal legislatore 
ordinario: una disciplina, dunque, �provvisoria� non soltanto in relazione 
al particolare regime di efficacia cui � sottoposta, ma anche per la natura 
�contingente� della situazione che � chiamata a fronteggiare. In quest�ottica, 
il secondo svolge la funzione di stabilizzare gli effetti prodotti dal decreto, eliminandone 
proprio il carattere di precariet� e di incertezza; � l�atto che, in sostanza, 
chiude l�intero procedimento d�urgenza previsto dall�art. 77, comma 
2, della Costituzione, limitandosi a consolidare un provvedimento che sia stato 
oggettivamente indifferibile (44). 
(42) Cfr. F. SORRENTINO, Spunti sul controllo di costituzionalit� sui decreti-legge e sulla legge di 
conversione, in Scritti in onore di C. Mortati, Milano, 1977, pag. 749. 
(43) Cfr. F. SORRENTINO, La Corte costituzionale tra decreto-legge e legge di conversione: spunti 
ricostruttivi, in Dir. e Soc. 1974, pag. 514; M. RAVERAIRA, Il problema del sindacato di costituzionalit� 
sui presupposti di necessit� ed urgenza dei decreti-legge, in Giur. Cost. 1982, pag. 1465; P. CARNEVALE, 
La Corte riapre un occhio (ma non tutti e due) sull�abuso della decretazione d�urgenza? In Giur. It. 
1996, pag. 402. 
(44) Cfr. A. CONCARO, op. cit. pag. 102.
DOTTRINA 219 
Nella prassi, tuttavia, si � visto che i decreti-legge assumono una funzione 
diversa, e finiscono per porre una disciplina destinata a trovare una immediata 
applicazione ma sostanzialmente stabile nel tempo, capace di regolare in maniera 
definitiva una determinata materia (45). Il successivo intervento parlamentare 
� forzato, sia nel metodo che nel contenuto (46), ed in questo contesto le 
circostanze giustificative perdono rilevanza e significato, trasformando lo stesso 
decreto in una forma di iniziativa legislativa (47), la quale finisce per assimilare 
il procedimento parlamentare a quello di una qualsiasi legge, avente come unica 
peculiarit� il fatto che la discussione � costretta a vertere non su un progetto, su 
un�idea di legislazione, ma su un atto gi� pienamente operativo (48). 
Si �, dunque, fin qui cercato di evidenziare che la Corte costituzionale ha 
fatto propria una configurazione del decreto e della legge di conversione nei 
termini di una unit� procedimentale, andando oltre a quelle teorie (49) che 
configurano la decretazione d�urgenza come strumentale rispetto all�attivit� 
legislativa ordinaria delle Camere, della quale rappresenterebbe solo una anticipazione. 
Infatti, il decreto-legge, se qualificato come un mero atto �preparatorio� 
in relazione alla legge di conversione, tende a perdere la propria 
valenza esterna, risultando del tutto appiattito sul procedimento di conversione 
e svalutando la sua natura di fonte del diritto (50). 
Pertanto, la qualificazione del difetto dei presupposti giustificativi come 
vizio in procedendo della legge di conversione indica l�adesione della Corte 
costituzionale alla prospettiva che vede il decreto-legge e il successivo atto 
parlamentare come tappe di un procedimento (51) sostanzialmente unitario; 
(45) Cfr. C. LAVAGNA, Istituzioni di diritto pubblico, Torino, 1985, pag. 323, il quale evidenzia i 
due diversi aspetti della provvisoriet�: quella intesa come temporaneit� che deriva dallo stesso carattere 
straordinario delle fattispecie regolate, e che, dunque, � rigorosamente conforme all�interpretazione dell� 
art. 77 Cost.; e quella relativa ai casi di �necessaria anticipazione di effetti che solo la legge formale 
pu� produrre� che si basa su una interpretazione storica ed estensiva del ruolo del decreto-legge nel sistema; 
C. FRESA, Provvisoriet� con forza di legge e gestione degli stati di crisi, Padova, 1981, pag. 75, 
il quale sottolinea come nella seconda ipotesi appena richiamata, il Parlamento, in sede di conversione, 
recuperi pienamente la propria funzione, determinando la �sostituzione� del proprio provvedere al provvedere 
del Governo. 
(46) Cfr. L. CARLASSARE, Conversazioni sulla Costituzione, Padova, 1996, pag. 123. 
(47) La definizione del decreto-legge come �disegno di legge rinforzato a urgenza garantita� si � 
visto, nei capitoli precedenti, essere stata coniata da A. PREDIERI, Il governo colegislatore, in AA.VV. Il 
decreto-legge fra Governo e Parlamento, Milano, 1975; tale definizione, che inizialmente � servita alla 
dottrina per descrivere l�evolversi della prassi della decretazione d�urgenza prevalentemente sul piano 
dei rapporti istituzionali tra Governo e Parlamento, ha via via assunto una valenza autonoma anche sul 
piano giuridico, tanto da atteggiarsi ad elemento di qualificazione del decreto-legge nel quadro del sistema 
delle fonti. 
(48) Cfr. L. CARLASSARE, op. cit. pag. 125. 
(49) Cfr. A. PREDIERI, op. cit.; A. RUGGERI, Gerarchia, competenza e qualit� nel sistema costituzionale 
delle fonti normative, Milano, 1977, pag. 222. 
(50) Cfr. G. PITRUZZELLA, op. cit. pag. 125. 
(51) Cfr. S. GALEOTTI, Contributo alla teoria del procedimento legislativo, Milano, 1957. 
220 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2015 
un procedimento caratterizzato dal susseguirsi di una serie di atti che, seppur 
formalmente autonomi e dalla precisa identit�, possono essere valutati congiuntamente, 
in quanto cooperano ad una finalit� unica (52). Di conseguenza, 
� proprio il medesimo scopo, quello di introdurre una disciplina originata da 
�casi straordinari di necessit� ed urgenza�, verso il quale sono preordinati, che 
rappresenta il legame che unisce il provvedimento d�urgenza del Governo alla 
legge di conversione; e questo visibile nesso teleologico determina che la validit� 
dell�uno condiziona necessariamente la validit� dell�altro (53). 
In sintesi, in presenza di un decreto-legge che sia stato adottato dal Governo 
in carenza dei presupposti viene meno il relativo potere parlamentare di conversione; 
un potere che, in tal caso, pu� essere attivato unicamente per disporre la 
tempestiva reiezione del provvedimento governativo, al fine di evitare che esso 
esplichi compiutamente la propria efficacia nell�ordinamento giuridico, sia pure 
per il ristretto arco di tempo prescritto dall�art. 77 della Costituzione. 
4. Emendamenti in sede di conversione. 
La dottrina prevalente � incline ad ammettere l�emendabilit� del decretolegge 
in base all�assunto che, essendo la legge di conversione espressione del 
potere legislativo delle Camere, essa possa subire aggiunte o modifiche sostanziali 
(54). In particolare, si ricorda la posizione tradizionale che riconosce 
alla legge di conversione la funzione di ristabilire il normale ordine delle competenze 
normative �alterato� dalla decretazione d�urgenza e tendente ad escludere 
che, in sede di conversione, le Camere siano vincolate alle statuizioni 
contenute nel decreto-legge, libere, quindi, di esercitare la loro funzione legislativa 
in pienezza (55). Tuttavia, secondo il pensiero della giurisprudenza costituzionale 
e secondo l�impostazione dottrinale qui accolta, la soluzione che 
appare pi� compatibile con la ratio dell�art. 77 della Costituzione � quella che 
limita la potenzialit� della legge di conversione all�oggetto del decreto-legge 
(56), e di conseguenza l�esercizio della potest� legislativa parlamentare � con- 
(52) Cfr. V. ANGIOLINI, op. cit. pag. 238. 
(53) Cfr. ANGIOLINI, op. cit. pag. 239. 
(54) Cfr. C. ESPOSITO, Emendamenti ai decreti-legge, in Giur. Cost. 1956, pag. 188; F. SORRENTINO, 
op. cit. pag. 766; A. PIZZORUSSO, Fonti del diritto. Disposizioni sulla legge in generale, in Commentario 
del codice civile, Roma, 1977, pag. 268; C. LAVAGNA, op. cit. pag. 297; L. PALADIN, Le fonti del diritto 
italiano, Bologna, 1996, pag. 249. Inoltre cfr. G. SERGES, La �tipizzazione� della legge di conversione 
del decreto-legge ed i limiti agli emendamenti parlamentari, in Giur. it., 2012, 12, pag. 2494. 
(55) Cfr. L. PALADIN, op. cit. pag. 250, il quale afferma che �sarebbe assurdo ritenere che il Parlamento 
sia rigidamente vincolato dalle scelte iniziali del Governo, dovendo limitarsi ad approvare o 
disapprovare in blocco gli atti provvisori con forza di legge, proprio quando � chiamato a restaurare 
l�ordine naturale delle competenze, attraverso l�esercizio della sua potest� legislativa�. Inoltre cfr. R. 
ZACCARIA, L�omogeneit� dei decreti-legge: vincolo per il Parlamento o anche per il Governo?, in Giur. 
cost., 2012, pag. 283. 
(56) Cfr. G. PITRUZZELLA, op. cit. pag. 194, il quale afferma che �se all�esercizio del potere normativo 
d�urgenza del Governo deve seguire una deliberazione del Parlamento a salvaguardia della sua
DOTTRINA 221 
dizionato dalla disciplina adottata dal Governo, sia per ci� che riguarda la sussistenza 
dei presupposti sia per l�oggetto stesso del decreto. 
Solo in questo modo, non si vanifica il nesso di presupposizione tra il procedimento 
di formazione del decreto-legge e quello di formazione della legge di 
conversione. Quest�ultimo procedimento � peculiare proprio perch� presuppone 
l�esistenza di un provvedimento adottato dal Governo per fronteggiare situazioni 
particolari che in quanto tali non possono essere regolate seguendo le vie ordinarie 
di approvazione della legge. Esso, dunque, non pu� rappresentare semplicemente 
una occasione da prendere come pretesto per approvare, con maggiore 
celerit�, una determinata disciplina, estranea all�oggetto del decreto, approfittando 
della �corsia preferenziale� offerta dalle disposizioni dei regolamenti parlamentari 
che tendono ad abbreviare l�iter del disegno di legge di conversione, 
rendendo pi� rapide ed immediate le discussioni e le deliberazioni delle Camere 
(57), che finiscono per essere svincolate da qualsiasi esigenza emergenziale. 
Secondo questa impostazione, � utile rifarsi ad alcune decisioni della 
Corte costituzionale (58); tra queste, la sentenza n. 355 del 2010 conferma 
l�assunto che la legge di conversione non abbia efficacia sanante di eventuali 
vizi del decreto-legge e ritiene che �la valutazione in termini di necessit� ed 
urgenza deve essere indirettamente effettuata per quelle norme, aggiunte dalla 
legge di conversione del decreto-legge, che non siano del tutto estranee rispetto 
al contenuto della decretazione d�urgenza; mentre tale valutazione non � richiesta 
quando la norma aggiunta sia eterogenea rispetto a tale contenuto� 
(59). La Corte poi aggiunge che �la valutazione in ordine alla sussistenza, in 
concreto, dei requisiti in parola � rimessa al Parlamento all�atto di approvazione 
dell�emendamento ora oggetto di censure. Tale valutazione non deve 
funzione legislativa, la potenzialit� normativa della legge parlamentare sembra per� circoscritta all�oggetto 
del decreto-legge. La stessa ratio che sta a fondamento della previsione costituzionale della legge 
di conversione dovrebbe operare a sua volta come limite alla stessa. La legge di conversione non serve 
a reintegrare una normalit� costituzionale travolta dalla decretazione d�urgenza; il decreto-legge costituisce 
infatti espressione di un potere ordinario del Governo, il quale per� non pu� sostituirsi integralmente 
alla legge del Parlamento. Alla fine di garantire il principio costituzionale che riconosce a 
quest�ultima una preminenza materiale tra le fonti primarie, la disciplina governativa per mantenere la 
sua efficacia deve essere confermata oppure modificata dal Parlamento�. 
(57) Si ricordi, infatti, che i disegni di legge di conversione dei decreti-legge hanno la precedenza 
su tutti gli altri argomenti in programma; inoltre i regolamenti parlamentari dispongono che debba essere 
seguita la procedura ordinaria, con termini abbreviati per la commissione referente. In particolare, l�art. 
81, comma 2, reg. Camera, dispone che la commissione debba riferire all�assemblea entro quindici 
giorni; al Senato della Repubblica, l�art. 78, comma 5, del regolamento stabilisce che il disegno di legge 
di conversione debba essere iscritto all�ordine del giorno dell�assemblea in modo che la votazione finale 
avvenga non oltre il trentesimo giorno dal deferimento. 
(58) Cfr. A. RUGGERI, Ancora in tema di decreti-legge e leggi di conversione, ovverosia di taluni 
usi impropri (e non sanzionati) degli strumenti di normazione (a margine di Corte cost. nn. 355 e 367 
del 2010), in A. RUGGERI, Itinerari di una ricerca sul sistema delle fonti, XIV, Studi dell�anno 2010, 
Torino, 2011, pag. 549. 
(59) Corte costituzionale, considerato in diritto n. 8 della sent. n. 355 del 2010.
222 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2015 
tradursi in una motivazione espressa, che sarebbe incompatibile con le caratteristiche 
del procedimento di formazione legislativa. N�, a questo riguardo, 
pu� assumere rilievo il contenuto del preambolo allo stesso decreto-legge che, 
proveniente dal Governo, concerne le sole disposizioni originarie del medesimo 
provvedimento. In realt�, la suindicata valutazione � rimessa alla discrezionalit� 
delle Camere e pu� essere sindacata innanzi a questa Corte soltanto 
se essa sia affetta da manifesta irragionevolezza o arbitrariet�, ovvero per mancanza 
evidente dei presupposti�. La Corte costituzionale ha quindi precisato 
che l�ambito di riferimento delle proprie censure concerne la decisione parlamentare 
in termini autonomi dalle ragioni alla base del decreto-legge, anche 
se in proposito rileva la propria competenza ad accertarne non solo eventuali 
profili di manifesta irragionevolezza o di arbitrariet�, ma anche �una mancanza 
evidente dei presupposti� che altro non sono se non i presupposti del provvedimento 
convertito (60). 
A questo aspetto si aggiunge che, stante la necessaria omogeneit� originaria 
del decreto-legge, la Corte costituzionale consente, ma solo indirettamente, 
ad una eventuale eterogeneit� di contenuto della legge di conversione, 
almeno nella parte in cui non incida sul contenuto del decreto-legge stesso; va 
comunque segnalato che, nella fattispecie all�esame della Corte costituzionale, 
la disposizione introdotta in sede parlamentare non si trovava, come rilevato 
dalla Corte stessa, �in una condizione di totale eterogeneit� rispetto al contenuto 
del decreto-legge in esame� e, conseguentemente, anche per essa era richiesta 
la indispensabile sussistenza dei requisiti della necessit� e dell�urgenza (61). 
Nel caso specifico, conclude la Corte, la disposizione inserita in sede di conversione, 
e non prevista nel decreto-legge, non era carente dei requisiti ex art. 
77, comma 2, Cost. (62); l�operazione compiuta dalla Consulta � ampia ma 
(60) Cfr. R. DICKMANN, Decreti-legge e sindacato dei presupposti di costituzionalit�: forse la 
Corte costituzionale non ha ragione, in federalismi.it, 22 giugno 2011, pag. 6. 
(61) Cfr. C. BERTOLINO, Ulteriori considerazioni in tema di conversione del decreto-legge, in Rivista 
telematica giuridica dell�Associazione italiana dei Costituzionalisti, n. 3/2012, pag. 4. Inoltre cfr. 
N. LUPO, L�omogeneit� dei decreti-legge (e delle leggi di conversione): un nodo difficile, ma ineludibile 
per limitare le patologie della produzione normativa, in Rassegna Astrid, n. 153 (4/2012) del 23 febbraio 
2012, pag. 27, il quale sottolinea come nel caso di specie la Corte costituzionale, �di fronte ad una patologia 
oggettivamente riscontrabile nel comportamento del legislatore parlamentare, sia stata in realt� 
�in qualche modo obbligata� a distinguere tra norme della legge di conversione �del tutto estranee rispetto 
al contenuto della decretazione d�urgenza� e norme che invece �non rechino contenuti del tutto 
estranei rispetto al decreto-legge�. 
(62) Cfr. D. GALLIANI, Decreto-legge e legge di conversione stretti nella tenaglia della Consulta 
e del Quirinale, in Studium Iuris, n. 7-8/2012, pag. 807, il quale rileva che �alla Corte interessa evidenziare 
lo stretto legame tra la disposizione in questione e il decreto-legge emesso nel quadro generale di 
provvedimenti anticrisi. Con la disposizione in esame si sono voluti limitare gli ambiti, ritenuti troppo 
ampi, di responsabilit� dei pubblici dipendenti cui sia imputabile la lesione del diritto all�immagine delle 
amministrazioni di appartenenza. La Corte, pertanto, conclude che la disposizione censurata, nonostante 
inserita in sede di conversione, rientrava sicuramente nei meccanismi previsti dal decreto-legge, aventi 
lo scopo di introdurre nell�ordinamento misure dirette al superamento della crisi in cui versava il Paese�.
DOTTRINA 223 
funzionale a ricomprendere la disposizione oggetto di censure, la quale essendo 
urgente, si salva dalla dichiarazione di incostituzionalit�. 
Inoltre, l�approvazione di emendamenti che stravolgono il significato originario 
del decreto-legge o che dispongano su oggetti estranei alla materia 
dello stesso finisce per creare seri problemi anche sul piano della certezza del 
diritto (63), rendendo spesso difficile sia la ricostruzione della reale portata 
dispositiva (64), sia la delineazione dell�efficacia nel tempo della disciplina 
che scaturisce dal procedimento di conversione (65). Riguardo quest�ultimo 
aspetto, la sentenza della Corte costituzionale n. 367 del 2010 ha affrontato 
�il problema dell�efficacia dell�emendamento apportato alla norma censurata 
dalla legge di conversione�, affermando la possibilit� che �il decreto sia convertito 
in legge con emendamenti che implichino mancata conversione in parte 
qua, e che, pertanto, nel caso di conversione con emendamenti, spetta all�interprete 
accertare quale delle eventualit� si sia verificata� (66), secondo le indicazioni 
fornite nella sentenza n. 51 del 1985. 
Quanto all�oggetto del decreto-legge, la soluzione che tende a salvaguardarne 
l�ambito in sede di conversione � stata fatta propria dal regolamento 
della Camera dei deputati, il cui art. 96 bis, comma 7, dispone che, nel corso 
del procedimento di conversione, non possono costituire oggetto di discussione 
gli emendamenti e gli articoli aggiuntivi che non siano strettamente attinenti 
alla materia del decreto-legge; � attribuito al Comitato per la 
legislazione, ex art. 16 bis, la facolt� di proporre la soppressione delle disposizioni 
del decreto che �contrastino con le regole sulle specificit� ed omogeneit��. 
Se, dunque, si possono configurare modificazioni ed aggiustamenti 
parziali, finalizzati a correggere ed a perfezionare il contenuto del provvedimento 
governativo, ci� non deve comportare un radicale stravolgimento della 
portata precettiva (67) o consentire l�introduzione di discipline che in quanto 
estranee ed estremamente eterogenee possono essere sintomatiche dell�assenza 
dei presupposti. Infatti, se si vuole confermare l�unicit� procedimentale 
tra decreto-legge e legge di conversione non si deve nutrire preoccupazione 
anche nel porre le Camere dinanzi all�alternativa secca tra un�approvazione e 
(63) Cfr. G. PITRUZZELLA, op. cit. pag. 301, dove si sottolineano rilevanti problemi di tecnica legislativa, 
derivati dalla conversione con emendamenti, per la difficolt� di coordinare i testi del decretolegge 
e della legge di conversione con le modificazioni apportate. 
(64) Sovente infatti sono necessarie ben due ripubblicazioni di quanto scaturito dall�approvazione 
parlamentare: in primo luogo la pubblicazione del testo del decreto-legge coordinato con le modificazioni 
introdotte in sede di conversione, e, in secondo luogo, la ripubblicazione del testo del decreto-legge coordinato 
con la legge di conversione e corredato dalle note esplicative. 
(65) Cfr. R. BIN-G. PITRUZZELLA, Diritto costituzionale, Torino, 2008, pag. 359, dove si evidenzia 
un altro punto controverso riguardante l�efficacia degli emendamenti soppressivi, sostitutivi, aggiuntivi 
e modificativi. Sul punto anche cfr. G. PITRUZZELLA, op. cit. pag. 287. 
(66) Cfr. Corte cost., sent. 367/2010, in Giur. Cost., pag. 5141. 
(67) Cfr. G. PITRUZZELLA, op. cit. pag. 199. 
224 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2015 
un diniego di conversione dell�intero testo governativo, senza possibilit� di 
poter influire sul suo contenuto (68). In questo senso, la disposizione regolamentare 
sopra richiamata, se davvero � finalizzata ad impedire che il potere 
di emendamento diventi un pretesto per approvare una disciplina nuova e diversa, 
pu� essere intesa come una diretta esplicitazione del dettato costituzionale 
(69). Pertanto, il riconoscimento dell�esistenza di un limite di derivazione 
costituzionale al potere delle Camere di emendare il disegno di legge di conversione 
legittima la configurabilit� del controllo della Corte costituzionale 
sulla rispondenza di tali modifiche ai presupposti giustificativi e all�oggetto 
del provvedimento governativo. 
Rispetto a questo quadro generale di riferimento, la Corte costituzionale, 
nella citata sentenza n. 367 del 2010, ricorda che la conversione di un decreto 
o il rifiuto di conversione possono essere anche parziali e �che, a sua volta, il 
rifiuto parziale di conversione pu� essere anche implicito, a seconda del tipo 
di emendamento approvato�. Sul punto la Corte costituzionale esclude che 
abbia valore dirimente l�art. 15, comma 5, della legge n. 400/88, ritenendo che 
tale disposizione si limiti a sottrarre la legge di conversione all�ordinario regime 
della vacatio legis, senza occuparsi direttamente dell�efficacia intertemporale 
delle disposizioni del decreto-legge emendate (70). 
La Corte costituzionale, pertanto, nelle sentenze 355 e 367 del 2010, si incammina 
su un terreno scivoloso dato che il riscontro concernente la natura delle 
disposizioni, nei loro reciproci rapporti, risulta incerto e questa incertezza � aggravata 
dal fatto che la Corte operi una singolare relativizzazione del concetto 
di eterogeneit�, il quale sottrae le norme che ne siano espressione alla eventuale 
caducazione per difetto dei presupposti unicamente laddove siano �troppo ete- 
(68) Cfr. G. SILVESTRI, op. cit. pag 430, il quale afferma che �il legame che unisce decreto-legge 
e legge di conversione � fondato sulla identit� del contenuto normativo dell�uno e dell�altra, in quanto 
la fase di conversione in legge del provvedimento governativo pu� avvenire solo sul presupposto che 
l�identica formazione contenuta nel decreto sia l�oggetto del disegno di legge di conversione; il contenuto 
normativo, dunque, rappresenta il midollo unificatore delle due fasi fondamentali del procedimento che 
dall�atto provvisorio e urgente porta alla disciplina legislativa stabile�. 
(69) Cfr. G. PITRUZZELLA, op. cit. pag. 195. 
(70) Cfr. R. DICKMANN, Decreti-legge e sindacato dei presupposti di costituzionalit�: forse la 
Corte costituzionale non ha ragione, cit., pag. 7, il quale sottolinea come �sul punto la Corte mette a 
fuoco due alternative: l�approvazione in sede parlamentare di un emendamento modificativo in senso 
restrittivo implica la conversione della norma del decreto e la sua contestuale modifica con effetto ex 
nunc, dal giorno successivo alla pubblicazione della legge di conversione (in conformit� all�art. 15, 
comma 5, della legge n. 400 del 1988); al contrario, l�emendamento equivale ad un rifiuto parziale di 
conversione, che travolge con effetto ex tunc la norma emendata per la parte non convertita, ancorch� si 
tratti di un effetto da accertare in via interpretativa, richiamando quanto in proposito sostenuto dalla 
Corte di Cassazione per una fattispecie analoga, citata dalla Corte costituzionale. In sostanza, secondo 
questa lettura se le Camere convertono in legge un decreto, ridimensionandone la portata normativa per 
effetto di emendamenti soppressivi o che circoscrivano l�efficacia originaria di singole disposizioni del 
provvedimento, nonostante le previsioni di cui all�art. 15, comma 5, della legge n. 400 del 1988, il decreto 
deve intendersi convertito come se la relativa efficacia normativa fosse stata ridimensionata ex tunc�. 
DOTTRINA 225 
rogenee� (71). Questa posizione, insieme alla dottrina della �evidente mancanza� 
dei presupposti, afferma che il decreto-legge e la legge di conversione 
siano annullabili unicamente in caso di �evidente violazione� della Costituzione; 
ne consegue che la violazione stessa, se non �evidente�, resta impunita (72). 
Nella complessa sequenza giurisprudenziale la sentenza n. 22 del 2012 occupa 
un ruolo di rilievo per le argomentazioni giuridiche sviluppate intorno al 
rapporto tra decreto-legge e legge di conversione e, segnatamente, intorno alla 
natura �atipica� di quest�ultima, caratterizzata da una competenza predeterminata 
(73). Infatti, sono molteplici gli spunti di riflessione che si possono ricavare 
in relazione al tema dei presupposti della decretazione d�urgenza, del rispetto 
del riparto delle competenze legislative da parte del legislatore statale, dei vizi 
formali della legge, in considerazione anche del ruolo ricoperto nella presente 
vicenda dai regolamenti parlamentari e dalla Presidenza della Repubblica (74). 
In riferimento all�accoglimento della questione fondata sull�art. 77, 
comma 2, Cost., la motivazione della Corte costituzionale merita di essere 
analizzata, sottolineando le differenze con la pregressa giurisprudenza (75). 
Ad essere censurati, nel caso sottoposto al suo giudizio, non sono pi� i 
soli contenuti del decreto-legge ma le due disposizioni introdotte dal Parlamento 
in sede di conversione, del tutto estranee ai contenuti dell�originario 
atto di decretazione d�urgenza. 
(71) Cfr. A. RUGGERI, Ancora in tema di decreti-legge e leggi di conversione, ovverosia di taluni 
usi impropri (e non sanzionati) degli strumenti di normazione (a margine di Corte cost. nn. 355 e 367 
del 2010), cit., pag. 2. 
(72) Cfr. A. RUGGERI, La Corte costituzionale davanti alla politica (nota minima su una questione 
controversa, rivista attraverso taluni frammenti della giurisprudenza in tema di fonti), in Percorsi costituzionali, 
2-3/2010, pag. 37. 
(73) Cfr. G. SERGES, La �tipizzazione� della legge di conversione del decreto-legge ed i limiti 
agli emendamenti parlamentari, in www.giurcost.it ; cfr M. MANETTI, La via maestra che dall�inemendabilit� 
dei decreti-legge conduce all�illegittimit� dei maxi-emendamenti, in Giur. cost., 2012, pag. 292; 
cfr. A. CELOTTO, L�abuso delle forme della conversione (affinamenti nel sindacato sul decreto-legge), 
in Giur. cost., 2012, pag. 2493; cfr. E. ROSSI, Il fine meritevole giustifica l�utilizzo elastico dei mezzi: la 
Corte e la �ridondanza�, in Giur. cost., 2012, pag. 298. 
(74) Cfr. M. FRANCAVIGLIA, Decretazione d�urgenza e rispetto del riparto delle competenze legislative 
tra Stato e Regioni nei giudizi di legittimit� costituzionale in via principale. Cronaca della sentenza 
della Corte costituzionale n. 22 del 2012, in Rivista telematica giuridica dell�Associazione Italiana 
dei Costituzionalisti, n. 2/2012, pag. 1. 
(75) La disposizione impugnata, inserita in sede di conversione del decreto-legge, introduceva 
all�art. 5 della legge 24 febbraio 1992, n. 225, Istituzione del Servizio nazionale della protezione civile, 
due commi, il 5-quater ed il 5-quinquies, in base ai quali le Regioni, nel caso di calamit�, avrebbero potuto 
accedere alle risorse finanziarie del Fondo nazionale di protezione civile solo dopo aver deliberato 
�aumenti, sino al limite massimo consentito dalla vigente legislazione, dei tributi, delle aliquote [�]� 
(comma 5-quater). La Corte costituzionale, al termine di un giudizio di costituzionalit� in via principale, 
ex art. 128 Cost., promosso dalle Regioni Liguria, Basilicata, Puglia, Marche, Abruzzo e Toscana, dichiara 
l�illegittimit� costituzionale dell�art. 2, comma 2-quater, del decreto-legge n. 225/2010, recante 
�Proroga di termini previsti da disposizioni legislative e di interventi urgenti in materia tributaria e di 
sostegno alle imprese e alle famiglie�, convertito in legge, con modificazioni, dall�art. 1, comma 1, della 
legge n. 10 del 2012 .
226 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2015 
La Corte costituzionale si pronuncia pi� chiaramente sulla esigenza di 
omogeneit� necessaria della legge di conversione rispetto ai contenuti del decreto-
legge e detta regole pi� precise sui rapporti stessi tra decreto-legge e 
legge di conversione (76). Il giudice delle leggi afferma che �la necessaria 
omogeneit� del decreto-legge, la cui interna coerenza va valutata in relazione 
all�apprezzamento politico, operato dal Governo e controllato dal Parlamento, 
del singolo caso straordinario di necessit� ed urgenza, deve essere osservata 
dalla legge di conversione�, e a sostegno di questa posizione, la Corte costituzionale 
richiama il regolamento della Camera dei deputati, il cui art. 96 bis, 
comma 7, dispone che il Presidente della Camera dei deputati debba dichiarare 
inammissibili gli emendamenti e gli articoli aggiuntivi della legge di conversione 
che non siano �strettamente attinenti� alla materia del decreto-legge. In 
questa sentenza la disposizione del regolamento parlamentare viene richiamata 
con particolare enfasi dalla Corte costituzionale (77), la quale, inoltre, in maniera 
inusuale, cita la lettera del Presidente del Senato della Repubblica del 7 
marzo 2011 inviata ai Presidenti delle Commissioni parlamentari e, per conoscenza, 
al Ministro per i rapporti con il Parlamento (78), nonch� al messaggio 
di rinvio alle Camere del disegno di legge di conversione del decreto-legge n. 
4 del 2002 operato dal Presidente della Repubblica in data 29 marzo 2002 e 
alla lettera dello stesso Capo dello Stato inviata ai Presidenti delle Camere e 
al Presidente del Consiglio dei Ministri il 22 febbraio 2011 (79). 
� significativa la posizione della Corte costituzionale quando rileva che 
�la Costituzione disciplina, nelle loro grandi linee, i diversi procedimenti legislativi 
e pone limiti e regole, da specificarsi nei regolamenti parlamentari�, precisando 
che �il rispetto delle norme costituzionali, che dettano tali limiti e 
regole, � condizione di legittimit� costituzionale degli atti approvati�. L�affermazione 
merita attenzione in quanto ne discende un importante corollario: essendo 
i regolamenti parlamentari volti a specificare quelle regole e quei limiti 
disciplinati dalla Costituzione a grandi linee, il rispetto di questi necessariamente 
implica il rispetto della normativa posta dai regolamenti parlamentari (80). 
(76) Cfr. C. BERTOLINO, Ulteriori considerazioni in tema di conversione del decreto-legge, in Rivista 
telematica giuridica dell�Associazione italiana dei Costituzionalisti, n. 3/2012, pag. 5. 
(77) Corte cost., sent. n. 22/2012, considerato in diritto n. 4.2, in cui si afferma che l�art. 96 bis, 
comma 7, del regolamento della Camera dei deputati non � una norma che risponde �soltanto ad esigenze 
di buona tecnica normativa, ma [�] imposta dallo stesso art. 77 Cost.�, e di questo costituisce il principale 
strumento attuativo. 
(78) In questa missiva, il Presidente del Senato della Repubblica esprimeva l�esigenza �di ricondurre 
la decretazione d�urgenza alle caratteristiche sue proprie di fonte normativa straordinaria ed eccezionale 
nel rispetto degli equilibri tra i poteri e le competenze degli organi costituzionali� e la necessit� 
�di interpretare in modo particolarmente rigoroso, in sede di conversione di un decreto-legge, la norma 
dell�art. 97, comma 1, del regolamento, sulla improponibilit� di emendamenti estranei all�oggetto della 
discussione�. 
(79) Per la trattazione di questi atti del Capo dello Stato si rimanda al paragrafo 5 del presente capitolo.

DOTTRINA 227 
Si pone di nuovo la questione della �parametrabilit�� delle norme regolamentari 
(81) e della loro idoneit� a fungere da riferimento per la verifica 
della legittimit� costituzionale, sotto il profilo formale, degli atti legislativi 
(82). Fin dalla sentenza n. 9 del 1959 (83) si � affermata una distinzione tra le 
regole sul procedimento di formazione degli atti, finalizzata a graduarne la 
gravit�: le regole procedurali poste dalla Costituzione e le regole procedurali 
contenute nei regolamenti parlamentari. Soltanto le prime determinano un 
vizio dell�atto rilevabile dalla Corte costituzionale, riservando alle seconde un 
ruolo all�interno dell�organizzazione dei lavori del Parlamento. Le norme regolamentari, 
anche se funzionali all�operativit� delle regole costituzionali, 
continuano ad avere una rilevanza minore rispetto a quelle di natura costituzionale. 
Questo significa che il vizio formale, logicamente precedente a quello 
sostanziale, consente l�applicazione di un criterio pi� elastico, il quale comporta 
che, sulla base di una valutazione complessiva dell�atto, se non sussistono 
gravi violazioni procedurali, n� violazioni sostanziali, il vizio di norme 
regolamentari � tacitamente superabile. 
Nella sentenza n. 22 del 2012 il vizio formale sembra riconquistare una 
posizione rilevante, pur all�interno di un contesto di giurisprudenza costituzionale 
che, in via generale, conferma il pregresso orientamento (84), secondo 
il quale il sindacato di costituzionalit� del processo formativo di una 
legge � limitato alle sole norme costituzionali che direttamente lo regolano 
(80) Cfr. V. MARCEN�, L�eterogeneit� delle disposizioni come �male�da elusione delle fonti sulla 
produzione del decreto-legge�, in www.forumcostituzionale.it, pag. 5. 
(81) Il tema � stato ampiamente discusso in dottrina; tra coloro che sostennero la capacit� dei regolamenti 
parlamentari di condizionare la validit� delle leggi cfr. MAZZIOTTI, voce Parlamento, in Enc. 
dir., XXXI, Milano, 1981, per il quale �la Costituzione non attribuisce solo ai regolamenti carattere esecutivo 
delle sue norme, ma d� alle norme regolamentari rilievo esterno, ponendone l�osservanza come 
condizione di validit� delle leggi�; su posizioni intermedie cfr. A. MANZELLA, Il Parlamento, III ed., 
Bologna, 2003, pag. 60, il quale, in un primo momento, ha ritenuto sindacabile l�osservanza da parte 
del Parlamento delle sole norme regolamentari che disciplinano il procedimento (distinte da quelle riguardanti 
le decisioni), mentre pi� recentemente ha delimitato la competenza della Corte costituzionale 
a due soli vizi del procedimento: la violazione diretta delle norme costituzionali ad esso relative e l�eccesso 
di potere parlamentare. Sul punto cfr. G. FERRARA, Regolamenti parlamentari ed indirizzo politico, 
in Scritti in onore di Tesauro, Milano, 1968, pag. 341; su posizioni diverse cfr. F. MODUGNO, In tema di 
regolamenti parlamentari e di controllo sugli interna corporis acta delle Camere, in Scritti in onore di 
Ambrosini, II, Milano, 1970, pag. 1310. Infine a favore della �parametricit�� delle norme regolamentari 
cfr. G. FLORIDA, voce Regolamenti parlamentari, in Dig. Disc. Pubbl., vol. XIII, Torino, 1997, pag. 99. 
(82) Cfr. A. SIMONCINI, Il potere legislativo del Governo tra forma di governo e forma di stato, in 
Cartabia, Lamarque, Tanzarella (a cura di), Gli atti normativi del Governo tra Corte costituzionale e 
giudici, Torino, 2011, pag. 509. 
(83) Cfr. P. BARILE, Il crollo di un feticcio (gli interna corporis) in una storica (ma insoddisfacente) 
sentenza, in Giur. cost., I, 1959, pag. 240; cfr. C. ESPOSITO, Questioni sulla invalidit� della legge per 
(presunti) vizi del procedimento di approvazione, in Giur. cost., 1957, pag. 1326. Inoltre cfr. A. MANZELLA, 
Il Parlamento, III ed., Bologna, 2003, pag. 59. 
(84) Cfr. Corte cost., sentt. nn. 147/83, 78 e 292/84, 391/95; identica impostazione si ritrova con 
riguardo ai regolamenti delle assemblee regionali, per la quale cfr. Corte cost. n. 57/57 e n. 40/60.
228 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2015 
(85). Tuttavia, mediante la vincolativit� del requisito della omogeneit�, la Corte 
costituzionale afferma che il vizio derivante dalla violazione di una norma regolamentare 
e funzionale alla operativit� della disciplina costituzionale non � 
pi� sanabile per la sussistenza di un accordo tra i gruppi parlamentari (86). In 
questo senso, la prescrittivit� della omogeneit� delle norme come condizione 
di validit� del decreto-legge e della legge di conversione � finalizzata a circoscrivere 
la �contrattazione� delle disposizioni da parte dei gruppi parlamentari 
e a ridurre i patologici sviamenti dal rispetto delle regole, anche formali, sulla 
produzione delle fonti. Ne deriva che il recupero della rilevanza del vizio formale 
da parte della Corte costituzionale tende a rendere il diritto conoscibile, 
in modo da restringere il pi� possibile le sue incertezze fisiologiche (87). 
Inoltre, sempre nella sentenza n. 22 del 2012, un nuovo orientamento 
sembra profilarsi; nuovi indirizzi detta la Corte sia agli organi istituzionali sia 
alla riflessione dottrinale. Si afferma la concezione che vede la legge di conversione 
intrinsecamente connessa al decreto-legge, essendo questo �presupposto 
essenziale� (88) della legge del Parlamento, affinch� entrambi gli atti 
siano considerati nel quadro di un �procedimento legislativo unitario� (89). 
La legge di conversione si configura come �tipizzata nella competenza� (90), 
�costretta a muoversi nel solco tracciato dal decreto stesso� (91), in quanto 
funzionalmente deputata a convertire il decreto-legge (92). 
Ne deriva un �collegamento strutturale-funzionale� (93) tra i due atti, e 
le Camere non potranno emendare il disegno di legge di conversione con disposizioni 
estranee all�oggetto e al contenuto del decreto-legge; in tal caso, 
dovrebbe iniziare il procedimento di adozione di una vera e propria nuova 
legge ordinaria. La Corte costituzionale afferma come sia �lo stesso art. 77, 
secondo comma, Cost.� ad istituire �un nesso di interrelazione funzionale tra 
(85) Cfr. M. FRANCAVIGLIA, Decretazione d�urgenza e rispetto del riparto delle competenze legislative 
tra Stato e Regioni nei giudizi di legittimit� costituzionale in via principale. Cronaca della sentenza 
della Corte costituzionale n. 22 del 2012, cit., pag. 8. 
(86) Cfr. V. MARCEN�, L�eterogeneit� delle disposizioni come �male�da elusione delle fonti sulla 
produzione del decreto-legge�, cit., pag. 5, la quale rileva che, per l�intrinseca cedevolezza di cui si ritiene 
siano connotate le norme dei regolamenti parlamentari, �la possibilit� di distaccarsi dalla norma 
regolamentare rientra legittimamente nella facolt� delle forze politiche; il vizio formale, derivante dalla 
violazione di norme regolamentari, pu� reputarsi superato dal fatto materiale che le forze che operano 
in Parlamento sono concordi nell�agire senza tenerne conto, dalla constatazione che non vi � parte interessata 
a far valere il vizio�. Inoltre cfr. PIZZORUSSO, Fonti del diritto, II ed., Bologna 2011, pag. 569. 
(87) Cfr. V. MARCEN�, L�eterogeneit� delle disposizioni come �male�da elusione delle fonti sulla 
produzione del decreto-legge�, cit., pag. 7. 
(88) Cfr. C. ESPOSITO, Decreto-legge, cit., pag. 849. 
(89) Cfr. V. DI CIOLO, Questioni in tema di decreti-legge, Milano, 1970, pag. 306. 
(90) Cfr. A.RUGGERI, Fonti, norme, criteri ordinatori, Torino, 1999, pag. 141. 
(91) Cfr. A.RUGGERI, Fonti, norme, criteri ordinatori, cit., pag. 145. 
(92) Cfr. C. BERTOLINO, Ulteriori considerazioni in tema di conversione del decreto-legge, cit., 
pag. 8.
(93) Cfr. A.RUGGERI, Fonti, norme, criteri ordinatori, cit., pag. 144.
DOTTRINA 229 
decreto-legge, formato dal Governo ed emanato dal Presidente della Repubblica, 
e legge di conversione, caratterizzata da un procedimento di approvazione 
peculiare rispetto a quello ordinario� (94). 
La riconosciuta �atipicit�� della legge di conversione risiede, secondo la 
Consulta, non solo nel procedimento formale di approvazione ma anche nel 
contenuto della stessa, sentenziando che �l�oggetto del decreto-legge tende a 
coincidere con quello della legge di conversione�, e l�introduzione di emendamenti 
al testo originario del decreto-legge � possibile �nell�esercizio della 
propria ordinaria potest� legislativa�, purch� �non si spezzi il legame essenziale 
tra decretazione d�urgenza e potere di conversione. Se tale legame viene 
meno, la violazione dell�art. 77, secondo comma, Cost., non deriva dalla mancanza 
dei presupposti di necessit� ed urgenza per le norme eterogenee aggiunte, 
che, proprio per essere estranee e inserite successivamente, non 
possono collegarsi a tali condizioni preliminari, ma per l�uso improprio, da 
parte del Parlamento, di un potere che la Costituzione gli attribuisce, con speciali 
modalit� di procedura, allo scopo tipico di convertire, o non, in legge un 
decreto-legge� (95). Se ne evince che il Parlamento, secondo l�impostazione 
adottata dalla Corte costituzionale, � chiamato a svolgere un ruolo di controllo 
dell�operato del Governo (96), al fine di preservare il sistema delle fonti e la 
forma di governo sulla base della configurazione prospettata dalla Costituzione; 
� stato rilevato che �la Corte ha dato una significativa �scossa� al sistema. 
[�] essa ha infatti indubbiamente �circoscritto� il potere legislativo 
parlamentare, affermando che in sede di conversione del decreto-legge le Camere 
non sono propriamente libere quanto ai contenuti dell�atto; anche se occorre 
subito precisare che non di vera e propria restrizione si tratta, bens� di 
una pi� corretta e coerente interpretazione delle diverse fonti che intervengono 
nel procedimento d�urgenza e del ruolo che esse vi rivestono� (97). 
Pertanto, la violazione dell�art. 77 Cost. da parte di disposizioni eterogenee, 
aggiunte in sede di conversione, ripropone la configurabilit�, come vizio 
autonomo, dell�eccesso di potere di conversione del legislatore, inteso quale 
sviamento del procedimento legislativo di conversione dalla sua causa tipica, 
quando la legge di conversione spezzi la ratio unitaria del provvedimento d�urgenza 
adottato (98). 
(94) Corte cost., sent. n. 22/2012, considerato in diritto n. 4.2. 
(95) Corte cost., sent. n. 22/2012, considerato in diritto n. 4.2. 
(96) Cfr. S.M. CICCONETTI, Obbligo di omogeneit� del decreto-legge e della legge di conversione?, 
in Giur.it, 2012, pag. 2492. 
(97) Cfr. C. BERTOLINO, Ulteriori considerazioni in tema di conversione del decreto-legge, cit., 
pag. 12. 
(98) Cfr. R. DICKMANN, La Corte sanziona la �evidente estraneit�� di disposizioni di un decretolegge 
inserite con la legge di conversione. Error in procedendo o vizio di ragionevolezza? (nota a Corte 
cost., 16 febbraio 2012, n. 22), in www.federalismi.it n. 5/2012, pag. 7; inoltre cfr. G. SILVESTRI, Alcuni 
profili problematici dell�attuale dibattito sui decreti-legge, in Pol. dir., 1996, pag. 428, il quale afferma
230 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2015 
La sentenza n. 22 del 2012, quindi, riafferma il principio della separazione 
dei poteri, sottolinea la tipizzazione dei procedimenti legislativi posti dalla 
Costituzione (99), escludendo l�efficacia sanante della legge di conversione. 
Il controllo sulla omogeneit� delle disposizioni ha come scopo ultimo quello 
di evitare il perpetuarsi di un comportamento patologico della decretazione 
d�urgenza, in modo da evitare che il decreto-legge, prima, e la legge di conversione, 
poi, sia trasformato �in una congerie di norme assemblate soltanto 
da mera causalit� temporale� (100). 
L�attenzione si sposta sulle possibili conseguenze di tale decisione sulle 
modalit� di svolgimento del processo legislativo. Infatti, l�avere dichiarato costituzionalmente 
illegittima l�introduzione, in sede di conversione, di disposizioni 
che, e giova ripeterlo, in quanto �manifestamente eterogenee� 
nell�oggetto e/o nelle finalit�, spezzano il �nesso funzionale� con il provvedimento 
d�urgenza da convertire comporta evidenti implicazioni sia sui rapporti 
tra Parlamento ed organi costituzionali di controllo sia sulla prassi di formazione 
delle disposizioni, aspetto sempre pi� rilevante in termini di ordinamento 
giuridico complessivo (101). 
Nel tentativo di tirare le fila dell�argomentazione del presente studio, l�affermazione 
dell�esistenza di un potere di controllo della Corte costituzionale 
sugli emendamenti al decreto-legge, introdotti in sede di conversione, assume 
un significato particolare in relazione ai presupposti giustificativi. Infatti, 
l�aver riconosciuto che il vizio del decreto-legge derivante da �evidente mancanza� 
dei presupposti di necessit� ed urgenza si trasferisce, inficiandola, 
anche alla legge di conversione fa conseguire che l�incostituzionalit� si estende 
all�intera attivit� di conversione, e quindi anche alle modifiche introdotte in 
sede parlamentare. 
Lo stretto legame che unisce il provvedimento governativo d�urgenza all�intervento 
parlamentare impedisce che quest�ultimo venga portato a termine 
positivamente in assenza di un legittimo decreto da convertire, e da questa 
premessa � impedito alle Camere di utilizzare il procedimento di conversione 
al fine di predisporre una nuova disciplina accanto a quella posta in essere da 
un provvedimento governativo incostituzionale. Inoltre, le disposizioni introche 
�l�uso del potere di conversione per fini diversi da quelli di controllo previsti dalla Costituzione [integrerebbe] 
un caso di d�tournement de pouvoir�. L�Autore poi conclude che �l�eccezionalit� del potere 
legislativo del Governo [�] non dipenda dalla contingente volont� parlamentare, ma sia stabilita, con 
valore cogente, dalla Costituzione, a salvaguardia del principio oggetto della separazione dei poteri�, 
non potendo la legge formale sanare pi� di quanto la stessa Costituzione gli consente. 
(99) Cfr. G. SILVESTRI, Alcuni profili problematici dell�attuale dibattito sui decreti-legge, cit., pag. 
431, il quale rileva che �il Costituente ha voluto incanalare l�esercizio del potere legislativo su percorsi 
ben definiti, la cui tipicit� rende costituzionalmente illegittima la loro sovrapposizione�. 
(100) Corte cost., sent. n. 22/2012, considerato in diritto n. 4.2. 
(101) Cfr. L. SAVINI, La prima prassi applicativa della sentenza Corte cost. 22/2012: verso un 
nuovo modello di produzione legislativa?, in Rass. Parl. n. 2/2012, pag. 368.
DOTTRINA 231 
dotte per via di emendamento vengono ad avere lo stesso regime giuridico 
delle disposizioni originariamente emanate dal Governo per sopperire al caso 
straordinario di necessit� ed urgenza, facendo conseguire che ogni emendamento 
presentato in sede parlamentare va giustificato a sua volta dall�esigenza 
di fronteggiare nuovi casi straordinari di necessit� ed urgenza legati allo stesso 
oggetto del decreto, altrimenti si introdurrebbero disposizioni ingiustificate 
che beneficerebbero delle procedure accelerate che la Costituzione e i regolamenti 
parlamentari stabiliscono per la conversione del decreto, senza seguire 
l�ordinaria programmazione dei lavori parlamentari (102). 
Queste problematiche vanno analizzate seguendo il percorso seguito dalla 
Corte costituzionale per evidenziare il cambio di orientamento. Va, dunque, 
approfondita la situazione considerata nella sentenza n. 391 del 1995 (103) 
dalla cui analisi vanno tratti aspetti interessanti sul tema in esame (104). La 
Corte, infatti, afferma espressamente che la valutazione di necessit� ed urgenza 
attiene soltanto alla fase di decretazione posta in essere dal Governo e �non 
pu� estendersi a quelle norme che le Camere, in sede di conversione, possano 
aver introdotto come disciplina aggiunta a quella dello stesso decreto, in 
quanto tale disciplina � imputabile esclusivamente al Parlamento� (105). La 
Corte, in questo caso, configura il potere di emendamento appartenente all�ordinaria 
attivit� legislativa del Parlamento, la quale si innesta nel procedimento 
di conversione, escludendo necessariamente che l�eventuale vizio del decreto 
derivante da evidente mancanza dei presupposti giustificativi possa travolgere 
la disciplina aggiunta in sede di conversione. 
Questa soluzione desta perplessit� se riferita a quanto qui gi� sostenuto e 
va poi ritenuta superata dalla stessa Corte nella sua giurisprudenza del 2007 e 
del 2008; se infatti si afferma il pensiero che la legge di conversione costituisce 
una legge atipica, configurandosi come tappa finale di un procedimento che 
(102) Cfr. L.CIAURRO, Decreto-legge, in Enc. Giur. It., X, Roma, 1988. 
(103) Cfr. Corte cost. sent. 391/1995 in Giur. Cost., 1995, pag. 2825. 
(104) Con tale sentenza la Corte ha dichiarato infondata la questione di legittimit� costituzionale 
dell�art. 5 bis della legge n. 359 del 1992 di conversione del d.l. n. 333 del 1992, recante �misure urgenti 
per il risanamento della finanza pubblica, sollevata in relazione agli artt. 72 e 77 Cost. Tale articolo, introdotto 
alla Camera in Commissione referente, era stato approvato senza una specifica deliberazione 
dell�Assemblea, in quanto il Governo aveva posto la questione di fiducia sull�articolo unico del disegno 
di legge di conversione, cui la disposizione censurata risultava allegata; infatti, come da prassi, gli emendamenti, 
i subemendamenti e gli emendamenti aggiuntivi vengono inseriti in allegato all�articolo unico 
della legge di conversione, ai sensi dell�art. 15, comma 5, della legge 400/88. Tale disposizione risultava 
censurata sotto tre differenti profili: prima di tutto, si contestava la mancata sottoposizione dell�articolo 
introdotto dalla Camera alla procedura di esame preventivo sulla sussistenza dei presupposti giustificativi 
prevista dall�art. 96 bis reg. Camera; in secondo luogo, si denunciava l�estraneit� della disposizione oggetto 
del decreto-legge; infine si contestava il mancato rispetto, a causa della proposizione da parte del 
Governo della questione di fiducia, della prescrizione di cui all�art. 72, comma 1, Cost., il quale dispone 
che la votazione debba avvenire �articolo per articolo�. 
(105) Cfr. Corte cost. sent. 391/1995, cit., punto 4 in diritto.
232 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2015 
ha il suo inizio con l�emanazione del decreto-legge ne derivano precise conseguenze 
sul piano dell�emendabilit� del decreto stesso in sede parlamentare. 
Il potere di emendamento non pu� essere considerato indipendente ed autonomo 
rispetto al procedimento di conversione proprio perch� si � visto che 
l�approvazione di modifiche al decreto-legge � strettamente consequenziale 
alla stessa conversione, che ne costituisce un inevitabile e necessario presupposto 
(106). Il potere legislativo che il Parlamento esplica nell�adozione degli 
emendamenti, inserendosi quindi nell�ambito della fase di conversione e non 
in un momento successivo, rafforza lo stretto rapporto di dipendenza con il 
disegno di legge di conversione e in forza di questo deve sottostare ai vincoli 
propri del decreto-legge. Se mancano i presupposti costituzionali, tutto il procedimento 
che scaturisce dal decreto viene inficiato: non soltanto la legge di 
conversione in s� ma anche le ulteriori modifiche che il Parlamento pone. Questo 
� stato evidenziato nei commenti alla sentenza n. 128 del 2008, quando si 
afferma che ҏ viziato l�emendamento incoerente con le finalit� del decretolegge 
privo dei presupposti giustificativi� (107) oppure dove si sostiene che 
�non solo le disposizione originarie del decreto-legge ma anche ogni disposizione 
ulteriore aggiunta al testo dello stesso in sede di conversione deve essere 
motivata da ragioni di straordinaria necessit� ed urgenza, pena la declaratoria 
di incostituzionalit� per violazione dell�art. 77 Cost.� (108). 
Quanto detto non vuole escludere del tutto la possibilit� di apportare modifiche, 
in sede di conversione, al decreto-legge ma vuole sottolineare la configurazione 
di una precisa limitazione del potere di emendamento; sono cio� 
ammissibili parziali correzioni in ambito parlamentare, ma queste possibili modificazioni 
non devono essere tali da modificare radicalmente la sostanza del 
decreto-legge da convertire, violando i presupposti che lo hanno originato (109). 
5. Contraddizioni ed incoerenze della giurisprudenza costituzionale. 
Il principio della limitata emendabilit� della legge di conversione � riproposto 
con la sentenza n. 32/2014 della Corte costituzionale. 
Chiamata a pronunciarsi sulla costituzionalit� della modifica del T.U. stu- 
(106) Cfr. G. SILVESTRI, op. cit. pag. 426, il quale afferma che �l�introduzione di emendamenti 
comporta una contaminazione tra due distinti poteri, il potere di conversione e quello di legislazione ordinaria, 
previsti dalla Costituzione in capo al Parlamento per finalit� diverse, con tutte le conseguenze 
di incertezza e confusione derivanti dal loro uso improprio e fuorviato�. 
(107) Cfr. A. PACE, L�incostituzionalit� dell�emendamento �blocca processi�, in 
www.associazionedeicostituzionalisti.it. 
(108) Cfr. D. CHINNI, Un passo avanti, con salto dell�ostacolo, nel sindacato della Corte costituzionale 
sui presupposti della decretazione d�urgenza, in Ri. Giur. It., 2008. 
(109) Corte cost. sent. 171/2007, punto 5 in diritto, in cui si afferma che �le disposizioni della 
legge di conversione in quanto tali, nei limiti cio� in cui non incidano in modo sostanziale sul contenuto 
delle disposizioni del decreto, non possono essere valutate, sotto il profilo della legittimit� costituzionale, 
autonomamente da quelle del decreto stesso�.
DOTTRINA 233 
pefacenti (110), compiuta per mezzo di maxi-emendamento durante la conversione 
del d.l. n. 272/2005, la Corte afferma che �dalla connotazione di legge 
a competenza tipica derivano i limiti alla emendabilit� del decreto-legge� 
(111), e precisa che �l�iter semplificato potrebbe essere sfruttato per scopi 
estranei a quelli che giustificano l�atto con forza di legge, a detrimento delle 
ordinarie dinamiche di confronto parlamentare�. Il vizio procedurale che ne 
deriva � peculiare e �per sua stessa natura pu� essere evidenziato solamente 
attraverso un esame del contenuto sostanziale delle singole disposizioni aggiunte 
in sede parlamentare, posto a raffronto con l�originario decreto-legge�. 
Va rilevato che la Corte, discostandosi da uno dei cardini della sentenza 
n. 22/2012, non afferma la sindacabilit� del vizio solo nei casi di �evidente 
estraneit��, sulla falsariga del controllo sulla �evidente mancanza� dei presupposti 
del decreto-legge. Infatti non viene compiuto alcun riferimento �al 
fatto che la Corte potrebbe censurare la disomogeneit� solo quando �evidente�, 
sottolineandosi anzi che la �legge di conversione deve avere un contenuto 
omogeneo a quello del decreto-legge� e che si ha violazione dell�art. 77 Cost. 
quando, attraverso l�utilizzo del potere di emendamento, si intenda adottare 
�una disciplina estranea�. � soltanto quando viene a compiersi lo scrutinio 
sulle disposizioni impugnate che torna a essere evocata l� �evidente estraneit�� 
di queste ultime (112). 
Inoltre, in un passaggio sul finire della sentenza 32/2014, laddove la Corte 
afferma che �nella misura in cui le Camere non rispettano la funzione tipica 
della legge di conversione, facendo uso della speciale procedura per essa prevista 
al fine di perseguire scopi ulteriori rispetto alla conversione del provvedimento 
del Governo, esse agiscono in una situazione di carenza di potere�. 
Nella sentenza n. 22/2012, invece, la Corte costituzionale aveva osservato, 
come si � gi� rilevato, che l�approvazione di norme eterogenee realizza 
un �uso improprio, da parte del Parlamento, di un potere che la Costituzione 
gli attribuisce, con speciali modalit� di procedura, allo scopo tipico di convertire, 
o non, in legge un decreto-legge� (113). Appare quasi negarsi il potere di 
(110) Cfr. A. SPERTI, Il Testo Unico sugli stupefacenti al capolinea?, in Quad. cost. 2013, pag. 
432 ss.; cfr. U. ADAMO, Sulla (mancata) sostanziale omogeneit� delle norme contenute nella legge di 
conversione (che equipara ai fini sanzionatori le droghe leggere con quelle pesanti) con quelle del decreto-
legge convertito (sulle olimpiadi invernali di Torino), in rivistaaic.it, ottobre 2013. 
(111) Considerato in diritto, � 4.1. 
(112) Cfr. A. CELOTTO, Uso e abuso della conversione in legge (in margine alla sent. n. 32 del 
2014) in www.federalismi.it, Focus sulle fonti, n. 1/2014, il quale osserva come la Corte nella sent. n. 
32/2014 �abbandoni (o quanto meno dimentichi) la via incerta del controllo sui presupposti per concentrarsi 
sulla natura della legge di conversione. In fondo, perch� intestardirsi nella complessa verifica 
di un elemento politico-fattuale come i presupposti rispetto alle norme �intruse�, comunque difficilmente 
verificabile ex post?�. 
(113) G. PICCIRILLI, La sentenza della Corte costituzionale n. 32 del 2014: legge di conversione 
e articoli aggiuntivi eterogenei, in Quad. cost. 2014, pag. 397.
234 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2015 
emendare i decreti-legge evocando la figura, di origine amministrativistica, 
della carenza di potere (114). 
Il consolidamento del principio della limitata emendabilit� della legge di 
conversione � rimesso in discussione da tre decisioni della Corte costituzionale, 
due precedenti e una successiva alla sent. n. 32/2014, che con quel principio 
non risultano pienamente conciliabili. 
Nel giudizio di costituzionalit� chiusosi con l�ord. n. 34/2013, richiamata 
dalla Corte, alla pari della sent. n. 22/2012, nella sent. n. 32/2014, la disposizione 
censurata e inserita in sede di conversione (art. 11-quater, comma 4, del 
d.l. n. 203 del 2005) era originariamente contenuta in altro decreto-legge (art. 
2 del d.l. n. 221 del 2005), non convertito e quindi decaduto dopo che era stata 
approvata la legge n. 248 del 2005, di conversione del d.l. n. 203 del 2005. La 
Corte ha tuttavia escluso che la disposizione impugnata fosse eterogenea rispetto 
al decreto-legge in cui era stata inserita (115). Tuttavia, l�inserimento, 
in sede di conversione, di un articolo di 11 commi gi� contenuto in altro decreto-
legge ancora vigente, si pone in contrasto con lo scopo tipico di convertire 
in legge il decreto e con il potere di emendamento, a prescindere dalla valutazione 
di omogeneit� tra l�articolo inserito e il resto del corpus normativo. 
Sono, poi, soprattutto la sent. n. 237/2013 e l�ord. n. 59/2014 a destare 
perplessit�. Era stato impugnato l�art. 1, comma 2, della legge n. 148 del 2011, 
di conversione del decreto-legge n. 138 del 2011, in quanto norma intrusa rispetto 
all�oggetto del decreto-legge convertito: con tale disposizione si delegava 
il Governo all�adozione di uno o pi� decreti legislativi per riorganizzare 
la distribuzione sul territorio degli uffici giudiziari. 
Nonostante la Corte abbia, in passato, escluso che la prassi di inserire 
norme di delega in sede di conversione di decreti-legge, fosse incostituzionale 
(116), alla luce dei principi delineati nella sent. n. 22/2012 e confermati nella 
(114) Cfr. R. GAROFOLI, G. FERRARI, Manuale di diritto amministrativo, Roma 2012, pag. 1044. 
(115) Cfr. D. CHINNI, La limitata emendabilit� della legge di conversione del decreto-legge tra 
interventi del Presidente della Repubblica e decisioni della Corte costituzionale, in www.federalismi.it, 
Focus sulle fonti, n.1/2014, il quale osserva che �in tale caso non pu� propriamente parlarsi di �conversione 
mascherata�, secondo la felice definizione di A. SIMONCINI, Le funzioni del decreto-legge, cit., 
324, perch�, salvo nostro errore, non sono stati fatti altres� salvi gli effetti del decreto-legge non convertito. 
Il che, peraltro, non toglie che si � certo dinanzi a un episodio particolare: si pensi soltanto al 
fatto che, all�entrata in vigore della legge di conversione, era ancora vigente il decreto-legge in cui era 
originariamente inserita la disposizione impugnata, di talch� si dovrebbe a rigore sostenere che quest�ultima 
ha abrogato per riproduzione la disposizione gemella del decreto-legge�. 
(116) Cfr. sent. n. 68/1998. Criticamente su questa prassi cfr. A.GHIRIBELLI, Decretazione d�urgenza, 
cit., pag 202 ss.; cfr. A. SIMONCINI, Le funzioni, cit., pag. 145 ss.; 402 ss.; cfr. G. SERGES, Brevi 
note, cit., pag. 316.; cfr. M. RUOTOLO, I limiti della legislazione delegata integrativa e correttiva, in La 
delega legislativa. Atti del seminario svoltosi in Roma, Palazzo della Consulta, 24 ottobre 2008, Milano 
2009, pag. 60 ss.; cfr. G. TARLI BARBIERI, La delega legislativa nei pi� recenti sviluppi, ivi, pag. 202; 
cfr. R. DI CESARE, Omogeneit� del decreto-legge e introduzioni di deleghe legislative, in Quad. cost. 
2005, pag. 867.
DOTTRINA 235 
sent. n. 32/2014 appare difficile ipotizzare che la legge di conversione sia idonea 
a conferire una delega legislativa. Nella sent. n. 237/2013, invece, il giudice 
costituzionale, da un lato, conferma la possibilit� che, in sede di 
conversione, sia approvata una norma di delega, dall�altro, afferma che �anche 
l�introduzione, nella legge di conversione, di una disposizione di delega deve 
essere coerente con la necessaria omogeneit� della normativa di urgenza�. 
Il tentativo della Corte di rimanere coerente a due diversi orientamenti 
giurisprudenziali, distinti nei loro presupposti teorici, finisce per rendendere 
incerta la natura della legge di conversione e indefinito il limite del potere di 
emendamento. 
Pertanto, l�attuazione dei principi di cui alle sent. nn. 22/2012 e 32/2014 
� ancora alla ricerca di uno sviluppo coerente e certo, capace di grantire il delicato 
equilibrio tra Governo e Parlamento delineato dall�art. 77 della Costituzione. 
La metamorfosi della decretazione d�urgenza ha la sua causa 
nell�esagerato proliferare di provvedimenti governativi e nella pluralit� di contenuti 
che essi presentano. Risulterebbe infatti inadeguato un controllo stretto 
in sede di conversione se non venisse accompagnato da un maggior rigore costituzionale 
in sede di adozione del decreto-legge stesso. 
English abstract: The aim of this essay is to discover the nature and effects of law of conversion, which 
is that particular kind of statute devoted to convert in parliamentary legislation that normative acts of 
the executive power that is called �decree law. The power conversion of the Parliament is not configured 
as a legislative power in the true sense and, therefore, the conversion law should be seen as a typical 
law expertise predetermined. This has important consequences on the power of amendment of the decree 
- law during the conversion process. The Constitutional Court has come to affirm the typical function 
of the conversion law and the limits that come with it. 
Key words: Decree-law; Law of conversion; Power of conversion; Power of amendment of the decree 
- law; Typical function of the conversion law.
236 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2015 
L�ordine logico di esame del ricorso principale ed incidentale 
alla luce dei recenti arresti dell�Adunanza Plenaria 
David Romei* 
SOMMARIO: 1. Il ricorso incidentale: origine e funzione - 2. (segue) La natura giuridica 
del ricorso incidentale - 3. L�ordine di esame del ricorso principale ed incidentale nel contenzioso 
sugli appalti pubblici: premessa - 4. La decisione dell�Adunanza Plenaria n. 11/2008 
- 5. Il cambio di rotta dell�Adunanza Plenaria n. 4/2011 - 6. L�intervento della Corte di Giustizia 
CE e il �monito� delle Sezioni Unite - 7. I recenti arresti dell�Adunanza Plenaria: le 
sentenze nn. 7 e 9 del 2014 - 8. Considerazioni conclusive. 
1. Premessa: il ricorso incidentale. Origine e funzione. 
La dottrina tradizionale definisce il ricorso incidentale come un�impugnazione 
autonoma riconosciuta per la tutela di un interesse legittimo contrapposto 
a quello che sorregge il ricorso principale (1). In particolare, il 
ricorso incidentale � ricostruito in chiave di �mezzo di impugnazione proposto 
dal controinteressato nei confronti del provvedimento impugnato, ma in una 
parte o per motivi diversi da quelli fatti valere dal ricorrente principale, ovvero 
nei confronti di un atto connesso rispetto al provvedimento impugnato� (2). 
Il controinteressato, tramite il ricorso incidentale, mira, infatti, a paralizzare 
l�azione del ricorrente principale, al fine di preservare gli effetti vantaggiosi 
che per lui discendono dal provvedimento impugnato in via principale, attraverso 
un ampliamento dell�originario thema decidendum del giudizio (3). 
L�interesse azionato dal ricorrente incidentale, mirando al mantenimento 
dell�assetto di interessi delineato dall�Amministrazione con il provvedimento 
(*) Avvocato del libero Foro, gi� praticante forense presso l�Avvocatura dello Stato. 
In tema su questa Rassegna: 
STEFANO VARONE, Corte di Giustizia UE 4 luglio 2013 causa C-100/2012: note minime sui rapporti fra 
ricorso principale e ricorso incidentale �escludente�, 2013, vol. 2, p. 37; 
SERGIO MASSIMILIANO SAMBRI, AMALIA MUOLLO, La Corte di Giustizia Europea censura l�Adunanza 
Plenaria. Note a margine della Sentenza 4 luglio 2013 C-100/12, 2014, vol. 1, p. 63; 
ROBERTA COSTANZI, Sul rapporto tra ricorso principale ed incidentale �escludente� nel processo amministrativo: 
la parola ritorna al giudice comunitario (nota a Consiglio di giustizia amministrativa per 
la Regione siciliana, ord. 17 ottobre 2013 n. 848), 2014, vol. 1, p. 179; 
ANGELA FRAGOMENI, Il problema (irrisolto) del rapporto tra esame del ricorso principale e ricorso incidentale 
alla luce dei principi comunitari, 2014, vol. 2, p. 324. 
(1) In questo senso CATALLOZZI, Ricorso incidentale, I) giudizio amministrativo, in Enc. giur. Treccani, 
Roma, XXVII, 1991. 
(2) Cos� GIOVAGNOLI, Il ricorso incidentale, in GIOVAGNOLI - FRATINI, Il ricorso incidentale e i 
motivi aggiunti nel giudizio di primo grado e in appello, Milano, Giuffr�, 2008, 53. 
(3) Cfr. GIOVAGNOLI, Il ricorso incidentale, cit., 53; CAPONIGRO, Il rapporto di priorit� logica tra 
ricorso principale e ricorso incidentale nel processo amministrativo, in www.giustizia-amministrativa.it.
DOTTRINA 237 
impugnato in via principale, �, di conseguenza, diametralmente opposto rispetto 
al quello vantato dal ricorrente principale. La sua insorgenza, �, pertanto, direttamente 
occasionata dalla proposizione del ricorso principale, differenziandosi 
la posizione di interesse legittimo del ricorrente incidentale soltanto a 
seguito dell�impugnazione del provvedimento originario. Solo con la proposizione 
del ricorso principale, dunque, l�interesse, fino ad allora meramente virtuale, 
del controinteressato, acquisisce il carattere dell�attualit� (derivante dalla 
possibilit� dell�annullamento del provvedimento in seguito all�accoglimento 
del ricorso principale), legittimandolo alla proposizione dell�impugnativa (4). 
Due sono, quindi, i presupposti necessari ai fini dell�ammissibilit� del ricorso 
incidentale (5): 
a) il primo, di carattere negativo, rappresentato dall�assenza di una lesione 
attuale in capo al controinteressato, che, se sussistente ab origine, avrebbe 
comportato l�onere di proposizione dell�impugnazione in via principale; 
b) il secondo, di carattere positivo, rappresentato dalla sussistenza di una 
lesione virtuale della posizione del controinteressato, derivante dal possibile 
accoglimento del ricorso principale. 
La caratteristica tipica del ricorso incidentale �, dunque, la sua accessoriet� 
rispetto al ricorso principale, veicolando un interesse ad opporre censure 
nei confronti del ricorrente principale divenuto attuale e concreto solo in seguito 
alla proposizione del ricorso principale (6). Viceversa, un interesse legittimo 
che fosse sorto in diretta ed immediata conseguenza dell�adozione di 
un precedente provvedimento amministrativo non legittimerebbe il soggetto 
che si avvale di tale posizione giuridica soggettiva ad impugnare tardivamente 
i provvedimenti pregressi, come tali suscettibili di contestazione in via diretta 
ed autonoma. 
Dall�accessoriet� del ricorso incidentale discende la conseguenza che tale 
mezzo giammai pu� essere proposto per ottenere l�annullamento del provvedimento 
originariamente impugnato (o di altro provvedimento con questo connesso) 
al fine di conseguire un vantaggio ulteriore rispetto a quelli gi� 
riconducibili al provvedimento gravato, potendo esclusivamente mirare a difendere 
la posizione soggettiva del controinteressato (o dell�Amministrazione 
resistente), virtualmente lesa dal ricorso principale. 
(4) Cfr. GIOVAGNOLI, Il ricorso incidentale, cit., 53-54; CAPONIGRO, op. cit.; VILLATA - BERTONAZZI, 
Sub commento all�art. 42, in Il processo amministrativo. Commentario al d.lgs. 104/2010, a cura di 
QUARANTA - LOPILATO, Milano, Giuffr�, 2010. 
(5) Cfr. GIOVAGNOLI, Il ricorso incidentale, cit., 53-54. 
(6) In questo senso GIOVAGNOLI, Il ricorso incidentale, cit.; CAPONIGRO, op. cit. In giurisprudenza, 
cfr., ex plurimis, T.A.R. Molise, sez. I, 15 novembre 2011, n. 734, in Foro amm. 
TAR, 2011, 11, 3553. In terminis gi� Cons. Giust. Amm. Reg. Siciliana, sez. I, 30 giugno 1995, 
n. 249, in www.giustizia-amministrativa.it; T.A.R. Veneto, sez. I, 30 luglio 1998, n. 1408, in 
www.giustizia-amministrativa.it; T.A.R. Veneto, sez. I, 10 aprile 1997, n. 762, in www.giustizia-amministrativa.it; 
T.A.R. Lazio, Latina, sez. I, 11 marzo 1997, n. 204, in www.giustizia-amministrativa.it.
238 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2015 
Nonostante la strategica rilevanza processuale dello strumento del ricorso 
incidentale, tale rimedio non ha storicamente ricevuto una compiuta disciplina 
normativa. 
Introdotto nel processo amministrativo dall�art. 5, l. 7 marzo 1907, n. 62 
(recante la �Legge sul riordinamento degli istituti per la giustizia amministrativa�), 
il ricorso incidentale era, in origine, equiparato dal legislatore alle memorie, 
da cui si distingueva soltanto poich� sottoposto alle forme prescritte dalla 
legge per il ricorso principale ed a termini perentori per la sua proposizione (7). 
La disciplina originaria venne, poi, pressoch� pedissequamente trasfusa 
nell�art. 37, t.u. 26 giugno 1924, n. 1054 (recante �Approvazione del Testo 
Unico delle leggi sul Consiglio di Stato�). 
Soltanto con l�art. 22, l. Tar, il ricorso incidentale � assurto a strumento autonomo 
e differente (seppur pi� sintatticamente che sostanzialmente) rispetto 
alle memorie ed alle istanze di parte. Malgrado la raggiunta autonomia, la nuova 
disposizione si limitava soltanto a stabilire che il ricorso andasse proposto secondo 
le forme e i termini previsti dall�art. 37, t.u. Cons. St., con l�unica precisazione 
per cui esso non era efficace se proposto successivamente alla rinuncia 
del ricorso principale o alla sua declaratoria di improcedibilit� per tardivit� (8). 
� solo con l�emanazione del codice di rito che il ricorso incidentale � divenuto 
autonomo strumento processuale munito, come tale, di peculiare disciplina 
processuale. 
In particolare, l�art. 42 c.p.a., stabilisce che �le parti resistenti e i controinteressati 
possono proporre domande il cui interesse sorge in dipendenza 
della domanda proposta in via principale, a mezzo di ricorso incidentale. Il ricorso 
si propone nel termine di sessanta giorni decorrente dalla ricevuta notificazione 
del ricorso principale. Per i soggetti intervenuti il termine decorre 
dall�effettiva conoscenza della proposizione del ricorso principale�. Il ricorso 
incidentale, che dev�essere notificato ai sensi dell�art. 41 alle controparti personalmente 
o, se costituite, nel domicilio eletto, ha, dunque, il medesimo contenuto 
prescritto per il ricorso principale dall�art. 40 c.p.a. e dev�essere 
depositato nei termini e secondo le modalit� previste dall�art. 45 (9). 
(7) La norma prevedeva che, � nel termine di trenta giorni successivi a quello assegnato per il 
deposito del ricorso, l�autorit� e le parti, alle quali il ricorso fosse stato notificato, possono presentare 
memorie, fare istanze, produrre documenti e anche un ricorso incidentale con le stesse forme prescritte 
per il ricorso�. 
(8) L�art. 22, l. Tar, stabiliva che �nel termine di venti giorni successivi a quelli stabiliti per il deposito 
del ricorso, l�organo che ha emesso l�atto impugnato e le altre parti interessate possono presentare 
memorie, fare istanze e produrre documenti. Pu� essere anche proposto ricorso incidentale secondo 
le norme degli articoli 37 del testo unico approvato con regio decreto 26 giugno 1924, n. 1054, e 44 del 
regolamento di procedura avanti alle sezioni giurisdizionali del Consiglio di Stato, approvato con regio 
decreto 17 agosto 1907, n. 642�. 
(9) Nel rito appalti tutti i termini - ivi compresi quelli relativi alla notificazione ed al deposito dei 
ricorsi incidentali - sono dimezzati ex artt. 119 e 120 c.p.a.
DOTTRINA 239 
Diversamente dal passato, la disposizione codicistica indica specificamente 
i soggetti legittimati a proporre impugnativa incidentale, individuandoli 
tanto nei controinteressati, quanto nelle parti resistenti, ivi compresa, dunque, 
l�Amministrazione che ha emesso il provvedimento impugnato in via principale 
(la quale potr�, ad esempio, dolersi di provvedimenti adottati da altre amministrazioni 
posti in rapporto di presupposizione rispetto a quelli gravati) (10). 
L�art. 42, comma 4, c.p.a., reca, poi, una dettagliata disciplina in ordine 
ai criteri di individuazione del giudice competente a conoscere delle impugnazioni 
incidentali. La norma attribuisce, infatti, la cognizione del ricorso incidentale 
al giudice competente per quello principale, salvo che la domanda 
introdotta con il ricorso incidentale sia devoluta alla competenza del T.A.R. 
Lazio, sede di Roma, ovvero alla competenza funzionale di un altro T.A.R.; 
in tal caso la competenza a conoscere dell�intero giudizio spetter�, infatti, al 
T.A.R. Lazio, sede di Roma, ovvero al T.A.R. funzionalmente competente ai 
sensi dell�art. 14 c.p.a. 
Al riguardo il codice di rito pone fine ad un�accesa disputa dottrinaria in 
ordine alla questione se la connessione tra ricorso principale ed incidentale 
potesse o meno determinare uno spostamento della competenza territoriale nel 
caso in cui con quest�ultimo fosse impugnato un atto diverso da quello gravato 
in via principale la cui cognizione dovesse essere rimessa alla competenza 
funzionale di un differente T.A.R. 
Un orientamento pi� risalente riteneva, infatti, che, nel silenzio della 
legge, la competenza territoriale sulla domanda principale dovesse ritenersi 
assorbente rispetto a quella sulla domanda accessoria. La proposizione del ricorso 
incidentale, di conseguenza, non avrebbe mai potuto determinare uno 
spostamento della competenza territoriale neanche nel caso in cui con quest�ultimo 
si impugnasse un atto emanato da un�Amministrazione centrale dello 
Stato e avente efficacia spaziale illimitata (11). 
In senso opposto, altra dottrina riteneva, invece, che l�inderogabilit� 
della competenza funzionale, unitamente al vincolo di connessione sussistente 
tra i due ricorsi (principale ed incidentale), dovesse necessariamente 
determinare l�attrazione della controversia innanzi al T.A.R. funzionalmente 
competente (12). 
Come rilevato supra, il legislatore codicistico ha optato per tale ultima 
soluzione, sancendo la prevalenza della competenza del T.A.R. centrale, qua- 
(10) Per un�attenta disamina della questione sotto il vigore della disciplina ante codicem cfr., fra 
gli altri, GIOVAGNOLI, Il ricorso incidentale, cit.; CAPONIGRO, op. cit.; FERRARI, Il ricorso incidentale nel 
processo amministrativo: principi consolidati e problematiche irrisolte, in Dir. proc. amm., 2007, IV, 
1058. Per un�analisi della disciplina codicistica si vedano, invece, VILLATA - BERTONAZZI, op. cit. 
(11) STELLA RICHTER, La competenza territoriale nel giudizio amministrativo, Milano, 1975, 88. 
(12) BACCARINI, L�impugnazione incidentale del provvedimento amministrativo tra tradizione e 
innovazione, in Dir. proc. amm., 1991, 680.
240 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2015 
lora quest�ultimo Tribunale sia territorialmente competente a conoscere del 
ricorso incidentale. 
2. (segue) La natura giuridica del ricorso incidentale. 
L�indagine in ordine alla natura giuridica del ricorso incidentale ha tradizionalmente 
costituito uno degli aspetti pi� problematici dell�istituto, che ha 
alimentato un dibattito dottrinale particolarmente articolato (13). 
Secondo una prima teoria, il ricorso incidentale sarebbe inquadrabile nella 
categoria delle eccezioni processuali di rito, essendo finalizzato esclusivamente 
a far valere l�inammissibilit� del ricorso principale, senza che dalla sua proposizione 
possa derivare un ulteriore vantaggio a favore del ricorrente incidentale 
(14). Secondo tale impostazione, dunque, il ricorso incidentale si qualificherebbe 
come un�impugnazione puramente ipotetica, costituendo uno strumento 
processuale diretto soltanto a dimostrare la legittimit� sostanziale dell�assetto 
di interessi originato dal provvedimento amministrativo impugnato. 
Da tale qualificazione del ricorso incidentale discendono una serie di corollari 
(15): a) la non perentoriet� del termine per la sua proposizione, il quale 
avrebbe la sola funzione di impedire la trattazione della causa prima della sua 
decorrenza; b) la legittimazione dell�amministrazione che ha emanato l�atto 
ad avvalersi del rimedio al fine di dimostrare, con ogni mezzo, la legittimit� 
del provvedimento adottato; c) la non necessit� di ampliare il contraddittorio 
nei confronti dei terzi, ai quali non potrebbe derivare alcun pregiudizio dall�accoglimento 
del ricorso incidentale, essendo questo teso soltanto ad ottenere 
la caducazione dell�interesse a ricorrere del ricorrente principale. 
Un differente e pi� condivisibile orientamento dottrinale assimila, di contro, 
il ricorso incidentale ad una domanda riconvenzionale, ritenendo che, per 
il suo tramite, il controinteressato proponga un�azione contraria a quella proposta 
dal ricorrente principale idonea ad introdurre nel giudizio un nuovo 
thema decidendum (16). 
Il ricorso incidentale, non avrebbe, quindi, come unico fine quello della 
declaratoria di inammissibilit� del ricorso principale, ma sarebbe finalizzato 
anche ad ottenere (ove richiesto dalla parte) l�annullamento del provvedimento 
impugnato in via incidentale per motivi diversi da quelli fatti valere dal ricorrente 
originario. 
(13) Per un�approfondita disamina del tema si veda, per tutti, TROPEA, Il ricorso incidentale nel 
processo amministrativo, Reggio Calabria, Edizioni Scientifiche Italiane, 2007, 251. 
(14) SANTORO, Appunti sulle impugnazioni incidentali nel processo amministrativo, in Dir. proc. 
amm., 1986, 424; VACIRCA, Appunti per una nuova disciplina dei ricorsi incidentali nel processo amministrativo, 
in Dir. proc. amm., 1986, 56; ACQUARONE, In tema di rapporto tra ricorso principale e ricorso incidentale 
(nota a Cons. Giust. Amm. Reg. Sic., 22 dicembre 1995, n. 388), in Dir. proc. amm., 1997, 555. 
(15) Sul punto si veda, in particolare, VACIRCA, op. cit., 59. 
(16) Tra i sostenitori della tesi CATALLOZZI, op. cit.; BACCARINI, op. cit., 651. 
DOTTRINA 241 
Un�isolata e risalente dottrina ha ricostruito il ricorso incidentale in termini 
di semplice mezzo di concentrazione delle impugnazioni (17). Secondo 
questa tesi, infatti, una volta notificato il ricorso principale, tutte le impugnazioni 
successive, indipendentemente dalla natura dell�interesse legittimo fatto 
valere e dall�eventuale decorrenza del termine per impugnare, dovrebbero essere 
incardinate tramite lo strumento del ricorso incidentale. 
La dottrina pi� recente appare condivisibilmente orientata nel senso di riconoscere 
al ricorso incidentale natura composita e non aprioristicamente determinabile 
(18). Secondo tale impostazione, rafforzata anche dalla innovazioni 
introdotte dal codice del processo amministrativo (19), il ricorso incidentale 
presenta un contenuto complesso, a seconda che lo stesso sia diretto ad ottenere 
esclusivamente la declaratoria di inammissibilit�/improcedibilit� del ricorso 
principale, ovvero, anche l�annullamento del provvedimento originariamente 
impugnato (o di altri provvedimenti ad esso connessi). In base alla funzione 
effettivamente svolta, pertanto, il ricorso incidentale potr� assumere una portata 
meramente conservativa (nel senso di essere diretto solamente al rigetto 
del ricorso incidentale), ovvero orientativa della funzione amministrativa (qualora 
sia indirizzato all�annullamento del provvedimento impugnato in via incidentale). 
3. L�ordine di esame del ricorso principale ed incidentale nel contenzioso sugli 
appalti pubblici: premessa. 
In linea generale, in considerazione dell�accessoriet� che lo caratterizza, 
il ricorso incidentale dev�essere esaminato dal giudice successivamente a 
quello principale e soltanto in caso di riconosciuta (astratta) fondatezza di quest�ultimo, 
innestandosi in seno al processo (il pi� delle volte) come eccezione 
processuale (20). 
Esistono, per�, delle ipotesi (tipicamente ricorrenti nel contenzioso in materia 
di appalti pubblici) in cui l�esame del ricorso incidentale pu� (o deve) 
precedere quello del ricorso principale. Si tratta, in particolare, dei casi in cui, 
tramite il ricorso incidentale, vengano sollevate questioni che presentano posizione 
di priorit� logica rispetto a quelle agitate con il ricorso principale, quali, 
ad es., quelle che, impingendo direttamente sull�esistenza dell�interesse a ricorrere 
in capo al ricorrente principale, pur profilandosi come questioni di me- 
(17) PIRAS, Interesse legittimo e giudizio amministrativo, I, Milano, 1962, 205. 
(18) Cfr. GIOVAGNOLI, Il ricorso incidentale, cit., 717; VILLATA, In tema di ricorso incidentale e 
di procedure di gara cui partecipano due soli concorrenti, in Dir. proc. amm., 2008, 936; TROPEA, Il ricorso 
incidentale nel processo amministrativo, Napoli, 2007, 260; BENETAZZO, L�ordine di esame del 
ricorso principale e del ricorso incidentale tra �oscillazioni� giurisprudenziali e questioni irrisolte, in 
www.federalismi.it. 
(19) Cfr., sul punto, VILLATA - BERTONAZZI, op. cit.; BENETAZZO, op. cit. 
(20) Cfr., fra gli altri, GIOVAGNOLI, Il ricorso incidentale, cit.; FERRARI, op. cit.; CAPONIGRO, op. 
cit.
242 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2015 
rito, attengono all�esistenza di una condizione dell�azione e, dunque, ad una 
questione pregiudiziale di rito (21). 
In questo senso depone, del resto, lo stesso codice del processo amministrativo, 
il cui art. 76, comma 4, nel disciplinare le modalit� di delibazione 
della decisione da parte del Collegio, richiama l�applicabilit� dell�art. 276, 
comma 2, c.p.c., il quale sancisce il principio processuale di carattere generale, 
secondo cui il giudice, nel decidere sulle questioni propostegli, deve esaminarle 
secondo l�ordine logico con cui le stesse si presentano, iniziando da 
quelle contenenti pregiudiziali di rito (22). 
Aspetti di maggiore problematicit� si pongono laddove entrambi i ricorrenti 
(principale ed incidentale) contestino la rispettiva legittimazione ad agire 
e le rispettive ammissioni alla gara. La dottrina e la giurisprudenza si sono 
lungamente interrogate se, anche in tale eventualit�, la regola processuale da 
seguire sia sempre quella dell�esame preliminare del ricorso incidentale, ovvero, 
se debba trovare applicazione la regola generale che prescrive il preventivo 
esame del ricorso principale (23). 
Secondo un primo orientamento giurisprudenziale, nel caso di procedure 
di gara con due soli concorrenti, qualora con entrambi i ricorsi (principale ed 
incidentale) venga in contestazione il titolo di partecipazione di ciascun ricorrente, 
la regula iuris da seguire sarebbe quella del loro contemporaneo esame. 
In tali casi, infatti, l�interesse strumentale alla rinnovazione dell�intera procedura, 
conseguente all�accoglimento congiunto di entrambi i ricorsi, sarebbe 
sufficiente a configurare un interesse attuale, concreto e differenziato in capo 
al ricorrente principale e, dunque, a garantire l�esistenza delle condizioni legittimati 
all�azione che rendono ammissibile il ricorso (24). 
Una differente impostazione ermeneutica, ritenendo, che l�interesse 
alla rinnovazione della gara vantato dal ricorrente si configurerebbe quale 
mero interesse di fatto, non tutelabile quale interesse legittimo, essendo la 
sua posizione sostanzialmente e processualmente equiparabile a quella di 
un qualunque soggetto che non abbia preso parte alla procedura di gara, 
(21) Cfr., per tutti, VILLATA - BERTONAZZI, op. cit., 422. 
(22) Cfr. VILLATA - BERTONAZZI, op. cit., 422; VILLATA, Riflessioni in tema di ricorso incidentale 
nel giudizio amministrativo di primo grado, in Dir. proc. amm., 2009, 317; MARINELLI, Ricorso incidentale 
e ordine di esame delle questioni, in Dir. proc. amm., 2009, 614-615. 
(23) Per un�approfondita ricostruzione giurisprudenziale del contrasto si veda FIGUERA, Appunti 
in tema di interesse e legittimazione al ricorso e brevi note sul ricorso principale e ricorso incidentale, 
in Dir. proc. Amm., 4/2008, 1066. 
(24) In questo senso, ex plurimis, Cons. St., sez. IV, 12 giugno 2007, n. 3097, in Foro amm. CdS, 
2007, 1784; Cons. St., sez. V, 11 maggio 2007, n. 2356; id. 14 aprile 2006, n. 2095, in Foro amm. CdS, 
2006, 1194; 7 aprile 2006, n. 1877, in www.giustizia-amministrativa.it; 15 novembre 2001, n. 5839, in 
Giur. It., 2002, 624. In terminis, gi� Cons. Giust. Amm. Reg. Sicilia, 22 dicembre 1995, n. 388, in Dir. 
Proc. Amm., 1997, 554, con nota critica di ACQUARONE, In tema di rapporto tra ricorso principale e ricorso 
incidentale; nonch�, pi� recentemente, Cons. Giust. Amm. Reg. Sicilia, 8 marzo 2005, n. 97, in 
Rass. amm. Siciliana, 2005, 413.
DOTTRINA 243 
sostiene, di contro, il principio per cui il giudice sarebbe sempre tenuto a 
dare la precedenza alle questioni sollevate dal ricorrente incidentale che 
abbiano priorit� logica su quelle sollevate dal ricorrente principale (25). 
Un fondamentale snodo interpretativo sulla questione � indubbiamente 
rappresentato dalla decisione 8 maggio 2002, n. 2468 (26), con la quale la V 
Sezione del Consiglio di Stato ha ritenuto che, nelle ipotesi in cui alla procedura 
concorsuale partecipano pi� di due soggetti, sia sempre necessaria la valutazione 
preliminare del ricorso incidentale che contesti la legittimazione 
attiva del ricorrente principale, anche quando la domanda originaria mira ad 
affermare l�illegittimit� dell�ammissione alla gara dell�aggiudicatario, poich� 
il preventivo accertamento dell�illegittimit� dell�atto amministrativo, accompagnato 
dall�inammissibilit� del ricorso, determinerebbe un esito iniquo ed 
inutile dal punto di vista pratico. Infatti, in tali casi, l�accoglimento contestuale 
di ambedue i ricorsi, risolvendosi in un annullamento di entrambi gli atti di 
ammissione, determinerebbe un esito privo di utilit� per entrambe le parti poich� 
il vantaggio riguarderebbe la sfera giuridica di una diversa parte (il terzo 
partecipante alla gara). Peraltro, diversamente opinando - proseguono i Giudici 
di Palazzo Spada - la posizione del controinteressato, vincitore della gara, non 
potrebbe mai essere tutelata mediante l�affermazione dell�illegittima ammissione 
del ricorrente principale alla procedura selettiva considerato che la denunciata 
illegittimit�, riferita alla carenza dei requisiti soggettivi dell�altra 
parte, non potrebbe mai essere fatta valere con un autonomo ricorso, perch�: 
a) nel corso della procedura, l�atto di ammissione, avendo natura endoprocedimentale, 
non � autonomamente impugnabile; 
b) all�esito della procedura di gara, il vincitore non vanta alcun interesse 
differenziato a contestare l�ammissione degli altri concorrenti, avendo conseguito 
la massima utilit� sostanziale offerta dalla procedura; 
c) in caso di infondatezza del ricorso principale, il ricorso incidentale sarebbe 
privo di interesse; 
d) in caso di accoglimento del ricorso principale, il controinteressato non 
sarebbe comunque legittimato a contestare il titolo di legittimazione del ricorrente 
principale. 
Solamente nelle gare con due soli concorrenti (conclude il Collegio), in 
caso di fondatezza di entrambi i ricorsi c.d. escludenti (o paralizzanti), potrebbe 
apparire pi� congrua una decisione che, disponendo l�annullamento 
degli atti contestati, determini il rinnovo delle operazioni concorsuali, in 
quanto il ricorrente incidentale, attraverso l�accoglimento della propria do- 
(25) Sull�insufficienza del mero interesse strumentale alla ripetizione della gara a sorreggere l�impugnazione 
cfr. Cons. St., sez. VI, 10 settembre 2008, n. 4326, in Foro amm. CdS, 2008, 9, 2461; Cons. 
St., sez. V, 15 maggio 2006, n. 2711, in Foro amm. CdS, 2006, 5, 1439. 
(26) In Foro amm. CdS, 2002, 1245, e in Cons. Stato, 2002, I, 1070.
244 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2015 
manda, otterrebbe, comunque, un risultato utile, consistente nella possibilit� 
di partecipare al procedimento rinnovato dall�Amministrazione. 
Il principio inaugurato dal Consiglio di Stato nel 2002, � stato, per�, ben 
presto messo in discussione da alcune successive decisioni dello stesso Supremo 
Consesso, le quali hanno affermato che il ricollegare incondizionatamente 
un effetto paralizzante al ricorso incidentale �finisce con l�assegnare 
all�aggiudicatario un�iperprotezione che non si rinviene nel sistema, anche 
costituzionale, di riferimento� (27), lesiva del principio (anch�esso di rilevanza 
costituzionale) della perfetta parit� della posizione delle parti in causa. 
4. La decisione dell�Adunanza Plenaria n. 11/2008. 
La risoluzione del richiamato contrasto giurisprudenziale, � stata, per la 
prima volta, rimessa (28) al vaglio dell�Adunanza Plenaria, che ha affrontato 
la questione con sentenza del 10 novembre 2008, n. 11 (29). 
La Plenaria, aderendo alla tesi fatta propria dalla Sezione V nell�ordinanza 
di rimessione e nella precedente sentenza n. 5811/2007, ha stabilito i criteri 
da seguire nella definizione dell�ordine di esame del ricorso principale e di 
quello incidentale nei giudizi in materia di appalti pubblici tanto nelle ipotesi 
di gare in cui siano ammessi almeno tre offerenti, quanto in quelle in cui vi 
siano soltanto due partecipanti. 
Nel primo caso - ritiene la Plenaria - il giudice dovr� esaminare prima il 
ricorso incidentale (come, ad es., nell�ipotesi in cui l�aggiudicatario di una 
gara abbia dedotto l�illegittimit� dell�atto che vi abbia ammesso il ricorrente 
principale). Infatti, in caso di accoglimento del ricorso incidentale, l�impresa 
ricorrente principale non pu� pi� essere annoverata tra i concorrenti alla gara 
e non pu� conseguire non solo l�aggiudicazione, ma neppure la ripetizione 
della gara poich�, pur se risultasse l�illegittimit� dell�atto di ammissione dell�aggiudicataria, 
l�Amministrazione - salvo l�esercizio del potere di autotutela 
- non potrebbe che prendere in considerazione le offerte presentate dalle altre 
(27) Cos� Cons. St., sez. V, 13 novembre 2007, n. 5811, in www.giustizia-amministrativa.it, secondo 
cui l�esame del ricorso incidentale dovrebbe sempre seguire quello del ricorso principale e soltanto 
nel caso in cui sia stata accertata l�astratta fondatezza di quest�ultimo. In senso contrario alle 
conclusioni rassegnate dalla sentenza n. 2468/2002 anche Cons. St., sez. VI, 27 giugno 2007, n. 3765, 
in www.giustizia-amministrativa.it; id. 30 dicembre 2006, n. 8265, in www.giustizia-amministrativa.it; 
Cons. St., sez. V, 21 giugno 2006, 3689, in Foro amm. CdS, 2006, 1812; id. 13 settembre 2005, n. 4692, 
in www.giustizia-amministrativa.it; T.A.R. Veneto, sez. I, 30 aprile 2007, n. 1095, in Foro amm. TAR, 
2007, 1534, con nota adesiva di SPAGNUOLO VIGORITA, Dinamiche processuali e vicende di giustizia sostanziale: 
brevi note in tema di ricorso incidentale. 
(28) In particolare, la questione venne rimessa alla plenaria dalla Sezione V con ordinanza del 5 
giugno 2008, n. 2669, in Dir. proc. amm., 2008, 919, con nota di VILLATA. 
(29) In Foro amm. CdS, 2008, 11, 2939, con nota critica di CIMELLARO, Alcune note sulla parit� 
delle parti nell�Adunanza plenaria n. 11 del 2008, e in Foro amm. CdS, 2008, 12, 3308, con nota di 
TROPEA, La plenaria prende posizione sui rapporti fra ricorso principale e ricorso incidentale (nelle 
gare con due soli concorrenti).
DOTTRINA 245 
imprese ammesse con atti divenuti inoppugnabili. Il ricorso principale dovr�, 
dunque, essere dichiarato improcedibile per sopravvenuto difetto di legittimazione 
poich� proposto da un�impresa che non pu� ottenere alcuna utilit� dal 
giudizio. Nulla osterebbe, per�, a che il giudice proceda all�esame preliminare 
del ricorso principale, ove questo sia infondato, al fine di dichiarare l�improcedibilit� 
del ricorso incidentale. In tutti questi casi, infatti, il Collegio potr� 
ispirarsi alle esigenze di economia processuale per determinare discrezionalmente 
l�ordine di trattazione dei ricorsi, giungendo a determinare una soccombenza 
che di per s�, comunque, si produrrebbe anche invertendo l�ordine di 
trattazione delle questioni. 
Viceversa, nella seconda ipotesi, �per i principi della parit� delle parti e 
di imparzialit�, quando le due uniche imprese ammesse alla gara abbiano ciascuna 
impugnato l�atto di ammissione dell�altra, le scelte del giudice non possono 
avere rilievo decisivo sull�esito della lite, anche quando riguardino 
l�ordine di trattazione dei ricorsi: non si pu� statuire che la fondatezza del ricorso 
incidentale - esaminato prima - preclude l�esame di quello principale, 
ovvero che la fondatezza del ricorso principale - esaminato prima - preclude 
l�esame di quello incidentale, poich� entrambe le imprese sono titolari dell�interesse 
minore e strumentale all�indizione di una ulteriore gara. Pertanto 
in tale ipotesi il giudice a) pu�, per ragioni di economia processuale, esaminare 
con priorit� il ricorso principale (quando la sua infondatezza comporta 
l�improcedibilit� di quello incidentale) ovvero quello incidentale (la cui infondatezza 
comporta l�esame di quello principale); b) non pu�, in base ai 
principi di parit� delle parti e di imparzialit�, determinare una soccombenza 
anche parziale in conseguenza dei criteri logici che ha seguito nell�ordine di 
trattazione delle questioni; c) qualunque sia il primo ricorso che esamini e 
ritenga fondato, deve tener conto dell�interesse strumentale di ciascuna impresa 
alla ripetizione della gara e deve esaminare anche l�altro quando la 
fondatezza di entrambi comporta l�annullamento di tutti gli atti di ammissione 
alla gara e, per illegittimit� derivata, anche dell�aggiudicazione, col conseguente 
obbligo dell�amministrazione di indirne una ulteriore� (30). 
Nel caso di gare con due soli partecipanti, dunque, il giudice dovr� valorizzare 
l�interesse minore e strumentale alla ripetizione della gara, sicch� non 
potr� essere applicato il principio della improcedibilit� del ricorso principale, 
in caso di accoglimento di quello incidentale, operante, invece, nelle gare con 
pi� di due offerte ammesse (31). 
(30) Cos� Cons. St., Ad. plen., n. 11/2008, cit. 
(31) Per un approfondito commento della pronuncia cfr. GIOVAGNOLI, Ricorso incidentale e parit� 
delle parti (Relazione tenuta a Lecce, il 9 ottobre 2009, nel corso del Convegno �Il Codice del processo 
amministrativo�), in www.giustizia-amministrativa.it; BENETAZZO, op. cit.; VILLATA, Riflessioni in tema 
di ricorso incidentale nel giudizio amministrativo di primo grado (con particolare riguardo alle impugnative 
delle gare contrattuali), in Dir. proc. amm., 2009, 285; PELLEGRINO, Ricorso incidentale e parit�
246 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2015 
I principi affermati dalla Plenaria hanno, fin da subito, suscitato reazioni 
disomogenee in dottrina. 
In primo luogo, � apparsa criticabile la scelta operata dalla Plenaria di 
ancorare l�ordine di esame dei ricorsi al numero dei concorrenti ammessi 
alla gara. Tale distinzione, infatti, gi� accennata in un obiter dictum dalla 
sentenza n. 2468/2002, appare difficilmente giustificabile, in quanto finisce 
per ancorare l�interesse del ricorrente alla mera possibilit� di partecipare ad 
una nuova gara per aggiudicarsi l�appalto, �introducendo una pi� consistente 
�probabilit�� del ricorrente di divenire aggiudicatario, con la conseguenza 
di escludere l�interesse a ricorrere nel caso in cui la pluralit� delle imprese 
comporti un assottigliamento delle probabilit� del ricorrente di prevalere 
su di loro� (32). 
Parimenti criticabile � stata ritenuta, poi, l�affermazione secondo cui, nel 
caso di procedure di gara con tre (o pi�) offerte, stante l�assenza di indicazioni 
normative sul punto, l�ordine di trattazione dei due ricorsi dovrebbe essere deciso 
discrezionalmente dal Collegio sulla scorta dei principi di economia processuale 
e di logicit�, poich� la soccombenza rimarrebbe comunque identica 
(33). Contrariamente a quanto affermato dalla Plenaria, infatti, lungi dall�essere 
privo di copertura normativa, l�ordine di esame dei ricorsi - come gi� rilevato 
supra - �, infatti, disciplinato dall�art. 276, comma 2, c.p.c. 
(pacificamente applicabile anche al processo amministrativo in virt� dell�esplicito 
richiamo operato dall�art. 76, comma 4, c.p.a.) (34). 
Di contro, condivisibile � stata reputata la scelta della Plenaria di dare 
rilievo all�interesse strumentale alla ripetizione della gara, qualora, nel caso 
di procedure con due soli concorrenti, ciascun ricorrente (principale e incidentale) 
contesti la legittimit� della partecipazione dell�altro (35). In tal caso, 
infatti, il rispetto del principio di parit� delle parti impone di attribuire rilievo 
all�interesse strumentale di entrambe le parti a porre in discussione la spettanza 
del bene della vita in gioco. Pertanto, qualora ambedue le imprese concorrenti 
avrebbero dovuto essere escluse dalla gara, attribuire una posizione 
delle parti. La svolta della Plenaria. Nota a Adunanza Plenaria 10 novembre 2008, n. 11, in Riv. giur. 
edil., 2008, 1423; SQUAZZONI, Il rebus del presunto effetto paralizzante del ricorso incidentale nelle 
gare d�appalto ove anche il ricorrente principale contesti la mancata esclusione del vincitore, in Dir. 
proc. amm., 2009, 151. 
(32) Cos� TROPEA, La Plenaria prende posizione, cit. Nello stesso senso PELLEGRINO, Ricorso incidentale 
e parit� delle parti, cit. 
(33) Cfr., sul punto, VILLATA, Riflessioni in tema di ricorso incidentale, cit.; TROPEA, La Plenaria 
prende posizione, cit. 
(34) Contra SQUAZZONI, op. cit.; PELLEGRINO, Ricorso incidentale e parit� delle parti, cit. 
(35) Cfr. GIOVAGNOLI, Ricorso incidentale e parit� delle parti, cit.; SQUAZZONI, op. cit.; PELLEGRINO, 
Ricorso incidentale e parit� delle parti, cit.; CIMELLARO, op. cit. Contra VILLATA, Riflessioni in 
tema di ricorso incidentale, cit.; TROPEA, La Plenaria prende posizione, cit.; CACCIAVILLANI, Ordine di 
trattazione e di decisione del ricorso principale e di quello incidentale, in Scritti in ricordo di Francesco 
Pugliese, a cura di E. FOLLIERI e L. IANNOTTA, Napoli, 2010, 315.
DOTTRINA 247 
di vantaggio all�impresa aggiudicataria sulla scorta di un atto illegittimo della 
p.a. appaltante, consentendo l�esame prioritario del ricorso incidentale escludente 
da questa proposto, significherebbe svuotare totalmente i principi di 
imparzialit� e di parit� delle parti, sia processuali che sostanziali, che devono 
informare non solo lo svolgimento del giudizio, ma l�intero agere della p.a. 
5. Il cambio di rotta dell�Adunanza Plenaria n. 4/2011. 
Anche i principi fissati dalla sentenza n. 11/2008 hanno immediatamente 
suscitato discordanti reazioni nella giurisprudenza amministrativa, tanto che, 
a poco pi� di due anni dalla sua emanazione, la Sezione VI del Consiglio di 
Stato (36) ha ritenuto di dover nuovamente rimettere all�Adunanza Plenaria 
la questione riguardante l�ordine logico di esame del ricorso principale e di 
quello incidentale c.d. escludente (o paralizzante). 
Con sentenza del 7 aprile 2011, n. 4 (37), l�Adunanza Plenaria �, dunque, 
nuovamente intervenuta sulla questione, capovolgendo quelle che erano state 
le conclusioni cui era pervenuta la precedente sentenza n. 11/2008. 
In particolare, la Plenaria pone a fondamento del proprio iter logico-argomentativo 
la considerazione per cui la mera partecipazione (di fatto) alla 
gara pubblica non � elemento sufficiente al riconoscimento della legittimazione 
al ricorso, atteso che questa deriva da una qualificazione di carattere 
normativo e postula un esito positivo del sindacato sulla ritualit� dell�ammissione 
del soggetto ricorrente alla procedura selettiva, sicch� la definitiva 
esclusione (o l�accertamento dell�illegittimit� della partecipazione alla gara) 
impedisce di assegnare al concorrente la titolarit� di una situazione sostanziale 
che lo abiliti ad impugnare gli esiti della procedura selettiva. Ci� premesso, 
i Giudici di Palazzo Spada concludono affermando che l�esame del 
ricorso incidentale diretto a contestare la legittimazione del ricorrente principale 
attraverso l�impugnazione della sua ammissione alla procedura di gara 
deve sempre precedere quello del ricorso principale, anche nel caso in cui il 
ricorrente principale abbia un interesse strumentale alla rinnovazione dell�intera 
procedura selettiva e indipendentemente dal numero dei concorrenti 
(36) Cfr. Ordinanza 18 gennaio 2011, n. 351, in Riv. giur. edil., 2010, I, 1921. 
(37) In Foro amm. CdS, 2011, 4, 1132, in Foro it., 2011, 6, III, 306, in Riv. giur. edil., 2011, 2- 
3, I, 570, e in Dir. proc. amm., 2011, 3, 1035, con note di SQUAZZONI, Ancora sull�asserito effetto paralizzante 
del solo ricorso incidentale c.d. escludente nelle controversie in materia di gare. La Plenaria 
statuisce nuovamente sul rebus senza risolverlo; GIANNELLI, Il revirement della Plenaria in tema di 
ricorsi paralizzanti nelle gare a due: le nubi si addensano sulla nozione di interesse strumentale; F. 
FOLLIERI, Un ripensamento dell�ordine di esame dei ricorsi principale ed incidentale; MARINELLI, Ancora 
in tema di ricorso incidentale �escludente� e ordine di esame delle questioni (note brevi a margine 
di un grand arr�t dell�Adunanza Plenaria). Per un primo commento si veda, altres�, 
TORREGROSSA, L�Adunanza Plenaria rimedita le conclusioni alle quali era pervenuta con la pronuncia 
del 2008 in tema di rapporto tra ricorso principale e ricorso incidentale cd escludente o paralizzante, 
in www.ildirittoamministrativo.it.
248 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2015 
che vi hanno preso parte, dal tipo di censura prospettata con il ricorso incidentale 
e dalle richieste dell�amministrazione resistente. L�esame prioritario 
del ricorso principale � ammesso, per ragioni di economia processuale, soltanto 
qualora questo risulti manifestamente infondato, inammissibile, irricevibile 
o improcedibile (38). 
Il principio della necessaria priorit� dell�esame del ricorso incidentale c.d. 
escludente affermato dall�Adunanza Plenaria del 2011 non appare convincente. 
Come rilevato da attenta dottrina, infatti, �ragionando in termini di rapporto 
di pregiudizialit� [�] le questioni sulla legittimit� dell�ammissione, reciprocamente 
sollevate dai concorrenti, sono, per l�appunto, reciprocamente 
pregiudiziali. Il nesso di pregiudizialit�, in questo caso, � biunivoco, a doppio 
senso. E pretendere di risolvere il nodo dell�esame dei ricorsi in termini di pregiudizialit� 
non pu� portare ad una soluzione priva di incertezze (e quindi condivisibile), 
poich� influenzata esclusivamente dal punto di partenza della 
trattazione delle questioni: se si esamina prima il ricorso incidentale, risulter� 
carente di legittimazione il ricorrente principale; viceversa, risulter� carente di 
tale legittimazione attiva (ossia a proporre il ricorso incidentale, ma non di legittimazione 
passiva) il ricorrente incidentale. N�, poi, la precedenza dell�esame 
del ricorso incidentale � imposta da alcuna disposizione specifica, potendosi, 
semmai, affermare il contrario, in relazione all�accessoriet� di tale ricorso, atteso 
che la disciplina attuale non sembra affatto attenuare tale caratteristica. 
Anzi, potrebbe anche affermarsi che l�accessoriet� del ricorso incidentale sia 
stata accentuata dal legislatore del 2010, poich� l�art. 42 c.p.a. afferma espressamente 
la subordinazione dell�interesse al ricorso incidentale alla proposizione 
del ricorso principale, fonte del suddetto rapporto di accessoriet�� (39). 
(38) Gi� prima della sua pubblicazione, negli stessi termini della Plenaria, si sono espressi VILLATA 
- BERTONAZZI, op. cit., 422-423; TROPEA, Commento all�art. 42, in CARINGELLA e PROTTO, Il Codice del 
nuovo processo amministrativo, Roma, 2010, 478. In senso favorevole ai principi espressi dalla Plenaria 
anche F.G. SCOCA, Ordine di decisione, ricorso principale e ricorso incidentale, in Corr. giur., 1/2012, 
133, il quale sottolinea come �la priorit�, secondo il condivisibile assunto della sentenza in commento, 
non si pone tra i ricorsi (principale e incidentale) ma tra le questioni rispettivamente sollevate con il ricorso 
principale e con il ricorso incidentale; e si deve pertanto determinare sulla base della regola generale 
fissata con l�art. 276 c.p.c., richiamata dall�art. 76 c.p.a.: vanno decise prima le questioni 
pregiudiziali e poi, gradatamente, va deciso il merito della causa�; nonch� FIDONE, Accoglimento del ricorso 
incidentale escludente e inammissibilit� del ricorso principale, in Gior. dir. amm., 12/2011, 1298, 
per il quale la correttezza delle conclusioni raggiunte dalla Plenaria discende, da un lato, dalla difficile 
configurazione in teoria di un interesse strumentale alla rinnovazione della gara, e dall�altro, nell�esigenza 
pratica di �evitare la proliferazione del contenzioso, con defatiganti controversie con un alto numero di 
parti in causa, con giudizi paralleli che corrispondono a tutto tranne che al senso comune di giustizia�. 
(39) Cos� F. FOLLIERI, op. cit. Parimenti critici nei confronti dei principi espressi dalla sentenza 
n. 4/2011, SQUAZZONI, Ancora sull�asserito effetto paralizzante del solo ricorso incidentale, cit.; E. 
FOLLIERI, La legittimazione a ricorrere e l�ordine di trattazione dei motivi reciprocamente escludenti 
nelle controversi sugli appalti pubblici sono individuati negli interessi protetti dalle norme, in 
www.cameraamministrativa.it; QUINTO, Ricorso principale e ricorso incidentale: continua il dibattito, 
2012, in www.giustizia-amministrativa.it.
DOTTRINA 249 
La preferenza accordata dalla Plenaria al prioritario esame del ricorso incidentale 
e, quindi, implicitamente alla posizione del controinteressato (aggiudicatario 
della gara), pi� che da ragioni equit� o di giustizia (sostanziale 
e/o processuale), sembra essere dettata, a ben vedere, da un favor per la tutela 
dell�interesse pubblico, individuato nella sollecita esecuzione dell�appalto, 
oltre che nella necessit� di evitare la proliferazione del contenzioso. Tale conclusione 
non appare, per�, convincente. Difatti, all�esito del processo di bilanciamento 
degli interessi coinvolti, l�Adunanza Plenaria avrebbe dovuto 
orientare la propria decisione al perseguimento del fine che appare preminente 
per l�ordinamento, ovvero la tutela della libera concorrenza. A fronte di un�aggiudicazione 
operata in favore di un soggetto illegittimamente ammesso alla 
gara, assume carattere preminente, infatti, il perseguimento dei principi della 
par condicio competitorum e dell�effettivit� della tutela giurisdizionale dettati 
in materia di contratti pubblici, pienamente realizzabile unicamente attraverso 
la ripetizione delle procedure di gara (40). 
La tesi esposta trova, del resto, un espresso appiglio normativo nelle disposizioni 
di cui agli artt. 121 e 122 c.p.a., le quali consentono al giudice amministrativo 
di dichiarare l�inefficacia del contratto stipulato dalla stazione 
appaltante in presenza di gravi violazioni procedimentali e disporre la rinnovazione 
delle procedure di gara, proprio in funzione della tutela del principio 
di libera concorrenza (41). 
6. L�intervento della Corte di Giustizia UE e il �monito� delle Sezioni Unite. 
Il dibattito sulla questione non si � arrestato neanche dopo la pubblicazione 
della sentenza n. 4/2011, i cui principi sono stati subito messi in discussione 
dalla giurisprudenza amministrativa. 
In particolare, � stato il T.A.R. Piemonte (42) a dubitare per primo della 
(40) In senso aspramente critico rispetto alla prevalenza dei principi comunitari rispetto a quelli 
processuali PROTTO, Ordine di esame del ricorso principale e incidentale in materia di appalti pubblici: 
la parola al giudice comunitario, in Urb. e app., n. 4/2012, 440, e in www.giustizia-amministrativa.it, 
secondo cui, in particolare, �i principi comunitari invocati, effettivit� della tutela, parit� delle parti, libera 
concorrenza, non possono non essere coniugati con altri basilari principi che sono quelli della 
celere esecuzione dei pubblici appalti, della lealt� processuale, del divieto di abuso del diritto di difesa, 
della ragionevole durata dei processi, della connotazione dei processi diversi da quelli penali come 
�processi di parti��. Favorevole ad una lettura �costituzionalmente e comunitariamente orientata� della 
decisione della Plenaria cfr. PELLEGRINO, La Plenaria e le �tentazioni� dell�incidentale, 2011, in 
www.giustizia-amministrativa.it. 
(41) Cfr., in questo senso, F. FOLLIERI, op. cit. 
(42) Cfr. ordinanza della sez. II, 9 febbraio 2012, n. 208, in Riv. it. dir. pubbl. comunit., 2012, 1, 
209, e in Foro amm. TAR, 2012, 2, 333. In posizione analogamente dubitativa rispetto alla Plenaria n. 
4/2011 anche T.A.R. Lazio, Roma, sez. I, 10 gennaio 2012, n. 197, in Foro amm. TAR, 2011, 12, e in 
www.giustizia-amministrativa.it, e in Il nuovo diritto amministrativo, n. 1/2012, con nota adesiva di 
PELLEGRINO, Ricorso incidentale: i nodi tornano al pettine. Per un commento ad entrambe le pronunce 
si veda, altres�, CRESTA, L�ordine di trattazione del ricorso incidentale c.d. paralizzante in materia di
250 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2015 
correttezza dei principi di diritto affermati dal Consiglio di Stato nel 2011, assumendone 
il contrasto con i principi di parit� delle parti, di non discriminazione 
e di tutela della concorrenza nei pubblici appalti sanciti dalla prima 
direttiva ricorsi n. 1989/665/CEE e dalla seconda direttiva ricorsi n. 
2007/66/CE. Il T.A.R. piemontese ha, quindi, rimesso alla Corte di giustizia 
UE la questione pregiudiziale se i predetti principi siano ostativi al diritto vivente 
derivante dalla sentenza n. 4/2011, secondo cui l�esame del ricorso incidentale, 
diretto a contestare la legittimazione del ricorrente principale 
mediante l�impugnazione della sua ammissione alla gara, deve necessariamente 
precedere quello del ricorso principale anche nel caso in cui il ricorrente 
principale abbia un interesse strumentale alla rinnovazione dell�intera procedura 
selettiva e indipendentemente dal numero dei concorrenti che vi hanno 
preso parte (43). 
La Corte di Giustizia UE ha affrontato la questione con sentenza della 
Decima Sezione, 4 luglio 2013, n. 100, in causa C-100/12 (44), affermando il 
principio di diritto secondo cui le disposizioni delle direttive ricorsi devono 
essere interpretate nel senso che, �se in un procedimento di ricorso, l�aggiudicatario 
che ha ottenuto l�appalto e proposto ricorso incidentale solleva 
un�eccezione di inammissibilit� fondata sul difetto di legittimazione a ricorrere 
dell�offerente che ha proposto il ricorso, con la motivazione che l�offerta da 
questi presentata avrebbe dovuto essere esclusa dall�autorit� aggiudicatrice 
per non conformit� alle specifiche tecniche indicate nel piano di fabbisogni, 
tal(i) disposizion(i) osta(no) al fatto che il suddetto ricorso sia dichiarato 
inammissibile in conseguenza dell�esame preliminare di tale eccezione di 
inammissibilit� senza pronunciarsi sulla conformit� con le suddette specifiche 
tecniche sia dell�offerta dell�aggiudicatario che ha ottenuto l�appalto, sia di 
quella dell�offerente che ha proposto il ricorso principale�. 
In buona sostanza, dunque, la Corte di Giustizia UE, sconfessando gli arresti 
della Plenaria n. 4/2011, si � condivisibilmente allineata alle conclusioni 
gi� raggiunte dalla precedente Plenaria n. 11/2008, affermando che, in caso di 
appalti pubblici nella (variegata) lettura giurisprudenziale, 2012, in www.businessjus.com; SAPORITO, 
Il ricorso incidentale nel processo amministrativo, in www.ildirittoamministrativo.it. 
(43) Per un primo commento alla ordinanza di rimessione si vedano QUINTO, Ordinanza TAR Piemonte: 
il dibattito sul ricorso principale e ricorso incidentale nel processo amministrativo si sposta in 
Europa, 2012, in www.giustizia-amministrativa.it; COSMA, Sull�ordine di esame dei ricorsi invocate la 
Corte di Giustizia e una nuova Plenaria, in Corr. Giur., 2013, 835. Sulla necessit� dell�intervento della 
Corte di Giustizia al fine di individuare le posizioni sostanziali rilevanti per l�accesso alla giustizia in 
materia di appalti pubblici si veda PESCATORE, Brevi note in tema di ricorso incidentale escludente, legittimazione 
al ricorso ed ordine di esame delle questioni, 2012, in www.lexitalia.it; favorevole alla 
questione sollevata dal T.A.R. piemontese anche PELLEGRINO, Ricorso incidentale: i nodi tornano al 
pettine, cit. 
(44) In Riv. it. dir. plub. com., 2013, 3-4, 795, con nota di E.M. BARBIERI, Legittimazione ed interesse 
a ricorrere in caso di ricorsi reciprocamente escludenti dopo una recente pronuncia comunitaria, 
in Dir. & Giust., 2013, 8 luglio, in Foro amm. CdS, 2013, 7-8, 1747, e in Guida al dir., 2013, 41, 104. 
DOTTRINA 251 
fondatezza di entrambi i ricorsi (principale ed incidentale) c.d. escludenti, � 
necessario che il giudice tenga conto dell�interesse strumentale di ciascun concorrente 
alla ripetizione della gara, disponendo, di conseguenza, l�annullamento 
di tutti gli atti di ammissione alla gara e, per illegittimit� derivata, anche 
dell�aggiudicazione, col conseguente obbligo dell�Amministrazione di indirne 
una ulteriore (45). 
Ancor prima della pronuncia della Corte di Giustizia, critiche nei confronti 
della decisione della Plenaria n. 4/2011 si erano gi� mostrate anche le 
Sezioni Unite della Corte di Cassazione (46), che, seppur a livello di obiter 
dictum, avevano affermato la non condivisibilit� dell�orientamento dei Giudici 
di Palazzo Spada, che, al cospetto di due imprese che sollevano a vicenda la 
medesima questione, ne sanziona una con l�inammissibilit� del ricorso e ne 
favorisce l�altra con il mantenimento di un�aggiudicazione (in tesi) illegittima. 
A parere delle Suprema Corte, infatti, tale impostazione denota �una crisi del 
sistema che, al contrario, proclama di assicurare a tutti la possibilit� di provocare 
l�intervento del giudice per ripristinare la legalit� e dare alla vicenda 
un assetto conforme a quello voluto dalla normativa di riferimento, tanto pi� 
che l�aggiudicazione pu� dare vita ad una posizione preferenziale soltanto se 
acquisita in modo legittimo� (47). In particolare, la Corte ha condivisibilmente 
affermato che, come, del resto, gi� rilevato da un�attenta dottrina (48), la realizzazione 
dell�opera non pu� rappresentare l�aspirazione principale dell�ordinamento 
e, dunque, l�interesse pubblico prevalente, il quale dev�essere 
necessariamente bilanciato con i principi di concorrenza e di libero mercato 
che assumono carattere preminente (49)(50). 
(45) Cfr., per una lettura favorevole della sentenza, E.M. BARBIERI, op. cit.; D�ANCONA, La tesi dell�effetto 
paralizzante del ricorso incidentale rispetto al ricorso principale proposta dall�Adunanza Plenaria 
del Consiglio di Stato non supera il vaglio della Corte di Giustizia, in www.giustizia-amministrativa.it; 
CAPONIGRO, Le azioni reciprocamente �escludenti� tra giurisprudenza europea e nazionale, in 
www.giustizia-amministrativa.it; TOSCHEI, Una scelta in linea con le proposizioni sviluppate dopo il 
varo della seconda direttiva ricorsi, in Guida al dir., 2013, 91; QUINTO, La Corte di Giustizia anticipa 
l�Adunanza Plenaria, 2014, in www.giustizia-amministrativa.it; E. FOLLIERI, op. cit.; Per una lettura in 
chiave critica della pronuncia vi vedano, invece, CACCIARI, Ricorso principale e ricorso incidentale: 
una questione davvero risolta dalla Corte di Giustizia?, 2013, in www.giustamm.it; PROVENZANO, 
Nota a Corte di Giustizia Unione Europea, Sezione decima, sentenza 4 luglio 2013, n. 100/2012, in 
www.ildirittoamministrativo.it. 
(46) Sent. 21 giugno 2012, n. 10294, in Giust. civ. Mass., 2012, 6, 824, in Foro amm. CdS, 2012, 
7-8, 1795 e in www.lexitalia.it, con note adesive di CAPPARELLI, Le Sezioni Unite bacchettano l�Adunanza 
Plenaria e di PELLEGRINO, Aggiudicatario iperprotetto. Il monito delle Sezioni Unite sull�incidentale. 
(47) Cos� Cass. civ. n. 10294/2012 cit. Cfr., in dottrina, D�ANCONA, Il rapporto tra ricorso incidentale 
e ricorso principale fra diritto interno e diritto dell�Unione Europea: note a margine delle pronunce 
della Cass. SS.UU. 21 giugno 2012 e del C.d.S., sez. III, 30 agosto 2012, n. 4656, in 
www.giustamm.it. 
(48) Si fa riferimento soprattutto a F. FOLLIERI, op. cit. 
(49) Affermano, in particolare, le Sezioni Unite che, i principi affermati dalla Plenaria n. 4/2011, 
suscitano �indubbiamente delle perplessit� che lasciano ancor pi� insoddisfatti ove si aggiunga che 
l�aggiudicazione pu� dare vita ad una posizione preferenziale soltanto se acquisita in modo legittimo e
252 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2015 
7. I recenti arresti dell�Adunanza Plenaria: le sentenze nn. 7 e 9 del 2014. 
Le puntualizzazioni compiute dalla Corte di Giustizia e dalle Sezioni 
Unite non potevano non influenzare la giurisprudenza amministrativa, sicch� 
ben presto la questione dell�ordine di esame del ricorso principale e di quello 
incidentale � stata, per l�ennesima volta, rimessa all�Adunanza Plenaria, con 
addirittura due distinte ordinanze di rimessione, dalla V e dalla VI Sezione del 
Consiglio di Stato (51). 
Nel giro di pochi mesi la Plenaria ha, quindi, avuto modo di intervenire 
per ben due volte sulla vexata quaestio con le sentenze 30 gennaio 2014, n. 7 
(52) e 25 febbraio 2014 (53). 
In entrambi i casi, i Giudici di Palazzo Spada hanno confermato l�adesione 
formale ai principi gi� espressi nella sentenza n. 4/2011, parametrandoli, 
per�, alle ipotesi di gare con due soli offerenti e precisando i criteri da seguire 
nel determinare l�ordine di priorit� logica di esame dei ricorsi principale ed 
incidentale (54). 
In particolare, gi� nella sentenza n. 7/2014 appaiono chiare, seppur sinteticamente 
esposte, quelle che saranno le nuove linee guida tracciate in materia 
dall�Adunanza Plenaria nell�ampia ed articolata motivazione della 
successiva sentenza n. 9/2014. 
Come emerge chiaramente dalla lettura della motivazione posta a base 
della sentenza n. 7/2014, l�ordine di priorit� logica di esame delle questioni 
non riguarda la natura dell�azione (principale o incidentale) con cui esse sono 
introdotte nel giudizio, ma dev�essere determinato sulla base delle tipologie 
di vizi dedotti. Pertanto, al fine di determinare la priorit� dell�esame dei ricorsi 
c.d. escludenti, dovr� aversi riguardo alla fase procedimentale in cui si innestano 
le violazioni di doveri o obblighi sanzionati a pena di inammissibilit�, 
di decadenza o di esclusione, sicch� quelle attinenti ad una fase procedimentale 
cronologicamente e logicamente antecedente andranno sempre valutate con 
che la realizzazione dell�opera non rappresenta in ogni caso l�aspirazione dell�ordinamento (v. artt. 
121/23 cod. proc. amm.), che in questa materia richiede un�attenzione e un controllo ancora pi� pregnanti 
al fine di evitare distorsioni della concorrenza e del mercato�. 
(50) In senso aspramente critico rispetto alle affermazioni delle SS.UU. DE NICTOLIS, Ordine di 
esame del ricorso principale e incidentale: la posizione della Cassazione, in Urb. e app., 10/2012, 1017. 
(51) Rispettivamente ordinanza del 15 aprile 2013, n. 2059, in Foro amm. CdS, 2013, 4, 953, e 
ordinanza del 17 maggio 2013, n. 2681, in www.giustizia-amministrativa.it. 
(52) In Foro amm CdS, 2014, 2, 384, e in Dir. & Giust., 2014, 3 febbraio. 
(53) In Foro amm. CdS, 2014, 2, 387. 
(54) Per un�attenta disamina di entrambe le pronunce dell�Adunanza Plenaria, si rinvia a CAPONIGRO, 
L�affidamento degli appalti pubblici: l�ordine logico nell�esame giurisdizionale delle censure 
proposte in via principale ed in via incidentale dalla due imprese in gara (Relazione svolta il 23 maggio 
2014 presso il T.A.R. Lecce al convegno nazionale di studi: �L�integrazione degli ordinamenti giuridici 
in Europa�, in www.giustizia-amministrativa.it; FRAGOMENI, Il problema (irrisolto) del rapporto tra 
esame del ricorso principale e ricorso incidentale alla luce dei principi comunitari, in Rass. Avv. St., 
2/2014, 324.
DOTTRINA 253 
precedenza rispetto a quelle dedotte dalla controparte, a prescindere dal fatto 
che le stesse siano proposte in via principale o incidentale. Pertanto, solo il ricorso 
incidentale escludente - che sollevi un�eccezione di carenza di legittimazione 
del ricorrente principale non aggiudicatario, in quanto soggetto che 
non ha mai partecipato alla gara o che vi ha partecipato, ma � stato correttamente 
escluso ovvero che avrebbe dovuto essere escluso, ma non lo � stato 
per un errore dell�Amministrazione - dev�essere esaminato prioritariamente 
rispetto al ricorso principale e tale evenienza non si verifica allorquando il ricorso 
incidentale censuri valutazioni ed operazioni di gara svolte dall�Amministrazione 
sul presupposto della regolare partecipazione alla procedura del 
ricorrente principale (55). 
Il principio, succintamente affermato dalla sentenza n. 7/2014, � stato meglio 
esplicitato nella successiva Plenaria n. 9/2014, che attraverso un approfondito 
esame dei principi enucleati tanto dalla precedente sentenza n. 4/2011, 
quanto dalle pronunce della Corte di Giustizia e delle Sezioni Unite della Corte 
di Cassazione, � pervenuta sostanzialmente (seppur attraverso un differente 
iter logico-argomentativo) alle conclusioni gi� raggiunte dalla Plenaria n. 
11/2008, affermando la necessit� dell�esame congiunto dei ricorsi principale 
ed incidentale qualora entrambi abbiano carattere reciprocamente escludente 
e, in caso di loro comune fondatezza, l�esigenza di ordinare la ripetizione delle 
procedure di gara. 
La sentenza n. 9/2014 conferma, ancora una volta la regola generale sancita 
dalla precedente sentenza n. 4/2011, operandone, per�, una lettura teleologicamente 
orientata all�attuazione dei principi comunitari richiamati dalla 
Corte di Giustizia. 
Prendendo le mosse da quanto affermato dalla decisione n. 7/2014 circa 
l�inquadramento teorico della questione sulla base della natura dei vizi dedotti, 
la Plenaria ha, condivisibilmente, concluso nel senso che, se entrambe 
le offerte siano inficiate dal medesimo vizio che le rende inammissibili, apparirebbe 
prima facie contrario all�uguaglianza concorrenziale escludere 
solo l�offerta del ricorrente principale, dichiarandone inammissibile il ricorso 
e confermare, invece, l�offerta dell�aggiudicatario/ricorrente incidentale, 
(55) In particolare, la sentenza precisa che �la necessit� che il ricorso incidentale sia esaminato 
prima di quello principale, quando con esso sono denunciate carenze oggettive dell�offerta della impresa 
non aggiudicataria, sussiste nel caso di proposizione, nel ricorso incidentale, di censure che colpiscono 
la mancata esclusione, da parte della stazione appaltante, del ricorrente principale ovvero della sua 
offerta, a causa dell�illegittima partecipazione dello stesso alla gara o della illegittimit� della sua offerta, 
ma a condizione che tale situazione sia l�effetto della violazione di doveri o obblighi sanzionati a 
pena di inammissibilit�, di decadenza, di esclusione; pertanto, la situazione di contrasto fra la condotta 
dell�impresa, che partecipa alla selezione, e la legge di gara, rilevante per stabilire la priorit� dell�esame 
del ricorso incidentale, � quella che produce, come conseguenza ineluttabile, la non ammissione ab origine 
alla gara del concorrente non vincitore, ovvero l�estromissione successivamente deliberata in fasi 
appositamente deputate all�accertamento della regolare partecipazione del concorrente�. 
254 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2015 
bench� suscettibile di esclusione per la medesima ragione. In tali casi, essendo 
il vizio fatto valere da entrambi i contendenti il medesimo, non pu� 
ravvisarsi in concreto un problema di esame prioritario del ricorso incidentale 
rispetto al ricorso principale. Prioritario, in questo peculiare caso, � soltanto 
l�esame del vizio che, se sussistente, giustifica l�accoglimento di 
entrambi i ricorsi, mentre, se insussistente, determina la loro reciproca reiezione 
e la conferma dell�aggiudicazione. L�identit� del vizio, nella sua consistenza 
fattuale e nella sua speculare deduzione da ambedue le parti, 
comporta, quindi, che il suo accertamento e la relativa decisione di accoglimento 
siano automaticamente e logicamente predicabili indifferentemente 
per l�una o per l�altra parte del processo. 
Soltanto la �simmetria escludente� dei vizi prospettati dalle parti, �, dunque, 
idonea a derogare all�asimmetria delle posizioni processuali delle parti 
che imporrebbe, altrimenti, l�esame prioritario del ricorso incidentale escludente, 
in ossequio al combinato disposto degli art. 76, comma 4, c.p.a. e 276, 
comma 2, c.p.c., regola non rientrante nella disponibilit� delle parti e non soggetta 
ad eccezioni nemmeno nel caso in cui venga impugnata dal ricorrente 
principale la lex specialis di gara. 
Al di fuori dei casi in cui sussista tale �simmetria escludente� dei vizi 
prospettati torner�, pertanto, applicabile la regola generale - gi� sancita dalla 
Plenaria n. 4/2011 - della necessit� del preventivo esame del ricorso incidentale 
c.d. paralizzante rispetto a quello principale. 
Resta fermo, peraltro, il principio per cui, in conformit� al canone di economia 
processuale, � nella discrezionalit� del giudice optare per l�esame prioritario 
del ricorso principale qualora questo sia palesemente infondato, 
irricevibile, inammissibile o improcedibile. 
Cos� configurata la regula iuris circa l�ordine di esame dei ricorsi, ivi 
compresa la sua eccezione derivante dall�applicazione del principio di parit� 
delle parti, diventa necessario stabilire in quali casi possa discutersi di identit� 
dei vizi dedotti, ovvero se tale identit� debba essere intesa in senso formale, 
oppure (come sembra preferibile) in senso sostanziale (ricollegandosi il concetto 
alla natura dell�interesse sottostante alla disposizione violata). 
� questa la conclusione cui, condivisibilmente, pervengono i Giudici di 
Palazzo Spada nella citata decisione n. 9/2014, secondo i quali �deve ritenersi 
comune la causa di esclusione che afferisce alla medesima sub fase del segmento 
procedimentale destinato all�accertamento del titolo di ammissione alla 
gara dell�impresa e della sua offerta, correlando le sorti delle due concorrenti 
in una situazione di simmetria invalidante: in quest�ottica deve escludersi che 
si richieda l�assoluta identit� causale del vizio�. 
Dovranno, quindi, ritenersi comuni i vizi rientranti nelle seguenti categorie: 
a) tempestivit� della domanda ed integrit� dei plichi (trattandosi in ordine
DOTTRINA 255 
cronologico e logico dei primi parametri di validazione del titolo di ammissione 
alla gara); 
b) requisiti soggettivi generali e speciali di partecipazione dell�impresa 
(comprensivi dei requisiti economici, finanziari, tecnici, organizzativi e di qualificazione); 
c) carenza di elementi essenziali dell�offerta previsti a pena di esclusione 
(comprensiva delle ipotesi di incertezza assoluta del contenuto dell'offerta o 
della sua provenienza). 
Di contro, non soddisfano il requisito della simmetria escludente i vizi che 
impingono a sub fasi logicamente e cronologicamente differenti della procedura 
di gara, sicch� gli stessi non possono giustificare la deroga all�ordine di esame 
dei ricorsi scolpita dagli artt. 76, comma 4, c.p.a. e 276, comma 2, c.p.c. (56). 
Da ultimo, anche le Sezioni Unite della Corte di Cassazione (57), facendo 
propri i principi di diritto affermati dalla Plenaria n. 9/2014, ne hanno, seppur 
implicitamente, riconosciuto la maggior correttezza rispetto all�impostazione 
precedentemente seguita dalla Plenaria del 2011 (58). 
8. Considerazioni conclusive. 
La questione dell�ordine di esame del ricorso incidentale e di quello prin- 
(56) Per una possibile esegesi alternativa della soluzione proposta dalla Plenaria si veda CAPONIGRO, 
L�affidamento degli appalti pubblici, cit. In particolare, secondo l�Autore una soluzione alternativa 
alla questione rispetto a quella fatta propria dalla Plenaria potrebbe essere quella di ritenere che, in presenza 
di un censura incidentale c.d. escludente, non venga mai meno la legittimazione del ricorrente 
principale che abbia proposto anch�egli censure escludenti. Sarebbe direttamente la proposizione della 
domanda di partecipazione alla procedura di gara a differenziare la posizione dell�istante rispetto al quisque 
de populo, sicch� anche in caso di accertamento circa l�illegittimit� dell�ammissione alla gara del 
concorrente, l�interesse legittimo sufficiente ad attribuire la posizione legittimante la proposizione del 
ricorso giammai potrebbe regredire a interesse di mero fatto. N�, tantomeno, tale degradazione potrebbe 
derivare dall�eventuale accoglimento del ricorso incidentale c.d. escludente. Di qui, l�impossibilit� di 
dichiarare, a seguito dell�accoglimento del ricorso incidentale c.d. escludente, l�inammissibilit� di quello 
principale, il quale, di contro, dovrebbe, essere esaminato con riferimento a tutte le censure con cui � 
contestata l�ammissione alla gara del ricorrente incidentale, alle quali sarebbe sempre sotteso l�interesse 
strumentale al travolgimento dell�intera procedura di gara. 
(57) Cfr. sent. 6 febbraio 2015, n. 2242, in www.diritto24.ilsole24ore.com. 
(58) Prima del duplice intervento dell�Adunanza Plenaria, il Consiglio di Giustizia Amministrativa 
per la regione siciliana, con ordinanza del 17 ottobre 2013, n. 848, in www.giustizia-amministrativa.it, 
ha aperto una nuova pagina dell�oramai vexata quaestio in esame, rimettendo alla Corte di Giustizia 
UE la questione, tramite la formulazione del seguente quesito: �se i principi dichiarati dalla CGUE 
con la sentenza del 4 luglio 2013, in causa C-100/12, con riferimento alla specifica ipotesi, oggetto di 
quel rinvio pregiudiziale, in cui due soltanto erano le imprese partecipanti a una procedura di affidamento 
di appalti pubblici, siano anche applicabili, in ragione di un sostanziale isomorfismo della fattispecie 
contenziosa, anche nel caso sottoposto al vaglio di questo Consiglio in cui le imprese partecipanti 
alla procedura di gara, sebbene ammesse in numero maggiore di due, siano state tutte escluse dalla 
stazione appaltante, senza che risulti l�intervenuta impugnazione di detta esclusione da parte di imprese 
diverse da quelle coinvolte nel presente giudizio, di guisa che la controversia che ora occupa questo 
Consiglio risulta di fatto circoscritta soltanto a due imprese�.
256 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2015 
cipale ha conosciuto uno sviluppo complesso e tormentato dovuto, da un lato, 
alle problematiche strettamente tecnico-giuridiche ad essa sottese, e, dall�altro, 
alle rilevanti implicazioni di ordine politico-economico proprie del settore 
degli appalti pubblici. 
Le soluzioni via via prospettate dalla giurisprudenza sono state molteplici 
e, sovente, fortemente contrastanti. 
Ci� che �, per�, indubbio � che la soluzione del problema non pu� prescindere 
dalla necessaria valorizzazione dei principi, costituzionali e comunitari, 
della libera concorrenza e della par condicio competitorum nonch� di 
parit� delle parti e dell�effettivit� della tutela giurisdizionale, consacrati dall�art. 
111 Cost. e dagli artt. 1 e 2, comma 1, c.p.a., e costituenti �impalcatura 
e filo conduttore� dell�intera disciplina processuale. 
Tali principi, di matrice comunitaria, costituiscono oggi indubbiamente 
la stella polare degli interventi legislativi nel settore dei contratti pubblici e 
non possono recedere dinnanzi a quelli, seppur rilevanti, della celere esecuzione 
degli appalti pubblici, della ragionevole durata dei processi e del divieto 
di abuso del diritto di difesa. 
Attribuire sempre e comunque efficacia paralizzante al ricorso incidentale 
c.d. escludente anche nelle ipotesi in cui il ricorso principale sollevi censure 
in ordine alla fase di ammissione alla procedura dell�aggiudicatario (ricorrente 
incidentale) equivarrebbe, infatti, ad assegnare a costui una posizione di ingiustificato 
ed irragionevole vantaggio, con risultati abnormi nelle ipotesi di 
riconosciuta illegittimit� della sua ammissione alla gara. 
In quest�ottica, l�ultimo approdo della Plenaria del 2014, oltre ad evitare 
effetti distorsivi per il mercato e per l�interesse pubblico, senz�altro compromessi 
dalla �intangibilit�� delle aggiudicazioni eventualmente disposte a favore 
di soggetti non idonei secondo la legge di gara, appare maggiormente 
compatibile anche con la regola dell�esame prioritario delle questioni pregiudiziali 
rispetto a quelle di merito scolpita dal combinato disposto degli artt. 
76, comma 4, c.p.a., e 276, comma 2, c.p.c. Difatti, qualora anche il ricorso 
principale agiti questioni attinenti alla legittima partecipazione alla gara del 
ricorrente incidentale, anch�esso avr� portata pregiudiziale, sicch� dovr� necessariamente 
essere esaminato congiuntamente al ricorso incidentale. 
A fronte del rango dei principi in gioco, il timore che l�esame congiunto 
delle prospettazioni vicendevolmente escludenti e che il riconoscimento di un 
interesse strumentale alla riedizione della procedura di gara come meritevole 
di tutela possa cagionare un�esasperazione del contenzioso, con conseguente 
paralisi degli uffici giudiziari ed allungamento dei tempi di realizzazione delle 
opere, deve considerarsi un rischio calcolato e, spesso, eccessivamente enfatizzato, 
perlopi� vuota affermazione di principio, frutto essenzialmente di preoccupazioni 
di natura politica pi� che di una concreta valutazione giuridica. 
In questo contesto, la sentenza n. 9/2014 dell�Adunanza Plenaria rappre-
DOTTRINA 257 
senta un indubbio passo in avanti verso il riconoscimento della prevalenza dei 
principi di libera concorrenza e parit� delle parti declinati dal diritto comunitario 
e, oramai, entrati prepotentemente anche nell�ordinamento nazionale. 
Superando l�esasperata rigidit� della regula iuris forgiata dalla precedente 
Plenaria n. 4/2011, pur confermando l�adesione formale ai principi in 
essa espressi, la sentenza n. 9/2014, infatti, recupera condivisibilmente la tensione 
al bilanciamento degli interessi delle parti (gi� espressa nel 2008) all�insegna 
del rispetto della concorrenzialit� e della parit� delle parti invocato 
dalla Corte di Giustizia della UE e dalla Sezioni Unite della Suprema Corte, 
rapportandola alla concreta verifica della identit� sostanziale dei vizi �escludenti
� dedotti dalle parti. 
Ottenuto l�implicito avallo delle Sezioni Unite, la parola (certamente non 
definitiva) passa ora, nuovamente, alla Corte di Giustizia (gi� evocata dal Consiglio 
di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana), cui spetter� scrivere 
l�ennesimo capitolo della vicenda.
258 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2015 
La primazia negli organi collegiali pubblici: 
ricadute applicative 
Gabrile Pepe* 
SOMMARIO: 1. Premessa - 2. GLI ORGANI COLLEGIALI DI AUTOGOVERNO. Cenni introduttivi 
- 2.1. Il Consiglio superiore della magistratura. Posizioni e funzioni del Presidente della Repubblica 
interne ed esterne al plenum del C.S.M. - 2.1.1. La delega di funzioni al vicepresidente 
con particolare riferimento all'atto di convocazione - 2.1.2. La formulazione dell'ordine 
del giorno delle riunioni del Consiglio: questioni teoriche e problemi applicativi - 2.2. Il Consiglio 
di presidenza della giustizia amministrativa. Eterogeneit� delle posizioni del presidente 
e relative funzioni - 2.2.1. La prevalenza del voto del presidente in caso di parit� dei suffragi 
- 2.3. Il Consiglio di presidenza della Corte dei conti. Il contenuto della posizione di primazia 
del presidente - 2.3.1. Omessa convocazione ed inserzione di argomenti all'ordine del giorno 
a fronte della richiesta del prescritto numero di componenti - 3. GLI ORGANI COLLEGIALI A COMPOSIZIONE 
TECNICA. Premessa - 3.1. Le funzioni del presidente di Commissione di esame e di 
concorso quale primus inter pares: fisiologia e patologia di esercizio - 3.2. La posizione di 
primazia presidenziale nelle Commissioni di disciplina - 3.3. I Collegi sindacali delle persone 
giuridiche pubbliche. La preminenza formale del presidente sugli altri componenti - 4. GLI 
ORGANI COLLEGIALI POLITICO-ASSEMBLEARI. Considerazioni preliminari - 4.1. I Consigli comunali 
e provinciali. La primazia del presidente sugli altri componenti del consesso - 4.1.1. Il Patologico 
esercizio delle funzioni presidenziali: l'intervento sostitutivo del Prefetto - 4.2. I Consigli 
regionali. Le funzioni presidenziali di impulso e coordinamento dei lavori dell'Assemblea 
- 4.2.1. Aspetti patologici della primazia presidenziale - 4.3. Le Commissioni parlamentari. 
La posizione di primus inter pares del presidente: elementi di specialit� - 4.3.1. Le funzioni 
che connotano in senso tipico la posizione di primazia presidenziale: profili fisiologici e profili 
patologici - 5. GLI ORGANI COLLEGIALI RAPPRESENTATIVI DI INTERESSI ECONOMICO-PROFESSIONALI. 
Premessa - 5.1. Il Consiglio di indirizzo e vigilanza dell'Inps. Le funzioni del presidente - 
5.1.1. La prevalenza del voto del presidente a parit� di suffragi - 5.2. L'Assemblea del C.N.E.L. 
Le attribuzioni del presidente quale primus inter pares - 5.2.1. La vexata quaestio circa l'ammissibilit� 
di una potest� di polizia delle sedute nel silenzio del diritto positivo - 6. GLI ORGANI 
COLLEGIALI CON FUNZIONI GIURISDIZIONALI. Introduzione - 6.1. Gli organi giudicanti civili e penali. 
Le funzioni che individuano il contenuto tipico della posizione di primazia presidenziale 
- 6.1.1. I poteri di sovraordinazione del presidente - 6.2. Gli organi giudicanti amministrativi. 
La posizione di primus inter pares del presidente all�interno del consesso - 6.2.1. I poteri del 
presidente che esprimono episodi di preminenza sostanziale sugli altri componenti - 6.3. La 
Corte costituzionale. Ruoli e funzioni del presidente - 6.3.1. La prevalenza del voto presiden- 
(*) Avvocato in Roma, Ricercatore di Diritto Amministrativo presso l�Universit� degli Studi Guglielmo 
Marconi. 
Studio tratto da �La primazia negli organi collegiali pubblici� di GABRILE PEPE, Editoriale Scientifica, 
Napoli, 2014 (Ricerche giuridiche - Collana diretta da A. CELOTTO, F. LIGUORI, L. ZOPPOLI). 
Il Lettore interessato al tema pu� consultare in Rassegna 2014, Vol. 4, p. 322, la parte precedente dello 
studio con il quale �vengono delineati i tratti distintivi della primazia�.
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ziale a parit� di suffragi - 6.3.2. Omesso compimento da parte del presidente di un atto vincolato: 
possibili rimedi. 
1. Premessa. 
Delineati i tratti distintivi della primazia, occorre vagliarne le ricadute 
applicative in alcune famiglie di organi collegiali pubblici; si intende, da un 
lato, analizzare il concreto esercizio delle funzioni presidenziali in una prospettiva 
fisiologica e patologica; dall�altro, evidenziare gli effetti che taluni 
elementi e vicende afferenti l�ufficio di presidente e il rispettivo titolare possono 
avere sulla posizione di primus inter pares del presidente. 
Come illustrato, la iuris figura della primazia ha un ambito d'azione trasversale, 
trovando applicazione in tutti gli organi collegiali e, segnatamente, in 
quelli: di autogoverno; a composizione tecnica; politico-assembleari; rappresentativi 
di interessi economico-professionali; con funzioni giurisdizionali (1). 
All'ufficio di presidente accede necessariamente una posizione di primazia 
dai caratteri tipici e predeterminati, che si articola in una pluralit� di funzioni 
amministrative discrezionali (convocazione delle riunioni, formulazione dell'ordine 
del giorno, direzione dei lavori, polizia delle sedute), teleologicamente 
orientate ad assicurare la regolarit� del procedimento (2); funzioni, dunque, 
dalla natura formale-procedurale che risultano strumentali al soddisfacimento 
della finalit� deliberativa. Pertanto, la primazia si caratterizza, in via generale, 
per la posizione di preminenza formale del presidente e per la reciproca pariordinazione 
di tutti i componenti. 
Ciononostante, nella prassi � possibile riscontrare alcuni eccezionali episodi 
di preminenza sostanziale del presidente sugli altri membri, quale effetto 
di un esercizio pi� intenso delle funzioni di primus inter pares. In queste fattispecie, 
conseguentemente, l'ordinaria posizione di preminenza formale viene, 
occasionalmente, ad arricchirsi di ulteriori caratteri di preminenza sostanziale, 
con ricadute sul procedimento di formazione della volont� collegiale. 
Le cause principali di tale fenomeno vanno rintracciate in una pluralit� 
di elementi e vicende afferenti l�ufficio di presidente ed il rispettivo titolare 
quali: la contestuale posizione di organo monocratico; la previsione di peculiari 
requisiti soggettivi per la preposizione all�ufficio; la titolarit� di poteri di 
sovraordinazione; l�assenza di un potere di revoca da parte dei componenti. 
Da ultimo, nel patologico esercizio delle funzioni di primus inter pares. 
Come si evidenzier� nel prosieguo, ad avere la maggiore incidenza sulla 
(1) Non potendo offrire una puntuale descrizione di ciascun organo collegiale, si � preferito circoscrivere 
la trattazione alle famiglie pi� significative, considerate in grado di evidenziare meglio natura 
e caratteri della figura organizzatoria della primazia. 
(2) Tali funzioni sono obbligatoriamente assegnate al presidente anche laddove il singolo ordinamento 
collegiale non le preveda espressamente; in tali fattispecie si applicher� in via analogica la normativa 
prescritta in altri organi per funzioni speculari.
260 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2015 
iuris figura della primazia sono la contestuale posizione di organo monocratico 
e la titolarit� di poteri di sovraordinazione (3). 
Con precipuo riferimento alle ipotesi di patologia delle funzioni, l'analisi 
verr� circoscritta ai casi di omissione di atti vincolati da parte del presidente. 
Si pensi all'ipotesi di inerzia nella convocazione della riunione e nella fissazione 
dell'ordine del giorno a fronte della richiesta di un numero di componenti 
a ci� legittimato; ne discende, come corollario, la vexata quaestio in ordine 
all'individuazione di rimedi esperibili nel silenzio del diritto positivo (4). 
L'applicazione di uno o pi� rimedi giuridici tesa ad ovviare all'inadempimento 
del presidente appare conforme ai caratteri di equiordinazione della primazia 
nonch� alla natura formale e strumentale dei poteri assegnati al presidente 
per il regolare svolgimento dei lavori. Ove, per ipotesi, si negasse l'applicazione 
di un rimedio, il presidente andrebbe considerato un primus non gi� inter pares 
ma super pares, in una posizione cio� di vera e propria sovraordinazione rispetto 
agli altri componenti; una soluzione francamente inaccettabile alla luce dei principi 
che governano il fenomeno collegiale. Pi� coerentemente � preferibile la 
tesi secondo la quale da un'interpretazione logico-sistematica delle norme vigenti 
si ricaverebbero strumenti giuridici idonei a neutralizzare l'omesso esercizio 
delle funzioni presidenziali; ci� al precipuo fine di tutelare la correttezza 
di ogni attivit� del collegio, scongiurando illegittime condotte ostruzionistiche 
del presidente, inconciliabili con la sua posizione di primazia formale. 
Pi� in generale, gli elementi e le vicende afferenti l�ufficio presidenziale 
ed il rispettivo titolare, anche ove riverberino i loro effetti sulle funzioni di 
primus inter pares determinando episodi di preminenza sostanziale, non sono 
idonei, tuttavia, a compromettere i caratteri generali della primazia e, segnatamente, 
la posizione di preminenza formale del presidente e la reciproca pariordinazione 
di tutti i componenti. 
(3) La contemporanea posizione di organo monocratico, ricoperta dal presidente in aggiunta al 
ruolo di primus inter pares in seno al collegio presieduto, � in grado di accentuare l'esercizio delle funzioni 
presidenziali di impulso e coordinamento, generando episodi di preminenza sostanziale sugli altri 
componenti. Tali considerazioni risultano, altres�, applicabili ai poteri presidenziali di sovraordinazione; 
si pensi, in tal senso, ai poteri istruttori attribuiti al presidente nei collegi giudicanti oppure alla prerogativa 
che, in sede di votazione, conferisce prevalenza al voto del presidente a parit� di suffragi; prerogativa 
quest�ultima che necessita di una puntuale previsione di diritto positivo, rappresentando una 
deroga al principio che assegna eguale peso giuridico al voto di tutti i componenti. Per fare alcuni esempi 
la prevalenza del voto presidenziale, in caso di parit� dei suffragi, � contemplata da: a) art. 20 R.d. 
1054/1924 Consiglio di Stato in sede consultiva; b) art. 16 co. III l. 87/1953 Corte costituzionale; c) art. 
5 co. II l. 195/1958 Consiglio superiore della magistratura; d) art. 7 D.p.r. 426/1984 Tar Trentino Alto 
Adige.
(4) La maggior parte degli organi collegiali pubblici attribuisce espressamente ad una frazione 
del collegio il potere di richiedere, con efficacia vincolante, la convocazione dell�adunanza con formulazione 
del relativo ordine del giorno. Tale disposizione non �, di regola, accompagnata dalla previsione 
di alcun rimedio sostitutivo in caso di inerzia del presidente. Ciononostante, un rimedio giuridico deve 
potersi ricavare dal sistema della collegialit� sia per assicurare la funzionalit� dell'organo sia per tutelare 
le legittime pretese dei richiedenti.
DOTTRINA 261 
2. Gli organi collegiali di autogoverno. Cenni introduttivi. 
Con l'espressione organo collegiale di autogoverno si suole indicare l'organo 
di garanzia che persegue istituzionalmente la finalit� di assicurare l'autonomia 
di un ordine giudiziario e l'indipendenza dei magistrati ad esso appartenenti. 
L'ordinamento italiano contempla una pluralit� di organi di autogoverno 
in ragione della pluralit� delle magistrature esistenti (ordinaria, amministrativa, 
contabile, tributaria, militare) (5); tali organi si identificano, rispettivamente, 
nel Consiglio superiore della magistratura, nel Consiglio di presidenza della 
giustizia amministrativa, nel Consiglio di presidenza della Corte dei conti, nel 
Consiglio di presidenza della giustizia tributaria e, da ultimo, nel Consiglio 
della magistratura militare. Si � ritenuto opportuno circoscrivere l'analisi ai 
primi tre organi collegiali, soffermandosi su alcuni elementi e vicende afferenti 
l�ufficio presidenziale che possono incidere sulla iuris figura della primazia. 
Come sostenuto da autorevole dottrina, "il principio dell'autogoverno 
giudiziario rappresenta un connotato esistenziale ed un meccanismo pressoch� 
insostituibile per la tutela dell'indipendenza dei giudici, per una precisa scelta 
dei costituenti" (6); un principio generale, dunque, che si � tradotto nel corso 
dei decenni nella predisposizione di un complesso ed articolato sistema di garanzie, 
funzionalmente simile ma strutturalmente eterogeneo per ciascun 
plesso giurisdizionale. 
Oltre alle peculiarit� che caratterizzano i diversi organi di garanzia (7), 
occorre esaminarne i principali elementi comuni. Innanzitutto � d�obbligo evidenziare 
il ruolo irrinunciabile del presidente che ricopre una posizione di primazia 
formale per ragioni di funzionalit� del procedimento. In special modo 
si evince da un'analisi empirica come anche negli organi collegiali di autogoverno 
la figura della primazia si articoli nelle tipiche funzioni amministrative 
di convocazione delle adunanze, formulazione dell'ordine del giorno, direzione 
(5) D'ALOIA A., L'autogoverno delle magistrature non ordinarie nel sistema costituzionale della 
giurisdizione, Edizioni scientifiche italiane, Napoli, 1996. CARAVITA B. (a cura di), Gli organi di garanzia 
delle magistrature. Profili istituzionali del governo autonomo del potere giudiziario, Jovene, Napoli, 
2013. POLICE A., Le garanzie istituzionali dell'indipendenza dei giudici amministrativi in un confronto 
tra diversi modelli di governo, in Scritti in onore di P. Stella Richter, vol. I, Editoriale scientifica, Napoli, 
2013, pp. 361 e ss. 
(6) D'ALOIA A., L'autogoverno delle magistrature non ordinarie nel sistema costituzionale della 
giurisdizione, op. cit., pp. 163-164: "Una scelta puntualmente specificata per la magistratura tradizionalmente 
ordinaria (civile e penale), ma in realt� implicitamente accolta (alla luce del sistema costituzionale 
complessivo, e in conformit� all'art. 101 co. 2) anche per i giudici di cui all'art. 103". 
(7) CARAVITA B. (a cura di), Gli organi di garanzia delle magistrature. Profili istituzionali del governo 
autonomo del potere giudiziario, op. cit.: "La stessa Corte costituzionale spesso ha accomunato 
questi diversi soggetti dell'ordinamento nella comune definizione di organi di garanzia delle magistrature, 
preferendo tale formula a quella di uso pi� corrente di organi di autogoverno; la Corte ha evidentemente 
voluto sottolineare l'aspetto teleologico della loro istituzione, che � appunto non gi� quello di 
ipotizzare una mera autoreferenzialit� del corpo magistratuale, bens� quello di tutelare il principio costituzionale 
delle garanzie di autonomia ed indipendenza".
262 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2015 
dei lavori, polizia delle sedute; funzioni, a carattere discrezionale, che riflettono, 
da un lato, la posizione di mera preminenza formale del presidente e, 
dall�altro, la reciproca pariordinazione di tutti i componenti. 
La discrezionalit� di tali funzioni conferisce al presidente margini di apprezzamento 
e valutazione nello svolgimento dei propri compiti nei limiti tracciati 
dalla normativa vigente; del resto, sono frequentemente previsti vincoli 
o controlli allo svolgimento della discrezionalit�; si pensi alla facolt�, spesso 
riconosciuta ad uno o pi� componenti, di proporre reclamo avverso gli atti 
presidenziali, investendo della decisione l'intero collegio (8). 
In particolare, gli ordinamenti degli organi di autogoverno della magistratura 
convergono sulla comune finalit� di ridurre, e alle volte azzerare, la discrezionalit� 
del presidente nell�esercizio delle funzioni di primus inter pares. 
In special modo, nei casi di omesso o cattivo esercizio, sono rinvenibili rimedi, 
anche diversi, per superare situazioni di impasse o conflitto potenzialmente 
pregiudizievoli per l�iter collegiale. Per il C.S.M., ad esempio, nell�ipotesi di 
omissione di atti presidenziali vincolati, si prevede la facolt� di ricorso al plenum 
del collegio per provocarne un intervento sostitutivo; in questo modo si 
tutela, da una parte, la funzionalit� del consesso e, dall�altra, l�autonomia della 
pi� complessa istituzione da ingerenze di altri poteri. Viceversa, con riferimento 
ai Consigli di presidenza della giustizia amministrativa e della Corte dei conti, 
il silenzio delle rispettive normative impone di individuare nel sistema della 
collegialit� uno o pi� rimedi giuridici, anche presso organi giurisdizionali 
esterni, in grado di sterilizzare abusi od ostruzionismi del presidente. 
Proseguendo nella ricerca dei tratti comuni agli organi di autogoverno, � 
importante sottolineare il rilievo assunto dalla contestuale posizione di organo 
monocratico del presidente che va ad aggiungersi alla posizione di primazia 
in seno al plenum (9). Tale fenomeno interessa, in primo luogo, i presidenti 
del Consiglio di presidenza della giustizia amministrativa e della Corte dei 
conti, i quali ricoprono contemporaneamente, la posizione, rispettivamente, 
di Presidente del Consiglio di Stato e di Presidente della Corte dei conti. La 
diversa ed esterna posizione di organo monocratico � idonea ad accentuare 
l�intensit� di esercizio delle funzioni di primus inter pares, determinando episodi 
di preminenza sostanziale del presidente sugli altri componenti, ben oltre 
i confini di preminenza formale tipici della primazia. 
(8) La necessit� di una puntuale disposizione di diritto positivo, che eccezionalmente imponga limiti 
o renda vincolati gli atti presidenziali, si giustifica tenendo conto della natura generalmente discrezionale 
delle funzioni che connotano in senso tipico la figura organizzatoria della primazia. 
(9) Per esempio, il presidente del Consiglio di presidenza della giustizia amministrativa �, altres�, 
presidente della pi� ampia istituzione Consiglio di Stato presso cui l�organo di autogoverno risulta incardinato; 
conseguentemente la medesima persona fisica rivestir� due differenti posizioni giuridiche, 
l�una di primus inter pares quale coordinatore delle sedute del collegio, l�altra, di organo monocratico 
con poteri direttivi ed organizzativi sulla prima incidenti.
DOTTRINA 263 
Ciononostante, gli eccezionali episodi di preminenza sostanziale, come 
si approfondir� nel presieguo, non sono in grado di alterare i caratteri generali 
della primazia e, segnatamente, la posizione di preminenza formale del presidente 
e la reciproca pariordinazione di tutti i componenti. 
Le considerazioni svolte sono, altres�, applicabili, al Consiglio superiore 
della magistratura, con alcune puntualizzazioni determinate dalla delega di 
funzioni al Vicepresidente e dalla �doppia presidenza� che ne consegue. 
2.1. Il Consiglio superiore della magistratura. Posizioni e funzioni del Presidente della Repubblica 
interne ed esterne al plenum del C.S.M. 
Il Consiglio superiore della magistratura (C.S.M.) (10) � l'organo di autogoverno della 
magistratura ordinaria, civile e penale (11), previsto e regolato nei suoi aspetti fondamentali 
dall'art. 104 della Costituzione. Tale collegio si inquadra nel pi� ampio genus dei collegi imperfetti 
o virtuali. Controversa �, inoltre, la sua natura giuridica per alcuni amministrativa per 
altri giurisdizionale (12). 
In seno al Consiglio superiore della magistratura una posizione di rilievo � esercitata 
dal Capo dello Stato cui � affidata ratione officii la presidenza dell�istituzione (artt. 87 penul. 
co. e 104 co. II Cost.) (13). Le attribuzioni presidenziali sono, poi, disciplinate dalla l. 24 
marzo 1958, n. 195 e dal d.p.r. 16 settembre 1958, n. 916 e s.m.i. 
All�interno del plenum del C.S.M. � previsto l�ufficio di presidente con compiti di direzione 
formale delle attivit� del consesso. A tale ufficio � preposta la persona del Presidente 
della Repubblica o del Vicepresidente eletto in seno al collegio, che riveste una posizione di 
primazia formale rispetto agli altri componenti. 
Nelle attivit� di promozione e coordinamento dei lavori, il preposto all�ufficio presi- 
(10) La bibliografia in tema � sterminata. Senza pretese di completezza si rinvia ai contributi di 
SANTOSUOSSO F., Il Consiglio superiore della magistratura, Milano, 1957. GLINNI P., Il Consiglio superiore 
della magistratura: funzione e struttura, Roma, 1959. DAGA L., Il Consiglio superiore della magistratura, 
Jovene, Napoli, 1973. FERRARI G., voce Consiglio superiore della Magistratura, in Enc. giur. 
Treccani, vol. VIII, Roma, 1988. BESSONE M.-CARBONE V., voce Consiglio Superiore della Magistratura, 
in Dig. disc. pubbl., Utet, Torino, 1989. FERRI G., Il Consiglio Superiore della Magistratura e il suo 
Presidente, Cedam, Padova, 1995. MAZZAMUTO S., Il Consiglio superiore della magistratura. Aspetti 
costituzionali e prospettive di riforma, Giappichelli, Torino, 2001. PIANA D.-VAUCHEZ A., Il Consiglio 
superiore della magistratura, Il Mulino, Bologna, 2012. DI FEDERICO G. (a cura di), Ordinamento giudiziario. 
Uffici giudiziari, CSM e governo della magistratura, II ed., Cedam, Padova, 2012. 
(11) Secondo BARTOLE S., Autonomia e indipendenza dell'ordine giudiziario, Cedam, Padova, 
1964, pp. 6-10, il Consiglio superiore della magistratura non sarebbe ascrivibile alla categoria degli organi 
propriamente rappresentativi. 
(12) Per la natura amministrativa del Consiglio superiore della magistratura VOLPE G., voce Ordinamento 
giudiziario generale, in Enc. dir., vol. XXX, Milano, 1980, p. 836. Contra BARILE P., Magistratura 
e Capo dello Stato, in Studi in Memoria di Carlo Esposito, I, Cedam, Padova, 1972, p. 558, il 
quale riconosce al C.S.M. natura giurisdizionale. In realt� � rintracciabile del vero in entrambe le tesi: 
se da, un lato, le principali attivit� del Consiglio superiore rivestono carattere amministrativo (si pensi 
ai provvedimenti di trasferimento dei magistrati o di autorizzazione allo svolgimento di incarichi extragiudiziari), 
dall'altro, l'organo di autogoverno pu� essere chiamato, in talune ipotesi, a svolgere funzioni 
propriamente giurisdizionali (si considerino le attivit� compiute dalla Sezione disciplinare). 
(13) In dottrina, ex multis, ARCIDIACONO L., La presidenza del Consiglio Superiore della Magistratura, 
in Studi in Memoria di M. Condorelli, vol. II, Giuffr�, Milano, 1988.
264 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2015 
denziale svolge un ruolo di primus inter pares (14) che si esplica nell�esercizio delle funzioni 
amministrative di convocazione delle adunanze, formulazione dell'ordine del giorno, direzione 
dei lavori, polizia delle sedute; funzioni, di natura discrezionale, che riflettono molti dei caratteri 
delle presidenze degli organi collegiali (15). In particolare, occorre segnalare come la 
discrezionalit�, che normalmente le connota, possa essere azzerata da una loro configurazione 
in senso vincolato. Significativa a riguardo � l�ipotesi di inottemperanza del vicepresidente 
alla richiesta di inserzione di argomenti all�ordine del giorno da parte dei consiglieri; in questa 
fattispecie l�art. 46 del regolamento consente di investire della questione l�intero collegio. 
Inoltre, il preposto all�ufficio presidenziale, oltre a ricoprire il ruolo di coordinatore dei 
lavori del plenum, riveste, contestualmente, la posizione di organo monocratico dell�intera 
istituzione C.S.M., esercitandone le relative funzioni (di rappresentanza esterna, di direzione 
degli uffici, di organizzazione amministrativa ecc.) (16). 
La posizione di organo monocratico risulta, poi, particolarmente rafforzata ove sia ricoperta, 
non gi� dal vicepresidente ma direttamente dal Presidente della Repubblica. Ne discende, 
in ragione della peculiare collocazione del Capo dello Stato nel sistema costituzionale 
nonch� dei compiti ad esso assegnati, un�ulteriore accentuazione in senso sostanziale della 
posizione di primazia presidenziale nell�ambito del plenum del C.S.M.. In altri termini risulter� 
potenziata, ben oltre l�id quod plerumque accidit, l�intensit� di esercizio delle funzioni di primus 
inter pares e, conseguentemente, l�influenza sul procedimento collegiale e sulla attivit� 
(14) SILVESTRI G., Giustizia e giudici nel sistema costituzionale, Giappichelli, Torino, 1997, p. 
191. Secondo l'Autore "dalla Costituzione e dalle leggi ordinarie si deduce una figura del Presidente 
del Consiglio Superiore della Magistratura ispirata alla logica dell'orizzontalit� e della collegialit�, 
anzich� della gerarchia e della verticalit�. Il Capo dello Stato, nella sua qualit� di Presidente del C.s.m., 
� un componente del collegio, un primus inter pares. Egli assume l'ufficio di diritto". FERRARI G., voce 
Consiglio superiore della Magistratura, in Enc. giur. Treccani, op. cit. Il presidente del C.S.M. fa parte 
del collegio "non gi� quale Presidente della Repubblica, quale potere a s�, ma quale membro dell'organo 
collegiale, sia pure, ovviamente come primus inter pares (...). Il Presidente fa corpo col collegio, � tutt'uno 
in esso e con esso". Contra BARTOLE S., Autonomia e indipendenza dell'ordine giudiziario, op. 
cit., pp. 71-73. 
(15) FERRI G., Il Consiglio Superiore della Magistratura e il suo Presidente, op. cit., p. 281. Secondo 
l'Autore "rispetto ad ogni singolo componente del collegio e all'insieme di essi, il Presidente del 
C.S.M. ha in pi� solo quei poteri che norme espresse e princ�pi inespressi conferiscono ai presidenti di 
organi collegiali". Di avviso contrario BENVENUTI S., Il Consiglio superiore della magistratura francese: 
una comparazione con l'esperienza italiana, Giuffr�, Milano, 2011, p. 27, il quale ritiene, viceversa, 
che il Presidente della Repubblica ricopra all�interno del Consiglio superiore un ruolo che "va al di l� 
delle attribuzioni proprie del presidente di un organo collegiale". Le considerazioni in tema di primazia 
risultano, altres�, applicabili al Consiglio supremo di difesa. In argomento PREDIERI A., Il Consiglio supremo 
di difesa e i poteri del Presidente della Repubblica, in Studi sulla Costituzione, op. cit.: "Al Presidente 
del Consiglio supremo di difesa compete la posizione di primazia peculiare ai presidente di 
organi collegiali, particolarmente notevole, sia soprattutto per la autorit� e il prestigio del Capo dello 
Stato, sia per i poteri esplicitamente a lui conferiti. Il Presidente, oltre al potere di dirigere e moderare 
la discussione, ha quello di predisporre l'ordine del giorno e porre le questioni; pu� convocare il Consiglio 
supremo di difesa di propria iniziativa". 
(16) Per una rassegna delle innumerevoli funzioni, esterne ed interne, del Capo dello Stato quale 
presidente del Consiglio superiore della magistratura si rinvia alla Costituzione, alla l. 24 marzo 1958, 
n. 195 e al regolamento di organizzazione. In dottrina recentemente MORETTI A., Il Presidente della 
Repubblica come Presidente del Csm, Jovene, Napoli, 2011. CARAVITA B., (a cura di), Gli organi di 
garanzia delle magistrature. Profili istituzionali del governo autonomo del potere giudiziario, op. cit., 
pp. 22-34.
DOTTRINA 265 
degli altri componenti. Diversamente nei casi di delega delle funzioni in favore del vicepresidente, 
sar� costui a svolgere i compiti riconducibili alla posizione di organo monocratico, 
sicch� l�influenza sulla posizione di primazia sar� certamente di intensit� pi� moderata, alla 
stregua di quanto accade negli altri organi collegiali di autogoverno. 
In ogni caso i minoritari episodi di preminenza sostanziale, riconducibili alla contestuale 
posizione di organo monocratico, sono assorbiti nei maggioritari episodi di preminenza formale, 
scaturenti dall�esercizio delle funzioni di convocazione delle adunanze, formulazione 
dell�ordine del giorno, direzione dei lavori e polizia delle sedute, che connotano in senso dominante 
il nucleo della primazia. 
2.1.1. La delega di funzioni al vicepresidente con particolare riferimento all'atto di convocazione.
In virt� delle plurime attribuzioni costituzionalmente assegnategli, il Capo dello Stato 
� sovente impossibilitato a svolgere i compiti di Presidente del C.S.M.; pertanto, a tutela della 
piena funzionalit� dell�istituzione, ed in special modo del plenum, sia la Carta costituzionale 
(17) sia fonti primarie e secondarie attribuiscono al vicepresidente un rilievo maggiore rispetto 
a quanto normalmente previsto negli organi collegiali pubblici (18). Infatti, ai sensi dell'ultima 
parte della disposizione di cui all'art. 19 l. 195/1958, il vicepresidente, oltre a sostituire il presidente 
in caso di assenza o impedimento (c.d. ruolo vicario), esercita le attribuzioni indicate 
dalla legge e svolge le funzioni che gli vengono espressamente delegate (19). 
Un riconoscimento che trova conferma nell'art. 4 del regolamento da cui si evince come 
ogni funzione sia delegabile al vicepresidente (20), salvo talune eccezioni (21). Dall'esame 
del dato normativo si evince, dunque, la ammissibilit� di una delega generale delle attribuzioni 
presidenziali (sia di primus inter pares sia di organo monocratico) in favore del vicepresidente; 
molte di queste connotano in senso tipico la posizione di primazia, identificandosi nelle fun- 
(17) L'art. 104 co. V Cost. cos� recita: "Il Consiglio elegge un vice-presidente fra i componenti 
designati dal Parlamento". La disposizione assume rilievo decisivo nella consacrazione del ruolo del 
vicepresidente, trattandosi dell'unica norma costituzionale che in tema di organi collegiali prevede espressamente 
siffatta figura. 
(18) BARTOLE S., Autonomia e indipendenza dell'ordine giudiziario, op. cit. 
(19) Alla delega di funzioni in favore del vicepresidente si applicano le regole generali in tema di 
delega amministrativa. Si rinvia in proposito ai contributi di FAZIO G., La delega amministrativa e i rapporti 
di delegazione, Giuffr�, Milano, 1964. FRANCHINI F., La delegazione amministrativa, Giuffr�, Milano, 
1950. MIELE G., voce Delega (Dir. amm.), in Enc. dir., vol. XI, Milano, 1962, pp. 905 e ss. Secondo 
l'Autore la delega consisterebbe in "un'attribuzione ad altri della competenza a provvedere per singoli 
atti o per una materia, fatta sul fondamento della propria competenza a provvedere per i medesimi atti 
o per la medesima materia". VERBARI G.B., Rilievi sulla delega amministrativa del presidente del consiglio 
superiore della magistratura, in L'amministrazione italiana, 1972, p. 1343. CAMMELLI M., voce 
Delega amministrativa, in Enc. giur. Treccani, vol. X, Roma, 1988. MARTINI C., voce Delega (Dir. 
amm.), in Diz. dir. pubbl., diretto da S. CASSESE, vol. III, Giuffr�, Milano, 2006, p. 1755. 
(20) Storicamente si segnala un episodio di delega generale durante la presidenza Cossiga, quando 
il Capo dello Stato conferisce al vicepresidente Galloni l'esercizio della quasi totalit� delle attribuzioni 
presidenziali; ne segue un periodo di accesi contrasti tra presidente e vicepresidente sulla ripartizione 
delle rispettive sfere di competenza. In proposito FERRI G., Il Consiglio Superiore della Magistratura e 
il suo Presidente, op. cit. 
(21) Si tratta delle ipotesi di: indizione delle elezioni dei componenti magistrati; richiesta ai presidenti 
dei due rami del Parlamento di provvedere all'elezione dei membri laici; convocazione della 
prima adunanza del Consiglio.
266 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2015 
zioni di convocazione delle adunanze, direzione dei lavori, polizia delle sedute; la formulazione 
dell�ordine del giorno non pu� essere oggetto di delega in quanto direttamente assegnata 
dall�ordinamento al vicepresidente. 
Nel corso degli anni si � assistito ad una "doppia presidenza" del C.S.M. articolata in 
una etero-presidenza del Capo dello Stato e in una presidenza effettiva del vicepresidente 
(22); quest'ultimo ha rappresentato, e rappresenta tuttora, stabile figura di impulso e coordinamento 
dei lavori del plenum. 
Con riferimento alla funzione di convocazione delle adunanze va detto come la prima 
convocazione, quale atto teleologicamente orientato all'insediamento del collegio, sia prerogativa 
esclusiva del Presidente della Repubblica, costituendo uno dei pochi atti non delegabili 
(23). Le successive convocazioni possono, viceversa, essere delegate al vicepresidente, previa 
costituzione dell'ufficio di presidenza. �, infine, riconosciuto ad un prescritto numero di componenti 
il potere straordinario di richiedere, con efficacia vincolante, al vicepresidente la convocazione 
dell�adunanza nonch� l�inserzione di determinati argomenti all'ordine del giorno. 
In proposito, si evidenziano i significativi poteri assegnati al collegio dall�art. 50 del regolamento: 
�Al termine di ogni seduta, indipendentemente dal procedimento normale di convocazione 
da parte del Presidente del Consiglio, o, in sua vece, dal Vicepresidente, il Consiglio 
pu� deliberare, a maggioranza, la data della sua successiva convocazione e l'ordine del 
giorno di tale seduta�. Dal quadro descritto emerge, pertanto, come al concreto esercizio della 
funzione di convocazione del plenum partecipino, a vario titolo, pi� figure soggettive in posizioni 
differenti. 
Con riferimento, poi, alla funzione direttiva delle adunanze, si fa notare come essa risulti 
ampiamente delegabile dal Capo dello Stato in favore del vicepresidente (24); per ulteriori 
aspetti trovano applicazione le considerazioni di ordine generale sulle presidenze degli organi 
collegiali pubblici; il vicepresidente �, conseguentemente, investito di poteri di coordinamento 
dei lavori, esercitando una posizione di primazia formale sugli altri componenti. 
Di particolare interesse �, inoltre, la disposizione di cui all'art. 44 co. I che in sede di 
votazione attribuisce, a parit� di suffragi, prevalenza al voto di chi assuma la presidenza; voto 
che, conseguentemente, risulter� determinante ai fini della approvazione della delibera (c.d. 
votum decisivum). Trattasi di un potere che, pur esprimendo un quid di sovraordinazione sugli 
altri componenti, � riconducibile al modello ed alla disciplina della primazia attraverso la teoria 
generale dell�assorbimento o della prevalenza. 
In relazione, da ultimo, al potere di polizia delle sedute, si ritiene che siffatta funzione 
non debba essere puntualmente individuata nell'atto di delega, risultando, da un lato, implicita 
nel conferimento della potest� di direzione delle adunanze, dall'altro, immanente al 
(22) D'ORAZIO G., La doppia presidenza e le sue crisi (il Capo dello Stato e il consiglio superiore 
della magistratura), in Quad. cost. 1992. 
(23) Il fondamento della non delegabilit� dell'atto di prima convocazione si rinviene nella circostanza 
che, non essendosi insediato l'organo collegiale, non risulta ancora individuato un vicepresidente, 
il quale normalmente sar� eletto nella prima adunanza tra i componenti laici. In argomento TERESI R., 
La riforma del Consiglio Superiore della Magistratura, Edizioni scientifiche, Napoli, 1994, p. 83: "� 
certo innanzitutto che la prima convocazione del consiglio - avuto riguardo al momento dei singoli insediamenti 
- non solo spetta, ma non pu� avvenire se non ad opera del Presidente della Repubblica". 
(24) La ratio di una delega cos� ampia si rinviene nell�esigenza che gli atti pi� importanti dell'iter 
collegiale si svolgano sotto la vigilanza e la direzione della persona fisica (il vicepresidente) che concretamente 
eserciti i compiti dell'ufficio presidenziale.
DOTTRINA 267 
fenomeno stesso della collegialit� (25); ci� non esclude, tuttavia, la possibilit� di una sua 
espressa menzione. 
� d�obbligo, a questo punto, domandarsi se l�esercizio o il mancato esercizio della potest� 
di delega abbia delle ricadute sulla figura organizzatoria della primazia. La delega di 
funzioni, prima facie, non sembra incidere n� sulla struttura n� sui contenuti della primazia, 
poich� le relative attribuzioni, in quanto inerenti l'ufficio presidenziale, sono insensibili ad 
avvicendamenti personali quanto a titolarit� od esercizio. 
Ciononostante, da un pi� attento esame, emerge come la posizione di primazia assuma 
una differente intensit� di svolgimento, idonea a generare episodi di preminenza solo formale o 
anche sostanziale, a seconda che le relative funzioni siano esercitate direttamente dal Capo dello 
Stato oppure delegate al vicepresidente; ci� in ragione tanto della diversa autorevolezza delle 
due figure quanto della eterogenea influenza esercitabile dal Presidente delle Repubblica e dal 
vicepresidente in qualit� di organi monocratici: maggiore nel primo caso, minore nel secondo. 
In entrambe le fattispecie tendono, quindi, ad aversi ricadute sul ruolo di primus inter 
pares in seno al collegio, attraverso il verificarsi di episodi, pi� o meno intensi, di preminenza 
sostanziale del Capo dello Stato o del vicepresidente sugli altri componenti del plenum; una 
preminenza sostanziale che, sia pur idonea ad incidere sul procedimento di formazione della 
volont� collegiale, non � in grado di alterare i caratteri generali della primazia e, segnatamente, 
la posizione di preminenza formale di chi assuma la presidenza e la reciproca pariordinazione 
di tutti i componenti. 
2.1.2. La formulazione dell'ordine del giorno delle riunioni del Consiglio: Questioni teoriche 
e problemi applicativi. 
La funzione di redazione dell'ordine del giorno ha suscitato accese dispute con riferimento 
alla delimitazione delle sfere di competenze tra le diverse figure soggettive che concorrono 
al suo esercizio (26). 
In proposito l'art. 45 del regolamento prescrive che "l'ordine del giorno di ciascuna seduta 
� predisposto dal Vicepresidente, e, previo assenso del Presidente, � comunicato a tutti componenti 
e al Ministro almeno cinque giorni prima, assieme alla convocazione del Consiglio". 
Tale disposizione ha un ambito applicativo generale, ad eccezione del primo ordine del 
giorno che viene formulato ed inserito nell'atto di prima convocazione dal solo Presidente 
della Repubblica. Trattasi, peraltro, di un ordine del giorno dai contenuti per lo pi� determinati 
ex lege, in cui sia la titolarit� che l'esercizio del potere sono appannaggio esclusivo del Capo 
dello Stato (27). 
(25) La presidenza del plenum del C.S.M., alla stregua della presidenza di qualsivoglia organo 
collegiale, deve essere munita di poteri idonei al mantenimento o al ripristino dell'ordine delle sedute, 
in ragione della imprescindibile necessit� di assicurare il buon andamento dei lavori. 
(26) PIZZORUSSO A., Poteri del Csm e poteri del Presidente del Csm circa la formazione e la modificazione 
dell'ordine del giorno delle sedute, in Questione giustizia, 1985, p. 735. PATRONO M., La 
formazione dell'ordine del giorno del C.S.M. e i poteri del Presidente della Repubblica, in Dir. e soc. 
1991. PAGANI I., La posizione del Presidente della Repubblica nel Consiglio Superiore della Magistratura 
con particolare riferimento alla formazione dell'ordine del giorno dei lavori, in Dir. e soc. 1992. 
(27) In questa eccezionale ipotesi l'esercizio del potere di formulazione dell'ordine del giorno non 
pu� essere delegato dal Presidente della Repubblica, a causa del mancato insediamento del Consiglio; 
insediamento che si compie successivamente con l'elezione dell'ufficio di presidenza. (Sul punto FERRI 
G., Il Consiglio Superiore della Magistratura e il suo Presidente, op. cit.).
268 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2015 
Pi� in generale, alla predisposizione dell�ordine del giorno, quale funzione condivisa, 
sono chiamati a partecipare, con poteri differenti, Presidente della Repubblica, vicepresidente 
e Consiglio. 
Un prima peculiarit� concerne il riconoscimento in favore del vicepresidente del potere 
di individuazione degli argomenti da porre all�ordine del giorno (28). In questo modo l�ordinamento 
del C.S.M. intende rafforzarne il ruolo di stabile ed effettivo coordinatore dell�iter 
collegiale; ne consegue l'inammissibilit� di qualsivoglia atto di delega da parte del Capo dello 
Stato per carenza di titolarit� del potere. All�esercizio di tale funzione partecipa, come detto, 
a vario titolo anche la maggioranza del collegio. 
� necessario, a questo punto, domandarsi se la condivisione di questa funzione tra diverse 
figure soggettive ed, in particolare, il previo assenso presidenziale (29) abbiano ricadute 
sulla iuris figura della primazia. 
Al quesito va fornita risposta negativa. In primo luogo occorre evidenziare come la posizione 
di preminenza formale del presidente e la reciproca pariordinazione di tutti i componenti, 
tipici della primazia, non risultino compromessi da un esercizio condiviso della funzione e, segnatamente, 
dal previo assenso presidenziale oppure dalla facolt� di inserzione e/o inversione 
di argomenti da parte del collegio (30). Inoltre, la potest� di intervento, riconosciuta dall�art. 46 
alla maggioranza nei casi di rifiuto del vicepresidente (31), conferma i tratti fondamentali della 
primazia, attraverso la previsione per talune fattispecie di un rimedio surrogatorio interno (32). 
(28) CASTORINA E., Note ricostruttive sul vicepresidente del Consiglio superiore della magistratura, 
in Dir. e soc. 1988, p. 567. 
(29) La dottrina � divisa circa l'esatta natura del previo assenso presidenziale. Secondo PIZZORUSSO 
A., Poteri del Csm e poteri del Presidente del Csm circa la formazione e la modificazione dell'ordine 
del giorno delle sedute, op. cit., p. 735, il Presidente della Repubblica, nel ruolo di coordinatore orizzontale 
dei lavori del plenum, sarebbe titolare di un potere di veto su un ordine del giorno solo temporaneo 
che "si risolve in una proposta che normalmente viene tacitamente approvata dall'assemblea, ma 
che pu� essere respinta o modificata da quest'ultima". 
(30) Secondo parte della dottrina ciascun organo collegiale pubblico sarebbe padrone del proprio 
ordine del giorno. (SILVESTRI G., Giustizia e giudici nel sistema costituzionale, op. cit., il quale richiama, 
a sua volta, le considerazioni di GALATERIA L., Gli organi collegiali amministrativi, op. cit.). Con precipuo 
riferimento al plenum del C.S.M. la disposizione di cui all'art. 50 del regolamento prevede che 
"al termine di ogni seduta, indipendentemente dal procedimento normale di convocazione da parte del 
Presidente del Consiglio, o, in sua vece, dal Vicepresidente, il Consiglio pu� deliberare, a maggioranza, 
la data della sua successiva convocazione e l'ordine del giorno di tale seduta". 
(31) L'art. 46 del regolamento ai co.i I e II testualmente recita: "Ciascuno dei componenti del Consiglio 
pu� chiedere al Vicepresidente che un determinato argomento sia posto all'ordine del giorno. Se il Vicepresidente, 
sentito il Comitato di Presidenza, non ritenga di accogliere la richiesta, ne informa nella successiva 
riunione il Consiglio, che delibera in proposito e, se accolga la richiesta, fissa la data della discussione". 
(32) Il potere di reclamo al collegio in caso di rifiuto del vicepresidente potrebbe applicarsi in via 
analogica alla ipotesi di omissione alla richiesta di inserimento di argomenti all�ordine del giorno avanzata 
dal prescritto numero di componenti. Si sarebbe al cospetto, pertanto, di rimedi interni al sistema, 
in grado di superare rifiuti e ostruzionismi del presidente; viceversa la configurazione di un rimedio sostitutivo 
presso un giudice esterno va ritenuta inammissibile, in quanto idonea a ledere l'autonomia del 
C.S.M. nel quadro dei pubblici poteri. Non sarebbe, nemmeno, esperibile un conflitto di attribuzione 
tra poteri dello Stato dinanzi alla Consulta in quanto, ai sensi della l. 11 marzo 1953, n. 87, tale rimedio 
� ipotizzabile ove sussista un contrasto tra organi appartenenti a poteri diversi dello Stato; organi altres� 
abilitati a dichiarare in via definitiva la volont� del potere di appartenenza. Nel caso di specie si avrebbe, 
diversamente, un conflitto infra-collegiale tra l'ufficio di presidente e gli uffici di componente in seno 
al plenum dell'istituzione.
DOTTRINA 269 
2.2. Il Consiglio di presidenza della giustizia amministrativa. Eterogeneit� delle posizioni del 
presidente e relative funzioni. 
Il Consiglio di presidenza della giustizia amministrativa � l'organo di garanzia e di autogoverno 
dell'intero corpo dei magistrati amministrativi (33); tale organo collegiale, diversamente 
dal Consiglio superiore della magistratura, � istituito non gi� dalla Costituzione, pur 
trovando in essa il proprio fondamento, ma da una legge degli anni '80 del XX sec. (34). L'organo 
di autogoverno della magistratura amministrativa presenta una composizione eterogenea, 
ad esso partecipando magistrati del TAR, del Consiglio di Stato e, da ultimo, membri laici 
eletti dal Parlamento in seduta comune. 
Il Consiglio di presidenza appartiene alla famiglia dei collegi imperfetti o virtuali (35), 
da cui si differenzia, tuttavia, per la eccezionale previsione di componenti supplenti a tutela 
della rappresentanza delle sue diverse anime (36). 
Alla stregua di ogni organo collegiale, il Consiglio di presidenza � retto da un presidente 
preposto alla direzione delle plurime attivit� del consesso; tale figura si identifica, ratione officii, 
nel presidente del Consiglio di Stato che, oltre a ricoprire il ruolo di organo monocratico, 
riveste, altres�, una posizione (interna) di primazia formale quale coordinatore dei lavori (37). 
Con funzioni vicarie �, poi, istituita la figura del vicepresidente, chiamato a svolgere le funzioni 
del presidente in caso di sua assenza o impedimento (38). 
(33) In tema D'ALOIA A., L'autogoverno della magistratura amministrativa di fronte alla Corte 
costituzionale: questioni irrisolte e ipotesi di riforma, Napoli, 1999. PINARDI R., La nuova composizione 
del Consiglio di presidenza della giustizia amministrativa alla luce delle modifiche introdotte dalla 
legge n. 205 del 2000, in Dir. pubbl. 2001, fasc. 1, pp. 327 e ss. POLICE A., Le garanzie istituzionali dell'indipendenza 
dei giudici amministrativi in un confronto tra diversi modelli di governo, in Scritti in 
onore di P. Stella Richter, vol. I, op. cit. IARICCI G.P., Istituzioni di diritto pubblico, Santarcangelo di 
Romagna, Maggioli, 2014, pp. 984-986. 
(34) Trattasi della l. 27 aprile 1982, n. 186 in tema di ordinamento della giurisdizione amministrativa. 
Si segnalano, in quanto di particolare rilievo, le modifiche introdotte alla legge de qua dalla 
successiva l. 21 luglio 2000, n. 205. 
(35) In forza dell'art. 16 della l. 27 aprile 1982, n. 186 e s.m.i. "per la validit� delle votazioni � 
necessaria la presenza di almeno nove componenti". Ci� costituisce prova evidente della natura imperfetta 
o virtuale del collegio. 
(36) Nonostante il Consiglio di presidenza sia un collegio imperfetto o virtuale, l'art. 7 del regolamento 
prevede espressamente la figura dei membri supplenti. Il fondamento della disposizione si rinviene 
nell'idea di assicurare in ogni momento la partecipazione alle sedute di almeno un tot numero di 
componenti per ogni gruppo rappresentato, in quanto la diversa estrazione dei membri garantisce una 
pi� equilibrata ponderazione nelle delibere. 
(37) Sul ruolo del presidente del collegio, quale primus inter pares, nell'attivit� di coordinamento 
dei lavori SANDULLI A.M., Manuale di diritto amministrativo, XV ed., op. cit. 
(38) Ci� risulta espressamente prescritto dall�art. 7 della l. 27 aprile 1982, n. 186 e dall�art. 6 del 
regolamento 6 febbraio 2004, n. 58 e s.m.i. In dottrina PINARDI R., La nuova composizione del Consiglio 
di presidenza della giustizia amministrativa alla luce delle modifiche introdotte dalla legge n. 205 del 
2000, op. cit. Con riferimento all'art. 7 co. VII della l. 27 aprile 1982, n. 186 e s.m.i. l'Autore ritiene che 
la disposizione ricalchi quanto previsto "per il Csm dall'art. 104 co. 5 Cost. anche se qui occorre rilevare 
come la figura del Vicepresidente risulti meno significativa ed il suo ruolo essenzialmente vicario, se � 
vero che lo stesso � chiamato a sostituire il presidente in caso di assenza o impedimento, ma non a presiedere 
normalmente l'organo o a dirigerne l'attivit�". Tale disposizione trova conferma nell'art. 6 del 
regolamento, il quale prevede che, in caso di assenza o impedimento del presidente, sia il vicepresidente 
ad esercitarne tutte le funzioni, aggiungendo, altres�, che, nell'ipotesi di assenza di quest'ultimo, la presidenza 
spetti al componente eletto dal Parlamento pi� anziano di et�.
270 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2015 
Nell'alveo dell'istituzione (complessa) del Consiglio di Stato presso cui � incardinato il 
Consiglio di presidenza, il Presidente svolge una pluralit� di funzioni, interne ed esterne, al 
plenum dell�organo di autogoverno. 
Per quanto concerne le funzioni esterne, il presidente agisce in qualit� di organo monocratico, 
collocandosi in una posizione di sovraordinazione da cui discendono relazioni di direzione 
e coordinamento verticale con il collegio ed i suoi componenti. La diversa ed esterna posizione 
di organo monocratico pu� avere, tuttavia, ripercussioni sulla posizione di primus inter pares in 
seno all'organo di autogoverno, in termini di accentuazione dei profili di preminenza sostanziale, 
peraltro insiti in modo minoritario nel contenuto della primazia. Si pensi ai penetranti poteri organizzatori 
esercitati dal Presidente del Consiglio di Stato e direttamente incidenti sui carichi di 
lavoro dei componenti, magistrati e non, del Consiglio di presidenza; gli episodi di preminenza 
sostanziale, che ne possono eventualmente derivare, non sono, tuttavia, in grado di alterare i caratteri 
generali della iuris figura della primazia ed in particolare la posizione di preminenza formale 
del presidente nonch� la reciproca pariordinazione di tutti i componenti. 
Venendo all'esame delle funzioni assolte dal presidente, quale primus inter pares dei lavori 
del Consiglio (39), va precisato come la posizione di primazia da lui ricoperta si disveli 
nelle funzioni amministrative (discrezionali) di convocazione delle adunanze, formulazione 
dell'ordine del giorno, direzione dei lavori, polizia delle sedute. 
Con precipuo riferimento al potere di convocazione, l'art. 5 co. I del regolamento assegna, 
in via ordinaria, al Presidente del Consiglio di Stato la funzione di convocare e presiedere 
le adunanze nonch� di esercitare ogni altra funzione connessa a tali attribuzioni. Tuttavia, 
l'art. 10 co. V, attribuisce ad almeno quattro componenti il potere di richiedere, con efficacia 
vincolante, la convocazione della seduta, da cui discende l�obbligo del presidente di provvedere 
in senso conforme entro venti giorni. 
Premessa la natura vincolata dell'atto presidenziale di convocazione, quid iuris in caso 
di sua omissione? Applicando una soluzione gi� sperimentata in altri organi collegiali pubblici, 
potrebbe individuarsi un rimedio nell'azione avverso il silenzio di cui agli artt. 31 e 117 c.p.a. 
dinanzi al TAR del Lazio (40). 
(39) SANDULLI A.M., Manuale di diritto amministrativo, XV ed., op. cit.: "Dalle relazioni di gerarchia, 
di direzione e di coordinazione, va tenuta distinta la posizione di presidenza, la quale ricorre, 
per lo pi� negli organi collegiali, allorch� a uno degli esponenti di un organo complesso viene attribuita 
in proprio una funzione di predisposizione, propulsione, coordinazione, guida e disciplina dei lavori 
comuni. Tale funzione viene esercitata al servizio dell'attivit� collegiale, ma anche con atti posti in 
essere prima e dopo delle riunioni del collegio (fissazione dell'ordine del giorno, convocazione, nomina 
del relatore, firma dei verbali ecc...)". 
(40) Pi� in generale sul rimedio avverso il silenzio della pubblica amministrazione si segnalano, 
a titolo esemplificativo, gli studi di VIOLA L., Le azioni avverso il silenzio della p.a. nel nuovo codice 
del processo amministrativo: aspetti problematici, op. cit. CENTOFANTI N., La nuova disciplina del silenzio 
della P.A.: comportamenti inadempienti, tutela amministrativa e giurisdizionale, op. cit. GUACCI 
C., La tutela avverso l'inerzia della pubblica amministrazione secondo il Codice del processo amministrativo, 
op. cit. MIGNONE C.-VIPIANA P.M., Manuale di giustizia amministrativa, op. cit. TRAVI A., Lezioni 
di giustizia amministrativa, X ed., op. cit. GALLO C.M., Manuale di giustizia amministrativa, VI 
ed., op. cit. JUSO R., Lineamenti di giustizia amministrativa, V ed., a cura di R. ROLLI, op. cit. ROLLI R., 
La voce del diritto attraverso i suoi silenzi: tempo, silenzio e processo amministrativo, op. cit. SASSANI 
B.-VILLA R., Il codice del processo amministrativo: dalla giustizia amministrativa al diritto processuale 
amministrativo, op. cit.MONETA G., Elementi di giustizia amministrativa, op. cit. CORRADINO M.-STICCHI 
DAMIANI S., Il processo amministrativo, op. cit.
DOTTRINA 271 
In relazione, poi, alla formulazione dell'ordine del giorno, l'art. 12 conferisce al presidente 
il potere di indicare gli argomenti di ciascuna seduta e di modificarne la sequenza di 
trattazione, fatti salvi i poteri del collegio (41). Del resto, "all'inizio di ogni seduta, in caso di 
particolare urgenza, su proposta del Presidente o di ciascuno dei componenti, il Consiglio, 
ove siano presenti tutti i suoi componenti aventi diritto al voto, pu� deliberare di aggiungere 
all'ordine del giorno altri argomenti. Tuttavia, se un componente ne fa richiesta, l'argomento 
� rinviato ad altra seduta". Il regolamento prevede, altres�, che l'ordine del giorno debba 
essere comunicato almeno 7 giorni prima della riunione a tutti i componenti. 
Per quanto concerne il potere di direzione dei lavori, le principali disposizioni a riguardo 
sono contenute negli artt. 15 (42) e 16 (43) del regolamento; per quanto non espressamente 
previsto trova applicazione, in via analogica, la disciplina all'uopo dettata per il C.S.M. 
Infine, con riferimento al potere presidenziale di polizia delle sedute, la normativa sul 
Consiglio di presidenza tace al riguardo. Nonostante il silenzio del diritto positivo, un fondamento 
giuridico alla potest� di polizia delle riunioni pu� rinvenirsi in un principio inespresso, 
ricavabile da una interpretazione sistematico-deduttiva delle vigenti norme in tema collegialit�; 
il principio secondo cui, stante l'obbligatoriet� dell'ufficio presidenziale, la posizione di 
primazia, ad esso riconducibile, si manifesterebbe in ciascun collegio in una pluralit� di fun- 
(41) L'art. 13 del regolamento prescrive in tal senso che "nel corso della seduta, ogni punto all'ordine 
del giorno � esaminato secondo l'ordine di iscrizione, e non si passa al successivo se sul precedente 
non si sia deliberato. Il Presidente della seduta, di propria iniziativa o anche su richiesta di un 
componente pu� decidere di modificare l'ordine di trattazione in relazione a punti connessi. Se vi sia 
opposizione o se il Presidente ritenga di non accogliere la proposta il Consiglio delibera a maggioranza 
sull'ordine dei lavori". 
(42) In base all'art. 15 "il relatore designato dalla Commissione o dal Presidente introduce e conclude 
la discussione generale. Introduce, altres�, la discussione dei singoli punti del testo della proposta 
da votare, ove siano necessari o richiesti esame e votazione per parti separate. Il relatore che per qualsiasi 
motivo venga a trovarsi nella impossibilit� di riferire � tempestivamente sostituito con altro relatore 
dal Presidente della Commissione o dal Presidente del Consiglio di Presidenza per gli affari iscritti all'ordine 
del giorno della stessa seduta. Ogni componente pu� intervenire secondo l'ordine di iscrizione 
una sola volta e per non pi� di cinque minuti. Lo stesso componente pu� nuovamente intervenire una 
sola volta per non pi� di cinque minuti dopo l'intervento degli altri componenti iscritti a parlare. Il Presidente 
pu� eccezionalmente derogare ai limiti di tempo degli interventi. Prima della chiusura della discussione 
generale ogni componente pu� presentare emendamenti al testo oggetto della discussione 
stessa chiarendone sinteticamente i motivi. Su ogni emendamento ogni componente pu� intervenire per 
non pi� di cinque minuti. Qualora siano stati presentati pi� emendamenti ad uno stesso testo, essi sono 
posti ai voti cominciando da quelli che pi� si allontanano dal testo originario: prima quelli interamente 
soppressivi, poi quelli parzialmente soppressivi, quindi quelli modificativi, e infine quelli aggiuntivi". 
(43) Secondo l'art. 16 "per la validit� delle votazioni � necessaria la presenza di almeno nove 
componenti. Alle votazioni si procede di norma per alzata di mano. Se lo richiedono almeno due componenti, 
si procede per appello nominale. La votazione avviene per ordine alfabetico, previo sorteggio 
della lettera con cui iniziare. Il Consiglio delibera a scrutinio segreto sui provvedimenti riguardanti 
persone e lo stato giuridico dei magistrati; delibera, altres�, a scrutinio segreto su richiesta di almeno 
quattro membri. � approvata la proposta che abbia accolto la maggioranza dei voti espressi ivi compresi 
gli astenuti o le schede bianche, salve le ipotesi di maggioranza qualificata. Nel caso in cui la proposta 
della Commissione, come eventualmente emendata, non sia approvata dal Consiglio di Presidenza della 
giustizia amministrativa, vengono poste in votazione nell'ordine, la proposta alternativa formulata in 
Commissione, se esistente, ovvero quella di cui all'art. 15, comma 6. In caso di mancata approvazione 
della proposta della Commissione o della mancata approvazione di quelle alternative, l'argomento posto 
all'ordine del giorno viene rinviato in Commissione".
272 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2015 
zioni astrattamente predeterminate; e tra esse rientra, a pieno titolo, la potest� di polizia delle 
sedute che si manifesta nell�esercizio di poteri di mantenimento e ripristino del regolare svolgimento 
dei lavori. Con riferimento ai contenuti che siffatta prerogativa pu� concretamente 
assumere, si applicher� analogicamente la disciplina all�uopo prevista in altri organi collegiali 
pubblici; puntuali ed esaustive disposizioni sui poteri presidenziali di polizia delle sedute si 
rintracciano nel Regolamento della Camera dei Deputati (Parte Prima, Capo XI e Capo XII, 
artt. 59, 60, 61, 62 e 64). 
2.2.1. La prevalenza del voto del presidente in caso di parit� dei suffragi. 
Ai sensi dell'art. 12 l. 27 aprile 1982, n. 186 e s.m.i., le deliberazioni del Consiglio di 
presidenza della giustizia amministrativa "sono prese a maggioranza e a voto palese"; inoltre 
"in caso di parit�, prevale il voto del presidente". 
L'ultima parte della disposizione, che attribuisce funzione dirimente al voto presidenziale 
in caso di parit� dei suffragi (44), assume particolare interesse, in quanto consente di verificare 
la compatibilit� di un tale potere di sovraordinazione con i caratteri generali della primazia e, 
segnatamente, con la posizione di preminenza formale del presidente e con la reciproca pariordinazione 
di tutti i componenti. 
Del resto, tale eccezionale prerogativa, potrebbe astrattamente incrinare il modello 
equiordinato delle relazioni infra-collegiali (45), con il riconoscimento in capo al presidente 
di una posizione giuridica di sovraordinazione sugli altri membri del consesso (46). 
Questa tesi � superabile attraverso alcune argomentazioni di ordine generale. Innanzitutto, 
la prevalenza del voto presidenziale, riallacciandosi alla finalit� di assicurare il proficuo 
svolgimento delle adunanze, intende scongiurare ritardi o paralisi procedimentali, ostativi al 
soddisfacimento della finalit� deliberativa. D�altronde, ove non fosse previsto un congegno 
giuridico di prevalenza, la parit� dei suffragi renderebbe necessaria una nuova votazione, non 
(44) Per un'analisi delle ipotesi di prevalenza del voto presidenziale, a parit� di suffragi, VITTA 
C., Gli atti collegiali: principi sul funzionamento dei consessi pubblici con riferimenti alle assemblee 
private, op. cit. VALENTINI S., La collegialit� nella teoria dell'organizzazione, op. cit., p. 296. TREVES 
G., L'organizzazione amministrativa, op. cit., p. 50: "Questo maggior potere non pu� esercitarsi se non 
� appositamente conferito, perch� � contrario al principio di uguaglianza fra i membri di un collegio". 
In generale sulle diverse soluzioni adottabili, in caso di parit� di voti, si rinvia ai tradizionali contributi 
di CAMMEO F., La parit� dei voti nelle deliberazioni comunali, op. cit. BORSI U., La parit� di voti nelle 
deliberazioni degli organi collegiali degli enti locali, op. cit. FORTI U., La parit� di voto nelle deliberazioni 
amministrative, op. cit. DE GENNARO G., La parit� di voti nelle deliberazioni amministrative, op. 
cit. LA TORRE M., Parit� di voti e voto del presidente del collegio, op. cit. STRANGES A., Deliberazioni 
dei consigli comunali: effetti della parit� di voti, ripetizione della votazione, op. cit. DAGTOGLOU P., 
Kollegialorgane und Kollegialakte der Verwaltung, op. cit. In giurisprudenza, ex multis, Cons. Stato, 
sez. IV, 27 febbraio 1963, n. 102, in Foro amm. 1963. Cons. reg. sic., sez. VI, 18 maggio 1972, n. 344, 
in Cons. Stato 1974. 
(45) Tutti i voti concorrono in egual misura alla formazione della volont� collegiale. Infatti il 
principio della parit� dei voti rappresenta una regola consustanziale alle relazioni di equiordinazione 
che si instaurano all�interno del consesso. Un principio che discende dall'art. 48 co. II Cost. sull'uguaglianza 
del voto ed �, altres�, applicabile alle votazioni degli organi collegiali. 
(46) D�altronde, la prevalenza del voto presidenziale derogherebbe alla regola quantitativa secondo 
cui ogni voto vale uno e solo la confluenza della maggioranza dei voti su una determinata proposta � in 
grado di consentirne l'approvazione. Noto � il principio secondo cui, normalmente, i voti si contano e 
non si pesano. Il sistema del voto ponderato, viceversa, assegna, valore superiore al voto del presidente 
rispetto ai voti degli altri componenti.
DOTTRINA 273 
considerandosi la proposta n� approvata n� respinta; la parit� dei voti ha di per s� valore neutro 
(47). Inoltre, il maggior valore attribuito al suffragio del presidente, lungi dal costituire prerogativa 
costante di ogni presidenza, rappresenta una prerogativa eccezionale, contemplata 
solo in alcuni organi collegiali, in presenza di un�espressa disposizione abilitante (48). 
Ad ogni modo l'argomentazione pi� convincente per ricondurre la prevalenza del voto 
del presidente del Consiglio di presidenza al contenuto ed ai caratteri tipici della primazia 
pu� rinvenirsi nella teoria generale dell'assorbimento o della prevalenza (49). Sulla scorta di 
tale teoria, la figura organizzatoria della primazia ricomprende nel proprio nucleo interno occasionali 
poteri di sovraordinazione, con relativi episodi di preminenza sostanziale, i quali, 
per la loro marginalit�, appaiono recessivi, risultando assorbiti da (e nei) prevalenti poteri di 
equiordinazione del presidente. 
Da ci� si evince come il fenomeno dell'assorbimento o della prevalenza sia idoneo a 
sterilizzare ed annullare i marginali poteri di sovraordinazione, tra cui la prevalenza del voto 
a parit� di suffragi, occasionalmente esercitati dal presidente in veste di primus inter pares. 
In definitiva la prevalenza del voto, pur potendo esprimere episodi di preminenza sostanziale, 
non � in grado di alterare i caratteri generali della primazia tra cui la posizione di preminenza 
formale del presidente e la reciproca pariordinazione di tutti i componenti. 
2.3. Il Consiglio di presidenza della Corte dei conti. Il contenuto della posizione di primazia 
del presidente. 
Il Consiglio di Presidenza della Corte dei conti (50) � l�organo di autogoverno della magistratura 
contabile, istituito e disciplinato dall'art. 10 l. 13 aprile 1988, n. 117 e s.m.i. (51) e 
dal regolamento interno del 24-25 gennaio 2012; appartiene alla famiglia dei collegi imperfetti 
o virtuali (52). 
(47) � convincimento diffuso che il tempo sia una variabile fondamentale per qualsivoglia attivit� 
umana ivi compresa l'attivit� degli organi collegiali. (Per un penetrante studio filosofico sul tempo DORATO 
M., Che cos'� il tempo?, Carocci, Roma, 2013). In sede di votazione la parit� dei voti, oltre a ritardare 
l'esercizio della funzione deliberativa, rischierebbe in molti casi di paralizzare l'azione del 
collegio, in quanto successive ripetizioni del voto potrebbero condurre nuovamente alla parit�, con arresto 
dell'iter deliberativo; un'ipotesi verosimile nei collegi imperfetti o virtuali specie di piccole dimensioni. 
Attribuire prevalenza al voto del presidente, viceversa, consente di garantire un fruttuoso esito 
al procedimento collegiale. 
(48) In tema si rinvia alle osservazioni di carattere generale di GARGIULO U., I collegi amministrativi, 
op. cit., p. 234. Come acutamente evidenziato dall'Autore "al fine di ritenere raggiunta la maggioranza 
anche in caso di parit� di voti non si pu� dare prevalenza sempre al voto del Presidente; 
altrimenti si altererebbe la par condicio dei componenti. Pertanto se la maggioranza non si � numericamente 
raggiunta, la unificazione tra i voti che d� luogo all'atto collegiale non si � formata e l'atto 
stesso non acquista esistenza giuridica. La proposta non pu� ritenersi n� approvata, n� respinta: essa 
� stata presentata, discussa, votata, ma il collegio non � riuscito a pronunziarsi. Perci� nessun ostacolo 
si oppone a che essa sia nelle forme dovute nuovamente presentata affinch� il collegio, in successiva 
adunanza e diversamente costituito, possa riesaminarla, discuterla e deliberarla". 
(49) In proposito ASQUINI A., Il contratto di trasporto terrestre di persone, op. cit. SICCHIERO G., 
I contratti misti, op. cit. DI PACE R., Partenariato pubblico privato e contratti atipici, op. cit. 
(50) Con la locuzione Consiglio di presidenza si intende far riferimento esclusivamente all'Assemblea, 
non gi� agli altri organi collegiali minori in cui l'istituzione complessivamente considerata 
tende a ripartirsi. 
(51) Si segnalano, in special modo, le modifiche introdotte dall�art. 1, co. I, D.lgs. 7 febbraio 
2006, n. 62 e, pi� di recente, dall�art. 11 della l. 4 marzo 2009, n. 15.
274 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2015 
Alla stregua di qualsivoglia organo collegiale, anche il Consiglio di Presidenza individua 
al proprio interno un ufficio deputato al coordinamento orizzontale delle plurime attivit� del 
consesso; preposto a tale ufficio � il presidente, figura obbligatoria e non rinunciabile, in 
quanto istituita per assicurare in ogni momento la piena funzionalit� dei lavori (53). 
Il Consiglio di presidenza � diretto ratione officii dal presidente della Corte dei conti; in 
questo ruolo di primus inter pares, egli riveste una posizione di primazia formale nell'ambito 
di una relazione di pariordinazione con tutti i componenti del collegio (54). Tale posizione di 
preminenza meramente formale si manifesta, generalmente, nelle funzioni di convocazione 
delle adunanze, formulazione dell'ordine del giorno, direzione dei lavori, polizia delle sedute. 
Si tratta di funzioni amministrative dalla natura ampiamente discrezionale, salvo diversa previsione 
del diritto positivo. 
Con precipuo riferimento al potere di convocazione, ai sensi dell'art. 2 co. I del regolamento 
"la prima riunione del Consiglio � convocata dal Presidente della Corte entro trenta 
giorni dalla comunicazione del decreto del Presidente della Repubblica che lo ha costituito"; 
inoltre in base all'art. 13 co. I "il Presidente predispone il programma semestrale delle adunanze 
consiliari e ne d� comunicazione al Consiglio" (55). 
La disposizione ribadisce, cos�, il principio che individua nel presidente la figura investita, 
in via ordinaria, della funzione di convocazione delle riunioni; nell'ambito del Consiglio 
di presidenza tale funzione sembra, altres�, rafforzata dal riconoscimento di un potere di programmazione 
semestrale delle sedute. 
Nonostante la centralit� del ruolo presidenziale, l'art. 13 co. III assegna ad una Commissione 
o ad almeno tre componenti del plenum il potere di richiedere, in via straordinaria, 
la convocazione della adunanza, con indicazione degli argomenti da porre all'ordine del 
giorno. Si � al cospetto di un'ipotesi di autoconvocazione che, per principio generale, necessita 
pur sempre di un formale atto del presidente, a cui l�ordinamento conferisce un margine di 
apprezzamento sulla richiesta; infatti ove reputi di accoglierla, ne dar� al Consiglio motivata 
comunicazione, che sar� iscritta al primo punto dell'ordine del giorno della successiva seduta 
ordinaria. 
(52) Prova di ci� si rinviene nella disposizione di cui all'art. 17 del regolamento della Corte dei 
conti, il quale in tema di quorum prescrive al co. I che "per la validit� delle sedute � necessaria la presenza 
di almeno sette componenti, dei quali cinque magistrati e due eletti dal Parlamento". 
(53) In base all'art. 5 co. I "il Consiglio e presieduto dal Presidente della Corte dei conti", aggiunge 
poi il co. II che "in caso di assenza o impedimento, il Presidente � sostituito nelle funzioni inerenti allo 
svolgimento delle attivit� del Consiglio, con compiti di Vicepresidente, dal Presidente aggiunto della 
Corte dei conti o, in mancanza, da un membro eletto dal Parlamento, designato secondo un criterio di 
rotazione annuale". Puntualizza poi il co. III che "qualora, nel corso di una seduta del Consiglio cui 
non sia presente il Presidente, si verifichi anche l'assenza di entrambi i componenti di cui al comma 2, 
la presidenza della seduta � assunta, per la durata dell'assenza, dal componente pi� anziano per et�. 
Tale componente assume la presidenza anche all'inizio della seduta in caso di comunicazione di impedimento 
od assenza sia del Presidente sia di entrambi i componenti di cui al comma 2". Per una trattazione 
generale del tema si rinvia all'opera monografica di CIANFLONE A., La supplenza nelle funzioni 
amministrative, op. cit. 
(54) Un principio che riceve esplicita consacrazione all'art. 6 co. I del regolamento secondo il quale 
"tutti i componenti partecipano ai lavori e alle deliberazioni del Consiglio in posizione di parit�". 
(55) Inoltre l'art. 13 co. II prosegue stabilendo che "il Consiglio di presidenza � convocato in adunanza, 
eventualmente divisa in pi� sedute, dal Presidente o, in caso di sua assenza o impedimento, dal 
Presidente aggiunto".
DOTTRINA 275 
Per quanto concerne, poi, la predisposizione dell'ordine del giorno, in base all'art. 15 
co. I, esso viene definito analiticamente dal Presidente anche su segnalazione di argomenti 
da parte dei Presidenti delle Commissioni. Inoltre, secondo l'art. 13 co. IV, il presidente (o 
chi ne fa le veci) "convoca il Consiglio, inviando l'ordine del giorno a tutti i componenti almeno 
quattro giorni prima della seduta". La disposizione rimarca il generale collegamento 
tra l'atto di convocazione e gli argomenti oggetto di trattazione nel primo indicati. 
Le funzioni presidenziali di convocazione delle adunanze e di formulazione dell'ordine 
del giorno, sia pur discrezionali, incontrano taluni limiti; pu� accadere, del resto, che in casi 
eccezionali venga conferito ad un prescritto numero di componenti il potere di richiedere la 
convocazione straordinaria dell'adunanza con l�indicazione dei relativi argomenti. 
Inoltre, l'ordinamento della Corte dei conti riconosce al Consiglio e ad i suoi membri 
significativi poteri in proposito quali le facolt� di inserzione di ulteriori argomenti e di rinvio 
della discussione ad altra seduta (56). Si veda in tal senso l'art. 15 co. III: "All'inizio di ciascuna 
seduta, in caso di particolare urgenza, anche su proposta di uno dei componenti, il Presidente 
pu� aggiungere all'ordine del giorno altri argomenti. Tuttavia, se tre componenti ne fanno 
richiesta, l'argomento � rinviato alla successiva seduta"; inoltre sulla base del co. IV "una 
Commissione ovvero tre membri del Consiglio di presidenza hanno la facolt� di chiedere che 
un determinato argomento sia posto all'ordine del giorno della successiva adunanza, indicando 
uno o pi� relatori. Se il Presidente non ritiene di accogliere la richiesta, ne d� comunicazione, 
motivandola, al Consiglio di presidenza nella stessa adunanza". Quest'ultima parte 
della disposizione assume particolare rilievo in quanto assegna al presidente la facolt� di paralizzare 
la discussione su un dato argomento, impedendone l'inserimento all'ordine del giorno. 
La formulazione dell'ordine del giorno presenta, dunque, i tratti di una funzione concorrente, 
ripartita tra presidente, collegio e componenti; ci� avvalora la tesi circa la natura 
formale della posizione di primazia del presidente; una posizione giuridica che si estrinseca 
nell�esercizio di poteri strumentali al corretto funzionamento del collegio. 
Quanto alla potest� direttiva dei lavori, l'art. 16 del regolamento dispone al co. I che 
"nel corso della seduta ogni argomento all'ordine del giorno � distintamente esaminato secondo 
l'ordine d'iscrizione"; inoltre ai sensi del comma successivo "il Presidente pu�, anche 
su proposta di uno o pi� componenti, modificare la successione degli argomenti da esaminare 
e riunire la discussione di punti connessi. Se vi � opposizione, il Consiglio delibera sull'ordine 
dei lavori". Tale inciso evidenzia il ruolo di mero primus inter pares del presidente, affidando 
ad una deliberazione del collegio la risoluzione di particolari conflitti che possano insorgere 
tra presidente e componenti. Il co. III dell'art. 16 stabilisce, inoltre, che "il Presidente dirige 
la discussione, curando che gli interventi siano svolti in modo sintetico, eventualmente limitando 
il tempo consentito per l'esposizione e il numero degli interventi di ciascun componente, 
salvo quelli dei relatori per le Commissioni". Si tratta dei generali poteri direttivi assegnati a 
ciascun presidente di organo collegiale, in vista del regolare ed ordinato svolgimento delle 
adunanze. 
(56) Prescrive l'art. 13 co. V del regolamento interno che "all'ordine del giorno sono allegati i 
documenti necessari per la trattazione degli argomenti. In caso d'inserimento di documentazione oltre 
i termini di cui ai commi 4 e 6, l'esame dell'argomento pu� essere rinviato dal Consiglio ad una successiva 
adunanza, su richiesta di almeno tre componenti" Aggiunge poi il co. VI che "in caso d'urgenza, 
la convocazione e l'ordine del giorno e le sue eventuali integrazioni devono essere comunicati almeno 
tre giorni prima della seduta, con le proposte delle competenti Commissioni".
276 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2015 
Per quanto concerne, in special modo, la fase delle votazioni (57), prescrive in tal senso 
l'art. 17 co. II: "Le deliberazioni del Consiglio sono adottate a maggioranza dei presenti, 
salvo i casi nei quali la legge o il presente Regolamento stabiliscano una maggioranza speciale"; 
di particolare importanza il co. III, il quale prevede che "salvi i casi in cui � stabilita 
una maggioranza speciale, nell'ipotesi di parit�, prevale il voto del Presidente". Questa disposizione, 
che attribuisce prevalenza al voto del presidente a parit� di suffragi, tende ad essere 
ricorrente, come visto, negli organi collegiali di autogoverno; si rinvia alle considerazioni 
precedentemente espresse in relazione al Consiglio superiore della magistratura e al Consiglio 
di presidenza della giustizia amministrativa. 
La peculiarit� del Consiglio di presidenza della Corte dei conti, in proposito, si rinviene 
nella voluntas legis di circoscrivere ulteriormente questo eccezionale potere presidenziale alle 
ipotesi di votazione a maggioranza dei presenti, con esclusione quindi delle votazioni che richiedano 
maggioranze speciali o qualificate. 
Quanto al potere di polizia delle sedute, tale potere va riconosciuto al presidente sia 
sulla base dell�art. 19 del regolamento (58), sia alla luce di un principio inespresso, ricavabile 
da un'interpretazione sistematico-deduttiva delle vigenti norme sulla collegialit�; il principio 
secondo cui, stante l'obbligatoriet� dell'ufficio presidenziale, la posizione di primazia, di esso 
espressiva, si rivelerebbe in ciascun collegio in alcune funzioni tipicamente predeterminate; 
tra queste rientra, a pieno titolo, la potest� di mantenimento e ripristino dell'ordinato svolgimento 
dei lavori, quale potest� strumentale al corretto funzionamento del consesso (59). 
Descritte le funzioni tipiche della iuris figura della primazia occorre, ora, domandarsi 
se in casi eccezionali la posizione di primazia del presidente possa assumere i caratteri di una 
(57) L'art. 18 del regolamento prevede che: "Relativamente ad ogni argomento posto all'ordine 
del giorno sono discusse e decise, nel seguente ordine e con precedenza su ogni altra, le questioni, sinteticamente 
motivate, relative alle richieste: a) di non deliberazione sull'argomento; b) di rinvio della 
discussione o della deliberazione; c) di sospensione della discussione e della deliberazione sull'argomento 
fino ad una data determinata o ad un momento successivo alla deliberazione su altro argomento 
connesso. Successivamente, per ogni argomento, vengono discusse e deliberate prima le eventuali proposte 
di acquisizione o integrazioni istruttorie e, poi, le questioni di definizione del merito. I richiami 
al Regolamento o per l'ordine del giorno o per l'ordine dei lavori o per la posizione della questione o 
per la priorit� delle votazioni hanno la precedenza sulla questione principale. Prima della votazione 
sulla proposta, si pongono in votazione gli emendamenti. Qualora siano presentati pi� emendamenti 
ad uno stesso testo, essi sono posti in votazione cominciando da quelli che pi� si allontanano dal testo 
originario: prima quelli parzialmente soppressivi, quindi quelli parzialmente sostitutivi ed, infine, quelli 
aggiuntivi. I sub-emendamenti sono votati prima di quello principale. Nel caso siano proposti emendamenti 
parzialmente soppressivi ovvero se il testo proposto dalla Commissione sia suscettibile di essere 
diviso per argomenti distinti, si pu� procedere al voto per parti separate, su richiesta di uno dei componenti; 
si pu� altres�, in tal caso, procedere a discussione divisa su ciascuna parte che venga successivamente 
messa in votazione". L'osservanza dell'ordine di votazione � assicurata, in ogni caso, dal 
presidente del collegio. 
(58) Scarni riferimenti sono contenuti nell'art. 19 del regolamento interno ai sensi del quale "le 
sedute del Consiglio sono pubbliche. Compete al Presidente determinare le modalit� di accesso del 
pubblico in aula". 
(59) Rinvenuta la ratio dell'ammissibilit� del potere presidenziale di polizia delle sedute, va sciolto 
il nodo di gordio dei contenuti assunti in concreto da tale prerogativa nel silenzio della normativa vigente; 
un problema che con riferimento al Consiglio di presidenza della Corte dei conti potrebbe risolversi applicando 
in via analogica la disciplina del Regolamento della Camera dei Deputati (Parte Prima, Capo 
XI e Capo XII, artt. 59, 60, 61, 62 e 64) sui poteri di polizia delle sedute del Presidente di Assemblea.
DOTTRINA 277 
preminenza sostanziale sugli altri componenti, idonea ad incidere sulla formazione della volont� 
collegiale. 
Con riferimento al Consiglio di presidenza della Corte dei conti vi sono elementi che 
fanno propendere per una soluzione affermativa. In primo luogo va osservato come il ruolo 
di primus inter pares in seno al plenum risulti rafforzato dalla contemporanea posizione di 
organo monocratico assunta dal presidente quale vertice organizzativo della Corte dei conti, 
istituzione pi� ampia presso cui � incardinato l'organo di autogoverno. Il rafforzamento della 
posizione di primazia in seno al Consiglio si esplica in un potenziamento delle funzioni presidenziali 
di primus inter pares, con possibili ricadute sul procedimento collegiale. 
In secondo luogo � d'obbligo rilevare l�idoneit� di taluni poteri di sovraordinazione ad 
arricchire con elementi di preminenza sostanziale la posizione di primazia formale del presidente. 
Si pensi ai poteri di urgenza contemplati dall'art. 14 del regolamento in base ai quali 
"il presidente pu� adottare le deliberazioni di competenza del consiglio in caso di obiettiva 
urgenza e nell'impossibilit� di una immediata convocazione del consiglio stesso. Tali deliberazioni 
sono trasmesse al consiglio nella sua prima adunanza, con motivata relazione, al fine 
della loro ratifica" (60). 
Inoltre, episodi di preminenza sostanziale del presidente nel corso dei lavori collegiali 
sono determinati da peculiari elementi o vicende afferenti l�ufficio di presidente e il rispettivo 
titolare, tra cui l�assenza di un meccanismo di revoca da parte dei componenti nonch� il patologico 
esercizio delle funzioni presidenziali. 
In definitiva, va sottolineato come eventuali ed occasionali episodi di preminenza sostanziale 
non risultino in grado di alterare i caratteri generali della primazia e, segnatamente, 
l'ordinaria posizione di preminenza formale del presidente e la reciproca pariordinazione di 
tutti i componenti. Del resto la figura organizzatoria della primazia tollera nel proprio nucleo 
interno poteri di sovraordinazione ed episodi di preminenza sostanziale, che vengono assorbiti 
nelle dominanti funzioni di equiordinazione e nei relativi episodi di preminenza formale, in 
base alla teoria della prevalenza o dell'assorbimento (61). 
2.3.1. Omessa convocazione ed inserzione di argomenti all'ordine del giorno a fronte della 
richiesta del prescritto numero di componenti. 
Di particolare interesse risulta essere la fattispecie, espressamente prevista dagli artt. 13 
e 15 del regolamento, in cui il presidente del Consiglio di presidenza, nonostante la richiesta 
vincolante di quota parte del collegio (62), ometta di convocare l'adunanza e/o di inserire determinati 
argomenti all'ordine del giorno (63). In questo caso l'esercizio delle funzioni ammi- 
(60) Inoltre, ai sensi dell'ultimo inciso dell'art. 14, "sono fatti salvi gli effetti dell'atto fino al momento 
dell'eventuale diniego di ratifica". 
(61) Si vedano in proposito gli studi di ASQUINI A., Il contratto di trasporto terrestre di persone, 
op. cit. SICCHERO G., I contratti misti, op. cit. DI PACE R., Partenariato pubblico privato e contratti atipici, 
op. cit. 
(62) Con riferimento alla mera inserzione di argomenti all'ordine del giorno si tratta di richiesta 
parzialmente vincolante in quanto la lettera dell'art. 15 co. IV consente al presidente di rigettare motivatamente 
l'istanza avanzata dal prescritto numero di componenti. 
(63) Prescrive in tal senso l'art. 13 co. III: "Il Consiglio di Presidenza pu� essere convocato in via 
straordinaria su richiesta motivata di una Commissione o di almeno tre componenti. Nella richiesta di 
convocazione deve essere specificamente indicato l'argomento da porre all'ordine del giorno". Ribadisce, 
poi, l'art. 15 co. IV: "Una Commissione ovvero tre membri del Consiglio di Presidenza hanno la facolt�
278 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2015 
nistrative di convocazione e formulazione dell'ordine del giorno assume caratteri vincolati, 
in tutto o in parte, a seconda che l'istanza riguardi, rispettivamente, la convocazione oppure 
la semplice inserzione di nuovi argomenti. In questa seconda fattispecie, a differenza della 
prima, il presidente godrebbe, infatti, di un certo margine di apprezzamento, potendo rigettare 
espressamente la richiesta con indicazione delle ragioni del dissenso. 
A fronte del silenzio presidenziale sull'istanza dei richiedenti si configura un'omissione 
giuridicamente rilevante, quale effetto della violazione di un obbligo di provvedere. In ordine 
alla mancata inserzione di argomenti all'ordine del giorno � generalmente ammissibile un intervento 
del collegio in sostituzione del presidente, ove la seduta risulti regolarmente convocata. 
Diversamente nelle ipotesi di omessa convocazione dell'adunanza, i componenti del 
Consiglio hanno la sola facolt� di richiedere, con efficacia vincolante, la convocazione della 
seduta al presidente che sar� obbligato a provvedervi. In caso di sua omissione, nel silenzio 
del diritto positivo, occorre individuare un rimedio in grado sia di ripristinare la corretta funzionalit� 
dell�organo sia di tutelare le legittime pretese dei richiedenti. 
In ragione della natura amministrativa della funzione di convocazione omessa, idoneo 
rimedio potrebbe ravvisarsi nell'azione avverso silenzio inadempimento ex artt. 31 e 117 c.p.a. 
(64) dinanzi al TAR del Lazio. In questo modo, dunque, il giudice amministrativo, su ricorso 
di almeno tre interessati, convoca, direttamente o tramite commissario ad acta (65), l'adunanza 
fissandone il relativo ordine del giorno, come da richiesta del prescritto quorum di componenti. 
Si assisterebbe, cos�, all'intervento di un organo giurisdizionale esterno con poteri surrogatori. 
L'ammissibilit� di un siffatto rimedio nel caso di specie trova giustificazione nel principio 
di ordine generale che prevede l'obbligatoriet� dell'ufficio presidenziale e della posizione 
di primazia ad esso correlata. Se necessariamente occorre la presenza di un coordinatore che 
assicuri il corretto funzionamento del collegio �, a fortiori, indispensabile identificare un adeguato 
rimedio in caso di inadempimento da parte del presidente ai propri compiti istituzionali; 
di chiedere che un determinato argomento sia posto all'ordine del giorno della successiva adunanza 
(...). Se il presidente non ritiene di accogliere la richiesta, ne d� comunicazione motivandola, al Consiglio 
di presidenza nella stessa adunanza". 
(64) In dottrina sulla azione avverso il silenzio della P.A. si rinvia ai contributi di VIOLA L., Le 
azioni avverso il silenzio della p.a. nel nuovo codice del processo amministrativo: aspetti problematici, 
op. cit. CENTOFANTI N., La nuova disciplina del silenzio della P.A.: comportamenti inadempienti, tutela 
amministrativa e giurisdizionale, op. cit. GUACCI C., La tutela avverso l'inerzia della pubblica amministrazione 
secondo il Codice del processo amministrativo, op. cit. MIGNONE C.-VIPIANA P.M., Manuale 
di giustizia amministrativa, op. cit. TRAVI A., Lezioni di giustizia amministrativa, X ed., op. cit. GALLO 
C.M., Manuale di giustizia amministrativa, VI ed., op. cit. JUSO R., Lineamenti di giustizia amministrativa, 
V ed., a cura di R. ROLLI, op. cit. ROLLI R., La voce del diritto attraverso i suoi silenzi: tempo, silenzio 
e processo amministrativo, op. cit. SASSANI B.-VILLA R., Il codice del processo amministrativo: 
dalla giustizia amministrativa al diritto processuale amministrativo, op. cit. MONETA G., Elementi di 
giustizia amministrativa, op. cit. CORRADINO M.-STICCHI DAMIANI S., Il processo amministrativo, op. 
cit. Un eventuale rimedio alternativo potrebbe ravvisarsi nella disposizione di cui all'art. 2367 co. II c.c. 
che in tema di Assemblea di S.p.a. prevede il ricorso al Tribunale ordinario per una convocazione ope 
iudicis in caso di rifiuto (e a fortiori omissione) del presidente. 
(65) Pi� in generale sulla figura del commissario ad acta nel giudizio amministrativo VIGNOLA 
V., Esecuzione del giudicato e il commissario ad acta, Napoli, 1994. ORSONI G., Il commissario ad acta, 
Cedam, Padova, 2001. APREA G., Inottemperanza, inerzia e commissario ad acta nella giustizia amministrativa, 
Giuffr�, Milano, 2003. D'ANTONIO S., Il commissario ad acta nel processo amministrativo: 
qualificazione dell'organo e regime processuale degli atti, Editoriale scientifica, Napoli, 2012.
DOTTRINA 279 
ci� a riprova della posizione di preminenza formale del presidente nonch� della reciproca pariordinazione 
di tutti i componenti. 
Ad ogni modo la tutela della sfera di autonomia del Consiglio di presidenza della Corte dei 
conti da ingerenze esterne pare recessiva dinanzi al prioritario interesse alla funzionalit� del plenum, 
considerando altres� la natura di organo di mera rilevanza costituzionale della Corte dei conti. 
3. Gli organi collegiali a composizione tecnica. Premessa. 
Gli organi collegiali a composizione tecnica si inscrivono nel pi� ampio 
genus degli organi amministrativi (66) e ad essi appartengono le Commissioni 
di esame, di concorso (67) e di gara (68), le Commissioni di disciplina, i Collegi 
sindacali. 
Per collegio tecnico si intende, di regola, �un collegio composto di persone 
particolarmente qualificate, chiamate a fornire un giudizio - fondato su 
elementi tecnici - su un determinato fatto, oggetto, persona�, del resto, svolgendo 
un'attivit� di giudizio (69), sono caratterizzati dal particolare tecnicismo 
richiesto ai loro componenti ai fini della valutazione (70). 
(66) TREVES G., L'organizzazione amministrativa, op. cit.: "La legislazione si limita spesso a qualche 
norma generica sulla vita dei collegi amministrativi. Molti (...) vengono creati con provvedimenti 
amministrativi, senza regole sul loro funzionamento. � diffusa allora la tendenza ad estendere la disciplina 
legislativa abbastanza minuta dei consigli comunali". ZUELLI F., Le collegialit� amministrative, op. cit.: 
"La vicenda degli organi collegiali costituisce indubbiamente una delle pagine pi� anomale nella storia 
degli studi di diritto amministrativo. Ben pochi istituti, infatti, hanno cos� poco attirato l'attenzione della 
dottrina come gli organi collegiali; una carenza di interesse di difficile comprensione, soprattutto se si 
consideri il rilievo quantitativo del fenomeno collegiale nella pubblica amministrazione". 
(67) Senza pretese di esaustivit�, in dottrina, NASUTI A., La commissione giudicatrice dei concorsi 
a posti d'impiego presso gli enti locali, Maggioli, Rimini, 1987. In giurisprudenza Cons. Stato, sez. V, 
21 febbraio 1969, n. 86, in Foro it. 1969. 
(68) Si � deciso di non affrontare l�esame delle Commissioni di gara, potendo ad esse applicarsi, 
in via estensiva, le considerazioni relative alle Commissioni di esame e di concorso. Sulle Commissioni 
di gara, in giurisprudenza, ex plurimis, Cons. Stato, sez. VI, 6 aprile 1987, n. 230, in Cons. Stato 1987. 
Tar Veneto, sez. I, 7 agosto 2013, n. 1022, in www.giustizia-amministrativa.it. 
(69) In proposito VALENTINI S., La collegialit� nella teoria dell'organizzazione, op. cit., p. 225. 
Ad avviso dell'Autore, tuttavia, vi sarebbe una seconda tipologia di collegi tecnici che si ha "quando 
una pluralit� di persone � chiamata a pronunciarsi, ciascuna su argomenti tecnici diversi per i quali 
sia competente, onde emettere un giudizio complessivo su un fatto, una persona, un oggetto. Tale categoria 
non ha molto a che fare con quella precedentemente descritta; in essa troviamo pi� persone che 
svolgono funzioni aventi talora oggetto completamente diverso". In questa seconda categoria vige "la 
pi� completa atipicit�; talora la diversit� di funzioni rileva fino al momento decisorio, nel senso che 
ciascuno non � affatto competente a sindacare il giudizio sulle materie di altrui competenza, ma si limita 
a riferire, in una riunione finale, quanto gli risulta. In questi casi non sembra possa dirsi che trattasi di 
veri collegi, quanto piuttosto di mere riunioni di esperti, mentre la decisione - rectius il giudizio - se 
viene emanato, si ottiene sommando automaticamente le valutazioni di questi". 
(70) Sui collegi a composizione tecnica, in dottrina, GALATERIA L., Gli organi collegiali amministrativi, 
op. cit. GARGIULO U., I collegi amministrativi, op. cit. VALENTINI S., La collegialit� nella teoria 
dell'organizzazione, op. cit. TREVES G., L'organizzazione amministrativa, op. cit. VERBARI G.B., voce 
Organi collegiali, in Enc. dir., op. cit. ZUELLI F., Le collegialit� amministrative, op. cit. NASUTI A., La 
commissione giudicatrice dei concorsi a posti d'impiego presso gli enti locali, op. cit. In giurisprudenza 
Cons. Stato, sez. VI, 13 febbraio 1973, n. 39, in Foro amm. 1973.
280 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2015 
I collegi tecnici si collocano, altres�, nella famiglia dei collegi perfetti o 
reali da cui mutuano parte della propria disciplina, tra cui, il quorum costitutivo 
integrale, la presenza di membri supplenti (71) e l�inammissibilit� di forme di 
astensione al momento del voto. 
A differenza dei collegi giudiziari, i cui componenti hanno uno status professionale 
che nasce dal rapporto di servizio, i collegi tecnici sono, invece, 
formati da membri scelti ad horas, in virt� della temporaneit� e straordinariet� 
dell'organo. I collegi tecnici godono, inoltre, di alcune caratteristiche che li 
distinguono, altres�, dai collegi rappresentativi di interessi economico-professionali; 
in special modo "i membri che li costituiscono (...) non si presentano 
come titolari di interessi puntualizzati in enti, categorie, uffici", bens� risultano 
titolari dell'interesse oggettivo al "buon funzionamento della pubblica amministrazione" 
(72). 
Ai collegi a composizione tecnica si applica perfettamente la figura organizzatoria 
della primazia con le relative considerazioni sul ruolo di primus 
inter pares esercitato dal presidente nel coordinamento delle attivit� del consesso; 
un ruolo che si manifesta generalmente nelle tipiche funzioni amministrative 
di convocazione delle riunioni, formulazione dell'ordine del giorno 
(73), direzione dei lavori, polizia delle sedute; d�altronde, tali funzioni presidenziali 
si caratterizzano per la natura meramente formale-procedurale e per 
la strumentalit� rispetto al corretto svolgimento delle adunanze; attraverso il 
loro concreto esercizio la primazia si rivela quale posizione di ordinaria preminenza 
formale del presidente sugli altri componenti. 
Occorre domandarsi, a questo punto, se in particolari casi la posizione di 
primazia possa assumere, altres�, connotati sostanziali, idonei ad incidere sulla 
libera formazione della volont� collegiale. La risposta a tale quesito deve tener 
presenti, da un lato, le caratteristiche di tali organi e, dall�altro, gli elementi e 
le vicende afferenti l�ufficio di presidente ed il rispettivo titolare. 
(71) GARGIULO U., I collegi amministrativi, op. cit., pp. 215-216: "Pur divenendo la supplenza 
operativa appena si verifica l'impedimento del titolare, la partecipazione del supplente ai lavori � sempre 
condizionata da un atto del presidente, che ammette o invita il supplente a far parte del collegio". 
Inoltre "il supplente deve intervenire al posto del componente per la cui sostituzione � stato nominato, 
avendo la stessa qualificazione e non al posto di componente diverso". In giurisprudenza, ex multis, 
Cons. Stato, sez. V, 25 gennaio 2003, n. 344 e Cons. Stato, sez. VI, 10 febbraio 2006, n. 543, in 
www.giustizia-amministrativa.it. 
(72) GALATERIA L., Gli organi collegiali amministrativi, vol. I, op. cit., pp. 14-15: "La diversit� di 
opinioni che in tali collegi pu� manifestarsi sino al punto da portare a dichiarazioni divergenti (relazioni 
di minoranza) non deve trarre in inganno; la disparit� di dichiarazioni infatti non scaturisce perch� i 
membri si presentano come titolari di interessi diversi, ma semplicemente perch� l'attuazione o la cura 
dell'unico e medesimo interesse pu� atteggiarsi in modo diverso tra i componenti del collegio". 
(73) Con riferimento agli organi collegiali tecnici va segnalata una peculiarit� relativa alla predisposizione 
dell'ordine del giorno: pur rientrando nelle attribuzioni presidenziali, tale funzione risulta 
quasi interamente vincolata dalla legge e conseguentemente rimessa, se non in minima parte, alla prudente 
determinazione del presidente.
DOTTRINA 281 
Innanzitutto, da un'analisi casistica emerge l'assenza di una contestuale 
ed esterna posizione di organo monocratico da parte del presidente, in aggiunta 
alla posizione di primazia in seno al collegio presieduto (74). Ulteriore elemento 
di differenziazione rispetto a molti organi collegiali �, inoltre, la ricorrente 
assenza, tra le attribuzioni presidenziali, di poteri di sovraordinazione 
sugli altri componenti (75). Da ultimo, si evidenziano i modesti effetti che la 
previsione di peculiari requisiti soggettivi per la preposizione all'ufficio (76) 
e l�assenza di un meccanismo di revoca da parte dei componenti riverberano 
sulla iuris figura della primazia. 
Il quadro sopra descritto riduce sensibilmente gli episodi, gi� di per s� 
eccezionali, di preminenza sostanziale del presidente sugli altri membri, circoscrivendoli 
alle ipotesi di patologico esercizio delle funzioni presidenziali, 
tra cui rientra quella di omissione di atti vincolati (77). Ne discende come nei 
collegi a composizione tecnica, pi� che in altri collegi, risultino valorizzati i 
caratteri generali della primazia e, segnatamente, la posizione di preminenza 
formale del presidente e la reciproca pariordinazione di tutti i componenti. 
3.1. Le funzioni del presidente di Commissione di esame e di concorso quale primus inter 
pares: Fisiologia e patologia di esercizio . 
Le Commissioni di esame e di concorso rientrano tra gli organi collegiali a composizione 
tecnica (78). Si tratta di organi temporanei che svolgono attivit� di giudizio (79), esercitando 
(74) Tale regola subisce, ovviamente, alcune eccezioni con riferimento alle Commissioni di disciplina 
presso gli enti pubblici territoriali. Si pensi, ad esempio, alle Commissioni istituite nei Comuni, 
specie se di modeste dimensioni, che sono frequentemente presiedute dal Sindaco. In questa fattispecie 
� chiaro come la contestuale posizione di organo monocratico � idonea ad accentuare la posizione di 
primazia del presidente in seno alla Commissione, nonch� le relative funzioni, con ricadute sul procedimento 
collegiale e sull�autonomia dei componenti. 
(75) In special modo la prerogativa che assegna prevalenza, a parit� di suffragi, al voto del presidente 
non risulta necessaria, trattandosi di organi collegiali reali o perfetti, costituiti, di solito, da un numero 
dispari di componenti; conseguentemente ipotesi di parit� nel voto non sono configurabili. 
(76) Si pensi alle Commissioni di gara ove � prescritto il possesso di specifici requisiti soggettivi 
ai fini della preposizione all'ufficio di presidente; requisiti che possono, ad esempio, consistere nella 
qualifica dirigenziale in luogo della qualifica di funzionario, sufficiente per ricoprire l'ufficio di mero 
componente. 
(77) Tale fattispecie si configura, ad esempio, nei casi di richiesta di convocazione straordinaria 
avanzata dal prescritto numero di componenti in base ad un'espressa disposizione di diritto positivo; 
poich� le singole normative, pur configurando in senso vincolato l'atto di convocazione, nulla prevedono 
in caso di omissione da parte del presidente, � d'obbligo ricavare dal sistema della collegialit� uno o pi� 
rimedi giuridici in grado di tutelare sia la corretta funzionalit� del consesso sia le legittime pretese dei 
richiedenti. In questo modo, infine, si ripristina la posizione di preminenza formale del presidente, temporaneamente 
alterata da un eccezionale episodio di preminenza sostanziale. 
(78) In giurisprudenza, ex multis, Cons. Stato, sez. V, 21 febbraio 1969, n. 86, cit. Tar Sicilia Catania, 
sez. III, 23 aprile 2002, n. 702, in Foro Tar 2002. 
(79) GARGIULO U., I collegi amministrativi, op. cit., p. 210. Secondo l'Autore il collegio "esprime 
un giudizio che viene formulato su una contesa di interessi o quanto meno su una comparazione di interessi, 
valutata in base al particolare criterio indicato dalla norma, per la cui attuazione il giudizio 
stesso viene compiuto. La pronuncia riguarda situazioni (ad es. qualit� status, ecc.) concernenti persone,
282 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2015 
una funzione tecnico-discrezionale in vista dell�interesse alla selezione dei candidati pi� meritevoli. 
Hanno natura di organi perfetti o reali (80). 
In ciascuna Commissione, il presidente, quale coordinatore delle attivit� del consesso, 
agisce in qualit� di primus inter pares (81), ricoprendo una posizione di primazia formale 
sugli altri componenti dai caratteri tipici e predeterminati; del resto la primazia si esplica, generalmente, 
nelle funzioni amministrative (discrezionali) di convocazione delle adunanze, 
formulazione dell'ordine del giorno, direzione dei lavori, polizia delle sedute (82). 
Con precipuo riferimento al potere di convocazione, le Commissioni di esame e di concorso 
sono, di regola, convocate dal presidente attraverso un autonomo atto di impulso; ciascun 
ordinamento collegiale detta, sovente, una puntuale disciplina in proposito; tuttavia anche 
nel silenzio del diritto positivo, la funzione di convocazione delle adunanze spetterebbe comunque 
al presidente, in ragione della posizione di primazia da lui ricoperta (83). 
In relazione alla potest� di formulazione dell'ordine del giorno, anch'essa costituisce 
prerogativa necessaria dell'ufficio presidenziale; nelle Commissioni di esame e di concorso 
si rinviene, altres�, la peculiarit� di una predeterminazione ex lege dell'ordine del giorno, trattandosi 
di collegi ad oggetto fisso; una conformazione legale che, tuttavia, non elide la competenza 
del presidente, limitandosi a circoscriverne l'ambito applicativo (84). 
Per quanto concerne, poi, il potere di direzione dei lavori, � il presidente a dirigere ogni 
attivit� della Commissione (svolgimento delle prove, discussione in sede di giudizio, votazione 
ecc.); un potere, dunque, immanente all'ufficio presidenziale, generalmente riconosciuto anche 
in assenza di un�espressa disposizione di diritto positivo. Con particolare riferimento alla fase 
della votazione, occorre precisare come il voto del presidente sia uguale al voto degli altri 
membri (principio della par condicio). Eventuali ipotesi di prevalenza del voto presidenziale, 
a parit� di suffragi, necessitano tassativamente di una disposizione normativa abilitante. 
Venendo, da ultimo, ai poteri di polizia delle sedute, essi rappresentano una prerogativa 
costante e necessaria di ciascun presidente di Commissione; prerogativa strumentale all'ordisia 
direttamente (ad es. le pronunce di commissioni di esami), sia indirettamente (ad es. le pronunce 
delle commissioni giudicatrici di concorso, le quali sono seguite dall'atto di nomina; le pronunce delle 
commissioni di disciplina, le quali sono seguite dal provvedimento disciplinare)". 
(80) Ciononostante la dottrina, per rendere pi� celere e snella l'azione di tali organi, tende a qualificarli 
in alcuni momenti della loro attivit� come collegi imperfetti o virtuali, con applicazione della 
relativa disciplina. In argomento gi� VALENTINI S., La collegialit� nella teoria dell'organizzazione, op. 
cit., p. 224. Secondo l'Autore le Commissioni di esame e di concorso sarebbero "collegi di ponderazione 
quando esaminano, di composizione quando deliberano mediando i singoli giudizi". 
(81) In giurisprudenza, ex plurimis, Tar Sicilia, Catania, sez. III, 23 aprile 2002, n. 702, cit. 
(82) Tali funzioni, che rappresentano il contenuto necessario della primazia, hanno natura formale-
procedurale e strumentale all'ordinato andamento dei lavori del consesso. In dottrina, ex multis, 
GALATERIA L., Gli organi collegiali amministrativi, op. cit. GARGIULO U., I collegi amministrativi, op. 
cit. VALENTINI S., La collegialit� nella teoria dell'organizzazione, op. cit. VERBARI G.B., voce Organi 
collegiali, in Enc. dir., op. cit. ZUELLI F., Le collegialit� amministrative, op. cit. VILLATA R., voce Collegi 
amministrativi, in Enc. giur. Treccani, op. cit. 
(83) Per l'individuazione, poi, delle norme concretamente applicabili sar� possibile avvalersi del 
procedimento analogico con estensione della normativa contemplata in altri collegi per ipotesi speculari. 
(84) L�ordine del giorno � predefinito quasi interamente nei suoi contenuti, donde la discrezionalit� 
del presidente nella sua formulazione appare fortemente ridotta; conseguentemente risultano ridimensionati 
i poteri del collegio in sede di modifica, inversione o inserzione di nuovi argomenti all'ordine 
del giorno.
DOTTRINA 283 
nato svolgimento delle sedute che si indirizza sia verso i commissari componenti sia verso 
soggetti terzi (esaminandi o persone a vario titolo presenti) (85). 
� necessario, a questo punto, domandarsi se l'ordinaria posizione di preminenza formale 
del presidente possa, occasionalmente, tradursi in episodi di preminenza sostanziale, tali da 
condizionare la libera formazione della volont� collegiale. 
Un�analisi casistica dimostra come nelle Commissioni di esame e di concorso la primazia, 
pi� che in altri collegi, tenda a non oltrepassare i confini di una preminenza strettamente 
formale, in ragione degli elementi e delle vicende che afferiscono l�ufficio di presidente ed il 
relativo titolare. 
In particolare l'assenza di una contestuale ed esterna posizione di organo monocratico 
nonch� la ricorrente carenza di poteri di sovraordinazione da parte del presidente tendono a 
rendere ancor pi� eventuali i gi� marginali episodi di preminenza sostanziale sugli altri componenti. 
Episodi di preminenza sostanziale che si rinvengono quasi esclusivamente nelle ipotesi 
di patologia delle funzioni presidenziali. In tal senso � opportuno dedicarvi brevi cenni. 
Come noto, le funzioni di convocazione delle riunioni, formulazione dell'ordine del 
giorno, direzione dei lavori e polizia delle sedute del presidente di Commissione hanno natura 
amministrativa discrezionale; ne deriva, quindi, il riconoscimento in capo al presidente di un 
margine di apprezzamento e scelta per molti tratti non sindacabile, salvo limiti e i vincoli puntualmente 
individuati dal diritto positivo (86). 
In proposito si consideri l'ipotesi di omessa convocazione dell'adunanza a fronte della 
richiesta vincolante del prescritto numero di componenti; in questa fattispecie il presidente � 
obbligato a provvedere in conformit� della richiesta, stante la natura vincolata dell'atto. Quid 
iuris in caso di inadempimento? La questione � aggravata dalla ricorrente assenza di un rimedio, 
segnatamente, nelle ipotesi di totale omissione da parte del presidente. � chiaro come i 
principi generali in tema di collegialit� postulino la necessaria individuazione di uno o pi� rimedi 
idonei a ripristinare l'ordinato svolgimento dei lavori nonch� la reciproca pariordinazione 
tra componenti. 
Possibili rimedi, tra loro alternativi, potrebbero rintracciarsi nel: ricorso al giudice ordinario 
(Tribunale civile) ex art. 2367 co. II c.c.; ricorso al giudice amministrativo (TAR) ex 
artt. 31 e 117 c.p.a. (87). 
Attraverso l'esercizio di tali azioni si riconoscerebbe ai membri-richiedenti il potere di 
(85) Nelle Commissioni di esame e di concorso l'ambito applicativo della potest� di polizia delle 
sedute concerne sia i terzi (esaminandi o persone a vario titolo presenti), sia i commissari componenti 
del collegio. Nei riguardi di questi ultimi sono, tuttavia, rari i casi di esercizio di una potest� di polizia 
da parte del presidente, in ragione della assenza di conflittualit� tra interessi eterogenei, tipica viceversa 
degli organi collegiali politico-assembleari. 
(86) Vero � che i singoli ordinamenti collegiali alle volte introducono limitazioni al pieno esercizio 
della discrezionalit�, prevedendo forme di condivisione con altri componenti o attribuendo alla maggioranza 
del collegio la potest� decisoria su singole questioni; ma � altrettanto vero che si tratta, pur sempre, 
di ipotesi eccezionali che necessitano di un espresso fondamento normativo. Diversamente, nel silenzio 
del diritto positivo, il presidente di Commissione di esame e di concorso gode di ampia discrezionalit� 
nell'esercizio delle funzioni che rappresentano il contenuto tipico della sua posizione di primazia. 
(87) Il ricorso al TAR appare rimedio preferibile in ragione della natura amministrativa della funzione 
presidenziale omessa; inoltre sempre con riferimento all'ipotesi di mancata convocazione dell'adunanza 
ricorrono tanto la violazione dell'obbligo giuridico di provvedere quanto la natura vincolata 
dell'atto ai fini della formazione di un silenzio-inadempimento.
284 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2015 
rivolgersi ad un organo giurisdizionale che verrebbe chiamato, in via sostitutiva, a convocare 
l'adunanza, compiendo direttamente l'atto presidenziale omesso. 
Diversamente, in assenza di qualsivoglia rimedio contro l'inerzia presidenziale, si dovrebbe 
rilevare una posizione non gi� di primazia ma di sovraordinazione del presidente in 
seno alla Commissione di esame e di concorso; un primus non gi� inter pares ma super pares; 
tesi, ovviamente inconferente, da un lato, con il principio della par condicio che ispira le relazioni 
infra-collegiali, dall'altro, con la configurazione della primazia quale posizione di ordinaria 
preminenza formale. 
3.2. La posizione di primazia presidenziale nelle Commissioni di disciplina. 
Le Commissioni (dette anche Consigli) di disciplina (88) sono organi collegiali perfetti 
o reali (89), formati, di regola, da un numero dispari di componenti (90). Le Commissioni 
di disciplina sono istituite presso enti pubblici, territoriali e non, come pure presso 
strutture che perseguono interessi collettivi meritevoli di tutela (ad esempio gli ordini professionali 
(91)). 
Una parte della dottrina fa notare come la proliferazione dei Consigli di disciplina sia 
avvenuta nel XX sec., specialmente nel settore del pubblico impiego (92). 
(88) In tema da considerarsi sempre attuali i contributi di VITTA C., Il potere disciplinare sugli 
impiegati pubblici, Milano, 1913. nonch� ID., voce Consigli disciplinari, in Enc. giur. it., vol. III, Milano, 
1936, pp. 762 e ss. LANDI G., voce Disciplina (Dir. pubbl.), in Enc. dir., vol. XIII, Milano, 1964, pp. 17 
e ss. Secondo l'Autore "il vocabolo disciplina si ricollega etimologicamente al latino discere (imparare) 
donde discipulus (...). I sensi in cui viene usato sono per� molteplici". La locuzione disciplina �, conseguentemente, 
una locuzione polisemica. Si intende per disciplina "l'habitus psicologico o etico dell'osservanza 
d'un complesso di regole" caratterizzato da "una relazione intersubbiettiva tra un soggetto che 
pretende l'osservanza della regola ed un altro che � obbligato ad osservarla; in quest'ultima ipotesi (...) 
vengono in considerazione una situazione giuridica attiva, il potere disciplinare, ed una situazione giuridica 
passiva, la soggezione o responsabilit� disciplinare". BORTOLOTTI D., voce Disciplina (Dir. amm.), 
in Enc. giur. it., vol. XI, Roma, 1989. 
(89) In dottrina GARGIULO U., I collegi amministrativi, op. cit., p. 209. Secondo l'Autore, "la presenza 
totalitaria ricorre laddove la funzione sia esercitata attraverso pronunzie, le quali ineriscano a 
un procedimento contenzioso, e incidano direttamente o indirettamente, su situazioni personali (ad es. 
qualit�, status concernenti persone)". Tuttavia l'orientamento sopra citato (accolto in giurisprudenza a 
partire da Cons. St., 13 febbraio 1925, in Giur. it. 1925, III, p. 21) non appare pi� granitico come un 
tempo. Con precipuo riferimento ai collegi disciplinari degli ordini professionali recente giurisprudenza 
ne sottolinea la natura di collegi imperfetti o virtuali (Cass. Sez. Un. 14 giugno 2000, n. 435, in www.cortedicassazione.
it). In senso conforme TENORE V., Deontologia e nuovo procedimento disciplinare nelle 
libere professioni, Giuffr�, Milano, 2012. 
(90) In questa ipotesi al voto del presidente � assegnato il medesimo valore conferito al voto 
degli altri componenti. Ci� si giustifica alla luce della natura perfetta o reale delle Commissioni di 
disciplina in cui ciascun componente � tenuto a partecipare alla discussione e ad esprimere il proprio 
voto, a pena di illegittimit� della deliberazione. Il collegio, infatti, non pu� validamente deliberare in 
caso di assenza o astensione di uno dei suoi componenti, sicch� in caso di numero dispari non sar� 
configurabile alcun fenomeno di parit� nelle votazioni. Viceversa, nelle ipotesi in cui la Commissione 
di disciplina sia composta da un numero pari di componenti, pu� ricorrere una disposizione di diritto 
positivo che riconosca prevalenza al voto del presidente a parit� di suffragi, per evitare impasse nella 
votazione. 
(91) PISCIONE P., Ordini e collegi professionali, Giuffr�, Milano, 1959. CATELANI A., Gli ordini 
ed i collegi professionali nel diritto pubblico, Milano, 1976. TENORE V., Deontologia e nuovo procedimento 
disciplinare nelle libere professioni, op. cit.
DOTTRINA 285 
Pi� in generale il potere disciplinare, quale potere di supremazia speciale (93), si esercita 
�sovra coloro che fanno parte di una determinata collettivit� (...), per mantenere il buon ordine 
entro codesta ristretta cerchia di persone, ed � pertanto un potere che pu� ritrovarsi ogni 
qual volta ci s'imbatta (...) in un rapporto di sudditanza speciale, sia di diritto privato (...) 
sia di diritto pubblico� (94). 
La funzione disciplinare si esplica, di regola, attraverso un procedimento di natura collegiale 
teso ad accertare la conformit� di determinate condotte a previe regole di comportamento 
e, ove all'esito di apposita istruttoria, si rilevino infrazioni, ne discender� l'irrogazione 
di sanzioni tassativamente predeterminate; tali organi collegiali esercitano, infatti, una funzione 
amministrativa di tipo contenzioso (95). 
Come in ogni collegio, anche nelle Commissioni di disciplina, il presidente � figura 
necessaria per il celere ed efficace svolgimento dei lavori; nell'attivit� di impulso e coordinamento 
orizzontale egli � considerato un primus inter pares, rivestendo una posizione 
di primazia formale sugli altri componenti del consesso. La primazia, quale figura organizzatoria 
di originale equiordinazione, si estrinseca nelle funzioni amministrative (discrezionali) 
di convocazione delle riunioni, formulazione dell'ordine del giorno (96), direzione 
dei lavori e polizia delle sedute; funzioni, come noto, caratterizzate dalla natura meramente 
formale-procedurale nonch� dalla strumentalit� rispetto al regolare svolgimento dell'iter 
collegiale. 
Occorre ora domandarsi se, in casi particolari, la posizione di preminenza formale del 
presidente possa assumere, altres�, i caratteri di una preminenza sostanziale in grado di condizionare 
l'autonomia decisionale degli altri componenti. Rispetto alle considerazioni di ordine 
generale sugli organi a composizione tecnica, cui peraltro si rinvia, si aggiunga per le Commissioni 
di disciplina la possibilit�, sia pure di rara applicazione, che il presidente, oltre al 
ruolo di primus inter pares, rivesta simultaneamente la posizione di organo monocratico. Si 
(92) Specialmente VITTA C., Il potere disciplinare sugli impiegati pubblici, op. cit., nonch� ID., 
voce Consigli disciplinari, in Enc. giur. it., op. cit., pp. 762 e ss., secondo cui "la formazione dei consigli 
disciplinari per gli impiegati pubblici � tutta opera del diritto moderno". Pi� di recente CONTIERI A., 
Potere disciplinare e accordi sindacali nel pubblico impiego, Edizioni scientifiche, Napoli, 1984. DI 
PAOLA L., Il potere disciplinare nel lavoro privato e nel pubblico impiego privatizzato, II ed., Giuffr�, 
Milano, 2010. TENORE V.-PALAMARA L.-MARZOCCHI BURATTI B., Le cinque responsabilit� del pubblico 
dipendente, II ed., Giuffr�, Milano, 2013. 
(93) ROMANO S., I poteri disciplinari delle pubbliche amministrazioni, in Giur. it., IV, 1898, p. 
238, secondo il quale la potest� disciplinare riguarderebbe esclusivamente i rapporti in cui un soggetto 
(attivo) assume una posizione di supremazia speciale nei confronti di altro soggetto (passivo), che conseguentemente 
ricopre una posizione di soggezione. 
(94) VITTA C., voce Consigli disciplinari, in Enc. giur. it., op. cit., pp. 762 e ss. 
(95) Il procedimento disciplinare � un procedimento amministrativo contenzioso che si informa 
ai principi del diritto penale. Si pensi, ad esempio, all'obbligo di contestazione degli addebiti nei confronti 
dell'incolpato, al riconoscimento del diritto di difesa e all'obbligo di motivazione della sanzione (per 
giurisprudenza costante da Cons. Stato, sez. VI, 27 settembre 1952, n. 684, in Racc. Cons. Stato 1952, 
p. 1350). Per una trattazione generale sul potere disciplinare si vedano i contributi dottrinari di RASPONI 
E., Il potere disciplinare. I. Natura giuridica e soggetti attivi, Padova, 1942. ESPOSITO M., Il potere disciplinare, 
Il Mulino, Bologna, 1993. 
(96) Come detto, nei collegi a composizione tecnica la formulazione dell'ordine del giorno, pur 
essendo di competenza del presidente, risulta predeterminata ex lege, donde la discrezionalit� presidenziale 
circa gli argomenti da discutere appare fortemente ridotta; saranno, altres�, circoscritti i consequenziali 
poteri di modifica, inversione o inserzione di nuovi argomenti da parte del collegio.
286 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2015 
pensi, per esempio, ai Comuni, specie di modeste dimensioni, ove la Commissione di disciplina 
venga presieduta direttamente dal Sindaco (97). 
� evidente come tale posizione esterna possa accentuare l�intensit� di esercizio delle 
funzioni tipiche della posizione di primazia in seno al collegio, con conseguenti episodi di 
preminenza sostanziale, in grado di incidere sul procedimento collegiale. Ciononostante, in 
base alla teoria dell'assorbimento o della prevalenza , tali marginali episodi appaiono compatibili 
con i tratti generali della primazia e, segnatamente (98), con la posizione di preminenza 
formale del presidente e con la reciproca pariordinazione di tutti i componenti. 
3.3 I Collegi sindacali delle persone giuridiche pubbliche. La preminenza formale del presidente 
sugli altri componenti. 
I collegi sindacali delle persone giuridiche pubbliche (99) appartengono alla famiglia dei 
collegi a composizione tecnica, soggiacendo ai principi per essi stabiliti. Tali organi, deputati 
allo svolgimento di funzioni di vigilanza, risultano diffusamente presenti in istituzioni di natura 
tanto pubblica quanto privata; si pensi, da un lato, all'estesa galassia degli enti pubblici, dalla 
Banca d'Italia (100), alle Province e ai Comuni (101), dall�altro, alle societ� di capitali (102). 
I Collegi sindacali sono, inoltre, collegi perfetti o reali normalmente costituiti da tre o 
cinque componenti effettivi e da taluni componenti supplenti (103). 
(97) Per esempio la Commissione di disciplina istituita presso il Comune di Monte Argentario � 
presieduta dal Sindaco o da un suo delegato e composta, altres�, dal segretario comunale e da un dipendente 
comunale. 
(98) In dottrina si vedano i contributi di ASQUINI A., Il contratto di trasporto terrestre di persone, 
op. cit., pp. 69 e ss. Secondo la teoria dell'assorbimento o della prevalenza nell'ambito dei contratti c.d. 
misti le prestazioni secondarie ed accessorie risultano assorbite nelle prestazioni principali "agli effetti 
della determinazione della natura giuridica della forma di contratto" e agli effetti dell'individuazione della 
disciplina applicabile. Questa teoria, di carattere generale, pu� essere applicata qualsivoglia fattispecie o 
fenomeno giuridico caratterizzato dalla commistione tra elementi eterogenei. Di recente, in proposito, SICCHIERO 
G., I contratti misti, op. cit. DI PACE R., Partenariato pubblico privato e contratti atipici, op. cit. 
(99) Ai fini di un inquadramento generale della tematica si rinvia ad OTTAVIANO V., Considerazioni 
sugli enti pubblici strumentali, Cedam, Padova, 1959, spec. pp. 97 e ss. 
(100) PUCCINI G., L'autonomia della Banca d'Italia: profili costituzionali, Giuffr�, Milano, 1978. 
DI NARDI G., voce Banca D'Italia, in Noviss. Dig. it., App., Utet, Torino, 1980. BORRELLO I., voce Banca 
D'Italia, in Enc. giur. Treccani, vol. IV, Roma, 1988. CAPRIGLIONE F., voce Banca d'Italia, in Enc. dir., 
Agg. I, Milano, 1997. CAMA G., La Banca d'Italia, il Mulino, Bologna, 2010. Con particolare riferimento 
al collegio sindacale occorre precisare che esso "svolge funzioni di controllo sull�amministrazione della 
Banca per l�osservanza della legge, dello Statuto e del Regolamento generale. Si compone di cinque 
membri effettivi, tra cui il Presidente, e due supplenti, nominati dall�Assemblea dei partecipanti, che 
rimangono in carica tre anni e sono rieleggibili non pi� di tre volte. Esercita il controllo contabile, 
senza alcun pregiudizio per l�attivit� svolta dai revisori esterni, esamina il bilancio d�esercizio sul quale 
presenta la propria relazione all�Assemblea dei partecipanti ed esprime il parere sulla distribuzione 
del dividendo annuale" (Fonte: sito Banca d'Italia, in www.bancaditalia.it). 
(101) Per esempio, il Collegio sindacale di Roma Capitale, che assume il nome di collegio dei revisori 
dei conti, costituisce "un organo statutario dell�Assemblea Capitolina a cui � conferito l�esercizio 
della funzione di revisione economico-finanziaria nell�ambito dei principi fissati dalla legge, come stabilito 
dagli artt. 40 e 41 dello Statuto di Roma Capitale. I componenti del Collegio restano in carica 
per tre anni e sono indicati con Deliberazione dell�Assemblea Capitolina" (Fonte: sito Roma Capitale, 
in www.comune.roma.it). 
(102) CAPRARA A., La presidenza del collegio sindacale, in Contr. e impr., fasc.1, 2010, p. 206. 
(103) Si tratta della tipica configurazione prevista per i collegi perfetti o reali ove, per la valida
DOTTRINA 287 
Anche nei Collegi sindacali � istituito un ufficio presidenziale chiamato ad assolvere 
compiti di impulso e coordinamento dei lavori in vista del soddisfacimento di una finalit� deliberativa; 
ciononostante gli ordinamenti di settore dedicano alla figura e alle attribuzioni del 
presidente poche e frammentarie disposizioni (104). Una tematica, altres�, poco affrontata 
dalla dottrina (105) e dalla giurisprudenza. 
Il quadro giuridico cos� delineato impone, allora, di ricostruire le funzioni dell�ufficio 
presidenziale ricorrendo, da un lato, ai principi generali in tema di collegialit� e, dall�altro, 
alle regole che governano gli organi a composizione tecnica (106). 
Occorre innanzitutto osservare come il presidente del Collegio sindacale, nel ruolo di 
primus inter pares, ricopra una posizione di primazia formale sugli altri componenti. Tale posizione 
si esplica in una pluralit� di funzioni amministrative, strumentali al corretto andamento 
dell�iter collegiale; funzioni che si identificano, generalmente, nella convocazione delle adunanze, 
formulazione dell'ordine del giorno, direzione dei lavori e polizia delle sedute. 
In proposito va segnalata una sostanziale omogeneit� di disciplina nei vari Collegi sindacali 
(107); del resto la primazia, quale figura organizzatoria dal generale ambito applicativo, 
connota trasversalmente istituzioni sia pubbliche sia private (108). 
Nell�ambito dei Collegi sindacali la posizione di primazia del presidente assume, pi� 
che in altre famiglie, i caratteri di una preminenza strettamente formale, inidonea, quindi, a 
generare episodi di preminenza sostanziale sugli altri componenti, salvo casi di patologia. 
Tale configurazione pu� essere agevolmente compresa alla luce degli elementi e delle vicende 
afferenti l�ufficio di presidente e il rispettivo titolare; tra i pi� significativi si segnalano l'ascostituzione 
delle adunanze, � in ogni caso richiesta la partecipazione di tutti i membri assegnati. In ragione 
di tali caratteristiche l'ordinamento prescrive per i Collegi sindacali una composizione ristretta di 
tre o cinque membri effettivi con la previsione, altres�, di membri supplenti chiamati a partecipare alle 
riunioni in caso di assenza o impedimento dei primi. Infine la previsione di un numero dispari di componenti, 
a fronte del generale divieto di astensione che caratterizza ogni collegio perfetto o reale, assicura 
in ogni caso un utile esito deliberativo, scongiurando ipotesi di parit� nella votazione. 
(104) TEDESCHI G.U., Il collegio sindacale, in Il codice civile commentato, op. cit. 
(105) In dottrina tra i pochi ad occuparsi della figura presidenziale MORO VISCONTI G., Il collegio 
sindacale, op. cit., p. 31. Per l'Autore il presidente "anche se � primus inter pares resta il membro pi� 
rappresentativo del collegio". Egli infatti "conferisce in generale all'organo sindacale quella unit� di 
direzione che � indispensabile in ogni pluralit� di persone. Basti pensare a cosa sarebbe dei consigli di 
amministrazione se non vi fosse un presidente, a cosa sarebbe una riunione assembleare, senza la preventiva 
costituzione della presidenza, per rendersi conto della opportunit� di dare anche al collegio 
sindacale un esponente". 
(106) Nel silenzio del diritto positivo trovano applicazione in via analogica le discipline generalmente 
previste per le Commissioni di esame, di concorso e disciplina, nonch� i Regolamenti delle Assemblee 
parlamentari con riferimento alla potest� di polizia delle sedute. 
(107) A titolo esemplificativo, si consideri che, di regola, il presidente del collegio sindacale � 
nominato dall'organo assembleare sia nell'ambito delle persone giuridiche pubbliche (Banca d'Italia, 
Roma Capitale ecc.) sia nell'alveo delle persone giuridiche private (societ� di capitali). 
(108) Con riferimento ai Collegi sindacali delle persone giuridiche private, senza pretese di completezza, 
MORO VISCONTI G., Il collegio sindacale, Ceschina, Milano, 1956. TEDESCHI G.U., Il collegio 
sindacale, in Il codice civile commentato, diretto da P. Schlesinger, Milano, 1992. MORERA U., Il presidente 
del collegio sindacale, in Il collegio sindacale. Le nuove regole, a cura di R. ALESSI, N. ABRIANI, 
U. MORERA, Giuffr�, Milano, 2007. TANTINI G., L'indipendenza dei sindaci, Cedam, 2010. CATERINO 
D., Poteri dei sindaci e governo dell'informazione nelle societ� quotate, Cacucci, Bari, 2012. PRESTI 
G., Il collegio sindacale nelle BCC: i profili generali, Roma, 2013.
288 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2015 
senza di una esterna posizione di organo monocratico e la mancanza di poteri di sovraordinazione 
nell�esercizio delle funzioni di primus inter pares. 
4. Gli organi collegiali politico-assembleari. Considerazioni preliminari. 
Gli organi collegiali politico-assembleari (109) svolgono una funzione di 
indirizzo politico (110), perseguendo pi� in generale una finalit� di rappresentanza, 
mediazione e sintesi di interessi politici tra loro astrattamente in conflitto 
(111). Tali organi esprimono, dunque, una rappresentanza di tipo pubblicistico 
da non confondere con il diverso fenomeno della rappresentanza di diritto privato 
(c.d. giuridica o di volont� (112)). 
Oltre ad avere natura elettiva, gli organi collegiali politico-assembleari si 
caratterizzano, altres�, per il divieto di mandato imperativo e di revoca nel rapporto 
rappresentanti-rappresentati (113). A tale famiglia appartengono le As- 
(109) Tali organi collegiali aderiscono, altres�, alla famiglia degli organi imperfetti o virtuali da cui 
mutuano alcuni tratti distintivi. In special modo, per la loro valida costituzione, non � richiesta la partecipazione 
di tutti i componenti assegnati ma solo di una parte di essi (c.d. quorum strutturale). Conseguentemente 
non risulta necessaria la previsione di componenti supplenti, potendo il collegio operare con la presenza di 
una frazione dei suoi membri. Ai fini della approvazione di una delibera ciascun organo politico-assembleare 
pu� prescrivere maggioranze diverse (semplice, assoluta, dei due terzi, dei tre quinti) in ragione della tematica 
esaminata; trattasi del c.d. quorum funzionale. Infine, al momento del voto � riconosciuta a ciascun componente 
facolt� di astensione. Con precipuo riferimento agli organi collegiali legislativi si rinvia alla fondamentale 
opera di GALEOTTI U., Principii regolatori delle assemblee, Milano, 1900, ristampa, Roma, 1997. 
(110) In dottrina, ex multis, CRISAFULLI V., Per una teoria giuridica dell�indirizzo politico, in 
Studi Urbinati, vol. XVII, 1939. CHELI E., Atto politico e funzione d�indirizzo politico, Giuffr�, Milano, 
1961. GROTTANELLI DE� SANTI, voce Indirizzo politico, in Enc. giur. Treccani, vol. XVI, Roma, 1990. 
DOGLIANI M., voce Indirizzo politico, in Dig. disc. pubbl., vol. VIII, Torino, 1993. 
(111) In tema KAISER J.H., Repr�sentation organisierter Interessen, Berlin, 1956, trad. it. di S. 
Mangiameli, Giuffr�, Milano, 1993. STIPO M., La rappresentanza degli interessi economici e sociali, 
vol. II, Bulzoni, Roma, 1984, pp. 96-97: "La formula organizzatoria della rappresentanza politica (o di 
interessi politici, che dir si voglia) � cos� chiamata per distinguerla dalla rappresentanza di diritto privato 
ed �, come formula organizzatoria, fra le pi� antiche ed oggi certamente la pi� diffusa. Quello che 
comunque deve essere chiaro � che la rappresentanza nel diritto pubblico niente altro � se non un modo 
di conferire la titolarit� di uffici di pubbliche organizzazioni". Pi� in generale sul fenomeno della rappresentanza 
politica si vedano i tradizionali contributi di ROSSI L., I principi fondamentali della rappresentanza 
politica, vol. I, Il rapporto rappresentativo, Bologna, 1894, ora in Scritti vari, Milano, 1942, 
pp. 84-85. ORLANDO V.E., Du fondament juridique de la repr�sentation politique, in Revue du droit public 
et sc. pol., III, 1895, pp. 9 e ss. COTTA M., voce Rappresentanza politica, in Dizionario di politica, 
a cura di N. BOBBIO, N. MATTEUCCI e G. PASQUINO, Utet, Torino, 1983, pp. 954 e ss. NOCILLA D.-CIAURRO 
L., voce Rappresentanza politica, in Enc. dir., vol. XXXVIII, Milano, 1987, pp. 543 e ss. 
(112) STIPO M., La rappresentanza degli interessi economici e sociali, op. cit., p. 98: "La rappresentanza 
di interessi politici (o di altro genere) � sempre collettiva, cio� il rappresentato non � un soggetto 
singolo, ma una collettivit� di soggetti che vengono in considerazione non uti singuli, ma uti 
universi. La rappresentanza di volont�, invece, di norma � individuale, e tutt'al pi� si presenta come 
rappresentanza della volont� di una somma enumerata e determinata di individui". 
(113) Si instaura, infatti, tra eletti ed elettori un rapporto di natura politica, caratterizzato dal 
divieto di mandato imperativo, in base al quale gli eletti non sono tenuti a rispettare gli impegni assunti 
con i propri elettori n� possono essere da questi sfiduciati o revocati in caso di inosservanza del programma 
elettorale o di fuoriuscita dallo schieramento politico di iniziale appartenenza. Secondo autorevole 
dottrina, infatti, "la teoria della mutabilit� delle opinioni dell'eletto vuole rispecchiare in chiave
DOTTRINA 289 
semblee legislative di Camera e Senato, le Commissioni parlamentari, i Consigli 
comunali, provinciali e regionali. 
Minimo comun denominatore di tale forma di collegialit� � l�istituzione 
indefettibile dell�ufficio presidenziale e della posizione di primazia ad esso 
correlata. In tali consessi la primazia formale del presidente sugli altri componenti 
si esplica, generalmente, nelle funzioni amministrative (discrezionali) 
di convocazione delle adunanze, formulazione dell'ordine del giorno, direzione 
dei lavori (114), polizia delle sedute (115). 
Occorre, sin d�ora, rimarcare l�ampia discrezionalit� che nell�ambito degli 
organi politico-assembleari connota lo svolgimento delle funzioni presidenziali 
di primus inter pares (116); tale discrezionalit� rinviene il proprio fondamento 
nell�esigenza di coordinare e moderare i lavori delle sedute in un contesto di 
accesa dialettica tra interessi antagonisti. Ne discende il riconoscimento in 
capo al presidente di margini anche estesi di ponderazione e scelta nell�esercizio 
delle proprie attribuzioni, al precipuo fine di superare momenti di conflitto 
o impasse pregiudizievoli per l�attivit� deliberativa del consesso. Si 
pensi, per esempio, che "alcuni dei pi� rilevanti poteri del Presidente sono 
esponenziale la mobilit� ideologica del corpo elettorale, titolare della sovranit�: l'eletto che cambia 
partito rappresenta esponenzialmente il mutare delle opinioni del corpo elettorale, frutto dell'evoluzione 
della societ�" (CACCIAVILLANI I.-MANZI L., La collegialit� amministrativa, op. cit., p. 67). 
(114) Con particolare riferimento ai poteri di direzione dei lavori attribuiti ai presidenti delle Assemblee 
legislative si vedano FERRARA G., Il Presidente di Assemblea Parlamentare, op. cit. TOSI S., 
Diritto Parlamentare, I ed., Giuffr�, Milano, 1974 e nuova ed., a cura di A. MANNINO, Giuffr�, Milano, 
1993. CUCCODORO E., La Presidenza di assemblea politica, Noccioli, Firenze, 1980, rist. integrata, Noccioli, 
Firenze, 1998. CIAURRO G.F., voce Presidenti delle assemblee parlamentari, in Enc. giur. Treccani, 
op. cit. TORRE A., Il magistrato dell'assemblea: saggio sui Presidenti parlamentari, Giappichelli, Torino, 
2000. GIANNITI L., voce Presidente di Assemblea parlamentare, in Dizionario costituzionale, a cura di 
M. AINIS, op. cit. IACOMETTI M., I presidenti di assemblea parlamentare, Giuffr�, Milano, 2001. SCIORTINO 
A., Il Presidente di Assemblea parlamentare, op. cit. CHIMENTI C., Principi e regole delle assemblee 
politiche, op. cit. LUPO N., voce Presidente di Assemblea, in Dig. disc. pubbl., op. cit. AIROLDI M., I regolamenti 
delle assemblee legislative, op. cit. GIANFRANCESCO E.-LUPO N.-RIVOSECCHI G. (a cura di), I 
presidenti di assemblea parlamentare: riflessioni su un ruolo in trasformazione, op. cit. 
(115) RACIOPPI F.-BRUNELLI I., Potere di polizia, in Commento allo Statuto del Regno, op. cit., p. 
240: "L'autonomia delle assemblee politiche trae seco un altro diritto, cio� quello di esercitare da se 
stesse la polizia della propria sede, allo scopo di reprimere gli eventuali disordini indipendentemente 
dal concorso degli altri poteri". 
(116) Una discrezionalit� che, tuttavia, pu� rinvenire limiti in puntuali disposizioni di diritto positivo; 
del resto, ogni ordinamento politico-assembleare � solito introdurre vincoli all'esercizio della discrezionalit� 
presidenziale, prevedendo forme di condivisione con una parte dei componenti o 
attribuendo alla maggioranza del collegio la potest� decisoria su singole questioni. Con particolare riferimento 
alla Camere parlamentari LUPO N., voce Presidente di Assemblea, in Dig. disc. pubbl., op. 
cit., p. 457: "Per effetto di un percorso sviluppatosi progressivamente nella prassi, e in parte rifluito 
anche nella lettera delle disposizioni regolamentari vigenti, specialmente a seguito della revisione regolamentare 
del 1971, si sono per un verso ridotte le previsioni regolamentari di appelli all'Assemblea 
nei confronti delle decisioni presidenziali; per altro verso e soprattutto la scelta di rimettere ad un voto 
dell'Assemblea una certa questione � stata legata alla volont� dello stesso Presidente, che ne ha fatto 
un uso progressivamente sempre pi� scarso o sporadico, preferendo in genere decidere direttamente in 
proposito".
290 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2015 
esclusivi, nel senso che le decisioni nei quali si concretizzano non sono appellabili 
dal plenum" (117). 
Al rafforzamento della figura del presidente concorre, poi, l'interpretazione 
da lui offerta del proprio ruolo: a volte attore protagonista titolare di un 
proprio indirizzo politico (118), altre volte arbitro garante dell'applicazione 
del regolamento e dei diritti delle minoranze (119). 
L�espansione della figura presidenziale pu�, altres�, essere favorita, da un lato, 
dalla laconicit� ed incompletezza delle fonti normative, frequentemente integrate 
da consuetudini, convenzioni, precedenti (120), dall�altro, dai poteri assegnati al 
presidente quale �giudice� del diritto assembleare (121). Conseguentemente, la 
naturale politicit� del ruolo presidenziale (122) e l�esercizio discrezionale delle rispettive 
funzioni possono avere ricadute sulla iuris figura della primazia, accentuando 
l�impatto delle decisioni del presidente sull�iter collegiale e determinando, 
contestualmente, episodi di preminenza sostanziale sugli altri componenti. 
(117) DE CESARE C., I Presidenti di Assemblea: un quadro diacronico, in I Presidenti di Assemblea 
parlamentare: riflessioni su un ruolo in trasformazione, a cura di GIANFRANCESCO E.-LUPO N.-RIVOSECCHI 
G., op. cit. 
(118) Il presidente dovrebbe, a rigore, rivestire un ruolo super partes di neutralit�, a garanzia di 
una corretta dialettica tra maggioranza e opposizione. Tuttavia non � infrequente che il presidente, da 
arbitro del gioco, si trasformi direttamente in giocatore, facendosi portatore di un proprio indirizzo politico 
che si identifica, di regola, nell'indirizzo politico della maggioranza che lo ha indicato. In proposito 
DICKMANN R., Il Parlamento italiano, Jovene, Napoli, 2011 nonch� AA.VV., Le trasformazioni del ruolo 
dei Presidenti delle Camere, a cura di V. LIPPOLIS e N. LUPO, Il Filangieri, Quaderno 2012-2013, Jovene, 
Napoli, 2013. 
(119) Si consideri l'evoluzione del ruolo del Presidente della Camera dei Deputati, fino al 1994 
eletto tra i componenti della minoranza parlamentare per cui pi� attento ai diritti delle opposizioni nella 
veste di arbitro imparziale; dal 1994 espressione della maggioranza e dunque attore protagonista, titolare 
di un indirizzo politico che tende a favorire l'attuazione del programma di Governo. 
(120) La mutevole diversit� delle presidenze �, inoltre, accentuata da una quadro delle fonti 
scritte frammentario ed incompleto, perennemente integrato da consuetudini cui concorre con le proprie 
decisioni ciascun presidente. In proposito ROSSANO C., La consuetudine nel diritto parlamentare, Jovene, 
Napoli, 1969. RESCIGNO G.U., Le convenzioni costituzionali, Cedam, Padova, 1972. MANZELLA 
A., Il Parlamento, III ed., Il Mulino, Bologna, 2003: � noto infatti l'adagio secondo cui "il diritto parlamentare 
� quello che i Presidenti delle due Camere, nella loro funzione di juris dictio, dicono che 
sia". DI CIOLO V.-CIAURRO L., Il diritto parlamentare nella teoria e nella pratica, op. cit. LUPO N. (a 
cura di), Il precedente parlamentare tra diritto e politica, il Mulino, Bologna, 2013. RIVOSECCHI G., Il 
Presidente di Assemblea e la giuridicit� del diritto parlamentare, in GIANFRANCESCO E.-LUPO N.-RIVOSECCHI 
G. (a cura di), I presidenti di assemblea parlamentare: riflessioni su un ruolo in trasformazione, 
op. cit., pp. 443-456. 
(121) ROSA F., I Presidenti di Assemblea nella giurisprudenza della Corte Costituzionale, in I 
Presidenti di Assemblea parlamentare: riflessioni su un ruolo in trasformazione, a cura di GIANFRANCESCO 
E.-LUPO N.-RIVOSECCHI G., op. cit.: "Il riferimento alla attivit� giudicante � collegato alle funzioni 
di interpretazione e applicazione del diritto parlamentare spettanti al Presidente di Assemblea. Il parallelo 
con il giudice, nondimeno, deve essere accolto con cautela, nella consapevolezza che al Presidente 
di Assemblea difetta la posizione di terziet� rispetto alle controversie che � chiamato a dirimere". 
(122) � evidente come la figura del presidente di un organo collegiale assembleare risenta sensibilmente 
della politicit� degli interessi in conflitto, una politicit� che tende a refluire sulle modalit� di 
esercizio dei compiti presidenziali di impulso e coordinamento dei lavori. (Sul ruolo dei Presidenti delle 
Camere parlamentari DICKMANN R., Il Parlamento italiano, op. cit.).
DOTTRINA 291 
Va sottolineato, in special modo, come il verificarsi di tali episodi sia favorito 
dalla contemporanea presenza di ulteriori elementi o vicende afferenti 
l�ufficio di presidente ed il rispettivo titolare. Si pensi alla contestuale ed 
esterna posizione di organo monocratico, all�esercizio di alcuni poteri di sovraordinazione, 
alla ricorrente assenza di un potere di revoca da parte dei componenti; 
da ultimo, alle ipotesi di patologia delle funzioni di primus inter pares, 
tra cui rientra, a pieno titolo, l�omissione nella convocazione della seduta a 
fronte della richiesta vincolante del prescritto numero di componenti. 
Tali elementi e vicende sono in grado, individualmente o congiuntamente, 
di incrementare, anche sensibilmente, l�incidenza delle funzioni presidenziali 
sulla attivit� degli altri componenti e, conseguentemente, sull�iter collegiale. 
� necessario, allora, domandarsi se nei collegi politico-assembleari una 
simile configurazione della presidenza possa alterare i caratteri generali della 
primazia, e segnatamente, la posizione di preminenza formale del presidente 
e la reciproca pariordinazione di tutti i componenti. 
La risposta al quesito non pu� che essere negativa in virt� dell�applicazione 
della teoria generale della prevalenza o dell'assorbimento (123). Sulla base di 
questa teoria la figura organizzatoria della primazia pu� tollerare nel proprio nucleo 
interno poteri o forme di sovraordinazione, con i relativi episodi di preminenza 
sostanziale, assorbendoli e sterilizzandoli nelle prevalenti e maggioritarie 
funzioni di equiordinazione. Ne discende come la posizione di preminenza formale, 
tipica della primazia, possa occasionalmente arricchirsi di episodi di preminenza 
sostanziale, inidonei tuttavia a compromettere il ruolo di primus inter 
pares del presidente (124) e l�uguaglianza delle relazioni infra-collegiali. 
4.1 I Consigli comunali e provinciali. La primazia del presidente sugli altri componenti del 
consesso. 
Nei Consigli comunali e provinciali la primazia, quale iuris figura di originale equiordinazione, 
si manifesta nelle funzioni amministrative (discrezionali) di convocazione delle 
adunanze (125), formulazione dell'ordine del giorno (126), direzione dei lavori, polizia delle 
sedute (127). 
(123) In dottrina ASQUINI A., Il contratto di trasporto terrestre di persone, op. cit. SICCHERO G., 
I contratti misti, op. cit. DI PACE R., Partenariato pubblico privato e contratti atipici, op. cit. 
(124) Il ruolo di primus inter pares del presidente all�interno degli organi collegiali politico-assembleari 
� confermato da due significative pronunce della Corte costituzionale: Corte cost., 20 gennaio 
2004, n. 24, in www.altalex.com che dichiara l'illegittimit� costituzionale dell'art. 1 della l. 140/2003 
(c.d. lodo Maccanico-Schifani) per violazione del principio di uguaglianza (art. 3 Cost.) nella parte in 
cui introduce una immunit� generale ed automatica per i soli Presidenti delle Assemblee parlamentari, 
discriminando irragionevolmente tutti gli altri componenti del collegio; Corte cost., 19 ottobre 2009, n. 
262, cit., che pronuncia l'illegittimit� della l. 124/2008 (c.d. lodo Alfano), per violazione del principio 
di uguaglianza, puntualizzando che "non � configurabile una significativa preminenza dei Presidenti 
delle Camere sugli altri componenti, perch� tutti i parlamentari partecipano all'esercizio della funzione 
legislativa come rappresentanti della Nazione e, in quanto tali, sono soggetti alla disciplina uniforme 
dell'art. 68 della Costituzione".
292 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2015 
Le prerogative del presidente, quale primus inter pares (128), sono attualmente disciplinate, 
in via generale, dal D.lgs. 267/2000 (c.d. T.U. Enti locali) (129), come integrato dallo 
Statuto (130) e dal regolamento di ciascun Comune e Provincia. L'esercizio di tali funzioni 
(125) Senza pretese di completezza CAMUSSO C., Come si convoca e come si presiede il Consiglio 
comunale, Empoli, 1958. CONDEMI B., La prima seduta del consiglio comunale, Noccioli, Firenze, 1958. 
MAZZIOTTI A., Attribuzioni e poteri del presidente del consiglio comunale, in Nuova rassegna legis., 
1964, pp. 1659 e ss. 
(126) In proposito si rinvia ai sempre attuali contributi di MANFREDI F., voce Ordine del giorno, 
in Enc. giur. it., vol. XII, op. cit. ALFIERI U., L'ordine del giorno delle sedute consiliari, in Amm. it., 
1951. GHIANI A., L'ordine del giorno nelle sedute consiliari, in l'Amministrazione italiana, 1952. NASUTI 
A., Questioni in tema di ordine del giorno nelle sedute degli enti locali minori, in Enciclopedia per i 
Comuni, n. 310-313, 1978. 
(127) Con riferimento ai poteri presidenziali di polizia delle sedute ALFIERI U., Il mantenimento 
dell'ordine nelle sedute del Consiglio comunale, in Amm. it., 1952. BELLO F., Regolamento per la convocazione, 
le adunanze e le attribuzioni del consiglio comunale, op. cit. DE TARANTO A., Il mantenimento 
dell'ordine pubblico durante le sedute consiliari, in Amm. civ., n. 56-57, 1962. MORELLI G., La polizia 
delle Adunanze consiliari nei Comuni della Regione siciliana, in Nuova rass. legis., 1963, n. 17, pp. 
2394 e ss. Nella previgente normativa sugli enti locali, il potere di polizia delle sedute del presidente 
del Consiglio era contemplato all'art. 297 della l. 4 febbraio 1915, n. 148 e all'art. 277 del T.U. del 1934. 
(128) LAMANNADI SALVO D., La portata del concetto di imparzialit� e neutralit� dell'azione dell'ente 
locale ex d.l. n. 201 del 2011, Nota a Tar Lombardia Milano, sez. I, 14 dicembre 2011, n. 3150, op. cit. 
(129) Con riferimento alle funzioni svolte dal presidente, quale coordinatore delle sedute, si rinvia 
agli artt. 39, 40, 43 del D.lgs. 267/2000. In special modo l'art. 40 cos� recita: "La prima seduta del consiglio 
comunale e provinciale deve essere convocata entro il termine perentorio di dieci giorni dalla 
proclamazione e deve tenersi entro il termine di dieci giorni dalla convocazione. Nei comuni con popolazione 
superiore ai 15.000 abitanti, la prima seduta, � convocata dal sindaco ed � presieduta dal consigliere 
anziano fino alla elezione del presidente del consiglio. La seduta prosegue poi sotto la presidenza 
del presidente del consiglio per la comunicazione dei componenti della Giunta e per gli ulteriori adempimenti. 
(...) La prima seduta del consiglio provinciale � presieduta e convocata dal presidente della 
provincia sino alla elezione del presidente del consiglio". Di significativa rilevanza �, altres�, l'art. 43 
secondo cui "i consiglieri hanno inoltre il diritto di chiedere la convocazione del consiglio secondo le 
modalit� dettate dall'art. 39, comma 2". Per una analisi dettagliata della previgente normativa SAREDO 
G., La legge sull'amministrazione comunale e provinciale, vol. VIII, II ed., Torino, 1906. FAGIOLARI G.- 
PRESUTTI E., Commento sistematico della nuova legge comunale e provinciale e delle disposizioni legislative 
complementari, Athenaeum, Roma, 1914. BELLO F., Regolamento per la convocazione, le 
adunanze e le attribuzioni del consiglio comunale, Empoli, 1954. NATALE E., Consiglio comunale: poteri 
del presidente nei confronti dei suoi membri, in Nuova rass. legis., I, 1957, p. 164. BERTI G., Caratteri 
dell'amministrazione comunale e provinciale: saggio, Cedam, Padova, 1967. NASUTI A., I poteri del 
presidente dell'adunanza del consiglio comunale e provinciale, op. cit. VANDELLI L.-MASTRAGOSTINO 
F., I Comuni e le Province, Il Mulino, Bologna, 1996. 
(130) Si considerino, a titolo esemplificativo, alcune disposizioni dello Statuto del Comune di 
Milano. Art. 22: Il Consiglio "� convocato e presieduto dal Presidente eletto fra i consiglieri comunali". 
Art. 25: "Le proposte di deliberazione di competenza del Consiglio sottoscritte da almeno un quinto dei 
Consiglieri o dal Sindaco sono iscritte dal Presidente all'ordine del giorno del Consiglio comunale 
entro venti giorni e sono trattate secondo le modalit� stabilite dalla Conferenza dei presidenti dei gruppi. 
Le proposte di deliberazione di iniziativa di singoli consiglieri sono iscritte all'ordine del giorno nei 
modi ed entro i termini previsti dal regolamento". Art. 27: "Il Presidente convoca e presiede il consiglio, 
ne predispone l'ordine del giorno delle riunioni su richiesta anche dei consiglieri; apre, dirige, coordina 
e dichiara chiusa la discussione sui vari punti all'ordine del giorno nel rispetto dei diritti dei consiglieri; 
mantiene l'ordine della seduta". Art. 33: "Il Presidente del Consiglio comunale � tenuto a riunire il Consiglio 
in un termine non superiore a venti giorni, quando lo richiedano un quinto dei consiglieri o il 
Sindaco, inserendo all'ordine del giorno le questioni richieste".
DOTTRINA 293 
esprime una posizione di ordinaria preminenza formale del presidente nell'alveo di una relazione 
di equiordinazione con gli altri componenti del collegio. 
Tuttavia, occorre distinguere i Consigli comunali e provinciali con pi� di 15.000 abitanti 
da quelli con meno di 15.000 abitanti. Infatti nei Consigli con pi� di 15.000 abitanti, ove non 
sia prevista la figura del presidente e nei Comuni e nelle Province con meno di 15.000 abitanti 
l'organo consiliare � presieduto direttamente dal Sindaco o dal Presidente della Provincia, 
salvo diversa previsione dello Statuto (131). In queste ultime ipotesi, pertanto, il presidente 
del Consiglio ricopre, da un lato, l'ufficio direttivo interno in qualit� di primus inter pares e, 
dall�altro, la posizione esterna di organo monocratico. 
� evidente, allora, come la contestuale posizione di Sindaco o di Presidente della Provincia 
sia idonea a rafforzare l'intensit� di esercizio delle funzioni presidenziali di coordinamento 
dei lavori del Consiglio; ne pu� derivare, coerentemente, un�influenza sul procedimento 
di formazione della volont� collegiale. In questo modo la contestuale posizione di organo monocratico 
� in grado di accrescere in senso sostanziale la primazia presidenziale, con ricadute 
sulla azione degli altri componenti; tuttavia, in virt� della applicazione della teoria generale 
dell�assorbimento o della prevalenza (132), gli occasionali episodi di preminenza sostanziale 
non risultano in grado di compromettere i tratti distintivi della primazia ed, in particolare, la 
posizione di preminenza formale del presidente e la pariordinazione di tutti i componenti. 
Il fenomeno di accentuazione delle funzioni di primus inter pares sopra descritto non 
ricorre, viceversa, nei Comuni e nelle Province con pi� di 15.000 abitanti, ove il Consiglio � 
coordinato da un presidente, distinto dalla persona del Sindaco e del Presidente di Provincia 
ed eletto tra i consiglieri nella seduta di insediamento (133). 
In questa differente fattispecie l'esercizio delle funzioni tipiche della primazia si svolge 
nel solco di una preminenza strettamente formale sugli altri componenti; ci� � spiegabile, in 
primo luogo, con l�assenza di una esterna posizione di organo monocratico da parte del presidente. 
In secondo luogo con l�ammissibilit�, sempre pi� riconosciuta dagli Statuti e dalla 
giurisprudenza, di un potere di revoca del presidente da parte di una frazione di consiglieri 
(134). La revoca rappresenta, del resto, un efficace strumento di coazione indiretta che, se 
(131) Lo prevede espressamente l�art. 39 co. III del D.lgs. 267/2000: "Nei comuni con popolazione 
inferiore ai 15.000 abitanti il consiglio � presieduto dal sindaco che provvede anche alla convocazione 
del consiglio salvo differente previsione statutaria". 
(132) Si rinvia in proposito ai contributi di ASQUINI A., Il contratto di trasporto terrestre di persone, op. 
cit. SICCHIERO G., I contratti misti, op. cit. DI PACE R., Partenariato pubblico privato e contratti atipici, op. cit. 
(133) In tal senso recita l�art. 39 co. I: "I consigli provinciali e i consigli comunali dei comuni 
con popolazione superiore a 15.000 abitanti sono presieduti da un presidente eletto tra i consiglieri 
nella prima seduta del consiglio. Al presidente del consiglio sono attribuiti, tra gli altri, i poteri di convocazione 
e direzione dei lavori e delle attivit� del consiglio. Quando lo statuto non dispone diversamente, 
le funzioni vicarie di presidente del consiglio sono esercitate dal consigliere anziano individuato 
secondo le modalit� di cui all�articolo 40. Nei comuni con popolazione sino a 15.000 abitanti lo statuto 
pu� prevedere la figura del presidente del consiglio". In dottrina, da ultimo, IARICCI G.P., Istituzioni di 
diritto pubblico, op. cit., pp. 526-529. 
(134) Per quanto concerne la revoca del presidente del Consiglio comunale, in dottrina, NOBILE 
R., La revoca del presidente del consiglio comunale, op. cit. PETRULLI M., La revoca del presidente del 
consiglio comunale nel caso di mancata previsione ad hoc nello statuto, op. cit. DI TRIFILETTI G., Due 
interessanti questioni: l'ammissibilit� della revoca del Presidente del Consiglio comunale e il ruolo del 
consigliere anziano, op. cit. In giurisprudenza, ex plurimis, Tar Veneto, sez. I, 21 dicembre 2005, n. 
4359, cit. Tar Puglia Lecce, sez. I, 20 febbraio 2014, n. 528, cit.
294 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2015 
ben utilizzato e ancor prima adeguatamente minacciato, � in grado di assicurare un esercizio 
delle funzioni presidenziali nei confini di una preminenza rigorosamente formale sugli altri 
componenti. 
Episodi di preminenza sostanziale, sia pure transitori, ricorrono, poi, nelle ipotesi di patologia 
afferenti le funzioni di primus inter pares; in ogni caso l�individuazione di uno o pi� rimedi, 
in grado di ripristinare il corretto andamento dell�iter collegiale, fa s� che tali episodi di preminenza 
sostanziale non pregiudichino i tratti distintivi della primazia e, segnatamente, la posizione 
di preminenza formale del presidente e la reciproca pariordinazione di tutti i componenti. 
4.1.1. Il patologico esercizio delle funzioni presidenziali: l'intervento sostitutivo del Prefetto. 
Come detto, nell�ambito dei Consigli comunali e provinciali il presidente riveste una 
posizione di primazia ovvero di primus inter pares rispetto agli altri componenti del consesso. 
La primazia, quale posizione di preminenza formale, si esplica, generalmente, nelle funzioni 
amministrative (discrezionali) di convocazione delle riunioni, formulazione dell'ordine del 
giorno, direzione dei lavori, polizia delle sedute. 
La discrezionalit�, che ordinariamente connota l'esercizio delle funzioni presidenziali, 
risulta particolarmente accentuata nei Consigli comunali e provinciali (135), in ragione dell'esigenza 
di tutelare lo svolgimento dei lavori dall'acceso antagonismo tra gli interessi politici 
in rilievo; in tal senso appare decisiva la figura moderatrice del presidente nella risoluzione di 
momenti di impasse o di conflitto, potenzialmente pregiudizievoli per l�attivit� deliberativa. 
Ci� premesso, occorre soffermarsi su una tra le molteplici patologie inerenti le funzioni 
che connotano in senso tipico la primazia. Ai sensi dell'art. 39 co. II del D.lgs. 267/2000 "il 
presidente del consiglio comunale o provinciale � tenuto a riunire il consiglio, in un termine 
non superiore ai venti giorni, quando lo richiedano un quinto dei consiglieri (�) inserendo 
all�ordine del giorno le questioni richieste". 
La disposizione individua un'ipotesi di convocazione straordinaria che si configura a fronte 
della specifica richiesta di una frazione di consiglieri; una richiesta che ha effetti vincolanti, 
sicch� il presidente � obbligato a provvedere in senso conforme entro il termine stabilito dalla 
legge (136). Trattandosi di un atto vincolato, in caso di inottemperanza, oltre alla configurazione 
(135) � chiaro che, trattandosi di funzioni ampiamente discrezionali, ogni limitazione che riduca 
la discrezionalit� o trasformi la funzione in vincolata dovr� essere espressamente prevista da una disposizione 
di diritto positivo che prescriva una condivisione della funzione tra presidente e componenti oppure 
assegni direttamente al collegio la potest� decisoria su talune questioni. Sulla natura discrezionale 
delle funzioni presidenziali nei Consigli comunali e provinciali MAGNANI A., La legge ed il regolamento 
comunale e provinciale coordinati e commentati sistematicamente secondo le recenti modificazioni, Firenze, 
1922. MAZZIOTTI A., Attribuzioni e poteri del presidente del consiglio comunale, op. cit. 
(136) Un�ipotesi di convocazione straordinaria su richiesta di una frazione di consiglieri era prevista 
dalla l. 8 giugno 1990, n. 142. (ANDREIS M., I rapporti tra gli organi negli enti locali, Giappichelli, Torino, 
1996, p. 112); ancor prima dal R.d. 4 febbraio 1915, n. 148. VITTA C., Gli atti collegiali: principi sul funzionamento 
dei consessi pubblici con riferimenti alle assemblee private, op. cit., p. 147: l�Autore si domanda 
se �il presidente del consiglio provinciale sia obbligato ad accogliere l�istanza o se la convocazione 
sia rimessa al suo apprezzamento, poich� la legge non � in proposito esplicita, ma il migliore avviso sembra 
che egli non abbia potest� discrezionale di rifiutarsi�. In caso di omissione del presidente i richiedenti si 
sarebbero potuti rivolgere alla Giunta Provinciale Amministrativa, territorialmente competente, per un intervento 
surrogatorio. Contra G. Saredo che assegna, viceversa, il potere sostitutivo al Prefetto. Sulla natura 
vincolata dell�atto di convocazione del presidente nelle ipotesi di convocazione straordinaria, di recente, 
STADERINI F.-CARETTI P.-MILAZZO P., Diritto degli enti locali, XIII ed., Cedam, Assago, 2011.
DOTTRINA 295 
del delitto di omissione di atti d'ufficio (137), trova applicazione la disposizione di cui all'art. 
39 co. V che prescrive un intervento sostitutivo del Prefetto (138). Un rimedio, certamente retaggio 
del previgente sistema di controlli statali sugli organi e sulla attivit� degli enti locali, che 
tuttavia � confermato anche dopo la riforma del Titolo V, Parte II, della Costituzione. 
In definitiva, il D.lgs. 267/2000 individua con riferimento ai Consigli comunali e provinciali 
uno strumento giuridico in grado di sterilizzare il patologico esercizio della funzione di convocazione 
con i relativi episodi di preminenza sostanziale sugli altri componenti. Del resto, l�intervento 
surrogatorio di un organo monocratico statale (139) mira a ricondurre lo svolgimento della 
funzione presidenziale nei confini della posizione di preminenza formale tipica della primazia. 
4.2. I Consigli regionali. Le funzioni presidenziali di impulso e coordinamento dei lavori dell'Assemblea. 
I Consigli regionali (140), ad imitazione delle Assemblee legislative di Camera e Senato 
(141), prevedono al proprio interno un ufficio presidenziale con compiti di impulso e coordinamento 
dei lavori delle sedute. L'obbligatoriet� di tale ufficio � ribadita dalle previsioni sta- 
(137) Si tratta di un'omissione perpetrata da un pubblico ufficiale nell'esercizio di una funzione 
amministrativa; l'art. 328 c.p., in proposito dispone: "Fuori dei casi previsti dal primo comma, il pubblico 
ufficiale o l'incaricato di un pubblico servizio, che entro trenta giorni dalla richiesta di chi vi abbia interesse 
non compie l'atto del suo ufficio e non risponde per esporre le ragioni del ritardo, � punito con 
la reclusione fino ad un anno o con la multa fino a milletrentadue euro. Tale richiesta deve essere redatta 
in forma scritta ed il termine di trenta giorni decorre dalla ricezione della richiesta stessa". In giurisprudenza 
Pretura di Bassano del Grappa, 27 febbraio 1981, in G. mer. cit. 
(138) L�art. 39 co. V del D.lgs. 267/2000 in proposito statuisce: "In caso di inosservanza degli 
obblighi di convocazione del consiglio, previa diffida, provvede il prefetto". La competenza surrogatoria 
dell'autorit� prefettizia era contemplata anche dal previgente art. 3. Del T.U. 3 marzo 1934, n. 383. Pi� 
in generale sulla c.d. competenza surrogatoria nel diritto amministrativo GASPARRI P., Corso di diritto 
amministrativo, vol. I, op. cit. Secondo l'Autore si avrebbe competenza surrogatoria quando "a compiere 
atti di un dato tipo � competente, in via primaria o principale, o normale che dir si voglia un dato 
organo, ma qualora si verifichino date circostanze, diviene legittimo il compimento dell'atto da parte 
di altro organo". GARGIULO U., I collegi amministrativi, op. cit., pp. 156-157: "Talvolta l'organo che 
esercita il controllo sul collegio si sostituisce al presidente nel convocare l'assemblea alla quale sottopone 
affari di particolare importanza (ad es. il prefetto pu� convocare il Consiglio comunale affinch� 
deliberi su determinati oggetti: t.u.c. e p., art. 124)". 
(139) Per una ricostruzione storico-evolutiva della figura del Prefetto CASULA P., I Prefetti nell'ordinamento 
italiano: aspetti storici e tipologici, Giuffr�, Milano, 1972. MEOLI C., Il Prefetto nell'ordinamento 
italiano: profili storico-istituzionali, ristampa aggiornata, Noccioli, Firenze, 1984. 
(140) In tema di organi regionali, senza pretese di esaustivit�, D'ATENAA., voce Regione, in Enc. 
dir., vol. XXXIX, Milano, 1988. RUGGERI A., voce Regione (dir. cost.), in Dig. disc. pubbl., tomo II, 
Agg., Utet, 2008. CATALANO S., La presunzione di consonanza. Esecutivo e Consiglio nelle Regioni a 
Statuto ordinario, Giuffr�, Milano, 2010. MARTINES T.-RUGGERI A.-SALAZAR C., Lineamenti di diritto 
regionale, IX ed., Giuffr�, Milano, 2012. 
(141) Individua alcune affinit� tra i Consigli regionali e le Assemblee parlamentari, da ultimo, 
AIROLDI M., I regolamenti delle assemblee legislative, op. cit., p. 168, secondo cui "le funzioni legislative 
- pur operando in ambiti diversi - e i principi che le governano, come la rappresentativit� e la collegialit�, 
consentono di scorgere alcuni obiettivi punti di contatto tra le due situazioni, registrando presso il 
Consiglio regionale la presenza di istituti che, nella misura in cui sono volti a garantirne la funzionalit� 
e l'indipendenza, ritroviamo in via generale negli organi collegiali e in via particolare nelle assemblee 
rappresentative". Sul punto anche GIANFRANCESCO E.-LUPO N., I consigli regionali tra nuovo che avanza 
e.... vecchio che resta, in AA.VV., Nuove regole per nuovi Consigli regionali, a cura di GIANFRANCESCO 
E., LUPO N., LIPPOLIS V., Il Filangieri Quaderno 2009, Napoli, 2010. 
296 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2015 
tutarie e regolamentari volte ad introdurre meccanismi di sostituzione in caso di assenza o 
impedimento del rispettivo titolare. 
Il presidente del Consiglio regionale viene eletto dall'Assemblea a maggioranza dei suoi 
componenti (142); una volta eletto non pu�, di regola, essere sfiduciato, salvo diversa previsione 
dello Statuto (143). 
Quanto al ruolo ricoperto e alle funzioni assolte, il presidente occupa la medesima �posizione 
che compete agli organi corrispondenti delle Camere, riconducibile in sostanza a 
quella di un primus inter pares, come figura dotata di poteri di direzione e di coordinamento 
nei confronti degli altri membri del collegio� (144). 
Il presidente viene, cos�, a rivestire quella posizione di primazia formale, tipica dei collegi 
politico-assembleari, che si esprime nelle funzioni amministrative (discrezionali) di convocazione 
delle adunanze, formulazione dell'ordine del giorno, direzione dei lavori, polizia 
delle sedute (145); al di l� di fisiologiche differenze terminologiche, i vari ordinamenti regionali 
presentano discipline per gran parte uniformi (146). 
Le funzioni de quibus connotano in senso tipico la figura organizzatoria della primazia, 
risultando indispensabili per il corretto svolgimento dell'iter collegiale. 
(142) L'elezione del presidente tra i componenti del Consiglio � espressione del principio di autogoverno 
degli organi collegiali politico-assembleari. (ZUELLI F., La collegialit� amministrativa tra regolamentazione 
e autoregolamentazione, in Le Regioni, 1990). Sulla figura dei Presidenti delle 
Assemblee regionali, tra i tanti, IBRIDO R., I Presidenti delle Assemblee regionali e l'interpretazione dei 
regolamenti consiliari, in GIANFRANCESCO E.-LUPO N.-RIVOSECCHI G. (a cura di), I presidenti di assemblea 
parlamentare: riflessioni su un ruolo in trasformazione, op. cit., pp. 391-413. 
(143) Per esempio gli Statuti della Regione Trentino-Alto Adige (art. 32) e della Regione Campania 
(art. 35) assegnano espressamente ad una frazione di consiglieri un potere di revoca del presidente. 
Viceversa, nel silenzio della normativa trova applicazione il principio di non revocabilit� del presidente 
che rinviene la propria ratio nell�esigenza che i titolari di organi pubblici di garanzia istituzionale, per 
la loro funzione super partes, siano sottratti ai giochi politici di maggioranza. 
(144) MARTINES T.-RUGGERI A.-SALAZAR C., Lineamenti di diritto regionale, IX ed., op. cit., p. 
52. Sulla figura del presidente del Consiglio regionale, in dottrina, CUOCOLO F., Il Presidente di Consiglio 
regionale, in Studi in onore di P. Biscaretti di Ruffia, vol. I, Giuffr�, Milano, 1987, pp. 213-244. AINIS 
M. (a cura di), voce Presidente del Consiglio regionale, in Dizionario costituzionale, op. cit. CHIMENTI 
C., Principi e regole delle assemblee politiche, op. cit. 
(145) MARTINES T., Il Consiglio regionale, Giuffr�, Milano, 1961, nuova ed. interamente riveduta, 
Giuffr�, Milano, 1981. Secondo l'Autore "le attribuzioni del Presidente del Consiglio regionale e dei 
componenti l'ufficio di presidenza sono, in linea generale, quelle proprie di tali organi interni degli organi 
collegiali e, nella specie, delle Assemblee politiche. Le attribuzioni del Presidente e dell'ufficio di 
presidenza sono specificate negli statuti e nei regolamenti dei Consigli". In senso conforme CATELANI 
A., L�ordinamento regionale, in Trattato di diritto amministrativo, vol. XXXVIII, diretto da G. SANTANIELLO, 
Cedam, Padova, 2006. Secondo l�Autore �in seno al Consiglio regionale il Presidente svolge 
una funzione analoga a quella dei Presidenti delle Camere con poteri di convocazione, di determinazione 
dell�ordine del giorno, di regolamentazione dei dibattiti, etc...�. 
(146) In proposito lo Statuto della Regione Lazio all'art. 21, espressamente recita: Il presidente 
"convoca il Consiglio, lo presiede, ne dirige i lavori secondo quanto previsto dallo Statuto e dal regolamento 
(...) e formula il relativo ordine del giorno, assicurandone la regolarit� delle sedute ed il buon 
andamento". Inoltre puntualizza l'art. 4 del regolamento interno che il presidente assicura il buon andamento 
dei lavori del consiglio; egli "convoca l'Aula, concede la facolt� di parlare, dirige e modera la 
discussione, mantiene l'ordine, pone le questioni, chiarisce il significato delle votazioni, ne stabilisce 
l'ordine e ne annuncia il risultato"; infine, ai sensi dell'art. 68, � facolt� del presidente �modificare l'ordine 
delle votazioni quando lo reputi opportuno ai fini dell'economia o della chiarezza delle votazioni 
stesse".
DOTTRINA 297 
In relazione al potere di convocazione, ciascun Consiglio si riunisce, normalmente, su 
impulso del suo presidente; eccezionalmente, tuttavia, la convocazione pu� essere effettuata 
su richiesta straordinaria del presidente della Giunta o di una frazione di consiglieri regionali; 
in caso di inottemperanza del presidente alcuni Statuti prescrivono, come rimedio, la convocazione 
di diritto dell�Assemblea (147). 
Venendo, poi, all'ordine del giorno delle riunioni del Consiglio (148), la relativa predisposizione 
� normalmente rimessa alla discrezionalit� del presidente, salvi i casi di deliberazioni 
obbligatorie (es. approvazione del bilancio) o di domanda di inserzione di argomenti da 
parte delle minoranze. 
Per quanto concerne la funzione di direzione delle adunanze, si fa notare come anch'essa 
rientri nel novero delle prerogative tipiche dell�ufficio presidenziale (149). Tale funzione viene 
esercitata dal presidente con ampia discrezionalit�, soprattutto nell'attivit� di interpretazione 
(150) ed applicazione del regolamento (151), al precipuo fine di coordinare e contemperare 
l'antagonismo politico degli interessi in rilievo. In special modo il presidente compie una pluralit� 
di atti strumentali al buon andamento dell�iter collegiale: apre l'adunanza, verifica il numero 
legale (152), coordina le fasi della discussione e della votazione (153) etc. Il presidente 
per prassi non vota (154). 
(147) Si considerino, per esempio, gli artt. 37 co. III dello Statuto della Regione Emilia Romagna 
e l�art. 40 co.i III e IV dello Statuto del Piemonte. (In proposito MACCABIANI N., Codeterminare senza 
controllare. La via futura delle assemblee elettive regionali, op. cit. p. 50). 
(148) MARTINES T., Il Consiglio regionale, op. cit. "Secondo una regola comune a tutti gli organi 
collegiali, i Consigli regionali non possono discutere e deliberare se non su argomenti che siano iscritti 
all'ordine del giorno e ci� al fine di evitare le deliberazioni a sorpresa". 
(149) MARTINES T., Il Consiglio regionale, op. cit.: "Un rilievo a parte assume la figura del Presidente 
del Consiglio al quale spetta -al pari dei presidenti degli organi collegiali in genere- un potere 
di direzione, di impulso e di coordinamento nei confronti degli altri componenti il collegio e degli altri 
organi interni che lo pone in una posizione di primus inter pares". 
(150) MABELLINI S., Il ruolo politico del Presidente di Assemblea: il caso Sicilia, in Osservatorio 
sulle fonti, fasc. 2, 2010: "Nel campo della funzione di direzione dei lavori parlamentari � infine il potere 
di interpretazione e di applicazione del regolamento, assegnato al Presidente, a rivestire, come noto, 
un ruolo particolarmente incisivo che comprende il compito di scegliere il precedente, integrando anche 
in modo creativo le norme regolamentari e dunque, in un certo senso, disponendone". LA LUMIA I., Il 
ruolo politico del Presidente dell'Ars, in www.ars.sicilia.it. 
(151) MABELLINI S., Il ruolo politico del Presidente di Assemblea: il caso Sicilia, op. cit.: L'Autrice 
fa presente come in tema di richiami al regolamento la posizione del presidente risulti "straordinariamente 
connotata da autonoma capacit� decisoria" che "non ha probabilmente eguali nel sistema costituzionale", 
poich� il presidente decide "in solitudine ed inappellabilmente". Pi� in generale sulla natura 
giuridica dei regolamenti consiliari, tra i tanti, MARTINES T., Regolamenti dei Consigli regionali, in Studi 
per L. Compagna, vol. II, Milano, 1980. FOIS S., Il trattamento dei Regolamenti interni dei Consigli regionali, 
in Quad. reg., n. 4, 1984. MELONI G., I Regolamenti consiliari tra norma interna e fonte del diritto, 
in AA.VV., Nuove regole per nuovi Consigli regionali, a cura di GIANFRANCESCO E., LUPO N., 
LIPPOLIS V., op. cit. SIRIANNI G., I Regolamenti delle assemblee regionali, in Dir. e soc., n. 2, 2007. 
(152) Per una trattazione generale sul numero legale nei collegi politico-assembleari FURLANI S., 
voce Numero legale (Dir. pubblico), in Noviss. Dig. it., vol. XI, Utet, 1965, pp. 511 e ss. LONGI V., voce 
Numero legale, in Rass. parlam., 1959, p. 53. Con particolare riferimento alle Assemblee regionali gli 
artt. 34 e 35 del regolamento del Consiglio regionale del Lazio impongono al presidente di verificare la 
presenza del numero legale su richiesta scritta di almeno tre consiglieri o di un presidente di gruppo; in 
caso di mancanza del numero legale il presidente pu� rinviare la seduta di un'ora oppure toglierla. 
(153) A riguardo anche GARGIULO U., I collegi amministrativi, op. cit., p. 153: "Il presidente ri-
298 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2015 
In relazione, da ultimo, al potere di polizia delle sedute, tale potere, da non confondersi 
con il potere disciplinare (155), �, di regola, previsto espressamente dallo Statuto o dal regolamento, 
allo scopo di ripristinare la funzionalit� del consesso in caso di disordini o tumulti. 
A riguardo l'art. 45 del regolamento del Consiglio regionale del Lazio recita: �Se un consigliere 
pronuncia parole sconvenienti oppure turba, con il suo contegno, la libert� delle discussioni 
e l'ordine della seduta, il Presidente (�) lo richiama formalmente nominandolo. 
Dopo un secondo formale richiamo all'ordine, avvenuto nella stessa seduta il Presidente (...) 
pu� disporre l'esclusione del consigliere dall'Aula per tutto il resto della seduta�; in casi di 
particolare gravit� anche dopo un solo richiamo; aggiunge poi l'art. 46: "Quando sorga tumulto 
in Aula e riescano vani i richiami del Presidente (�), questi abbandona il seggio e ogni discussione 
s'intende sospesa. Se il tumulto continua il Presidente (�) sospende la seduta per 
un dato tempo o, secondo l'opportunit�, la toglie" (156). Tuttavia, anche in assenza di 
un�espressa disposizione di diritto positivo, va riconosciuto in via generale a ciascun presidente 
un potere di polizia delle sedute, trattandosi di un potere immanente alla posizione di 
primazia, a sua volta elemento indefettibile della collegialit�. 
Occorre, a questo punto, domandarsi se la posizione di primazia del presidente del Consiglio 
regionale assuma i caratteri di una preminenza solo formale oppure anche sostanziale 
sugli altri componenti. 
In proposito si deve evidenziare come l'art. 121 co. I Cost. qualifichi come organi della 
Regione il Consiglio, la Giunta e il suo Presidente, senza far menzione della figura del presidente 
del Consiglio; aggiunge, poi, l'art. 122 co. III che il Consiglio regionale elegge tra i suoi 
componenti un presidente. Dall'analisi delle citate disposizioni emerge come il presidente ricopra 
esclusivamente una posizione di primus inter pares ossia di coordinatore interno dei 
lavori del Consiglio, senza rivestire contestualmente la posizione esterna di organo monocratico 
(157). Si consideri, poi, la ricorrente previsione negli Statuti di un potere di sfiducia da 
conosce la validit� dell'adunanza e dichiara aperta la seduta, rinviandola nel caso contrario; accerta 
gli eventuali casi di astensione; invita i componenti a discutere le proposte, per il cui esame sono stati 
convocati; dirige e modera la discussione; concede la parola, limitandola nel caso di abuso e invitando 
gli oratori a non discostarsi dall'argomento; indice la votazione, riconosce e proclama l'esito; sovrintende 
alla compilazione del processo verbale e lo firma; dichiara sciolta l'adunanza". 
(154) La prassi secondo cui il presidente non partecipa alle votazioni del Consiglio, mutuata dalle 
Assemblee parlamentari, esprime la volont� presidenziale di astenersi, formalmente, dalla contrapposizione 
tra interessi e gruppi politici antagonisti. In proposito, tra i tanti, BILANCIA F., L'imparzialit� perduta 
(a proposito dei presidenti di assemblea parlamentare), in Studi in onore di Gianni Ferrara, vol. I, 
Giappichelli, Torino, 2005. 
(155) Al presidente, in caso di gravi violazioni perpetrate da uno o pi� componenti, � attribuito un 
mero potere di proposta, spettando viceversa all'ufficio di presidenza l'effettiva irrogazione della sanzione. 
Inoltre, il potere disciplinare non rientrerebbe nel contenuto tipico della posizione di primazia, essendo previsto 
solo in alcuni organi collegiali. Si consideri, per esempio, come negli organi amministrativi e giurisdizionali 
non �, di solito, attribuita al presidente alcuna funzione disciplinare per carenza di conflittualit� in 
seno al consesso. In proposito MARTINES T., Il Presidente della Corte costituzionale, op. cit., pp. 2057 e ss. 
(156) L'art. 47 del regolamento attribuisce al presidente il potere di disporre della forza pubblica, 
la quale pu� entrare in Aula solo a seguito di un suo specifico ordine e dopo che la seduta sia stata 
sospesa o tolta. Con specifico riferimento alla partecipazione del pubblico alle adunanze, l'art. 49 puntualizza 
che "il presidente del consiglio pu� ordinare l'allontanamento di persone che turbino l'ordine 
dei lavori e pu� altres� disporre, nei casi gravi pi� gravi, il temporaneo sgombro dei settori". 
(157) Del resto, in ambito regionale il presidente del Consiglio non pu� in nessun caso ricoprire 
contemporaneamente il ruolo di Presidente della Giunta, a differenza di quanto accade in taluni casi per
DOTTRINA 299 
parte dei componenti che, evidentemente, rappresenta un formidabile strumento di coazione 
verso il presidente, a garanzia di un equilibrato svolgimento dei rispettivi compiti (158). 
Ne consegue che l�esercizio delle funzioni tipiche della primazia tende a svilupparsi nei 
confini di una preminenza rigorosamente formale, propedeutica al buon andamento dei lavori 
e conforme al principio della par condicio che anima le relazioni infra-collegiali; tutto ci�, 
coerentemente, sembra ridurre i gi� occasionali episodi di preminenza sostanziale sugli altri 
componenti ai casi pi� controversi di interpretazione ed applicazione del regolamento (159) 
e alle ipotesi di patologia afferenti lo svolgimento dei compiti presidenziali. 
In definitiva, gli occasionali e marginali episodi di preminenza sostanziale, in virt� dell�applicazione 
della teoria della prevalenza o dell�assorbimento (160), non risultano inidonei 
ad alterare i caratteri generali della primazia e, segnatamente, la posizione di preminenza formale 
del presidente e la reciproca pariordinazione di tutti i componenti. 
4.2.1. Aspetti patologici della primazia presidenziale. 
Come illustrato, le funzioni presidenziali di convocazione delle adunanze, formulazione 
dell'ordine del giorno, direzione dei lavori, polizia delle sedute caratterizzano in senso tipico 
il contenuto della primazia all�interno del Consiglio regionale; tali funzioni hanno, altres�, natura 
ampiamente discrezionale, risultando non sindacabili oltre certi limiti, salvo disposizioni 
positive di segno contrario (161). 
Il patologico esercizio delle funzioni di primus inter pares, pu� riverberare effetti sulla 
figura organizzatoria della primazia, generando episodi di preminenza sostanziale sugli altri 
componenti. Particolare interesse suscitano le ipotesi, espressamente contemplate da taluni 
ordinamenti regionali, di omesso esercizio da parte del presidente di una funzione interamente 
vincolata (162); si pensi alla fattispecie, assai ricorrente, di convocazione straordinaria delle 
i presidenti dei Consigli comunali e provinciali; infine, non trovano applicazione le considerazioni svolte 
sui Presidenti delle Assemblee parlamentari, che viceversa operano come organi monocratici nell�ambito 
delle rispettive istituzioni. 
(158) La previsione statutaria di un potere di sfiducia del presidente, da parte di un prescritto numero 
di componenti, riconosce al collegio un efficace strumento teso ad assicurare l�esercizio delle funzioni 
presidenziali nei confini di una preminenza meramente formale. Diversamente, se il potere di 
revoca non � espressamente riconosciuto, il presidente, non temendo di essere rimosso sino alla fine 
della legislatura, potr� essere pi� disinvolto nello svolgimento dei propri compiti, condizionando maggiormente 
il procedimento di formazione della volont� collegiale. 
(159) � convincimento diffuso, infatti, che i poteri presidenziali di interpretazione ed applicazione 
del regolamento, per l'ampia discrezionalit� che li connota, sono tali da accentuare l'intensit� di esercizio 
delle funzioni tipiche della primazia e, segnatamente, la funzione di direzione dei lavori. Non va sottaciuto, 
d'altronde, come il presidente, anche se titolare del ruolo di arbitro imparziale della dialettica 
infra-collegiale, risulti pur sempre espressione della maggioranza politica che lo ha eletto e del cui indirizzo 
sovente si fa portatore, con decisioni procedurali anche discutibili. In proposito, tra i tanti, BILANCIA 
F., L'imparzialit� perduta (a proposito dei presidenti di assemblea parlamentare), in Studi in 
onore di Gianni Ferrara, vol. I, op. cit. 
(160) Per un�analisi generale ASQUINI A., Il contratto di trasporto terrestre di persone, op. cit. SICCHIERO 
G., I contratti misti, op. cit. DI PACE R., Partenariato pubblico privato e contratti atipici, op. cit. 
(161) Puntuali disposizioni, previste dallo Statuto o dal regolamento, volte ad introdurre vincoli 
e limiti al pieno esercizio della discrezionalit�, riducendo, e alle volte azzerando, i margini apprezzamento 
del presidente in sede di decisione. 
(162) Sui nuovi Statuti regionali, in dottrina, BIFULCO R., (a cura di), Gli Statuti di seconda generazione. 
Le Regioni alla prova della nuova autonomia, Giappichelli, Torino, 2006.
300 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2015 
adunanze su richiesta di un prescritto numero di componenti. Quid iuris ove il presidente 
ometta l'adozione dell'atto (vincolato) di convocazione, nonostante un puntuale obbligo di 
provvedere? 
Alcune Regioni prevedono expressis verbis la convocazione di diritto del Consiglio 
(163). Si consideri, per esempio, lo Statuto dell�Emilia Romagna che all�art. 37 co.i II e III testualmente 
recita: �Il Presidente � tenuto a convocare l'Assemblea qualora lo richiedano o il 
Presidente della Regione ovvero un decimo dei Consiglieri regionali. I richiedenti ne informano 
i componenti dell'Assemblea. Se il Presidente non provvede entro dieci giorni, l'Assemblea si 
riunisce di diritto il quinto giorno non festivo immediatamente successivo�. In questa fattispecie 
all�inerzia del presidente supplisce direttamente il diritto positivo, individuando nella convocazione 
ex lege un rimedio idoneo a superare l�impasse di funzionamento del collegio. 
Vi sono, tuttavia, altri ordinamenti che, pur contemplando ipotesi di convocazione straordinaria 
(su richiesta cio� di un prescritto numero di componenti) non prevedono alcun rimedio 
surrogatorio in caso di omissione del presidente (164). Nonostante il silenzio del diritto positivo, 
anche in tali fattispecie, insopprimibile � l'esigenza di individuare tanto un rimedio quanto un 
organo presso cui esperirlo al fine di ripristinare il fisiologico andamento dei lavori nonch� la 
posizione di preminenza formale del presidente. Per far ci� occorre applicare i principi generali 
sulla collegialit� a quegli ordinamenti regionali che nulla dispongano in proposito. 
� convincimento diffuso che il ruolo delle Regioni negli ultimi anni si sia fortemente 
accresciuto a partire dal riconoscimento di una posizione di tendenziale pariordinazione con 
lo Stato e gli altri enti costitutivi della Repubblica (165). Nonostante l�espansione delle competenze 
legislative, i Consigli regionali non possono, tuttavia, considerarsi del tutto equiparati 
alle Assemblee parlamentari; conseguentemente risulta ad essi inapplicabile l�istituto della 
autodichia (o giurisdizione domestica) con annesse guarentigie che la Costituzione riconosce 
alla Camera e al Senato, nonch� alla Corte costituzionale, a tutela degli interna corporis delle 
rispettive istituzioni. 
Da queste considerazioni � possibile evincere come in caso di omissione di atti vincolati 
da parte del presidente del Consiglio regionale i richiedenti possano azionare un rimedio surrogatorio 
al cospetto di un organo giurisdizionale esterno. In questa fattispecie, pertanto, l'esigenza 
di ripristino della funzionalit� del consesso prevale sulla tutela dell'autonomia 
dell'organo collegiale dalle ingerenze di altri poteri. 
Il rimedio giurisdizionale potrebbe individuarsi, alternativamente, nel: ricorso al giudice 
ordinario (Tribunale civile) ex art. 2367 co. II c.c. (166); ricorso al giudice amministrativo 
(TAR) ex artt. 31 e 117 c.p.a. (167). 
Dei due rimedi, volti a provocare un intervento surrogatorio di un giudice nella convocazione 
della adunanza, � da preferirsi il ricorso al TAR per la natura amministrativa della 
(163) In proposito MACCABIANI N., Codeterminare senza controllare. La via futura delle assemblee 
elettive regionali, op. cit. 
(164) Ad esempio l�art. 26 dello Statuto alla Regione Lazio prescrive che il Consiglio sia convocato 
dal Presidente su richiesta di un quinto dei suoi componenti; puntualizza poi l'art. 23 co. IV del regolamento: 
"Qualora un quinto dei consiglieri richieda la convocazione (�), il Presidente (�) dispone 
affinch� la seduta sia fissata entro il quindicesimo giorno successivo alla richiesta". 
(165) Tale rivoluzione copernicana si � realizzata con la riforma del Titolo V Parte II della Costituzione 
(l. cost. 18 ottobre 2001, n. 3). In particolare l�art. 114 co. I recita espressamente che �la Repubblica 
� costituita dai Comuni, dalle Province, dalle Citt� metropolitane, dalle Regioni e dallo Stato�.
DOTTRINA 301 
funzione omessa. In tal modo sar� possibile ripristinare la corretta funzionalit� del consesso 
e ricondurre la posizione di primazia del presidente negli argini di una naturale preminenza 
formale sugli altri componenti. 
4.3. Le Commissioni parlamentari. La posizione di primus inter pares del presidente: elementi 
di specialit�. 
Nella struttura organizzativa del Parlamento italiano, le Commissioni permanenti sono 
organi collegiali minori, necessari per espressa previsione costituzionale (art. 72 Cost.) (168); 
appartengono, come noto, alla famiglia degli organi politico-assembleari da cui mutuano, coerentemente, 
le principali caratteristiche. 
Le Commissioni assolvono al compito di coadiuvare l'Assemblea nell'espletamento delle 
sue funzioni, svolgendo un'attivit� preparatoria alle attivit� del collegio maggiore (169). Sono, 
(166) Ai sensi dell'art. 2367 co. II c.c. "se gli amministratori o il consiglio di gestione, oppure in 
loro vece i sindaci o il consiglio di sorveglianza o il comitato per il controllo sulla gestione, non provvedono, 
il tribunale, sentiti i componenti degli organi amministrativi e di controllo, ove il rifiuto di provvedere 
risulti ingiustificato, ordina con decreto la convocazione dell'assemblea, designando la persona 
che deve presiederla". In dottrina LAURINI G., Il presidente di assemblea di societ� per azioni, op. cit. 
ALAGNA S., Il presidente dell'assemblea nella societ� per azioni, op. cit. CENDON P. (a cura di), Commentario 
al codice civile, artt. 2484-2510, op. cit. 
(167) Pi� in generale sul rimedio avverso il silenzio inadempimento si rinvia, senza pretese di 
completezza, a CENTOFANTI N., La nuova disciplina del silenzio della P.A.: comportamenti inadempienti, 
tutela amministrativa e giurisdizionale, op. cit. GUACCI C., La tutela avverso l'inerzia della pubblica 
amministrazione secondo il Codice del processo amministrativo, op. cit. MIGNONE C.-VIPIANA P.M., 
Manuale di giustizia amministrativa, op. cit. TRAVI A., Lezioni di giustizia amministrativa, X ed., op. 
cit. GALLO C.M., Manuale di giustizia amministrativa, VI ed., op. cit. JUSO R., Lineamenti di giustizia 
amministrativa, V ed., a cura di R. Rolli, op. cit. ROLLI R., La voce del diritto attraverso i suoi silenzi: 
tempo, silenzio e processo amministrativo, op. cit. SASSANI B.-VILLA R., Il codice del processo amministrativo: 
dalla giustizia amministrativa al diritto processuale amministrativo, op. cit.MONETA G., Elementi 
di giustizia amministrativa, op. cit. CORRADINO M.-STICCHI DAMIANI S., Il processo 
amministrativo, op. cit. 
(168) Vasta � la bibliografia in tema di Commissioni parlamentari. Tra i pi� significativi contributi 
ELIA L., voce Commissioni parlamentari, in Enc. dir., vol. VII, Milano, 1960, pp. 895-910. GARLATO 
G., Le Commissioni permanenti del Parlamento italiano, in Studi per il ventesimo anniversario dell'Assemblea 
Costituente, vol. V, Firenze, 1969. BRUNO F., Le Commissioni parlamentari in sede politica, 
Giuffr�, Milano, 1972. TOSI S., Diritto Parlamentare, op. cit. DI CIOLO V., voce Parlamento (organizzazione 
e procedure), in Enc. dir., vol. XXXI, op. cit. CALIFANO L., Le commissioni parlamentari bicamerali 
nella crisi del bicameralismo italiano, Giuffr�, Milano, 1993. TANDA A.P., voce Commissioni 
permanenti, in Dizionario parlamentare, II ed., op. cit., pp. 58-61. MANZELLAA., Il Parlamento, III ed., 
op. cit. TRAVERSA S., Commissioni parlamentari. Generalit�. Composizione e costituzione delle Commissioni 
permanenti, in Rass. parl., n. 1, 2007. FASONE C., Sistemi di commissioni parlamentari e forme 
di governo, Cedam, Padova, 2012. DI CIOLO V.-CIAURRO L., Il diritto parlamentare nella teoria e nella 
pratica, V ed., Giuffr�, Milano, 2013. 
(169) In proposito ELIA L., voce Commissioni parlamentari, in Enc. dir., op. cit., p. 895: "Le Camere 
del Parlamento svolgono l'attivit� necessaria all'esercizio delle loro attribuzioni o mediante l'assemblea, 
collegio composto da tutti i membri di ciascuna Camera, o mediante commissioni, collegi 
minori comprendenti soltanto una parte di tali membri. Normalmente (o, per meglio dire, nella stragrande 
maggioranza dei Parlamenti) l'attivit� dell'assemblea e delle commissioni si pone su piani diversi, 
in quanto l'azione dei minori collegi � prevista come puramente preparatoria rispetto all'attivit� 
del collegio pi� grande; ma non manca qualche caso in cui le commissioni si sostituiscono all'assemblea 
stessa, essendo la pari efficacia dei loro atti espressamente prevista da norma costituzionale".
302 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2015 
inoltre, costituite in misura proporzionale alla composizione dei gruppi parlamentari s� da riflettere 
i rapporti tra le forze politiche presenti in Aula. 
Come in ogni organo collegiale, anche nelle Commissioni, l'ufficio presidenziale riveste 
un ruolo di palpitante centralit� nello svolgimento delle plurime attivit� del consesso (170). 
A tale ufficio � preposta una persona fisica, abitualmente denominata presidente, che ne assume 
le funzioni di impulso e coordinamento; in caso di sua assenza o impedimento le funzioni 
presidenziali vengono esercitate, in forma vicaria, da uno dei vicepresidenti, eletti al 
momento della costituzione dell'ufficio di presidenza (171). 
Il presidente di Commissione, alla stregua del presidente di Assemblea (172), riveste 
una posizione di primazia ossia di preminenza formale rispetto agli altri componenti, Deputati 
o Senatori. In altri termini, il presidente esercita un ruolo di mero primus inter pares (173), 
con poteri strumentali al corretto andamento delle sedute, collocandosi su di un piano di 
equiordinazione con gli altri membri del collegio. Del resto, la primazia, quale figura organizzatoria 
di equiordinazione, si esplica nelle funzioni amministrative (discrezionali) di convocazione 
delle riunioni, formulazione dell'ordine del giorno, direzione dei lavori, polizia 
delle sedute (174); funzioni i cui tratti distintivi possono individuarsi, da un lato, nella funzionalizzazione 
al corretto svolgimento dell'attivit� collegiale e al suo fisiologico esito deliberativo; 
dall�altro, nella natura meramente formale-procedurale da cui discende l'inidoneit� 
ad incidere sull'autonomia decisionale degli altri componenti. 
Ci� detto, � evidente, tuttavia, come la natura politica degli interessi nonch� la dialettica 
tra maggioranza e opposizione (175), tendano a conformare peculiarmente l�ufficio presidenziale 
e la correlata posizione di primazia in seno alla Commissioni. � possibile assistere, infatti, 
ad un ampliamento dei margini di scelta discrezionale del presidente nell�esercizio delle 
(170) Sulla figura del presidente di Commissione parlamentare, tra i tanti, ELIA L., voce Commissioni 
parlamentari, in Enc. dir., op. cit. CIAURRO G.F., Gli organi della Camera, in Il regolamento 
della Camera dei Deputati. Storia, istituti, procedure, Roma, 1968, pp. 259-264. GARLATO G., Le Commissioni 
permanenti del Parlamento italiano, in Studi per il ventesimo anniversario dell'Assemblea Costituente, 
op. cit., p. 432. STACCHINI F., Il Presidente di Commissione permanente, in Bollettino di 
informazioni costituzionali e parlamentari, n. 2, 1994, pp. 288-298. TANDA A.P., voce Presidenti delle 
Commissioni parlamentari, in Dizionario parlamentare, II ed., op. cit. CHIMENTI C., Principi e regole 
delle assemblee politiche, op. cit. LUPO N., A proposito delle presidenze delle commissioni permanenti 
e, ancor prima, delle loro competenze e delle loro funzioni, in Forum quad. cost., 2006. 
(171) MOHRHOFF F., I Vicepresidenti delle Assemblee legislative, Editore Colombo, Roma, 1962, 
pp. 8-9: "Essendo infatti la carica di Vice Presidente a carattere vicario essa non pu� che avere le stesse 
caratteristiche della funzione principale. Da ci� deriva che (...) quando un Vice Presidente siede al seggio 
presidenziale assume tutti i poteri del Presidente". GORI L., Presidenti e vicepresidenti delle Camere, 
in I Presidenti di Assemblea parlamentare: riflessioni su un ruolo in trasformazione, a cura di GIANFRANCESCO 
E.-LUPO N.-RIVOSECCHI G., op. cit. 
(172) Sulle analogie e sulle differenze tra la figura del Presidente di Assemblea e la figura del 
Presidente di Commissione, FASONE C., Presidente di Assemblea e Presidenti delle Commissioni permanenti, 
in I Presidenti di Assemblea parlamentare: riflessioni su un ruolo in trasformazione, a cura di 
GIANFRANCESCO E.-LUPO N.-RIVOSECCHI G., op. cit. 
(173) In dottrina, tra i tanti, CHIMENTI C., Principi e regole delle assemblee politiche, op. cit. 
(174) Del resto, in mancanza anche di una sola di queste attribuzioni, il presidente si troverebbe 
nell'impossibilit� di adempiere al proprio ruolo di coordinatore delle sedute, con ricadute negative sulla 
funzionalit� del collegio. 
(175) MANZELLA A., voce Opposizione parlamentare, in Enc. giur. Treccani, vol. XXI, Roma, 
1990.
DOTTRINA 303 
proprie funzioni; in special modo nell�interpretazione ed applicazione dei Regolamenti (176) 
e delle consuetudini (177) ai fini dell�adozione di taluni provvedimenti decisori. 
Il ruolo di primus inter pares �, altres�, rafforzato dalla circostanza che il presidente di 
Commissione, a differenza degli altri presidenti di collegi politico-assembleari (178), svolge 
"tutte le funzioni proprie dei colleghi (...), quali (...) la partecipazione alle discussioni e alle 
votazioni, e la presentazione di emendamenti e ordini del giorno" (179); in particolare l'esercizio 
del diritto di voto ribadisce il collegamento con l'indirizzo politico della maggioranza 
che lo ha espresso (180). 
Tali peculiari elementi, che connotano in modo originale l�ufficio di presidente, si riflettono 
inevitabilmente sulla figura organizzatoria della primazia, accentuando l�intensit� di 
esercizio nonch� l�influenza dei compiti presidenziali sulla formazione della volont� del collegio. 
In altri termini, dal concreto svolgimento della posizione di primazia possono discendere 
occasionali episodi di preminenza sostanziale, tuttavia, inidonei, in virt� dell�applicazione 
della teoria della prevalenza o dell�assorbimento (181), a compromettere i caratteri generali 
della primazia e, segnatamente, la posizione di primus inter pares del presidente e la reciproca 
pariordinazione di tutti i componenti. 
4.3.1. Le funzioni che connotano in senso tipico la posizione di primazia presidenziale: profili 
fisiologici e profili patologici. 
Le funzioni che connotano in senso tipico la iuris figura della primazia nelle Commis- 
(176) Sulla attivit� interpretativa dei Presidenti di Commissione, recentemente, FASONE C., Presidente 
di Assemblea e Presidenti delle Commissioni permanenti, in I Presidenti di Assemblea parlamentare: 
riflessioni su un ruolo in trasformazione, a cura di GIANFRANCESCO E .- LUPO N. - RIVOSECCHI 
G., op. cit., pp. 178-182. IBRIDO R., L'interpretazione del Regolamento parlamentare, Roma, 2013. LANCHESTER 
F. (a cura di), Regolamenti parlamentari e forma di governo: gli ultimi quarant'anni, in Quaderni 
di Nomos: le attualit� nel diritto, n. 8, Milano, 2013. 
(177) ROSSANO C., La consuetudine nel diritto parlamentare, op. cit. DI CIOLO V.-CIAURRO L., Il 
diritto parlamentare nella teoria e nella pratica, op. cit. 
(178) Per una consuetudine costituzionale, inaugurata il 2 marzo del 1877, il Presidente della Camera 
in Assemblea non vota, al fine di palesarsi come arbitro e garante imparziale della dialettica tra 
maggioranza e opposizione (LUPO N., voce Presidente di Assemblea, in Dig. disc. pubbl., op. cit.). Pi� 
in generale sulla imparzialit� dei Presidenti delle Assemblee elettive GIANFRANCESCO E., Il ruolo dei 
Presidenti delle Camere tra soggetti politici e arbitri imparziali, in Le regole del diritto parlamentare 
nella dialettica tra maggioranza e opposizione, a cura di E. GIANFRANCESCO e N. LUPO, Roma, 2007. 
CECCANTI S., I Presidenti di Assemblea e la "mistica" dell'imparzialit�, AA.VV., Le trasformazioni del 
ruolo dei Presidenti delle Camere, a cura di V. LIPPOLIS e N. LUPO, Il Filangieri, Quaderno 2012-2013, 
Jovene, Napoli, 2013. 
(179) STACCHINI F., Il Presidente di Commissione permanente, op. cit. In tema anche ELIA L., 
voce Commissioni parlamentari, in Enc. dir., op. cit., p. 897: "Notevolissimo � il rilievo della carica 
presidenziale: infatti il presidente di commissione, oltre ad avere una grandissima discrezionalit� nel 
predisporre l'ordine dei lavori, nomina i relatori, prende parte alle discussioni entrando nel merito e 
molto spesso partecipando al voto; ci� che, come � di pubblico dominio, non accade in Assemblea ove, 
se mai, il presidente desideroso di discutere abbandonerebbe il seggio presidenziale". 
(180) DICKMANN R., Il Parlamento italiano, op. cit., il quale puntualizza come, viceversa, risultino 
pi� attenutati ruolo e poteri dei Presidenti delle Commissioni di inchiesta i quali, lungi dall'essere eletti 
dalla maggioranza dei componenti, sono nominati ab externo dal Presidente della Camera o del Senato. 
(181) Si rinvia in proposito ai contributi di ASQUINI A., Il contratto di trasporto terrestre di persone, 
op. cit. SICCHIERO G., I contratti misti, op. cit. DI PACE R., Partenariato pubblico privato e contratti 
atipici, op. cit.
304 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2015 
sioni permanenti si identificano, generalmente, nella convocazione delle adunanze, formulazione 
dell'ordine del giorno, direzione dei lavori, polizia delle sedute (182); di esse occorre 
fornire, conseguentemente, breve rassegna. 
Con riferimento alla funzione di convocazione delle sedute (183), all'inizio di ogni legislatura 
le Commissioni sono convocate, per la prima riunione, dai Presidenti di ciascun 
Ramo del Parlamento allo scopo di favorirne la costituzione mediante l�elezione dell'ufficio 
di presidenza (184). Successivamente spetta al presidente eletto provvedere alle convocazioni 
del collegio. L'atto di convocazione � compiuto dal presidente o di sua iniziativa o su istanza 
di quota parte dei componenti della Commissione, del Governo, del Presidente di Assemblea 
(185). Il potere di convocazione si configura, pertanto, come un potere tipico dell'ufficio presidenziale 
ma sul cui concreto esercizio possono incidere anche altre figure od organi. 
In relazione alla determinazione dell'ordine del giorno (186), poi, esso viene fissato dal presidente 
di Commissione in base al programma e al calendario formulati dall'ufficio di presidenza; 
una funzione, pertanto, condivisa quanto a titolarit� ed esercizio con un organo interno alla Commissione. 
� evidente, tuttavia, come nei casi in cui la convocazione avvenga non gi� su impulso 
del presidente, bens� su istanza di altri soggetti, componenti o terzi, saranno i richiedenti a formulare 
l'ordine del giorno nel rispetto delle linee guida tracciate dall'ufficio di presidenza. 
Quanto alla potest� direttiva delle adunanze, va subito rilevato come la preminenza formale 
del presidente, immanente alla di lui posizione di primazia, sia rafforzata dall'ampia discrezionalit� 
che i Regolamenti parlamentari (187) gli attribuiscono, al precipuo fine di 
(182) ELIA L., voce Commissioni parlamentari, in Enc. dir., op. cit. CIAURRO G.F., Gli organi 
della Camera, in Il regolamento della Camera dei Deputati. Storia, istituti, procedure, op. cit., pp. 259- 
264. GARLATO G., Le Commissioni permanenti del Parlamento italiano, in Studi per il ventesimo anniversario 
dell'Assemblea Costituente, op. cit., p. 432. STACCHINI F., Il Presidente di Commissione 
permanente, in Bollettino di informazioni costituzionali e parlamentari, op. cit., pp. 288-298. TANDA 
A.P., voce Presidenti delle Commissioni parlamentari, in Dizionario parlamentare, II ed., op. cit. CHIMENTI 
C., Principi e regole delle assemblee politiche, op. cit. LUPO N., A proposito delle presidenze 
delle commissioni permanenti e, ancor prima, delle loro competenze e delle loro funzioni, op. cit. 
(183) TOSI S., Diritto Parlamentare, op. cit., p. 191: La convocazione � "l'atto presidenziale necessario 
per indire la valida riunione in seduta di un organo collegiale. L'atto presidenziale (del Presidente 
di Assemblea per il collegio maggiore, ma normalmente dei presidenti di commissione per i collegi 
minori) � elemento indefettibile per la legalit� della seduta nonch� delle deliberazioni in essa adottate". 
(184) Per esempio alla Camera dei Deputati �, normalmente, eletto presidente di Commissione 
permanente colui che ottiene la maggioranza assoluta dei voti e, ove tale quorum non si raggiunga, il 
vincitore del successivo ballottaggio tra i due candidati pi� votati (art. 20 co. II del Regolamento). In 
tema, da ultimi, DI CIOLO V.-CIAURRO L., Il diritto parlamentare nella teoria e nella pratica, op. cit. 
(185) Giova ricordare come in tali fattispecie l'atto di convocazione presidenziale assuma i caratteri 
di un atto vincolato, a seguito dell'esercizio di un potere di iniziativa altrui. A riguardo CIAURRO 
G.F., voce Ordine del giorno, in Enc. dir., op. cit. 
(186) CIAURRO G.F., voce Ordine del giorno, in Enc. dir., op. cit., pp. 1019 e ss.: "La predisposizione 
di un'agenda degli argomenti da trattare, nell'ordine in cui dovranno essere trattati, costituisce un presupposto 
indispensabile per il corretto svolgimento delle riunioni di qualsivoglia organo collegiale". In 
argomento anche BENTHAM J., La tattica parlamentare, in Biblioteca di Scienze Politiche, diretta da ATTILIO 
BRUNIALTI, vol. IV, Parte II, Utet, Torino, 1888, ristampa, Editore Colombo, Roma, 1996. 
(187) Pi� in generale sulla natura ed i caratteri dei Regolamenti parlamentari ROMANO S., Sulla 
natura dei regolamenti delle Camere parlamentari, in Archivio giuridico, vol. IV, fasc. 1, 1905. MARTINES 
T., La natura giuridica dei Regolamenti parlamentari, Pavia, 1953. Bon VALSASSINA M., Sui regolamenti 
parlamentari, Cedam, Padova, 1955. TESAURO A., Sulla natura giuridica dei regolamenti 
parlamentari, in Rass. dir. pubbl., 1959. BOCCACCINI G., Sistema politico e regolamenti parlamentari,
DOTTRINA 305 
moderare la contrapposizione tra maggioranza e opposizione in seno alla Commissione. Il 
presidente, infatti, dichiara aperta la seduta, verifica il numero legale (188), coordina la discussione, 
d� la parola, pone le questioni, risolve ogni aspetto relativo alla interpretazione dei 
Regolamenti, stabilisce l'ordine delle votazioni, chiarisce il significato del voto annunciandone 
l'esito (189) etc. Oltre agli ampi poteri di interpretazione regolamentare, si segnalano gli incisivi 
poteri direttivi attivabili dal presidente durante la votazione degli emendamenti (190). 
Il presidente risulta, cos�, titolare di significativi poteri ordinatori soprattutto nelle fasi della 
discussione e della votazione; ciononostante il voto del presidente ha lo stesso valore del voto 
degli altri componenti, e, a parit� di suffragi, la proposta (emendativa, di parere, di relazione, 
di conferire mandato ai relatori a riferire in Assemblea) o l�atto (risoluzione, documento conclusivo, 
ordine del giorno) si intende respinto. 
Per quanto concerne, da ultimo, la potest� di polizia delle sedute, tale prerogativa, anche 
se non espressamente prevista dai Regolamenti, deve essere in ogni caso intestata al presidente 
di Commissione (191), trattandosi di funzione ascrivibile al contenuto tipico della sua posizione 
di primazia. Nel suo concreto svolgimento il presidente espelle dalla riunione chiunque 
con parole o comportamenti sconvenienti arrechi serio disturbo o impedimento alla corretta 
prosecuzione della seduta, sia esso un componente (Deputato o Senatore) oppure un terzo che 
Giuffr�, Milano, 1980. FLORIDIA G., Il Regolamento parlamentare nel sistema delle fonti, Giuffr�, Milano, 
1986. MANETTI M., voce Regolamenti parlamentari, in Enc. dir., vol. XXXIX, Milano, 1988, pp. 
638 e ss. RAVERAIRA M., Regolamenti parlamentari e Costituzione, Perugia, 1991. CERASE M., Opposizione 
politica e regolamenti parlamentari, Giuffr�, Milano, 2005. 
(188) Alla Camera la verifica del numero legale � effettuata dal presidente di Commissione su richiesta 
di quattro Deputati, qualora la Commissione stia per procedere ad una votazione per alzata di 
mano (art. 46 co. IV). Ove sia acclarata la mancanza del numero legale, il presidente di Commissione 
pu� rinviare la seduta di un�ora oppure toglierla (art. 47 co. II). 
(189) Si rinvia alla lettera del Presidente della Camera del 31 maggio 1995, in cui si afferma che, 
in funzione dell�obbligo di riferire all�Assemblea, "il Presidente della Commissione (...) assume, con 
poteri largamente discrezionali, le decisioni concernenti l�ordine della discussione, sia per quanto riguarda 
l�esame preliminare, sia per quanto riguarda la fase dell�esame degli articoli e delle votazioni". 
In tale contesto, il presidente di Commissione, al fine di assicurare una tempestiva conclusione dell�esame, 
dispone, in sede referente, di poteri direttivi assai incisivi; tali poteri, non formalmente determinati, 
concernono anche la fase delle votazioni, in virt� della disposizione di cui all�art. 79, co. X, la 
quale stabilisce che le deliberazioni per la formulazione del testo degli articoli si ispirano ad un principio 
di economia procedurale. 
(190) In tal senso l�art. 85, co. VIII del Regolamento della Camera consente al presidente di Commissione 
di modificarne l�ordine di votazione, ove lo reputi opportuno ai fini dell�economia o della 
chiarezza delle votazioni. Il presidente pu�, conseguentemente, porre in votazione solo una parte delle 
proposte emendative presentate (votazione riassuntiva), oppure i principi individuabili nel complesso 
delle proposte emendative presentate, senza porre in votazione le singole proposte da cui tali principi 
sono stati desunti (votazione per principi). 
(191) L'assenza di una puntuale disposizione che riconosca expressis verbis una potest� di polizia 
delle sedute al presidente si giustifica, in primo luogo, in ragione della minor conflittualit� che caratterizza 
le attivit� in Commissione rispetto alle attivit� dell'Aula. A ben vedere in questi organi minori non 
sono, di regola, previste forme di partecipazione del pubblico n� modalit� di ripresa audio/video dei dibattiti. 
Queste peculiarit� assicurano lo svolgimento di discussioni meno concitate rispetto a quanto accade 
in Assemblea, di talch� l'esercizio di una potest� di polizia da parte del presidente risulta in concreto 
di rarissima applicazione. In secondo luogo � probabile che, nell'attribuire espressamente la potest� di 
polizia delle sedute al solo presidente di Assemblea, i Regolamenti parlamentari abbiano voluto riconoscere 
implicitamente siffatta prerogativa anche a tutti i presidenti degli organi collegiali minori.
306 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2015 
a vario titolo vi assista (dipendenti della struttura amministrativa, collaboratori etc.). Un potere 
che tuttavia, nella prassi � raramente esercitato dai presidenti di Commissione (192). Ad ogni 
modo, nel silenzio della normativa vigente, trovano applicazione in via analogica le disposizioni 
previste dai Regolamenti parlamentari con riferimento alla potest� di polizia delle sedute 
del Presidente di Assemblea (193). 
Nell�esercizio delle funzioni tipiche della primazia, la posizione di preminenza formale 
del presidente sugli altri componenti, come detto, pu� accentuarsi in senso sostanziale, s� da 
incidere occasionalmente sull'autonomia decisionale degli altri componenti (194). 
Ci� accade, per esempio, nelle ipotesi di patologia delle funzioni presidenziali. Tra queste, 
peculiare rilevanza assume la fattispecie di omissione dell�atto di convocazione da parte 
del presidente, a fronte della richiesta vincolante del prescritto numero di componenti. A riguardo 
il Regolamento della Camera dei Deputati prevede un potere surrogatorio del Presidente 
di Assemblea in sostituzione del presidente di Commissione (195), al precipuo fine di 
disinnescarne condotte negligenti od ostruzionistiche. In questo modo si configura un intervento 
sostitutivo azionabile d'ufficio dal Presidente della Camera, il quale sar� chiamato, in 
qualit� di organo di vertice dell�istituzione parlamentare, a convocare la Commissione, formulandone 
il relativo ordine del giorno. Trattasi, in definitiva, di un rimedio surrogatorio interno 
che mira, da un lato, a ripristinare il funzionamento del collegio e, dall'altro, a tutelare 
l'autonomia della Commissione dalla ingerenza di poteri esterni. 
5. Gli organi collegiali rappresentativi di interessi economico-professionali. 
Premessa. 
Gli organi collegiali rappresentativi di interessi economico-professionali 
sono espressione del pi� ampio fenomeno della rappresentanza di interessi 
(196). Con tale locuzione si � soliti riferirsi ad �una formula organizzatoria, 
(192) L'unico precedente di espulsione di un parlamentare per il resto dell'adunanza risale alla 
seduta della Commissione giustizia della Camera dei Deputati del 28 aprile 1978. 
(193) Sui poteri di polizia delle sedute si rinvia a DI CIOLO V., Sul potere di polizia e sul potere 
disciplinare degli organi parlamentari, in Scritti in onore di C. Mortati, Milano, 1977. 
(194) � convincimento diffuso che, in ragione dell'antagonismo tra interessi politici che caratterizza 
i lavori in Commissione, le funzioni del presidente siano connotate da ampia discrezionalit� idonea 
a generare, talvolta, episodi di preminenza sostanziale sugli altri componenti; episodi che, tuttavia, non 
pregiudicano il ruolo di primus inter pares del presidente in seno al collegio. 
(195) Tale potere rinviene il proprio fondamento normativo nell'art. 25 co. VI del Regolamento 
ai sensi del quale il presidente della Camera, quando lo ritenga necessario, pu� convocare una o pi� 
Commissioni, predisponendone il relativo ordine del giorno. 
(196) Si rinvia, in tema, ai tradizionali contributi di AMBROSINI G., La rappresentanza degli interessi 
e il voto obbligatorio, Roma, 1945. CARNELUTTI F., Rappresentanza degli interessi, in Il Ponte 
1946, p. 215. ROMANO S., Frammenti di un dizionario giuridico, 1947, ristampa, Giuffr�, Milano, 1983, 
p. 168. GIANNINI M.S., Lezioni di diritto amministrativo, op. cit. MIELE G., Principii di diritto amministrativo, 
II ed., op. cit., p. 72. KAISER J.H., Repr�sentation organisierter Interessen, Berlin, 1956, trad. 
it. di S. Mangiameli, op. cit. RESCIGNO P., La rappresentanza degli interessi organizzati (a proposito di 
un libro tedesco), in Riv. soc. 1959, pp. 244-258. W�SSNER J., Die Ordnungspolitische Bedeutung des 
Verbandswesens, Tubinga, 1961, pp. 63 e ss. VALENTINI S., La collegialit� nella teoria dell'organizzazione, 
op. cit. MORTATI C., Istituzioni di diritto pubblico, IX ed., op. cit., I, pp. 211 e ss., II, pp. 884-885. 
TREVES G., L'organizzazione amministrativa, op. cit., pp. 338-349. STIPO M., La rappresentanza degli 
interessi economici e sociali, vol. II, Bulzoni editore, Roma, 1984.
DOTTRINA 307 
la quale consiste nel conferire un ufficio (normalmente collegiale) a persona 
appartenente ad una certa categoria� (197). Questa forma di rappresentanza, 
di natura pubblicistica, presenta alcuni tratti peculiari che valgono a distinguerla 
dalla rappresentanza giuridica o di volont� di tipo privatistico (198). 
Nella rappresentanza di interessi, in particolare, risulta carente un meccanismo 
diretto di imputazione sia di effetti sia di fattispecie. Il rappresentante di interessi 
�, invero, titolare di un munus nell�esercizio del quale compie atti in nome 
proprio ma nel perseguimento di un interesse altrui; il quale, a sua volta, si 
identifica nell'interesse dell'istituzione o della categoria che designa il proprio 
rappresentante in seno al collegio (199). 
Ad avviso della migliore dottrina, pi� in generale, esisterebbero tre tipologie 
di interessi rappresentabili: gli interessi religiosi o spirituali, gli interessi 
politici, gli interessi economico-professionali (200). Pertanto, la rappresentanza 
di interessi politici e la rappresentanza di interessi economico-professionali 
costituiscono due diverse species del comune genus della rappresentanza di 
interessi (201). 
(197) STIPO M., La rappresentanza degli interessi economici e sociali, op. cit., p. 99. Tale collegamento 
si giustifica "in quanto l'attribuzione o la competenza dell'ufficio comporta la conoscenza di 
problemi di quella determinata categoria". 
(198) Contrario all'uso dell'espressione rappresentanza giuridica STIPO M., La rappresentanza 
degli interessi economici e sociali, op. cit., pp. 95-96, secondo il quale � preferibile qualificare la rappresentanza 
di diritto privato (sia volontaria, sia legale) come rappresentanza di volont�, non sembrando 
pertinente "la locuzione di rappresentanza giuridica, espressione pure usata, ma (...) inesatta od equivoca, 
perch� potrebbe far credere che ogni altra figura di rappresentanza, che sia dalla legge contemplata 
e regolata, non sia giuridica". Inoltre, con precipuo riferimento alla rappresentanza di interessi, 
l�Autore evidenzia che "il rappresentante non esercita poteri del rappresentato" ma "agisce in nome 
proprio", dichiarando una propria volont� "la quale, senza sostituire la volont� del rappresentato, � diretta 
a curare gli interessi di quest'ultimo". In argomento gi� ROMANO S., Principii di diritto costituzionale 
generale, II ed., Milano, 1946,. 
(199) In proposito STIPO M., La rappresentanza degli interessi economici e sociali, op. cit., p. 98: 
"Nella rappresentanza di interessi gli atti del c.d. rappresentante non hanno alcuna efficacia diretta n� 
positiva n� negativa sulla sfera giuridica dei rappresentati, tutt'al pi� si ha un'efficacia di fatto e riflessa 
nella misura in cui gli atti deliberati dai c.d. rappresentanti si ripercuotono in vario modo sulla collettivit� 
generale o particolare che essi rappresentano". 
(200) STIPO M., La rappresentanza degli interessi economici e sociali, op. cit., p. 20, il quale si 
riallaccia al pensiero di KAISER J.H., Repr�sentation organisierter Interessen, Berlin, op. cit. 
(201) La rappresentanza di interessi economico-professionali trova massimo svolgimento nell'ambito 
degli organi collegiali pubblici. Secondo VALENTINI S., La collegialit� nella teoria dell'organizzazione, 
op. cit., spec. p. 171: "In realt�, per comprendere esattamente la vicenda della cosiddetta 
rappresentanza in seno ad organi collegiali, occorre rinunciare a porre il problema in termini d'imputazione, 
facendosi trarre in inganno da impostazioni proprie della scienza privatistica. Quando si dice 
che un individuo rappresenta un ente od organo o gruppo in seno ad un organismo collegiale, si afferma 
un fenomeno diverso dalla rappresentanza in senso proprio, ma ben preciso: si afferma cio� l'esistenza 
di un ufficio o di un munus che fa capo al cosiddetto rappresentante, ma non nell'ordinamento generale, 
bens� nell'ordinamento particolare (...) di cui il rappresentante fa parte. (...) La natura del rapporto � 
dunque relativa alle singole istituzioni; esso talora � poi rafforzato dalla sussistenza di un preesistente 
rapporto di servizio: questo rapporto non deve per� essere confuso con quello di rappresentanza, talch� 
� possibile che l'uno viva senza l'altro".
308 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2015 
Mentre nella rappresentanza politica sono rappresentati interessi generali 
propri di tutti i consociati, nella rappresentanza di interessi economico-professionali 
si mira, viceversa, a tutelare esclusivamente gli interessi della categoria 
o del gruppo di riferimento (202). Ad una rappresentanza generale si contrappone, 
dunque, una rappresentanza settoriale o professionale. 
Inoltre, diversamente dai collegi politici, nei collegi rappresentativi di interessi 
economico-professionali i componenti del consesso risultano in vario 
modo collegati, da un punto di vista giuridico, ai gruppi e alle associazioni 
che li hanno designati. Tale collegamento pu� essere pi� meno intenso a seconda 
dei casi. Si ritiene, ad esempio, che �nel caso di designazione di rappresentanti 
in seno ad un organismo collegiale (...) il compito dei rappresentati 
si esaurisca con l'atto di designazione e che i rappresentanti, in mancanza di 
una espressa previsione normativa�, non �abbiano alcun rapporto giuridico 
di dipendenza dall'ente designante, n� possano essere sostituiti dai rappresentati 
prima dello scadere della fattispecie costitutiva� (203). Un principio 
finalizzato alla tutela dell'autonomia del collegio da vincoli e condizionamenti 
esterni. Questo principio �, tuttavia, parzialmente derogato nelle ipotesi in cui 
il ruolo di membro del consesso dipenda, ratione officii, dalla titolarit� di altra 
carica, che costituisce appunto titolo di legittimazione per far parte, e conseguentemente 
svolgere, le attivit� di componente del consesso; coerentemente 
la perdita di siffatta carica nell'ordinamento di appartenenza comporter� automaticamente 
la decadenza dal ruolo di membro dell'istituzione collegiale, 
anche in corso di mandato (204). Il collegamento tra il gruppo rappresentato 
(202) Tale distinzione � efficacemente evidenziata da STIPO M., La rappresentanza degli interessi 
economici e sociali, op. cit., pp. 99-100: "In un sistema politico - come il nostro - caratterizzato dai 
partiti, la rappresentanza politica � sempre il tentativo di rappresentare interessi, comuni a tutti, o ad 
essere pi� esatti, di rappresentare una visione partigiana degli interessi di tutti, in quanto i partiti politici 
(e le altre formazioni politiche eventualmente esistenti) -partendo da un punto di vista particolare - elaborano 
una politica per tutti; infatti, i programmi dei partiti politici sono solitamente generali, non riguardano 
solo gli iscritti od i gruppi sociali che il partito organizza; nelle figure giuridiche 
rappresentative di interessi economici e sociali invece (per es. nei sindacati, nelle associazioni professionali 
non sindacali etc.) vi � una costante preoccupazione di tutelare gli interessi della categoria o 
del gruppo di cui sono centro di riferimento. Cos� correlativamente le elezioni lato sensu politiche sono 
di solito organizzate in modo che votino cittadini tutti formalmente uguali, e non invece uomini secondo 
la categoria professionale di appartenenza. La rappresentanza - se vuol essere politica- deve essere generale, 
non professionale". 
(203) VALENTINI S., La collegialit� nella teoria dell'organizzazione, op. cit., p. 167. 
(204) La questione tende a riverberarsi sull'esercizio del mandato del rappresentante nonch� lavoratore 
subordinato di una P.A. che venga per l'appunto designato a partecipare ai lavori di un organo 
collegiale. Supponiamo che egli esprima in seno al collegio il proprio voto in modo differente rispetto 
alle indicazioni fornitegli dall'amministrazione in cui risulta incardinato. Nell'ambito della rappresentanza 
di interessi vige, di regola, il divieto di mandato imperativo, sicch� il voto espresso dal rappresentante 
lavoratore subordinato in difformit� alle istruzioni ricevute risulter� pienamente legittimo. 
Cionondimeno nell'ordinamento di appartenenza al rappresentante potranno essere irrogate sanzioni per 
la mancata osservanza degli ordini e/o delle direttive impartite; sanzioni che nei casi pi� gravi possono 
comportare la rimozione dall'ufficio cui farebbe seguito, necessariamente, la decadenza da componente
DOTTRINA 309 
ed i suoi rappresentanti pu� assumere, infine, caratteri pi� intensi, ove una 
norma di diritto positivo riconosca espressamente al primo poteri di controllo 
e finanche di revoca dei secondi in seno al collegio (205). 
Ci� premesso, anche negli organi collegiali rappresentativi di interessi 
economico-professionali, l'ufficio presidenziale � ufficio obbligatorio ed irrinunciabile 
per il coordinato svolgimento dei lavori; ad esso accede necessariamente 
una posizione di primazia formale, definita anche di primus inter 
pares, che si articola nelle funzioni amministrative (discrezionali) di convocazione 
delle adunanze, formulazione dell'ordine del giorno, direzione dei lavori, 
polizia delle sedute. 
Occorre, a questo punto, accertare se la peculiare natura rappresentativa 
che contraddistingue tali collegi abbia ripercussioni sulla iuris figura della primazia 
e, specialmente, sulla posizione di preminenza formale del presidente 
rispetto agli altri componenti. L�indagine deve appuntarsi, specialmente, sugli 
elementi e le vicende afferenti l�ufficio presidenziale ed il rispettivo titolare. 
Da un�attenta analisi a riguardo, � possibile evincere come alcuni di essi 
siano idonei a potenziare l�intensit� d�esercizio e, conseguentemente, l�incidenza 
delle funzioni presidenziali sul procedimento collegiale. In altri termini, 
l�ordinaria preminenza formale, tipica della posizione di primazia, pu� occasionalmente 
tradursi in episodi di preminenza sostanziale, tali da incidere 
sull�autonomia decisionale degli altri componenti. 
Innanzitutto deve rilevarsi come l'esigenza di assicurare il corretto andamento 
dei lavori, nella dialettica tra pi� interessi economico-professionali in 
conflitto, giustifichi l�attribuzione in favore del presidente di significativi margini 
di discrezionalit� soprattutto nell�interpretazione ed applicazione della 
normativa di settore; una discrezionalit� che, nell�esercizio delle funzioni di 
primus inter pares, pu� sfociare in provvedimenti presidenziali sostanzialmente 
incidenti sulle attivit� del consesso. Tale fenomeno ha, ovviamente, rilievo 
minore rispetto ai collegi politici, ove l�antagonismo tra interessi 
contrapposti assume profili di maggiore intensit�. 
In secondo luogo possono rintracciarsi, nell�alveo delle funzioni tipiche 
della primazia, alcuni eccezionali poteri del presidente espressivi di forme di 
sovraordinazione sugli altri componenti. Si pensi, per esempio, nell�ambito 
del Consiglio di indirizzo e vigilanza dell�Inps alla prerogativa che conferisce 
prevalenza al voto del presidente a parit� di suffragi. Una prerogativa dal cui 
esercizio pu� scaturire, dunque, un episodio di preminenza sostanziale sugli 
del collegio. Si assiste, dunque, ad un collegamento tra ordinamenti che esplica, sia pure in via riflessa, 
effetti giuridici sullo svolgimento del mandato in seno all'istituzione collegiale. 
(205) Il fenomeno della revoca del rappresentante da parte dell'ente o della categoria rappresentata 
si verifica, ad esempio, nell'ambito del Consiglio nazionale dell�economia e del lavoro (C.N.E.L.). Pi� 
in generale in tema di revoca dei componenti di un organo collegiale CACCIAVILLANI I.-MANZI L., La 
collegialit� amministrativa, op. cit., pp. 65-68.
310 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2015 
altri membri del consesso, in deroga all�ordinaria preminenza formale del presidente. 
Inoltre, deve prestarsi attenzione alla eventuale posizione di organo monocratico 
ricoperta dal presidente in aggiunta al ruolo di coordinatore dei lavori 
della Assemblea. Un fenomeno ricorrente, ad esempio, nell�ambito del Consiglio 
nazionale dell�economia e del lavoro, che si segnala per la notevole influenza 
esercitata sulla iuris figura della primazia. 
Da non trascurare, poi, le modalit� di individuazione del presidente (ex 
lege, per nomina o mediante elezione). A titolo esemplificativo si consideri 
l�ipotesi di nomina del Presidente del C.N.E.L. con decreto del Capo dello 
Stato, su proposta del Presidente del Consiglio, previa deliberazione del Consiglio 
dei Ministri. In questa fattispecie, poich� la nomina discende da una autorit� 
esterna, il presidente non avr� alcun vincolo giuridico o di riconoscenza 
verso il collegio, potendo esercitare in modo pi� spregiudicato e disinvolto i 
compiti di impulso e coordinamento delle sedute. A testimonianza di ci� milita, 
altres�, l�assenza di un potere di revoca del titolare dell�ufficio presidenziale 
da parte dei componenti. 
Infine, occorre sottolineare la diretta incidenza che il patologico esercizio 
delle funzioni di primus inter pares ha sulla posizione di primazia; tra le ipotesi 
di patologia si evidenzia, in particolare, l�omessa convocazione dell'adunanza 
da parte del presidente, a fronte della richiesta vincolante del prescritto numero 
di componenti (206). 
Tutti gli elementi e le vicende sopra descritti, individualmente o congiuntamente, 
sono idonei a generare eccezionali episodi di preminenza sostanziale 
del presidente sugli altri membri del consesso; episodi marginali che, in virt� 
dell�applicazione della teoria generale dell�assorbimento o della prevalenza 
(207), non sono in grado di alterare i tratti generali della primazia e, segnatamente, 
la posizione di preminenza formale del presidente e la reciproca pariordinazione 
di tutti i componenti. 
5.1. Il Consiglio di indirizzo e vigilanza dell'Inps. Le funzioni del presidente. 
Il Consiglio di indirizzo e vigilanza (C.I.V.) � l'organo che svolge funzioni di indirizzo 
politico-strategico, predisponendo le linee di indirizzo generale dell'Inps. Istituito con D.lgs. 
30 giugno 1994, n. 479, si inscrive nella pi� ampia famiglia dei collegi rappresentativi di interessi 
economico-professionali, da cui mutua le principali caratteristiche, tra cui la natura di 
collegio imperfetto o virtuale. 
Il Consiglio di indirizzo e vigilanza � composto da 22 membri, nominati con Decreto 
(206) Nel silenzio del diritto positivo sar� necessario rinvenire, desumendola dai principi sulla 
collegialit�, un�azione capace, da un lato, di ripristinare la funzionalit� del consesso, dall'altro, di tutelare 
l'interesse pretensivo dei richiedenti. 
(207) ASQUINI A., Il contratto di trasporto terrestre di persone, op. cit. SICCHIERO G., I contratti 
misti, op. cit. DI PACE R., Partenariato pubblico privato e contratti atipici, op. cit.
DOTTRINA 311 
del Presidente del Consiglio dei Ministri su designazione delle rappresentanze sindacali dei 
lavoratori, dei datori di lavoro e dei lavoratori autonomi. 
Come in ogni organo collegiale, anche all'interno del Consiglio di indirizzo e vigilanza, 
l'ufficio presidenziale � ufficio indispensabile per il corretto andamento dei lavori; ad esso � 
preposto un presidente che, ai sensi dell�art. 15 del regolamento di organizzazione, � eletto, a 
maggioranza assoluta, tra i rappresentanti dei lavoratori dipendenti (208); in caso di sua assenza 
o impedimento le relative funzioni sono svolte da un vicepresidente e, in caso di impossibilit�, 
dal consigliere pi� anziano (artt. 17 e 37). 
La figura presidenziale svolge, nella veste di primus inter pares, compiti di coordinamento 
delle attivit� del collegio, ricoprendo una posizione di primazia formale sugli altri componenti. 
La primazia presidenziale assume un contenuto tipico e predeterminato che si articola 
nell�esercizio delle funzioni amministrative (discrezionali) di convocazione delle adunanze, 
formulazione dell'ordine del giorno, direzione delle riunioni e polizia delle sedute; funzioni 
che risultano, invero, contrassegnate dalla strumentalit� rispetto al corretto andamento dei lavori 
nonch� dalla natura meramente formale-procedurale che le rende, normalmente, inidonee 
ad incidere sull'autonomia decisionale degli altri componenti. 
Con particolare riferimento al potere di convocazione, ai sensi dell�art. 37 � il presidente 
a convocare e a presiedere le varie adunanze del Consiglio, eccezion fatta per la seduta di insediamento. 
Si rinvia in proposito alle considerazioni di ordine generale sulle presidenze degli 
organi collegiali pubblici. 
In relazione, poi, alla formulazione dell'ordine del giorno, va sottolineato come tale potere 
non risulti espressamente assegnato al presidente del Consiglio di indirizzo e vigilanza da alcuna 
disposizione di diritto positivo; tuttavia da un'esegesi dei principi sulla collegialit� � possibile 
evincerne la spettanza in capo al presidente in quanto titolare del potere di convocazione. 
Per quanto concerne, poi, la potest� direttiva dei lavori, l'art. 37 afferma che il presidente 
"accerta la sussistenza del numero legale, dichiara aperta la riunione, partecipa le eventuali 
comunicazioni, regola e riassume la discussione, pone in votazione le proposte di deliberazione 
e ne proclama l'esito". In particolare, in base all'art. 46, "chiunque intenda prendere la 
parola deve preventivamente farne richiesta al Presidente, il quale stabilisce il turno da seguire� 
secondo l'ordine delle richieste (209). Con precipuo riferimento alla fase delle votazioni, 
l'art. 48 prescrive che ciascuna delibera � validamente adottata "qualora raccolga la 
maggioranza dei voti espressi". (...) In caso di parit� tra i voti favorevoli e la somma dei voti 
contrari e delle astensioni prevale il voto del presidente". In caso di irregolarit� nelle votazioni, 
� riconosciuto al presidente il potere di annullare le operazioni di voto, consentendone l'immediato 
rinnovo (art. 50). 
In ordine, infine, alla potest� di polizia delle sedute, nessuna norma conferisce expressis 
(208) Art. 15 del regolamento 12 novembre 2013, n. 27: �La seduta di insediamento � convocata 
e aperta dal consigliere anziano e presieduta dal Ministro del lavoro e della previdenza sociale, da un 
suo delegato, o in assenza, dal predetto consigliere anziano. Il Consiglio di indirizzo e vigilanza nella 
sua prima seduta elegge il presidente tra i rappresentanti dei lavoratori dipendenti a norma dell�art. 3, 
comma 4, del Decreto Legislativo n. 479/94 e dell�art. 17 comma 23, della Legge n. 127/97. L�elezione 
� deliberata a scrutinio segreto ed a maggioranza assoluta dei voti dei componenti il Consiglio di indirizzo 
e vigilanza. Le votazioni sono ripetute, anche in giorni diversi, fino a quando non venga raggiunta 
la suddetta maggioranza�. 
(209) I tempi di intervento sono stabiliti in cinque minuti ma il presidente pu� fissare un diverso 
limite massimo in ragione della complessit� dell'argomento.
312 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2015 
verbis tale prerogativa al presidente del Consiglio di indirizzo e vigilanza. Ciononostante � 
ineludibile il riconoscimento in favore del presidente di una potest� di polizia delle adunanze, 
quale elemento tipico della sua posizione di primazia. Quanto alla disciplina da seguire, trover� 
applicazione mediante procedimento analogico la normativa prevista in altri collegi per 
ipotesi similari (210). 
� necessario ora domandarsi se nell�esercizio delle funzioni di impulso, coordinamento 
e vigilanza dei lavori, la primazia del presidente possa occasionalmente tradursi in episodi di 
preminenza sostanziale, idonei a condizionare la libera formazione della volont� collegiale, 
con immediate ricadute sull�esito deliberativo. In tale prospettiva occorre, allora, investigare 
l�incidenza sulla iuris figura della primazia degli elementi e vicende afferenti l�ufficio presidenziale 
ed il rispettivo titolare. 
Innanzitutto, il riconoscimento in capo al presidente di alcuni poteri di sovraordinazione, 
tra cui, la prerogativa che assegna, a parit� di suffragi, prevalenza al suo voto, pu� accentuarne 
in senso sostanziale la posizione di primazia sugli altri componenti. Inoltre, episodi di preminenza 
sostanziale potrebbero verificarsi in caso di patologia delle funzioni. 
Tuttavia, l�ordinaria posizione di preminenza formale del presidente sembra essere confermata 
dall�assenza di una contestuale posizione di organo monocratico da parte di costui, 
in aggiunta alla posizione di coordinatore dei lavori del Consiglio. Tale assunto � definitivamente 
suffragato dalla applicazione della teoria generale della prevalenza o dell�assorbimento 
(211); in base a tale teoria i gi� marginali ed occasionali episodi di preminenza sostanziale 
del presidente sugli altri membri non sono in grado di snaturare i caratteri generali della primazia 
e, segnatamente, la posizione di preminenza formale del presidente e la reciproca pariordinazione 
di tutti i componenti. 
5.1.1. La prevalenza del voto del presidente a parit� di suffragi. 
Ai sensi dell'art. 48 del regolamento ogni deliberazione del Consiglio di indirizzo e vigilanza 
dell�Inps "� presa validamente qualora raccolga la maggioranza dei voti espressi". 
(...) In caso di parit� tra i voti favorevoli e la somma dei voti contrari e delle astensioni prevale 
il voto del presidente". Trattasi di una previsione di carattere eccezionale, che necessita di un 
puntuale fondamento di diritto positivo (212), in quanto riconosce al presidente un potere 
dalla natura sovraordinata. 
� evidente, dunque, come un simile potere, denotando un episodio di preminenza so- 
(210) La pi� completa disciplina applicabile in via analogica risulta essere il Regolamento della 
Camera dei Deputati nella parte in cui detta norme sulla potest� di polizia delle sedute del Presidente di 
Assemblea. 
(211) A riguardo ASQUINI A., Il contratto di trasporto terrestre di persone, op. cit. SICCHIERO G., 
I contratti misti, op. cit. DI PACE R., Partenariato pubblico privato e contratti atipici, op. cit. 
(212) Sulle molteplici soluzioni ipotizzabili in caso di parit� di voti si rinvia ai contributi di ordine 
generale di CAMMEO F., La parit� dei voti nelle deliberazioni comunali, op. cit. VITTA C., Gli atti collegiali: 
principi sul funzionamento dei consessi pubblici con riferimenti alle assemblee private, op. cit. 
BORSI U., La parit� di voti nelle deliberazioni degli organi collegiali degli enti locali, op. cit. FORTI U., 
La parit� di voto nelle deliberazioni amministrative, op. cit. DE GENNARO G., La parit� di voti nelle deliberazioni 
amministrative, op. cit. LA TORRE M., Parit� di voti e voto del presidente del collegio, op. 
cit. STRANGES A., Deliberazioni dei consigli comunali: effetti della parit� di voti, ripetizione della votazione, 
op. cit. DAGTOGLOU P., Kollegialorgane und Kollegialakte der Verwaltung, op. cit. GARGIULO 
U., I collegi amministrativi, op. cit.
DOTTRINA 313 
stanziale, direttamente incidente sull�esito della deliberazione, risulti prima facie idoneo a 
sgretolare i tratti distintivi della primazia ed, in particolare, la posizione di preminenza formale 
del presidente e la pariordinazione di tutti i componenti. 
Da un pi� attento esame, tuttavia, � possibile rintracciare valide argomentazioni atte a 
sostenere la compatibilit� di siffatto potere di sovraordinazione con la figura organizzatoria 
della primazia. 
In primo luogo la ratio sottesa alla disposizione che assegna un quid pluris al voto del 
presidente si identifica nella voluntas legis di garantire la funzionalit� del collegio proprio 
per il soddisfacimento della finalit� deliberativa; del resto, come autorevolmente sostenuto, 
tale congegno costituisce "un ammennicolo pratico per superare l'impasse in cui si venga a 
trovare l'organo" (213) , in caso di parit� dei voti. 
In secondo luogo va precisato come il maggior peso assegnato al voto del presidente 
costituisca un potere tassativo ed eccezionale (214), in grado di generare episodi, marginali 
ed occasionali, di preminenza sostanziale sugli altri componenti. D�altronde, la disuguaglianza 
del voto del presidente, pur esprimendo un quid di sovraordinazione, assolverebbe, primariamente, 
alla finalit� procedurale di assicurare il celere e proficuo esito dei lavori, scongiurando 
tempi e costi di una nuova votazione. 
Ad ogni modo l'argumentum principis idoneo a ricondurre la prevalenza del voto del 
presidente nell'alveo del perimetro della primazia si rinviene nella teoria dell'assorbimento o 
della prevalenza (215). Secondo questa teoria la primazia, quale figura organizzatoria di originale 
equiordinazione, ricomprenderebbe nel proprio nucleo interno occasionali poteri di sovraordinazione, 
con relativi episodi di preminenza sostanziale, i quali risultano assorbiti nei 
prevalenti poteri di equiordinazione, consustanziali alla posizione di primus inter pares; coerentemente 
la prerogativa che attribuisce prevalenza al voto del presidente, a parit� di suffragi, 
risulta compatibile con i caratteri generali della primazia e, segnatamente, con la posizione di 
preminenza formale del presidente e con la reciproca pariordinazione di tutti i componenti. 
5.2. L'Assemblea del C.N.E.L. Le attribuzioni del presidente quale primus inter pares. 
Il Consiglio nazionale dell�economia e del lavoro (C.N.E.L.) � un organo collegiale ausiliario, 
di rilevanza costituzionale (216), previsto dall'art. 99 della Costituzione, nonch� da fonti 
(213) CACCIAVILLANI I.-MANZI L., La collegialit� amministrativa, op. cit., p. 94. 
(214) VITTA C., Gli atti collegiali: principi sul funzionamento dei consessi pubblici con riferimenti 
alle assemblee private, op. cit., p. 269: secondo l�Autore in caso di parit� dei suffragi �a dirimere la relativa 
difficolt� vՏ il rimedio di stabilire che il presidente abbia voto preponderante: ci� � spesso usato 
altrove, ma da noi � del tutto eccezionale ed ha luogo sol quando cos� sia tassativamente prescritto�. 
(215) Si rinvia, in proposito, alle considerazioni di ASQUINI A., Il contratto di trasporto terrestre 
di persone, op. cit. SICCHIERO G., I contratti misti, op. cit. DI PACE R., Partenariato pubblico privato e 
contratti atipici, op. cit. 
(216) In tema di organi ausiliari si rinvia a FERRARI G., Gli organi ausiliari, Giuffr�, Milano, 1956. 
Con riferimento al Consiglio nazionale dell'economia e del lavoro, si vedano in particolare RUINI M., Il 
Consiglio nazionale dell'economia e del lavoro, Commento dell'art. 99 della Costituzione, Milano, 1950. 
RATTI A.M., Il Consiglio nazionale dell'economia e del lavoro, Roma, 1955. PIERANDREI F., Il Consiglio 
nazionale dell'economia e del lavoro, in Studi in onore di G.M. De Francesco, I, Milano, 1957, pp. 687 
e ss. CHIARELLI G., voce Consiglio Nazionale dell'Economia e del Lavoro, in Enc. dir., Milano, 1961. 
STRAMACCI M., Il Consiglio nazionale dell'economia e del lavoro: con il regolamento interno, II ed., 
Giuffr�, Milano, 1959. GESSA C., Il Consiglio nazionale dell'economia e del lavoro nel sistema costitu-
314 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2015 
primarie e secondarie; si inquadra nella pi� ampia categoria dei collegi rappresentativi di interessi 
economico-professionali di cui ripete i principali caratteri (217). Il C.N.E.L �, del resto, costituito 
da esponenti designati dalle categorie produttive presenti nel tessuto sociale italiano. 
Tra i molteplici organi, monocratici e collegiali, che compongono l'istituzione, si segnala 
l'Assemblea, al cui interno l'ufficio presidenziale assume palpitante centralit� nel coordinamento 
dei lavori del consesso (218). A tale ufficio � preposto un presidente che viene nominato con decreto 
dal Capo dello Stato tra personalit� di rilievo, normalmente, esterne alla Assemblea (219). 
Il presidente del C.N.E.L., nell�attivit� di primus inter pares, ricopre una posizione di 
primazia formale sugli altri componenti. Tale posizione giuridica si manifesta nelle funzioni 
amministrative (discrezionali) di convocazione delle sedute, formulazione dell'ordine del 
giorno, direzione dei lavori, polizia delle adunanze; funzioni che risultano contrassegnate 
dalla strumentalit� rispetto al corretto svolgimento del procedimento e dalla natura meramente 
formale-procedurale che le rende, normalmente, inidonee ad incidere sulla formazione della 
volont� collegiale. 
Per quanto concerne, in particolare, il potere di convocazione, ai sensi dell'art. 1 co. I 
del regolamento "il Presidente convoca il Consiglio entro 20 giorni dalla pubblicazione dei 
decreti di nomina dei Consiglieri sulla Gazzetta Ufficiale". Aggiunge poi il co. III con riferimento 
alle adunanze successive che "l'Assemblea � convocata e presieduta dal Presidente". 
Il co. IV, tuttavia, puntualizza come l'Assemblea possa essere convocata, non solo su iniziativa 
del suo presidente, ma anche su richiesta motivata di un quarto dei consiglieri in carica; in 
questo caso l'atto presidenziale di convocazione si configurer� quale atto vincolato, essendo 
il presidente giuridicamente tenuto al suo compimento (220). 
zionale italiano. Studi e ricerche, Bardi, Roma, 1962. DE FINA S., voce Consiglio nazionale dell'economia 
e del lavoro, in Noviss. Dig. it., vol. IV, Utet, 1959, pp. 147 e ss. BILANCIA P., voce Consiglio nazionale 
dell'economia e del lavoro (CNEL), in Enc. giur., vol. VIII, Roma, 1988. D'HARMANT F., voce Consiglio 
nazionale dell'economia e del lavoro, in Dig. disc. pubbl., vol. III, Utet, Torino, 1989. 
(217) Per i membri del C.N.E.L. vige il divieto di mandato imperativo per cui gli stessi non sono 
giuridicamente vincolati all'osservanza in seno al collegio delle direttive impartite dalle categorie produttive 
rappresentate; conseguentemente in caso di inottemperanza non incorrono in alcuna responsabilit�. Tuttavia, 
a differenza di quanto accade nei collegi politico-assembleari, i rispettivi componenti possono essere revocati 
su richiesta delle istituzioni, enti o organizzazioni che li hanno designati. Tale potere di revoca � 
idoneo ad affievolire la forza precettiva del divieto di mandato imperativo, conferendo alle organizzazioni 
rappresentate il potere di condizionare in modo significativo l'attivit� dei componenti del collegio. 
(218) L'obbligatoriet� dell'ufficio presidenziale � comprovata dalla previsione di meccanismi di 
sostituzione in caso di assenza o impedimento del presidente nonch� dalla facolt� di delega delle relative 
funzioni ai vicepresidenti. Recita in tal senso l'art. 3 co. II del regolamento: "I Vice Presidenti assistono 
il Presidente e lo sostituiscono nei casi di assenza o di impedimento anche temporaneo, nonch� nei casi 
previsti dall'articolo 5, comma 3, della legge. Esercitano, altres�, le funzioni loro delegate dal Presidente". 
La possibilit� di delega delle attribuzioni presidenziali rafforza la figura ed il ruolo dei vicepresidenti 
dell'Assemblea del C.N.E.L., richiamando, sia pure in misura inferiore, il fenomeno che 
caratterizza i rapporti tra Presidente della Repubblica e vicepresidente all�interno del C.S.M. 
(219) Le sue attribuzioni sono previste e disciplinate da fonti primarie (l. 5 gennaio 1957, n. 33 e 
l. 30 dicembre 1986, n. 936) e secondarie (regolamento del 4 aprile 2012). Trovano, infine, applicazione 
i principi generali sulla collegialit� amministrativa (GESSA C., Il Consiglio nazionale dell'economia e 
del lavoro nel sistema costituzionale italiano. Studi e ricerche, op. cit.). 
(220) In caso di omissione, a fronte del silenzio del diritto positivo, i richiedenti potranno esperire 
in via alternativa: ricorso al giudice ordinario (Tribunale civile) ex art. 2367 co. II c.c.; ricorso al giudice 
amministrativo (TAR) ex artt. 31 e 117 c.p.a.
DOTTRINA 315 
Con riferimento alla formulazione dell'ordine del giorno, il regolamento prevede, poi, che 
il presidente, d'intesa con i vicepresidenti, stabilisca in sequenza gli argomenti oggetto di trattazione 
(art. 2 co. III). Dunque, per l'adunanza di insediamento l'ordine del giorno viene predisposto 
in via esclusiva dal presidente, non essendo ancora stato eletto l'ufficio di presidenza. 
Nelle successive sedute, invece, il potere di formulazione � ripartito tra presidente e ufficio di 
presidenza, collegio minore cui lo stesso presidente appartiene; ove tuttavia la convocazione sia 
domandata da un quarto dei consiglieri in carica, l'ordine del giorno sar� quello indicato nella 
richiesta vincolante di convocazione. Alla fissazione dell'ordine del giorno, pertanto, concorrono 
a vario titolo presidente, ufficio di presidenza e quota parte dei membri dell'Assemblea, pur 
mantenendo il presidente un ruolo di palpitante centralit� nell'esercizio della funzione. 
In ordine alla potest� di direzione delle adunanze, l'art. 2 co. X del regolamento prescrive 
che "i lavori della Assemblea sono diretti dal Presidente il quale illustra l'ordine del giorno, 
concede la facolt� di parola, indice le votazioni e ne proclama i risultati". Per quanto non 
espressamente previsto, trovano applicazione in via analogica le disposizioni all'uopo contemplate 
in altri collegi rappresentativi di interessi. 
In relazione, da ultimo, al potere di polizia delle sedute se ne rinvia al paragrafo successivo 
l'esame circa la sua ammissibilit� in capo al presidente, a fronte del silenzio della normativa 
vigente. 
Una volta illustrate le funzioni che connotano la primazia, quale posizione di preminenza 
formale, occorre domandarsi se dal loro concreto esercizio possano, eccezionalmente, discendere 
episodi di preminenza sostanziale del presidente sugli altri componenti. In tal senso occorre 
analizzare l�incidenza sulla figura organizzatoria della primazia dei caratteri e delle 
vicende afferenti l'ufficio presidenziale ed il rispettivo titolare. 
In primis occorre evidenziare la posizione di organo monocratico ricoperta dal presidente 
del C.N.E.L. in aggiunta al ruolo di coordinatore dei lavori della Assemblea. Una posizione 
diversa ed esterna rispetto alla posizione di primazia ma su questa comunque incidente, attraverso 
il rafforzamento delle funzioni di primus inter pares e del relativo impatto sull�azione 
degli altri componenti; si pensi, ad esempio, ai poteri organizzativi attivati dal presidente quale 
vertice dell�intera istituzione. 
In secundis sulla posizione di primazia tendono a riverberarsi le modalit� di scelta del 
presidente il quale, nel caso di specie, � nominato con decreto del Capo dello Stato, su proposta 
del Presidente del Consiglio, previa deliberazione del Consiglio dei Ministri. Trattandosi di 
scelta compiuta da un�autorit� esterna, il presidente non avr� alcun vincolo giuridico n� morale 
nei confronti del collegio e ci�, abbinato alla contestuale posizione di organo monocratico, 
potr� accrescere l�intensit� di esercizio dei compiti di impulso e coordinamento dei lavori, 
determinando coerentemente uno o pi� episodi di preminenza sostanziale sugli altri componenti. 
Si consideri, inoltre, come l�assenza di un potere di revoca da parte dei membri del consesso 
privi l�Assemblea di uno strumento di coazione indiretta, idoneo ad assicurare 
costantemente una primazia solo formale del presidente nei suoi compiti di primus inter pares. 
Nonostante ci�, con riferimento alla Assemblea del C.N.E.L., eventuali e marginali episodi 
di preminenza sostanziale, in ragione dell�applicazione della teoria della prevalenza o 
dell�assorbimento (221), non sono idonei ad alterare i caratteri generali della primazia e, se- 
(221) In tema ASQUINI A., Il contratto di trasporto terrestre di persone, op. cit. SICHIERO G., I 
contratti misti, op. cit. DI PACE R., Partenariato pubblico privato e contratti atipici, op. cit.
316 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2015 
gnatamente, la posizione di preminenza formale del presidente e la reciproca pariordinazione 
di tutti i componenti. 
5.2.1. La vexata quaestio circa l'ammissibilit� di una potest� di polizia delle sedute nel silenzio 
del diritto positivo. 
Dall'esame della normativa, legislativa e regolamentare, vigente � possibile constatare 
l'assenza di una puntuale disposizione di diritto positivo che riconosca espressamente al presidente 
dell'Assemblea del C.N.E.L. un potere di polizia delle sedute (222); conseguentemente 
sembrerebbe venir meno una delle funzioni che connotano in senso tipico la posizione di primazia 
dei presidenti di organi collegiali. 
Il quesito cui occorre fornire risposta � se, nonostante il silenzio normativo, si possa, 
ciononostante, attribuire al titolare dell'ufficio presidenziale il potere di adottare, in caso di 
disordini o tumulti, provvedimenti funzionali al ripristino del corretto andamento dei lavori, 
avvalendosi eventualmente anche della forza pubblica. 
Come noto, ciascun presidente riveste una posizione di primazia formale o di primus 
inter pares che si esplica, generalmente, nelle funzioni di convocazione delle adunanze, formulazione 
dell'ordine del giorno, direzione dei lavori, polizia delle sedute. 
Dalla trasversalit� delle funzioni presidenziali, che si sviluppano elasticamente in ciascun 
collegio, discende altres� il loro riconoscimento nelle istituzioni che non le individuino 
espressamente. 
Tali considerazioni risultano perfettamente applicabili al presidente di Assemblea del 
C.N.E.L. cui, pur in assenza di una disposizione ad hoc, deve certamente attribuirsi una potest� 
di polizia delle adunanze, quale potest� indefettibile della iuris figura della primazia. 
D�altronde, ove, in deroga ai principi generali sulla collegialit� non si includesse tale 
prerogativa nei compiti propri dell'ufficio presidenziale, si esporrebbe il consesso al concreto 
rischio di paralisi; ci� in ragione della circostanza che si priverebbe il presidente di uno strumento 
necessario ad assicurare tanto la legalit� del procedimento collegiale quanto il soddisfacimento 
della finalit� deliberativa. 
Una volta ritenuto ammissibile un potere di polizia delle sedute in capo al presidente, si 
pone il successivo problema dell�individuazione dei contenuti di tale prerogativa nell�ambito 
della Assemblea del C.N.E.L. Un nodo di gordio che pu� risolversi applicando in via analogica 
la disciplina prevista in altri collegi; per affinit� strutturali e funzionali nonch� per la massima 
ampiezza ricoperta � preferibile il rinvio alla disciplina del Regolamento della Camera dei 
Deputati sui poteri di polizia delle sedute del Presidente di Assemblea. 
(222) Per una trattazione generale dei poteri di polizia delle sedute dei presidenti di organi collegiali 
RACIOPPI F.-BRUNELLI I., Potere di polizia, in Commento allo Statuto del Regno, op. cit. VITTA C., 
Gli atti collegiali: principi sul funzionamento dei consessi pubblici con riferimenti alle assemblee private, 
op. cit. VIRGA P., La potest� di polizia, op. cit. GALATERIA L., Gli organi collegiali amministrativi, 
op. cit.MAZZIOTTI A., Attribuzioni e poteri del presidente del consiglio comunale, op. cit. CIAURRO G.F., 
voce Prerogative costituzionali, in Enc. dir., op. cit. PETTITI D., Note sul presidente dell'Assemblea di 
societ� per azioni, in Studi in onore di Alberto Asquini, op. cit. TANDAA.P., voce Polizia delle Camere, 
in Dizionario parlamentare, II ed., Editore Colombo, Roma, 1998, p. 196. ALAGNA S., Il presidente dell'assemblea 
nella societ� per azioni, op. cit.
DOTTRINA 317 
6. Gli organi collegiali con funzioni giurisdizionali. Introduzione. 
Nel variegato universo della collegialit� pubblica si inscrivono gli organi 
con funzioni giurisdizionali (223), organi tra loro eterogenei (224) uniti da alcuni 
elementi comuni. Tali organi collegiali sono formati da pi� componenti 
in posizione di reciproca equiordinazione; per il coordinato svolgimento dei 
lavori, in ciascuno di essi � istituito l�ufficio di presidente, cui obbligatoriamente 
accede una posizione di primazia dai caratteri tipici e predeterminati. 
Nonostante l�indefettibilit� di tale ufficio, la dottrina civilistica e penalistica 
ha sovente dedicato scarsa attenzione al ruolo ed alle prerogative del presidente 
(225). In particolare non � stato adeguatamente affrontato il problema 
delle attribuzioni e dei limiti dei rispettivi poteri �in modo da contemperare 
l'esigenza del regolare funzionamento del collegio con il rispetto delle volont� 
degli altri componenti� (226). 
La primazia, quale posizione di preminenza formale del presidente sugli 
altri membri, si articola in questi organi collegiali nelle funzioni amministrative 
di convocazione delle adunanze, formulazione dell'ordine del giorno, direzione 
dei lavori (227), polizia delle sedute (228); funzioni che hanno natura 
meramente formale-procedurale e sono teleologicamente orientate al soddisfacimento 
della finalit� deliberativa. 
(223) In tema si rinvia ai contributi generali di TRENTIN S., La responsabilit� collegiale, op. cit. 
CARNELUTTI F., Sistema di diritto processuale civile, I, Cedam, Padova, 1936, p. 358. Id., Teoria generale 
del diritto, Roma, 1951, pp. 367-368. SCIACCHITANO R., La funzione giudiziaria secondo la Costituzione, 
Roma, 1965. PIZZORUSSO A., voce Organi giudiziari, in Enc. dir., vol. XXXI, Giuffr�, Milano, 1981, 
pp. 883 e ss. REBUFFA G., La funzione giudiziaria, III ed., Giappichelli, Torino, 1993. 
(224) Si pensi alle plurime differenze intercorrenti tra gli organi giudicanti (civili, penali e amministrativi) 
ed un organo di garanzia come la Corte costituzionale che svolge funzioni latamente giurisdizionali. 
(225) MASSA C., Il presidente del collegio penale e le sue funzioni, I ed., Jovene, Napoli, 1959, II 
ed. Jovene, Napoli, 1985, p. 1: "Per il processo civile, infatti, oltre la monografia del Diana, ricca di 
casistica e di notevoli indagini di carattere analitico, ma elaborata all'epoca del codice del 1865, non 
si � pi� avuta alcuna trattazione sistematica. Nel processo penale, poi il tema non ha mai ricevuto una 
elaborazione particolare". DIANA A., Le funzioni del presidente nel processo civile, Vallardi, Milano, 
1910. MANZINI V., Trattato di diritto processuale penale italiano, vol. II, IV ed., Torino, 1952. Nella 
letteratura straniera il pi� significativo lavoro monografico risale a KLEINFELLER G., Die Functionen des 
Vorsitzenden und sein Verhaltnis zum Gericht: dargestellt nach den Justizgesetzen fur das deutsche 
Reich mit berucksichtigung des franzosischen, italienischen und osterreichischen Rechts: Habilitations- 
Schrift, M�nchen, 1885. 
(226) MASSA C., Il presidente del collegio penale e le sue funzioni, op. cit., p. 102, il quale, a sua 
volta, si ispira alle riflessioni di GALATERIA L., Gli organi collegiali amministrativi, op. cit. 
(227) Con particolare riferimento ai poteri direttivi del giudice civile DIANA A., Le funzioni del 
presidente nel processo civile, op. cit. COMOGLIO L.P., voce Giudice (giudice civile), in Enc. giur. Treccani, 
vol. XV, Roma, 1989. 
(228) VIRGA P., La potest� di polizia, op. cit., p. 74: "Poteri di polizia sono anche attribuiti agli 
organi giudiziari per mantenere l'ordine, la tranquillit� ed il decoro delle udienze nei rapporti esteriori. 
Potere questo da tenersi ben distinto da quello di direzione del processo, che attiene allo sviluppo dei 
vari atti processuali". In tema gi� RASELLI A., Il potere discrezionale del giudice civile, Padova, 1935. 
BRUNELLI I., voce Polizia delle udienze, in Nuovo Dig. it., vol. IX, Torino, 1939.
318 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2015 
Tuttavia, le funzioni di primus inter pares, tra cui segnatamente la funzione 
di direzione dei lavori, vengono a declinarsi peculiarmente, in ragione 
degli elementi e delle vicende che connotano, da un lato, l�attivit� giurisdizionale, 
dall�altro, l�ufficio presidenziale ed il rispettivo titolare (229). Nel prosieguo 
dell�analisi, poi, occorrer� distinguere in questa prospettiva i tratti tipici 
dei collegi giudicanti civili, penali e amministrativi dai tratti che contraddistinguono, 
viceversa, la Corte costituzionale. 
Tanto premesso, � d�obbligo domandarsi se la peculiare configurazione dei 
vari collegi con funzioni giurisdizionali abbia delle ricadute sulla iuris figura della 
primazia; ed in special modo se alcuni originali poteri dalla ibrida natura (si pensi 
ai poteri di instaurazione e svolgimento del rapporto processuale (230), ai poteri 
istruttori (231) o alla prerogativa che assegna prevalenza, a parit� di suffragi, al 
voto del presidente) possano avere un�incidenza demolitiva sul modello generale 
della primazia; ci� in base alla circostanza che dal loro esercizio deriverebbero 
episodi di preminenza sostanziale del presidente sugli altri componenti (232). 
Come si tenter� di dimostrer� siffatti poteri di sovraordinazione, alla stregua 
di altri elementi di specialit�, non sono in grado, in virt� della applicazione 
della teoria della prevalenza o dell�assorbimento (233), di alterare la configurazione 
tipica della primazia e, segnatamente, la posizione di preminenza formale 
del presidente e la pariordinazione di tutti i componenti. 
(229) Per quanto riguarda i collegi civili, penali ed amministrativi hanno incidenza sulla figura 
della primazia i poteri istruttori presidenziali. Invece, con riferimento alla Corte costituzionale si segnalano, 
in particolare, la contestuale posizione di organo monocratico e la prerogativa che assegna prevalenza 
al voto del presidente a parit� di suffragi. 
(230) A titolo esemplificativo si vedano i poteri presidenziali contemplati dagli artt. 47, 49, 52, 
71 e 72 c.p.a.; poteri che, pur essendo teleologicamente orientati al corretto andamento del giudizio, 
esprimono, tuttavia, un quid di sovraordinazione tale da assicurare, sia pure occasionalmente, una primazia 
sostanziale del presidente sugli altri componenti. 
(231) Nei collegi giudicanti acquista rilievo decisivo la fase istruttoria quale momento funzionalmente 
orientato all'acquisizione ed alla valutazione degli elementi di prova idonei a fondare la decisione 
di merito; in questa peculiare fase del giudizio l'ordinamento ritaglia al presidente un ruolo particolarmente 
incisivo nell�ambito del procedimento collegiale. 
(232) Ad esempio nei casi di patologico esercizio di una o pi� funzioni presidenziali; in particolare 
nelle ipotesi di omesso esercizio dell�atto di convocazione e/o formulazione dell'ordine del giorno occorre 
evidenziare come la ridottissima discrezionalit� presidenziale, pi� che in altri collegi, legittimi un 
rimedio volto al ripristino della funzionalit� dei lavori, nonostante il silenzio del diritto positivo; un rimedio 
che pu� individuarsi nell'intervento surrogatorio, ex officio, del presidente dell'intera magistratura 
cui il singolo collegio giudicante appartiene. Tale soluzione � applicabile ai collegi civili, penali e amministrativi. 
Diverso il discorso per la Corte costituzionale a cui sono estensibili le differenti considerazioni 
relative alle Assemblee parlamentari. 
(233) ASQUINI A., Il contratto di trasporto terrestre di persone, op. cit. Un principio successivamente 
ripreso da SICCHIERO G., I contratti misti, op. cit. DI PACE R., Partenariato pubblico privato e 
contratti atipici, op. cit.
DOTTRINA 319 
6.1. Gli organi giudicanti civili e penali. Le funzioni che individuano il contenuto tipico della 
posizione di primazia presidenziale. 
Gli organi giudicanti civili (234) e penali (235) appartengono alla famiglia degli organi 
perfetti o reali, da cui mutuano i principali caratteri, cui si aggiungono alcuni elementi tipici 
della funzione giurisdizionale (236). 
In tali organi collegiali rilievo decisivo � assunto dall�ufficio presidenziale, quale ufficio 
indefettibile per il coordinato svolgimento dei lavori (237). A tale ufficio � preposto il presidente, 
che viene a collocarsi in una posizione di preminenza formale e di reciproca equiordinazione 
con i componenti del consesso. 
Per descrivere le relazioni tra presidente e componenti la dottrina pi� autorevole ha frequentemente 
utilizzato la formula del primus inter pares, senza tuttavia chiarirne il valore semantico 
n� i poteri ad essa correlati (238); si � limitata, del resto, ad affermare che il presidente 
sarebbe un primo tra pari, principalmente, in sede decisoria, concorrendo �alla formazione 
della decisione collegiale in una situazione di perfetta uguaglianza con gli altri membri del 
collegio� (239). 
Occorre, dunque, ricostruirne la posizione di primus inter pares attraverso l�applicazione 
della iuris figura della primazia. Tale figura organizzatoria, che esprime una posizione di preminenza 
formale sugli altri componenti, si manifesta nelle funzioni di convocazione delle 
adunanze, formulazione dell'ordine del giorno, direzione dei lavori e polizia delle sedute; funzioni 
tuttavia suscettibili di speciale declinazione, in ragione sia degli originali caratteri del- 
(234) A titolo esemplificativo TRENTIN S., La responsabilit� collegiale, op. cit. CARNELUTTI F., 
Sistema di diritto processuale civile, op. cit.. CAVALLONE B., I poteri di iniziativa istruttoria del giudice 
civile, Giuffr�, Milano, 1968. PIZZORUSSO A., voce Organi giudiziari, in Enc. dir., vol. XXXI, op. cit.. 
COMOGLIO L.P., voce Giudice (giudice civile), in Enc. giur. Treccani, vol. XV, op. cit. REBUFFA G., La 
funzione giudiziaria, III ed., op. cit. 
(235) Senza pretese di completezza SCHMIDT R., Lehrbuch des deutschen Zivilprozessrechts, Leipzig, 
1889, p. 181. KLEINKNECHT TH.-M�LLER H.-REITBERGER L., Kommentar zur Strafprozessordnung, 
IV ed., N�berg, 1958, p. 631. HENKEL H., Strafverfahrensrecht, Stuttgart und Koln, 1953. COLOMBIER 
M., Des fonctiones du pr�sident en matiere p�nal, Paris, 1881. MASSA C., Il presidente del collegio penale 
e le sue funzioni, op. cit., p. 71. Secondo l'Autore la locuzione primus inter pares "lascia intravedere, 
senza esprimerla chiaramente, l'idea della preminenza del presidente. Pi� che ai compiti di iniziativa e 
di direzione del dibattimento la formula in questione sembra particolarmente adattarsi al momento 
della decisione, ad indicare che il presidente, pur conservando una posizione di preminenza, concorre, 
nel momento della votazione, alla formazione della decisione collegiale in situazione di completa parit� 
con gli altri componenti del collegio; tutti giudicano, cio�, simultaneamente e in pleno". 
(236) Sul punto MASSA C., Il presidente del collegio penale e le sue funzioni, op. cit., p. 13: "I 
loro membri hanno l'obbligo d'intervenire alle riunioni del rispettivo collegio, prendendo parte a tutte 
le sedute e deliberazioni. Altro carattere fondamentale dei collegi giurisdizionali, che li distingue dalla 
totalit� degli altri organi collegiali, � la nota d'imparzialit�, connaturata all'attivit� giurisdizionale". 
(237) PEDACE G., voce Presidente (Dir. proc. pen.), in Noviss. Dig. it., Utet, Torino, 1966. 
(238) La formula del primus inter pares � risultata sempre poco adatta ad illustrare la complessit� 
delle funzioni del presidente di collegio giudicante. Inoltre si consideri come tale formula linguistica 
non sia stata compiutamente abbinata dai processualisti al concetto di primazia nel significato di figura 
organizzatoria di originale equiordinazione. In ordine al ruolo e ai poteri del presidente nel giudizio 
civile si rinvia alle considerazioni di DIANA A., Le funzioni del presidente nel processo civile, op. cit. 
(239) MASSA C., Il presidente del collegio penale e le sue funzioni, op. cit., p. 39. In tema gi� DIANA 
A., Le funzioni del presidente nel processo civile, op. cit. CARNELUTTI F., Sistema di diritto processuale 
civile, op. cit., p. 541: "Il giudizio di lui non pesa un grammo di pi� che quello degli altri giudici".
320 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2015 
l'attivit� giurisdizionale sia dei peculiari tratti che connotano l�ufficio presidenziale ed il rispettivo 
titolare. 
Con particolare riferimento all'atto di convocazione, si tenga presente come tale prerogativa, 
pacificamente riconosciuta ai presidenti dei collegi civili e penali, risulti conformata 
dalle esigenze organizzative dell'istituzione cui il collegio giudicante appartiene. Come noto, 
infatti, luogo, data e ora delle udienze sono per larga parte predeterminati nei ruoli d'udienza 
redatti all'inizio di ciascun anno giudiziario dal Presidente dell'intero plesso giurisdizionale 
(240). Ci� chiaramente non esclude la titolarit� del potere di convocazione che, viceversa, 
permane in capo al singolo presidente di collegio, quale sua prerogativa necessaria, ma ne limita 
la potest� di esercizio, rendendola per ampi tratti vincolata. 
Per quanto concerne, poi, la formulazione dell'ordine del giorno di ciascuna udienza, 
valgano le medesime considerazioni poc'anzi svolte. Pur essendo la titolarit� della funzione 
pienamente riconosciuta al presidente, cionondimeno il relativo esercizio evidenzia un'incisiva 
riduzione dei margini di discrezionalit�, a causa dei vincoli imposti dai ruoli d'udienza. 
In ordine alla funzione direttiva, si segnala, altres�, come al titolare dell'ufficio presidenziale 
vengano attribuiti molteplici poteri, preordinati all'adozione di provvedimenti necessari 
per il corretto svolgimento del rapporto processuale (241). Infatti, come autorevolmente sostenuto 
dalla dottrina penalistica, �le funzioni direttive si estrinsecano in ordini, sovente puramente 
verbali (...) che a volte si concretano in provvedimenti di governo processuale, che 
ineriscono alla guida del dibattimento� (242); del resto, l'art. 470 c.p.p. prescrive che �la disciplina 
dell'udienza e la direzione del dibattimento sono esercitate dal presidente� il quale 
decide senza formalit�; egli, ad esempio, concede e toglie la parola, coordinando la discussione 
tra le plurime parti del giudizio. In senso speculare, gli artt. 127 (243) e 175 (244) c.p.c. sottolineano, 
nell�ambito dei collegi civili, l�importanza del presidente, in concorso con il giudice 
istruttore, nelle attivit� di direzione ed istruzione del procedimento (245). 
(240) MASSA C., Il presidente del collegio penale e le sue funzioni, op. cit., p. 5: "Il collegio giudicante 
va tenuto distinto dalla Magistratura collegiale (Corte di Cassazione, Corte di Appello, Tribunale) 
di cui i suoi membri fanno parte. Essa costituisce uno dei tanti uffici giudiziari in cui si articola 
il potere giurisdizionale, con funzioni varie e competenze complesse che riguardano anche rapporti non 
giurisdizionali. Il collegio �, invece, un giudice in azione, che conosce di un determinato processo (...) 
operando come organo della rispettiva magistratura collegiale". 
(241) MASSA C., Il presidente del collegio penale e le sue funzioni, op. cit., p. 102. Come acutamente 
evidenziato dall'Autore "i poteri pi� importanti del presidente hanno carattere direttivo e ordinatorio" (...). 
"Il presidente � dotato, altres�, di poteri ordinatori (o strumentali), in virt� dei quali egli pone in essere tutti 
i provvedimenti necessari per lo svolgimento e lo sviluppo dei rapporto processuale nella fase del giudizio". 
(242) MASSA C., Il presidente del collegio penale e le sue funzioni, op. cit., p. 180. 
(243) L'art. 127 c.p.c. espressamente recita: "L'udienza � diretta dal giudice singolo o dal presidente 
del collegio. Il giudice che la dirige pu� fare o prescrivere quanto occorre affinch� la trattazione 
delle cause avvenga in modo ordinato e proficuo, regola la discussione, determina i punti sui quali essa 
deve svolgersi e la dichiara chiusa quando la ritiene sufficiente". In tema MARENGO R., Udienza. I.- 
Udienza in genere: a) Diritto processuale civile, in Enc. dir., vol. XLV, Milano, 1992, p. 484. 
(244) L'art. 175 c.p.c. prescrive: "Il giudice istruttore esercita tutti i poteri intesi al pi� sollecito 
e leale svolgimento del procedimento. Egli fissa le udienze successive e i termini entro i quali le parti 
debbono compiere gli atti processuali". Il giudice istruttore viene nominato dal presidente che, tuttavia, 
potrebbe assumerne in prima persona i relativi compiti, senza alcun atto di nomina. Per un commento 
si rinvia a CENDON P. (a cura di), Commentario al codice di procedura civile, Giuffr�, Milano, 2012. 
(245) RASELLI A., Il potere discrezionale del giudice civile, op. cit. COMOGLIO L.P., voce Giudice 
(giudice civile), in Enc. giur. Treccani, vol. XV, op. cit.
DOTTRINA 321 
Tra le funzioni di primus inter pares quella di direzione dei lavori assume un rilievo decisivo 
nella connotazione dell�ufficio di presidente, oltre ad avere importanti ricadute sulla di 
lui posizione di primazia. In special modo occorre porre attenzione agli incisivi poteri presidenziali 
della fase istruttoria del giudizio; poteri idonei ad esprimere forme di sovraordinazione 
ed episodi di preminenza sostanziale sugli altri giudici del collegio. Si rinvia al 
successivo sotto-paragrafo l�analisi sulla compatibilit� di tali poteri con i caratteri generali 
della primazia. 
Per quanto concerne, poi, la fase delle votazioni, � d'obbligo evidenziare come il voto 
del presidente abbia lo stesso valore, pari ad uno, del voto degli altri giudici (246); ci� in ossequio 
al principio della par condicio che informa le relazioni infra-collegiali. 
Quanto, infine, alla funzione di polizia delle sedute (247), gli artt. 128 co. II c.p.c. (248) 
e 470 co. II c.p.p. (249) ne ribadiscono nei collegi, civili e penali, la qualitas di prerogativa 
indefettibile della primazia presidenziale. Del resto, la potest� di polizia delle sedute si esplica 
"nel potere-dovere di far rispettare nella sala d'udienza il buon ordine; di non tollerare nessun 
segno pubblico sia di approvazione che di disapprovazione, n� alcun tumulto" (250). 
(246) Nei collegi giurisdizionali penali non vi sono norme che conferiscano prevalenza al voto 
del presidente a parit� di suffragi. La spiegazione di ci� si rinviene nella struttura del collegio che, essendo 
un collegio perfetto costituito normalmente da un numero dispari di componenti, non contempla 
nemmeno astrattamente situazioni di parit� in sede di votazione. Ad ogni modo fa notare DE LUCA G., 
voce Collegio, in Enc. forense, vol. II, Milano, 1958 come in alcuni collegi penali, accanto al sistema 
del numero dispari, sia ammissibile, ove espressamente previsto, un numero pari di componenti. Tuttavia 
anche in questa ipotesi un'eventuale situazione di parit� dei suffragi verrebbe risolta non gi� con la prevalenza 
del voto del presidente, bens� attraverso l'applicazione del principio del favor rei che fa prevalere 
la soluzione pi� favorevole al reo. 
(247) RASELLI A., Il potere discrezionale del giudice civile, Padova, 1935. BRUNELLI I., voce Polizia 
delle udienze, in Nuovo Dig. it., vol. IX, Torino, 1939. VIRGA P., La potest� di polizia, op. cit., p. 
74. MASSA C., Il presidente del collegio penale e le sue funzioni, op. cit., pp. 157-158: "La polizia dell'udienza 
� necessaria per il rispetto dell'amministrazione della giustizia e per la libera esplicazione 
dei diritti delle parti. (...) Inoltre l'opera del giudice pu� svolgersi in un ambiente decoroso e sereno, 
circondata dal rispetto indispensabile al prestigio dei magistrati e alle funzioni da loro attuate. (...) 
Nelle aule di giustizia, infatti, viene in discussione l'onore, la libert�, se non la vita stessa dei cittadini; 
devono assumersi, analizzarsi le prove; � necessario coordinare i risultati del dibattimento". Pertanto, 
il presidente deve poter disporre "di tutti i mezzi per ottenere il rispetto del luogo d'udienza e delle funzioni 
che ivi si esercitano". 
(248) Ai sensi dell'art. 128 co. II c.p.c. "il giudice esercita i poteri di polizia per il mantenimento 
dell'ordine e del decoro e pu� allontanare chi contravviene alle sue prescrizioni". 
(249) L'art. 470 co. II c.p.p. espressamente statuisce: "Per l'esercizio delle funzioni indicate in 
questo capo, il presidente o il pubblico ministero si avvale, ove occorra, anche della forza pubblica, 
che d� immediata esecuzione ai relativi provvedimenti". 
(250) MASSA C., Il presidente del collegio penale e le sue funzioni, op. cit., p. 158: "Essa rappresenta 
una specificazione locale (udienza) della potest� di polizia in genere, in quanto mira a garantire 
l'ordine pubblico, la pubblica sicurezza, la moralit�. (...) La potest� d'udienza si esercita nella sala dove 
si svolge il dibattimento, e anche nelle adiacenze. (...) I poteri di polizia si esercitano in via preventiva, 
con la emissione di ordini diretti a prevenire il disturbo dell'udienza, e in via repressiva con l'ammonizione, 
l'allontanamento dall'aula, ecc...". In proposito gi� BRUNELLI U., voce Polizia delle udienze, in 
Nuovo Dig. it., op. cit., p. 1188: "Chi interviene alle udienze non pu� portare armi o bastoni e deve 
stare a capo scoperto con rispetto ed in silenzio. Sono vietati alle udienze segni di approvazione o disapprovazione 
e qualsiasi disturbo. In caso di trasgressione il presidente ammonisce o fa uscire dalla 
sala il colpevole, il quale se non ubbidisce pu� essere sull'ordine del presidente condotto agli arresti".
322 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2015 
6.1.1. I poteri di sovraordinazione del presidente. 
Occorre a questo punto dedicarsi all'analisi della natura e dei caratteri di alcuni poteri 
presidenziali di sovraordinazione, al precipuo fine di evidenziarne le ricadute sulla figura organizzatoria 
della primazia. 
Si tratta di poteri attivati dal presidente nel ruolo di primus inter pares che trovano svolgimento, 
segnatamente, nella fase istruttoria e nella fase decisoria del giudizio. La specialit� di tali 
poteri � rinvenibile nella loro capacit� di esprimere un quid di sovraordinazione, idoneo a generare 
episodi di preminenza sostanziale del presidente sugli altri giudici del collegio; una preminenza 
sostanziale che, prima facie, mal si concilia con la reciproca pariordinazione di tutti i componenti. 
Un primo esempio � rinvenibile nella disposizione del c.p.p. che durante il dibattimento 
riconosce al presidente significativi poteri istruttori in materia di prova. In tal senso l'art. 506 
co. I espressamente recita: "Il presidente, anche su richiesta di altro componente del collegio, 
in base ai risultati delle prove assunte nel dibattimento a iniziativa delle parti o a seguito 
delle letture disposte a norma degli artt. 511, 512 e 513, pu� indicare alle parti temi di prova 
nuovi o pi� ampi, utili per la completezza dell'esame" (251). 
Dall'analisi della disposizione emerge chiaramente la voluntas legis di riconoscere al 
presidente incisivi poteri di iniziativa probatoria in stimolo alle parti; tali poteri, coerentemente, 
sono in grado di condizionare l'acquisizione del materiale istruttorio, con effetti sulla 
decisione finale. In questa fattispecie la primazia, quale posizione di preminenza formale, 
viene, eccezionalmente, ad arricchirsi di contenuti sostanziali, idonei a riverberarsi sulla formazione 
della volont� del collegio. 
Un secondo esempio di poteri di sovraordinazione � rintracciabile nell�ipotesi patologica 
di mancata sottoscrizione della sentenza per rifiuto del presidente (252). Con riferimento alle 
possibili ricadute sulla deliberazione finale, si rinvengono in giurisprudenza due orientamenti: 
un primo orientamento, pi� rigoroso, considera la sentenza priva di sottoscrizione inesistente 
o radicalmente nulla (253) per mancata formazione della volont� del collegio; in questo caso, 
quindi, la violazione dell�obbligo di sottoscrizione andrebbe ad inficiare l�attivit� degli altri 
componenti, esprimendo cos� un episodio di preminenza sostanziale del presidente, in deroga 
(251) Pi� in generale sui poteri istruttori del giudice penale DE CARO A., Poteri probatori del giudice 
e diritto alla prova, op. cit. BELLUTA H., Imparzialit� del giudice e dinamiche probatorie ex officio, 
op. cit. CARACENI L., Poteri d'ufficio in materia probatoria e imparzialit� del giudice penale, op. cit. 
VERGINE F., Sistema delle prove e interventi del giudice, op. cit. LATTANZI G., Codice di procedura penale: 
annotato con la giurisprudenza, VIII ed., op. cit. CONSO G.-GREVI V.-ILLUMINATI G., Commentario breve 
al codice di procedura penale: complemento giurisprudenziale, a cura di LIVIA GIULIANI, VIII ed., op. 
cit. DE GIOIAV., Codice di procedura penale e leggi speciali annotato con la giurisprudenza, op. cit. 
(252) L�art. 132 c.p.c. prescrive che �la sentenza emessa dal giudice collegiale � sottoscritta soltanto 
dal presidente e dal giudice estensore. Se il presidente non pu� sottoscrivere per morte o per altro 
impedimento, la sentenza viene sottoscritta dal componente pi� anziano del collegio, purch� prima della 
sottoscrizione sia menzionato l'impedimento�. La disposizione in parola non prevede, viceversa, alcun 
rimedio a fronte del rifiuto del presidente. 
(253) AULETTA F., La nullit� (sanabile) della sentenza che manca della sottoscrizione di "un" giudice 
(Nota a Cass. 20 maggio 2014, n. 11021), in www.foroitaliano.it. Secondo l'Autore la giurisprudenza 
considerava in passato la sentenza priva della sottoscrizione del presidente del collegio affetta da inesistenza 
o comunque da nullit� assoluta ed insanabile, per l�assenza di un requisito essenziale dell'atto. 
Un vizio, dunque, di estrema gravit� in nessun modo emendabile. (Ex plurimis, Cass., 16 novembre 
1988, n. 6204, in Foro it. 1988. Cass., 26 maggio 2009, n. 12167, in Foro it. 2009).
DOTTRINA 323 
al principio della par condicio di tutti i membri del consesso. Viceversa, il secondo orientamento, 
meno restrittivo, ritiene il provvedimento giurisdizionale affetto da semplice nullit� 
relativa, come tale, sanabile (254), con salvezza di ogni attivit� compiuta. 
Nonostante le apparenze, i poteri presidenziali di sovraordinazione, pur incidendo sulla 
primazia, non sono in grado di modificarne la natura di figura di originale equiordinazione. 
Del resto, anche nei collegi giudicanti, civili e penali, trova applicazione la teoria dell'assorbimento 
o della prevalenza (255), in base alla quale i minoritari poteri di sovraordinazione risultano 
assorbiti dalle funzioni maggioritarie di primus inter pares (256). Poich� non esistono 
nel mondo del diritto posizioni, situazioni o figure giuridiche assolute (257), anche la primazia 
pu� tollerare nel proprio nucleo interno occasionali ed eccezionali poteri di sovraordinazione 
con i relativi episodi di preminenza sostanziale; episodi che, tuttavia, non hanno la forza di 
comprometterne i tratti generali e, segnatamente, la posizione di preminenza formale del presidente 
e la reciproca pariordinazione di tutti i componenti. 
6.2. Gli organi giudicanti amministrativi. La posizione di primus inter pares del presidente 
all�interno del consesso. 
I collegi giudicanti amministrativi (258) sono ascrivibili alla famiglia dei collegi perfetti 
o reali (259), da cui mutuano i principali caratteri che vanno ad aggiungersi agli elementi distintivi 
della funzione giurisdizionale. 
Palpitante centralit� assume in tali organi collegiali l�ufficio presidenziale cui sono affidati 
compiti di impulso e coordinamento dei lavori. Ad esso � preposta la figura del presidente 
che riveste una posizione di primazia formale o di primus inter pares rispetto agli altri 
giudici del consesso. 
(254) La giurisprudenza maggioritaria propende per la tesi della nullit� relativa della sentenza 
priva della sottoscrizione del presidente. Ex multis, Cass. Sez. Un., 20 dicembre 2012, n. 14978, in 
www.iusexplorer.it: "La sentenza di appello mancante della sottoscrizione del presidente del collegio 
non giustificata espressamente da un suo impedimento legittimo e firmata dal solo giudice estensore, 
configura una nullit� relativa che comporta l'annullamento senza rinvio e la restituzione degli atti affinch� 
si provveda alla sanatoria mediante nuova redazione della sentenza-documento". Successivamente 
anche Cass. Sez. Un., 20 maggio 2014, n. 11021, in www.foroitaliano.it. 
(255) In tema si rinvia agli scritti di ASQUINI A., Il contratto di trasporto terrestre di persone, op. cit. 
SICCHIERO G., I contratti misti, op. cit. DI PACE R., Partenariato pubblico privato e contratti atipici, op. cit. 
(256) Trattasi di funzioni, come noto, contrassegnate dalla strumentalit� rispetto al corretto svolgimento 
dell'attivit� collegiale e al suo esito deliberativo nonch� dalla natura meramente formale-procedurale. 
(257) A riguardo PUGLIATTI S., La propriet� nel nuovo diritto, op. cit. ID., Il trasferimento delle 
situazioni soggettive, op. cit. NICOL� R., Istituzioni di diritto privato. I. Dispense integrative ad uso 
degli studenti, op. cit. BOBBIO N., L'et� dei diritti, op. cit. 
(258) Pi� in generale sui peculiari tratti distintivi della collegialit� giudiziaria CACCIAVILLANI I.- 
MANZI L., La collegialit� amministrativa, op. cit., pp. 36-37: "Per i collegi giudiziari esistono regole 
marcatamente diverse da quelle dei collegi amministrativi: non esistono non votanti, essendo ammesso 
soltanto il dissenso di minoranza (...); non � ammesso il quorum ma viene prescritto il numero chiuso 
(...); non � ammesso lo scioglimento del collegio in caso di impossibilit� di funzionamento". 
(259) In proposito ROMEO A., Collegialit� e ruolo presidenziale nella sentenza amministrativa, 
op. cit., p. 61: "A differenza dei collegi virtuali, in quelli reali giurisdizionali, � necessaria la presenza 
di tutti i componenti in ogni fase della seduta, indice di una pi� accentuata ritualit� del funzionamento 
di questi, nei quali appunto, il quorum per la costituzione, sempre integrale, deve sussistere tanto nello 
stadio iniziale quanto durante tutto lo svolgimento del giudizio, s� da postulare non solo la presenza ma 
la continua assistenza di ogni membro della riunione".
324 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2015 
I tratti tipici della primazia si rinvengono nell�esercizio delle funzioni amministrative 
di convocazione delle adunanze, formulazione dell'ordine del giorno, direzione dei lavori, polizia 
delle sedute. 
Con riferimento al potere di convocazione, in primo luogo va detto come sia il presidente 
a convocare le adunanze, tra le date prefissate nel calendario degli uffici all'inizio di ciascun 
anno giudiziario. Del resto, ai sensi dell'art. 9 all. II disp. att. c.p.a. "i presidenti delle sezioni 
giurisdizionali del Consiglio di Stato, il presidente del Consiglio di giustizia amministrativa 
per la Regione siciliana e i presidenti dei tribunali amministrativi regionali o (�) i presidenti 
delle sezioni staccate e interne, all�inizio di ogni anno, stabiliscono il calendario delle udienze, 
con l�indicazione dei magistrati chiamati a parteciparvi e, all�inizio di ogni trimestre, la composizione 
dei collegi giudicanti, in base ai criteri stabiliti dal Consiglio di presidenza". 
Un potere, dunque, che sembra conferire ridotti margini di scelta al presidente di ciascun 
collegio, anche in ragione della circostanza che "la fissazione del giorno dell'udienza per la 
trattazione dei ricorsi � effettuata secondo l'ordine di iscrizione delle istanze di fissazione 
d'udienza nell'apposito registro, salvi i casi di fissazione prioritaria previsti dal codice� (art. 
8 all. II disp. att. c.p.a.). Tuttavia, la seconda parte di tale disposizione prescrive che �il presidente 
pu� derogare al criterio cronologico per ragioni d'urgenza, anche tenendo conto delle 
istanze di prelievo, o per esigenze di funzionalit� dell'ufficio, ovvero per connessione di materia, 
nonch� in ogni caso in cui il Consiglio di Stato abbia annullato la sentenza o l'ordinanza 
e rinviato la causa al giudice di primo grado". Pertanto, a differenza di quanto normalmente 
accade nei collegi giudicanti, si attribuisce al presidente per ragioni di urgenza un potere, ampiamente 
discrezionale, di convocazione in deroga. 
In ordine, poi, alla formulazione dell'ordine del giorno si noti come tale prerogativa 
anche nei collegi amministrativi sia ascrivibile alle funzioni tipiche dell'ufficio presidenziale, 
pur essendo tale atto ampiamente vincolato, quanto ad esercizio, dalla tipologia della causa 
iscritta a ruolo (260). 
Quanto alla funzione di direzione dei lavori (261), il presidente � investito di considerevoli 
poteri sia in sede di discussione pubblica alla presenza delle parti, sia in camera di consiglio 
verso gli altri giudici (262); si pensi a taluni eccezionali poteri istruttori, dalla natura 
sovraordinata, idonei a riverberarsi sulla figura organizzatoria della primazia, determinando 
episodi di preminenza sostanziale del presidente sugli altri componenti; se ne rinvia l�esame 
al sotto-paragrafo successivo. Per il resto, la posizione di primazia si connota secondo gli ordinari 
tratti di preminenza formale; ci� trova conferma, specialmente, in sede di votazione 
ove il presidente vota per ultimo (263) e il suo voto vale come quello degli altri giudici del 
consesso (264). 
(260) Sia i magistrati sia le parti devono essere posti nella condizione di conoscere previamente 
il thema decidendum della seduta; tuttavia il potere del presidente in ordine alla formulazione dell'ordine 
del giorno risulta fortemente circoscritto dalla tipologia nonch� dai caratteri della causa incardinata. 
(261) Ai sensi dell'art. 11 all. 2 delle norme di attuazione del c.p.a. "l'udienza � diretta dal presidente 
del collegio". 
(262) ROMEO A., Collegialit� e ruolo presidenziale nella sentenza amministrativa, op. cit., spec. 
p. 88. 
(263) Cos� recita l'art. 76 co. III c.p.a.: "Il presidente raccoglie i voti. La decisione � presa a maggioranza 
di voti. Il primo a votare � il relatore, poi il secondo componente del collegio e, infine, il presidente. 
Nei giudizi davanti al Consiglio di Stato il primo a votare � il relatore, poi il meno anziano in 
ordine di ruolo, e cos� continuando sino al presidente". Per un commento si rinvia a CRESTA S.-NICODEMO
DOTTRINA 325 
Per quanto concerne, infine, la funzione di polizia d�aula, trova per essa applicazione 
l'art. 12 all. II disp. att. c.p.a. in base al quale chi assiste alle sedute �deve stare in silenzio, 
non pu� fare segni di approvazione o di disapprovazione o cagionare disturbo. Il presidente 
del collegio, ove lo ritenga necessario per il regolare svolgimento dell'udienza, pu� chiedere 
l'intervento della forza pubblica". Tale disposizione rafforza nei collegi giudicanti amministrativi 
l'indefettibilit� della funzione di polizia d'aula, quale funzione immanente all'ufficio 
di presidente ed alla relativa posizione di primazia. 
6.2.1. I poteri del presidente che esprimono episodi di preminenza sostanziale sugli altri componenti. 
Nei collegi giudicanti amministrativi (TAR e Consiglio di Stato (265)) il presidente risulta 
investito di alcuni poteri dalla natura sovraordinata; poteri che sono esercitati ora come 
organo monocratico, ora come primus inter pares nell'attivit� di coordinamento dei lavori del 
collegio. Appare coerentemente necessaria una loro puntuale descrizione, chiarendo sin d�ora 
come la distinzione tra le due tipologie di poteri non risulti sempre agevole. Ci� che interessa, 
primariamente, � l�analisi in s� dei poteri presidenziali di sovraordinazione, al precipuo fine 
di verificarne la compatibilit� con le caratteristiche generali della primazia. 
Quanto alle funzioni esterne svolte dal presidente in qualit� di organo monocratico, rientrano 
in tale area i poteri organizzatori (266), la potest� di emettere provvedimenti cautelari 
G., Il nuovo Codice del processo amministrativo, Dike, Roma, 2011. PALLIGGIANO G.-ZINGALES U., Il 
Codice del nuovo processo amministrativo, III ed., Ipsoa, 2012. 
(264) ROMEO A., Collegialit� e ruolo presidenziale nella sentenza amministrativa, op. cit., p. 109: 
"La posizione del presidente appare quella di primus inter pares con specifico riferimento al momento 
della decisione, nel senso che egli (...), pur mantenendo una posizione di preminenza, concorre alla formazione 
della volont� collegiale in situazione di perfetta parit� con gli altri componenti del collegio". 
Un�ipotesi eccezionale � rappresentata dalla disposizione dell'art. 7 del d.p.r. n. 426 del 1984 riguardante 
il TAR Trentino Alto-Adige, la quale espressamente recita: "La sezione autonoma di Bolzano decide 
con l'intervento di quattro componenti, appartenenti per la met� a ciascuno dei gruppi linguistici italiano 
e tedesco. Le decisioni della sezione autonoma di Bolzano sono assunte a maggioranza dei voti dei 
componenti del collegio, con il voto determinante del presidente in caso di parit� di voti". 
(265) Ai sensi degli artt. 5 e 6 del C.p.a. il Tar e il Consiglio di Stato decidono con la partecipazione, 
rispettivamente, di tre e cinque giudici, presidente incluso. 
(266) Si pensi, a titolo esemplificativo, ai poteri organizzatori che il C.p.a. riconosce ai presidenti 
di sezione del Consiglio di Stato. In tale contesto il presidente, oltre ad agire come coordinatore orizzontale 
delle sedute, opera, altres�, come organo monocratico esercitando compiti di organizzazione del 
lavoro sia degli uffici sia del collegio nell'ambito della sezione presieduta. In tale diversa ed esterna posizione 
giuridica il presidente di sezione riveste una posizione non gi� di primazia ma di vera e propria 
sovraordinazione tanto verso il collegio quanto nei confronti dei suoi componenti individualmente intesi. 
Per un'analisi generale dell'organizzazione e delle funzioni del Supremo consesso amministrativo si rinvia 
ai tradizionali contributi di DE NAVA G., voce Consiglio di Stato, in Dig. it., vol. VIII, Utet, Torino, 
1896. LATORRE M., voce Consiglio di Stato, in Enc. giur. it., vol. XV, Milano, 1936, pp. 824 e ss. GUICCIARDI 
E., voce Consiglio di Stato, in Noviss. Dig. it., vol. IV, Utet, Torino, 1959, pp. 184 e ss. DANIELE 
N., voce Consiglio di Stato (ordinamento e organizzazione), in Enc. dir., vol. IX, Giuffr�, Milano, 1961: 
"Nell'esercizio delle funzioni d'istituto - aspetti organizzativi del lavoro - il presidente ha una supremazia 
d'ordine formale, ma, per quanto attiene alla formazione della volont� collegiale, � solo un primus inter 
pares". BENVENUTI F., voce Consiglio di Stato (storia), in Enc. dir., vol. IX, Milano, 1961. CHIEPPA R., 
voce Consiglio di Stato, in Enc. giur. Treccani, vol. VIII, Roma, 1988. PAJNO A., voce Consiglio di Stato, 
in Diz. dir. pubbl., vol. II, diretto da S. CASSESE, Giuffr�, Milano, 2006. TRAVI A., Il Consiglio di Stato 
tra legislazione e amministrazione, in Dir. pubbl., n. 2, 2011.
326 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2015 
ante causam (267) ed in corso di causa (268). Tali poteri presidenziali hanno ricadute sulla 
iuris figura della primazia in quanto espressivi di forme di sovraordinazione e di episodi di 
preminenza sostanziale sugli altri componenti. 
Con riferimento ai diversi poteri di coordinamento dei lavori, � d'obbligo citare, in special 
modo, i poteri di istruzione della causa, normalmente esperiti dal presidente in concorso 
con il collegio ed i suoi componenti. Si � al cospetto di peculiari poteri che, pur attivati dal 
presidente nella veste di primus inter pares, manifestano un quid di sovraordinazione, idoneo 
ad accentuarne in senso sostanziale la posizione di primazia. Di essi occorre verificare la compatibilit� 
con la figura organizzatoria della primazia e, segnatamente, con la relazione di 
equiordinazione intercorrente tra il presidente e gli altri componenti. 
A ben vedere, il c.p.a. tende a rafforzare le attribuzioni presidenziali in seno ai collegi 
giudicanti amministrativi (269); infatti, ai sensi degli artt. 65 co. I e 68 co. I, il presidente su 
istanza di parte, adotta i provvedimenti necessari per assicurare la completezza dell'istruttoria; 
inoltre nell'ammettere i mezzi istruttori fissa i termini e stabilisce luogo e modalit� di assunzione. 
L'art. 65 co. II conferisce, altres�, al collegio la potest� di disporre l'istruttoria (c.d. 
istruttoria collegiale). In ogni caso le ordinanze adottate dal presidente sono insuscettibili di 
reclamo al plenum. Infine, in base all'art. 69, "la surrogazione del magistrato delegato o la 
nomina di altro magistrato che debba sostituirlo in qualche atto relativo all'esecuzione della 
prova � disposta con provvedimento del presidente, ancorch� la delega abbia avuto luogo 
con ordinanza collegiale" (270). 
Da un�interpretazione sistematica delle disposizioni citate, � possibile inferire un concorrente 
potere del presidente e del collegio in materia istruttoria; tuttavia al presidente � assegnato 
un ruolo di gran lunga pi� incisivo che si disvela attraverso poteri idonei ad 
influenzare il contenuto della sentenza, condizionando l'autonomia decisionale degli altri giudici. 
Il momento istruttorio �, d�altronde, momento nevralgico di ogni giudizio. 
Oltre ai poteri istruttori si devono considerare taluni speciali poteri riconosciuti al presidente 
per l'instaurazione e lo svolgimento del rapporto processuale. Trattasi di una pluralit� 
di poteri, contemplati rispettivamente agli artt. 47, 49, 52, 71 e 72 c.p.a. (271) con caratteri 
(267) Senza pretese di completezza PAVAN A., La tutela cautelare nel nuovo Codice del processo 
amministrativo, Giuffr�, Milano, 2010. LUMETTI M.V., Processo amministrativo e tutela cautelare, 
Cedam, 2012. 
(268) Trattasi del c.d. il decreto presidenziale monocratico. In proposito SCALCIONE A., La tutela 
cautelare monocratica nel processo amministrativo, in Foro amm. Tar, fasc. 5, 2006, p. 1932: "Il fatto 
che il Presidente estensore del decreto sia poi anche il Presidente del collegio cui sar� affidato il giudizio 
sulla istanza cautelare ha per� suscitato in alcuni il timore di un latente condizionamento del decisore 
plurisoggettivo della fase collegiale, che tenderebbe ad avallare le scelte fatte dal membro pi� autorevole 
dell'assise, seppur solo primus inter pares". BERRA M., I poteri presidenziali nel giudizio cautelare amministrativo, 
in www.giustamm.it. 
(269) A riguardo ROMEOA., Collegialit� e ruolo presidenziale nella sentenza amministrativa, op. cit. 
(270) Per approfondimenti si rinvia a LEONE G.-MARUOTTI L.-SALTELLI C. (a cura di), Codice del 
processo amministrativo, Padova, 2010. SANINO M. (a cura di), Codice del processo amministrativo, 
Utet, Torino, 2011. DE NICTOLIS R., Codice del processo amministrativo commentato, II ed., Ipsoa, 2012. 
(271) In proposito ROMEO A., Collegialit� e ruolo presidenziale nella sentenza amministrativa, 
op. cit. Per un commento alle disposizioni del C.p.a. CRESTA S.-NICODEMO G., Il nuovo Codice del processo 
amministrativo, op. cit. PALLIGGIANO G.-ZINGALES U., Il Codice del nuovo processo amministrativo, 
op. cit. POLICE A.-CLIFFORD C. (a cura di), Processo amministrativo, Ipsoa, 2013. CORRRADINO M. 
-STICCHI DAMIANI S., Il processo amministrativo, Giappichelli, Torino, 2014.
DOTTRINA 327 
anche diversi tra loro, quali i poteri di: decisione di eccezioni; assegnazione di termini; indicazione 
di speciali forme di notificazione; integrazione del contraddittorio; formulazione dell'udienza 
di discussione del ricorso; nomina del relatore; attribuzione di priorit� nella 
trattazione dei ricorsi. 
Pur se propedeutici al corretto andamento dell'iter collegiale, tali poteri esprimono un 
quid, sia pure indecifrabile, di sovraordinazione e, conseguentemente, possono determinare, 
occasionalmente, episodi di preminenza sostanziale del presidente sugli altri giudici. 
In ogni caso tutti questi poteri presidenziali, per la loro eccezionalit�, non sono in grado 
di scalfire i caratteri generali della iuris figura della primazia e, segnatamente, la posizione di 
preminenza formale del presidente e la reciproca pariordinazione di tutti i componenti. D�altronde, 
in virt� dell'applicazione della teoria dell'assorbimento o della prevalenza (272), le 
maggioritarie funzioni di primus inter pares prevalgono sui minoritari poteri di sovraordinazione 
che vengono assorbiti ed azzerati nel contenuto tipico della primazia. 
6.3. La Corte costituzionale. Ruoli e funzioni del presidente. 
La Corte costituzionale si inquadra nella famiglia dei collegi con funzioni giurisdizionali, 
da cui mutua alcuni tratti caratteristici, cui si aggiungono profili di specialit� riconducibili 
alla sua natura di organo di garanzia costituzionale (273). A differenza dei collegi giudicanti 
civili, penali e amministrativi, la Corte � un collegio imperfetto o virtuale (274), con inevitabili 
ricadute sulla disciplina applicabile. 
La Consulta risulta, inoltre, un�istituzione complessa che si articola, al proprio interno, 
in organi monocratici e collegiali (275); tra questi spicca l�Assemblea (o plenum) che ne riunisce 
tutti i giudici. 
Ai sensi dell'art. 135 co. V Cost. "la Corte elegge tra i suoi componenti (...) il Presidente 
(272) In proposito ASQUINI A., Il contratto di trasporto terrestre di persone, op. cit. SICCHIERO 
G., I contratti misti, op. cit. DI PACE R., Partenariato pubblico privato e contratti atipici, op. cit. 
(273) Secondo MARTINES T., Il Presidente della Corte costituzionale, op. cit., pp. 2057 e ss. la 
Corte costituzionale sarebbe un "organo non rappresentativo e con funzioni sostanzialmente giurisdizionali 
e di garanzia costituzionale". Pi� in generale sulla Corte costituzionale si rinvia, senza pretese 
di completezza, ai contributi di CURCI P., La Corte costituzionale: composizione, attribuzioni, funzionamento, 
Giuffr�, Milano, 1957. BALOCCHI E., voce Corte costituzionale, in Noviss. Dig. it., vol. IV, 
Torino, 1959. PIERANDREI F., voce Corte costituzionale, in Enc. dir., vol. X, Giuffr�, Milano, 1962. PANNUNZIO 
S.P., I regolamenti della Corte costituzionale, Cedam, Padova, 1970. D'ORAZIO G., La genesi 
della Corte costituzionale, Edizioni di Comunit�, Milano, 1980. RODOT� C., La Corte costituzionale, 
Editori riuniti, Roma, 1986. ZAGREBELSKY G., La giustizia costituzionale, Il Mulino, Bologna, 1996. 
ANZON A.-AZZARITI G.-LUCIANI M. (a cura di), La composizione della Corte costituzionale. Situazione 
italiana ed esperienze straniere, Atti Seminario Roma, 14 marzo 2003, Giappichelli, Torino, 2004. PEDERZOLI 
P., La Corte costituzionale, Il Mulino, Bologna, 2008. LAMARRQUE E., Corte costituzionale e 
giudici nell'Italia repubblicana, Laterza, Bari-Roma, 2012. CARAVITA B. (a cura di), La giustizia costituzionale 
in trasformazione. La Corte costituzionale tra giudice dei diritti e giudice dei conflitti, Jovene, 
Napoli, 2012. 
(274) PIZZORUSSO A., Lezioni di diritto costituzionale, Roma, 1978, p. 366: "A differenza di quanto 
avviene di regola per gli organi giudiziari, essa non costituisce un collegio perfetto, in quanto pu� funzionare 
anche in assenza di alcuni dei suoi membri (sia per impedimento, sia per vacanza della carica), 
purch� intervengano a ciascuna adunanza almeno 11 giudici" su 15. 
(275) Si pensi al Presidente quale vertice della struttura amministrativa della Corte, all�ufficio di 
presidenza, alla Commissioni, al plenum.
328 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2015 
che rimane in carica per un triennio" (276). Una volta insediatosi il presidente nomina un 
giudice, chiamato a sostituirlo in caso di assenza o impedimento (art. 6 co. IV l. 87 del 1953), 
che assume il titolo di vicepresidente (art. 22 bis regolamento interno) (277). 
Tali disposizioni evidenziano l�indefettibilit� dell�ufficio di presidente e della posizione 
di primazia ad esso correlata (278), ai fini del coordinato svolgimento dei lavori del plenum. 
La primazia, quale posizione di preminenza formale del presidente sugli altri componenti, 
si articola nelle funzioni amministrative (discrezionali) di convocazione delle adunanze, 
formulazione dell'ordine del giorno, direzione dei lavori, polizia delle sedute (279). Nell�esercizio 
di tali funzioni il presidente � un mero primus inter pares (280), in posizione, cio�, di 
equiordinazione sia pure originale con gli altri giudici del collegio. 
(276) Con riferimento alla figura del Presidente della Corte costituzionale MARTINES T., Il Presidente 
della Corte costituzionale, op. cit. CERRINA FERONI G., Il Presidente della Corte costituzionale, in 
Dir. e soc., n. 4, 1994. AINIS M. (a cura di), voce Presidente della Corte costituzionale, in Dizionario 
costituzionale, op. cit. AZZARITI G., Il ruolo del Presidente della Corte costituzionale nella dinamica 
del sistema costituzionale italiano, in L'organizzazione e il funzionamento della Corte costituzionale, a 
cura di P. COSTANZO, Giappichelli, Torino, 1996. BUQUICCHIO M., Contributo allo studio delle esternazioni 
del presidente della Corte costituzionale, Cacucci, Bari, 2000. SICLARI M., Il Presidente della 
Corte costituzionale, in La composizione della Corte costituzionale. Situazione italiana ed esperienze 
straniere, op. cit., pp. 159-177. 
(277) Il regolamento generale della Corte � stato approvato con deliberazione del 20 gennaio 
1966. Nel corso dei decenni ha subito vari interventi modificativi; tra i pi� significativi si segnalano 
quelli compiuti il 10 dicembre 1971 e il 14 luglio 2009. Sulla figura del vicepresidente della Corte costituzionale 
si rinvia alle considerazioni di MARTINES T., Il Presidente della Corte costituzionale, op. 
cit., pp. 2057 e ss.: "� qui da notare che la figura del Vice-presidente � stata introdotta dalla Corte con 
la modifica del 10 dicembre 1971 al suo regolamento generale; prima d'allora non esisteva un Vicepresidente 
della Corte ma soltanto un giudice designato dal Presidente e destinato a sostituirlo per il 
tempo necessario in caso di impedimento. Si tratta, a ben guardare, di una modifica non solo formale 
(l'attribuzione del titolo di vice-Presidente al giudice sostituto) ma anche della creazione di un vero e 
proprio organo vicario. In via di fatto, poi, si � giunti ad una quasi permanente ripartizione di compiti 
tra il Presidente ed il vice-Presidente". 
(278) MARTINES T., Il Presidente della Corte costituzionale, op. cit., pp. 2057 e ss. Secondo l'Autore 
"il Presidente della Corte costituzionale � stato collocato in una posizione di primazia, in una posizione 
cio� che, rispetto agli altri membri del collegio, assimila la figura del Presidente a quella di un 
primus inter pares". (...) "Del resto, se si guarda alla Corte come organo collegiale, � facile notare che 
i poteri attribuiti al suo Presidente (...) non differiscono da quelli che valgono a collocare i presidenti 
degli altri organi collegiali in una posizione di primazia e non di sovraordinazione o di supremazia". 
D'ORAZIO G., voce Giudice costituzionale, in Enc. dir., op. cit., p. 971. Pi� in generale sulla figura organizzatoria 
della primazia GIANNINI M.S., Lezioni di diritto amministrativo, op. cit., pp. 202-203. 
(279) Per una disamina generale dei poteri di polizia delle sedute dei presidenti di organi collegiali 
RACIOPPI F.-BRUNELLI I., Potere di polizia, in Commento allo Statuto del Regno, op. cit. VITTA C., Gli 
atti collegiali: principi sul funzionamento dei consessi pubblici con riferimenti alle assemblee private, 
op. cit. VIRGA P., La potest� di polizia, op. cit. GALATERIA L., Gli organi collegiali amministrativi, op. 
cit. MAZZIOTTI A., Attribuzioni e poteri del presidente del consiglio comunale, op. cit. CIAURRO G.F., 
voce Prerogative costituzionali, in Enc. dir., op. cit. PETTITI D., Note sul presidente dell'Assemblea di 
societ� per azioni, in Studi in onore di Alberto Asquini, op. cit. TANDAA.P., voce Polizia delle Camere, 
in Dizionario parlamentare, II ed., op. cit. ALAGNA S., Il presidente dell'assemblea nella societ� per 
azioni, op. cit. Con particolare riferimento al potere di polizia delle sedute del Presidente della Corte 
costituzionale PERANDREI F., voce Corte costituzionale, in Enc. dir., op. cit. 
(280) A riguardo SANDULLI A.M., La giustizia costituzionale in Italia, in Giur. cost. 1961, pp. 834 
e ss. D'ORAZIO G., voce Giudice costituzionale, in Enc. dir., vol. XVIII, Milano, 1969, pp. 968-971. DE 
ROBERTO A., Note sull'immutabilit� del collegio nel processo costituzionale, in Giur. cost. 1980, I, p.
DOTTRINA 329 
Con riferimento alla funzione di convocazione, ai sensi dell'art. 5 del regolamento, "la 
convocazione della Corte in sede non giurisdizionale � fatta dal Presidente mediante l'invio 
dell'ordine del giorno almeno cinque giorni prima dell'adunanza, salvo i casi di urgenza". 
Trattasi di un atto di iniziativa propedeutico allo svolgimento delle adunanze che compete, 
naturaliter, al presidente, quale figura investita di compiti di impulso e coordinamento dei 
lavori. 
Secondo parte della dottrina il successivo art. 22 puntualizzerebbe come "a differenza 
di quanto � disposto per gli altri organi collegiali per i quali sono previste forme di convocazione 
ex lege o ad opera di soggetti estranei al collegio ovvero ancora di autoconvocazione, 
il potere di convocazione della Corte � attribuito in via esclusiva al suo presidente" (281); 
ci� sarebbe astrattamente idoneo a compromettere la posizione di primazia del presidente in 
favore del riconoscimento di una diversa e pi� intensa posizione di sovraordinazione (282). 
A ben vedere, per�, "il potere presidenziale di convocazione, pi� che un potere discrezionale 
�, nella maggior parte dei casi un potere-dovere: il Presidente, cio�, deve convocare la Corte 
e deve convocarla (...) entro termini fissati dalla legge o dai regolamenti". Inoltre, "anche 
nei casi in cui la convocazione della Corte non � sottoposta a termini, il dovere del Presidente 
permane e la sua discrezionalit� � limitata al quando" (283). 
In relazione, poi, alla formulazione dell'ordine del giorno, esso viene predisposto, di regola, 
dal presidente che lo inserisce nell'atto di convocazione per rendere edotti i giudici sugli 
argomenti da discutere. Trovano applicazione, a riguardo, i principi generali previsti in tema 
di organi collegiali. 
Per quanto concerne, inoltre, i poteri direzione delle sedute dell'Assemblea, l'art. 5 del 
regolamento attribuisce espressamente al presidente la funzione di "aprire e chiudere l'adunanza 
e regolarne la discussione". Con questa sintetica ma concisa locuzione, la disposizione 
mira ad assegnare alla figura presidenziale tutti i poteri teleologicamente orientati a garantire 
la funzionalit� del collegio in special modo nelle fasi della discussione e della votazione; risultano 
in tal senso pienamente applicabili i principi generali sulla collegialit�. Con precipuo 
1230. PIZZORUSSO A., Lezioni di diritto costituzionale, op. cit., p. 367. MARTINES T., Il Presidente della 
Corte costituzionale, op. cit. In proposito si vedano, altres�, le dichiarazioni rilasciate alla stampa dal 
neo Presidente Giuseppe Tesauro in data 30 luglio 2014: "Per me la presidenza della Corte costituzionale 
� una funzione di mero coordinamento e la formula latina primus inter pares non deve essere una formula 
vuota. Quel che pi� mi attrae, assieme al rispetto delle regole, � il rispetto della collegialit�". In senso 
critico BINDI E., La garanzia della Costituzione: chi custodisce il custode?, Giappichelli, Torino, 2010 
che si domanda se il presidente sia effettivamente un primus inter pares o si ponga, viceversa, in una 
posizione di sovraordinazione idonea ad influenzare l'attivit� degli altri giudici. 
(281) MARTINES T., Il Presidente della Corte costituzionale, op. cit., pp. 2057 e ss.: "Con la sola 
eccezione prevista nell'art. 16 del regolamento generale, a norma del quale, nel caso in cui si debba 
procedere alla sospensione o rimozione o alla pronuncia di decadenza di un giudice, la convocazione 
della Corte � disposta dal Presidente, previa deliberazione dell'ufficio di presidenza". 
(282) MARTINES T., Il Presidente della Corte costituzionale, op. cit., pp. 2057 e ss. Secondo l'Autore 
"a porre nel dubbio la posizione di primazia del Presidente della Corte restano, a questo punto, il 
potere di convocare, in via esclusiva, la Corte ed il maggior valore attribuito (tranne che nei giudizi 
sulle accuse) al suo voto". 
(283) MARTINES T., Il Presidente della Corte costituzionale, op. cit., pp. 2057 e ss. Il potere di 
convocazione dell'Assemblea da parte del presidente soggiace "all'osservanza di limiti di tempo o di 
criteri normativamente determinati" che ne confermano la posizione di primazia formale rispetto agli 
altri giudici del consesso.
330 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2015 
riferimento alla fase della votazione, le decisioni della Corte in sede giurisdizionale vengono 
legittimamente adottate a maggioranza assoluta ove risultino presenti almeno 11 giudici. In 
caso di parit� dei suffragi � conferita prevalenza al voto del presidente ai sensi dell�art. 16 co. 
III l. 11 marzo 1953, n. 87 (284). Tale potere, anche ove lo si consideri espressivo di una 
forma di sovraordinazione sugli altri componenti, � comunque riconducibile al modello generale 
della primazia, in base alla teoria generale della prevalenza o dell'assorbimento. 
Con riferimento, da ultimo, alla polizia delle sedute (285), si evidenzia come ai sensi 
dell'art. 2 del regolamento "i poteri di polizia sono esercitati dal Presidente, che si avvale dei 
commessi della Corte. (...) La forza pubblica non pu� entrare nella sede della Corte" se non 
per suo ordine (286). Una disposizione che si riallaccia al principio di ordine generale che riconosce 
a ciascun presidente la potest� di assicurare l'ordine delle sedute tanto nei confronti 
dei componenti quanto nei riguardi del pubblico. Per quanto non espressamente previsto, si 
applicano in via analogica alla Consulta le disposizioni del Regolamento della Camera dei 
Deputati sui poteri di polizia del Presidente di Assemblea. 
Oltre alle funzioni di impulso e coordinamento delle sedute del plenum, il presidente 
della Corte costituzionale esercita ulteriori funzioni nel diverso ruolo di organo monocratico 
(287). In tale esterna posizione il presidente svolge, per esempio, compiti di rappresentanza 
(284) L'unica ipotesi in cui, in caso di parit� dei voti, non � riconosciuta prevalenza al voto del 
presidente � l'ipotesi di cui all'art. 28 co. II l. 25 gennaio 1962, n. 20. Tale disposizione prevede espressamente 
che nei giudizi di accusa nei confronti del Presidente della Repubblica trovi applicazione il 
principio garantistico del favor rei secondo cui, a parit� di suffragi, prevale sempre l'opinione pi� favorevole 
all'accusato. In argomento anche D'ORAZIO G., voce Giudice costituzionale, in Enc. dir., op. cit., 
p. 969, nota 106. 
(285) Il potere di polizia delle sedute va tenuto distinto dal potere disciplinare sia per le differenti 
caratteristiche che connotano le due funzioni sia, in special modo, per la circostanza che il potere disciplinare 
non rientra nel contenuto tipico della primazia. Con particolare riferimento alla figura del presidente 
della Corte costituzionale si vedano le osservazioni di MARTINES T., Il Presidente della Corte 
costituzionale, op. cit., il quale a sua volta richiama SANDULLI A.M., L'indipendenza della Corte, in La 
giustizia costituzionale, a cura dI G. MARANINI, Vallecchi, Firenze, 1966, p. 220. Secondo Martines "non 
spettano al Presidente poteri disciplinari nei confronti dei singoli giudici", poich� essi "rispetto al presidente 
non possono considerarsi in posizione di dipendenza o anche soltanto di reverenza". 
(286) Prosegue, poi, l'art. 3 del regolamento: "Qualora nell'interno della sede della Corte vengano 
commessi fatti che possano costituire reati di oltraggio alla Corte o ad uno dei suoi componenti nell'esercizio 
o a causa delle sue funzioni, il Presidente pu� ordinare l'arresto immediato dell'autore di 
detti fatti e la sua consegna all'autorit� competente". 
(287) Per un esame delle molteplici funzioni del Presidente della Corte costituzionale MARTINES 
T., Il Presidente della Corte costituzionale, op. cit.: Le attribuzioni del presidente "possono distinguersi 
a seconda che ineriscano all'attivit� giurisdizionale della Corte ovvero all'attivit� non giurisdizionale 
della stessa. Nell'ambito di questa suddivisione vanno ulteriormente distinte le attribuzioni relative: I) 
alla presidenza di un organo collegiale: II) alla presidenza di un organo collegiale svolgente funzioni 
giurisdizionali, III) alla presidenza dell'organo collegiale Corte costituzionale". Successivamente BINDI 
E., La garanzia della Costituzione: chi custodisce il custode?, op. cit., p. 21: "Il presidente rappresenta 
la Corte, la convoca, ne presiede le sedute, stabilisce il calendario dei lavori, e tenuto conto delle cause 
pendenti, fissa la data delle udienze pubbliche e, se nessuna delle parti si � costituita in giudizio o in 
presenza di questioni manifestamente infondate o manifestamente inammissibili, delle riunioni in camera 
di consiglio. Nomina, nei giudizi di legittimit� costituzionale, un giudice per l'istruzione e la relazione 
della causa (...). Il presidente regola inoltre la discussione e nella deliberazione vota per ultimo e in 
caso di parit� prevale il suo voto, tranne che nei giudizi sulle accuse mosse al Presidente della repubblica, 
in cui prevale l'opinione pi� favorevole all'accusato".
DOTTRINA 331 
dell'intera istituzione oppure, in qualit� di vertice della struttura amministrativa, poteri organizzatori 
nei confronti di uffici ed organi interni. � chiaro come la posizione di organo monocratico, 
anche se differente rispetto alla posizione di primazia, possa avere su quest�ultima 
ricadute, accentuando l�intensit� di esercizio delle funzioni di primus inter pares. In altri termini 
la posizione di primazia formale del presidente verrebbe, occasionalmente, a tradursi in 
episodi di preminenza sostanziale, idonei ad incidere sull�autonomia degli altri componenti 
e, dunque, sul corretto svolgimento dell�iter collegiale. 
Ne discende, quale corollario, l�interrogativo se una tale circostanza abbia la forza o meno 
di porre in discussione il modello teorico della primazia. La risposta deve essere negativa in 
virt� dell�applicazione della teoria generale della prevalenza o dell�assorbimento (288). Secondo 
tale teoria, in ragione della fisiologica coabitazione di elementi diversi in ciascuna figura o posizione 
giuridica, gli eccezionali poteri di sovraordinazione ed i relativi episodi di preminenza 
sostanziale sono assorbiti (ed azzerati) da (e nelle) prevalenti funzioni di equiordinazione; conseguentemente 
non risultano compromessi i caratteri distintivi della primazia e, segnatamente, 
la posizione di preminenza formale del presidente e la par condicio tra tutti i componenti. 
6.3.1. La prevalenza del voto presidenziale a parit� di suffragi. 
La disposizione di cui all'art. 16 co. III l. 11 marzo 1953, n. 87, che regola i giudizi dinanzi 
alla Corte costituzionale, assegna prevalenza, a parit� di suffragi, al voto del presidente (289). 
Del resto, a fronte della "impossibilit� di formare una deliberazione ratione numeri (...) � adottato 
dalla stessa legge il criterio della prevalenza del voto espresso ratione muneris" (290). 
Tale potere rinviene, dunque, il proprio fondamento in un'espressa disposizione di diritto 
positivo che deroga al principio della par condicio tra tutti i giudici (291). Il riconoscimento 
di un'efficacia dirimente al voto presidenziale, accentuata dalla circostanza che il presidente 
vota per ultimo (292), attribuisce a costui un potere speciale dal cui esercizio possono scaturire 
episodi di preminenza sostanziale sugli altri componenti, in conflitto con il ruolo di primus 
inter pares (293). 
(288) ASQUINI A., Il contratto di trasporto terrestre di persone, op. cit. SICCHERO G., I contratti 
misti, op. cit. DI PACE R., Partenariato pubblico privato e contratti atipici, op. cit. 
(289) Per una ricostruzione delle ragioni poste a fondamento di tale soluzione normativa D'ORAZIO 
G., Aspetti dello status di giudice della Corte costituzionale, Giuffr�, Milano, 1966, pp. 337 e ss. 
(290) D'ORAZIO G., voce Giudice costituzionale, in Enc. dir., op. cit., p. 969, il quale richiama le 
considerazioni di ordine generale di DE GENNARO G., La parit� di voti nelle deliberazioni amministrative, 
op. cit., secondo cui le norme che assegnano prevalenza al voto presidenziale introdurrebbero "nel carattere 
quantitativo del sistema un elemento qualitativo". 
(291) In proposito D'ORAZIO G., Aspetti dello status di giudice della Corte costituzionale, op. cit., 
p. 340. Con riferimento all'art. 16 co. III l. 11 marzo 1953, n. 87 l'Autore fa notare che "norme simili a 
quella in esame (a carattere eccezionale o a fattispecie esclusiva, e quindi inapplicabili nei confronti di 
collegi per i quali non siano espressamente previste) importano una limitazione (o violazione della par 
condicio dei membri di un collegio o, in sostanza, alla stessa autonomia della volont� collegiale". In 
proposito gi� PRESUTTI E., Istituzioni di diritto amministrativo, III ed., Principato, Messina, 1931. 
(292) D'ORAZIO G., voce Giudice costituzionale, in Enc. dir., op. cit., p. 971: "Sul piano formale 
dello status dei membri del collegio, poi, la disposizione viene ad introdurre l'accennata differenziazione 
di potere decisorio in ragione non tanto delle specifiche attribuzioni riconosciute al presidente (del quale 
queste non alterano, nella sostanza, la posizione di sostanziale parit� e di sola primazia formale), quanto 
con riferimento a colui che vota per ultimo e che, sulla base dei voti espressi dagli altri giudici, potrebbe 
diversamente orientare il proprio voto: per ragioni, in ipotesi, anche non propriamente giuridiche".
332 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2015 
Il rischio, pertanto, � che una simile attribuzione possa sgretolare i caratteri generali 
della primazia e, segnatamente, l'ordinaria posizione di preminenza formale del presidente e 
la reciproca pariordinazione di tutti i componenti. 
Senza voler riproporre pedissequamente quanto gi� espresso con riferimento ad altri 
collegi pubblici (294), sia consentito ripetere le considerazioni pi� significative, vagliandone 
altres� la compatibilit� con i peculiari caratteri della Corte costituzionale. 
In primo luogo, non pu� non rilevarsi come la prevalenza del voto presidenziale sia prevista 
"anche nell'ordinamento di altri collegi senza che, per ci� solo, ai loro presidenti sia riconosciuta 
una posizione di preminenza" sostanziale sugli altri componenti. Del resto, la 
disposizione che assegna nell�ambito della Corte costituzionale un valore superiore al voto 
del presidente, a parit� di suffragi, trova la sua giustificazione in ragioni di funzionalit� dell�organo 
ed, in particolare, "nella necessit� di assicurare comunque la formazione di una volont�" 
collegiale (295). Del resto, tale dispositivo giuridico persegue l'obiettivo di scongiurare 
tempi e costi di una nuova votazione, certamente pregiudizievoli per il soddisfacimento della 
finalit� deliberativa. 
Ad ogni modo il principale argomento che consente di ricondurre la prevalenza del voto 
del presidente nell'alveo della iuris figura della primazia va individuato nella teoria generale 
dell'assorbimento o della prevalenza (296). Secondo questa teoria la posizione di primazia 
presidenziale pu� ricomprendere in s� occasionali ed eccezionali poteri di sovraordinazione, 
con essa compatibili in quanto assorbiti nel nucleo interno dai prevalenti poteri di equiordinazione. 
In definitiva, taluni eccezionali poteri di sovraordinazione del Presidente della Corte 
costituzionale, quali la prevalenza del suo voto a parit� di suffragi ed i relativi episodi di preminenza 
sostanziale sugli altri componenti, non sono in grado di alterare il modello generale 
della primazia, ma risultano viceversa in essa inseriti e tollerati. 
(293) La prevalenza del voto presidenziale derogherebbe alla regola quantitativa secondo cui ogni 
voto vale uno e solo la confluenza della maggioranza dei voti su una determinata proposta � in grado di 
consentirne l'approvazione. Noto � il principio secondo cui, normalmente, i voti si contano e non si pesano. 
Il sistema del voto ponderato, in base al quale � assegnato valore superiore ad un voto rispetto 
agli altri voti, ha carattere eccezionale, necessitando di una puntuale ed espressa previsione normativa. 
(294) Per una disamina delle ragioni sottese alla prevalenza del voto presidenziale in caso di parit� 
di suffragi VALENTINI S., La collegialit� nella teoria dell'organizzazione, op. cit., p. 296. TREVES G., 
L'organizzazione amministrativa, op. cit., p. 50. Pi� in generale sulle diverse soluzioni adottabili, in 
caso di parit� di voti, si rinvia ai tradizionali contributi di CAMMEO F., La parit� dei voti nelle deliberazioni 
comunali, op. cit. BORSI U., La parit� di voti nelle deliberazioni degli organi collegiali degli enti 
locali, op. cit. FORTI U., La parit� di voto nelle deliberazioni amministrative, op. cit. DE GENNARO G., 
La parit� di voti nelle deliberazioni amministrative, op. cit. LA TORRE M., Parit� di voti e voto del presidente 
del collegio, op. cit. STRANGES A., Deliberazioni dei consigli comunali: effetti della parit� di 
voti, ripetizione della votazione, op. cit. DAGTOGLOU P., Kollegialorgane und Kollegialakte der Verwaltung, 
op. cit. 
(295) MARTINES T., Il Presidente della Corte costituzionale, op. cit., pp. 2057 e ss. In senso conforme 
D'ORAZIO G., voce Giudice costituzionale, in Enc. dir., op. cit., p. 969: "La pari ampiezza di poteri 
esistente tra i membri del collegio e l'equivalente valore attribuito alla manifestazione della loro volont� 
vengono meno, in quell'ipotesi, a garanzia della funzionalit� dell'organo, ch� altrimenti non formandosi 
una valida volont� sulla base della prescritta maggioranza numerica, sembrerebbe frustrata l'adozione 
di una decisione (qualunque ne sia il contenuto)". 
(296) ASQUINI A., Il contratto di trasporto terrestre di persone, op. cit. SICCHIERO G., I contratti 
misti, op. cit. DI PACE R., Partenariato pubblico privato e contratti atipici, op. cit.
DOTTRINA 333 
6.3.2. Omesso compimento da parte del presidente di un atto vincolato: possibili rimedi. 
Episodi di preminenza sostanziale del Presidente della Corte sugli altri giudici del plenum 
possono rinvenirsi, altres�, nei casi di omesso o cattivo esercizio delle funzioni di primus 
inter pares; in special modo nei casi in cui la discrezionalit� presidenziale risulti circoscritta 
oppure del tutto azzerata da puntuali disposizioni normative. 
Particolare rilievo assume, in tal senso, la fattispecie di mancata convocazione dell�adunanza 
da parte del presidente, nonostante la richiesta di una frazione di componenti a ci� legittimata. 
A differenza di quanto statuito per molti organi collegiali, le fonti che disciplinano le 
adunanze della Consulta non assegnano, in via generale, ad un tot numero di componenti il 
potere di richiedere, con efficacia vincolante, la convocazione delle sedute con formulazione 
del relativo ordine del giorno. 
L'unica ipotesi di convocazione obbligatoria, ex lege, � contemplata dall'art. 7 del regolamento 
ai sensi del quale "l�elezione del Presidente ha luogo a scrutinio segreto sotto la presidenza 
del Giudice pi� anziano di carica. Nel caso in cui venga a scadenza il mandato di 
giudice del Presidente, la Corte deve essere convocata per una data compresa fra il giorno 
del giuramento del giudice che lo sostituisce e i dieci giorni successivi. Qualora la sostituzione 
non sia ancora intervenuta, la Corte deve essere convocata per una data non anteriore alla 
scadenza del termine di cui all�art. 5, secondo comma, della legge costituzionale 22 novembre 
1967, n. 2, e non successiva al decimo giorno dalla scadenza medesima". 
Con riferimento al caso di specie occorre domandarsi quale strumento giuridico sia azionabile 
qualora il giudice anziano, preposto alla attivit� di impulso e coordinamento delle 
sedute (297) ometta l'atto (vincolato) di convocazione, paralizzando conseguentemente l'attivit� 
del collegio. Del resto, anche per la Corte costituzionale, il diritto positivo non prevede 
espressamente alcun rimedio idoneo a ripristinare la funzionalit� del consesso e a tutelare la 
legittima pretesa dei richiedenti dinanzi all�omissione presidenziale. Ci� malgrado, uno o pi� 
rimedi devono potersi ricavare dal generale sistema della collegialit�, a salvaguardia dei caratteri 
tipici della primazia e, segnatamente, della posizione di preminenza formale del presidente 
e della reciproca pariordinazione di tutti i componenti. 
In caso contrario, ove non si sanzionasse in questi termini la condotta ostruzionistica di 
mancata convocazione, si dovrebbe riconoscere al preposto all�ufficio presidenziale un ruolo 
di primus non gi� inter pares ma super pares; egli, coerentemente, verrebbe inquadrato in 
una posizione di sovraordinazione rispetto agli altri componenti, in violazione del principio 
di equiordinazione che connota le relazioni infra-collegiali. 
La scelta di un idoneo rimedio deve, in ogni caso, tener conto della peculiare natura di 
organo costituzionale della Consulta e delle particolari forme di autonomia ad essa riconosciute. 
Del resto, la vigenza di un principio di autodichia (298) a tutela degli interna corporis 
(297) In tema di primazia non risulta decisiva la distinzione tra titolarit� ed esercizio dei compiti 
connessi all'ufficio presidenziale. Ci� che assume importanza � la costante presenza di un coordinatore 
(il presidente, il vicepresidente, il membro anziano), investito di poteri idonei ad assicurare il corretto 
funzionamento del collegio. 
(298) Tale principio rinviene un fondamento di diritto positivo nella disposizione di cui all'art. 14 
co. III l. 11 marzo 1953, n. 87, come novellata dall'art. 4 l. 18 marzo 1958, n. 265, ai sensi della quale 
"la Corte � competente in via esclusiva a giudicare sui ricorsi dei suoi dipendenti". In dottrina a riguardo 
MODENA M., L' 'autodichia' delle Camere e degli altri organi, in Le regole del giuoco nella Costituzione: 
disposizioni e attuazioni fra crisi e tramonto, a cura di E. CUCCODORO, Firenze, 1987. MIDIRI M., Organi
334 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 1/2015 
sulla falsa riga di quanto statuito per le Camere parlamentari (299), escluderebbe il sindacato 
di altri poteri od organi esterni nelle vicende domestiche dell�istituzione. Se ne desume come 
in caso di omessa convocazione possa esperirsi una azione dinanzi al Collegio per i ricorsi in 
materia di impiego (300); un organo domestico di natura para-giurisdizionale, previsto per la 
risoluzione delle controversie tra la Corte costituzionale ed i propri dipendenti, che sarebbe 
investito in via sostitutiva del potere di convocazione del plenum. 
costituzionali e giurisdizione (nota su una prerogativa controversa: l'autodichia), in Giur. Cost., 1989. 
COSTANZO P. (a cura di), L'organizzazione e il funzionamento della Corte costituzionale, Atti Convegno 
1995, Giappichelli, Torino, 1996. 
(299) In proposito ESPOSITO C., La Costituzione italiana: saggi, op. cit. BARILE P., Scritti di diritto 
costituzionale, op. cit. MORTATI C., Istituzioni di diritto pubblico, IX ed., op. cit. LAVAGNA C., Istituzioni 
di diritto pubblico, V ed., op. cit. FLORIDIA G.-SORRENTINO F., voce Interna corporis, in Enc. giur. Treccani, 
op. cit. 
(300) Si tratta di una Commissione composta da tre componenti effettivi e due componenti supplenti, 
disciplinata da un apposito regolamento interno. Il giudice pi� anziano del collegio esercita le 
funzioni di presidente. Di essa per prassi non fa parte il Presidente della Consulta. Diversamente, qualora 
si esperisse il rimedio dinanzi all'ufficio di presidenza, che � presieduto dallo stesso Presidente della 
Corte, si rischierebbe con molta probabilit� un nuovo impasse. Pi� in generale sulla giurisdizione domestica 
dei dipendenti degli organi costituzionali OCCHIOCUPO N., Il diritto ad un giudice "indipendente 
e imparziale" del personale degli organi costituzionali e della Corte dei conti, in Dir. e soc., 1979. 
FOGLIA R., Rapporti di lavoro con organi costituzionali, in Enc. giur. Treccani, vol. 25, 6, 1991. MINUTOLI 
G., Il rapporto d'impiego con gli organi costituzionali tra autonomia dell'organo e tutela del dipendente, 
in Il Foro amm., 1995.
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