ANNO LXVI - N. 4 OTTOBRE - DICEMBRE 2014 


RASSEGNA 
AV V O C AT U R A 
DELLO STATO 


PUBBLICAZIONE TRIMESTRALE DI SERVIZIO 


COMITATO SCIENTIFICO: Presidente: Michele Dipace. Componenti: Franco Coppi - Giuseppe Guarino -
Natalino Irti - Eugenio Picozza - Franco Gaetano Scoca. 

DIRETTORE RESPONSABILE: Giuseppe Fiengo - CONDIRETTORI: Giacomo Arena e Maurizio Borgo. 

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Varone. 

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Gabriele Correnti - Giuseppe Di Gesu - Paolo Grasso - Pierfrancesco La Spina - Marco Meloni 

- Maria Assunta Mercati - Alfonso Mezzotero - Riccardo Montagnoli - Domenico Mutino - Nicola 
Parri - Adele Quattrone - Pietro Vitullo. 

HANNO COLLABORATO INOLTRE AL PRESENTE FASCICOLO: Giuseppe Albenzio, Domenico Andracchio, 
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Messineo, Gabriele Pepe, Laura Raineri, Paolo Sciascia, Mario Antonio Scino, Antonio Tallarida, 
Annalisa Tricarico, Federica Varrone, Luca Ventrella, Angelo Vitale, Martina Zaccheo. 

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Stampato in Italia - Printed in Italy 

Autorizzazione Tribunale di Roma - Decreto n. 11089 del 13 luglio 1966 


INDICE - SOMMARIO 


TEMI ISTITUZIONALI 

Nomina del Vice Avvocato Generale Massimo Massella Ducci Teri ad 
Avvocato Generale dello Stato. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 1 

In ricordo di Carlo Bafile. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . �� 2 

Assemblea Generale della Corte Suprema di Cassazione. Cerimonia di 
inaugurazione dell�Anno Giudiziario 2015. Intervento del Vice Avvocato 
Generale dello Stato, Avv. Salvatore Messineo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . �� 4 

Corte Costituzionale, Udienza pubblica 10 febbraio 2015 
Saluto del Presidente dott. Alessandro Criscuolo al signor Presidente 
della Repubblica Prof. Sergio Mattarella. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . �� 12 
Saluto del Vice Avvocato Generale Giuseppe Fiengo al signor Presidente 
della Repubblica Prof. Sergio Mattarella. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . �� 14 

Applicazione artt. 39 e 114 d.lgs. 159/11 e s.m.i. - eventuale patrocinio 
�obbligatorio� per le societ� di capitali a totale o maggioritaria titolarit� 
pubblica delle quote confiscate - utilizzabilit� onerosa dell�attivit� di liberi 
professionisti designati dall�Amministrazione, Circolare VAG 16 dicembre 
2014 prot. 534052 n. 64. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . �� 16 

CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 

Giuseppe Albenzio, La posizione della parte pubblica nel processo dinanzi 
alla Corte europea dei diritti dell�uomo. Intervento al Convegno 
�L�accesso dei singoli alle Corti europee: attualit�, problemi, prospettive� �� 27 

Paolo Sciascia, Il precariato scolastico in Italia dopo l�intervento del giudice 
europeo. Prime riflessioni sulla sentenza della Corte di giustizia del 
26 novembre 2014. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . �� 39 

1.- I giudizi in corso della Corte di giustizia Ue 

Pietro Garofoli, Le concessioni del demanio marittimo al vaglio del 
diritto europeo, Causa C-458/14 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . �� 81 
Federica Varrone, Politica sociale. Ravvicinamento delle legislazioni, 
Causa C-160/14 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . �� 93 
Marina Russo, Ravvicinamento delle legislazioni. Propriet� intellettuale, 
industriale e commerciale, Causa C-471/14 . . . . . . . . . . . . . . . �� 103 

CONTENZIOSO NAZIONALE 

Paolo Gentili, Sulla sentenza n. 10/2015 della Corte Costituzionale. . . . �� 105 

Luca Ventrella, Martina Zaccheo, Il reato di �concussione mediante induzione� 
alla luce delle novit� normative introdottte dalla legge 
190/2012. Prime applicazioni giurisprudenziali in sede di merito e di legittimit� 
dell�art. 319 quater c.p. (Trib. Roma, Sez. dei Giudici per le Indagini 
Preliminari, sent. 17 gennaio / 16 aprile 2013 n. 138). . . . . . . . . . �� 120 


Francesco Maria Ciaralli, Sul potere del Giudice a pronunciarsi con mera 
sentenza dichiarativa di illegittimit� ed ex officio risarcimento del danno. 
Rinvio all�Adunanza Plenaria (Cons. St., Sez. V, ord. 22 gennaio 2015 n. 
284). . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 154 
I PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 
Paolo Marchini, Potere sanzionatorio e tutela preventiva degli Enti parco 
contro l�abusivismo edilizio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . �� 163 
Angelo Vitale, Sull�assegno vitalizio a favore di deputato regionale a se-
Mario Antonio Scino, Modalit� attuative di intervento per la bonifica e 
rivitalizzazione della c.d. �Terra dei Fuochi�: la disciplina per i controlli 
Marina Russo, Sull�attivit� di riscossione del prelievo supplementare preguito 
di interdizione perpetua dai pubblici uffici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . �� 184 
antimafia. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . �� 188 
visto dal regime delle c.d. �quote latte�. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . �� 193 
LEGISLAZIONE ED ATTUALIT� 
Antonio Tallarida, La provincia: ieri ed oggi. Un problema aperto . . . . �� 199 
Laura Raineri, Mansioni nel pubblico impiego: assegnazione, svolgimento 
di fatto di mansioni superiori e demansionamento . . . . . . . . . . . . . . . . . �� 211 
Domenico Andracchio, Il regime giuridico dell�Agenzia Spaziale Italiana. 
Assetto organizzativo e profili funzionali. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . �� 246 
CONTRIBUTI DI DOTTRINA 
Annalisa Tricarico, L�affidamento in concessione della gestione delle farmacie 
comunali alla luce delle ultime pronunce giurisprudenziali . . . . . �� 295 
Gabriele Pepe, La primazia negli organi collegiali pubblici: un tema da 
approfondire . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . �� 322 

temi istituzionali
TEMI ISTITUZIONALI 
NOMINA DELL�AVVOCATO GENERALE DELLO STATO 
AVV. MASSIMO MASSELLA DUCCI TERI 


Con deliberazione del Consiglio dei ministri del 3 marzo 2015 � stato conferito 
al Vice Avvocato Generale Massimo Massella Ducci Teri l�incarico di Avvocato 
Generale dello Stato. 
Di seguito il decreto del Presidente della Repubblica. 


IlPresidentedellaRepubblica 


VISTI il Testo Unico delle leggi sull'Avvocatura dello Stato approvato con regio 
decreto 30 ottobre 1933, n. 1611 ed il relativo Regolamento in pari data n. 1612, e 
successive modificazioni; 

VISTA la legge 2 aprile 1979, n. 97; 

VISTA la legge 14 gennaio 1994, n. 20; 

VISTA la deliberazione del Consiglio dei Ministri, adottata nella riunione del 3 
marzo 2015; 

SULLA PROPOSTA del Presidente del Consiglio dei Ministri; 

DECRETA 

Il Vice Avvocato Generale Massimo MASSELLA DUCCI TERI � nominato 
Avvocato Generale dello Stato, a decorrere dalla data del presente decreto. 

Il presente decreto sar� trasmesso alla Corte dei conti per la registrazione. 

Dato a ROMAAdd� - 9 MARZO 2015 

Sergio Mattarella 

CORTE DEI CONTI 
UFFICIO CONTROLLO ATTI P.C.M. 
MINISTERI GIUSTIZIA E AFFARI ESTERI 


Reg.ne - Provv. n. 658 

13 MAR 2015 


IN RICORDO DI CARLO BAFILE 

Da: Segreteria Segretario Generale [mailto:segreteria.generale@avvocaturastato.it] 
Inviato: lun 02/03/2015 13.26 

A: Avvocati_tutti 
Oggetto: I: Decesso avv. Bafile 

Si comunica che nella giornata di ieri � deceduto in L�Aquila l�avvocato dello Stato a riposo 
Carlo Bafile, gi� avvocato distrettuale dell�Aquila e Vice Avvocato Generale dello Stato. 

Da: Gesualdo D'Elia [mailto:gesualdo.delia@avvocaturastato.it] 
Inviato: mer 04/03/2015 10.30 

A: Avvocati_tutti 
Oggetto: ricordo di Carlo Bafile 

Non so se l�Istituto abbia adottato qualche iniziativa verso la Famiglia di Carlo Bafile; ... 
credo che la scomparsa di un Collega come Carlo Bafile non possa passare sotto silenzio. 
Carlo � stato uno degli Avvocati dello Stato pi� illustri e rappresentativi di quella scuola professionale 
che ha contribuito a fare grande l�Avvocatura; Collega di grandissima preparazione 
e talento, dotato di lucidit� di giudizio ed equilibrio, senso dello Stato ed attaccamento 
all�Istituto, ed inoltre persona di profonda umanit�, autentica signorilit� ed al tempo stesso 
semplicit� di modi. 
Mi piace ricordare anche la finezza della sua cultura, sia letteraria che musicale; e - perch� 
no - anche le sue doti di sportivo e di commensale allegro e di gusto. 
A Lui rivolgo un pensiero affettuoso e grato. 
Aldo d�Elia 

Da: Massimo Salvatorelli [mailto:massimo.salvatorelli@avvocaturastato.it] 
Inviato: mer 04/03/2015 11.05 

A: D'Elia Gesualdo; Avvocati_tutti 
Oggetto: R: ricordo di Carlo Bafile 

Bravo Aldo, un ricordo di un grande uomo come Carlo Bafile � quanto di pi� appropriato si 
possa fare in questi tempi grami. 
Non cՏ bisogno, credo, di dire nulla per chi ha avuto la fortuna di conoscerlo. 
Per tutti gli altri baster� dire che Carlo era una persona seria e schiva, coltissima e di grande 
�simpatia� nel senso etimologico del termine; anche un vero maestro e un grandissimo avvocato. 
� grazie a Carlo e a colleghi come lui che l�Avvocatura si � costruita nel tempo quella immagine 
di grande professionalit� e di dedizione agli interessi pubblici (a volte anche CONTRO 
i desiderata di occasionalmente disattente amministrazioni) che dobbiamo sempre 
coltivare, nei momenti bui, per cercare di confermarla anche agli occhi di chi non sa o non 
vuole vederla e apprezzarla; ma prima di tutto per noi stessi. 
Massimo Salvatorelli 


TEMI ISTITUZIONALI

Da: Massimo Lucci [mailto:massimo.lucci@avvocaturastato.it] 
Inviato: ven 13/03/2015 10.18 

A: Avvocati_tutti 
Oggetto: tetto stipendiale e altro. 


Cari Colleghi, 
scrivo su questo link perch� non ho mai saputo quale sia l�altro pi� riservato, e perch� la 
cosa riguarda il nostro futuro e quindi la funzione. Il valore di Carlo Bafile, che abbiamo recentemente 
pianto come indimenticabile Collega, derivava, fra l�altro dal fatto che nella vita 
professionale si sia distinto per la autorevolezza, concetto ben diverso dall�autoritarismo. Ricordo 
quanto e come egli sapesse anche mettersi contro le amministrazioni quando queste, 
come spesso accadeva e ancor pi� oggi accade combinavano i soliti pasticci, senza paura e 
servilismi. 
Ecco l�augurio che dobbiamo farci e dobbiamo fare al nostro Avvocato Generale, quello di 
riprendere autorevolezza, circostanza che, in parte dipende dai nostri comportamenti ma che 
deve passare anche per la presa di consapevolezza del Governo di avere a disposizione un 
corpo scelto di giuristi che fatalmente verr� meno se si confermer� l�orientamento liquidatorio 
in atti. 
- omissis Un 
abbraccio e un Buon lavoro a tutti i Colleghi Massimo Lucci 


(...) 


ASSEMBLEA GENERALE DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE 
CERIMONIA DI INAUGURAZIONE DELL�ANNO GIUDIZIARIO 2015 


Intervento del Vice Avvocato Generale dello Stato 
Avv. Salvatore Messineo 


Signor Presidente del Senato della Repubblica, qui oggi anche nell�esercizio 
delle funzioni di Presidente della Repubblica, Autorit�, Signor Presidente 
della Corte di Cassazione, Signore e Signori, 

nella Sua ampia relazione il Primo Presidente ha riferito in modo analitico 
anche sui risultati raggiunti dalla Suprema Corte nell�anno 2014: si deve dare 
atto del grandissimo impegno profuso dai magistrati e dal personale amministrativo 
che Vi operano. 

Ci� � motivo di soddisfazione e di compiacimento e non ultimo - mi sia 
consentito dirlo nella duplice veste di rappresentante istituzionale dell�Avvocatura 
dello Stato e di semplice cittadino - di profonda e sincera gratitudine. 

Questa � anche la sede naturale per dare conto - per sommi capi - del lavoro 
svolto dall�Avvocatura dello Stato. 

Non intendo tediare l�uditorio con tabelle e dati statistici: tuttavia, alcuni 
numeri � opportuno che vengano conosciuti. 

A livello nazionale, i nuovi affari trattati dall�Avvocatura, nell�anno 2014, 
ammontano ad oltre 138.000: essi si aggiungono alle diverse centinaia di migliaia 
di affari impiantati negli anni scorsi ed ancora pendenti (oltre 1.000.000). 

Si tratta di una mole di lavoro imponente che grava su un organico effettivo 
in atto di appena 310 unit� togate: sicch� ciascuna di esse � stata chiamata 
nel 2014 a curare una media di ben 445 nuovi affari; calcolando gli affari degli 
anni precedenti la pendenza media gravante su ogni avvocato � pari a circa 

3.700 affari. 

La pesantezza di un tale fardello risulta peraltro ancora pi� evidente ove 
si comparino tali dati con quelli rilevati nel 1976, data del primo centenario 
dell�Avvocatura: in tale anno gli affari nuovi erano circa 41.000 e gli avvocati 
e procuratori dello Stato in servizio erano, complessivamente, 276; ne risulta 
che nell�arco di poco meno di quarant�anni, mentre il numero degli affari ha 
subito un incremento del 336% circa, il personale effettivamente in servizio 
chiamato a curarli � aumentato soltanto del 12,68%. 

L�arido - e pur tuttavia eloquente - linguaggio dei numeri non � sufficiente, 
da solo, a dar piena contezza dell�attivit� svolta dall�Istituto ove non si 
tenga conto anche - e soprattutto - dello spettro dei settori di intervento e delle 
materie trattate: il quale � il pi� variegato che si possa immaginare, posto che 
l�Avvocatura rappresenta e difende non solo lo Stato - in tutte le sue articolazioni 
- ma anche una lista assai lunga di enti: e ci� dinanzi a tutte le magistrature 
sia nazionali sia internazionali ed in tutte le tipologie di controversie. 


TEMI ISTITUZIONALI

Una rapida panoramica sugli affari pi� notevoli trattati � sufficiente per 
avere un quadro significativo dell�intenso lavoro svolto. 

1) Nel 2014 l�Avvocatura � intervenuta in 66 giudizi dinanzi alla Corte 
di giustizia dell�Unione europea ed al Tribunale di primo grado, contribuendo, 
anche in tali sedi, alla tutela degli interessi nazionali e all�affermazione di importanti 
principi. Tra le tante intervenute, devono qui ricordarsi, per il loro 
grande impatto sociale, la decisione riguardante il personale precario della 
scuola e quella relativa alla gestione delle discariche. 

� in corso il giudizio sollevato dalla Corte costituzionale tedesca che contesta 
la possibilit� per la BCE di acquistare dal mercato secondario titoli pubblici 
degli Stati dell�eurozona; i risvolti economici e sociali correlati alla 
soluzione di tale questione sono enormi, specie per il nostro paese; con piacere 
si � ora appreso che le tesi difensive svolte dall�Avvocatura, favorevoli a consentire 
alla BCE tale libert� d�azione, sono state condivise nelle conclusioni 
depositate dall�Avvocato Generale presso la Corte di Giustizia. 

La primazia dei principi del Trattato dell�UE deve essere assicurata in 
ogni caso: sicch� - come precisato con la decisione 11 settembre 2014 (in causa 
C-112/13) - nel caso di norma interna che sia contraria sia al Trattato sia alla 
Costituzione, il Giudice nazionale ha in ogni caso il potere-dovere di sottoporre 
la questione alla Corte di Giustizia e indi di procedere alla disapplicazione 
della norma interna (e ci� a prescindere dalla eventuale pronuncia 
negativa della Corte costituzionale cui spetta in base all�ordinamento interno 
il controllo accentrato di costituzionalit�). 

Vanno, altres�, rammentate la decisione che ha ritenuto la legittimit� delle 
norme italiane che riservano alle farmacie la vendita di specialit� soggette a 
prescrizione medica (causa C-159/12) e la sentenza nella quale la Corte ha riconosciuto 
al Consiglio nazionale forense, quando esercita funzioni giudicanti, 
la legittimazione a sottoporLe �questioni pregiudiziali� (C-58/13): si � avuta 
cos� una verifica positiva della sussistenza dei requisiti necessari per affermare 
la natura giurisdizionale dell�organo e del procedimento che regola l�esercizio 
di tali funzioni giudicanti. 

2) Dinanzi alla Corte Costituzionale l�Avvocatura si � costituita in 202 
giudizi: la maggior parte concerne rapporti tra Stato e Regioni. Tale tipologia 
di controversie occupa assai intensamente quella Corte e rischia di compro-
metterne la piena funzionalit�: pertanto, - ed esprimo avviso gi� manifestato 
dall�ultimo Avvocato Generale, avv. Michele Dipace - sembrano maturi i tempi 
per introdurre in sede normativa una fase procedimentale nella quale - anche 
con il coinvolgimento della Conferenza Stato-Regioni e con la intermediazione 
tecnica dell�Avvocatura dello Stato con riguardo ai profili strettamente giuridici 
- si ricerchi, attraverso la leale collaborazione, una composizione preventiva 
di siffatti conflitti. Per avere un�idea dello spessore delle altre questioni 
trattate dall�Avvocatura dinanzi alla Corte Costituzionale � sufficiente ricor



dare le sentenze n. 274/14 in tema di �stamina�, 238/14 in tema di decisioni 
della Corte Internazionale di Giustizia, consuetudini internazionali, limiti interni 
e immunit� dalla giurisdizione di uno Stato estero; 200/14, con cui si � 
affermato il principio innovativo secondo cui nel nuovo processo amministrativo 
la concessione della misura cautelare comporta gi� l�instaurazione del 
giudizio di merito: con la conseguenza che la questione di legittimit� costituzionale 
pu� essere sollevata dal Giudice amministrativo durante la fase cautelare 
senza la necessit� di conformare il provvedimento cautelare con 
contenuto provvisorio, interinale o ad tempus; n. 120/14 in tema di regolamenti 
parlamentari e di autodichia delle Camere. 

Ritengo utile evidenziare la peculiarit� del ruolo svolto dall�Avvocatura 
nei giudizi dinanzi la Corte Costituzionale aventi ad oggetto la costituzionalit� 
delle leggi: il compito ivi esercitato dall�Avvocatura non � connesso a situazioni 
soggettive sostanziali sottostanti alla singola controversia, ma costituisce 
espressione di attivit� di collaborazione (esplicata nelle vesti di vero amicus 
curiae) nella ricerca della soluzione migliore. In tali giudizi l�Avvocatura � 
chiamata anche a testimoniare ed in qualche modo a garantire il necessario raccordo 
(in vista anche del pronto recepimento del decisum) tra la Corte costituzionale 
e le Istituzioni statali o regionali le cui leggi sono oggetto di scrutinio. 

3) Il nostro impegno dinanzi alla Corte di Cassazione, che oggi ci ospita, 
� notevole: ci � di grande aiuto - e di questo siamo assai grati - lo spirito di armonia 
con il quale siamo accolti sia dal personale togato sia dal personale amministrativo. 


I ricorsi proposti dall�Avvocatura sono stati 6325; quelli delle controparti 
ascendono a 7798. 

La percentuale di vittorie - riferita a tutto il contenzioso trattato dinanzi 
alla Corte: compreso quello della legge Pinto, in relazione al quale la soccombenza 
� fisiologica - � stata pari al 59%. 

Nella mole enorme di ricorsi, assolutamente preponderante � il contenzioso 
tributario: delle oltre 6.800 richieste pervenute dall�Agenzia delle Entrate, 
sono stati proposti, dopo attento esame, poco pi� di 4.400 ricorsi. Come 
si vede l�Avvocatura opera una notevole selezione sconsigliando l�amministrazione 
a proporre ricorsi per circa un terzo delle istanze formulate. 

Ascende a 4.617 il numero dei ricorsi proposti contro l�Agenzia. 

La percentuale di vittorie nel contenzioso tributario � del 64,33%. 

Le Sezioni Unite hanno chiarito che anche i ricorsi in materia tributaria 
sono assoggettati alla disciplina comune dettata dal codice di rito: e ci� sia 
per quanto riguarda la nuova formulazione del n. 5 dell�art. 360 c.p.c., sia per 
quanto riguarda l�ultimo comma dell�aggiunto art. 348-ter c.p.c. 

Nell�anno 2014 sono stati ben 1125 i ricorsi per Cassazione in materia di 
legge Pinto: di essi solo 25 sono quelli proposti dall�Avvocatura; gli effetti deflattivi 
della riforma del 2012 si potranno apprezzare nel prossimo futuro: 


TEMI ISTITUZIONALI

mano a mano che saranno definite le istanze gi� avviate con il vecchio rito. 

Risulta sottoposta a nuovo esame delle Sezioni unite la problematica concernente 
il contraddittorio in sede amministrativa: si tratta di stabilire se le garanzie 
dettate dal 7� comma dell�art. 12 della l. 212/2000 si applichino soltanto 
agli accessi, alle ispezioni ed alle verifiche fiscali effettuate nei locali ove si 
esercita l�attivit� aziendale o professionale del contribuente, oppure, come 
sembrerebbe discendere dai principi affermati nelle sentenze 19667 e 
19668/2014 delle Sezioni Unite anche alle verifiche c.d. �a tavolino� vale a 
dire alle verifiche effettuate presso la sede dell�Ufficio in base alle notizie acquisite 
presso terzi o fornite dallo stesso contribuente mediante la compilazione 
di questionari o in sede di colloquio presso l�Ufficio. 

Altra questione in materia di IVA rimessa alle SS. UU. concerne l�applicabilit� 
della procedura (costituita dal mero controllo cartolare) prevista dal-
l�art. 54 bis del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 per negare la detrazione 
nell'anno in verifica di un credito dell'anno precedente, per il quale la dichiarazione 
sia stata omessa. 

4) Quanto ai processi penali ai quali l�Avvocatura dello Stato ha partecipato 
vanno segnalati: i nuovi processi per le stragi di Capaci e di via 
D�Amelio, pendenti a Caltanissetta, il processo sulla c.d. �trattativa Stato-
mafia�, quello per la c.d. �compravendita di senatori�; i processi contro la 
criminalit� organizzata in Lombardia (c.d. �processo Infinito 1 e Processo Infinito 
2�); il processo per il disastro della nave da crociera Concordia; quello 
per l�attentato terroristico all�Istituto Falcone-Morvillo di Brindisi; i processi 
in tema di reati ambientali; quello a carico dei c.d. NO TAV della Val di Susa; 
i processi a carico dell�ILVA e dei suoi amministratori, rispettivamente per 
truffa di oltre 100 milioni di euro (nel quale si � avuta gi� una condanna e 
correlata statuizione di confisca) e per frode fiscale (ove si � chiesto ed ottenuto 
il sequestro in Svizzera di � 1,2 miliardi); il processo Finmeccanica per 
frode fiscale per la compravendita di elicotteri in India; il processo �San Raffaele 
- Maugeri�; i molteplici processi penali nei confronti dei dirigenti del 
Ministero della Difesa in materia dell�uso dell�amianto; le numerose costituzioni 
di parte civile per l�Agenzia delle Entrate in materia di evasione fiscale. 

Piace, infine, riferire qui che il Tribunale di Bologna con la recente sentenza 
18 novembre 2014, n. 3203 ha condannato gli autori della strage consumata 
il 2 agosto 1980 alla stazione di Bologna a risarcire allo Stato un miliardo 
di euro. 

5) Assai corposo il contenzioso dinanzi ai giudici amministrativi: esso ha 
riguardato le pi� svariate materie e tutte le tipologie di azioni previste dal 
nuovo c.p.a. 

La percentuale di cause vinte � stata pari al 62,50%: il dato � riferito globalmente 
a tutti i ricorsi trattati dinanzi ai giudici amministrativi (Consiglio 
di Stato e TAR). 


Notevole impegno ed attenzione ha richiesto tutto il contenzioso concernente 
le informative antimafia e gli appalti per le opere pubbliche e per le infrastrutture. 


Merita di essere menzionata, anche per la sua rilevanza di ordine sistematico 
oltre che per l�impatto che ne pu� derivare sulle casse pubbliche, la 
sentenza dell�Ad. Plen. n. 15 del 25 giugno 2014 in tema astreintes; la comminatoria 
di tale tipo di penalit� � stata ritenuta ammissibile anche nei casi di 
condanna al pagamento di somme: � frutto delle difese dell�Avvocatura la precisazione 
che non possa comminarsi penalit� nei casi in cui l�amministrazione 
deduca circostanze impeditive del tempestivo pagamento discendenti da ragioni 
correlate a vincoli di bilancio o della finanza pubblica. 

Quantitativamente assai rilevante ed oggettivamente impegnativo � stato 
il contenzioso originato dalle procedure relative alle abilitazioni scientifiche 
dei professori universitari di I e II fascia. 

Sempre numeroso � il contenzioso attinente agli esami di idoneit� alla 
professione forense. 

Particolarmente delicati, e anche in questo caso numerosi, sono i ricorsi 
proposti da magistrati ordinari contro i provvedimenti del C.S.M. in tema di 
incarichi direttivi e semidirettivi. 

Molto impegnativo, per la complessit� delle questioni giuridiche sottese 
e la rilevanza economica che lo caratterizza, �, inoltre, il contenzioso riguardante 
i provvedimenti delle Autorit� indipendenti, cui si � aggiunto quello correlato 
all�EXPO. 

6) Dinanzi ai Tribunali del distretto le cause vinte sono state circa il 54%; 
mentre la percentuale delle cause vinte dinanzi alla Corte d�appello � stata pari 
al 53%. Va precisato che tali dati statistici sono riferiti globalmente a tutto il 
contenzioso civile, del lavoro e penale trattato presso i predetti Uffici giudiziari. 
Non figurano nel calcolo i decreti monocratici di accoglimento di domande 
di indennizzo ex l. Pinto: il nuovo rito introdotto nel 2012 prevede che 
la lite si chiuda con il deposito del decreto inaudita altera parte, tranne che 
venga proposta opposizione al decreto; e ci� avviene in casi sporadici. 

Tale modifica normativa ha significativamente ridotto il sovraccarico dei 
ruoli dei collegi della Corte d�appello: ma non quello dell�Avvocatura, la quale 
� chiamata a effettuare in relazione a ciascun decreto un�attenta valutazione 
delle singole vicende, acquisendo gli atti ed istruendo l�affare al fine di stabilire 
se proporre o meno opposizione. 

7) In sede consultiva, l�Avvocatura dello Stato, oltre alla consueta attivit� 
di consulenza connessa alla gestione delle liti ed a quella espletata con riguardo 
alle transazioni ed alle composizioni bonarie, ha fornito il proprio parere su 
tantissime questioni di grande rilievo: sono stati affrontati (e risolti con la successiva 
stipula di un articolato accordo) i molteplici problemi insorti tra amministrazioni 
statali e Banca d�Italia in ordine alla gestione degli atti di 


TEMI ISTITUZIONALI

pignoramento eseguiti presso quest�ultima, in veste di terzo pignorato; in materia 
disciplinare sono stati esaminati i rapporti tra procedimenti - disciplinare 
e penale - aventi ad oggetto i medesimi fatti; sono state risolte numerose questioni 
in tema di rimborso di spese legali ai dipendenti prosciolti in sede penale 

o in sede contabile; sono state fornite puntuali ed articolate indicazioni per risolvere 
in sede transattiva il contenzioso con le vittime di emotrasfusioni; molti 
pareri hanno interessato appalti e lavori pubblici: si segnalano tra essi quello 
sui poteri di autotutela della P.A. negli appalti di infrastrutture strategiche e 
quello relativo agli istituti della transazione e dell�accordo bonario; va ancora 
segnalato il parere riguardante il canone dovuto alla rete ferroviaria italiana 
dalle imprese di trasporto. 

8) L�Istituto, gi� alla data del 30 giugno, � stato in grado di assicurare i 
depositi telematici previsti dalla nuova normativa; pienamente operativo � 
anche il sistema di notifiche a mezzo PEC. 

Nella propria azione l�Avvocatura � riuscita ad inserirsi in tutti i tavoli tecnici 
e istituzionali che si sono formati in merito al PCT: fornendo il proprio supporto 
giuridico specifico al fine di far armonizzare la nuova disciplina processuale con 
le peculiarit� del contenzioso erariale, spesso dimenticate in passato. 

La dematerializzazione della carta ha raggiunto nel 2014 su scala nazionale 
il 70% circa; il fascicolo elettronico in Avvocatura � pienamente funzionante, 
con facilitazione di scambi e consultazione da remoto. 

Come previsto dall�art. 8 D.L. 9 febbraio 2012, n. 5, la procedura per la 
gestione delle domande per il recente concorso di procuratore dello Stato si � 
svolta interamente in modalit� telematiche, del tutto integrate con i sistemi interni 
di protocollo e gestione. 

Si � provveduto all�adempimento dei numerosissimi obblighi di pubblicazione 
sul sito web dell�Istituto ed � stata data piena attuazione (fin da giugno 
scorso) alla normativa che ha previsto l�obbligo della fatturazione elettronica. 

Si auspica che con una adeguata politica di supporto finanziario possano incrementarsi 
le risorse necessarie agli ulteriori indilazionabili sviluppi informatici. 

9) Come gi� osservato nelle precedenti inaugurazioni dagli Avvocati Generali, 
avv. Ignazio Caramazza ed avv. Michele Dipace, la funzionalit� del-
l�Istituto risulta minacciata dalla insufficienza delle risorse: sia umane sia 
economiche. 

La carenza di personale togato � divenuta non pi� sostenibile: l�auspicio 
formulato pi� volte in questi anni di sottrarre l�Istituto dalla penalizzante limitazione 
nel turn-over del personale togato non si � realizzato; al contrario, 
per effetto del recente intervento recato dalla l. 114/2014, il depauperamento 
si � ulteriormente aggravato. 

In atto risultano scoperti ben 50 posti su un organico di 370; ove si computino 
le 10 unit� collocate fuori ruolo, la percentuale effettiva di scopertura 
supera il 16,2%. 


L�Istituto aspetta la nomina dell�Avvocato generale e dell�Avvocato Generale 
aggiunto; siamo in servizio tre Vice avvocati generali su 8; sono prive 
di avvocato distrettuale ben 8 avvocature distrettuali: e tra esse le pi� importanti 
(Napoli, Milano, Bologna, Firenze, Trieste, Catania, Cagliari e Caltanissetta). 

Gli interventi normativi riguardanti l�Istituto non possono non tenere in 
debito conto la mole di compiti affidati alle Sue cure e le specifiche peculiarit� 
che connotano il ruolo degli avvocati dello Stato: come ribadito da sempre da 
Codesta Corte - traggo le parole dalla recente sentenza n. 13156/2014 -�i 
compiti di rappresentanza e difesa in giudizio da parte dell'Avvocatura dello 
Stato presentano caratteri assolutamente peculiari e differenziali rispetto al 
ruolo dei difensori del libero foro e degli uffici legali di altre amministrazioni 
pubbliche, poich� la sua attivit� � diretta al perseguimento d'interessi pubblici 
generali e all'attuazione del principio di legalit��. 

Il compito di tutore della legalit� affidato a ciascun avvocato dello Stato 
si connota per operare a 360 gradi: conformemente all�insegnamento impartito 
gi� nel 1876 dal primo Avvocato Generale, avv. Giuseppe Mantellini, gli avvocati 
dello Stato debbono essere �prima giudici� dell�operato delle amministrazioni 
e una volta accertata la legittimit� e la giustizia sostanziale delle 
loro situazioni soggettive esserne attenti e vigili �avvocati�. 

L�avvocato dello Stato nello svolgimento del predetto compito di �giudice� 
dell�amministrazione � tenuto ad effettuare e ad avere una considerazione 
e una visione unitaria e complessiva di tutti gli interessi coinvolti dalle vicende 
sottoposte al suo esame ed alle sue cure. All�assolvimento di tale arduo compito 
cooperano in modo pieno tutti gli organi dell�Istituto: il singolo avvocato 
ha il potere-dovere di raccordarsi con i colleghi, di coinvolgere i titolari di incarichi 
direttivi e di chiedere l�esame collegiale di qualsiasi questione. � dovere 
dell�Istituto e dei Suoi avvocati elaborare, con indipendenza di giudizio, 
indirizzi omogenei, svolgendo - specie in sede consultiva -una continua 
azione di raccordo, di collegamento e di mediazione fra le diverse amministrazioni 
statali e fra queste e le regioni, ricercando soluzioni che tutelino gli 
interessi pubblici generali e la concreta ed effettiva realizzazione del principio 
di legalit�. 

Si tratta di compiti che vanno oltre quelli propri della professione di avvocato: 
vengono in rilievo attivit� che oggettivamente vanno annoverate e 
considerate non gi� quali mere prestazioni di servizi di natura legale, bens� come 
ben rilevato dall�Avv. Generale Giuseppe Manzari - quale espressione 
dell�esercizio di una peculiare pubblica funzione: con una felice formula evidenziava 
l�avv. Manzari che l�avvocato dello Stato � ��l�avvocato della doverosit��, 
tale essendo il dato caratterizzante della �funzione pubblica��, mentre 
l�avvocato del libero foro ҏ l�avvocato dei diritti soggettivi (in senso lato), 
tale essendo� l�autonomia e la libert� da assicurare ad ogni soggetto in un 
ordinamento che ambisca a definirsi Stato di diritto�. 


TEMI ISTITUZIONALI

E non � senza significato che la provvista del personale togato dell�Avvocatura 
nel ruolo di avvocato dello Stato sia effettuata mediante un concorso 
assai selettivo, cui possono accedere solo soggetti che a loro volta abbiano 
svolto per alcuni anni l�attivit� di magistrato ordinario o amministrativo o di 
procuratore dello Stato o per 6 anni quella di avvocato. 

La disciplina concernente lo status giuridico dell�avvocato dello Stato 
deve considerare un bene prezioso la indicata particolare configurazione del 
loro ruolo che li vede nel contempo �giudici� ed �avvocati� delle amministrazioni 
pubbliche e deve favorire in tutti i modi il pieno esplicarsi dell�esercizio 
di ambedue le suddette funzioni. 

Non �, pertanto, possibile considerare normativamente l�Avvocatura dello 
Stato - specie per quanto attiene ai problemi inerenti il personale togato - alla 
stregua di un�amministrazione di pura gestione. 

Concludo, osservando che il difficilissimo momento che il Paese continua 
ad attraversare richiede a tutte le Istituzioni ed a tutti noi il massimo impegno 
nell�esercizio dei compiti affidati. 

Sono certo di potere assicurare che l�Avvocatura dello Stato e i suoi componenti 
faranno ogni possibile sforzo; come pure sono certo della sicura attenzione 
che sar� data ai problemi dell�Istituto che ho qui ritenuto doveroso 
rappresentare. 

Ringrazio per avermi ascoltato. 

Roma, li 23 gennaio 2015 

Palazzo di Giustizia, Aula Magna 


CORTE COSTITUZIONALE 
UDIENZA PUBBLICA 10 FEBBRAIO 2015 


Saluto del Presidente dott. Alessandro Criscuolo 
al signor Presidente della Repubblica
Prof. Sergio Mattarella 


Nell'aprire l'udienza di oggi, a nome mio e dell'intero Collegio, ho il piacere 
di rivolgere, anche in Sua assenza, un caloroso saluto ed un augurio di 
buon lavoro al Presidente della Repubblica, prof. Sergio Mattarella, eletto il 
31 gennaio 2015. 

La Sua brillante carriera politica, da Lui svolta all'insegna dell'impegno 
umano, civile e del rigore morale, le sue numerose pubblicazioni, l'attivit� di 
professore associato presso l'universit� di Palermo, nonch� le ulteriori pubblicazioni 
vertenti su argomenti connessi alla Sua attivit� parlamentare e di governo, 
sono note e quindi non richiedono in questa sede una ricostruzione 
dettagliata. 

Il Presidente Mattarella nel 2011 fu nominato giudice costituzionale dal 
Parlamento in seduta comune. Negli anni del Suo mandato oltre al rigore scientifico, 
ha dimostrato grande sobriet�, umanit�, rispetto per il principio di collegialit� 
e per la istituzione di cui ha fatto parte. 

Dall'ottobre 2011 al 2 febbraio 2015, ha redatto 63 provvedimenti, tra i 
quali si segnalano la sentenza n. 5 del 2015, con cui la Corte ha dichiarato 
inammissibili le richieste di referendum popolare per l'abrogazione delle norme 
che prevedono la riduzione degli uffici giudiziari ordinari; l'ordinanza n. 114 
del 2014, primo caso di autorimessione di una questione di legittimit� costituzionale 
in un giudizio in via principale, con cui la Corte ha esaminato la questione 
di legittimit� costituzionale della disposizione, contenuta nella legge n. 
131 del 2003, che faceva salvo il controllo di costituzionalit� preventivo sulle 
leggi siciliane, alla quale ha fatto seguito la sentenza n. 255 del 2014 con cui 
si � sancita l'estensione, anche alla Regione siciliana, del sistema di impugnativa 
delle leggi regionali contemplato dal vigente art. 127 Cost. 

L'ordinanza n. 207 del 2013 con cui la Corte, per la prima volta in un giudizio 
in via incidentale, ha disposto un rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia 
in ordine all'interpretazione di norme disciplinanti l'assunzione di 
personale della scuola a tempo determinato. 

Le sentenze n. 147 e n. 279 del 2012 sulla differenza tra le norme generali 
sull'istruzione - riservate alla competenza esclusiva dello Stato ai sensi dell'art. 
117, secondo comma, lettera n), Cost. - ed i principi fondamentali della materia 
"istruzione", che l'art. 117, terzo comma, Cost. devolve alla competenza legislativa 
concorrente. 

La sentenza n. 296 del 2012 in tema di ISEE (Indicatore della Situazione 


TEMI ISTITUZIONALI

Economica Equivalente) con cui la Corte ha qualificato l'indicatore ISEE come 
livello essenziale delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali. La sentenza 
n. 60 del 2013 in tema di controlli della Corte dei conti sulle autonomie 
speciali. 

Le ordinanze numeri 124, 204 e 240 del 2014 in materia di equa riparazione 
in caso di violazione del termine ragionevole per la durata del processo, 
sollevate con riferimento all'art. 117, primo comma, della Costituzione, in relazione 
all'art. 6, paragrafo 1, della Convenzione per la salvaguardia dei diritti 
dell'uomo e delle libert� fondamentali. 

Inoltre, in materia di bilancio e contabilit� pubblica, assai rilevante � la 
sentenza n. 39 del 2014, in tema di controlli sulla gestione finanziaria delle 
Regioni, dei gruppi consiliari dei Consigli regionali e degli enti locali. 

Nella variet� degli argomenti trattati, si distinguono pronunce su questioni 
di diritto civile (ordinanza n. 52 del 2014), procedimento civile (ordinanza n. 
42 del 2014; sentenza n. 204 del 2013), giustizia amministrativa (ordinanza 

n. 132 del 2012), diritto tributario (sentenza n. 300 del 2012), nonch� decisioni 
rese su conflitti di attribuzione tra enti (sentenza n. 252 del 2013) e conflitti 
di attribuzione tra poteri (ordinanza 317 del 2013). 

Ho avuto il privilegio di lavorare nello stesso Collegio in cui sedeva il 
nostro Presidente della Repubblica. Tutti noi abbiamo apprezzato la Sua capacit� 
di individuare con rapidit� e precisione il nucleo fondamentale di ogni 
questione, il Suo modo sobrio, pacato ed elegante di comunicare, la ritrosia, 
propria dei veri intellettuali, a mettere in mostra la Sua vasta cultura. Ha sempre 
dimostrato fermezza nelle Sue convinzioni, ma anche piena disponibilit� 
a considerare ed accogliere le ragioni degli altri, nella consapevolezza che un 
confronto civile e democratico e un costante scambio di idee e di opinioni costituisce 
la base per un dialogo costruttivo e proficuo. 

Rivolgo, a nome del collegio, un saluto ed un plauso al Presidente della 
Repubblica, Prof. Sergio Mattarella. 

La Sua storia personale, l'impegno civile che ha profuso nell'esercizio 
delle Sue funzioni, le doti che possiede ed i valori in cui crede faranno di lui 
un grande Presidente che segner� la storia del nostro Paese. 

*** *** *** 


Saluto del Vice Avvocato Generale Giuseppe Fiengo 
al signor Presidente della Repubblica
Prof. Sergio Mattarella 


Illustre Presidente, illustre Corte, 

dal momento in cui sono stato incaricato di rivolgere, nelle vesti di facente 
funzioni di Avvocato Generale, un saluto al giudice Mattarella, nominato Presidente 
della Repubblica, mi sono venuti in mente tre temi, che credo sia giusto 
comunicare a codesta Corte. 

Il primo attiene alla formazione del giurista e professore. 

Nella nota biografica, messa a disposizione dalla Corte, emerge che Sergio 
Mattarella si � laureato a Roma in diritto parlamentare con il prof. Carlo 
Esposito. Ma il nome di Carlo Esposito mi ha immediatamente ricordato un 
saggio di quegli stessi anni (1962-1964), importantissimo e fondamentale nel 
nostro diritto pubblico: il saggio su �Il Capo dello Stato e la controfirma ministeriale�, 
nel quale il Prof. Carlo Esposito, in relazione alle funzioni del 
Capo dello Stato nel sistema delle democrazie parlamentari, indica una nuova 
possibile lettura dei poteri presidenziali. VՏ infatti una duplicit�, tra la tradizionale 
concezione - che lui chiama �mistica�- delle funzioni del Capo dello 
Stato nel sistema parlamentare, come organo imparziale, neutro e moderatore 
della vita pubblica, e, dall�altra parte, la realt� che si andava delineando anche 
nell�ordinamento italiano (vedi ad esempio il saggio successivo di Franco Bassanini 
sullo scioglimento anticipato del Senato da parte di Luigi Einaudi) di 
un Capo dello Stato come essenziale motore delle istituzioni in crisi. 

Per quella che oggi leggo come una strana coincidenza, il prof. Carlo 
Esposito � il primo giurista che inventa questa duplicit� delle funzioni presidenziali, 
la esprime in tutta la sua valenza, spiegandone anche le ragioni, che 
passano attraverso il �carattere personale� della carica di Capo dello Stato: 
tutto il sistema dello Stato a democrazia parlamentare anche negli altri Paesi 
si svolge attraverso un sistema di organi collegiali, mentre il Capo dello Stato 
resta sempre e comunque persona fisica, e come persona esprime una capacit� 
e una continuit� nelle funzioni che sarebbe fondamentale - � questa la sostanza 
della tesi giuridica - per la sopravvivenza della Repubblica. 

Avverto in questa duplicit� di ruoli uno degli aspetti sui quali il nuovo 
Presidente dovr� confrontarsi; le polemiche sono note, per� � importante che 
oggi possiamo ritrovare nella Sua formazione di giurista questa comunanza 
di tempi e di luoghi con lo studio del prof. Carlo Esposito, proprio sul Capo 
dello Stato e sulla controfirma ministeriale. 

Il secondo tema sul quale ho avuto modo di riflettere � la provenienza del 
nuovo Presidente della Repubblica dalla Corte Costituzionale: forse � la prima 
volta che ci� avviene. 

Credo che questo sia un aspetto fondamentale in relazione al modo con il 


TEMI ISTITUZIONALI

quale il nuovo Presidente eserciter� le sue funzioni: perch� il grande equilibrio 
e la grande serenit�, che esprime lo stare da quella parte (sugli scanni della 
Corte Costituzionale), sono in s� un elemento di garanzia. La nostra � una societ� 
complessa, noi abbiamo problemi complessi; ecco, la serenit� e autonomia 
di giudizio nei quasi 4 anni vissuti nella Corte sono importanti. Si tratta di 
aspetti fondamentali perch�, non cՏ niente da fare, nei giudici della Corte Costituzionale 
la collettivit� nazionale nutre fiducia: decisioni sempre ponderate, 
sempre illuminate, parole mai oltre le righe, e questo � l�altro aspetto sul quale 
l�attivit� del Presidente Mattarella ci dar� sicuramente elementi di continuit�. 

CՏ infine un ultimo aspetto che mi ha colpito molto: la visita che il Presidente 
ha fatto alle Fosse Ardeatine come primo atto, appena nominato. Perch�? 
Ho pensato... Forse ha voluto ricordarci qualcosa di fondamentale, una 
sorta di Grundnorm che sorregge la nostra Costituzione repubblicana. E questa 
norma fondante � il sacrificio degli italiani, di quelli che morirono a Roma, 
nelle Fosse Ardeatine, di quelli che stavano a combattere sulle montagne, di 
quelli che si sono ribellati alla barbaria nazista e che hanno poi scritto la nostra 
Costituzione. 

Beh! Questo � un richiamo che mi tranquillizza, che mi d� la serenit� e 
la forza di dire al Presidente Mattarella: buon lavoro. 


Avvocatura Generale dello Stato 


CIRCOLARE N. 64/2014 

Oggetto: applicazione artt. 39 e 114 d.lgs. 159/11 e s.m.i. - eventuale patrocinio 
�obbligatorio� per le societ� di capitali a totale o maggioritaria titolarit� 
pubblica delle quote confiscate - utilizzabilit� onerosa dell�attivit� diliberi professionisti designati dall�Amministrazione. 

Si trasmette, per opportuna conoscenza, copia del parere reso dal Comitato 
Consultivo in materia di patrocinio delle societ� di capitali, il cui capitale 
sociale sia stato interamente (o per la maggior parte) seguestrato o confiscato 
per effetto di provvedimenti adottati ai sensi del d.lgs. 159/11. 

IL VICE AVVOCATO GENERALE 
Giuseppe Fiengo 

Avvocatura Generale dello Stato 

Via dei Portoghesi, 12 

3/12/2014-530523 P

00186 ROMA 

Roma 
Roma, POSTA PRIORITARIA 
Partenza N. 

Tipo Affare CT Avvocatura Distrettuale dello Stato 
30027/2013 Sez. IV Avv. Scino Via Alcide De Gasperi, 81 

M.A. 90100 Palermo 

Rif. a nota del 15/06/2013 
Prot. n. 49269 

Oggetto: Applicazione artt. 39 e 114 d.lgs. 159/11 e s.m.i. - Eventuale patrocinio �obbligatorio� per le 
societ� di capitali a totale o maggioritaria titolarit� pubblica delle quote confiscate - Utilizzabilit� onerosa 
dell�attivit� di liberi professionisti designati dall�Amministrazione. 

I. Il Quesito. 

1. Con la nota che si riscontra, codesta Avvocatura Distrettuale chiede un intervento 
chiarificatore della Scrivente in ordine al patrocinio delle societ� di capitali, 
il cui capitale sociale sia stato interamente (o per la maggior parte) sequestrato 

o confiscato per effetto di provvedimenti adottati ai sensi del d.lgs. 159/11 (di 
seguito anche "codice antimafia"). Il medesimo parere � stato sollecitato anche 
dall'Agenzia nazionale per l'amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati 
e confiscati alla criminalit� organizzata (di seguito anche "Agenzia"). 

2. Codesta Avvocatura, andando di diverso avviso rispetto a posizioni gi� adottate 
in passato, sembra avallare la tesi che il patrocinio di tali societ� possa 
essere attribuito all'Avvocatura dello Stato ai sensi delle pertinenti disposizioni 
del codice antimafia. A supporto della tesi, l'Avvocatura Distrettuale di Palermo 
spende, sostanzialmente, tre argomenti: 

a. esiste una contraddizione nel sistema: mentre l'amministratore giudiziario 
cui sia stata attribuita la carica di amministratore di una societ�, il cui capitale 


TEMI ISTITUZIONALI

sociale sia stato sequestrato, potrebbe avvalersi, previa autorizzazione dell'Avvocato 
Generale, del patrocinio dell'Avvocatura dello Stato ai sensi dell'art. 
39 del codice antimafia, non potrebbe avvalersi di tale patrocinio l'amministratore 
di societ� il cui capitale sia stato confiscato, in quanto l'art. 114, 
comma 2, dello stesso codice, applicabile ai casi di confisca, attribuisce patrocinio 
obbligatorio alla sola Agenzia; 

b. l'amministratore della societ� il cui capitale sia stato confiscato, bench� agisca 
spendendo il nome della societ�, � organo dell'Agenzia; 
c. l'attribuzione del patrocinio delle societ� il cui capitale sia stato confiscato 
comporterebbe un rilevante risparmio di spesa, in considerazione dei minori 
costi dell'Avvocatura dello Stato rispetto ad avvocati del libero foro. 


3. La risposta alla richiesta di chiarimenti impone un'analisi preliminare della 
soggettivit� giuridica delle societ� rispetto a quella dei soci, della natura giuridica 
delle quote o azioni confiscate, degli istituiti del sequestro e della confisca 
nel sistema del codice antimafia, nonch� dei compiti dell'amministratore 
giudiziario e dell'Agenzia. 

II. Analisi. 

II.1. Sull'autonomia del capitale sociale rispetto al patrimonio della societ�; 
sull'autonomia del socio rispetto alla societ�; sulla natura giuridica 
di quote e azioni. 

4. Con l'articolato parere espresso nella seduta del 14 giugno 2011 (parere n. 
28188), il Comitato Consultivo dell'Avvocatura dello Stato ha gi� posto in rilievo 
la netta distinzione esistente, nell'ordinamento giuridico, tra capitale sociale 
e patrimonio sociale, da una parte, e tra societ� e soci, dall'altra: mentre 
il "capitale" di una societ� costituisce l'insieme dei conferimenti di beni e servizi 
effettuati dai soci per la costituzione ed il mantenimento della societ� (arg. 
ex articolo 2247 cod. civ.), il "patrimonio" sociale configura invece l'insieme 
dei beni e diritti appartenenti - a vario titolo - alla societ�, in quanto soggetto 
distinto ed autonomo dai soci che ne fanno parte. 
5. Anche la Suprema Corte di Cassazione, nella sua costante giurisprudenza, 
ha chiarito che la partecipazione sociale in una societ� di capitali costituisce 
un bene giuridicamente distinto ed autonomo dal patrimonio sociale e che sussiste 
una netta separazione tra il patrimonio sociale e quello del socio, anche 
nell'ipotesi di partecipazione totalitaria (1). 


(1) Suprema Corte di Cassazione, sentenza n. 2087 del 14/02/2012: "La partecipazione sociale in una 
societ� di capitali costituisce un bene giuridicamente distinto ed autonomo dal patrimonio sociale, come 
tale inidoneo a venire direttamente danneggiato da vicende legate all'inadempimento contrattuale di un 
terzo nei confronti della societ�, attesa la natura meramente riflessa che il pregiudizio patrimoniale conseguente 
pu� produrre sul valore della quota di partecipazione. Ne consegue che, posta la netta separazione 
tra il patrimonio sociale e quello del socio, anche nell'ipotesi di partecipazione totalitaria, qualsiasi 
danno che colpisce direttamente il patrimonio della societ� pu� avere un'incidenza meramente indiretta 
sulla quota medesima, e, conseguentemente, non � suscettibile di autonoma risarcibilit�". Nella specie, 


6. Esiste, dunque, una netta distinzione soggettiva, che si riverbera anche sotto il 
profilo della capacit� processuale, tra le societ� di capitali e i soci che posseggano 
quote o azioni, anche maggioritarie, rappresentative del capitale di tali societ�. 
7. La Suprema Corte di Cassazione, nella sua consolidata giurisprudenza, ha 
altres� chiarito che le quote di partecipazione nel capitale di una societ� di capitali, 
cosi come le azioni, costituiscono un autonomo bene giuridico. 
8. In particolare, la Suprema Corte ha affermato che la quota di partecipazione 
in una societ� di capitali esprime una posizione contrattuale "obiettivata", che 
va considerata come bene immateriale equiparabile al bene mobile non iscritto 
in pubblico registro, poich� la quota, pur non configurandosi come bene materiale 
al pari dell'azione, ha tuttavia un valore patrimoniale oggettivo, costituito 
dalla frazione del patrimonio che rappresenta, e va perci� configurata 
come oggetto unitario di diritti (2). 
9. Azioni e quote, dunque, rappresentato autonomi beni giuridici, che possono 
formate oggetto di rapporti giuridici suscettibili di generare controversie definibili 
nel processo. 


II.2. Sul sequestro e sulla confisca nel sistema del codice antimafia. 

10. Il sequestro e la confisca sono strumenti che assolvono, evidentemente, a 
funzioni distinte. Mentre il primo, oltre ad assicurare la temporanea sottrazione 
del patrimonio sequestrato dal circuito criminale, ha la funzione strumentale di 
tutelare l'integrit� del patrimonio del prevenuto in attesa che ne venga disposta 
la confisca ovvero la restituzione, il secondo, bench� incardinato anch'esso tra 
le misure di "prevenzione", ha la funzione specifica di sottrarre in via definitiva 
dai circuiti criminali patrimoni dotati di valore economico effettivo, con metodi 
illeciti, e con attitudine al finanziamento del fenomeno mafioso (3). 

il socio totalitario aveva lamentato che il ritardato rilascio di un fondo rustico di propriet� della societ�, 
da parte del conduttore, aveva determinato una riduzione del prezzo di compravendita della sua quota 
sociale, gi� promessa in vendita ad un terzo acquirente, ma la Corte, riformando la sentenza di secondo 
grado, ha ritenuto non risarcibile tale danno patrimoniale. 

(2) Con la Sentenza n. 22361 del 21/10/2009, Sez. 3, la Suprema Corte ha affermato che "La quota di 
partecipazione in una societ� a responsabilit� limitata esprime una posizione contrattuale obiettivata, 
che va considerata come bene immateriale equiparabile al bene mobile non iscritto in pubblico registro 
ai sensi dell'art. 812 cod. civ., per cui ad essa possono applicarsi, a norma dell'art. 813, ultima parte, 
cod. civ., le disposizioni concernenti i beni mobili e, in particolare, la disciplina delle situazioni soggettive 
reali e dei conflitti tra di esse sul medesimo bene, poich� la quota, pur non configurandosi come 
bene materiale al pari dell'azione, ha tuttavia un valore patrimoniale oggettivo, costituito dalla frazione 
del patrimonio che rappresenta, e va perci� configurata come oggetto unitario di diritti; ne consegue 
che le quote di partecipazione ad una societ� a responsabilit� limitata possono essere oggetto di pignoramento 
nei confronti del socio che ne � titolare, a nulla rilevando fallimento della societ�, che a terzo 
rispetto al processo esecutivo, cui pertanto non si applica Part 51 legge fall.". 
(3) La Suprema Corte di Cassazione (sez. I pen. Sentenza n. 15964 del 2013) ha tuttavia chiarito - seppure 
nel sistema precedente al codice antimafia - che "il sequestro quale misura di prevenzione patrimoniale, 
pur svolgendo normalmente una funzione prodromica rispetto alla misura patrimoniale della confisca, 
ben pu� essere applicato unitamente alla confisca o con un unico atto, allorch� non sia stato ritenuto necessario 
svolgere alcun ulteriore accertamento per far luogo alla misura ablativa finale della confisca". 



TEMI ISTITUZIONALI

11. L'istituto del sequestro nel codice antimafia � disciplinato, per quanto qui 
interessa, dalle seguenti disposizioni: 

Art. 20 Sequestro 

1. Il tribunale, anche d'ufficio, ordina con decreto motivato il sequestro dei beni dei quali 
la persona nei cui confronti � iniziato il procedimento risulta poter disporre, direttamente 

o indirettamente, quando il loro valore risulta sproporzionato al reddito dichiarato o al-
l'attivit� economica svolta ovvero quando, sulla base di sufficienti indizi, si ha motivo 
di ritenere che gli stessi siano il frutto di attivit� illecite o ne costituiscano il reimpiego. 

[omissis] 

Art. 21 Esecuzione del sequestro: 

1. Il sequestro � eseguito con le modalit� previste dall'articolo 104 del decreto legislativo 
28 luglio 1989, n. 271. 

12. L'art. 104 del decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271, che reca le norme 
di attuazione del codice di procedura penale, cos� dispone: 

Art. 104 Esecuzione del sequestro preventivo. 

1. Il sequestro preventivo � eseguito: 
a) sui mobili e sui crediti, secondo le forme prescritte dal codice di procedura civile per 
il pignoramento presso il debitore o presso il terzo in quanto applicabili; 
b) sugli immobili o mobili registrati, con la trascrizione del provvedimento presso i competenti 
uffici; 
c) sui beni aziendali organizzati per l'esercizio di un'impresa, oltre che con le modalit� 
previste per i singoli beni sequestrati, con l'immissione in possesso dell'amministratore, 
con l'iscrizione del provvedimento nel registro delle imprese presso il quale � iscritta 
l'impresa; 
d) sulle azioni e sulle quote sociali, con l'annotazione nei libri sociali e con l'iscrizione 
nel registro delle imprese; 
e) sugli strumenti finanziari dematerializzati, ivi compresi i titoli del debito pubblico, 
con la registrazione nell'apposito conto tenuto dall'intermediario ai sensi dell'articolo 
34 del decreto legislativo 24 giugno 1998, n. 213. Si applica l'articolo 10, comma 3, del 
decreto legislativo 21 maggio 2004, n. 170. 


13. Dall'esame delle disposizioni sopra riportate, emerge testualmente che il 
sequestro nella disciplina del codice antimafia pu� avere ad oggetto beni mobili, 
crediti, beni immobili mobili registrati, beni aziendali organizzati per 
l'esercizio di un'impresa, azioni o quote, strumenti finanziari dematerializzati. 
14. Occorre, peraltro, tenere conto del disposto dell'art. 104 bis delle disposizioni 
attuative del codice di procedura penale, non espressamente richiamato dal codice 
antimafia, ma che sembra integrare quanto disposto dal precedente art. 104: 


104-bis. Amministrazione dei beni sottoposti a sequestro preventivo. 

1. Nel caso in cui il sequestro preventivo abbia per oggetto aziende, societ� (4) ovvero 

(4) Sottolineatura aggiunta. 


beni di cui sia necessario assicurare l'amministrazione, esclusi quelli destinati ad affluire 
nel Fondo unico della Giustizia, di cui all'articolo 61, comma 23, del decreto-legge 25 
giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, 
l'autorit� giudiziaria nomina un amministratore giudiziario scelto nell'Albo di cui all'articolo 
2-series, comma 3, della legge 31 maggio 1965, n. 575. Con decreto motivato 
dell'autorit� giudiziaria la custodia dei beni suddetti pu� tuttavia essere affidata a soggetti 
diversi da quelli indicati al periodo precedente. 

15. Si noti che l'art. 104 bis delle disposizioni attuative al codice di procedura 
penale, nel prevedere che qualora vengano sequestrati patrimoni di cui sia necessario 
assicurare l'amministrazione, l'amministratore giudiziario sar� scelto, 
salve motivate eccezioni, tra quelli iscritti in un apposito albo, richiama testualmente, 
nell'elencare tali beni, anche il sequestro di "societ�". 
16. Tale espressione ("sequestro di societ�") appare di difficile interpretazione, 
atteso che sequestro, come si evince dal combinato disposto tra gli artt. 20 e 
21 del codice antimafia e l'art. 104 delle disposizioni attuative al codice di 
procedura penale, pu� avere ad oggetto - in conformit� ai principi generali soltanto 
un bene o una universalit� di beni, ma non anche un soggetto giuridico, 
qual � la societ� di capitali. 
17. Nell'incertezza causata dalla formulazione della norma, sembra potersi affermare 
che il richiamo al sequestro di "societ�" non sia una semplice svista 
del Legislatore, ma un riferimento terminologicamente improprio al sequestro 
di beni giuridici, quali quote o azioni, rappresentative dell'intero capitale sociale 
o di una sua maggioranza qualificata, nell'ottica di valorizzare le particolarit� 
gestorie connesse all'esercizio dei diritti derivanti da tali beni giuridici 
(id est: i diritti dei soci): in questi particolari casi, il Tribunale dovr� attingere, 
ai fini della nomina dell'amministratore giudiziario, a professionisti in possesso 
di particolari qualit� professionali, iscritti in un apposito albo specializzato. 
18. Ci� non toglie, tuttavia, che oggetto del sequestro saranno comunque le 
quote o le azioni, e che la persona del socio, destinataria della misura di prevenzione, 
� distinta dalla persona giuridica della societ�, che continua a mantenere 
una sua spiccata autonomia giuridica, sostanziale e processuale. 
19. L'Istituto della confisca � invece disciplinato dall'art. 24 del codice antimafia: 


Art. 24 Confisca 

1. Il tribunale dispone la confisca dei beni sequestrati di cui la persona nei cui confronti 
� instaurato il procedimento non possa giustificare la legittima provenienza e di cui, 
anche per interposta persona fisica o giuridica, risulti essere titolare o avere la disponibilit� 
a qualsiasi titolo in valore sproporzionato al proprio reddito, dichiarato ai fini delle 
imposte sul reddito, o alla propria attivit� economica, nonch� dei beni che risultino 
essere frutto di attivit� illecite o ne costituiscano il reimpiego. 

[omissis] 

20. L'art. 24 del codice antimafia, nell'identificare i beni oggetto di confisca, 


TEMI ISTITUZIONALI

evoca i beni sequestrati ("Il Tribunale dispone la confisca dei beni sequestrati"), 
per cui l'oggetto del provvedimento di prevenzione � lo stesso. 

21. Per le medesime ragioni gi� illustrate sopra, nei punti da 16 a 18, deve ritenersi 
che la confisca, cos� come il sequestro, possa avere ad oggetto soltanto 
beni giuridici e non soggetti aventi un'autonoma personalit� giuridica. 

II.3. I compiti dell'amministratore giudiziario e dell'Agenzia. 

22. I compiti dell'amministratore giudiziario sono indicati dall'art. 37 del codice 
antimafia: 

Art. 37 Compiti dell'amministratore giudiziario 

1. L'amministratore giudiziario, fermo restando quanto previsto dagli articoli 2214 e seguenti 
del codice civile, tiene un registro, preventivamente vidimato dal giudice delegato 
alla procedura, sul quale annota tempestivamente le operazioni relative alla sua amministrazione 
secondo i criteri stabiliti al comma 6. Con decreto emanato dal Ministro 
della giustizia, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, sono stabilite 
le norme per la tenuta del registro. 
2. Nel caso di sequestro di azienda l'amministratore prende in consegna le scritture contabili 
e i libri sociali, sui quali devono essere annotati gli estremi del provvedimento di 
sequestro. 
3. Le somme apprese, riscosse o ricevute a qualsiasi titolo dall'amministratore giudiziario 
in tale qualit�, escluse quelle derivanti dalla gestione di aziende, affluiscono al Fondo 
unico giustizia di cui all'articolo 61, comma 23, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 
112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133. 
4. Le somme di cui al comma 3 sono intestate alla procedura e i relativi prelievi possono 
essere effettuati nei limiti e con le modalit� stabilite dal giudice delegato. 
5. L'amministratore giudiziario tiene contabilit� separata in relazione ai vari soggetti o 
enti proposti (5); tiene inoltre contabilit� separata della gestione e delle eventuali vendite 
dei singoli beni immobili oggetto di privilegio speciale ed ipoteca e dei singoli beni 
mobili o gruppo di mobili oggetto di pegno e privilegio speciale. Egli annota analiticamente 
in ciascun conto le entrate e le uscite di carattere specifico e la quota di quelle di 
carattere generale imputabili a ciascun bene o gruppo di beni secondo un criterio proporzionale. 
Conserva altres� i documenti comprovanti le operazioni effettuate e riporta 
analiticamente le operazioni medesime nelle relazioni periodiche presentate ai sensi 
dell'articolo 36. 


23. Anche quando il codice antimafia disciplina i compiti dell'amministratore 
giudiziario, il riferimento, quanto all'oggetto della confisca, � sempre a beni 
singoli, gruppi di beni o aziende, in relazione ai quali l'amministratore giudiziario 
deve tenere una specifica contabilit�. 
24. Unica eccezione pare essere rappresentata dal riferimento, contenuto al 
comma 5 dell'art. 37 cit., alla contabilit� degli "enti proposti". In questo caso, 
il riferimento potrebbe essere inteso anche a una societ� di capitali, che � un 
ente, mentre tale qualit� non appartiene all'azienda, che rappresenta, comun


(5) Sottolineatura aggiunta. 


que, un complesso di beni organizzato e finalizzato ad uno scopo, privo, tuttavia, 
di soggettivit� giuridica. 

25. Poich� la norma � contenuta, da un punto di vista sistematico, tra le disposizioni 
concernenti i compiti dell'amministratore giudiziario, occorrer� interpretarla 
nel senso che tra i compiti di questo vi � anche quello di tenere una 
contabilit� separata, a seconda del soggetto che subisce il sequestro, sia questo 
una persona fisica oppure una persona giuridica. 
26. La norma in esame, peraltro, per le medesime ragioni gi� illustrate, non 
sembra poter minare l'assunto che oggetto del sequestro potr� essere un bene 


o un complesso di beni e non un soggetto avente personalit� giuridica. 

27. I compiti dell'Agenzia sono invece indicati nell'art. 38 del codice antimafia: 


Art. 38 Compiti dell'Agenzia 

1. Fino al decreto di confisca di primo grado l'Agenzia coadiuva l'amministratore giudiziario 
sotto la direzione del giudice delegato. A tal fine l'Agenzia propone al tribunale 
l'adozione di tutti i provvedimenti necessari per la migliore utilizzazione del bene in 
vista della sua destinazione o assegnazione. L'Agenzia pu� chiedere al tribunale la revoca 
o la modifica dei provvedimenti di amministrazione adottati dal giudice delegato 
quando ritenga che essi possono recare pregiudizio alla destinazione o all'assegnazione 
del bene. 
2. All'Agenzia sono comunicati per via telematica i provvedimenti di modifica o revoca 
del sequestro e quelli di autorizzazione al compimento di atti di amministrazione straordinaria. 
3. Dopo il decreto di confisca di primo grado, l'amministrazione dei beni � conferita all'Agenzia, 
la quale pu� farsi coadiuvare, sotto la propria responsabilit�, da tecnici o da 
altri soggetti qualificati, retribuiti secondo le modalit� previste per l'amministratore giudiziario. 
L'Agenzia comunica al tribunale il provvedimento di conferimento dell'incarico. 
L'incarico ha durata annuale, salvo che non intervenga revoca espressa, ed � rinnovabile 
tacitamente. L'incarico pu� essere conferito all'amministratore giudiziario gi� nominato 
dal tribunale. 
4. In caso di mancato conferimento dell'incarico all'amministratore giudiziario gi� nominato, 
il tribunale provvede agli adempimenti di cui all'articolo 42 e all'approvazione 
del rendiconto della gestione. 
5. Entro sei mesi dal decreto di confisca di primo grado, al fine di facilitare le richieste 
di utilizzo da parte degli aventi diritto, l'Agenzia pubblica nel proprio sito internet 
l'elenco dei beni immobili oggetto del provvedimento. 
6. L'Agenzia promuove le intese con l'autorit� giudiziaria per assicurare, attraverso criteri 
di trasparenza, la rotazione degli incarichi degli amministratori, la corrispondenza 
tra i profili professionali e i beni sequestrati, nonch� la pubblicit� dei compensi percepiti, 
secondo modalit� stabilite con decreto emanato dal Ministro dell'interno e dal Ministro 
della giustizia. 
7. Salvo che sia diversamente stabilito, le disposizioni del presente decreto relative al-
l'amministratore giudiziario si applicano anche all'Agenzia, nei limiti delle competenze 
alla stessa attribuite ai sensi del comma 3. 



TEMI ISTITUZIONALI

28. Dall'esame della norma che indica i compiti dell'Agenzia, emerge chiaramente 
che in fase di sequestro esiste una netta alterit� soggettiva tra amministratore 
giudiziario e Agenzia. Questa, infatti, fino all'intervento di un 
provvedimento di confisca, non ha poteri gestori dei beni sequestrati ma si limita 
a coadiuvare l'amministrare giudiziario nello svolgimento dei compiti ad 
esso attribuiti dalla legge. 
29. Tale attivit� potrebbe estendersi anche all'esercizio dei poteri di amministrazione 
delle societ� il cui capitale sia stato sequestrato, qualora all'amministratore 
giudiziario siano stati conferiti tali poteri dagli organi societari. 


III. Conclusioni. 

30. Dall'analisi sopra illustrata emergono i seguenti principi di carattere generale, 
utili alla soluzione del quesito: 

a. la persona del socio � distinta dalla persona della societ�; 
b. il patrimonio del socio � distinto dal patrimonio della societ�; 
c. quote e azioni rappresentano autonomi beni giuridici; 
d. il sequestro e la confisca possono avere ad oggetto beni giuridici quali le 
quote o azioni, ovvero i singoli beni aziendali o l'azienda, ma non anche una 
societ� avente autonoma personalit� giuridica. 


31. La considerazione di tali principi appare utile ai fini di stabilire l'estensione 
del patrocinio attribuito dal codice antimafia all'Avvocatura dello Stato sia 
nelle ipotesi di sequestro sia di confisca. 

III.1 Sul patrocinio erariale dell'amministratore giudiziario (art. 39 del 
codice antimafia) nelle ipotesi di sequestro. 

32. Il codice antimafia dedica una specifica disposizione al patrocinio dell'amministratore 
giudiziario: 

Art. 39 Assistenza legale alla procedura 

1. L'Avvocatura dello Stato assume la rappresentanza e la difesa dell'amministratore 
giudiziario nelle controversie, anche in corso, concernenti rapporti relativi a beni sequestrati, 
qualora l'Avvocato generale dello Stato ne riconosca l'opportunit� (6). 

33. La norma in esame consente all'amministratore giudiziario di avvalersi del 
patrocinio dell'Avvocatura dello Stato, a condizione che l'Avvocato generale 
ne riconosca l'opportunit� (7), nelle "controversie concernenti rapporti relativi 
ai beni sequestrati". 

(6) Comma cos� sostituito dall'art. 1, comma 1, D.Lgs. 15 novembre 2012, n. 218. 
(7) Con circolare n. 72/2012 l'Avvocato Generale ha chiarito quali siano, in linea di principio, i parametri 
di tale giudizio di opportunit� "La riformulazione della disposizione si � resa necessaria al fine di limitare 
l'intervento dell'Avvocatura dello Stato nei contenzios� riguardanti i beni sequestrati; di fatti, i cespiti 
confiscati ricadono sotto l'amministrazione e gestione dell'Agenzia nazionale per l'amministrazione e 
la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalit� organizzata che � istituzionalmente patrocinata 
dall'Avvocatura dello Stato, come stabilito dall'art. 114 del Codice, anch'esso novellato, nei 
termini pi� sopra evidenziati, dal D.lgs. n. 218/12. 
Al predetto fine � stato previsto che l'assunzione del patrocinio dell'amministratore giudiziario da parte 



34. L'espressione "controversie concernenti rapporti relativi a beni sequestrati", 
utilizzata dal Legislatore, impone di ritenere che il patrocinio erariale 
possa essere conferito all'amministratore giudiziario solo quando la controversia 
riguardi rapporti giuridici che insistono su beni sequestrati. 
35. Pertanto, nell'ipotesi in cui il sequestro abbia ad oggetto soltanto le quote o 
le azioni della societ�, ma non anche l'azienda o i singoli beni aziendali sui quali 
si sia innescata una controversia, l'amministratore giudiziario di tali quote o 
azioni sequestrate godr� del patrocinio erariale soltanto per le controversie concernenti 
direttamente tali quote o azioni (propriet�, possesso, pegno, pignoramento, 
etc.), ovvero l'esercizio dei diritti o doveri del socio in esse incorporati. 
36. Viceversa, il patrocinio erariale non potr� essere riconosciuto in relazione 
a controversie che interessano la societ� come soggetto giuridico titolare di 
rapporti giuridici su beni non sequestrati. Ci� in quanto titolare del rapporto 
giuridico contestato, che insiste su beni non sequestrati, non � il socio ma stante 
la separazione giuridica tra i due soggetti - la societ�. 
37. La questione non cambia quando, sequestrate solo le quote o le azioni di 
una societ�, e non anche i beni aziendali, l'amministratore giudiziario sia stato 
nominato anche amministratore della societ�. 
38. In questo caso, infatti, l'amministratore giudiziario agisce nell'interesse e 
spendendo il nome della societ�, ovvero di un ente il cui patrimonio non � 
stato sequestrato, con la conseguenza che ancora in virt� della richiamata separazione 
tra patrimonio del socio e patrimonio della societ� � ancora la societ� 
ad essere titolare del rapporto giuridico controverso su di un bene ad essa attribuito, 
e non il solo. 
39. Sembra potersi affermare, quindi, che le controversie che hanno ad oggetto 
rapporti giuridici insistenti su beni non sequestrati facenti parte del patrimonio 
di una societ� le cui quote o azioni siano state invece sequestrate, non ricadono 
nell'ambito di previsione dell'art. 39 del codice antimafia, con la conseguenza 
che le societ� titolari dei diritti su tali beni non sequestrati non potranno godere 
del patrocinio erariale nemmeno quando la carica di amministratore di tali societ� 
sia ricoperta dall'amministratore giudiziario. 
40. Diversa appare, invece, l'ipotesi in cui il sequestro abbia ad oggetto non 
soltanto le quote o le azioni, ma investa anche l'azienda o singoli beni aziendali: 
in questo caso, qualora la controversia concerna rapporti relativi a beni 
sequestrati, l'amministratore giudiziario potr� essere difeso dall'Avvocatura 
dello Stato, ravvisatane l'opportunit�. 


dell'Avvocatura dello Stato sia subordinata al previo parere favorevole dell'Avvocato Generale dello 
Stato. Tale parere risponde alla necessit� di verificare, in un logica di opportunit�, che l'intervento del-
l'Avvocatura dello Stato avvenga laddove vi sia effettiva necessit� di un patrocinio specializzato, evitando 
scelte antieconomiche che potrebbero anche riverberarsi negativamente sulla finanza statale; � il caso, 
per esempio, dei procedimenti giudiziari fuori distretto, per i quali potrebbe essere necessario avvalersi, 
per l'esercizio di attivit� meramente procuratorie, di avvocati del libero foro". 


TEMI ISTITUZIONALI

III.2 Sul patrocinio erariale dell'Agenzia (art. 114, comma 2, del codice 
antimafia) nelle ipotesi di confisca. 

41. Effettuate le precedenti puntualizzazioni in tema di sequestro, dopo l'intervento 
della confisca l'Avvocatura dello Stato assume il patrocinio obbligatorio 
dell'Agenzia ai sensi dell'art. 114, comma 2, del codice antimafia, il quale 
testualmente dispone: 

Art. 114 comma 2 (8): 

2. All'Agenzia si applica l'articolo 1 del testo unico delle leggi e delle norme giuridiche 
sulla rappresentanza e difesa in giudizio dello Stato e sull'ordinamento dell'Avvocatura 
dello Stato di cui al regio decreto 30 ottobre 1933, n. 1611 (9). 

42. Dal punto di vista letterale, la norma � chiara nell'attribuire il patrocinio 
erariale obbligatorio all'Agenzia, la quale, per effetto del provvedimento di 
confisca, acquisisce la titolarit� dei beni giuridici sequestrati. 
43. Tale patrocinio, dopo la confisca, non � per� attribuito n� all'amministratore 
giudiziario eventualmente confermato nel suo incarico n� tantomeno alla 
societ�, che - come si � pi� volte sottolineato - possiede una personalit� giuridica 
autonoma. 
44. Pertanto, qualora la confisca abbia investito soltanto le quote o le azioni 
della societ�, l'Agenzia godr� del patrocinio erariale tutte le volte che la controversia 
abbia ad oggetto tali beni giuridici ovvero l'esercizio dei diritti o dei 
doveri che nascono dalla qualit� di socio. 
45. Qualora, invece, la confisca abbia investito non soltanto le quote o le azioni 
ma anche l'intero patrimonio aziendale, l'Agenzia avr� la titolarit� dei rapporti 
giuridici sui beni oggetto di confisca e, quindi, sar� processualmente legittimata 
nelle controversie ad essi relativi. In tali casi opera, infatti, l'art. 114 
comma 2 del codice antimafia, con la conseguenza che il patrocinio dell'Agenzia 
sar� attribuito ex lege all'Avvocatura dello Stato. 
46. Le conclusioni cui si � pervenuti non sembrano prestare il fianco a critiche 
basate sugli argomenti illustrati al punto 2 del presente parere. 
47. Infatti, sul piano sistematico, non sembrano emergere le contraddizioni di 
cui al punto 2.a, atteso che la disciplina dettata in materia di sequestro non si 
discosta, quanto ai principi, da quella dettata in materia di confisca. 
48. N� sembra accoglibile l'argomento di cui al punto 2.b, atteso che l'amministratore 
di una societ� il cui capitale sociale sia stato confiscato non � organo 
dell'Agenzia ma, in ragione della distinzione soggettiva illustrata al paragrafo 
II.1, � organo della Societ�, cui sono imputabili gli effetti degli atti giuridici 
che porta a compimento. 


(8) Comma cos� sostituito dall'art. 7, comma 1, D.Lgs. 15 novembre 2012, n. 218. 
(9) L'art. 1 del regio decreto 30 ottobre 1933, n. 1611 cos� dispone: 
La rappresentanza, il patrocinio e l'assistenza in giudizio delle Amministrazioni dello Stato, anche se 
organizzate ad ordinamento autonomo, spettano alla Avvocatura dello Stato, [omissis]. 



49. Infine, l'argomento di cui al punto 2.c, sebbene evidenzi un interesse economico 
meritevole di attenzione, si atteggia ad argomento di mero fatto, utile 
a suscitare riflessioni di ordine legislativo, che non trovano, tuttavia, allo stato, 
riscontro nella normativa vigente. 

**** 
Sul presente parere � stato sentito il Comitato Consultivo che si � espresso in 
conformit� nella seduta del 22 gennaio 2014. 

L'Avvocato Incaricato Il Vice Avvocato Generale 

Mario Antonio Scino Giuseppe Fiengo 


contenzioso comunitario
contenzioso comunitario
La posizione della parte pubblica nel processo 
dinanzi alla Corte europea dei diritti dell'uomo 

Giuseppe Albenzio* 

Concetto di organizzazione non governativa, ai sensi dell'art. 34 CEDU, in relazione agli 
enti pubblici territoriali, enti pubblici in genere e agenzie fiscali e speciali. 
Legittimazione passiva delle Alte parti contraenti, ai sensi dell'art. 6 del Regolamento; 
posizione degli altri enti pubblici dotati di autonomia costituzionale e titolari di potest� 
pubbliche; facolt� di intervento in giudizio, ai sensi dell'art. 36 CEDU. 
Responsabilit� dell'esecuzione delle sentenze, ai sensi dell'art. 46 CEDU, rivalsa dello 
Stato nei confronti dei soggetti responsabili della violazione, ai sensi della legge n. 234 
del 2012. 


1. La Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell�uomo e 
delle libert� fondamentali costituisce, ad oggi, l'espressione pi� significativa 
dell�attivit� del Consiglio d�Europa, organizzazione internazionale fondata nel 
1948 con l�intento di costituire �a kind of United States of Europe� (la citazione 
� di Winston Churchill in un famoso discorso pronunciato al politecnico 
di Zurigo); possono divenire parte della Convenzione i soli Stati membri - le 
Alte parti contraenti - del Consiglio d�Europa i quali sono destinatari (e rispondono) 
dei vincoli internazionali di tipo solidale e degli obblighi con effetti 
erga omnes, cio� �erga omnes partes�, che ne derivano. 

(*) Avvocato dello Stato. 

Il presente scritto � l�intervento dell�Autore al Convegno �L�accesso dei singoli alle Corti europee: attualit�, 
problemi, prospettive. I Parte - L�accesso dei singoli alla Corte di giustizia dell�Unione europea. 
II Parte - L�accesso dei singoli alla Corte europea dei diritti dell�uomo�. Convegno tenutosi a conclusione 
dell�VIII edizione del Corso di Perfezionamento in �Diritto Dell�Unione Europea: La Tutela Dei 
Diritti� - Universit� degli Studi di Napoli Federico II, Venerd�12 dicembre 2014. 
A cura dell�Universit� la pubblicazione integrale degli atti. 



Sono, quindi, gli Stati, nella propria soggettivit� internazionale (dotata 
dei caratteri tipici della sovranit� ed indipendenza), ad essere legittimati quali 
parti processuali dinanzi alla Corte dei diritti dell'uomo, ai sensi degli art. 33 
(legittimazione attiva), 34 (legittimazione passiva) e 36 (legittimazione all'intervento), 
e sono sempre e solo gli Stati i diretti destinatari dell�obbligo di 
conformarsi alle sentenze definitive della Corte, come sancito dall'art. 46 
CEDU ("1. Le Alte Parti contraenti si impegnano a conformarsi alle sentenze 
definitive della Corte sulle controversie nelle quali sono parti. 2. La sentenza 
definitiva della Corte � trasmessa al Comitato dei Ministri che ne controlla 
l'esecuzione..." ). 

Il che, detto in altri termini, equivale a sottolineare che sono le Alte parti 
contraenti della Convenzione, quali Stati membri del Consiglio d�Europa, che 
assumono l�impegno di dare esatta esecuzione alle sentenze della Corte; ci� � 
confermato dalla circostanza che le pronunce della Corte europea non posseggono 
immediata forza esecutiva all�interno dei diversi ordinamenti statali 
(come, da ultimo, confermato dalla sentenza n. 9564 del 9 settembre 2014 
emessa dal Tar Lazio in sede di giudizio in ottemperanza promosso dalla societ� 
Immobiliare Podere Trieste contro lo Stato italiano per l'esecuzione di 
una sentenza della Corte di Strasburgo); ciascuno Stato, infatti, � in linea di 
principio libero di scegliere quali misure adottare per dare esatta esecuzione 
alle sentenze della Corte. 

Spetter�, poi, al Comitato dei Ministri (secondo quanto disciplinato dallo 
stesso art. 46) il delicato compito di sorvegliare l�esecuzione delle sentenze 
che abbiano in qualche modo constatato la violazione delle norme della Convenzione 
da parte degli Stati contraenti. 

Del resto, la persistente inesecuzione di una sentenza condurrebbe ad una 
sospensione dal Consiglio d�Europa e, se del caso, ad una definitiva espulsione 
dello Stato inadempiente, con tutte le possibili conseguenze politiche che da 
ci� possano derivare. 

2. La Convenzione europea dei diritti dell�uomo, come emendata dal Protocollo 
n. 11 del 1998, contempla due tipi di ricorsi: 

a) il ricorso interstatale (ex art. 33 CEDU: �Ogni Alta Parte Contraente 
pu� deferire alla Corte ogni inosservanza delle disposizioni della Convenzione 
e dei suoi protocolli che essa ritenga possa essere imputata ad un'altra Alta 
Parte Contraente�); 

b) il ricorso individuale (ex art. 34 CEDU: �La Corte pu� essere investita 
di un ricorso fatto pervenire da ogni persona fisica, ogni organizzazione non 
governativa o gruppo di privati che pretenda d�essere vittima di una violazione 
da parte di una delle Alte Parti Contraenti dei diritti riconosciuti nella Convenzione 
o nei suoi protocolli. Le Alte Parti Contraenti si impegnano a non 
ostacolare con alcuna misura l�effettivo esercizio efficace di tale diritto�). 

Il ricorso interstatale � il �classico� rimedio predisposto dalla Conven



zione al fine di poter avviare il sistema internazionale di controllo di cui ogni 
Stato che ha ratificato la Convenzione pu� avvalersi. 

Il testo dell�articolo 33 CEDU prevede infatti che ogni Stato contraente 
possa adire unilateralmente la Corte. Ratio della disposizione � proprio quella 
di rendere responsabile ogni Stato contraente verso la comunit� degli Stati 
vincolati dalla Convenzione per ogni violazione dei diritti e delle libert� fondamentali. 
Condizioni per proporre il ricorso interstatale sono che entrambi 
gli Stati - ricorrente e convenuto - siano parti della Convenzione e che lo Stato 
ricorrente dimostri una violazione della convenzione o dei suoi protocolli da 
parte dello Stato convenuto, ad esempio in conseguenza di una legge nazionale 
che si ponga in astratto contrasto con i principi, i diritti e le libert� riconosciute 
dalla Convenzione (si veda il caso Irlanda c. Regno Unito, deciso con sentenza 
del 18 gennaio 1978, concernente i fatti che hanno insanguinato l'Irlanda del 
Nord in quell'epoca; il caso Danimarca c. Turchia, deciso con sentenza di radiazione 
del 5 aprile 2000 in seguito a regolamento amichevole; il caso Cipro 

c. Turchia, deciso con sentenze del 10 maggio 2001 e 12 maggio 2014 che 
hanno riconosciuto la Turchia colpevole delle violazioni dei diritti dell'uomo 
conseguenti all'occupazione militare di parte dell'isola). 

3. Per quanto attiene al ricorso individuale, analizziamo il testo dell�art. 
34 nella parte in cui sancisce che il ricorso individuale possa essere presentato 
da "ogni organizzazione non governativa" (secondo le versioni ufficiali inglese 
e francese, any non governamental organization - toute organisation non gouvernmentale) 
per verificare se e in quale misura possa legittimare la proposizione 
di un ricorso da parte di un soggetto pubblico che sia in grado di 
�sostenere� (ossia dimostrare) di essere vittima di una violazione dei diritti 
riconosciuti dalla Convenzione e dai relativi Protocolli, da parte degli Stati 
contraenti. 

La Corte, nella prassi, ha ritenuto ricevibili ricorsi da parte di societ� commerciali, 
di sindacati, di organizzazioni religiose, partiti politici, mentre ha 
escluso categoricamente il ricorso da parte di enti pubblici territoriali o economici 
(sentenza 23 marzo 2010, D�semealt. Belediyesi c. Turchia, sia in riferimento 
all'art. 34 che all'art. 6, comma 1, laddove parla di "diritti e doveri 
di carattere civile"); del resto sarebbe illogico immaginare che un organo titolare 
di un pubblico potere ricorra alla Corte europea contro lo stesso Stato 
cui appartiene e del quale esercita legittimamente una porzione di potere 
(Commissione europea dei diritti dell'uomo, dec. 31 maggio 1974, Altenworth 
ed altri c. Austria; dec. 14 dicembre 1988, ric. n. 13252/87, Comune de Rothenthurm 
c. Svizzera, DR, n. 59; dec. 15 settembre 1998, ric. n. 41877/98, 
Provincia di Bari ed altri c. Italia). 

In simili casi, semmai, sarebbe verosimile pensare ad un conflitto di attribuzione 
tra poteri dello stesso Stato, per cui � impossibile possa darsi la competenza 
ad una Corte estranea allo Stato, come � appunto la Corte europea. 


4. Circa il significato della locuzione �organizzazione governativa�, la 
giurisprudenza costante della Corte europea ha precisato che per tali si intendono 
tutte �le persone giuridiche che partecipano all�esercizio dell�autorit� 
pubblica o che svolgono un servizio pubblico sotto il controllo delle autorit�. 
Per determinare se tale � il caso di una persona giuridica diversa da una collettivit� 
territoriale, bisogna prendere in considerazione il suo status giuridico 
e, all�occorrenza, le prerogative che le sono riconosciute, la natura dell�attivit� 
che esercita ed il contesto nel quale si iscrive, ed il suo grado di indipendenza 
in relazione alle autorit� politiche� (sentenza 23 settembre 2003, Radio 
France et al. c. Francia, n. 53984/00, par. 26). 

Ragionando a contrario, per organizzazioni non governative devono intendersi 
le persone giuridiche che non partecipano all�esercizio dell�autorit� 
pubblica e che non svolgono un servizio pubblico sotto il controllo dell�autorit� 
(sempre la sentenza Radio France, par. 26). Sicuramente, in forza di queste argomentazioni, 
gli enti territoriali non appartengono alla categoria delle �organizzazioni 
non governative�, in quanto esercenti funzioni di pubblica autorit�; 
per gli enti pubblici non territoriali (la Corte parla di �persona giuridica diversa 
da una collettivit� territoriale�) la valutazione deve essere compiuta caso per 
caso, al di l� delle qualificazioni meramente formali, considerando, invece, il 
sostanziale grado di autonomia e di indipendenza dalle pubbliche autorit�, anche 
in ragione dei finanziamenti e dei controlli di cui � destinatario l�ente (la Corte 
afferma che bisognerebbe prendere in considerazione lo status giuridico e la 
natura dell�attivit� esercitata dalla persona giuridica, nonch� il grado d�indipendenza 
in relazione alle autorit� politiche - sentenza Radio France et autres. c. 
France, citata; sentenza 3 aprile 2012, Kotov c. Russie, par. 93-96 e 107, in riferimento 
ad un liquidatore fallimentare; sentenza 18 dicembre 2008, UNEDIC 

c. France, par. 54, in riferimento ad un'associazione per la gestione del regime 
di assicurazione dei crediti dei lavoratori dipendenti; sentenza 13 dicembre 
2007, Compagnie de navigation de la R�publique islamique d'Iran c. Turquie, 
par. 79-81, in riferimento ad una compagnia statale di navigazione; sentenza 30 
novembre 2004, Mikhailenki et autres c. Ukraine, par. 45, in riferimento ad una 
societ� controllata interamente dallo Stato nel settore dell'energia nucleare). 

5. Impossibile, per queste vie, poter riconoscere anche agli enti pubblici 
non territoriali (siano essi enti pubblici economici o non economici) legittimazione 
attiva a ricorrere dinanzi alla Corte europea dei diritti dell�uomo; 
sotto quest�ultimo profilo, probabilmente, un discorso a s� meriterebbe la posizione 
delle Agenzie nazionali. 

Le Agenzie, infatti, sono strutture svolgenti attivit� di carattere tecnico-
operativo, al servizio delle amministrazioni pubbliche, comprese anche quelle 
regionali e locali. 

Con il D.lgs. 300/1999 � stata introdotta una normativa generale di riferimento 
che, per quanto connessa a fattispecie piuttosto differenziate, consente 


di definire i lineamenti di un nuovo tipo organizzativo; tale decreto, nella sostanza, 
ha definito un modello generale, sebbene aperto a due tipi di varianti 
applicative, prevedendo, cos�, due distinte specie di Agenzie. 

In primo luogo, vi sono quelle agenzie soggette direttamente alle disposizioni 
generali contenute nel decreto; disposizioni che ne regolano l�ordinamento, 
il personale e la dotazione finanziaria, nonch� le modalit� di azione e 
gestione. Questo tipo di Agenzie, pur avendo propri organi, bilanci, e regolamenti 
di contabilit�, sono sottoposte ai poteri di indirizzo e vigilanza del ministro 
(che ne approva programmi di attivit�, bilanci e rendiconti, accertando 
l�osservanza delle prescrizioni impartite). 

In secondo luogo, vi sono agenzie sottoposte a regime speciale, previsto 
espressamente in deroga alle disposizioni generali, soprattutto per quanto attiene 
alle disposizioni concernenti lo statuto, i rapporti con il ministro, il personale, 
la finanza e i controlli. Si tratta, in particolare, delle agenzie fiscali (in 
particolare, Agenzia delle Entrate - che ha assorbito quella del Territorio - e 
delle Dogane e dei Monopoli, mentre l'Agenzia del Demanio � in fase di riorganizzazione 
e privatizzazione, alle quali si sono aggiunte successivamente 
l�Agenzia italiana del farmaco, istituita con la L. 326/2003, l�Agenzia nazionale 
per il turismo, istituita con d.l. 35/2005, ecc.). 

Ancorch� la Corte europea abbia sottolineato la necessit� di distinguere 
da caso a caso, appare difficile qualificare, allo stato attuale della giurisprudenza 
di Strasburgo, come non governative le Agenzie "speciali" (quelle fiscali 
e le altre similari) che esercitano, in realt�, funzioni tipiche dello Stato sia pure 
con strumenti pi� snelli ed autonomi, con la conseguente carenza di legittimazione 
a ricorrere alla Corte, nonostante la presenza indubbia di quel grado 
di autonomia e di indipendenza dalle pubbliche autorit� richiesto dalla Corte 
europea dei diritti dell�uomo come condizione per poter esperire il ricorso; 
fatto sta che quelle Agenzie non sono neppure legittimate a proporre conflitto 
di attribuzioni dinanzi alla Corte Costituzionale, ai sensi dell'art. 134 Cost. 
("tra i poteri dello Stato ... tra lo Stato e le Regioni e tra le Regioni"). 

Peraltro, un interesse a sostenere la posizione di vittima della violazione 
di talune disposizioni della Convenzione non potrebbe in assoluto escludersi 
nella misura in cui l'attivit� delle Agenzie si esplica con strumenti estranei a 
quelli tipici dei pubblici poteri e pi� vicini a quelli ordinari; si pensi, ad esempio, 
al diritto a un equo processo sancito dall'art. 6, in relazione alla paritetica 
posizione processuale con le parti private che le Agenzie fiscali assumono in 
ogni processo civile o tributario, diritto che non potrebbe ricevere tutela dinanzi 
alla Corte di Strasburgo, con conseguenti danni patrimoniali e morali 
per l'Agenzia che sarebbe privata della possibilit� di riscuotere tempestivamente 
un suo credito a causa di una inammissibilit� dell'azione illegittimamente 
dichiarata dal Giudice nazionale o, al limite, anche dell'eccessiva durata 
del procedimento. 


Chiudiamo queste riflessioni sottolineando che non � tanto il testo dell'art. 
34 a negare una siffatta legittimazione a ricorrere, quanto l'attuale orientamento 
della giurisprudenza della Corte. 

6. In punto di legittimazione n� la CEDU n� la giurisprudenza della Corte 
europea sembrano mai aver mostrato dubbi sul soggetto legittimato a resistere 
dinanzi la Corte: solo gli Stati, ovvero le Alte Parti Contraenti, s�impegnano, 
ex art. 46 CEDU, a conformarsi alle sentenze definitive della Corte. 

Nella sentenza 8 aprile 2004, Assanidz� c. G�orgie, la Corte di Strasburgo 
affronta i vari profili della legittimazione attiva e passiva nel processo, enunziando 
importanti principi di carattere generale in un caso nel quale si discuteva 
preliminarmente della responsabilit� (e conseguente legittimazione processuale) 
della Repubblica Autonoma d'Adjarie, facente parte dello Stato della 
Georgia; secondo la Corte EDU: a) le Alte Parti contraenti che hanno sottoscritto 
la Convenzione rispondono direttamente delle questioni sorte nel-
l'ambito della propria giurisdizione ["137. Aux termes de l'article 1 de la 
Convention, les Etats parties � reconnaissent � toute personne relevant de leur 
juridiction les droits et libert�s d�finis au titre I de la (...) Convention �. Il s'ensuit 
que les Etats parties r�pondent de toute violation des droits et libert�s prot�g�s 
que peuvent subir les individus plac�s sous leur � juridiction � c'est-
�-dire leur comp�tence - au moment de la violation"]; b) detta giurisdizione 
e conseguente responsabilit� � strettamente connessa al territorio 
sotto il controllo dell'Alta Parte contraente, salvo quanto previsto in via 
eccezionale dal combinato disposto degli art. 56 e 57 della Convenzione 
["138. En plus du territoire �tatique proprement dit, la comp�tence territoriale 
englobe tout espace qui, au moment de la pr�tendue violation, se trouve sous 
le � contr�le global � de l'Etat en cause (Loizidou c. Turquie (exceptions pr�liminaires), 
arr�t du 23 mars 1995, s�rie A no 310), notamment les territoires 
sous occupation (Chypre c. Turquie [GC], no 25781/94, CEDH 2001 IV), � 
l'exclusion des espaces qui �chappent � ce contr�le (d�cision Bankovi. et autres 
pr�cit�e). ...140. ...En ratifiant la Convention, la G�orgie n'a formul� en 
vertu de l'article 57 de la Convention aucune r�serve sp�cifique concernant 
la RA d'Adjarie ou les difficult�s d'exercice de sa juridiction sur ce territoire. 
Une telle r�serve aurait d'ailleurs �t� sans effet, car la jurisprudence n'autorise 
aucune exclusion territoriale (Matthews c. Royaume-Uni [GC], no 24833/94, 
� 29, CEDH 1999-I), hormis dans le cas pr�vu � l'article 56 � 1 de la Convention 
(territoires d�pendants)"]; c) ... e comprende l'attivit� di tutte le istituzioni 
pubbliche, siano organi centrali dello Stato che autonomie territoriali 
e potest� decentrate, che fanno comunque capo allo Stato in quanto esercitano 
funzioni pubbliche e sono qualificabili come "organizzazioni governative", 
anche ai sensi dell'art. 34 della Convenzione ["148. Les 
autorit�s d'une entit� territoriale d'un Etat repr�sentent des institutions de droit 
public qui accomplissent des fonctions confi�es par la Constitution et la loi. 


La Cour rappelle � cet �gard que l'expression � organisation gouvernementale 
� ne saurait d�signer en droit international exclusivement le gouvernement ou 
les organes centraux de l'Etat. L� o� il y a d�centralisation du pouvoir, elle 
d�signe toute autorit� nationale qui exerce des fonctions publiques. Par cons�quent, 
ces autorit�s n'ont pas qualit� pour saisir la Cour sur le fondement 
de l'article 34 de la Convention (Section de commune d'Antilly c. France (d�c.), 
no 45129/98, CEDH 1999 VIII ; Ayuntamiento de Mula c. Espagne (d�c.), no 
55346/00, CEDH 2001-I). Il ressort de ces principes qu'en l'esp�ce les autorit�s 
r�gionales adjares ne sauraient �tre qualifi�es d'organisation non gouvernementale 
ou de groupement de personnes ayant un int�r�t commun, au 
sens de l'article 34 de la Convention. D�s lors, elles n'ont pas la facult� de saisir 
la Cour d'une requ�te, pas plus que le droit de pr�senter devant elle une 
plainte dirig�e contre les autorit�s centrales de l'Etat g�orgien"]; d) l'Alta 
Parte contraente assume la responsabilit� oggettiva delle azioni ed omissioni 
riconducibili alle "organizzazioni governative" sottoposte alla sua 
giurisdizione e queste non hanno alcuna legittimazione a partecipare al 
giudizio dinanzi alla Corte ["149. La Cour insiste ainsi sur le fait que les autorit�s 
sup�rieures de l'Etat g�orgien assument au regard de la Convention la 
responsabilit� objective de la conduite de leurs subordonn�s (Irlande c. Royaume-
Uni, pr�cit�, p. 64, � 159). Seule la responsabilit� de l'Etat g�orgien 
en tant que tel - et non celle d'un pouvoir ou d'un organe interne - est en cause 
devant la Cour. La Cour ne saurait avoir pour interlocuteurs plusieurs autorit�s 
ou juridictions nationales, et les diff�rends institutionnels ou de politique 
interne ne sauraient �tre examin�s par elle"]; e) ... neppure in qualit� di terzi 
interventori, ai sensi dell'art. 36, par. 2, della Convenzione ["11. Le 9 octobre 
2003, le Gouvernement a sollicit� aupr�s de la Cour l'admission � la proc�dure 
des autorit�s adjares en qualit� de tierce partie. 12. Le 30 octobre 2003, 
apr�s avoir consult� les juges de la Grande Chambre, le pr�sident a rejet� ces 
demandes de tierce intervention. Concernant celles d�pos�es au nom des autorit�s 
de la R�publique autonome d'Adjarie, il a �t� soulign� qu'en principe, 
dans la proc�dure devant la Cour, les autorit�s de l'Etat d�fendeur, y compris 
les autorit�s r�gionales, m�me dot�es d'un statut d'autonomie, devaient �tre 
repr�sent�es par le gouvernement central et qu'en cons�quence leur intervention 
dans la proc�dure en qualit� de tierce partie �tait exclue"]; f) dette "organizzazioni 
governative" possono soltanto far parte della delegazione 
governativa ammessa alla discussione dinanzi alla Corte ["13. Toutefois, 
vu la demande du Gouvernement du 9 octobre 2003, le pr�sident a rappel� � 
celui-ci que, � l'audience pr�vue pour le 19 novembre 2003, il �tait libre d'inclure 
dans sa d�l�gation des repr�sentants des autorit�s r�gionales en qualit� 
de comparants. 14. Le 8 novembre 2003, le Gouvernement a inform� la Cour 
que sa d�l�gation comprendrait les repr�sentants des autorit�s adjares"], ai 
sensi dell'art. 35 del regolamento della Corte europea, rubricato �Rappre



sentanza delle Parti contraenti� [�Le Parti contraenti sono rappresentate da 
agenti, che possono farsi assistere da avvocati o consulenti�]. 

Gli assunti test� riportati costituiscono punti fermi della giurisprudenza 
di Strasburgo (si vedano le sentenze citate nei precedenti paragrafi, in particolare 
quella del caso Dosemealti Belediyesi c. Turquie) e, giuste le clausole 
della Convenzione e dello Statuto del Consiglio d'Europa, possono considerarsi 
indiscutibili. 

7. Tuttavia, delicati problemi sorgono allorch� la Corte condanni (come 
spesso accade) gli Stati firmatari della Convenzione a causa dell�operato illegittimo 
posto in essere da una delle "organizzazioni governative" loro riconducibili, 
pur dotate di autonomia costituzionale. 

� il caso, ad esempio, di una espropriazione illegittima posta in essere da 
una Regione o da una Provincia autonoma o da un'Amministrazione comunale, 
a fronte della quale sar� lo Stato di appartenenza ad essere convenuto e, ipoteticamente, 
condannato dalla Corte. 

In simili casi, tuttavia, bisognerebbe tener distinto il piano sostanziale 
della responsabilit� internazionale (e della connessa legittimazione processuale 
passiva a resistere) dalla diversa questione attinente alla �Rappresentanza 
delle Parti contraenti� in giudizio. 

Un conto �, cio�, la responsabilit� internazionale per la mancata attuazione 
e esecuzione di uno strumento internazionale, altro � il piano riguardante 
la rappresentanza in giudizio, ovvero la possibilit� di farsi rappresentare da 
agenti che siano espressione delle articolazioni interne allo Stato convenuto. 

Se, infatti, l�organizzazione interna di uno Stato non rileva, e non pu� rilevare, 
sul piano della responsabilit� internazionale, dal punto di vista della 
rappresentanza processuale nulla vieta che lo Stato si faccia rappresentare da 
agenti che siano espressione della propria organizzazione interna, come ammesso 
dalla Corte EDU nella sentenza Assanidz� c. G�orgie dianzi citata. 

Visto il testo dell�art. 35 del regolamento, infatti, � ben possibile che gli 
agenti (o i co-agenti che nell'attuale organizzazione della rappresentanza italiana 
a Strasburgo compaiono dinanzi alla Corte) siano espressione degli enti 
autonomi responsabili delle condotte censurate dinanzi la Corte europea, per 
scelta autonoma dello Stato sulla quale nessuna interferenza � ipotizzabile da 
parte della Corte, ovvero che rappresentanti di quegli enti partecipino alla difesa 
ed al giudizio in qualit� di consiglieri (come lo stesso art. 35 consente); 
in tal senso la delegazione processuale del Governo italiano � stata composta, 
talvolta, da esponenti dell'amministrazione locale interessata o da consiglieri 
(in particolare, avvocati dello Stato) incaricati dal Ministero cui siano riconducibili 
i fatti e le responsabilit� (come nel caso Hirsi c. Italie, per il respingimento 
dei profughi in mare) o dalla Presidenza del Consiglio responsabile 
dell'esecuzione delle sentenze (come nel caso Lautsi c. Italie, per l'esposizione 
del crocifisso nelle scuole). 


Tuttavia, questo strumento pu� non essere sufficiente a rappresentare l'interesse 
e la posizione della "organizzazione governativa" coinvolta che potrebbe 
pi� efficacemente e con maggiori spazi processuali partecipare al 
giudizio in qualit� di terzo interventore, ai sensi dell'art. 36 della Convenzione. 
Nonostante la chiusura espressa dalla sentenza 8 aprile 2004, Assanidz� c. G�orgie, 
sopra riportata, la stessa Corte EDU ha in altra occasione assunto una 
posizione che potrebbe aprire la sua giurisprudenza ad autorizzare l'intervento 
in giudizio anche di soggetti giuridici [pur riconducibili all'unitariet� dell'Alta 
Parte contraente convenuta ma] dotati di una spiccata autonomia decisionale 
(tale, cio�, da non poter essere condizionata dall'autorit� statale centrale) sulla 
base della Costituzione vigente in quel Paese; nella sentenza della Grande 
Chambre 10 marzo 2004, Senator Lines c. Autriche et autre, la Corte ha autorizzato 
l'intervento della Commissione europea, ai sensi dell'art. 36, par. 2, 
della Convenzione, atteso che gli Stati chiamati in giudizio dal ricorrente allegavano 
di essere obbligati a dare esecuzione ed un deliberato della Commissione 
avente forza esecutiva (non sospesa n� dal Tribunale di prima istanza 
n� dalla Corte di Giustizia, aditi dalla societ�) e che la Comunit� europea ha 
personalit� giuridica ("En vertu dell'article 281 du trait� CE, la Communaut� 
europ�enne a la personalit� juridique. La Commissione europ�enne dispose 
du pouvoir d'enqueter ...et d'infliger des amendes..."). 

Negare la possibilit� di intervenire in giudizio alle "organizzazioni governative", 
ai sensi dell'art. 36, potrebbe, in ultima analisi, portare ad una lesione 
del diritto ad un processo equo ed effettivo (art. 6 della Convenzione) 
che non sembra corretto negare a quei soggetti pubblici dotati di ampia autonomia 
dalle Costituzioni delle Alte Parti contraenti; si consideri, a questo proposito, 
che le Regioni e le Province autonome sono comunque dotate, nelle 
materie di propria competenza residuale, dell�obbligo di provvedere all�attuazione 
ed all�esecuzione degli accordi internazionali e degli atti dell�Unione 
europea, ai sensi dell'art. 117 c. 5 Cost. 

8. La facolt� di intervento in giudizio ex art. 36 non appare in contrasto 
neppure con le ragioni che sono a base della negazione della legittimazione 
passiva principale nel processo dinanzi alla Corte EDU e che si fondano sul 
principio generale secondo il quale la ripartizione costituzionale interna non 
ha, di per s�, rilevo all�esterno, sul piano del diritto internazionale e delle relazioni 
internazionali, come � statuito dalla giurisprudenza della Corte (si vedano 
le sentenze sopra citate) ed � confermato dall�art. 120 Cost. che detta sul 
punto una importantissima regola di chiusura del sistema costituzionale prescrivendo 
che �Il Governo pu� sostituirsi a organi delle Regioni, delle Citt� 
metropolitane, delle Province e dei Comuni nel caso di mancato rispetto di 
norme e trattati internazionali [�]�; la personalit� internazionale pertiene, 
infatti, essenzialmente allo Stato e solo in via residuale alle sue articolazioni 
interne, come le Regioni (le quali, fra l�altro, al momento della stipula della 


Convezione europea dei diritti dell�uomo, non erano costituite n�, soprattutto, 
erano dotate di quel tipo di autonomia ad oggi riconosciuto dopo la riforma 
del titolo V della Costituzione). 

In proposito, giova ricordare quella fondamentale norma consuetudinaria 
del diritto internazionale, �pacta sunt servanda�, che preserva il rispetto dei 
vincoli internazionali da qualsiasi successiva vicenda interna ad uno Stato e 
alle connesse riforme di riparto costituzionale; nonch� l�art. 27 della Convenzione 
di Vienna sul diritto dei trattati, il quale stabilisce che uno Stato non 
possa invocare le disposizioni del proprio ordinamento interno come giustificazione 
per la violazione di un trattato internazionale. 

Allorch�, dunque, le norme CEDU ed i relativi protocolli siano violati 
direttamente da una attivit� illegittima posta in essere da Regioni o Province 
Autonome della Repubblica italiana non potrebbe sicuramente esimersi lo 
Stato dalla propria responsabilit� internazionale e dalla derivata chiamata in 
causa dinanzi la Corte. 

Questo non comporta, per�, come gi� detto, che le Regioni e Province 
Autonome non possano ritenersi legittimate ad intervenire in giudizio ai sensi 
dell'art. 36 (che attualmente riconosce tale potest�, oltre che allo Stato cui appartiene 
il cittadino ricorrente, in capo a "ogni Alta Parte contraente" e ad 
"ogni persona interessata diversa dal ricorrente", su invito del Presidente della 
Corte, e al "Commissario per i diritti dell'uomo del Consiglio d'Europa); per 
vero, dopo la riforma del Titolo V della Costituzione, si pu� parlare di responsabilit� 
internazionale "indiretta", ai sensi del nuovo articolo 117 della Costituzione 
che, come � noto, attribuisce alle Regioni e Province autonome, nelle 
materie di competenza, il potere a partecipare alle decisioni dirette alla formazione 
degli atti normativi europei e a provvedere all�attuazione e esecuzione 
degli accordi internazionali e degli atti dell�Unione europea, come regolato 
dal comma III dell�art. 6 della legge 131 del 2003 (c.d. legge La Loggia), l� 
dove � previsto che, nelle materie di propria competenza legislativa, le Regioni 
possono concludere con altri Stati accordi internazionali (si veda per esempio, 
la ratifica con legge regionale del �patto di amicizia tra la Calabria ed il West 
Virginia", stipulato a Reggio Calabria il 29 aprile 2006). 

La legge La Loggia, poi, ha superato positivamente il vaglio della Corte 
costituzionale, soprattutto per quanto concerneva i contenuti del suo articolo 
6; il �potere estero� delle Regioni, si afferma nella sentenza n. 238/2004, deve 
essere coordinato con l�esclusiva competenza dello Stato in tema di politica 
estera, il quale � competente a determinare i casi e le forme inerenti all�esercizio 
di detto �potere estero�, in modo da salvaguardare gli interessi unitari 
che trovano espressione nella politica estera nazionale; tuttavia le Regioni, secondo 
la Corte costituzionale, nell�esercizio della potest� loro riconosciuta, 
quanto alla conclusione degli accordi con Stati esteri, non opererebbero comunque 
come delegate dello Stato, bens� �come soggetti autonomi che inter



loquiscono direttamente con gli Stati esteri, ma sempre nel quadro di garanzia 
e di coordinamento apprestato dai poteri dello Stato� (Corte cost., sentenza 

n. 238/2004, punto 6). 

Forse, non servirebbe neppure una riforma dello statuto della Corte per 
garantire la possibilit� che le Regioni intervengano ad adiuvandum dello Stato 
chiamato in giudizio quale Alta parte contraente al fine di tutelare i propri interessi 
quali in via autonoma attributi dalla Costituzione nazionale, indipendentemente 
dal riconoscimento di una loro soggettivit� internazionale: sarebbe 
sufficiente una diversa interpretazione della norma da parte della Corte EDU. 

9. Collegato al tema �, poi, l�istituto della rivalsa in sede nazionale che 
consente allo Stato di rivalersi nei confronti dei soggetti responsabili delle violazioni 
dei diritti dell'uomo per le somme che � condannato a pagare in seguito 
a sentenza definitiva della Corte EDU. 

Il diritto di rivalsa dello Stato nei confronti di Regioni o di altri enti pubblici 
responsabili di violazioni delle disposizioni della Convenzione, come accertate 
dalla Corte EDU, � regolato dagli articoli 16-bis della legge n. 11/2005 
e 43 della legge n. 234/2012. 

In sede applicativa di quelle disposizioni sono sorte notevoli criticit� sulle 
forme di attribuzione ex lege della responsabilit� conseguente alle condanne 
della Corte europea; profilo, questo, ritenuto dai soggetti interessati elemento 
fondamentale per dare legittimit� al recupero del credito da parte dello Stato 
delle somme o quote di somme liquidate dalla Corte europea a titolo di equa 
soddisfazione. 

Le conseguenti azioni giudiziali tuttora pendenti e avviate da diversi enti 
contro i provvedimenti con i quali � stata esercitata l�azione di rivalsa danno 
l�idea delle difficolt� nell�esecuzione degli atti di ingiunzione delle somme richieste 
dallo Stato, senza prospettive certe sui loro tempi di recupero. Negli 
anni 2012/2013, la Presidenza del Consiglio ed il Ministero dell�economia e 
delle finanze hanno avviato numerose azioni di rivalsa, come indicato nelle 
Relazioni annuali al Parlamento sull'esecuzione delle pronunce della Corte 
europea dei diritti dell'uomo nei confronti dello Stato italiano, presentate dalla 
Presidenza del Consiglio ai sensi della legge n. 12/2006, e lo Stato sta pagando 
decine e decine di milioni di euro per irregolarit� riconducibili alle amministrazioni 
comunali (clamorosi sono i casi Sud Fondi ed altri e Immobiliare 
Podere Trieste, per i quali l'Italia � stata condannata a pagare somme vicine a 
cinquanta milioni di euro per ciascuno in conseguenza di violazioni del diritto 
di propriet� compiute dal Comune di Bari e da quello di Roma che, peraltro, 
non hanno partecipato ai processi). 

Per completare il quadro della responsabilit� che la Corte di Strasburgo 
riconduce allo Stato per vicende che riguardano altre amministrazioni pubbliche, 
si ricordano le sentenze 24 settembre 2013, De Luca c. Italie e Pennino 

c. Italie, nelle quali sono state ricondotte in capo all'amministrazione centrale 


le conseguenze del mancato pagamento di somme riconosciute da sentenze 
definitive da parte di enti locali in stato di dissesto finanziario, dichiarato ai 
sensi degli articoli 5 l. 140/2004 e 248 d.lgs. 267/2000, sulla base delle seguenti 
motivazioni: "54. Il Governo ha giustificato tale ingerenza nel godimento 
da parte del ricorrente del suo diritto al rispetto dei suoi beni con il 
dissesto finanziario del comune e con la volont� di garantire a tutti i creditori 
parit� di trattamento per la riscossione dei loro crediti (paragrafi 47 e 48 
supra). La Corte ritiene che la mancanza di risorse di un comune non possa 
giustificare che questo ometta di onorare gli obblighi derivanti da una sentenza 
definitiva pronunciata a suo sfavore (si vedano, mutatis mutandis, Ambruosi 
c. Italia, n. 31227/96, �� 28-34, 19 ottobre 2000, e Bourdov, sopra 
citata, � 41). 55. La Corte tiene a sottolineare che, nel caso di specie, si ha a 
che fare con il debito di un ente locale, quindi di un organo dello Stato, risultante 
dalla condanna di questo al pagamento di un risarcimento con provvedimento 
giurisdizionale".

�, comunque, evidente che - stante la competenza esclusiva dello Stato 
(ex art. 117 c. 2 Cost.) in materia di sistema contabile, armonizzazione dei bilanci 
pubblici e perequazione delle risorse finanziarie - l�esecuzione delle pronunce 
della Corte europea che condannino lo Stato per le violazioni compiute 
da Regioni o da altri enti pubblici coinvolge un problema di tipo politico, oltre 
che meramente giuridico, problema che in quanto tale esula dai limiti di queste 
note. 


Il precariato scolastico in Italia dopo l�intervento del giudice 
europeo. Prime riflessioni sulla sentenza della Corte di giustizia 
del 26 novembre 2014 

Paolo Sciascia* 

SOMMARIO: 1. Premessa - 2. Il quadro normativo - 3. Gli orientamenti della giurisprudenza 
sulle richieste di stabilizzazione e di risarcimento del danno del personale scolastico 
a tempo determinato - 4. L�ordinanza della Corte costituzionale n. 207 del 3 luglio 2013 - 5. 
Il giudizio davanti alla Corte di giustizia dell�Unione europea - 5.1. Le argomentazioni dei 
lavoratori a tempo determinato e del governo italiano - 5.2 Le osservazioni del governo ellenico 
- 5.3. Le osservazioni della Commissione europea e le conclusioni dell�Avvocato generale 
- 5.4. La decisione della Corte di giustizia dell�Unione europea - 6. Considerazioni 
conclusive. 

1. Premessa. 

Con la sentenza resa il 26 novembre 2014 (EU:C:2014:2401 - cause riunite 
C-22/13, da C-61/13 a C-63/13 e C-418/13 Raffaella Mascolo e altri contro 
Ministero dell�istruzione, dell�universit� e della ricerca) la terza sezione 
della Corte di giustizia dell�Unione europea si � pronunciata sulle questioni 
pregiudiziali proposte dalla Corte costituzionale (1) e dal Tribunale di Napoli 

(2) concernenti l�interpretazione della direttiva n. 1999/70/CE (3), che vieta 

(*) Dirigente del Ministero dell�istruzione, dell�universit� e della ricerca. 

(1) Ord. 3 luglio 2013, n. 207. Tra i commenti che hanno analizzato la decisione soprattutto sotto 
un profilo processuale v. CERRI, La doppia pregiudiziale in un�innovativa decisione della Corte, in 
Giur. cost., 2013, 2885; GUASTAFERRO, La Corte costituzionale ed il primo rinvio pregiudiziale in un 
giudizio di legittimit� costituzionale in via incidentale: riflessioni sull�ordinanza n. 207 del 2013, in 
www.forumcostituzionale.it; IADICICCO, Il precariato scolastico tra Giudici nazionali e Corte di 
Giustizia: osservazioni sul primo rinvio pregiudiziale della Corte costituzionale italiana nel-
l�ambito di un giudizio di legittimit� in via incidentale, in www.associazionedicostituzionalisti.it; 
ROMBOLI, Corte di giustizia e giudici nazionali: il rinvio pregiudiziale come strumento di dialogo, 
www.associazionedicostituzionalisti.it, 24 e ss.; SALAZAR, Crisi economica e diritti fondamentali. Relazione 
al XXVIII convegno annuale dell�AIC, in www.associazionedicostituzionalisti.it, 26 e ss. Si concentrano 
invece sui profili giuslavoristici: VALLAURI, I �precari� della scuola arrivano davanti alla 
corte di giustizia, in Riv. it. dir. lav., 2014, II, 341; MENGHINI, Riprende il dialogo tra le corti superiori. 
Contratto a termine e leggi retroattive, in Riv. giu. lav. prev. soc., 2013, II, 580. 
(2) Ordinanze del 2, 15 e 29 gennaio 2013. 


(3) La direttiva n. 1999/70/CE ha lo scopo di attuare l�accordo quadro che stabilisce i principi generali 
e i requisiti minimi per i contratti e i rapporti di lavoro a tempo determinato, concluso tra le organizzazioni 
intercategoriali a carattere generale (Unione delle confederazioni delle industrie della 
Comunit� europea - UNICE; Centro europeo dell'impresa a partecipazione pubblica - CEEP; Confederazione 
europea dei sindacati - CES) il 18 marzo 1999. Secondo quanto previsto nel 14� considerando 
della direttiva, con la conclusione di tale accordo le parti hanno �espresso l'intenzione di migliorare la 
qualit� del lavoro a tempo determinato garantendo l'applicazione del principio di non discriminazione, 
nonch� di creare un quadro per la prevenzione degli abusi derivanti dall'utilizzo di una successione di 
contratti o di rapporti di lavoro a tempo determinato�. 



la reiterazione dei contratti a termine, con riferimento alla normativa del nostro 
Paese che disciplina le supplenze in materia di insegnamento scolastico. 

La pronuncia riveste interesse non solo per la delicatezza del tema affrontato, 
che coinvolge centinaia di migliaia di lavoratori di un settore con un alto 
tasso di conflittualit� accumulato negli anni, ma anche in quanto si inserisce 
in una lunga e travagliata vicenda giurisprudenziale scandita da numerose pronunce 
di diversi organi giurisdizionali, con esiti tra loro discordanti. 

Per analizzare l�impatto che questa decisione potrebbe avere su ciascuno 
di questi aspetti occorre prima di tutto tracciare una ricostruzione dell�intera 
vicenda, partendo proprio dal quadro normativo e dalle decisioni giudiziarie. 

2. Il quadro normativo. 

Appare piuttosto complesso il quadro normativo di diritto interno che si 
pone in potenziale antitesi con la direttiva n. 1999/70, in quanto costituito da 
un�articolata successione di norme generali sul contratto a tempo determinato 
e di norme speciali sul lavoro nella pubblica amministrazione e nel settore 
scolastico in particolare, pi� volte soggette a modifiche e integrazioni. 

� dunque utile richiamare le disposizioni da tenere in particolare considerazione 
ai fini della presente analisi: 

a) il decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 368 che attua la direttiva n. 
1999/70/CE ed in particolare l�art. 5, comma 4-bis, che fissa a trentasei mesi 
(comprensivi di proroghe e rinnovi e indipendentemente dai periodi di interruzione 
che intercorrono tra un contratto e l�altro) la durata massima dei contratti 
di lavoro a tempo determinato stabilendo che il rapporto di lavoro fra lo 
stesso datore di lavoro e lo stesso lavoratore che abbia complessivamente superato 
i trentasei mesi si considera a tempo indeterminato; 

b) l�art. 36 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 che disciplina 
le condizioni di assunzione e impiego di lavoratori a termine presso le pubbliche 
amministrazioni (4) prevede che il lavoratore assunto a tempo determinato 
per un periodo superiore a trentasei mesi non abbia diritto alla conversione 
del contratto ma al risarcimento del danno; 

c) l�art. 70 del d.lgs. n. 165 del 2001 che estende l�applicazione delle disposizioni 
sul lavoro nelle amministrazioni pubbliche al personale della scuola, 

(4) La regola fondamentale prevede che le amministrazioni pubbliche, per rispondere ad esigenze 
�esclusivamente temporanee ed eccezionali� possano avvalersi delle forme contrattuali flessibili di assunzione 
e di impiego del personale previste dalle norme sul lavoro nell�impresa, nel rispetto delle procedure 
di reclutamento vigenti e delle norme della contrattazione collettiva cui viene affidata la specifica 
disciplina dei contratti flessibili, la quale deve dare applicazione alla rispettiva regolamentazione legale 
del settore del lavoro privato, senza poter derogare, per�, alle norme contenute nel d.lgs. n. 165 del 
2001. In via residuale, per gli aspetti della materia non espressamente regolati dalle norme del lavoro 
pubblico, legali o di contrattazione collettiva, ai contratti flessibili possono applicarsi le regole che valgono 
per i rapporti di lavoro privatistici di cui al d.lgs. n. 368 del 2001. 


salvaguardando, per�, la relativa disciplina speciale sul reclutamento di cui al 
decreto legislativo 16 aprile 1994, n. 297; 

d) l�art. 10, comma 4-bis, del d.lgs. n. 368 del 2001 che esclude dall�ambito 
di applicazione del medesimo decreto i contratti a tempo determinato stipulati 
per il conferimento delle supplenze del personale docente ed 
amministrativo, tecnico ed ausiliario (ATA) della scuola ed in particolare 
esclude l�applicazione dell�art. 5, comma 4-bis, sulla durata massima dell�impiego 
a tempo determinato (5); 

e) l�art. 4 della legge 3 maggio 1999, n. 124 che disciplina il rapporto di 
lavoro a tempo determinato del personale docente e del personale ATA (6), da 
leggersi alla luce di quanto disposto dagli artt. 399 e 401 del decreto legislativo 
16 aprile 1994, n. 297 che regolano le modalit� di accesso ai ruoli del personale 
docente dei vari ordini di scuole, stabilendo che l�immissione in ruolo avvenga, 
per il 50 per cento dei posti annualmente assegnabili, mediante concorsi per titoli 
ed esami e, per il restante 50 per cento, attingendo dalle graduatorie permanenti. 

Queste disposizioni, che delineano la disciplina del lavoro a tempo determinato 
applicabile alle pubbliche amministrazioni e al settore scolastico, 
devono rispettare le norme comunitarie sul lavoro a tempo determinato, fra 
tutte la direttiva n. 1999/70 (7), sicuramente applicabile al settore pubblico. I 

(5) Tale disposizione � stata introdotta dall�art. 9, comma 18, del decreto-legge 13 maggio 2011, 

n. 70, convertito, con modificazioni, dalla legge 12 luglio 2011, n. 106 e successivamente modificata 
dall�art. 4, comma 11, del decreto-legge 31 agosto 2013, n. 101, convertito, con modificazioni, dalla 
legge 30 ottobre 2013, n. 125. 

(6) � importante tenere conto, in relazione a quanto si dir� a proposito dell�ambito di applicazione 
della pronuncia della Corte di giustizia, che ai sensi dell�art. 1 del decreto del Ministero dell�istruzione 
del 13 giugno 2007, n. 131, recante �Regolamento recante norme per il conferimento delle supplenze 
al personale docente ed educativo, ai sensi dell�articolo 4 della L. 3 maggio 1999, n. 124� gli incarichi 
di supplenza possono essere di tre tipi: a) supplenze annuali per la copertura delle cattedre e posti d�insegnamento 
vacanti e disponibili entro la data del 31 dicembre e che rimangano presumibilmente tali 
per tutto l'anno scolastico; b) supplenze temporanee sino al termine delle attivit� didattiche per la copertura 
di cattedre e posti d'insegnamento non vacanti, di fatto disponibili entro la data del 31 dicembre 
e fino al termine dell�anno scolastico; c) supplenze temporanee per ogni altra necessit� di supplenza diversa 
dai casi precedenti. 
(7) Nella parte che in questa sede pi� interessa, l�accordo quadro recepito dalla direttiva n. 1999/70 
impone agli Stati membri di introdurre nei propri ordinamenti una o pi� misure di prevenzione dell�utilizzo 
abusivo dei rapporti di lavoro a tempo determinato che assicurino: i) che la reiterazione dei contratti 
a tempo determinato avvenga solo in presenza di ragioni obiettive; ii) che sia definita la durata massima 
totale di contratti o rapporti a tempo determinato successivi; iii) che sia definito il numero massimo dei 
rinnovi (clausola n. 5, punto 1). � pacifico che nel sistema scolastico italiano non sia prevista n� la 
durata massima n� il numero massimo dei rinnovi dei rapporti a tempo determinato. Il punto centrale 
della questione posta alla Corte di giustizia verte dunque sul ricorrere o meno delle ragioni obiettive. 
Secondo la giurisprudenza della Corte (vedi le sentenze Adeneler e altri C-2006/443; Angelidaki e altri 
C-2009/250; K�c�k C-2012/39) la nozione di �ragioni obiettive� ai sensi della clausola 5, punto 1, lett. 
a) dell�accordo quadro va riferita alle peculiari caratteristiche di un determinato settore o di una determinata 
attivit�, vale a dire alla particolare natura delle mansioni che il lavoratore � chiamato a svolgere 
o al contesto nel quale le stesse si collocano, che siano tali da giustificare l�utilizzazione di contratti di 
lavoro a tempo determinato successivi, quale strumento necessario di svolgimento dell�attivit�. La va



giudici del rinvio dubitano della compatibilit� tra i due sistemi normativi perch� 
la disciplina del settore scolastico non sarebbe in linea con le previsioni 
che impongono agli Stati membri di introdurre nei rispettivi ordinamenti misure 
idonee a prevenire gli abusi derivanti dall�utilizzo di una successione di 
contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato. Controverso � in particolare 
se l�applicazione al settore scolastico di regole speciali sul lavoro a tempo determinato 
rispetto a quelle vigenti sia nel settore privato sia in altri settori del-
l�impiego pubblico, possa giustificarsi in base alle particolari caratteristiche 
che assume il rapporto di lavoro in questo settore. 

3. Gli orientamenti della giurisprudenza sulle richieste di stabilizzazione e di 
risarcimento del danno del personale scolastico a tempo determinato. 

� noto che sul punto si sono formati orientamenti divergenti della giurisprudenza 
di merito: accanto a decisioni di segno favorevole per la parte pubblica 
che hanno respinto le richieste di stabilizzazione e di risarcimento del 
danno avanzate dal personale precario della scuola, vi sono state decisioni che 
hanno condannato il Ministero dell�istruzione, dell�universit� e della ricerca 
a consistenti risarcimenti e, in alcuni casi, anche alla trasformazione del contratto 
di supplenza in rapporto di lavoro a tempo indeterminato. 

Le decisioni favorevoli alla parte pubblica hanno escluso che ai supplenti 
possano applicarsi le disposizioni generali sul rapporto di lavoro a tempo determinato 
ed i rimedi ivi previsti contro la prevenzione degli abusi, quali la 
fissazione di un termine massimo di durata del rapporto, la trasformazione del 
contratto a tempo indeterminato e il risarcimento del danno, in forza del principio 
generale secondo cui lex priori specialis derogat legi posteriori generali. 
Le regole sul rapporto a tempo determinato nel settore scolastico, in quanto 
speciali rispetto a quelle del d.lgs. n. 368 del 2001 e a quelle del d.lgs. n. 165 
del 2001, prevalgono sull�une e sulle altre e rispetto a tale normativa speciale 
non � stato ravvisato alcun contrasto con il diritto comunitario (8). 

Le decisioni in senso opposto hanno viceversa ritenuto che la preclusione 

lutazione sulla sussistenza delle ragioni obiettive va peraltro compiuta con riferimento alle condizioni 
di esercizio dell�attivit� nel caso concreto. Una disposizione nazionale che si limitasse ad autorizzare il 
ricorso a una successione di contratti di lavoro a tempo determinato in termini generali e astratti non sarebbe 
perci� in linea con tali requisiti e, per essere conforme alle previsioni dell�accordo quadro, dovrebbe 
essere accompagnata da meccanismi oggettivi e trasparenti al fine di verificare se il rinnovo di 
siffatti contratti risponda effettivamente ad un�esigenza reale. Nella sentenza K�c�k, di particolare interesse 
per la questione in esame, la Corte di giustizia precisa che l�esigenza di sostituzione temporanea 
di dipendenti che si trovano momentaneamente nell�impossibilit� di svolgere le loro funzioni pu� astrattamente 
configurare una ragione obiettiva (soprattutto nell�ambito di quelle amministrazioni - come la 
scuola pubblica - che dispongano di un organico significativo per cui � inevitabile che si rendano necessarie 
sostituzioni temporanee frequenti) ma la sostituzione dei dipendenti assenti deve essere effettuata 
attraverso criteri che consentano di verificare che il rinnovo dei contratti non sia utilizzato in modo 
abusivo, per soddisfare esigenze permanenti e durevoli. 


per i precari della scuola di avvalersi degli strumenti di protezione che l�ordinamento 
mette a disposizione dei lavoratori a tempo determinato sia in contrasto 
con la direttiva n. 70/1999 e con i principi dell�accordo quadro che essa 
ha recepito. Pur trattandosi di disposizioni non direttamente applicabili nel nostro 
ordinamento e non potendo, quindi, disapplicare le norme interne con esse 
contrastanti, il giudice del lavoro ha comunque accolto le domande dei lavoratori 
ricorrenti attraverso una sostanziale disapplicazione delle norme speciali 
vigenti nel settore scolastico, disapplicazione raggiunta attraverso il meccanismo 
dell�interpretazione del diritto interno in senso conforme all�ordinamento 
comunitario (9). 

La questione � infine giunta all�esame della Corte di cassazione che con 
la sentenza n. 10127 del 20 giugno 2012 (10) ha confermato la soluzione favorevole 
alla parte pubblica e ha escluso l�incompatibilit� tra la disciplina italiana 
sul reclutamento scolastico e la direttiva n. 1999/70. 

(8) Le decisioni che hanno sposato questo orientamento sostengono che la reiterazione dei contratti 
di supplenza non configura un fenomeno di successione di rapporti di lavoro a tempo determinato che 
la direttiva n. 1999/70 intende sanzionare. La successione di contratti si verifica solo quando, stipulato 
un contratto, si procede, sic et simpliciter, al suo rinnovo o alla sua proroga con lo stesso lavoratore. Diversamente 
avviene nell�assegnazione delle supplenze perch� l�individuazione del lavoratore da assegnare 
ad una determinata sede avviene secondo criteri predeterminati dalla legge (l�ordine delle 
graduatorie) e difficilmente al supplente viene confermato per due anni consecutivi il medesimo incarico. 
(9) Osserva SALAZAR, op. cit., 27, che con riferimento a questo orientamento della giurisprudenza 
dovrebbe parlarsi di interpretazione �audacemente adeguatrice�, pi� correttamente qualificabile come 
�disapplicazione mascherata�. Nota la studiosa come �L�interpretazione adeguatrice svela (�) le sue 
potenzialit� pi� dirompenti non a caso in un momento in cui la mancanza di politiche idonee a stemperare 
il disagio delle fasce di popolazione meno protette dalla crisi amplifica il fenomeno, diffuso da 
tempo in tutte le democrazie, che vede le aule giudiziarie trasformarsi in sedi ove i cittadini finiscono 
per reclamare la garanzia delle aspettative riposte nello Stato sociale e andate deluse. Nelle decisioni 
richiamate, il trattamento peculiare riservato al settore scolastico � stato uniformato in via interpretativa 
a quello degli altri rami dell�amministrazione, nonostante il dato letterale neghi tale possibilit�, alla 
luce della direttiva ed in ossequio agli artt. 11 e 117, c. 1, Cost. Il risultato finale, in sostanza, � analogo 
a quello di una dichiarazione di incostituzionalit� �manipolativa� della Corte costituzionale, con la 
differenza che le varie decisioni giudiziarie che riconoscono il diritto al risarcimento del danno in favore 
dei docenti precari producono effetti solo sulle controversie cui si riferiscono�. Per un�analisi dettagliata 
delle diverse soluzioni a cui sono giunti i tribunali del lavoro nell�intento di adeguare l�applicazione 
della normativa interna alle prescrizioni della direttiva n.1999/70 v. MENGHINI, La conversione giudiziale 
dei reiterati contratti a termine con le PA: il rilievo del principio di non discriminazione, Relazione alla 
tavola rotonda �Il lavoro a termine nelle pubbliche amministrazioni: profili discriminatori�, Roma,14 
giugno 2012, disponibile su www.europeanrights.eu. 
(10) Tra i tanti commenti alla decisione v. FIORILLO, Il conferimento degli incarichi di supplenza 
nella scuola pubblica al vaglio della Cassazione: una normativa speciale in linea con la Direttiva europea 
sul contratto a termine, in Riv. it. dir. lav., 2012, II, 870; GRAZIANO, La normativa speciale sul reclutamento 
e sul trattamento economico del personale scolastico all'analisi della Cassazione, in Rass. 
avv. St., 2012, fasc. 4, 151; VALLEBONA, I precari della scuola: la babele � finita, in Mass. giur. lav., 
2012, 792. Per un quadro completo dei principi giurisprudenziali in materia di abuso dei contratti a termine 
nella scuola pubblica con riferimento alla giurisprudenza comunitaria, costituzionale, di legittimit�, 
amministrativa e di merito, si veda la relazione dell�Ufficio del Massimario della Corte di Cassazione 
n. 190 del 24 ottobre 2012. 



A parere della Suprema corte le supplenze costituiscono uno strumento 
indispensabile per assicurare la continuit� e la regolare erogazione del servizio 
scolastico in quanto � solo attraverso di esso che l�amministrazione pu� far 
fronte alle necessit� contingenti e spesso imprevedibili - perch� dovute a fattori 
non governabili quali la variazione della popolazione scolastica o gli impedimenti 
soggettivi dei singoli docenti - di copertura delle cattedre che risultino 
prive del titolare al momento dell�avvio dell�anno scolastico o durante il suo 
svolgimento. Il quadro normativo sul reclutamento del personale scolastico a 
termine non presenterebbe dunque problemi di compatibilit� con il diritto comunitario 
perch� le assunzioni successive sarebbero ciascuna giustificata da 
ragioni oggettive (11). 

(11) Ad ulteriore sostegno della ragionevolezza del sistema di reclutamento del personale scolastico 
a termine, la Suprema corte, con argomentazioni che verranno poi riprese anche dalla Corte costituzionale 
nell�ordinanza n. 207 del 3 luglio 2013, sottolinea la sua piena conformit� con l�ordinamento 
costituzionale. L�assegnazione delle supplenze sulla base di graduatorie organizzate sul punteggio progressivamente 
acquisito dai singoli docenti con le esperienze di insegnamento assicurerebbe infatti la 
scelta degli aspiranti pi� meritevoli e l�immissione nei ruoli degli stessi attraverso un sistema con base 
concorsuale. Il meccanismo delle supplenze assicurerebbe poi la programmazione del fabbisogno di personale 
e della spesa pubblica, consentendo la copertura dei posti vacanti con strumenti meno onerosi di 
quanto non sarebbe se fossero inserite nell�organico tutte le unit� chiamate a far fronte ad esigenze contingenti. 
Per quanto riguarda la specialit� della disciplina sulla scuola rispetto a quella sul lavoro a tempo 
determinato, rispetto alle sentenze dei giudici di merito, la decisione in esame pone particolare attenzione 
alla norma di cui all�art. 70, comma 8, del d.lgs. n. 165 del 2001 che, letta in combinato disposto con 
l�art. 2, comma 2, del medesimo decreto, vale a salvaguardare le disposizioni sul reclutamento del personale 
a termine del settore scolastico, di cui al d.lgs. n. 297 del 1994, da ogni incidenza da parte di interventi 
legislativi successivi di carattere generale sul contratto a termine. Va anche sottolineato quanto 
precisato dalla Cassazione a proposito del significato non innovativo ma di interpretazione autentica 
dell�art. 10, comma 4-bis, del d.lgs. n. 368 del 2001 che ha espressamente disposto la non applicazione 
al settore della scuola pubblica dell�articolo 5, comma 4-bis, del medesimo decreto, che detta i limiti 
(anche temporali) del rapporto di lavoro a termine. Ora, se la mancata applicazione al settore scolastico 
dell�art. 5, comma 4-bis, fosse riconducibile al d.l. n. 70 del 2011, che ha introdotto l�art. 10, comma 4bis, 
allora ne conseguirebbe che fino all�entrata in vigore del citato decreto legge la disposizione sulla 
durata massima del lavoro a tempo determinato e sulla trasformazione del rapporto troverebbe applicazione 
anche al settore scolastico. Ci� determinerebbe, a parere della Cassazione, una serie di conseguenze 
non accettabili quali la totale disapplicazione al settore in esame dell�art. 36 del d.lgs. n. 165 del 2001; 
la violazione dei criteri di efficienza organizzativa perch� l�amministrazione scolastica sarebbe obbligata 
a consistenti immissioni in ruolo non giustificate da effettive necessit� di copertura di posti vacanti; il 
rischio di uno sforamento di bilancio per l�amministrazione scolastica tenuta a consistenti risarcimenti. 
Spiega la Cassazione che �si finirebbe per attribuire illogicamente alla suddetta norma una portata 
priva di razionalit� ed al di fuori di una logica di sistema. Nel momento in cui attraverso il collegato 
lavoro (di cui alla L. 4 novembre 2010 n. 183), si andava ad incidere in senso riduttivo sul risarcimento 
del danno nello stesso tempo si sarebbe, infatti, esposta la pubblica amministrazione ad uno sforamento 
di bilancio, assicurando al personale della scuola un trattamento diverso e, sotto pi� versanti, maggiormente 
favorevole rispetto agli altri dipendenti pubblici, sia sul piano delle condizioni della trasformazione 
in contratto a tempo indeterminato, sia su quello risarcitorio. Ci� � escluso dal fatto che la 
specialit� della normativa sulla scuola s� evinceva dal precedente sistema normativo che la norma in 
esame ha inteso chiarire. La disposizione in parola non ha comportato alcuna innovazione esplicitando 
piuttosto un principio gi� enucleabile dal precedente sistema in base al principio di specialit� della normativa 
sul rapporto a tempo determinato nella scuola rispetto ala disciplina generale di cui al d.lgs. n. 


La pronuncia della Suprema corte non ha per� chiuso la vicenda giudiziaria. 


La questione � infatti tornata ai giudici del lavoro che non essendo evidentemente 
convinti della lettura della Cassazione e sul presupposto che le ulteriori 
decisioni favorevoli ai precari sarebbero state riformate in appello, si 
sono rivolti alla Corte costituzionale sollevando la questione di legittimit� 
dell�art. 4, commi 1 e 11, della legge 3 maggio 1999, n. 124, perch� il contrasto 
tra tale normativa e la direttiva n. 70/1999 si tradurrebbe nella violazione degli 
art. 11 e 117, comma 1, della Costituzione (12), oppure, nel caso del Tribunale 
di Napoli, hanno adito in via pregiudiziale la Corte di giustizia ponendo alla 
stessa una serie di quesiti apparentemente concernenti la corretta interpretazione 
della direttiva ma in realt� tesi ad ottenere una pronuncia sulla conformit� 
del diritto interno alla disciplina comunitaria (13). 

4. L�ordinanza della Corte costituzionale n. 207 del 3 luglio 2013. 

La Corte costituzionale, investita della questione di legittimit� dell�art. 
4, commi 1 e 11, della legge n. 124 del 1999, ha ritenuto che il nucleo centrale 

368/2001. La norma risponde, piuttosto, all�esigenza, avvertita dal legislatore, di ribadire, a fronte del 
proliferare di controversie sulla illegittimit� delle assunzioni a termine nel settore in parola, di una 
regula iuris gi� insita nella legislazione concernente la c.d. privatizzazione del pubblico impiego�. 

(12) Si tratta delle ordinanze del tribunale di Roma n. 143 e 144 del 2 maggio 2012 e delle ordinanze 
del tribunale di Lamezia Terme n. 248 e 249 del 30 maggio 2012. Secondo questi giudici la reiterazione 
dei contratti di supplenza, soprattutto quando siano volti a coprire posti vacanti in organico, 
non potrebbe fondarsi sulle esigenze di flessibilit� del servizio scolastico ma sarebbe giustificata dal 
solo interesse al contenimento dell�organico e, dunque, della spesa pubblica. Tale ragione, per quanto 
rilevante, a parere dei giudici a quibus non pu� farsi rientrare tra quelle finalit� di politica sociale che, 
secondo l�accezione desumibile dalla giurisprudenza comunitaria, giustificherebbero l�utilizzo del lavoro 
a termine. Va ricordato che un�analoga questione di legittimit� costituzionale era gi� stata sollevata in 
precedenza dal tribunale di Trento (ord. del 27 settembre 2011, in Lav. pub. amm., 2011, 271) ma in 
quella occasione la Corte ha ritenuto la questione non rilevante nel giudizio a quo. 
(13) A parere del tribunale di Napoli, il quale ha assunto una posizione senza dubbio pi� netta di 
quella che poi assumer� la Corte costituzionale con l�ordinanza n. 207 del 3 luglio 2013, il sistema utilizzato 
dallo Stato italiano per far fronte all�esigenza di sostituzione di lavoratori a tempo indeterminato 
nella scuola sarebbe fonte di abusi e chiaramente incompatibile con il diritto comunitario. Tale sistema 
non consentirebbe infatti la verifica di un�esigenza concreta e reale di sostituzione temporanea; non porrebbe 
alcun limite al numero delle supplenze affidate a ciascun lavoratore e consentirebbe la reiterazione 
di contratti a termine anche per coprire vere e proprie vacanze di organico. L�incompatibilit� deriverebbe 
poi dal fatto che la normativa di riferimento non contempla neppure misure di sanzionatorie contro gli 
abusi, dal momento che risulta preclusa sia la trasformazione a tempo indeterminato del rapporto di lavoro 
a termine che superi i trentasei mesi (secondo l�art. 4, comma 14-bis, della legge n. 124 del 1999 
i contratti di lavoro a tempo determinato non possono essere trasformati in contratti di lavoro a tempo 
indeterminato se non in caso di immissione in ruolo sulla base delle graduatorie) sia il risarcimento del 
danno. Va accennato che nel giudizio davanti alla Corte di giustizia - di cui si dir� pi� avanti - la difesa 
del Comune di Napoli ha eccepito l�irricevibilit� della questione pregiudiziale per violazione dell�art. 
267, comma 2 del Trattato sul funzionamento dell�Unione europea (TFUE) in quanto le considerazioni 
effettuate dal giudice a quo vanno gi� nella direzione di ritenere insufficienti le misure preventive e sanzionatorie 
adottate dalla legislazione italiana in recepimento della direttiva. Pertanto il tribunale di Napoli 
avrebbe potuto decidere la questione senza dover sollevare la questione pregiudiziale. 



del sistema di reclutamento del personale scolastico a tempo determinato non 
sia in contrasto con la normativa comunitaria, mentre ne ha ravvisato una possibile 
incompatibilit� nella parte in cui il medesimo quadro normativo prevede 
che il conferimento delle supplenze annuali su posti vacanti e disponibili abbia 
luogo �in attesa dell�espletamento delle procedure concorsuali per l�assunzione 
di personale docente non di ruolo�. Tale previsione, letta alla luce della 
circostanza che negli ultimi dieci anni i concorsi nella scuola non si sono svolti 
con regolarit�, potrebbe consentire molteplici rinnovi dei contratti di supplenza 
per coprire posti vacanti che dovrebbero invece essere assegnati a personale 
di ruolo, reclutato appunto attraverso periodici concorsi pubblici. Il fatto che 
i lavoratori che sono stati assoggettati a un�indebita ripetizione di contratti di 
lavoro a tempo determinato non possano poi avvalersi della trasformazione 
del rapporto a termine che abbia avuto una durata superiore a trentasei mesi 
n� del risarcimento del danno, in quanto strumenti incompatibili con la disciplina 
del lavoro nel settore scolastico, determina, a parere della Corte, un possibile 
conflitto tra il diritto interno e le previsioni della direttiva n. 1999/70. 

Ha ritenuto per� la Corte costituzionale che la questione non potesse essere 
definita se non attraverso un ulteriore rinvio pregiudiziale alla Corte di 
giustizia alla quale sono stati sottoposti i seguenti due quesiti: 

a) se la clausola 5, punto 1, dell�accordo quadro CES, UNICE e CEEP 
sul lavoro a tempo determinato, allegato alla direttiva del Consiglio 28 giugno 
1999, n. 1999/70/CE debba essere interpretata nel senso che osta all�applicazione 
dell�art. 4, commi 1, ultima proposizione, e 11, della legge 3 maggio 
1999, n. 124 (Disposizioni urgenti in materia di personale scolastico) i quali, 
dopo aver disciplinato il conferimento di supplenze annuali su posti �che risultino 
effettivamente vacanti e disponibili entro la data del 31 dicembre�, 
dispongono che si provvede mediante il conferimento di supplenze annuali, 
�in attesa dell�espletamento delle procedure concorsuali per l�assunzione di 
personale docente di ruolo� - disposizione la quale consente che si faccia ricorso 
a contratti a tempo determinato senza indicare tempi certi per l�espletamento 
dei concorsi e in una condizione che non prevede il diritto al 
risarcimento del danno; 

b) se costituiscano ragioni obiettive, ai sensi della clausola 5, punto 1, 
della direttiva 28 giugno 1999, n. 1999/70/CE, le esigenze di organizzazione 
del sistema scolastico italiano (�) tali da rendere compatibile con il diritto 
dell�Unione europea una normativa come quella italiana che per l�assunzione 
del personale scolastico a tempo determinato non prevede il diritto al risarcimento 
del danno (14). 

Dalle motivazioni dell�ordinanza sembra in realt� che la Corte costituzionale 
intenda orientare la decisione della Corte di giustizia nel senso di riconoscere 
la compatibilit� del quadro normativo nazionale sul lavoro a tempo 
determinato nel settore scolastico con il diritto comunitario. 


A sostegno di questa tesi spiega la Corte come la normativa nazionale sia 
strutturata in modo tale da rispondere alle ragioni obiettive di cui alla clausola 
5, punto 1, della direttiva n. 1999/70 in quanto i margini di imprevedibilit�, 
per quel che riguarda le prestazioni didattiche che il servizio scolastico nazionale 
� tenuto ad offrire, legati a fenomeni come l�aumento o la diminuzione 
della popolazione scolastica, le malattie, le aspettative, la maternit� del personale 
insegnante, rendono indispensabile avvalersi di uno strumento come 
l�assunzione di personale a termine che consente di assicurare la presenza di 
un contingente di personale scolastico sufficiente a coprire tutte le necessit� 
delle scuole statali. D�altra parte, precisa ancora l�ordinanza, se all�attribuzione 
di tutte le supplenze su posti vacanti e disponibili si provvedesse con i contratti 
a tempo indeterminato, la pubblica amministrazione si esporrebbe al rischio 
di avere un numero di docenti di ruolo superiore al necessario qualora si verificassero 
successive diminuzioni della popolazione scolastica, e ci� non sarebbe 
possibile nel periodo attuale nel quale sussistono gravi necessit� di 
contenimento della spesa pubblica, anche in base ad impegni derivanti da vincoli 
posti dall�Unione europea. Ad ulteriore sostegno della conformit� della 
normativa nazionale sono poi poste due ulteriori circostanze: il fatto che il 
meccanismo di assegnazione dei contratti a tempo determinato sia in grado di 
garantire che l�assunzione del personale avvenga con criteri oggettivi e sia 
funzionale all�immissione in ruolo del personale precario e la significativa riduzione 
del numero dei precari che si � registrata negli ultimi anni (15). 

(14) Giova evidenziare che si tratta del primo caso di rinvio pregiudiziale effettuato dalla Corte 
costituzionale nel corso di un giudizio di legittimit� in via incidentale. In passato la Corte aveva infatti 
riconosciuto la propria legittimazione a sollevare questioni pregiudiziali nei soli giudizi in via principale 
(ordinanza n. 103 del 2008) in quanto in questi casi � giudice di unica istanza per la mancanza di un 
giudice a quo abilitato a definire la controversia. L�ordinanza in questione � quindi considerata dalla 
dottrina una novit� importante nel panorama dei rapporti tra giudice costituzionale italiano e Corte di 
Lussemburgo, pur sottolineando, la maggior parte degli autori, come il profilo della legittimazione al 
rinvio pregiudiziale e del riparto di tale compito tra Corte costituzionale e giudice comune non siano 
stati adeguatamente motivati nell�ordinanza. Sul punto v. SALAZAR, op. cit., 27, la quale osserva che 
�Sul piano generale, pu� dirsi che, se questo � un inizio, tra le due Corti si aprir� un �dialogo� diretto, 
che consentir� al Giudice delle leggi di intervenire �in parallelo� agli altri magistrati italiani in merito 
ai dubbi sull�applicazione del diritto europeo. Per tale via, essa potr� offrire al Giudice del Lussemburgo 
la propria visione sistemica, slegata dalla necessit� di offrire risposte al caso singolo, che � invece inevitabilmente 
presente nelle questioni pregiudiziali presentate dagli altri giudici. Superfluo sottolineare 
quanto tale canale di comunicazione possa essere importante, ad esempio, al fine di presentare alla 
Corte di giustizia ricostruzioni a tutto tondo della nostra �tradizione costituzionale�, soprattutto per 
gli aspetti che la differenziano da quella degli altri Paesi�. 
(15) Nota ancora SALAZAR, op. cit., 27, come �sembra quasi che la Consulta inviti la Corte europea 
a orientarsi verso un bilanciamento simile a quello posto a base delle sentenze di �costituzionalit� 
provvisoria�, segnalando come si sia ormai avviata una stagione di stabilizzazione dei precari della 
scuola pubblica, esibendo i dati numerici relativi alle assunzioni gi� avvenute e a quelle future, come 
se la situazione sia destinata ad essere risolta nel prossimo futuro. Anche in questa occasione, dunque, 
la Corte si erge a custode dell�equilibrio costituzionale complessivo (�)�. 



5. Il giudizio davanti alla Corte di giustizia dell�Unione europea. 

5.1. Le argomentazioni dei lavoratori a tempo determinato e del governo italiano. 


Davanti ai giudici di Lussemburgo si � prima di tutto riproposta la contrapposizione 
tra il personale scolastico a tempo determinato e il Ministero 
dell�istruzione, dell�universit� e della ricerca, che ha caratterizzato i giudizi 
davanti all�autorit� giudiziaria italiana. 

Volendo sintetizzare gli argomenti esposti nei rispettivi atti di costituzione 
in giudizio, la parte privata (16) ha cercato di dimostrare come sussista un contrasto 
tra il quadro normativo interno e il diritto comunitario incentrando la 
propria analisi su una prospettiva che pone il singolo lavoratore - e non il sistema 
scolastico nel suo complesso - al centro del sistema. 

Una prima ragione di non conformit� dell�ordinamento italiano rispetto 
al diritto comunitario risiederebbe nel fatto che la disciplina sul reclutamento 
del personale scolastico non preveda n� un limite al numero dei possibili rinnovi 
delle supplenze n� la durata massima dell�intero rapporto, elementi, questi, 
che la normativa comunitaria contempla invece come strumenti di 
prevenzione degli abusi. 

Una seconda ragione verte invece sul modo in cui � congegnato il meccanismo 
delle graduatorie: lo stesso infatti, subordinando sia l�assegnazione 
del contratto a tempo determinato, sia le chance di immissione in ruolo, all�aumento 
del punteggio che gli interessati progressivamente acquisiscono attraverso 
successive esperienze di impiego, favorirebbe la massima ripetizione 
dei contratti a tempo determinato. 

Alle censure che riguardano la normativa in s� considerata, le parti private 
hanno poi aggiunto altre considerazioni che attengono alle modalit� con le 
quali tale normativa � stata effettivamente applicata: il numero consistente del 
personale precario rispetto all�intero impiego del settore scolastico e la circostanza 
che molte assegnazioni di contratti a tempo determinato avvengano su 
posti vacanti in organico, dimostrerebbero che l�amministrazione si avvale 
delle supplenze per coprire carenze di personale che non derivano da circostanze 
di carattere temporaneo ed imprevedibile quanto, piuttosto, da una strutturale 
carenza di immissioni in ruolo. 

A conclusioni diverse � giunta invece l�Avvocatura dello Stato che in difesa 
del governo italiano ha richiamato l�attenzione della Corte di giustizia su 
due profili che renderebbero conformi alla normativa comunitaria le supplenze 
nella scuola pubblica. 

Il primo attiene alle caratteristiche del sistema scolastico e alle esigenze 

(16) Si sono costituiti in giudizio, oltre ai ricorrenti nei giudizi principali, anche la Federazione 
Gilda-Unams, la Federazione lavoratori della conoscenza (FLC) e la Confederazione generale italiana 
del lavoro (CGIL). 


di organizzazione che lo caratterizzano. � stato in particolare sottolineato come 
nell�assicurare l�erogazione del servizio, l�amministrazione si trovi di fronte 
a due forme di vincoli organizzativi: 

a) la forte variabilit� della domanda, che non dipende da scelte di governo 
ma da fattori imprevedibili e in continuo divenire, quali i mutamenti continui 
dell�entit� della popolazione scolastica, dovuta soprattutto a fenomeni di immigrazione; 
i trasferimenti di scuola o di citt� degli studenti; la modifica della 
scelta di indirizzo scolastico da parte delle famiglie; le bocciature, e - fattore 
di importanza crescente - il numero di alunni disabili, che hanno diritto all�insegnante 
di sostegno (17); 

b) la rigidit� delle modalit� di erogazione del servizio nel senso che il numero 
dei docenti - e, entro certi limiti, del personale non docente - non potrebbe 
essere ridotto senza pregiudicare la regolare erogazione del servizio 
stesso. Diversamente da altri settori dove il numero dei lavoratori addetti pu� 
essere ridotto con correlativa riduzione - ma non eliminazione - del servizio, 
nella scuola, invece, la riduzione del personale implica la negazione dello 
stesso perch� non sarebbe possibile affidare pi� classi ad un medesimo docente 
e neanche unire pi� classi, per ragioni inerenti alle norme in materia di composizione 
delle stesse classi e anche di edilizia scolastica, legate ovviamente 
a esigenze pedagogiche. 

Ebbene secondo il parere dell�Avvocatura dello Stato questi elementi assicurano 
che il rapporto di lavoro a tempo determinato nella scuola italiana 
sia supportato da ragioni oggettive e, dunque, la relativa disciplina non si pone 
in contrasto con la direttiva n. 1999/70 in quanto contempla meccanismi di 
prevenzione degli abusi equivalenti a quelli ivi previsti. 

Quale secondo elemento che attesterebbe la conformit� dell�ordinamento 
interno al diritto comunitario, l�Avvocatura dello Stato ha sottolineato come 
la normativa sul reclutamento del personale scolastico a tempo determinato, 

(17) Per meglio comprendere il fenomeno, giova descrivere succintamente la procedura di determinazione 
dell�organico che il Ministero compie al fine di assicurare il regolare avvio dell�anno 
scolastico. Ogni anno viene effettuata una stima del cosiddetto �organico di diritto�, vale a dire le classi 
e gli insegnanti (numero e tipologia) che, sulla base delle iscrizioni effettuate sin dal mese di gennaio, 
si presume saranno necessari nell�anno scolastico successivo. In base alla consistenza e alla dislocazione 
sul territorio dell�organico di diritto, vengono poi eseguite le complesse operazioni di trasferimento 
dei docenti, di immissioni in ruolo e di assegnazione dei docenti stessi alle direzioni regionali. 
Pu� accadere tuttavia che nel lasso di tempo tra gennaio e luglio (e a volte fino a settembre) l�organico 
di diritto cos� determinato subisca significativi mutamenti a seguito delle circostanza appena ricordate. 
Per rispondere a tali variazioni, il Ministero procede alla determinazione del cd. �organico di fatto�, 
vale a dire quell�organico che all�inizio dell�anno scolastico risulta necessario ad assicurare il buon 
funzionamento di tutte le classi. L�incremento che si determina in organico di fatto (per l�anno scolastico 
2012/2013 si � trattato, ad esempio, di circa 26.000 posti) � nella quasi totalit� riferito ai cosiddetti 
�spezzoni di ore�, vale a dire ore curriculari coperte con supplenza brevi perch� non sufficienti per 
formare una nuova cattedra (per la quale sono necessarie almeno di 18 ore) e dunque per assumere 
un�altra unit� di personale. 


pur non prevedendo la durata massima dei rapporti di lavoro o il numero massimo 
di rinnovi, sarebbe comunque congegnata in modo da salvaguardare il 
personale precario contro i rischi di un uso distorto di tale strumento. Il meccanismo 
di assegnazione delle supplenze, letto in combinazione con le regole 
sul doppio canale del reclutamento nei ruoli, costituirebbe infatti uno strumento 
per superare il precariato, e non per alimentarlo, in quanto il lavoratore 
a tempo determinato � inserito in un percorso che - sia pure in tempi non definibili 
a priori - lo conduce verso l�assunzione in ruolo. In altre parole, la circostanza 
che il reclutamento a tempo indeterminato di una parte del personale 
scolastico avvenga attraverso graduatorie nelle quali sono inseriti i lavoratori 
a tempo determinato - e dunque che molti supplenti possano prevedere in 
modo attendibile i tempi di assunzione in base al punteggio acquisito in graduatoria 
- fa s� che per il personale scolastico la distinzione tra il lavoro a 
tempo determinato e il lavoro a tempo indeterminato sia meno netta che in 
altri settori e conseguentemente siano molto attenuati anche i rischi della condizione 
di precariet� che la disciplina europea del lavoro a tempo determinato 
vuole prevenire (18). 

5.2 Le osservazioni del governo ellenico. 

Si � costituito nel giudizio davanti alla Corte di giustizia dell�Unione europea 
anche il governo ellenico (19) il quale, diversamente dal governo italiano, 
ha posto una questione di applicabilit� della direttiva n. 1999/70 al 
rapporto di impiego nel settore dell�istruzione pubblica. 

Il sistema ellenico di reclutamento del personale scolastico presenta senza 
dubbio alcune analogie con quello italiano quanto alle modalit� di utilizzo del 
personale a tempo determinato per far fronte alla temporanea mancanza di docenti 
o alla copertura di posti vacanti straordinari. 

(18) Sono stati poi sottolineati due ulteriori argomenti che, a parere dell�Avvocatura dello Stato, 
dovrebbero indurre la Corte di giustizia a non assumere una decisione di netta censura rispetto al sistema 
italiano di reclutamento del personale scolastico a tempo determinato. Il primo � la circostanza che per 
molti aspiranti docenti l�impiego pubblico sia l�unica reale possibilit� di impiego, per cui i limiti alla 
possibilit� di rinnovo dei contratti a tempo determinato si tradurrebbero di fatto in limiti alla possibilit� 
di continuare a svolgere la funzione di docente, con l�effetto finale di danneggiare anzich� proteggere i 
lavoratori precari della scuola. Il secondo � la significativa riduzione del numero complessivo dei precari 
che � stata realizzata a partire dall�anno 2012, attraverso lo svolgimento di un nuovo concorso per l�immissione 
in ruolo e attraverso provvedimenti normativi che hanno avviato nuovi piani di reclutamento 
(decreto-legge 12 settembre 2013, n. 104, convertito, con modificazioni, dalla legge 8 novembre 2013, 
n. 128, che ha previsto un piano triennale per l'assunzione a tempo indeterminato di personale docente, 
educativo e tecnico-amministrativo per gli anni 2014-2016 nonch� l�incremento della dotazione organica 
degli insegnati di sostegno). 
(19) A mero titolo di completezza va detto che anche la Repubblica di Polonia si � costituita in 
giudizio soffermandosi per� solo su due delle sette questioni pregiudiziali proposte dal tribunale di Napoli, 
riguardanti in particolare l�applicazione del principio di non discriminazione nei meccanismi di risoluzione 
del rapporto di lavoro e gli obblighi informativi a cui � tenuto il datore di lavoro. 



Secondo quanto emerge dalle osservazioni depositate in giudizio, il quadro 
normativo al momento vigente in Grecia risulta conforme alle disposizioni 
della direttiva n. 1999/70 secondo l�interpretazione che ne ha fornito la giurisprudenza 
della Corte di giustizia fin qui formatasi. Temendo probabilmente 
una decisione di diverso avviso rispetto alla giurisprudenza precedente, pi� 
severa quando alle misure di prevenzione e contrasto degli abusi che gli Stati 
membri sono tenuti ad adottare, il governo ellenico ha espresso una posizione 
favorevole al rigetto dei dubbi di compatibilit� tra il quadro normativo italiano 
e il diritto comunitario. 

Ha sostenuto al riguardo che il lavoro a tempo determinato prestato nel 
settore dell�insegnamento non dovrebbe essere compreso nell�ambito di applicazione 
della clausola 5 dell�accordo quadro. Tale clausola prevede espressamente 
che nell�introdurre strumenti di prevenzione contro gli abusi, i 
destinatari debbano tenere conto �delle esigenze di settori e/o categorie specifici 
di lavoratori�. Ci� varrebbe a escludere l�applicazione di strumenti quali 
la stabilizzazione del contratto o il risarcimento del danno (o anche la fissazione 
di ragioni oggettive riferite al singolo rapporto di lavoro) al settore del-
l�insegnamento perch� del tutto incompatibili con le caratteristiche di tale 
settore, nel quale l�utilizzo di un contingente non previamente definito di personale 
non di ruolo � indispensabile per assicurare la funzionalit� del sistema 
scolastico e garantire il diritto all�istruzione dei cittadini. 

Tale soluzione, va detto subito, non � stata accolta dalla Corte di giustizia 
che ha richiamato la propria consolidata giurisprudenza sulle disposizioni che 
delineano l�ambito di applicazione dell�accordo quadro (clausola 2, punto 1, 
letta in combinato disposto con la clausola 3, punto 1) confermando che esso 
ha un ampio ambito di applicazione dal quale nessun particolare settore � 
escluso in via di principio. Il riferimento alle �esigenze di settori e/o categorie 
specifici di lavoratori� non pone in discussione l�obbligo di adottare misure 
di prevenzione contro gli abusi del lavoro a termine ma si riferisce, piuttosto, 
alle modalit� in cui tali misure sono introdotte, consentendo agli Stati membri 
di variare i modi in cui la protezione � garantita. Allo stesso tempo, anche la 
nozione di �lavoratore a tempo determinato� include tutti i lavoratori, senza 
operare distinzioni basate sulla natura pubblica o privata del loro datore di 
lavoro. Non vi sono pertanto elementi che consentano di interpretare le disposizioni 
dell�accordo nel senso di escludere che i contratti o i rapporti di 
lavoro a tempo determinato stipulati nel settore dell�insegnamento pubblico 
possano essere in linea generale esclusi dall�ambito di applicazione dello 
stesso. 

5.3 Le osservazioni della Commissione europea e le conclusioni dell�Avvocato 
generale. 

Sono su posizioni sostanzialmente analoghe gli atti di costituzione in giu



dizio della Commissione europea (20) e le conclusioni dell�Avvocato generale 
Maciej Szpunar. Entrambi hanno sottolineato che per valutare la conformit� 
dell�ordinamento italiano alla direttiva n. 1999/70 occorre prendere in esame le 
misure concretamente introdotte nel settore scolastico per assicurare che i rapporti 
di lavoro a tempo determinato siano effettivamente utilizzati per soddisfare 
esigenze di carattere provvisorio e non carenze strutturali di personale. La sostituzione 
del personale assente � senza dubbio una circostanza che giustifica 
l�utilizzo del lavoro a tempo determinato; tuttavia � necessario che alle esigenze 
di flessibilit� riscontrabili in via generale nell�organizzazione del sistema scolastico 
si accompagnino strumenti che consentano di verificare la coerenza tra 
assunzione a tempo determinato ed esigenze temporanee di insegnamento. 

La normativa italiana sull�assegnazione delle supplenze non offrirebbe 
questo tipo di garanzie in quanto formulata in maniera generale e astratta, 
senza un legame tangibile n� con il contenuto specifico n� con le concrete 
condizioni di esercizio dell�attivit� interessata dalla successione di contratti a 
tempo determinato. Neanche al momento della sua applicazione da parte delle 
autorit� competenti la normativa in esame contemplerebbe criteri obiettivi e 
trasparenti al fine di verificare l�esistenza di un�esigenza reale di sostituzione 
temporanea. La dimostrazione di tale assunto emergerebbe dalla circostanza 
che, secondo la normativa censurata, ai posti vacanti e disponibili si provveda 
mediante il conferimento di supplenze annuali �in attesa dell�espletamento 
delle procedure concorsuali per l�assunzione di personale docente di ruolo�: 
il fatto che non sia stato fissato alcun termine preciso per l�espletamento di 
tali concorsi, che rimane subordinato all�esistenza dei necessari mezzi finanziari 
e alle decisioni discrezionali dell�amministrazione sulla programmazione 
dell�organico, genererebbe un�incertezza totale sulle esigenze temporanee o 
permanenti che sottendono ciascun contratto di supplenza. 

A parere della Commissione e dell�Avvocato generale la conformit� del 
sistema italiano di reclutamento dei supplenti non potrebbe neanche dimostrarsi 
dalla circostanza che il personale a tempo determinato della scuola sia 
introdotto, attraverso l�iscrizione nelle graduatorie, in un percorso destinato 
all�assunzione: si tratta infatti di un�eventualit� che dipende dalle scelte discrezionali 
dell�amministrazione e da fatti contingenti che il lavoratore non � 
in grado di prevedere o controllare. 

(20) Va ricordato che nel marzo del 2011 la Commissione europea ha aperto una procedura di infrazione 
(n. 2010/2124) nei confronti dello Stato italiano per la non corretta applicazione della direttiva 
n. 1999/70/CE nel settore dell�istruzione pubblica censurando, oltre all�assenza di misure di prevenzione 
contro l�uso abusivo dei contratti a tempo determinato, anche il trattamento economico meno favorevole 
che la normativa italiana riserverebbe ai supplenti rispetto al personale di ruolo. Nel novembre 2013 la 
medesima Commissione ha emesso un parere motivato ai sensi dell�art. 258 del Trattato sul funzionamento 
dell�Unione europea che obbliga il nostro Paese ad assumere misure idonee a eliminare le violazioni 
riscontrate. 



5.4 La decisione della Corte di giustizia dell�Unione europea. 

Con la sentenza del 26 novembre 2014 (21) la Corte di giustizia riconosce 
prima di tutto come sussista uno stretto legame tra l�utilizzo del lavoro a tempo 
determinato nel sistema scolastico e le speciali esigenze di flessibilit� di personale 
che si riscontrano in questo settore. La pubblica amministrazione che 
eroga il servizio, per assicurarne l�ordinata fruizione da parte di tutti gli utenti, 
deve infatti garantire un adeguamento costante tra il numero dei docenti e il 
numero degli scolari, adeguamento che � conseguibile solo attraverso la disponibilit� 
di un contingente di lavoratori non di ruolo di cui potersi avvalere 
quando intervengano aumenti o diminuzioni della popolazione scolastica, che 
a loro volta dipendono da fattori difficilmente controllabili o prevedibili. L�esigenza 
di flessibilit� che caratterizza il sistema scolastico � di per s� qualificabile 
come �ragione obiettiva� per il ricorso ai contratti a tempo determinato 
perch� consente di �rispondere in maniera adeguata alla domanda scolastica 
ed evitare di esporre lo Stato, quale datore di lavoro in tale settore, al rischio 
di dover immettere in ruolo un numero di docenti significativamente superiore 
a quello effettivamente necessario per adempiere i propri obblighi� (22). 

Rimanendo sul piano della compatibilit� in astratto del quadro normativo 
italiano con l�ordinamento comunitario, la Corte di giustizia riconosce che 
l�utilizzo del rapporto di lavoro a tempo determinato per far fronte a carenze 
di organico temporanee e destinate ad essere reintegrate attraverso lo svolgimento 
delle procedure concorsuali di reclutamento (come appunto prevede 
l�art. 4, comma 1, della l. 124 del 1999) o per sostituire il personale assente 
dal servizio per usufruire di periodi di congedo, pu�, in linea di principio, costituire 
una ragione obiettiva ai sensi della clausola 5, punto 1, lett. a) dell�accordo 
quadro. La configurabilit� in astratto di circostanze che rendono legittima 
la reiterazione dei rapporti di lavoro a tempo determinato non � tuttavia sufficiente 
per escludere che tale forma di impiego sia utilizzata in termini non conformi 
alle regole dell�accordo. In altre parole, il solo fatto che la normativa sul 
reclutamento del personale scolastico a tempo determinato possa essere giustificata 
da una �ragione obiettiva� non pu� essere di per s� sufficiente se risulta 
che l�applicazione concreta di detta normativa conduce, nei fatti, a un ricorso 
abusivo a una successione di contratti di lavoro a tempo determinato. Occorre 
allora una verifica concreta, attraverso un esame globale delle circostanze sottese 
al rinnovo dei rapporti di lavoro in questione, per assicurare che questi 
siano effettivamente diretti a soddisfare esigenze provvisorie (23). 

(21) Un primo commento alla sentenza � stato predisposto dal Servizio studi del Senato con la 
nota breve n. 41 del dicembre 2014, disponibile su www.senato.it. 
(22) Cfr. punto 95 della sentenza. 


(23) Afferma la Corte di giustizia ai punti 101 e 102 della sentenza che �L�osservanza della clausola 
5, punto 1, lettera a), dell�accordo quadro richiede (�) che si verifichi concretamente che il rinnovo 



Fin qui i chiarimenti della Corte di giustizia rimangono rigorosamente 
entro i confini della funzione propria del giudizio pregiudiziale, vale a dire 
chiarire al giudice del rinvio quale sia la corretta interpretazione e applicazione 
del diritto comunitario. Coerente con la natura del giudizio � la conclusione, 
pi� volte ribadita nelle motivazioni della sentenza, secondo la quale spetta al 
giudice nazionale verificare se accanto alle ragioni obiettive astrattamente considerate, 
la disciplina sul reclutamento del personale scolastico contempli 
anche misure idonee ad evitare che il personale a tempo determinato sia utilizzato 
in difformit� rispetto all�accordo. 

Rispetto a questa verifica, che spetterebbe ai giudici nazionali, la Corte 
fornisce peraltro una precisa indicazione su quale sia la soluzione preferibile, 
censurando il quadro normativo italiano sotto due punti di vista: 

- l�inaffidabilit� dei meccanismi di immissione in ruolo del personale scolastico 
(concorsi e immissione dalle graduatorie) che renderebbero l�ingresso 
nei ruoli �tanto variabile quanto incerto� (24) e dunque dimostrerebbero che 
le condizioni di applicazione della ragione oggettiva di sostituzione del personale 
temporaneamente assente non garantiscono che la stessa � conforme 
all�accordo quadro; 
- l�esclusione di qualunque forma di sanzione efficace contro l�uso abusivo 
dei contratti a tempo determinato. 


6. Considerazioni conclusive. 

Un primo esame della pronuncia qui in commento consente di formulare 
le seguenti osservazioni. 

Non sembra che la Corte abbia risposto in modo approfondito al quesito 
se le speciali esigenze di flessibilit� che caratterizzano l�amministrazione chiamata 
ad organizzare e ad erogare il servizio scolastico possano di per s� giustificare 
il ricorso al rapporto di lavoro a tempo determinato. 

Tale quesito era stato posto dalla Corte costituzionale che aveva illustrato 
la propria visione a tutto tondo del sistema scolastico, collegando l�attribuzione 
delle supplenze annuali alla specificit� della funzione della scuola 
pubblica - la soddisfazione del diritto fondamentale all�istruzione dei cittadini 
di cui agli art. 33 e 34 Cost. - e alle relative esigenze di flessibilit� organiz


di successivi contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato miri a soddisfare esigenze provvisorie, 
e che una disposizione nazionale quale l�articolo 4, comma 1, della legge n. 124/1999, letta in combinato 
disposto con l�articolo 1 del decreto n. 131/2007 non sia utilizzata, di fatto, per soddisfare esigenze permanenti 
e durevoli del datore di lavoro in materia di personale (�). Occorre a tal fine esaminare di 
volta in volta tutte le circostanze del caso, prendendo in considerazione, in particolare, il numero di 
detti contratti successivi stipulati con la stessa persona oppure per lo svolgimento di uno stesso lavoro, 
al fine di escludere che contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato, sebbene palesemente conclusi 
per soddisfare un�esigenza di personale sostitutivo, siano utilizzati in modo abusivo dai datori di lavoro 
(�)�. 

(24) Cfr. punto 105 della sentenza. 


zativa. Anche l�Avvocatura dello Stato aveva sottolineato come a fronte della 
variabilit� che caratterizza la domanda del servizio, il ricorso ad una forma 
di reclutamento con spiccata flessibilit� per una quota significativa dei posti 
sarebbe l�unico strumento in grado di far fronte al rischio di non avere docenti 
a sufficienza per assicurare il servizio a tutti i richiedenti oppure di assumere 
docenti che poi rimangono inutilizzati. La questione era stata 
sollevata anche dal governo ellenico il quale, sulla base dei medesimi argomenti, 
aveva posto un problema di non applicabilit� della direttiva n. 1999/70 
al settore dell�insegnamento. 

Dalla lettura della sentenza sembra che la Corte di giustizia abbia preso 
in esame gli argomenti sulla specialit� del sistema scolastico nelle premesse 
della decisione, come elemento che dimostrerebbe solo in via di mero principio 
la compatibilit� della normativa sul reclutamento del personale supplente con 
l�accordo quadro (25). 

Ebbene questa conclusione non convince in quanto se si riconosce che 
per assicurare il regolare funzionamento del sistema scolastico l�amministrazione 
debba far fronte a un continuo problema di adeguamento tra il numero 
di docenti e il numero di scolari, dipendente da fattori difficilmente controllabili 
o prevedibili, allora � logico ritenere che un certo numero di rapporti di 
lavoro a tempo determinato - che potrebbe essere ad esempio proporzionale 
all�oscillazione media della domanda riscontrata in un certo lasso di tempo siano 
di per s� giustificati da ragioni obiettive, a prescindere dal riscontro delle 
necessit� concrete che sottendono a ciascun rapporto di lavoro. In altre parole, 
non dovrebbe essere necessario dimostrare la presenza di ragioni obiettive in 
relazione a ciascuna assunzione a tempo determinato se le pertinenti disposizioni 
nazionali fanno riferimento alla presenza di valide ragioni al momento 
di disciplinare il ricorso alle supplenze in generale: una disposizione legislativa 
che consente le assunzioni a termine in situazioni che costituiscono effettivamente 
ragioni oggettive dovrebbe rendere tali assunzioni, in virt� di questo 
riferimento, di per s� legittime. 

(25) Ai punti 94 e 95 della sentenza la Corte afferma che �va rilevato che, come risulta, in particolare, 
dall�ordinanza di rinvio nella causa C-418/13, l�insegnamento � correlato a un diritto fondamentale 
garantito dalla Costituzione della Repubblica italiana che impone a tale Stato l�obbligo di 
organizzare il servizio scolastico in modo da garantire un adeguamento costante tra il numero di docenti 
e il numero di scolari. Orbene, non si pu� negare che tale adeguamento dipenda da un insieme di fattori, 
taluni dei quali possono, in una certa misura, essere difficilmente controllabili o prevedibili, quali, in 
particolare, i flussi migratori esterni ed interni o le scelte di indirizzi scolastici da parte degli scolari. 
Si deve ammettere che fattori del genere attestano, nel settore dell�insegnamento (�) un�esigenza particolare 
di flessibilit� che (�) � idonea, in tale specifico settore, a giustificare oggettivamente, alla luce 
della clausola 5, punto 1, lettera a), dell�accordo quadro, il ricorso a una successione di contratti di lavoro 
a tempo determinato per rispondere in maniera adeguata alla domanda scolastica ed evitare di 
esporre lo Stato, quale datore di lavoro in tale settore, al rischio di dover immettere in ruolo un numero 
di docenti significativamente superiore a quello effettivamente necessario per adempiere i propri obblighi 
in materia�. 


Una seconda osservazione attiene all�ambito di applicazione della pronuncia. 


La normativa italiana � censurata nella parte in cui determina un�incertezza 
sui tempi e modi di assunzione a tempo indeterminato del personale supplente 
destinato a coprire posti vacanti in organico. � in particolare censurato 
il carattere farraginoso dei meccanismi di reclutamento nei ruoli per la copertura 
di tali posti vacanti, che consentirebbe la reiterazione senza limite delle 
supplenze con il conseguente rischio di utilizzo delle stesse per coprire carenze 
strutturali di personale di ruolo. 

Ebbene se l�utilizzo dei rapporti a tempo determinato con modalit� non 
conformi alle prescrizioni dell�accordo quadro riguarda i contratti di supplenza 
assegnati nei limiti quantitativi e temporali dell�espletamento dei concorsi, allora 
non vi sarebbero ostacoli al mantenimento di tutti gli altri contratti di supplenza, 
che in quanto conferiti su posti a diverso titolo disponibili ma non 
vacanti (e dunque non destinati ad essere occupati da personale di ruolo) sarebbero 
giustificati dalle esigenze di flessibilit� del sistema scolastico. 

Si tratta di una conclusione importante ai fini della complessiva tenuta 
del sistema, considerato che la maggior parte delle supplenze scolastiche sono 
assegnate su posti temporaneamente disponibili e non su posti vacanti. Questo 
risultato si riverberer� sui dubbi dei giudici a quibus e la disciplina impugnata 
sar� �protetta� contro altre eventuali impugnazioni in via incidentale (e contro 
altre letture audacemente adeguatrici da parte della magistratura di merito). 

A questo punto la parola passa di nuovo alla giurisdizione nazionale nella 
quale potrebbero aprirsi una serie di diversi scenari. 

La Corte costituzionale ha espressamente ribadito nell�ordinanza n. 207 
del 2013 la propria competenza a �valutare l�esistenza di un contrasto insanabile 
in via interpretativa e, eventualmente, annullare la legge incompatibile 
con il diritto comunitario�. 

Una soluzione che appare senza dubbio ipotizzabile � l�adozione da parte 
della Corte costituzionale di una pronuncia di illegittimit� costituzionale del-
l�art. 4, comma 1, della legge 124 del 1999 per violazione degli art. 11 e 177 
Cost. Tale pronuncia, che censurerebbe il sistema di reclutamento a tempo determinato 
nella scuola nella parte in cui consente la reiterazione delle supplenze 
su posti vacanti in organico, non potrebbe per� condurre alla automatica 
trasformazione a tempo indeterminato dei contratti di supplenza conclusi in 
forza della norma dichiarata incostituzionale, ostando a tale ipotesi l�art. 36 
del d.lgs. n. 165 del 2001 ma, pi� probabilmente, alla fondatezza delle istanze 
risarcitorie dei precari, perch� verrebbe meno il sostegno giuridico che fino 
ad oggi ha giustificato le assunzioni a termine su posti vacanti. 

Appare invece poco probabile che la Corte possa rigettare la questione 
di costituzionalit� dando concreta attuazione alla teoria dei controlimiti (26), 
la quale presuppone l�accertamento della violazione, da parte del diritto del



l�Unione, di un principio supremo dell�ordinamento costituzionale o di un diritto 
fondamentale, quale sarebbe il diritto all�istruzione. Come � stato gi� 
detto la restrizione delle possibilit� di concludere contratti a tempo determinato 
� circoscritta ai soli posti vacanti e, tra l�altro, nei limiti in cui l�ordinamento 
non riesca ad assicurare il regolare svolgimento delle procedure concorsuali: 
non sembra che ci� possa compromettere il funzionamento dell�intero sistema 
scolastico incidendo sul diritto all�istruzione. 

Quanto ai giudici di merito, � stata gi� annunciata dalle parti sindacali, 
che hanno salutato come una propria vittoria giudiziaria la pronuncia della 
Corte di giustizia, la presentazione di nuovi ricorsi collettivi diretti ad ottenere 
la stabilizzazione di circa 250 mila precari, i relativi risarcimenti e gli scatti 
di anzianit� maturati tra il 2002 e il 2012 dopo il primo biennio di servizio, 
nonch� le mensilit� estive su posto vacante (27). 

A fronte del decisum della Corte cՏ da aspettarsi un rafforzamento del-
l�orientamento giurisprudenziale che forzando i margini dell�interpretazione 
conforme ha accolto le pretese dei precari. Si intravede in particolare il rischio 
che il giudice del lavoro fornisca un�applicazione generalizzata delle indicazioni 
della Corte di giustizia ritenendo incompatibili con il diritto comunitario 

-perch� svincolate dalle ragioni obiettive - tutte le disposizioni che consentono 
di concludere una successione di contratti a tempo determinato svincolata dalla 
predeterminazione di una durata massima o di un certo numero di rinnovi. 

Sar� quindi compito dell�organo politico ricercare un ragionevole punto 
di equilibrio tra le esigenze organizzative e finanziarie del sistema scolastico 
e l�aspettativa di quanti contribuiscono al buon andamento dello stesso in qualit� 
di supplenti a poter contare su un meccanismo affidabile per l�immissione 
in ruolo (28). 

(26) Cfr. IADICICCO, op. cit., 14 

(27) Potrebbero presentare ricorso tutti i supplenti che abbiano ricevuto incarichi di docenza per 
dodici mesi all�anno per tre anni scolastici anche non consecutivi oppure per tre anni considerando ogni 
anno maturato con 180 giorni di servizio. � stata anche prospettata l�applicazione dei principi fissati 
dalla Corte ad altri settori dell�impiego nelle amministrazioni pubbliche (ad esempio la sanit�) dove � 
diffuso l�utilizzo del lavoro a tempo determinato. 
(28) Una lettura della sentenza nel senso che l�amministrazione scolastica sarebbe tenuta a stabilizzare 
tutti i docenti che hanno maturato trentasei mesi di insegnamento come supplenti � stata fornita 
anche dalle forze politiche di opposizione che hanno contestato le soluzioni proposte dal Governo contenuti 
nel piano della buona scuola. Cfr. interpellanza urgente n. 2-00773 proposta dall�On.le Silvia Chi-
menti (M5S) in Aula Camera e discussa il 5 dicembre 2014. 



Corte di giustizia dell�Unione europea (Terza Sezione) sentenza 26 novembre 2014 -Pres. 

M. Ile.i., Rel. A. � Caoimh, Avv. Gen. M. Szpunar - Raffaella Mascolo (C-22/13), Alba Forni 
(C-61/13) e Immacolata Racca (C-62/13) contro Ministero dell'Istruzione, dell'Universit� e 
della Ricerca, Fortuna Russo contro Comune di Napoli (C-63/13) e Carla Napolitano e altri 
contro Ministero dell�Istruzione, dell�Universit� e della Ricerca (C-418/13). Domande di pronuncia 
pregiudiziale: Tribunale di Napoli (C-22/13, da C-61/13 a C-63/13), Corte costituzionale 
(C-418/13). 

�Rinvio pregiudiziale � Politica sociale � Accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a 
tempo determinato � Successione di contratti di lavoro a tempo determinato � Insegnamento 

� Settore pubblico � Supplenze di posti vacanti e disponibili in attesa dell�espletamento di 
procedure concorsuali � Clausola 5, punto 1 � Misure di prevenzione del ricorso abusivo ai 
contratti a tempo determinato � Nozione di �ragioni obiettive� che giustificano tali contratti 
� Sanzioni � Divieto di trasformazione in rapporto di lavoro a tempo indeterminato � Assenza 
di diritto al risarcimento del danno� 


1 Le domande di pronuncia pregiudiziale vertono sull�interpretazione delle clausole 4 e 
5, punto 1, dell�accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, concluso il 18 marzo 
1999 (in prosieguo: l��accordo quadro�), che figura nell�allegato alla direttiva 
1999/70/CE del Consiglio, del 28 giugno 1999, relativa all�accordo quadro CES, UNICE 
e CEEP sul lavoro a tempo determinato (GU L 175, pag. 43), dell�articolo 2, paragrafi 
1 e 2, della direttiva 91/533/CEE del Consiglio, del 14 ottobre 1991, relativa all�obbligo 
del datore di lavoro di informare il lavoratore delle condizioni applicabili al contratto o 
al rapporto di lavoro (GU L 288, pag. 32), del principio di leale cooperazione previsto 
dall�articolo 4, paragrafo 3, TUE nonch� dei principi generali del diritto dell�Unione relativi 
alla certezza del diritto, alla tutela del legittimo affidamento, all�uguaglianza delle 
armi nel processo, all�effettiva tutela giurisdizionale, al diritto a un tribunale indipendente 
e a un equo processo, garantiti dall�articolo 6, paragrafo 2, TUE, letto in combinato 
disposto con l�articolo 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti del-
l�uomo e delle libert� fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950 (in prosieguo: 
la �CEDU�), e con gli articoli 46, 47 e 52, paragrafo 3, della Carta dei diritti fondamentali 
dell�Unione europea. 

2 Tali domande sono state presentate nell�ambito di controversie che vedono opposti la 
sig.ra Mascolo e altri otto lavoratori, tutti membri del personale di scuole pubbliche, al 
proprio datore di lavoro, ossia, per otto di essi, il Ministero dell�Istruzione, dell�Universit� 
e della Ricerca, (in prosieguo: il �Ministero�) e, per l�ultimo, il Comune di Napoli, in 
merito alla qualificazione dei contratti di lavoro che li legavano a tali datori di lavoro. 

Contesto normativo 

Il diritto dell�Unione 

La direttiva 1999/70 

3 La direttiva 1999/70 � fondata sull�articolo 139, paragrafo 2, CE e, ai sensi del suo articolo 
1, � diretta ad �attuare l�accordo quadro (�), che figura nell�allegato, concluso 
(�) fra le organizzazioni intercategoriali a carattere generale [Confederazione europea 
dei sindacati (CES), Unione delle confederazioni dell�industria e dei datori di lavoro 
dell�Europa (UNICE), Centro europeo delle imprese a partecipazione pubblica 
(CEEP)]�. 

4 La clausola 1 dell�accordo quadro cos� recita: 


CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 59 

�L�obiettivo del presente accordo quadro �: 
a) migliorare la qualit� del lavoro a tempo determinato garantendo il rispetto del principio 
di non discriminazione; 
b) creare un quadro normativo per la prevenzione degli abusi derivanti dall�utilizzo di 
una successione di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato�. 


5 La clausola 2 dell�accordo quadro, intitolata �Campo d�applicazione�, prevede quanto 
segue: 

�1. Il presente accordo si applica ai lavoratori a tempo determinato con un contratto di 
assunzione o un rapporto di lavoro disciplinato dalla legge, dai contratti collettivi o dalla 
prassi in vigore di ciascuno Stato membro. 


2. Gli Stati membri, previa consultazione delle parti sociali e/o le parti sociali stesse 
possono decidere che il presente accordo non si applichi ai: 
a) rapporti di formazione professionale iniziale e di apprendistato; 
b) contratti e rapporti di lavoro definiti nel quadro di un programma specifico di formazione, 
inserimento e riqualificazione professionale pubblico o che usufruisca di contributi 
pubblici�. 


6 La clausola 3 dell�accordo quadro, intitolata �Definizioni�, cos� prevede: 

1. Ai fini del presente accordo, il termine �lavoratore a tempo determinato� indica una 
persona con un contratto o un rapporto di lavoro definiti direttamente fra il datore di lavoro 
e il lavoratore e il cui termine � determinato da condizioni oggettive, quali il raggiungimento 
di una certa data, il completamento di un compito specifico o il verificarsi 
di un evento specifico. 
(�)�. 

7 La clausola 4 dell�accordo quadro, intitolata �Principio di non discriminazione�, prevede, 
al suo punto 1, quanto segue: 
�Per quanto riguarda le condizioni di impiego, i lavoratori a tempo determinato non 
possono essere trattati in modo meno favorevole dei lavoratori a tempo indeterminato 
comparabili per il solo fatto di avere un contratto o rapporto di lavoro a tempo determinato, 
a meno che non sussistano ragioni oggettive�. 

8 Ai sensi della clausola 5 dell�accordo quadro, intitolata �Misure di prevenzione degli 
abusi�: 

�1. Per prevenire gli abusi derivanti dall�utilizzo di una successione di contratti o rapporti 
di lavoro a tempo determinato, gli Stati membri, previa consultazione delle parti 
sociali a norma delle leggi, dei contratti collettivi e della prassi nazionali, e/o le parti 
sociali stesse, dovranno introdurre, in assenza di norme equivalenti per la prevenzione 
degli abusi e in un modo che tenga conto delle esigenze di settori e/o categorie specifici 
di lavoratori, una o pi� misure relative a: 
a) ragioni obiettive per la giustificazione del rinnovo dei suddetti contratti o rapporti; 
b) la durata massima totale dei contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato successivi; 
c) il numero dei rinnovi dei suddetti contratti o rapporti. 


2. Gli Stati membri, previa consultazione delle parti sociali, e/o le parti sociali stesse 
dovranno, se del caso, stabilire a quali condizioni i contratti e i rapporti di lavoro a tempo 
determinato: 
a) devono essere considerati �successivi�; 
b) devono essere ritenuti contratti o rapporti a tempo indeterminato�. 


La direttiva 91/533 



9 L�articolo 2, paragrafo 1, della direttiva 91/533 cos� recita: 
�Il datore di lavoro � tenuto a comunicare al lavoratore subordinato cui si applica la presente 
direttiva, in appresso denominato �lavoratore�, gli elementi essenziali del contratto 

o del rapporto di lavoro�. 

10 Ai sensi dell�articolo 2, paragrafo 2, lettera e), della citata direttiva, l�informazione al 
lavoratore, se si tratta di un contratto o di un rapporto di lavoro temporaneo, riguarda, 
tra l�altro, la �durata prevedibile del contratto o del rapporto di lavoro�. 

Il diritto italiano 

11 L�articolo 117, primo comma, della Costituzione della Repubblica italiana prevede che 
�[l]a potest� legislativa � esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, 
nonch� dei vincoli derivanti dal [diritto dell�Unione] e dagli obblighi internazionali�. 

12 In Italia, il ricorso a contratti a tempo determinato nel settore pubblico � disciplinato 
dal decreto legislativo del 30 marzo 2001, n. 165, recante norme generali sull�ordinamento 
del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche (supplemento ordinario 
alla GURI n. 106, del 9 maggio 2001; in prosieguo: il �decreto legislativo n. 
165/2001�). 

13 L�articolo 36, comma 5, di tale decreto, come modificato dalla legge del 3 agosto 2009, 

n. 102, relativa alla conversione in legge, con modificazioni, del decreto legge del 1� 
luglio 2009, n. 78, recante provvedimenti anticrisi, nonch� proroga di termini e della 
partecipazione italiana a missioni internazionali (supplemento ordinario alla GURI n. 
179 del 4 agosto 2009), intitolato �Forme contrattuali flessibili di assunzione e di impiego 
del personale� dispone quanto segue: 
�In ogni caso, la violazione di disposizioni imperative riguardanti l�assunzione o l�impiego 
di lavoratori, da parte delle pubbliche amministrazioni, non pu� comportare la 
costituzione di rapporti di lavoro a tempo indeterminato con le medesime pubbliche amministrazioni, 
ferma restando ogni responsabilit� e sanzione. Il lavoratore interessato 
ha diritto al risarcimento del danno derivante dalla prestazione di lavoro in violazione 
di disposizioni imperative (�)�. 

14 Secondo le ordinanze di rinvio, il lavoro a tempo determinato nella pubblica amministrazione 
� altres� soggetto al decreto legislativo del 6 settembre 2001, n. 368, recante 
attuazione della direttiva 1999/70/CE relativa all�accordo quadro sul lavoro a tempo determinato 
concluso dall�UNICE, dal CEEP e dal CES (GURI n. 235, del 9 ottobre 2001; 
in prosieguo: il �decreto legislativo n. 368/2001�). 

15 L�articolo 5, comma 4 bis, di tale decreto legislativo � formulato come segue: 
�Ferma restando la disciplina della successione di contratti di cui ai commi precedenti, 
e fatte salve diverse disposizioni di contratti collettivi stipulati a livello nazionale, territoriale 
o aziendale con le organizzazioni sindacali comparativamente pi� rappresentative 
sul piano nazionale, qualora per effetto di successione di contratti a termine per lo 
svolgimento di mansioni equivalenti il rapporto di lavoro fra lo stesso datore di lavoro 
e lo stesso lavoratore abbia complessivamente superato i trentasei mesi comprensivi di 
proroghe e rinnovi, indipendentemente dai periodi di interruzione che intercorrono tra 
un contratto e l�altro, il rapporto di lavoro si considera a tempo indeterminato (�)�. 

16 Ai sensi dell�articolo 10, comma 4 bis, di detto decreto legislativo, come modificato 
dall�articolo 9, comma 18, del decreto legge del 13 maggio 2011, n. 70 (in prosieguo: il 
�decreto legge n. 70/2011�), convertito in legge del 12 luglio 2011, n. 106 (GURI n. 
160, del 12 luglio 2011): 


�(�) sono altres� esclusi dall�applicazione del presente decreto i contratti a tempo determinato 
stipulati per il conferimento delle supplenze del personale docente ed ATA 
[amministrativo, tecnico ed ausiliario], considerata la necessit� di garantire la costante 
erogazione del servizio scolastico ed educativo anche in caso di assenza temporanea del 
personale docente ed ATA con rapporto di lavoro a tempo indeterminato ed anche determinato. 
In ogni caso non si applica l�articolo 5, comma 4-bis, del presente decreto�. 

17 Per quanto riguarda il personale docente e amministrativo, tecnico ed ausiliario, la disciplina 
del rapporto di lavoro a tempo determinato � contenuta nell�articolo 4 della 
legge del 3 maggio 1999 n. 124, recante disposizioni urgenti in materia di personale 
scolastico (GURI n. 107, del 10 maggio 1999), come modificata dal decreto legge del 
25 settembre 2009 n. 134, convertito, con modificazioni, dalla legge del 24 novembre 
2009 n. 167 (GURI n. 274, del 24 novembre 1999; in prosieguo: la �legge n. 124/1999�). 
Secondo il giudice del rinvio nelle cause C.22/13 e da C.61/13 a C.63/13, � pacifico 
che tale legge si applica solo alla scuola statale. Detta legge non si applica, invece, alla 
scuola comunale, che resta soggetta ai decreti legislativi n. 165/2001 e n. 368/2001. 

18 Ai sensi dell�articolo 4 della legge n. 124/1999: 

�1. Alla copertura delle cattedre e dei posti di insegnamento che risultino effettivamente 
vacanti e disponibili entro la data del 31 dicembre e che rimangano prevedibilmente tali 
per l�intero anno scolastico, qualora non sia possibile provvedere con il personale docente 
di ruolo delle dotazioni organiche provinciali o mediante l�utilizzazione del personale 
in soprannumero, e semprech� ai posti medesimi non sia stato gi� assegnato a 
qualsiasi titolo personale di ruolo, si provvede mediante il conferimento di supplenze 
annuali, in attesa dell�espletamento delle procedure concorsuali per l�assunzione di personale 
docente di ruolo. 

2. Alla copertura delle cattedre e dei posti di insegnamento non vacanti che si rendano 
di fatto disponibili entro la data del 31 dicembre e fino al termine dell�anno scolastico 
si provvede mediante il conferimento di supplenze temporanee fino al termine delle attivit� 
didattiche. Si provvede parimenti al conferimento di supplenze temporanee fino 
al termine delle attivit� didattiche per la copertura delle ore di insegnamento che non 
concorrono a costituire cattedre o posti orario. 
3. Nei casi diversi da quelli previsti ai commi 1 e 2 si provvede con supplenze temporanee. 
(�) 


6. Per il conferimento delle supplenze annuali e delle supplenze temporanee sino al termine 
delle attivit� didattiche si utilizzano le graduatorie permanenti di cui all�articolo 
401 del testo unico, come sostituito dal comma 6 dell�articolo 1 della presente legge. 
(...) 

11. Le disposizioni di cui ai precedenti commi si applicano anche al personale amministrativo, 
tecnico ed ausiliario (ATA) (�) 
(�) 
14 bis. I contratti a tempo determinato stipulati per il conferimento delle supplenze previste 
dai commi 1, 2 e 3, in quanto necessari per garantire la costante erogazione del 
servizio scolastico ed educativo, possono trasformarsi in rapporti di lavoro a tempo indeterminato 
solo nel caso di immissione in ruolo, ai sensi delle disposizioni vigenti e 
sulla base delle graduatorie (�)�. 

19 Ai sensi dell�articolo 1 del decreto del Ministero della pubblica istruzione del 13 giugno 
2007, n. 131 (in prosieguo: il �decreto n. 131/2007�), gli incarichi dei docenti e del per



sonale amministrativo, tecnico ed ausiliario della scuola statale sono di tre tipi: 

� supplenze annuali, su posti vacanti e disponibili, in quanto privi di titolare; 
� supplenze temporanee fino al termine delle attivit� didattiche, su posti non vacanti, 
ma ugualmente disponibili; 
� supplenze temporanee per ogni altra necessit�, ossia supplenze brevi. 


20 L�immissione in ruolo di cui all�articolo 4, comma 14 bis, della legge n. 124/1999 � disciplinata 
dagli articoli 399 e 401 del decreto legislativo del 16 aprile 1994, n. 297, recante 
testo unico delle disposizioni legislative in materia di istruzione (supplemento 
ordinario alla GURI n. 115 del 19 maggio 1994; in prosieguo: il �decreto legislativo n. 
297/1994�). 

21 L�articolo 399, comma 1, di tale decreto cos� dispone: 
�L�accesso ai ruoli del personale docente della scuola materna, elementare e secondaria, 
ivi compresi i licei artistici e gli istituti d�arte, ha luogo, per il 50 per cento dei posti a 
tal fine annualmente assegnabili, mediante concorsi per titoli ed esami e, per il restante 
50 per cento, attingendo alle graduatorie permanenti di cui all�art. 401�. 

22 L�articolo 401, commi 1 e 2, di tale decreto stabilisce quanto segue: 

�1. Le graduatorie relative ai concorsi per soli titoli del personale docente della scuola 
materna, elementare e secondaria, ivi compresi i licei artistici e gli istituti d�arte, sono 
trasformate in graduatorie permanenti, da utilizzare per le assunzioni in ruolo di cui all�art. 
399, comma 1. 

2. Le graduatorie permanenti di cui al comma 1 sono periodicamente integrate con l�inserimento 
dei docenti che hanno superato le prove dell�ultimo concorso regionale per 
titoli ed esami, per la medesima classe di concorso e il medesimo posto, e dei docenti 
che hanno chiesto il trasferimento dalla corrispondente graduatoria permanente di altra 
provincia. Contemporaneamente all�inserimento dei nuovi aspiranti � effettuato l�aggiornamento 
delle posizioni di graduatoria di coloro che sono gi� compresi nella graduatoria 
permanente�. 

Procedimenti principali e questioni pregiudiziali 

Le cause C.22/13 e da C.61/13 a C.63/13 

23 Le sig.re Mascolo, Forni, Racca e Russo sono state assunte mediante contratti di lavoro 
a tempo determinato stipulati in successione, le prime tre in qualit� di docenti presso il 
Ministero e l�ultima in qualit� di educatrice in asili nido e in scuole materne presso il 
Comune di Napoli. In forza di tali contratti, esse hanno lavorato per i propri rispettivi 
datori di lavoro per i seguenti periodi: 71 mesi su un periodo di 9 anni per la sig.ra Ma-
scolo (tra il 2003 e il 2012); 50 mesi e 27 giorni su un periodo di 5 anni per la sig.ra 
Forni (tra il 2006 e il 2011); 60 mesi su un periodo di 5 anni per la sig.ra Racca (tra il 
2007 e il 2012), e 45 mesi e 15 giorni su un periodo di 5 anni per la sig.ra Russo (tra il 
2006 e il 2011). 

24 Ritenendo illegittimi tali contratti di lavoro a tempo determinato stipulati in successione, 
le ricorrenti nei procedimenti principali hanno adito il Tribunale di Napoli chiedendo, 
in via principale, la trasformazione di tali contratti a tempo determinato in rapporti di 
lavoro a tempo indeterminato e, pertanto, la loro immissione in ruolo, nonch� il pagamento 
degli stipendi corrispondenti ai periodi di interruzione tra la scadenza di un contratto 
a tempo determinato e l�entrata in vigore di quello successivo e, in subordine, il 
risarcimento del danno subito. 

25 Essendo stata immessa in ruolo nel corso del procedimento in virt� del suo avanzamento 


nella graduatoria permanente, la sig.ra Racca ha modificato il suo ricorso originario in domanda 
di pieno riconoscimento dell�anzianit� di servizio e di risarcimento del danno subito. 

26 Secondo il Ministero e il Comune di Napoli, al contrario, l�articolo 36, comma 5, del 
decreto legislativo n. 165/2001 vieta qualsiasi riqualificazione del rapporto di lavoro. 
L�articolo 5, comma 4 bis, del decreto legislativo n. 368/2001 non sarebbe applicabile, 
tenuto conto dell�articolo 10, comma 4 bis, dello stesso decreto, introdotto dall�articolo 
9, comma 18, del decreto legge n. 70/2011. Peraltro, le ricorrenti nei procedimenti principali 
non avrebbero nemmeno diritto al risarcimento del danno, visto che la procedura 
di assunzione era legittima e che comunque non sussistevano gli elementi costitutivi di 
un illecito. Infine, poich� i contratti a tempo determinato non erano connessi gli uni agli 
altri e non costituivano pertanto n� il proseguimento n� la proroga dei contratti precedenti, 
non sussisterebbe alcun abuso. 

27 Investito di tale ricorso, il Tribunale di Napoli indica, in primo luogo, che la normativa 
nazionale di cui trattasi nei procedimenti principali, contrariamente a quanto dichiarato 
dalla Corte suprema di cassazione nella sentenza n. 10127/12, � contraria alla clausola 
5 dell�accordo quadro. 

28 Tale normativa, infatti, non contemplerebbe alcuna misura di prevenzione ai sensi del 
punto 1, lettera a), di detta clausola, poich� non consentirebbe di verificare concretamente, 
in modo obiettivo e trasparente, l�esistenza di un�esigenza reale di sostituzione 
temporanea e autorizzerebbe, come previsto esplicitamente dall�articolo 4, comma 1, 
della legge n. 124/1999, il rinnovo di contratti di lavoro a tempo determinato a copertura 
di posti effettivamente vacanti. Orbene, tale normativa non contemplerebbe neppure 
misure di prevenzione ai sensi del punto 1, lettera b), di detta clausola. Infatti, 
l�articolo 10, comma 4 bis, del decreto legislativo n. 368/2001 escluderebbe d�ora in 
avanti l�applicazione alle scuole statali dell�articolo 5, comma 4-bis, del suddetto decreto, 
che prevede che i contratti di lavoro a tempo determinato di durata superiore a 
36 mesi siano trasformati in contratti di lavoro a tempo indeterminato. Inoltre, tale normativa 
non conterrebbe alcuna misura di prevenzione ai sensi del punto 1, lettera c), 
della medesima clausola. 

29 Peraltro, non sarebbe prevista alcuna misura sanzionatoria, poich� i contratti di lavoro 
a tempo determinato non potrebbero essere trasformati in contratti di lavoro a tempo indeterminato, 
secondo l�articolo 4, comma 14 bis, della legge n. 124/1999, se non in caso 
di immissione in ruolo sulla base delle graduatorie. Inoltre, sarebbe altres� escluso il diritto 
al risarcimento del danno causato dalla successione di contratti di lavoro a tempo 
determinato. Secondo la sentenza n. 10127/12 della Corte suprema di cassazione, infatti, 
l�articolo 36, comma 5, del decreto legislativo n. 165/2001, che prevede, in linea di principio, 
un siffatto diritto nel settore pubblico, non � applicabile qualora i contratti di 
lavoro a tempo determinato successivi abbiano superato il limite massimo di 36 mesi 
previsto dall�articolo 5, comma 4 bis, del decreto legislativo n. 368/2001. 

30 In secondo luogo, il giudice del rinvio, osservando che solo la scuola statale ha la facolt� 
di assumere personale a tempo determinato senza essere soggetta ai limiti previsti dal 
decreto legislativo n. 368/2001, comportando cos� una distorsione della concorrenza a 
danno della scuola privata, si chiede se la scuola statale rientri nella nozione di �settori 
e/o categorie specifici di lavoratori� ai sensi della clausola 5 dell�accordo quadro, che 
giustificano un regime distinto di prevenzione e di sanzioni per il ricorso abusivo a una 
successione di contratti di lavoro a tempo determinato. 


31 In terzo luogo, tale giudice si interroga sulla conformit� della normativa nazionale di 
cui trattasi rispetto alla clausola 4 dell�accordo quadro, nei limiti in cui essa prevede 
che un lavoratore del settore pubblico illegittimamente assunto a tempo determinato, a 
differenza di un lavoratore assunto a tempo indeterminato illegittimamente licenziato, 
non abbia diritto al risarcimento del danno subito. 

32 In quarto luogo, tale giudice, osservando che, nella causa che ha dato luogo all�ordinanza 
Affatato (C.3/10, EU:C:2010:574), il governo italiano ha sostenuto che l�articolo 5, 
comma 4 bis, del decreto legislativo n. 368/2001 � applicabile al settore pubblico, mentre 
la Corte suprema di cassazione ha dichiarato il contrario nella sua sentenza n. 10127/12, 
si chiede se, in considerazione del principio di leale cooperazione, tale erronea interpretazione 
del diritto nazionale da parte del governo non si debba pi� imporre ai giudici 
nazionali, rafforzando cos� il loro obbligo di procedere a un�interpretazione conforme 
al diritto dell�Unione. 

33 In quinto luogo, il Tribunale di Napoli si interroga sulla questione se la possibilit� di 
trasformazione di un contratto di lavoro a tempo determinato in contratto di lavoro a 
tempo indeterminato, prevista dall�articolo 5, comma 4 bis, del decreto legislativo n. 
368/2001, rientri nelle informazioni di cui all�articolo 2, paragrafi 1 e 2, lettera e), della 
direttiva 91/533 che il datore di lavoro � tenuto a comunicare al lavoratore e, in caso affermativo, 
se l�esclusione retroattiva dell�applicazione di tale articolo 5, comma 4 bis, 
alla scuola statale tramite il decreto legge n. 70/2011 sia conforme a detta direttiva. 

34 Infine, in sesto luogo, il giudice del rinvio si chiede se una siffatta modifica con efficacia 
retroattiva della normativa nazionale, che ha avuto come conseguenza di privare il personale 
della scuola statale di un diritto di cui godeva al momento dell�assunzione, sia 
compatibile con i principi generali del diritto dell�Unione. 

35 In tali circostanze, il Tribunale di Napoli ha deciso di sospendere il procedimento e di 
sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali, di cui la settima � stata sollevata 
unicamente nelle cause C.61/13 e C.62/13, mentre, nella causa C.63/13, sono state sollevate 
unicamente la seconda, la terza e la quarta questione, le quali costituiscono la 
prima, la seconda e la terza questione di tale ultima causa: 
�1) Se il contesto normativo del settore scuola, come descritto, costituisca misura equivalente 
ai sensi della clausola 5 della direttiva [1999/70]. 
2) Quando debba ritenersi che un rapporto di lavoro sia alle dipendenze dello �Stato�, 
ai sensi della clausola 5 della direttiva [1999/70] ed in particolare anche dell�inciso �settori 
e/o categorie specifiche di lavoratori� e quindi sia atto a legittimare conseguenze 
differenti rispetto ai rapporti di lavoro privati. 
3) Se, tenuto conto delle esplicazioni di cui all�articolo 3, [paragrafo] 1, lettera c), della 
direttiva 2000/78/CE [del Consiglio, del 27 novembre 2000, che stabilisce un quadro 
generale per la parit� di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro 
(GU L 303, pag. 16)] ed all�articolo 14, [paragrafo] 1, lettera c), della direttiva 
2006/54/CE [del Parlamento europeo e del Consiglio, del 5 luglio 2006, riguardante 
l�attuazione del principio delle pari opportunit� e della parit� di trattamento fra uomini 
e donne in materia di occupazione e impiego (GU L 204, pag. 23)], nella nozione di 
condizioni di impiego di cui alla clausola 4 della direttiva [1999/70] siano comprese 
anche le conseguenze dell�illegittima interruzione del rapporto di lavoro; [i]n ipotesi di 
risposta positiva al quesito che precede, se la diversit� tra le conseguenze ordinariamente 
previste nell�ordinamento interno per la illegittima interruzione del rapporto di lavoro 


CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 65 

a tempo indeterminato ed a tempo determinato siano giustificabili ai sensi della clausola 
4 [della direttiva 1999/70]. 
4) Se, in forza del principio di leale cooperazione, ad uno Stato sia vietato rappresentare 
in un procedimento pregiudiziale interpretativo alla Corte (�) un quadro normativo interno 
volutamente non corrispondente al vero ed il giudice sia obbligato, in assenza di 
una diversa interpretazione del diritto interno ugualmente satisfattiva degli obblighi derivanti 
dalla appartenenza alla Unione europea, ad interpretare, ove possibile, il diritto 
interno conformemente alla interpretazione offerta dallo Stato. 
5) Se nelle condizioni applicabili al contratto o al rapporto di lavoro previste dalla direttiva 
[91/533] e segnatamente dall�articolo 2, [paragrafi] 1 e 2, [lettera] e), rientri la 
indicazione delle ipotesi in cui il contratto di lavoro a termine si pu� trasformare in contratto 
a tempo indeterminato. 
6) In ipotesi di risposta positiva al quesito che precede se una modifica con efficacia retroattiva 
del quadro normativo tale che non garantisca al lavoratore subordinato la possibilit� 
di far valere i suoi diritti derivanti dalla direttiva [91/533], ovvero il rispetto delle 
condizioni di lavoro indicate nel documento di assunzione, sia contrari[a] all�articolo 
8, [paragrafo] 1, della direttiva [91/533] ed alle finalit� di cui alla [stessa] ed in particolare 
al 2� �considerando�. 
7) Se i principi generali del vigente diritto [dell�Unione] della certezza del diritto, della 
tutela del legittimo affidamento, della uguaglianza delle armi del processo, dell�effettiva 
tutela giurisdizionale, [del diritto] a un tribunale indipendente e, pi� in generale, a un 
equo processo, garantiti dall�[articolo 6 TUE] (�) � in combinato disposto con l�articolo 
6 della [CEDU], e con gli artt. 46, 47 e 52, paragrafo 3, della Carta dei diritti fondamentali 
dell�Unione (�) � debbano essere interpretati nel senso di ostare, nell�ambito di applicazione 
della direttiva [1999/70], all�emanazione da parte dello Stato italiano, dopo un 
arco temporale apprezzabile (3 anni e sei mesi), di una disposizione normativa, quale 
l�articolo 9 del decreto legge n. 70[/2011] convertito con L. 12 luglio 2011, n. 106, [che] 
ha aggiunto il comma 4-bis all�articolo 10 del [decreto legislativo n. 368/2001] � atta ad 
alterare le conseguenze dei processi in corso danneggiando direttamente il lavoratore a 
vantaggio del datore di lavoro � [S]tato ed eliminando la possibilit� conferita dall�[o]rdinamento 
interno di sanzionare l�abusiva reiterazione di contratti a termine�. 

36 Con ordinanza del presidente della Corte dell�8 marzo 2013, le cause C.22/13 e da 
C.61/13 a C.63/13 sono state riunite ai fini delle fasi scritta ed orale del procedimento, 
nonch� della sentenza. 
La causa C.418/13 

37 Le sig.re Napolitano, Cittadino e Zangari nonch� i sigg. Perrella e Romano sono stati assunti 
dal Ministero mediante contratti di lavoro a tempo determinato successivi, i primi 
quattro in qualit� di docenti e l�ultimo in qualit� di collaboratore amministrativo. Dagli 
elementi forniti alla Corte risulta che, conformemente a tali contratti, essi hanno lavorato 
per i propri rispettivi datori di lavoro per i seguenti periodi: 55 mesi su un periodo di 6 
anni per la sig.ra Napolitano (tra il 2005 e il 2010), 100 mesi su un periodo di 10 anni per 
la sig.ra Cittadino (tra il 2002 e il 2012); 113 mesi su un periodo di 11 anni per la sig.ra 
Zangari (tra il 2001 e il 2012), 81 mesi su un periodo di 7 anni per la sig.ra Perrella (tra il 
2003 e il 2010) e 47 mesi su un periodo di 4 anni per il sig. Romano (tra il 2007 e il 2011). 

38 Ritenendo illegittime tali assunzioni a tempo determinato successive, i ricorrenti nei 
procedimenti principali hanno adito, rispettivamente, il Tribunale di Roma e il Tribunale 


di Lamezia Terme, chiedendo, in via principale, la conversione dei loro rispettivi contratti 
in contratti di lavoro a tempo indeterminato e, di conseguenza, la loro immissione 
in ruolo e il pagamento delle retribuzioni corrispondenti ai periodi di interruzione tra la 
scadenza di un contratto a tempo determinato e l�entrata in vigore di quello successivo. 
In subordine, i ricorrenti nel procedimento principale hanno chiesto altres� il risarcimento 
del danno subito. 

39 Nell�ambito delle controversie di cui sono stati investiti, il Tribunale di Roma e il Tribunale 
di Lamezia Terme si sono interrogati sulla compatibilit� dell�articolo 4, commi 
1 e 11, della legge n. 124/1999 con la clausola 5 dell�accordo quadro, in quanto tale disposizione 
consente all�amministrazione di assumere, senza limiti, a tempo determinato, 
personale docente, tecnico o amministrativo al fine di coprire posti vacanti nell�organico 
di una scuola. Ritenendo di non poter decidere tale questione n� attraverso un�interpretazione 
conforme, essendo la suddetta disposizione formulata in maniera non equivoca, 
n� tramite la sua disapplicazione, essendo detta clausola 5 priva di effetto diretto, tali 
giudici hanno sottoposto alla Corte costituzionale, in via incidentale, una questione di 
legittimit� costituzionale vertente sull�articolo 4, commi 1 e 11, della legge n. 124/1999 
per violazione dell�articolo 117, primo comma, della Costituzione della Repubblica italiana, 
letto in combinato disposto con la clausola 5 dell�accordo quadro. 

40 Nella sua ordinanza di rinvio, la Corte costituzionale constata che la normativa nazionale 
applicabile alla scuola statale non prevede, per quanto riguarda il personale assunto a 
tempo determinato, n� una durata massima totale dei contratti di lavoro a tempo determinato 
successivi, n� l�indicazione del numero massimo dei loro rinnovi, ai sensi della 
clausola 5, punto 1, lettere b) e c), dell�accordo quadro. Tale giudice si chiede tuttavia 
se detta normativa non possa essere giustificata da una �ragione obiettiva� ai sensi del 
punto 1, lettera a), della suddetta clausola. 

41 Secondo il giudice del rinvio, la normativa nazionale di cui trattasi nel procedimento 
principale � strutturata, almeno in via di principio, in modo tale che l�assunzione di personale 
con contratto di lavoro a tempo determinato possa soddisfare una siffatta ragione 
obiettiva. Il servizio scolastico sarebbe, infatti, �attivabile su domanda�, nel senso che 
il diritto fondamentale allo studio previsto dalla Costituzione della Repubblica italiana 
implica che lo Stato non pu� rifiutarsi di erogarlo e, di conseguenza, che esso � tenuto 
ad organizzarlo in modo da poterlo adattare costantemente alle evoluzioni della popolazione 
scolastica. Tale insita esigenza di flessibilit� renderebbe indispensabile l�assunzione 
di un numero significativo di docenti e di personale delle scuole statali con 
contratti di lavoro a tempo determinato. Peraltro, il sistema delle graduatorie permanenti, 
associato a quello dei concorsi pubblici, garantirebbe il rispetto di criteri oggettivi al 
momento dell�assunzione di personale mediante siffatti contratti di lavoro a tempo determinato 
e consentirebbe allo stesso personale di avere una possibilit� ragionevole di 
diventare di ruolo in un posto permanente. 

42 La Corte costituzionale rileva tuttavia che l�articolo 4, comma 1, della legge n. 124/1999, 
sebbene non preveda il rinnovo reiterato di contratti di lavoro a tempo determinato e 
non escluda il diritto al risarcimento del danno, consente di provvedere a supplenze annuali 
per posti vacanti e disponibili �in attesa dell�espletamento delle procedure concorsuali 
per l�assunzione di personale docente di ruolo�. Orbene, le procedure 
concorsuali sarebbero state interrotte tra il 2000 e il 2011. Tale disposizione potrebbe 
cos� configurare la possibilit� di un rinnovo dei contratti a tempo determinato senza la 


CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 67 

previsione di tempi certi per lo svolgimento dei concorsi. Tale circostanza, combinata 
all�assenza di disposizioni che riconoscano il diritto al risarcimento del danno al personale 
delle scuole statali che sia stato indebitamente assoggettato a una successione di 
contratti di lavoro a tempo determinato, potrebbe porsi in conflitto con la clausola 5, 
punto 1, dell�accordo quadro. 

43 In tali circostanze, la Corte costituzionale ha deciso di sospendere il procedimento e di 
sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali: 
�1) Se la clausola 5, punto 1, dell�accordo quadro (...) debba essere interpretata nel senso 
che osta all�applicazione dell�articolo 4, commi 1, ultima proposizione, e 11, della legge 

[n. 124/1999] � i quali, dopo aver disciplinato il conferimento di supplenze annuali su 
posti �che risultino effettivamente vacanti e disponibili entro la data del 31 dicembre�, 
dispongono che si provvede mediante il conferimento di supplenze annuali, �in attesa 
dell�espletamento delle procedure concorsuali per l�assunzione di personale docente di 
ruolo� � disposizione la quale consente che si faccia ricorso a contratti a tempo determinato 
senza indicare tempi certi per l�espletamento dei concorsi e in una condizione 
che non prevede il diritto al risarcimento del danno; 
2) Se costituiscano ragioni obiettive, ai sensi della clausola 5, punto 1, dell�[accordo 
quadro], le esigenze di organizzazione del sistema scolastico italiano come sopra delineato, 
tali da rendere compatibile con il diritto dell�Unione europea una normativa come 
quella italiana che per l�assunzione del personale scolastico a tempo determinato non 
prevede il diritto al risarcimento del danno�. 

44 Con decisione della Corte dell�11 febbraio 2014, le cause C.22/13 e da C.61/13 a 
C.63/13 nonch� la causa C.418/13 sono state riunite ai fini delle fasi scritta ed orale del 
procedimento, nonch� della sentenza. 
Sulle questioni pregiudiziali 

45 Con le loro questioni, i giudici del rinvio interrogano la Corte sull�interpretazione, rispettivamente, 
della clausola 5, punto 1, dell�accordo quadro (prima e seconda questione nelle 
cause C.22/13, C.61/13 e C.62/13, prima questione nella causa C.63/13 nonch� prima e 
seconda questione nella causa C.418/13), della clausola 4 di tale accordo quadro (terza 
questione nelle cause C.22/13, C.61/13 e C.62/13 nonch� seconda questione nella causa 
C.63/13), del principio di leale cooperazione (quarta questione nelle cause C.22/13, 
C.61/13 e C.62/13 nonch� terza questione nella causa C.63/13), della direttiva 91/533 
(quinta e sesta questione nelle cause C.22/13, C.61/13 e C.62/13), nonch� di numerosi 
principi generali del diritto dell�Unione (settima questione nelle cause C.61/13 e C.62/13). 
Sulla ricevibilit� 

46 Il Comune di Napoli fa valere che l�interpretazione del diritto dell�Unione richiesta dal 
Tribunale di Napoli nella causa C.63/13 non � necessaria per la decisione della controversia 
principale e che, pertanto, la domanda pregiudiziale in tale causa � irricevibile 
nel suo complesso. Tale giudice avrebbe esso stesso indicato nella sua ordinanza di rinvio 
di ritenere che, alla luce della giurisprudenza della Corte relativa all�accordo quadro, 
le misure adottate dal legislatore nazionale per la sua trasposizione siano insufficienti. 
Spetterebbe, pertanto, a detto giudice decidere la controversia di cui al procedimento 
principale facendo ricorso all�interpretazione conforme del diritto nazionale rispetto al 
diritto dell�Unione. 

47 Si deve, tuttavia, ricordare che, secondo una giurisprudenza costante, nell�ambito della cooperazione 
tra la Corte e i giudici nazionali istituita dall�articolo 267 TFUE, spetta soltanto 


al giudice nazionale, cui � stata sottoposta la controversia e che deve assumersi la responsabilit� 
dell�emananda decisione giurisdizionale, valutare, alla luce delle particolari circostanze 
della causa, sia la necessit� di una pronuncia pregiudiziale per essere in grado di 
emettere la propria sentenza, sia la rilevanza delle questioni che sottopone alla Corte (sentenza 
Rosado Santana, C.177/10, EU:C:2011:557, punto 32 e giurisprudenza ivi citata). 

48 Come la Corte ha ripetutamente dichiarato, i giudici nazionali hanno, a tale riguardo, la 
pi� ampia facolt� di adire la Corte qualora ritengano che una causa dinanzi ad essi pendente 
faccia sorgere questioni che richiedono un�interpretazione delle disposizioni del 
diritto dell�Unione (v., in particolare, sentenze Kri.an e a., C.416/10, EU:C:2013:8, 
punto 64, nonch� Ogieriakhi, C.244/13, EU:C:2014:2068, punto 52). 

49 Ne consegue che l�esistenza di una giurisprudenza consolidata su un punto di diritto 
dell�Unione, sebbene possa portare la Corte ad adottare un�ordinanza ai sensi dell�articolo 
99 del suo regolamento di procedura, non pu� assolutamente compromettere la ricevibilit� 
di un rinvio pregiudiziale nel caso in cui un giudice nazionale decida, 
nell�ambito di tale potere discrezionale, di adire la Corte ai sensi dell�articolo 267 TFUE. 

50 Ci� posto, va ricordato, altres�, che, secondo costante giurisprudenza, la Corte pu� rifiutare 
di pronunciarsi su una questione pregiudiziale sollevata da un giudice nazionale, 
qualora risulti manifestamente che l�interpretazione del diritto dell�Unione richiesta non 
abbia alcuna relazione con l�effettivit� o con l�oggetto del giudizio principale oppure 
qualora il problema sia di natura ipotetica, oppure nel caso in cui la Corte non disponga 
degli elementi di fatto o di diritto necessari per fornire una soluzione utile alle questioni 
che le vengono sottoposte (v., in particolare, sentenza �rsekcsan�di Mez.gazdas�gi, 
C.56/13, EU:C:2014:352, punto 36 e giurisprudenza ivi citata). 

51 Nel caso di specie, si deve osservare che, nella causa C.63/13, il giudice del rinvio sottopone 
alla Corte tre questioni pregiudiziali identiche alla seconda, terza e quarta questione 
gi� sollevate nelle cause C.22/13, C.61/13 e C.62/13. 

52 Tuttavia, dall�ordinanza di rinvio nella causa C.63/13 risulta che il contesto sia di fatto 
che di diritto relativo a tale causa � distinto da quello di cui trattasi nelle altre tre cause, 
poich�, secondo il giudice del rinvio, la sig.ra Russo, in qualit� di educatrice impiegata 
in asili nido e in scuole materne comunali, non � soggetta, a differenza delle sig.re Ma-
scolo, Forni e Racca, nonch�, del resto, dei ricorrenti nel procedimento principale nella 
causa C.418/13, alla normativa nazionale applicabile alla scuola statale risultante dalla 
legge n. 124/1999, ma resta sottoposta alla normativa generale prevista, in particolare, 
dal decreto legislativo n. 368/2001. 

53 In tali circostanze, risulta che la prima questione sollevata nella causa C.63/13, vertente, 
come nelle cause C.22/13, C.61/13 e C.62/13, sulla conformit� alla clausola 5 dell�accordo 
quadro della normativa nazionale prevista dalla legge n. 124/1999, nei limiti in 
cui quest�ultima consente allo Stato di assumere personale nelle scuole da esso gestite 
con contratti di lavoro a tempo determinato, senza essere soggetto, a differenza delle 
scuole private, ai limiti posti dal decreto legislativo n. 368/2001, � irrilevante ai fini 
della decisione della controversia di cui al procedimento principale nella causa C.63/13 
e ha, pertanto, natura ipotetica. 

54 Lo stesso vale anche per la seconda questione sollevata in tale causa, diretta sostanzialmente 
a sapere se la normativa nazionale di cui trattasi, come risulta in particolare dal-
l�articolo 36, comma 5, del decreto legislativo n. 165/2001, sia conforme alla clausola 
4 dell�accordo quadro, nei limiti in cui detta normativa esclude, nel settore pubblico, il 


CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 69 

diritto al risarcimento del danno in caso di ricorso abusivo a una successione di contratti 
di lavoro a tempo determinato. 

55 Lo stesso Tribunale di Napoli, infatti, constata, nella sua ordinanza di rinvio nella causa 
C.63/13, che la ricorrente nel procedimento principale beneficia, a differenza delle ricorrenti 
nei procedimenti principali nelle cause C.22/13, C.61/13 e C.62/13, dell�applicazione 
dell�articolo 5, comma 4 bis, del decreto legislativo n. 368/2001, disposizione 
che prevede la trasformazione dei contratti a tempo determinato successivi di durata superiore 
a 36 mesi in contratto di lavoro a tempo indeterminato. Da tale constatazione 
detto giudice rileva, giustamente, che la citata disposizione costituisce una misura che, 
nei limiti in cui previene il ricorso abusivo a siffatti contratti e implica l�eliminazione 
definitiva delle conseguenze dell�abuso, � conforme ai requisiti derivanti dal diritto 
dell�Unione (v., in particolare, sentenza Fiamingo e a., C.362/13, C.363/13 e C.407/13, 
EU:C:2014:2044, punti 69 e 70, nonch� giurisprudenza ivi citata). 

56 Si deve constatare che detto giudice non spiega assolutamente in che modo, in siffatte 
circostanze, la sua seconda questione nella causa C.63/13 sia ancora rilevante per pronunciarsi, 
nella controversia di cui al procedimento principale, sulla conformit� della 
normativa nazionale di cui trattasi al diritto dell�Unione. 

57 In ogni caso, dall�ordinanza di rinvio non risulta assolutamente in che modo un lavoratore 
che benefici di una siffatta trasformazione, la cui domanda di risarcimento �, peraltro, 
presentata in via subordinata, subisca, al pari dei lavoratori che si trovino nella 
situazione delle ricorrenti nei procedimenti all�origine delle cause C.22/13, C.61/13 e 
C.62/13, che sono esclusi dall�applicazione di tale articolo 5, comma 4 bis, un danno 
che dia diritto al risarcimento. 

58 In tali circostanze, si deve ritenere che anche la seconda questione sollevata nella causa 
C.63/13 sia di natura ipotetica. 

59 Il Comune di Napoli, il governo italiano e la Commissione europea, inoltre, mettono in 
discussione la ricevibilit� della quarta questione nelle cause C.22/13, C.61/13 e C.62/13 
nonch� della terza questione nella causa C.63/13, per il motivo, sostanzialmente, che la 
risposta a tali questioni �, in tutto o in parte, irrilevante ai fini delle controversie di cui 
ai procedimenti principali. 

60 Si deve osservare che tali questioni, la cui formulazione � identica, si fondano, come 
gi� constatato al punto 32 della presente sentenza, sulla premessa in forza della quale 
l�interpretazione del diritto nazionale apportata dal governo italiano nella causa che ha 
dato luogo all�ordinanza Affatato (EU:C:2010:574, punto 48), secondo cui l�articolo 5, 
comma 4 bis, del decreto legislativo n. 368/2001 � applicabile al settore pubblico, � erronea 
e, pertanto, integra una violazione da parte dello Stato membro interessato del 
principio di leale cooperazione. 

61 Tale interpretazione, come risulta dai punti 14 e 15 della presente sentenza, corrisponde 
tuttavia pienamente all�interpretazione apportata nel caso di specie dal Tribunale di Napoli, 
e alla luce della quale, secondo una giurisprudenza costante, la Corte deve effettuare 
l�esame dei presenti rinvii pregiudiziali (v., in particolare, sentenza Pontin, C.63/08, 
EU:C:2009:666, punto 38). Tale giudice indica, infatti esplicitamente nelle sue ordinanze 
di rinvio che, a suo avviso, il legislatore nazionale non ha inteso escludere l�applicazione 
di detto articolo 5, comma 4 bis, al settore pubblico. 

62 Inoltre, come risulta dal punto 28 della presente sentenza, lo stesso giudice del rinvio 
ritiene, cosa che rientra nella sua competenza esclusiva, che l�articolo 5, comma 4 bis, 


del decreto legislativo n. 368/2001, sebbene si applichi al settore pubblico, non sia applicabile 
alla scuola statale, di modo che tale disposizione non � rilevante ai fini delle 
controversie principali nelle cause C.22/13, C.61/13 e C.62/13. 

63 Ne consegue che la quarta questione nelle cause C.22/13, C.61/13 e C.62/13 nonch� la 
terza questione nella causa C.63/13 sono ipotetiche. 

64 Alla luce di tutto quanto precede, si deve rilevare che la domanda di pronuncia pregiudiziale 
nella causa C.63/13, nel suo complesso, nonch� la quarta questione nelle cause 
C.22/13, C.61/13 e C.62/13 sono, conformemente alla giurisprudenza ricordata al punto 
50 della presente sentenza, irricevibili. 

Nel merito 

65 Con la prima questione nelle cause C.22/13, C.61/13 e C.62/13 nonch� con le due questioni 
nella causa C.418/13, che occorre esaminare congiuntamente, i giudici del rinvio 
intendono, in sostanza, sapere se la clausola 5, punto 1, dell�accordo quadro debba essere 
interpretata nel senso che osta a una normativa nazionale, quale quella di cui ai procedimenti 
principali, che autorizzi, in attesa dell�espletamento di procedure concorsuali per 
l�assunzione di personale di ruolo delle scuole statali, il rinnovo di contratti di lavoro a 
tempo determinato per la copertura di posti vacanti e disponibili di docenti nonch� di personale 
amministrativo, tecnico e ausiliario, senza indicare tempi certi per l�espletamento 
di tali concorsi ed escludendo qualsiasi possibilit�, per tali docenti e detto personale, di 
ottenere il risarcimento del danno eventualmente subito a causa di un siffatto rinnovo. 

Sull�ambito di applicazione dell�accordo quadro 

66 Il governo ellenico fa valere che � inopportuno che il settore dell�insegnamento sia soggetto 
alle disposizioni dell�accordo quadro relative al ricorso abusivo a una successione 
di contratti di lavoro a tempo determinato. Tale settore si caratterizzerebbe, infatti dal-
l�esistenza di �esigenze (�) specifiche� ai sensi della clausola 5, punto 1, di tale accordo 
quadro, poich� l�insegnamento � volto a garantire il rispetto del diritto allo studio ed � 
indispensabile al buon funzionamento del sistema scolastico. 

67 A tale proposito va ricordato che, dalla formulazione stessa della clausola 2, punto 1, 
dell�accordo quadro, risulta che l�ambito di applicazione di quest�ultimo � concepito in 
senso ampio, poich� riguarda in generale i �lavoratori a tempo determinato con un contratto 
di assunzione o un rapporto di lavoro disciplinato dalla legge, dai contratti collettivi 

o dalla prassi in vigore di ciascuno Stato membro�. Inoltre, la definizione della nozione 
di �lavoratore a tempo determinato� ai sensi dell�accordo quadro, enunciata alla clausola 
3, punto 1, di quest�ultimo, include tutti i lavoratori, senza operare distinzioni basate 
sulla natura pubblica o privata del loro datore di lavoro e a prescindere dalla qualificazione 
del loro contratto in diritto interno (v. sentenza Fiamingo e a., EU:C:2014:2044, 
punti 28 e 29 nonch� giurisprudenza ivi citata). 

68 Pertanto, l�accordo quadro si applica all�insieme dei lavoratori che forniscono prestazioni 
retribuite nell�ambito di un rapporto di lavoro a tempo determinato che li lega al 
loro datore di lavoro, purch� questi siano vincolati da un contratto di lavoro ai sensi del 
diritto nazionale, e fatto salvo soltanto il margine di discrezionalit� conferito agli Stati 
membri dalla clausola 2, punto 2, dell�accordo quadro per quanto attiene all�applicazione 
di quest�ultimo a talune categorie di contratti o di rapporti di lavoro nonch� all�esclusione, 
conformemente al quarto comma del preambolo dell�accordo quadro, dei lavoratori 
interinali (v. sentenza Fiamingo e a., EU:C:2014:2044, punti da 30 a 33 nonch� 
giurisprudenza ivi citata). 


CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 71 

69 Ne consegue che l�accordo quadro non esclude nessun settore particolare dalla sua sfera 
d�applicazione e che, pertanto, � applicabile al personale assunto nel settore dell�insegnamento 
(v., in tal senso, sentenza Fiamingo e a., EU:C:2014:2044, punto 38). 

70 Tale conclusione � avvalorata dal contenuto della clausola 5, punto 1, dell�accordo quadro, 
da cui si ricava che, conformemente al terzo comma del preambolo dell�accordo 
quadro nonch� ai punti 8 e 10 delle sue considerazioni generali, � nell�ambito dell�attuazione 
di detto accordo quadro che gli Stati membri hanno facolt�, in quanto ci� sia 
oggettivamente giustificato, di tener conto delle esigenze particolari relative ai settori 
di attivit� e/o alle categorie specifici di lavoratori in questione (sentenza Fiamingo e a., 
EU:C:2014:2044, punto 39). 

71 Ne deriva che lavoratori che si trovino nella situazione dei ricorrenti nei procedimenti 
principali, assunti in qualit� di docenti o di collaboratori amministrativi per effettuare 
supplenze annuali in scuole statali nell�ambito di contratti di lavoro ai sensi del diritto 
nazionale, che incontestabilmente non rientrano in rapporti di lavoro che possano essere 
esclusi dall�ambito di applicazione dell�accordo quadro, sono soggetti alle disposizioni 
dello stesso, e in particolare, alla sua clausola 5 (v., per analogia, sentenza M�rquez Samohano, 
C.190/13, EU:C:2014:146, punto 39). 
Sull�interpretazione della clausola 5, punto 1, dell�accordo quadro 

72 Occorre ricordare che la clausola 5, punto 1, dell�accordo quadro mira ad attuare uno 
degli obiettivi perseguiti dallo stesso, vale a dire limitare il ricorso a una successione di 
contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato, considerato come una potenziale 
fonte di abuso in danno dei lavoratori, prevedendo un certo numero di disposizioni di 
tutela minima tese ad evitare la precarizzazione della situazione dei lavoratori dipendenti 
(v., in particolare, sentenze Adeneler e a., C.212/04, EU:C:2006:443, punto 63; K�c�k, 
C.586/10, EU:C:2012:39, punto 25, nonch� Fiamingo e a., EU:C:2014:2044, punto 54). 

73 Come risulta dal secondo comma del preambolo dell�accordo quadro, cos� come dai 
punti 6 e 8 delle considerazioni generali di detto accordo quadro, infatti, il beneficio 
della stabilit� dell�impiego � inteso come un elemento portante della tutela dei lavoratori, 
mentre soltanto in alcune circostanze i contratti di lavoro a tempo determinato sono atti 
a rispondere alle esigenze sia dei datori di lavoro sia dei lavoratori (sentenze Adeneler 
e a., EU:C:2006:443, punto 62, nonch� Fiamingo e a., EU:C:2014:2044, punto 55). 

74 Pertanto, la clausola 5, punto 1, dell�accordo quadro impone agli Stati membri, al fine 
di prevenire l�utilizzo abusivo di una successione di contratti o rapporti di lavoro a tempo 
determinato, l�adozione effettiva e vincolante di almeno una delle misure che essa 
elenca, qualora il loro diritto interno non contenga norme equivalenti. Le misure cos� 
elencate al punto 1, lettere da a) a c), di detta clausola, in numero di tre, attengono, rispettivamente, 
a ragioni obiettive che giustificano il rinnovo di tali contratti o rapporti 
di lavoro, alla durata massima totale degli stessi contratti o rapporti di lavoro successivi 
ed al numero dei rinnovi di questi ultimi (v., in particolare, sentenze K�c�k, 
EU:C:2012:39, punto 26, nonch� Fiamingo e a., EU:C:2014:2044, punto 56). 

75 Gli Stati membri dispongono di un�ampia discrezionalit� a tale riguardo, dal momento 
che essi hanno la scelta di far ricorso a una o a pi� misure enunciate al punto 1, lettere da 
a) a c), di detta clausola, oppure a norme giuridiche equivalenti gi� esistenti, e ci� tenendo 
conto, nel contempo, delle esigenze di settori e/o di categorie specifici di lavoratori (v. 
sentenza Fiamingo e a., EU:C:2014:2044, punto 59 nonch� giurisprudenza ivi citata). 

76 Cos� facendo, la clausola 5, punto 1, dell�accordo quadro fissa agli Stati membri un 


obiettivo generale, consistente nella prevenzione di siffatti abusi, lasciando loro nel contempo 
la scelta dei mezzi per conseguire ci�, purch� essi non rimettano in discussione 
l�obiettivo o l�effetto utile dell�accordo quadro (sentenza Fiamingo e a., 
EU:C:2014:2044, punto 60). 

77 Inoltre quando, come nel caso di specie, il diritto dell�Unione non prevede sanzioni specifiche 
nell�ipotesi in cui vengano nondimeno accertati abusi, spetta alle autorit� nazionali 
adottare misure che devono rivestire un carattere non solo proporzionato, ma anche 
sufficientemente energico e dissuasivo per garantire la piena efficacia delle norme adottate 
in applicazione dell�accordo quadro (v., in particolare, sentenza Fiamingo e a., 
EU:C:2014:2044, punto 62 nonch� giurisprudenza ivi citata). 

78 Seppure, in mancanza di una specifica disciplina dell�Unione in materia, le modalit� di 
applicazione di tali norme spettino all�ordinamento giuridico interno degli Stati membri 
in forza del principio dell�autonomia procedurale di questi ultimi, esse non devono essere 
per� meno favorevoli di quelle che riguardano situazioni analoghe di natura interna 
(principio di equivalenza) n� rendere in pratica impossibile o eccessivamente difficile 
l�esercizio dei diritti conferiti dall�ordinamento giuridico dell�Unione (principio di effettivit�) 
(v., in particolare, sentenza Fiamingo e a., EU:C:2014:2044, punto 63 nonch� 
giurisprudenza ivi citata). 

79 Da ci� discende che, quando si � verificato un ricorso abusivo a una successione di contratti 
o di rapporti di lavoro a tempo determinato, si deve poter applicare una misura che 
presenti garanzie effettive ed equivalenti di tutela dei lavoratori al fine di sanzionare debitamente 
tale abuso e cancellare le conseguenze della violazione del diritto dell�Unione 
(sentenza Fiamingo e a., EU:C:2014:2044, punto 64 nonch� giurisprudenza ivi citata). 

80 A tale proposito, occorre ricordare che, come sottolineato ripetutamente dalla Corte, 
l�accordo quadro non enuncia un obbligo generale degli Stati membri di prevedere la 
trasformazione dei contratti di lavoro a tempo determinato in un contratto a tempo indeterminato. 
Infatti, la clausola 5, punto 2, dell�accordo quadro lascia, in linea di principio, 
agli Stati membri la cura di determinare a quali condizioni i contratti o i rapporti 
di lavoro a tempo determinato vadano considerati come conclusi a tempo indeterminato. 
Da ci� discende che l�accordo quadro non prescrive le condizioni in presenza delle quali 
si pu� fare uso dei contratti a tempo indeterminato (v., in particolare, sentenza Fiamingo 
e a., EU:C:2014:2044, punto 65 nonch� giurisprudenza ivi citata). 

81 Nel caso di specie, per quanto concerne la normativa nazionale di cui trattasi nei procedimenti 
principali, occorre ricordare che la Corte non � competente a pronunciarsi 
sull�interpretazione delle disposizioni del diritto interno, dato che questo compito spetta 
esclusivamente al giudice del rinvio o, se del caso, ai competenti organi giurisdizionali 
nazionali, che devono determinare se i criteri ricordati ai punti da 74 a 79 della presente 
sentenza siano soddisfatti dalle disposizioni della normativa nazionale applicabile (v., 
in particolare, sentenza Fiamingo e a., EU:C:2014:2044, punto 66 nonch� giurisprudenza 
ivi citata). 

82 Spetta pertanto al giudice del rinvio valutare in che misura i presupposti per l�applicazione 
nonch� l�effettiva attuazione delle disposizioni rilevanti del diritto interno costituiscano 
una misura adeguata per prevenire e, se del caso, punire l�uso abusivo di una 
successione di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato (v. sentenza Fiamingo 
e a., EU:C:2014:2044, punto 67 nonch� giurisprudenza ivi citata). 

83 Tuttavia, la Corte, nel pronunciarsi su un rinvio pregiudiziale, pu� fornire, ove necessario, 


CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 73 

precisazioni dirette a guidare il giudice nazionale nella sua valutazione (v., in particolare, 
sentenza Fiamingo e a., EU:C:2014:2044, punto 68 nonch� giurisprudenza ivi citata). 

� Sull�esistenza di misure di prevenzione del ricorso abusivo a una successione di 
contratti di lavoro a tempo determinato 

84 Per quanto riguarda l�esistenza di misure di prevenzione dell�utilizzo abusivo di una 
successione di contratti di lavoro a tempo determinato ai sensi della clausola 5, punto 
1, dell�accordo quadro, � pacifico che la normativa nazionale di cui trattasi nei procedimenti 
principali consenta di assumere docenti con una successione di contratti di lavoro 
a tempo determinato per il conferimento di supplenze, senza prevedere alcuna misura 
che limiti la durata massima totale di tali contratti o il numero dei loro rinnovi, ai sensi 
del punto 1, lettere b) e c), di detta clausola. In particolare, il Tribunale di Napoli indica 
a tale riguardo, come risulta dal punto 28 della presente sentenza, che l�articolo 10, 
comma 4 bis, del decreto legislativo n. 368/2001 esclude l�applicazione alla scuola statale 
dell�articolo 5, comma 4 bis, di detto decreto, che prevede che i contratti di lavoro 
a tempo determinato di durata superiore a 36 mesi siano trasformati in contratti di lavoro 
a tempo indeterminato, permettendo cos� un numero di rinnovi illimitato di siffatti contratti. 
� anche incontestato che la normativa nazionale di cui trattasi nei procedimenti 
principali non preveda alcuna misura equivalente a quelle enunciate alla clausola 5, 
punto 1, dell�accordo quadro. 

85 In tali circostanze, � importante che il rinnovo di siffatti contratti di lavoro sia giustificato 
da una �ragione obiettiva� ai sensi della clausola 5, punto 1, lettera a), dell�accordo quadro. 

86 Come si evince dal punto 7 delle considerazioni generali di tale accordo, infatti, e come 
risulta dal punto 74 della presente sentenza, i firmatari dell�accordo quadro hanno ritenuto 
che l�uso di contratti di lavoro a tempo determinato basato su ragioni obiettive sia 
un mezzo per prevenire gli abusi (v. sentenze Adeneler e a., EU:C:2006:443, punto 67, 
nonch� Fiamingo e a., EU:C:2014:2044, punto 58). 

87 Per quanto riguarda tale nozione di �ragioni obiettive� che figura nella clausola 5, punto 
1, lettera a), dell�accordo quadro, la Corte ha gi� dichiarato che essa deve essere intesa 
nel senso che si riferisce a circostanze precise e concrete che contraddistinguono una 
determinata attivit� e, pertanto, tali da giustificare, in tale peculiare contesto, l�utilizzo 
di una successione di contratti di lavoro a tempo determinato. Dette circostanze possono 
risultare, segnatamente, dalla particolare natura delle funzioni per l�espletamento delle 
quali sono stati conclusi i contratti in questione, dalle caratteristiche ad esse inerenti o, 
eventualmente, dal perseguimento di una legittima finalit� di politica sociale di uno 
Stato membro (sentenza K�c�k, EU:C:2012:39, punto 27 e giurisprudenza ivi citata). 

88 Per contro, una disposizione nazionale che si limitasse ad autorizzare, in modo generale 
e astratto attraverso una norma legislativa o regolamentare, il ricorso ad una successione 
di contratti di lavoro a tempo determinato, non soddisfarebbe i requisiti precisati al punto 
precedente della presente sentenza. Infatti, una disposizione di tal genere, di natura puramente 
formale, non consente di stabilire criteri oggettivi e trasparenti al fine di verificare 
se il rinnovo di siffatti contratti risponda effettivamente ad un�esigenza reale, se esso sia 
idoneo a conseguire l�obiettivo perseguito e sia necessario a tal fine. Una siffatta disposizione 
comporta quindi un rischio concreto di determinare un ricorso abusivo a tale tipo 
di contratti e, pertanto, non � compatibile con lo scopo e l�effetto utile dell�accordo quadro 
(sentenza K�c�k, EU:C:2012:39, punti 28 e 29 nonch� giurisprudenza ivi citata). 

89 Nel caso di specie si deve, in via preliminare, rilevare che dalle ordinanze di rinvio e 


dalle spiegazioni fornite in udienza risulta che, in forza della normativa nazionale di cui 
trattasi nei procedimenti principali, come prevista dalla legge n. 124/1999, l�assunzione 
di personale nelle scuole statali ha luogo sia a tempo indeterminato tramite l�immissione 
in ruolo sia a tempo determinato mediante lo svolgimento di supplenze. L�immissione 
in ruolo si effettua secondo il sistema cosiddetto �del doppio canale�, ossia, quanto alla 
met� dei posti vacanti per anno scolastico, mediante concorsi per titoli ed esami e, quanto 
all�altra met�, attingendo alle graduatorie permanenti, nelle quali figurano i docenti che 
hanno vinto un siffatto concorso senza tuttavia ottenere un posto di ruolo, e quelli che 
hanno seguito corsi di abilitazione tenuti dalle scuole di specializzazione per l�insegnamento. 
Si � fatto ricorso alle supplenze attingendo alle medesime graduatorie: la successione 
delle supplenze da parte di uno stesso docente ne comporta l�avanzamento in 
graduatoria e pu� condurlo all�immissione in ruolo. 

90 Dalle stesse ordinanze di rinvio emerge che la normativa nazionale di cui trattasi, come 
risulta dall�articolo 4 della legge n. 124/1999, letto in combinato disposto con l�articolo 
1 del decreto n. 131/2007, prevede tre tipi di supplenze: in primo luogo, le supplenze 
annuali sull�organico �di diritto�, in attesa dell�espletamento di procedure concorsuali 
per l�assunzione di personale di ruolo, per posti vacanti e disponibili, in quanto privi di 
titolare, il cui termine corrisponde a quello dell�anno scolastico, ossia il 31 agosto; in 
secondo luogo, le supplenze temporanee sull�organico �di fatto�, per posti non vacanti, 
ma disponibili, il cui termine corrisponde a quello delle attivit� didattiche, ossia il 30 
giugno, e, in terzo luogo, le supplenze temporanee, o supplenze brevi, nelle altre ipotesi, 
il cui termine corrisponde alla cessazione delle esigenze per le quali sono state disposte. 

91 Si deve sottolineare che una normativa nazionale che consenta il rinnovo di contratti di 
lavoro a tempo determinato per sostituire, da un lato, personale delle scuole statali in 
attesa dell�esito di procedure concorsuali per l�assunzione di personale di ruolo nonch�, 
dall�altro, personale di tali scuole che si trova momentaneamente nell�impossibilit� di 
svolgere le sue funzioni non � di per s� contraria all�accordo quadro. Infatti, la sostituzione 
temporanea di un altro dipendente al fine di soddisfare, in sostanza, esigenze provvisorie 
del datore di lavoro in termini di personale pu�, in linea di principio, costituire 
una �ragione obiettiva� ai sensi della clausola 5, punto 1, lettera a), di tale accordo quadro 
(v., in tal senso, sentenze Angelidaki e a., da C.378/07 a C.380/07, EU:C:2009:250, 
punti 101 e 102, nonch� K�c�k, EU:C:2012:39, punto 30). 

92 A tale riguardo, occorre, innanzitutto, ricordare che, nell�ambito di un�amministrazione 
che dispone di un organico significativo, come il settore dell�insegnamento, � inevitabile 
che si rendano spesso necessarie sostituzioni temporanee a causa, segnatamente, del-
l�indisponibilit� di dipendenti che beneficiano di congedi per malattia, per maternit�, 
parentali o altri. La sostituzione temporanea di dipendenti in tali circostanze pu� costituire 
una ragione obiettiva ai sensi della clausola 5, punto 1, lettera a), dell�accordo quadro, 
che giustifica sia la durata determinata dei contratti conclusi con il personale 
supplente, sia il rinnovo di tali contratti in funzione delle esigenze emergenti, fatto salvo 
il rispetto dei requisiti fissati al riguardo dall�accordo quadro (v., in tal senso, sentenza 
K�c�k, EU:C:2012:39, punto 31). 

93 Tale conclusione si impone a maggior ragione allorch� la normativa nazionale che giustifica 
il rinnovo di contratti a tempo determinato in caso di sostituzione temporanea 
persegue altres� obiettivi di politica sociale riconosciuti come legittimi. Infatti, come risulta 
dal punto 87 della presente sentenza, la nozione di �ragione obiettiva� che figura 


CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 75 

alla clausola 5, punto 1, lettera a), dell�accordo quadro comprende il perseguimento di 
siffatti obiettivi. Orbene, misure dirette, in particolare, a tutelare la gravidanza e la maternit� 
nonch� a consentire agli uomini e alle donne di conciliare i loro obblighi professionali 
e familiari perseguono obiettivi legittimi di politica sociale (v. sentenza K�c�k, 
EU:C:2012:39, punti 32 e 33 nonch� giurisprudenza ivi citata). 

94 Inoltre, va rilevato che, come risulta, in particolare, dall�ordinanza di rinvio nella causa 
C.418/13, l�insegnamento � correlato a un diritto fondamentale garantito dalla Costituzione 
della Repubblica italiana che impone a tale Stato l�obbligo di organizzare il servizio 
scolastico in modo da garantire un adeguamento costante tra il numero di docenti 
e il numero di scolari. Orbene, non si pu� negare che tale adeguamento dipenda da un 
insieme di fattori, taluni dei quali possono, in una certa misura, essere difficilmente controllabili 
o prevedibili, quali, in particolare, i flussi migratori esterni ed interni o le scelte 
di indirizzi scolastici da parte degli scolari. 

95 Si deve ammettere che fattori del genere attestano, nel settore dell�insegnamento di cui 
trattasi nei procedimenti principali, un�esigenza particolare di flessibilit� che, conformemente 
alla giurisprudenza ricordata al punto 70 della presente sentenza, � idonea, in 
tale specifico settore, a giustificare oggettivamente, alla luce della clausola 5, punto 1, 
lettera a), dell�accordo quadro, il ricorso a una successione di contratti di lavoro a tempo 
determinato per rispondere in maniera adeguata alla domanda scolastica ed evitare di 
esporre lo Stato, quale datore di lavoro in tale settore, al rischio di dover immettere in 
ruolo un numero di docenti significativamente superiore a quello effettivamente necessario 
per adempiere i propri obblighi in materia. 

96 Infine, va constatato che, qualora uno Stato membro riservi, nelle scuole da esso gestite, 
l�accesso ai posti permanenti al personale vincitore di concorso, tramite l�immissione 
in ruolo, pu� altres� oggettivamente giustificarsi, alla luce di detta disposizione, che, in 
attesa dell�espletamento di tali concorsi, i posti da occupare siano coperti con una successione 
di contratti di lavoro a tempo determinato. 

97 I ricorrenti nei procedimenti principali sostengono tuttavia che la normativa nazionale 
di cui trattasi in tali procedimenti, quale risulta dall�articolo 4, comma 1, della legge n. 
124/1999, che consente proprio il rinnovo di contratti di lavoro a tempo determinato per 
coprire, tramite supplenze annuali, posti vacanti e disponibili �in attesa dell�espletamento 
delle procedure concorsuali per l�assunzione di personale docente di ruolo�, porti, 
nella pratica, a un ricorso abusivo a una successione di contratti di lavoro a tempo determinato, 
poich� non esiste alcuna certezza riguardo alla data alla quale tali procedure 
concorsuali devono essere organizzate. Il rinnovo di siffatti contratti di lavoro a tempo 
determinato consentirebbe cos� di soddisfare esigenze permanenti e durevoli nelle scuole 
statali derivanti dalla mancanza strutturale di personale di ruolo. 

98 Dal canto suo, il governo italiano fa valere che il sistema cosiddetto del doppio canale, 
come descritto al punto 89 della presente sentenza, consente di inserire il personale a 
tempo determinato della scuola statale in un percorso che conduce alla sua immissione 
in ruolo, poich� tale personale pu� non solo partecipare a concorsi pubblici, ma anche, 
per effetto dell�avanzamento nelle graduatorie risultante dalla successione delle supplenze, 
contabilizzare un numero di periodi di attivit� a tempo determinato sufficienti 
per essere immesso in ruolo. Orbene, tali graduatorie dovrebbero essere �ad esaurimento
�, nel senso che, quando un certo numero di docenti vi � iscritto, esse non possono 
pi� essere alimentate. Tali graduatorie costituirebbero quindi uno strumento tendente a 


contrastare il precariato del lavoro. Indipendentemente dalla specifica situazione di fatto, 
la normativa nazionale di cui trattasi dovrebbe quindi essere considerata conforme alla 
clausola 5, punto 1, lettera a), dell�accordo quadro. 

99 A tale riguardo, occorre sottolineare che, sebbene una normativa nazionale che consenta 
il rinnovo di contratti di lavoro a tempo determinato successivi per la sostituzione di 
personale in attesa dell�esito di procedure concorsuali possa essere giustificata da una 
ragione obiettiva, l�applicazione concreta di tale ragione, in considerazione delle particolarit� 
dell�attivit� di cui trattasi e delle condizioni del suo esercizio, deve essere conforme 
ai requisiti dell�accordo quadro. Nell�applicazione della disposizione del diritto 
nazionale di cui trattasi, le autorit� competenti devono quindi essere in grado di stabilire 
criteri obiettivi e trasparenti al fine di verificare se il rinnovo di siffatti contratti risponda 
effettivamente ad un�esigenza reale, sia atto a raggiungere lo scopo perseguito e sia necessario 
a tal fine (v., in tal senso, sentenza K�c�k, EU:C:2012:39, punto 34 e giurisprudenza 
ivi citata). 

100 Orbene, come la Corte ha gi� dichiarato in numerose occasioni, il rinnovo di contratti o 
di rapporti di lavoro a tempo determinato al fine di soddisfare esigenze che, di fatto, 
hanno un carattere non gi� provvisorio, ma, al contrario, permanente e durevole, non � 
giustificato ai sensi della clausola 5, punto 1, lettera a), dell�accordo quadro. Infatti, un 
utilizzo siffatto dei contratti o dei rapporti di lavoro a tempo determinato � direttamente 
in contrasto con la premessa sulla quale si fonda tale accordo quadro, vale a dire il fatto 
che i contratti di lavoro a tempo indeterminato costituiscono la forma comune dei rapporti 
di lavoro, anche se i contratti di lavoro a tempo determinato rappresentano una caratteristica 
dell�impiego in alcuni settori o per determinate occupazioni e attivit� 
(sentenza K�c�k, EU:C:2012:39, punti 36 e 37 nonch� giurisprudenza ivi citata). 

101 L�osservanza della clausola 5, punto 1, lettera a), dell�accordo quadro richiede quindi 
che si verifichi concretamente che il rinnovo di successivi contratti o rapporti di lavoro 
a tempo determinato miri a soddisfare esigenze provvisorie, e che una disposizione nazionale 
quale l�articolo 4, comma 1, della legge n. 124/1999, letta in combinato disposto 
con l�articolo 1 del decreto n. 131/2007 non sia utilizzata, di fatto, per soddisfare esigenze 
permanenti e durevoli del datore di lavoro in materia di personale (v., in tal senso, 
sentenza K�c�k, EU:C:2012:39, punto 39 e giurisprudenza ivi citata). 

102 Occorre a tal fine esaminare di volta in volta tutte le circostanze del caso, prendendo in 
considerazione, in particolare, il numero di detti contratti successivi stipulati con la 
stessa persona oppure per lo svolgimento di uno stesso lavoro, al fine di escludere che 
contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato, sebbene palesemente conclusi per 
soddisfare un�esigenza di personale sostitutivo, siano utilizzati in modo abusivo dai datori 
di lavoro (v., in tal senso, sentenza K�c�k, EU:C:2012:39, punto 40 e giurisprudenza 
ivi citata). 

103 L�esistenza di una �ragione obiettiva� ai sensi della clausola 5, punto 1, lettera a), del-
l�accordo quadro esclude quindi, in linea di principio, l�esistenza di un abuso, a meno 
che un esame globale delle circostanze sottese al rinnovo dei contratti o dei rapporti di 
lavoro a tempo determinato di cui trattasi riveli che le prestazioni richieste del lavoratore 
non corrispondono ad una mera esigenza temporanea (sentenza K�c�k, EU:C:2012:39, 
punto 51). 

104 Di conseguenza, contrariamente a quanto sostiene il governo italiano, il solo fatto che la 
normativa nazionale di cui trattasi nei procedimenti principali possa essere giustificata da 


una �ragione obiettiva� ai sensi di tale disposizione non pu� essere sufficiente a renderla 
ad essa conforme, se risulta che l�applicazione concreta di detta normativa conduce, nei 
fatti, a un ricorso abusivo a una successione di contratti di lavoro a tempo determinato. 

105 Orbene, a tale riguardo, sebbene, conformemente alla giurisprudenza ricordata ai punti 
81 e 82 della presente sentenza, ogni valutazione dei fatti rientri, nell�ambito del procedimento 
previsto dall�articolo 267 TFUE, nella competenza dei giudici nazionali, si deve 
constatare che dagli elementi forniti alla Corte nelle presenti cause emerge che, come 
peraltro ammesso dallo stesso governo italiano, il termine di immissione in ruolo dei 
docenti nell�ambito di tale sistema � tanto variabile quanto incerto. 

106 Da un lato, infatti, � pacifico, come risulta dalla formulazione stessa della prima questione 
nella causa C.418/13, che la normativa nazionale di cui trattasi nei procedimenti 
principali non fissa alcun termine preciso riguardo all�organizzazione delle procedure 
concorsuali, dal momento che queste ultime dipendono dalle possibilit� finanziarie dello 
Stato e dalla valutazione discrezionale dell�amministrazione. Cos�, secondo le stesse 
constatazioni operate dalla Corte costituzionale nell�ordinanza di rinvio nella medesima 
causa, non � stata organizzata nessuna procedura concorsuale tra il 2000 e il 2011. 

107 Dall�altro lato, dalle spiegazioni del governo italiano risulta che l�immissione in ruolo 
per effetto dell�avanzamento dei docenti in graduatoria, essendo in funzione della durata 
complessiva dei contratti di lavoro a tempo determinato nonch� dei posti che sono nel 
frattempo divenuti vacanti, dipende, come sostenuto giustamente dalla Commissione, 
da circostanze aleatorie e imprevedibili. 

108 Ne deriva che una normativa nazionale, quale quella di cui ai procedimenti principali, 
sebbene limiti formalmente il ricorso ai contratti di lavoro a tempo determinato per provvedere 
a supplenze annuali per posti vacanti e disponibili nelle scuole statali solo per 
un periodo temporaneo fino all�espletamento delle procedure concorsuali, non consente 
di garantire che l�applicazione concreta di tale ragione obiettiva, in considerazione delle 
particolarit� dell�attivit� di cui trattasi e delle condizioni del suo esercizio, sia conforme 
ai requisiti dell�accordo quadro. 

109 Una siffatta normativa, infatti, in assenza di un termine preciso per l�organizzazione e 
l�espletamento delle procedure concorsuali che pongono fine alla supplenza e, pertanto, 
del limite effettivo con riguardo al numero di supplenze annuali effettuato da uno stesso 
lavoratore per coprire il medesimo posto vacante, � tale da consentire, in violazione 
della clausola 5, punto 1, lettera a), dell�accordo quadro, il rinnovo di contratti di lavoro 
a tempo determinato al fine di soddisfare esigenze che, di fatto, hanno un carattere non 
gi� provvisorio, ma, al contrario, permanente e durevole, a causa della mancanza strutturale 
di posti di personale di ruolo nello Stato membro considerato. Una siffatta constatazione 
risulta suffragata, non solo dalla situazione dei ricorrenti nei procedimenti 
principali, come descritta ai punti 23 e 37 della presente sentenza, ma anche, in maniera 
pi� generale, dai dati forniti alla Corte nell�ambito delle presenti cause. Cos�, a seconda 
degli anni e delle fonti, risulta che circa il 30%, o addirittura, secondo il Tribunale di 
Napoli, il 61%, del personale amministrativo, tecnico e ausiliario delle scuole statali sia 
impiegato con contratti di lavoro a tempo determinato e che, tra il 2006 e il 2011, il personale 
docente di tali scuole vincolato da siffatti contratti abbia rappresentato tra il 13% 
e il 18% di tutto il personale docente di dette scuole. 

110 A tale riguardo, va ricordato che, sebbene considerazioni di bilancio possano costituire 
il fondamento delle scelte di politica sociale di uno Stato membro e possano influenzare 


la natura ovvero la portata delle misure che esso intende adottare, esse non costituiscono 
tuttavia, di per s�, un obiettivo perseguito da tale politica e, pertanto, non possono giustificare 
l�assenza di qualsiasi misura di prevenzione del ricorso abusivo a una successione 
di contratti di lavoro a tempo determinato ai sensi della clausola 5, punto 1, 
dell�accordo quadro (v., per analogia, sentenza Thiele Meneses, C.220/12, 
EU:C:2013:683, punto 43 e giurisprudenza ivi citata). 

111 In ogni caso, va osservato che, come risulta dal punto 89 della presente sentenza, una 
normativa nazionale quale quella di cui ai procedimenti principali non riserva l�accesso 
ai posti permanenti nelle scuole statali al personale vincitore di concorso, poich� essa 
consente altres�, nell�ambito del sistema del doppio canale, l�immissione in ruolo di docenti 
che abbiano unicamente frequentato corsi di abilitazione. In tali circostanze, come 
la Commissione ha fatto valere in udienza, non � assolutamente ovvio � circostanza che 
spetta, tuttavia, ai giudici del rinvio verificare � che possa essere considerato oggettivamente 
giustificato, alla luce della clausola 5, punto 1, lettera a), dell�accordo quadro, il 
ricorso, nel caso di specie, a una successione di contratti di lavoro a tempo determinato 
per la copertura di posti vacanti e disponibili in dette scuole motivato dall�attesa del-
l�espletamento delle procedure concorsuali. 

112 A tale riguardo, si deve sottolineare, al pari della Commissione, che, ai fini dell�attuazione 
della clausola 5, punto 1, dell�accordo quadro, uno Stato membro � legittimato a 
scegliere di non adottare la misura di cui al punto 1, lettera a), di detta clausola. Viceversa, 
esso pu� preferire l�adozione di una delle misure o le due misure di cui al punto 
1, lettere b) e c), della medesima clausola, relative, rispettivamente, alla durata massima 
totale di tali contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato successivi e al numero 
dei loro rinnovi, e ci� purch�, quale che sia la misura in concreto adottata, venga garantita 
l�effettiva prevenzione dell�utilizzo abusivo di contratti o rapporti di lavoro a tempo 
determinato (v., in tal senso, sentenza Fiamingo e a., EU:C:2014:2044, punto 61). 

113 Si deve, pertanto, constatare, che dagli elementi forniti alla Corte nell�ambito delle presenti 
cause emerge che una normativa nazionale, quale quella di cui ai procedimenti 
principali, non risulta prevedere, fatte salve le necessarie verifiche da parte dei giudici 
del rinvio, alcuna misura di prevenzione del ricorso abusivo a una successione di contratti 
di lavoro a tempo determinato ai sensi della clausola 5, punto 1, dell�accordo quadro, 
contrariamente ai requisiti ricordati ai punti 74 e 76 della presente sentenza. 

� Sull�esistenza di misure sanzionatorie del ricorso abusivo a una successione di contratti 
di lavoro a tempo determinato 

114 Per quanto riguarda l�esistenza di misure dirette a sanzionare l�utilizzo abusivo di una 
successione di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato, si deve rilevare, innanzitutto, 
che dalle ordinanze di rinvio risulta che, come espressamente indicato dalla 
Corte costituzionale nella sua seconda questione pregiudiziale nella causa C.418/13, la 
normativa nazionale di cui trattasi nei procedimenti principali esclude qualsivoglia diritto 
al risarcimento del danno subito a causa del ricorso abusivo a una successione di contratti 
di lavoro a tempo determinato nel settore dell�insegnamento. In particolare, � pacifico 
che il regime previsto dall�articolo 36, comma 5, del decreto legislativo n. 165/2001 nel 
caso di ricorso abusivo ai contratti di lavoro a tempo determinato nel settore pubblico 
non pu� conferire un siffatto diritto nei procedimenti principali. 

115 Peraltro, come risulta dai punti 28 e 84 della presente sentenza, � altres� incontroverso 
che la normativa nazionale di cui trattasi nei procedimenti principali non consenta ne



CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 79 

anche la trasformazione dei contratti di lavoro a tempo determinato successivi in contratto 
o rapporto di lavoro a tempo indeterminato, essendo esclusa l�applicazione del-
l�articolo 5, comma 4 bis, del decreto legislativo n. 368/2001 alla scuola statale. 

116 Ne consegue che, come risulta dalle ordinanze di rinvio e dalle osservazioni del governo 
italiano, l�unica possibilit� per un lavoratore che abbia effettuato supplenze, ai sensi 
dell�articolo 4 della legge n. 124/1999, in una scuola statale di ottenere la trasformazione 
dei suoi contratti di lavoro a tempo determinato successivi in un contratto o in un rapporto 
di lavoro a tempo indeterminato risiede nell�immissione in ruolo per effetto del-
l�avanzamento in graduatoria. 

117 Tuttavia, essendo una siffatta possibilit�, come risulta dai punti da 105 a 107 della presente 
sentenza, aleatoria, la stessa non pu� essere considerata una sanzione a carattere 
sufficientemente effettivo e dissuasivo ai fini di garantire la piena efficacia delle norme 
adottate in applicazione dell�accordo quadro. 

118 Sebbene, certamente, uno Stato membro possa legittimamente, nell�attuazione della clausola 
5, punto 1, dell�accordo quadro, prendere in considerazione esigenze di un settore 
specifico come quello dell�insegnamento, cos� come gi� rilevato ai punti 70 e 95 della 
presente sentenza, tale facolt� non pu� essere intesa nel senso di consentirgli di esimersi 
dall�osservanza dell�obbligo di prevedere una misura adeguata per sanzionare debitamente 
il ricorso abusivo a una successione di contratti di lavoro a tempo determinato. 
119 Si deve, pertanto, ritenere che dagli elementi forniti alla Corte nell�ambito delle presenti 
cause si evince che una normativa nazionale quale quella di cui trattasi nei procedimenti 
principali, fatte salve le necessarie verifiche da parte dei giudici del rinvio, non risulta 
conforme ai requisiti che emergono dalla giurisprudenza ricordata ai punti da 77 a 80 
della presente sentenza. 
120 Di conseguenza, si deve rispondere ai giudici del rinvio dichiarando che la clausola 5, 
punto 1, dell�accordo quadro deve essere interpretata nel senso che osta a una normativa 
nazionale, quale quella di cui trattasi nei procedimenti principali, che autorizzi, in attesa 
dell�espletamento delle procedure concorsuali per l�assunzione di personale di ruolo 
delle scuole statali, il rinnovo di contratti di lavoro a tempo determinato per la copertura 
di posti vacanti e disponibili di docenti nonch� di personale amministrativo, tecnico e 
ausiliario, senza indicare tempi certi per l�espletamento di dette procedure concorsuali 
ed escludendo qualsiasi possibilit�, per tali docenti e detto personale, di ottenere il risarcimento 
del danno eventualmente subito a causa di un siffatto rinnovo. Risulta, infatti, 
che tale normativa, fatte salve le necessarie verifiche da parte dei giudici del rinvio, da 
un lato, non consente di definire criteri obiettivi e trasparenti al fine di verificare se il 
rinnovo di tali contratti risponda effettivamente ad un�esigenza reale, sia idoneo a conseguire 
l�obiettivo perseguito e sia necessario a tal fine, e, dall�altro, non prevede nessun�altra 
misura diretta a prevenire e a sanzionare il ricorso abusivo ad una successione 
di contratti di lavoro a tempo determinato. 
121 In tali circostanze, non occorre rispondere alle altre questioni sollevate dal Tribunale 
di Napoli nelle cause C.22/13, C.61/13 e C.62/13. 
Sulle spese 
122 Nei confronti delle parti nei procedimenti principali le presenti cause costituiscono un 
incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. 
Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono 
dar luogo a rifusione. 


Per questi motivi, la Corte (Terza Sezione) dichiara: 

La clausola 5, punto 1, dell�accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, concluso 
il 18 marzo 1999, che figura nell�allegato alla direttiva 1999/70/CE del Consiglio, 
del 28 giugno 1999, relativa all�accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul 
lavoro a tempo determinato, deve essere interpretata nel senso che osta a una normativa 
nazionale, quale quella di cui trattasi nei procedimenti principali, che autorizzi, 
in attesa dell�espletamento delle procedure concorsuali per l�assunzione di 
personale di ruolo delle scuole statali, il rinnovo di contratti di lavoro a tempo determinato 
per la copertura di posti vacanti e disponibili di docenti nonch� di personale 
amministrativo, tecnico e ausiliario, senza indicare tempi certi per 
l�espletamento di dette procedure concorsuali ed escludendo qualsiasi possibilit�, 
per tali docenti e detto personale, di ottenere il risarcimento del danno eventualmente 
subito a causa di un siffatto rinnovo. Risulta, infatti, che tale normativa, 
fatte salve le necessarie verifiche da parte dei giudici del rinvio, da un lato, non 
consente di definire criteri obiettivi e trasparenti al fine di verificare se il rinnovo 
di tali contratti risponda effettivamente ad un�esigenza reale, sia idoneo a conseguire 
l�obiettivo perseguito e sia necessario a tal fine, e, dall�altro, non prevede nessun�altra 
misura diretta a prevenire e a sanzionare il ricorso abusivo ad una 
successione di contratti di lavoro a tempo determinato. 


i giudizi in corso alla corte di giustizia ue
i giudizi in corso alla corte di giustizia ue
Le concessioni del demanio marittimo 
al vaglio del diritto europeo 

Si pubblica l�atto d�intervento del Governo della Repubblica Italiana, 
rappresentato e difeso dall�Avvocatura Generale dello Stato nella causa C458/
14 sulla domanda proposta dal Tribunale Regionale Amministrativo per 
la Lombardia (Italia) con sentenza n. 2401/2014, con la quale � stata sotto-
posta al giudizio della Corte di giustizia, ai sensi dell'art. 267 del TFUE (ex 
articolo 234 del TCE), la seguente questione pregiudiziale: �I principi della 
libert� di stabilimento, di non discriminazione e di tutela della concorrenza, 
di cui agli articoli 49, 56, e 106 del TFUE, nonch� il canone di ragionevolezza 
in essi racchiuso, ostano ad una normativa nazionale che, per effetto 
di successivi interventi legislativi, determina la reiterata proroga del termine 
di scadenza di concessioni di beni del demanio marittimo, lacuale e fluviale 
di rilevanza economica, la cui durata viene incrementata per legge per almeno 
undici anni, cos� conservando in via esclusiva il diritto allo sfruttamento 
a fini economici del bene in capo al medesimo concessionario, 
nonostante l'intervenuta scadenza del termine di efficacia previsto dalla concessione 
gi� rilasciatagli, con conseguente preclusione per gli operatori economici 
interessati di ogni possibilit� di ottenere l'assegnazione del bene 
all'esito di procedure ad evidenza pubblica?�. 

La questione parte da lontano e se ne riassumono gli ultimi passaggi in 
ordine di tempo. 

Nel febbraio del 2009 la Commissione europea ha avviato una procedura 
d�infrazione censurando il fatto che in Italia l�attribuzione delle concessioni 
demaniali marittime per finalit� ricreative (le concessioni per stabilimenti balneari) 
si � finora basata su un sistema di preferenza per il concessionario 
uscente, se non addirittura di puro e semplice rinnovo automatico della concessione 
gi� assentita. 

La Commissione ha quindi richiesto di modificare le norme di legge su 
cui si era finora basato il sistema italiano - l�art. 37 cod. nav. e l�art. 1, comma 
2, del decreto-legge 5 ottobre 1993, n. 400 - che prevedono rispettivamente il 

c.d. diritto d�insistenza (preferenza per il concessionario uscente) e il rinnovo 
automatico delle concessioni sessennali, cos� da passare ad un sistema basato 
su concessioni di durata massima di 20/25 anni da attribuire mediante procedure 
di evidenza pubblica. 

Nella prima fase della procedura, le contestazioni della Commissione si 


sono appuntate sulla contrariet� di tale regime alle norme del Trattato, ed in 
particolare dell�art. 43 dell�allora Trattato CE (ora art. 49 del Trattato sul Funzionamento 
dell�Unione Europea), che conferisce alle imprese dell�Unione il 
diritto di stabilirsi in un altro Stato membro, sia a titolo principale, sia attraverso 
la creazione di agenzie, succursali o filiali e impone agli Stati membri 
di consentire, attraverso la propria legislazione nazionale, l�esercizio di tale 
libert� senza essere soggette a norme nazionali che non rispettino il principio 
di parit� di trattamento. 

A giudizio della Commissione, ogni automatismo a favore del concessionario 
uscente �determina una disparit� di trattamento tra gli operatori economici 
in violazione dei principi di concorrenza, dal momento che coloro che 
in precedenza non gestivano il demanio marittimo non hanno la possibilit�, 
alla scadenza della concessione, di prendere il posto del vecchio gestore�. 

L�interpretazione, come noto, � stata condivisa dalla Corte costituzionale 
nella sentenza n. 180 del 2010, che - occupandosi di una legge delle Regione 
Emilia-Romagna che attribuiva ai titolari di concessioni demaniali marittime 
il diritto ad una proroga della durata della concessione fino ad un massimo di 
20 anni - ha dichiarato che simili previsioni determinano una �ingiustificata 
compressione dell�assetto concorrenziale del mercato della gestione del demanio 
marittimo, (...), violando il principio di parit� di trattamento (detto anche 
�di non discriminazione�), che si ricava dagli artt. 49 e ss. del Trattato sul funzionamento 
dell�Unione europea, in tema di libert� di stabilimento, favorendo 
i vecchi concessionari a scapito degli aspiranti nuovi�. Tale indirizzo � stato, 
poi, ribadito nelle sentenze n. 340 del 2010 e n. 213 del 2011, relative ad altre 
leggi regionali. 

Per superare le contestazioni della Commissione, � stata inserita nell�articolo 
1, comma 18, del decreto-legge 194/2009 (c.d. mille-proroghe) un�apposita 
previsione, che ha abrogato l�art. 37, comma 2, del codice della 
navigazione (e cio� la disposizione che prevede il diritto d�insistenza), nel 
contempo prorogando le concessioni in essere al 31 dicembre 2015, onde consentire, 
nelle more di tale scadenza, l�adozione di una normativa che disciplinasse 
l�affidamento delle concessioni in esame attraverso procedure di 
evidenza pubblica. 

In fase di conversione, in questa stessa disposizione fu inserito al Senato 
(sulla base di un emendamento di origine parlamentare) un rinvio all�art. 1, 
comma 2, del decreto-legge 400/1993 che prevede un meccanismo di rinnovo 
automatico delle concessioni sessennali; circostanza che ha impedito la chiusura 
della procedura d�infrazione. 

La Commissione infatti ha inviato il 5 maggio 2010 una lettera di messa 
in mora complementare con cui, oltre ad agganciare l�incompatibilit� della 
normativa dell�Unione anche all�art. 12 della Direttiva Servizi (c.d. Direttiva 
Bolkenstein) (1), entrata nel frattempo in vigore (28 dicembre 2009), ha chie



sto di correggere l�art. 1, comma 18, del decreto �mille proroghe�, espungendo 
il rinvio in questione ed abrogando il meccanismo di rinnovo automatico previsto 
dal citato decreto-legge 400/1993. 

Nella lettera di messa in mora complementare, la Commissione - oltre a 
ribadire la contrariet� dei meccanismi di proroga automatica, o di preferenza 
del concessionario, alle norme di diritto primario dell�Unione - ha messo in 
evidenza che l�articolo 12 della direttiva Bolkenstein prescrive che, qualora il 
numero di �autorizzazioni� disponibili per l�esercizio di un�attivit� economica 
sia limitato per via della scarsit� delle risorse naturali o delle capacit� tecniche 
utilizzabili, queste siano assentite attraverso procedure di selezione che assicurino 
garanzie di imparzialit� e di trasparenza e prevedano un�adeguata pubblicit� 
dell�avvio della sua procedura e del suo svolgimento. Tale articolo vieta 
inoltre, al secondo paragrafo, il rinnovo automatico di tali autorizzazioni. 

(1) L�articolo 12 della direttiva, rubricato �Selezioni tra diversi candidati�, dispone quanto segue: 

�1. Qualora il numero di autorizzazioni disponibili per una determinata attivit� sia limitato per via 
della scarsit� delle risorse naturali o delle capacit� tecniche utilizzabili, gli Stati membri applicano 
una procedura di selezione tra i candidati potenziali, che presenti garanzie di imparzialit� e di trasparenza 
e preveda, in particolare, un'adeguata pubblicit� dell'avvio della procedura e del suo svolgimento 
e completamento. 

2. Nei casi di cui al paragrafo 1 l'autorizzazione � rilasciata per una durata limitata adeguata e non 
pu� prevedere la procedura di rinnovo automatico n� accordare altri vantaggi al prestatore uscente o 
a persone che con tale prestatore abbiano particolari legami. 
3. Fatti salvi il paragrafo 1 e gli articoli 9 e 10, gli Stati membri possono tener conto, nello stabilire le 
regole della procedura di selezione, di considerazioni di salute pubblica, di obiettivi di politica sociale, 
della salute e della sicurezza dei lavoratori dipendenti ed autonomi, della protezione dell'ambiente, 
della salvaguardia del patrimonio culturale e di altri motivi imperativi d'interesse generale conformi 
al diritto comunitario�. 


Pur avendo le concessioni demaniali ad oggetto un bene, � chiaro che la scarsit� del bene medesimo che 
non deve necessariamente derivare da una sua scarsit� in natura, ma anche da disposizioni che limitano 
la destinazione del bene ad una particolare attivit� - pu� discendere anche dal complesso di 
regole che disciplinano l�uso di tale bene, ad esempio riservando solo una porzione dei beni disponibili 
all�esercizio dell�attivit�. 
L�art. 12 della direttiva servizi � stato recepito dall�art. 16 del decreto legislativo n. 59 del 2010, il quale 
dispone: 

�1. Nelle ipotesi in cui il numero di titoli autorizzatori disponibili per una determinata attivit� di servizi 
sia limitato per ragioni correlate alla scarsit� delle risorse naturali o delle capacit� tecniche disponibili, 
le autorit� competenti applicano una procedura di selezione tra i candidati potenziali ed assicurano la 
predeterminazione e la pubblicazione, nelle forme previste dai propri ordinamenti, dei criteri e delle 
modalit� atti ad assicurarne l'imparzialit�, cui le stesse devono attenersi. 

2. Nel fissare le regole della procedura di selezione le autorit� competenti possono tenere conto di considerazioni 
di salute pubblica, di obiettivi di politica sociale, della salute e della sicurezza dei lavoratori 
dipendenti ed autonomi, della protezione dell'ambiente, della salvaguardia del patrimonio culturale e 
di altri motivi imperativi d'interesse generale conformi al diritto comunitario. 
3. L'effettiva osservanza dei criteri e delle modalit� di cui al comma 1 deve risultare dai singoli provvedimenti 
relativi al rilascio del titolo autorizzatorio. 
4. Nei casi di cui al comma 1 il titolo � rilasciato per una durata limitata e non pu� essere rinnovato 
automaticamente, n� possono essere accordati vantaggi al prestatore uscente o ad altre persone, ancorch� 
giustificati da particolari legami con il primo�. 



Per �autorizzazione�, secondo le definizioni contenute nella direttiva, deve 
intendersi �qualsiasi procedura che obbliga un prestatore o un destinatario a 
rivolgersi ad un'autorit� competente allo scopo di ottenere una decisione formale 
o una decisione implicita relativa all'accesso ad un'attivit� di servizio o 
al suo esercizio�. La definizione, pertanto, si attaglia a qualsiasi attivit� economica 
il cui svolgimento postuli l�emissione di una decisione di un�attivit� 
pubblica. In tale definizione, a giudizio della Commissione, deve ricomprendersi 
anche l�attivit� turistico-balneare, considerato che il suo esercizio � condizionato 
dal previo rilascio di una concessione sui beni del demanio marittimo. 

Per superare definitivamente le contestazioni della Commissione, � stato 
inserito un emendamento nel disegno di legge comunitaria 2010 (atto Senato 

n. 2322-B), articolo 11 �Modifiche al decreto-legge 5 ottobre 1993, n. 400, 
convertito, con modificazioni, dalla legge 4 dicembre 1993, n. 494. Procedura 
d�infrazione n. 2008/4908. Delega al Governo in materia di concessioni demaniali 
marittime�. 

L�eliminazione del rinvio al meccanismo del rinnovo automatico ha consentito 
l�archiviazione della procedura di infrazione, avvenuta con decisione 
della Commissione del 27 febbraio 2012. 

Con l�articolo 34-duodecies del decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179 
(articolo inserito dalla legge di conversione del 17 dicembre 2012 n. 221, su 
iniziativa parlamentare), il termine di durata delle concessioni demaniali marittime 
(solo di quelle ad uso turistico-ricreativo) � stato prorogato al 31 dicembre 
2020. 

Pietro Garofoli 
Avvocato dello Stato 

Corte di Giustizia dell�Unione europea 

Osservazioni 

del Governo della Repubblica Italiana, in persona dell�Agente Gabriella Palmieri, rappresentato 
e difeso dall�Avvocatura Generale dello Stato con domicilio eletto a Lussemburgo 
presso l�Ambasciata d�Italia 

(...) 

1. I fatti di causa. 

1) La questione pregiudiziale origina da un ricorso proposto da Promoimpresa S.r.l. (Promoimpresa), 
gi� concessionaria per l�occupazione di un�area demaniale, ad uso chiosco, bar, 
veranda, bagni, banchina e pontile, compresa nel demanio del Lago di Garda e sita nel comune 
di San Felice del Benaco. 

2) La Promoimpresa ha impugnato il provvedimento n. 5637 del 6 maggio 2011, con il 
quale il Consorzio dei Comuni della sponda Bresciana del lago di Garda (in seguito �Consorzio�) 
ha negato il rinnovo della concessione di tale area demaniale, nonch� la delibera dalla 
Giunta Regionale (D.G.R.) Lombardia del 6 agosto 2008, n. 7967, nella parte in cui prevede 
che le concessioni demaniali possono esser rilasciate �a seguito di apposita procedura di selezione 
comparativa ispirata ai principi di libera circolazione dei servizi�, senza al contempo 


prevedere alcun regime transitorio o forme di tutela degli intestatari di concessioni demaniali 
anteriori all�entrata in vigore della medesima delibera. 

3) Il giudice italiano prende le mosse dal riconoscimento che il rapporto intercorrente tra 
Promoimpresa ed il Consorzio presenta i caratteri della concessione, come definita dal diritto 
comunitario, e che da ci� discende che la ricorrente ricava un�utilit� sfruttando economicamente 
l�area demaniale assegnata, ossia un bene pubblico che si suppone essere non disponibile 
in quantit� illimitata. 

4) Quanto alla disciplina applicabile, il Tribunale Amministrativo Regionale evidenzia che nel 
caso in esame rileva l'art. 1, comma 18, del d. l. 30 dicembre 2009, n. 194, convertito con legge 
del 26 febbraio 2010, n. 25, norma originariamente non riferibile alle concessioni lacuali. 

5) Infatti, al momento dei fatti di causa (della scadenza della concessione (31 dicembre 
2010) di cui era titolare la Soc. Promoimpresa srl, dell�istanza di rinnovo di quest�ultima (14 
aprile 2010) e del rigetto dell�istanza di rinnovo da parte del Consorzio ente di gestione (6 
maggio 2011)), l�articolo 1, comma 18, del DL n. 194/09 disciplinava esclusivamente le concessioni 
demaniali marittime. 

6) L�estensione della proroga alle concessioni demaniali lacuali e fluviali � avvenuta solo 
ad opera dell�articolo 1, comma 547, della L. 24 dicembre 2012 n. 228 (legge di stabilit� 2013). 

7) Nella ricostruzione del complesso quadro normativo di riferimento, il giudice del rinvio 
precisa che la proroga delle concessioni, fissata sino al 31 dicembre 2012 dall'art. 1, comma 
18, del d. l. 2009 n. 194, � stata spostata in avanti, sino al 31 dicembre 2015, dalla legge di 
conversione del 26 febbraio 2010, n. 25. 

8) Successivamente, l'art. 34-duodecies del decreto legge 18 ottobre 2012, n. 179, introdotto 
dal Parlamento italiano, in sede di conversione, dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221, ha modificato 
l'art. 1, comma 18, del d. l. 2009 n. 194, stabilendo che �le parole: �fino a tale data� 
sono sostituite dalle seguenti: �fino al 31 dicembre 2020��. 

9) A completa ricostruzione dell�evoluzione della disciplina, come precisato anche dal Giudice 
del rinvio, occorre evidenziare che le preesistenti modalit� di accesso degli operatori economici 
alle concessioni relative a beni demaniali marittimi erano state modificate con il citato 
art. 1, comma 18, del decreto legge n. 194 del 2009, convertito, con modificazioni, dalla legge 
26 febbraio 2010, n. 25, proprio al fine di rispondere ai rilievi formulati dalla Commissione 
Europea nell�ambito della procedura di infrazione n. 2008/4908, sull'incompatibilit� della disciplina 
previgente con il diritto dell�Unione. 

10) Concludendo, il giudice del rinvio afferma di dubitare che l�art. 1, comma 18, del d. l. 
30 dicembre 2009, n. 194 - nella versione risultante dalle modifiche apportate dall'art. 34duodecies 
del decreto legge 18 ottobre 2012, n. 179, articolo introdotto in sede di conversione 
con legge 17 dicembre 2012, n. 221 - nella parte in cui dispone la proroga del termine di 
durata delle concessioni sino al 31 dicembre 2020 sia compatibile con i principi comunitari 
di tutela della concorrenza e parit� di trattamento tra operatori economici, rispetto alla possibilit� 
di conseguire la titolarit� di una concessione demaniale, nonch� con quelli di proporzionalit� 
e ragionevolezza. 

2. La normativa di riferimento. 

2.1. Il diritto interno. 

11) La questione pregiudiziale, nei termini in cui � formulata dal Giudice del rinvio, appare 
connotata da una certa vaghezza dal momento che il Giudice italiano non indica, nello specifico, 
quale delle molteplici norme interne, prese in considerazione nella sentenza di rinvio, 
sia da ritenere in contrasto con la normativa comunitaria. 


12) Il Giudice Amministrativo italiano si riferisce infatti genericamente (vedi pag. 25 della 
sentenza n. 2401/2014) alla �normativa nazionale che, per effetto di successivi interventi legislativi, 
determina la reiterata proroga del termine di scadenza di concessioni di beni del 
demanio marittimo, lacuale e fluviale di rilevanza economica �.�. 

13) Questa indeterminatezza obbliga a ricostruire per intero la complessa successione delle 
norme che, nell�ordinamento italiano, si sono susseguite nella disciplina delle concessioni demaniali 
marittime e lacuali a fini turistico-ricreativi. 

14) Nell�ordinamento italiano, la disciplina generale in materia di demanio marittimo si � 
storicamente rinvenuta negli articoli 28 e seguenti del codice della navigazione, approvato 
con Regio Decreto 30 marzo 1942, n. 327. 

15) Nel citato testo normativo, la disciplina in materia di concessioni demaniali marittime 
� delineata dagli articoli 36 e seguenti cod. nav. In particolare, l�articolo 37, secondo comma, 
ultimo periodo, cod. nav., disciplinante l�affidamento delle concessioni demaniali marittime, 
prevedeva la preferenza in favore del vecchio concessionario (c.d. �diritto di insistenza�). 

16) Successivamente, l�articolo 1 (1), comma 18, del D.L. n. 194/2009, convertito con modificazioni 
con Legge n. 25/2010, al fine di adeguare l�impianto normativo all�ordinamento 
comunitario, ha disposto: a) la soppressione del predetto �diritto di insistenza�; b) la proroga 
al 31 dicembre 2015 delle concessioni per finalit� turistico-ricreative in scadenza prima di 
tale data ed in atto al 30 dicembre 2009, data di entrata in vigore dello stesso decreto legge. 

17) Con l�articolo 34-duodecies del decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179 (articolo inserito 
dalla legge di conversione del 17 dicembre 2012 n. 221, con emendamento di origine parlamentare 
e non governativa), il termine di durata delle concessioni demaniali marittime (solo 
di quelle ad uso turistico-ricreativo) � stato prorogato al 31 dicembre 2020. 

18) L�articolo 11 della Legge n. 217/2011 (Legge comunitaria per il 2010), al fine di chiudere 
la procedura di infrazione n. 2008/4908 avviata ai sensi dell�articolo 258 del Trattato sul 
funzionamento dell�Unione Europea, e riguardante la sussistenza di meccanismi anticoncorrenziali 
nell�assegnazione delle predette concessioni in Italia, ha disposto l�abrogazione del-
l�articolo 1, comma 2, del D.L. n. 400/1993 (convertito con Legge n. 494/1993), ove era stata 

(1) �18. Ferma restando la disciplina relativa all'attribuzione di beni a regioni ed enti locali in base 
alla legge 5 maggio 2009, n. 42, nonch� alle rispettive norme di attuazione, nelle more del procedimento 
di revisione del quadro normativo in materia di rilascio delle concessioni di beni demaniali marittimi 
lacuali e fluviali con finalit� turistico-ricreative, ad uso pesca, acquacoltura ed attivit� produttive ad 
essa connesse, e sportive, nonch� quelli destinati a porti turistici, approdi e punti di ormeggio dedicati 
alla nautica da diporto, da realizzarsi, quanto ai criteri e alle modalit� di affidamento di tali concessioni, 
sulla base di intesa in sede di Conferenza Stato-regioni ai sensi dell'articolo 8, comma 6, della legge 5 
giugno 2003, n. 131, che � conclusa nel rispetto dei principi di concorrenza, di libert� di stabilimento, 
di garanzia dell'esercizio, dello sviluppo, della valorizzazione delle attivit� imprenditoriali e di tutela 
degli investimenti, nonch� in funzione del superamento del diritto di insistenza di cui all'articolo 37, 
secondo comma, secondo periodo, del codice della navigazione, il termine di durata delle concessioni 
in essere alla data di entrata in vigore del presente decreto e in scadenza entro il 31 dicembre 2015 � 
prorogato fino al 31 dicembre 2020, fatte salve le disposizioni di cui all'articolo 03, comma 4-bis, del 
decreto-legge 5 ottobre 1993, n. 400, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 dicembre 1993, n. 

494. All'articolo 37, secondo comma, del codice della navigazione, il secondo periodo � soppresso.� 

Comma cos� modificato dalla legge di conversione 26 febbraio 2010, n. 25, dall�art. 34-duodecies, 
comma 1, D.L. 18 ottobre 2012, n. 179, convertito, con modificazioni, dalla L. 17 dicembre 2012, n. 
221, dall�art. 1, comma 547, L. 24 dicembre 2012, n. 228, a decorrere dal 1� gennaio 2013, e, successivamente, 
dall�art. 1, comma 291, L. 27 dicembre 2013, n. 147, a decorrere dal 1� gennaio 2014. 


medio tempore introdotta (con articolo 13 della Legge n. 172/2003) la previsione per cui le 
concessioni demaniali marittime avessero una durata di 6 anni, e che alle relative scadenze 
fossero automaticamente rinnovate per ulteriori periodi di 6 anni. 

19) Occorre, infine segnalare che l�art. 16 del decreto legislativo n. 59 del 2010, ha recepito 
nell�ordinamento italiano il disposto contenuto nell�art. 12 della direttiva servizi n. 
2006/123/CE, (cd. Direttiva Bolkestein) disponendo che: �1. Nelle ipotesi in cui il numero di 
titoli autorizzatori disponibili per una determinata attivit� di servizi sia limitato per ragioni 
correlate alla scarsit� delle risorse naturali o delle capacit� tecniche disponibili, le autorit� 
competenti applicano una procedura di selezione tra i candidati potenziali ed assicurano la 
predeterminazione e la pubblicazione, nelle forme previste dai propri ordinamenti, dei criteri 
e delle modalit� atti ad assicurarne l'imparzialit�, cui le stesse devono attenersi. 

2. Nel fissare le regole della procedura di selezione le autorit� competenti possono tenere 
conto di considerazioni di salute pubblica, di obiettivi di politica sociale, della salute e della 
sicurezza dei lavoratori dipendenti ed autonomi, della protezione dell'ambiente, della salvaguardia 
del patrimonio culturale e di altri motivi imperativi d'interesse generale conformi al 
diritto comunitario. 
3. L'effettiva osservanza dei criteri e delle modalit� di cui al comma 1 deve risultare dai 
singoli provvedimenti relativi al rilascio del titolo autorizzatorio. 
4. Nei casi di cui al comma 1 il titolo � rilasciato per una durata limitata e non pu� essere 
rinnovato automaticamente, n� possono essere accordati vantaggi al prestatore uscente o ad 
altre persone, ancorch� giustificati da particolari legami con il primo� . 


2.2. Il diritto comunitario. 

20) La domanda di pronuncia pregiudiziale in esame riguarda la ritenuta violazione dei 
�principi della libert� di stabilimento, di non discriminazione e di tutela della concorrenza, 
di cui agli articoli 49, 56, e 106 del TFUE, nonch� il canone di ragionevolezza in essi racchiuso� 
che si sarebbe determinata con l�emanazione delle succitate norme interne. 

21) In particolare la violazione dell�art. 12 (2), comma 2, della direttiva n. 2006/123/CE, 

(2) L�articolo 12 della direttiva n. 2006/123/CE, rubricato �Selezioni tra diversi candidati�, dispone 
quanto segue: 

�1. Qualora il numero di autorizzazioni disponibili per una determinata attivit� sia limitato per via 
della scarsit� delle risorse naturali o delle capacit� tecniche utilizzabili, gli Stati membri applicano 
una procedura di selezione tra i candidati potenziali, che presenti garanzie di imparzialit� e di trasparenza 
e preveda, in particolare, un'adeguata pubblicit� dell'avvio della procedura e del suo svolgimento 
e completamento. 

2. Nei casi di cui al paragrafo 1 l'autorizzazione � rilasciata per una durata limitata adeguata e non 
pu� prevedere la procedura di rinnovo automatico n� accordare altri vantaggi al prestatore uscente o 
a persone che con tale prestatore abbiano particolari legami. 
3. Fatti salvi il paragrafo 1 e gli articoli 9 e 10, gli Stati membri possono tener conto, nello stabilire le 
regole della procedura di selezione, di considerazioni di salute pubblica, di obiettivi di politica sociale, 
della salute e della sicurezza dei lavoratori dipendenti ed autonomi, della protezione dell'ambiente, 
della salvaguardia del patrimonio culturale e di altri motivi imperativi d'interesse generale conformi 
al diritto comunitario�. 


L�art. 12 della direttiva servizi � stato recepito dall�art. 16 del decreto legislativo n. 59 del 2010, il quale 
dispone: 

�1. Nelle ipotesi in cui il numero di titoli autorizzatori disponibili per una determinata attivit� di servizi 
sia limitato per ragioni correlate alla scarsit� delle risorse naturali o delle capacit� tecniche disponibili, 
le autorit� competenti applicano una procedura di selezione tra i candidati potenziali ed assicurano la 


in base al quale � vietata qualsiasi forma di automatismo che, alla scadenza del rapporto concessorio, 
possa favorire il precedente concessionario, dal momento che coloro che in precedenza 
non gestivano il demanio marittimo non avrebbero la possibilit�, alla scadenza della 
concessione, di prendere il posto del vecchio gestore, se non nel caso in cui questi rinunci 
alla proroga. 

3. Osservazioni. 

3.1 In via pregiudiziale. Sulla irricevibilit� della domanda di rinvio. 

22) Preliminarmente si chiede a codesta On. Corte di Giustizia di voler accertare la ricevibilit� 
della domanda pregiudiziale in esame. 

23) Il Tribunale Amministrativo Regionale, alla pag. 7 della sentenza di rinvio, ritiene di 
dover �portare l�attenzione� sulla compatibilit� comunitaria della norma contenuta nell'�art. 
1, comma 18, del d.l. 30 dicembre 2009, n. 194, convertito con legge del 26 febbraio 2010, n. 
25�, norma che lo stesso giudice ritiene �originariamente non riferibile alle concessioni lacuali�. 


24) Successivamente alla pag. 13 paragrafo 12) della sentenza di rinvio il Tribunale Amministrativo 
ritiene che la questione sia �sicuramente rilevante nel caso concreto� dal momento 
che �la concessione rilasciata a Promoimpresa srl rientra temporalmente nell�ambito 
di applicazione del citato art. 1, comma 18, essendo gi� efficace alla data di entrata in vigore 
del d.l. 194/2009 e presentando una scadenza anteriore al 31 dicembre 2015�. 

25) Dette affermazioni non appaiono corrette, alla luce della stessa ricostruzione dell�iter 
normativo fatta dal Giudice italiano. � indiscutibile, infatti, come gi� sopra evidenziato, che: 

1) la concessione di cui era titolare la Soc. Promoimpresa srl, scadeva il 31 dicembre 2010; 

2) l�istanza di rinnovo di quest�ultima � stata proposta dalla Soc. Promoimpresa in data 14 
aprile 2010; 

3) il rigetto di detta istanza di rinnovo da parte del Consorzio ente di gestione � datato 6 
maggio 2011; 

4) l�estensione dell�efficacia dell�art. 1, comma 18, del DL n. 194/09 alle concessioni demaniali 
lacuali � avvenuta solo ad opera dell�articolo 1, comma 547 (3), della L. 24 dicembre 
2012 n. 228 (legge di stabilit� 2013). 

26) � evidente, quindi, che al momento della emanazione degli atti impugnati le concessioni 
demaniali �lacuali e fluviali� erano disciplinate dal succitato art. 16 del decreto legislativo 

predeterminazione e la pubblicazione, nelle forme previste dai propri ordinamenti, dei criteri e delle 
modalit� atti ad assicurarne l'imparzialit�, cui le stesse devono attenersi. 

2. Nel fissare le regole della procedura di selezione le autorit� competenti possono tenere conto di considerazioni 
di salute pubblica, di obiettivi di politica sociale, della salute e della sicurezza dei lavoratori 
dipendenti ed autonomi, della protezione dell'ambiente, della salvaguardia del patrimonio culturale e 
di altri motivi imperativi d'interesse generale conformi al diritto comunitario. 
3. L'effettiva osservanza dei criteri e delle modalit� di cui al comma 1 deve risultare dai singoli provvedimenti 
relativi al rilascio del titolo autorizzatorio. 
4. Nei casi di cui al comma 1 il titolo � rilasciato per una durata limitata e non pu� essere rinnovato 
automaticamente, n� possono essere accordati vantaggi al prestatore uscente o ad altre persone, ancorch� 
giustificati da particolari legami con il primo� 


(3) �547. All'articolo 1, comma 18, del decreto-legge 30 dicembre 2009, n. 194, convertito, con modificazioni, 
dalla legge 26 febbraio 2010, n. 25, dopo le parole: �demaniali marittimi� sono inserite le seguenti: 
�, lacuali e fluviali�; dopo le parole: �turistico ricreative� sono inserite le seguenti: �e sportive, 
nonch� quelli destinati a porti turistici, approdi e punti di ormeggio dedicati alla nautica da diporto�. 



n. 59 del 2010, con il quale, come sՏ detto, si � recepito nell�ordinamento italiano il disposto 
contenuto nell�art. 12 della direttiva servizi n. 2006/123/CE, (cd. Direttiva Bolkestein). 


27) Nel caso di specie, infatti, a differenza di quanto ritenuto dal Giudice italiano, non si 
pu� ritenere temporalmente applicabile al demanio lacuale e fluviale il disposto dell�articolo 
1, comma 18, del D.L. n. 194/2009, convertito con modificazioni con Legge n. 25/2010, di 
cui si chiede a codesta On. Corte di Giustizia di valutare la compatibilit� con l�ordinamento 
comunitario. 

28) Nell�ordinamento italiano vige, infatti, l�indiscussa regola generale secondo la quale 
al procedimento amministrativo si applica il principio del �tempus regit actum�, in quanto, 
alla luce del principio di legalit�, ogni atto amministrativo (anche endoprocedimentale) deve 
essere conforme alla legge in vigore nel momento in cui viene posto in essere. 

29) Questo principio dovrebbe tanto pi� valere nel caso in esame, nel quale il Giudice del 
rinvio dubita della legittimit� comunitaria della norma sopravvenuta (e che per�, incomprensibilmente, 
ritiene applicabile). 

30) Da ci� deriva che anche la proroga concessa dalla legge prima fino al 2015 e successivamente 
estesa al 2020 non era temporalmente applicabile agli atti amministrativi della cui 
legittimit� si discute nel giudizio di rinvio. 

31) Detta proroga non pu� quindi applicarsi n� ratione temporis n� ratione materiae ai provvedimenti 
oggetto della controversia rinviata all�esame di codesta On. Corte di Giustizia. 

32) � allora evidente che per decidere il ricorso pendente dinnanzi al TAR Lombardia non 
� necessario accertare la compatibilit� con il diritto dell�Unione europea della norma che ha 
prorogato al 31 dicembre 2020 la durata delle concessioni e che, dunque, la questione pregiudiziale 
sollevata dinnanzi alla Corte di Giustizia � irricevibile, in quanto manifestamente 
non rilevante per la risoluzione della causa principale. 

33) Questa Difesa � cosciente che, come pi� volte ritenuto da codesta On. Corte di Giustizia 
(Sentenza del 17 luglio 2008 in causa C-500/06 Corporaci�n Dermoest�tica SA contro To Me 
Group Advertising Media) nell�ambito del procedimento istituito dall�art. 234 CE, le funzioni 
della Corte e quelle del giudice del rinvio sono chiaramente separate ed � al secondo che spetta 
interpretare il suo diritto nazionale (v., in tal senso, sentenza della Corte 17 giugno 1999, 
causa C-295/97, Piaggio, punto 29 e giurisprudenza ivi citata), tuttavia, in questo specifico 
caso, deve ritenersi chiaramente superata la presunzione di pertinenza che si riconnette alle 
questioni sollevate in via pregiudiziale dai giudici nazionali. 

34) Secondo codesta On. Corte, infatti, detta presunzione � da ritenersi superata qualora 
sia evidente che l�interpretazione richiesta delle disposizioni del diritto comunitario considerate 
in tali questioni non ha alcuna relazione con l�effettivit� o con l�oggetto della causa principale 
(v., in particolare, sentenze 15 dicembre 1995, causa C-415/93, Bosman, punto 61; 7 
settembre 1999, causa C-355/97, Beck e Bergdorf, punto 22, e sentenza 7 giugno 2007, cause 
riunite da C-222/05 a C-225/05, van der Weerd e a., punto 22). 

3.2 Nel merito. Sulla compatibilit� della proroga delle concessioni demaniali marittime, 
lacuali e fluviali con il diritto dell�Unione Europea. 

35) Qualora codesta On. Corte ritenesse di poter superare la suesposta eccezione di irricevibilit� 
si dovrebbe valutare la compatibilit� con il diritto comunitario delle surriportate norme 
interne che hanno disposto la proroga delle concessioni demaniali marittime, lacuali e fluviali. 

36) Il giudice del rinvio dubita che l�articolo 1, comma 18, del decreto-legge 30 dicembre 
2009, n. 179 - nella versione risultante dalle modifiche apportate dall�articolo 34-duodecies 
del decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179, inserito in sede di conversione con legge 17 di



cembre 2012, n. 221 - il quale ha disposto la proroga del termine di durata delle concessioni 
fino al 31 dicembre 2020, sia compatibile con il diritto dell�Unione europea, sotto il profilo 
della libert� di stabilimento, della tutela della concorrenza, della parit� di trattamento tra gli 
operatori e dei principi di adeguatezza e proporzionalit�. 

37) Deve osservarsi che la proroga del termine di durata delle concessioni di beni demaniali 
con finalit� turistico-ricreativa, disposta con il citato articolo 1, comma 18, del DL n. 179/2009, 
su cui il legislatore � pi� volte intervenuto, si � inserita in un pi� ampio progetto di revisione 
del quadro normativo in materia (il medesimo comma 18 recita: ��nelle more del procedimento 
di revisione del quadro normativo in materia di rilascio delle concessioni di beni demaniali��). 


38) La proroga, pertanto, ha rappresentato - e rappresenta - una misura transitoria per il 
passaggio da un regime di rinnovo automatico delle concessioni ad un regime di affidamento 
delle stesse con gara. 

39) A tale revisione e riordino della materia il Governo italiano sta provvedendo attraverso 
l�adozione di un disegno di legge, di prossima approvazione, che prevede, quanto all�affidamento 
delle concessioni, l�espletamento di procedure competitive di selezione, che assicurino 
il rispetto dei principi di trasparenza, imparzialit�, non discriminazione, pubblicit�. 

40) � interesse del Governo italiano, infatti, disciplinare la materia nel pieno rispetto dei 
principi comunitari, ma anche salvaguardando gli interessi dei soggetti coinvolti. 

41) Va rilevato che per lo Stato italiano, con i suoi 7.859 Km di costa, la questione investe, 
oltre che notevoli interessi economici anche delicati profili politico-sociali, coinvolgendo 
circa 30.000 piccole - o micro - imprese, per lo pi� a conduzione familiare, che operano in un 
settore, quello turistico, essenziale per l�economica nazionale. 

42) In tale contesto di riforma del sistema il legislatore ha inteso tener conto dell�impatto 
del nuovo sistema di rilascio delle concessioni con gara sulle imprese operanti nel settore e 
della necessit� di tutelare l�affidamento in esse ingenerato dal regime di rinnovo automatico, 
previsto dalla legislazione nazionale fino al 2009 (il diritto di insistenza � stato soppresso solo 
con il DL n. 194/2009). 

43) Confidando nel rinnovo automatico delle concessioni, molti dei concessionari hanno, 
infatti, posto in essere ingenti investimenti per l�esercizio dell�attivit� turistico-ricettiva e 
molti di essi hanno assunto gravosi impegni con istituti bancari. 

44) Per tali ragioni, per poter permettere agli interessati di poter rientrare dei costi sostenuti 
nel termine dei piani di ammortamento programmati, � sembrato necessario prorogare la durata 
delle concessioni in essere. 

45) Tale modifica era stata accompagnata da una proroga delle concessioni in essere fino 
al 31 dicembre 2015, accettata dalla Commissione, la quale ha riconosciuto l�esigenza, rappresentata 
dallo Stato italiano, di disporre di un periodo adeguato per il passaggio ad un sistema 
di affidamento delle concessioni con procedure di evidenza pubblica. 

46) � vero che la proroga fino al 31 dicembre 2020 � stata introdotta (con l�articolo 34duodecies 
del decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179, inserito dalla legge di conversione del 
17 dicembre 2012 n. 221, con emendamento di origine parlamentare) successivamente alla 
chiusura della procedura di infrazione, ma � anche vero che la ratio della nuova modifica � la 
medesima che ha ispirato la prima formulazione recante la proroga al 2015 e consiste nella 
tutela dell�affidamento ingenerato negli interessati dal precedente quadro normativo. 

47) La salvaguardia del legittimo affidamento, d�altronde, costituisce un principio fondamentale 
nell'azione dei pubblici poteri, da cui la funzione pubblica non pu� prescindere. 


48) Frutto dell'elaborazione della giurisprudenza e della sistemazione dottrinale, come 
molti dei principi del diritto pubblico, il legittimo affidamento rappresenta uno strumento di 
tutela avverso il comportamento irragionevole e contraddittorio dei poteri pubblici. Detto 
principio � il precipitato giuridico dei doveri di correttezza e buona fede (buona fede oggettiva), 
che impongono di tener conto dell'aspettativa altrui (buona fede soggettiva). 

49) Gli Stati membri devono rispettare detto principio ed esso costituisce un canone di interpretazione 
dei trattati, rappresentando un principio generale di diritto non scritto, per la cui 
affermazione � stata decisiva l'opera di codesta Corte di Giustizia (4). 

50) In sede comunitaria la protezione dell'affidamento legittimo riguarda non solo gli atti 
amministrativi ma anche quelli di natura legislativa. 

51) Il principio opera nei rapporti tra privati e Comunit� Europea ma altres� tra gli Stati 
membri e le Istituzioni comunitarie, nonch� nei riguardi dell'Amministrazione nazionale che 
� chiamata a dare attuazione alla normativa di matrice europea. 

52) Il legittimo affidamento costituisce un principio generale dell'ordinamento comunitario. 
Numerosissime sono le pronunce di codesta On. Corte di Giustizia (5) e del Tribunale di primo 
grado (6) che da tempo e costantemente affermano la vigenza e il carattere fondamentale di 
tale canone. Il principio in questione viene considerato un corollario di quello della certezza 
del diritto, nell�ambito del quale viene individuato il suo fondamento (7). 

53) Quale principio generale dell'ordinamento comunitario, la protezione dell'affidamento 
legittimo riguarda non solo gli atti amministrativi ma anche quelli di carattere legislativo. 
Esso opera nei rapporti tra privati e le Istituzioni comunitarie (8) ma altres� tra gli Stati membri 
che aderiscono al sistema delle Comunit� Europee, nonch� nei riguardi dell'Amministrazione 
nazionale che � chiamata a dare attuazione alla normativa di matrice comunitaria (9). 

54) Come emerge dalla disamina normativa sopra esposta, � indubbio che la disciplina che 
regolava le concessioni demaniali marittime per usi turistico-ricreativi, fino al 2009, aveva 
creato un legittimo affidamento in ordine al rinnovo della concessione, prevedendo dapprima 

(4) Fra le numerosissime pronunce: Corte di Giustizia, 3 maggio 1978, causa 112/77; Corte di Giustizia, 
21 settembre 1983 in cause riunite 205-215/82; Corte di Giustizia, 19 maggio 1983, causa 289/81; Corte 
di Giustizia, 26 febbraio 1987, causa 15/85; Corte di Giustizia, 20 giugno 1991, causa C-248/89; Corte 
di Giustizia, 17 aprile 1997, causa C-90/95. 
(5) Tra le varie sentenze: Corte di Giustizia, 3 maggio 1978, causa 112/77; Corte di Giustizia, 21 settembre 
1983 in cause riunite 205-215/82; Corte di Giustizia, 19 maggio 1983, causa 289/81; Corte di 
Giustizia, 17 aprile 1997, causa C-90/95; Corte di Giustizia, 26 febbraio 1987, causa 15/85, e Corte di 
Giustizia, 20 giugno 1991, causa C-248/89. 
(6) Trib. CE, 17 dicembre 1998, causa T-203/96; Trib. CE, 13 marzo 2003, n. 125 
(7) In tali termini, espressamente: Corte di Giustizia, 19 settembre 2000, Ampafrance and Sanofi, causa 
C-177/99, 181/99; Corte di Giustizia, 18 gennaio 2001, Commission/Spain, causa C-83/99. In talune 
pronunce i due principi sono tra loro affiancati e considerati in un unico contesto, Corte di Giustizia, 21 
settembre 1983, Deutsche Milchkontor GmbH, causa 205/82; Corte di Giustizia, 21 giugno 1988, Commission/
Italy, 257/86; Corte di Giustizia, 8 giugno 2000, Grundst�ckgemeinschaft Schlo�stra�e, causa 
C-396/98. 
(8) Corte di Giustizia, 19 maggio 1983, causa 289/81; Trib. CE, 17 dicembre 1998, causa T-203/96; 
Corte di Giustizia, 19 maggio 1983, Vasilis Mavridis/PE, causa 289/81. 
(9) Gli Stati membri devono rispettare il legittimo affidamento nell'esercizio dei poteri che conferiscono 
loro le direttive comunitarie: Corte di Giustizia, 1 aprile 1993, Lageder and others/Amministrazione 
delle finanze dello Stato, causa C-31/91; Corte di Giustizia, 3 dicembre 1998, Belgocodex, causa C381/
97. 



una durata annuale della concessione, poi una durata quadriennale ed infine una durata di sei 
anni, rinnovabile in modo automatico di sei anni in sei anni e cos� ad ogni successiva scadenza, 
salvo la revoca per motivi legati ad un pubblico interesse. 

55) Al rinnovo automatico della concessione demaniale marittima ad uso turistico-ricreativo 
si legava era legato il cosiddetto "diritto di insistenza", eliminato dal pi� volte citato art. 1, 
comma 18, del D.l. 30 dicembre 2009, n. 194, che dava la preferenza alle precedenti concessioni, 
gi� rilasciate, in sede di rinnovo rispetto alle nuove istanze. 

56) Detto quadro normativo ha indotto i concessionari ad investire, con beneficio anche 
per gli interessi pubblici, diversi milioni di euro nelle strutture turistiche ricettive, soprattutto 
a partire dal 2006, anno in cui si � assistito a un forte rinnovamento delle strutture balneari 
che, grazie al rinnovo automatico, hanno permesso agli istituti bancari di iscrivere ipoteca 
sulle strutture (previo nulla osta degli uffici demaniali) per mutui di durata anche ventennale. 

57) La situazione sopra descritta ha, evidentemente, giustificato la concessione di una proroga, 
inizialmente fino al 2015, e successivamente fino al 2020 delle concessioni in essere, 
per evidenti ragioni di tutela dell�affidamento ingenerato. 

58) L�incertezza normativa che deriverebbe da una eventuale dichiarazione di illegittimit� 
di detta proroga, genererebbe un blocco degli investimenti, dal momento che il sistema bancario, 
in assenza di norme certe, non finanzierebbe pi� le strutture che insistono sulle concessioni 
demaniali, gettando in una profonda incertezza i titolari delle concessioni e 
determinerebbe una drastica diminuzione del valore commerciale delle aziende. 

4. Conclusioni. 

59) Per le motivazioni sopra esposte, si chiede conclusivamente a codesta On. Corte di 
Giustizia di voler valutare la irricevibilit� della domanda pregiudiziale in esame per mancanza 
del necessario requisito della pertinenza in concreto con la causa instaurata innanzi al giudice 
remittente. 

60) In subordine, si chiede di voler comunque ritenere compatibile con il diritto comunitario 
la proroga al 2020 delle concessioni marittime lacuali e fluviali in essere, prevista dall�art. 
l'art. 1, comma 18, del d. l. 30 dicembre 2009, n. 194, convertito con legge del 26 febbraio 
2010, n. 25, e successive modificazioni. 

Roma 12 gennaio 2015 
Pietro Garofoli 
Avvocato dello Stato 


Causa C-160/14 - Materia: Politica sociale. Ravvicinamento delle legislazioni 
-Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Varas C�veis de 
Lisboa (5� Vara C�vel) (Portogallo) il 4 aprile 2014 - Jo�o Filipe Ferreira da 
Silva e Brito e a. / Repubblica portoghese. 

CORTE DI GIUSTIZIA DELL�UNIONE EUROPEA 

OSSERVAZIONI 
del GOVERNO DELLA REPUBBLICA ITALIANA, in persona dell�Agente designato per il presente 
giudizio, con domicilio eletto a Lussemburgo presso l�Ambasciata d�Italia 

nella causa C-160/14 
avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte ai sensi dell�art. 
267 TFUE dal Varas C�veis de Lisboa (Portogallo), nella causa 

JOAO FILIPE FERREIRA DA SILVA E BRITO E ALTRI 96 

- ricorrenti contro 


REPUBBLICA PORTOGHESE 

- resistente 


*** 

I LA QUESTIONE PREGIUDIZIALE 

1. Con decisione del 31 dicembre 2013, depositata in data 4 aprile 2014, il Varas C�veis 
de Lisboa (Portogallo), nell�ambito di un procedimento civile vertente tra le parti indicate 
in epigrafe, ha sottoposto alla Corte la seguente questione: 

(primo quesito) �Se la direttiva 2001/23/CE del Consiglio, del 12 marzo 2001, concernente 
il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative al mantenimento 
dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimenti di imprese, di stabilimenti o di parti di 
imprese o di stabilimenti, e in particolare il suo articolo 1, paragrafo 1, debba essere 
interpretata nel senso che la nozione di �trasferimento di uno stabilimento� comprenda 
una situazione in cui un�impresa attiva nel mercato dei voli charter � liquidata con decisione 
del suo azionista di maggioranza, a sua volta impresa operante nel settore del-
l�aviazione, e in cui, nell�ambito della liquidazione, l�impresa controllante: 
i) - assume la posizione della societ� liquidata nei contratti di locazione di aerei e nei 
contratti in vigore di voli charter stipulati con operatori turistici; 
ii) - svolge l�attivit� precedentemente svolta dalla societ� liquidata; 
iii) - riassume alcuni dipendenti fino a quel momento operanti per la societ� liquidata 
e li colloca in funzioni identiche; 
iv) - riceve piccole apparecchiature della societ� liquidata�. 
(secondo quesito) �Se l�articolo 267 TFUE (gi� articolo 234) debba essere interpretato 
nel senso che il Supremo Tribunale de Justi�a, tenuto conto dei fatti descritti nella questione 
sub 1) e della circostanza che i giudici nazionali di grado inferiore che avevano 
giudicato la causa abbiano adottato decisioni contraddittorie, sia tenuto a sottoporre 
alla Corte di giustizia dell�Unione europea una questione pregiudiziale vertente sulla 
corretta interpretazione della nozione di �trasferimento di uno stabilimento� ai sensi 
dell�articolo 1, paragrafo 1, della direttiva 2001/23/CEE�. 
(terzo quesito) �Se il diritto comunitario e, in particolare, i principi sanciti dalla Corte 
di Giustizia delle Comunit� europee nella sentenza K�bler sulla responsabilit� dello 


Stato per i danni causati ai singoli a seguito di una violazione del diritto comunitario 
commessa da un organo giurisdizionale nazionale di ultimo grado, osti all�applicazione 
di una normativa nazionale che richiede come fondamento della pretesa di risarcimento 
esercitata contro lo Stato la previa revoca della decisione lesiva�. 

II LE NORME DI DIRITTO INTERNAZIONALE E DI DIRITTO DELL�UNIONE EUROPEA RILEVANTI 

2. Il primo quesito verte sull�interpretazione dell�art. 1, paragrafo 1, lettere a) e b), della 
direttiva 2001/23/CE del Consiglio, del 12 marzo 2001 (in prosieguo: �la direttiva�), 
concernente �il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative al mantenimento 
dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimenti di imprese, di stabilimenti o di 
parti di imprese o di stabilimenti�. 
3. La direttiva 2001/23 ha abrogato e sostituito la direttiva 77/187/CEE del Consiglio, del 
14 febbraio 1977, concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri 
relative al mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimenti di imprese, di 
stabilimenti o di parti di imprese o di stabilimenti, come modificata dalla direttiva 
98/50/CE del Consiglio, del 29 giugno 1998. 
4. Il considerando 3 della direttiva 2001/23 recita: 


�Occorre adottare le disposizioni necessarie per proteggere i lavoratori in caso di cambiamento 
di imprenditore, in particolare per assicurare il mantenimento dei loro diritti
�. 

5. L�articolo 1, paragrafo 1, lettere a) e b), di detta direttiva dispone: 
�a) La presente direttiva si applica ai trasferimenti di imprese, di stabilimenti o di parti 
di imprese o di stabilimenti ad un nuovo imprenditore in seguito a cessione contrattuale 

o a fusione. 
b) Fatta salva la lettera a) e le disposizioni seguenti del presente articolo, � considerato 
come trasferimento ai sensi della presente direttiva quello di un�entit� economica che 
conserva la propria identit�, intesa come insieme di mezzi organizzati al fine di svolgere 
un�attivit� economica, sia essa essenziale o accessoria�. 

6. L�articolo 3, paragrafo 1, primo comma, stabilisce: 

�I diritti e gli obblighi che risultano per il cedente da un contratto di lavoro o da un 
rapporto di lavoro esistente alla data del trasferimento sono, in conseguenza di tale 
trasferimento, trasferiti al cessionario�. 

7. Il secondo ed il terzo quesito vertono sull�interpretazione dell�art. 267 del Trattato sul 
funzionamento dell'Unione europea (ex articolo 234 del TCE) che dispone che: 

�La Corte di giustizia dell'Unione europea � competente a pronunciarsi, in via pregiudiziale: 
a) sull'interpretazione dei trattati; 
b) sulla validit� e l'interpretazione degli atti compiuti dalle istituzioni, dagli organi o 
dagli organismi dell'Unione. 
Quando una questione del genere � sollevata dinanzi ad un organo giurisdizionale di 
uno degli Stati membri, tale organo giurisdizionale pu�, qualora reputi necessaria per 
emanare la sua sentenza una decisione su questo punto, domandare alla Corte di pronunciarsi 
sulla questione. 
Quando una questione del genere � sollevata in un giudizio pendente davanti a un organo 
giurisdizionale nazionale, avverso le cui decisioni non possa proporsi un ricorso giurisdizionale 
di diritto interno, tale organo giurisdizionale � tenuto a rivolgersi alla Corte. 
(�)�. 


III I FATTI DI CAUSA E IL DIRITTO NAZIONALE 

8. Sulla base degli elementi desumibili da una sintesi della decisione di rinvio, la questione 
pregiudiziale trae origine dallo scioglimento dell�Air Atlantis, S.A. (in prosieguo 
�AIA� ), societ� costituita nel 1985, svolgente attivit� nel campo del trasporto aereo non 
di linea e dei servizi complementari connessi. 
9. A partire dal 1� maggio 1993, la TAP, azionista di maggioranza dell�AIA e sua creditrice, 
svolgente sino a quel momento quasi esclusivamente attivit� di trasporto aereo di linea, 
ha iniziato ad effettuare una parte delle operazioni dei voli charter gi� contrattualmente 
affidati, prima dello scioglimento, all�AIA, per il periodo compreso tra il 1� maggio 
1993 e il 31 ottobre 2003, al fine di evitare i danni dall�inadempimento dei contratti gi� 
stipulati tra l�AIA e gli operatori turistici. 
10. In tale frangente, la TAP ha utilizzato quattro aerei prima impiegati dall�AIA, si � fatta 
carico delle spese del contratto di leasing, si � servita delle apparecchiature da ufficio 
(mobilio e computer) utilizzate dall�AIA negli stabilimenti di Lisbona e Faro, ed ha utilizzato 
altri articoli della stessa, quali le stoviglie impiegate sugli aerei. 
11. La TAP ha anche assunto alcuni dipendenti dell�estinta AIA che, tra le altre cose, avevano 
esercitato funzioni sui voli charter contrattualmente affidati all�AIA. 
12. In tale contesto, alcuni dipendenti dell�AIA, collettivamente licenziati in data 30 aprile 
1993 a causa dello scioglimento dell�AIA, hanno impugnato il licenziamento dinanzi al 
Tribunale do Trabalho (Tribunale del Lavoro) di Lisbona chiedendo di essere riassunti 
dalla TAP e di vedersi riconosciute le retribuzioni non percepite. 
13. A fondamento della domanda hanno dedotto che, sebbene si fosse affermato che la causa 
del licenziamento collettivo era stata la chiusura definitiva dell�AIA, l�intenzione della 
TAP era stata quella di acquisire l�attivit� sino ad allora svolta dall�AIA nell�ambito dei 
voli charter, motivo per cui la cessazione dell�attivit� dell�AIA doveva considerarsi come 
trasferimento di stabilimento e non come chiusura definitiva di impresa. 
14. Detta circostanza era confermata dal fatto che alla TAP erano state cedute le apparecchiature 
da ufficio e di bordo, il ruolo di conduttore nei contratti di leasing degli aerei 
e la stessa aveva effettuato i voli charter contrattualmente affidati all�AIA. 
15. Il Tribunale del Lavoro di Lisbona, con decisione del 6 febbraio 2007, ha accolto parzialmente 
l�impugnazione del licenziamento collettivo ed ha disposto la riassunzione 
dei ricorrenti. 
16. In particolare, il Tribunale, richiamata la giurisprudenza della Corte di Giustizia, ha ritenuto 
che, nella specie, �vi � stato il trasferimento di uno stabilimento, almeno parziale, 
posto che l�identit� dello stesso viene conservata e viene perseguita la stessa attivit�, 
di modo che la convenuta, TAP, � passata ad occupare il ruolo di imprenditore nei contratti 
di lavoro, il che comporta che il rifiuto di riassumere i ricorrenti � illecito, con le 
conseguenze giuridiche che ne derivano�. 
17. Il Tribunal de Relacao (Corte di Appello) di Lisbona, con sentenza del 16 gennaio 2008, 
ha riformato la decisione di primo grado ritenendo verificatasi la decadenza dal diritto 
di impugnazione del licenziamento collettivo. 
18. Il Supremo Tribunal de Justica (STJ), investito dai lavoratori, con decisione del 25 febbraio 
2009, ha dichiarato legittimo il licenziamento collettivo, ha respinto l�interpretazione 
secondo cui si era verificato un trasferimento dello stabilimento ed ha respinto la 
domanda di rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia. 
19. In particolare, il Supremo Consesso della giustizia portoghese ha ritenuto che: (i) la 





TAP, nell�effettuare i voli nell�estate 1993, non si � servita di un�entit� con la stessa 
identit� che in precedenza apparteneva all�AIA, bens� di proprio strumento di intervento, 
vale a dire della propria impresa; (ii) non costituisce indizio rilevante a favore del trasferimento 
dello stabilimento, l�effettuazione da parte della TAP di voli charter nel 1994, 
in quanto trattasi della semplice occupazione di una quota di mercato lasciata libera 
dalla chiusura dell�AIA; (iii) non vi � stato nemmeno il trasferimento della clientela 
dall�AIA alla TAP e, tantomeno, il trasferimento dello stabilimento, non essendo cedibile 
la licenza. 


20. Relativamente alla questione pregiudiziale, il Supremo Tribunal de Justica, rilevato che 
l�obbligo di rinvio pregiudiziale sussiste solo quando i giudici nazionali avverso le cui 
decisioni non possa proporsi un ricorso giurisdizionale di diritto interno ritengono necessario 
ricorrere al diritto comunitario per la risoluzione della controversia di cui sono 
aditi e, inoltre, sia stata sollevata una questione di interpretazione di tale diritto, tenuto 
conto della giurisprudenza sulla problematica dell�interpretazione delle norme comunitarie 
relative al trasferimento di stabilimento, ha ritenuto che �in relazione al contenuto 
delle disposizioni delle direttive comunitarie menzionate dai ricorrenti, all�interpretazione 
ad esse data dalla Corte di giustizia e alle circostanze della presente causa, accertate 
nella presente sentenza, non vi sono dubbi che occorra un�operazione di 
interpretazione implicante il rinvio pregiudiziale�. 
21. I ricorrenti indicati in epigrafe hanno intrapreso un�azione di accertamento ordinaria 
contro la Repubblica Portoghese, ai sensi dell�articolo 13 della legge 67/2007, relativa 
al regime di responsabilit� civile extracontrattuale dello Stato e degli altri enti pubblici, 
con la quale hanno chiesto la condanna al pagamento dei danni patrimoniali sofferti. 
22. Gli stessi hanno dedotto che la sentenza del Supremo Tribunal de Justica (STJ), che ha 
considerato legittimi i licenziamenti effettuati dall�AIA, � manifestamente illegittima 
poich� incorre in una doppia violazione del diritto comunitario: erronea interpretazione 
della nozione di �trasferimento di uno stabilimento�, di cui alla direttiva 2001/23/CE, e 
inadempimento all�obbligo di sottoporre alla Corte di Giustizia le questioni pregiudiziali 
di diritto comunitario pertinenti. 
23. Il Giudice del rinvio, considerato che ai sensi dell�art. 13 del RRCEE �� lo Stato risponder� 
civilmente per i danni derivanti dalle decisioni giurisdizionali manifestamente 
incostituzionali o illegittime o ingiustificate per errore manifesto nella valutazione dei 
rispettivi presupposti di fatto�, rileva, innanzitutto, che, nella specie, occorre verificare 
se la decisione del Supremo Tribunale de Justica del 25 febbraio 2009 sia manifestamente 
illegittima contenendo un�erronea interpretazione della nozione di trasferimento 
di uno stabilimento, ai sensi della direttiva 2001/23 CE, e se il Tribunale abbia violato 
l�obbligo di rinvio pregiudiziale. 
24. Il Giudice del rinvio, inoltre, rilevato che la giurisprudenza della Corte di Giustizia nella 
sentenza K�bler ha evidenziato che la responsabilit� dello Stato sorge quando la violazione 
deriva da una decisione di un organo giurisdizionale di ultimo grado, sempre che 
il giudice violi in maniera manifesta il diritto vigente, dubita sull�applicabilit� del requisito 
previsto dall�articolo 13, comma 2, del RRCEE, invocato dalla Repubblica Portoghese 
nel controricorso, ai sensi del quale �la pretesa di risarcimento deve fondarsi 
sulla previa revoca della decisione lesiva da parte del giudice competente�. 


IV ANALISI 

IV.I Sul primo quesito 


25. Con il primo quesito, il Varas C�veis de Lisboa chiede se la direttiva 2001/23/CE del 
Consiglio ed, in particolare, l�articolo 1, paragrafo 1, debba essere interpretato nel senso 
che la nozione di �trasferimento di uno stabilimento� comprenda una situazione in cui 
un�impresa, attiva nel mercato dei voli charter, venga liquidata con decisione del suo 
azionista di maggioranza, il quale provveda, quindi, ad assumere la medesima attivit� 
gi� svolta dalla societ� liquidata, subentrando nei contratti di locazione degli aerei e nei 
contratti in vigore di voli charter stipulati con gli operatori turistici e provveda, altres�, 
ad assumere alcuni lavoratori gi� dipendenti della societ� liquidata, assegnandoli ad 
identiche mansioni. 
26. A giudizio del Governo Italiano, la prima questione pregiudiziale deve essere risolta in 
senso affermativo in virt� delle seguenti considerazioni. 
27. In via preliminare, si osserva che, ai sensi dell�art. 1, n. 1, lett. a), la direttiva 2001/23 
si applica a tutti i trasferimenti di imprese, di stabilimenti o di parti di imprese o di stabilimenti 
ad un nuovo imprenditore conseguenti a cessione contrattuale o a fusione. 
28. A tal riguardo, secondo la consolidata giurisprudenza, la portata della citata disposizione 
non pu� essere valutata in base alla sola interpretazione letterale. Date le differenze tra 
le versioni linguistiche della direttiva in questione e le divergenze tra gli ordinamenti 
nazionali in merito alla nozione di cessione contrattuale, codesta Corte ha dato a questa 
nozione un�interpretazione sufficientemente elastica per rispondere all�obiettivo della 
citata direttiva, che, come emerge dal suo terzo �considerando�, � quello di tutelare i lavoratori 
subordinati in caso di cambiamento del titolare dell�impresa (v., in tal senso, 
sentenza 13 settembre 2007, causa C.458/05, Jouini e a., Racc. pag. I.7301, punto 24 e 
la giurisprudenza ivi citata). 
29. Codesta Corte ha, pertanto, statuito che la direttiva 77/187, codificata dalla direttiva 
2001/23, � applicabile in tutti i casi di cambiamento, nell�ambito di rapporti contrattuali, 
della persona fisica o giuridica responsabile della gestione dell�impresa, la quale assume 
le obbligazioni del datore di lavoro nei confronti dei dipendenti dell�impresa stessa (v. 
sentenze 7 marzo 1996, cause riunite C.171/94 e C.172/94, Merckx e Neuhuys, Racc. 
pag. I.1253, punto 28, nonch� 10 dicembre 1998, cause riunite C.127/96, C.229/96 e 
C.74/97, Hern�ndez Vidal e a., Racc. pag. I.8179, punto 23). 
30. Si osserva, inoltre, che la direttiva mira a garantire la continuit� dei rapporti di lavoro 
esistenti nell�ambito di un�entit� economica, indipendentemente da un cambiamento del 
titolare, cosicch� il criterio decisivo per l�accertamento dell�esistenza di un trasferimento, 
ai sensi dell�articolo 1, paragrafo 1, lett. b), di detta direttiva consiste nello stabilire 
se l�entit� in questione conservi o no la propria identit� dopo essere stata rilevata 
dal nuovo datore di lavoro (v. in tal senso, in particolare, sentenza del 6 marzo 2014, 
Amatori, C- 458/12, punto 30; sentenza del 6 settembre 2011, Scattolon, C.108/10, Racc. 
pag. I.7491, punto 60; sentenza 18 marzo 1986, Spijkers, causa C24/85, Racc. pag. 1119, 
punti 11 e 12). 
31. Il trasferimento deve, dunque, avere ad oggetto un�entit� economica organizzata in modo 
stabile, la cui attivit� non si limiti all�esecuzione di un�opera determinata (sentenza 19 
settembre 1995, Rygaard, causa C.48/94, Racc. pag. I.2745, punto 20). 
32. Ai sensi della giurisprudenza di codesta Corte, la nozione di �entit�� si richiama ad un 
complesso organizzato di persone e di elementi che consentono l�esercizio di un�attivit� 
economica finalizzata al perseguimento di un determinato obiettivo (sentenza 11 marzo 
1997, S�zen, causa C.13/95, Racc. pag. I.1259, punto 13). 



33. Tale circostanza viene chiarita dalla lett. b) dell�art. 1 della direttiva, secondo cui il trasferimento 
deve essere riferito ad �un�entit� economica (...), intesa come insieme di 
mezzi organizzati al fine di svolgere un�attivit� economica, sia essa essenziale o accessoria
�, entit� la quale dopo il trasferimento conserva la propria �identit��. 
34. Per valutare, dunque, se nella specie si sia verificato il trasferimento di un�entit� nel 
senso corrispondente alla definizione normativa di cui sopra, devono essere prese in 
considerazione tutte le circostanze che contraddistinguono l�operazione in questione. 
35. Dall�ordinanza di rimessione risulta che: (i) la TAP ha assunto la posizione dell�AIA 
nei contratti di leasing degli aerei e nei contratti in vigore di voli charter stipulati con 
operatori turistici; (ii) la TAP ha svolto l�attivit� precedentemente svolta dall�AIA; (iii) 
la TAP ha assunto alcuni dipendenti dell�AIA e li ha assegnati ad identiche mansioni; 
(iv) la TAP ha ricevuto piccole apparecchiature dall�AIA. 


36. Si osserva al riguardo che codesta Corte, in una costante giurisprudenza, per valutare 
se si sia verificato il trasferimento dell�entit� economica fa ricorso ad una molteplicit� 
di criteri di valutazione e, segnatamente: 1) il tipo di impresa o di stabilimento di cui 
trattasi; 2) l�eventuale trasferimento degli elementi patrimoniali materiali quali edifici 
e beni mobili; 3) il valore degli attivi immateriali al momento del trasferimento; 4) 
l�eventuale presa in carico della maggior parte del personale da parte del nuovo titolare; 
5) l�eventuale trasferimento della clientela; 6) il grado di somiglianza tra le attivit� svolte 
prima e dopo il trasferimento; 7) la durata di un�eventuale interruzione di tali attivit�. 
Tuttavia, secondo codesta Corte, tali circostanze costituiscono soltanto aspetti parziali 
della valutazione complessiva da svolgere e non possono essere considerate isolatamente 
(v., in particolare, sentenza 18 marzo 1986, causa 24/85, Spijkers, Racc. pag. 1119, punto 
13; sentenza 19 maggio 1992, causa C.29/91, Redmond Stichting, Racc. pag. I.3189, 
punto 24; sentenza 11 marzo 1997, causa C.13/95, S�zen, Racc. pag. I.1259, punto 14; 
sentenza 20 novembre 2003, causa C.340/01, Abler e a., Racc. pag. I.14023, punto 33; 
sentenza 20 gennaio 2001, CLECE, Causa C.463/09, punto 34). 
37. Si evidenzia, inoltre, che nella giurisprudenza di codesta Corte � stata evidenziata la necessit� 
che, nella valutazione delle circostanze pertinenti, si tenga conto, tra l�altro, del 
tipo di impresa o di stabilimento di cui trattasi. Ai singoli criteri utilizzabili per la verifica 
dell�esistenza di un trasferimento ai sensi della direttiva occorre necessariamente attribuire 
un peso diverso, a seconda dell�attivit� esercitata e persino dei metodi di produzione 
o di gestione applicati nell�impresa, nello stabilimento o nella parte di stabilimento 
di cui trattasi. Poich� sotto questo profilo un�entit� economica pu� essere in grado, in 
determinati settori, di operare senza elementi patrimoniali materiali o immateriali significativi, 
la conservazione dell�identit� di un�entit� siffatta all�esito del suo trasferimento 
non pu� dipendere dalla cessione di tali elementi (sentenza S�zen, cit., punto 18; sentenza 
Hern�ndez Vidal e a., cit. punto 31; sentenza 10 dicembre 1998, Hidalgo e a., 
cause riunite C.173/96 e C.247/96, Racc. pag. I.8237, punto 31, e sentenza UGT.FSP, 
cit., punto 28). 
38. Alla luce di quanto esposto, il Governo Italiano ritiene che il passaggio dall�AIA alla 
TAP di alcuni beni materiali, la circostanza che parte dei lavoratori siano stati assunti 
con mansioni corrispondenti presso la TAP, la successione di quest�ultima in alcuni 
diritti personali di godimento insistenti sui beni gi� utilizzati dall�AIA, coniugati con il 
proseguimento da parte della TAP dell'attivit� in questione, costituiscono il dato discriminante 
per riconoscere esistenti i presupposti per l'applicazione della direttiva. 



39. Per concludere, dunque, sul punto, si ritiene che la messa a disposizione di alcuni elementi 
patrimoniali, l�assunzione di alcuni dipendenti, la continuazione nello svolgimento 
dell�attivit�, il subentro nei contratti di leasing consentono di ritenere che nella specie 
� stata preservata l�identit� dell�unit� economica trasferita ai sensi dell'art. 1 della direttiva 
2001/23. 


IV.II Sul secondo quesito 

40. Con il secondo quesito, il giudice del rinvio chiede alla Corte di stabilire se il Supremo 
Tribunale de Justica, tenuto conto dei fatti descritti nella prima questione pregiudiziale 
e della circostanza che i giudici nazionali di grado inferiore avevano adottato decisioni 
contraddittorie, fosse tenuto a sottoporre alla Corte una questione pregiudiziale vertente 
sulla corretta interpretazione della nozione di trasferimento di uno stabilimento ai sensi 
dell�articolo 1, paragrafo 1, della direttiva 20001/23/ CEE. 
41. In via preliminare, il Governo Italiano osserva che l�art. 267, comma 3, TFUE non vieta 
al giudice nazionale di compiere una verifica circa la necessit� del rinvio pregiudiziale, 
alla stregua della rilevanza della questione e della chiarezza, o meno, delle disposizioni 
del diritto dell�Unione della cui interpretazione si controverte. 
42. Pi� specificatamente, si osserva che l�art. 267, comma 3, del TFUE non stabilisce un 
obbligo assoluto e incondizionato di rinvio in capo alle giurisdizioni di ultima istanza, 
avendo la giurisprudenza di codesta Corte enucleato alcuni casi in cui lo stesso va nella 
sostanza a trasformarsi in semplice facolt�. 
43. La competenza pregiudiziale della Corte si inscrive nel contesto della cooperazione tra 
giudice nazionale e giudice dell�Unione, con la conseguenza che, nonostante nel trattato 
non vi sia alcun riferimento in tal senso, � stato chiarito che spetta al giudice di ultima 
istanza il potere di valutare la rilevanza della questione interpretativa e, per l�effetto, la 
scelta se effettuare il rinvio pregiudiziale. 
44. Il giudice ha, anzi, il dovere di astenersi dal porre alla Corte quesiti che non hanno alcuna 
relazione con l�effettivit� o l�oggetto della causa, ossia, per l�appunto, quesiti la cui soluzione 
non � rilevante per la soluzione del giudizio principale. In tal senso depone chiaramente 
anche la lettera dell�art. 267 TFUE: il comma 2 chiarisce, infatti, il giudice 
nazionale pu� domandare alla Corte di pronunciarsi sulla questione �qualora reputi necessaria 
per la sua sentenza una decisione su questo punto�; un analogo inciso non �, 
ben vero, riprodotto nel comma 3, ma � evidente che tale comma, riferendosi ad �una 
questione del genere�, rinvii alle condizioni previste dal precedente comma 2. 
45. Risulta, inoltre, da un chiaro indirizzo di codesta Corte che l�obbligo del giudice di ultimo 
grado di operare il rinvio, rispetto ad una questione di interpretazione che sia invece 
rilevante nel giudizio a quo (non importa se sollevata da una delle parti o di ufficio), 
sussiste alla condizione che: 
-essa non sia materialmente identica ad altra questione gi� sottoposta alla Corte; 
-sul punto di diritto controverso non esista gi� una consolidata giurisprudenza della Corte 
(cfr. sentenza 27 marzo 1963, Da Costa, causa 28-30/62, punti 5 e 6; sentenza 11 settembre 
2008, Uni�n General de Trabajadores de la Rioja, cause C-428-434/06, punto 39); 
-l�interpretazione della norma dell�Unione non si imponga con evidenza tale da non 
dare adito a ragionevoli dubbi (cfr. sentenza 6 ottobre 1982, CILFIT, causa C- 283/81, 
punto 14 e ss.; sentenza 15 settembre 2005, Intermodal Transports, C- 495/03; sentenza 
6 dicembre 2005, Gaston Shul, C- 461/03, sentenza 11 settembre 2008, Uni�n General 
de Trabajadores de la Rioja, cause C-428-434/06, punto 39). 





46. Sulla base di quanto esposto, il Governo Italiano ritiene che in merito al secondo quesito 
la valutazione debba essere rimessa al giudice nazionale che dovr� operarla sulla base 
dei seguenti criteri: (i) la questione in esame non era materialmente identica ad altra 
questione gi� esaminata; (ii) nell�accertare l�esistenza di un trasferimento di stabilimento 
ai sensi dell�articolo 1, paragrafo 1, della direttiva 2001/23, codesta Corte ha sempre 
seguito un approccio essenzialmente basato su una valutazione caso per caso e, quindi, 
anche il caso in esame doveva essere vagliato nella sua specificit�; (iii) sussistevano ragionevoli 
dubbi sull�interpretazione della normativa comunitaria confermati anche dalla 
circostanza che nei precedenti gradi del giudizio altro organo giurisdizionale si era pronunciato 
in senso diametralmente opposto. Di tale opinabilit� il giudice nazionale dovr� 
altres� tenere conto nel valutare se nel merito sussistesse una violazione sufficientemente 
qualificata del diritto dell�Unione. 


IV.III Sul terzo quesito 

47. Con il suo terzo quesito, il Varas C�vies de Lisboa chiede alla Corte di stabilire se il diritto 
comunitario e, in particolare, i principi stabiliti da codesta Corte nella sentenza K�bler 
sulla responsabilit� dello Stato per i danni causati ai singoli a seguito di una 
violazione del diritto comunitario commessa da un organo giurisdizionale nazionale di 
ultimo grado, ostino all�applicazione di una normativa nazionale, come quella di cui 
alla causa principale, che richiede come fondamento della pretesa di risarcimento esercitata 
contro lo Stato la previa revoca della decisione lesiva. 
48. Il Governo Italiano ritiene che alla questione in esame debba darsi risposta negativa in 
virt� delle seguenti osservazioni. 
49. In via preliminare, si osserva che spetta all'ordinamento giuridico interno di ciascuno 
Stato membro designare i giudici competenti e stabilire le modalit� procedurali delle 
azioni risarcitorie contro gli stessi Stati per violazione del diritto dell�Unione. 
50. La discrezionalit� degli Stati membri, definita �autonomia procedurale� (v., in tal senso, 
Corte di giustizia, sentenza 16 dicembre 1976, Rewe, causa 33/76, Raccolta, p. 1989, 
punto 5; sentenza 20 settembre 2001, Courage e Crehan, causa C-453/99, ivi, p. I-6297, 
punto 29; sentenza 11 settembre 2003, Safalero, causa C-13/01, ivi, p. I-8679, punto 49; 
sentenza 13 marzo 2007, Unibet, causa C-432/05, ivi, p. I-2271, punto 39; sentenza 7 
giugno 2007, Van der Weerd e a., cause riunite da C-222/05 a C-225/05, ivi, p. I-4233, 
punto 28; sentenza 12 febbraio 2008, Kempter, causa C-2/06, ivi, p. I-411, punto 57), 
deve esercitarsi entro i confini stabiliti da codesta Corte ed, in via prioritaria, le modalit� 
previste non devono essere meno favorevoli di quelle che riguardano ricorsi analoghi 
di natura interna (principio di equivalenza) n� rendere praticamente impossibile o eccessivamente 
difficile l'esercizio dei diritti conferiti dall'ordinamento giuridico comunitario 
(principio di effettivit�) (v. sentenza 10 luglio 1997, Palmisani, causa C-261/95, 
Racc. pag. I-4025, punto 27). 
51. In particolare, nella sentenza K�bler al punto 46 � espressamente affermato che �in 
mancanza di una disciplina comunitaria, spetta all�ordinamento giuridico interno di 
ciascuno Stato membro designare il giudice competente e stabilire le modalit� procedurali 
dei ricorsi giurisdizionali intesi a garantire la tutela dei diritti spettanti ai singoli 
in forza del diritto comunitario (v. sentenze 16 dicembre 1976, causa 33/76, Rewe, Racc. 
pag. 1989, punto 5; 45/76, Comet, Racc. pag. 2043, punto 13; 27 febbraio 1980, causa 
68/79, Just, Racc. pag. 501, punto 25, Francovich e a., cit., punto 42, e 14 dicembre 
1995, causa C-312/93, Peterbroeck, Racc. pag. I-4599, punto 12)�. 



52. Ci� posto, a giudizio del Governo italiano, bench� le contrarie argomentazioni formulate 
dalla giurisdizione di rinvio non siano del tutto prive di ragionevole fondamento, 
il paragrafo 2 dell�articolo 13 del RRCEE, che prevede che �la pretesa di risarcimento 
deve fondarsi sulla previa revoca della decisione lesiva da parte del giudice competente�, 
non contrasta con il diritto comunitario e con i principi espressi nella sentenza 
K�bler. 
53. Si osserva, al riguardo, che la modalit� procedurale individuata dal legislatore portoghese 
realizza il giusto equilibrio tra la necessit� di preservare l�indipendenza del potere 
giudiziario e gli imperativi della certezza del diritto, da un lato, e la concessione di una 
tutela giurisdizionale effettiva in caso di violazione del diritto comunitario imputabili 
al potere giudiziario, dall�altro lato. 
54. Pi� specificatamente, si ritiene che la richiesta alle parti di esperire ogni tentativo legislativamente 
previsto per caducare la sentenza incompatibile, individuato dall�ordinamento 
portoghese nella necessit� della previa revoca di detta decisione, prima di 
consentire la richiesta risarcitoria, non sembra di per s� contravvenire ai principi di equivalenza 
e di effettivit� della tutela giurisdizionale. 
55. Non pare, infatti, per nulla irragionevole assoggettare chi lamenti una lesione conseguente 
ad una sentenza adottata in violazione del diritto comunitario all'onere di chiederne 
la revoca, e solo successivamente, ottenuta ragione su questo punto, consentirgli 
l'azione di risarcimento del danno che, eventualmente, ancora residui dopo la revoca. 
Questa previsione appare giustificata dalla ragione di interesse generale (riconosciuto 
anche dal diritto dell�Unione) consistente nell�assicurare l�autorit� e la stabilit� dei giudicati: 
tale autorit� potrebbe essere posta in discussione qualora fosse indiscriminatamente 
consentito nell�ordinamento interno affiancare a sentenze pienamente valide ed 
efficaci sentenze di contenuto esattamente opposto, che riconoscono risarcimenti di 
danni sul presupposto che le prime sentenze, bench� valide ed efficaci, vanno nondimeno 
considerate illegittime (anche per ragioni diverse dalla eventuale violazione del diritto 
dell�Unione: la normativa nazionale, correttamente, non distingue tra le possibili cause 
di illegittimit� della sentenza). 
56. Oltre che giustificata dall�indicata ragione di interesse generale, la misura nazionale in 
questione appare anche proporzionata ed efficace: essa, infatti, mira alla preventiva eliminazione 
o riduzione di un danno risarcibile per equivalente derivante dalla sentenza 
ipoteticamente illegittima, mediante un rimedio �in forma specifica�, quale la revoca 
della sentenza in questione. In tal modo, sar� possibile ridurre l�azione di risarcimento 
per equivalente alle sole ipotesi in cui la revoca non abbia di per s� gi� eliminato ogni 
ragione di danno, conservando il carattere di �extrema ratio� che l�azione di risarcimento 
per equivalente deve sempre mantenere, ed evitando che questa divenga, invece, il 
mezzo ordinario per far valere, per quanto qui interessa, il primato del diritto dell�Unione 
anche rispetto alle decisioni giurisdizionali interne. 
57. Deve, in conclusione, ritenersi che le condizioni previste nella sentenza K�bler per ottenere 
il diritto al risarcimento del danno e, segnatamente, che la norma giuridica violata 
sia preordinata a conferire diritti ai soggetti dell�ordinamento, che la violazione di tale 
norma sia sufficientemente qualificata e che sia necessario che vi sia un nesso causale 
diretto tra la violazione in parola e il danno subito dal soggetto leso, non ostano all�applicazione 
di una normativa nazionale che subordina il diritto al risarcimento del danno 
alla condizione che l�avente diritto abbia chiesto la revoca della sentenza. 



V CONCLUSIONI 

58. Alla stregua delle considerazioni che precedono, il Governo italiano suggerisce alla 
Corte di rispondere ai quesiti sottoposti al suo esame affermando che: 

1) L�articolo 1, paragrafo 1, della direttiva 2001/23/CE del Consiglio, del 12 marzo 
2001, deve essere interpretato nel senso che la nozione di �trasferimento di uno stabilimento
� comprenda una situazione in cui un�impresa attiva nel mercato dei voli charter 
� liquidata con decisione del suo azionista di maggioranza, a sua volta impresa operante 
nel settore dell�aviazione, e in cui, nell�ambito della liquidazione, l�impresa controllante: 
i)- assume la posizione della societ� liquidata nei contratti di locazione di aerei 
e nei contratti in vigore di voli charter stipulati con operatori turistici; ii)- svolge l�attivit� 
precedentemente svolta dalla societ� liquidata; iii)- riassume alcuni dipendenti 
fino a quel momento operanti per la societ� liquidata e li colloca in funzioni identiche; 
iv)- riceve piccole apparecchiature della societ� liquidata�. 
2) Nelle circostanze del caso di specie il giudice nazionale, nel valutare se sia stato violato 
l�obbligo di rinvio pregiudiziale di cui all�art. 267 par. 3 TFUE, dovr� attenersi ai 
seguenti criteri: (i) la questione in esame non era materialmente identica ad altra questione 
gi� esaminata; (ii) nell�accertare l�esistenza di un trasferimento di stabilimento 
ai sensi dell�articolo 1, paragrafo 1, della direttiva 2001/23, codesta Corte ha sempre 
seguito un approccio essenzialmente basato su una valutazione caso per caso e, quindi, 
anche il caso in esame doveva essere vagliato nella sua specificit�; (iii) sussistevano 
ragionevoli dubbi sull�interpretazione della normativa comunitaria confermati anche 
dalla circostanza che nei precedenti gradi del giudizio altro organo giurisdizionale si 
era pronunciato in senso diametralmente opposto. Di tale opinabilit� il giudice nazionale 
dovr� altres� tenere conto nel valutare se nel merito sussistesse una violazione sufficientemente 
qualificata del diritto dell�Unione. 
3) Il diritto comunitario e, in particolare, i principi sanciti dalla Corte di Giustizia delle 
Comunit� europee nella sentenza K�bler sulla responsabilit� dello Stato per i danni 
causati ai singoli a seguito di una violazione del diritto comunitario commessa da un 
organo giurisdizionale nazionale di ultimo grado, non ostano all�applicazione di una 
normativa nazionale che richiede come fondamento della pretesa di risarcimento esercitato 
contro lo Stato la previa revoca della decisione lesiva�. 

Roma, 17 luglio 2014 
Federica Varrone 
Avvocato dello Stato 


Causa C-471/14 - Materia: Ravvicinamento delle legislazioni. Propriet� intellettuale, 
industriale e commerciale -Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta 
dall�Oberlandesgerichts Wien (Austria) il 15 ottobre 2014 - Seattle Genetics Inc. 

CORTE DI GIUSTIZIA DELL�UNIONE EUROPEA 

OSSERVAZIONI 
del GOVERNO DELLA REPUBBLICA ITALIANA, in persona dell'Agente designato per il presente 
giudizio, con domicilio eletto a Lussemburgo presso l'Ambasciata d'Italia. 

nella causa C-471/14 

Promossa ai sensi dell�art. 267 TFUE dall�Oberlandesgericht Wien (Austria) con ordinanza 
in data 15 ottobre 2014. 

I) Il giudizio a quo 
I.a) Il giudizio a quo verte sulla corretta individuazione della durata del certificato protettivo 
complementare per un prodotto medicinale, in dipendenza della esatta interpretazione della 
nozione di �prima autorizzazione all�immissione in commercio� di cui all�art. 13 paragrafo 1 
del Regolamento (CE) n. 469/2009 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 6 maggio 2009. 
In particolare, il giudice mette in evidenza che tale nozione � suscettibile di interpretazioni 
contrastanti, a seconda che si attribuisca rilievo al momento in cui il provvedimento viene 
notificato al destinatario, ovvero a quello in cui esso viene rilasciato. 
Chiede pertanto di conoscere se essa debba essere ricostruita secondo il diritto nazionale di 
ciascuno Stato membro oppure, in un�ottica di avvicinamento delle legislazioni nazionali, secondo 
il diritto Comunitario e, in tale seconda eventualit�, se rilevi il momento della comunicazione 
o del rilascio dell�autorizzazione. 
I.b) Il giudice, in particolare, ritenendone la rilevanza ai fini del decidere, ha sottoposto alla 
Corte di Giustizia dell�Unione Europea i seguenti quesiti: 

1) �Se la data della prima autorizzazione di immissione in commercio nella Comunit�, ai sensi 
dell�art. 13 paragrafo 1 del Regolamento (CE) n. 469/2009 del Parlamento europeo e del 
Consiglio, del 6 maggio 2009, sul certificato protettivo complementare per i medicinali, sia 
stabilit� in base al diritto comunitario o se tale disciplina rinvii alla data in cui l�autorizzazione 
acquista efficacia in base al diritto dello Stato membro interessato�. 
2) �Qualora la Corte di Giustizia dell�Unione Europea dichiarasse che occorre stabilire la 
data di cui alla questione sub 1 in base al diritto comunitario, se sia a tal fine necessario 
prendere in considerazione la data dell�autorizzazione o quella della comunicazione�. 

II) La normativa comunitaria 

Viene in considerazione, ai fini della soluzione dei quesiti sottoposti alla Corte dal giudice 
remittente, l�art. 13 primo paragrafo del Regolamento (CE) n. 469/2009 del Parlamento europeo 
e del Consiglio, del 6 maggio 2009: �1. Il certificato ha efficacia a decorrere dal termine 
legale del brevetto di base per una durata uguale al periodo intercorso tra la data del 
deposito della domanda del brevetto di base e la data della prima autorizzazione di immissione 
in commercio nella Comunit�, ridotto di cinque anni�. 
Si ritiene che siano, altres�, rilevanti i seguenti Considerando: 
4^ Attualmente, il periodo che intercorre fra il deposito di una domanda di brevetto per un nuovo medicinale 
e l'autorizzazione di immissione in commercio dello stesso riduce la protezione effettiva conferita 
dal brevetto a una durata insufficiente ad ammortizzare gli investimenti effettuati nella ricerca. 
7^ � opportuno prevedere una soluzione uniforme a livello comunitario e prevenire in tal 
modo un'evoluzione eterogenea delle legislazioni nazionali che comporti ulteriori differenze 


tali da ostacolare la libera circolazione dei medicinali all'interno della Comunit� e da incidere, 
di conseguenza, direttamente sul funzionamento del mercato interno. 
8^ � pertanto necessario prevedere un certificato protettivo complementare per i medicinali 
la cui immissione in commercio sia stata autorizzata, il quale possa essere ottenuto dal titolare 
di un brevetto nazionale o europeo alle stesse condizioni in ciascuno Stato membro. Di conseguenza, 
il regolamento costituisce lo strumento giuridico pi� appropriato. 
9^ La durata della protezione conferita dal certificato dovrebbe essere fissata in modo da 
permettere una protezione effettiva sufficiente. A tal fine, il titolare che disponga contemporaneamente 
di un brevetto e di un certificato deve poter beneficiare complessivamente di quindici 
anni al massimo di esclusivit�, a partire dalla prima autorizzazione di immissione in 
commercio nella Comunit� del medicinale in questione. 

III) Le osservazioni del Governo italiano 
III.a) La nozione di �prima autorizzazione all�immissione in commercio� va ricostruita sulla 
base del diritto nazionale, in mancanza di una regolamentazione comunitaria del procedimento 
innanzi alle autorit� competenti in ciascuno Stato membro. 
III.b) L�uniformit� interpretativa, del resto, � garantita non tanto dal fatto che la suddetta nozione 
sia ricostruita sulla base del diritto comunitario, quanto dal fatto che - avuto riguardo 
alla ratio legis sottesa all�istituto del certificato protettivo complementare, per come desumibile 
dalle premesse del Regolamento e particolarmente dal 4^, 7^, 8^ e 9^ Considerando - all�art. 
13 primo periodo del Regolamento venga attribuito un significato comunque coerente 
con le finalit� perseguite dal legislatore comunitario. 
III.c) Posto che dette finalit� si identificano con l�esigenza di assicurare un periodo di esclusiva 
sufficiente ad ammortizzare l�impegno economico profuso nella ricerca, ci� che rileva � 
il momento in cui, secondo la normativa interna di ciascuno Stato membro, � possibile effettivamente 
immettere (beneficiando dell�esclusiva) il prodotto sul mercato. 
III.d) Qualora la legislazione nazionale preveda una sfasatura procedimentale e temporale fra 
il momento di adozione del provvedimento autorizzatorio e quello in cui lo stesso, in quanto 
comunicato o pubblicato, diviene efficace, non potr� che darsi preminenza al secondo, pena 
la compromissione della finalit� del certificato come descritta al punto III.c) che precede. 
III.e) In via di mero subordine, per il caso in cui la Corte dovesse ritenere che la nozione di 
�prima autorizzazione all�immissione in commercio� vada ricostruita secondo il diritto comunitario, 
la conclusione dovrebbe essere comunque, stante la ratio dell�istituto del certificato 
protettivo complementare, nel senso che rileva la data della comunicazione del provvedimento, 
in quanto condizione per la commercializzazione di un medicinale � che la relativa autorizzazione 
sia nota e, in quanto tale, possa dirsi efficace �erga omnes�. 
IV) Il Governo italiano propone pertanto di rispondere ai quesiti come segue: 
Quanto al primo quesito: 

La data della prima autorizzazione di immissione in commercio nella Comunit�, ai sensi dell�art. 
13 paragrafo 1 del Regolamento (CE) n. 469/2009 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 
6 maggio 2009, sul certificato protettivo complementare per i medicinali, va individuata nella 
data in cui l�autorizzazione acquista efficacia in base al diritto dello Stato membro interessato. 

Quanto al secondo quesito: 

Qualora la Corte ritenesse che occorre stabilire la data di cui alla questione sub 1 in base al diritto 
comunitario, � a tal fine necessario prendere in considerazione la data della comunicazione. 

Marina Russo 
Avvocato dello Stato 


contenzioso nazionale
CONTENZIOSO NAZIONALE 
Sulla sentenza n. 10/2015 della Corte Costituzionale (*) 

Da: Paolo Gentili [mailto:paolo.gentili@avvocaturastato.it] 
Inviato: gio 12/02/2015 19.32 

A: Melillo Cinzia; Fiorentino Sergio; Barbieri Attilio; Urbani Neri Alessia; Colelli Carla; 
Avvocati_tutti 
Oggetto: R: ... 


Cari Colleghi, 
forse c'� un equivoco. 
La sentenza 10/2015 va considerata, credo, una importante vittoria dell'Avvocatura 
dello Stato. La dichiarazione di illegittimit� costituzionale della c.d. 
Robin Tax (aliquota addizionale Ires del 6,5% applicata a carico delle imprese 
operanti nella filiera energetica, dai raffinatori ai distributori di tutti i tipi di 
carburante o di combustibile) avrebbe esposto il bilancio dello Stato a richieste 
di rimborso, gi� tutte tempestivamente inviate dalle imprese interessate, pari 
a circa 7 miliardi di euro pi� interessi. L'imposta � infatti in vigore dal 2008, 
e il gettito medio � stato di 1 miliardo all'anno. 
Su mia richiesta subordinata, formulata per l'ipotesi in cui la questione fosse 
stata ritenuta fondata (la sentenza non lo dice, ma risulta dagli atti), la Corte 
costituzionale ha deciso di escludere la retroattivit� degli effetti della sentenza 
di accoglimento (vi era gi� un precedente, ma non di carattere finanziario). In 
tal modo, ribadisco su richiesta dell'avvocatura, abbiamo evitato rimborsi a 
favore dei petrolieri e simili per almeno 7 miliardi. 
Non solo. Abbiamo ottenuto anche una sentenza che per la prima volta, allineando 
la nostra Corte costituzionale a quella tedesca e alla Corte di giustizia 
UE, che da sempre esercitano il potere di determinazione temporale degli ef


(*) Dopo uno scambio di e-mail [tra avvocati dello Stato] succedutesi a commento della sentenza 
in rassegna, l�assegnatario della causa, l�avv. Paolo Gentili, � intervenuto in merito con argomentazioni 
che integralmente si pubblicano. 


fetti delle loro pronunce, specifica con puntuale e pregevole motivazione casi 
e presupposti di esercizio di tale delicato, ma indispensabile potere. 
� indubbiamente una pietra miliare nella giurisprudenza costituzionale, e possiamo 
essere soddisfatti di avervi contribuito in modo non secondario. Non ce 
lo riconoscer� nessuno, ma questo non importa. 

Per i cultori della materia (gli altri possono staccare a questo punto), segnalo 
poi l'interesse nel merito della sentenza. 
Condividendo quasi alla lettera le nostre tesi, afferma che � costituzionalmente 
legittima una tassazione del reddito di impresa differenziata in peius 
per categorie di imprese che operino in condizione di "rendita di posizione", 
vale a dire imprese che dal lato dell'offerta si trovino in situazione di oligopolio 
(pochi e grandi soggetti operanti, con elevati ostacoli all'ingresso di 
nuovi competitori) e che, dal lato della domanda, possano profittare del carattere 
anelastico di questa, che � costretta a richiedere il bene o servizio sempre 
nella medesima misura anche se questo, a discrezione degli oligopolisti, 
aumenta di prezzo perch� questi non subiscono alcun incentivo a ridurre i 
costi di esercizio. 
La Corte ha ritenuto in concreto non ragionevole la modalit� concreta con 
cui la legge attuava questo legittimo obiettivo: da un lato, l'aliquota addizionale 
colpisce tutto il reddito di impresa, e non solo la componente di questo 
attribuibile alla suddetta rendita di posizione (il c.d. sovraprofitto); dall'altro, 
non vi � una modalit� attendibile di controllo del divieto di traslazione (pur 
previsto dalla legge) della sovraimposta sul consumatore finale, che in definitiva 
rischia di subire l'aggravio economico che la legge vorrebbe imporre 
alle imprese del settore. 
Il primo punto � discutibile (qui la Corte non ci ha seguito): se si parte dal presupposto 
che si tassa una rendita di posizione, questa si spalma sull'intero reddito 
perch� riguarda una condizione operativa complessiva dell'impresa, e 
quindi � giusto che l'aliquota aggravata si applichi a tutto il reddito e non solo 
alla parte, ben difficilmente calcolabile, che si possa attribuire alla rendita di 
posizione. Ma, de iure condendo, sarebbe un punto facilmente superabile prevedendo 
una aliquota addizionale pi� moderata del 6,5%; o una aliquota progressiva 
su uno scaglione marginale di reddito (l'Ires progressiva non � 
concettualmente inammissibile, e la stessa autorevole difesa delle imprese interessate 
- Livia Salvini - l'aveva in sostanza proposta nei propri scritti). 
Molto interessante � il secondo punto, che poi � quello decisivo. Il tema teorico 
del rapporto tra tassazione del reddito di impresa e traslazione di imposta � 
antico. In breve, il divieto di traslazione si giustifica perch� l'imposta sul reddito 
non �, fiscalmente, un costo di produzione: nella tassazione in base a bilancio 
("a costi e ricavi") l'imposta colpisce il risultato netto positivo, cio� 
quanto residua dopo la traslazione integrale dei costi di produzione attraverso 


CONTENZIOSO NAZIONALE

la loro incorporazione nei ricavi concorrenti a formare l'imponibile, e la deduzione 
dai ricavi dei costi stessi. L'imposta sul reddito sta a valle di questo 
processo, e quindi non costituisce tecnicamente un costo traslabile (e per questo 
deducibile; in questo senso � da sempre strutturato il nostro sistema: v. 
oggi l'art. 99 TUIR); sicch� se ne pu� vietare la traslazione in modo che gravi 
definitivamente sul titolare del reddito di impresa. Di norma, per�, la traslazione 
non viene vietata perch� si considera che l'impresa non abbia interesse 
ad accrescere i propri ricavi imponibili solo per recuperare una parte dell'onere 
di imposta. Tale recupero teorico infatti, per l'indeducibilit� dell'imposta sul 
reddito, non sarebbe mai integrale (esempio classico: imponibile previsto 100; 
ires 33% = 33; netto 67. Traslazione dell'imposta prevista: imponibile 133; 
ires 33%= 44 arrotondato; netto 89: recupero effettivo da traslazione dell'originario 
onere di 33 = 22 (89-67). E potrebbe risultare nullo se l'incremento 
dei prezzi per l'incorporazione dell'imposta prevista, provocasse una contrazione 
e non un incremento dei ricavi, dovuto alla riduzione della domanda. 
Ma la Corte avverte che una eccezione al regime normale di imposta, come � 
la tassazione speciale "Robin Tax", pu� effettivamente provocare fenomeni di 
traslazione soprattutto se le imprese colpite fronteggiano una domanda anelastica, 
e quindi temono relativamente la riduzione della domanda al crescere 
del prezzo a causa della traslazione. 
La risposta della Corte non �, per�, nel senso che in tali casi l'imposizione speciale 
non pu� essere applicata in assoluto; infatti in tal modo l'argomento diventerebbe 
circolare: da un lato, la rendita di posizione dovuta all'anelasticit� 
della domanda giustifica l'imposizione speciale, ma questa non pu� essere giustificata 
perch� provoca la traslazione. 
La risposta, pragmaticamente, � che bisogna escogitare un mezzo di accertamento 
e repressione della traslazione migliore di quello, in effetti inconsistente, 
previsto dalla norma impugnata. 
La Corte non fornisce suggerimenti in proposito. Si potrebbe pensare alla previsione 
di una contabilit� di tipo c.d. regolatorio (del genere di quella imposta 
dai regolamenti dell'Agcom alle imprese del settore telefonico dotate di significativo 
potere di mercato per verificare che rispettino la regola dell'orientamento 
al costo o "price cap" nelle tariffe che praticano per concedere alle altre 
imprese l'accesso alla propria rete: il "price cap" in fondo non � altro che un 
divieto di traslazione dei costi sui prezzi oltre un certo livello prestabilito dal-
l'autorit�). Il problema, infatti, � solo (si fa per dire) quello di ricostruire l'esatta 
dinamica di formazione dei prezzi. La normale contabilit� di impresa, su cui 
si basa l'Ires anche delle imprese soggette alla Robin Tax, non consente tale 
ricostruzione analitica. Si pu� tentare solo una ricostruzione induttiva a posteriori, 
incerta e controversa. 
L'introduzione per ragioni puramente fiscali di una contabilit� regolatoria a 
carico di una determinata categoria di imprese potrebbe per� sollevare qualche 


perplessit� di diritto UE, sotto il profilo dell'ostacolo sproporzionato al diritto 
di stabilimento. Nella logica europea potrebbe essere difficile sostenere la 
compatibilit� di una imposta, e dei connessi oneri contabili speciali, il cui presupposto 
sia la struttura (non) concorrenziale del mercato in cui operano le 
imprese colpite: l'imposta, secondo i Trattati, deve essere neutrale rispetto alle 
dinamiche di mercato e non pu� essere usata come strumento di correzione di 
vere o presunte deviazioni concorrenziali, che vanno represse solo con gli strumenti 
antitrust. 
Forse sarebbe meglio abbandonare la strada impervia del divieto di traslazione, 
e prevedere la tassazione progressiva di cui sopra: il vero disincentivo ad aumentare 
i ricavi per traslazione � infatti solo un incremento pi� che proporzionale 
dell'imposta al crescere dei ricavi. 
Vedremo se la vicenda avr� un seguito con una riforma dell'imposta, o se il 
gettito futuro che verr� a mancare sar� recuperato in altro modo. 
Per ora, accontentiamoci di avere evitato un danno emergente enorme. Per il 
lucro cessante c'� tempo. E abbiamo un raro esempio di sentenza basata su 
una ricostruzione della "costituzione economica" e non sui formalismi concettuali. 
... 

Paolo Gentili 

Corte costituzionale, sentenza 11 febbraio 20015 n. 10 -Pres. Criscuolo, Red. Cartabia avv. 
L. Salvini per la Scat Punti Vendita Spa, avv. Stato P. Gentili per il Presidente del Consiglio 
dei ministri. 

Considerato in diritto 

1.� La Commissione tributaria provinciale di Reggio Emilia, con ordinanza emessa il 26 
marzo 2011 e depositata in pari data, ha sollevato questione di legittimit� costituzionale dell�art. 
81, commi 16, 17 e 18, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 (Disposizioni urgenti per lo 
sviluppo economico, la semplificazione, la competitivit�, la stabilizzazione della finanza pubblica 
e la perequazione tributaria), convertito, con modificazioni, dall�art. 1, comma 1, della 
legge 6 agosto 2008, n. 133, in riferimento agli artt. 3, 23, 41, 53, 77 e 117 della Costituzione. 

Con le disposizioni impugnate � stato previsto � a decorrere dal periodo d�imposta successivo 
a quello in corso al 31 dicembre 2007 � un prelievo aggiuntivo, qualificato �addizionale� 
all�imposta sul reddito delle societ� di cui all�art. 75 del decreto del Presidente della Repubblica 
22 dicembre 1986, n. 917 (Approvazione del testo unico delle imposte sui redditi) e successive 
modificazioni, pari al 5,5 per cento, da applicarsi alle imprese operanti in determinati 
settori, tra cui la commercializzazione di benzine, petroli, gas e oli lubrificanti, che abbiano 
conseguito ricavi superiori a 25 milioni di euro nel periodo di imposta precedente, ponendo 
a carico dei soggetti passivi il divieto di traslazione sui prezzi al consumo e affidando all�Autorit� 
per l�energia elettrica e il gas (poi divenuta Autorit� per l�energia elettrica, il gas e il sistema 
idrico) il compito di vigilare e di presentare al Parlamento, entro il 31 dicembre di ogni 
anno, una relazione sugli effetti del tributo. 

La questione � stata sollevata nel corso di un giudizio di impugnazione del silenzio-rifiuto 
formatosi sulla richiesta di rimborso presentata dalla Scat Punti Vendita Spa di quanto corri



CONTENZIOSO NAZIONALE

sposto all�ente impositore a titolo di �addizionale� dell�imposta sui redditi delle societ� 
(IRES), dovuta in applicazione delle disposizioni in esame. 

In particolare, la Commissione tributaria provinciale di Reggio Emilia � facendo proprie e 
riproducendo testualmente le censure eccepite dalla difesa della contribuente � lamenta anzitutto 
la violazione dell�art. 77 Cost., perch� non sussisterebbero i presupposti di necessit� e 
urgenza richiesti per l�adozione del decreto-legge. 

Sussisterebbe altres�, secondo la rimettente, la violazione della riserva di legge prevista 
dall�art. 23 Cost., perch� si tratterebbe di prestazione imposta in forza non di una legge, ma 
di un decreto-legge. 

Parimenti violati sarebbero gli artt. 3 e 53 Cost., perch� l��addizionale� non risulterebbe 
ancorata ad un indice di capacit� contributiva e determinerebbe una ingiustificata disparit� di 
trattamento tra le imprese operanti nei settori soggetti all��addizionale� e le altre, nonch�, 
nell�ambito delle prime, tra quelle aventi un volume di ricavi superiore o inferiore a 25 milioni 
di euro. La disparit� di trattamento contributivo sussisterebbe anche tra produttori e distributori 
di greggio, in quanto solo i primi potrebbero legittimamente traslare su altri soggetti l�onere 
economico dell��addizionale�, mentre ai soli distributori si applicherebbe il divieto di traslazione 
degli oneri sul prezzo al consumo, previsto dall�impugnato art. 81, comma 18. 

L�imposizione violerebbe, inoltre, gli artt. 3 e 41 Cost., perch� renderebbe pi� onerosa 
l�iniziativa economica delle imprese operanti nel settore degli idrocarburi e, tra queste, di 
quelle distributrici, che, diversamente dalle imprese produttrici, non sarebbero in grado di effettuare 
la predetta traslazione dell�onere dell�imposta. 

Le disposizioni censurate contravverrebbero, infine, agli artt. 41 e 117, secondo comma, 
lettera e), Cost., perch� il suddetto divieto di traslazione, risolvendosi in una fissazione autoritativa 
del prezzo, altererebbe la libera concorrenza e, quindi, limiterebbe illegittimamente 
l�iniziativa economica privata. 

2.� Nel giudizio dinanzi a questa Corte � intervenuta la Scat Punti Vendita Spa, che ha presentato 
memorie a supporto delle censure formulate dal giudice remittente. 

L�intervento � pienamente ammissibile, in quanto si tratta del ricorrente nel procedimento 
a quo e, quindi, parte anche del giudizio di legittimit� costituzionale (ex plurimis, sentenze n. 
304 del 2011, n. 138 del 2010 e n. 263 del 2009). 

3.� Occorre esaminare, in via preliminare, gli ostacoli all�ammissibilit� eccepiti dall�Avvocatura 
generale dello Stato. 

Il Presidente del Consiglio dei ministri ha chiesto, anzitutto, che gli atti siano restituiti al 
giudice rimettente in considerazione dello ius superveniens. 

La richiesta non pu� essere accolta. 

� pur vero, infatti, che, successivamente all�ordinanza di rimessione, il legislatore ha modificato 
l�art. 81, commi 16, 17 e 18, del d.l. n. 112 del 2008, convertito con modificazioni, 
dall�art. 1, comma 1, della legge n. 133 del 2008. 

Segnatamente ci� � avvenuto: con la legge 23 luglio 2009, n. 99 (Disposizioni per lo sviluppo 
e l�internazionalizzazione delle imprese, nonch� in materia di energia); con il decreto-
legge 13 agosto 2011, n. 138 (Ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per 
lo sviluppo), convertito, con modificazioni, dall�art. 1, comma 1, della legge 14 settembre 
2011, n. 148; con il decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69 (Disposizioni urgenti per il rilancio 
dell�economia), convertito, con modificazioni, dall�art. 1, comma 1, della legge 9 agosto 2013, 

n. 98; con il decreto-legge 31 agosto 2013, n. 101 (Disposizioni urgenti per il perseguimento 
di obiettivi di razionalizzazione nelle pubbliche amministrazioni), convertito, con modifica



zioni, dall�art. 1, comma 1, della legge 30 ottobre 2013, n. 125. Si tratta di modifiche con le 
quali, ferma restando la struttura dell�imposta, � stata elevata la misura dell��addizionale� a 
6,5 punti percentuali; � stata ampliata la platea dei soggetti rientranti nel campo di applicazione 
dell�imposta, dal momento che il legislatore ha diminuito il volume minimo di ricavi oltre il 
quale le societ� operanti nel settore rientrano fra i soggetti passivi, portandolo dagli originari 
25 milioni a 10 milioni e poi a 3 milioni di euro; � stata introdotta l�ulteriore soglia del conseguimento 
di un reddito superiore a 1 milione di euro, poi abbassata a 300 mila euro; sono 
stati limitati i poteri di controllo dell�Autorit� per l�energia elettrica, il gas e il sistema idrico 
alle sole imprese che integrino i presupposti per l�applicazione dell��addizionale�. 

Orbene, tali modifiche legislative non comportano la necessit� di restituire gli atti al giudice 
a quo, anzitutto perch� l�anno di imposta a cui si riferisce il silenzio-rifiuto formatosi sulla richiesta 
di rimborso, oggetto del giudizio a quo, � il 2008, di tal che la legge applicabile risulta 
quella anteriore alle modifiche intervenute. A ci� si aggiunga che le modifiche introdotte non 
rimediano affatto ai profili di illegittimit� dedotti dal rimettente, ma semmai li accentuano, 
con particolare riguardo a quelli prospettati in riferimento agli artt. 3 e 53 Cost., dal momento 
che innalzano la percentuale dell��addizionale�, ampliano l�area dei soggetti tenuti a versarla 
e stabilizzano l�imposta senza limiti di tempo, tanto che si deve ritenere che � come si dir� 
pi� avanti � alcune delle censure prospettate dall�ordinanza di rimessione interessino anche 
le novelle successive. Non vՏ dunque ragione alcuna di disporre la restituzione degli atti al 
giudice a quo. 

4.� L�Avvocatura generale dello Stato ha poi eccepito l�inammissibilit� delle questioni sollevate 
per difetto di motivazione sulla rilevanza e sulle ragioni fondanti le censure, dal momento 
che il giudice rimettente si sarebbe limitato a condividere quanto affermato dal 
ricorrente. 

In proposito, deve osservarsi che il giudice a quo, nell�ordinanza di rimessione, ha descritto 
accuratamente la fattispecie sottoposta al suo giudizio e, dopo aver riportato testualmente e 
per esteso le ragioni della ricorrente, ha esplicitato che �la Commissione concorda con le suddette 
considerazioni e ritiene rilevante, posto che la presenza della �norma� nell�ordinamento 
giuridico osta al richiesto rimborso, e non manifestamente infondata la questione di legittimit� 
costituzionale della �norma� secondo i profili dedotti dalla Ricorrente�. 

Il giudice rimettente non ha motivato l�ordinanza nella forma del mero rimando alle argomentazioni 
contenute negli atti di parte, ma ha riportato le censure eccepite della parte del 
giudizio a quo, facendole proprie. Cos� strutturata, l�ordinanza non risulta affetta da carenza 
di motivazione, n� vulnera il principio di autosufficienza, che deve considerarsi rispettato 
quando, come nella specie, �le argomentazioni a sostegno delle censure risultano chiaramente 
dalla stessa ordinanza di rimessione, senza rinvio ad atti ad essa esterni� (ex plurimis, sentenza 

n. 143 del 2010). Non si tratta, dunque, di un caso di motivazione per relationem, essendo 
pienamente ottemperato l�obbligo che questa Corte ritiene incombere sul rimettente di �rendere 
espliciti, facendoli propri, i motivi della non manifesta infondatezza� (ex plurimis, sentenze 
n. 7 del 2014, n. 234 del 2011 e n. 143 del 2010; ordinanze n. 175 del 2013, n. 239 e n. 
65 del 2012). 

Con riguardo, poi, alla motivazione sulla rilevanza, � pur vero che il rimettente si � limitato 
ad osservare che la disposizione impugnata osta al rimborso, senza specificare se la ricorrente 
integri gli ulteriori presupposti d�imposta, all�epoca costituiti solo dal volume dei ricavi con-
seguiti. Tuttavia � anche a prescindere da ogni considerazione circa il fatto che il principio 
dispositivo, operante anche nel giudizio tributario a quo, priverebbe di rilievo la circostanza 


CONTENZIOSO NAZIONALE

(in quanto non eccepita dall�interessato) � risulta totalmente implausibile ritenere che la societ� 
abbia pagato un�imposta di significativo ammontare senza che ne ricorrano i presupposti, determinati 
dal volume dei ricavi. Conseguentemente, l�affermazione del rimettente secondo 
cui solo la disposizione censurata ostacolerebbe il richiesto rimborso deve ragionevolmente 
considerarsi integrare una sufficiente motivazione anche su questo punto. 

5.� Nel merito, le questioni sollevate in relazione agli artt. 77, secondo comma, e 23 Cost., 
incentrate sull�illegittimo utilizzo del decreto-legge, non sono fondate. 

� pur vero, infatti, che �la preesistenza di una situazione di fatto comportante la necessit� 
e l�urgenza di provvedere tramite l�utilizzazione di uno strumento eccezionale, quale il de-
creto-legge, costituisce un requisito di validit� dell�adozione di tale atto, la cui mancanza configura 
un vizio di legittimit� costituzionale del medesimo, che non � sanato dalla legge di 
conversione� (sentenza n. 93 del 2011). 

Tuttavia, secondo la giurisprudenza di questa Corte, il sindacato sulla legittimit� dell�adozione, 
da parte del Governo, di un decreto-legge, va comunque limitato ai casi di �evidente 
mancanza� dei presupposti di straordinaria necessit� e urgenza richiesti dall�art. 77, secondo 
comma, Cost. o di �manifesta irragionevolezza o arbitrariet� della relativa valutazione� (ex 
plurimis, sentenze n. 22 del 2012, n. 93 del 2011, n. 355 e n. 83 del 2010; n. 128 del 2008; n. 
171 del 2007). 

Invero, la notoria situazione di emergenza economica posta a base del censurato d.l. n. 112 
del 2008, che ha ad oggetto �Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, 
la competitivit�, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria�, 
consente di escludere che esso sia stato adottato in una situazione di evidente mancanza dei 
requisiti di necessit� ed urgenza; n� dall�ordinanza di remissione si possono ricavare argomentazioni 
valevoli ad attestare la manifesta irragionevolezza e arbitrariet� della valutazione governativa 
sulla sussistenza dei presupposti della decretazione d�urgenza. D�altro canto, le 
impugnate disposizioni � in quanto hanno introdotto un��addizionale� per reperire nuove entrate 
al fine di fronteggiare la predetta emergenza e ridistribuire la pressione fiscale � risultano 
coerenti con le finalit� del provvedimento e con i presupposti costituzionali su cui esso si fonda. 

Quanto alla riserva di legge di cui all�art. 23 Cost., essa deve ritenersi pacificamente soddisfatta 
anche da atti aventi forza di legge, come accade in riferimento a tutte le riserve contenute 
in altre norme costituzionali, comprese quelle relative ai diritti fondamentali (ex 
plurimis, ordinanza n. 134 del 2003, sentenze n. 282 del 1990, n. 113 del 1972 e n. 26 del 
1966) e salvo quelle che richiedono atti di autorizzazione o di approvazione del Parlamento. 
Ci� sia perch� i decreti-legge e i decreti legislativi sono fonti del diritto con efficacia equiparata 
a quella della legge parlamentare, sia perch� nel relativo procedimento di formazione � 
assicurata la partecipazione dell�organo rappresentativo, rispettivamente in sede di conversione 
e in sede di delega (oltre che con eventuali pareri, in fase di attuazione della delega 
stessa). Ne consegue che il parametro costituzionale evocato, cui questa Corte deve fare esclusivo 
riferimento, risulta adeguatamente rispettato anche quando la disciplina impositiva sia 
introdotta con un decreto-legge, purch� ci� avvenga, come nella specie, nel pieno rispetto dei 
presupposti costituzionalmente previsti. 

6.� Fondata, nei limiti di seguito precisati, � la questione sollevata in riferimento agli artt. 
3 e 53 Cost. 

6.1.� L�ordinanza muove dalla considerazione che l��addizionale� impugnata determina 
una discriminazione qualitativa dei redditi, per il fatto che essa si applica solo ad alcuni soggetti 
economici operanti nel settore energetico e degli idrocarburi. Detta discriminazione, poi, 


non sarebbe supportata da adeguata giustificazione e risulterebbe pertanto arbitraria. In particolare, 
sebbene una pluralit� di indizi contenuti nel testo normativo impugnato e nei relativi 
lavori preparatori suggeriscano che l�intento del legislatore fosse quello di colpire i �sovraprofitti� 
conseguiti da detti soggetti in una data congiuntura economica, in realt� la struttura 
della nuova imposta non sarebbe poi coerente con tale ratio giustificatrice. 

Profili di irrazionalit� rispetto allo scopo sarebbero ravvisabili nella individuazione della 
base imponibile, che � costituita dall�intero reddito anzich� dai soli �sovra-profitti�, e nella 
durata permanente, anzich� contingente, dell��addizionale�, che non appare in alcun modo 
circoscritta a uno o pi� periodi di imposta, n� risulta ancorata al permanere della situazione 
congiunturale, che tuttavia � addotta come sua ragione. 

Il tenore di tali motivazioni e, in particolare, l�insistenza sul carattere strutturale e permanente 
della �addizionale� [rectius: della maggiorazione della aliquota IRES] inducono la Corte 
a ritenere che le censure interessino il citato art. 81, commi 16, 17 e 18, anche nel testo risultante 
dalle successive modifiche legislative. Infatti, in virt� di tali novelle, l�imposta oggetto 
del presente giudizio, che gi� in origine era stata istituita senza limiti di tempo, � stata poi stabilizzata 
accentuando gli aspetti della normativa su cui si fondano le doglianze prospettate 
dalla ricorrente. 

6.2.� La maggiorazione dell�aliquota IRES gravante su determinati operatori dei settori 
energetico, petrolifero e del gas, cos� come � stata configurata dall�art. 81, commi 16, 17 e 
18, del d.l. n. 112 del 2008, e successive modificazioni, non � conforme agli artt. 3 e 53 Cost., 
come costantemente interpretati dalla giurisprudenza di questa Corte. 

Ai sensi dell�art. 53 Cost., infatti, la capacit� contributiva � il presupposto e il limite del 
potere impositivo dello Stato e, al tempo stesso, del dovere del contribuente di concorrere alle 
spese pubbliche, dovendosi interpretare detto principio come specificazione settoriale del pi� 
ampio principio di uguaglianza di cui all�art. 3 Cost. (sentenze n. 258 del 2002, n. 341 del 
2000 e n. 155 del 1963). 

Vero � che questa Corte ha ripetutamente rimarcato che �la Costituzione non impone affatto 
una tassazione fiscale uniforme, con criteri assolutamente identici e proporzionali per tutte le 
tipologie di imposizione tributaria�; piuttosto essa esige �un indefettibile raccordo con la capacit� 
contributiva, in un quadro di sistema informato a criteri di progressivit�, come svolgimento 
ulteriore, nello specifico campo tributario, del principio di eguaglianza, collegato al 
compito di rimozione degli ostacoli economico-sociali esistenti di fatto alla libert� ed eguaglianza 
dei cittadini-persone umane, in spirito di solidariet� politica, economica e sociale (artt. 
2 e 3 della Costituzione)� (sentenza n. 341 del 2000, ripresa sul punto dalla sentenza n. 223 
del 2012). 

Pertanto, secondo gli orientamenti costantemente seguiti da questa Corte, non ogni modulazione 
del sistema impositivo per settori produttivi costituisce violazione del principio di capacit� 
contributiva e del principio di eguaglianza. Tuttavia, ogni diversificazione del regime tributario, 
per aree economiche o per tipologia di contribuenti, deve essere supportata da adeguate giustificazioni, 
in assenza delle quali la differenziazione degenera in arbitraria discriminazione. 

In ordine ai principi di cui agli artt. 3 e 53 Cost., la Corte �, dunque, chiamata a verificare 
che le distinzioni operate dal legislatore tributario, anche per settori economici, non siano irragionevoli 
o arbitrarie o ingiustificate (sentenza n. 201 del 2014): cosicch� in questo ambito 
il giudizio di legittimit� costituzionale deve vertere �sull�uso ragionevole, o meno, che il legislatore 
stesso abbia fatto dei suoi poteri discrezionali in materia tributaria, al fine di verificare 
la coerenza interna della struttura dell�imposta con il suo presupposto economico, come pure 


CONTENZIOSO NAZIONALE

la non arbitrariet� dell�entit� dell�imposizione� (sentenza n. 111 del 1997; ex plurimis, sentenze 
n. 116 del 2013 e n. 223 del 2012). 

6.3.� Non mancano nell�ordinamento esempi di legislazione che impongono una pi� esigente 
contribuzione tributaria a carico di alcuni soggetti. 

Numerosi sono i casi di temporaneo inasprimento dell�imposizione � applicabili a determinati 
settori produttivi o a determinate tipologie di redditi e cespiti � ritenuti non illegittimi da 
questa Corte proprio in forza della loro limitata durata: basti menzionare la sovraimposta comunale 
sui fabbricati (sentenza n. 159 del 1985), l�imposta straordinaria immobiliare sul valore 
dei fabbricati (sentenza n. 21 del 1996), il tributo del sei per mille sui depositi bancari e postali 
(sentenza n. 143 del 1995), il contributo straordinario per l�Europa (ordinanza n. 341 del 2000). 

Neppure mancano casi in cui la differenziazione tributaria per settori economici o per tipologie 
di reddito ha assunto carattere strutturale, superando, ci� nondimeno, il vaglio di questa 
Corte. Si pu�, a titolo esemplificativo, ricordare l�addizionale sulle remunerazioni in forma 
di bonus e stock options, ritenuta tutt�altro che irragionevole, arbitraria o ingiustificata da 
questa Corte con la sentenza n. 201 del 2014; ovvero la normativa esaminata con la sentenza 

n. 21 del 2005, in cui la Corte ha giudicato che la previsione di aliquote dell�imposta regionale 
sulle attivit� produttive (IRAP) differenziate per settori produttivi e per tipologie di soggetti 
passivi fosse sorretta da non irragionevoli motivi di politica economica e redistributiva, individuati 
principalmente nell�esigenza di neutralizzare tanto il maggiore impatto del nuovo tributo 
sui settori agricolo e della piccola pesca, quanto il minore impatto del medesimo sui 
settori bancario, finanziario e assicurativo, i quali, non ingiustificatamente, sono stati assoggettati 
ad una maggiore aliquota. 

6.4.� Alla luce dei principi affermati nella giurisprudenza costituzionale � che, come si � 
visto, non impongono un�uniformit� di tassazione e, tuttavia, vietano le differenziazioni in-
giustificate, arbitrarie, irragionevoli o sproporzionate � � appena il caso di aggiungere che 
non si pu� escludere che le peculiarit� del settore petrolifero si prestino, in linea teorica, a legittimare 
uno speciale regime tributario. Come si evince dalle istruttorie e dalle indagini conoscitive 
dell�Autorit� garante della concorrenza e del mercato, svariati indizi economici 
segnalano che si tratta di un ambito caratterizzato da una scarsa competizione fra le imprese. 
D�altra parte, lo stampo oligopolistico del settore, popolato da pochi soggetti che spesso operano 
in tutte le fasi della filiera � dalla ricerca, alla coltivazione, fino alla raffinazione del petrolio 
e alla distribuzione dei carburanti � unitamente agli elevati costi e alle difficolt� di 
realizzazione delle infrastrutture, rende particolarmente arduo l�ingresso di nuovi concorrenti 
che intendano operare su vasta scala. Inoltre, nel settore petrolifero ed energetico, le ordinarie 
dinamiche di mercato faticano ad esplicarsi, anche perch� l�aumento dei prezzi difficilmente 
pu� essere contrastato da una corrispondente contrazione della domanda che, in questi ambiti, 
risulta anelastica. In sintesi, non � del tutto implausibile ritenere che questo settore di mercato 
possa essere caratterizzato da una redditivit�, dovuta a rendite di posizione, sensibilmente 
maggiore rispetto ad altri settori, cos� da poter astrattamente giustificare, specie in presenza 
di esigenze finanziarie eccezionali dello Stato, un trattamento fiscale ad hoc. 

6.5.� Tutto ci� premesso, occorre rimarcare che la possibilit� di imposizioni differenziate 
deve pur sempre ancorarsi a una adeguata giustificazione obiettiva, la quale deve essere coerentemente, 
proporzionalmente e ragionevolmente tradotta nella struttura dell�imposta (sentenze 
n. 142 del 2014 e n. 21 del 2005). 

Nella specie l�art. 81, comma 16, ha previsto, �[i]n dipendenza dell�andamento dell�economia 
e dell�impatto sociale dell�aumento dei prezzi e delle tariffe del settore energetico�, 


una �addizionale� del 5,5 per cento (poi innalzata al 6,5 per cento) dell�aliquota dell�imposta 
sul reddito delle societ� per chi operi nel predetto settore e abbia conseguito un ricavo superiore 
a un determinato ammontare, la cui entit� � andata progressivamente diminuendo, cos� 
da allargare in modo significativo il novero degli operatori assoggettati alla maggiorazione 
di imposta, secondo una linea di tendenza solo marginalmente compensata dalla introduzione 
di altra soglia, questa volta riferita al reddito imponibile. 

I presupposti di fatto, addotti dal legislatore nell�art. 81, comma 16, per inasprire il carico 
fiscale delle societ� del settore, consistono, da un lato, nella grave crisi economica deflagrata 
proprio in quel periodo e nella correlata insostenibilit�, specie per le fasce pi� deboli, dei 
prezzi dei prodotti di consumo primario; d�altro lato, nel contemporaneo eccezionale rialzo 
del prezzo del greggio al barile, verificatosi proprio nel medesimo volger di tempo, che, nella 
prospettiva del legislatore, � parso idoneo ad incrementare sensibilmente i margini di profitto 
da parte degli operatori dei settori interessati e a incentivare condotte di mercato opportunistiche 
o speculative. 

La complessa congiuntura economica cos� ricostruita dal legislatore che vi ha ravvisato 
spinte contraddittorie, costituite dall�insostenibilit� dei prezzi per gli utenti e dalla eccezionale 
redditivit� dell�attivit� economica per gli operatori del petrolio, ben potrebbe essere considerata 
in astratto, alla luce della richiamata giurisprudenza di questa Corte, un elemento idoneo 
a giustificare un prelievo differenziato che colpisca gli eventuali �sovra-profitti� congiunturali, 
anche di origine speculativa, del settore energetico e petrolifero. 

Cos� interpretato, lo scopo perseguito dal legislatore appare senz�altro legittimo. 

Occorre allora verificare se i mezzi approntati siano idonei e necessari a conseguirlo. Infatti, 
affinch� il sacrificio recato ai principi di eguaglianza e di capacit� contributiva non sia sproporzionato 
e la differenziazione dell�imposta non degradi in arbitraria discriminazione, la sua 
struttura deve coerentemente raccordarsi con la relativa ratio giustificatrice. Se, come nel caso 
in esame, il presupposto economico che il legislatore intende colpire � la eccezionale redditivit� 
dell�attivit� svolta in un settore che presenta caratteristiche privilegiate in un dato momento 
congiunturale, tale circostanza dovrebbe necessariamente riflettersi sulla struttura 
dell�imposizione. 

6.5.1.� Ci� non � avvenuto nella specie, posto che il legislatore, con l�art. 81, commi 16, 
17 e 18, del d.l. n. 112 del 2008, e successive modificazioni, ha previsto una maggiorazione 
d�aliquota di una imposizione, qual � l�IRES, che colpisce l�intero reddito dell�impresa, mancando 
del tutto la predisposizione di un meccanismo che consenta di tassare separatamente e 
pi� severamente solo l�eventuale parte di reddito suppletivo connessa alla posizione privilegiata 
dell�attivit� esercitata dal contribuente al permanere di una data congiuntura. 

Infatti, al di l� della denominazione di �addizionale�, la predetta imposizione costituisce 
una �maggiorazione d�aliquota� dell�IRES, applicabile ai medesimi presupposto e imponibile 
di quest�ultima e non, come � avvenuto in altri ordinamenti, come un�imposta sulla redditivit�. 

6.5.2.� A questa prima incongruenza dell�imposizione censurata, se ne aggiunge un�altra 
ancor pi� grave relativa alla proiezione temporale dell��addizionale�. Infatti, la richiamata 
giurisprudenza di questa Corte � costante nel giustificare temporanei interventi impositivi differenziati, 
v�lti a richiedere un particolare contributo solidaristico a soggetti privilegiati, in 
circostanze eccezionali. 

Orbene, a differenza delle ipotesi appena ricordate, le disposizioni censurate nascono e 
permangono nell�ordinamento senza essere contenute in un arco temporale predeterminato, 
n� il legislatore ha provveduto a corredarle di strumenti atti a verificare il perdurare della con



CONTENZIOSO NAZIONALE

giuntura posta a giustificazione della pi� severa imposizione. Con l�art. 81, commi 16, 17 e 
18, del d.l. n. 112 del 2008, e successive modificazioni, per fronteggiare una congiuntura economica 
eccezionale si � invece stabilita una imposizione strutturale, da applicarsi a partire 
dal periodo di imposta 2008, senza limiti di tempo. 

Si riscontra, pertanto, un conflitto logico interno alle disposizioni impugnate, le quali, da 
un lato, intendono ancorare la maggiorazione di aliquota al permanere di una determinata situazione 
di fatto e, dall�altro, configurano un prelievo strutturale destinato ad operare ben 
oltre l�orizzonte temporale della peculiare congiuntura. 

6.5.3.� Un ulteriore profilo di inadeguatezza e irragionevolezza � connesso alla inidoneit� 
della manovra tributaria in giudizio a conseguire le finalit� solidaristiche che intende esplicitamente 
perseguire. 

Uno degli obiettivi dichiarati delle disposizioni impugnate, infatti, � quello di attenuare 
�l�impatto sociale dell�aumento dei prezzi e delle tariffe del settore energetico� (art. 81, 
comma 16). Coerentemente con tale finalit�, il comma 18 prevede un divieto di traslazione 
degli oneri dovuti all�aumento d�aliquota sui prezzi al consumo. In tal modo, il legislatore ha 
inteso evitare che l�inasprimento fiscale diretto verso operatori economici ritenuti avvantaggiati 
finisca, con un effetto paradossale, per ricadere sui consumatori, cio� proprio su quei 
soggetti che avrebbero dovuto beneficiare della manovra tributaria in esame, improntata a 
uno spirito di solidariet�, in chiave redistributiva. Ora il divieto di traslazione degli oneri sui 
prezzi al consumo, cos� come delineato nel comma 18, non � in grado di evitare che l��addizionale
� sia scaricata a valle, dall�uno all�altro dei contribuenti che compongono la filiera petrolifera 
per poi essere, in definitiva, sopportata dai consumatori sotto forma di maggiorazione 
dei prezzi. Senza entrare qui nel merito dei profili di ingiustificata discriminazione intra-settoriale 
tra diversi soggetti della �filiera� petrolifera sollevati nell�ordinanza di rimessione, la 
disposizione appare irrazionale per inidoneit� a conseguire il suo scopo. 

Il divieto di traslazione degli oneri sui prezzi al consumo risulta difficilmente assoggettabile 
a controlli efficaci, atti a garantire che non sia eluso. 

Vero � che la disposizione ha affidato alla Autorit� per l�energia elettrica, il gas e il sistema 
idrico un potere di vigilanza �sulla puntuale osservanza� del divieto di traslazione. Tuttavia, 
come � congegnato nella normativa in questione, tale meccanismo pare difficilmente attuabile 
e in ogni caso facilmente vulnerabile, se � vero, come si legge nelle relazioni della medesima 
Autorit� preposta al controllo, che le analisi svolte hanno �mostrato che una parte dei soggetti 
vigilati ha continuato ad attuare politiche di prezzo tali da costituire una possibile violazione 
del divieto di traslazione, comportando comunque uno svantaggio economico per i consumatori 
finali� (Relazione al Parlamento n. 18/2013/I/Rht sull�attivit� di vigilanza svolta nell�anno 
2012 dall�Autorit� per l�energia elettrica, il gas e il sistema idrico). Elementi indiziari tratti 
dalle politiche dei prezzi adottati dai soggetti vigilati, �che generano un incremento dei margini 
non sufficientemente motivato� (Relazione al Parlamento sopra citata) alimentano il dubbio 
che il divieto di traslazione sui prezzi non sia stato in fatto osservato, n� possa essere 
puntualmente sanzionato a causa della obiettiva difficolt� di isolare, in un�economia di libero 
mercato, la parte di prezzo praticato dovuta a traslazioni dell�imposta. Da qui il contenzioso 
amministrativo che ha di fatto paralizzato le iniziative assunte in tal senso dall�Autorit� per 
l�energia elettrica, il gas e il sistema idrico. 

6.5.4.� In definitiva, il vizio di irragionevolezza � evidenziato dalla configurazione del tributo 
in esame come maggiorazione di aliquota che si applica all�intero reddito di impresa, 
anzich� ai soli �sovra-profitti�; dall�assenza di una delimitazione del suo ambito di applica



zione in prospettiva temporale o di meccanismi atti a verificare il perdurare della congiuntura 
economica che ne giustifica l�applicazione; dall�impossibilit� di prevedere meccanismi di accertamento 
idonei a garantire che gli oneri derivanti dall�incremento di imposta non si traducano 
in aumenti del prezzo al consumo. 

Per tutti questi motivi, la maggiorazione dell�IRES applicabile al settore petrolifero e del-
l�energia, cos� come configurata dall�art. 81, commi, 16, 17 e 18, del d.l. n. 112 del 2008, e 
successive modificazioni, viola gli artt. 3 e 53 Cost., sotto il profilo della ragionevolezza e 
della proporzionalit�, per incongruit� dei mezzi approntati dal legislatore rispetto allo scopo, 
in s� e per s� legittimo, perseguito. 

7.� Nel pronunciare l�illegittimit� costituzionale delle disposizioni impugnate, questa Corte 
non pu� non tenere in debita considerazione l�impatto che una tale pronuncia determina su 
altri principi costituzionali, al fine di valutare l�eventuale necessit� di una graduazione degli 
effetti temporali della propria decisione sui rapporti pendenti. 

Il ruolo affidato a questa Corte come custode della Costituzione nella sua integralit� impone 
di evitare che la dichiarazione di illegittimit� costituzionale di una disposizione di legge determini, 
paradossalmente, �effetti ancor pi� incompatibili con la Costituzione� (sentenza n. 
13 del 2004) di quelli che hanno indotto a censurare la disciplina legislativa. Per evitare che 
ci� accada, � compito della Corte modulare le proprie decisioni, anche sotto il profilo temporale, 
in modo da scongiurare che l�affermazione di un principio costituzionale determini il sacrificio 
di un altro. 

Questa Corte ha gi� chiarito (sentenze n. 49 del 1970, n. 58 del 1967 e n. 127 del 1966) che 
l�efficacia retroattiva delle pronunce di illegittimit� costituzionale � (e non pu� non essere) principio 
generale valevole nei giudizi davanti a questa Corte; esso, tuttavia, non � privo di limiti. 

Anzitutto � pacifico che l�efficacia delle sentenze di accoglimento non retroagisce fino al 
punto di travolgere le �situazioni giuridiche comunque divenute irrevocabili� ovvero i �rapporti 
esauriti�. Diversamente ne risulterebbe compromessa la certezza dei rapporti giuridici 
(sentenze n. 49 del 1970, n. 26 del 1969, n. 58 del 1967 e n. 127 del 1966). Pertanto, il principio 
della retroattivit� �vale [�] soltanto per i rapporti tuttora pendenti, con conseguente 
esclusione di quelli esauriti, i quali rimangono regolati dalla legge dichiarata invalida� (sentenza 
n. 139 del 1984, ripresa da ultimo dalla sentenza n. 1 del 2014). In questi casi, l�individuazione 
in concreto del limite alla retroattivit�, dipendendo dalla specifica disciplina di 
settore � relativa, ad esempio, ai termini di decadenza, prescrizione o inoppugnabilit� degli 
atti amministrativi � che precluda ogni ulteriore azione o rimedio giurisdizionale, rientra nel-
l�ambito dell�ordinaria attivit� interpretativa di competenza del giudice comune (principio affermato, 
ex plurimis, sin dalle sentenze n. 58 del 1967 e n. 49 del 1970). 

Inoltre, come il limite dei �rapporti esauriti� ha origine nell�esigenza di tutelare il principio 
della certezza del diritto, cos� ulteriori limiti alla retroattivit� delle decisioni di illegittimit� 
costituzionale possono derivare dalla necessit� di salvaguardare principi o diritti di rango costituzionale 
che altrimenti risulterebbero irreparabilmente sacrificati. In questi casi, la loro 
individuazione � ascrivibile all�attivit� di bilanciamento tra valori di rango costituzionale ed 
�, quindi, la Corte costituzionale � e solo essa � ad avere la competenza in proposito. 

Una simile graduazione degli effetti temporali delle dichiarazioni di illegittimit� costituzionale 
deve ritenersi coerente con i principi della Carta costituzionale: in tal senso questa 
Corte ha operato anche in passato, in alcune circostanze sia pure non del tutto sovrapponibili 
a quella in esame (sentenze n. 423 e n. 13 del 2004, n. 370 del 2003, n. 416 del 1992, n. 124 
del 1991, n. 50 del 1989, n. 501 e n. 266 del 1988). 


CONTENZIOSO NAZIONALE

Il compito istituzionale affidato a questa Corte richiede che la Costituzione sia garantita 
come un tutto unitario, in modo da assicurare �una tutela sistemica e non frazionata� (sentenza 

n. 264 del 2012) di tutti i diritti e i principi coinvolti nella decisione. �Se cos� non fosse, si 
verificherebbe l�illimitata espansione di uno dei diritti, che diverrebbe �tiranno� nei confronti 
delle altre situazioni giuridiche costituzionalmente riconosciute e protette�: per questo la Corte 
opera normalmente un ragionevole bilanciamento dei valori coinvolti nella normativa sotto-
posta al suo esame, dal momento che �[l]a Costituzione italiana, come le altre Costituzioni 
democratiche e pluraliste contemporanee, richiede un continuo e vicendevole bilanciamento 
tra princ�pi e diritti fondamentali, senza pretese di assolutezza per nessuno di essi� (sentenza 
n. 85 del 2013). 


Sono proprio le esigenze dettate dal ragionevole bilanciamento tra i diritti e i principi coinvolti 
a determinare la scelta della tecnica decisoria usata dalla Corte: cos� come la decisione 
di illegittimit� costituzionale pu� essere circoscritta solo ad alcuni aspetti della disposizione 
sottoposta a giudizio � come avviene ad esempio nelle pronunce manipolative � similmente 
la modulazione dell�intervento della Corte pu� riguardare la dimensione temporale della normativa 
impugnata, limitando gli effetti della declaratoria di illegittimit� costituzionale sul 
piano del tempo. 

Del resto, la comparazione con altre Corti costituzionali europee � quali ad esempio quelle 
austriaca, tedesca, spagnola e portoghese � mostra che il contenimento degli effetti retroattivi 
delle decisioni di illegittimit� costituzionale rappresenta una prassi diffusa, anche nei giudizi 
in via incidentale, indipendentemente dal fatto che la Costituzione o il legislatore abbiano 
esplicitamente conferito tali poteri al giudice delle leggi. 

Una simile regolazione degli effetti temporali deve ritenersi consentita anche nel sistema 
italiano di giustizia costituzionale. 

Essa non risulta inconciliabile con il rispetto del requisito della rilevanza, proprio del giudizio 
incidentale (sentenza n. 50 del 1989). Va ricordato in proposito che tale requisito opera 
soltanto nei confronti del giudice a quo ai fini della prospettabilit� della questione, ma non 
anche nei confronti della Corte ad quem al fine della decisione sulla medesima. In questa 
chiave, si spiega come mai, di norma, la Corte costituzionale svolga un controllo di mera 
plausibilit� sulla motivazione contenuta, in punto di rilevanza, nell�ordinanza di rimessione, 
comunque effettuato con esclusivo riferimento al momento e al modo in cui la questione di 
legittimit� costituzionale � stata sollevata. In questa prospettiva si spiega, ad esempio, quel-
l�orientamento giurisprudenziale che ha riconosciuto la sindacabilit� costituzionale delle 
norme penali di favore anche nelle ipotesi in cui la pronuncia di accoglimento si rifletta soltanto 
�sullo schema argomentativo della sentenza penale assolutoria, modificandone la ratio 
decidendi [�], pur fermi restando i pratici effetti di essa� (sentenza n. 148 del 1983, ripresa 
sul punto dalla sentenza n. 28 del 2010). 

N� si pu� dimenticare che, in virt� della declaratoria di illegittimit� costituzionale, gli interessi 
della parte ricorrente trovano comunque una parziale soddisfazione nella rimozione, 
sia pure solo pro futuro, della disposizione costituzionalmente illegittima. 

Naturalmente, considerato il principio generale della retroattivit� risultante dagli artt. 136 
Cost. e 30 della legge n. 87 del 1953, gli interventi di questa Corte che regolano gli effetti 
temporali della decisione devono essere vagliati alla luce del principio di stretta proporzionalit�. 
Essi debbono, pertanto, essere rigorosamente subordinati alla sussistenza di due chiari 
presupposti: l�impellente necessit� di tutelare uno o pi� principi costituzionali i quali, altrimenti, 
risulterebbero irrimediabilmente compromessi da una decisione di mero accoglimento 


e la circostanza che la compressione degli effetti retroattivi sia limitata a quanto strettamente 
necessario per assicurare il contemperamento dei valori in gioco. 

8.� Ci� chiarito in ordine al potere della Corte di regolare gli effetti delle proprie decisioni 
e ai relativi limiti, deve osservarsi che, nella specie, l�applicazione retroattiva della presente 
declaratoria di illegittimit� costituzionale determinerebbe anzitutto una grave violazione del-
l�equilibro di bilancio ai sensi dell�art. 81 Cost. 

Come questa Corte ha affermato gi� con la sentenza n. 260 del 1990, tale principio esige 
una gradualit� nell�attuazione dei valori costituzionali che imponga rilevanti oneri a carico 
del bilancio statale. Ci� vale a fortiori dopo l�entrata in vigore della legge costituzionale 20 
aprile 2012, n. 1 (Introduzione del principio del pareggio di bilancio nella Carta costituzionale), 
che ha riaffermato il necessario rispetto dei principi di equilibrio del bilancio e di sostenibilit� 
del debito pubblico (sentenza n. 88 del 2014). 

L�impatto macroeconomico delle restituzioni dei versamenti tributari connesse alla dichiarazione 
di illegittimit� costituzionale dell�art. 81, commi 16, 17 e 18, del d.l. n. 112 del 2008, 
e successive modificazioni, determinerebbe, infatti, uno squilibrio del bilancio dello Stato di 
entit� tale da implicare la necessit� di una manovra finanziaria aggiuntiva, anche per non venire 
meno al rispetto dei parametri cui l�Italia si � obbligata in sede di Unione europea e internazionale 
(artt. 11 e 117, primo comma, Cost.) e, in particolare, delle previsioni annuali e 
pluriennali indicate nelle leggi di stabilit� in cui tale entrata � stata considerata a regime. 

Pertanto, le conseguenze complessive della rimozione con effetto retroattivo della normativa 
impugnata finirebbero per richiedere, in un periodo di perdurante crisi economica e finanziaria 
che pesa sulle fasce pi� deboli, una irragionevole redistribuzione della ricchezza a 
vantaggio di quegli operatori economici che possono avere invece beneficiato di una congiuntura 
favorevole. Si determinerebbe cos� un irrimediabile pregiudizio delle esigenze di solidariet� 
sociale con grave violazione degli artt. 2 e 3 Cost. 

Inoltre, l�indebito vantaggio che alcuni operatori economici del settore potrebbero conseguire 
� in ragione dell�applicazione retroattiva della decisione della Corte in una situazione 
caratterizzata dalla impossibilit� di distinguere ed esonerare dalla restituzione coloro che 
hanno traslato gli oneri � determinerebbe una ulteriore irragionevole disparit� di trattamento, 
questa volta tra i diversi soggetti che operano nell�ambito dello stesso settore petrolifero, con 
conseguente pregiudizio anche degli artt. 3 e 53 Cost. 

La cessazione degli effetti delle norme dichiarate illegittime dal solo giorno della pubblicazione 
della presente decisione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica risulta, quindi, costituzionalmente 
necessaria allo scopo di contemperare tutti i principi e i diritti in gioco, in 
modo da impedire �alterazioni della disponibilit� economica a svantaggio di alcuni contribuenti 
ed a vantaggio di altri [�] garantendo il rispetto dei principi di uguaglianza e di solidariet�, 
che, per il loro carattere fondante, occupano una posizione privilegiata nel 
bilanciamento con gli altri valori costituzionali� (sentenza n. 264 del 2012). Essa consente, 
inoltre, al legislatore di provvedere tempestivamente al fine di rispettare il vincolo costituzionale 
dell�equilibrio di bilancio, anche in senso dinamico (sentenze n. 40 del 2014, n. 266 
del 2013, n. 250 del 2013, n. 213 del 2008, n. 384 del 1991 e n. 1 del 1966), e gli obblighi comunitari 
e internazionali connessi, ci� anche eventualmente rimediando ai rilevati vizi della 
disciplina tributaria in esame. 

In conclusione, gli effetti della dichiarazione di illegittimit� costituzionale di cui sopra devono, 
nella specie e per le ragioni di stretta necessit� sopra esposte, decorrere dal giorno successivo 
alla pubblicazione della presente decisione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica. 


CONTENZIOSO NAZIONALE

9.� Devono considerarsi assorbite le ulteriori questioni di legittimit� costituzionale. 
PER QUESTI MOTIVI 
LA CORTE COSTITUZIONALE 
dichiara l�illegittimit� costituzionale dell�art. 81, commi 16, 17 e 18, del decreto-legge 25 
giugno 2008, n. 112 (Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la 
competitivit�, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria), convertito, 
con modificazioni, dall�art. 1, comma 1, della legge 6 agosto 2008, n. 133, e successive modificazioni, 
a decorrere dal giorno successivo alla pubblicazione di questa sentenza nella Gazzetta 
Ufficiale della Repubblica. 
Cos� deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 9 
febbraio 2015. 


Il reato di �concussione mediante induzione� alla luce delle 
novit� normative introdotte dalla legge 190/2012. Prime 
applicazioni giurisprudenziali in sede di merito e di legittimit� 
dell�art. 319 quater c.p. 

TRIBUNALE DI ROMA, SEZIONE DEI GIUDICI PER LE INDAGINI PRELIMINARI, SENTENZA 17 GENNAIO 16 
APRILE 2013 N. 138 

Luca Ventrella* 
Martina Zaccheo** 

SOMMARIO: 1. Premessa: la vicenda fattuale della sentenza GUP del Tribunale di Roma 

n. 138/13 del 17 gennaio/ 16 aprile 2013 - 2. Originaria formulazione dell'art. 317 c.p.: le 
condotte di costrizione e di induzione - 3. Novit� legislative: la legge n. 190 del 2012 (cd. 
Legge Severino) - 4. Prime interpretazioni giurisprudenziali della Cassazione post 190/2012: 
sentenza Nardi - 5. (segue) Sentenza Roscia - 6. (segue) Sentenza Melfi - 7. Cass. Sez. Un. 14 
marzo 2014 n. 12228 - 8. Sentenza GUP in commento. 

1. Premessa: la vicenda fattuale della sentenza GUP del Tribunale di Roma 

n. 138/13 del 17 gennaio/ 16 aprile 2013. 

La sentenza n. 138/13 oggetto della presente annotazione, resa dal G.U.P. 
Dr. Saulino del Tribunale di Roma in giudizio abbreviato all�udienza del 17 
gennaio 2013 e depositata il 16 aprile 2013 - sostanzialmente confermata dalla 
Corte d�Appello (con modeste riduzioni di pene) con dispositivo letto alla recente 
udienza del 10 ottobre 2014 - fornisce un importante spunto di riflessione 
in merito allo scenario normativo emergente dall'intervento riformatore operato 
dalla legge n. 190 del 2012 (cd. Legge Severino) che ha interessato, tra le 
altre, la fattispecie criminosa della concussione prevista dall'art. 317 c.p. ponendo 
numerosi interrogativi esegetici in punto di successione di leggi penali 
nel tempo. 

La vicenda su cui verte l'arresto in questione attiene alla condotta tenuta, 
in data 8 marzo 2012, da due dipendenti dell'Agenzia delle Entrate nell'ambito 
di un accertamento fiscale eseguito presso un esercizio commerciale di vendita 
di articoli floreali. 

In particolare, nel corso della verifica uno dei due agenti rappresentava 
al titolare dell'attivit�, il quale aveva consegnato solo parte della documentazione 
richiesta dai pubblici ufficiali, che a causa delle irregolarit� riscontrate 
sarebbero state elevate diverse sanzioni a suo carico, ivi comprese quelle relative 
alla mancata regolarizzazione contributiva di due persone presenti nel 
negozio e ritenute dagli accertatori dipendenti del titolare. 

(*) Avvocato dello Stato. 
(**) Dott.ssa in Giurisprudenza, gi� praticante forense presso l�Avvocatura dello Stato. 



CONTENZIOSO NAZIONALE

Nel corso della stesura del relativo verbale il medesimo agente, non senza 
esimersi dal commentare l'esito dell'accertamento effettuato, quantificava le 
sanzioni che a vario titolo il titolare avrebbe dovuto pagare nella cifra complessiva 
di 60.000 euro. 

Il titolare dell'esercizio anche in ragione dell'atteggiamento tenuto dal 
soggetto accertatore chiedeva quindi se fosse possibile in qualche modo alleggerire 
la sua posizione. A tale istanza il pubblico ufficiale rispondeva prontamente 
che sarebbe stato necessario annullare il verbale e redigerlo ex novo. 
Il titolare, data la predisposizione del verificatore e della sua collega, che pure 
aveva assentito alla possibilit� di redigere un nuovo verbale emendato da alcune 
violazioni, si mostrava disponibile ad effettuare nei loro confronti un pagamento 
di 3.000 euro. Gli ispettori si accordavano dunque con il titolare per 
un incontro nel tardo pomeriggio allo scopo di effettuare la dazione della 
somma concordata. 

Successivamente il titolare per� contattava il fratello e gli riferiva quanto 
accaduto; questi lo esortava quindi a denunciare il fatto. 

Informate le forze dell'ordine, l'incontro avveniva come preventivato: il 
titolare consegnava la somma di 2.000 euro, ricevendo in cambio dai due ispettori 
il verbale redatto ex novo. 

A fronte dei fatti occorsi veniva contestato ai due accertatori �[i]l delitto 
previsto e punito dagli artt. 110 e 317 c.p. perch� nella loro qualit� di verificatori 
dipendenti dell'Agenzia delle Entrate, quindi pp.uu., nel corso di una verifica 
fiscale eseguita presso la �F.Y.� di B.M., abusando delle loro qualit� e delle 
funzioni ad esse connesse, attraverso la prospettazione di sanzioni di significativo 
peso economico, pari a circa 60.000 euro, ulteriori rispetto a quelle rilevate, 
e conseguenti all'omessa regolarizzazione contributiva di due ritenute - contrariamente 
al vero - coadiutrici del B., inducevano costui prima a promettere la 
somma di 3.000 euro, poi a consegnare quella di 2.000 euro, per omettere le segnalazioni 
alle competenti autorit� in relazione all'omessa regolarizzazione 
delle due persone presenti in negozio. In Roma, in data 8 marzo 2012�. 

La circostanza che nell'originaria imputazione fosse contestato, ai sensi 
dell'art. 317 c.p., il reato di concussione, nella forma di induzione, avendo invece 
il G.U.P. riqualificato il fatto, condannando gli imputati, ai sensi dell'art. 
319 quater c.p., pone l'occasione per un'analisi circa l'evoluzione del reato di 
concussione, alla luce soprattutto degli effetti di diritto intertemporale determinati 
dalle novit� normative introdotte dalla legge n. 190/2012, che la sentenza 
de qua ha interpretato in guisa tale da anticipare sotto pi� profili il 
pronunciamento di recente reso dalle Sezioni Unite. 

2. Originaria formulazione dell'art. 317 c.p.: le condotte di costrizione e di 
induzione. 

La figura criminosa della concussione, prevista all'art. 317 c.p. nell'ambito 


dello statuto penale della Pubblica Amministrazione, era configurata, nella 
formulazione risultante dalla legge n. 86 del 1990 (1), come una fattispecie 
mista alternativa. Essa contemplava infatti due distinte, ancorch� equipollenti, 
modalit� attuative della condotta del soggetto agente: una mediante costrizione, 
l'altra mediante induzione. 

La dottrina pi� risalente considerava l'indagine esegetica intorno all'esatta 
portata semantica di tali due forme di manifestazione del reato un mero esercizio 
didascalico, costituendo in realt� i lemmi �costrizione� ed �induzione� 
un'endiadi legislativa (2) che nulla mutava quanto agli effetti che le due condotte 
producevano sulla psiche del soggetto passivo, n� quanto al trattamento 
sanzionatorio applicabile (3). Tale opinione trovava peraltro puntuale riscontro 
in una prassi giudiziaria adusa ad utilizzare entrambi i termini nel descrivere 
la condotta concussiva, quasi si ponessero tra loro in rapporto di succedaneit� 
e di interscambiabilit�. 

Secondo tale approccio unitario la fattispecie de qua si caratterizzava in 
particolare per il collegamento funzionale esistente tra la condotta posta in essere 
dal pubblico ufficiale ovvero dall'incaricato di pubblico servizio - che poteva 
invariabilmente estrinsecarsi in una costrizione ovvero in una induzione 

-e l'abuso di potere o qualit� perpetrato nei confronti del privato, il quale veniva 
sottoposto ad una violenza psichica relativa mediante la prospettazione 
di un male ingiusto. Si riteneva infatti che, quale che fosse la concreta modalit� 
concussiva utilizzata dal soggetto agente, risultasse necessario che la violenza 
non fosse n� assoluta n� fisica (4), configurandosi altrimenti, nel concorso di 
tutti gli elementi, un'ipotesi di estorsione ovvero di violenza privata o, infine, 
di violenza sessuale, e che il danno minacciato fosse ingiusto, poich� qualora 
si prospettasse, invece, la possibilit� di ostacolare l'esercizio di un potere dovuto, 
da cui conseguirebbe dunque un danno che non sarebbe iniura datum, 
ricorrerebbe la fattispecie criminosa della corruzione ex art. 319 c.p. (5). 

(1) Con la novella de qua il legislatore oltre ad estendere la portata soggettiva della fattispecie 
anche agli incaricati di pubblico servizio, � intervenuta nella descrizione della condotta sostituendo alla 
locuzione �abusando delle [�] della sua funzione� quella �abusando [�] dei suoi poteri�. 
(2) CHIAROTTI F., voce Concussione, in Enc. Dir., Giuffr�, 1961, p. 704. 


(3) La previsione del medesimo trattamento sanzionatorio per le due forme di concussione si riteneva 
coerente alla luce delle osservazioni espresse nella Relazione ministeriale al codice penale in 
virt� delle quali �nel fatto criminoso della concussione l'indurre ha una gravit� non minore del costringere 
[�] In ogni caso la volont� dell'offeso cede all'uso di mezzi, che intrinsecamente sono non meno 
efficaci ed odiosi d'una costrizione morale�. 
(4) Nella vigenza del codice Zanardelli del 1889 il concetto �costrizione� era riferito sia alla violenza 
psichica che a quella fisica (art. 169), mentre con il termine �induzione� si alludeva a condotte ingannatorie 
(art.170). 
(5) �alla specifica intenzione del pubblico ufficiale di taglieggiare il soggetto concusso, deve corrispondere 
nel privato un tipico atteggiamento psichico, in cui predomina la consapevolezza di subire, 
oltre che una sopraffazione, un torto�, in questi termini PALOMBI E., Il delitto di concussione, Jovene, 
1979, p. 163. 



CONTENZIOSO NAZIONALE

Tuttavia, ancora nel vigore dell'originaria versione dell'art. 317 c.p., si 
dividevano il campo diversi orientamenti interpretativi al fine di individuare 
autonomi ambiti applicativi delle due forme di concussione. 

A tal proposito parte della dottrina riteneva che la costrizione (6) si concretizzasse 
in una minaccia seria ed idonea, secondo l'id quod plerumque accidit, 
a causare nel soggetto passivo una forte ed incisiva coartazione della sua 
volont�, mentre l'induzione (7), manifestandosi attraverso forme di suggestione 
o di persuasione, comporterebbe una pressione psicologica pi� blanda, 
ma comunque sufficiente a determinare il privato alla dazione o alla promessa. 

Il discrimen tra le due ipotesi di concussione veniva dunque focalizzato 
sull'intensit� della minaccia e sul grado di condizionamento che essa era capace 
di esercitare sulla volont� del soggetto passivo. A fronte di un nucleo comune 
costituito dall'abuso del potere o delle qualit�, idoneo ad ingenerare nel 
privato il cd. metus publicae potestatis, (e cio� uno stato di timore ed intimidazione 
determinato dalla posizione di preminenza ricoperta dal pubblico ufficiale), 
la dottrina cercava cos� di recuperare la duplice fisionomia del reato 
di concussione (8). 

Tale impostazione, che ebbe pure largo seguito in giurisprudenza, non fu 
tuttavia esente da rilievi critici volti a ritenere il discrimen cos� tracciato fumoso 
ed evanescente. 

Si osservava invero che, se da un lato, il termine �costrizione� era caratterizzato 
da una certa pregnanza descrittiva tanto della condotta quanto del-
l'effetto dalla stessa promanante, dall'altro, il vocabolo �induzione� sembrava 
riferirsi al solo effetto finale senza offrire alcun elemento indicativo in ordine 
al modo di atteggiarsi della condotta. 

La neutralit� semantica del sintagma �induzione� emerge d'altra parte 
chiaramente dall'utilizzo che il legislatore ne ha fatto in altre ipotesi delittuose. 
Con riferimento, ad esempio, all'art. 377 bis c.p. rubricato �Induzione a non 

(6) In tal senso FIANDACA-MUSCO, in Diritto penale parte speciale, Zanichelli, 2011, in giurisprudenza 
Cass., Sez. II, 1 dicembre 1995, n. 2809, RUSSO, in C.E.D. Cass., rv 204363 � possibile inoltre 
individuare un orientamento dottrinale a mente del quale il termine induzione andrebbe inteso alla stregua 
di una condotta ingannatoria, cos� ESPOSITO F., La concussione per induzione e lo stato di soggezione 
della vittima, in Rivista penale, 1999, p. 995. 
(7) Ex multis Cass., Sez. VI, 22 aprile 2009, n. 20195, GOLINO, in C.E.D. Cassazione, rv. 243842. 


(8) La configurabilit� nell'ambito della concussione di tale elemento � contestata da parte della 
dottrina in quanto non esplicitato all'interno della fattispecie, inoltre si ritiene che qualora esso coincida 
con lo stato di soggezione derivante dalla costrizione o dall'induzione rappresenterebbe un inutile doppione, 
in tal senso FIANDACA-MUSCO, in op. cit., p. 211; diversamente opina la giurisprudenza che lo 
ritiene un elemento ricorrente in entrambe le formedi concussione Cass. Sez. VI, 22 ottobre 1993, n. 
2985, FEDELE, in Cass. Pen., 1995, p. 550; �il metus pubblicae potestatis deve consistere non nella 
generica posizione di supremazia, sempre connaturata alla qualifica di pubblico ufficiale, bens� nel 
concreto abuso della propria qualit� o funzione, abuso che abbia costretto o indotto il privato alla indebita 
promessa o dazione�, cos� Cass., Sez. VI, 16 febbraio 2004, n. 6073, in Cass. Pen., 2005, p. 
1246 ss. 



rendere dichiarazioni o a rendere dichiarazioni mendaci all'autorit� giudiziaria� 
il precetto penale descrive una serie di condotte comprensive della violenza, 
della minaccia, della promessa ovvero dell'offerta di beni, denaro o altra 
utilit�, tutte astrattamente idonee a raggiungere il risultato di indurre �a non 
rendere dichiarazioni o a rendere dichiarazioni mendaci la persona chiamata 
a rendere davanti alla autorit� giudiziaria dichiarazioni utilizzabili in un procedimento 
penale, quando questa ha la facolt� di non rispondere�. Del pari, 
l'art. 507 c.p. (9), relativo al delitto di boicottaggio, contempla quali strumenti 
di induzione la propaganda, la forza o l'autorit� dei partiti. Infine, nel reato di 
cui all'art. 558 c.p. la condotta induttiva risulta integrata dal comportamento 
ingannatorio del soggetto agente. 

Appare dunque evidente come il legislatore abbia inteso il termine in questione 
secondo una variet� eterogenea di accezioni tutte accomunate dall'idoneit� 
ad indurre il soggetto passivo ad un determinato comportamento. 

L'evidente opacit� linguistica che connota il vocabolo �induzione� aveva 
perci� esposto il reato di concussione a seri dubbi circa la sua aderenza al principio 
di tassativit�, sub specie di principio di precisione del precetto penale 
che del primo costituisce il postulato tecnico (10). 

Ciononostante la giurisprudenza risultava granitica nel differenziare le 
due condotte essenzialmente in ragione del maggiore o minore margine di 
scelta residuante in capo al privato concusso. 

3. Novit� legislative: la legge n. 190 del 2012 (cd. Legge Severino). 

Sul composito ed incerto scenario interpretativo sviluppatosi intorno ai 
concetti di costrizione e di induzione � intervenuta con effetti dirompenti la 
legge n. 190 del 2012. 

Tale intervento legislativo di ampio respiro, volto alla prevenzione e alla 
repressione del fenomeno corruttivo attraverso una rimodulazione delle fattispecie 
penali esistenti e l'introduzione di nuove, � stato in primo luogo determinato 
dal tentativo di uniformare la normativa nazionale ai principi della 
Convenzione contro la corruzione approvata in ambito O.N.U. nel 2003 e della 
Convenzione penale sulla corruzione di Strasburgo, rispettivamente ratificate 
dallo Stato italiano con le leggi n. 116 del 2009 e n. 110 del 2012. 

In particolare, per i fini che qui interessano, la novella legislativa � inter-
venuta in maniera penetrante sull'originaria fisionomia del reato di concussione, 
dal quale � stata espunta la condotta induttiva, introducendo altres�, 

(9) Con sentenza n. 84 del 17 aprile 1969 la Corte costituzionale ha dichiarato l�illegittimit� di 
questo articolo per la parte relativa all�ipotesi della propaganda qualora questa non assuma dimensioni 
tali n� raggiunga un grado tale di intensit� e di efficacia da risultare veramente notevole. 
(10) In linea con tali sospetti si pone l'elaborazione giurisprudenziale della cd. concussione ambientale, 
sul punto Cass., Sez. VI, 13 luglio 1998, n. 13395, SALVI, in Foro italiano, 1999, II, p. 644 con 
nota di MANES V. �La concussione �ambientale� da fenomenologia a fattispecie �extra legem��. 



CONTENZIOSO NAZIONALE

all'art. 319 quater c.p., una fattispecie penale di nuovo conio: quella di �Induzione 
indebita a dare o promettere utilit��. 

Se si procede ad una sommaria analisi delle due figure delittuose in questione 
� possibile evidenziare come l'art. 317 c.p. abbia sub�to una restrizione 
sotto un duplice profilo: quello oggettivo e quello soggettivo. Quanto al primo 
si � osservato come il reato de quo sia ora circoscritto alle sole condotte costrittive 
poste in essere dal soggetto agente, il quale, e questo � il secondo profilo 
di novit�, deve rivestire la qualifica di pubblico ufficiale essendo stata 
emendata quella relativa all'incaricato di pubblico servizio (11). Tale complessiva 
riconfigurazione del delitto in questione � stata inoltre accompagnata da 
un innalzamento del minimo edittale originariamente previsto. 

Con riferimento alla figura criminosa prevista dall'art. 319 quater c.p. � 
possibile evidenziare, invece, accanto ad un nucleo evocativo la previgente figura 
di concussione per induzione, elementi di assoluta novit�. Oltre alla clausola 
di salvaguardia posta nell'incipit della disposizione in questione, che ne 
rende dunque residuale l'applicazione, � stata infatti introdotta la punibilit� 
del privato che ha dato o promesso denaro, beni o altra utilit�. 

Volendo anche solo accennare ad un confronto strutturale, tra l'art. 317 

c.p. nel testo vigente ante riforma e l'art. 319 quater c.p., risulta di tutta evidenza 
il diverso apprezzamento effettuato dal legislatore con riferimento alla 
condotta del privato. 

Il reato di concussione per induzione era infatti originariamente riconducibile 
alla categoria dei reati plurisoggettivi impropri - quelli cio� che pur prevedendo 
il necessario concorso di pi� persone assoggettano a sanzione penale 
solo alcune di esse - di talch� la condotta posta in essere dal privato, per esservi 
stato indotto, era penalmente irrilevante, risultando egli persona offesa dal reato. 

Con il nuovo art. 319 quater c.p. la posizione del privato transita, invece, 
dall'area dell'irrilevanza a quella della rilevanza penale, assumendo lo stesso 
il ruolo di coautore nel delitto. 

Sebbene prima facie non si possa non rilevare come il recente intervento 
legislativo sembri essersi limitato ad un mero �spacchettamento� dell'unitaria 
fattispecie delittuosa della concussione, originariamente prevista all'art. 317 
c.p., le novit� introdotte hanno sollevato, tanto in dottrina quanto in giurisprudenza, 
evidenti interrogativi in punto di diritto intertemporale, le cui risposte, 
tutt'altro che ovvie, potevano e possono notevolmente incidere sui numerosi 
processi ancora pendenti. 

Nell'affrontare la problematica attinente alla continuit� o meno del tipo 
normativo di cui sopra si sono profilati in giurisprudenza tre distinti filoni in


(11) Sul punto si evidenzia un'ipotesi di abrogatio sine abolitio essendo la condotta concussiva 
dell'incaricato di pubblico servizio sussumibile nell'alveo della fattispecie penale dell'estorsione aggravata 
ai sensi dell'art. 61, n. 9 c.p. 


terpretativi che hanno determinato la Suprema Corte di Cassazione, nella sua 
composizione pi� autorevole, ad intervenire sul punto. 

4. Prime interpretazioni giurisprudenziali della Cassazione post 190/2012: 
sentenza Nardi. 

Il primo orientamento giurisprudenziale (12) � stato inaugurato dalla sentenza 
n. 8695 pronunciata dalla VI sezione della Cassazione in data 21 febbraio 
2013 (13). 

La vicenda giudiziaria atteneva alla condotta di un pubblico ufficiale, 
nella specie un carabiniere, che, abusando dei suoi poteri prospettava ad un 
agente assicurativo una serie di controlli in danno dei clienti della societ� 
presso la quale lavorava, inducendolo alla consegna di una modesta somma 
di denaro. 

I giudici di legittimit� nel pronunciarsi sul ricorso presentato dall'imputato 
focalizzavano immediatamente l'attenzione sul recente intervento riformatore 
e sulle problematiche di diritto intertemporale dallo stesso derivanti. 

Nel ribadire che il criterio, alla luce del quale la continuit� o meno tra gli 
illeciti penali deve essere analizzata e risolta, � costituito dal confronto strutturale 
tra fattispecie astratte, la Corte rilevava come fosse possibile rinvenire 
un'assoluta omogeneit� strutturale del delitto di induzione indebita rispetto 
alla vecchia ipotesi di concussione per induzione. 

Invero, a dispetto dell'estensione della punibilit� anche nei confronti del 
privato, i giudici osservavano che �la tipizzazione plurisoggettiva � caratterizzata 
anch'essa strutturalmente, per la struttura astratta tra le due condotte, 
e cio� nel senso che le medesime condotte ivi descritte o implicitamente presupposte, 
indipendentemente dal fatto che siano punite o meno, acquistano 
un significato tipico... per via di una strumentalit� che le avvince�. 

Attesa, ai fini successori tra le due fattispecie, l'irrilevanza dell'incriminazione 
della condotta del privato, la Corte di Cassazione spostava quindi la 
sua analisi sulla portata dei concetti di �costrizione� e di �induzione� al fine 
di verificare se, sotto questo profilo, tra l'ipotesi di concussione per induzione 
e quella di induzione indebita vi fosse o meno corrispondenza non solo formale, 
ma anche sostanziale. 

Sul punto la Suprema Corte osservava come la novella legislativa avesse 

(12) Ex multis Sez. 6, n. 28431 del 12 giugno 2013, CAPPELLO, in C.E.D. Cass., Rv. 255614; Sez. 
6, n. 28412 dell�8 marzo 2013, NOGHEROTTO, ivi, Rv. 255607; Sez. 6, n. 11942 del 25 febbario 2013, 
OLIVERIO, ivi, Rv. 254444; Sez. 6, n. 12388 dell�11 febbario 2013, SARNO, ivi, Rv. 254441; Sez. 6, n. 
21192 del 25 gennaio 2013, BARLA, ivi, Rv. 255366; Sez. 6, n. 18968 dell�11 gennaio 2013, BELLINI, 
ivi, Rv. 255072; Sez. 6, n. 17285 dell�11 gennaio 2013, VACCARO, ivi, Rv. 254621; Sez. 6, n. 16154 
dell�11 gennaio 2013, PIERRI, ivi, Rv. 254539; Sez. 6, n. 3093 del 18 dicembre 2012, dep. 21 gennaio 
2013, AURATI, ivi, Rv. 253947. 
(13) Sez. 6, n. 8695 del 4 dicembre 2012, dep. 21 febbario 2013, NARDI, in C.E.D. Cass., Rv. 
254114. 



CONTENZIOSO NAZIONALE

per vero operato un semplice �spacchettamento� dell'unitario precetto penale 
della concussione, isolando in due distinte disposizioni incriminatrici fattispecie 
prima sussunte nell'alveo del medesimo articolo 317 c.p. 

Pi� nello specifico, veniva evidenziata la perfetta sovrapponibilit� lessicale 
tra l'originaria formulazione della concussione per induzione e l'odierna 
figura di induzione indebita, dalla quale veniva in definitiva desunta la continuit� 
concettuale e normativa tra le due ipotesi criminose. 

Tale ragione, secondo la Suprema Corte, postulerebbe dunque la perdurante 
validit� del risultato ermeneutico cui la giurisprudenza era pervenuta nel 
vigore della precedente normativa. 

Nella sentenza in questione, invero, il criterio discretivo tra la condotta 
costrittiva e quella induttiva veniva nuovamente rinvenuto nella maggiore o 
minore intensit� della coartazione psichica sub�ta dal privato, il quale sarebbe 
quindi soggetto a costrizione ove il comportamento del pubblico ufficiale sia 
connotato da una particolare capacit� intimidatoria tale da soggiogare quasi 
completamente la sua volont� (voluit quia coactus), mentre risulterebbe indotto 
allorch� la pressione esercitata, sotto forma di persuasione o allusione, 
si atteggi in guisa tale da lasciargli un pi� ampio margine di autodeterminazione 
(coactus tamen voluit). 

In conclusione, con l'arresto de quo i giudici di legittimit� riconoscevano 
alla figura di induzione indebita portata meramente replicativa di quella gi� 
contemplata dall'art. 317 c.p., rispetto alla quale la nuova incriminazione del 
privato non fa venir meno la continuit� normativa e la conseguente applicabilit� 
dell'art. 2 c. 4 c.p., essendo la stessa giustificata dalla ratio legis, rinvenibile 
anche nelle fonti di matrice internazionale, di perseguire la condotta del soggetto 
che, a fronte di blande pressioni psichiche, non abbia respinto la richiesta 
illecita del pubblico ufficiale. 

5. (segue) Sentenza Roscia. 

Il secondo orientamento (14), formatosi in seno alla sesta sezione della 
Suprema Corte ed inaugurato con la sentenza n. 3251 del 22 gennaio 2013 

(15) (depositata dunque 5 giorni dopo la sentenza GUP in commento), si pone 
in aperta rottura con il lungo percorso esegetico condotto dalla giurisprudenza 
in ordine al discrimen tra la condotta costrittiva e quella induttiva. 

La vicenda sottoposta ai magistrati di Cassazione ineriva alla condotta 

(14) Ex multis Sez. 6, n. 29338 del 23 maggio 2013, PISANO, in C.E.D. Cass., Rv. 255616; Sez. 
6, n. 26285 del 27 marzo 2013, A.R.P.A., ivi, Rv. 255371; Sez. 6, n. 16566 del 26 febbraio 2013, CABONI, 
ivi, Rv. 254624; Sez. 6, n. 13047 del 25 febbraio 2013, PICCJ, ivi, Rv. 254466; Sez. 6, n. 17943 del 15 
febbraio 2013, SAMMATRICE, ivi, Rv. 25476, n. 17593 del 14 gennaio 2013, MARINO, ivi, Rv. 254622; 
Sez. 6, n. 7495 del 3 febbraio 2012, dep. 15 febbraio 2013, GORI, ivi, Rv. 254021. 
(15) Sez. 6, n. 3251 del 3 dicembre 2012, dep. 22 gennaio 2013, ROSCIA, in C.E.D. Cass., Rv. 
253938. 



tenuta dal Sindaco di un Comune il quale, abusando dei suoi poteri, si faceva 
consegnare da un imprenditore un'ingente somma di denaro sotto la minaccia, 
in caso contrario, di far rinviare sistematicamente, da parte della competente 
Commissione, la trattazione di due richieste di permesso a costruire presentate 
dall'imprenditore stesso. 

I giudici di legittimit�, nell'annullare con rinvio l'impugnata sentenza di 
secondo grado, hanno compiuto una dettagliata analisi strutturale delle fattispecie 
risultanti dalla riforma del 2012, soffermandosi in particolare sulla portata 
semantica dei concetti di �costrizione� e di �induzione�. 

In particolare, la Suprema Corte, procedendo ad un'indagine esegetica dei 
due lemmi in questione, evidenziava come, in via generale, il termine induzione 
si caratterizzasse per un'assoluta atipicit� semantica idonea a coprire 
un'area residuale di condotte atta a comprendere tutto ci� che non rientrava 
nel cono d'ombra della costrizione. 

Continuando a muoversi lungo il crinale interpretativo della dicotomia 
costrizione/induzione gli stessi giudici osservavano, di contro, come il termine 
�costrizione� descrivesse plasticamente sia la condotta che l'effetto dalla stessa 
promanante, sicch� sarebbero ad esso riconducibili tutte quelle condotte che 
si estrinsecano in una violenza fisica o psichica, e cio� in una violenza o in 
una minaccia. 

Attesa tuttavia l'esorbitanza della violenza fisica rispetto alla fattispecie 
concussiva, idonea al pi� ad integrare un'ipotesi di estorsione, i giudici circoscrivevano 
l'ambito semantico della costrizione alla sola minaccia che, stando 
anche alla formulazione dell'art. 612 c.p., consiste nella prospettazione di un 
danno ingiusto. 

Detta analisi portava i giudici ad elaborare un nuovo e diverso criterio discretivo 
focalizzato non pi� sull'elemento �soggettivizzante� di opinabile dimostrazione 
della maggiore o minore coartazione psichica, bens� su quello 
obbiettivo del danno ingiusto ovvero del vantaggio indebito. 

Ricorrerebbe dunque l'ipotesi criminosa di cui all'art. 317 c.p. allorch� il 
pubblico ufficiale, abusando della sua posizione, costringa il privato alla dazione 
o alla promessa di denaro mediante la prospettazione di un danno ingiusto, 
configurandosi invece la fattispecie di cui all'art. 319 quater c.p. 
qualora il soggetto agente, sempre abusando dei propri poteri o qualit�, induca 
il privato alla dazione o alla promessa rappresentandogli la possibilit� di conseguire 
un indebito vantaggio. 

Nel primo caso la costrizione sarebbe stigmatizzata proprio dalla minaccia 
di un danno ingiusto, mentre nel secondo l'induzione sarebbe determinata dalla 
prospettazione di evitare un danno, non gi� contra ius, ma che, viceversa, deriverebbe 
dalla corretta applicazione della legge. 

La mancanza dell'ingiustizia del danno, che si converte in un indebito 
vantaggio perseguito e conseguito dal privato, giustificherebbe l'attuale puni



CONTENZIOSO NAZIONALE

bilit� dello stesso, nonch� la collocazione sistematica della figura delittuosa 
prevista dall'art. 319 quater c.p., la quale si pone a livello toponomastico in 
una posizione pi� contigua al reato di corruzione che a quello di concussione. 

La Suprema Corte, seppure attraverso un iter logico-argomentativo affatto 
diverso, perviene tuttavia alla medesima conclusione del primo orientamento 
in ordine alla soluzione della questione di diritto intertemporale che evidentemente 
la novella pone. 

Viene infatti osservato che �l'ambito di operativit� cos� assegnato alle 
due disposizioni corrisponde, se sommato, all'area del precedente art. 317 
c.p.�. Ancora nel vigore della precedente formulazione la giurisprudenza era 
invero concorde nel ritenere integrato l'abuso, caratterizzante la fattispecie 
concussiva, in tutti quei casi in cui il pubblico ufficiale prospettava l'esercizio 
di un potere dovuto al fine di conseguirne un guadagno indebito. L'abuso ricorreva 
dunque anche nell'esercizio di un potere che, seppure legittimo, deviava 
fortemente dalle ragioni pubblicistiche della sua attribuzione per essere 
piegato e funzionalizzato ad interessi egoistici del pubblico ufficiale. 

Da tale dato, a giudizio della Corte, deriverebbe dunque la perfetta continuit� 
normativa tra la precedente formulazione della concussione per induzione 
e l'odierna previsione del reato di induzione indebita. 

Ad ulteriore conferma della correttezza delle argomentazioni svolte, i giudici 
procedevano alla confutazione del precedente indirizzo ermeneutico. 

Osservavano infatti che se si volesse fondare il discrimen tra costrizione 
e induzione sulla base della sola diversa intensit� della pressione esercitata 
dal soggetto agente - di tal che l'induzione sarebbe configurabile anche in presenza 
di minacce blande o implicite - si procederebbe, nel silenzio del dato 
normativo, ad una graduazione extra legale della minaccia, cui invece il legislatore 
conferisce il significato tecnico ed unitario di prospettazione, sia essa 
esplicita ovvero implicita, spudorata o suadente, di un danno ingiusto. 

Diversamente opinando, ritenere che con l'art. 319 quater c.p. il legislatore 
abbia voluto sottoporre a pena il privato per aver ceduto alla minaccia, 
seppure larvata, del pubblico ufficiale, significherebbe �richiedere al soggetto 
virt� civiche ispirate a concezioni di stato etico proprie di ordinamenti che si 
volgono verso concezioni antisolidaristiche e illiberali�. 

In conclusione dalla sentenza in esame ne esce una lettura rivoluzionaria 
del reato di induzione indebita, il quale condivide con il delitto di concussione 
il medesimo nucleo costituito dall'abuso di potere, per differenziarsene per� 
sotto il profilo dell'oggetto della prospettazione effettuata dal pubblico ufficiale: 
un indebito vantaggio nel primo caso, un danno ingiusto nel secondo; 
elemento questo che sembrerebbe del tutto coerente con la rilevanza penale 
attribuita alla condotta del privato e con il pi� lieve trattamento sanzionatorio 
previsto per il soggetto agente ai sensi dell'art. 319 quater c.p. 


6. (segue) Sentenza Melfi. 

Il terzo ed ultimo orientamento giurisprudenziale (16) opera una sintesi 
delle opzioni ermeneutiche sposate dai succitati indirizzi interpretativi, pervenendo 
al pari degli altri alla conclusione della continuit� normativa tra la 
fattispecie di concussione per induzione e quella di induzione indebita. 

La vicenda affrontata dalla VI sezione, con il retratto n. 11794 del 12 
marzo 2013, verteva sulla condotta tenuta dal sindaco di un Comune, il quale 
poneva in essere comportamenti, consistenti nella reiterata prospettazione di 
ritorsioni, idonei a coartare la volont� di un impiegato comunale affinch� questi 
alterasse il regolare svolgimento di una procedura concorsuale allo scopo 
di favorire persone segnalate dallo stesso primo cittadino, evento questo non 
verificatosi per fattori estranei ed indipendenti dalla sua volont�. 

Preliminarmente all'analisi della problematica attinente alle successioni 
delle leggi penali nel tempo, i giudici della sesta sezione si soffermavano sul-
l'individuazione del criterio che, a seguito del cd. spacchettamento operato dalla 
legge n. 190 del 2012, valesse a distinguere la fattispecie criminosa prevista 
dall'art. 317 c.p., da quella di nuova genesi contemplata dall'art. 319 quater c.p. 

L'utilizzo della medesima terminologia legislativa veniva inteso dai giudici 
di legittimit� quale chiaro indice dell'invarianza semantica dei concetti di costrizione 
ed induzione. L'asserita neutralit� dello scorporo effettuato dall'intervento 
normativo di cui sopra, il quale si sarebbe dunque limitato a trasformare 
la fattispecie disciplinata all'art. 317 c.p. da mista a semplice, sembrerebbe 
quindi postulare l'attuale validit� dei percorsi argomentativi ed interpretativi 
formatisi in giurisprudenza intorno al binomio costrizione/induzione. 

Invero, pur riconoscendo la centralit� del criterio tradizionale basato sul-
l'intensit� della coartazione psichica esercitata dal soggetto agente, la Suprema 
Corte non ignorava l'insufficienza dello stesso in ipotesi borderline che, proprio 
in ragione degli incerti connotati che le caratterizzano, risultano di difficile qualificazione 
sulla base della sola modulazione della pressione prevaricatrice. 

In tali casi-limite si impone dunque il ricorso ad un criterio integrativo, 
individuato nel tipo di vantaggio che il soggetto a seguito della dazione o promessa 
indebita consegue. 

La condotta posta in essere dal pubblico ufficiale integrer� dunque il reato 
di concussione, nella sola forma rimasta di costrizione, allorch�, abusando dei 
propri poteri, lo stesso soggetto ponga il privato di fronte ad un aut aut: procedere 
all'indebita dazione, ovvero subire un ingiusto pregiudizio, senza che 
residui in capo allo stesso alcun apprezzabile margine di determinazione. 

Si ricadr� invece nell'ipotesi di cui all'art. 319 quater c.p., qualora il sog


(16) Ex multis Sez. 6, n. 20428 deIl�8 maggio 2013 MILANESI, in C.E.D. Cass., Rv. 255076; Sez. 
3, n. 26616 dell�8 maggio 2013, M., ivi, Rv. 255620; Sez. 6, n. 21975 del 5 aprile 2013, VISCANTI, ivi, 
Rv. 255325; Sez. 6, n. 11944 del 1425 febbraio 2013, DE GREGORIO, ivi, Rv. 254446. 


CONTENZIOSO NAZIONALE

getto agente, pur sempre abusando dei poteri o della sua qualit�, prospetti al 
privato la dazione o la promessa indebita quale condizione per evitare il compimento 
di un atto che, essendo dovuto, non sarebbe quindi antigiuridico; in 
questo caso il privato si determinerebbe alla prestazione illecita prevalentemente 
sulla base di calcoli utilitaristici. Risulta infatti evidente come, nel primo 
caso, il privato, in quanto minacciato di subire un danno ingiusto, risulti persona 
offesa dal reato; mentre nel secondo egli agisca come coautore del fatto illecito, 
per aver posto in essere una condotta tesa a conseguire un vantaggio indebito. 

Cos� individuato il discrimine tra le due condotte, oggi integranti due autonome 
figure delittuose, i magistrati della sesta sezione riconoscevano, con 
precipuo riferimento all'ipotesi di concussione per costrizione, prospettata 
nella vicenda sottoposta al loro vaglio, piena continuit� normativa tra l'originaria 
e l'odierna fattispecie contemplata dall'art. 317 c.p. 

Il confronto strutturale tra le due norme pone infatti in evidenza come, al 
netto della limitazione della soggettivit� attiva del reato al solo pubblico ufficiale 
(con contestuale esclusione della figura dell'incaricato di pubblico servizio), 
la fattispecie criminosa risultante dalla modifica legislativa si presenti 
in termini del tutto identici rispetto a quella precedentemente in vigore. 

7. Cass. Sez. Un. 14 marzo 2014 n. 12228. 

Il variegato quadro giurisprudenziale formatosi in seno alla sesta sezione 
della Corte di Cassazione ha determinato la rimessione alle Sezioni Unite della 
questione relativa a : �quale sia, a seguito della legge 6 novembre 2012, n. 190, 
la linea di demarcazione tra la fattispecie di concussione (prevista dal novellato 
art. 317 cod. pen.) e quella di induzione indebita a dare o promettere utilit� 
(prevista dall�art. 319 - quater cod. pen. di nuova introduzione) soprattutto con 
riferimento al rapporto tra la condotta di costrizione e quella di induzione e 
alle connesse problematiche di successione di leggi penali nel tempo�. 

Nel risolvere la problematica sottoposta alla loro attenzione, le Sezioni 
Unite, con la recente sentenza n. 12228 del 14 marzo 2014, vagliavano in 
primo luogo i risultati esegetici cui i precedenti orientamenti, dai quali � sorto 
il citato contrasto, sono pervenuti. 

Pur apprezzando la condivisibilit� delle opzioni interpretative prospettate, 
il Supremo Consesso riteneva che le stesse, isolatamente considerate, non fossero 
per vero autosufficienti ed in grado di fornire all'interprete un affidabile 
strumento di ermeneusi. 

Con riferimento al primo indirizzo viene infatti censurata l'aleatoriet� interpretativa 
che un criterio di portata eminentemente soggettiva inevitabilmente 
comporterebbe. 

Il secondo orientamento, invece, pur avendo il merito di ancorare l'analisi 
ad un indice oggettivo, quello del danno ingiusto o dell'indebito vantaggio, di 
pi� sicura valutazione, sconta tuttavia un'eccessiva rigidit� applicativa che im



pedisce di apprezzare in maniera compiuta il disvalore di condotte che si pongono 
in una zona grigia ed intermedia rispetto ai concetti di costrizione e di induzione. 

Il terzo ed ultimo filone interpretativo risulta infine ambiguo nell'iter argomentativo. 
Infatti, pur declamando l'intenzione di una reductio ad unum dei 
precedenti orientamenti, si risolve in realt� nell'adesione al criterio prospettato 
dal primo, salvo integrarlo, ma solo in casi eccezionali, con quello individuato 
dal secondo. 

Nel rifiutare dunque l'adesione ad uno dei tre percorsi argomentativi formatisi 
sul punto le Sezioni Unite procedevano ad una puntuale e dettagliata 
operazione interpretativa storicamente orientata delle condotte di costrizione 
e di induzione. 

Il dato di partenza da cui muove detta indagine � quello dell'esatto significato 
da attribuire all'abuso delle qualit� ovvero dei poteri da parte del soggetto 
pubblico, locuzione ricorrente in entrambe le fattispecie incriminatrici 
previste dagli artt. 317 e 319 quater c.p. 

Proprio al fine di valorizzare la rilevanza di tale segmento della condotta 
criminosa che, lungi dal rappresentare un mero presupposto di fatto, costituisce 
invece un elemento integrativo dei delitti de quibus, la Corte evidenziava come 
le condotte tipiche dei due reati non fossero circoscritte rispettivamente alla 
costrizione e all'induzione, ma avessero un contenuto pi� ampio atto a comprendere 
il comportamento abusivo del soggetto agente. 

L'abuso di potere o qualit� completa, ed in un certo senso qualifica, la 
condotta costrittiva ovvero induttiva posta in essere dal pubblico ufficiale, imprimendo 
alla stessa una direzione finalisticamente orientata al conseguimento 
dell'indebito e ponendosi altres� in rapporto di efficienza causale rispetto allo 
stato psichico ingenerato nel privato. 

L'iter argomentativo proseguiva indi nel fornire la definizione di �abuso 
della qualit�� e di �abuso di poteri�. 

Con riferimento al primo concetto, detto anche abuso soggettivo, la Corte 
riteneva che esso consistesse in �un uso indebito [necessariamente commissivo] 
della posizione personale rivestiva dal pubblico funzionario� idoneo ad 
ingenerare nel privato uno stato di soggezione variamente apprezzabile in termini 
di costrizione ovvero di induzione; l'abuso di poteri, cd. abuso oggettivo, 
si concretizzerebbe invece in una deviazione del potere dalla sua causa tipica 
di attribuzione, operabile tanto in via commissiva che omissiva, e comunque 
capace di coartare la volont� del soggetto privato. 

Sotto tale ultimo profilo veniva inoltre precisato che l'abuso pu� configurarsi 
anche in presenza dell'esercizio di un potere astrattamente legittimo, 
ma che, per le concrete modalit� con cui viene posto in essere, tradisce in realt� 
la sua illiceit�, in quanto funzionalmente orientato al conseguimento di un�indebita 
dazione. 

Chiarito il punto relativo alla nozione di abuso di qualit� e di poteri, le 


CONTENZIOSO NAZIONALE

Sezioni Unite affrontavano quindi la questione relativa all'esatta delimitazione 
dei concetti di induzione e di costrizione. 

Nel procedere a detta analisi sembrerebbe tuttavia ravvisarsi una parziale 
contraddizione della premessa di partenza, quella cio� dell'insufficienza dei 
criteri elaborati dai tre indirizzi giurisprudenziali sopra richiamati. 

Invero, dopo aver ripercorso l'iter storico-normativo della dicotomia costrizione/
induzione, le Sezioni Unite, pur condividendo l'analisi basata sul 
grado di condizionamento ingenerato nel privato, riconducibile al primo filone 
giurisprudenziale, ne evidenziavano gli indiscussi limiti alla luce dell'incriminazione, 
ad opera dell'art. 319 quater c.p., del soggetto extraneus. 

La rilevanza penale che oggi assume la condotta del privato indotto richiede 
infatti l'individuazione di un indice dai contorni maggiormente definiti rispetto 
a quelli evanescenti ed opinabili caratterizzanti il dato della coazione psichica. 

Detto indice viene rinvenuto proprio in quello utilizzato dal secondo indirizzo 
come spartiacque tra le condotte costrittive ed induttive, e cio� nell'ingiustizia 
o meno del danno prospettato dall'agente pubblico. 

Dopo aver proceduto all'esegesi dei termini costrizione e induzione, che 
non sembra discostarsi qualitativamente da quello gi� condotto dalla giurisprudenza 
precedente, le Sezioni Unite si sono assestate dunque su una posizione 
ermeneutica fortemente affine a quella del secondo indirizzo sopracitato. 

Invero, l'opzione interpretativa, secondo cui il discrimen tra i due concetti 
in questione sarebbe da rinvenire nel danno ingiusto prospettato con la condotta 
costrittiva, ovvero nell'indebito vantaggio rappresentato mediante induzione, 
sembrerebbe necessitata da una lettura costituzionalmente orientata 
della nuova disposizione di cui all'art. 319 quater c.p. 

Il rilievo, infatti, che in questa ipotesi criminosa il privato risulti assoggettato 
a sanzione penale non pu� prescindere dall'ovvio postulato di una responsabilit� 
colpevole in capo allo stesso, e tale � quella riscontrabile, non gi� 
nella mancata resistenza da parte del privato all'abuso sub�to, bens� in quella 
finalizzata a conseguire un indebito vantaggio ovvero ad evitare un danno secundum 
ius approfittando della condotta induttiva ancorch� prevaricatrice del 
pubblico agente. 

Cos� ricomposto il quadro interpretativo, le Sezioni Unite osservavano 
tuttavia come l'utilit� del criterio di stampo oggettivo sopracitato sarebbe circoscritta 
ad ipotesi concrete dai contorni nitidi e certi, risultando invece insoddisfacente 
in casi-limite che presentano la commistione di elementi di 
entrambe le condotte. 

Sul punto, il Supremo Consesso �raccomandava� dunque un apprezzamento 
puntuale ed attento dei fatti posti a fondamento della vicenda delittuosa, 
da saggiare �non nella loro staticit�, ma nella loro operativit� dinamica, enucleando, 
sulla base di una valutazione approfondita ed equilibrata del fatto, 
il dato di maggiore significativit��. 


Ad ulteriore specificazione di tale assunto, le Sezioni Unite concludevano 
procedendo ad una disamina casistica della varie ipotesi di incerta qualificazione, 
compilando in definitiva una sorta di vademecum in grado di orientare 
l'interprete nella soluzione delle vicende pi� complesse ed articolate. 

8. Sentenza GUP in commento. 

A fronte del variegato panorama giurisprudenziale sin qui illustrato, la 
sentenza n. 138/13 del GUP del Tribunale di Roma in commento, resa in epoca 
antecedente alla pronuncia delle Sezioni Unite, ma alla stessa conforme, ha il 
pregio non solo di risolvere in senso positivo il quesito, strettamente afferente 
al procedimento penale sub iudice, relativo alla continuit� normativa tra l'originaria 
figura della concussione per induzione e quella, di recente introduzione, 
di induzione indebita, ma anche e soprattutto quello di ricostruire in 
maniera lineare e armonica il quadro normativo dei reati relativi al mercimonio 
della funzione pubblica. 

Con riferimento al primo profilo, la sentenza de qua focalizza immediatamente 
l'attenzione sulla nuova incriminazione, ad opera dell'art. 319 quater 
c.p., della condotta tenuta dal soggetto privato che, come sopra evidenziato, 
risultava non punibile ai sensi dell'art. 317 c.p. 

A tale elemento, sicuramente distonico rispetto all'originaria formulazione del 
reato di concussione, viene tuttavia riconosciuto, nell'economia della fattispecie, 
valore non dirimente ai fini del giudizio sulla continuit� o meno tra i tipi normativi. 

Invero, come puntualmente osservato in sentenza, nella categoria dei reati a 
concorso necessario sono riconducibili tanto quelli plurisoggettivi propri, a cui 
appartiene la fattispecie di cui all'art. 319 quater c.p., quanto quelli plurisoggettivi 
impropri - che, a differenza dei primi come si � detto, pur contemplando il necessario 
concorso di pi� soggetti, considerano punibili solo alcuni di questi -, nel-
l'alveo dei quali � riconducibile la figura criminosa della concussione. 

Di qui la conseguenza che �tale tipizzazione plurisoggettiva costituisce, 
a ben vedere, connotazione strutturale delle due fattispecie poste a confronto 
poich� entrambe richiedono per la loro integrazione la collaborazione di due 
soggetti�, di talch� l'attuale punibilit� del soggetto privato non fa per ci� solo 
venir meno la continuit� normativa tra la fattispecie di concussione per induzione 
e quella di induzione indebita, della quale, soggiunge il giudice, non � 
dato dubitare stante anche il tenore letterale dell'art. 319 quater c.p. replicativo 
dell'originaria formulazione dell'art. 317 c.p. 

Con precipuo riguardo poi all'esatta perimetrazione delle due figure risultanti 
dal cd. spacchettamento operato dalla legge n. 190 del 2012, la sentenza 
in commento individua l'elemento discretivo tra le figure de quibus, non 
tanto nella maggiore o minore intensit� della pressione psichica esercitata sul 
soggetto privato, quanto piuttosto nella diversa connotazione del danno minacciato 
dal pubblico ufficiale abusando delle proprie funzioni (anticipando, 


CONTENZIOSO NAZIONALE

a ben vedere, di pochi giorni il secondo orientamento della sesta sezione della 
Cassazione, sopra illustrato sub 5). 

Alla luce delle novit� normative, dunque, il reato di concussione si configurerebbe 
ogniqualvolta il soggetto pubblico, abusando dei propri poteri o 
qualit�, minacci il privato di un danno ingiusto determinandolo per ci� alla 
dazione o alla promessa, ricorrendo invece l'ipotesi delittuosa di cui all'art. 
319 quater c.p. allorch�, nell'invarianza degli altri elementi costitutivi, il danno 
minacciato non sia contra ius, ma derivi invece dalla corretta applicazione 
della legge o di un provvedimento. In questo ultimo caso il privato, pur indotto 
dalla condotta del pubblico ufficiale, si determinerebbe alla promessa o alla 
dazione non gi� per scongiurare un danno iniura datum, quanto per conseguire 
un vantaggio indebito. 

Il diverso apprezzamento dell'obiettivo perseguito dal privato rende 
quindi coerente la sua punibilit� ex art. 319 quater c.p., in quanto, osserva il 
GUP, �proprio in un simile contesto la minaccia della sanzione penale dovrebbe 
operare quale controspinta psicologica finalizzata ad incentivare forme 
di resistenza attiva contro l'induzione�. 

Alla luce anche di queste considerazioni, la sentenza conclude per l'applicabilit� 
dell'art. 2 c. 4 c.p., non essendo rinvenibili elementi di discontinuit� 
strutturale tra la fattispecie concussiva e quella di induzione indebita. 

Pur avendo sciolto il nodo gordiano relativo al caso sub iudice, la sentenza 
compie un ulteriore sforzo esegetico volto a delineare pi� compiutamente i 
confini della figura di cui all'art. 319 quater c.p. in relazione, questa volta, al 
reato di corruzione. 

Ed invero, tale riflessione viene occasionata non solo dalle tesi difensive 
degli imputati, ma anche dalla contiguit� sistematica della nuova fattispecie 
rispetto a quelle corruttive, il che, come osserva il giudice, giustifica anche un 
trattamento sanzionatorio del pubblico ufficiale pi� lieve rispetto a quello previsto 
dall'art. 317 c.p. 

L'elemento differenziale tra le due ipotesi delittuose viene individuato nella 
par condicio contractualis caratteristica della condotta corruttiva. In questa figura 
criminosa infatti il privato non � soggetto ad alcun metus publicae potestatis, 
ma si pone come interlocutore alla pari del pubblico ufficiale infedele. 

Viceversa, ci� che connota i delitti di concussione e di induzione indebita 
� proprio l'abuso perpetrato dal pubblico agente e la minaccia, in un caso, di 
un danno ingiusto; la prospettazione, nell'altro, di un vantaggio indebito. 

In conclusione, la sentenza in commento ritiene configurabile nel caso 
de quo l'ipotesi delittuosa di cui all'art. 319 quater c.p., fattispecie applicabile, 
ai sensi dell'art. 2 c. 4 c.p., in quanto prevede un trattamento sanzionatorio pi� 
favorevole al reo; e ci� in ragione della subdola strumentalizzazione dell'addebito 
mosso al titolare dell'esercizio commerciale, prospettato con atteggiamenti 
rigorosi ed allo stesso tempo allusivi ad un possibile commodus 


discessus, elementi integranti gli estremi del reato di concussione mediante 
induzione vigente all'epoca dei fatti. 

Occorre infine evidenziare come la circostanza che la sentenza in esame 
sia stata pronunciata a soli due mesi di distanza dall'entrata in vigore della 
legge n. 190/2012, e con anticipo rispetto ai principali filoni giurisprudenziali 
soprarichiamati, rende ancora pi� apprezzabili gli sforzi esegetici, per cos� 
dire �antesignani�, ivi compiuti dal GUP, che sembrano porsi in perfetta sintonia 
con quanto da ultimo autorevolmente statuito dalle Sezioni Unite con la 
pronuncia citata in epigrafe. 

Tribunale di Roma, Sezione dei Giudici per le Indagini Preliminari, sentenza 17 gennaio 
/ 16 aprile 2013 n. 138 -Giud. Roberto Saulino. 

MOTIVI DELLA DECISIONE 
A seguito di rituale notifica del decreto dispositivo del giudizio immediato, D.N. e A.L. formulavano, 
per il tramite dei rispettivi procuratori speciali, in relazione al reato di cui in epigrafe, 
tempestiva richiesta di ammissione al rito abbreviato, condizionato, quanto al D.N., ad 
acquisizioni documentali ed all'audizione del teste R.S. 
L'udienza in camera di consiglio si svolgeva con la partecipazione degli imputati e con l'intervento 
delle costituite parti civili Agenzia delle Entrate e B.M. 
All'udienza del 6.12.1.2012, la Difesa D.N. dichiarava di rinunciare alla audizione del teste R.S. 
Lo scrivente disponeva procedersi con le forme del giudizio abbreviato ed acquisiva la documentazione 
prodotta quale oggetto di condizionamento del rito. 
Raccolte le dichiarazioni spontanee rese dal D.N. e disposta, ai sensi dell'art. 441 comma 5 
c.p.p., l'audizione del teste B.F., all'esito di articolata discussione orale le Parti concludevano 
come in intestazione trascritto. 
Le emergenze cartolari, apprezzate unitamente agli elementi acquisiti nel corso della udienza 
camerale celebrata dinanzi allo scrivente, consentono di pervenire all'affermazione della penale 
responsabilit� degli imputati, nei termini appresso indicati. 
Le indagini relative ai fatti di cui al presente procedimento prendevano avvio a seguito della 
denuncia formalizzata da B.M. la sera dell'8 marzo 2012. Specificamente, il denunciante, titolare 
di una attivit� commerciale di vendita di articoli floreali riferiva che, quella mattina, 
un uomo ed una donna, qualificatisi, mediante esibizione del relativo tesserino, come verificatori 
dell'Agenzia delle Entrate, avevano fatto accesso all'interno del citato punto vendita, 
dichiarando di dover effettuare una verifica contabile e fiscale dell'attivit�. 
A conclusione dell'accertamento, nel corso del quale il B.M. aveva potuto mettere a disposizione 
dei verificatori solo parte della documentazione che gli era stato richiesto di esibire, 
l'uomo rappresentava che, a causa delle violazioni riscontrate, sarebbero state irrogate sanzioni 
a carico del commerciante e che quelle di maggior ammontare sarebbero state conseguenza 
della omessa regolarizzazione contributiva di due persone (C.L. e N.S.), al momento della 
verifica presenti all'interno del negozio e (ritenute dagli accertatori) coadiutrici del B.M. 
Riferiva quest'ultimo che, mentre procedeva alla compilazione del verbale, l'uomo, oltre a 
commentare l'esito del controllo con frasi del tipo "sei stato proprio fesso, almeno avessi fatto 
uscire le ragazze... almeno su di loro avrei chiuso un occhio... sei proprio in una situazione 
grave.., a me non piace far piangere la gente, quindi, siamo venuti solo nel punto vendita 


CONTENZIOSO NAZIONALE

principale" (ci� ad intendere che era stata programmata una verifica analoga anche per l'altro 
punto vendita, che, tuttavia, l'uomo aveva omesso di effettuare), quantificava gli importi dovuti 
per le violazioni contestate, sia per quanto di spettanza della Agenzia delle Entrate, sia a titolo 
di sanzione conseguente alle irregolarit� relative alle presunte coadiutrici, cos� indicando l'importo 
di � 60.000,00, di cui solo � 10.000,00 per sanzioni di pertinenza della Agenzia delle 
Entrate ("1500 euro a testa per le coadiutrici non in regola, 5-6 mila euro per il registro dei 
corrispettivi non correttamente aggiornato, 5 mila euro per la mancata dichiarazione della 
domiciliazione fiscale oltre alle sanzioni di competenza dell'INAIL e dell'INPS, del Ministero 
del Lavoro stimabili tra i 30 e 60 mila euro"). 
In detto frangente, la donna procedeva a far compilare alle due coadiutrici una scheda informativa, 
contenente anche eventuali dichiarazioni. 
A fronte della richiesta del B.M. di sapere se vi era la possibilit� di fare qualcosa per "alleggerire" 
la sua posizione, l'uomo rispondeva che se fosse stato pi� furbo ne avrebbe parlato 
prima; quindi, mostrandosi sensibile alle insistenze del B.M., rappresentava che, al quel punto, 
per venire incontro a quest'ultimo, sarebbe dovuto tornare in ufficio, annullare il verbale e redigerlo 
ex novo, aggiungendo che per operare in tal senso sarebbe stato necessario acquisire 
il consenso della sua collega. Cos� dicendo, l'uomo rivolgeva uno sguardo d'intesa alla donna, 
la quale non muoveva alcuna obiezione; anzi, i due iniziavano subito a discutere tra loro per 
valutare il da farsi, e, in detto contesto, la donna segnalava al collega che il capo avrebbe potuto 
voler vedere subito il verbale. 
Incoraggiato dalle esternazioni dell'uomo e dall'atteggiamento di non dissenso della collega, 
il B.M. utilizzava toni pi� espliciti nel mostrarsi disponibile ad un pagamento, toccandosi eloquentemente 
la tasca e dicendo "io qualcosa... posso". 
A seguito di ci� l'uomo guardava la collega, che ancora una volta si mostrava accondiscendente, 
e chiedeva al B.M. quanto fosse disposto a dare; quest'ultimo rispondeva che a fine 
giornata avrebbe potuto versare la somma di 3000 euro. 
Ottenuto l'assenso della collega, l'uomo accettava e, dopo aver discusso sulle modalit� di riedizione 
del verbale, prometteva che lo avrebbe rifatto ex novo, in maniera tale che il B.M. 
potesse "cavarsela" con una sanzione di soli 100 euro. 
A questo punto, i due accertatori si allontanavano dall'esercizio commerciale, non prima di aver 
concordato con il B.M. un appuntamento per le h. 18,00 dello stesso giorno, nei pressi del negozio. 
Riferiva ulteriormente il B.M.: di aver subito informato il fratello B.F. (gestore di altro punto 
vendita del medesimo esercizio commerciale) dell'accaduto e che costui lo aveva esortato a 
denunciare il fatto, assicurandogli che avrebbe avvertito anche un suo amico appartenente all'arma 
dei Carabinieri; di essersi poi recato nel luogo dell'appuntamento intenzionato a registrare 
il colloquio per mezzo di un apparato cellulare, operazione che, tuttavia, non era riuscito 
a portare a termine perch� l'uomo, appena arrivato, gli aveva intimato di spegnere il telefonino; 
di aver consegnato ai due accertatori la somma di 2000 euro, non avendo potuto raccogliere 
in breve tempo l'integralit� dell'importo concordato, e di aver ricevuto in cambio una nuova 
versione del verbale di verifica; di aver visto la donna estrarre dalla borsa alcuni fogli, che 
l'uomo provvedeva a sostituire, quali allegati al primo verbale, strappando i vecchi (facenti 
parte del verbale originario) e riponendo in tasca i pezzi; che la donna, a sua volta, aveva riposto 
la somma ricevuta all'interno della sua borsa. 
Tanto si evince dal tenore della circostanziata denuncia sporta dal B.M., i cui passaggi salienti 
risultano congruamente riscontrati da una serie di evidenze significativamente collimanti. 
Il riferimento �, in primo luogo, alle dichiarazioni rese in sede di sommarie informazioni te



stimoniali dal fratello B.F., riproposte (immutato il nucleo storico essenziale) nel corso della 
deposizione dallo stesso resa al cospetto dello scrivente: ricevute le confidenze del fratello 
B.M., B.F. aveva avvertito un amico Carabiniere, il quale ultimo lo aveva esortato ad allettare 
subito il 112 (v., sul punto, annotazione di servizio fol. 64, sottoscritta dal Carabiniere, recante 
puntuale conferma dei fatti rappresentati da B.F.). 
Si riporta, per migliore comprensione, il testo integrale delle sit rese da B.F.: "verso le h. 14,30 
circa del 8.3.2012 ho avuto una conversazione telefonica con mio fratello [B.]M. che mi informava 
di avere ricevuto, nella stessa mattinata, un controllo amministrativo da parte di due 
funzionari della Agenzia delle Entrate i quali avevano riscontrato alcune irregolarit� e redatto 
un verbale di contestazione. Dal momento che lo stesso mi sembrava molto vago e titubante, 
chiedevo di spiegarmi meglio quali contestazioni gli avessero mosso e con quale esito. [B.]M. 
al riguardo mi dava delle indicazioni vaghe ed evasive e nella circostanza mi era sembrato 
molto preoccupato. Infatti, in una successiva comunicazione telefonica avuta intorno alle h. 
17,30 circa, durante la quale chiedevo maggiori dettagli sul verbale, [B]M. mi rispondeva che 
avrebbe saputo di pi� nel tardo pomeriggio in quanto doveva nuovamente incontrarsi con i 
due funzionari. Nel riferirmi tale circostanza ho percepito che mio fratello fosse molto preoccupato 
della cosa e trovavo molto strano che dovesse nuovamente vedere i due funzionari. 
Quindi chiedevo ulteriori spiegazioni e lo stesso mi diceva che doveva incontrarli verso le h. 
18,00/18,30 per chiudere la faccenda. Immediatamente, anche dal suo tono di voce preoccupato 
e spaventato, capivo che probabilmente i due gli avevano chiesto dei soldi. Infatti mio fratello, 
su mia insistenza, finalmente si sfogava e mi diceva che avrebbe dovuto consegnare la somma 
di euro 3000,00 per l'annullamento del verbale e che per tale cosa era molto spaventato e preoccupato. 
Quindi lo rassicuravo dicendogli che avrei immediatamente avvisato della cosa i 
Carabinieri. Infatti, subito dopo, verso le h. 17,45 circa, contattavo un Carabiniere della stazione 
di Via dei Quintili, che conosco con il nome di Giuliano, rintracciandolo sul suo cellulare, 
e lo informavo di quanto mio fratello mi aveva appena riferito. Dal momento che lo stesso era 
impegnato in un altro servizio, su sua indicazione ho quindi dato la medesima comunicazione 
all'operatore del 112 che riuscivo a contattare verso le h. 18,20 circa. Intanto avvisavo pure 
mio fratello del fatto che avevo provveduto a chiamare i Carabinieri ed anzi lo rassicuravo 
dicendogli che forse erano gi� l� all'appuntamento e gli consigliavo di provare a usare il suo 
cellulare per registrare l'eventuale incontro con i due funzionari ADR verso le h. 19,00 circa 
sono stato poi contattato al mio cellulare dai Carabinieri della Casilina ai quali spiegavo pi� 
in dettaglio la vicenda e li informavo che avevo gi� detto a mio fratello di recarsi immediatamente 
presso la Stazione Carabinieri di Quadraro per denunciare tutti i fatti". 

Risulta, poi, acquisita agli atti la prima versione del verbale di verifica, scannerizzata dal B.M. 
ed inviata al suo commercialista tramite fax. 
Ebbene, la comparazione tra i due verbali, l'originario e quello riveduto e corretto, consente 
agevolmente di trarre elementi di conferma dei contenuti dichiarativi sopra illustrati, laddove 
nel verbale originario si d� atto della presenza di tre coadiutrici e di tre allegati (recanti le dichiarazioni 
assunte sul posto), mentre nella versione successiva, priva di allegati, scompare 
ogni profilo di contestazione inerente la presenza delle collaboratrici. 
Ad ulteriore riscontro soccorrono le sommarie informazioni testimoniali rese da N.S., C.L. e S.M. 
In particolare, C.L. ha riferito di essersi recata, intorno alle h. 10,30 del 8.3.2012, presso l'esercizio 
commerciale gestito da B.M., per una visita a titolo di amicizia, ivi trattenendosi a conversare 
con quest'ultimo e con la sua compagna S.M. Gli accertatori, un uomo ed una donna, si erano rivolti 
a lei con fare perentorio, contestandole il fatto che fosse impiegata come addetta al negozio 


CONTENZIOSO NAZIONALE

(l'uomo le aveva detto "non prendiamoci in giro, se siete qui il motivo ci deve essere, nessuno fa 
volontariato"), ed a ci� la C.L. aveva replicato negando di lavorare per il B.M., pur non facendo 
mistero del fatto che, trovandosi l� presente, avrebbe potuto aiutare i suoi amici "in qualche cosa". 
"...Nel corso della loro permanenza i due mi hanno fatto anche compilare un modulo prestampato, 
di cui non ricordo l'intestazione e l'oggetto, dove io ho inserito i miei dati anagrafici 
ed i motivi della mia presenza all'interno del negozio. Quindi lo hanno ritirato facendomelo 
firmare. Ricordo che l'uomo disse anche che dovevamo sbrigarci a compilarlo se no avrebbe 
dovuto agire in altre maniere, senza dire quali. Preciso che trovai particolarmente fastidiosa 
la sua allusione al volontariato, tanto che gli risposi che effettivamente faccio anche del volontariato 
presso strutture come la Caritas. Mi risulta che anche la mia amica [N.]S. faccia 
parte di una struttura che opera nel campo delle persone disabili in zona Castelli Romani". 

N.S. ha dichiarato: "la mattina del giorno 8 marzo 2012 mi trovavo all'interno del negozio di 
fiori del mio amico B.M.... .per apprendere il confezionamento dei fiori al fine delle mie attivit� 
con i ragazzi che assisto. Nella circostanza, credo intorno alle ore 10,30, ho notato due persone, 
un uomo e una donna, che parlavano con B.M. Ad un certo punto B.M. ha chiesto i documenti 
di identit� a me ed alle altre due ragazze che in quel momento si trovavano nel 
negozio, dicendoci che doveva esibirli a quelle due persone in quanto erano incaricati della 
Agenzia delle Entrate. Successivamente mi veniva fornito dai due un modulo che, mi sembra, 
riportava intestazione dell'Agenzia delle Entrate ed oggetto �dichiarazione resa dal dipendente
� e mi veniva spiegato che dovevo compilarlo e riconsegnarlo. A quel punto io ho chiesto 
se dovevo compilarlo pur non essendo dipendente del negozio e mi veniva risposto che dovevo 
farlo ugualmente barrando la parte che riguardava il contratto e dichiarando di non essere 
dipendente. Pertanto compilavo il modulo con i miei dati anagrafici, scrivendo nella parte in 
bianco che mi trovavo nel negozio solo per quel giorno per visionare ed apprendere il confezionamento, 
in quanto lavoro in un laboratorio florovivaistico con ragazzi disabili, e pertanto 
che non ero dipendente del negozio". 

S.M. ha dichiarato: "sono legata da una stabile relazione sentimentale a B.M. il mio compagno 

B.M. � titolare di un negozio di fiori.., nella cui attivit� si avvale della mia collaborazione, 
legata da un contratto a progetto, di cui mi riservo di esibire copia. Le mie mansioni specifiche 
sono di coadiutrice nel campo della floricoltura e confezionamento dei fiori. Il giorno 8 marzo 
u.s., oltre me e B.M., nel negozio erano presenti L. e S., delle quali non conosco i cognomi, 
dato che le vedo molto di rado. ADR L. � una ragazza che fino a qualche mese fa lavorava 
nel negozio, legata da un contratto, di cui non conosco la natura; posso dire che L. era legata 
sentimentalmente al fratello di B.M., che si chiama M.F.; successivamente, forse perch� la 
relazione con M.F. si era interrotta, forse per altre ragioni che non conosco, L. non ha pi� lavorato 
presso il negozio, per� � rimasta in ottimi rapporti con B.M., tant'� che, conoscendo 
molto bene i movimenti del negozio, nelle circostanze di maggiore impegno, a volte passa per 
vedere se c'� bisogno di aiuto... ADR L. � una studentessa universitaria e nel tempo libero si 
occupa di volontariato, ma sempre con attivit� connesse al campo floreale, di cui � grandemente 
appassionata ADR In merito invece a S., la conosco molto meno di L., in quanto, oltre 
all'8 marzo, l'ho vista solo un'altra volta in negozio, ma non ricordo di preciso in quale occasione. 
In merito a S., so che � un'amica di B.M. che lavora nel campo del sociale, con dei 
ragazzi disabili, ed era venuta al negozio per apprendere alcune tecniche di confezionamento 
e disposizione dei fiori, che gli erano utili per lo svolgimento della sua attivit�.., i due individui, 
nel relazionarsi con il mio compagno, contestualmente si rivolgevano anche a me e 
alle altre due ragazze presenti nel negozio, chiedendoci di compilare dei fogli notizie, dove 


era richiesto di indicare, oltre ai dati personali, il titolo presso quel posto di lavoro, con precisazione 
degli orari di lavoro, della paga percepita ecc..., dichiarazione che poi ho sottoscritto 
ADR non so se L. e S. abbiano compilato dei fogli uguali al mio, fatto sta che ho visto 
anche loro compilare dei fogli, che credo abbiano anche loro firmato...�. 

Dati informativi di sicura valenza probante si ricavano, ancora, dal contenuto della registrazione 
audio dell'incontro avvenuto tra il denunciante e gli accertatori, registrazione salvata 
nella memoria dell'I-Phone utilizzato dal B.M. e riversata dalla PG operante su CD-ROM. 
Se ne riporta la trascrizione integrale: 

B.M.: la collega tua? 
Uomo: eh? 
B.M.: la collega tua? 
Uomo: adesso viene. 
B.M.: il verbale? 
Uomo: ce l'hai chiuso il telefono? 


Termine della registrazione 

Il colloquio captato si interrompe perch�, come richiestogli e come riferito in denuncia, al 

B.M. era, di fatto, imposto di spegnere il telefono. Ed infatti, il senso della interrogazione "ce 
l'hai chiuso il telefono?" non pu� che essere quello di ricevere rassicurazione in ordine alla 
disattivazione dell'apparato, posta implicitamente come condizione per poter procedere oltre 
nella conversazione. 
La piena utilizzabilit� ai fini della decisione dei flussi comunicativi tra presenti registrati da 
un interlocutore all'insaputa dell'altro � ormai dato pacificamente acquisito dalla giurisprudenza 
di legittimit�, non potendo, in subiecta materia, evocarsi la norma di cui all'art. 191 
cod. proc. pen., che ha ad oggetto le prove acquisite in violazione dei divieti stabiliti dalla 
legge. Detta registrazione, invero, non rientra nella categoria delle prove illegali, ma � prova 
documentale, rappresentativa di un fatto storicamente avvenuto e confermato dal denunciante 
B.M., che a quella conversazione tra present� ha di fatto partecipato, e della quale, in quanto 
divenuta parte del suo dominio conoscitivo, ha fatto oggetto di libera e legittima disposizione 

(v. ex plurimis Cass. Pen. Sez. VI 31342/11). 
L'identificazione degli odierni imputati poggia sugli esiti delle rituali individuazioni fotografiche 
operate da B.M. e N.S. e sulla indicazione dei relativi nominativi contenuti nei verbali 
di accesso e constatazione in atti. 
In relazione ai fatti in contestazione gli imputati sono stati attinti da ordinanze cautelari custodiali. 
In sede di interrogatorio di garanzia, il D.N. negava l'addebito, sostenendo di non aver avanzato 
alcuna richiesta di denaro nei confronti del B.M., quanto piuttosto di essere stato raggiunto da 
una proposta corruttiva formulata da quest'ultimo, non accolta, anzi sdegnosamente respinta. 
Pi� specificamente, riferiva il D.N. che, dopo avere effettuato, unitamente alla sua collega 
A.L., un "accesso esterno" (appostamento finalizzato al controllo dell'effettivo rilascio degli 
scontrini fiscali agli avventori del negozio), aveva fatto ingresso all'interno dell'esercizio, subito 
procedendo a verifica delle giacenze di cassa. 
In detto frangente, mentre era gi� in corso la compilazione del verbale di accertamento, entravano 
nel negozio due ragazze, che si posizionavano ai lati del banco di vendita; le stesse 
affermavano di essere amiche del gestore e non lavoranti. Ciononostante i nominativi delle 
predette erano inseriti nel verbale, evidentemente sul presupposto della non rispondenza al 
vero delle dichiarazioni dalle stesse rese. Successivamente, a seguito della pressante insistenza 
del B.M., il D.N., d'intesa con la A.L., si determinava a sostituire la parte del verbale inerente 


CONTENZIOSO NAZIONALE

la posizione delle dipendenti, sostituendo il relativo foglio. Nel momento stesso in cui gli imputati 
si accingevano ad abbandonare il negozio, il B.M. diceva testualmente 'perch� non venite 
alle 18,00 ed incassate qualche cosina, perch� vi faccio un regalo" alla quale proposta 
seguiva la secca risposta del D.N. "no, noi non abbiamo bisogno di regali". Quindi, l'imputato 
si allontanava dal negozio e non aveva pi� occasione di incontrare il B.M. 
In sede di dichiarazioni spontanee rese nel corso del presente giudizio, il D.N. mutava radicalmente 
versione, specificamente affermando: che la S.M., la C.L. e la N.S., oltre ad essere 
presenti all'interno del negozio, erano intente a lavorarvi nella assistenza ai clienti; che della 
presenza dei tre addetti al negozio al momento dell'accesso si dava atto nella versione originale 
del verbale nella pagina 3, con la precisazione, inserita nel testo dell'atto, che la parte e gli interessati 
negavano di trovarsi in posizione irregolare; che, tra l'altro, quand'anche le persone 
suddette avessero svolto mansioni di lavoratori occasionali per la sola giornata dell'8 marzo, 
comunque sarebbe risultata mancante la prova dell'acquisto di buoni lavoro prepagati e della 
preventiva comunicazione all'INPS del loro impiego (come prescritto dalla Legge Biagi); che 
il B.M., ben consapevole della gravit� della situazione di irregolarit� riscontrata, aveva iniziato 
ad "avviare un dialogo, chiedendo espressamente se vi fossero modalit� alternative e meno 
onerose per risolvere la questione"; che "in quel momento ci siamo impietositi per le modalit� 
disperate con cui il B.M. manifestava la propria preoccupazione. Ed � stato a quel punto che 
il B.M., facendo dei gesti eloquenti e senza che gli fosse stato in nessun modo richiesto alcunch�, 
affermava che egli �qualcosa poteva�, lasciando chiaramente intendere che era disposto 
a elargire una somma di denaro per risolvere il suo problema o per ridurlo a cifre ragionevoli"; 

che, a seguito di ci�, il D.N. accoglieva la proposta del B.M. di sistemare la vicenda verso il 
corrispettivo di 3000 euro ("� stato cos� che, dissennatamente, gli dissi che avremmo accolto 
la sua proposta e fu concordato un appuntamento nel tardo pomeriggio per sostituire la parte 
dei verbali che riguardava, in sostanza, le lavoratrici in nero, con l'accordo che egli avrebbe 
portato il denaro che noi non avevamo mai chiesto e che lui aveva promesso"). 

Si impongono alcune doverose considerazioni in merito alla qualificazione giuridica del fatto. 
Ci� a seguito della recente entrata in vigore della legge 6 novembre 2012 n. 190 che ha scomposto 
il delitto di concussione in due distinte ed autonome figure di reato, la concussione per 
costrizione, da un lato, e la induzione indebita a dare o a promettere dall'altro, con previsione, 
per quest'ultima, di una pena edittale inferiore rispetto alla concussione per costrizione. 
Prima della novella legislativa, il reato di concussione poteva essere commesso per costrizione 

o per induzione, prospettando alla vittima, nel primo caso, in modo univoco anche se non 
esplicito, un male ingiusto, ponendola di fronte all'alternativa di subirlo o di evitarlo mediante 
l'indebita promessa o dazione, nel secondo caso, in cui manca tale prospettazione, perseguendo 
il medesimo risultato mediante un'opera di suggestione o di frode. 
Come appare evidente dalla stessa formulazione linguistica impiegata, la voluntas legis sottesa 
alla modifica normativa � stata quella di rimodulare il precetto con lo spacchettamento giuridico 
della originaria incriminazione, con le uniche significative varianti costituite dal fatto 
che per la concussione soggetto attivo � solo il pubblico ufficiale, mentre per l'induzione � 
anche l'incaricato di pubblico servizio, nonch�, sempre con riferimento alla induzione, dalla 
scelta di incriminare anche colui che ha ceduto alla induzione, collaborando con la propria 
condotta alla verificazione dell'evento del reato. 
Certamente, nel procedere all'operazione di "riedizione", ovvero nel riprodurre gli stessi precetti 
per colui che costringe o induce, il legislatore non pu� aver ignorato il diritto vivente 
formatosi nel lungo periodo di vigenza della fattispecie unitaria. 


Ci� posto, sembra, comunque, doversi necessariamente porre la domanda se il reato di induzione 
indebita a dare o promettere abbia assunto una diversa struttura normativa rispetto alla 
precedente figura di concussione per induzione, ovvero se la variata connotazione da reato 
monosoggettivo a reato a concorso necessario possa aver in qualche modo inciso sul significato 
attribuito, nelle due autonome disposizioni, ai termini costrizione ed induzione, s� da 
escludere che possa ravvisarsi continuit� normativa tra i due precetti. 
Al riguardo, appare utile rammentare che la categoria dei reati a concorso necessario non include 
unicamente i reati "plurisoggettivi propri", in relazione ai quali � prevista la punibilit� 
di tutti i soggetti concorrenti nella produzione dell'evento, comprendendo, altres�, anche i reati 
cd naturalisticamente plurisoggettivi, nell'ambito dei quali la punibilit� risulta circoscritta soltanto 
ad uno dei soggetti esplicitamente o implicitamente indicati nella fattispecie quali con-
correnti, la cui condotta risulta avvinta da un nesso di strumentalit� astratta a quella del 
compartecipe non punibile. 
Tale tipizzazione plurisoggettiva costituisce, a ben vedere, connotazione strutturale delle due 
fattispecie poste a confronto (concussione per induzione ed induzione indebita), poich� entrambe 
richiedono per la loro integrazione la collaborazione di due soggetti. 
Da ci� discende che la vecchia fattispecie di concussione per induzione non ha subito, per effetto 
del novum normativo, alcuna modifica di carattere strutturale. 
Tale assunto trova specifico riscontro nella giurisprudenza della Corte di legittimit�, secondo 
la quale "la condotta costrittiva (o, ancor pi�, quella induttiva) pu� estrinsecarsi semplicemente 
in una pressione psicologica sul soggetto passivo a sottostare ad una ingiusta richiesta, 
essendo l'oggettivo condizionamento della libert� morale della persona offesa (e non l'effetto 
psicologico che eventualmente da esso consegue) configurabile come parte integrante della 
fattispecie criminosa; ne consegue che chi � costretto o indotto a dare o a promettere indebitamente 
una utilit� in conseguenza dell'abuso della qualit� o dei poteri da parte del pubblico 
ufficiale non deve necessariamente trovarsi in uno stato soggettivo di timore, potendo determinarsi 
al comportamento richiesto per mero calcolo economico (attuale o futuro) o per altra 
valutazione utilitaristica, quale quella di non avere noie per il rifiuto opposto alle richieste 
rivoltegli dal pubblico ufficiale " (Cass. Pen. Sez. VI 4.12.2012-21.2.2013 n. 1646; Cass. Pen. 
Sez. VI 6.3.2009-13.5.2009; Cass. Pen. Sez. VI 24.5.2009 7.7.2009). 
Risulta quindi corretta un'interpretazione che mantenga nell'ambito della concussione (sostanzialmente 
parallela alla estorsione) qualsiasi prospettazione di un danno ingiusto per ricevere 
indebitamente la consegna o la promessa di denaro o di altra utilit� e che, invece, faccia 
rientrare nella ipotesi di cui all'art. 319 quater cod. proc. pen. una condotta di persuasione, 
basata sulla maggiore forza (quindi il metus publicae potestatis) del soggetto con la qualifica 
pubblica che prospetta una conseguenza dannosa (che non sia un "male ingiusto") che induca 
il privato, senza reali spazi "contrattuali" sull'an, alla prestazione illecita. 
Detto in altri termini, ricorre la induzione indebita in quei casi in cui al privato non venga minacciato 
un danno ingiusto e possa, anzi, avere persino una convenienza economica nel cedere 
alle richieste del pubblico ufficiale, laddove costui induca al pagamento quale alternativa alla 
adozione di atti legittimi della amministrazione, dannosi per il privato. 
Di converso, rientra nella concussione, ora dimensionata sulla sola ipotesi di costrizione, la 
condotta funzionale alla prospettazione di un danno ingiusto. 
Cos� ragionando, risulta pienamente giustificata, con riferimento alla nuova fattispecie di induzione 
indebita, la previsione di una sanzione nei confronti del privato. Ed infatti, in una situazione 
in cui, pur a fronte di un comportamento prevaricatore, il pubblico ufficiale prospetti 


CONTENZIOSO NAZIONALE

un risultato comunque vantaggioso per il caso di corresponsione di quanto richiesto, potr� legittimamente 
pretendersi dal privato una condotta improntata alla resistenza attiva. 
� naturalmente "esigibile" la resistenza ad una tale pretesa, ed � "rimproverabile" la condotta 
del privato che si sia determinato a cedere alle richieste del pubblico ufficiale, senza per� rischiare 
un danno ingiusto, ma ottenendone, comunque, un vantaggio. 
In buona sostanza, la ratio del precetto di cui all'art. 319 quater c.p. deve individuarsi nella 
violazione del dovere di non collaborazione da parte del privato che, bench� consapevole di 
subire un condizionamento, fornisca il proprio contributo (collabori) nel far conseguire l'indebito 
all'agente pubblico. 
E proprio in un simile contesto la minaccia della sanzione penale dovrebbe operare quale controspinta 
psicologica finalizzata ad incentivare forme di resistenza attiva contro l'induzione. 
Conclusivamente, alla stregua delle considerazioni sopra svolte, pu� serenamente affermarsi 
che l'attuale scelta del legislatore di punire il soggetto indotto non esplichi alcun condizionamento 
sull'impianto ontologico del reato, lasciando inalterata la conformazione strutturale 
che gi� le condotte di costrizione\induzione avevano nella vigenza della originaria formulazione 
della fattispecie di concussione. 
La contiguit� tra la fattispecie di induzione indebita e le ipotesi di corruzione giustifica la sensibile 
riduzione di pena prevista per l'induzione indebita rispetto alla concussione. 
Resta, comunque, ferma la distinzione tra induzione indebita e corruzione, reato quest'ultimo 
che richiede la parit� tra i due soggetti, la cui volont� comune deve risultare orientata al do ut 
des, direzione estranea alle figure di concussione e induzione, caratterizzate dal denominatore 
comune dell'abuso di potere o delle qualit�, che, specificamente, con riferimento alla induzione, 
si concreta nel far leva sulla posizione di preminenza, scaturente dalla qualifica pubblicistica 
rivestita dal soggetto agente, per suggestionare, persuadere o convincere a dare o a 
promettere qualcosa allo scopo di evitare un male peggiore: " ... il criterio distintivo tra la 
corruzione e la concussione deve essere individuato nel diverso atteggiamento della volont� 
del privato che si rapporta al pubblico ufficiale: nella corruzione i concorrenti necessari 
(pubblico ufficiale e privato) trattano su livelli paritari e si accordano nel pactum sceleris, 
con convergenti manifestazioni di volont�: nella concussione non sussiste la par condicio 
contrattualis, perch� il dominus della situazione che si determina � il pubblico ufficiale, con 
la sua autorit� e i suoi poteri, dei quali abusa, costringendo o inducendo il soggetto passivo 
a sottostare alla ingiusta richiesta, perch� necessitato da una condizione di soggezione che 
non offre alternativa diversa dalla resa. La struttura della concussione evoca una sorta di 
aggressione del pubblico ufficiale contro il privato; nella corruzione invece si versa in una 
situazione di accordo sinallagmatico tra le parti e si � al di fuori dello stato di soggezione 
del privato rispetto alla forza prevaricatrice del pubblico funzionario. E il caso di precisare 
che integra l'abuso di potere anche la minaccia da parte del pubblico ufficiale dell'esercizio 
di un potere legittimo, ma al fine di conseguire un fine illecito, quale certamente � l'ottenimento 
dell'indebito: la deviazione dell'esercizio del potere dalla sua causa tipica verso un 
obiettivo diverso ed estraneo agli interessi della Pubblica Amministrazione concreta l'abuso. 
L'abuso di potere da parte del pubblico ufficiale determina nel soggetto passivo, come conseguenza, 
uno stato d'animo tale da porlo in posizione di soggezione rispetto al primo, condizione 
questa che costituisce la premessa dell'atto dispositivo indotto e costituito dalla 
dazione del concusso" (Cass. Pen. Sez. VI 18.5.2011 n. 40898). 
Peraltro, ci� che continua, in ogni caso, a distinguere la concussione/induzione indebita dalla 
corruzione propria � la chiara configurazione dei primi due delitti anche a prescindere dalla 


strumentalizzazione di uno specifico atto, come accade nella modalit� esecutiva incentrata 
sull'abuso delle qualit�, laddove la vittima della costrizione o induzione agisce in assenza di 
correlazione con un specifico atto del soggetto investito di funzioni pubbliche. 
In ogni caso il "crinale" che divide le tre diverse figure di reato (corruzione - induzione indebita 

-concussione, seguendo l'ordine imposto dalla graduazione di disvalore) appare di non immediata 
individuazione, risultando impegnativa l'operazione di qualificazione giuridica della condotta, 
specie nei casi, statisticamente frequenti, di assenza di atteggiamento intimidatorio esplicito. 
Anzi, � forse il caso di sottolineare che i maggiori problemi, sotto questo profilo, potrebbero 
sorgere non tanto nell'opzione alternativa tra concussione e induzione indebita, quanto piuttosto 
con riguardo alla necessit� di distinguere tra induzione indebita e corruzione, posto che 
in tale seconda figura le modalit� della condotta del soggetto pubblico che riceve l'utilit� o 
accetta la promessa sono lasciate indeterminate, sicch�, in definitiva, l'unico elemento, spesso 
impalpabile, di discrimine, sarebbe costituito dall'abuso della qualit� o dei poteri, presente 
unicamente, si ribadisce, nella figura di induzione indebita. 
Le connotazioni modali del fatto, per come contestato e per quanto emerso dalla espletata attivit� 
di indagine e di acquisizione probatoria, valgono senz'altro ad integrare gli estremi identificativi 
della fattispecie di induzione indebita ex art. 319 quater c.p. di nuovo conio, per la 
quale risulta introdotto un trattamento sanzionatorio sensibilmente pi� favorevole al reo rispetto 
a quello previsto dalla norma (art. 317 c.p.) vigente all'epoca di commissione del fatto. 
Poich� la modifica intervenuta non ha determinato una abolitio criminis, ma ha semplicemente 
dato luogo ad un fenomeno di successione di leggi penali nel tempo, la nuova fattispecie deve, 
pertanto, trovare applicazione, ai sensi del disposto di cui all'art. 2 comma 4 c.p. 
Le circostanziate indicazioni fattuali fornite dalla persona offesa, lineari, esaustive e coerenti, 
per ci� stesso intrinsecamente attendibili, appaiono, altres�, come gi� sopra evidenziato, assistite 
da plurimi riscontri estrinseci, di natura oggettiva e dichiarativa. 
Dall'articolato compendio probatorio discende l'immagine nitida delle modalit� operative attuate 
dai verificatori della Agenzia delle Entrate, i quali risultano aver subdolamente strumentalizzato 
un addebito discendente da irregolarit� riscontrate (impiego di lavoratrici non 
regolarizzate), prospettando per tale causale l'irrogazione di pesanti sanzioni amministrative, 
alternando ad un atteggiamento rigoroso toni morbidi e distensivi, contestualmente inviando 
messaggi univocamente interpretabili come disponibilit� a trattare ed a risolvere la grave 
"esposizione" dei controllati con il minimo pregiudizio per questi ultimi. 
Che l'addebito (almeno per la parte economicamente pi� consistente, ammontante ad un 
esborso compreso tra i 30.000 ed i 60.000 euro) debba, conformemente alla prospettazione 
accusatoria, ritenersi inesistente e che lo stesso sia stato pretestuosamente utilizzato per esercitare 
pressione psicologica sul B.M., s� da condizionarlo nella direzione della offerta di pagamento, 
� circostanza non propriamente pacifica. 
Dal tenore delle puntuali e convergenti sommarie informazioni testimoniali raccolte da N.S., 
C.L., S.M. e B.F. si ricava la chiara rappresentazione di una presenza del tutto occasionale, 
all'interno dell'esercizio commerciale, della N.S e della C.L.: la prima (che ordinariamente 
presta la sua attivit� lavorativa presso un laboratorio florovivaistico ove operano anche ragazzi 
disabili) impegnata nell'apprendimento delle modalit� di confezionamento e di composizione 
dei fiori; la seconda recatasi in visita dell'amico B.M. e, nell'occasione, eventualmente disponibile 
a rendere un "aiuto" al negoziante, anche e soprattutto in considerazione del rilevante 
afflusso di clienti che solitamente si registra nella giornata dedicata alla festa della donna. 
Si sarebbe trattato, in buona sostanza, secondo la versione offerta da testi certamente non in



CONTENZIOSO NAZIONALE

differenti, di prestazioni limitate ad ore (o addirittura a frazioni di ora), indotte da una disponibilit� 
offerta in via del tutto estemporanea ("interessate" come nel caso della N.S.) e rese 
benevolentiae causa, in quanto tali sfuggenti a qualsivoglia forma di regimentazione e men 
che mai soggette a "regolarizzazione", in carenza dei minimi requisiti contenutistici che valgono 
a connotare il rapporto di lavoro subordinato (vincolo di subordinazione ed obbligazioni 
tipiche, prima tra tutte quella retributiva), per le quali neppure avrebbe dovuto trovare applicazione 
il meccanismo predisposto dalla Legge Biagi relativamente alle prestazioni di lavoro 
occasionale e saltuario (acquisto di buoni lavoro prepagati, previa comunicazione all'INPS 
da parte del datore di lavoro 24 ore prima dell'inizio della prestazione). 
Tali indicazioni, apparentemente complete ed appaganti, si scontrano, tuttavia, con l'evidenza 
materiale della effettiva presenza della N.S. e della C.L. all'interno dell'esercizio e con l'oggetto 
della percezione visiva degli agenti accertatori, avendo costoro rilevato come le predette fossero 
intente a svolgere mansioni tipicamente conformi a quelle ordinariamente rese all'interno di un 
esercizio commerciale di vendita floreale (circostanza di fatto non smentita dalle informatrici). 
In tale contesto, non pu� considerarsi anomalo e pretestuoso il sospetto, nutrito dagli accertatori, 
dello svolgimento di lavoro in nero, e, su tale base, l'elevazione della contestazione, 
con correlativa prospettazione delle conseguenze sanzionatorie. 
A tal riguardo, vale la pena richiamare un passaggio delle spontanee dichiarazioni rese dal 
D.N., esemplificativo della valutazione effettuata in sede di accertamento e, segnatamente, 
degli elementi di fatto e degli argomenti logici utilizzati: "... nel verbale originariamente redatto 
viene dato atto correttamente della presenza di questi dipendenti irregolari, senza peraltro poterne 
constatare la carenza di annotazione nel Libro Unico del Lavoro, dato che questo non 
era disponibile all'interno del negozio ... io faccio soltanto notare che avviene sempre, quando 
in un esercizio commerciale vi sono dipendenti �in nero�, che vengono rese dagli interessati 
versioni poco credibili circa la presenza occasionale, casuale e non dovuta a ragioni di lavoro. 
Se fosse sufficiente affermare, in caso di controlli, che le persone al lavoro sono l� eccezionalmente 
�solo quel giorno�, ogni controllo, ovviamente, sarebbe vanificato. E del resto, anche 
il lavoro di un giorno, se �in nero� � irregolare. Tuttavia la legge prevede che in caso di lavoro 
occasionale, magari prestato in particolari circostanze come poteva essere quella dell'8 marzo 
per un negozio di fiori, il datore di lavoro possa e debba far lavorare questi lavoratori occasionali 
attraverso l'acquisto di buoni lavoro prepagati o voucher previa comunicazione all'INPS 
24 ore prima dell'utilizzo del lavoratore occasionale... nel caso di specie, quella mattina, nessuna 
comunicazione all'INPS n� alcun buono di lavoro ci fu esibito...". 

Dunque, l'argomentazione su cui poggia la linea difensiva appare pi� che plausibile, rendendo 
giustificazione di un modus procedendi attuato, almeno nella fase preliminare della verifica 
fiscale, secondo criteri di apprezzamento e regole di giudizio non censurabili, ferma restando 
l'impossibilit� oggettiva, nella presente sede processuale, di giungere all'accertamento, definitivo 
ed ancorato su solide evidenze probatorie, della effettiva fondatezza dell'addebito. 
Dunque, non pu� correttamente affermarsi che dell'addebito gli imputati abbiano fatto uso 
pretestuoso, e ci� nella sicura consapevolezza della totale inconsistenza dei profili di irregolarit� 
contestati. 
Piuttosto, deve ritenersi che la contestazione di mancata regolarizzazione delle presunte dipendenti 
abbia costituito l'occasione, o meglio abbia offerto il destro per l'attuazione, da parte 
dei verificatori, di una manovra subdola, caratterizzata dallo sfruttamento della posizione di 
preminenza da essi rivestita, nonch� dall'impiego di toni ambigui ed allusivi, finalizzata ad 
esercitare pressione psicologica sui controllati, s� da indurli alla dazione dell'indebito, costi



tuito dal corrispettivo preteso per l'annullamento del verbale di accertamento. 
Pi� specificamente, giusto quanto sopra esposto, gli imputati non hanno, con la loro condotta, 
prospettato un male ingiusto, in quanto la rappresentazione delle conseguenze sanzionatorie 
derivanti dalla irregolare posizione delle dipendenti sembra aver costituito, nella situazione 
descritta, esercizio di un potere legittimo. 
Ciononostante, non possono non riscontrarsi, nell'analisi dei successivi segmenti di condotta, 
rilevanti profili di deviazione dalla causa tipica del potere esercitato, concretatisi in reiterate 
minacce di esercizio di un potere legittimo per il conseguimento di un fine illecito, quale � 
certamente l'ottenimento dell'indebito. 
Il D.N., dopo aver prospettato l'irrogazione di pesanti sanzioni (soprattutto per la mancata regolarizzazione 
della N.S. e della C.L.: "1500 euro a testa per le coadiutrici non in regola, 56 
mila euro per il registro dei corrispettivi non correttamente aggiornato, 5 mila euro per la 
mancata dichiarazione della domiciliazione fiscale oltre alle sanzioni competenza dell'INAIL 
e dell'INPS, del Ministero del Lavoro stimabili tra i 30 ed i 60 mila euro"), nel contempo confidava 
al controllato che era stata programmata una verifica analoga anche per l'altro punto 
vendita, che egli, tuttavia, aveva omesso di effettuare "perch� a me non piace far piangere la 
gente, quindi, siamo venuti solo nel punto vendita principale", in tal modo mostrando "sensibilit�" 
e comprensione per la grave situazione in cui sarebbe venuto a trovarsi il B.M., palesando, 
altres�, margini, certamente non consoni alla funzione svolta, di gestione discrezionale 
dei controlli, nonch� modalit� di intervento indicative di una disinvolta apertura alla trattativa 
ed alla sistemazione, come emblematicamente esemplificato nelle battute successive: "sei 
stato un po' fesso, se almeno avessi fatto uscire le ragazze... almeno su di loro avrei chiuso 
un occhio... se eri un po' pi� furbo ne avremmo parlato prima". 

L'ultima affermazione era pronunciata dal D.N. in risposta alla domanda rivoltagli dal B.M. 

"ma cos� io chiudo, mi stai rovinando. Ma non c'� niente che io possa fare per alleggerire un 
po' la mia posizione?" e dopo aver palesato a quest'ultimo che ormai il verbale era stato redatto 
e che non poteva formarne un altro. 
La concatenazione logica e l'allusivit� delle formule semantiche utilizzate non potevano non 
indurre il B.M. a percepire segnali di apertura sfruttabili a proprio vantaggio, s� da determinarsi 
ad insistere sino ad ottenere una inequivoca esternazione di assenso, nel momento stesso in 
cui il D.N., mostrando di cedere alle richieste di sistemazione, replicava che a quel punto per 
aiutarlo sarebbe stato necessario tornare in ufficio, annullare il verbale e redigerlo ex novo, il 
tutto previa acquisizione del consenso della sua collega, alla quale lanciava una occhiata d'intesa, 
senza ricevere alcun segnale di obiezione. 
Seguivano l'offerta di denaro, l'accettazione, l'accordo per il pagamento ed il successivo incontro, 
come sopra analiticamente descritti. 
La ricostruzione offerta rende contezza della esistenza di una situazione idonea a determinare 
uno stato di soggezione psicologica del privato nei confronti del pubblico ufficiale, abilmente 
creata dagli imputati attraverso subdole manovre persuasive, surrettiziamente dirette a "'provocare" 
l'offerta di pagamento dell'indebito. 
Ed � fin troppo evidente come l'artificiosa messa in scena, il "duetto" organizzato dagli imputati, 
fatto di maliziosi sguardi di intesa e di reciproche consultazioni apparentemente dirette a superare 
difficolt� e resistenze, ben aderisca ai profili di tipicit� del fenomeno induttivo sopra analizzato, 
sostanziandosi in una odiosa modalit� di abuso, poggiante sullo sfruttamento della posizione di 
preminenza rivestita dai pubblici ufficiali e costituente premessa dell'atto dispositivo indotto. 
Come pure � fin troppo chiaro che non vi � stata trattativa in parit� dialettica, avendo il B.M. 


CONTENZIOSO NAZIONALE

proposto il pagamento in una condizione di soggezione ed all'esito di una articolata opera di 
suggestiva persuasione posta in essere dalla parte pubblica, finalizzata a rendere edotto il controllato 
della esistenza di ampi margini di discrezionalit� nella gestione dell'affare e della disponibilit� 
dei controllori ad una sistemazione "indolore". 
Del pari, a nulla rileva, come pi� volte enunciato dalla giurisprudenza di legittimit�, che il 

B.M. non si sia determinato al pagamento per timore, quanto piuttosto per mero calcolo utilitaristico, 
poich� anche in tal caso non viene meno l'aspetto fondante la incriminazione della 
induzione indebita, e cio� il condizionamento della libert� morale del soggetto indotto. 
Emerge in maniera lampante un costante raccordo operativo tra i due imputati, avendo il D.N., 
per tutta la durata della verifica all'interno del negozio, ricercato il consenso della A.L. a "correggere" 
la versione originale ed a formare un nuovo verbale, palesando in pi� occasioni al 
B.M. la necessit� dell'apporto collaborativo di quest'ultima, assicurando che "anche la collega 
avrebbe chiuso un occhio", raccogliendo segnali di intesa dalla donna, o, comunque, di non 
obiezione, con la stessa discutendo le modalit� tecniche di riedizione della verbalizzazione, 
ricercandone l'assenso a seguito della dazione, da parte del B.M., di una somma inferiore rispetto 
a quella concordata. 
Del resto, come opportunamente evidenziato dal Tribunale del Riesame, � irragionevole ritenere 
che il D.N. abbia potuto autonomamente esporsi, senza la certezza della disponibilit� 
della collega ad avallare una sua ipotetica solitaria iniziativa. 
Ulteriore conferma della compartecipazione attiva della A.L., sia pure in una posizione senz'altro 
sottordinata al D.N., si ricava dall'ascolto del breve frammento di conversazione registrata 
sull'apparato cellulare del B.M., dal tenore del quale emerge l'assicurazione, fornita al 
B.M., della contestuale presenza della donna. 
Come sopra anticipato, l�attendibilit� della versione offerta dal B.M. non risulta compromessa 
da alcuna significativa evidenza di segno contrario. 
Al rigurado, va precisato che deve ritenersi non risolta la questione relativa alla necessit� della regolarizzazione 
delle ragazze presenti all�interno dell�esercizio, si che, anche sotto tale profilo, non 
pu� dirsi acquisito alcun elemento di insab�le contrasto con la ricostruzione offerta dal denunciante. 
I pi� rilevanti dati di riscontro alla prospettazione accusatoria sono forniti dai contenuti delle 
sommarie informazioni e dalla deposizione del fratello della vittima B.F., sostanzialmente coerenti, 
nel nucleo significativo essenziale, con la ricostruzione fattuale fornita dal denunciante. 
Le incongruenze e le imprecisioni riscontrate nel corso della deposizione resa dal B.F. (ad 
esempio la mancata indicazione del motivo per cui non ebbe a comunicare ai Carabinieri, nel 
corso della chiamata al 112, il luogo dell'appuntamento fissato dal fratello con i due accerta-
tori), in parte imputabili alla obiettiva difficolt� (in pi� occasioni percepita dallo scrivente) di 
comprensione, da parte del teste, del senso e della rilevanza delle domande rivoltegli, non 
valgono a minare la tenuta logica dell'impianto narrativo della testimonianza, e, quel che pi� 
interessa, dei numerosi elementi di raccordo con la versione resa dal denunciante. 
Tanto pi� che la ricostruzione scaturita dalla sinergia degli apporti informativi o forniti dai 
fratelli B.M. e B.F. appare ampiamente avallata dal contenuto del frammento di conversazione 
registrato, e, segnatamente, dalla richiesta, avanzata dal D.N. nei confronti del B.M., di spegnere 
il telefono cellulare. 
La causale di tale richiesta (che ha avuto luogo poco prima della ricezione della somma di 
2000 euro da parte degli imputati) � senz'altro da individuare nell'esigenza di apprestamento 
di una particolare cautela, valevole a scongiurare il rischio di interferenze e/o registrazioni 
dei flussi comunicativi che di l� a poco si sarebbero prodotti, sintomatica della consapevolezza 



della illiceit� della operazione in corso di svolgimento, e, quel che pi� conta, di diffidenza 
nei confronti dell'interlocutore. 
Atteggiamento, quest'ultimo, che, in base a criteri di logica e di opportunit�, certamente il 

D.N. non avrebbe tenuto se la risoluzione del pagamento fosse derivata da un accordo inter 
pares, con le parti in posizione di parit� dialettica, ed in esecuzione di un accordo perfezionato 
a seguito della proposta corruttiva del B.M. 
Come pure, se fosse veritiera la tesi difensiva facente leva sulla offerta di pagamento del B.M., 
non preceduta da operazioni induttive, senz'altro il B.M. non si sarebbe determinato a denunciare 
l'occorso, ad effettuare la registrazione ed a farne uso in giudizio. 
In tale situazione, � del tutto irrilevante stabilire con certezza, onde farne discendere conseguenze 
risolutive in punto di qualificazione giuridica del fatto, se il B.M. ebbe a sporgere denuncia 
autonomamente o dietro insistente sollecitazione del fratello, poich� ci� che rileva � 
unicamente il fatto che una denuncia sia stata formalizzata e che determinati elementi di prova 
(ivi inclusa la registrazione della conversazione) siano stati prodotti nel corso del procedimento. 
Non da ultimo, va considerato che la consegna del primo verbale originale alla p.o. (che ne 
ha avuto autonoma disponibilit� per alcune ore) non pu� interpretarsi come dato sintomatico 
di una trattativa paritaria, improntata a fiducia reciproca, posto che il rischio che sarebbe 
potuto derivare dalla disponibilit� dell'atto da parte del B.M. avrebbe potuto attualizzarsi solo 
a seguito della stesura del nuovo verbale, riveduto e corretto, rischio neutralizzato dal contegno 
serbato dagli imputati, i quali, all'atto della traditio del nuovo verbale, hanno provveduto a 
distruggere le parti difformi della originaria stesura. 
I dati investigativi ricavati dal flusso intercettivo, pur disvelando (sia pure solo in termini di 
mero sospetto) scenari inquietanti, non possono, evidentemente, costituire oggetto di analisi 
ai fini del decidere, non essendo stati adeguatamente valorizzati dalla Pubblica Accusa, n� 
tantomeno recepiti in una contestazione formale. 
Il reato di induzione indebita appare integro nei suoi elementi costituivi, tanto sul piano materiale 
quanto sul versante psichico, risultando, altres�, sulla base di un appagante compendio 
probatorio, ascrivibile agli odierni imputati. 
La modifica della qualificazione giuridica del fatto, contestato dal Pubblico Ministero come 
concussione per induzione, si fonda, come sopra ampiamente argomentato, sul disposto di 
cui all'art. 2 comma 4 c.p. 
Con una precisazione. 
La originaria contestazione, nella narrativa del fatto, riportando come non veritiera la circostanza 
relativa della necessit� della regolarizzazione contributiva, evoca, nella sostanza, al di 
l� della voce verbale impiegata ("inducevano"), i tratti distintivi delle concussione per costrizione, 
imputando ai prevenuti una tipica condotta di prospettazione di male ingiusto. 
Peraltro, nulla osta, permanendo immutata la connotazione strutturale del fatto e discendendo 
la diversa qualificazione da una rivisitazione della vicenda aderente, sul punto specifico, alla 
stessa prospettazione difensiva, all'inquadramento della fattispecie entro l'ambito di operativit� 
della concussione per induzione, secondo la formulazione della norma vigente all'epoca di 
consumazione, ora "sostituita" dalla norma incriminatrice di cui all'art. 3l9 quater c.p. 
Applicati i criteri di cui all'art. 133 c.p., stimasi equo infliggere all'imputato D.N. la pena di 
anni due e mesi sei di reclusione (cui si perviene riducendo di un terzo, per effetto del computo 
della diminuente di rito, la pena base fissata in anni tre e mesi nove di reclusione) e ad A.L. 
la pena di anni due di reclusione (cui si perviene riducendo di un terzo, per effetto del computo 
della diminuente di rito, la pena base fissata in anni tre di reclusione). 


CONTENZIOSO NAZIONALE

Non vi � spazio per la concessione delle generiche attenuanti, a motivo della estrema gravit� del 
fatto e delle modalit� esecutive, denotanti una allarmante permeabilit� degli imputati, disposti a 
tradire la funzione esercitata anche per il corrispettivo di modesti importi ed a svilire la tenuta del-
l'azione amministrativa nei confronti dei contribuenti, il tutto con metodiche scaltre ed insidiose. 
Seguono, per legge, la condanna dei prevenuti al pagamento delle spese processuali e, quanto 
al D.N., di mantenimento in carcere, nonch�, nei confronti di entrambi, l'applicazione della 
pena accessoria della interdizione dai pubblici uffici per la durata della pena principale. 
Nulla osta, ricorrendone le condizioni oggettive e potendo formularsi nei confronti della prevenuta 
prognosi favorevole ex art. 164 c.p. (reputandosi che il periodo sofferto dalla imputata in 
regime cautelare abbia esplicato una efficace funzione di monito nell'ottica specialpreventiva), 
alla applicazione, in favore della A.L., del beneficio della sospensione condizionale della pena. 
Va, altres�, pronunciata condanna degli imputati al risarcimento dei darmi subiti dalle costituite 
parti civili B.M. ed Agenzia delle Entrate, liquidate, in via equitativa ed onnicomprensiva (oggetto 
di risarcimento � il danno materiale e morale subito dalla parte civile B.M. ed il danno 
all'immagine, con conseguente effetto di depotenziamento della efficacia dell'azione amministrativa, 
sofferto dalla parte civile Agenzia delle Entrate), in � 5000,00, quanto alla parte 
civile B.M., ed in � 10.000,00, quanto alla parte civile Agenzia delle Entrate. 
Le spese di costituzione e difesa sostenute dalle predette parti civili sono liquidate come da 
dispositivo. 
Va revocata la misura cautelare in corso di esecuzione a carico di A.L., la cui ulteriore vigenza 
deve ritenersi incompatibile con il concesso beneficio della sospensione condizionale della 
pena. 

^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^ 
All'esito di perquisizione eseguita presso l'abitazione dell'imputato D.N., in data 6.7.2012, all'atto 
della esecuzione della ordinanza di custodia cautelare in carcere in relazione al delitto oggetto 
della odierna contestazione, era rinvenuta e posta sotto sequestro, ex artt. 321 comma 3 bis c.p.p. 
e 12 sexies DL 306/92, una ingente somma di denaro, pari a complessivi � 102.780,00. 
Detta somma era rinvenuta occultata all'interno di differenti mobili (la parte pi� consistente 
nel doppio fondo di una mensola posta sopra il frigo), suddivisa in numerosi plichi contenenti 
"mazzette" di banconote, di diversa consistenza. 
Il GIP assegnatario del procedimento, richiamata la provvista indiziaria posta a fondamento 
della su richiamata ordinanza cautelare personale, valorizzate le dichiarazioni rese dal D.N. 
in sede di interrogatorio di garanzia e l'informativa del G.I.C.O. recante data 12.7.2012, rilevava 
una sensibile sproporzione tra i valori rinvenuti nella disponibilit� del D.N. ed i redditi 
dichiarati, specificamente evidenziando che quest'ultimo era, all'epoca dei fatti, percettore di 
redditi dichiarati per circa 24.000,00 euro annui, oltre che titolare di diversi rapporti bancari 
(uno dei quali, come da stessa informazione fornita dall'allora indagato D.N. in sede di interrogatorio, 
recante saldo attivo di circa 200.000,00 euro). Ci� anche tenendo conto del reddito 
della compagna, che pure la Guardia di Finanza accertava non essere anagraficamente convivente 
con il D.N., e ritenendo del tutto inverosimili le giustificazioni rese in sede di interrogatorio 
dal D.N. circa la disponibilit� delle somme rinvenute, specie nel punto ove quest'ultimo 
riferiva di prelievi operati per remoti e del tutto generici progetti di investimento immobiliare 
e per sottrarre risorse a temute imposizioni fiscali sui conti correnti. 
L'art. 12 sexies del D.L. 8.6.1992 n. 306 ha introdotto nell'ordinamento una particolare ipotesi 
di confisca obbligatoria del denaro e degli altri beni (dei quali non venga giustificata la pro



venienza e che siano sproporzionati al reddito dichiarato ai fini delle imposte sul reddito o 
alla attivit� economica svolta dal soggetto che ha la disponibilit� dei beni stessi) che segue ad 
ogni caso di condanna o di applicazione della pena per uno dei reati specificamente individuati 
dalla norma (che ha sul punto subito, nel corso dei pi� recenti anni, un'estensione della sua 
sfera applicativa), tra i quali vi � il reato di cui all'art. 317 c.p. (l'art. 319 quater c.p. ne � filiazione 
diretta, per continuit� normativa con l'ipotesi di concussione per induzione), contestato 
nel presente procedimento. La giurisprudenza ormai consolidata osserva da tempo che per 
l'applicazione della disposizione in parola non � necessario ricercare alcun nesso di derivazione 
tra i beni confiscabili e il reato per cui si procede e neppure tra i beni stessi e l'attivit� 
criminosa del condannato; ci si trova, infatti, di fronte ad una misura di sicurezza atipica, con 
funzione anche dissuasiva, parallela all'affine misura di prevenzione antimafia introdotta dalla 
legge n. 575/1965 (sul punto basti citare le due sentenze delle Sezioni Unite, 19.1.04, n. 920, 
Montella - cui si rimanda per un'analisi completa dell'istituto - e 17.7.01, n. 29022, Derouach, 
nonch�, pi� di recente, Cass., VI, 16.6.09, n. 25096). Non necessita dunque alcun vincolo di 
pertinenzialit� tra beni e reato. 
La scelta di politica criminale del legislatore � stata, infatti, nel senso di individuare delitti 
particolarmente allarmanti, normalmente idonei a creare per chi ne � autore un'accumulazione 
economica, a sua volta possibile strumento di ulteriori delitti, in relazione ai quali configurare 
una presunzione, iuris tantum, di origine illecita del patrimonio "sproporzionato" nella disponibilit� 
della persona condannata per i predetti delitti. La Corte Costituzionale, con la sentenza 

n. 18 del 1996, ha confermato la ragionevolezza della presunzione, in quanto radicata nella 
nota capacit� di taluni delitti di essere perpetrati in forma quasi professionale ed a porsi quali 
fonti di illecita ricchezza. 
Presupposto applicativo della misura � dunque soltanto, come detto, la sussistenza di una sproporzione 
dei beni posseduti rispetto al reddito dichiarato o all'attivit� economica esercitata. I 
termini di raffronto dello squilibrio sono indicati dalla previsione normativa, alternativamente, 
nel reddito dichiarato al fisco e nell'attivit� economica dell'imputato, chiaro essendo che il giudice, 
una volta apprezzata la sproporzione rispetto al dato ufficiale, cio� al reddito dichiarato, 
non deve spingersi a ricercare una situazione di fatto contrastante con il dato documentale 
(Cass., V, 23.10.07, n. 39048, Casavola ed altri). E detti termini di raffronto dello squilibrio 
vanno considerati non al momento della applicazione della misura sui beni presenti nel patrimonio 
del soggetto, ma al momento dei singoli acquisti e al valore dei beni di volta in volta 
acquisiti (cos�, oltre alla citata sentenza delle Sezioni Unite, Montella, anche Cass., VI, 16.1.07 
n. 721, Nettuno). Quanto, poi, alla valutazione dell'epoca degli acquisiti giova segnalare quanto 
osservato da Cass., V, 30.7.1998, n. 2469, e cio� che la presunzione di illegittima acquisizione 
dei beni da parte dell'imputato deve essere circoscritta in un ambito di ragionevolezza temporale, 
nel senso che deve preliminarmente darsi conto che i beni di cui si dispone il sequestro 
non siano "ictu oculi" estranei al reato, perch� acquistati in un periodo di tempo talmente antecedente 
alla commissione di quest'ultimo da far escludere qualsiasi possibilit� di riferimento. 
La presunzione normativa di illecita acquisizione � peraltro superata dalla eventuale giustificazione 
della provenienza del patrimonio ad opera del soggetto privato, qualora, peraltro, la 
"giustificazione" credibile consista nella prova della positiva liceit� della provenienza dei beni 
e non in quella negativa della loro non provenienza dal reato per cui � stata inflitta condanna 
(cos� la citata sentenza Montella). Cass., V, 9.7.01, n. 27656, Corso ed altri, ha poi precisato 
che non � sufficiente, al fine di giustificare la provenienza dei beni, il riferimento a regolari 
atti di acquisto, essendo viceversa necessario risalire alla origine dei mezzi finanziari impiegati 



CONTENZIOSO NAZIONALE

per la acquisizione dei predetti beni, il cui valore sia sproporzionato rispetto alle possibilit� 
economiche del soggetto. 
I beni che possono formare oggetto della misura sono quelli di titolarit� del soggetto gravato, 
ovvero quelli che di fatto appartengano al condannato e sui quali egli sia in grado di esercitare 
una qualificata signoria, a prescindere dal formale titolo giuridico ed anche dalla stessa materiale 
detenzione (Cass., I, 25.10.00, n. 5263, Vergano). Va precisato che la presunzione di illecita 
accumulazione patrimoniale opera anche in riferimento ai beni del coniuge o del convivente, 
ove non risulti la riconducibilit� dell'acquisto ai redditi derivanti dall'attivit� di lavoro svolta 
da tali soggetti, ma risulti la sproporzione tra il patrimonio nella titolarit� di essi e l'attivit� lavorativa 
svolta dagli stessi (Cass., Il, 2.2.2009, Lo Bianco; Cass., lI, 13.1.2009, Trovato). 
Se la confisca, che � obbligatoria qualora ne ricorrano i presupposti, pu� essere disposta solo 
in sede di condanna, nelle fasi processuali antecedenti alla pronuncia definitoria del giudizio 
deve essere ordinato il sequestro preventivo funzionale alla confisca stessa, ai sensi dell'art. 
321, secondo comma, c.p.p., che, costituendo esercizio di un potere cautelare, pu� essere disposto 
anche dopo che sia decorso il termine per le indagini preliminari (Cass., II, 7.12.07, n. 
45988, Tripodi). Ed il sequestro preventivo finalizzato alla confisca obbligatoria ex art. 12 
sexies D.L. n. 306 del 1992 � misura cautelare pur essa obbligatoria, in ragione della diretta 
strumentalit� con l'indicata confisca, di cui deve assicurare l'effettivit� (Cass., Il, 4.12.07, n. 
45210, Magni). Quanto poi ai presupposti per disporre il sequestro preventivo di beni confiscabili 
a norma dell'art. 12 sexies del D.L. n. 306 del 1992, la giurisprudenza � concorde nel-
l'affermare che sono condizioni necessarie e sufficienti quanto al "fumus commissi delicti", 
l'astratta configurabilit�, nel fatto attribuito all'indagato ed in relazione alle concrete circostanze 
indicate dal PM, di una delle ipotesi criminose previste dalle norme contemplate dall'art. 
12 sexies, e, quanto al "periculum in mora", attesa la coincidenza di quest'ultimo requisito 
con la confiscabilit� del bene, la presenza di seri indizi di esistenza delle medesime condizioni 
che legittimano la confisca, sia per ci� che riguarda la sproporzione del valore dei beni rispetto 
al reddito o alle attivit� economiche del soggetto, sia per ci� che attiene alla mancata giustificazione 
della lecita provenienza dei beni stessi (da ultimo, Cass, I, 19.407, n. 15908, Cortellino; 
nello stesso senso si veda la citata sentenza Montella delle Sezioni Unite). 
Ci� premesso, occorre valutare la completezza e la congruenza delle deduzioni svolte dal 

D.N. al dichiarato fine di superare la presunzione legale di illecito accumulo. 
Non prima di aver, comunque, evidenziato l'assoluta singolarit� delle modalit� di custodia/occultamento 
delle somme di denaro rinvenute e poste sotto sequestro, il cui possesso l'imputato 
ha giustificato per la sfiducia nutrita nei confronti del sistema bancario e, in particolare, "per 
la necessit� di sottrarli alla tassazione" affermazione che, di per s� poco credibile e smentita 
dalla verificata intestazione di numerosi rapporti postali e bancari presso tre distinti istituti di 
credito, non lascia comprendere perch� mai l'ingente importo sia stato conservato per anni 
all'interno di plichi di diversificata consistenza, disseminati nei luoghi pi� disparati dell'abitazione 
ed in condizioni di non sicurezza. 
All'esito delle indagini patrimoniali svolte dal G.I.C.O. della Guardia di Finanza, � emerso 
che: nell'arco temporale 2002-2011 il D.N. ha dichiarato redditi da lavoro dipendente per circa 
E 24.000,00 annui, percepiti dalla Direzione Territoriale MEF di Roma, nonch� redditi da 
fabbricato per circa E 1700,00 annui, derivanti questi ultimi dalla percezione del canone di 
locazione relativo ad un fabbricato, acquisito con atto di donazione da parte del padre in data 
31.12.1997; il D.N. � risultato, altres�, proprietario di una autovettura acquistata nel lontano 
1993; l'immobile ove risiede � di propriet� della madre; come anticipato, � risultato intestatario 


di diversi rapporti bancari e/o postali attivi presso tre istituti di credito. L'imputato ha, in 
estrema sintesi, dichiarato: che parte delle somme rinvenute � costituita dagli stipendi percepiti 
quale dipendente dell'Agenzia delle Entrate, da lui riscossi in contanti (circostanza confermata 
dalle sommarie informazioni rese dalla compagna S.R., in sede di indagini difensive, e dalla 
evidenza negativa di accrediti, concernenti emolumenti da lavoro dipendente, sugli estratti 
conti conto bancari); di aver percepito, nel periodo compreso tra il gennaio 2001 ed il febbraio 
2012, emolumenti per complessivi � 191.761,12; di convivere sin dal 1992 con S.R., quest'ultima 
impiegata, sino al luglio 2012, come segretaria presso uno studio notarile, con retribuzione 
mensile di � 2000,00; che gli importi percepiti dalla S.R. a titolo di retribuzione erano 
utilizzati in parte per il pagamento delle utenze di pertinenza dell'abitazione condivisa con lo 
stesso D.N., in parte per le spese di vitto, alle quali ultime la coppia provvedeva anche mediante 
utilizzo dei buoni pasto ricevuti dal D.N. (circostanze confermate dalla sit S.R.); che 
le somme confluite sul conto corrente bancario acceso presso la UNICREDIT pari ad � 
148.317,21, erano costituite da denaro tratto da un conto corrente e da un libretto di deposito, 
dei quali il D.N. era cointestatario unitamente alla madre; che, successivamente, sul medesimo 
conto erano confluiti � 32.402,00, derivati dalla successione ereditaria del padre; che, come 
risultante dai documenti 10 e 11 allegati alla memoria difensiva, erano stati effettuati prelevamenti 
in contanti dal conto corrente sopra indicato per un ammontare di � 30.000,00; di 
aver prestato, nel giugno 2006, � 100.000,00, mediante dazione di un assegno tratto sul conto 
sopra citato, alla S.R., per l'acquisto, da parte di quest'ultima, di un piccolo appartamento, 
somma poi non utilizzata (in quanto le parti si determinarono, in alternativa, ad accendere un 
mutuo) e restituita dalla S.R. al D.N. in tre tranches (E 70.000,00 ed � 15.000,00 mediante 
assegni, � 15.000,00 in contanti, questi ultimi, poi, lasciati in giacenza in casa); di avere, in 
altra occasione, nel mese di gennaio del 2010, incassato l'importo di � 25.000,00, accreditatogli 
su conto corrente dalla S.R. a parziale restituzione di una somma (pari ad � 28.000,00) 
da lui stesso prestata a quest'ultima per l'acquisto (di fatto formalizzato in data 28.1.2010 per 
il prezzo di E 253.000,00), a scopo di investimento, di un appartamento in Roma, acquisto 
cui la S.R. aveva avuto la possibilit� di addivenire a seguito dell'incasso del prezzo di vendita, 
pari ad � 225.000,00, della sua quota di propriet� di due immobili siti nel comune di Latina; 
che il residuo importo dovuto in restituzione dalla S.R. (pari ad � 3000,00) era stato da costei 
consegnato in contanti al D.N., che poi aveva provveduto a versare in banca � 2300,00, trattenendo 
il residuo per le necessit� della famiglia; che i fondi che hanno alimentato i conti accesi 
presso la banca on line ING DIRECT NV provengono tutti da prelevamenti effettuati dal 
conto UNICREDIT. 
Di tutte le circostanze sopra evidenziate, per la massima parte confermate dalle sit rese dalla 
S.R., il D.N. ha offerto evidenza documentale. 
Lo stesso D.N. ha fornito indicazioni in merito alla provenienza (da prelevamenti, dalla riscossione 
di canoni di locazione, da regalie, da stipendi e restituzioni) dell'importo di circa � 
90.000,00. 
Risulta, altres�, che tutte le banconote sequestrate sono pressoch� nuove e che molte di esse 
recano numerazione progressiva. 
Tirando le fila del discorso, da tale articolata illustrazione e dalla copiosa documentazione 
prodotta dovrebbe, secondo gli intendimenti espressi dalla Difesa del D.N., scaturire la prova 
rappresentativa della liceit� della provenienza del denaro sequestrato. 
Ebbene, ad avviso dello scrivente, permangono gli apprezzamenti di inverosimiglianza e di 
incongruenza segnalati in apertura. 


CONTENZIOSO NAZIONALE

Con alcune considerazioni ulteriori. 
Il D.N. ha sostanzialmente affermato di non aver mai intaccato i fondi a lui pervenuti a titolo 
di retribuzione, sostenendo, in ci� confortato dalla S.R., che le spese quotidiane e quelle relative 
al menage familiare erano state integralmente sostenute con denaro tratto dagli emolumenti 
da quest'ultima percepiti. 
A fronte di ci�, il D.N. avrebbe comunque preteso dalla compagna la restituzione, "sino all'ultimo 
centesimo", di svariate somme alla stessa prestate per finalit� di investimento immobiliare, 
lasciando poi "languire" il denaro ricevuto in restituzione (ammontante e svariate 
decine di migliaia di euro) per lunghi anni, "per sfiducia nei confronti del sistema bancario" 
e con la finalit� di sottrazione alla tassazione. 
Trattasi, evidentemente, di modalit� di gestione attuate al di l� di ogni comprensibile logica, 
del tutto confliggenti con i progetti di investimento maturati dalla coppia nel corso degli anni 
(anche mediante l'accensione di mutui, che, evidentemente, presuppongono il pagamento di 
interessi) ed in costanza di una (accertata) vivacissima movimentazione bancaria. 
La pretesa, poi, di voler provare la coincidenza delle banconote rinvenute con quelle erogate 
dalla Tesoreria della Banca d'Italia appare a dir poco ardita, tenuto conto della natura fungibile 
del denaro. 
Resta, in ogni caso, indimostrato, anche a voler aderire (solo in via di mera ipotesi astratta) 
all'impostazione difensiva incentrata sulla provenienza del denaro dagli emolumenti percepiti, 
come l'imputato per un lungo arco di tempo abbia potuto risparmiare tutto quanto ricavato 
dal servizio prestato presso l'Agenzia delle Entrate. 
Come pure non � dato comprendere come abbia potuto il D.N. optare per la immobilizzazione 
dei suoi modesti redditi da lavoro e nel contempo mai attingere risorse dai suoi consistenti 
conti personali. 
Sussistono, in definitiva, le condizioni di sproporzione legittimanti la confisca dei beni in sequestro. 

PQM 
Il Giudice per le Indagini Preliminari, visti gli artt. 438 e sgg., 533 e 535 c.p.p., 
dichiara D.N. e A.L. colpevoli del reato di cui all'art. 319 quater c.p., cos� diversamente qualificato 
il fatto contestato dal PM, e, per l'effetto, previo computo della diminuente per il rito 
prescelto, condanna D.N. alla pena di anni due e mesi sei di reclusione ed A.L. alla pena di 
anni due di reclusione, ed entrambi al pagamento delle spese processuali, e, quanto al D.N., 
di mantenimento in carcere. 
Applica nei confronti di entrambi gli imputati la pena accessoria della interdizione dai pubblici 
uffici per la durata della pena principale. 
Pena sospesa per A.L. 
Confisca del denaro in giudiziale sequestro. 
Condanna gli imputati al risarcimento dei danni subiti dalle costituite parti civili B.M. e Agenzia 
delle Entrate, liquidati in � 5000,00, quanto al B.M., ed � 10.000,00, quanto alla Agenzia delle 
Entrate, oltre alla rifusione delle spese di costituzione e difesa sostenute dalle predette parti civili, 
liquidate in complessivi � 1000,00 per l'Agenzia delle Entrate ed � 2000,00 per B.M. 
Revoca la misura cautelare in corso di esecuzione a carico di A.L. 
Motivazione riservata a gg. novanta. 
Roma, il 17 gennaio 2013. 


Sul potere del Giudice a pronunciarsi con mera sentenza 
dichiarativa di illegittimit� ed ex officio risarcimento del danno. 
Ricorso all�Adunanza Plenaria 

CONSIGLIO DI STATO, SEZ. QUINTA, ORDINANZA 22 GENNAIO 2015, N. 284 

Francesco Maria Ciaralli* 

SOMMARIO: 1. Premessa - 2. Sopravvenuta carenza di interesse alla caducazione del 
provvedimento - 3. Rilievo officioso dell�utilit� dell�accertamento a fini risarcitori - 4. Osservazioni 
conclusive. 

1. Premessa. 

Con la recente ordinanza 22 gennaio 2015, n. 284, la V Sezione del Consiglio 
di Stato ha rimesso all�Adunanza Plenaria una questione di notevole rilevanza 
sistematica. 

Oggetto della rimessione � la determinazione del perimetro applicativo 
dell�art. 34, terzo comma, c.p.a., che ha sancito il definitivo superamento del-
l�equazione illegittimit� = annullamento del provvedimento amministrativo. 

Come noto, la menzionata disposizione attribuisce al Giudice amministrativo, 
qualora nel corso del processo sia venuto meno l�interesse del ricorrente 
all�annullamento, il potere di accertare l�illegittimit� dell�atto se sussiste 
l�interesse a fini risarcitori. 

La rilevanza sistematica dell�art. 34, terzo comma, c.p.a., si argomenta 
in virt� di un duplice ordine di ragioni, di seguito partitamente esaminate. 

2. Sopravvenuta carenza di interesse alla caducazione del provvedimento. 

In primo luogo, portando a compimento un percorso iniziato dal Legislatore 
del 2005 che ha inserito l�art. 21-octies nella legge sul procedimento amministrativo, 
il d.lgs. 2 luglio 2010, n. 104, ha stabilito ex professo che la 
pronuncia costitutiva di annullamento non � conseguenza indefettibile a fronte 
dell�impugnazione di un provvedimento illegittimo. 

La qualificazione del processo amministrativo come giudizio sul rapporto 
anzich� sull�atto, instaurato dal ricorrente per il soddisfacimento di una sua 
utilit� concreta e non per un�esigenza di obiettivo ripristino della legalit� nel-
l�azione della P.A., ha indotto il Legislatore a circoscrivere l�annullamento del 
provvedimento illegittimo ai soli casi in cui la rimozione dell�atto possa arrecare 
al ricorrente una specifica utilit�. 

Qualora tale concreto interesse alla demolizione difetti, pur sussistendo un interesse 
a fini risarcitori, il codice del processo amministrativo abilita il Giudice a 

(*) Dottore in Giurisprudenza, ammesso alla pratica forense presso l�Avvocatura dello Stato. 


CONTENZIOSO NAZIONALE

pronunciare sentenza dichiarativa, con cui accerti l�illegittimit� del provvedimento. 

L�annullamento non si configura pi�, dunque, come la reazione necessaria 
dell�ordinamento dinanzi ad un atto illegittimo, ritualmente impugnato, 
ma come la reazione massima giustificata solo quando occorra per soddisfare 
l�interesse in forma specifica del privato. 

Pu� quindi stabilirsi un parallelismo tra l�art. 34, comma terzo, c.p.a. e 
l�art. 21-octies della legge sul procedimento, atteso che la prima disposizione 
concerne la sopravvenuta carenza di interesse alla caducazione del provvedimento, 
mentre la seconda si occupa dell�originaria inidoneit� di una pronuncia 
demolitoria ad arrecare concreta utilit� al ricorrente (1). 

Il Consiglio di Stato, nella sua pi� autorevole composizione, ha gi� avuto 
occasione di soffermarsi sulla questione, statuendo che �l�azione costitutiva 
si depotenzia di quel �quid pluris� - la modificazione di una situazione giuridica 
- che la caratterizza rispetto al contenuto di accertamento proprio di ogni 
azione per ridursi a mero accertamento, per il quale il presupposto dell�interesse 
� costituito dall�interesse risarcitorio� (2) . 

Di conseguenza, in difetto di interesse alla caducazione, l�azione costitutiva 
�si converte� in azione meramente dichiarativa di accertamento dell�illegittimit�, 
�da far valere in un (anche successivo) giudizio�. 

La disposizione in parola realizza il contemperamento, secondo la ricostruzione 
giurisprudenziale, dell�esigenza di stabilit� dei provvedimenti che 
abbiano esaurito i propri effetti con l�interesse del ricorrente a conseguire il 
risarcimento del danno, in via prodromica soddisfatto da una pronuncia di accertamento 
dell�illegittimit�. 

Ma vՏ di pi�. Con l�ordinanza in esame la V Sezione del Consiglio di 
Stato �ritiene di sottoporre all�esame dell�Adunanza Plenaria (che valuter� se 
definire anche il secondo grado del giudizio) il quesito se il giudice amministrativo 
- in base ai principi fondanti la giustizia amministrativa ovvero in applicazione 
dell�art. 34, comma 3, del c.p.a. - possa non disporre l�annullamento 
della graduatoria di un concorso, risultata illegittima per un vizio non imputabile 
ad alcun candidato, e disporre che al ricorrente spetti un risarcimento 
del danno (malgrado questi abbia chiesto soltanto l�annullamento degli atti risultati 
illegittimi), quando la pronuncia giurisdizionale - in materia di concorsi 
per l�instaurazione di rapporti di lavoro dipendente - sopraggiunga a distanza 
di moltissimi anni dalla approvazione della graduatoria e dalla nomina dei 
vincitori, e cio� quando questi abbiano consolidato le scelte di vita e l�annullamento 
comporti un impatto devastante sulla vita loro e delle loro famiglie�. 

La Sezione rimettente, dunque, chiede all�Adunanza Plenaria di sciogliere 

(1) CARINGELLA F., Manuale di diritto amministrativo, p. 171. 

(2) Ad. Plen. 23 marzo 2011, n. 3, in giustamm.it. Si segnala il commento di RAFFAELE GRECO in 
Treccani.it, nonch� lo studio di VIVIANA DI CAPUA pubblicato su Amministrazione in cammino. 


il dubbio se la sproporzione tra il vantaggio (del tutto eventuale) derivante al 
ricorrente dall�annullamento e gli svantaggi (consistenti) cagionati ai controinteressati 
possa legittimare il Giudice amministrativo a pronunciare sentenza 
di mero accertamento dell�illegittimit�. 

3. Rilievo officioso dell�utilit� dell�accertamento a fini risarcitori. 

Questione che ha gi� occupato la giurisprudenza amministrativa, e che 
l�ordinanza in commento non ritiene necessario rimettere all�Adunanza Plenaria, 
concerne la rilevabilit� ex officio dell�interesse ad un accertamento del-
l�illegittimit� a fini risarcitori. 

Secondo un orientamento restrittivo, il ricorrente ha l�onere di avanzare 
un�istanza specifica con cui manifesti l�interesse all�accertamento dell�illegittimit�, 
�allegando compiutamente i presupposti per la successiva proposizione 
dell�azione risarcitoria� (3). 

L�indirizzo maggioritario opina, invece, per la rilevabilit� d�ufficio, in 
base a due ordini di ragioni. 

Anzitutto, il dato testuale sembra lasciare pochi dubbi sul modo deontico 
impiegato dal Legislatore, poich� l�art. 34, comma 3, afferma che �il giudice 
accerta l�illegittimit� dell�atto�. 

Inoltre, sul piano logico, l�accertamento dell�illegittimit� del provvedimento 
impugnato � contenuto quale presupposto necessario nel petitum di annullamento. 
Di conseguenza, �siccome il pi� contiene il meno, il giudice limita la sua pronuncia 
ad un contenuto di accertamento in seguito ad una valutazione dell�interesse 
a ricorrere, quindi da compiere d�ufficio: in quanto manca l�interesse 
all�annullamento ma sussiste l�interesse all�accertamento ai fini risarcitori� (4). 

4. Osservazioni conclusive. 

L�ordinanza in commento rappresenta il tentativo di ampliare ulteriormente 
il perimetro applicativo dell�art. 34, comma 3, c.p.a., onde abilitare il 
Giudice a pronunciare sentenza dichiarativa dell�illegittimit� anzich� costitutiva 
di annullamento nei casi in cui appaia evidente una sproporzione tra gli 
effetti negativi (per i controinteressati) e positivi (per il ricorrente) derivanti 
dalla caducazione dei provvedimenti impugnati. 

Secondo la Sezione rimettente, l�impatto �devastante� che la demolizione 
degli atti (nella specie relativi a pubblico concorso) avrebbe sulla vita dei controinteressati, 
a fronte del vantaggio solo eventuale per la sfera giuridica del 
ricorrente, giustifica l�attivazione della menzionata disposizione, ben potendo 
la tutela per equivalente rappresentare adeguata forma di ristoro, in conside


(3) Cons. Stato, Sez. V, 14 dicembre 2011 n. 6539 e 6 dicembre 2010 n. 8550, nonch� Cons. Stato, 
Sez. IV, 28 dicembre 2012, n. 6703, tutte rinvenibili in giustizia-amministrativa.it. 

(4) Cons. Stato, Sez. V, 12 maggio 2011, n. 2817, neldiritto.it. 


CONTENZIOSO NAZIONALE

razione dell�onerosit� (non solo economica) della tutela in forma specifica. 

La Sezione rimettente valorizza, dunque, il profilo della concreta utilit� 
ritraibile dal ricorrente, per come emerge dalla dinamica effettiva del rapporto 
sostanziale. 

La soluzione prospettata, in conclusione, appare coerente con il processo 
di evoluzione giurisprudenziale che ha condotto a spostare il baricentro del 
processo amministrativo dall�atto al rapporto e la tutela ottenibile dalla monolitica 
caducazione del provvedimento impugnato alla soddisfazione dell�interesse 
concreto fatto valere dalla parte. 

Consiglio di Stato, Sez. Quinta, ordinanza 22 gennaio 2015, n. 284 -Pres. Maruotti, Est. 
Rocco - G.L. (avv. V. Camerini e A. Rossi) c. Comune de L�Aquila (Avv. Comunale) e nei 
confronti di C.P. e S.E. (avv. R. Colagrande). 

Ritenuto in fatto e diritto quanto segue. 

1.1. L�attuale appellante, dott.ssa L.G., ha partecipato ad un concorso pubblico per titoli ed 
esami avente ad oggetto la copertura di tre posti di funzionario tecnico di ragioneria (all�epoca 
VIII^ qualifica funzionale, ai sensi del D.P.R. 25 giugno 1983, n. 347), dei quali uno riservato 
al personale interno, indetto dal Comune de L�Aquila, con deliberazione della Giunta Comunale 
n. 1363 del 26 agosto 1997. 
Nel bando di concorso, pubblicato in data 10 ottobre 1997, era stato previsto - tra l�altro - all�art. 
6 il programma di esami, stabilendo che sarebbero state svolte due prove scritte, una in 
materia di legislazione amministrativa e tributaria concernente gli enti locali, e la seconda in 
materia di diritto amministrativo e tributario con particolare riferimento all�ordinamento degli 
enti locali. 
Per quanto attiene alla nomina della commissione esaminatrice, l�art. 8 del bando medesimo 
rinviava alla normativa vigente, nel mentre l�art. 9 precisava che avrebbero conseguito l�ammissione 
al colloquio orale i candidati che avessero riportato in ciascuna prova scritta la votazione 
di almeno 7/10. 
Con la nota del 28 aprile 1999 del presidente della commissione esaminatrice, la signora G. 
� stata informata di avere ottenuto il punteggio di 4/10 per il suo elaborato relativo alla prima 
prova scritta e di 6/10 per l�elaborato relativo alla seconda prova scritta, e di non essere stata 
pertanto ammessa a sostenere la prova orale. 
La signora G. riferisce di aver chiesto in data 15 maggio 1999 l�accesso, ai sensi dell�art. 22 
e ss. della L. 7 agosto 1990, n. 241, alla documentazione relativa al concorso e di aver constatato 
che la votazione insufficiente le era stata attribuita da una commissione d�esame da 
lei ritenuta non costituita secondo la disciplina al riguardo prevista dall�art. 37 del Regolamento 
organico del personale del Comune, e che in violazione dell�art. 46 del Regolamento 
medesimo la commissione esaminatrice non aveva previamente stabilito i criteri e le modalit� 
di valutazione delle prove orali sostenute. 

1.2. In dipendenza di ci�, con ricorso proposto sub R.G. 469 del 1999 innanzi al T.A.R. per 
l�Abruzzo, Sede de L�Aquila, la signora G. ha chiesto - tra l�altro - l�annullamento del provvedimento 
recante la sua mancata ammissione alle prove orali, nonch� delle deliberazioni 
della Giunta Comunale n. 565 del 21 maggio 1998 e n. 979 del 14 luglio 1998, n. 979, recanti 
la nomina della commissione esaminatrice, nonch� degli atti della procedura concorsuale e, 


segnatamente, dei verbali della commissione esaminatrice n. 1 del 30 settembre 1998, n. 2 
del 7 ottobre 1998 e n. 8 del 28 aprile 1999. 
L�interessata ha dedotto al riguardo le seguenti censure. 
I) violazione dell�art. 37 del regolamento organico del Personale in vigore presso il Comune di 
L�Aquila e degli artt. 1 ed 8 del bando concorsuale, nonch� eccesso di potere per difetto di presupposti 
e travisamento dei fatti in dipendenza dell�illegittima composizione della Commissione 
esaminatrice; e ci� poich� il funzionario �esperto� componente della Commissione, prescelto tra 
i dipendenti delle pubbliche amministrazioni, non apparteneva alla qualifica funzionale superiore 
rispetto a quella relativa al posto messo a concorso; non essendo - per l�appunto - un dirigente; 
II) violazione dell�art. 46 del Regolamento organico del personale e degli artt. 1 e 6 del bando 
concorsuale, nonch� eccesso di potere per irragionevolezza dell�azione amministrativa, non 
avendo la commissione esaminatrice previamente stabilito, nella prima riunione, i criteri di 
valutazione delle prove scritte; 
III) eccesso di potere per illogicit� manifesta e per contraddittoriet�. 
La ricorrente ha concluso per l�accoglimento del ricorso, con ogni consequenziale statuizione 
in ordine alle spese ed onorari di giudizio. 

1.2. Si sono costituiti in tale primo grado di giudizio i controinteressati E.S., S.A.D. e P.C., eccependo 
preliminarmente l�inammissibilit� del ricorso e concludendo comunque per la sua reiezione. 

1.3. Non si � costituito in tale primo grado di giudizio il Comune. 

1.4. Con la sentenza n. 69 del 5 marzo 2002, l�adito T.A.R. ha respinto il ricorso nel senso 
che �pu� prescindersi dall�eccezione di inammissibilit� sollevata dai controinteressati, stante 
la infondatezza del ricorso. 
� infondato il primo motivo di ricorso, con cui la ricorrente denuncia la illegittima composizione 
della Commissione esaminatrice per la presenza di un componente, nominato quale 
esperto, prescelto tra di dipendenti del Comune, che non sarebbe in possesso della qualifica 
superiore a quella relativa al posto messo in concorso. 
L�assunto non pu� essere condiviso. Dal certificato rilasciato dal Dirigente amministrativo 
del Comune di Roseto degli Abruzzi, amministrazione di appartenenza dell�esperto di cui si 
discute, depositato in data 3 novembre 2001, si evince che la stessa, dott. R.C., con atti sindacali 
in data 25 giugno 1998 , 11 dicembre 1998 e 9 febbraio 1999 � stata nominata Dirigente 
Direttore di Ragioneria ed � tuttora in servizio in qualit� di Dirigente Direttore di 
Ragioneria. Orbene, gli atti formali di incarico, ancorch� non costituenti formali atti di nomina, 
tuttavia sono idonei a supportare la qualit� di �esperta� di una Commissione per l�esperienza 
e la capacit� professionale acquisite e riconosciute. 
Il Collegio ritiene di interpretare sostanzialmente il dettato dell�art. 37 del Regolamento organico 
del Comune, nel senso che la disposizione esige garanzie in ordine alle capacit� sostanziali 
del soggetto, alla sua idoneit� a svolgere la funzione di �esperto� in seno alla Commissione. 
Ne consegue che � indubbio che il dott. C., che effettivamente espleta funzioni dirigenziali, 
abbia l�esperienza sostanziale richiesta dalla norma di regolamento. 
Anche il secondo motivo � infondato. Va precisato che la predeterminazione dei criteri di valutazione 
delle prove (non dei titoli, che nella specie, risultano determinati nel verbale n. 1 
del 30 settembre 1998) di un concorso non pu� essere considerato elemento imprescindibile 
ai fini della legittimit� concorsuale, poich� trattasi di attivit� riservata alla discrezionalit� 
amministrativa, quando la valutazione avviene mediante l�attribuzione di un punteggio numerico; 
configurandosi, questo, come formula sintetica di esternazione della valutazione tecnica 
compiuta dalla Commissione. 


CONTENZIOSO NAZIONALE

Inammissibile, infine, il terzo motivo di ricorso, atteso che viene richiesto al Collegio una valutazione 
di merito degli elaborati, riservato alla valutazione tecnico-discrezionale della Commissione 
esaminatrice, sottratto al sindacato di legittimit�, se non nei limiti della manifesta 
irrazionalit� ed ingiustizia�. 

Il giudice di primo grado ha integralmente compensato tra le parti 

2.1. Con l�appello in epigrafe, la signora G. chiede ora la riforma della sentenza surriportata, 
riproponendo anche nel presente grado le prime due censure sopradescritte, ma riferendo le 
relative illegittimit� anche alle considerazioni contenute nella sentenza impugnata. 

2.2. Si sono costituiti nel presente grado di giudizio gli appellati signori P.C. e E.S., replicando 
ai motivi avversari e concludendo per la reiezione dell�appello. 

2.3. Con l�ordinanza collegiale n. 1170 del 13 marzo 2014, la Sezione ha �rilevato che nel 
primo grado di giudizio l�attuale appellante risulta aver formalmente esteso la propria impugnativa 
a tutti gli atti del procedimento concorsuale di cui trattasi, ivi segnatamente compresa 
la deliberazione di approvazione della graduatoria del concorso medesimo� e �rilevato 
che tale provvedimento non risulta agli atti di causa�, ha ritenuto, pertanto, �la necessit� di 
acquisirne copia mediante ordine al Sindaco de L�Aquila, il quale provveder� al riguardo 
entro il termine di giorni 60 (sessanta), decorrenti dalla comunicazione della presente ordinanza, 
ovvero dalla sua notificazione se anteriormente avvenuta, al conseguente deposito 
presso la Segreteria della Sezione�. 

2.4. Il Comune de L�Aquila ha provveduto a tale incombente in data 23 aprile 2014 e si � quindi 
costituito anch�esso nel presente grado di giudizio, concludendo per la reiezione dell�appello. 
3. Alla pubblica udienza dell�8 luglio 2014, l�appello � stato trattenuto in decisione. 
4. Tutto ci� premesso, il Collegio respinge il primo motivo d�appello che - come sopra rilevato 


-ricalca nel suo contenuto la corrispondente prima censura dedotta nel ricorso proposto in 
primo grado. 
L�art. 37 del Regolamento organico del personale comunale, laddove segnatamente si riferisce 
alla �qualifica funzionale superiore rispetto a quella relativa messa a concorso�, di per s� 
non preclude di far espletare l�incarico previsto dalla disciplina regolamentare in esame a coloro 
che non sono inquadrati in tale qualifica, ma ne svolgono interinalmente le funzioni su 
formale incarico ricevuto dall�amministrazione di appartenenza (nel caso di specie il Comune 
di Roseto degli Abruzzi). 
A ragione il giudice di primo grado ha in tal senso fatto riferimento all�esperienza maturata 
nello svolgimento della funzione - comunque assegnata mediante un formale provvedimento 
dell�amministrazione di appartenenza - quale elemento sostanziale e in s� esaustivo al fine di 
legittimare la relativa nomina per l�espletamento della procedura concorsuale. 
La relativa censura va pertanto respinta dal Collegio, con la valenza propria di sentenza parziale, 
a� sensi dell�art. 36, comma 2, cod. proc. amm. 

5.1. Pi� complessa � la questione riguardante il secondo motivo d�appello, anch�esso ricalcante 
la corrispondente seconda censura proposta in primo grado. 

5.2. Come si � rilevato, il T.A.R. ha respinto la censura stessa, affermando che la predeterminazione 
dei criteri di valutazione delle prove - ossia, l�adempimento segnatamente non posto 
in essere dalla commissione esaminatrice - non costituirebbe un �elemento imprescindibile� 
ai fini della legittimit� del procedimento concorsuale, trattandosi di �attivit� riservata alla 
discrezionalit� amministrativa, quando la valutazione avviene mediante l�attribuzione di un 
punteggio numerico�, il quale costituirebbe in tal senso una �formula sintetica di esternazione 
della valutazione tecnica compiuta dalla Commissione�. 


In effetti, risulta del tutto consolidato nella giurisprudenza di questo Consiglio il principio per 
cui nella fissazione dei criteri di valutazione delle prove di concorso la commissione � titolare 
di un�ampia discrezionalit�, la quale, pur non precludendo in linea di principio il sindacato 
giurisdizionale, non consente, comunque, che nell�esercizio di questo il giudice possa sostituirsi 
alla commissione medesima compiendo valutazioni di merito o di opportunit� (cos�, ex 
plurimis, e tra le pi� recenti, Cons. Stato, Sez. VI, 17 giugno 2014, n. 3049), potendo i criteri 
medesimi essere censurati soltanto nei casi di manifesta illogicit� e irrazionalit� (cfr., ex plurimis 
e sempre tra le pi� recenti, Cons. Stato, Sez. IV, 4 dicembre 2013, n. 5760). 
Peraltro, il principio della previa fissazione dei criteri di valutazione delle prove concorsuali che 
devono essere stabiliti dalla commissione esaminatrice, nella sua prima riunione - o tutt�al pi� 
prima della correzione delle prove scritte - deve essere inquadrato nell�ottica della trasparenza 
dell�attivit� amministrativa perseguita dal legislatore, che pone l�accento sulla necessit� della determinazione 
e della verbalizzazione dei criteri stessi in un momento nel quale non possa sorgere 
il sospetto che questi ultimi siano volti a favorire o sfavorire alcuni concorrenti (cos� Cons. Stato, 
Sez. V, 4 marzo 2011, n. 1398); e tra la necessaria fissazione dei criteri anzidetti e la legittimit� 
dell�attribuzione del voto numerico che legittimamente sintetizza la valutazione della commissione 
sussiste un nesso indissolubile, poich� - se mancano criteri di massima e precisi parametri 
di riferimento cui raccordare il punteggio assegnato- risulta illegittima la valutazione dei titoli in 
forma numerica (cfr. in tal senso, ad es., Cons. Stato, Sez. VI, 11 febbraio 2011, n. 913). 
Del resto, anche a prescindere dalla stessa fonte regolamentare vigente nel Comune de 
L�Aquila, in applicazione dell�art. 12 del D.P.R. 9 maggio 1994, n. 487, devono essere sempre 
predeterminati i criteri di valutazione delle prove d�esame; e la violazione di tale adempimento 
rende conseguentemente illegittimo il procedimento concorsuale (cfr. ad es. Cons. Stato, Sez. 
IV, 30 novembre 2007, n. 6096). 
L�illegittimit� degli atti risulta effettivamente sussistente, non essendo stati fissati i criteri di 
valutazione da parte della commissione d�esame. 

2. Posto ci�, il Collegio ritiene di sottoporre all�esame dell�Adunanza Plenaria la questione riguardante 
la sorte che in sede giurisdizionale debbano avere le risultanze di un concorso caratterizzato 
da atti risultati illegittimi, quando il suo espletamento risulti avvenuto da tempo ormai 
risalente e sia stato seguito dalla assunzione in servizio dei suoi vincitori (nella specie, avvenuta 
circa 15 anni prima della rilevazione dei vizi del procedimento, con la presente pronuncia). 
Risulta innegabile che in tale consistente lasso di tempo coloro che hanno partecipato al concorso 
ed hanno poi preso servizio (ed ai quali non sono riferibili i vizi del procedimento) 
hanno fatto le loro scelte di vita, di ordine familiare, lavorativo, anche di cessazione degli 
studi a seguito del conseguimento di posti di lavoro a tempo indeterminato. 
In una tale situazione, il Collegio ritiene che - ove la parte che abbia fondatamente impugnato 
gli atti del procedimento concorsuale ne faccia espressa richiesta - la pronuncia del giudice 
amministrativo, basandosi su una valutazione di tutte le circostanze, possa disporre unicamente 
il risarcimento del danno, senza il previo annullamento degli atti risultati illegittimi. 
In tal senso, possono essere richiamati: 

- i principi di giustizia gi� enunciati da questo Consiglio a partire dalla sentenza della Sez. VI 
n. 2755 del 2011, la quale ha evidenziato - sia pure in una controversia riguardante la tutela 
dell�ambiente e dunque caratterizzata dalla applicazione dei principi del diritto europeo � 
come il giudice amministrativo possa non disporre l�annullamento dell�atto risultato illegittimo 
(ma, se del caso, disporne la sostituzione con l�eliminazione del vizio riscontrato), quando un 
tale annullamento non comporti alcun beneficio per gli interessi pubblici coinvolti, n� arrechi 



CONTENZIOSO NAZIONALE

giovamento al ricorrente che ha proposto il ricorso d�annullamento, risultato fondato; 

-il principio di proporzionalit�, da intendere nella sua accezione etimologica e dunque da riferire 
al senso di equit� e di giustizia, che deve sempre caratterizzare la soluzione del caso 
concreto, non solo in sede amministrativa, ma anche in sede giurisdizionale. 

3. A questo punto, il Collegio evidenzia che - se l�interessata avesse formulato una espressa 
domanda risarcitoria, basata sulla illegittimit� degli atti del concorso conclusosi nel 1999 - il 
presente giudizio si sarebbe potuto senz�altro concludere con l�accoglimento di tale domanda, 
senza l�annullamento dei medesimi atti. 
Infatti, ragioni di equit� e giustizia inducono a ritenere che - sulla base di una complessiva 
valutazione del caso di specie - il giudice amministrativo possa in linea di principio modulare 
la tutela spettante a chi abbia fondatamente impugnato gli atti di un procedimento concorsuale 
(ad es., perch� � risultato illegittimamente escluso, ovvero perch� sussistono altri vizi, che 
non siano imputabili ai vincitori del concorso), decidendo di non annullare la graduatoria 
finale e di disporre la condanna al risarcimento del danno. 
Il danno sociale derivante da un tale annullamento - disposto �automaticamente� - risulta evidente: 
la perdita dell�attivit� lavorativa da parte dei candidati a suo tempo risultati vincitori 
comporta il radicale e gravissimo sconvolgimento delle loro vite e delle loro famiglie. 
Certo, il decorso del tempo (specie quando si tratti di dare tutela ai valori primari, come la tutela 
del territorio, dell�ambiente, e del paesaggio) non pu� essere considerato di per s� un elemento 
ostativo all�annullamento dell�atto illegittimo e all�affermazione del principio per cui 
chi ha proposto un ricorso fondato ha titolo alla pronuncia favorevole: le insufficienze organizzative 
degli uffici giudiziari non possono incidere negativamente sulla effettivit� della 
tutela di chi abbia ragione. 
Tuttavia, il giudice amministrativo - quando si tratti di questioni che riguardino persone fisiche e 
le loro attivit� lavorative - non pu� che farsi carico delle conseguenze delle proprie pronunce, verificando 
se esse risultino, appunto, conformi ai principi di proporzionalit�, di equit� e di giustizia. 
Mentre l�annullamento dell�atto autoritativo illegittimo risulta (e deve risultare) la misura tipica 
di giustizia quando la sua rimozione attribuisca il �bene della vita� a chi abbia ragione (o intenda 
salvaguardare valori primari dell�ordinamento), l�accoglimento del ricorso in concreto - in materia 
di concorsi (o, ad es., di selezione per l�accesso all�universit�) pu� risultare in contrasto con tali 
principi se - disponendo l�annullamento dell�atto - sottrae il �bene della vita� ad uno o pi� controinteressati, 
senza poterlo attribuire al ricorrente (e dunque quando per soddisfare una chance per 
di pi� ben difficilmente soddisfabile - si facciano cessare rapporti di lavoro da tempo in corso). 
4. In questo contesto, va dunque esaminato il contenuto dell�art. 34, comma 3, cod. proc. 
amm., il quale dispone che �quando, nel corso del giudizio, l�annullamento del provvedimento 
impugnato non risulta pi� utile per il ricorrente, il giudice accerta l�illegittimit� dell�atto se 
sussiste l�interesse ai fini risarcitori�. 


La giurisprudenza di questo Consiglio ha sin qui prevalentemente interpretato tale disposizione 
nel senso che debba esservi anche un'espressa richiesta dell�interessato (cos�, ad es., Cons. 
Stato, Sez. V, 14 dicembre 2011n. 6539 e 6 dicembre 2010 n. 8550), incombendo sulla parte 
medesima l�onere di allegare compiutamente i presupposti per la successiva proposizione 
dell�azione risarcitoria (cos� Cons. Stato, Sez. IV, 28 dicembre 2012, n. 6703). 
Esiste tuttavia anche una giurisprudenza di segno diverso, secondo la quale al quesito se l�applicazione 
della disciplina in esame presupponga una specifica istanza dell'interessato �va 
data risposta negativa�, posto che �in tal senso milita, anzitutto, l'argomento testuale. Infatti, 
la norma dispone che in presenza dei presupposti dalla stessa predefiniti �il giudice accerta 


l'illegittimit� dell'atto�, impiegando una locuzione vincolante. In secondo luogo, l'accertamento 
dell'illegittimit� dell'atto impugnato � contenuto nel petitum di annullamento come un 
presupposto necessario. Siccome il pi� contiene il meno, il giudice limita la sua pronuncia 
ad un contenuto di accertamento in seguito ad una valutazione dell'interesse a ricorrere, 
quindi da compiere d'ufficio: in quanto manca l'interesse all'annullamento ma sussiste l'interesse 
all'accertamento ai fini risarcitori� (cos� Cons. Stato, Sez. V, 12 maggio 2011, n. 2817). 

5. Il Collegio ritiene che tali questioni interpretative dell�art. 34, comma 3, non riguardino 
specificamente la problematica che si intende porre all�esame dell�Adunanza Plenaria. 
Il medesimo comma 3 non sembra ostacolare una pronuncia del giudice amministrativo che 


- quando si tratti della tutela di posizioni di lavoro - si limiti ad affermare l�illegittimit� del-
l�atto impugnato, senza disporne l�annullamento, anche se il ricorrente non abbia esplicitato 
una domanda risarcitoria, quando - dall�esame della complessiva situazione venutasi a verificare 
- il giudice ritenga che l�annullamento medesimo - lungi dal dare una vera e piena tutela 
al ricorrente - in realt� non sia altro che una fonte di danno sproporzionato per controinteressati 
che non abbiano determinato l�illegittimit� degli atti. 
In tal caso, per i principi sopra richiamati, la vera giustizia del caso concreto e la effettiva 
tutela per il ricorrente possono consistere nell�accertare - cos� come richiesto - l�illegittimit� 
degli atti impugnati, affinch� - se del caso in un separato giudizio, in ipotesi anche d�ottemperanza 
- sia quantificato il danno patrimoniale risarcibile. 


6. Stando cos� le cose, il Collegio ritiene di sottoporre all�esame dell�Adunanza Plenaria (che 
valuter� se definire anche il secondo grado del giudizio) il quesito se il giudice amministrativo 


-in base ai principi fondanti la giustizia amministrativa ovvero in applicazione dell�art. 34, 
comma 3, del c.p.a. - possa non disporre l�annullamento della graduatoria di un concorso, risultata 
illegittima per un vizio non imputabile ad alcun candidato, e disporre che al ricorrente 
spetti un risarcimento del danno (malgrado questi abbia chiesto soltanto l�annullamento degli 
atti risultati illegittimi), quando la pronuncia giurisdizionale - in materia di concorsi per l�instaurazione 
di rapporti di lavoro dipendente - sopraggiunga a distanza di moltissimi anni dalla 
approvazione della graduatoria e dalla nomina dei vincitori, e cio� quando questi abbiano 
consolidato le scelte di vita e l�annullamento comporti un impatto devastante sulla vita loro 
e delle loro famiglie. 


7. Per le ragioni che precedono, il primo motivo d�appello va respinto, mentre si deferisce al-
l�esame dell�Adunanza Plenaria, ai sensi dell�art. 99 del c.p.a., il secondo motivo in relazione 
alle conseguenze del suo accoglimento. 
Le spese e gli onorari del presente grado di giudizio sono riservate al definitivo. 


P.Q.M. 
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), non definitivamente pronunciando 
sul ricorso in epigrafe, respinge il primo motivo di appello a� sensi dell�art. 36, comma 
2, cod. proc. amm. e, per il resto, ne dispone il deferimento all�Adunanza Plenaria del Consiglio 
di Stato. 
Manda alla segreteria della Sezione per gli adempimenti di competenza, e, in particolare, per 
la trasmissione del fascicolo di causa e della presente ordinanza al segretario incaricato di assistere 
all'adunanza plenaria. 
Riserva al definitivo la pronuncia sulle spese e gli onorari del presente giudizio. 
Cos� deciso in Roma nella camera di cosniglio del giorno 8 luglio 2014. 


pareri del comitato consultivo
PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 
Potere sanzionatorio e tutela preventiva 
degli Enti parco contro l�abusivismo edilizio 

In allegato: 
PARERE 24/10/2014-444210/12, AL 10020/13, SEZ. II, AVV. PAOLO MARCHINI [pag. 166] 
PARERE 24/10/2014-444041/42, AL 12108/12, SEZ. II, AVV. PAOLO MARCHINI [pag. 173] 


I due pareri che seguono investono questioni di massima di notevole rilevanza 
ed interessano due enti parco nazionali importanti per estensione 
(quello del Cilento e della Valle di Diano) e per tradizione (quello d�Abruzzo, 
Lazio e Molise, il secondo ad essere stato istituito nel 1922). 

L�Avvocatura dello Stato � da tempo impegnata a contrastare nelle sedi 
giudiziarie gli abusi edilizi nelle aree protette. Il Parco del Cilento, in particolare, 
primo in Italia per dimensioni, ha visto esplodere un vasto contenzioso 
avverso i pareri negativi sulle istanze di condono edilizio - non rare volte accolte 
dagli enti comunali - relative a manufatti costruiti molti anni prima della 
approvazione del piano del parco, financo della istituzione avvenuta con la 
legge sulle aree protette n. 394/1991. 

Nella maggior parte dei casi l�Ente parco � risultato vittorioso avanti al 
Consiglio di Stato in virt� del principio secondo cui � irrilevante la anteriorit� 
dell�abuso, purch� la richiesta di nulla osta da parte del Comune sia pervenuta 
vigente il vincolo di parco (enfasi nostra): �Ritenuta la fondatezza del-
l�appello proposto dall�Amministrazione soccombente avverso tale statuizione 

-con cui � devoluta in appello la questione di principio attinente alla compatibilit� 
dell�abuso eseguito con la zona protetta (Parco del Cilento) in relazione 
al vincolo sopravvenuto ed all�esatta incidenza dell�art. 32, comma 43 
bis, del decreto legge n. 269 del 2003 (c.d. terzo condono) sulle leggi di condono 
anteriori n. 47 del 1985 e n. 724 del 1994 -, in quanto, secondo ormai 
consolidato orientamento giurisprudenziale di questo Consiglio di Stato: 

- nel caso di sopravvenienza di un vincolo di protezione, l�autorit� com



petente ad esaminare l�istanza di condono, riconducibile ai primi due condoni, 
deve acquisire il parere della autorit� preposta alla tutela del �vincolo sopravvenuto�, 
la quale deve pronunciarsi tenendo conto del quadro normativo vigente 
al momento in cui esercita i propri poteri consultivi (Adunanza 
Plenaria, 22 luglio 1999, n. 20); 

- il richiamato art. 32, comma 43 bis, si � limitato a disporre che le istanze 
di condono, presentate in base alle prime due leggi del 1985 e del 1994, continuano 
a dover essere esaminate sulla base della normativa sostanziale anteriore 
(pi� favorevole) a quella (pi� restrittiva) contenuta nella legge n. 326 
del 2003; 
- sarebbe, invece, stata palesemente incostituzionale (per contrasto con 
gli artt. 3, 9 e 117, secondo comma, Cost.) una disposizione statale che avesse 
inteso porre nel nulla i poteri consultivi delle autorit� preposte alla tutela del 
vincolo, il cui esercizio - come nel caso di specie - fosse stato a lungo impedito 
dall�inerzia degli enti locali; 


-il medesimo comma 43-bis non ha affatto inciso sui poteri delle autorit� 
preposte alla tutela dei vincoli, imposti con legge o con atto amministrativo 
in un�area sulla quale � stato in precedenza commesso un abuso edilizio, n� 
ha inciso sul loro dovere di valutare l�attuale compatibilit� dei manufatti realizzati 
abusivamente con lo speciale regime di tutela del bene compendiato 
nel vincolo, con cui la disposizione di legge o l�atto amministrativo hanno imposto 
la immodificabilit� dei luoghi e, dunque, la tendenziale insanabilit� (relativa) 
degli abusi ancora esistenti (v. Cons. di Stato, Sez. VI, n. 231 del 2014, 
n. 5274 del 2013, n. 4660 del 2013, n. 3015 del 2013, n. 2367 del 2013) (sez. 
sesta, sent. n. 2308, del 6 aprile 2014). 


In termini, gi� si era espressa sempre la sesta sezione (n. 3015/2013): 
�Il Collegio osserva che, con la propria sentenza n. 2367 del 30 aprile 2013, 
� stata decisa una fattispecie analoga a quella di cui � causa. In tale circostanza 
il Collegio ha ribadito che, in base alla pacifica giurisprudenza (consolidatasi 
a seguito della sentenza dell�Adunanza Plenaria n. 20 del 1999), il 
quadro normativo riconducibile alle disposizioni dei primi due condoni (di 
cui alle leggi n. 47 del 1985 e n. 724 del 1994) va inteso nel senso che, se nel 
corso del procedimento di esame della domanda di condono entra in vigore 
una normativa o � emesso un provvedimento, che determina la sopravvenienza 
di un vincolo di protezione dell�area in questione, l�autorit� competente ad 
esaminare l�istanza di condono deve acquisire il parere della autorit� preposta 
alla tutela del �vincolo sopravvenuto�, che deve pronunciarsi tenendo conto 
del quadro normativo vigente al momento in cui esercita i propri poteri consultivi 
(Cons. di Stato, Sez. VI, 30 aprile 2013, n. 2367)�. 

Tuttavia, la stessa sezione (con sent. n. 231/2014) ha mutato orientamento 
affermando che �il diniego dell�Ente parco non avrebbe potuto far perno 
esclusivamente sulla contrariet� dell�intervento edilizio realizzato rispetto alle 


PARERI DEL COMITATATO CONSULTIVO

nuove previsioni del piano del parco, che evidentemente hanno valenza vincolante 
pro futuro senza incidere, in senso draconianamente ostativo, in ordine 
alle costruzioni gi� realizzate e gi� oggetto di domanda di sanatoria straordinaria. 
Sotto tale profilo, appare apprezzabile e meritevole di accoglimento 
il motivo di ricorso di primo grado che ha stigmatizzato il carattere irragionevole 
ed insufficiente della motivazione addotta dall�Ente parco, esclusivamente 
su tale questione, a sostegno del diniego di nulla-osta. 

D�altra parte, anche nella legge fondamentale sul condono edilizio (legge 

n. 47 del 1985), il vincolo paesistico implicante inedificabilit� dell�area (art. 33, 
comma 1 lett. a)) in tanto � ostativo al rilascio del titolo in sanatoria in quanto 
sia preesistente all�intervento edilizio, con ci� restando dimostrata per tabulas 
l�irragionevolezza del rilievo formale del sopravvenuto regime di inedificabilit� 
dell�area quale limite insuperabile alla condonabilit� degli edifici gi� realizzati�. 

Al momento, non � dato sapere quale dei due orientamenti prevarr�, se 
quello formale o quello che privilegia la compatibilit� in concreto: alla Adunanza 
Plenaria spetter� la soluzione. 

L�interferenza della disciplina vincolistica edilizio-urbanistica con quella 
ambientale genera momenti di conflitto istituzionale tra enti locali ed enti 
parco, e non solo quando si tratti di condono edilizio, ma anche - come nel 
caso del parere che interessa il Parco d�Abruzzo - nell�ipotesi dell�accertamento 
di conformit� previsto dagli artt. 36 e 37 del d.P.R. n. 380/2001 che il 
Comune trasmette all�Ente Parco al fine del rilascio del nulla osta ex art. 13 
della legge n. 394/1991. 

Nulla osta, quindi, �postumo� sulla cui legittimit� non constano pronunce, 
ma � prevedibile lo sviluppo di un contenzioso, non solo �marsicano�, 
ora che l�Avvocatura ha espresso il proprio avviso negativo a presidio della 
integrit� del bene ambiente inteso nella sua valenza massima. 

Il successivo parere - reso al Parco del Cilento che, nei casi vittoriosi di 
cui si diceva, � chiamato a far ridurre in pristino le aree - si segnala per la 
presa di posizione in ordine ai limiti del potere regolamentare sanzionatorio 
autonomo degli enti parco alla luce del principio di legalit� e di tassativit� 
dell�illecito amministrativo, in presenza di norma sanzionatoria in bianco 
(l�art. 30 della legge n. 394/1991). 

Viene affrontata, infine, oltre alla questione della alternativit� tra sanzione 
demolitoria-ripristinatoria e pecuniaria, anche quella dei rapporti tra 
ordine di demolizione, sua inottemperanza e possibilit� della acquisizione gratuita 
dell�area. 

Paolo Marchini 
Avvocato dello Stato 


Rilascio del nulla osta da parte degli Enti Parco nei procedimenti diconformit� in sanatoria ex artt. 36 e 37 d.P.R. 380/2001 (Testo Unico Edilizia) 

PARERE 24/10/2014-444210/12, AL 10020/13, SEZ. II, AVV. PAOLO MARCHINI 

Codesta Avvocatura ha trasmesso una richiesta di parere da parte del Responsabile 
del Servizio Giuridico dell�Ente Parco in indirizzo, con la quale si 
chiede se quest�ultimo possa rilasciare �in sanatoria� il nulla osta previsto 
dall�art. 13 della legge n. 394/1991 [ndr Legge Quadro Aree Protette]. 

Tale richiesta fa seguito ad un allegato parere dello stesso ente parco in 
senso negativo a detto quesito (e con riferimento ad una istanza di rilascio di 
nulla osta in sanatoria di un privato). Il responsabile del servizio giuridico del 
Parco argomenta muovendo dal silenzio della legge n. 394/91 e dal divieto di 
analogia della norma speciale di cui all�art. 146 del d.lgs. n. 42/2004 [ndr Codice 
Beni Culturali]. 

*** 

Il c.d. �permesso in sanatoria� � previsto dall�art. 36 d.P.R. n. 380/2001 
e denominato accertamento di conformit�. 

Tale norma dispone: �In caso di interventi realizzati in assenza di permesso 
di costruire, o in difformit� da esso, ovvero in assenza di denuncia di 
inizio attivit� nelle ipotesi di cui all'articolo 22, comma 3, o in difformit� da 
essa, fino alla scadenza dei termini di cui agli articoli 31, comma 3, 33, 
comma 1, 34, comma 1, e comunque fino all'irrogazione delle sanzioni amministrative, 
il responsabile dell'abuso, o l'attuale proprietario dell'immobile, 
possono ottenere il permesso in sanatoria se l'intervento risulti conforme alla 
disciplina urbanistica ed edilizia vigente sia al momento della realizzazione 
dello stesso, sia al momento della presentazione della domanda�. 

2. Il rilascio del permesso in sanatoria � subordinato al pagamento, a titolo 
di oblazione, del contributo di costruzione in misura doppia, ovvero, in 
caso di gratuit� a norma di legge, in misura pari a quella prevista dall'articolo 

16. Nell'ipotesi di intervento realizzato in parziale difformit�, l'oblazione � 
calcolata con riferimento alla parte di opera difforme dal permesso. 

3. Sulla richiesta di permesso in sanatoria il dirigente o il responsabile 
del competente ufficio comunale si pronuncia con adeguata motivazione, entro 
sessanta giorni decorsi i quali la richiesta si intende respinta�. 

Recita il comma 1 dell�art. 13 cit.: �Il rilascio di concessioni o autorizzazioni 
relative ad interventi, impianti ed opere all'interno del parco � sottoposto 
al preventivo nulla osta dell'Ente parco�. 

Va posta attenzione al fatto che, al momento, non esiste n� uno strumento 
pianificatorio del parco, n� il regolamento: atti entrambi contemplati come 
presupposti del nulla osta e parametri di questo. 

Come � noto, infatti, ai sensi dell�art. 11 della Legge quadro, il regolamento 
ed il piano costituiscono atti generali ad efficacia erga omnes [arg. ex 


PARERI DEL COMITATATO CONSULTIVO

obbligo di pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale]; il piano � vincolante nei 
confronti delle amministrazioni e dei privati e si sostituisce ad ogni altro strumento 
di pianificazione; il regolamento deroga alle disposizioni regolamentari 
anche successive, dei comuni, che sono tenuti alla sua applicazione, e pu� derogare 
pure a disposizioni di rango legislativo (il generale divieto di "opere 
che possono compromettere la salvaguardia del paesaggio e degli ambienti 
naturali tutelati", di cui all'articolo 11, comma 3 della legge n. 394 del 1991). 
Il piano e il regolamento sono pertanto fonti normative derivate e legittimate 
dalla legge quadro, dalla imperativit� costituzionale e comunitaria della protezione 
dell'interesse naturalistico, e caratterizzate da procedimenti di formazione 
collaborativi. 

Il regolamento, in particolare, ha la funzione di disciplinare l'esercizio 
delle attivit� consentite entro il territorio del parco (articolo 11, comma primo). 

Il nulla osta, pertanto, verificando �la conformit� tra le disposizioni del 
piano e del regolamento" e gli interventi, impianti ed opere all'interno del 
parco (articolo 13), �deve limitarsi a riconoscere dette attivit� come consentite, 
estrapolando i criteri relativi dal nucleo normativo costituito dal sistema 
piano-regolamento, che ne costituisce dunque il presupposto� (cos�, in dottrina, 
Di Plinio). 

Poich�, in conclusione, il regolamento limita l�ambito oggettivo di applicazione 
del nulla osta normalmente agli interventi da realizzare, questo non 
potrebbe ampliare tale ambito estendendolo anche a quelli realizzati (salve, 
come si � detto, le previsioni di legge di carattere speciale o eccezionale). 

Per il Parco nazionale d�Abruzzo gli attuali parametri sono costituiti dai 
criteri basilari di zonizzazione (di cui alla delibera 30 luglio 1990 del Consiglio 
di amministrazione del Parco) e dalla concreta suddivisione del territorio in 
quattro zone di diversa vocazione ambientale (operata con la precedente decisione 
29 febbraio 1984 del Presidente dello Ente stesso). 

Inoltre il D.P.C.M. 26 novembre 1993 (Adeguamento ai princ�pi della 
legge-quadro sulle aree protette 6 dicembre 1991, n. 394, della disciplina del-
l'Ente autonomo Parco nazionale d'Abruzzo, (Pubblicato nella Gazz. Uff. 12 
febbraio 1994, n. 35) dispone all�art. 4 che: 

�L'Ente Parco nazionale d'Abruzzo elabora, adotta o predispone, ai sensi 
degli articoli 9, 11 e 12 della legge 6 dicembre 1991, n. 394, lo statuto, il regolamento 
e il piano del Parco. Per il rilascio del nulla-osta e per le iniziative 
relative alla promozione economica e sociale, si applica quanto disposto dagli 
articoli 13 e 14 della legge 6 dicembre 1991, n. 394. 

Fino all'approvazione del regolamento e del piano del Parco ai sensi degli 
articoli 11 e 12 della legge 6 dicembre 1991, n. 394, restano in vigore le deliberazioni, 
le ordinanze, le intese e gli altri provvedimenti emanati, all'atto del-
l'entrata in vigore del presente decreto, dall'Ente parco ai sensi delle norme 
istitutive�. 


Tale contesto di assenza del piano e del regolamento del parco, di indubbia 
precariet�, riverbera sulla tutela penale ancorata alla violazione dell'art. 13 
della legge n. 391/94. 

Detto profilo viene in rilievo allorch� si ipotizzi la situazione di incertezza 
che si verrebbe a verificare qualora si adottasse la tesi favorevole al rilascio 
in sanatoria e generando cos� una prassi collettiva: la vigilanza sugli abusi avverrebbe 
sempre ex post, con grave vulnus al bene ambiente ed al principio 
di precauzione. 

Infatti, qualora l'ente parco ritenesse comunque conforme l'intervento gi� 
realizzato e rilasciasse il nulla osta, si domanda se la assenza del piano del 
parco e del regolamento legittimino comunque la sanzione penale e/o quella 
amministrativa avverso la condotta di costruzione senza nulla osta, per assenza 
di presupposto; con ci� potendo operare da deterrente a tale prassi. 

Dopo qualche orientamento contrario, la Suprema Corte ha avuto modo 
di chiarire che �In tema di tutela penale delle aree protette, integra il reato di 
cui agli artt. 13 e 30 della L. 6 dicembre 1991, n. 394 (legge quadro sulle aree 
protette) la mancanza del nulla osta dell'Ente parco in aree protette nazionali 
� restando, in ogni caso, configurabile, in caso di violazione delle misure di 
salvaguardia, il reato di cui all�art. 30 della citata legge (Cass., Sez. III, Sent. 

n. 46079 dell�8 ottobre 2008 (ud. dell�8 otobre 2008), B.A.M. (rv. 241781). 

Infatti, prosegue la Corte, �l'art. 30, comma 1, della stessa legge punisce 
con l'arresto fino a dodici mesi e con l'ammenda da Euro 103,00 a Euro 25.822 
chiunque viola le disposizioni di cui all'art. 6 (misure di salvaguardia), compresa 
quella di cui al comma 4 del medesimo articolo, secondo cui "dall'istituzione 
della singola area protetta sino all'approvazione del relativo regolamento 
operano i divieti e le procedure per eventuali deroghe di cui all'art. 11" . 

Sembra, quindi, sussistere un deterrente penale ad una eventuale prassi 
di sanatoria di abusi edilizi. 

In ogni caso, il diniego di nulla osta, se previsto anche dal p.r.g., impedirebbe 
comunque la sanatoria edilizia e darebbe sfogo alla riduzione in pristino 
(sia da parte comunale, che da parte dell�ente parco); la tutela dell'ambiente 
sarebbe quindi assicurata, sebbene ex post, ma con aggravio di costi e di procedura 
(non ultima quella di rivalsa sul privato). 

La tesi proposta dall�ente parco nella richiesta di parere appare sostenibile 
sulla base sia della interpretazione letterale delle norme dello Statuto del Parco, 
sia di quella sistematica desunta dagli articoli 36 e 37 del d.P.R. n. 380/01, 32 
della legge n. 47/85, 16 della legge n. 241/90 come operata dal Consiglio di 
Stato in recente arresto. 

Quanto alla interpretazione letterale, l�art. 13 della L. n. 394/91 richiede 
che il nulla osta sia �preventivo�: �Il rilascio di concessioni o autorizzazioni 
relative ad interventi, impianti ed opere all'interno del parco � sottoposto al 
preventivo nulla osta dell'Ente parco�. 


PARERI DEL COMITATATO CONSULTIVO

Dalla natura giuridica mista del �nulla osta� previsto dall�art. 13 della L. 

n. 394/1991, in teoria generale (assenso procedimentale necessario, obbligatorio, 
vincolante, parere tecnico obbligatorio e vincolante, atto di controllo di 
conformit�) non � dato desumere approdi certi in favore della tesi della sanatoria 
postuma. 

Nelle ipotesi dei vincoli di parco sopravvenuti e rispetto alle ipotesi di 
condono edilizio su aree vincolate, la legge richiede il �parere favorevole� 
dell�ente parco (art. 32 L. n. 47/85) su manufatti gi� realizzati; tuttavia, escluse 
tali fattispecie tipiche di legge, il testo della legge sulle aree protette richiede 
la preventivit� del nulla osta. 

In tale senso sono le norme di Regolamento e di Statuto del Parco Nazionale 
d�Abruzzo, Lazio e Molise. 

L�art. 32 dello Statuto del Parco (allegato alla delibera n. 23/2009 e reperito 
sul web), infatti, riferisce espressamente il nulla osta ex art. 13 della L. n. 
394/1991 (enfasi ns.) �ad interventi, impianti ed opere da realizzare all�interno 
del Parco�: 

Art. 32 
Nulla osta 


32.1 Il rilascio di concessioni o autorizzazioni relative ad interventi, impianti ed 
opere da realizzare all�interno del Parco � sottoposto al preventivo Nulla Osta dell�ente 
ai sensi dell�art. 13 della legge 6 dicembre 1991, n. 394. 

32.2 La normativa regolamentare dell�ente disciplina la costituzione, la composizione 
e il funzionamento del comitato. 

32.3 In sede di rilascio del Nulla Osta, l�Ente Parco si attiene alle previsioni delle 
Norme di Attuazione del Piano del Parco, comprese quelle con funzione di indirizzo, e a 
quelle del Regolamento. In mancanza di tali previsioni ovvero in caso di insufficienza 
delle medesime, l�Ente Parco rilascia o nega il Nulla Osta sulla base di valutazioni tecniche 
adeguatamente motivate. 

In termini altrettanto univoci si esprime l�art. 1, comma 1, del Regolamento 
del Parco, rubricato �Domanda di Nulla Osta�: �Il rilascio dei Nulla 
Osta relativi ad interventi, impianti ed opere da realizzare all�interno del 
Parco � subordinato al preventivo Nulla Osta dell�Ente Parco ai sensi dell�art. 
13 della legge 6 dicembre 1991, n. 394�. 

Il successivo comma 3 recita: �La domanda di Nulla Osta deve essere 
corredata dalla documentazione necessaria a dar conto dello stato dei luoghi 
(contesto paesaggistico e area di intervento) prima dell�esecuzione delleopere previste, delle caratteristiche progettuali dell�intervento, nonch� a rappresentare 
nel modo pi� chiaro ed esaustivo possibile lo stato dei luoghi qualerisulter� dopo l�intervento�. 

Come gi� detto, per�, il regolamento non risulta approvato e non � pertanto 
efficace: si pone, quindi, la questione se lo Statuto del Parco abbia efficacia 
normativa esterna. L�art. 9 della legge quadro attribuisce allo statuto le 


seguenti funzioni e competenze �Lo statuto dell'Ente definisce in ogni caso 
l'organizzazione interna, le modalit� di partecipazione popolare, le forme di 
pubblicit� degli atti�. Dalla lettura della norma, l�inciso �in ogni caso� sembrerebbe 
rendere non esaustivo l�elenco delle attribuzioni: la legge indica 
quelle imprescindibili, ma non limita altri ambiti. 

Se si ritiene che il procedimento di rilascio del nulla osta ex art. 13 della 

L. 394/91 attiene alla organizzazione ed alla attivit� amministrativa dell�ente, 
non sembra opinabile sostenere la natura normativa esterna dello Statuto, come 
tale vincolante anche per gli amministrati. Se, viceversa, si opta per la estraneit� 
di tale disciplina alla organizzazione amministrativa, tale norma non assumerebbe 
alcuna efficacia vincolante esterna. 

� da rilevare, comunque, che la norma sul nulla osta sembra attenere pi� 
alla disciplina dell�esercizio delle attivit� nel territorio del parco e, come tale, 
dovrebbe essere contenuta nel regolamento piuttosto che nello statuto. 

L�art. 11, comma 1, della legge quadro, infatti, dispone che �Il regolamento 
del parco disciplina l'esercizio delle attivit� consentite entro il territorio 
del parco ed � adottato dall'Ente parco, anche contestualmente all'approvazione 
del piano per il parco di cui all'articolo 12 e comunque non oltre sei mesi dal-
l'approvazione del medesimo�. 

Pertanto l�utilizzo dello strumento dello statuto parrebbe illegittimo sia 
sotto il profilo sostanziale, sia sotto quello formale. Infatti, lo statuto fungerebbe 
da regolamento senza, tuttavia, essere stato approvato col procedimento 
descritto dall�ultimo comma dell�art. 11 che suona: �Il regolamento del parco 
� approvato dal Ministro dell'ambiente, previo parere degli enti locali interessati, 
da esprimersi entro quaranta giorni dalla richiesta, e comunque d'intesa 
con le regioni e le province autonome interessate; il regolamento acquista efficacia 
novanta giorni dopo la sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della 
Repubblica italiana. Entro tale termine i comuni sono tenuti ad adeguare alle 
sue previsioni i propri regolamenti. Decorso inutilmente il predetto termine le 
disposizioni del regolamento del parco prevalgono su quelle del comune, che 
� tenuto alla loro applicazione�. 

Il tenore letterale della norma statutaria, comunque, non lascia dubbio alcuno 
sul necessario presupposto della non avvenuta realizzazione di alcuna 
opera edilizia. 

A favore della tesi restrittiva milita anche la possibile analogia con il vincolo 
paesistico, ossia con la fattispecie contemplata dall�art. 146, comma 4, del 
d.lgs. n. 42/2004 (Codice dei beni culturali): �L'autorizzazione paesaggistica 
costituisce atto autonomo e presupposto rispetto al permesso di costruire o agli 
altri titoli legittimanti l'intervento urbanistico-edilizio. Fuori dai casi di cui all'articolo 
167, commi 4 e 5, l'autorizzazione non pu� essere rilasciata in sanatoria 
successivamente alla realizzazione, anche parziale, degli interventi. 
L'autorizzazione � efficace per un periodo di cinque anni, scaduto il quale l'ese



PARERI DEL COMITATATO CONSULTIVO

cuzione dei progettati lavori deve essere sottoposta a nuova autorizzazione�. 

Il Consiglio di Stato, sez. IV, con sentenza n. 5203/2007 ha escluso l�accertamento 
di conformit� per le aree sottoposte a vincolo paesaggistico: �la procedura 
di accertamento di conformit� ora divisata dall�art. 36 del T.U. sull�edilizia 
di cui al D.P.R. n. 380 del 2001 � inapplicabile al caso di opere come quella in 
controversia realizzate in zona sottoposta a vincolo paesistico, secondo quanto 
espressamente previsto dall�art. 146 del D.L.vo n. 42 del 2004 (Codice dei beni 
culturali): e ci� perch� per le opere comportanti aumento di volumetria l�autorizzazione 
paesaggistica - la quale ovviamente condiziona l�accertamento - non 
pu� essere rilasciata ex post dall�autorit� preposta alla tutela del vincolo�. 

Ora, considerata la generale prevalenza del vincolo di parco rispetto a 
quello paesaggistico, sembra incoerente non applicare una disciplina pi� rigorosa, 
prevista per uno strumento di grado inferiore, ad un vincolo posto da 
strumento potiore. 

Infatti, la tutela dei valori naturali ed ambientali nonch� storici, culturali, 
antropologici tradizionali affidata all'Ente parco � perseguita attraverso lo strumento 
del piano per il parco e questo �ha effetto di dichiarazione di pubblico 
generale interesse e di urgenza e di indifferibilit� per gli interventi in esso previsti 
e sostituisce ad ogni livello i piani paesistici, i piani territoriali o urbanistici 
e ogni altro strumento di pianificazione�. 

Ora, � vero che il piano non esiste, tuttavia esiste il vincolo costituito dai criteri, 
dalle zonizzazioni e dalle intese con i Comuni di cui al D.P.C.M. 26 novembre 
1993, gi� menzionati, che assolvono ad identica tutela, sia pure transitoria. 

Un ulteriore appiglio interpretativo pu� essere fornito dall�art. 37 del d.P.R. 

n. 380/2001 il quale prevede al comma 4 che �Ove l'intervento realizzato risulti 
conforme alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente sia al momento della 
realizzazione dell'intervento, sia al momento della presentazione della domanda, 
il responsabile dell'abuso o il proprietario dell'immobile possono ottenere 
la sanatoria dell'intervento versando la somma, non superiore a 5164 euro 
e non inferiore a 516 euro, stabilita dal responsabile del procedimento in relazione 
all'aumento di valore dell'immobile valutato dall'agenzia del territorio�. 

Ma tale sanatoria non risulta ammissibile, se l�immobile � sottoposto a 
vincolo statale o regionale, a mente del precedente comma 2: �Quando le opere 
realizzate in assenza di denuncia di inizio attivit� consistono in interventi di 
restauro e di risanamento conservativo, di cui alla lettera c) dell'articolo 3, eseguiti 
su immobili comunque vincolati in base a leggi statali e regionali, nonch� 
dalle altre norme urbanistiche vigenti, l'autorit� competente a vigilare sull'osservanza 
del vincolo, salva l'applicazione di altre misure e sanzioni previste 
da norme vigenti, pu� ordinare la restituzione in pristino a cura e spese del responsabile 
ed irroga una sanzione pecuniaria da 516 a 10329 euro�. 

In tale fattispecie il potere di riduzione in pristino �, all�evidenza, incompatibile 
con la sanatoria. 


Premesso che la norma disciplina un abuso minore (la assenza della d.i.a., 
ora s.c.i.a.) ed un ambito oggettivo ristretto (gli interventi di restauro o di risanamento 
conservativo), essa prevede in ogni caso l�insanabilit� se l�immobile 
� sottoposto a vincolo di legge statale o regionale. 
Poich� non � revocabile in dubbio che l�esistenza delle misure di salvaguardia, 
previste dall�art. 6 della legge quadro, costituiscano (ove emanate) vincolo 
previsto dalla legge statale sulla cui osservanza � competente l�ente 
parco, non sembra da escludersi l�interpretazione estensiva anche a fattispecie 
pi� gravi quali quelle previste dall�art. 36 dello stesso d.P.R. 

* 

Alla tesi restrittiva ha aderito il G.A. 

Il Consiglio di Stato si � occupato della fattispecie oggetto del quesito 
con la sentenza n. 3723/2011, resa su appello della Scrivente. 

Il supremo consesso ha ritenuto che (enfasi ns.) �4.4 In definitiva dal sistema 
normativo (brevemente in particolare, art. 36 d.P.R. n. 380/01; art. 32 
della legge n. 47/85; art. 16 della legge n. 241/90) sembra trarsi il principio, 
peraltro rispondente ad intuibili esigenze di ragionevolezza e di buon andamento 
dell'azione amministrativa, secondo cui i provvedimenti di sanatoria, 
in materia edilizia ed urbanistica, necessitano per regola generale di una 
forma espressa e non tacita di manifestazione di volont� delle amministrazioni 
coinvolte nel rilascio del provvedimento assentivo, salvo ipotesi derogatorie 
introdotte in particolari settori dal legislatore con disposizioni normative ad 
hoc. Inserita in tale contesto normativo la dianzi citata disposizione (art. 13 

L. 394/91) va quindi letta ed interpretata nel senso che essa trovi applicazione 
con riguardo agli interventi edilizi da realizzare e non invece ai procedimenti 
di sanatoria di opere abusive gi� realizzate�. 

Tale pronuncia, pur riferibile al tema del silenzio, costituisce, comunque, 
significativo precedente a favore della necessaria preventivit� del nulla osta. 

*** 

Per le suesposte ragioni, questo G.U. � del parere che la tesi restrittiva, 
fuori delle ipotesi legali del condono edilizio, sia la pi� adeguata a tutelare l�interesse 
del Parco: pertanto, il nulla osta di cui all�art. 13 della legge sulle aree 
protette non pu� essere rilasciato in sanatoria nei procedimenti di accertamento 
di conformit� di cui all�art. 36 del d.P.R. n. 380/2001, i quali dovranno concludersi 
necessariamente con un provvedimento negativo, a pena di illegittimit�. 

Sul presente parere � stato sentito l�avviso del Comitato Consultivo di 
cui alla legge n. 103/1979 che si � espresso in conformit� nella seduta del 2 
ottobre 2014. 


PARERI DEL COMITATATO CONSULTIVO

Poteri sanzionatori dell�Ente Parco a fronte di abusi edilizi posti in essereall�interno dell�area protetta (*) 

PARERE 24/10/2014-444041/42, AL 12108/12, SEZ. II, AVV. PAOLO MARCHINI 

L�Avvocatura in indirizzo riferisce che l�Ente Parco Nazionale del Cilento, 
Vallo di Diano, ha richiesto un parere in relazione alle sanzioni irrogabili 
dall�Ente Parco a fronte dell�accertamento di abusi edilizi realizzati all�interno 
del Parco stesso, ponendo in particolare tre quesiti: 

1) se, sia possibile irrogare sanzioni amministrative in alternativa alla 
riduzione in pristino, qualora ritenuta �materialmente impossibile� o 
�controproducente�, applicando in via analogica la disciplina prevista 
dall�art. 34, co. II D.P.R. n. 380\2001; 

2) se siano irrogabili sanzioni amministrative in presenza del rilascio 
di provvedimento favorevole del Comune ex articolo 36 D.P.R. n. 380\2001 
sulla istanza d�accertamento di conformit�; 

3) in caso di risposta positiva, se possano essere oggetto di sospensione 
le eventuali sanzioni irrogate in alternativa all�ordine di ripristino, in attesa 
della definizione della procedura di accertamento di conformit� ex 
art. 36 cit. 

*** 

(*) Il presente parere � stato diramato agli Enti Parco Nazionali dal vigilante Ministero con circolare n. 
26512 del 23/12/2014 che integralmente si riporta: 

� Si unisce il parere n. 444041 del 24 ottobre 2014 reso dall'Avvocatura Generale dello Stato inerente 
le sanzioni irrogabili da un Ente Parco a fronte di abusi posti in essere all'interno dell'Area Protetta. 
Con detto parere � stata, tra l'altro, ribadita, l'obbligatoriet� della sanzione della riduzione in pristino, 
non alternativa rispetto alla sanzione pecuniaria. 
Si unisce, altres�, il parere reso dall'Avvocatura Generale dello Stato lo scorso 9 dicembre in merito 
alla determinazione della sanzione amministrativa in conseguenza del mancato pagamento in misura 
ridotta ex art. 16 della legge 689/1981. Con detto parere � stato confermato, in via generale, l'orientamento 
gi� espresso in ottobre e, nello specifico, � stato precisato che in caso di mancato pagamento 
entro i sessanta giorni - dalla contestazione o dalla notificazione degli estremi della violazione -, ex 
art. 16 della legge 689/1981, si produce la decadenza dal beneficio della misura ridotta e, pertanto, 
alla determinazione della sanzione si applicano i criteri generali previsti dall'art. 11 della legge 
689/1981. 
In merito ai richiamati pareri, si pone, altres�, all'attenzione di codesti Enti l'avviso espresso e confermato 
dall'Avvocatura relativo ai cd. regolamenti per le sanzioni amministrative che, in assenza di Regolamento 
del Parco potranno e dovranno limitarsi al mero richiamo dei divieti esplicitamente previsti 
dalle lettere da a) ad h) del comma 3, dell'art. 11 della legge 394/1991. 
In conclusione, secondo l'Avvocatura, in assenza di Regolamento del Parco che disciplini anche in materia 
sanzionatoria i provvedimenti eventualmente adottati costituiscono in sostanza tabelle/prontuari 
con i quali i medesimi enti si limitano ad elencare ed a riepilogare i divieti direttamente stabiliti dalla 
legge e le regole procedimenta1i che presiedono all'accertamento ed all'irrogazione delle sanzioni ad 
uso dei funzionari incaricati dell'accertamento delle violazioni nonch� degli utenti del parco. 
Alla luce degli uniti pareri, si raccomanda gli enti di voler adottare le misure conseguenti �. 

IL DIRETTORE GENERALE 
Dr.ssa Maria Carmela Giarratano 


In relazione al primo quesito, in via generale, dalla interpretazione letterale 
della normativa relativa alle sanzioni, in particolare gli articoli 29 e 30 della legge 
Quadro delle aree protette (n. 394/1991), sembra inequivocabile l�intenzione del 
legislatore di configurare come �infungibile� la sanzione ripristinatoria. 

Recita la prima disposizione �Il legale rappresentante dell'organismo di 
gestione dell'area naturale protetta, qualora venga esercitata un'attivit� in 
difformit� dal piano, dal regolamento o dal nulla osta, dispone l'immediata 
sospensione dell'attivit� medesima ed ordina in ogni caso la riduzione in pristino 
o la ricostituzione di specie vegetali o animali a spese del trasgressore 
con la responsabilit� solidale del committente, del titolare dell'impresa e del 
direttore dei lavori in caso di costruzione e trasformazione di opere� (cos� 
l�art. 29, comma 1). 

A mente dell�articolo 30, II co.: �la violazione delle disposizioni emanate dagli 
organismi di gestione delle aree protette � altres� punita con la sanzione amministrativa 
del pagamento di una somma da lire cinquantamila a lire duemilioni�. 

Dunque, le tipologie di sanzioni irrogabili dall�Ente sono due: quelle di 
tipo ripristinatorio, regolate dall�articolo 29, sulla base del tenore letterale della 
norma, presentano il carattere sia della obbligatoriet�, desumibile dall�espressione 
�ordina�, sia della esclusivit�, stante il sintagma �in ogni caso�; quelle 
di tipo pecuniario, previste dall�articolo 30, le quali accedono alle prime, come 
si evince chiaramente dalla parola �altres��. 

In virt� di un�interpretazione letterale del combinato disposto delle due 
disposizioni, le sanzioni amministrative-pecuniarie sono comminabili cumulativamente 
a quelle ripristinatorie, non anche alternativamente. 

* 

Quanto alla fattispecie concreta, codesta Avvocatura prospetta due ipotesi: 


1) la materiale impossibilit� di ridurre in pristino i luoghi; 

2) la sua non convenienza (nell�essere �controproducente�). 

Va premesso che la disciplina di settore (legge quadro sulle aree protette) 
non contempla tali eccezioni alla regola generale e, quindi, non attribuirebbe 
discrezionalit� amministrativa alcuna all�Ente nello stabilire l�an ed il quo-
modo del provvedimento amministrativo di rinuncia ad esercitare il potere di 
ordinare la riduzione in pristino e di provvedere in altro modo. 

Si tenga presente, inoltre, che la sanzione ripristinatoria non eseguita, costituisce 
il presupposto della ulteriore sanzione necessaria ed autonoma della 
gratuita acquisizione al patrimonio dell�Ente parco ex art. 1, comma 1104, 
della legge 27 dicembre 2006, n. 296 (sulla natura sanzionatoria della acquisizione 
gratuita cfr. parere di questo G.U. CS 47802/11 reso a codesto Ente 
parco e trasmesso anche al Ministero dell�Ambiente e della tutela del territorio 
e del Mare, con avviso conforme del Comitato Consultivo); conseguentemente, 
non esercitare il potere di irrogazione della sanzione della riduzione in 


PARERI DEL COMITATATO CONSULTIVO

pristino, comporta l�effetto di poter impedire ex ante la successiva acquisizione 
gratuita in propriet�; effetto, questo, che potrebbe risolvere (salvo quanto di 
dir� infra) tanto l�impossibilit� della riduzione in pristino, quanto la sua opportunit� 
in termini di convenienza economica per le casse pubbliche (si pensi 
ad es. all�utilizzo dei manufatti per le attivit� compatibili con le finalit� istitutive 
del parco nelle zone D). 

In ogni caso, si verrebbe surrettiziamente a disporre della acquisizione 
gratuita, effetto, questo, contrastante con la legge e con il diritto vivente. 

Se si ammettesse la tesi della alternativit� della sanzione, l�Ente dovrebbe 
necessariamente motivare in ordine alla impossibilit� e/o inopportunit� della 
eventuale acquisizione in propriet�, e ci� contrasterebbe - come detto - con il 
diritto positivo e con l�orientamento dominante in giurisprudenza. 

Nel citato parere reso a codesta Avvocatura distrettuale (CS 47802/11 
Avv. Marchini), riguardante sempre abusi edilizi commessi nel territorio del-
l�Ente Parco Nazionale del Cilento e Vallo di Diano, questo G.U. ha ritenuto 
la obbligatoriet� ed esclusivit� della sanzione della riduzione in pristino. In 
questa sede, anche in considerazione delle ragioni di cui sopra, non pu� che 
ribadirsi tale orientamento. 

La giurisprudenza si � pi� volte espressa sulla predetta obbligatoriet� e 
sulla conseguente acquisizione gratuita dell�immobile a seguito dell�inottemperanza 
all�ordine di demolizione, sia pure nell�ambito edilizio privato il 
quale, avendo ad oggetto beni meno tutelati rispetto alle aree protette di cui 
alla L. n. 394/1991, costituisce utile �cartina al tornasole� della prova decisiva 
e irrefutabile della applicabilit� del suddetto principio anche nel caso oggetto 
del quesito. 

�La mancata indicazione, nel provvedimento di ingiunzione a demolire, 
delle conseguenze in caso di inottemperanza, non impedisce l'acquisizione gratuita 
del manufatto abusivo al patrimonio comunale, in quanto l'effetto ablatorio 
si verifica di diritto all'inutile scadenza del termine di novanta giorni dall'ingiunzione 
(Cass., Sez. III, sent. n. 32826 del 7 aprile 2011 (ud. del 7 aprile 2011). 

Il T.A.R. Campania Napoli, Sezione II, 20 gennaio 2012, nella sentenza 

n. 308 ha ritenuto che �L�acquisizione gratuita al patrimonio comunale delle 
opere abusive � atto dovuto, senza alcun contenuto discrezionale, avente natura 
meramente dichiarativa, subordinato unicamente all�accertamento dell�inottemperanza 
e del decorso del termine di legge fissato per la demolizione e il 
ripristino dello stato dei luoghi, che opera automaticamente con riguardo non 
solo all�opera abusiva ed all�area di sedime, ma anche alle pertinenze. Ne consegue 
che esso � sufficientemente motivato con l�affermazione dell�abusivit� 
delle opere connessa alla loro realizzazione senza previo titolo autorizzatorio 
e dell�accertata inottemperanza, per cui non assume alcun rilievo il richiamo 
alla asserita edificabilit� dell�area come anche il generico riferimento al fatto 
che analoghe opere abusive in aree limitrofe non sarebbero state sanzionate�. 


In termini anche Tar Palermo Sez. II, sentenza n. 40 del 11 gennaio 2011: 
�Nel sistema disciplinato dall'art. 7 della legge 28 febbraio 1985, n. 47, l'acquisizione 
al patrimonio del Comune del bene abusivamente realizzato, e delle 
aree di sedime e circostanti, opera automaticamente, verificandosi di diritto 
al compimento del 90� giorno decorrente dalla notifica dell'ingiunzione di demolizione 
non ottemperata, e non richiede l'adozione di alcuna preliminare 
determinazione inerente l'esercizio di una scelta da parte del Comune sull'applicabilit� 
della stessa pi� grave misura acquisitiva, rispetto alla semplice demolizione 
del manufatto abusivo (cfr., fra le tante, T.A.R. Lazio, sez. II, 12 
aprile 2002, n. 3160; T.A.R. Sicilia, sez. III, 6 marzo 2009, n. 480)�. 

Secondo T.A.R. Toscana Firenze, Sez. III, 20 gennaio 2009, n. 24, �il 
provvedimento con il quale viene disposta l'acquisizione gratuita - costituendo 
titolo per l'immissione in possesso e per la trascrizione nei registri immobiliari 

- pu� essere adottato senza la specifica indicazione dell'ulteriore area "necessaria, 
secondo le vigenti prescrizioni urbanistiche, alla realizzazione di 
opere analoghe a quelle abusive" (area che "non pu� comunque essere superiore 
a dieci volte la complessiva superficie utile abusivamente costruita") oggetto 
di acquisizione, potendosi procedere a tale individuazione anche con un 
successivo e separato atto�. 

In linea con l�orientamento della Corte Suprema penale sez. III, n. 9186 
del 14 gennaio 2009, sia pure in un passo della motivazione, � stato anche il 
Consiglio di Stato sez. sesta, 6 marzo 2012, n. 1260 che ha poi escluso attivit� 
di verifica da parte dell�ente nei seguenti termini: �Ai sensi dell'art. 31 del 

d.P.R. n. 380/2001, accertata l'esecuzione di opere in assenza di concessione 
ovvero in difformit� totale dal titolo abilitativo, non vi � spazio per apprezzamenti 
discrezionali, atteso che l'esercizio del potere repressivo di un abuso 
edilizio consistente nell'esecuzione di un'opera in assenza del titolo abilitativo 
costituisce atto dovuto, per il quale � in re ipsa l'interesse pubblico alla sua 
rimozione; pertanto non costituisce onere del Comune, nell'esercizio di tale 
potere repressivo, verificare la sanabilit� delle opere in sede di vigilanza sul-
l'attivit� edilizia�. 

Anche il T.a.r. Salerno, con riguardo alla ingiunzione di demolizione irrogata 
da codesto Ente parco, ha affermato che �il potere esercitato nella fattispecie 
� quello relativo alla tutela ambientale che recide in radice la 
possibilit� di mantenimento in vita dei manufatti edilizi, stante la tassativa 
sanzione ripristinatoria comminata dalla legge ed in considerazione del rilevato 
pregiudizio ambientale individuato con la relazione prot. n. 2014 del 
24/4/1997, richiamata nel provvedimento di demolizione d'ufficio adottato in 
conseguenza dell'inosservanza all'ingiunzione per cui � controversia� (T.A.R. 
Salerno Campania sez. II, 22 aprile 2003, n. 329, Cooperativa Stabia s.r.l.). 

* 

L�acquisizione gratuita in propriet� delle opere abusive eseguite nelle 


PARERI DEL COMITATATO CONSULTIVO

aree naturali protette prevista dall�art. 1, comma 1104, della legge 27 dicembre 
2006, n. 296 costituisce, al pari di quella a suo tempo prevista dall�art. 7, 
commi 3 e 6, della legge 28 febbraio 1985, n. 47 e, ora, dagli stessi commi 
dell�art. 31 del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, una sanzione amministrativa ablatoria 
reale di secondo grado (v. il gi� richiamato parere Cs 47802/11). 

Come tale, e al pari di ogni altra sanzione, essa presuppone, sul piano 
oggettivo, la commissione di un illecito, vale a dire la tenuta di una condotta 
antidoverosa costituita, nella specie, dalla inottemperanza all�ingiunzione 
di demolizione (v. art. 7, comma 6, l. n. 47/1985 e, ora, art. 31, comma 6, 

d.P.R. n. 380/2001). 

Per integrare l�elemento soggettivo dell�illecito - ambientale - sanzionato 
con l�acquisizione gratuita in propriet� dell�opera abusiva l�inottemperanza 
all�ingiunzione di riduzione in pristino deve poi consistere - secondo la regola 
generale dettata dall�art. 3, comma 1, della legge 24 novembre 1981, n. 689 in 
un comportamento omissivo cosciente e volontario, doloso o colposo. 

Ci� premesso, la riduzione in pristino/demolizione oggettivamente impossibile 
� di difficile prospettazione, o quantomeno, costituisce fattispecie 
marginale, atteso che cos� come si � elevata e costruita, l�opera pu� essere altrettanto 
eliminata. Se, tuttavia, la riduzione in pristino/demolizione pu� risultare 
�controproducente�, perch� suscettibile di sortire sull�ambiente effetti 
ancor pi� dannosi di quelli arrecati dalla realizzazione dell�opera abusiva, pare 
a questo G.U. che l�autorit� amministrativa non possa esimersi dall�emanare 
l�ingiunzione di rimessione in pristino perch� - secondo quanto sostenuto nello 
stesso parere sulla scorta del disposto testuale degli artt. 29 e 30 della l. 6 dicembre 
1991, n. 394: �ordina in ogni caso� la riduzione in pristino - la sanzione 
ripristinatoria � obbligatoria, infungibile ed irrinunciabile. 

Nella subiecta materia l�autorit� amministrativa non dispone infatti di un 
potere discrezionale che le consenta di valutare e scegliere se l�interesse ambientale 
� meglio tutelato attraverso la eliminazione o mediante la conservazione 
dell�opera abusiva; il potere del quale l�organismo di gestione dell�area 
naturale protetta risulta attributario si configura infatti come rigidamente vincolato 
nel senso che, una volta accertato l�illecito, esso � tenuto �in ogni caso� 
ad ingiungere al trasgressore la riduzione del bene nel pristino stato. 

A tutto concedere, potrebbe sostenersi che in tali casi la discrezionalit� 
dell�organismo di gestione dell�area naturale protetta � limitata e circoscritta 
alla (sola) scelta tra la riduzione in pristino in senso stretto - la quale, in caso 
di costruzioni, si risolve nella demolizione di quanto edificato - o la ricostituzione 
di specie vegetali o animali - che, a ben vedere, costituisce una forma 
particolare ed alternativa di rimessione del bene nel pristino stato -. 

Peraltro, qualora l�autorit� preposta alla tutela del vincolo ambientale decidesse, 
per ipotesi, di astenersi dall�emanare l�ordine di demolizione onde evitare 
maggiori danni all�ambiente, imponendo magari la (semplice) ricostituzione 


di specie vegetali o animali, sembra doversi escludersi, in ossequio al principio 
di legalit� di cui all�art. 1, comma 2, l. n. 689/1981, (l�applicabilit� della sanzione 
del)l�acquisizione gratuita in propriet� dell�opera abusiva realizzata per 
difetto, questa volta, del(l�illecito amministrativo) presupposto costituito, appunto, 
dall�inottemperanza ad un�ingiunzione di riduzione in pristino. 

Per completezza, ed in via di coordinamento delle tutele, va richiamata 
la legittimazione del Ministro dell�ambiente ad agire per il risarcimento del 
danno ambientale, anche in forma specifica �primaria� prevista dall�art. 311 
del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152 (c.d. �Codice dell�ambiente�), fatta salva 
espressamente dal comma 6 dell�art. 30 della legge n. 394/1991: �In ogni caso 
trovano applicazione le norme dell'articolo 18 della legge 8 luglio 1986, n. 
349, sul diritto al risarcimento del danno ambientale da parte dell'organismo 
di gestione dell'area protetta�. 

A seguito della abrogazione dell�art. 18 della legge n. 349/1986 da parte 
dell�art. 318 del Codice dell�ambiente, pu� ritenersi che il rinvio alla concorrente 
disciplina del risarcimento del danno ambientale vada operato con riferimento 
all�art. 311 citato a mente del quale: �Quando si verifica un danno 
ambientale cagionato dagli operatori le cui attivit� sono elencate nell'allegato 
5 alla presente parte sesta, gli stessi sono obbligati all'adozione delle misure 
di riparazione di cui all'allegato 3 alla medesima parte sesta secondo i criteri 
ivi previsti, da effettuare entro il termine congruo di cui all'articolo 314, 
comma 2, del presente decreto. Ai medesimi obblighi � tenuto chiunque altro 
cagioni un danno ambientale con dolo o colpa. Solo quando l'adozione delle 
misure di riparazione anzidette risulti in tutto o in parte omessa, o comunque 
realizzata in modo incompleto o difforme dai termini e modalit� prescritti, il 
Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare determina i costi 
delle attivit� necessarie a conseguirne la completa e corretta attuazione e agisce 
nei confronti del soggetto obbligato per ottenere il pagamento delle somme 
corrispondenti�. 

* 

Contro la tesi della mancata previsione legislativa, viene prospettata la 
tesi della applicazione in via analogica: il potere d�irrogare sanzioni amministrative 
in alternativa a quelle ripristinatorie discenderebbe dalla interpretazione 
delle disposizioni legislative relative al settore urbanistico disciplinato 
dal D.P.R. 380\2001. 

Viene richiamato l�articolo 34 in tema opere edilizie abusive realizzate in 
parziale difformit�, secondo il quale � possibile applicare, in luogo della sanzione 
ripristinatoria, una sanzione amministrativa quando la demolizione del-
l�opera non possa avvenire senza pregiudizio della parte eseguita in conformit�. 

L�art. 32, III comma precisa che gli interventi abusivi edilizi realizzati 
in aree sottoposte al vincolo paesaggistico ed ambientale, nonch� su immobili 
ricadenti nelle aree protette nazionali, sono considerati dalla legge come rea



PARERI DEL COMITATATO CONSULTIVO

lizzati in totale difformit�: ne discende, pertanto, che applicare analogicamente 
tale norma alle aree di competenza degli Enti Parco tradirebbe il tenore letterale 
della stessa laddove intende espressamente escludere le aree protette dal 
proprio ambito applicativo. 

Non si ritiene, pertanto, percorribile la prospettata interpretazione analogica. 


* 

La interpretazione analogica � preclusa anche per una seconda ragione. 

L�analogia � operazione ermeneutica ammissibile esclusivamente in presenza 
di lacune normative, pertanto non pu� essere invocata nella fattispecie 
concreta atteso che, al contrario, ad essa si attaglia la precisa disposizione costituita 
dall�articolo 29 che, tramite il sintagma �in ogni caso� esclude inequivocabilmente 
la possibilit� di ricorrere a sistemi sanzionatori 
alternativi alla sanzione ripristinatoria. 

D�altra parte, la soluzione orientata a configurare la sanzione inibitoria 
come infungibile, si sposa con la ratio sottesa alla disciplina che regola le Aree 
Protette e le competenze degli Enti Parco, data dalla preminente esigenza di 
conservazione del paesaggio e dell�ambiente. 

* 

Con riguardo al secondo quesito, incentrato sulla possibilit� di irrogare 
sanzioni amministrative in presenza di permesso in sanatoria ex art. 36 D.P.R. 
380\2001, si svolgono le seguenti considerazioni a favore della soluzione positiva. 


L�articolo 36 citato introduce in materia edilizia una forma di sanatoria 
che consente di legittimare a posteriori un intervento edificatorio realizzato 
senza il previo titolo abilitativo o in difformit� dallo stesso, ma sostanzialmente 
conforme alla disciplina di riferimento gi� al momento della sua esecuzione. 

In particolare l�art. 36, comma 1, t.u. edilizia rubricato "Accertamento di 
conformit�" stabilisce che �In caso di interventi realizzati in assenza di permesso 
di costruire, o in difformit� da esso, ovvero in assenza di denuncia di 
inizio attivit� nelle ipotesi di cui all�art. 22, comma 3, o in difformit� da essa, 
fino alla scadenza dei termini di cui agli artt. 31, comma 3, 33, comma 1, 34, 
comma 1, e comunque fino all�irrogazione delle sanzioni amministrative, il 
responsabile dell�abuso, o l�attuale proprietario dell�immobile, possono ottenere 
il permesso in sanatoria se l�intervento risulti conforme alla disciplina 
urbanistica ed edilizia vigente sia al momento della realizzazione dello stesso, 
sia al momento della presentazione della domanda�.

� noto che qualsiasi intervento edilizio in presenza di vincoli ambientali 
che operano nell�ambito del Parco, sia subordinato al rilascio del nulla osta 
paesaggistico e a quello dell�Ente Parco ex art. 13 della legge 1991 n. 394. In 
tal senso si � espressa la Suprema Corte: �La realizzazione di interventi ed 
opere in aree protette deve essere sottoposta al preventivo rilascio di tre au



tonomi provvedimenti: il permesso di costruire disciplinato dal testo unico 
delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia, d.p.r. 6 giugno 
2001 n. 380, l�autorizzazione paesaggistica di cui al d.leg. 22 gennaio 
2004 n. 42, ed il nulla osta dell�ente Parco, di cui alla l. 6 dicembre 1991 n. 
394, stante l�autonomia dei profili paesaggistici ed ambientali da quelli urbanistici� 
(Cass. pen., sez. III, 9 ottobre 2003, in senso conforme C. Stato, 
sez. IV, 28 febbraio 2005, n. 714; Cass. pen., sez. III, 30 maggio 2003). 

Va ribadito, quindi, che il rilascio del provvedimento di accertamento di 
conformit� ex art. 36 t.u. edilizia pu� avvenire solo qualora l�ente parco abbia 
rilasciato il nulla osta ex art. 13 della legge sulla aree protette prima della 
realizzazione del manufatto abusivo, restando del tutto esclusa la ammissibilit� 
di un nulla osta in sanatoria (in tal senso cfr. parere di questa Avvocatura 
generale reso nel CS 10020/2013, con conforme avviso del Co.co. nella seduta 
del 2 ottobre 2014, in risposta al Parco nazionale d�Abruzzo, Lazio e Molise). 

Ne consegue che, essendo illegittimo, per difetto di atto presupposto e, 
qundi, annullabile per violazione di legge un eventuale provvedimento di accertamento 
di conformit� in assenza di nulla osta preventivo dell�ente parco, 
nessun impedimento sussiste a che quest�ultimo irroghi le sanzioni amministrative 
ex art. 30 L. n. 394/1991. 

Il rilascio dell�accertamento in conformit� da parte del Comune in mancanza 
del nulla osta dell�Ente Parco, quindi, non esplica alcun effetto sui poteri 
ripristinatori e sanzionatori attribuiti a quest�ultimo dagli artt. 29 e 30 della 
legge 394\1991. 

Va, in definitiva, condiviso, sul punto, il parere dell�Avvocatura distrettuale 
dello Stato di Salerno. 

Come si � detto il comma 2 dell�art. 30, L. n.. 394/91 sanziona la violazione 
delle �disposizioni emanate dagli organismi di gestione delle aree pro-
tette�. In attuazione di tale norma l�Ente Parco del Cilento ha emanato il 
�Regolamento sanzioni amministrative� con delibera n. 27 dell�8 luglio 2010, 
nel quale sono individuati i precetti. 

� ben vero che il rinvio operato dall�art. 30, comma 5, della L. n. 394/1991, 
alla legge 689\1981 (1), implica che in virt� del principio di legalit� e di riserva 
di legge la sanzione non possa essere comminata direttamente mediante disposizioni 
di fonti normative secondarie, tra le quali il Regolamento del Parco va 
annoverato, ma � altrettanto vero che le sanzioni comminate dal regolamento 
appaiono in concreto rispettose del principio di riserva di legge, atteso che esse 
coincidono nella misura con quelle previste dal comma 2 dello stesso articolo 
30 (da cinquantamila a due milioni, rispettivamente 25,82 euro e 1032,91 euro). 

* 

Il Ministero dell�Ambiente, nella citata risposta resa a questa Avvocatura 
generale, ha riportato le perplessit� del Ministero delle politiche agricole, alimentari 
e forestali in ordine alla legittimit� del regolamento sulle sanzioni 


PARERI DEL COMITATATO CONSULTIVO

emanato dal parco del Cilento �quale possibile schema-tipo di regolamento 
da diramare a tutti gli enti parco� (pag. 4) che possa introdurre ulteriori divieti 
e consentanee sanzioni rispetto a quelli gi� tipizzati dal comma 3 dell�art. 11 
della legge n. 391/1994 lett. da a) a h). 

Il problema che si pone � se l�art. 30 della legge n. 394/1991 possa fondare 
il potere regolamentare di irrogazione di sanzione, pur non indicando il 
precetto, in possibile conflitto, quindi, con il principio di legalit� sancito dal-
l�art. 23 Cost. (per le sanzioni amministrative). 

Il dubbio, in buona sostanza, nasce dal fatto che tale norma sembra rivestire 
la natura di norma sanzionatoria in bianco priva di sufficiente specificazione 
dei presupposti, dei caratteri, del contenuto e dei limiti dei 
provvedimenti dell'autorit� non legislativa, alla trasgressione dei quali consegue 
la sanzione: �il principio di legalit� della pena non pu� considerarsi 
soddisfatto quando non sia una legge (o un atto equiparato) dello Stato - non 
importa se proprio la medesima legge che prevede la sanzione penale o un'altra 
legge - a indicare con sufficiente specificazione i presupposti, i caratteri, 
il contenuto e i limiti dei provvedimenti dell'autorit� non legislativa, alla trasgressione 
dei quali deve seguire la pena (tra le altre, C. cost., 28 giugno 2002, 

n. 295; C. cost., 14 giugno 1990, n. 282; C. cost., 27 giugno 1972, n. 113; C. 
Cost. 8 luglio 1971, n. 168; C. cost., n. 26 del 1966). 

La legittimit� - anche sotto il profilo del rispetto della riserva (relativa) 
di legge di cui all�art. 23 Cost. -tanto del regolamento del parco quanto, a 
fortiori, del c.d. regolamento per le sanzioni amministrative deve essere scrutinata 
alla luce di quanto disposto dall�art. 11 della l. n. 394/1991 il quale, 
comՏ noto, per un verso, demanda al regolamento del parco a) la disciplina 
delle attivit� consentite entro il territorio del parco (commi 1 e 2) e b) le eventuali 
deroghe alle attivit� vietate (comma 4); e, per un altro, vieta, in generale, 
�le attivit� e le opere che possono compromettere la salvaguardia del 
paesaggio e degli ambienti naturali tutelati� e, in particolare, le attivit� specificamente 
indicate dalle lettere da a) ad h) del comma 3. 

Ci� significa che, quanto alle attivit� consentite e, in particolare, quanto 
a quelle attivit� specificamente indicate dal comma 2 dell�art. 11 della l. n. 
394/1991, il regolamento del parco pu� disciplinarne in via autonoma lo svolgimento 
prescrivendo e vietando condotte ed opere nel rispetto, comunque, 
delle esigenze di tutela del paesaggio e degli ambienti naturali; quanto alle attivit� 
vietate, genericamente e specificamente indicate dal comma 3 dello 
stesso art. 11 della l. n. 394/1991, il regolamento del parco ha invece il potere 
di individuare, nell�esercizio della discrezionalit� tecnica che la legge ha inteso 
comunque riservare all�ente parco, attivit� ed opere - genericamente - suscettibili 
di pregiudicare valori connessi alla salvaguardia del paesaggio e 
dell�ambiente dovendo in ogni caso vietare - nell�esercizio di un potere (questa 
volta) meramente ricognitorio e, comunque, vincolato - lo svolgimento delle 


attivit� specificamente indicate dalle lettere da a) ad h) dello stesso comma 3. 

Sotto questo profilo, pu� dunque dirsi che i precetti e, in particolare, i divieti 
la cui violazione comporta e legittima l�applicazione delle sanzioni di cui 
all�art. 30, comma 2, della l. n. 394/1991 sono contenuti nell�art. 11 della stessa 
legge il quale integra e completa, per questo riguardo, la norma in bianco di 
cui all�art. 30, comma 2, citato rispettando cos� la riserva di legge posta dall�art. 
23 Cost. Il regolamento del parco sar� dunque legittimo se e nella misura in 
cui le disposizioni emanate dall�ente parco nell�esercizio, rispettivamente, del 
potere regolatorio previsto dai commi 1 e 2 dell�art. 11 della l. n. 394/1991 e 
di quello interdittivo contemplato dal comma 3 dello stesso art. 11 risultino 
rispettose degli ambiti, dei limiti e dei divieti che la legge ha inteso porre alla 
potest� regolamentare dell�ente parco. Il regolamento del parco sar� invece illegittimo 
per violazione dell�art. 11 della l. n. 394/1991 nel caso, inverso, in 
cui le disposizioni in esso contenute eccedano gli ambiti, i limiti e i divieti 
posti dalla legge e, in particolare, e per quanto qui specificamente interessa, 
nell�ipotesi in cui le norme del regolamento configurino, ex novo e in via autonoma, 
illeciti non riconducibili alla violazione di disposizioni legittimamente 
emanate dall�ente parco o comminino sanzioni diverse da quelle 
previste dalla legge o in casi diversi da quelli da questa previsti. E dunque, se 
i regolamenti del parco non possono �creare� illeciti diversi e ulteriori rispetto 
a quelli direttamente (violazioni dei divieti di cui all�art. 11, comma 3, lett. 
da a) ad h)) o indirettamente (violazioni delle disposizioni emanate e dei divieti 
imposti dall�ente parco ai sensi dell�art. 11, commi 1, 2 e 3) previsti dalla 
legge n� comminare sanzioni diverse e ulteriori rispetto a quelle contemplate 
dagli artt. 29 e 30 della legge n. 394/1991 o in casi diversi da quelli per i quali 
le stesse sono state previste, � giocoforza ritenere che, a fortiori, i c.d. regolamenti 
per le sanzioni amministrative non possano a loro volta n� �creare� nuovi 
illeciti amministrativi n� irrogare nuove o diverse sanzioni. 

I c.d. regolamenti per le sanzioni amministrative - della cui legittimit�, in 
difetto di espressa previsione normativa e di esplicita attribuzione legislativa 
alla competenza degli enti parco, � peraltro lecito dubitare alla luce dei principi 
di legalit� e di tipicit� degli atti amministrativi - possono infatti assolvere, al 
pi�, ad una funzione meramente ricognitiva, da un lato, degli illeciti e delle 
sanzioni previste dalla legge n. 394/1991 e, sulla base di questa, dal regolamento 
del parco e, dall�altro, del procedimento previsto dalla legge n. 689/1981, 
rispettivamente, per la contestazione dei primi e per l�irrogazione delle seconde, 
dovendosi invece escludere in radice che possa essere loro attribuita una qualsiasi 
valenza normativa innovativa e/o qualsiasi efficacia costitutiva. 

In particolare, nelle ipotesi peraltro frequenti in cui non risulti ancora 
emanato e/o approvato un regolamento del parco, i cennati regolamenti per le 
sanzioni amministrative - ferme le perplessit� in precedenza esposte a proposito 
della loro legittimit� alla luce dei richiamati principi generali dell�ordina



PARERI DEL COMITATATO CONSULTIVO

mento giuridico -possono - e debbono - limitarsi, al pi�, al mero richiamo 
dei divieti esplicitamente previsti dalle lettere da a) ad h) del comma 3 dell�art. 
11 citato i quali, come esplicitamente disposto dall�art. 6, comma 4, della l. n. 
394/1991, operano ex lege, nell�ambito delle misure di salvaguardia, dalla data 
del provvedimento istitutivo della singola area protetta sino all�approvazione 
del regolamento del parco. 

In definitiva, in assenza di un potere regolamentare degli enti parco in 
materia sanzionatoria, detti regolamenti null�altro costituiscono - e possono 
costituire - che semplici tabelle/prontuari con i quali gli enti parco, nelle 
more dell�adozione dei regolamenti ex art. 11 l. n. 394/1991 e a meri fini di 
trasparenza e di pubblicit�, si limitano ad elencare e a riepilogare i divieti direttamente 
stabiliti dalla legge - divieti peraltro operanti anche in assenza del 
regolamento - e le regole procedimentali che presiedono all�accertamento e 
all�irrogazione delle sanzioni - ad uso sia degli agenti e funzionari incaricati 
dell�accertamento delle violazioni (uso interno) sia del pubblico degli utenti 
del parco (uso esterno). 

* 

In relazione al terzo quesito, circa la possibile sospensione dell�irrogazione 
di sanzione alternativa all�ordine di ripristino in attesa della definizione 
della procedura di accertamento ex art. 36 cit., si deve offrire risposta negativa, 
atteso che si � negata la possibilit� di comminare sanzioni alternative, in risposta 
al primo quesito. 

Infatti, se si sostiene che l�Ente Parco non pu� irrogare sanzioni alternative 
all�ordine di ripristino, ergo non si pone un problema di sospensione delle stesse. 

Da ultimo, va richiamato quanto detto in risposta al secondo quesito, ossia 
che �Il rilascio dell�accertamento in conformit� da parte del Comune in mancanza 
del nulla osta dell�Ente Parco, quindi, non esplica alcun effetto (n.d.r. 
nemmeno sospensivo) sui poteri ripristinatori e sanzionatori attribuiti a 
quest�ultimo dagli artt. 29 e 30 della legge 394\1991�. 

Sul presente parere � stato sentito l�avviso del Comitato consultivo di cui 
alla legge n. 103/1979 che si � espresso in conformit� nella seduta del 9 ottobre 
2014. 


Sull�assegno vitalizio a favore di deputato regionale 
a seguito di interdizione perpetua dai pubblici uffici 

PARERE 27/10/2014-446052, AL 29850/14, SEZ. VI, AVV. ANGELO VITALE 

La questione oggetto del parere riguarda il regime dell�assegno vitalizio 
di un ex deputato regionale, condannato in via definitiva alla pena complessiva 
di 7 anni di reclusione, per il reato di favoreggiamento personale ex art. 378 
c.p., aggravato dalla finalit� di cui all�art. 7 L. 203/91, unito dal vincolo della 
continuazione con il reato di rivelazione di segreto di ufficio ex art. 326 c.p. 
Sulla scorta di tale condanna ad una pena maggiore di 5 anni di reclusione, 
l�ex deputato regionale � stato altres� raggiunto dalla pena accessoria della interdizione 
dai pubblici uffici ex art. 29 c.p. 

Su queste basi, l�Assemblea Regionale chiede lumi sul regime dell�assegno 
vitalizio e, in particolare, sull�applicazione dell�art. 6, comma 7� del Reg. 
pensioni deputati, secondo cui �Ai sensi dell�articolo 11, comma 2�, L.R. 4 
gennaio 2014, n. 1, l�assegno vitalizio o la pensione sono sospesi in caso di 
condanna definitiva per delitti contro la Pubblica amministrazione, che comportino 
interdizione dai pubblici uffici ai sensi degli articoli 28 e 29 del codice 
penale, come stabilito dall�art. 2, comma 1, lettera n) del decreto legge 10 ottobre 
2012, n. 174, convertito con modificazioni dalla legge 7 dicembre 2012, 

n. 713, fatti salvi gli effetti della riabilitazione� (1). 

L�ex deputato regionale sostiene, al riguardo, di non incorrere nella previsione 
regolamentare di sospensione del vitalizio, atteso che - a rigore - l�interdizione 
dai pubblici uffici non � stata comminata in ragione di condanna 
definitiva per delitti contro la pubblica amministrazione (per la rivelazione di 
segreto d�ufficio � stata disposta infatti la pena di anni 1 e mesi 6 di reclusione, 
insufficiente da sola alla interdizione ex art. 29 c.p.), bens� per un reato di diversa 
natura (il favoreggiamento personale aggravato, contro l�Amministrazione 
della Giustizia), non contemplato dalla disposizione regolamentare. 

Sul punto, l�Avvocatura Distrettuale di Palermo ha reso parere contrario 

(1) La suddetta norma regolamentare trova il suo necessario presupposto normativo nell�articolo 
2, comma 1, lett. n), del decreto legge 10 ottobre 2012, n. 174, convertito con modificazioni dalla legge 
7 dicembre 2012, n. 213, che - nell�ambito di una disposizione volta a contenere le spese delle Regioni 

-condiziona i trasferimenti statali a favore delle stesse al fatto che: 
n) abbia(no) escluso, ai sensi degli articoli 28 e 29 del codice penale, l'erogazione del vitalizio in favore 
di chi sia condannato in via definitiva per delitti contro la pubblica amministrazione. 


In esecuzione di tale disposizione statale, la Regione Sicilia ha approvato la L.R. n. 1 del 2014, che, all�articolo 
11 recita: 

�L'Assemblea regionale siciliana, secondo le disposizioni del Regolamento interno, disciplina i casi di 
esclusione o sospensione dall'erogazione dei vitalizi, nel rispetto dei principi contenuti nell'articolo 2, 
comma 1, lettera n), del decreto legge 10 ottobre 2012, n. 174, convertito con modificazioni dalla legge 
7 dicembre 2012, n. 213, per il periodo corrispondente alla durata dell'interdizione dai pubblici uffici 
e fatti salvi gli effetti della riabilitazione�. 


PARERI DEL COMITATATO CONSULTIVO

alle rivendicazioni dell�ex deputato regionale, ritenendo correttamente che non 
si possa contravvenire per via regolamentare n� alle previsioni del codice penale 
(artt. 28 e 29 c.p.) n� ad una interpretazione sistematica delle norme di 
legge presupposte (e riportate in nota): in via interpretativa, ha quindi concluso 
nel senso che la sospensione del vitalizio del deputato regionale trova giustificazione 
in tutti i casi di condanna definitiva per reati contro la p.a., proprio 
in ragione della particolare �qualit�� del bene in interesse tutelato e del reato 
commesso, anche a prescindere dalla misura della pena (come previsione aggiuntiva, 
di tutela e presidio rafforzato dell�incarico elettivo, rispetto alla fattispecie 
della pena accessoria della interdizione in perpetuo dai pubblici uffici 
prevista dal codice penale e legata esclusivamente all�entit� della condanna 
ex art. 29 c.p.) (2). 

La soluzione interpretativa, condivisibile in astratto, pone sul tappeto la 
questione del rapporto tra le diverse fonti normative e, nella specie, del criterio 
risolutivo di prevalenza nell�ipotesi di contrasto tra le previsioni della legge 
(nel caso, sia statale (3) che regionale (4), di contenuto omogeneo) rispetto a 
quelle regolamentari dell�assemblea siciliana. 

Nel caso, tuttavia, la questione pu� pi� agevolmente risolversi sulla scorta 
della immediata applicazione, de plano, della prevalente norma penale e, 
quindi, del regime dettato dagli artt. 28, 2� comma, n. 5 e 29 c.p. 

L�art. 28, 2� comma, n. 5, c.p. prescrive infatti che il soggetto interdetto 
in perpetuo dai pubblici uffici - per effetto di condanna definitiva a pena superiore 
a 5 anni, ex art. 29 c.p. (come nel caso) - venga privato �degli stipendi,
delle pensioni e degli assegni a carico dello Stato o di un altro ente pubblico�. 

Come noto, la Corte Costituzionale ha ridisegnato il perimetro applicativo 
di tale disposizione, dichiarandone l�illegittimit� costituzionale limitatamente 
alla parte in cui privi il condannato della �pensione�, rigorosamente intesa 
come trattamento avente titolo in un rapporto di lavoro (5). 

Nello specifico, la Corte fonda la sua statuizione sulla violazione dei parametri 
offerti dagli artt. 1 e 36, riguardanti appunto il lavoro e la retribuzione, 
chiarendo che il giudizio �non va esteso alle ipotesi relative a trattamenti economici 
non aventi titolo in un rapporto di lavoro� . 

(2) A ulteriore conforto della soluzione interpretativa delineata, il parere richiama - in via sistematica 
- anche le previsioni degli artt. 7 e 8 D.lvo n. 235/2012, che dalla condanna penale per tutta una 
serie di reati contro la p.a. fanno discendere un regime di incandidabilit�, sospensione e/o decadenza 
dalla carica. 
(3) Articolo 2, comma 1, lett. n), del decreto legge 10 ottobre 2012, n. 174, convertito con modificazioni 
dalla legge 7 dicembre 2012, n. 213. 
(4) Art. 11, L.R. n. 1 del 2014. 


(5) Cfr. Corte Cost. 13 gennaio 1966, n. 3, che precisa anche di non voler certo escludere, in via 
assoluta, la possibilit� di una misura del genere anche a carico di trattamenti economici traenti titolo da 
un rapporto di lavoro, purch� qualificata dalla natura del reato e non �collegata puramente e semplicemente 
all�entit� della pena detentiva inflitta, cos� come attualmente dispone l�art. 29�. A tale pronuncia 
� seguita poi Corte Cost. 19 luglio 1968, n. 113, relativamente alle pensioni di guerra. 



A seguito dell�intervento della Corte Costituzionale - e al fine di scongiurare 
eventuali disparit� di trattamento - � stata poi emanata la Legge 8 giugno 
1966, n. 424, secondo cui �Sono abrogate le disposizioni che prevedono,
a seguito di condanna penale o di provvedimento disciplinare, la riduzione ola sospensione del diritto del dipendente dello Stato o di altro Ente pubblicoal conseguimento e al godimento della pensione e di ogni altro assegno odindennit� da liquidarsi in conseguenza della cessazione del rapporto di dipendenza� 
(art. 1, sottolineatura aggiunta), con chiaro riferimento letterale 
alla salvaguardia dei trattamenti pensionistici legati ad un pregresso rapporto 
di pubblico impiego. 

In questi termini, ad avviso della Scrivente, l�art. 28, 2� comma, n. 5 c.p. 
trova piena applicazione rispetto all�assegno vitalizio dei deputati condannati 
penalmente in via definitiva e perci� interdetti in perpetuo dai pubblici uffici, 
rispondendo certamente alla ratio della pena accessoria (tesa alla pi� rigorosa 
tutela del pubblico ufficio) e non rientrando tale trattamento nell�area, costituzionalmente 
protetta, di salvaguardia e di esenzione sopra delineata. 

Il vitalizio dei deputati, infatti - pur potendo assumere connotati di tenore 
previdenziale, avvicinabili al regime delle assicurazioni private - non trova titolo 
in un rapporto di lavoro, come tale costituzionalmente protetto ex artt. 1 
e 36, bens� in un mandato pubblico elettivo, assimilabile per certi versi alle 
funzioni onorarie. 

Al riguardo, sia la Corte Costituzionale che la Suprema Corte di cassazione 
hanno a pi� riprese ribadito e sottolineato tale chiaro tratto distintivo tra 
le pensioni e l�assegno vitalizio ai deputati, fondato appunto sul diverso titolo 
da cui traggono fondamento. 

Nello specifico, il Giudice delle Leggi - trovandosi a valutare la situazione 
di pretesa assimilazione tra i titolari di assegni vitalizi goduti in conseguenza 
della cessazione di determinate cariche e, dall'altro, quelle dei titolari di pensioni 
ordinarie derivanti da rapporti di impiego pubblico - ha avuto modo di 
affermare chiaramente che �tra le due situazioni - nonostante la presenza dialcuni profili di affinit� - non sussiste, infatti, una identit� n� di natura n� diregime giuridico, dal momento che l'assegno vitalizio, a differenza della pensione 
ordinaria, viene a collegarsi ad una indennit� di carica goduta in relazione 
all'esercizio di un mandato pubblico: indennit� che, nei suoi presuppostie nelle sue finalit�, ha sempre assunto, nella disciplina costituzionale e ordinaria, 
connotazioni distinte da quelle proprie della retribuzione connessa alrapporto di pubblico impiego�(6). 

(6) Cfr. Corte Cost. 13 luglio 1994, n. 289, che aggiunge �La diversit� tra assegno vitalizio e 
pensione - pur variando in relazione alla diversa tipologia dei vitalizi previsti dalla legislazione in 
vigore - assume, d'altro canto, un'evidenza particolare in relazione ai vitalizi spettanti ai parlamentari 
cessati dal mandato, dal momento che questo particolare tipo di previdenza ha trovato la sua origine 
in una forma di mutualit� (Casse di previdenza per i deputati ed i senatori istituite nel 1956) che si � 
gradualmente trasformata in una forma di previdenza obbligatoria di carattere pubblicistico, conservando 
peraltro un regime speciale che trova il suo assetto non nella legge, ma in regolamenti interni 
delle Camere (v. il regolamento della previdenza per i deputati, approvato il 30 ottobre 1968, con suc



PARERI DEL COMITATATO CONSULTIVO

Sulla scia dell�orientamento del giudice costituzionale, anche la Suprema 
Corte di cassazione - a pi� riprese e anche di recente - ha ribadito chiaramente 
la netta diversit� sostanziale e giuridica dell�istituto del vitalizio previsto per 
l�eletto ad una pubblica carica rispetto al trattamento previdenziale o pensionistico 
conseguente ad un rapporto di lavoro, atteso che �l�eletto ad una pubblica 
carica non ha certamente un rapporto di lavoro con l�ente cherappresenta�, cosicch� �l�assegno vitalizio, a differenza della pensione ordinaria, 
viene a ricollegarsi ad una indennit� di carica goduta in virt� di unmandato pubblico, con caratteri, criteri e finalit� ben diverse da quelle propriedella retribuzione connessa ad un rapporto di lavoro� (7). 

In questi termini, dunque, ad avviso della Scrivente, la perdita dell�assegno 
vitalizio a favore del deputato regionale condannato in via definitiva ad 
una pena superiore ai 5 anni (come nel caso), trova immediato fondamento 
negli artt. 28, 2� comma, n. 5 e 29 c.p., rappresentando l�effetto automatico 
ex lege della pena accessoria della interdizione in perpetuo dai pubblici uffici 
comminata in sede penale. 

La questione � stata portata all�esame del Comitato Consultivo dell�Avvocatura 
dello Stato, che - nella seduta del 17 ottobre 2014 - ha deliberato in 
conformit�. 

cessive modificazioni, ed il regolamento per la previdenza ed assistenza ai senatori e loro familiari, approvato 
il 23 ottobre 1968, con successive modificazioni). 
L'evoluzione che, nel corso del tempo, ha caratterizzato questa particolare forma di previdenza ha condotto 
anche a configurare l'assegno vitalizio - secondo quanto � emerso dai dati acquisiti presso la Presidenza 
delle due Camere - come istituto che, nella sua disciplina positiva, ha recepito, in parte, aspetti 
riconducibili al modello pensionistico e, in parte, profili tipici del regime delle assicurazioni private. 
Con una tendenza che di recente ha accentuato l'assimilazione del regime dei contributi a carico dei 
deputati e dei senatori a quello proprio dei premi assicurativi (v., in particolare, la delibera dell'Ufficio 
di Presidenza della Camera dei Deputati n. 61/93 e del Consiglio di presidenza del Senato n. 44/93, 
dove si stabilisce, a fini fiscali, di includere i contributi stessi nella base imponibile dell'indennit� parlamentare 
"in analogia ai premi assicurativi destinati a costituire le rendite vitalizie"). 

(7) Cfr. Cass. 20 giugno 2012, n. 10177, nonch� Cass. 24 novembre 2010, n. 23793 e Cass. 1 ottobre 
2010, n. 20538; da ultimo, sui deputati dell�Assemblea regionale siciliana, seppure a diversi fini, 
Cass. 20 marzo 2014, n. 6557, che ribadisce come l�indennit� di carica non possa in alcun modo assimilarsi 
alla retribuzione connessa a rapporto di pubblico impiego. 


Modalit� attuative di intervento per la bonifica e rivitalizzazione 
della c.d. �Terra dei Fuochi�: la disciplina per i controlli antimafia 

PARERE 10/12/2014-525465, AL 44024/14, SEZ. IV, AVV. MARIO ANTONIO SCINO 

Inquadramento normativo 

Il d.l. 10 dicembre 2013, n. 136, convertito dalla L. 6 febbraio 2014, n. 6, 
contiene disposizioni urgenti dirette a fronteggiare emergenze ambientali e industriali 
e a favorire lo sviluppo delle aree interessate. 

In particolare, gli articoli da 1 a 3 del predetto decreto disciplinano il programma 
straordinario di iniziative finalizzate alla bonifica dei siti nei terreni 
della regione Campania (cosiddetta �Terra dei fuochi�). 

In ragione della delicatezza di tali interventi, anche in considerazione del 
contesto ambientale in cui gli stessi si andranno a collocare, l�art. 2-bis del citato 
d.l. ha delineato un sistema di controlli rafforzato, dal punto di vista antimafia, 
in analogia a quanto gi� sperimentato, in occasione di vicende di 
analoga delicatezza quali l�EXPO 2015 e la ricostruzione post-sisma in 
Abruzzo e in Emilia Romagna. 

Nello specifico, il comma 5 del predetto art. 2-bis dispone che �I controlli 
antimafia sui contratti pubblici e sui successivi subappalti e subcontratti aventi 
ad oggetto lavori, servizi e forniture sono altres� effettuati con l'osservanza 
delle linee guida indicate dal Comitato di coordinamento per l'alta sorveglianza 
delle grandi opere, anche in deroga a quanto previsto dal codice delle 
leggi antimafia e delle misure di prevenzione, di cui al decreto legislativo 6 
settembre 2011, n. 159�. 

Il successivo comma 6 prevede, inoltre, che �Per l'efficacia dei controlli 
antimafia nei contratti pubblici e nei successivi subappalti e subcontratti 
aventi ad oggetto lavori, servizi e forniture e nelle erogazioni e concessioni 
di provvidenze pubbliche � prevista la tracciabilit� dei relativi flussi finanziari. 
Con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta dei Ministri 
dell'interno, della giustizia, dell'ambiente e della tutela del territorio e del 
mare, delle politiche agricole alimentari e forestali e dell'economia e delle finanze, 
da adottare entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della 
legge di conversione del presente decreto, sono definite le modalit� attuative 
del presente comma ed � prevista la costituzione, presso la prefettura-ufficio 
territoriale del Governo di Napoli, di elenchi di fornitori e prestatori di servizi, 
non soggetti a rischio di inquinamento mafioso, ai quali possono rivolgersi 
gli esecutori dei lavori oggetto del presente articolo. Il Governo presenta alle 
Camere una relazione annuale concernente l'attuazione del presente comma�. 

Lo stesso art. 2-bis, nei commi da 1 a 4, prevede, in analogia a quanto 
gi� sperimentato per le esperienze di EXPO e della ricostruzione in Abruzzo, 
una strumentazione rafforzata, sul piano ordinamentale, assegnando un ruolo 


PARERI DEL COMITATATO CONSULTIVO

di indirizzo e coordinamento al Prefetto di Napoli, quale Prefetto del capoluogo 
della regione Campania, di tutte le attivit� finalizzate alla prevenzione 
delle infiltrazioni della criminalit� organizzata nell�affidamento e nell�esecuzione 
dei contratti per la bonifica delle aree inquinate. 

In particolare, per lo svolgimento di tali compiti, il Prefetto potr� avvalersi 
di una Sezione specializzata del Comitato di Coordinamento per l�Alta Sorveglianza 
delle Grandi Opere, istituita presso quella Prefettura-UTG, nonch� 
di un Organismo info-investigativo, istituito presso il Dipartimento della Pubblica 
Sicurezza del Ministero dell�Interno. 

Alla luce del quadro normativo delineato, appare evidente l�intento del 
Legislatore di mettere in campo un sistema di presidi, nel campo della prevenzione 
antimafia, demandandone la puntuale definizione al Comitato di Coordinamento 
che opera presso il Ministero dell�Interno, calibrati sulla specificit� 
del rischio connesso alla tipologia degli interventi che si andranno a realizzare 
su quei territori e, di conseguenza, alla categoria degli operatori economici 
che saranno interessati alle operazioni di risanamento del territorio. 

Al fine di dare attuazione alle dette disposizioni, il sopra richiamato Comitato 
di Coordinamento ha predisposto uno schema di Linee guida, che dovranno 
essere emanate in ossequio a quanto previsto dall�art. 2-bis, comma 5, 
cit., richiedendo altres� parere a questa Avvocatura in merito a taluni aspetti. 

I quesiti 

Nell�ambito degli interventi da attuare per la bonifica e la rivitalizzazione 
della c.d. �Terra dei Fuochi� (di cui al d.l. 10 dicembre 2013 n. 136, conv. 
con modificazioni dalla L. 6 febbraio 2014 n. 6), ricostruita la ratio legis ed il 
contesto di cui all�art. 2-bis del citato d.l., che dispone nuove modalit� attuative 
delle vigenti misure di prevenzione antimafia, � chiesto parere, in sintesi, in 
ordine a due profili, che possono cos� essere riassunti, senza con ci� voler semplificare 
la complessit� e pregio delle questioni esposte e argomentate nella 
formulazione del quesito: 

1. il primo, se il comma 5 del citato art. 2-bis debba essere interpretato nel 
senso che i controlli effettuati secondo le Linee guida del CCASGO possano 
essere eseguiti derogando solo a quanto previsto dal Codice di cui al d.lgs. 6 
settembre 2011 n. 159 (secondo una interpretazione restrittiva della norma), ovvero 
derogando non solo a quanto previsto dal detto Codice ma anche ad altre 
fonti (secondo una interpretazione finalistica della norma e della sua ratio legis, 
quest�ultima propugnata dal Ministero richiedente il quesito); in tale seconda 
ipotesi, ad avviso del richiedente Ministero, le Linee Guida potrebbero �legittimamente 
prevedere il ricorso a strumenti di controllo contemplati da fonti diverse 
dallo stesso D.Lgs. n. 159/2011, purch� nel rispetto dei principi desumibili 
dallo stesso art. 2-bis, della sua ratio ispiratrice (rafforzamento della prevenzione 
delle infiltrazioni criminali) e dei limiti imposti alla riserva di legge�; 



2. il secondo, analogamente all�esperienza �post sisma� in Abruzzo 
(Linee Guida pubblicate in G.U. 12 agosto 2010 n. 186) prima della adozione 
delle misure attuative della c.d. Legge Severino (L. n. 190/2012) con DPCM 
18 aprile 2013, se nelle more del DPCM di cui al comma 6 d.l. cit. di istituzione 
degli elenchi di prestatori e fornitori di servizi non soggetti a rischio di 
inquinamento mafioso, possano essere utilmente impiegati nella prevenzione 
delle infiltrazioni della criminalit� organizzata nell�affidamento ed esecuzione 
di contratti pubblici, erogazioni e concessioni di provvidenze pubbliche connessi 
alle attivit� di monitoraggio e di bonifica delle aree inquinate, istituti e 
strumenti gi� contemplati dall�ordinamento giuridico, quale, ad esempio, 
quello di cui all�art. 95 del d.lgs. n. 159/2011 (recante �disposizioni relative 
ai contratti pubblici� con previsione di specifici poteri e facolt� in capo al 
Prefetto della provincia interessata), con conseguente possibilit� di attivazione 
di un sistema di white list �pi� rigoroso rispetto a quello generale previsto 
dall�art. 1, comma 52, della legge n. 190/2012 [�] che sar� assorbito dagli 
elenchi da istituirsi sulla base dell�emanando decreto presidenziale�. 


Con la conseguente possibilit�, ad avviso del richiedente Ministero, di: 

-estendere l�indice delle attivit� considerate ��maggiormente esposte 
a rischio di infiltrazione mafiosa�� di cui all�art. 1, comma 53, L.n. 
190/2012, decalogo che pare assumere valenza ricognitiva e quindi non tassativa 
ed esaustiva; 

-considerare obbligatoria, e non gi� facoltativa, l�iscrizione nell�elenco 
ai fini dell�aggiudicazione del contratto o autorizzazione al subappalto, sicch� 
gli operatori economici ��ove intendano contrattare con la pubblica amministrazione 
sono tenuti a richiedere l�ammissione nella white list�; 

-fornire al Prefetto un indirizzo volto a declinare, nell�ambito della propria 
sfera di valutazione discrezionale, le previsioni degli artt. 84, comma 4, 
lett. d) e 91, comma 6, del d.lgs. n. 159/2011 onde poter ��desumere l�esistenza 
di tentativi di infiltrazione da situazioni, per cos� dire, non tipizzate�. 

Considerazioni 

Ci� premesso, appare alquanto evidente, anche sulla base del complesso sistema 
di riferimento (quale gi� delineato dall�art. 1 della L. 6 novembre 2012 n. 
190, nonch� dal DPCM 18 aprile 2013) e degli obiettivi comunque perseguiti con 
il d.l. n. 136 cit., reso necessario per fronteggiare una situazione connotata da elementi 
di eccezionale gravit� e pericolosit� per la salute e sicurezza dell�uomo, 
che il comma 5 dell�art. 2-bis cit. non possa essere applicato se non secondo la 
prospettazione di codesta Amministrazione, quanto alle finalit� perseguite. 

Invero il comma 5 dell�art. 2-bis del d.l. 10 dicembre 2013, n. 136 - aggiunto 
dalla legge di conversione 6 febbraio 2014, n. 6 - detta - demandandola 
alle linee guida indicate dal CCASGO - la disciplina speciale dei controlli antimafia: 



PARERI DEL COMITATATO CONSULTIVO

a) sui contratti pubblici - principali e derivati - aventi ad oggetto lavori, 
servizi e forniture connessi alle attivit� di monitoraggio e bonifica delle aree 
inquinate della Campania nonch� 

b) sulle erogazioni e concessioni di provvidenze pubbliche ai medesimi 
fini e nel medesimo territorio. 

Come, infatti, emerge anche dai lavori preparatori, nell�intento del legislatore 
tale disciplina speciale deve ritenersi derogatoria e tendenzialmente 
pi� stringente e rigorosa �anche� - ma non solo - rispetto alla disciplina generale 
dei controlli antimafia di cui al d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159 avuto riguardo 
al contesto - territoriale, economico e sociale - e all�oggetto specifico 

-mappatura e bonifica aree inquinate - degli interventi. Il comma 5 dell�art. 
2-bis del d.l. n. 136/2013 non deve essere necessariamente letto in connessione 
con il successivo comma 6 posto che le due disposizioni hanno oggetti e funzioni 
diverse. 

Il comma 5 disciplina, a mezzo delle linee guida indicate dal CCASGO, 
le modalit� di esercizio - in senso, diverso, derogatorio e (tendenzialmente) pi� 
stringente e rigoroso - dei controlli di antimafia relativamente ai contratti pubblici 
- principali e derivati - aventi ad oggetto lavori, servizi e forniture connessi 
alle attivit� di monitoraggio e bonifica delle aree inquinate della Campania. 

Il comma 6, invece, impone, relativamente a tali contratti, da un lato, la 
tracciabilit� dei relativi flussi finanziari e dall�altro, rimette ad un d.P.C.M. 
�le modalit� attuative del presente comma� - e non del comma precedente - e 
la costituzione, presso la prefettura-U.T.G. di Napoli, di elenchi di fornitori e 
prestatori di servizi non soggetti a rischio di inquinamento mafioso, �ai quali 
possono rivolgersi gli esecutori dei lavori� . 

Le white list di cui alle linee guida sono dunque, al pari delle white list 
di cui al futuro d.P.C.M. e non dissimilmente, del resto, dalle white list previste 
da altre disposizioni e, segnatamente, dall�art. 1, comma 52, della l. n. 
190/2012, null�altro che strumenti sostitutivi, in un�ottica di semplificazione 
amministrativa, degli ordinari controlli antimafia nel senso che l�iscrizione 
nell�elenco �tiene luogo - esonerandone, l�Amministrazione preposta e l�operatore 
economico interessato - della comunicazione e dell�informazione antimafia 
liberatoria anche ai fini della stipula, approvazione o autorizzazione di 
contratti o subcontratti relativi ad attivit� diverse da quelle per le quali essa � 
stata disposta�, come appunto recita il comma 52-bis dell�art. 1 della citata l. 

n. 190/2012. 

La differenza tra la white list del comma 5 dell�art. 2-bis del d.l. n. 
136/2013 e le altre risiede nel fatto che la prima � speciale, perch� riguarda 
solo i contratti pubblici e i successivi subappalti e subcontratti relativi agli interventi 
di cui al comma 1 dell�art. 2-bis e pu� essere pi� restrittiva, ed anche 
derogatoria, quanto ai requisiti di iscrizione, rispetto alle �normali� white list. 


Soluzioni proposte 

Si condivide, quindi, quanto ritenuto da codesta Amministrazione in ordine 
alla natura non tassativa dell�elenco delle attivit� a rischio di cui all�art. 
1, comma 53, L. n. 190/2012, non risultando preclusa la facolt�, stanti le finalit� 
preventive, di individuare nuove e diverse aree di attivit� a rischio, anche 
come si ricava dal successivo comma 54 che indica altres� la procedura di periodico 
aggiornamento, in relazione all�evoluzione, sul piano temporale rispetto 
alla citata L. n. 190 cit., delle dinamiche economiche e sociali, e quindi 
anche rilevanti ai fini della lotta alla criminalit�; in tal caso, gli atti adottati ai 
sensi dei commi 5 e 6 dell�art. 2-bis cit. dovranno avere cura di evidenziare la 
specialit� che giustifica il procedimento alternativo per l�aggiornamento delle 
liste, secondo i comuni canoni ermeneutici della successione delle leggi nel 
tempo. 

Analogamente, deve ritenersi condivisibile la possibilit� di rendere obbligatoria 
tale iscrizione, e non meramente facoltativa, avendosi cura, da parte 
delle Stazioni appaltanti, di precisare negli atti di gara, ivi comprese le informazioni 
complementari, tale circostanza e ci� al fine di dare compiuta conoscenza 
dei vincoli nascenti a carico degli operatori economici, con riguardo 
alla capacit� giuridica a contrarre. 

Pur condividendosi infine la necessit� che sul piano operativo il Prefetto 
possa desumere l�esistenza di tentativi di infiltrazione da situazioni, che non 
appaiono per� del tutto generiche, e da elementi e circostanze ulteriori rispetto 
a quelli indicati dagli artt. 84, comma 4, lett. d) del d.lgs. n. 159/2011, si sottolinea 
che le previsioni che dovranno declinare la conseguente azione prefettizia 
dovranno essere attentamente valutate alla luce del Codice Antimafia, 
anche in relazione alle modifiche introdotte dal Decreto legislativo correttivo 
(D.lgs. n. 153 del 2014), e della normativa concernente in generale le misure 
amministrative di prevenzione antimafia, come interpretata dalla consolidata 
giurisprudenza del Giudice amministrativo il cui sindacato � orientato alla 
stregua della sistematicit� del quadro indiziario qualificato, quale presupposto 
fondante delle misure di prevenzione in esame. 

In tale contesto si richiama l�attenzione, al riguardo, soprattutto con particolare 
riferimento alla prospettata rilevanza sintomatica delle condanne anche 
non definitive per le contravvenzioni previste per la materia ambientale, e si 
evidenzia l�opportunit� che tali condanne siano suffragate da ulteriori elementi 
sintomatici e risultino collegate funzionalmente ad una modalit� di gestione 
dei rifiuti ed alla considerazione degli interessi ambientali non consona all�attivit� 
per cui si richiede l�iscrizione. 


PARERI DEL COMITATATO CONSULTIVO

Sull�attivit� di riscossione del prelievo supplementare 
previsto dal regime delle c.d. �quote latte� (*) 

PARERE 11/12/2014-527672/3/4, AL 43062/14, SEZ. V, AVV. MARINA RUSSO 

Con la nota in riferimento, codesto Comando Generale sottopone alla 
Scrivente un articolato quesito, inerente la collaborazione di cui all�oggetto. 

In particolare, si chiede di conoscere l�avviso della Scrivente sulle seguenti 
questioni: 

1. Se, a mente dell�art. 8-quinquies comma 10-bis del D.L. 5/09, l�Agea 
sia obbligata ad avvalersi della Guardia di Finanza per lo svolgimento delle 
attivit� di riscossione del prelievo supplementare previsto dal regime delle c.d. 
�quote latte�; 
2. Se Agea possa fare ricorso, per le suddette attivit�, a soggetti esterni 
abilitati, ai sensi del D.M. 12 febbraio 2012; 
3. Se rientri fra le facolt� di Agea, quale agente della riscossione, provvedere 
autonomamente alla notifica delle cartelle di pagamento mediante raccomandata 
a.r. secondo quanto previsto dall�art. 26 comma 1 secondo periodo 
del D.P.R. 602/1973; 
4. Se gli appartenenti alla Guardia di Finanza quali ufficiali della riscossione, 
possano eseguire le notifiche delle cartelle di pagamento a mezzo posta, 
ai sensi dell�art. 26 comma 1 secondo periodo del D.P.R. 602/1973; 
5. Se l�art. 8-quinquies del D.L. 5/09 sia costituzionalmente illegittimo 
sotto il profilo della copertura finanziaria; 
6. Se lo stesso art. 8-quinquies commi 10-bis e 10-ter del D.L. 5/2009 cit. 
sia compatibile con le previsioni vigenti in materia di abilitazione ed autorizzazione 
all�esercizio delle potest� di ufficiale della riscossione, segnatamente 
con il combinato disposto dell�art. 42 D.lgs 112/1999 e del D.P.R. 402/00. 


��� 
Preliminarmente la Scrivente segnala a tutte le amministrazioni in indirizzo 
che la questione proposta, come � noto, si connette inscindibilmente con 

(*) Il parere � stato redatto a margine della legge di stabilit� 2015 (L. 23 dicembre 2014, n. 190) che ha 
apportato modifiche ai commi 10-bis e 10-ter dell�art. 8 quinquies, D.L. 5/09: 

10-bis �La notificazione della cartella di pagamento prevista dall�articolo 25 del decreto del Presidente 
della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602, e successive modificazioni, e ogni altra attivit� contemplata 
dal titolo II del medesimo decreto del Presidente della Repubblica n. 602 del 1973, e successive modificazioni, 
sono effettatue dall�AGEA, che a tal fine si avvale delle societ� del gruppo Equitalia ovvero 
del Corpo della guardia di finanza. Il personale di quest�ultimo esercita le funzioni demandate dalla 
legge agli ufficiali della riscossione� 

10-ter �Le procedure di riscossione coattiva sospese ai sensi del comma 2 sono proseguite, sempre avvalendosi 
delle societ� del gruppo Equitalia ovvero del Corpo della guardia di finanza, dalla stessa 
AGEA, che resta surrogata negli atti esecutivi eventualmente gi� avvviati dall�agente della riscossione 
e nei cui confronti le garanzie gi� attivate mantengono validit� e grado� 


una procedura di infrazione ormai pervenuta al parere motivato che sembra 
preludere ad un contenzioso avanti alla Corte di giustizia UE potenzialmente 
foriero, a danno dell�Italia, di una elevatissima condanna a titolo di sanzione 
forfetaria e di penalit� di mora. 

Nell�ambito di detta procedura, la Commissione non ha mancato di stigmatizzare, 
tra l�altro, �� la legislazione confusa e fortemente influenzata dalle 
iniziative dei produttori, ha generato una mole straordinaria di contenzioso, 
che ha di fatto inibito l�azione dell�Amministrazione nel perseguire rimedi efficaci 
per ingiungere il pagamento del prelievo �� �Le autorit� italiane sono 
state attive nel corso degli anni nell�introdurre nuove disposizioni che spesso 
sortivano il solo effetto di moltiplicare le procedure di recupero, e quindi le 
possibilit� di opposizione o differimento dei versamenti�; �Come anche rilevato 
dalla Corte dei Conti italiana nella relazione 11/2013/G del 5 Dicembre 
2013 a seguito delle modifiche della legge 228/2012, nelle more della stipula 
della convenzione si � verificato un nuovo stallo nei recuperi �� �� il quadro 
legislativo permane oscuro e questo comporta ritardi ed ostacoli - a volte insormontabili 
- per la sua efficace attuazione� (punti 53 e 55 del parere motivato 
ex art. 258 TFUE). 

� quindi indispensabile che tutte le articolazioni dello Stato agiscano con 
il massimo spirito di collaborazione nell�interpretare e applicare le norme che 
si vanno a commentare. 

In considerazione di ci�, � necessario che si proceda senza indugio alle 
notifiche necessarie ai fini della riscossione del prelievo in oggetto, incombente 
al quale - come si dir� meglio nel prosieguo - il Corpo della Guardia di 
Finanza, quando richiestone da Agea, dovr� senz�altro procedere, potendo a 
tal fine utilizzare tutte le modalit� di notifica consentite dalla legge ai sensi 
del combinato disposto degli artt. 26 comma 6 D.P.R. 602/1973 e 60 del D.P.R. 
600/1972 (quindi applicando le norme stabilite dagli artt. 137 ss. c.p.c., salve 
le modifiche di cui all�art. 60 ultimo cit..) nonch� la notifica a mezzo raccomandata 
a.r. ai sensi dell�art. 26 comma 1 secondo periodo D.P.R. 602/1973, 
salvo quanto si dir� al punto B.4. 

Essendo - peraltro - evidente la finalit� di rafforzamento dell�efficacia 
delle procedure di notificazione sottesa all�intervento legislativo che ha previsto 
la facolt� di avvalimento di un corpo militare quale la Guardia di Finanza, 
il ricorso alla notifica direttamente operata dal personale del Corpo, oltre ad 
apparire in linea di massima preferibile in termini di certezza del risultato, si 
imporr� comunque in tutti i casi in cui l�utilizzo di forme diverse prospetti un 
esito incerto, nonch� quando - all�atto pratico - il tentativo di consegna del-
l�atto al destinatario abbia incontrato resistenza e non sia andato a buon fine. 

��� 
Tutto quanto sopra premesso, si ricorda che su parte dell�articolato quesito 
sopra sintetizzato (in particolare, sulla questione sub 1), la Scrivente � gi� stata 


PARERI DEL COMITATATO CONSULTIVO

chiamata ad esprimersi da Agea, ed ha riscontrato tale richiesta con la nota n. 
434191 del 31 ottobre 2013, sulla base della quale la stessa Agea ha adottato 
l�interpretazione restrittiva cui l�Amministrazione in indirizzo fa riferimento 
nella nota a margine. 

In quell�occasione, � stato osservato: �Per quanto infine attiene alla notifica 
degli atti della riscossione, essa � attivit� che spetterebbe all�ufficiale 
della riscossione (art.26 DPR 602/1973) o ad altri soggetti abilitati dal-
l�agente della riscossione (con facolt� di questi, prevista dall�art. 45 del d.lgs. 
112/1999, di avvalersi di messi notificatori). Ora, il tassativo disposto dell�art. 
8 quinquies che impone a codesta Agenzia di avvalersi del Corpo della Guardia 
di Finanza per la notifica delle cartelle di pagamento, senza apparente 
possibile alternativa, e che attribuisce per ci� alla Guardia di Finanza la qualifica 
di ufficiale della riscossione, non sembra consentire modalit� di notifica 
diverse da quella espressamente prevista. Onde appare prudente, per non legittimare 
contestazioni appuntate su aspetti formali capaci di paralizzare l�attivit� 
di riscossione, intendere la norma come cogente sul punto�. 

Come esposto nella nota sopra citata, alla luce del tenore testuale della 
norma, si � ritenuto insomma di suggerire, a prevenzione di prevedibili contestazioni, 
l�opzione che privilegia una lettura di tipo formalistico. 

Ci� tanto pi� che una proliferazione di contenziosi basati su contestazioni 
formali sarebbe assolutamente controproducente ai fini della difesa del Governo 
italiano nella procedura di infrazione 2013/2092 promossa dalla Commissione 
europea per il �mancato rispetto degli obblighi di porre in essere 
quanto necessario per garantire l�effettiva ripartizione del prelievo sulle eccedenze 
nei confronti dei produttori obbligati e al suo pagamento ai sensi 
degli articoli 66 (2), 79, 80 ed 83 del regolamento unico OCM (Regolamento 
(CE) 1234/2007), e degli articoli da 15 a 17 del Regolamento (CE) n. 
595/2004 e delle disposizioni previgenti aventi analogo contenuto�. 

��� 
Ci� premesso, e fermo restando l�avviso come sopra manifestato, si osserva 
quanto segue. 

A) Si prendono le mosse dal quesito 1, e si osserva innanzi tutto che se, da 
un lato - le peculiari competenze della Guardia di Finanza in materia di polizia 
economico- finanziaria comportano, come del resto riconosciuto nella stessa 
nota che si riscontra, che Agea possa ricorrere all��avvalimento� ai fini della ricostruzione 
del profilo patrimoniale del debitore - non sembra, d�altra parte, almeno 
ragionando de iure condito, che la collaborazione della Guardia di Finanza 
debba intendersi limitata a tale attivit�: l�attivit� di notificazione delle cartelle, 
che il citato comma 10-bis affida alla Guardia di Finanza, non � infatti preclusa 
dalla pure prospettata illegittimit� costituzionale della norma, che codesto Comando 
argomenta sulla base del difetto di copertura finanziaria per un�attivit� i 
cui costi - in quanto estranea ai compiti tipici della Guardia di Finanza - non po



trebbero essere fronteggiati con l�ordinaria dotazione finanziaria dell�Istituto. 

Premesso che l�eventuale illegittimit� costituzionale di una norma - fino a 
che la stessa non sia accertata nell�unica sede competente, costituita dal giudizio 
di costituzionalit� - non esime comunque dalla relativa osservanza, va altres� 
rilevato come (e con ci� si evade, incidentalmente, il quesito sub 5), le funzioni 
di ufficiale della riscossione descritte all�art. 8-quinquies comma 10-bis cit., e 
particolarmente, l�attivit� di notificazione di cui alla norma stessa - oltre a presentare 
affinit�, con specifico riferimento all�attivit� di notifica - a compiti normalmente 
inerenti le funzioni di polizia giudiziaria - non paiano comunque 
estranee ai compiti istituzionali della Guardia di Finanza per come definiti dal 
D.lgs. 68/2001 recante �Adeguamento dei compiti della Guardia di Finanza�: 
quest�ultimo prevede (art. 2 comma 1) che tale Corpo assolva �le funzioni di 
polizia economica e finanziaria a tutela del bilancio pubblico, delle regioni, 
degli enti locali e dell�Unione Europea�; fa salvi i compiti previsti dall�art. 1 
della l. 189/1959, ove si prevede che la Guardia di Finanza abbia, tra l�altro, il 
compito di �vigilare, nei limiti stabiliti dalle singole leggi, sull�osservanza di 
disposizioni di interesse politico ed economico� (quali sono le norme in materia 
di �quote latte�), e di eseguire �gli altri servizi � di tutela per i quali sia dalla 
legge richiesto il suo intervento�; attribuisce (art. 2 comma 2 lett. m), �compiti 
di prevenzione, ricerca e repressione delle violazioni in materia di ... ogni altro 
interesse economico finanziario nazionale o dell�Unione Europea�. 

In considerazione di quanto sopra, non pare possa dubitarsi del fatto che 
Agea possa valersi, per il compimento delle notifiche in oggetto, della Guardia 
di Finanza, n� del fatto che quest�ultima sia legittimata ed anzi tenuta a svolgerle, 
sembrando altres� superabile il dubbio dell�Amministrazione in indirizzo 
circa la possibile incompatibilit� (quesito sub 6) delle previsioni di cui all�art. 
8-quinquies cit. con quelle vigenti in materia di abilitazione ed autorizzazione 
all�esercizio delle funzioni di ufficiale della riscossione, segnatamente con il 
combinato disposto dell�art. 42 D.lgs 112/1999 e del D.P.R. 402/00. Le due 
discipline invero non paiono in contrasto, stante il carattere di specialit� - rispetto 
al regime generale disciplinato dalle due normative da ultimo citate della 
norma di cui all�art. 8-quinquies cit., che vale quale abilitazione ex lege. 

B)Si viene, ora, alla trattazione dei quesiti 2, 3 e 4 che si ritiene possano 
essere esaminati congiuntamente per via della stretta connessione dei profili 
che vi ineriscono. 

B.1) I quesiti con cui si chiede se Agea, per il compimento delle attivit� 
di notificazione in questione, possa valersi di soggetti individuati ai sensi del 

D.M. 12. novembre 2012, o della notifica a mezzo posta di cui all�art. 26 
comma 1 secondo periodo del D.P.R. 602/73 sulla base dell�interpretazione da-
tane dalla giurisprudenza di legittimit� segnalata da codesta Amministrazione, 
si fondano sull�assunto che - anche a prescindere dalle competenze che l�art. 
8-quinquies cit. attribuisce alla Guardia di Finanza - l�attuale contesto norma



PARERI DEL COMITATATO CONSULTIVO

tivo autorizzi a ravvisare in capo ad Agea una residua competenza, di analogo 
contenuto (magari solo in via concorrente con quella della Guardia di Finanza). 

Tale competenza troverebbe, secondo il Comando in indirizzo, indiretta 
conferma nella previsione, di cui all�art. 8-quinquies comma 10-bis D.L. 5/09, 
secondo la quale Agea �si avvale� della Guardia di Finanza: la norma non determinerebbe 
la sottrazione - nei confronti della stessa Agea - della titolarit� 
della funzione che le � propria, ma solo l�affiancamento, nell�espletamento di 
determinate attivit�, di un altro soggetto, avente precise competenze e strumenti 
(nella specie, la Guardia di Finanza). 

B.2) Ci� premesso, si osserva che il tenore testuale dell�art. 8-quinquies 
comma 10-bis cit. � comunque ben chiaro nel prevedere espressamente che 
Agea �... a tal fine ... si avvale del Corpo della Guardia di Finanza�. 

Ebbene, pur se - in astratto - potrebbe non essere irragionevole teorizzare 
la persistenza di una concorrente legittimazione di Agea al compimento delle 
notifiche in particolare al fine di interrompere i termini prescrizionali con i 
mezzi ritenuti pi� idonei, sulla base degli argomenti richiamati al punto che 
precede, tuttavia il summenzionato, inequivocabile dato testuale rimane dirimente 
(anche nella sopra descritta ottica di prevenzione del contenzioso) nel 
senso di indurre ad individuare nel Corpo della Guardia di Finanza il soggetto 
legittimato ad effettuare le notifiche in questione, senza margini che gli consentano 
di declinare l�incarico affidatogli da AGEA. 

B.3) Quanto, poi, alla pure prospettata possibilit� che Agea si valga, per 
la suddetta attivit� di notifica, di soggetti individuati ai sensi del D.M. 12 novembre 
2012, si osserva che il sistema delineato da quest�ultimo appare incompatibile 
con (e, come tale, deve considerarsi implicitamente abrogato da) 
quello disciplinato dall�art. 8-quinquies commi 10 e 10-bis del D.L. 5/2009 
cit., come aggiunti dall�art. 1 comma 525 l. 228 del 24 dicembre 2012. 

B.4) Si viene, infine, alla questione se il personale del Corpo della Guardia 
di Finanza possa ricorrere alla notifica a mezzo raccomandata a.r. ai sensi 
del comma 1 secondo periodo dell�art. 26 D.P.R. 602/1973, ovvero se possa 
farlo direttamente Agea, in forza del principio affermato nella sentenza Cass. 
6395/14, richiamata da codesto Comando (�In tema di riscossione delle imposte, 
la notifica della cartella esattoriale pu� avvenire anche mediante inviodiretto, da parte del concessionario, di lettera raccomandata con avviso di 
ricevimento, in quanto la seconda parte del comma 1 dell'art. 26 del d.P.R. 
29 settembre 1973, n. 602, prevede una modalit� di notifica, integralmenteaffidata al concessionario stesso ed all'ufficiale postale, alternativa rispetto 
a quella della prima parte della medesima disposizione e di competenza esclusiva 
dei soggetti ivi indicati. In tal caso, la notifica si perfeziona con la ricezione 
del destinatario, alla data risultante dall'avviso di ricevimento, senza 
necessit� di un'apposita relata, visto che � l'ufficiale postale a garantirne, nel 
menzionato avviso, l'esecuzione effettuata su istanza del soggetto legittimato 


e l'effettiva coincidenza tra destinatario e consegnatario della cartella, come 
confermato implicitamente dal penultimo comma del citato art. 26, secondo 
cui il concessionario � obbligato a conservare per cinque anni la matrice o la 
copia della cartella con la relazione dell'avvenuta notificazione o con l'avviso 
di ricevimento, in ragione della forma di notificazione prescelta, al fine di esibirla 
su richiesta del contribuente o dell'amministrazione� - in senso analogo, 
si veda anche 14327/2009). 

La giurisprudenza di cui sopra potrebbe prestarsi a sostenere ragionevolmente 
che il personale della Guardia di Finanza - sia pure mutatis mutandis, 
in quanto esso non � concessionario, bens� ufficiale per la riscossione - possa, 
per eadem ratio, accedere a tale modalit� di notifica la quale - peraltro - � plausibile 
che gli sia consentita anche alla luce dei principi generali di cui all�art. 
26 comma 6 D.P.R. 602/1973. 

Minor peso potrebbero avere, in contrario, le obiezioni secondo cui: 

� l�argomento su cui si fonda il principio affermato dalla citata giurisprudenza 
fa riferimento allo stesso art. 26 D.P.R. 602 cit., che obbliga proprio �il 
concessionario� (e non altri) a conservare per cinque anni l�avviso di ricevimento; 
� la Corte definisce la notifica postale come �modalit� ... [che] ... resta 
del tutto affidata al concessionario stesso�; 


Del resto, nel momento in cui il legislatore demanda con l�art. 8-quinquies 
comma 10-bis D.L. 5/2009 all�Agea e, per avvalimento, alla Guardia di Finanza, 
il compito di effettuare �la notificazione della cartella di pagamento 
prevista dall�articolo 25 del Decreto del Presidente della Repubblica del 29 
settembre 1973 n. 602, e successive modificazioni, �� parrebbe in tal modo 
autorizzare la Guardia di Finanza anche a ricorrere alla notifica postale consentita 
al concessionario dalle richiamate disposizioni del D.P.R 602/1973, e 
vincolarla alla conservazione per cinque anni della matrice o copia della cartella 
con la relazione di notificazione. 

Quanto fin qui detto, peraltro - non essendo il precedente perfettamente 
in termini con la fattispecie oggetto del quesito -non vale ad escludere in radice 
la possibilit� di contestazioni di ordine formale che potrebbero sfociare 
in contenzioso, fermo restando che le notifiche andate a buon fine, ove mai 
fossero ritenute viziate sotto il profilo della forma, potrebbero valere tuttavia 
ai fini dell�interruzione dei termini. 

Quanto, infine, alla possibilit� che sia Agea ad utilizzare la notifica nelle 
forme di cui all�art. 26 comma 1 secondo periodo del D.P.R. 602/1973, la questione 
- in disparte ogni altra considerazione in ordine ai dubbi nascenti dal 
fatto che essa agirebbe direttamente in proprio nome ed interesse, non rivestendo 
alcuna delle qualifiche rilevanti (agente, concessionario o ufficiale della 
riscossione) - appare all�atto pratico superata da quanto esposto al punto B.2). 

Sulla questione � stato sentito il Comitato Consultivo che nella seduta del 
3 dicembre 2014, si � espresso in conformit�. 


legislazione ed attualit�
LEGISLAZIONE ED ATTUALIT� 
La Provincia: ieri ed oggi. Un problema aperto 


Antonio Tallarida* 

SOMMARIO: 1. Introduzione: una storia di annessioni - 2. Il decreto Rattazzi e le leggi 
postunitarie - 3. La svolta autoritaria - 4. L�Assemblea costituente e la Costituzione - 5. Le 
funzioni della Provincia - 6. La riforma del Titolo V e la legge La Loggia - 7. I tentativi di 
riordino - 8. La legge Del Rio e il ddl costituzionale - 9. Conclusioni aperte. 

1. Introduzione: una storia di annessioni. 

La Provincia � un�istituzione ereditata dallo Stato sabaudo, ma che subito 
� stata messa in discussione, stante la diversit� degli ordinamenti vigenti negli 
Stati preunitari e la necessit� di un riordino generale dell�articolazione amministrativa 
e territoriale del nuovo Stato. 

Eppure le province e non gli Stati hanno costituito oggetto di annessione. 

Infatti i decreti commissariali o reali che sancirono l�esito dei plebisciti 
e l�annessione dei territori degli Stati preunitari si esprimevano in termini di 
provincia: cos� il decreto Farini 30 novembre 1859 e il successivo decreto 27 
dicembre 1859 n. 79 decretarono l�appartenenza allo Stato delle Province di 
Modena e Parma; il R.D. 22 marzo 1860 n. 4014 sanc� che �le Province della 
Toscana fanno parte dello Stato a partire dal giorno della data del presente 
decreto�; il R.D. 17 dicembre 1860 decret� l�annessione delle Province delle 
Marche; il R.D. 15 dicembre 1860 n. 240 riun� in unica provincia quelle annesse 
dell�Umbria; il R.D. 4 novembre 1866 n. 3300 stabil� che �le Province 
di Venezia e quella di Mantova fanno parte integrante del Regno d�Italia�; il 

R.D. 15 ottobre 1870 n. 5929 unific� �le cinque Province che componevano 
lo Stato pontificio, ora felicemente restituite alla patria comune�; e cos� via. 

(*) Vice Avvocato Generale dello Stato in quiescenza. 


Si pu� perci� affermare che lo Stato unitario � nato su base provinciale, 
anche perch� allo stesso fu presto esteso l�ordinamento comunale e provinciale 
piemontese articolato in �Provincie, Circondari, Mandamenti e Comuni� (art. 
1, L. 23 ottobre 1859 n. 3702), mentre nelle regioni meridionali la suddivisione 
in 14 province risaliva al decreto Murat del 4 maggio 1811 e come tale era rimasta 
in prosieguo. 

Con il procedere quindi delle annessioni, il nuovo Stato si � venuto organizzando 
in circoscrizioni omogenee a livello provinciale, aggiungendo alle 
originarie province piemontesi e sarde, le sette lombarde, le tre toscane, Parma 
e Modena, le 17 dell�ex Stato Pontificio, le 22 del Regno delle due Sicilie, per 
un totale di 59 all�atto dell�Unit� d�Italia. 

Tale assetto � derivato dalla scelta, in qualche modo necessitata, avvenuta 
�quando nel periodo post-unitario il modello austriaco della disciplina differenziata 
delle autonomie venne scartato a favore del modello franco-piemontese 
della uniformit�, e dunque si scelse di introdurre una disciplina uniforme 
per ogni e qualsivoglia Comune, a prescindere dall�estensione, dalla popolazione, 
dalle risorse, etc.� (1). 

Da allora sono seguiti testi unici comunali e provinciali unitari ed omogenei 
(1865, 1889, 1908, 1915, 1934, 2000), con il risultato che �quello provinciale 
risulta di gran lunga il livello territoriale preferito dal potere politico 
centrale, in quanto pi� omogeneo dal punto di vista del territorio e degli interessi 
che ad esso fanno capo� (2). 

Tuttavia � anche giusto dire che �forse nessun ente territoriale ha subito 
e subisce una sorte tanto paradossale quanto quella che spetta alle province 
italiane. A scadenza pi� o meno regolare, infatti vi � chi propone l�abolizione 
di questo livello istituzionale intermedio ritenuto inutile, titolare di non meglio 
identificati poteri e competenze, presenza superflua posta tra il ben pi� connotato 
e definito Comune e la assai pi� rilevante Regione� per� l�abolizione 
della Provincia non � passaggio da poco� (3). 

Ma andiamo con ordine. 

2. Il decreto Rattazzi e le leggi postunitarie. 

La storia della Provincia italiana comincia con un atto di dubbia legittimit�. 

Lo Statuto Albertino demandava alla legge l�istituzione e i circondari 
delle province e dei comuni (art. 74), ma gi� prima che si compisse formalmente 
l�unit� d�Italia, e ancor prima della Pace di Zurigo che doveva sancire 

(1) G. MANFREDI, Riordino delle provincie, in Riv. dir. pubblico, 2012, n. 9. 

(2) G. PALOMBELLI, L�evoluzione delle circoscrizioni provinciali dall�Unit� d�Italia ad oggi, in 
www.provincia.torino.gov.it 2012. 
(3) F. FABRIZZI, La Provincia: storia istituzionale dell�ente locale pi� discusso, in Federalismi.it 


n. 23/2008. 



LEGISLAZIONE ED ATTUALIT�

la cessione della Lombardia alla Francia e da questa al Regno di Sardegna, fu 
emanato - in forza dei poteri speciali dello stato di guerra - il decreto Rattazzi 
del 23 ottobre 1859 n. 3702, di riordino territoriale del Regno. 

Con tale decreto, furono disegnate le nuove province del Regno individuate 
in: Torino, Cuneo, Novara, Alessandria, Genova, Cagliari, Sassari, Milano, 
Bergamo, Brescia, Como, Pavia, Cremona, Sondrio (ed altre in terra 
oltralpe, poi perdute con la cessione del 24 marzo 1860 alla Francia di Nizza 
e della Savoia: Chambery e Annecy). 

Siffatto ordinamento preunitario venne esteso, insieme alla restante legislazione 
piemontese, al Regno d�Italia, dopo l�unificazione del 1861. 

Andarono infatti a vuoto i tentativi di approvare ed attuare una revisione 
complessiva dell�ordinamento territoriale dello Stato. 

In particolare, il pacchetto di 4 disegni di legge presentato dal Ministro 
Minghetti alla Camera, nel marzo del 1861, volto a introdurre un maggiore e 
pi� ampio decentramento amministrativo, a rivendicare la libert� provinciale 
e a valorizzare i consorzi tra Province, si aren� nelle secche parlamentari per 
l�ostilit� di pi� parti, per cui fu necessario ripiegare su una disposizione transitoria, 
che estendeva a tutto il territorio del Regno il decreto Rattazzi, che fin� 
con il rappresentare la prima legge comunale e provinciale dell�Italia unita 
�sino a che le nuove leggi organiche di ordinamento amministrativo del Regno 
siano approvate e poste in vigore� (Regio decreto 6 luglio 1861). 

Alle province del nuovo Regno, come sopra definite, si vennero aggiungendo 
le nuove province venete, di Mantova, del Friuli-V.G., di Roma e del 
Lazio e cos� via nel tempo. In tutto questo periodo, perci�, il numero delle 
province si � accresciuto per annessione, e cos� avvenne poi anche per Trento, 
Trieste e le province istriane e dalmate. 

La legge di unificazione amministrativa n. 2248 del 1865 segn� la c.d. 
piemontesizzazione dell�ordinamento, mettendo al centro dello stesso il Prefetto, 
coadiuvato da un Consiglio di Prefettura e con un Consiglio Provinciale 
eletto su base mandamentale da un ristretto numero di elettori aventi 
precisi requisiti, generali e specifici (censo e qualit�). Tuttavia al Prefetto 
sfuggivano varie Amministrazioni periferiche statali (istruzione, fiscale, giustizia, 
ecc.) e questo lo contraddistingueva dalla figura di riferimento di origine 
napoleonica. 

Nemmeno l�ascesa della Sinistra al potere (1876) cambi� le cose, nonostante 
che De Pretis gi� nel discorso di insediamento alla Camera avesse preannunciato 
l�intenzione di promuovere una svolta in senso rappresentativo e 
democratico negli organi degli Enti locali. 

Bisogner� attendere la riforma Crispi del 1889 (t.u. com. prov. n. 
5921/1889) perch� fossero introdotti una maggiore autonomia (elettivit� del 
Presidente e del Sindaco) e un allargamento della base elettorale. Nel contempo 
furono rafforzati i controlli, istituendo la GPA e la IV Sezione del Con



siglio di Stato, questa per la tutela degli interessi legittimi rimasti orfani con 
l�abolizione degli organi del contenzioso amministrativo. 

Rimaneva per� ancora forte il divario tra Nord e Sud e nel tentativo di 
superarlo furono approvate varie leggi speciali (come ad es. per Napoli) e si 
cerc� di aggredire l�enorme incremento della spesa pubblica locale. 

Con Giolitti si avr� l�et� dell�oro dei Prefetti, ma anche la municipalizzazione 
dei servizi pubblici e la trasformazione degli enti locali in enti autarchici, 
definizione questa che ci porteremo sino alla Costituzione. 

3. La svolta autoritaria. 

Il fascismo non intese mutare la sorte degli Enti locali, ma aument� i poteri 
di controllo dello Stato, abolendo gli organi elettivi di governo e introducendo 
al loro posto il podest� e una Consulta municipale nei comuni (L. n. 
237 del 1926) e il preside e il Rettorato nelle province (L. n. 2962 del 1928). 

Nel contempo, con d.lgs. n. 1 del 1927, si procedette al primo organico 
�riordinamento delle circoscrizioni provinciali�, istituendo ex novo 17 nuove 
province, sopprimendo Caserta (ricostituita nel 1945) e apportando altre minori 
modifiche, questa volta non per effetto di nuove annessioni, ma dichiaratamente 
per eliminare alcune incongruenze storico-geografiche dell�assetto 
territoriale amministrativo e per meglio ripartire la popolazione e cercare di 
frenarne l�esodo verso le citt�. 

In questo quadro, il t.u. della finanza locale n. 1175 del 1931 doveva fornire 
il necessario supporto di risorse, anche autonome, agli enti locali, mentre 
il nuovo t.u. com. prov. n. 383 del 1934 doveva a sua volta consolidare il meno 
liberale ordinamento comunale e provinciale, segnato da forti poteri centrali di 
controllo, sia di legittimit� che di merito, sugli atti dei comuni e delle province. 

Era logico che alla caduta del Regime, uno dei primi atti fosse quello di 
richiamare in vita le disposizioni sulle istituzioni rappresentative degli E.L., 
contenute nel precedente t.u. com. prov. n. 148 del 1915 (v. d.lgs.lgt. 7 gennaio 
1946 n. 1). 

4. L�Assemblea costituente e la Costituzione. 

Ma la vera partita delle Province era destinata a riaprirsi con l�Assemblea 
Costituente, chiamata a ridisegnare l�assetto istituzionale dello Stato repubblicano. 

Subito infatti riprese vigore la vecchia diatriba sulla natura e sulla utilit� 
delle Province. Nella competente sottocommissione del Comitato dei 75 si 
fronteggiarono le opposte tesi di chi sottolineava l�armonicit� dell�ente provincia 
in tutti i campi (tradizioni, linguaggio, commercio, abitudini di vita, 
ambiente) e additava il pericolo che la sua abolizione favorisse un accentramento 
regionale altrettanto opprimente di quello statale e chi riteneva invece 
che il nuovo ente Regione, organizzato su una unit� territoriale pi� vasta, fosse 
pi� che sufficiente. 


LEGISLAZIONE ED ATTUALIT�

Il 31 gennaio 1947, in plenaria del Comitato, pass� il testo che prevedeva 
che �il territorio della Repubblica � ripartito in Regioni e Comuni. Le Provincie 
sono circoscrizioni amministrative di decentramento regionale�, ma bastarono 
pochi mesi perch� l�Assemblea costituente - sotto la spinta di ragioni storiche 
e di preoccupazioni sociali - approvasse il diverso testo �la Repubblica si riparte 
in Regioni, Provincie e Comuni�, divenuto l�art. 114 della Costituzione. 

La Costituente non provvide a ridisciplinare anche le funzioni dei confermati 
enti locali e ne rimand� la individuazione alle leggi generali della Repubblica, 
prevedendo nel periodo transitorio il mantenimento di quelle �che 
esercitano attualmente� e rinviando alla legge l�adeguamento del loro ordinamento 
(art. VIII e IX disp. trans.). 

Una sostanziale continuit� dunque fin� con lo stabilirsi con la storia precedente 
nonostante le conclamate innovazioni pur presenti nella Carta, quali 
quelle dell�art. 5 (�la Repubblica� promuove le autonomie locali�) e dell�art. 
128 (�le Provincie ed i Comuni sono enti autonomi nell�ambito dei principi 
fissati dalle leggi generali della Repubblica�). 

Tutto ancora da decidere perci�, cos� come sulla figura centrale del Prefetto, 
che usc� indenne dalla riforma ed anzi fin� con il rafforzarsi ricollegandosi 
ai nuovi organi di controllo e coordinamento (art. 124). 

5. Le funzioni della Provincia. 

Le funzioni delle Province e dei Comuni restarono quindi quelle del t.u. 
del 1934 e analogamente accadde sul versante della finanza locale. 

Deve perci� riconoscersi che il substrato ordinamentale su cui poggia la 
Costituzione, per quanto riguarda le Province, � quello di una articolazione periferica 
dello Stato, fatta propria nell�ottica del decentramento amministrativo 
e istituzionale. Di qui l�indubbia doppia natura della Provincia, al contempo 
articolazione periferica (basta ricordare la GPA) ed ente autonomo, riconosciuta 
generalmente anche dai pi� convinti sostenitori della Provincia (4). 

� la stessa Costituzione che lo dice, all�art. VIII disp. transitorie e finali, 
allorch� statuisce che �Fino a quando non sia provveduto al riordinamento e 
alla distribuzione delle funzioni amministrative fra gli enti locali restano alle 
Provincie ed ai Comuni le funzioni che esercitano attualmente�, ossia anzitutto 
quelle di articolazione amministrativa dello Stato. 

Da allora, l�esigenza di un riordino organico dell�ordinamento amministrativo 
(quella che era stata denominata, all�indomani dell�Unit�, come �quistione 
amministrativa�) si � sempre pi� avvertita ed � sfociata in vari tentativi 
di riforma, intrecciati anche a proposte di revisione costituzionale (v. d.d.l. 
Scelba 1961, d.d.l. Biasini 1977, Commissione Bozzi 1983, Commissione De 
Mita - Iotti 1992, Commissione bicamerale 1997, ecc.). 

(4) G. PASTORI, Provincia, in Digesto - Discipline pubblicistiche, UTET, XII, 1997, 201. 


Non seguiremo nei dettagli tutti questi tentativi abortiti, rimandando all�ampia 
letteratura in argomento, ma giova soffermarsi sulle funzioni effettivamente 
svolte dalla Provincia, spesso tacciate di essere generiche e di poco conto. 

All�attualit�, le Province sono quelle che a partire dal decreto Rattazzi si 
sono venute riconoscendo dallo Stato e che la Costituzione, non contenendo 
proprie disposizioni sul punto, ha a propria volta presupposto come province 
repubblicane, con i caratteri anche di ente autonomo. Alcune di esse (ad es. 
Sondrio, Cuneo) sono rimaste identiche anche per circoscrizione territoriale a 
quelle Rattazzi. 

Le funzioni delle Province, in relazione alle quali � autorizzata la spesa, 
come elencate nell�art. 144 del t.u. 1934 n. 383 (sanit� e igiene, strade e opere 
pubbliche di interesse provinciale, scuole e istruzione, agricoltura, assistenza 
e beneficienza, servizi pubblici intercomunali), sono rimaste sostanzialmente 
immutate sino alla riforma della L. n. 142 del 1990, poi trasfusa nel t.u. com. 
prov. n. 267 del 2000, che cos� le raggruppa per settori (art. 19): a) difesa del 
suolo, ambiente e calamit�; b) risorse idriche ed energetiche; c) valorizzazione 
dei beni culturali; d) viabilit� e trasporti; e) parchi e riserve naturali; f) 
caccia e pesca; g) rifiuti; h) istruzione secondaria di 2� grado, artistica, professionale 
ed edilizia popolare; l) raccolta ed elaborazione dati, oltre ad opere 
di rilevante interesse provinciale nei settori economico, produttivo, commerciale, 
turistico, sociale, culturale e sportivo; nonch� (art. 20) compiti di programmazione 
economica, territoriale e ambientale e di concorso al 
programma di sviluppo regionale. 

La riforma del 1990 ebbe peraltro il merito di riconoscere agli E.L. la potest� 
di dotarsi di propri statuti, nei quali sono stabilite le norme fondamentali 
di organizzazione e che costituiscono una esplicazione concreta del principio 
autonomistico. Importanti anche, sotto questo aspetto, sono le modifiche dei 
controlli regionali sugli atti, ora limitati alle sole questioni di legittimit� (e non 
pi� di merito) e relativi solo agli atti del Consiglio, e l�attribuzione formale 
dell�autonomia impositiva e finanziaria, destinata a trovare una prima attuazione 
con la legge delega n. 142 del 1992 e relativi decreti legislativi, istitutivi 
di ICI, TARSU, TOSAP, ecc. (n. 504/1992 e n. 507/1993). 

Ulteriore incremento dell�autonomia fu rappresentato dalla successiva L. 

n. 662 del 1996, che in applicazione del principio di sussidiariet� attribu� a 
Province e Comuni anche il potere di regolamentare le proprie entrate e dalla 
L. n. 265 del 1999 che conferm� a tali enti l�autonomia normativa, organizzativa, 
amministrativa e impositiva (5). 


Ma proprio con la legislazione degli anni �90 spuntava minacciosa, per 
la prima volta, la figura della Citt� metropolitana, destinata a soppiantare pro


(5) Su questi temi, v. A. TALLARIDA, Federalismo fiscale e nuova finanza locale, in questa Rass., 

n. 2 del 2014, pag. 235. 


LEGISLAZIONE ED ATTUALIT�

prio le province pi� importanti (Milano, Torino, Venezia, Genova, Bologna, 
Firenze, Roma, Napoli, Bari, cui la L. n. 42 del 2009 avrebbe aggiunto Reggio 
Calabria). A questo punto la Provincia non doveva pi� difendersi dalla sola 
concorrenza della Regione, ma doveva fare i conti con questa nuova figura di 
ente territoriale, anch�esso di area vasta, che doveva trovare definitiva consacrazione 
nel t.u. com. prov. del 2000 n. 267 (artt. 22 e 23) e poi nella riforma 
del Titolo V. 

La legge Bassanini, n. 59 del 1997 e i successivi decreti delegati (tra cui il 
pi� importante � il n. 112 del 1998) avevano intanto provveduto, a Costituzione 
invariata, ad un imponente serie di conferimenti a Regioni, Province e Comuni 
di funzioni e compiti amministrativi in molti settori, segnando l�inizio di una 
nuova fase per l�Amministrazione pubblica, completata dal nuovo ordinamento 
del rapporto di pubblico impiego (d. lgs. 30 marzo 2001, n. 165 e s.m.). 

6. La riforma del Titolo V e la legge La Loggia. 

La riforma del Titolo V della Costituzione, approvata a maggioranza con 
la legge cost. n. 3 del 2001, rappresenta un nuovo revival della Provincia, accomunata 
a Stato, Regioni, Comuni e Citt� metropolitane, come componente 
della Repubblica (art. 114). 

Essa vede riconosciuta a livello costituzionale l�autonomia statutaria 
(art. 114), la potest� regolamentare (art. 117), l�autonomia finanziaria di entrata 
e di spesa e patrimoniale (art. 119), la titolarit� di funzioni amministrative 
fondamentali (art. 117, secondo comma, lett. p), proprie e conferite da 
Stato o Regione in base ai principi sussidiariet�, differenziazione e adeguatezza 
(art. 118). 

Un ulteriore punto a vantaggio degli Enti Locali � rappresentato dalla prevista 
istituzione, in ogni regione, di un Consiglio delle autonomie locali 
(CAL), quale organo statutario di consultazione e di raccordo (art. 123). 

La legge La Loggia, n. 131 del 2003, di adeguamento dell�ordinamento 
della Repubblica alla riforma costituzionale (che non aveva previsto norme 
transitorie) ha dato delega al Governo per la individuazione delle funzioni fondamentali 
degli E.L., dettandone i principi e criteri direttivi (art. 2), ha disciplinato 
la potest� normativa di detti enti (regolamentare e statutaria) (art. 4), 
il conferimento delle funzioni amministrative da parte di Stato e Regioni 
(art. 7) e il controllo collaborativo della Corte dei Conti (art. 7) ed ha istituito 
il Rappresentante dello Stato per i rapporti con le Regioni, quasi un plenipotenziario 
statale in Regione (art. 10). 

Non ha trovato invece attuazione l�art. 11 della riforma che prevedeva la 
modifica della composizione della Commissione bicamerale per le questioni 
regionali, allargata ai rappresentanti delle Regioni e degli Enti locali, quale 
alternativa alla introduzione di una Camera delle Autonomie, incompatibile 
con la persistenza del Senato, gi� eletto su base regionale (art. 57 Cost.). 


I problemi lasciati aperti dalla legge cost. n. 3 del 2001 sono stati affrontati 
da un ddl cost. approvato nel 2005 dal Parlamento a maggioranza ma respinto 
nella successiva consultazione referendaria. Questo si segnalava per 
l�introduzione del Senato federale, per la previsione dell�esercizio delle funzioni 
amministrative secondo i principi di leale collaborazione e sussidiariet� 
e per la possibilit� per gli Enti locali di promuovere questioni di costituzionalit� 
avanti alla Corte (6). 

7. I tentativi di riordino. 

A partire dalle prime avvisaglie della grave crisi economica, sull�onda 
della polemica sui costi della politica, � iniziato un movimento critico volto 
a sopprimere le Province, avvertite come l�anello debole dell�organizzazione 
della Repubblica. Tornano le argomentazioni di un tempo che sembravano 
superate (la Provincia � ente lontano dai cittadini, � ente non identitario, � 
privo di reale rappresentativit� e di competenze specifiche, � generatore di 
costi inutili). 

In attesa di una nuova iniziativa di modifica costituzionale, l�attivit� di 
revisione dell�assetto provinciale si � spostata sul piano della legislazione ordinaria. 
Cos� accanto alle consuete proposte parlamentari di istituzione di 
nuove province, si � sviluppata una forte attivit� governativa volta a ridimensionare 
la Provincia per motivi soprattutto economici o per tali dichiarati. 

Si sono quindi succeduti a breve distanza due decreti-legge. 

Il primo d.l. 6 dicembre 2011, n. 201, conv. in l. n. 214 del 2011, ha provveduto 
ad un riordino delle province con l�art. 23, modificandone radicalmente 
le funzioni (ridotte a solo quelle di indirizzo e coordinamento delle attivit� dei 
Comuni) e gli organi (eliminando la Giunta, prevedendo che il Consiglio fosse 
composto da non pi� di 10 membri eletti dagli organi elettivi dei comuni e disponendo 
che il Presidente venisse eletto dal Consiglio). 

Il secondo d.l. 6 luglio 2012, n. 95, conv. in l. n. 135 del 2012, a parziale 
modifica del precedente, ha ripristinato un nucleo essenziale di funzioni, individuate 
nella pianificazione territoriale, tutela e valorizzazione dell�ambiente, 
pianificazione dei servizi di trasporto provinciale e delle strade 
provinciali, programmazione della rete scolastica, gestione dell�edilizia delle 
scuole secondarie di 2� grado, mentre ha mantenuto ferme le modifiche apportate 
agli organi dal precedente d.l. (art. 17, commi 10, 11, 12). Nel contempo 
ha previsto una complessa procedura di riordino delle circoscrizioni 
territoriali delle Province, articolata in: 

-un DPCM circa i requisiti minimi necessari consistenti in dimensione 
territoriale e in entit� della popolazione (che il DPCM 20 luglio 2012 stabil� 
in 2500 kmq e 350.000 abitanti, salvo alcune deroghe) 

(6) T. GROPPI, Soppressione delle Province e nuovo Titolo V, in Federalismi.it n. 16/2009. 


LEGISLAZIONE ED ATTUALIT�

- una delibera dei CAL di ogni Regione circa un�ipotesi di riordino 

-una proposta regionale di riordino, nel rispetto dei suddetti requisiti 

-un atto legislativo di iniziativa governativa di complessivo riordino sulla 
base delle proposte regionali o in difetto previo parere della Conferenza Unificata. 


Le Regioni a statuto speciale (escluso il Trentino-AA.AA) avrebbero dovuto 
adeguare i propri ordinamenti alle suddette disposizioni. 

L�atto legislativo si concretizz� nel d.l. 5 novembre 2012, n. 188 che, in 
applicazione dei requisiti stabiliti e in esito alla procedura descritta, individu� 
quali erano le Province delle Regioni a statuto ordinario. Tale decreto non fu 
mai convertito perch� nel frattempo � intervenuta la sentenza n. 220 del 2013 
della Corte Costituzionale che ha dichiarato l�illegittimit� dell�art. 23, commi 
da 14 a 20 bis, d.l. n. 201 del 2011 e degli artt. 17 e 18 del d.l. n. 95 del 2012. 

Secondo la Corte, adita da numerose Regioni, si tratta di �una riforma 
complessiva di una parte del sistema delle autonomie locali, destinata a ripercuotersi 
sull�intero assetto degli enti esponenziali delle comunit� territoriali, 
riconosciuti e garantiti dalla Costituzione� (punto 11.3), di cui andava 
preliminarmente valutata la compatibilit� con lo strumento del d.l. alla luce 
degli artt. 77, 117 e 133 Cost. 

In esito a tale esame, la Corte ha ritenuto che la trasformazione radicale 
di un ente locale territoriale non riveste i caratteri di necessit� e urgenza che 
legittimano il ricorso alla decretazione d�urgenza. Inoltre tale procedura non 
consente l�esplicazione dell�iniziativa dei Comuni, prevista dall�art. 133 Cost. 

8. La legge Del Rio e il ddl costituzionale. 

La situazione tornava quindi al punto di partenza anche se rimanevano 
in vigore l�art. 10 d.l. n. 95 del 2012 sul riassetto dell�organizzazione periferica 
dello Stato e gli artt. 19 e 20 sulle funzioni fondamentali dei Comuni e sul-
l�esercizio associato delle stesse. 

L�iniziativa veniva ripresa dal Governo che presentava due disegni di 
legge, uno costituzionale comprendente la modifica del Titolo V e la soppressione 
delle Province dal testo costituzionale, l�altro di legge ordinaria concernente 
Province e Citt� metropolitana. 

Il primo � stato approvato in prima lettura dal Senato l�8 agosto 2014 e 
ora � all�esame della Camera (AC 2613). 

Il secondo � divenuto la legge 4 aprile 2014, n. 56, recante �Disposizioni 
sulle citta metropolitane, sulle province, sull�unioni e fusioni di comuni�, c.d. 
legge Del Rio, modificata con d.l. 24 giugno 2014, n. 90 (conv. in L. n. 
114/2014). 

Tale legge, oltre a contenere norme sulle elezioni nelle citt� metropolitane 
e nelle province, ne ridetermina le funzioni e gli organi secondo il seguente 
schema: 


ORGANI della Citt� Metropolitana 
Sindaco � di diritto il Sindaco del comune capoluogo 
Consiglio metropolitano � eletto dai Sindaci e Consiglieri comunali tra 
loro stessi (salvo elezione diretta anche del Sindaco per statuto ex art. 1 
comma 22) 
Conferenza metropolitana � composta da tutti i Sindaci 

FUNZIONI 

Le funzioni fondamentali delle Province 
Piano strategico triennale del territorio metropolitano 
Pianificazione territoriale generale 
Sistemi coordinati di gestione dei servizi pubblici 
Mobilit� e viabilit� 
Promozione dello sviluppo economico e sociale 
Sistemi di informatizzazione e digitalizzazione del territorio 
Ulteriori funzioni conferite ex art. 118 Cost. 


ORGANI della PROVINCIA 
Presidente � eletto dai sindaci e consiglieri comunali tra i sindaci con 
mandato di almeno 18 mesi 
Consiglio provinciale � eletto dai sindaci e consiglieri comunali tra i medesimi 
Assemblea dei sindaci � composta da tutti i sindaci 

FUNZIONI 

Pianificazione territoriale e ambiente 
Pianificazione trasporti e costruzione e gestione strade provinciali 
Programmazione rete scolastica 
Raccolta ed elaborazione dati 
Gestione edilizia scolastica 
Pari opportunit� in ambito occupazionale 
Cura sviluppo strategico del territorio e gestione servizi associati e delle 
relazioni istituzionali 
Stazione appaltante e ulteriori funzioni conferite ex art. 118 Cost. 

Come si vede, si tratta di organi che costituiscono emanazione dei Comuni 
stessi, nominati con elezioni di secondo livello, salvo diversa disposizione 
statutaria per la Citt� metropolitana che preveda l�elezione diretta del 
Sindaco e del Consiglio. Il territorio di questa coincide con quello della Provincia 
omonima, salvo adesione di altri comuni limitrofi ex art. 133 Cost., previo 
parere della Regione. 

La Citt� metropolitana succede a titolo universale alla Provincia cui subentra 
in tutti i rapporti attivi e passivi concernenti il patrimonio, le risorse 


LEGISLAZIONE ED ATTUALIT�

strumentali, il personale e le entrate. Per le esigenze di EXPO 2015, � la Regione 
Lombardia a subentrare in tutte le partecipazioni azionarie di controllo 
detenute dalla Provincia di Milano nelle societ� che operano per la realizzazione 
dell�Esposizione Universale. 

Tutte queste disposizioni sono espressamente adottate �in attesa della riforma 
del Titolo V parte II della Costituzione e delle relative norme di attuazione� 
(art. 1, c. 51). 

Peraltro, proprio la ridotta rappresentativit� degli organi di governo di 
tali enti ha fatto oggetto di ricorso della Regione Veneto alla Corte Costituzionale 
contro la legge n. 56/2014, deducendo la violazione degli artt. 114, 
117, 138 Cost., perch� sarebbe stata trasformata la Provincia facendo venir 
meno la natura di ente esponenziale della collettivit� territoriale e ledendo gli 
standard minimi di rappresentativit� e democraticit� della stessa, oltre a numerose 
altre violazioni della Costituzione (artt. 1, 3, 5, 48, 118, 133). 

La dotazione organica di citt� metropolitane e province � stabilita in misura 
percentuale ridotta, tenuto conto del riordino delle funzioni, con conseguente 
previsione di procedure di mobilit� del personale interessato (art. 1, 
commi 421-429, l. 23 dicembre 2014 n. 190, legge di stabilit� 2015). 

9. Conclusioni aperte. 

Quali conclusioni trarre da questa lunga storia e quali le prospettive oggi 
della Provincia? � indubbio che vi sia una forte spinta del Governo per l�abolizione 
dell�istituto della Provincia, testimoniato dalle iniziative messe in atto 
e dalla riforma costituzionale in itinere, motivate dall�intento di ridurre i costi 
della politica e da esigenze di semplificazione amministrativa. 

Peraltro occorre anzitutto domandarsi se questo sia l�unico modo o il pi� 
idoneo per raggiungere i suddetti obiettivi o se non sarebbe prioritario mettere 
ordine nel sistema regionale, afflitto da analoghi problemi, magari ripensando 
alla loro articolazione sul territorio o al loro accorpamento. Tanto pi� che la 
mera eliminazione dei corpi intermedi si � rivelata spesso, in vari campi, scelta 
non sempre felice n� risolutiva (7). 

In ogni caso, anche una volta approvata la riforma costituzionale, questa 
non appare esaustiva, limitandosi ad eliminare le Province dal testo della Costituzione, 
senza sopprimerle formalmente, per cui nulla osterebbe ad una loro 
sopravvivenza sulla base della legislazione ordinaria vigente, n� mancano 
esempi di enti territoriali anche rappresentativi non garantiti costituzionalmente 
(ad es. Comunit� montane). Sar� dunque necessario comunque un intervento 
attuativo del Legislatore per sopprimere le attuali province e regolarne 
la successione. 

(7) G. DE RITA, Non demonizzare i corpi intermedi, in Corriere della sera, 16 novembre 2014, 
pag. 1. 


Infine, la definitiva eliminazione delle Province dal panorama italiano, 
al di l� della formale presa di posizione della attuale politica, non sembra corrispondere 
al comune sentire della collettivit�, ancora molto legata al suo �particulare�, 
alle sue tradizioni, ai suoi riti quotidiani. Ha affermato ironicamente 
di recente un scrittore e insegnante, a margine della polemica sull�abolizione 
delle province: �io mi sento proprio provinciale nella particolare accezione 
del termine� e cio� un attardato culturalmente e periferico�, per concludere, 
dopo una breve disamina della letteratura italiana da Dante a Pasolini, che 
�Mass�! Aboliamole tutte �ste Province! Meno la mia� (8). 

Il tutto senza contare possibili colpi di scena da parte della Corte Costituzionale. 
Forse non siamo ancora all�atto finale. 

(8) A. BANDA, Letteratura e vita provinciale, in Doppiozero.com 6.9.2012. 


LEGISLAZIONE ED ATTUALIT�

Mansioni nel pubblico impiego: assegnazione, svolgimento di 
fatto di mansioni superiori e demansionamento 

Laura Raineri* 

SOMMARIO: 1. Premessa - 2. Evoluzione storico-normativa del rapporto di pubblico impiego 
e della disciplina delle mansioni nel rapporto di pubblico impiego - 3. Assegnazione di 
mansioni nel pubblico impiego e lo ius variandi del datore di lavoro pubblico nell�attuale sistema 
normativo - 3.1 Assegnazione di diritto di mansioni superiori - 4. Assegnazioni di fatto 
di mansioni superiori - 4.1 L�orientamento della giurisprudenza amministrativa, costituzionale 
e civile in tema di svolgimento di fatto di mansioni superiori da parte del pubblico dipendente 
- 5. Demansionamento - 6. Sindacato del Giudice del lavoro e onere della prova 
delle parti. 

1. Premessa. 

Nell'ambito del generale processo di ammodernamento della pubblica 
amministrazione, il settore del pubblico impiego � stato interessato da una graduale 
evoluzione normativa, culminata in quella che comunemente viene definita 
"privatizzazione del pubblico impiego", nel corso della quale si sono 
progressivamente ridotte le distanze tra impiego pubblico e impiego privato. 

Tuttavia, date le peculiarit� relative alla natura pubblica del datore di lavoro 
(condizionato, nell'organizzazione del lavoro, da vincoli strutturali di 
conformazione al pubblico interesse e di compatibilit� finanziaria delle risorse) 
nonch� la duplice posizione rivestita dai pubblici dipendenti (1), non � possibile 
una totale identificazione tra i due sistemi. 

Invero, se i rapporti di lavoro pubblico (ad eccezione del personale in regime 
di diritto pubblico, art. 3 d.lgs n. 165/2001) sono in linea generale disciplinati 
dalle disposizioni del codice civile e dallo statuto dei lavoratori (fatte 
salve le diverse disposizioni contenute nel d.lgs n. 165/2001, art. 2 comma 2 
d.lgs cit.) e dalla contrattazione sia sul piano individuale (art. 2 comma 3 d.lgs 
cit.) che su quello collettivo (art. 40 d.lgs n. 165/2001) - restano assoggettati 
alla disciplina pubblicistica gli organi, gli uffici, i principi fondamentali del


(*) Avvocato dello Stato. 

Il presente studio � la relazione presentata dalla Autrice ad un incontro-laboratorio - tenutosi presso la 
Biblioteca del Tribunale di Catania, Venerd� 13 febbraio 2015 - organizzato dalla struttura territoriale di 
formazione decentrata della Scuola Superiore della Magistratura. 

(1) Secondo la dottrina tradizionale la posizione dei pubblici impiegati � caratterizzata da un duplice 
profilo: da un lato essi sono incardinati nella struttura organica configurandosi come veri e propri 
organi dell'amministrazione, esprimendone all'esterno la volont� e realizzandone i fini istituzionali (rapporto 
organico o di ufficio), dall'altro sono legati al soggetto pubblico da un rapporto di lavoro comportante 
diritti e obblighi analoghi a quelli che scaturiscono dal rapporto di lavoro privato (rapporto di 
servizio). F. CARINGELLA, Il diritto amministrativo, Napoli, 2006. 


l'organizzazione, i procedimenti di selezione per l'accesso al lavoro, la determinazione 
delle dotazioni organiche (art. art. 2, comma 1 d.lgs cit.). 

All'interno di tale sistema, la disciplina delle mansioni nel pubblico impiego 
(art. 52 d.lgs n. 165/2001) fa parte proprio delle "diverse disposizioni" 
(art. 2 comma 2 d.lgs n. 165/2001) che derogano all'applicazione della normativa 
civilistica ai rapporti di pubblico impiego e ha costituito - da sempre - uno 
dei profili di maggiore diversificazione tra impiego pubblico e impiego privato. 

La presente relazione si propone di analizzare le diversit� e le analogie 
che i due sistemi (pubblico e privato) registrano in ordine a detta comune tematica 
ed a tal fine � opportuno ripercorrere le tappe fondamentali dell'evoluzione 
storico-normativa della disciplina del rapporto di pubblico impiego. 

2. Evoluzione storico-normativa del rapporto di pubblico impiego e della disciplina 
delle mansioni nel rapporto di pubblico impiego. 

In passato il pubblico impiego presentava i caratteri di vero e proprio ordinamento 
speciale e la posizione del pubblico impiegato era caratterizzata dall�assoluta 
priorit� dell�inquadramento formale rispetto alle mansioni effettivamente svolte. 

In dettaglio, il D.P.R. n. 3/1957 contenete il Testo unico degli impiegati 
civili dello Stato prevedeva l�inquadramento del personale civile in quattro 
carriere gerarchicamente organizzate (direttiva, di concetto, esecutiva ed ausiliaria), 
nell�ambito delle quali era prevista una scala di qualifiche con mansioni 
diverse (cui si accedeva per la prima volta tramite concorso e, 
successivamente, tramite promozione). 

L�art. 31 (2) del predetto D.P.R. affermava il diritto dell'impiegato all�esercizio 
di funzioni corrispondenti alla qualifica di appartenenza ed, in particolare, 
il terzo comma attribuiva all�Amministrazione la facolt�, seppur 
temporaneamente e per sopravvenute esigenze di servizio, di destinare il pubblico 
dipendente a mansioni proprie di altra qualifica, indipendentemente dalla 
posizione rivestita, purch� nell�ambito della carriera di appartenenza. 

In tal modo veniva garantito il diritto dell�impiegato dello Stato a svolgere 
le mansioni della qualifica rivestita (che costituiva una sorta di status giuridico 
del dipendente), consentendogli di pretendere la cessazione dell'applicazione 
a diverse mansioni, ma dall'esercizio di fatto di mansioni superiori non derivava 
alcun diritto ad un trattamento economico diverso da quello corrispondente 
alla qualifica rivestita. 

Detto eccessivo formalismo veniva solo in parte superato con la legge n. 
312/1980 in tema di nuovo assetto retributivo-funzionale del personale civile 

(2) Art. 31 �L�impiegato ha diritto all�esercizio delle funzioni inerenti alla sua qualifica e non 
pu� essere privato del suo ufficio, tranne che nei casi previsti dalla legge. Pu� essere destinato a qualunque 
altra funzione purch� corrispondente alla qualifica che riveste e al ruolo cui appartiene. Quando 
speciali esigenze di servizio lo richiedano, l�impiegato pu� temporaneamente essere destinato a mansioni 
di altra qualifica della stessa carriera��. 


LEGISLAZIONE ED ATTUALIT�

e militare dello Stato, nonch� con gli art. 17 e 18 della legge n. 93/1983 (legge 
quadro sul pubblico impiego), con cui veniva istituito il sistema delle qualifiche 
funzionali, correlate alla qualit� della prestazione e al grado di responsabilit� 
dei dipendenti e, all�interno delle qualifiche, venivano istituiti i profili 
professionali fondati sulla tipologia della prestazione lavorativa (espressivi, 
quindi, delle mansioni in concreto espletate). 

Tuttavia, il nuovo criterio legale, nonostante la finalit� di attribuire maggiore 
flessibilit� al sistema di inquadramento professionale, non raggiungeva 
i risultati auspicati, atteso che l'inquadramento dei dipendenti continuava ad 
essere affidato ad una regolamentazione legislativa totalmente indifferente alle 
concrete mansioni svolte dal dipendente. 

Successivamente, la materia del lavoro alle dipendenze delle pubbliche 
amministrazioni � stata caratterizzata da una �prima privatizzazione� del pubblico 
impiego, attuata con il d.lgs n. 29/1993, con il quale � stata operata 
un�ampia delegificazione in favore della contrattazione collettiva quale fonte 
della disciplina del rapporto di lavoro e da una �seconda privatizzazione� avviata 
con il d.lgs n. 80/1998 che ha inciso sul versante giurisdizionale, ovvero 
con la devoluzione del contenzioso in tema di pubblico impiego dal giudice 
amministrativo al giudice ordinario a partire dal 1 luglio 1998 (fatta eccezione 
per le categorie in regime di diritto pubblico di cui all�art. 3 d.lgs cit.). 

Il dato differenziale rispetto al precedente sistema � stato rappresentato 
dal superamento della precedente rigida ed analitica ripartizione del personale 
in qualifiche funzionali e dalla costituzione di �aree� o categorie comprensive 
di pi� profili e pi� livelli retributivi; si � assistito quindi al passaggio dalla precedente 
prospettiva, ancorata alla �qualifica di appartenenza�, ovvero ad un 
dato puramente formale, ad un criterio concreto ed empirico, quale quello 
strettamente mansionistico. 

In particolare, con il d.lgs. n. 29 del 1993 � stata riscritta ex novo la disciplina 
delle mansioni e nel nuovo sistema il tradizionale primato della qualifica 
sulle mansioni ha subito una graduale modifica poich�, analogamente al settore 
privato, la prima � divenuta criterio di base per la determinazione delle seconde, 
e quest'ultime hanno acquisito una propria tipicit�, elevandosi a oggetto 
immediato e specifico dell'obbligazione lavorativa. 

Tuttavia la disciplina della mansioni superiori di cui all�art. 56 d.lgs n. 
29/1993 (3) e cit. prevedeva l�irrilevanza, per il pubblico impiegato, dello svol


(3) Art. 56 d.lgs n. 29/1993 Mansioni "1. Il prestatore di lavoro deve essere adibito alle mansioni 
proprie della qualifica di appartenenza, nelle quali rientra comunque lo svolgimento di compiti complementari 
e strumentali al perseguimento degli obiettivi di lavoro. 2. Il dipendente pu� essere adibito a 
svolgere compiti specifici non prevalenti della qualifica superiore, ovvero, occasionalmente e ove possibile 
con criteri di rotazione, compiti o mansioni immediatamente inferiori, se richiesto dal dirigente dell'unit� 
organizzativa cui � addetto, senza che ci� comporti alcuna variazione del trattamento economico". 
Art. 57 d.lgs n. 29/1993 Attribuzione temporanea di mansioni superiori "1.L'utilizzazione del dipendente 


gimento di mansioni superiori, e ci� sia sotto il profilo economico che al fine 
dell�inquadramento nella superiore qualifica rivestita; il successivo art. 57 prevedeva 
alcune ipotesi di assegnazione temporanea di mansioni superiori con 
diritto del dipendente al trattamento economico corrispondente all�attivit� 
svolta per il periodo di espletamento delle medesime. 

La nuova disciplina dell�attribuzione temporanea di mansioni superiori di 
cui all�art. 57 del d.lgs n. 29/1993 veniva per� abrogata dall�art. 43 d.lgs n. 
80/1998 senza avere avuto mai applicazione (essendo stata la sua operativit� 
pi� volte differita dalla legge prima dell�abrogazione e da ultimo sino al 31 dicembre 
1998); la materia � rimasta disciplinata dall�art. 56 d.lgs n. 29 del 1993, 
come sostituito dall'art. 25 del d.lgs n. 80/1998 (4), che ha previsto che "1. Il 

in mansioni superiori pu� essere disposta esclusivamente per un periodo non eccedente i tre mesi, nel 
caso di vacanze di posti di organico, ovvero per sostituire altro dipendente durante il periodo di assenza 
con diritto alla conservazione del posto, escluso il periodo del congedo ordinario, sempre che ricorrano 
esigenze di servizio. 2. Nel caso di assegnazione a mansioni superiori, il dipendente ha diritto al trattamento 
economico corrispondente all'attivit� svolta per il periodo di espletamento delle medesime. Per i 
dipendenti di cui all'articolo 2, comma 2, in deroga all'articolo 2103 del codice civile l'esercizio temporaneo 
di mansioni superiori non attribuisce il diritto all'assegnazione definitiva delle stesse. 3. L'assegnazione 
alle mansioni superiori � disposta sotto la propria responsabilit� disciplinare e patrimoniale 
dal dirigente preposto all'unit� organizzativa presso cui il dipendente presta servizio, anche se in posizione 
di fuori ruolo o comando, con provvedimento motivato. Qualora l'utilizzazione del dipendente per 
lo svolgimento di mansioni superiori sia disposta per sopperire a vacanze dei posti di organico, contestualmente 
alla data in cui il dipendente � assegnato alle predette mansioni devono essere avviate le procedure 
per la copertura dei posti vacanti. 4. Non costituisce esercizio di mansioni superiori l'attribuzione 
di alcuni soltanto dei compiti propri delle mansioni stesse, disposta ai sensi dell'articolo 56, comma 2. 

5. In deroga a quanto previsto dal comma 1, gli incarichi di presidenza di istituto secondario e di direzione 
dei conservatori e delle accademie restano disciplinati dalla L. 14 agosto 1971, n. 821, e dall'art. 
3, terzo comma, del R.D.L. 2 dicembre 1935, n. 2081, convertito dalla L. 16 marzo 1936, n. 498". 

(4) Art. 56 d.lgs n. 29 del 1993, come mod. dall'art. 25 del d.lgs n. 80/1998 "1. Il prestatore di 
lavoro deve essere adibito alle mansioni per le quali � stato assunto o alle mansioni considerate equivalenti 
nell'ambito della classificazione professionale prevista dai contratti collettivi, ovvero a quelle corrispondenti 
alla qualifica superiore che abbia successivamente acquisito per effetto dello sviluppo 
professionale o di procedure concorsuali o selettive. L'esercizio di fatto di mansioni non corrispondenti 
alla qualifica di appartenenza non ha effetto ai fini dell'inquadramento del lavoratore o dell'assegnazione 
di incarichi di direzione. 2. Per obiettive esigenze di servizio il prestatore di lavoro pu� essere adibito a 
mansioni proprie della qualifica immediatamente superiore: a) nel caso di vacanza di posto in organico, 
per non pi� di sei mesi, prorogabili fino a dodici qualora siano state avviate le procedure per la copertura 
dei posti vacanti come previsto al comma 4; b) nel caso di sostituzione di altro dipendente assente con 
diritto alla conservazione del posto, con esclusione dell'assenza per ferie, per la durata dell'assenza. 3. 
Si considera svolgimento di mansioni superiori, ai fini del presente articolo, soltanto l'attribuzione in 
modo prevalente, sotto il profilo qualitativo, quantitativo e temporale, dei compiti propri di dette mansioni.
4. Nei casi di cui al comma 2, per il periodo di effettiva prestazione, il lavoratore ha diritto al trattamento 
previsto per la qualifica superiore. Qualora l'utilizzazione del dipendente sia disposta per 
sopperire a vacanze dei posti in organico, immediatamente, e comunque nel termine massimo di novanta 
giorni dalla data in cui il dipendente � assegnato alle predette mansioni, devono essere avviate le procedure 
per la copertura dei posti vacanti. 5. Al di fuori delle ipotesi di cui al comma 2, � nulla l'assegnazione 
del lavoratore a mansioni proprie di una qualifica superiore, ma al lavoratore � corrisposta la differenza 
di trattamento economico con la qualifica superiore. Il dirigente che ha disposto l'assegnazione risponde 
personalmente del maggior onere conseguente, se ha agito con dolo o colpa grave. 6. Le disposizioni del 


LEGISLAZIONE ED ATTUALIT�

prestatore di lavoro deve essere adibito alle mansioni per le quali � stato assunto 
o alle mansioni considerate equivalenti nell'ambito della classificazione 
professionale prevista dai contratti collettivi, ovvero a quelle corrispondenti 
alla qualifica superiore che abbia successivamente acquisito per effetto dello 
sviluppo professionale o di procedure concorsuali o selettive" (comma 1) e la 
retribuibilit� dello svolgimento di mansioni superiori (sia di diritto che di fatto), 
rinviandone tuttavia l�attuazione alla nuova disciplina degli ordinamenti professionali 
prevista dai contratti collettivi e con la decorrenza ivi stabilita, disponendo 
espressamente che �Fino a tale data, in nessun caso lo svolgimento 
di mansioni superiori rispetto alla qualifica di appartenenza pu� comportare 
il diritto a differenze retributive o ad avanzamenti automatici nell'inquadramento 
professionale del lavoratore (cfr. art. 56, comma 6 d.lgs n. 29/93). 

Il concetto di equivalenza � entrato, cos�, a far parte della normativa del 
lavoro pubblico sugli inquadramenti e la legittimit� dell'esercizio � orizzontale 
� dello ius variandi � stata subordinata al rispetto del parametro di equivalenza 
delle nuove mansioni con quelle definite come tali dalla 
classificazione professionale prevista dai contratti collettivi . 

Il compito di stabilire i parametri dell'equivalenza professionale � stato 
conferito alle parti sociali, che, sulla base dell'esperienza effettiva, erano in 
grado di attribuire meglio il giusto valore alle mansioni, determinando gruppi 
professionali omogenei (per professionalit� e compiti). 

L�evoluzione normativa � proseguita con la modifica apportata dall�art. 
15 del d.lgs n. 387/1998 che, nell�omettere al comma 6, ultimo periodo, il riferimento 
alle parole �differenze retributive�, ne ha per la prima volta sancito 
il riconoscimento. 

Secondo la giurisprudenza della Corte di Cassazione predetta disposizione, 
nel sopprimere il divieto di corresponsione della retribuzione corrispondente 
alle mansioni superiori nel pubblico impiego privatizzato, avrebbe una 
portata interpretativa e retroattiva, �atteso che la modifica del comma sesto 
ultimo periodo disposta dalla norma integra una disposizione di carattere 
transitorio e non essendo formulata in termini atemporali, come avviene per 
le norme ordinarie, ma con riferimento alla data ultima di applicazione della 
norma stessa e quindi in modo idoneo ad incidere sulla regolamentazione applicabile 
all�intero periodo transitorio; la portata retroattiva della disposizione 
risulta peraltro conforme alla giurisprudenza della Corte Costituzionale, 
che ha ritenuto l�applicabilit� anche nel pubblico impiego dell�art. 36 Cost., 
nella parte in cui attribuisce al lavoratore il diritto a una retribuzione pro-

presente articolo si applicano in sede di attuazione della nuova disciplina degli ordinamenti professionali 
prevista dai contratti collettivi e con la decorrenza da questi stabilita. I medesimi contratti collettivi possono 
regolare diversamente gli effetti di cui ai commi 2, 3 e 4. Fino a tale data, in nessun caso lo svolgimento 
di mansioni superiori rispetto alla qualifica di appartenenza pu� comportare il diritto a differenze 
retributive o ad avanzamenti automatici nell'inquadramento professionale del lavoratore. 


porzionale alla quantit� e qualit� del lavoro prestato, nonch� alla conseguente 
intenzione del legislatore di rimuovere con la disposizione correttiva una 
norma in contrasto con i principi costituzionali� (cfr. ex multis, Cass. civ., 
sez. lav., 8 gennaio 2004 n. 91, Cass. civ., sez. lav., 23 febbraio 2010 n. 4382, 
Cass. civ., sez. VI, ordinanza 6 giugno 2011 n. 12193). 

Diversamente, la giurisprudenza amministrativa � stata sempre costante 
nel ritenere che il diritto del dipendente pubblico, che abbia svolto mansioni 
superiori, al trattamento economico relativo alla qualifica immediatamente superiore, 
pu� essere riconosciuto con carattere di generalit� soltanto a far tempo 
dal 22 novembre 1998, data di entrata in vigore dell�art. 15 del d.lgs n. 387/1998 
e non spiega efficacia su situazioni pregresse, stante il carattere innovativo delle 
disposizioni introdotte con detta norma (v. Cons. Stato, Ad. Plen., 28 gennaio 
2000 n. 10, Cons. Stato, Ad. Plen., n. 3 del 2006; Cons. di St., sez. IV, sent. n. 
4165 del 30 giugno 2010, Cons. Stato, sez. III, 21 novembre 2014 n. 5737); � 
stato altres� affermato che la norma non possa trovare incondizionata applicazione 
nel rapporto di pubblico impiego, quale espressione dell�art. 36 della 
Cost., �concorrendo in detto ambito altri principi di pari rilevanza costituzionale, 
quali quelli degli artt. 97 e 98 della Costituzione, in quanto, relativamente 
al primo l�esercizio di mansioni superiori si porrebbe in contrasto con il buon 
andamento e l�imparzialit� dell�Amministrazione, nonch� con la rigida determinazione 
delle sfere di competenza, attribuzioni e responsabilit� proprie dei 
pubblici impiegati; mentre relativamente all�art. 98 si deve ricordare che tale 
norma, nel disporre �i pubblici impiegati sono al servizio esclusivo della Nazione� 
vieta che la valutazione del rapporto di pubblico impiego sia ridotta 
alla pura logica del rapporto di scambio� (Cons. Stato, sez. V, 28 maggio 2012 

n. 3109, Cons. Stato, sez. III, 21 novembre 2014 n. 5737). 

Infine, il processo di avvicinamento del lavoro pubblico a quello privato 
si � concluso con l�entrata in vigore del testo unico in materia di pubblico impiego 
d.lgs n. 165/2001 recante �norme generali sull�ordinamento del lavoro 
alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche�, che ha riorganizzato le precedenti 
disposizioni in un testo contenente norme con valore generale nell�ambito 
del rapporto di lavoro alle dipendenze della pubblica amministrazione. 

In sostanza il d.lgs n. 165/2001 costituisce la fonte primaria dello statuto 
del pubblico impiego, sia per lo Stato che per le amministrazioni pubbliche in 
genere (comprese quelle territoriali). 

Ai sensi dell�art. 2 comma 2 d.lgs 165/2001 �I rapporti di lavoro dei dipendenti 
delle amministrazioni pubbliche sono disciplinati dalle disposizioni 
del capo I, titolo II, del libro V del codice civile e dalle leggi sui rapporti di lavoro 
subordinato nell'impresa, fatte salve le diverse disposizioni contenute nel 
presente decreto, che costituiscono disposizioni a carattere imperativo. Eventuali 
disposizioni di legge, regolamento o statuto, che introducano discipline dei 
rapporti di lavoro la cui applicabilit� sia limitata ai dipendenti delle ammini



LEGISLAZIONE ED ATTUALIT�

strazioni pubbliche, o a categorie di essi, possono essere derogate da successivi 
contratti o accordi collettivi e, per la parte derogata, non sono ulteriormente 
applicabili, solo qualora ci� sia espressamente previsto dalla legge�. 

Come gi� anticipato, il nucleo precettivo della disposizione riportata sta 
nell�estendere al rapporto di p.i. tutto il coacervo di norme applicabili all�impiego 
privato, fatte salve �le diverse disposizioni contenute nel presente decreto�. 

Tra queste ultime diverse disposizioni, si colloca sia l�art. 19 del d.lgs 

n. 165/2001 che nel dettare la disciplina delle mansioni per i dirigenti pubblici 
esclude espressamente, al comma 1, l�applicabilit� dell�art. 2103 c.c. al �conferimento 
degli incarichi e al passaggio ad incarichi diversi�, sia l�art. 52 
del d.lgs n. 165/2001 (5) che detta la disciplina delle mansioni per il restante 

(5) Art. 52 d.lgs 165/2001 "1. Il prestatore di lavoro deve essere adibito alle mansioni per le quali 
� stato assunto o alle mansioni equivalenti nell'ambito dell'area di inquadramento ovvero a quelle corrispondenti 
alla qualifica superiore che abbia successivamente acquisito per effetto delle procedure selettive 
di cui all'articolo 35 comma 1, lettera a). L'esercizio di fatto di mansioni non corrispondenti alla 
qualifica di appartenenza non ha effetto ai fini dell'inquadramento del lavoratore o dell'assegnazione 
di incarichi di direzione. 
1-bis. I dipendenti pubblici, con esclusione dei dirigenti e del personale docente della scuola, delle accademie, 
conservatori e istituti assimilati, sono inquadrati in almeno tre distinte aree funzionali. Le 
progressioni all'interno della stessa area avvengono secondo principi di selettivit�, in funzione delle 
qualit� culturali e professionali, dell'attivit� svolta e dei risultati conseguiti, attraverso l'attribuzione 
di fasce di merito. Le progressioni fra le aree avvengono tramite concorso pubblico, ferma restando la 
possibilit� per l'amministrazione di destinare al personale interno, in possesso dei titoli di studio richiesti 
per l'accesso dall'esterno, una riserva di posti comunque non superiore al 50 per cento di quelli messi 
a concorso. La valutazione positiva conseguita dal dipendente per almeno tre anni costituisce titolo rilevante 
ai fini della progressione economica e dell'attribuzione dei posti riservati nei concorsi per l'accesso 
all'area superiore. 

2. Per obiettive esigenze di servizio il prestatore di lavoro pu� essere adibito a mansioni proprie della 
qualifica immediatamente superiore: 
a) nel caso di vacanza di posto in organico, per non pi� di sei mesi, prorogabili fino a dodici qualora 
siano state avviate le procedure per la copertura dei posti vacanti come previsto al comma 4; 
b) nel caso di sostituzione di altro dipendente assente con diritto alla conservazione del posto, con esclusione 
dell'assenza per ferie, per la durata dell'assenza. 
3. Si considera svolgimento di mansioni superiori, ai fini del presente articolo, soltanto l'attribuzione in 
modo prevalente, sotto il profilo qualitativo, quantitativo e temporale, dei compiti propri di dette mansioni. 
4. Nei casi di cui al comma 2, per il periodo di effettiva prestazione, il lavoratore ha diritto al trattamento 
previsto per la qualifica superiore. Qualora l'utilizzazione del dipendente sia disposta per sopperire a 
vacanze dei posti in organico, immediatamente, e comunque nel termine massimo di novanta giorni 
dalla data in cui il dipendente � assegnato alle predette mansioni, devono essere avviate le procedure 
per la copertura dei posti vacanti. 
5. Al di fuori delle ipotesi di cui al comma 2, � nulla l'assegnazione del lavoratore a mansioni proprie 
di una qualifica superiore, ma al lavoratore � corrisposta la differenza di trattamento economico con 
la qualifica superiore. Il dirigente che ha disposto l'assegnazione risponde personalmente del maggior 
onere conseguente, se ha agito con dolo o colpa grave. 
6. Le disposizioni del presente articolo si applicano in sede di attuazione della nuova disciplina degli 
ordinamenti professionali prevista dai contratti collettivi e con la decorrenza da questi stabilita. I medesimi 
contratti collettivi possono regolare diversamente gli effetti di cui ai commi 2, 3 e 4. Fino a tale 
data, in nessun caso lo svolgimento di mansioni superiori rispetto alla qualifica di appartenenza, pu� 
comportare il diritto ad avanzamenti automatici nell'inquadramento professionale del lavoratore". 



personale pubblico, integralmente recependo il disposto dell�art. 56 del d.lgs 

n. 29/1993, novellato dall�art. 25 del d.lgs. n. 80/1998, a sua volta modificato 
dall�art. 15 del d.lgs n. 387/1998. 

Dunque, nel sistema delle fonti di disciplina dei rapporti di pubblico impiego, 
la disciplina delle mansioni nel pubblico impiego esclude in radice l�applicabilit� 
dell�art. 2103 c.c. (6), come modificato dall�art. 13 della legge n. 
300/1970, applicabile ai soli rapporti di lavoro privato. 

Da ultimo, sono intervenute due modifiche: la prima ad opera del d.lgs 

n. 150/2009 (c.d. legge Brunetta), che ha riscritto il primo comma ed inserito 
i commi 1 bis e 1 ter, mentre la seconda con il D.P.R. 16 aprile 2013 n. 70, 
che ha soppresso il comma 1 ter. 

La riforma del 2009 � stata finalizzata all'ottimizzazione della produttivit� 
del lavoro pubblico e all'efficienza della pubblica amministrazione, con l'obiettivo 
di trasferire nel sistema del lavoro pubblico alcuni meccanismi di stampo 
squisitamente imprenditoriale, quali la meritocrazia, la premialit� e la trasparenza, 
funzionali alla creazione di strutture organizzative efficienti, competitive 
e flessibili. 

Invero, sebbene la realizzazione di detti obiettivi non rappresenti, nel settore 
pubblico, la condicio sine qua non per continuare ad operare nel mercato 
(come avviene, invece, nel settore privato), tuttavia costituisce indubbiamente 
l'attuazione dei doveri istituzionali di efficienza e di buon andamento di cui 
all'art. 97 della Costituzione. 

3. Assegnazione di mansioni nel pubblico impiego e lo ius variandi del datore 
di lavoro pubblico nell�attuale sistema normativo. 

La norma di cui all�art. 52 d.lgs n.165/2001 sancisce il diritto del lavoratore 
ad essere adibito alle mansioni �per le quali � stato assunto o alle mansioni 
equivalenti nell�ambito dell�area di inquadramento ovvero a quelle 
corrispondenti alla qualifica superiore che abbia successivamente acquisito 
per effetto delle procedure selettive di cui all'articolo 35 comma 1, lettera a)�. 

Rispetto alla versione precedente con le modifiche apportate dal d.lgs n. 
150/2009 (c.d. decreto Brunetta) � venuto meno il riferimento alle mansioni 
�considerate equivalenti nell�ambito della classificazione professionale prevista 
dai contratti collettivi�: il legislatore ha riscritto il tal modo i confini per 

(6) Art. 2103 c.c." Il prestatore di lavoro deve essere adibito alle mansioni per le quali � stato assunto 
o a quelle corrispondenti alla categoria superiore che abbia successivamente acquisito ovvero a 
mansioni equivalenti alle ultime effettivamente svolte, senza alcuna diminuzione della retribuzione. Nel 
caso di assegnazione a mansioni superiori il prestatore ha diritto al trattamento corrispondente all'attivit� 
svolta, e l'assegnazione stessa diviene definitiva, ove la medesima non abbia avuto luogo per sostituzione 
di lavoratore assente con diritto alla conservazione del posto, dopo un periodo fissato dai 
contratti collettivi, e comunque non superiore a tre mesi. Egli non pu� essere trasferito da una unit� 
produttiva ad un'altra se non per comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive. Ogni patto 
contrario � nullo". 


LEGISLAZIONE ED ATTUALIT�

l'esercizio legittimo dello ius variandi datoriale nella mobilit� orizzontale e 
mentre in precedenza condizione necessaria e sufficiente per ritenere equivalenti 
le mansioni era la previsione in tal senso dei contratti collettivi, oggi nella 
nuova disciplina legale si individuano le mansioni equivalenti nell'ambito "dell'area 
di inquadramento". 

Tuttavia, anche se � stato eliminato il riferimento ai contratti collettivi, 
quale parametro per operare il giudizio di equivalenza, il rinvio resta implicito, 
poich� le aree di inquadramento non sono altro che il sistema di classificazione 
del personale pubblico e sono pur sempre definite dalla contrattazione collettiva; 
del resto la declaratoria dell'area professionale serve a individuare le mansioni 
che in concreto il dipendente pubblico � tenuto a svolgere, delimitando 
il concetto di equivalenza previsto dalla stessa norma. 

Invero, i contratti collettivi vigenti che dettano la disciplina della classificazione 
del personale dei vari comparti (peraltro quasi tutti stipulati precedentemente 
l�entrata in vigore del d.lgs n. 150 del 2009) contengono 
disposizioni che rilevano in tema di giudizio di equivalenza (7). 

Invero, appare innegabile che nel settore pubblico il legislatore, rinviando 
alla contrattazione collettiva (art. 52 T.U. versione originaria) o, comunque, 
all�area (contrattuale) di inquadramento (art. 52 T.U. versione novellata) ha 
inteso (nel primo caso esplicitamente, mentre nel secondo caso implicitamente) 
rendere la fonte contrattuale sovrana nel valutare l�equivalenza professionale 
nell�ambito dei livelli di inquadramento, sottraendo al Giudice il 
ruolo di primo piano che riveste nel settore privato, quale unico soggetto chiamato 
a sindacare il legittimo esercizio dello ius variandi (8). 

Ne consegue che, secondo la dottrina e la giurisprudenza prevalenti, nel 
lavoro pubblico l�indagine giudiziale � circoscritta all�accertamento oggettivo 
della riconducibilit�, sulla base delle previsioni collettive, delle nuove e precedenti 
mansioni alla medesima area di inquadramento, senza alcun rilievo 
per la professionalit� acquisita dal dipendente. 

(7) Cosi il CCNL comparto Ministeri 2006/2009, l�art. 6 ccnl Enti Pubblici non economici 
2006/09, l�art. 6 ccnl Presidenza Consiglio Ministri 2006/09 prevedono che �ai sensi dell�art. 52 del 
d.lgs n. 165/2001 ogni dipendente � tenuto a svolgere tutte le mansioni considerate equivalenti all�interno 
dell�area�; l�art. 47 cccnl scuola 2006/2009 personale ATA opera un riferimento alle attivit� e 
mansioni espressamente previste dall�area di appartenenza. 
Si distingue il comparto Sanit�, nel quale il ccnl 2006/2009 si discosta dagli altri contratti collettivi perch� 
delinea un modello tutto particolare in cui le quattro categorie formali in cui � classificato il personale 
sono determinate sulla base di declaratorie afferenti alla competenza richiesta per svolgere i compiti 
pertinenti a ciascuna di esse e i profili professionali raggruppati in ciascuna di esse dettano poi le mansioni 
corrispondenti. In tale modello il profilo diviene l'asse portante della classificazione, dal momento 
che "ogni dipendente � inquadrato nella corrispondente categoria... in base al profilo di appartenenza". 
(8) LISO, Autonomia Collettiva e occupazione, in DLRI, 1998, 256; CAMPANELLA, Mansioni e ius 
variandi nel lavoro pubblico, in Rivista Lavoro nelle p.a., 1999, 64; FIORILLO, Commento all'art. 56, 
cit., 1932; CAPONETTI, Le mansioni nel pubblico impiego, LPO, 2006, 451; MARTA VENDRAMIN, Lavoro 
nelle p.a., fasc. 6, 2009, pag. 997. 



Trattasi del principio di equivalenza �formale� delle mansioni nel pubblico 
impiego che rappresenta la pi� significativa differenza con la disciplina 
fissata per i rapporti di lavoro privati dall�art. 2103 c.c. 

Ed invero, mentre l'art. 2103 c.c., attribuendo rilievo a un dato empirico 
(le mansioni di fatto e da ultimo espletate, ovvero la professionalit� acquisita), 
valorizza una nozione sostanziale di equivalenza (che pu� ritenersi sussistente 
solo se le nuove mansioni consentono la conservazione, lo sviluppo e l'arricchimento 
del bagaglio professionale del dipendente), l�art. 52, comma 1 del 
d.lgs 165/2001, nel sancire il diritto del dipendente pubblico ad essere adibito 
alle mansioni per cui � stato assunto o ad altre equivalenti, ha recepito un concetto 
di equivalenza formale, risultante dal contratto o dalle progressioni verticali 
ed indipendente dalla professionalit� acquisita dal dipendente. 

In definitiva, ai fini del giudizio di equivalenza nel P.I. il confronto non 
deve essere condotto con le mansioni �ultime effettivamente svolte�, come previsto 
dall�art. 2103 c.c., bens� con quelle equivalenti nell�area di inquadramento. 

Sotto tale profilo il giudizio di equivalenza rappresenta prima che un�indagine 
di fatto (come avviene per il settore privato) (9) un giudizio di interpretazione 
di norme contrattuali. 

Pertanto, nel sistema di disciplina delle mansioni nel pubblico impiego, 
la funzione della contrattazione collettiva rimane molto pi� incidente rispetto 
a quella svolta nel settore privato e si traduce in un limite ai poteri del Giudice 
del Lavoro, che - secondo l'impostazione prevalente - non pu� sindacare n� la 
corrispondenza delle nuove mansioni al tipo di professionalit� proprio di quelle 
precedenti, n� le previsioni della contrattazione collettiva relative all�equivalenza 
formale delle mansioni stesse, con la conseguenza che �condizione necessaria 
e sufficiente affinch� le mansioni possano essere considerate 
equivalenti � la mera previsione in tal senso della contrattazione collettiva, 
indipendentemente dalla professionalit� acquisita� (Cass. civ., sez. lav. 23 ottobre 
2014 n. 22535, nonch� Cass. 11 maggio 2010 n. 11405, Cass. 21 maggio 
2009 n. 11835, Cass. 5 agosto 2010 n. 182839 ivi richiamate; Cass. sez. un. 

n. 8740 del 2008). 

Peraltro, � stato osservato che la devoluzione alla contrattazione collettiva 
della competenza in tema di determinazione dell'equivalenza, se da un lato 
presenta il vantaggio di ancorare la mobilit� orizzontale alle valutazioni concrete 
delle parti sociali, si infrange al cospetto di inquadramenti ampi e generici 

(9) Nella prassi prevalente nel settore privato la verifica viene condotta "caso per caso" sulla base 
di una doppia chiave: quella oggettiva, diretta a verificare l'identit� tra il livello di inquadramento tra le 
vecchie e le nuove mansioni e quella soggettiva, diretta a saggiare l'attitudine delle nuove mansioni a 
non svilire o, in alcuni casi ad accrescere il patrimonio professionale del lavoratore. Sul punto MARTA 
VENDRAMIN, Lavoro nelle p.a., fasc. 6, 2009, pag. 997, che richiama GARILLI, BELLAVISTA, Innovazioni 
tecnologiche e statuto dei lavoratori: limiti al potere dell'imprenditore fra tutela individuale e collettiva 
in QL, 1989, 6, 176. 


LEGISLAZIONE ED ATTUALIT�

che si dimostrano del tutto impermeabili alla tutela e (valorizzazione) della 
reale professionalit� del lavoratore (10). 

Per arginare detto rischio una parte della dottrina (11) ha rilevato che la disposizione 
di cui all' art. 52 T.U. (nel testo precedente il d.lgs n. 150/2009) non 
era riferita alle mansioni "considerate equivalenti dalla contrattazione collettiva" 
bens� "alle mansioni considerate equivalenti nell'ambito della qualificazione 
prevista nei contratti collettivi", limitandosi a fissare un limite esterno, rappresentato 
dalle aree tracciate dai contratti collettivi, oltre il quale, certamente, non 
pu� esservi equivalenza, ma entro il quale non pu� darsi per scontato che tutte 
le mansioni siano equivalenti, con la conseguenza che il lavoratore non possa 
essere spostato indiscriminatamente da una mansione ad un'altra senza margini 
di sindacabilit� della scelta datoriale da parte del Giudice del Lavoro. 

La questione dell'interpretazione (in senso assoluto o in senso relativo) della 
riserva contenuta nell'art. 52 T.U. si ripropone anche alla luce dell'attuale versione, 
come mod. dal d.lgs n. 150/2009, secondo cui "il prestatore deve essere 
adibito alle mansioni ... equivalenti nell'ambito dell'area di inquadramento". 

Come � stato osservato (12), l'orientamento da ultimo esposto �, per�, destinato 
a scontrasi con il problema relativo all'individuazione dell'elemento in 
relazione al quale il giudice possa accertare in concreto l'equivalenza. Infatti, 
mentre nel settore privato il parametro dell'equivalenza � rappresentato dalle 
mansioni "ultime effettivamente svolte", in un'ottica di protezione dell'esperienza 
professionale del lavoratore, nel lavoro pubblico manca analogo riferimento, 
con la conseguenza che, anche a voler ammettere un intervento 
giudiziale di controllo dell'equivalenza, si dovrebbe escludere che, ai fini dello 
stesso, il Giudice possa tener conto del reale percorso professionale del lavoratore, 
dovendosi basare esclusivamente sulla gamma di mansioni previste dal 
contratto collettivo. 

In ogni caso, nella risoluzione dei casi concreti appare imprescindibile 
che l�interprete operi un delicato bilanciamento tra esigenze contrapposte, 
quali quelle di assicurare da un lato - nello spirito della riforma operata dalla 
legge Brunetta - la flessibilit� e la mobilit� nella gestione delle risorse umane 
ai fini di migliorare l�efficienza dell�Amministrazione, nonch� quella di rispettare 
dall�altro lato le istanze di delegificazione e contrattualizzazione che 
restano comunque sottese alla logica di cui all�art. 52. 

Sotto altro profilo, alla luce dell'attuale versione dell'art. 52, si pone il problema 
della rilevanza delle previsioni dei CCNL (peraltro quasi tutti stipulati 
precedentemente l�entrata in vigore del d.lgs n. 150 del 2009) nel senso della 

(10) MARTA VENDRAMIN, Lavoro nelle p.a., fasc. 6, 2009, pag. 997 che sul punto richiama GRAGNOLI, 
Le qualifiche dei nuovi contratti: il reinquadramento e la fase transitoria, in Rivista, 1999, 109. 
(11) CURZIO, Pubblico Impiego, sospensioni, congedi, aspettative, mutamenti di mansioni, pro-
mozioni, in D&L, 2002, I. 264. 


(12) MARTA VENDRAMIN, Lavoro nelle p.a., fasc. 6, 2009, pag. 997. 


possibilit� di restringere in quale maniera l'ambito in cui pu� esercitarsi lo ius 
variandi del datore di lavoro pubblico (vale a dire l'intera area di inquadramento). 

Ad esempio, il sistema classificatorio del C.C.N.L. comparto ministeri 
2006-2009 introduce un modello di classificazione del personale c.d. generico, 
improntato a criteri di flessibilit�, articolato in tre aree (denominate A, B, C), 
individuate attraverso le declaratorie che descrivono l�insieme dei requisiti indispensabili 
per l�inquadramento nell�area medesima e che corrispondono a 
�livelli omogenei di competenze, conoscenze e capacit� necessarie per l�espletamento 
di una vasta e diversificata gamma di attivit� lavorative, secondo 
quanto previsto dall�allegato A del presente CCNL� (art. 6 n. 2). 

All�interno di ogni singola area sono poi inseriti i diversi profili professionali, 
che secondo i settori di attivit�, definiscono i contenuti tecnici della 
prestazione lavorativa e le attribuzioni proprie del dipendente (art. 6 n. 4). 

Per ciascun profilo, in relazione all�arricchimento professionale conseguito 
dai dipendenti nello svolgimento della propria attivit�, viene individuato 
un sistema di progressioni economiche, che si attua mediante l�attribuzione 
di successive fasce retributive (art. 6 n. 8). 

L'art. 6 n. 5 CCNL cit. prevede che "Ai sensi dell�art. 52 del d.lgs. n. 165 
del 2001, ogni dipendente � tenuto a svolgere le mansioni considerate professionalmente 
equivalenti all�interno dell�area, fatte salve quelle per il cui espletamento 
siano richieste specifiche abilitazioni professionali. Ogni dipendente 
� tenuto, altres�, a svolgere tutte le attivit� strumentali e complementari a 
quelle inerenti allo specifico profilo attribuito". 

In definitiva, rispetto al precedente C.C.N.L. del 16 febbraio 1999 sono 
stati chiariti i rapporti il profilo professionale ed il livello economico (mentre 
il CCNL 1998-2001 non distingueva i due concetti perch� divideva le aree in 
posizioni economiche formulate in chiave soggettiva, con riferimento al grado 
di conoscenze, capacit� e autonomia) ed � stata prevista l�individuazione delle 
mansioni in maniera pi� ampia, ovvero non per singole posizioni, bens� per 
aree funzionali (ad. es. l�area seconda comprende le ex posizioni B1, B2, B3), 
all�interno delle quali i profili (la cui definizione � rimessa alla contrattazione 
integrativa), distinti per settori di attivit�, possono accorpare le mansioni precedentemente 
articolate sulle diverse posizioni economiche di ciascuna area, 
secondo le caratteristiche professionali di base indicate nell�allegato A (art. 8). 

In tal modo � consentita una maggiore flessibilit� nella gestione del personale 
semplificando notevolmente le procedure di gestione delle risorse umane. 

Per contro, sotto la vigenza del precedente C.C.N.L. del 16 febbraio 1999, 
si poneva un principio di interscambiabilit� e fungibilit� all'interno del medesimo 
livello economico (e non dell'area) di appartenenza (con la conseguenza 
che risultavano ex se inferiori mansioni relative al pi� basso livello economico) 
ed inoltre si poneva il problema dell'interscambiabilit� tra vari profili del medesimo 
livello economico (13). 


LEGISLAZIONE ED ATTUALIT�

Per altro verso il legislatore del 2009 ha in parte ristretto l�ambito di operativit� 
della contrattazione collettiva sotto un duplice profilo. 

In primo luogo, a livello di fonti della disciplina del rapporto di lavoro 
pubblico, la legge delega n. 15 del 4 marzo 2009 con un'inversione di tendenza 
rispetto al passato, ove la fonte contrattuale era legittimata a disapplicare 
tutte le disposizioni legislative attinenti al rapporto di lavoro pubblico, 
tranne i casi in cui tale competenza era espressamente esclusa dalla legge 
(14), ha previsto che il contratto collettivo possa disciplinare in maniera diversa 
aspetti del rapporto di lavoro gi� regolati con legge solo se esplicitamente 
autorizzato in tal senso (v. art. 2, comma 2, secondo periodo, d.lgs cit. 
come mod. dall�1, comma 1, L. 4 marzo 2009 n. 15 modifica all�art. 2 del 
d.lgs 30 marzo 2001 n. 165 in materia di derogabilit� delle disposizioni applicabili 
solo ai dipendenti pubblici: "Eventuali disposizioni di legge, regolamento 
o statuto, che introducano discipline dei rapporti di lavoro la cui 
applicabilit� sia limitata ai dipendenti delle amministrazioni pubbliche, o a 
categorie di essi, possono essere derogate da successivi contratti o accordi 
collettivi e, per la parte derogata, non sono ulteriormente applicabili, solo 
qualora ci� sia espressamente previsto dalla legge�). 

In secondo luogo, � stato ridotto l�ambito di operativit� della contrattazione 
collettiva nel determinare i passaggi di aree. 

Invero, mentre nella formulazione originaria dell�art. 52 nel testo precedente 
al d.lgs 150/2009 il diritto alle mansioni corrispondenti alla qualifica 
superiore successivamente acquisita poteva maturare per effetto dello "sviluppo 
professionale" o di procedure concorsuali o selettive, dopo la riforma 
Brunetta � necessario il superamento di una prova selettiva volta all�accertamento 
della professionalit� richiesta e che garantisca in misura adeguata l�accesso 
dall�esterno. 

Infatti, il nuovo comma 1 bis prevede che i dipendenti pubblici (con esclusione 
dei dirigenti e dei docenti) debbano essere inquadrati in almeno tre distinte 
aree funzionali e stabilisce due distinte discipline per le progressioni di 

(13) Nella vigenza del precedente testo dell�art. 2, d.lgs cit. e del previgente ccnl comparto Ministeri 
del 16 febbraio 1999 sono state evidenziate le assurde conseguenze applicative che scaturirebbero 
dal ritenere a priori legittima un�indiscriminata mobilit� nel livello economico, senza alcun limite interno 
(es. considerando il livello economico B1, si dovrebbe ritenere legittima la variazione tra i seguenti profili: 
dattilografo, autista, manutentore; o nel livello C2 tra i profili di specialista informatico, consulente 
amministrativo e coordinatore di unit� organiche), v.si MARIA CASOLA, L'equivalenza nella contrattazione 
collettiva di comparti, in Mansioni e trasferimenti. 
(14) v.si art. 2, comma 2, secondo periodo, nel testo precedente alle modifiche apportate dall�art. 
1, comma 1, L.4 marzo 2009 n. 15 (modifica all�art. 2 del d.lgs 30 marzo 2001 n.165 in materia di derogabilit� 
delle disposizioni applicabili solo ai dipendenti pubblici): "Eventuali disposizioni di legge, 
regolamento o di statuto, che introducano discipline dei rapporti di lavoro la cui applicabilit� sia limitata 
ai dipendenti delle amministrazioni pubbliche, o a categorie di essi, possono essere derogate da 
successivi contratti o accordi collettivi e, per la parte derogata, non sono ulteriormente applicabili, 
salvo che la legge disponga espressamente in senso contrario". 



carriera a seconda che avvengano all�interno della stessa area funzionale o tra 
diverse aree. 

Per le progressioni all�interno dell�area riservate agli interni (le uniche 
riservate alla giurisdizione del G.O. v. Cass. sez. un. 19 febbraio 2007 n. 3717) 
sono previsti meccanismi selettivi che tengano conto delle qualit� culturali e 
professionali, dell�attivit� svolta e dei risultati conseguiti, attraverso l�attribuzione 
di fasce di merito (con esclusione, dunque, di qualsiasi automatismo 
fondato sull�anzianit�); per le progressioni di area la legge Brunetta ha privilegiato 
lo strumento del concorso pubblico, con facolt� per l�Amministrazione 
di destinare al personale interno (purch� in possesso del titolo di studi richiesto 
per l�accesso dall�esterno) una riserva di posti non superiore al 50 % di quelli 
messi a concorso. 

� stato altres� previsto, con ci� ulteriormente restringendo l�ambito di 
operativit� della contrattazione collettiva, che �la valutazione positiva conseguita 
dal dipendente per almeno tre anni costituisce titolo rilevante ai fini 
della progressione economica e dell�attribuzione dei posti riservati nei concorsi 
per l�accesso all�area superiore�. 

3.1 Assegnazione di diritto di mansioni superiori. 

Il comma 2 dell�art. 52 d.lgs 165/2001 consente l�assegnazione al dipendente 
pubblico di �mansioni proprie della qualifica immediatamente superiore� 
solo in due ipotesi, ovvero in caso di vacanza del posto in organico (per 
non pi� di sei mesi, prorogabili fino a dodici qualora siano avviate le procedure 
per la copertura dei posti vacanti) e di sostituzione di un lavoratore assente 
con diritto alla conservazione del posto (con esclusione dell�assenza per ferie) 
per la durata dell�assenza. 

Trattasi di ipotesi che hanno ad oggetto esclusivamente l�assegnazione 
di mansioni proprie della qualifica �immediatamente superiore� e disposte 
per obiettive esigenze di servizio, la cui conseguenza � il riconoscimento del 
diritto, sancito dal comma 4 dell�art. 52, del dipendente pubblico a percepire 
per tutta la durata dell�assegnazione il trattamento economico previsto per la 
qualifica superiore. 

Tuttavia, affinch� si realizzino dette conseguenze economiche, deve ricorrere 
anche la condizione prevista dal comma 3, secondo cui �si considera 
svolgimento di mansioni superiori, ai fini del presente articolo, soltanto l�attribuzione 
in modo prevalente, sotto il profilo qualitativo, quantitativo e temporale, 
dei compiti propri di dette mansioni�. 

4. Assegnazione di fatto di mansioni superiori. 

L�art. 52 comma 5 d.lgs n. 165/2001 prende in considerazione l�ipotesi 
di assegnazione di �mansioni proprie di una qualifica superiore� al di fuori 
delle condizioni previste dai commi 2, 3, 4, per sancire da un lato la nullit� 


LEGISLAZIONE ED ATTUALIT�

di detta assegnazione, con conseguente personale responsabilit� del dirigente 
che ha disposto l�assegnazione che abbia agito con dolo o colpa grave, e dal-
l�altro il diritto del lavoratore a percepire la differenza di trattamento economico 
con la qualifica superiore (�Al di fuori delle ipotesi di cui al comma 2, 
� nulla l�assegnazione del lavoratore a mansioni proprie di una qualifica superiore, 
ma al lavoratore � corrisposta la differenza di trattamento economico 
con la qualifica superiore. Il dirigente che ha disposto l�assegnazione risponde 
personalmente del maggior onere conseguente, se ha agito con dolo 

o colpa grave�). 

Tuttavia una significativa differenza con la disciplina privatistica � rappresentata 
dalla previsione di cui all�ultimo cpv del comma 1 dell�art. 52, secondo 
cui �l�esercizio di fatto di mansioni non corrispondenti alla qualifica 
di appartenenza non ha effetto ai fini dell�inquadramento del lavoratore o 
dell�assegnazione di incarichi di direzione�. 

Infatti, mentre nella disciplina privatistica il sistema dello ius variandi � 
fondato sull�automatica trasformazione delle mansioni in acquisizione della 
posizione superiore ad esse corrispondente (ovvero sul consolidamento e sul 
conseguimento della posizione rivestita a seguito del loro svolgimento, cfr. 
art. 2103 c.c.), tale principio non pu� trovare applicazione nel rapporto di pubblico 
impiego, ancorch� privatizzato, dal momento che si verrebbe a determinare 
un contrasto con l�art. 97, comma 3, della Costituzione, secondo cui agli 
impieghi nelle pubbliche amministrazioni si accede mediante concorso, salvo 
i casi stabiliti dalla legge. 

Inoltre, l�applicazione del principio civilistico importerebbe notevoli conseguenze 
giuridiche ed economiche sull�organico delle amministrazioni, strettamente 
correlato all�organizzazione degli uffici. 

Pertanto, pu� ritenersi che i due sistemi (privato e pubblico privatizzato) 
si equivalgano unicamente sotto il profilo del riconoscimento del diritto alla 
retribuzione per la svolgimento di mansioni superiori di fatto. 

Conseguentemente la giurisprudenza ha ritenuto che, nell'ambito di un 
concorso per la progressione interna, lo svolgimento di fatto di mansioni superiori 
non sia equiparabile, in difetto di previsioni specifiche del bando, al 
possesso - per un tempo minimo previsto - della qualifica superiore richiesta 
per la partecipazione al concorso (Cass. civ. Sez. lavoro Sent. 14 maggio 2008, 

n. 12087). 

4.1 L�orientamento della giurisprudenza amministrativa, costituzionale e civile 
in tema di svolgimento di fatto di mansioni superiori da parte del pubblico 
dipendente. 

La giurisprudenza amministrativa per lungo tempo ha seguito un orientamento 
volto al diniego dell'applicabilit� dell'art. 36 Cost. al pubblico impiego 
sul presupposto che su detta norma volta al rispetto della "giusta retribuzione" 


dovessero prevalere gli artt. 97 e 98 Cost., non potendo il rapporto di pubblico 
impiego essere in alcun modo assimilato ad un rapporto di scambio e dovendosi, 
anche ai fini del controllo della spesa, rispettare l'esigenza di conservazione 
di un assetto della pubblica amministrazione rigido e trasparente, 
espressione della quale � quella della supremazia del parametro della qualifica 
su quello delle mansioni, sicch� in una siffatta ottica ostavano all'applicabilit� 
dell'art. 36 Cost. pure le norme codicistiche dell'art. 2126 c.c. e art. 2041 c.c. 
(cfr. per tale indirizzo Cons. Stato, Ad. Plen., 18 novembre 1999 n. 22; ex plurimis: 
Cons. Stato, Sez. VI, 29 settembre 1999 n. 1291, Cons. Stato, Sez. VI, 
4 dicembre 2000 n. 6466, Cons. Stato, Sez. V, 12 ottobre 1999 n. 1438, Cons. 
Stato, Sez. V, 28 febbraio 2001 n. 1073). 

In dettaglio, � stato ritenuto che �Non � invocabile, ai fini di rendere rilevanti 
le mansioni superiori adempiute da un pubblico dipendente, l'art. 2126 
c.c., il quale, oltre a non dare rilievo alle mansioni svolte in difformit� dal titolo 
invalido, riguarda un fenomeno del tutto diverso (lo svolgimento di attivit� 
lavorativa da parte di chi non � qualificabile pubblico dipendente) ed afferma 
il principio della retribuibilit� del lavoro prestato sulla base di atto nullo o 
annullato. Esso, pertanto, non incide in alcun modo sui principi concernenti 
la portata dei provvedimenti che individuano il trattamento giuridico ed economico 
dei pubblici dipendenti e non consente di disapplicare gli atti di nomina 
o d'inquadramento, emanati in conformit� delle leggi e dei regolamenti, 
specie se divenuti inoppugnabili�; conseguentemente poich� �Nel pubblico 
impiego � la qualifica e non le mansioni il parametro al quale la retribuzione 
� inderogabilmente riferita, considerato anche l'assetto rigido della p.a. sotto 
il profilo organizzatorio, collegato anch'esso, secondo il paradigma dell'art. 
97 cost., ad esigenze primarie di controllo e contenimento della spesa pubblica; 
ci� comporta che l'amministrazione � tenuta ad erogare la retribuzione 
corrispondente alle mansioni superiori solo quando una norma speciale consenta 
tale assegnazione e la maggiorazione retributiva�. (Cons. Stato, Ad. 
Plen., 18 novembre 1999, n. 22; cfr., ex multis, Cons. Stato 8 maggio 2012 n. 

n. 2631, Cons. Stato, sez. V, 19 novembre 2012, n. 5852, Cons. Stato, sez. VI, 
3 febbraio 2011 n. 758, Cons. Stato, Sez. VI, 7 giugno 2005 n. 2184, Cons. 
Stato, Sez. VI , 23 gennaio 2004 n. 222) (15). 

(15) In applicazione di detto principio la giurisprudenza amministrativa � costante nel ritenere 
che nel comparto sanit� �In deroga al generale principio di irrilevanza ai fini giuridici ed economici 
dello svolgimento delle mansioni superiori - la retribuibilit� delle stesse, ai sensi dell'art. 29 del d.P.R. 
n. 761 del 1979, pu� avere luogo in presenza della triplice e contestuale condizione inerente: all'esistenza 
in organico di un posto vacante cui ricondurre le mansioni di pi� elevato livello; alla previa adozione 
di un atto deliberativo di assegnazione delle mansioni superiori da parte dell'organo a ci� competente; 
all'espletamento delle suddette mansioni per un periodo eccedente i sessanta giorni nell'anno solare� 
(cfr. da ultimo, Cons. Stato, sez. III, 4 dicembre 2014 n. 5982; ex multis, Cons. Stato, sez. III, 13 marzo 
2012 n. 768; Cons. Stato, sez. III, 16 febbraio 2012 n. 829; Cons. Stato, sez. III, 21 giugno 201 n. 3661; 
Cons. Stato, sez. V, 15 febbraio 2010 n. 814; Cons. Stato, sez. VI, 16 dicembre 2012 n. 9016. 



LEGISLAZIONE ED ATTUALIT�

Detto indirizzo, coerente con il carattere di indisponibilit� degli interessi 
coinvolti nel rapporto di pubblico impiego, � stato recentemente confermato 
dalla giurisprudenza amministrativa, che ribadito come �Nel pubblico impiego 
l'attribuzione di mansioni superiori e del relativo trattamento economico devono 
trarre non eludibile presupposto nel provvedimento di nomina o di inquadramento 
- ovvero in procedimenti all'uopo stabiliti dalla disciplina di 
settore - non potendo costituire oggetto di libere determinazioni dei funzionari 
preposti alle diverse strutture organizzative dell'ente pubblico (art. 33 del 
D.P.R.. 10 gennaio 1957, n. 3)�; ci� in quanto �la nozione di mansione nel 
pubblico impiego assume aspetti di peculiarit� e non si identifica nel mero 
collegamento materiale di taluni compiti espletati dal dipendente a quelli di 
una diversa e superiore qualifica, ma presuppone il concorso di qualit� professionali 
e di livello culturale da vagliarsi preventivamente in base a giudizi 
idoneativi previsti dalle norme di settore, i quali soli garantiscono l�effettiva 
corrispondenza della professionalit� richiesta - cui si collega un determinato 
livello di trattamento economico - agli scopi che l�Amministrazione intende 
perseguire avvalendosi di una determinata prestazione lavorativa� (in questi 
termini Cons. Stato Sez. III, 21 novembre 2014, n. 5737; in ordine all�inapplicabilit� 
dell�art. 36 Cost. e dell�art. 2126 c.c. in mancanza di norma speciale 
v.si anche, da ultimo, Cons. Stato, sez. III, n. 5982 del 4 dicembre 2014). 

Tuttavia la giurisprudenza amministrativa � attestata nel ritenere che il 
diritto alle differenze retributive per lo svolgimento delle funzioni superiori 
da parte dei pubblici dipendenti possa essere riconosciuto con carattere di generalit� 
a decorrere dal 22 novembre 1998, cio� dall'entrata in vigore del 
d.Lg.vo n. 387/1998, che, con l'art. 15, ha reso operativa la disciplina di cui 
all'art. 56 del D.Lg.vo n. 29/1993, mentre per quanto riguarda i periodi precedenti 
- che vengono all'esame della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo 
in virt� dell'art. 69, comma 7, d.lgs 165/01 - � stata ribadita 
l'impossibilit� di applicare in modo generalizzato e indiscriminato l'art. 36 
Cost. al rapporto di lavoro nel settore pubblico (il quale, a norma dell'art. 98, 
primo comma della Costituzione, si sottrae alla logica del puro rapporto di 
scambio, cfr. Corte Cost., sent. n. 236 del 18 maggio 1992) (Cons. Stato, sez. 
III, n. 1277 del 2014, Cons. Stato, sez. IV, 24 gennaio 2011 n. 467; Cons. 
Stato, sez. IV 30 giugno 2010 n. 4165; Cons. Stato, sez. IV, 9 luglio 2010 n. 
4465; Cons. Stato, sez. V, 26 marzo 2009 n. 1810). 

A diverse conclusioni � pervenuta la giurisprudenza dei giudici della 
legge per avere, infatti, la Corte costituzionale con numerose pronunzie affermato 
la diretta applicabilit� al rapporto di pubblico impiego dei principi dettati 
dall'art. 36 Cost., specificando al riguardo che detta norma "determina l'obbligo 
di integrare il trattamento economico del dipendente nella misura della 
quantit� del lavoro effettivamente prestato" a prescindere dalla eventuale irregolarit� 
dell'atto o dall'assegnazione o meno dell'impiegato a mansioni su



periori (Corte Cost. 23 febbraio 1989 n. 57; Corte Cost. ord. 26 luglio 1988 n. 
908); che "il principio dell'accesso agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni 
mediante pubblico concorso non � incompatibile con il diritto dell'impiegato, 
assegnato a mansioni superiori alla sua qualifica, di percepire il 
trattamento economico della qualifica corrispondente, giusta il principio di 
equa retribuzione sancito dall'art. 36 Cost.)" (Corte Cost. 27 maggio 1992 n. 
236); che il mantenere da parte della pubblica amministrazione l'impiegato a 
mansioni superiori, oltre i limiti prefissati per legge, determina una mera illegalit�, 
che per� non priva il lavoro prestato della tutela collegata al rapporto ai 
sensi dell'art. 2126 c.c. e, tramite detta disposizione, dell'art. 36 Cost. - perch� 
non pu� ravvisarsi nella violazione della mera ristretta legalit� quella illiceit� 
che si riscontra, invece, nel contrasto "con norme fondamentali e generali 
e con i principi basilari pubblicistici dell'ordinamento" e che, alla stregua della 
citata norma codicistica, porta alla negazione di ogni tutela del lavoratore 
(Corte Cost. 19 giugno 1990 n. 296 attinente ad una fattispecie riguardante il 
trattamento economico del personale del servizio sanitario nazionale in ipotesi 
di affidamento di mansioni superiori in violazione del disposto del D.P.R. n. 
761 del 1979, art. 29, comma 2). 

L'estensione della norma costituzionale all'impiego pubblico � stata condivisa 
anche dalla dottrina giuslavoristica che ha evidenziato come - pur essendo 
a seguito del D.Lgs n. 165 del 2001 il trattamento economico 
dell'impiegato disciplinato dalla contrattazione collettiva e pur essendo detta 
contrattazione non priva di vincoli unilateralmente opposti per fini di controllo 
della spesa pubblica (quali quelli derivanti dai primi tre commi dell'art. 48 del 
suddetto decreto) - i suddetti vincoli derivanti da esigenze di bilancio non impediscano 
comunque la piena operativit�, anche nel settore del lavoro pubblico, 
dei principi costituzionali di proporzionalit� ed efficienza della 
retribuzione espressi dall'art. 36 Cost. 

Principio questo che per poggiare sulla peculiare corrispettivit� del rapporto 
lavorativo - qualificato dalla specifica rilevanza sociale che assume in 
esso la retribuzione volta a compensare "una attivit� contrassegnata dall'implicazione 
della stessa persona del lavoratore", il quale ricava da tale attivit� 
il mezzo normalmente esclusivo di sostentamento suo e della sua famiglia da 
un lato ha portato autorevole dottrina a sganciare il rapporto giuridico retributivo 
dal novero dei diritti di credito per inquadrarlo tra i diritti assoluti 
della persona, e dall'altro ha spinto ad affermare, sulla base di una coessenzialit� 
o di una stretta relazione dei due principi della "sufficienza" e della 
"proporzionalit�" ostativa a qualsiasi rapporto gerarchico tra gli stessi, che 
l'attenuazione del principio sinallagmatico, integrato nel caso in esame dalla 
rilevanza della persona umana (che determina una traslazione del datore di lavoro 
del rischio della inattivit� del prestatore di lavoro, come in caso di sospensione 
del rapporto) attestano una dimensione sociale della retribuzione e 


LEGISLAZIONE ED ATTUALIT�

la sentita esigenza della copertura a livello costituzionale dei diritti inderogabili 
del lavoratore. 

Alla stregua di quanto enunciato e proprio in conformit� alla ricordata 
giurisprudenza della Corte Costituzionale, i Giudici di legittimit� hanno fissato 
e ribadito pi� volte il principio di diritto secondo cui "In materia di pubblico 
impiego - come si evince anche dalla lettura del D.Lgs. 3 febbraio 1993 

n. 29, art. 56, comma 6, (nel testo sostituito dal D.Lgs. 31 marzo 1998, n. 80, 
art. 25, cos� come successivamente modificato dal D.Lgs. 29 ottobre 1998, n. 
387, art. 15) - l'impiegato cui sono state assegnate, al di fuori dei casi consentiti, 
mansioni superiori, ha diritto, in conformit� della giurisprudenza della 
Corte Costituzionale, ad una retribuzione proporzionata e sufficiente ex art. 
36 Cost. Norma questa che deve, quindi, trovare integrale applicazione - senza 
sbarramenti temporali di alcun genere - pure nel settore del pubblico impiego 
privatizzato, sempre che le superiori mansioni assegnate siano state svolte, 
sotto il profilo quantitativo e qualitativo, nella loro pienezza, e sempre che in 
relazione all'attivit� spiegata siano stati esercitati i poteri ed assunte le responsabilit� 
correlate a dette superiori mansioni� (cfr. in tali esatti termini, 
Cass., Sez. Un., 11 dicembre 2007 n. 25837 cui adde, pi� di recente, Cass. 17 
settembre 2008 n. 23741). 

� stato altres� ripetutamente affermato che �In materia di pubblico impiego 
contrattualizzato, il diritto al compenso per lo svolgimento di fatto di mansioni 
superiori, da riconoscersi nella misura indicata nell'art. 52, quinto comma del 
d.lgs. n. 165 del 2001, non � condizionato alla sussistenza dei presupposti di 
legittimit� di assegnazione delle mansioni o alle previsioni dei contratti collettivi, 
n� all'operativit� del nuovo sistema di classificazione del personale introdotto 
dalla contrattazione collettiva, posto che una diversa interpretazione 
sarebbe contraria all'intento del legislatore di assicurare comunque al lavoratore 
una retribuzione proporzionata alla qualit� del lavoro prestato, in ossequio 
al principio di cui all'art. 36 della Costituzione� (Cass, sez. lavoro, 18 
giugno 2010 n. 14775, Cass. civ. Sez. lavoro, 7 agosto 2013 n. 18808). 

La giurisprudenza di legittimit� ritiene inoltre che il diritto del dipendente 
pubblico al trattamento corrispondente all�attivit� superiore svolta, riconosciuto 
in ossequio al principio della retribuzione proporzionata e sufficiente 
di cui all'art. 36 Cost. �non debba comunque tradursi in un rigido automatismo 
che porti ad attribuire al dipendente l�esatto trattamento economico corrispondente 
alle mansioni superiori, essendo sufficiente che vi sia un compenso 
aggiuntivo rispetto alla retribuzione della qualifica di appartenenza (Corte 
cost., 25 luglio 1997, n. 273)� (Cass. civ. Sez. Unite, 11 dicembre 2007 n. 
25837, Cass. civ. sez. lavoro, 14 giugno 2007 n. 13877; Cass. civ. sez. lavoro, 
25 ottobre 2003 n. 16078). 

Le considerazioni svolte inducono a concludere nel senso che sia ormai 
principio acquisito la necessit� di un giusto contemperamento, da perseguirsi 


attraverso il ricorso alla "giusta retribuzione" ex art. 36 Cost., fra retribuzione 
e quantit� e qualit� del lavoro svolto nel caso che l'utilizzazione del dipendente 
avvenga in mansioni che siano state irregolarmente acquisite. 

Passando all�analisi della casistica giurisprudenziale in tema di lavoro 
pubblico contrattualizzato, � stato ritenuto che lo svolgimento di mansioni 
rientranti in una qualifica superiore, pur non avendo effetto ai fini dell�inquadramento 
superiore, rileva, alle condizioni stabilite della legge ai fini della 
maturazione del diritto alle relative differenze retributive, anche nel caso in 
cui le mansioni non rientrino nella qualifica immediatamente superiore ma in 
quelle ulteriori (es. in una qualifica di due livelli superiori a quella di inquadramento), 
e ci� per ragioni sia di ordine letterale che sistematico. 

In dettaglio, sotto il profilo letterale � stato osservato che il comma 5, nel 
prevedere l�ipotesi di assegnazione di fatto �a mansioni proprie di una qualifica 
superiore� e nel sancire la nullit� dell�assegnazione e il diritto del lavoratore 
alle relative differenze retributive, non abbia contenuto equivalente 
all�espressione �qualifica immediatamente superiore� che il legislatore usa 
al comma 2 per individuare i casi in cui � legittima l�assegnazione di mansioni 
immediatamente superiori alla qualifica di appartenenza del dipendente; inoltre 
una diversa interpretazione, oltre a non essere giustificata dalla lettera del 
comma 5, sarebbe anche contraria alla sua �ratio�, che � quella di assicurare 
al lavoratore una retribuzione proporzionata alla qualit� del lavoro prestato, 
in ossequio al principio di cui all�art. 36 Cost. (Cass. 25 ottobre 2004 n. 20692, 
Cass. Sez. lavoro, 23 febbraio 2009 n. 4367, Cass. civ., sez. lavoro, 7 agosto 
2013 n. 18808). 

La giurisprudenza ha avuto altres� modo di affrontare la questione se lo 
svolgimento di mansioni dirigenziali non immediatamente superiori a quelle 
corrispondenti alla qualifica posseduta integri ipotesi di svolgimento di mansioni 
superiori, con conseguente obbligo retributivo. 

Invero, a rigore, in tali casi trattandosi, pi� che di �mansioni superiori�, 
di una diversa �carriera", pu� apparire dubbia l�applicazione della disciplina 
del d.lgs 3 febbraio 1929, n. 29, art. 56 (nel testo sostituito dal d.lgs 31 marzo 
1998, n. 80, art. 25, e successivamente modificato dal d.lgs 29 ottobre 1998, 

n. 387, art. 15: v. ora D.lgs 30 marzo 2001, n. 165, art. 52). 

Sul punto la Corte di Cassazione ha per� osservato in linea generale che 
la considerazione delle specifiche caratteristiche delle posizioni organizzative 
di livello dirigenziale e delle relative attribuzioni regolate dal contratto di incarico, 
come della diversit� delle "carriere", non pu� escludere l'applicazione 
della disciplina in esame quando venga dedotto, l'espletamento di fatto di mansioni 
dirigenziali da parte di un funzionario; tale ipotesi pu� essere invece ricondotta 
certamente alla previsione del citato comma 5, relativa al conferimento 
illegittimo di mansioni superiori, da cui consegue il diritto al corrispondente 
trattamento economico, secondo la ratio della norma che � di assicurare co



LEGISLAZIONE ED ATTUALIT�

munque al lavoratore una retribuzione proporzionata alla qualit� del lavoro prestato, 
in ossequio al principio di cui all'art. 36 Cost. (Cass. 4 agosto 2004 n. 
14944, 25 ottobre 2004 n. 20692, Cass. 19 aprile 2007, n. 9328). 

Tuttavia, a tal fine non � stato ritenuto sufficiente il provvedimento di incarico, 
occorrendo invece l'allegazione e la prova della pienezza delle mansioni 
assegnate, sotto il profilo qualitativo e quantitativo, in relazione alle 
concrete attivit� svolte e alle responsabilit� attribuite (Cass. civ., sez. lav., 19 
aprile 2007, Cass., sez. un., 11 dicembre 2007 n. 25837, Cass. civ. sez. lavoro, 
30 dicembre 2009, n. 27887). 

Ed ancora � stato osservato che �In tema di impiego pubblico contrattualizzato, 
l'assegnazione temporanea, ma per lunghi periodi, delle funzioni 
di reggente dell'ufficio di assegnazione per la vacanza del posto di dirigente, 
che rientra nell'ambito di applicazione dall'art. 52, comma 5, del d.lgs. 30 
marzo 2001, n. 165, attribuisce al lavoratore il diritto alla differenza di trattamento 
economico previsto per la qualifica superiore ricoperta, restando 
escluso che tale disciplina possa essere diversamente regolata dalla contrattazione 
collettiva, la quale, ai sensi del comma 6 del citato art. 52, pu� regolare 
diversamente i soli effetti di cui ai commi 2, 3 e 4 della disposizione, e 
non anche quelli di cui al comma 5, non richiamato� (Cass. civ. Sez. lavoro, 
28 marzo 2013, n. 7823). 

La questione investe, pi� in generale, i rapporti tra l�istituto della reggenza 
di un ufficio e l�esercizio di mansioni superiori; sul punto � stato osservato 
che le disposizioni relative al comparto Ministeri che consentono la reggenza 
del pubblico ufficio sprovvisto temporaneamente del dirigente titolare devono 
essere interpretate, ai fini del rispetto del canone di ragionevolezza di cui all�art. 
3 Cost. e dei principi generali di tutela del lavoro (art. 35 e 36 Cost.; art. 
2103 c.c. e art. 52 D.lgs n. 165/2001), nel senso che l�ipotesi della reggenza 
costituisce una specificazione dei compiti di sostituzione del titolare assente 

o impedito contrassegnata dalla straordinariet� e dalla temporaneit�, con la 
conseguenza che a tale posizione pu� farsi luogo, senza che si producano gli 
effetti collegati allo svolgimento di mansioni superiori, solo allorquando sia 
stato aperto il procedimento di copertura del posto vacante e nei limiti di tempo 
ordinariamente previsti per tale copertura, cosicch�, al di fuori di tale ipotesi, 
la reggenza dell�ufficio concreta svolgimento di mansioni superiori; in tal caso 
la Corte, con particolare riguardo al profilo relativo all'inclusione della retribuzione 
di posizione e di quella di risultato nel calcolo del trattamento differenziale, 
pur premettendo che si tratta di elementi retributivi accessori, e non 
fondamentali, della retribuzione, connessi ai diversi livelli della funzione di 
dirigente e al conseguimento di predeterminati obiettivi propri di quella qualifica 
(cfr. Cass. n. 11084 del 2007), ha precisato (cfr. Cass. n. 29671 del 2008) 
che l'attribuzione delle mansioni dirigenziali, con la pienezza delle relative 
funzioni, e con l'assunzione delle responsabilit� inerenti al perseguimento degli 


obiettivi propri delle funzioni di fatto assegnate, non pu� che comportare, 
anche in relazione al principio di adeguatezza sancito dall'art. 36 Cost., la corresponsione 
dell'intero trattamento economico (Cass. civile SS.UU. sent. 16 
febbraio 2011 n. 3814). 

Per ci� che concerne, in particolare, il sistema normativo del lavoro pubblico 
dirigenziale negli enti locali (trasfuso nel D.lgs n. 267 del 2000, art. 109), 
la Corte di Cassazione, nell'escludere la configurabilit� di un diritto soggettivo 
a conservare in ogni caso determinate tipologie di incarico dirigenziale, ha 
confermato il principio generale che, nel lavoro pubblico, alla qualifica dirigenziale 
corrisponde soltanto l'attitudine professionale all'assunzione di incarichi 
dirigenziali di qualunque tipo, e non consente perci� - anche in difetto 
dell'espressa previsione di cui al d.lgs n. 165 del 2001, art. 19, stabilita per le 
amministrazioni statali - di ritenere applicabile l'art. 2103 c.c., risultando la 
regola del rispetto di determinate specifiche professionalit� acquisite non compatibile 
con lo statuto del dirigente pubblico locale, con la sola eccezione della 
dirigenza tecnica, la quale va tuttavia interpretata in senso stretto, ossia nel 
senso che il dirigente tecnico, il cui incarico � soggetto ai principi della temporaneit� 
e della rotazione, deve comunque svolgere mansioni tecniche (Cass. 
civ., sez. lav., 21 ottobre 2014 n. 22284; Cass. civ., sez. lav. 23 ottobre 2013 

n. 24035; Cass. civ., sez. lav.,15 febbraio 2010 n. 3451). 

� stato altres� affrontato e recentemente risolto dalle SS.UU. della Corte 
di Cassazione il contrasto giurisprudenziale insorto circa il calcolo della base 
retributiva dell�indennit� di buonuscita spettante ai sensi degli artt. 3 e 38 del 

d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1032 al pubblico dipendente in caso di l'esercizio 
di fatto di mansioni pi� elevate rispetto a quelle della qualifica di appartenenza. 

Invero, secondo un primo orientamento � stato ritenuto che �nel rapporto 
di lavoro c.d. privatizzato alle dipendenze di pubbliche amministrazioni, poich� 
l'esercizio di fatto di mansioni pi� elevate rispetto a quelle della qualifica 
di appartenenza non ha effetto ai fini dell'inquadramento del lavoratore nella 
superiore qualifica, la base retributiva dell'indennit� di buonuscita, che sia 
normativamente costituita dalla retribuzione corrispondente all'ultima qualifica 
legittimamente rivestita dall'interessato all'atto della cessazione del servizio, 
non � da riferire alla retribuzione corrispondente alla superiore 
qualifica, bens� a quella corrispondente all'inferiore qualifica di appartenenza� 
(principio espresso da Cass. civ. Sez. lav., 11 giungo 2008 n. 15498 e 
poi ribadito da Cass. civ., sez. lav., 2 luglio 2013 n. 16506). 

Detto principio per� non � stato condiviso da altra parte della giurisprudenza, 
che aveva osservato come �l'indennit� di buonuscita dei dipendenti 
statali, pur realizzando una funzione previdenziale, ha natura retributiva e, 
alla luce del principio di proporzionalit� sancito dall'art. 36 Cost., deve essere 
commisurata all'ultima retribuzione anche se percepita per lo svolgimento di 
mansioni superiori, purch� queste ultime siano esercitate, sotto il profilo qua



LEGISLAZIONE ED ATTUALIT�

litativo e quantitativo, con pienezza di poteri e responsabilit�. Ne consegue 
che, ove sia stata conferita la reggenza per un posto di dirigente con attribuzione 
del relativo trattamento economico e tali mansioni siano state effettivamente 
esercitate per lungo tempo (tre anni), ai fini del contributo dell'indennit� 
di buonuscita del dipendente, che, nel frattempo, abbia maturato i requisiti 
per il collocamento a riposo, si deve considerare, quale ultimo trattamento 
economico percepito, quello corrisposto per l'incarico svolto a titolo di reggenza� 
(Cass. civ., sez. lav., 13 giugno 2012, n. 9646). 

La questione � stata definita con sentenza della Cass. civ. Sez. Unite, 14 
maggio 2014, n. 10413, che richiamando le pronunce della Corte Costituzionale 
che hanno affermato la legittimit� della tassativit� degli emolumenti computabili 
ai fini dell'indennit� di buonuscita (C. Cost. n. 243/93 e n. 278/95) 
nonch� le pronunce di legittimit� e del Consiglio di Stato che si sono espresse 
in piena sintonia con la giurisprudenza costituzionale con riguardo a settori diversi 
(Cass. Sez. Un. n. 3673/97; Cass. n. 16596/04; Cass. n. 22125/11; Cass. 

n. 2259/12; Cass. n. 709/12; Cons. St., Sez. 6^, n. 6736/11; n. 2075/11; n. 
3717/09; n. 482/09), hanno affermato che gli stessi principi trovano applicazione 
nella fattispecie della reggenza, la quale � connotata dalla temporaneit� 
e presuppone che per obiettive esigenze di servizio il prestatore di lavoro, nel 
caso di vacanza di posto in organico, sia temporaneamente adibito a mansioni 
proprie di una qualifica superiore. Anche in tali ipotesi l'intrinseca temporaneit� 
dell'incarico dirigenziale come reggente, affidato al dipendente sprovvisto della 
qualifica di dirigente, comporta che l'incremento di trattamento economico rispetto 
a quello corrispondente alla qualifica di appartenenza sia concettualmente 
isolabile e non appartenga alla nozione di "stipendio" che � invece il 
trattamento economico tabellarmente riferibile alla qualifica di appartenenza. 

D'altra parte, aggiungono le Sezioni Unite, rapportare la liquidazione del-
l'indennit� di buonuscita alla retribuzione da ultimo percepita in forza delle 
mansioni dirigenziali espletate in via di reggenza temporanea, anzicch� alla 
retribuzione dell'ultima qualifica rivestita, significa realizzare di fatto lo stesso 
effetto che si sarebbe verificato se il dipendente avesse regolarmente conseguito 
il superiore inquadramento, effetto questo che il legislatore con la privatizzazione 
del rapporto di pubblico impiego ha sempre inteso evitare, 
disponendo che l'esercizio di fatto di mansioni non corrispondenti alla qualifica 
di appartenenza non rileva ai fini dell'inquadramento del lavoratore o dell'assegnazione 
di incarichi dirigenziali. 

Ne consegue, hanno rilevato Sezioni Unite, che nella base di calcolo del-
l'indennit� di buonuscita del dipendente che da ultimo abbia svolto le superiori 
mansioni di dirigente in situazione di reggenza, non possono 
comprendersi emolumenti diversi da quelli previsti dal combinato disposto 
del D.P.R. n. 1032 del 1973, artt. 3 e 38, non potendo in particolare interpretarsi 
le locuzioni "stipendio", "paga" o "retribuzione", nel senso generico di 


retribuzione omnicomprensiva riferibile a tutto quanto ricevuto dal dipendente 
in modo fisso o continuativo e con vincolo di corrispettivit� con la prestazione, 
ma dovendo esse essere riferite al trattamento retributivo relativo 
alla qualifica di appartenenza. 

Diversamente opinando il sistema si presterebbe a speculazioni e a calcoli 
opportunistici (si pensi all�ipotesi in cui l�incarico di reggenza venga conferito 
poco prima che il dipendente venga collocato a riposo, con la conseguenza 
che la buonuscita dovrebbe essere calcolata sulla base dell�ultima retribuzione 
percepita). 

VՏ da dire, altres�, che per le fattispecie successive all�entrata in vigore 
della c.d. riforma Brunetta (d.lgs n. 150 del 2009 art. 40, che ha modificato il 
d.lgs n. 165/52001 art. 19 inserendo il comma 2, ulteriormente mod. dal D.L. 

n. 138 del 2011, art. 1, comma 32, conv. con mod. in L. n. 148 del 2011), il legislatore, 
con riguardo ai dipendenti statali titolari di incarichi dirigenziali, ha 
disposto che, ai fini della determinazione della misura del trattamento di quiescenza 
ex art. 43 cit., l'ultimo stipendio vada individuato nell'ultima retribuzione 
percepita in relazione all'incarico svolto, mentre, nell'ipotesi di incarico 
inferiore a tre anni perch� coincidente con il conseguimento del limite di et� 
per il collocamento a riposo dell'interessato (terzo periodo del comma 2), il 
legislatore ha stabilito che l'ultimo stipendio vada individuato nell'ultima retribuzione 
percepita prima del conferimento dell'incarico avente durata inferiore 
a tre anni, norma questa palesemente diretta ad evitare ogni forma di 
speculazione (Cass. civ., sez. lav. 20 ottobre 2014 n. 22156). 

5. Demansionamento. 

In materia di pubblico impiego privatizzato il c.d. demansionamento pu� 
verificarsi sia nell�ipotesi di assegnazione del dipendente a mansioni inferiori 
a quelle di assunzione o a mansioni equivalenti nell�area di inquadramento 
(da valutarsi sempre alla luce delle previsioni della contrattazione collettiva), 
sia in caso di sostanziale svuotamento dell'attivit� lavorativa; in tale ultimo 
caso, peraltro, come ritenuto dalla giurisprudenza, la vicenda esula dall'ambito 
delle problematiche sull'equivalenza delle mansioni, configurandosi la diversa 
ipotesi della sottrazione pressoch� integrale delle funzioni da svolgere, vietata 
anche nell'ambito del pubblico impiego (Cass. civ., sez. lav., 15 gennaio 2014 

n. 687; Cassazione civile sez. lav. 11 aprile 2013 n. 8854; Cass. civ., sez. lavoro, 
21 maggio 2009, n. 11835). 

Va altres� precisato che l�illecito del demansionamento da parte del datore 
di lavoro non � configurato da qualsiasi inadempimento alle obbligazioni datoriali, 
ma quando vi sia una effettiva perdita di mansioni svolte e il progressivo 
depauperamento dei compiti pi� qualificanti, appartenenti alla posizione 
professionale del lavoratore, con conseguente depauperamento del suo patrimonio 
professionale e della sua dignit� lavorativa. In particolare, nel pubblico 


LEGISLAZIONE ED ATTUALIT�

impiego il demansionamento � stato ravvisato nei casi in cui si attribuiscano 
funzioni inferiori non rientranti nella qualifica di appartenenza; escluso, invece, 
quando il pubblico dipendente sia dismesso dalle funzioni svolte e incaricato 
di altre mansioni rientranti nella qualifica funzionale di inquadramento. 

Non pu�, dunque, prescindersi dalla verifica relativa alla rilevanza concreta 
della sottoutilizzazione professionale, potendosi configurare la dequalificazione 
solo quale fatto duraturo e foriero di perdita di professionalit� e 
dovendosi necessariamente considerare gli inevitabili assestamenti conseguenti 
a modifiche organizzative comportanti la cessazione e l'avvio di nuove 
strutture operative. 

L�ipotesi di demansionamento del dipendente va ovviamente concettualmente 
distinta dalla pi� ampia ipotesi di c.d. mobbing, tenendo presente che 
nell'ambito del lavoro "pubblico", per configurarsi una condotta di mobbing, 
� necessario un disegno persecutorio tale da rendere tutti gli atti dell'Amministrazione, 
compiuti in esecuzione di tale sovrastante disegno, non funzionali 
all'interesse generale a cui sono normalmente diretti (Cons. Stato, Sez. IV, 19 
marzo 2013 n. 1609; Cons. Stato, Sez. VI, 15 giugno 2011 n. 3648). 

In tema di lavoro privato (ma il principio appare applicabile anche in tema 
di pubblico impiego privatizzato) � stato, altres�, osservato che l'eventuale assegnazione 
di mansioni (inferiori o comunque non rientranti nella qualifica di 
appartenenza) se pu� consentire al lavoratore di richiedere giudizialmente la 
riconduzione della prestazione nell'ambito della qualifica di appartenenza, non 
giustifica il rifiuto del prestatore di lavoro di eseguire la prestazione lavorativa 
richiesta, rendendosi cos� inadempiente, sia perch� lo stesso � tenuto ad osservare 
le disposizioni impartite dal datore di lavoro ex artt. 2086 c.c. e 2104 
cod. civ. e pu� invocare l'art. 1460 c.c. solo in caso di totale inadempimento 
dell'altra parte (mentre, nel caso in cui sussista contestazione solo su una delle 
obbligazioni a carico di una delle parti, il datore continua ad assolvere tutti gli 
altri propri obblighi (pagamento retribuzione, copertura previdenziale ed assicurativa, 
etc.) (Cass. civ., sez. lav. 5 dicembre 2007 n. 25313); peraltro, recentemente 
� stato affermato che il lavoratore pu� invocare l'eccezione di 
inadempimento di cui all'art. 1460 c.c. se il rifiuto appare proporzionato all'illegittimo 
comportamento del datore e conforme a buona fede (Cass. civ., sez. 
lav. 19 luglio 2013 n. 17713). 

Sempre in tema di lavoro privato, non si ritiene in contrasto con il divieto 
di patti contrari di cui all' art. 2103 c.c., il c.d. patto di demansionamento (sorretto, 
dunque, dall'interesse e dal consenso del lavoratore) quale unico mezzo 
per conservare il rapporto di lavoro (ad es. in caso sopravvenuta inidoneit� fisica 
del lavoratore, ovvero in linea generale al fine di tutelare interessi superiori, 
quali la conservazione del posto) (Cass. civ., sez. lav., 12 aprile 2012 n. 
5780). Nel settore pubblico, non essendo applicabile l'art. 2103 c.c. in tema di 
mansioni, non sembrano sussistere ragioni ostative all'applicabilit� di principi 


analoghi in caso di deroghe convenzionali o collettive alla disciplina generale 
di cui all'art. 52 T.U. volte alla tutela di interessi superiori. 

Con particolare riguardo agli oneri di allegazione e di prova gravanti sulle 
parti, secondo la costante giurisprudenza, in tema di risarcimento del danno 
non patrimoniale derivante da demansionamento e dequalificazione, non � sufficiente 
dimostrare la mera potenzialit� lesiva della condotta datoriale: incombe 
sul lavoratore l'onere, non solo di allegare il demansionamento, ma 
anche di fornire la prova ex art. 2697 c.c. del danno non patrimoniale e del 
nesso di causalit� con l'inadempimento datoriale (Cass. civ. Sez. lavoro, 25 
marzo 2014, n. 6965; Cass. civ., sez. lav., 17 settembre 2010 n. 19785). 

A tal fine � opportuno ricordare che l�inadempimento del datore di lavoro 
� gi� sanzionato con l�obbligo di corresponsione della retribuzione ed � perci� 
necessario non solo che si produca una lesione aggiuntiva e per certi versi autonoma, 
nella sfera del lavoratore (16), ma anche che lo stesso assolva i relativi 
oneri probatori. 

In tal senso la giurisprudenza ha avuto modo di precisare che "in caso di 
accertato demansionamento professionale, la risarcibilit� del danno all'immagine 
derivato al lavoratore a cagione del comportamento del datore di lavoro 
presuppone che la lesione dell'interesse sia grave, nel senso che l'offesa 
superi una soglia minima di tollerabilit�, e che il danno non sia futile, vale a 
dire che non consista in meri disagi o fastidi" (Cass. civ. Sez. lavoro, 4 marzo 
2011, n. 5237). 

� stata altres� respinta la domanda per perdita di chance sulla base della 
mancata allegazione di fatti idonei a comprovare che il lavoratore abbia subito 
una compromissione effettiva delle sue concrete aspettative di natura professionale 
a causa della dequalificazione subita o dell'atteggiamento discriminatorio 
del datore di lavoro (Cassazione civile sez. lav. 7 agosto 2014 n. 17755); 
in particolare, nella specie, non si era specificato da quali concorsi interni fosse 
stato escluso il lavoratore, a quali corsi di formazione non fosse stato ammesso, 
da quali prove selettive fosse stato illegittimamente escluso, quali promozioni 
avesse mancato per il periodo di inattivit� per il demansionamento subito). 

Pertanto, in ipotesi di demansionamento e di dequalificazione, il riconoscimento 
del diritto del lavoratore al risarcimento del c.c. danno non patrimoniale 
che asseritamente ne deriva - non ricorrendo automaticamente in tutti i 
casi di inadempimento datoriale - non pu� prescindere da una specifica allegazione, 
nel ricorso introduttivo del giudizio, sulla natura e sulle caratteristiche 
del pregiudizio medesimo (Cass. civ. Sez. lavoro, 4 settembre 2014, n. 18673). 

Come affermato dalle Sezioni Unite della Suprema Corte (v. Cass. S.U. 
24 marzo 2006, n. 6572) "in tema di demansionamento e di dequalificazione, 

(16) v. MARIA CASOLA, Mansioni e trasferimenti, cit. 


LEGISLAZIONE ED ATTUALIT�

il riconoscimento del diritto del lavoratore al risarcimento del danno professionale, 
biologico o esistenziale, che asseritamente ne deriva - non ricorrendo 
automaticamente in tutti i casi di inadempimento datoriale - non pu� prescindere 
da una specifica allegazione, nel ricorso introduttivo del giudizio, sulla 
natura e sulle caratteristiche del pregiudizio medesimo; mentre il risarcimento 
del danno biologico � subordinato all'esistenza di una lesione dell'integrit� 
psico-fisica medicalmente accertabile, il danno esistenziale - da intendere 
come ogni pregiudizio (di natura non meramente emotiva ed interiore, ma oggettivamente 
accertabile) provocato sul fare areddituale del soggetto, che alteri 
le sue abitudini e gli assetti relazionali propri, inducendolo a scelte di vita 
diverse quanto all'espressione e realizzazione della sua personalit� nel mondo 
esterno - va dimostrato in giudizio con tutti i mezzi consentiti dall'ordinamento, 
assumendo peraltro precipuo rilievo la prova per presunzioni, per cui 
dalla complessiva valutazione di precisi elementi dedotti (caratteristiche, durata, 
gravit�, conoscibilit� all'interno ed all'esterno del luogo di lavoro del-
l'operata dequalificazione, frustrazione di precisate e ragionevoli aspettative 
di progressione professionale, eventuali reazioni poste in essere nei confronti 
del datore comprovanti l'avvenuta lesione dell'interesse relazionale, effetti negativi 
dispiegati nelle abitudini di vita del soggetto) - il cui artificioso isolamento 
si risolverebbe in una lacuna del procedimento logico - si possa, 
attraverso un prudente apprezzamento, coerentemente risalire al fatto ignoto, 
ossia all'esistenza del danno, facendo ricorso, ai sensi dell'art. 115 c.p.c., a 
quelle nozioni generali derivanti dall'esperienza, delle quali ci si serve nel ragionamento 
presuntivo e nella valutazione delle prove". 

Nel contempo � stato anche affermato che "la risarcibilit� del danno morale, 
a norma dell'art. 2059 c.c., non � soggetta al limite derivante dalla riserva 
di legge e non richiede che il fatto illecito integri in concreto un reato, 
essendo sufficiente che vi sia stata una lesione di un interesse inerente alla 
persona, costituzionalmente garantito, atteso che la previsione costituzionale 
dell'interesse relativo ne esige in ogni caso la protezione" (v. Cass. 19 dicembre 
2008 n. 29832). 

Rimane ferma, per�, la necessit� di evitare, trattandosi di danno non patrimoniale, 
ogni duplicazione con altre voci di danno non patrimoniale accomunate 
dalla medesima fonte causale (Cassazione civile sez. lav. 29 settembre 
2014 n. 20473, nella specie, la Corte ha respinto la richiesta del ricorrente, secondo 
cui l'inattivit� per oltre sei anni dal ruolo di dirigente chimico di 2^ livello, 
nonch� di coordinatore del laboratorio a carattere centralizzato del 
servizio di ematologia di un prestigioso policlinico universitario non costituiva 
di per s� prova del danno subito, atteso che a detta della Corte la parte non 
aveva allegato le specifiche circostanze atte a provare il depauperamento del 
proprio bagaglio professionale). 

Invero, alla stregua del "diritto vivente" segnato dall'arresto delle Sezioni 


Unite civili del 2008 (sentenza n. 26972 del 2008, Cass. n. 24015 del 16 novembre 
2011, Cass. 29 novembre 2011 n. 25222, Cass. 19 febbraio 2013 n. 
4043), la liquidazione del danno non patrimoniale deve essere complessiva e 
cio� tale da coprire l'intero pregiudizio a prescindere dai "nomina iuris" dei 
vari tipi di danno, i quali non possono essere invocati singolarmente per un 
aumento della anzidetta liquidazione. Tuttavia, sebbene il danno non patrimoniale 
costituisca una categoria unitaria, le tradizionali sottocategorie di danno 
biologico e danno morale continuano a svolgere una funzione, per quanto solo 
descrittiva, del contenuto pregiudizievole preso in esame dal Giudice al fine 
di dare contenuto e parametrare la liquidazione del danno risarcibile. 

� stato poi ulteriormente osservato che se il carattere unitario della liquidazione 
del danno non patrimoniale ex art. 2059 cod. civ. preclude la possibilit� 
di un separato ed autonomo risarcimento di specifiche fattispecie di 
sofferenza patite dalla persona (danno alla vita di relazione, danno estetico, 
danno esistenziale, ecc), che costituirebbero vere e proprie duplicazioni risarcitorie, 
resta fermo, per�, l'obbligo del giudice di tenere conto di tutte le peculiari 
modalit� di atteggiarsi del danno non patrimoniale nel singolo caso, 
tramite l'incremento, della somma dovuta a titolo risarcitorio in sede di personalizzazione 
della liquidazione (Cass. n. 21716 del 23 settembre 2013). 

Devono, dunque, trovare corretta applicazione in presenza del ritenuto 
demansionamento, i principi in materia enunciati dalla Corte di Cassazione 
(sez. lav., 19 settembre 2014, n. 19778) e dal Consiglio di Stato (sez. VI, 17 
gennaio 2014, n. 223), secondo cui, in tema di dequalificazione, il giudice del 
merito pu� desumere l'esistenza del relativo danno, avente natura patrimoniale 
e, ricorrendone i presupposti, anche non patrimoniale, il cui onere di allegazione 
incombe al lavoratore, determinandone anche l'entit� in via equitativa, 
con processo logico-giuridico attinente alla formazione della prova, anche presuntiva, 
in base agli elementi di fatto relativi alla qualit� e quantit� della esperienza 
lavorativa pregressa, al tipo di professionalit� colpita, alla durata del 
demansionamento, all'esito finale della dequalificazione e alle altre circostanze 
del caso concreto. 

Infine, � stato altres� recentemente osservato che in tema di lavoro pubblico 
contrattualizzato, poich� il passaggio dall'inquadramento nelle aree funzionali 
alla qualifica di dirigente implica una novazione oggettiva del rapporto 
di lavoro, equiparata al reclutamento dall'esterno, e non riconducibile alle procedure 
concorsuali o selettive di cui all'art. 52 del d.lgs. 30 marzo 2001, n. 
165, in tale evenienza, non � ipotizzabile un danno da demansionamento ma, 
eventualmente, da mancato conferimento o ritardata attribuzione di un incarico 
dirigenziale (Cass. civ. Sez. lavoro, 28 ottobre 2014, n. 22835). 

6. Sindacato del Giudice del lavoro e onere della prova delle parti. 

Come � noto, nei rapporti di pubblico impiego privatizzati, ai sensi del



LEGISLAZIONE ED ATTUALIT�

l�art. 5 comma 2 d.lgs n. 165/01, �le determinazioni per l�organizzazione degli 
uffici e le misure inerenti la gestione dei rapporti di lavoro sono assunte dagli 
organi preposti alla gestione con la capacit� e i poteri del privato datore di 
lavoro�. 

Pertanto, sono regolati dal diritto privato sia le determinazioni per l�organizzazione 
degli uffici (c.d. atti di micro-organizzazione) che gli atti di gestione 
del rapporto di lavoro, mentre sono regolati dal diritto amministrativo 
i soli atti di c.d. macro organizzazione, ovvero quelli inerenti il profilo strutturale 
degli uffici, riguardanti le materie tassativamente elencate all�art. 2 
comma 1 del d.lgs n. 165/2001 (�Le amministrazioni pubbliche definiscono, 
secondo principi generali fissati da disposizioni di legge e, sulla base dei medesimi, 
mediante atti organizzativi secondo i rispettivi ordinamenti, le linee 
fondamentali di organizzazione degli uffici; individuano gli uffici di maggiore 
rilevanza e i modi di conferimento della titolarit� dei medesimi; determinano 
le dotazioni organiche complessive...�), nelle quali si esprime la posizione di 
supremazia speciale che nell�ordinamento ha il soggetto pubblico. 

Conseguentemente, poich� dopo la riforma del P.I., tutti i poteri di gestione 
del rapporto di lavoro presso la P.A. hanno natura privatistica, il sindacato 
sugli atti o comportamenti gestionali del rapporto di lavoro pubblico 
privatizzato deve rigorosamente vertere su categorie civilistiche (nullit� ed 
art. 1418 e 1324 c.c. nei casi di violazione di norme imperative, annullabilit�, 
inefficacia, inesistenza, risolubilit�) e la condotta del datore di lavoro pubblico 
deve essere valutata in termini di inadempimento contrattuale (e non di illegittimit� 
degli atti), con tutto ci� che ne discende (contenuto del ricorso, onere 
della prova, risarcimento del danno, contenuto della sentenza). 

Da ci� consegue non solo l�infondatezza di tutti i motivi di ricorso fondati 
sull�applicabilit� di regole e principi propri degli atti amministrativi e del-
l�azione di diritto pubblico dell�amministrazione (es. l. 241/90 in tema di procedimento 
amministrativo), ma anche i vizi tipici dei provvedimenti 
amministrativi (illogicit�, incoerenza, difetto di motivazione e pi� in generale 
incompetenza, violazioni di legge, eccesso di potere) devono tradursi - gi� a 
livello di prospettazioni del ricorso - in termini di scorrettezza, mala fede, discriminariet�, 
illiceit�, lesione del diritto alla dignit� del prestatore di lavoro 

o inadempimento in genere. 

In definitiva, la conformit� a legge degli atti di gestione del rapporto di 
lavoro pubblico privatizzato - anche in tema di mansioni - deve valutarsi secondo 
gli stessi parametri che si utilizzano per i datori di lavoro privati. 

Detto � l�orientamento espresso dalla giurisprudenza costante, secondo 
cui �in seguito della c.d. privatizzazione del lavoro pubblico, attuata con le 
norme raccolte nel D.Lgs. 30 marzo 2001 n. 165 e contraddistinta dalla contrattualizzazione 
della fonte dei rapporti di lavoro e dall'adozione di misure 
organizzative non espressamente riservate ad atti di diritto pubblico e realiz



zate mediante atti di diritto privato (art. 5, comma 2, del D.Lgs. 30 marzo 
2001 n. 165 cit.), deve ritenersi che la conformit� a legge del comportamento 
dell'amministrazione negli atti e procedimenti di diritto privato posti in essere 
ai fini della costituzione, gestione e organizzazione dei rapporti di lavoro finalizzati 
al proseguimento di scopi istituzionali - deve essere valutata esclusivamente 
secondo gli stessi parametri che si utilizzano per i privati datori di 
lavoro, secondo una precisa scelta del legislatore (nel senso dell'adozione di 
moduli privatistici dell'azione amministrativa) che la Corte Costituzionale ha 
ritenuto conforme al principio di buon andamento dell'amministrazione di cui 
all'art. 97 Cost. (v. Corte cost. n. 275 del 2001, n. 11 del 2002)� (Cass. 19 
marzo 2004 n. 5565). 

A titolo esemplificativo si osserva che, in applicazione di detti principi, 
in tema di conferimento di c.d. posizione organizzativa, le sezioni unite della 
Corte di Cassazione hanno ritenuto che �Il conferimento della posizione organizzativa 
al personale non dirigente delle pubbliche amministrazioni inquadrato 
nelle aree si iscrive nella categoria degli atti negoziali, adottati con 
la capacit� ed i poteri del datore di lavoro privato e l'attivit� dell'Amministrazione, 
nell'applicazione della disposizione contrattuale, si configura come 
adempimento di un obbligo di ricognizione ed individuazione degli aventi diritto, 
non come esercizio di un potere di organizzazione. Ne consegue che � 
devoluta alla giurisdizione del g.o. la domanda di un dipendente comunale 
intesa ad ottenere la condanna del comune al risarcimento del danno derivato 
dalla mancata attribuzione di una posizione organizzativa all'interno dell'ente, 
con conseguente perdita della relativa indennit� di posizione e di risultato, 
non essendo a ci� di ostacolo che vengano in considerazione atti amministrativi 
presupposti, intesi alla fissazione dei criteri per l'attribuzione delle posizioni 
organizzative (nella specie, l'istituzione di un registro degli idonei al 
ruolo di posizione organizzativa responsabile di strutture complesse), i quali 
sono valutati incidentalmente dal giudice e disapplicati, se illegittimi� (Cassazione 
civile sez. un. 14 aprile 2010 n. 8836). 

Ci� in quanto, secondo i giudici di legittimit�, le cd. posizioni organizzative 
previste dai contratti di comparto (che si concretano nel conferimento al 
personale appartenente all'area apicale dei diversi comparti di incarichi relativi 
allo svolgimento di compiti che comportano elevate capacit� professionali e 
culturali corrispondenti alla direzione di unit� organizzative complesse e all'espletamento 
di attivit� professionali e nell'attribuzione della relativa posizione 
funzionale) non determinano un mutamento di profilo professionale, che 
rimane invariato, n� un mutamento di area, ma comportano soltanto un mutamento 
di funzioni, le quali cessano al cessare dell'incarico. Si tratta, in definitiva, 
di una funzione ad tempus di alta responsabilit� la cui definizione nell'ambito 
della classificazione del personale di ciascun comparto - � demandata 
dalla legge alla contrattazione collettiva. 


LEGISLAZIONE ED ATTUALIT�

Ed ancora, al riguardo � stato ritenuto che �al suddetto conferimento 
vanno applicate le regole sancite da questa Corte in materia di limiti interni 
dei poteri attribuiti al datore di lavoro pubblico dalle norme di diritto privato. 

Tali limiti si delineano in relazione a previsioni, contrattuali o normative, 
che dettano le prescrizioni dell'esercizio del potere discrezionale, sul piano sostanziale 
o su quello procedimentale, precetti questi suscettibili di essere integrati 
e precisati dalle clausole generali di correttezza e buona fede, cui agli 
artt. 1175 e 1375 cod. civ. (vedi, per tutte: Cass. 30 settembre 2009, n. 20979). 

Del resto le Sezioni unite di questa Corte hanno ritenuto che, nell'ambito 
del rapporto di lavoro "privatizzato" alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni, 
il Giudice ordinario sottopone a sindacato i poteri esercitati dal-
l'amministrazione nella veste di datrice di lavoro, sotto il profilo 
dell'osservanza delle regole di correttezza e buona fede, siccome regole applicabili 
anche all'attivit� di diritto privato alla stregua dei principi di imparzialit� 
e buon andamento di cui all'art. 97 Cost. (vedi Cass. S.U. n. 9332 del 
2002, n. 18017 del 2003 e n. 1252 del 2004). 

� In particolare, con riferimento alle procedure di selezione per promozione 
del personale, � stato pi� volte affermato che il datore di lavoro (anche 
pubblico) che abbia vincolato la propria discrezionalit�, per propria autonoma 
iniziativa o pattiziamente, stabilendo delle regole da applicare per la disposta 
selezione deve attenersi a tali regole, in applicazione dei principi di correttezza 
e buona fede (vedi, per tutte: Cass. 14 settembre 2005, n. 18198; Cass. 24 marzo 
2009, n. 7053)� (Cassazione civile sez. lav. 7 febbraio 2014 n. 2836). 

Con particolare riguardo, poi, agli oneri probatori gravanti sulle parti, 
trattandosi di azioni aventi ad oggetto un inadempimento contrattuale (obbligo 
di fare, ovvero di assegnare mansioni proprie della qualifica o equivalenti) il 
creditore/ricorrente dovr� allegare e provare il fatto costitutivo del diritto azionato 
(ovvero le circostanze storiche generatrici della situazione soggettiva 
azionata) ed allegare l�inadempimento del debitore/resistente (ovvero i fatti 
storici concretizzanti la lamentata violazione del diritto); invece il debitore/resistente 
dovr� allegare e provare i fatti estintivi, impeditivi, modificativi e la 
non imputabilit� dell�inadempimento, secondo i principi generali vigenti in 
tema di inadempimento di contratti a prestazioni corrispettive (cfr. Cass. Sezioni 
Unite 30 ottobre 2001 n. 13533). 

In applicazione di detti principi generali in tema di lavoro privato (ma il 
principio � applicabile al lavoro pubblico privatizzato) � stato recentemente 
ribadito che quando il rifiuto di rendere una prestazione per una data unit� di 
tempo non sia integrale, ma riguardi solo uno o pi� tra i compiti che il lavoratore 
� tenuto a svolgere (c.d. sciopero di mansioni), la condotta del lavoratore 
non � scriminata dall'esercizio del diritto di sciopero, ma costituisce inadempimento 
parziale degli obblighi contrattuali, passibile di sanzioni disciplinari 
(Cass. civ., sez. lav., 5 dicembre 2014 n. 25817). 


Con particolare riguardo agli oneri di allegazione e di prova in ipotesi di 
assegnazione di mansioni superiori, secondo la costante giurisprudenza il ricorso 
deve contenere una analitica comparazione del contenuto delle mansioni 
di provenienza e di destinazione e il Giudice di merito deve procedere a una 
penetrante ricognizione di tutto il contenuto delle mansioni svolte e all'esame 
delle declaratorie generali delle categorie di inquadramento coinvolte nella 
controversia e dei profili professionali pertinenti (Cass. civ., Sez. lav., 25 ottobre 
2004, n. 20692); invero, come gi� evidenziato, in tema di pubblico impiego 
contrattualizzato, la disciplina collettiva costituisce la fonte esclusiva 
per valutare se un dipendente sia stato assegnato a mansioni superiori (Cass. 
civ., Sez. Unite, 29 maggio 2012 n. 8520). 

Inoltre, sul versante fattuale � necessario che le mansioni assegnate siano 
in concreto svolte nella loro pienezza, sia per quanto attiene al profilo quantitativo 
che qualitativo dell'attivit� spiegata sia per quanto attiene all'esercizio 
dei poteri ed alle correlative responsabilit� attribuite (cfr. al riguardo: Cass. 
19 aprile 2007 n. 9328); dette circostanze possono ritenersi per� provate solo 
sulla base dei fatti allegati in causa (ad esempio, lunga durata nello svolgimento 
delle mansioni, mancata denunzia di inadempimenti o di inesatti assolvimenti 
degli obblighi derivanti dalle mansioni assegnate) nonch� della 
condotta processuale della parte datoriale (acquiescenza o mancata contestazione 
ex art. 416 c.p.c. dei fatti e degli elementi di diritto della domanda di 
controparte). 

A tale ultimo riguardo � utile precisare che solo nel caso in cui le allegazioni 
del creditore/ricorrente siano sufficientemente determinate si radica 
in capo al resistente l�onere di contestare la fondatezza della pretesa e di allegare 
e provare l�eventuale esistenza di fatti storici diversi, concretizzanti 
vicende impeditive (cio� che hanno ostato ad inizio all�insorgere del diritto 
azionato), estintive (che hanno fatto venir meno il diritto, in origine esistente) 

o modificative (17). 

� invece onere dell�Amministrazione allegare e provare la non imputabilit� 
dell�inadempimento, come nel caso in cui l'espletamento di mansioni 
superiori sia avvenuto all'insaputa o contro la volont� dell'ente (invito o prohibente 
domino) oppure allorquando sia il frutto della fraudolenta collusione 
tra dipendente e dirigente. 

Analogamente, nell�ipotesi di demansionamento o dequalificazione, � sul 
datore di lavoro che incombe l�onere di provare l�esatto adempimento del suo 
obbligo, o attraverso la prova della mancanza in concreto di qualsiasi dequalificazione 
o demansionamento, ovvero attraverso la prova che l�una o l�altro 
siano state giustificate dal legittimo esercizio dei poteri imprenditoriali o di


(17) CASOLA, Mansioni, demansionamenti, trasferimenti e mobbing, relazione tenuta all�incontro 
di studi CSM, Roma, 25-27 giugno 2007, �Controversie di Lavoro ed onere della prova�. 


LEGISLAZIONE ED ATTUALIT�

sciplinari o, in base al principio generale di cui all�art. 1218 c.c., comunque 
da una impossibilit� della prestazione derivante da causa non imputabile (Cass. 
civ., sez. lav., 6 marzo 2006, n. 4766). 

Dalla circostanza per cui gli atti di gestione del rapporto di lavoro pubblico 
privatizzato (adottati anche in tema di assegnazione di mansioni) sono 
regolati dal diritto privato consegue, altres�, che in caso di sindacato su tali 
atti di regola non � necessario invocare ed applicare l�istituto della disapplicazione 
di cui all�art. 63 comma 1 D.lgs 165/2001 (18), che � applicabile 
solo agli atti amministrativi e quindi solo agli atti di macro -organizzazione 
che costituiscano il presupposto di emanazione del singolo atto gestionale incidente 
sulla posizione del dipendente. 

Sul punto si � espressa la giurisprudenza di legittimit� ritenendo la sussistenza 
della giurisdizione ordinaria ed osservando che �In tema di impiego 
pubblico privatizzato, la previsione dell'art. 63 del d.lgs. n. 165 del 2001 che 
conferma la sussistenza della giurisdizione del giudice ordinario anche "se 
vengono in questione atti amministrativi presupposti e quando questi ultimi 
siano rilevanti ai fini della decisione", giacch� in tal caso il giudice li disapplica 
ove illegittimi, trova applicazione allorch� il lavoratore, in riferimento 
a quegli atti, che provvedono a stabilire le linee fondamentali della organizzazione 
degli uffici ovvero individuano gli uffici di maggiore rilevanza ed i 
modi di conferimento della titolarit� dei medesimi, nonch� le dotazioni organiche 
complessive - come tali suscettibili di essere impugnati dinanzi al giudice 
amministrativo da coloro che possono vantare un interesse legittimo - li 
contesti unicamente in ragione della loro incidenza diretta o indiretta su posizioni 
di diritto soggettivo derivanti dal rapporto lavorativo, cos� da rendere 
possibile la loro mera disapplicazione. (Nella specie, le S.U. hanno dichiarato 
la sussistenza della giurisdizione ordinaria sulla controversia concernente la 
pretesa di conferimento di incarico dirigenziale di Soprintendente da parte di 
interessato che, ai fini del riconoscimento di diritto e delle relative mansioni, 
aveva contestato la legittimit� delle delibere riguardanti l'organizzazione della 
Soprintendenza stessa) (in questi termini, Cass. civ. Sez. Unite Ord. 7 novembre 
2008 n. 26799 e da ultimo, Cass. S.U. 29 settembre 2014 n. 20454, ma 

(18) I limiti di esercizio del potere di disapplicazione sono previsti dall�art. 63 comma 1 d.lgs 
165/2001 �Sono devolute al giudice ordinario, in funzione di giudice del lavoro, tutte le controversie 
relative ai rapporti di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni di cui all'articolo 1, 
comma 2, ad eccezione di quelle relative ai rapporti di lavoro di cui al comma 4, incluse le controversie 
concernenti l'assunzione al lavoro, il conferimento e la revoca degli incarichi dirigenziali e la responsabilit� 
dirigenziale, nonch� quelle concernenti le indennit� di fine rapporto, comunque denominate e 
corrisposte, ancorch� vengano in questione atti amministrativi presupposti. Quando questi ultimi siano 
rilevanti ai fini della decisione, il giudice li disapplica, se illegittimi. L'impugnazione davanti al giudice 
amministrativo dell'atto amministrativo rilevante nella controversia non � causa di sospensione del processo. 
Trattasi, invero, di un semplice richiamo, con riferimento alle controversie di lavoro, dell'istituto 
previsto in via generale dall'art. 5 l. 2248/19865 all. E (Cass. n. 3252/2003). 


v.si anche Cass. S.U. 12 marzo 2013 n. 6079, Cass. S.U. 28 maggio 2013 n. 
13178, Cass. S.U. 27 dicembre 2011 n. 28806 in tema di disapplicazione di 
atti amministrativi presupposi ad atti di gestione comportanti il conferimento 

o la revoca di incarichi dirigenziali). 

Infine, dalla natura privatistica degli atti compiuti dalla P.A. in ordine al-
l�assegnazione di mansioni, deriva che - in caso di violazione e quindi di inadempimento 
contrattuale - il ricorrente pu� chiedere la condanna dell�ente 
pubblico datore di lavoro o all�adempimento (ad es. nel caso di violazione 
delle regole della procedura di conferimento di c.d. posizioni organizzative, a 
ripetere la procedura di valutazione e di scelta del dipendente) o al risarcimento 
del danno (ad es. il danno da perdita di chance di vedersi conferito l�incarico), 
ma non anche il riconoscimento del diritto all�incarico (19). 

Analogamente, in caso di demansionamento, la Suprema Corte - pur 
dando atto di due diversi orientamenti in relazione alle conseguenze della violazione 
del divieto di assegnazione a mansioni inferiori di cui all�art. 2103 (da 
una parte ritenendosi ammissibile il ripristino della situazione pregressa mediante 
reintegrazione e dall'altra, il solo obbligo del risarcimento del danno) 
ha statuito che "ove venga accertata l'esistenza di un comportamento contrario 
all'art. 2103 cod. civ., il giudice di merito, oltre a sanzionare l'inadempimento 
dell'obbligo contrattualmente assunto dal datore di lavoro con la condanna 
al risarcimento del danno, pu� emanare una pronuncia di adempimento in 
forma specifica che - pur non essendo coercibile, n� equiparabile all'ordine 
di reintegrazione ex art. 18 legge n. 300 del 1970, disposizione che ha i caratteri 
della tipicit�, eccezionalit� e dell'efficacia reale - ha un contenuto pienamente 
satisfattorio dell'interesse leso in quanto diretta a rimuovere gli effetti 
che derivano dal provvedimento illegittimo" (Cass. n. 16689/08). 

Da ultimo la Corte di Cassazione ha ribadito che �In tema di demansionamento 
illegittimo, ove venga accertata l'esistenza di un comportamento contrario 
all'art. 2103 cod. civ., il giudice di merito, oltre a sanzionare 
l'inadempimento dell'obbligo contrattualmente assunto dal datore di lavoro 
con la condanna al risarcimento del danno, pu� emanare una pronuncia di 
adempimento in forma specifica, di contenuto satisfattorio dell'interesse leso, 
intesa a condannare il datore di lavoro a rimuovere gli effetti che derivano 
dal provvedimento di assegnazione delle mansioni inferiori, affidando al lavoratore 
l'originario incarico, ovvero un altro di contenuto equivalente. L'obbligo 
del datore di lavoro � derogabile solo nel caso in cui provi l'impossibilit� 
di ricollocare il lavoratore nelle mansioni precedentemente occupate, o in 
altre equivalenti, per inesistenza in azienda di tali ultime mansioni o di mansioni 
ad esse equivalenti� (Cass. civ. Sez. lavoro, 11 luglio 2014 n. 16012). 

(19) PAOLO SORDI, I poteri e il sindacato del giudice ordinario nelle controversie di lavoro pubblico. 



LEGISLAZIONE ED ATTUALIT�

Sul punto � stato, peraltro, evidenziato che nel pubblico impiego in caso 
di demansionamento la tutela in forma specifica, mediante l�automatico ripristino 
delle precedenti mansioni (salvo il legittimo esercizio di ius variandi 
del datore di lavoro) � certamente ammissibile anche alla luce delle previsioni 
di cui al comma 2 dell�art. 68 D.lgs 165/2001 che sancisce il potere dovere 
del Giudice ordinario di adottare nei confronti della P.A. tutti i provvedimenti 
di accertamento, costitutivi e di condanna richiesti dalla natura dei diritti tutelati 
(20). 

(20) CASOLA, Mansioni e trasferimenti, cit. 


Il regime giuridico dell�Agenzia Spaziale Italiana: 
assetto organizzativo e profili funzionali 

Domenico Andracchio* 

SOMMARIO: Premessa - 1. L�istituzione dell�Agenzia Spaziale Italiana - 2. Nozione e autonomia 
- 3. La natura giuridica - 3.1. (segue) Gli indici rivelatori dell�organismo di diritto 
pubblico - 4. Sede legale e Piano di razionalizzazione delle localizzazioni degli uffici - 5. Le 
missioni e gli obbiettivi - 6. L�organigramma dell�Agenzia Spaziale Italiana - 7. Il Comitato 
di selezione del Presidente e dei componenti del Consiglio di amministrazione - 8. Il Presidente 
e il Vice Presidente - 9. Il Consiglio di amministrazione - 10. Il Consiglio tecnico-scientifico 
- 11. Il Collegio dei revisori dei conti - 12. L�Organismo Indipendente di Valutazione 
delle Prestazioni - 13. Il Direttore Generale - 14. Il Responsabile dei programmi e progetti 


15. Il Direttore tecnico e i settori tecnici - 16. Incompatibilit� e decadenze - 17. Gli strumenti 
di cui l�Agenzia Spaziale Italiana � legittimata ad avvalersi - 18. Gli accordi e le convenzioni. 
- 19. Gli accordi internazionali - 20. I Centri di ricerca - 21. I consorzi - 22. Le fondazioni 


23. L�impresa pubblica: le societ� - 24. Il Piano Aerospaziale Nazionale (PANS) - 25. Il Piano 
Triennale di Attivit� (PTA) - 26. Il Documento di Visione Strategica decennale (DVS) - 27. Il 
controllo della Corte dei conti sull�ASI sotto il vigore del D.lgs. n. 27/1999 - 28. Il giudizio 
di legittimit� costituzionale (conflitto di attribuzioni tra poteri dello Stato): la sentenza n. 457 
del 23 dicembre 1999 - 29. Il controllo della Corte dei Conti a seguito del secondo riordino 
ASI attuato con il D.lgs. n. 128/2003 - 30. Il patrocinio obbligatorio e autorizzato dell�Avvocatura 
dello Stato - 31. Il patrocinio dell�Avvocatura dello Stato in favore dell�Agenzia Spaziale 
Italiana - 32. I finanziamenti e le entrate dell�Agenzia Spaziale Italiana - 33. 
L�autonomia negoziale dell�Agenzia Spaziale Italiana - 34. I rapporti contrattuali dell�ASI 


35. Le procedure di scelta del contraente - 36. Conclusioni. 

Premessa 

Il comparto aerospaziale, all�interno del quale si trovano ad operare, in 
stretta interrelazione tra di loro, imprese private, societ� pubbliche ed enti di 
ricerca, � senz�altro idoneo ad incidere in modo significativo sullo sviluppo e 
sulla competitivit� di uno Stato. L�elevato contenuto tecnico di cui � intrisa 
ogni scelta che gli operatori sono chiamati ad adottare, la consistente portata 
degli investimenti economici da realizzare e la vocazione eminentemente internazionale 
delle attivit� svolte sono i tratti maggiormente caratteristici del 
settore cui ci si riferisce. Ne discende che la edificazione di un�adeguata regolazione 
normativa, unitamente alla diffusione e al consolidamento di una 
cultur. aerospatialis, che venga configurandosi come risultato della maturata 
consapevolezza di quanto straordinari possano essere i vantaggi conseguibili 
dal comparto spaziale ed aerospaziale (dalla possibilit� di estrarre minerali dai 

(*) Dottore in Giurisprudenza, ammesso alla pratica forense presso l�Avvocatura dello Stato. 


LEGISLAZIONE ED ATTUALIT�

corpi celesti alle telecomunicazioni satellitari, dalla localizzazione di pianeti 
con caratteristiche fisiche analoghe a quelle della Terra al turismo spaziale 
etc.), costituiranno, all�evidenza, i fattori di successo per quegli Stati che abbiano 
concepito le politiche connesse alla ricerca e all�utilizzo delle tecnologie 
spaziali come una priorit� tutt�altro che trascurabile. 

Per quel che riguarda il comparto spaziale e aerospaziale italiano, sul finire 
degli anni ottanta � stata istituita l�Agenzia Spaziale Italiana come ente 
pubblico avente la finalit� di promuovere, sviluppare e diffondere la ricerca 
scientifica e tecnologica applicata al campo spaziale ed aerospaziale. Il presente 
scritto ha cos� la pretesa di illustrare i profili organizzativi, strutturali e 
funzionali proprio di quell�ente pubblico, l�ASI, che, sebbene abbia reso il nostro 
Paese uno dei principali attori mondiali del settore spaziale, si ritiene essere 
stato troppo ingiustamente trascurato dalla letteratura giuridica. 

Si cercher� di dare risposta, tra gli altri, ad interrogativi come: Quali sono 
gli organi dell�ASI? Quale � la sua natura giuridica? Come si profilano il controllo 
della Corte dei Conti e il patrocinio dell�Avvocatura dello Stato? Quali 
sono i mezzi di finanziamento? e Come si estrinseca l�autonomia contrattuale? 
Solo imbastendo (o quanto meno tentandovi) delle risposte ai quesiti poc�anzi 
cennati, si avr� modo di addentrarsi - con l�umilt� e la curiosit� di chi sa di 
non sapere, ma di voler, ci� malgrado, disperatamente iniziare a sapere - nello 
studio del diritto dello spazio. Un complesso di principi e di norme, di matrice 
prevalentemente internazionale, in cui il risoluto tecnismo giuridico e la suggestiva 
visionariet� fantascientifica che connota, da sempre, l�antico e magico 
rapporto esistente tra uomo e cosmo si intersecano perfettamente; ma guai a 
ridimensionare il diritto dello spazio sino al punto da considerarlo il frutto 
della mente capricciosa o stravagante del legislatore. 

Non vՏ chi possa negare, infatti, che il sempre pi� diffuso dominio delle 
tecnologie spaziali e aerospaziali imponga, non soltanto, come gi� sta accadendo, 
la creazione di una normativa ad hoc, ma anche la opportunit� che la 
�scienza del diritto� prenda con maggiore seriet� le problematiche implicazioni 
connesse all�utilizzo dello spazio cosmico, cessando di guardare a questa materia 
come oggetto di studio riservato alle scienze matematiche, fisiche e naturali 
ed, al pi�, alle scienze politiche. 

Ci� posto, � bene evidenziare che la disamina dei profili organizzativi e 
funzionali dell�ASI ha imposto - per fini di chiarezza e completezza espositiva 

-l�inevitabile svolgimento di un�attivit� di coordinamento tra le �norme primarie� 
contenute nel D.lgs. n. 128/2003 e nel D.lgs. n. 213/2009 e le �norme 
secondarie� incastonate nello Statuto e nei regolamenti interni dell�Agenzia. 

1. L�istituzione dell�Agenzia Spaziale Italiana. 

I programmi di ricerca ed applicazione in campo spaziale sono stati per 
lungo tempo di competenza del Centro Nazionale di Ricerca (CNR) e, segna



tamente, del Servizio attivit� spaziale del CNR (1). Con la nascita dell�Agenzia 
Spaziale Europea nell�anno 1975 e con la sempre pi� decisiva partecipazione 
dell�Italia ai progetti spaziali europei ed internazionali � prorompentemente 
sorta l�esigenza di snellire l�originario sistema pubblico-burocratico operante 
in tale settore e contestualmente creare un organismo dotato di una pi� accentuata 
flessibilit� organizzativa ed operativa. 

Per dare una concreta risposta a siffatte esigenze � stata cos� approvata la 
legge n. 186 del 30 maggio 1988, istitutiva dell�Agenzia Spaziale Italiana (2). 
A norma dell�art. 1 della legge di cui sopra, l�ASI subentra al CNR nello svolgimento 
dei compiti ad esso precedentemente affidati dal CIPE, cos� da ereditarne 
impianti, strutture e progetti. 

L�Agenzia Spaziale Italiana � stata dunque istituita con il precipuo fine 
di dare un coordinamento unico agli sforzi strutturali e agli investimenti economico-
finanziari che l�Italia, sin dai primi degli anni Settanta, ha dedicato al 
settore spaziale ed aerospaziale (3). Per assolvere a tale funzione, quale ente 
pubblico nazionale alle dipendenze del Ministero dell�Istruzione, dell�Universit� 
e della Ricerca (gi� Ministero dell�Universit� e della Ricerca Scientifica 
e Tecnologica), l�ASI predispone, sulla base delle direttive promananti dal 
suddetto dicastero, i programmi scientifici, tecnologici ed applicativi da portare 
a compimento. 

Riordinata con il D.lgs. n. 27 del 30 gennaio 1999 (attuativo della delega 
contenuta nella Legge n. 57/1995), pi� di recente, con il D.lgs. n. 128 del 4 
giugno 2003 (attuativo della delega contenuta nella Legge n. 137/2002) e da 
ultimo con il D.lgs. n. 213 del 31 dicembre 2009 (attuativo della delega contenuta 
nella Legge n. 165/2007 di riordino degli enti di ricerca) (4), l�ASI � 

(1) DA VALLE L. (2002), L�Agenzia Spaziale Italiana e il ruolo nella politica spaziale nazionale: 
organizzazione e programmazione, [s.l.] e [s.n.]. 
(2) Tra i pi� autorevoli contributi dedicati allo studio del comparto aerospaziale italiano nei quali 
� dato riscontrare preziosi riferimenti all�ASI si ricordano: CAPRARA G. (1992), L�Italia nello spazio, 
ed. Levi - ANCILLOTTI R. (1993), L�Agenzia Spaziale Italiana, in Il Regime internazionale dello spazio 


-SAPORITO L. (1993), L�Agenzia Spaziale Italiana. Il piano Spaziale Nazionale. I comitati scientifico e 
tecnologico, in Trattato di diritto amministrativo diretto da Santaniello G. - SALERNO A.M. (1998), L�ordinamento 
dell�Agenzia spaziale italiana, in Enti pubblici, n. 2 - SAGGESE E.-ARRIGO G. (2010), La 
nuova Strategia decennale dell�Agenzia Spaziale Italiana, in La Comunit� Internazionale, fasc. 4 - CATALANO 
SGROSSO G. (2011), Il diritto internazionale dello spazio, ed. LoGisma - CAPRARA G. (2012), 
Dallo spazio alla Terra. Una storia di uomini e tecnologie, ed. Mondadori electa - CAPRARA G. (2012), 
Storia italiana dello spazio, ed. Bompiani. 

(3) Per approfondimenti sulle attivit� spaziali cui l�Italia partecipa si rimanda al sito istituzionale 
dell�Agenzia Spaziale Italiana, (www.asi.it). 
(4) In realt�, sebbene il pi� recente intervento che ha riguardato l�Agenzia Spaziale Italiana sia 
effettivamente rinvenibile nel D.lgs. n. 213 del 31 dicembre 2009 che, in attuazione dell�art. 1 della 
Legge n. 165/2007, ha disposto il riordino degli Enti di Ricerca vigilati dal MIUR, tra i quali deve annoverarsi 
anche l�ASI, la ampia portata del D.lgs. n. 213/2009 (nel senso che ha riguardato gli enti di 
ricerca in generale e solo per alcuni specifici aspetti l�Agenzia Spaziale Italiana) suggerisce di considerare 
il D.lgs. n. 128/2003, allo stato delle cose, come l�ultimo pi� penetrante intervento di riordino del



LEGISLAZIONE ED ATTUALIT�

venuta consacrandosi come uno dei pi� importanti attori mondiali operativi 
nel settore delle scienze spaziali, delle tecnologie satellitari e dello sviluppo 
dei mezzi che consentono il raggiungimento e l�esplorazione dello spazio cosmico 
in poco meno di un ventennio dalla sua nascita. L�Italia, oggi, grazie 
all�attivit� dell�Agenzia � il terzo Paese ad offrire un consistente contributo 
alle missioni e ai singoli progetti dell�Agenzia Spaziale Europea (ESA) ed � 
tra le Agenzie di analoga natura che intrattengono un costante e proficuo rapporto 
di collaborazione con la NASA. 

� proprio in ragione della sinergica collaborazione con la NASA che 
l�ASI ha avuto modo di partecipare a gran parte dei pi� complessi progetti 
spaziali, primo fra tutti la costruzione della Stazione Spaziale Internazionale. 

2. Nozione e autonomia. 

Per poter dare una corretta ed esaustiva definizione dell�Agenzia Spaziale 
Italiana occorre rifarsi alle disposizioni normative contenute nell�art. 2 del decreto 
di riordino n. 128 del 2003 e nell�art. 1 dello statuto A.S.I. (5). Dalla combinata 
lettura delle norme test� richiamate se ne ricava che l�Agenzia Spaziale 
Italiana pu� definirsi come �l�ente pubblico nazionale, assimilato agli altri enti 
di ricerca, avente il compito di promuovere, sviluppare e diffondere, con il ruolo 
di agenzia, la ricerca scientifica e tecnologica applicata al campo spaziale e aerospaziale
�. Nell�assolvimento di tali compiti, l�Agenzia deve perseguire obbiettivi 
di eccellenza, coordinare progetti nazionali e gestire la partecipazione 
dell�Italia ai diversi programmi spaziali, europei ed extra-europei, nel quadro 
delle relazioni internazionali assicurate dal Ministero degli Affari Esteri. 

l�Agenzia Spaziale Italiana. Ad ogni modo, le pi� significative novit� introdotte dal D.lgs. 213/2009 
sono ravvisabili: a) nel riconoscimento di un�ampia autonomia statutaria e nella prescrizione di deliberare 
i nuovi statuti (l�ultimo Statuto dell�Agenzia Spaziale Italiana � infatti successivo al riordino del 2009); 
b) nella ripartizione dei contributi statali legata a valutazione e merito; c) nella riduzione dei componenti 
degli organi e nelle nuove modalit� di designazione dei membri dei consigli di amministrazione; d) nella 
possibilit� di assumere, nel limite del 3% dell�organico, studiosi italiani o stranieri che si siano distinti 
per merito eccezionale. 

(5) L�art. 1 dello Statuto ASI dispone che: �L�Agenzia Spaziale Italiana (ASI), di seguito denominata 
Agenzia, � l�ente pubblico nazionale, assimilato agli enti di ricerca, avente il compito di promuovere, 
sviluppare e diffondere, con il ruolo di Agenzia, la ricerca scientifica e tecnologica applicata 
al campo spaziale e aerospaziale e lo sviluppo di servizi innovativi, perseguendo obbiettivi di eccellenza, 
coordinando e gestendo i progetti nazionali e la partecipazione italiana a progetti europei ed internazionali, 
nel quadro del coordinamento delle relazioni internazionali assicurato dal Ministero degli Affari 
Esteri, avendo attenzione al mantenimento della competitivit� del comparto industriale italiano. L�Agenzia, 
nel rispetto dell�art. 33, sesto comma, della Costituzione, � dotata di autonomia statutaria, scientifica, 
organizzativa, amministrativa, finanziaria, patrimoniale e contabile, ed � sottoposta alla vigilanza del 
Ministero dell�Istruzione, dell�Universit� e della Ricerca. L�Agenzia, esplica funzioni di rilevante interesse 
sociale ed economico e, conseguentemente, nell�attuazione dei compiti favorisce forme di sinergia 
tra gli enti di ricerca, le amministrazioni pubbliche, le strutture universitarie ed il mondo dell�impresa, 
assumendo modelli organizzativi tendenti alla valorizzazione, partecipazione e rappresentanza dell�intera 
comunit� scientifica nazionale di riferimento, con particolare attenzione ai principi della Carta europea 
dei ricercatori. L�Agenzia ha sede legale in Roma�. 


L�ASI ha personalit� giuridica di diritto pubblico e, nel rispetto dell�articolo 
33, comma sesto della Costituzione, gode di un�ampia autonomia statutaria, 
scientifica, organizzativa, amministrativa, finanziaria, patrimoniale, 
negoziale e contabile, pur rimanendo irrimediabilmente sottoposta alla vigilanza 
del Ministero dell�Istruzione, dell�Universit� e della Ricerca. 

3. La natura giuridica. 

Sebbene oggi sia normativamente descritta col sintagma �agenzia�, la 
problematica connessa alla natura giuridica da riconoscere all�Agenzia Spaziale 
Italiana � da intendersi tutt�altro che superata. Nel nostro ordinamento 
giuridico non � dato rinvenire una nozione di agenzia (6); l�unico dato certo � 
che le agenzie sono (recenti) articolazioni del sistema amministrativo italiano 
caratterizzate, tra l�altro, da modalit� di funzionamento di tipo privatistico. 

Tra le nuove entit� amministrative emerse dal processo di metamorfosi e 
adattamento della Pubblica Amministrazione alla mutata realt� sociale ed economica, 
vanno certamente segnalate le Autorit� attributarie di funzioni di garanzia 
per la collettivit� (le autorit� amministrative indipendenti) e quelle con 
funzioni di indirizzo e coordinamento in settori eminentemente tecnici (le 
agenzie amministrative). 

Ognun sa che, se le Autorit� amministrative indipendenti risultano caratterizzate 
da una elevata indipendenza dal potere politico della compagine di 
governo e dall�essere titolari di un potere normativo e regolamentare per 
quanto riguarda la loro organizzazione, il loro funzionamento e il trattamento 
del personale dipendente (7), le Agenzie amministrative trovano nella accentuata 
flessibilit� organizzativa e nello svolgimento di attivit� tecniche a supporto 
di scelte di valenza politica i propri precipui tratti indefettibili (8). 

(6) AA.VV. (1994), Agenzie e governo per l�ambiente, Milano, Franco Angeli. 

(7) Sul tema, sempre attuale e mai scontato, delle Authorities si rinvia a: PATRONI GRIFFI F. 
(1996), Tipi di autorit� indipendenti, in I garanti delle regole e del mercato a cura di Cassese S. e 
Franchini C., Bologna, il Mulino - MANETTI M. (1997), Autorit� indipendenti: tre significati per una 
costituzionalizzazione, in Politica del diritto, n. 4 - CAINELLO V. (1997), Le Autorit� indipendenti tra 
potere politico e societ� civile, in Rass. Giur. en. el. - PREDIERI A. (1997), L�erompere della autorit� 
amministrative indipendenti, Firenze, Passigli editore - TITOMANLIO R. (2000), Autonomia e indipendenza 
delle Authorities: profili organizzativi, Milano, Giuffr� - MERUSI F. (2000), Democrazia e autorit� 
indipendenti, Bologna, il Mulino - GIANI L. (2002), Attivit� amministrativa e regolazione di 
sistema, Torino, Giappichelli - GRASSO G. (2006), Le autorit� amministrative indipendenti della Repubblica 
italiana, Milano, Giuffr� - CUNIBERTI M. (2007), Autorit� indipendenti e libert� costituzionali, 
Milano, Giuffr� - LUCIANI F. (2011), Le autorit� indipendenti come istituzioni pubbliche di 
garanzia, Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane - TITOMANLIO R. (2012), Potest� normativa e funzione 
di regolazione. La potest� regolamentare delle autorit� amministrative indipendenti, Torino, Giappichelli 
- TITOMANLIO R. (2013), Il Potere normativo delle autorit� amministrative indipendenti. Report 
Annuale 2013-Italia, in www.ius-publicum.com. 
(8) Per una analitica ed esaustiva trattazione del fenomeno dell�agencification e delle agenzie si 
rinvia a: ARENA G. (1999), Agenzia Amministrativa, Roma, in Enc. Giur. Treccani - MERLONI F. (1999), 
Le agenzie nel sistema amministrativo italiano, in Dir. pubbl. - PAJNO A.-TORCHIAL. (2000), La riforma 



LEGISLAZIONE ED ATTUALIT�

In ragione di ci�, parte della dottrina ha ritenuto che l�ASI dovesse essere 
inquadrata nel genere delle agenzie amministrative giacch�, come queste, 
nasceva dalle intenzioni legislative di snellire, velocizzandola, la 
burocrazia del sistema amministrativo e di creare un organo dotato di flessibilit� 
che consentisse di riunire in s� le attivit� in precedenza svolte da una 
pluralit� di enti. 

Un tale inquadramento venne, per�, da taluni contestato. Di fatti, sin dalla 
sua istituzione, nello strumentario a disposizione dell�Agenzia Spaziale Italiana 
sono sempre figurati anche strumenti di natura civilistica (contratti, consorzi, 
fondazioni, societ�, partecipazioni in societ�). Sicch�, facendo leva 
proprio su tale aspetto, si � ritenuto che la condizione giuridica dell�Agenzia 
Spaziale Italiana fosse piuttosto assimilabile a quella degli enti pubblici economici 
(9), quali enti deputati alla gestione di imprese industriali o commerciali, 
usando mezzi del diritto privato e svolgendo attivit� in concorrenza, 
almeno potenziale, con imprenditori privati (10). 

3.1. (segue) Gli indici rivelatori dell�organismo di diritto pubblico. 

Nonostante costituiscano il risultato di apprezzabili sforzi esegetici, nessuna 
delle due sopraccennate tesi dottrinali (la seconda men che meno) sembra 
tuttavia potersi considerare pienamente risolutiva della delicata questione concernente 
la natura giuridica dell�ASI. Da una rigorosa analisi delle caratteristiche 
strutturali e funzionali dell�Agenzia Spaziale Italiana sembrerebbe, infatti, 
potersi sostenere la sussistenza di tutti gli indici rivelatori di quel modello organizzativo 
tradizionalmente denominato organismo di diritto pubblico (11). 

del governo: commento ai decreti legislativi n. 300 e n. 303 del 1999 sulla riorganizzazione della Presidenza 
del Consiglio dei Ministri e dei ministeri, Bologna, il Mulino - CHITI E. (2002), Le agenzie europee. 
Unit� e decentramento nelle amministrazioni europee, Padova - CASINI L. (2003), Le agenzie 
amministrative in Riv. trim. dir. pubbl. - AA.VV. (2006), Le agenzie pubbliche. Modelli Istituzionali e 
organizzativi, Soveria Mannelli, Rubettino editore - E. CHITI (2009), Tendenze e problemi del processo 
di agencification nell�ordinamento europeo, in L�amministrazione comunitaria. Caratteri, accountability 
e sindacato giurisdizionale (a cura di) Marchetti B., Padova - FERRARI E. (2009), Agenzie europee, interessi 
degli Stati membri e conflitti istituzionali, in L�amministrazione comunitaria cit. - CHITI. E. 
(2010), La trasformazione delle agenzie europee, in Riv. trim. dir. pubbl. - CHITI E. (2014), Agenzie amministrative, 
in Enc. Ita. Treccani. 

(9) ANCILLOTTI R. (1993), L�Agenzia Spaziale Italiana, in Il regime internazionale dello Spazio, 
Milano, Giuffr�, pp. 343 ss. 
(10) Pi� specificamente, secondo un consolidato insegnamento giurisprudenziale �un ente pubblico 
� sicuramente economico se, allo scopo di realizzare un fine di lucro e solo indirettamente una finalit� 
pubblica, esercita una attivit� imprenditoriale diretta alla produzione e allo scambio di beni e servizi, ponendosi 
sullo stesso piano con gli imprenditori privati svolgenti analoghe attivit� e utilizzando gli stessi 
strumenti di diritto privato� (cfr. C. Cass., n. 6279/1983; Con. St., n. 175/1985; TAR Lazio, n. 92/1988). 
(11) Sul tema, la produzione scientifica � vastissima: GRECO. G. (1995), Ente pubblico, impresa 
pubblica, organismo di diritto pubblico, in Riv. it. dir. publ. comunit. - RIGHI. R. (1996), La nozione di organismo 
di diritto pubblico nella disciplina comunitaria degli appalti, in Riv. it. dir. publ. comunit. -GAROFOLI 
R. (1998), L�organismo di diritto pubblico: orientamenti interpretativi dei giudici italiani a 



Impiegata per la prima volta dal legislatore comunitario nell�ambito della 
disciplina degli appalti pubblici (12), la nozione di organismo di diritto pubblico, 
per via del suo carattere onnicomprensivo e trasversale, continua ad animare 
dibattiti dottrinali e giurisprudenziali in ragione delle difficolt� applicative 
in cui ci si imbatte qualora si intenda accertare se una determinata Amministrazione 
possa o meno essere sussumibile nella categoria di cui trattasi. 

Giova rammentare che non vՏ testo normativo, comunitario o nazionale, 
in cui sia dato rinvenire una �definizione socratiana�, id est semanticamente 
netta, puntuale e circoscritta, di organismo di diritto pubblico. Di contro, propugnando 
un approccio meramente funzionale, il legislatore ha ritenuto opportuno 
avvalersi di una �definizione ombra� o �definizione mantello� idonea a 
poter essere elasticamente adattata, case by case, ad un numero potenzialmente 
illimitato di Amministrazioni, quale che sia la veste giuridica in concreto assunta. 
In tal senso militano le diverse pronunce giurisprudenziali in cui taluni 
enti, indipendentemente dalla forma organizzativa con cui siano stati costituiti 

o trasformati, sono stati qualificati come organismi di diritto pubblico (13). 

confronto, in Foro.it. - GRECO G. (1998), Organismo di diritto pubblico: atto primo, in Riv. it. dir. publ. 
comunit. - CHITI E. (1999), Gli organismi di diritto pubblico tra Consiglio di Stato e Corte di Giustizia, 
in Urb. e App. - GRECO G. (1999), Organismo di diritto pubblico, atto secondo: le attese deluse, in Riv. it. 
dir. publ. comunit. - CHITI M.P. (2001), L�organismo di diritto pubblico e la nozione comunitaria di pubblica 
amministrazione, Bologna, Clueb - BARBARA M. (2003), L�organismo di diritto. Profili sostanziali 
e processuali, Milano, Giuffr� - CHITI. M.P. (2004), Impresa pubblica e organismo di diritto pubblico: 
nuove forme di soggettivit� giuridica o nozioni funzionali, in Organismi e imprese pubbliche, natura delle 
attivit� e incidenza sulla scelta del contraente e tutela giurisdizionale, a cura di M.A. Sandulli in Servizi 
pubb. e app., Quaderni, n. 1, Milano, Giuffr� - GAROFOLI R. (2005), Gli organismi di diritto pubblico: il 
recente allineamento tra giudice comunitario e nazionale e i profili ancora problematici, in Il nuovo diritto 
degli appalti pubblici nella direttiva 2004/18/CE e nella legge comunitaria n. 62/2005, a cura di Garofoli 

R. e Sandulli M.A., Milano, Giuffr� - ROVERSI MONACO M.G. (2007), Le figure dell�organismo di diritto 
pubblico e dell�impresa pubblica nell�evoluzione dell�ordinamento, in Dir. e proc. amm. - CORSO G. (2008), 
Impresa pubblica, organismo di diritto pubblico, ente pubblico: la necessit� di un distinguo, in Trattato 
su contratti pubblici, a cura di M.A. Sandulli - De Nictolis R. - Garofoli R., Milano, Giuffr�. 

(12) SCOTTI E. (2005), Organizzazione pubblica e mercato: societ� miste, in house providing e 
partenariato pubblico-privato, in Diritto Amministrativo, n. 4, pp. 915 ss. 
(13) Tra le tante, si v.: Trib. Amm. Reg. Lomb., 8 aprile 2013, n. 861 poi confermata da Cons. St., 
3 giugno 2014, n. 2843 in cui si riconosce la qualifica di organismo di diritto pubblico alla Fondazione 
C� D�Industria O.N.L.U.S. perch� �istituzionalmente e in concreto diretta ad operare in campo socio 
assistenziale, senza fini di lucro, prestando assistenza alle fasce pi� deboli della popolazione�; Cons. 
St., 23 dicembre 2013, n. 6185 con la quale sono state qualificate come organismo di diritto pubblico 
l�Enpam e la Fondazione Enasarco in quanto �il controllo pubblico sulla gestione � affidato al Ministero 
del Lavoro e della Previdenza Sociale�; Cons. St., 12 dicembre 2010, n. 7393 con la quale � stata riconosciuta 
organismo di diritti pubblico la Fondazione Carnevale di Viareggio sul presupposto che �la 
Fondazione persegue esclusivamente finalit� di interesse pubblico e svolge attivit� e destina le risorse 
disponibili preminentemente allo scopo di promuovere e sostenere la realizzazione della manifestazione 
del Carnevale�; Cons. St., 13 marzo 2008, n. 1094 con cui, il Giudice Amministrativo d�appello, nel 
qualificare Societ� Autostrade per l�Italia S.p.A. come organismo di diritto pubblico, ha affermato che 
�la costruzione e la gestione delle autostrade costituisce attivit� idonea a soddisfare bisogni ed interessi 
pubblici generali, di tal che l�ente cui tale attivit� � affidata � da qualificare come organismo di diritto 
pubblico, irrilevante essendo la sua natura giuridica privatistica�. 



LEGISLAZIONE ED ATTUALIT�

Si tratta allora di capire in che modo viene definito l�organismo di diritto 
pubblico nel vigente ordinamento giuridico. L�art. 3, comma 26 del D.lgs. 12 
aprile 2006, n. 163 (Codice degli Appalti Pubblici), ricalcando, con marginali 
variazioni semantiche, la definizione offerta dalla normativa comunitaria (si 

v. Direttiva CEE n. 89/440, Direttiva CEE n. 93/36; Direttiva CEE n. 93/37; 
Direttiva CE n. 2004/17; Direttiva CE n. 2004/18), descrive l�organismo di 
diritto pubblico come �qualsiasi organismo, anche in forma societaria istituito: 
a) per soddisfare esigenze di interesse generale aventi carattere non industriale 

o commerciale; b) dotato di personalit� giuridica; c) la cui attivit� sia finanziata 
in modo maggioritario dallo Stato, dagli enti pubblici territoriali o da altri organismi 
di diritto pubblico oppure la cui gestione sia soggetta al controllo di 
questi ultimi oppure il cui organo di amministrazione, di direzione o di vigilanza 
sia costituito da membri dei quali pi� della met� � designata dallo Stato, 
dagli enti pubblici territoriali o da altri organismi di diritto pubblico�. 

A ben vedere, quindi, sono tre gli elementi strutturali alla cui ricorrenza 
cumulativa un soggetto potr� essere qualificato come organismo di diritto pubblico. 
Incisivamente, le Sezioni Unite della Corte Suprema di Cassazione 
hanno di recente affermato che �la figura dell�organismo di diritto pubblico, 
ai sensi dell�art. 3, comma 26 del D.lgs. n. 163/2006, ricorre quando il soggetto 
� dotato di personalit� giuridica (requisito personalistico), le sue finalit� non 
hanno carattere industriale o commerciale (requisito teleologico) e la sua attivit� 
� finanziata in prevalenza da pubbliche amministrazioni ovvero � direttamente 
controllata dalle stesse od orientata da un gruppo di gestione a 
prevalente designazione pubblica (requisito dell�influenza dominante)� (14). 

Non hanno occasionato particolari dubbi interpretativi i requisiti della 
personalit� giuridica e della influenza pubblica dominante. Con riguardo al 
primo, senza che debba in qualche maniera distinguersi la personalit� di diritto 
pubblico da quella di diritto privato, � ormai unanimamente condivisa - in dottrina 
come in giurisprudenza - la concezione della personalit� giuridica nei 
termini di �attitudine� di un ente ad essere titolare di situazioni giuridiche attive 
e passive e di �godimento� di un�autonomia patrimoniale perfetta. 

L�influenza pubblica dominante � stata invece definita come �quel legame 
che unisce l�organismo di diritto pubblico a un�altra amministrazione� (15), 
la sussistenza del quale � subordinata alla ricorrenza anche solo alternativa 
delle fattispecie tipizzate dal legislatore. Appunto, perch� possa dirsi esistente 
il requisito dell�influenza dominante sar� necessario e sufficiente che il soggetto 
che si pretenda di qualificare come organismo di diritto pubblico benefici 
di un finanziamento pubblico maggioritario o che sia soggetto ad un controllo 

(14) Cfr. C. Cass., SS.UU., 7 aprile 2014, n. 8051; C. Cass. SS.UU., 1 agosto 2012, n. 13792. 

(15) CASALINI D. (2003), L�organismo di diritto pubblico e l�organizzazione in house, Napoli, ed. 
Jovene. 


pubblico nella gestione o nella designazione della maggioranza dei componenti 
degli organi di amministrazione, di direzione ovvero di vigilanza. 

Diversamente dal requisito personalistico e da quello dell�influenza dominante, 
ha sollevato non pochi problemi il requisito teleologico, rappresentato 
dagli interessi generali, a carattere non industriale o commerciale, che il soggetto 
deve perseguire per potere essere qualificato come organismo di diritto 
pubblico. 

Nella lucida consapevolezza dei rischi in cui si sarebbe incorsi allorch� 
si fossero autorizzati, implicitamente od esplicitamente, i giudici nazionali dei 
singoli Stati membri ad elaborare interpretazioni plurime e discordanti circa 
il significato da attribuire alla formula de qua, la Corte di Giustizia dell�Unione 
Europea ha voluto, innanzitutto, scongiurare il rinvio all�ordinamento dei singoli 
Stati, puntualizzando la necessit� di fornire �una interpretazione autonoma 
e uniforme nell�intera Comunit�� (16). 

Dopo aver ribadito le esigenze di uniformit� interpretativa del diritto comunitario, 
il Giudice europeo ha susseguentemente specificato che �sono di carattere 
non industriale o commerciale i bisogni strettamente collegati al funzionamento 
istituzionale dello Stato e degli altri enti territoriali, bisogni al cui soddisfacimento 
i medesimi preferiscono, in concreto, provvedere direttamente o, con riguardo 
ai quali, intendono mantenere un�influenza determinante� (17). 

Orbene, la conduzione di un�attivit� prognostica che abbia come parametri 
di riferimento, da un lato, gli elementi costitutivi dell�organismo di diritto 
pubblico e, dall�altro lato, le concrete caratteristiche, strutturali e funzionali, 
dell�Agenzia Spaziale Italiana, induce ad affermare che l�ente di cui ci si occupa 
possa farsi rientrare, al pari di altri, proprio nella categoria degli organismi 
di cui all�art. 3, comma 26 del D.lgs. n. 163/2006. 

Innanzitutto, l�ASI � dotata di personalit� giuridica. L�art. 2, comma secondo 
del D.lgs. n. 128/2003 stabilisce che l�Agenzia �ha personalit� giuridica 
di diritto pubblico, autonomia scientifica, finanziaria, patrimoniale e contabile�. 
Particolare conformazione assume, poi, il requisito dell�influenza dominante, il 
quale � qui rinvenibile nella duplice declinazione di �finanziamento pubblico 
maggioritario� e di �nomina della maggioranza degli organi di direzione, di amministrazione 
o di vigilanza da parte dello Stato�. Se la gran parte dei finanziamenti 
di cui dispone l�Agenzia Spaziale Italiana derivano dal Fondo ordinario 
per il finanziamento degli enti pubblici di ricerca, non pu� di certo sfuggire come 
pi� della met� dei suoi organi di vertice siano nominati dallo Stato. Nello specifico: 
il Presidente � nominato dal Consiglio dei Ministri su proposta del Ministro 
vigilante, il Consiglio di amministrazione si compone del Presidente e da 

(16) Cfr. C. Giust. CE, 3 ottobre 2000, C-380/98, The Queen c./ H. M. Treasury. 

(17) Cfr. C. Giust. CE, sent. 11 giugno 2002, C-18/01, Arkkitehtuuritoimisto Riitta Korhonen Oy 
c./ Vaerkauden Taitotalo Oy. 


LEGISLAZIONE ED ATTUALIT�

quattro componenti nominati dal Ministro degli Affari Esteri, dal Ministro della 
Difesa, dal Ministro dell�Economia e delle Finanze e dal Ministro dell�Istruzione, 
dell�Universit� e della Ricerca mentre il Collegio dei revisori dei conti � 
composto da cinque membri nominati dal Ministro dell�Economia e delle Finanze 
e dal Ministro dell�Istruzione, dell�Universit� e della Ricerca. 

In ultimo, quanto all�elemento teleologico, non vՏ dubbio che la finalit� 
di promuovere, di sviluppare e di diffondere la ricerca scientifica e tecnologica 
applicata al campo spaziale e aerospaziale, unitamente alla gestione e al coordinamento 
di progetti nazionali nonch� alla partecipazione italiana a progetti 
europei ed internazionali riprovano che l�ASI � preordinata al soddisfacimento 
di interessi generali aventi carattere non industriale o commerciale perch�, 
evidentemente, connessi al �funzionamento istituzionale� dello Stato. 

Qualora dovessero registrarsi opinioni discordanti circa la sussistenza del-
l�elemento teleologico attorno al quale � imperniata la nozione di organismo 
di diritto pubblico, non pare inutile richiamare l�unica pronuncia sin qui resa 
dalla giurisprudenza amministrativa sulla natura giuridica di un ente operante 
in ambito spaziale: il Centro Italiano Ricerche Aerospaziali (CIRA s.c.p.a.). Il 
Consiglio di Stato, chiamato a decidere, tra le altre questioni, sulla natura giuridica 
del CIRA, � giunto a precisare che �ha natura di organismo di diritto 
pubblico la CIRA s.c.p.a., costituita per la progettazione, realizzazione e gestione 
delle opere strumentali al programma PRORA (Programma Nazione di 
Ricerche Aerospaziali) destinato a finalit� di ricerca e sperimentazione nel settore 
aerospaziale� (18). 

Dalla richiamata decisione, se ne ricava, mutatis mutandis, che la giurisprudenza 
amministrativa ha ritenuto le finalit� di ricerca e di sperimentazione 
applicate al settore spaziale ed aerospaziale come finalit� di interesse generale 
a carattere non industriale o commerciale; diversamente opinando, non potrebbe 
spiegarsi la qualificazione del CIRA s.c.p.a. nei termini di organismo 
di diritto pubblico al quale il Consesso � giunto. 

Pertanto - ad avviso di chi scrive - considerato che la ricerca e la sperimentazione 
spaziale e aerospaziale rientrano, a rigore, tra le finalit� dell�ASI, 
quella di organismo di diritto pubblico � una qualifica che, a maggior ragione, 
ben si attaglia all�ente prioritariamente deputato a promuovere e garantire lo 
sviluppo della cultura aerospatialis. 

4. Sede legale e Piano di razionalizzazione delle localizzazioni degli uffici. 

Per assolvere i propri compiti istituzionali, l�ASI si avvale non soltanto della sua struttura 
centrale ma anche di quelle territoriali. Puntualizzato che la struttura centrale dell�Agenzia ha 
sede legale a Roma, mentre le strutture decentrate, o se si preferisce territoriali, sono strategicamente 
dislocate sul territorio nazionale (tra queste si ricordano il Centro di Geodesia Spaziale, 

(18) Cfr. Cons. St., sent. del 23 agosto 2006, n. 4959. 


la Base di lanci di palloni Stratosferici e il Centro Spaziale �Luigi Broglio�) non ci si pu� esimere 
dall�evidenziare che tra i profili strutturali e organizzativi dell�Agenzia Spaziale Italiana 
sui quali ha inciso il D.lgs. n. 213/2009 sono da farsi rientrare gli aspetti concernenti le sedi. 

Difatti, l�art. 14 del sopraccennato decreto, prospettando la necessit� che venga predisposto 
un �piano volto alla razionalizzazione della localizzazione degli uffici acquisiti in propriet� 
o in locazione�, fa richiamo all�art. 12 del D.lgs. n. 419/99 il quale, nel disciplinare il 
riordinamento degli enti pubblici nazionali, chiarisce i caratteri contenutistici e procedimentali 
attinenti al Piano di razionalizzazione della localizzazione degli uffici che, a vario titolo, sono 
in dotazione dell�Ente. 

Il Piano di razionalizzazione � un documento con cadenza biennale da predisporre entro 
un termine fissato con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri mediante il quale gli 
Enti di Ricerca (e per quel che qui rileva, l�Agenzia Spaziale Italiana) puntano al conseguimento 
di obbiettivi di economia di spesa attraverso �l�utilizzo, l�acquisizione e la gestione in 
comune di immobili e servizi�. Una volta redatto, viene trasmesso (entro trenta giorni) dal 
Presidente dell�ASI, previo parere del Collegio dei revisori, al Ministero dell�Istruzione, del-
l�Universit� e della Ricerca e al Ministero dell�Economia e delle Finanze che, analizzati comparatisticamente 
i risultati previsti nel Piano e quelli effettivamente conseguiti, riferiscono 
alle Camere circa la attuazione dei principi che sovraintendono alla razionalizzazione delle 
risorse pubbliche da impiegare per l�utilizzo degli immobili di cui l�Ente deve avvalersi per 
l�esercizio delle proprie funzioni. 

5. Le missioni e gli obbiettivi. 

Si � gi� avuto modo di affermare che la missione dell�ASI si sostanzia 
nella promozione, nello sviluppo e nella diffusione della ricerca scientifica e 
tecnologica applicata al campo spaziale ed aerospaziale. Questa formula, solo 
apparentemente astratta e generica, in verit� � in grado di riassumere con straordinaria 
chiarezza la �finalit�� delle attribuzioni di cui � titolare l�Agenzia. 

Le funzioni espletate dall�Agenzia Spaziale Italiana sono elencate in maniera 
esauriente nell�art. 3 del decreto di riordino (d.lgs. n. 128/2003) e nella 
pressoch� corrispondente norma statutaria contenuta nell�art. 2 dello Statuto ASI. 

L�Ente di cui ci si occupa - perseguendo obbiettivi di eccellenza e coordinando 
progetti di ricerca nazionali e internazionali - tiene conto degli indirizzi 
strategici promanati dal Ministro dell�Istruzione, dell�Universit� e della 
Ricerca, dei programmi dell�Unione europea nonch� dei principi in materia 
di procedimento amministrativo e diritto di accesso, per poter, tra le altre cose: 
i) promuovere l�eccellenza nazionale nel settore della ricerca e un alto livello 
di competitivit� del comparto industriale; ii) partecipare ai lavori del Consiglio 
dell�Agenzia Spaziale Europea (ESA); iii) stipulare accordi bilaterali e multilaterali 
con organismi di altri Paesi; iv) diffondere la cultura aerospaziale e 
l�assegnazione di borse di studio e assegni di ricerca ecc. (19). 

(19) Specificamente, la lunga e articolata disposizione contenuta nell�art. 2 dello Statuto ASI precisa 
che: �L�Agenzia, in particolare, secondo quanto previsto al comma 1 e nel rispetto delle norme in 


LEGISLAZIONE ED ATTUALIT�

6. L�organigramma dell�Agenzia Spaziale Italiana. 

Come ogni ente pubblico, l�ASI � costituita da specifici organi, ciascuno dei quali incaricato 
di svolgere determinati compiti che si profilano come necessari per consentire all�Agenzia 
di promuovere lo sviluppo e la diffusione della ricerca scientifica e tecnologica applicata 
al campo spaziale e aerospaziale. 

A norma dell�art. 4 del decreto n. 128/2003 sono organi dell�ASI il Presidente, il Consiglio 
di amministrazione, il Consiglio tecnico-scientifico e il Collegio dei revisori dei conti. 
Stando alla lettera del decreto, dunque, gli organi dell�Agenzia risultano essere nel numero di 
quattro. Tuttavia, l�ampia autonomia statutaria che il legislatore nazionale riconosce all�ASI, 
sembrava aver determinato il verificarsi di una situazione di antinomia fra il pocanzi richiamato 
art. 4 del D.lgs. n. 128 cit. e l�art. 5 dello Statuto, ambedue rubricati �Organi�. 

Invero, diversamente dal decreto di riordino, la normativa statutaria sembrerebbe con-

materia di procedimento amministrativo e diritto di accesso: a) promuove, sviluppa e diffonde la ricerca 
scientifica e tecnologica e le sue applicazioni, perseguendo obiettivi di eccellenza, coordinando e gestendo 
i progetti nazionali e la partecipazione italiana a progetti europei e internazionali, nel quadro del 
coordinamento delle relazioni internazionali assicurato dal Ministero degli Affari Esteri; b) promuove 
l�eccellenza nazionale nel settore della ricerca e un alto livello di competitivit� del comparto industriale 
italiano; c) partecipa, sulla base degli indirizzi del Governo, nel quadro del coordinamento delle relazioni 
internazionali assicurato dal Ministero degli Affari Esteri, ai lavori del consiglio dell�Agenzia Spaziale 
Europea (ESA) e alle attivit� di carattere tecnico dell�Unione Europea; d) promuove e coordina la presenza 
italiana ai programmi approvati dall�Agenzia Spaziale Europea (ESA), nonch�, nei limiti delle 
risorse disponibili, stipula accordi bilaterali o multilaterali con organismi di altri Paesi per la partecipazione 
dell�Italia a programmi od imprese aerospaziali; e) promuove, sostiene e coordina la partecipazione 
italiana a progetti, iniziative dell�Unione Europea nel campo spaziale e aerospaziale; f) realizza, sulla 
base di accordi con Ministeri, organismi pubblici e privati, programmi applicativi di prevalente interesse 
istituzionale; g) realizza, con partner pubblici e privati, nazionali, comunitari e internazionali, infrastrutture 
complesse tese a sviluppare la ricerca scientifica e tecnologica applicata; h) intrattiene nel quadro 
del coordinamento delle relazioni internazionali assicurato dal Ministero degli Affari Esteri, relazioni 
con organismi aerospaziali di altri Paesi e, al tal fine, pu� istituire proprie unit� operative presso le principali 
organizzazioni comunitarie e internazionali; i) promuove e realizza, con il coinvolgimento della 
comunit� scientifica, la ricerca scientifica nazionale, predisponendo, coordinando e sviluppando appositi 
programmi, curando, in particolare, il raccordo con gli altri enti di ricerca ed universit�, con particolare 
riferimento l�Istituto nazionale di astrofisica (INAF) e l�Istituto nazionale di fisica nucleare (INFN), per 
quanto riguarda i settori di rispettiva competenza; j) svolge attivit� proprie di agenzia, finanziando e coordinando 
attivit� di ricerca svolte da terzi; k) svolge attivit� di comunicazione e promozione della ricerca, 
curando la diffusione dei relativi risultati economici e sociali all�interno del Paese e garantendo 
l�utilizzazione delle conoscenze prodotte; l) sviluppa programmi e progetti, anche attraverso affidamenti 
contrattuali, di elevata valenza tecnologica e applicativa; m) promuove, realizza e finanzia, sulla base 
di appositi progetti, iniziative che integrino la ricerca pubblica con quella privata, nazionale e internazionale, 
anche al fine di disporre di risorse ulteriori per il finanziamento di progetti congiunti; n) promuove 
la diffusione della cultura e delle conoscenze derivanti dalla relativa ricerca, nonch� la 
valorizzazione, a fini produttivi e sociali, e il trasferimento tecnologico dei risultati della ricerca; o) promuove 
l�assegnazione di borse di studio, assegni di ricerca e favorisce, sulla base di apposite convenzioni 
con le Universit�, corsi di dottorato di ricerca, anche con il coinvolgimento del mondo produttivo e, attraverso 
misure organizzative volte a potenziarne la professionalit� e l�autonomia, cura la formazione e 
la crescita tecnico-professionale del personale dell�Agenzia nel campo delle scienze e tecnologie e delle 
loro applicazioni; p) promuove iniziative per il trasferimento tecnologico per assicurare il massimo ritorno 
degli investimenti effettuati; q) cura, tenendo conto di accordi bilaterali e internazionali, i centri 
operativi dedicati all�osservazione della terra e geodesia spaziale, al controllo orbitale di satelliti, all�archiviazione 
dei dati scientifici e all�attivit� di volo stratosferico�. 


templare solo tre organi, escludendo da questi il Consiglio tecnico-scientifico; ai sensi dell�art. 
5 dello Statuto ASI sono organi dell�Agenzia: a) il Presidente; b) il Consiglio di amministrazione 
e c) il Collegio dei revisori dei conti�. Ciononostante, rilevato che anche lo stesso Statuto 

- malgrado nella elencazione degli organi non includa anche il Consiglio tecnico-scientifico al 
suo art. 8 disciplina nel dettaglio il Consiglio tecnico-scientifico; dal ch�, al cennato (apparente) 
contrasto non resta che attribuire il valore di scelta puramente stilistico-formale. 

7. Il Comitato di selezione del Presidente e dei componenti del Consiglio di amministrazione. 

La analisi degli organi deve essere preceduta dalla indicazione del soggetto e delle procedure 
attraverso cui si procede alla selezione delle persone maggiormente idonee a ricoprire 
ruoli di responsabilit�. 

Sul punto, � l�art. 11 del D.lgs. n. 213/2009 a precisare, puntualizzandolo, quale sia il 
soggetto competente ad attivare gli iter procedimentali previsti ai fini della selezione del Presidente 
e dei componenti del Consiglio di amministrazione (20). Con riguardo al soggetto 
competente a selezionare le persone con i profili accademici, professionali ed attitudinali pi� 
adatti a ricoprire i ruoli di vertice all�interno dell�ASI, non vՏ dubbio che esso debba identificarsi 
nel Comitato di selezione, composto da un massimo di cinque persone scelte tra esperti 
della comunit� scientifica nazionale ed internazionale e tra esperti di alta amministrazione. 

Quanto, poi, alla procedura, una volta perfezionatasi la sua composizione, il Comitato 
fissa con avviso pubblico le modalit� e i termini della presentazione delle candidature; acquisitele 
nel termine e con i modi fissati nell�avviso pubblico, il Comitato propone al Ministro 
dell�Istruzione, dell�Universit� e della Ricerca cinque nominativi per la carica di Presidente 
e tre nominativi per quella di consigliere di amministrazione. 

Spetter�, infine, al Ministro selezionare tra i nominativi proposti dal Comitato di selezione, 
quelle reputate pi� idonee a ricoprire il ruolo di Presidente e quello di consigliere di 
amministrazione. 

8. Il Presidente e il Vice-Presidente. 

Il Presidente � l�organo di vertice cui spettano le responsabilit� direttive ed operative 

(20) Ai sensi dell�art. 11 del D.lgs. n. 213/2009 �Ai fini della nomina dei presidenti e dei membri 
del consiglio di amministrazione di designazione governativa, con decreto del Ministro � nominato un 
comitato di selezione, composto da un massimo di cinque persone, scelte tra esperti della comunit� 
scientifica nazionale e internazionale ed esperti in alta amministrazione, di cui uno con funzioni di coordinatore, 
senza nuovi o maggiori oneri a carico del bilancio del Ministero. Il comitato di selezione 
agisce nel rispetto degli indirizzi stabiliti dal Ministro nel decreto di nomina e, per gli adempimenti 
avente carattere amministrativo, � supportato dalle competenti direzioni generali del Ministero. Il personale 
del Ministero non pu�, in nessun caso, fare parte del comitato di selezione. Il comitato di selezione 
fissa, con avviso pubblico, le modalit� e i termini per la presentazione delle candidature e, per ciascuna 
posizione ed ove possibile in ragione del numero dei candidati, propone al Ministro: a) cinque nominativi 
per la carica di presidente; b) tre nominativi per la carica di consigliere. Nei consigli di amministrazione 
composti da tre consiglieri, due componenti, incluso il presidente, sono individuati dal Ministro. Il terzo 
consigliere � scelto direttamente sulla base di una forma di consultazione definita negli statuti. Nei consigli 
di amministrazione composti da cinque consiglieri, tre componenti e tra questi il presidente, sono 
individuati dal Ministro. Gli altri due componenti sono scelti direttamente dalla comunit� scientifica o 
disciplinare di riferimento sulla base di una forma di consultazione definita negli statuti, fatto salvo 
quanto specificamente disposto all�art. 9. I decreti ministeriali di nomina dei presidenti e dei consigli di 
amministrazione sono comunicati al Parlamento�. 


LEGISLAZIONE ED ATTUALIT�

dell�Agenzia Spaziale Italiana (21). Nominato con decreto del Consiglio dei Ministri - previa 
deliberazione del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministero dell�Istruzione, dell�Universit� 
e della Ricerca e sentito il parere delle competenti commissioni parlamentari - viene 
scelto fra persone di alta qualificazione scientifica e manageriale, con una profonda conoscenza 
del sistema della ricerca in Italia e all�Estero e con una pluriennale esperienza nella 
gestione di enti o organismi pubblici o privati operanti nel settore della ricerca. 

La durata del mandato � di quattro anni rinnovabili (rectius confermabili) una sola volta. 
A norma dell�art. 6 decreto n. 128 del 2003, cos� come dell�art. 6 dello Statuto, il Presidente 
ha la rappresentanza legale dell�ente ed � responsabile delle relazioni istituzionali con il Governo, 
con le altre Pubbliche Amministrazioni, con gli organi costituzionali e di rilevanza costituzionale 
nonch� con le Autorit� amministrative indipendenti. 

Tra le sue principali attribuzioni, si ricordi che spetta al Presidente: convocare e presiedere 
il Consiglio di amministrazione, stabilendone l�ordine del giorno; formulare le proposte di deliberazione 
del Consiglio di amministrazione; adottare, sentito il Direttore generale, i provvedimenti 
d�urgenza, di competenza del Consiglio di amministrazione; definire le strategie e le linee 
guida per lo sviluppo dell�Agenzia in coerenza con il Piano Nazionale di Ricerca (PNR); formulare 
la proposta del Documento di Visione Strategica Decennale (DVS), del Piano triennale 
d�attivit� (PTA) e dei relativi aggiornamenti annuali, acquisendo il parere del Consiglio tecnico-
scientifico; richiedere pareri agli organi istituzionali di consulenza giuridica e tecnica etc. 

Per assolvere i propri compiti, il Presidente si avvale oltre che della propria segreteria 
anche delle Unit� organizzative tecnico-amministrative. A capo di queste, sono collocati i c.d. 
Responsabili delle Unit� afferenti al Presidente che, scelti tra i dipendenti ASI con qualifica 
non inferiore a quella di primo tecnologo e/o di dirigente amministrativo, sono nominati con 
delibera del Consiglio di amministrazione su proposta del Presidente. 

(21) L�art. 6 dello Statuto ASI dispone che: �Il Presidente ha la rappresentanza legale dell�ente, 
con facolt� di conferire deleghe e procure, ed � responsabile delle relazioni istituzionali. Il Presidente: 
a) convoca e presiede il Consiglio di amministrazione, stabilendo l�ordine del giorno, sentito il Direttore 
generale; b) formula le proposte di deliberazione del Consiglio di Amministrazione; c) adotta, sentito il 
Direttore generale, i provvedimenti di urgenza, di competenza del Consiglio di amministrazione, da sottoporre 
alla ratifica nella prima riunione utile del consiglio stesso; d) definisce le strategie e le linee 
guida per lo sviluppo dell�Agenzia in coerenza con il PNR e l�atto di indirizzo e le direttive adottate dal 
Ministro vigilante e formula la proposta del DVS, del PTA e dei relativi aggiornamenti annuali, acquisendo 
il parere del Consiglio tecnico-scientifico; e) vigila, sovraintende e controlla il corretto svolgimento 
delle attivit� dell�Agenzia; f) partecipa ai lavori del consiglio dell�Agenzia Spaziale Europea 
(E.S.A.) in rappresentanza del Governo italiano; g) individua il candidato per l�incarico di Direttore generale, 
da sottoporre alla deliberazione del Consiglio di amministrazione; h) richiede pareri alle autorit� 
amministrative indipendenti e agli organi istituzionali di consulenza giuridica e tecnica; i) richiede al 
Consiglio tecnico-scientifico specifici approfondimenti su argomenti da trattare in Consiglio di amministrazione; 
j) cura la predisposizione di una relazione illustrativa, da allegare allo schema di rendiconto 
generale, sulla base della relazione sulla gestione predisposta dal Direttore generale. 
Il Presidente, se professore o ricercatore universitario, pu� essere collocato in aspettativa ai sensi del-
l�articolo 13 del D.P.R. 11 luglio 1980, n. 382; se ricercatore o tecnologo dipendente di pubbliche amministrazioni 
� collocato in aspettativa senza assegni, ai sensi dell�articolo 19, comma 6, del decreto 
legislativo 30 marzo 2011, n. 165 s.m.i. 
In caso di assenza o impedimento, il Presidente � sostituito da un Vice Presidente, nominato dal Consiglio 
di amministrazione tra i suoi componenti su proposta del Presidente. Altro Vice-Presidente, sempre 
scelto nell�ambito dei componenti del consiglio di amministrazione, pu� operare in virt� di specifica 
delega del Presidente, con riferimento alle proprie responsabilit� di carattere istituzionale�. 


Tra le funzioni esercitate da tali Unit� si annoverano: la predisposizione degli atti di 
competenza del Presidente (si pensi ai provvedimenti presidenziali ovvero alle proposte da 
sottoporre al Consiglio di amministrazione), il supporto alle attivit� del Consiglio di amministrazione, 
del Consiglio Tecnico-scientifico, del Collegio dei Revisori dei Conti e dell�OIV, 
la cura delle relazioni internazionali con organismi aerospaziali di altri paesi e con amministrazioni 
e organismi pubblici o privati nonch� la diffusione delle comunicazioni e delle informazioni 
ASI. 

9. Il Consiglio di amministrazione. 

Il Consiglio di amministrazione � costituito a norma dell�art. 7 del D.lgs. n. 128/2003 
(cos� come confermato dall�art. 9 del D.lgs. n. 213/2009 e dal corrispondente art. 7 dello Statuto 
ASI) con decreto del Ministro dell�Istruzione, dell�Universit� e della Ricerca (22). Della 

(22) L�art. 7 dello Statuto ASI � del seguente tenore: �Il Consiglio di amministrazione ha i compiti 
di indirizzo e programmazione generale dell�attivit� dell�Agenzia. Il Consiglio di amministrazione, su 
proposta del Presidente: a) delibera il DVS, il PTA dell�Agenzia ed i relativi aggiornamenti annuali; b) 
delibera, a maggioranza dei componenti, in ordine alla definizione e modifiche dello Statuto e dei regolamenti 
del personale, di amministrazione e finanza e contabilit�, da perfezionarsi, tutti, secondo le procedure 
di cui al successivo art. 16; c) approva il bilancio preventivo e il bilancio consuntivo e le relative 
relazioni di accompagnamento; d) ratifica i provvedimenti d�urgenza adottati dal Presidente; e) nomina 
un Vice Presidente, eleggendolo tra i propri componenti; f) delibera la nomina del Direttore generale, 
dei componenti del consiglio tecnico-scientifico e dell�Organismo Indipendente di Valutazione delle 
prestazioni (O.I.V.); g) definisce i compensi del Direttore generale e dei responsabili dei settori tecnico-
scientifici, con riferimento alle indennit� di carica del Presidente, dei Consiglieri di amministrazione e 
dei componenti del Collegio dei revisori dei conti; h) esprime un parere vincolante sui curricula dei dirigenti 
e dei responsabili dei settori tecnici dell�Agenzia proposti dal Direttore generale, cui si applica 
la previsione del successivo art. 12, comma 2, lett. d); i) verifica i risultati dell�attivit� gestionale, tecnico-
scientifica ed economica dell�Agenzia ed individua i punti di maggior rilievo nella programmazione 
delle attivit� ai fini del monitoraggio e della valutazione; j) ripartisce le risorse finanziarie, strumentali 
e umane tra i settori tecnico-scientifici, tenendo conto delle proposte da esse formulate; k) delibera la 
partecipazione a societ�, fondazioni e consorzi, nonch� la stipulazione di accordi con organismi nazionali, 
comunitari ed internazionali; l) delibera sui grandi investimenti in infrastrutture e su commesse rilevanti 
previste nel piano triennale e negli aggiornamenti annuali, secondo criteri definiti dal 
Regolamento di finanza e contabilit�; m) adotta, nei limiti indicati dal regolamento di finanza e contabilit�, 
i provvedimenti concernenti il patrimonio immobiliare, mutui, assicurazioni, fondi di investimento 
e su altre operazioni finanziarie; n) esercita, nei limiti della normativa vigente, il potere di indirizzo per 
il rinnovo del contratto collettivo di lavoro; o) emana le direttive generali contenenti gli indirizzi strategici 
che il Direttore generale deve seguire nella predisposizione sia del Piano Triennale della Performance 
e della Relazione a detto piano conseguente di cui all�art. 10, comma 1, lettere a) e b) del decreto 
legislativo 27 ottobre 2009, n. 150, sia del Programma triennale per la trasparenza e l�integrit� di cui all�art. 
11 del decreto legislativo 27 ottobre 2009, n. 150, nonch� degli eventuali aggiornamenti annuali 
allo stesso; p) definisce gli obiettivi individuali annuali, di cui agli artt. 5 e 9 del decreto legislativo 27 
ottobre 2009, n. 150, che dovranno essere assegnati al Direttore Generale affinch� detti obiettivi vengano 
inclusi nella proposta di Piano triennale della Performace di cui all�art. 10, comma 1, lett. a) del decreto 
legislativo 27 ottobre 2009, n. 150; q) approva sia il Piano triennale della Performance e la Relazione a 
detto piano di cui all�articolo 10, comma 1, lettere a) e b) del decreto legislativo 27 ottobre 2009, n. 
150, sia il Programma triennale per la trasparenza e l�integrit� di cui all�articolo 11 del decreto legislativo 
27 ottobre 2009, n. 150, nonch� gli eventuali aggiornamenti annuali dello stesso, documenti questi predisposti 
dal Direttore generale; r) delibera la programmazione triennale e annuale del fabbisogno di personale, 
ivi incluse le relative azioni di formazione; s) delibera, secondo le modalit� indicate nel 
regolamento del personale e di amministrazione, le procedure concorsuali per l�assunzione, anche a 


LEGISLAZIONE ED ATTUALIT�

durata di quattro anni, si compone del Presidente e di altri quattro componenti, confermabili 
una sola volta e nominabili (uno per ciascun Dicastero) dal Ministro degli Affari Esteri, dal 
Ministro della Difesa, dal Ministro dell�Economia e delle Finanze e dal Ministro dell�Istruzione, 
dell�Universit� e della Ricerca. 

Dietro formale convocazione del Presidente, il Consiglio, che ha compiti di indirizzo e programmazione 
generale dell�attivit� dell�Agenzia, si riunisce una volta al mese. I consiglieri (almeno 
nel numero di due) possono motivatamente richiedere al Presidente la convocazione del 
Consiglio di amministrazione per trattare all�ordine del giorno specifici argomenti da loro indicati. 

Come per l�organo di amministrazione di qualsiasi altro ente pubblico o privato, si richiedono 
anche per il C.d.A. dell�Agenzia Spaziale Italiana quorum costitutivi e deliberativi. 
Il Consiglio di amministrazione si considera validamente costituito quando � presente la maggioranza 
dei componenti di esso, mentre le delibere si intendono validamente adottate solo 
una volta raggiunto il voto favorevole della maggioranza dei consiglieri presenti. Qualora 
dovesse verificarsi una situazione di parit� di voto, tale per cui il C.d.A. venga a trovarsi in 
uno stato di stallo, risulter� decisivo e prevalente il voto del Presidente. La corretta verbalizzazione 
delle sedute � garantita da un Segretario nominato dal Consiglio di amministrazione 
su proposta del Presidente. 

Quanto alle funzioni esercitate dall�organo di amministrazione, nel rimandare alla lettura 
dell�apposita nota in cui si riporta il testo integrale del gi� richiamato art. 7 dello statuto ASI, 
sia sufficiente ricordare che il Consiglio di amministrazione ha una competenza cos� ampia 
da poter deliberare su tutte le materie di indirizzo non espressamente riservate ad altri organi 
dell�Agenzia dalla legge o dallo statuto medesimo. 

10. Il Consiglio tecnico-scientifico. 

Il Consiglio tecnico-scientifico previsto e contemplato dall�art. 8 del D.lgs. n. 128/2003 
(per come integrato dall�art. 10 del D.lgs. n. 213/2009 e dal corrispondete art. 8 dello Statuto 
ASI) � l�organo che esercita funzioni consultive su aspetti altamente tecnici a supporto del 
Consiglio di amministrazione (23). 

tempo determinato, del personale, anche dirigenziale ed in materia di mobilit�, comandi e distacchi; t) 
delibera sull�affidamento nominativo di incarichi di consulenza e studio ad esperti esterni secondo le 
previsioni del Regolamento di finanza e contabilit�; u) definisce criteri e modalit�: per lo svolgimento 
della attivit� di certificazione tecnica; per la collaborazione con enti e istituzioni nazionali, stranieri e 
internazionali nel settore della normativa tecnica, anche ai fini dell�espletamento delle funzioni di vigilanza 
affidate da leggi e regolamenti; per le attivit� di valorizzazione e trasferimento dei risultati della 
ricerca; per la realizzazione, nei termini previsti dalla legge, di attivit� di formazione post lauream; v) 
delibera su tutte le altre materie di indirizzo, non espressamente riservate ad altri organi dell�Agenzia 
dalla legge o dal presente Statuto. 
I consiglieri, in un numero minimo di due, possono motivatamente chiedere al Presidente la convocazione 
del Consiglio di amministrazione, con l�inserimento di specifici argomenti all�ordine del giorno. 
Le sedute del Consiglio di amministrazione, salvo le previsioni di cui all�art. 2, lette. b), sono valide 
quando � presente la maggioranza dei componenti e le delibere sono approvate quando ottengono il voto 
della maggioranza dei presenti; a parit� di voti prevale quello del Presidente. Il Consiglio di amministrazione 
stabilisce con apposito regolamento, le norme per il suo funzionamento�. 

(23) L�art. 8 dello Statuto ASI cos� dispone: �Il Consiglio tecnico-scientifico, i cui componenti 
sono selezionati tra scienziati e personalit� con particolare e qualificata professionalit� ed esperienza 
nei settori tecnici di competenza dell�Agenzia, anche stranieri, di fama internazionale, ha compiti consultivi 
nei confronti del Consiglio di amministrazione, relativi agli aspetti tecnico-scientifici dell�attivit� 


Composto da sette componenti � nominato, su proposta del Presidente, dal Consiglio di 
amministrazione. In particolare, al fine della sua composizione, il Presidente dell�Agenzia, al 
termine di consultazioni con i rappresentanti dei principali Enti pubblici di ricerca, della Conferenza 
Stato-Regioni e delle istituzioni ed associazioni della comunit� scientifica, economica 
ed industriale, individua un numero di candidati pari almeno al doppio del numero dei componenti 
per poi selezionare, tra questi, coloro che per comprovata competenza nel settore andranno 
a ricoprire la carica di consigliere tecnico-scientifico. 

L�organo in parola dura in carica quattro anni e i suoi componenti possono essere confermati 
una sola volta. La nomina del componente del Consiglio tecnico-scientifico che dovr� 
assumere la presidenza compete al Presidente dell�Agenzia che lo sceglie fra i sette componenti; 
la carica di Presidente del Consiglio tecnico-scientifico dura in carica due anni rinnovabili. 

Il Consiglio tecnico-scientifico deve ritenersi validamente costituito quando � presente 
la maggioranza dei suoi componenti ed esprime i suoi pareri con il voto favorevole della maggioranza 
dei presenti. Come il Consiglio di amministrazione, anche il Consiglio tecnico-scientifico 
si avvale di un Segretario che, proposto e nominato dal Presidente, redige il verbale 
delle sedute. Alle riunioni dell�organo tecnico-scientifico possono essere invitati il Direttore 
generale, i Responsabili dei settori tecnici nonch� esperti nazionali ed internazionali. 

11. Il Collegio dei revisori dei conti. 

L�art. 9 del D.lgs. n. 128/2003 e il corrispondente art. 9 dello Statuto ASI disciplinano 
il Collegio dei revisori dei conti. Costituito con decreto del Ministro dell�Istruzione, dell�Universit� 
e della Ricerca e composto da tre membri effettivi e due supplenti, questo � l�organo 
di controllo della regolarit� amministrativa e contabile dell�Agenzia Spaziale Italiana (24). 

dell�Agenzia. Il Consiglio tecnico-scientifico: a) esprime al Consiglio di amministrazione il parere tecnico-
scientifico sul documento di visione strategica decennale (DVS), sulle proposte di piano triennale 
(PTA) e sui relativi aggiornamenti annuali; b) realizza, su richiesta del Presidente, analisi, studi e confronti 
sullo stato della ricerca spaziale e aerospaziale a livello nazionale e internazionale; c) individua, 
su richiesta del Presidente, le possibili linee evolutive della ricerca spaziale e aerospaziale; d) esprime 
parere sulle proposte di modifica dello statuto. Il Consiglio tecnico-scientifico, composto da sette componenti, 
� nominato, su proposta del Presidente, dal Consiglio di amministrazione dell�Agenzia. A tal 
fine, il Presidente dell�Agenzia individua, all�esito di consultazioni con i rappresentanti dei principali 
enti di ricerca di cui al decreto legislativo 31 dicembre 2009, n. 213, della Conferenza Stato-Regione e 
delle istituzioni ed associazioni della comunit� scientifica ed economica ed industriale di riferimento, 
anche, quest�ultima, per il tramite del Ministero dello Sviluppo Economico, un numero di candidati pari 
ad almeno il doppio del numero dei componenti. Il Consiglio tecnico-scientifico, i cui componenti possono 
essere confermati una sola volta, dura in carica quattro anni. Il Presidente � nominato, all�interno 
del Consiglio tecnico-scientifico, dal Presidente dell�Agenzia e dura in carica due anni, rinnovabili. Il 
Presidente concorda con il Presidente dell�Agenzia l�ordine del giorno dei lavori�. 

(24) Questo il testo dell�art. 9 dello Statuto ASI: �Il Collegio dei revisori dei conti � l�organo di 
controllo della regolarit� amministrativa e contabile dell�Agenzia e svolge i compiti previsti dall�art. 
2403 del codice civile, per quanto applicabile. In particolare, controlla la legittimit� della gestione amministrativa 
e contabile dell�Agenzia; accerta la regolare tenuta dei libri e delle scritture contabili e l�osservanza 
delle disposizioni di legge e statutarie; esamina i bilanci dell�Agenzia redigendo apposite 
relazioni; effettua periodiche verifiche di cassa; pu� procedere in ogni momento ad atti di ispezione e di 
controllo. Il Collegio dei revisori dei conti esprime parere di legittimit� sugli atti deliberativi riguardanti 
bilanci preventivi, variazione ai medesimi, conti consuntivi, operazioni finanziarie e partecipazioni in 
enti, fondazioni, consorzi, societ�, ricognizioni e riaccertamenti dei residui attivi e passivi e inesigibilit� 
dei crediti iscritti nella situazione patrimoniale, nonch� sulle questioni ad esso sottoposte dal Consiglio 


LEGISLAZIONE ED ATTUALIT�

I cinque membri del Collegio devono essere tutti iscritti al Registro dei revisori legali 
dei conti. Il membro effettivo con funzione di Presidente ed uno dei membri supplenti sono 
nominati dal Ministro dell�Economia e delle Finanze, i restanti tre membri (due effettivi e un 
supplente) sono invece nominati dal Ministro dell�Istruzione, dell�Universit� e della Ricerca. 
Il mandato di revisore dei conti ha durata quadriennale rinnovabile una sola volta. 

I membri del Collegio dei revisori dei conti possono assistere alle riunioni del Consiglio 
di amministrazione e possono chiedere al Presidente dell�Agenzia la convocazione del Consiglio 
di amministrazione. Anche tale organo, si avvale di una Segreteria che cura la corretta 
verbalizzazione delle sedute. I verbali di esso sono inviati al Ministro dell�Istruzione, del-
l�Universit� e della Ricerca, al Ministro dell�Economia e delle Finanze, alla Corte dei Conti, 
al Presidente dell�Agenzia e al Direttore Generale. 

In via di generale, al Collegio dei revisori dei conti spetta di controllare il rispetto delle 
norme che sovraintendono alla gestione amministrativa e contabile degli Enti pubblici di ricerca 
e verificare la regolare tenuta delle scritture contabili. 

12. L�Organismo Indipendente di Valutazione delle Prestazioni (OIV). 

Nella struttura organizzativa dell�Agenzia Spaziale Italiana vi rientra anche l�Organismo 
Indipendente di Valutazione delle prestazioni (OIV). Questo, oltre ad essere disciplinato dal-
l�art. 10 decreto di riordino n. 128 del 2003 � pure previsto dall�art. 10 dello Statuto ASI (25). 

Se sinora la nostra attivit� espositiva si � basata su una sostanziale corrispondenza tra 
normativa legale e normativa statutaria, la stessa cosa non pu� dirsi quanto all�Organismo di 
cui si discute. Confrontando l�art. 10 dello Statuto ASI con il (solo numericamente) corrispondente 
art. 10 del D.lgs. n. 128 cit. ci si rende presto conto che la disciplina legislativa 


di amministrazione, al quale pu� chiedere informative specifiche e su ogni questione da esso rilevata. I 
membri del Collegio dei revisori dei conti possono assistere alle riunioni del Consiglio di amministrazione. 
Il Collegio dei revisori pu� chiedere al Presidente dell�Agenzia la convocazione del Consiglio di 
amministrazione. Il Collegio dei revisori dei conti, costituito con decreto del Ministro dell�Istruzione, 
dell�Universit� e della Ricerca, � composto da tre membri effettivi e due membri supplenti, iscritti nel 
registro dei revisori legali, di cui un membro effettivo, con funzione di Presidente, e un membro supplente 
designati dal Ministro dell�Economia e delle Finanze. Il Ministro dell�Istruzione, dell�Universit� e della 
Ricerca provvede alla nomina di due membri titolari e di un membro supplente. I membri del Collegio 
dei revisori dei conti durano in carica quattro anni e possono essere confermati una sola volta. Il Presidente 
e i membri effettivi del Collegio dei revisori dei conti, se dipendenti pubblici, sono collocati fuori 
ruolo per la durata del mandato. Le indennit� di carica del Presidente e dei componenti del Collegio dei 
revisori dei conti sono determinate, a valere sul bilancio dell�Agenzia, con decreto del Ministero del-
l�Istruzione, dell�Universit� e della Ricerca, di concerto con il Ministro dell�Economia e delle Finanze�. 

(25) L�art. 10 del D.lgs. n. 128/2003 dispone che: �Il comitato di valutazione valuta periodicamente 
i risultati dei programmi e dei progetti di ricerca dell�Agenzia, anche in relazione agli obiettivi 
definiti nel piano aerospaziale nazionale, in accordo con i criteri di valutazione definiti, in deroga a 
quanto previsto dall�art. 5, comma 1, lettera b), del decreto legislativo 5 giugno 1998, n. 204, dal Ministro 
dell�Istruzione, dell�Universit� e della Ricerca, sentito il Comitato di indirizzo per la valutazione della 
ricerca (CIVR). Il comitato di valutazione � composto da cinque membri esterni dell�Agenzia, ivi compreso 
il presidente, nominati dal consiglio di amministrazione, di cui due, tra i quali il presidente, designati 
dal Ministro dell�Istruzione, dell�Universit� e della Ricerca, uno designato dal Ministro della Difesa 
ed uno designato dalla Conferenza dei rettori delle universit� italiane. Il presidente e i componenti del 
comitato durano in carica quattro anni e possono essere confermati una sola volta. Il comitato di valutazione 
svolge i propri compiti in piena autonomia. Il comitato presenta al presidente ed al consiglio di 
amministrazione dell�Agenzia una relazione di valutazione annuale dei risultati dell�attivit� di ricerca�. 


che parla di Comitato di valutazione anzich� di Organismo Indipendente di Valutazione delle 
prestazioni - questa volta � sorprendentemente pi� dettagliata rispetto a quella statutaria. 

Per evitare equivoci qualsivoglia, � bene precisare che l�impiego delle diverse locuzioni 
di �Organismo Indipendente di Valutazione delle prestazioni� ovvero di �Comitato di valutazione
� non determina il riferimento a due diverse entit� organiche, trattandosi, piuttosto, di una 
semplice differenza di drafting normativo a cui non debbono ricollegarsi implicazioni di sorta. 

I cinque membri che compongono l�Organismo di Valutazione, compreso il Presidente, 
sono scelti fra persone esterne all�Agenzia e nominati dal Consiglio di amministrazione su 
proposta del Presidente ASI. Due dei suoi membri - tra cui il Presidente - sono designati dal 
Ministro dell�Istruzione, dell�Universit� e della Ricerca, uno � designato dal Ministro delle 
Attivit� Produttive, un altro � designato dal Ministro della Difesa e, infine, un altro ancora 
dalla Conferenza dei Rettori delle Universit� Italiane. Il Presidente e i membri dell�Organismo 
Indipendente di Valutazione delle prestazioni durano in carica quattro anni e possono essere 
confermati una sola volta. 

Come intuibile dalla sua stessa denominazione, l�Organismo assolve la funzione di valutare 
periodicamente i risultati dei programmi e dei progetti di ricerca dell�Agenzia in relazione 
agli obbiettivi definiti nel Piano Aerospaziale Nazionale. Una volta esercitate le proprie 
funzioni, l�Organismo comunica al Presidente ASI e al Consiglio di amministrazione una relazione 
di valutazione annuale sui risultati conseguiti dall�Agenzia nel campo della ricerca 
scientifica e tecnologica spaziale ed aerospaziale. 

13. Il Direttore Generale. 

Il Direttore generale � un dirigente apicale dell�Agenzia Spaziale Italiana che esercita 
funzioni di �alta gestione�. Scelto dal Presidente ASI fra persone di alta qualificazione tecnico-
professionale con profonda conoscenza delle normative e degli assetti organizzativi degli 
enti pubblici e del comparto dell�industria aerospaziale viene nominato con deliberazione 
maggioritaria del Consiglio di amministrazione (26). 

(26) A norma dell�art. 12 dello Statuto ASI: �Il Direttore generale, dirigente apicale dell�Agenzia, 
ha la responsabilit� della gestione e cura l�attuazione delle delibere del Consiglio di amministrazione e 
dei provvedimenti del Presidente; dirige, coordina e controlla la struttura organizzativa; partecipa alle 
riunioni del Consiglio di amministrazione senza diritto di voto. Il Direttore generale: a) predispone il 
bilancio preventivo e il bilancio consuntivo dell�Agenzia; b) elabora, sulla base delle indicazioni dei 
settori tecnici, la relazione annuale di verifica dei risultati gestionali ed economici dell�Agenzia da sottoporre 
al Presidente, che la presenta al Consiglio di amministrazione; c) predispone schemi di modifica 
dei regolamenti di amministrazione, finanza e contabilit� e del personale da sottoporre al Presidente, 
che li presenta al Consiglio di amministrazione; d) conferisce gli incarichi ai dirigenti ed ai responsabili 
tecnici previo parere vincolante del Consiglio di amministrazione sulla validit� curriculare dei soggetti 
proposti; e) definisce gli obiettivi individuali annuali di cui agli artt. 5 e 9 del decreto legislativo 27 ottobre 
2009, n. 150 assegnati ai dirigenti, da includere nella proposta di Piano triennale della Performance 
di cui all�art. 10, comma 1, lettera a) del decreto legislativo 27 ottobre 2009, n. 150; f) predispone, sulla 
base delle linee guida deliberate dal Consiglio di amministrazione, il Piano triennale della misurazione 
delle prestazioni e la Relazione a detto piano di cui all�articolo 10, comma 1, lettere a) e b) del decreto 
legislativo 27 ottobre 2009, n. 150, e il Programma triennale per la trasparenza e l�integrit� di cui all�articolo 
11 del decreto legislativo 27 ottobre 2009, n. 150, nonch� gli eventuali aggiornamenti annuali 
dello stesso; g) conferisce gli incarichi delle unit� organizzative tecniche e amministrative; h) cura le 
relazioni con le organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative, secondo gli indirizzi espressi 
dal Presidente e dal Consiglio di amministrazione. Il Direttore generale, il cui rapporto di lavoro � re



LEGISLAZIONE ED ATTUALIT�

La durata in carica del Direttore generale coincide con quella del Presidente; quattro 
anni rinnovabili una sola volta. Laddove venga accertata la violazione delle disposizioni in 
materia di incompatibilit� e conflitto di interessi ovvero la sussistenza di gravi inadempienze, 
l�incarico di Direttore Generale potr� essere legittimamente revocato con decreto del Presidente, 
previa deliberazione del Consiglio di amministrazione. In caso di dimissioni, impedimenti 
o revoca dell�incarico prima della scadenza, le funzioni del Direttore Generale, nelle 
more della nuova nomina, sono svolte dal �facente funzioni� nominato dal C.d.A. su proposta 
del Presidente. 

� sul Direttore Generale - come previsto dall�art. 11 del D.lgs n. 128/2003 e dall�art. 12 
dello Statuto - che grava la responsabilit� gestionale dell�Agenzia, dal momento che spetta a 
questi curare la corretta attuazione delle delibere del Consiglio di amministrazione e dei provvedimenti 
del Presidente, partecipare alle riunioni del Consiglio di amministrazione senza 
possibilit� di esercitare diritto di voto e ricopre la qualifica di datore di lavoro dell�Agenzia 
con la correlata responsabilit� relativa alla sicurezza sui luoghi di lavoro. 

Al pari del Presidente, anche il Direttore Generale, per assolvere i propri compiti istituzionali, 
si avvale di apposite Unit� tecnico-amministrative: le c.d. Unit� afferenti al Direttore 
Generale. La loro struttura appare dotata di una complessa e articolata composizione essendo 
possibile riscontrare una Unit� organizzative direttamente a supporto della Direzione Generale 
e un Settore tecnico, articolato a sua volta in due Unit� organizzative di primo livello. 

L�Unit� organizzativa direttamente a supporto del Direttore generale espleta funzioni di 
coordinamento amministrativo, di garanzia della sicurezza sul lavoro, di pianificazione degli 
investimenti, di cura delle relazioni con il pubblico e di cura dei contenziosi. Il Settore Tecnico 
invece - come gi� detto - si articola in due Unit� organizzative di primo livello; la prima, denominata 
Direzione-Amministrazione, cura le attivit� di contabilit�, di bilancio nonch� i contratti 
e il controllo della gestione, la seconda, denominata Direzione-Organizzazione, cura 
invece la gestione del personale, la logistica, la documentazione, il trattamento dei dati personali, 
le pari opportunit� e i procedimenti disciplinari. 

14. Il Responsabile dei programmi e progetti. 

I programmi e i progetti dell�Agenzia Spaziale Italiana sono affidati ai c.d. Responsabili 
dei programmi ovvero dei progetti che, scelti nell�ambito del personale tecnologo dell�ASI, sono 
nominati dal Direttore Generale su proposta del Responsabile della competente Direzione o Unit�. 

Per quel che concerne le funzioni, i Responsabili in parola hanno la direzione, il controllo 
e l�attuazione di attivit� di norma svolte da terzi e definite nei contratti stipulati dall�Agenzia. 
Inoltre, assumono la rappresentanza dell�ASI nei confronti dei contraenti al fine di assicurare 
il raggiungimento degli obbiettivi contrattualmente assunti. 

golato con contratto di diritto privato con durata coincidente con la durata in carica del Presidente, � 
scelto tra persone di alta qualificazione tecnico-professionale e di comprovata esperienza gestionale, 
con profonda conoscenza delle normative e degli assetti organizzativi degli enti pubblici e del settore 
industriale aerospaziale. Nel caso di cessazione anticipata del mandato degli organi di indirizzo rimane 
in carica per il disbrigo degli affari correnti sino alla nomina del successore da parte dei nuovi organi. 
Il Direttore generale, se professore o ricercatore universitario, � collocato in aspettativa ai sensi dell�articolo 
12 del D.P.R. 11 luglio 1980, n. 382; se ricercatore o tecnologo o dipendente di pubblica amministrazione 
pu�, a domanda, essere collocato in aspettativa senza assegni ai sensi dell�art. 19, comma 6, 
del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 e s.m.i�. 


15. Il Direttore tecnico e i settori tecnici. 

L�art. 12 del pi� volte citato D.lgs. n. 128/2003, nel disciplinare i settori tecnici, indirettamente 
tratteggia la figura dei Direttori tecnici. L�ASI, invero, realizza le sue attivit� di ricerca 
applicata al campo spaziale e aerospaziale per il tramite di talune peculiari unit� organizzative 
in un numero non superiore a due: i settori tecnici. 

Responsabili dell�attivit� svolta da detti settori sono i Direttori tecnici che, scelti dal Direttore 
Generale fra soggetti in possesso di alta qualificazione professionale ed esperienza 
scientifica e manageriale nel settore spaziale ed aerospaziale, sono nominati con deliberazione 
del Consiglio di amministrazione. L�incarico di Direttore tecnico � conferito per una durata 
massima di cinque anni e non pu� essere rinnovato per oltre un quinquennio. Per la eventuale 
violazione delle norme in tema di incompatibilit� ovvero nei casi di gravi inadempienze, l�incarico 
di Direttore tecnico pu� essere revocato prima della scadenza con provvedimento del 
Direttore Generale previa deliberazione del Consiglio di Amministrazione. In ipotesi di dimissioni, 
impedimento o revoca del Direttore Tecnico prima del termine fissato e in attesa 
della selezione del nuovo Direttore, i relativi compiti sono svolti temporaneamente da un �facente 
funzioni� nominato dal Consiglio di amministrazione. 

Compete al Direttore tecnico: i) dirigere, controllare e attuare i programmi definiti nel 
Piano Triennale di Attivit� (PTA); ii) fornire al Direttore generale gli elementi programmatico-
gestionali indispensabili per la formulazione del bilancio preventivo e consuntivo; iii) 
elaborare una relazione di autovalutazione dell�attivit� del settore tecnico che dirige da trasmettere 
al Direttore Generale che la presenta all�Organismo Indipendente di Valutazione 
(OIV); iv) istituire, a tempo determinato, unit� di ricerca per singoli progetti, presso le universit�, 
gli enti di ricerca pubblici o privati ovvero presso imprese. 

16. Incompatibilit� e decadenze. 

Per i soggetti che rivestano una determinata carica nell�organizzazione dell�Agenzia 
Spaziale Italiana, sono previste specifiche cause di incompatibilit� e decadenza. In particolare, 
l�art. 8 del Regolamento di Organizzazione e Funzionamento dell�Agenzia Spaziale Italiana 
stabilisce che le cariche di membro del Consiglio di amministrazione, del Consiglio tecnico-
scientifico, del Collegio dei Revisori dei Conti e dell�Organismo Indipendente di Valutazione 
delle prestazioni sono incompatibili tra di loro e con quelle di Direttore Generale, Direttore 
Tecnico e Dirigente o Responsabile di Unit� organizzative dell�Agenzia. 

Ancora, il Presidente, i membri del Consiglio di amministrazione, i membri del Consiglio 
tecnico scientifico, i membri del Collegio dei revisori dei Conti e quelli dell�Organismo 
Indipendente di Valutazione non possono essere n� amministratori o dipendenti di imprese o 
societ� che partecipano a programmi di interesse prevalente dell�Agenzia, tampoco componenti 
delle commissioni di selezione per il reclutamento del personale ASI. In aggiunta, tutte 
le cariche sopradette sono incompatibili con incarichi politici elettivi nazionali. 

I soggetti che nell�organigramma dell�Agenzia Spaziale Italiana rivestano una delle cariche 
sopraccennate, entro trenta giorni dalla data di insediamento del Consiglio di amministrazione 
debbono formalmente dichiarare sotto la propria responsabilit� di non trovarsi in 
nessuna delle predette situazione di incompatibilit�. Una volta rese da ciascun interessato le 
anzidette dichiarazioni, il Presidente, o chi ne ha le veci, dovr� esperire tutti gli opportuni accertamenti 
del caso. 

Se all�esito di questi non risulti l�esistenza di cause di incompatibilit� nulla quaestio, al 


LEGISLAZIONE ED ATTUALIT�

contrario, accertata la sussistenza di cause di incompatibilit� in difformit� rispetto a quanto 
dichiarato dal soggetto interessato, il Presidente dovr� stabilire un termine non superiore a 
venti giorni entro il quale l�interessato dovr� provvedere a rimuovere la causa di incompatibilit�. 
Decorso inutilmente tale termine, il Presidente ne d� immediata comunicazione all�autorit� 
competente per la nomina affinch� questa ne dichiari la decadenza. 

Speciali cause di incompatibilit� sono dettate per il Direttore Generale dell�Agenzia; la 
disposizione normativa che viene in rilievo � quella formalmente consacrata nell�art. 11 del 
gi� citato Regolamento di Organizzazione e Funzionamento, ai sensi del quale la carica di 
Direttore Generale � incompatibile con altri uffici o con gli impieghi pubblici o privati, con 
l�esercizio di attivit� professionali, commerciali o industriali e con la carica di amministratore 

o sindaco di societ� lucrative. Per di pi�, il Direttore generale non pu� far parte delle commissioni 
di concorso per il reclutamento di personale dell�Ente e di commissioni di collaudo 
di lavori, forniture e servizi. 

17. Gli strumenti di cui l�Agenzia Spaziale Italiana � legittimata ad avvalersi. 

Nel novero degli strumenti di cui l�ASI si avvale per l�esercizio delle sue 
funzioni, accanto a quelli di natura pubblicistica ve ne rientrano anche di natura 
privatistica. Se tra i primi - oltre all�istituzione di Centri di ricerca spaziale ed 
aerospaziale - devono ricordarsi gli accordi e le convenzioni, tra quelli privatistici 
vengono fatti tradizionalmente rientrare la costituzione di consorzi, di 
societ� e di fondazioni (27). Stante il loro sempre pi� frequente impiego ci si 
soffermer� anzitutto sugli accordi e le convenzioni per poi passare all�esame 
degli altri strumenti. 

(27) L�art. 4 dello Statuto ASI � nel senso che: �L�Agenzia per lo svolgimento dei compiti di cui 
all�articolo 2 e di ogni altra attivit� connessa, ivi compreso l�utilizzo economico dei programmi realizzati, 
secondo criteri e modalit� determinate con i Regolamenti del personale e di amministrazione, finanza e 
contabilit� pu�: a) stipulare accordi e convenzioni; b) partecipare o costituire consorzi, fondazioni o societ� 
con soggetti pubblici e privati, italiani e stranieri. Per la costituzione o la partecipazione in societ� 
con apporto al capitale sociale superiore a 500.000,00 euro o con quota azionaria pari o superiore al 50 
per cento del predetto capitale sociale � richiesto, previa informativa al Ministro vigilante, il parere del 
Ministro dell�Economia e delle Finanze che deve esprimersi entro trenta giorni dalla ricezione della richiesta, 
decorsi i quali si prescinde dal parere; c) promuove la costituzione di nuove imprese, anche con 
riferimento al proprio personale in costanza di rapporto, nel rispetto della normativa vigente; d) partecipare 
alla costituzione e alla conduzione anche scientifica di centri di ricerca internazionali, in collaborazione 
con analoghe istituzioni scientifiche di altri Paesi; e) commissionare attivit� di ricerca e studio 
di soggetti pubblici e privati, nazionali e internazionali; f) avvalersi di centri di ricerca aerospaziale e 
segnatamente del Centro italiano di ricerca aerospaziale (CIRA), in base alla normativa vigente. L�Agenzia 
pu� promuovere o concorrere, previa valutazione di legittimit� e di merito da parte del Ministro vigilante, 
e senza rilasciare garanzie, alla costituzione o partecipazione di fondi di investimento con la 
partecipazione di investitori pubblici o privati, articolati in un sistema integrato tra fondi di livello nazionale 
e rete di fondi locali. I predetti fondi sono destinati all�attuazione di programmi di trasferimento 
tecnologico e di investimento per la realizzazione di iniziative produttive con elevato contenuto di innovazione 
e ricerca, con il coinvolgimento di apporto dei soggetti pubblici e privati operanti nel territorio 
di riferimento e la valorizzazione di risorse finanziarie destinate allo scopo, anche derivanti da cofinanziamenti 
europei ed internazionali. L�Agenzia riferisce sui programmi, sugli obiettivi, sulle attivit� e sui 
risultati dei soggetti di cui al comma 1 in apposita sezione del PTA�. 


18. Gli accordi e le convenzioni. 

Sono svariati gli accordi e le convenzioni (28) che l�Agenzia Spaziale 
Italiana stipula con soggetti pubblici e privati nazionali. 

Tra le pi� recenti convenzioni siglate dall�ASI, merita di essere segnalata la 

(28) La Pubblica Amministrazione, nell�adoperarsi per la cura concreta dell�interesse generale, 
ha �la facolt� di scelta, sia per ci� che concerne l�an che il quomodo della procedura� cfr. GUZZI F.F. ROLLI. 
R. (2008), La legge di riforma del procedimento amministrativo al vaglio della giurisprudenza, 
in federalismi.it, n. 4, p. 16. 
� evidente che con riferimento al quomodo, i due autori alludono alla possibilit�, per i Pubblici Soggetti, 
di esercitare il potere amministrativo tanto nella tradizionale forma provvedimentale, quanto nella alternativa 
forma negoziale. Se nel primo caso l�esercizio del potere si traduce nella adozione di un atto 
(il provvedimento amministrativo) che � il frutto di scelte discrezionali assunte unilateralmente dalla 
Pubblica Amministrazione, nel secondo, invece, il contenuto dispositivo degli atti nei quali il potere si 
estrinseca � oggetto di un negozio (accordo) con le parti sulla cui sfera giuridica il potere pubblico � destinato 
a sortire i suoi effetti. Siffatto negozio �pu� configurarsi come quello che definisce la fattispecie 
procedimentale e produce gli effetti (accordo sostitutivo) ovvero come quello il cui contenuto dispositivo 
viene versato nel provvedimento (accordo integrativo)� cfr. CERULLI IRELLI V. (2006), Lineamenti del 
diritto amministrativo, Giappichelli, Torino. 
Fermo che uno dei pi� grandi scienziati che il diritto amministrativo italiano ha avuto nel secolo scorso 
ha affermato, cum solemnia verbis, che �l�accordo � concepito, non gi� come una rottura del procedimento, 
come una soluzione eccezionale e anomala dei problemi aperti dall�iniziativa di procedimento, 
ma come uno sbocco alternativo all�atto (provvedimento) e come questo direttamente e coerentemente 
discendente dallo sviluppo dello stesso procedimento, nel cui continuo dispiegarsi si pongono le premesse 
e si creano le condizioni per la formazione di quella consensualit� che l�accordo porta alle sue 
naturali conseguenze� cfr. NIGRO M. (1988), L�accordo nell�azione amministrativa, non si pu� incorrere 
nel grossolano, e sino a qualche tempo addietro, consueto errore di confondere gli accordi amministrativi 
ex art. 11 della L. n. 241/1990 con il contratto di diritto privato. 
Gli accordi amministrativi costituiscono, pur sempre, un modello di esercizio autoritativo del potere 
pubblico, il quale, pur dialogando, interagendo, trattando e accordandosi con il destinatario dell�esercizio 
del potere, continua a mantenere una posizione di supremazia nei confronti della controparte, cfr. STICCHI 
DAMIANI E. (2005), Gli accordi amministrativi dopo la l. n. 15/2005, in Foro amm., n. 6/2005 - SCOCA 

F.G. (2002), Autorit� e consenso, in Dir. amm. - GRECO G. (2003), Gli accordi amministrativi, Giappichelli, 
Torino. Per converso, il contratto, si profila come lo strumento che i privati prediligono al fine di 
autoregolamentare i propri interessi economici e l�essenza di esso rimanere immutata quand�anche uno 
dei contraenti sia una Pubblica Amministrazione. 
Ad ogni modo, una adeguata ricostruzione dottrinale idonea ad illustrare, in maniera perspicua, le differenze 
esistenti tra contratto, accordi e convenzioni � contenuta in PERLINGERI P. (2014), Manuale di 
diritto civile, Edizioni Scientifiche Italiane (ESI). Nello specifico, si afferma che: �Nell�ambito dei negozi 
a struttura bi -o plurilaterale, accanto ai contratti si collocano gli �accordi� e le �convenzioni�. I 
contratti hanno una analitica definizione (art. 321 c.c.) che non � tuttavia immune da incongruenze (...). 
Gli �accordi� e le �convenzioni�, invece, non sono definite dalla legge e incerta � la loro linea di demarcazione 
dal contratto. Di �accordi� discorre non soltanto il codice civile, ma anche la legislazione 
amministrativa (art. 11, l. n. 241/1990 sul �diritto di accesso�). Del pari, le �convenzioni� sono richiamate 
nel diritto di famiglia (art. 162 ss., c.c., sulle �convenzioni matrimoniali�); nel diritto commerciale e nel 
diritto amministrativo, ove sono usate, ad es. le c.d. convenzioni di lottizzazione fra Comuni e proprietari 
di suoli edificabili (art. 28, l. n. 1150/1942, come modificato dall�art. 8, l. n. 765/1967). A voler proporre 
un criterio distintivo di tale figura rispetto al contratto, si potrebbe discorrere di �accordo� e �convenzioni� 
per l�atto di autoregolazione di interessi a struttura bi-o plurilaterale suscettibili di assumere -diversamente 
dal contratto - contenuto patrimoniale e/o non patrimoniale. Quanto alla normativa 
applicabile, agli �accordi�e alle �convenzioni� � estendibile la disciplina del contratto in virt� della sua 
�forza espansiva� (artt. 1323 e 1324 c.c.)�. 


LEGISLAZIONE ED ATTUALIT�

Convenzione Quadro del 2007 stipulata con l�Istituto Nazionale di Astrofisica 
(INAF). In ossequio a tale convenzione, l�Agenzia Spaziale Italiana affida all�Istituto 
Nazionale di Astrofisica lo svolgimento di attivit� di supporto alla strumentazione 
spaziale ed aerospaziale e alle diverse infrastrutture centrali e periferiche 
di cui l�ASI consta. In particolare, il supporto che l�INAF si impegna ad erogare 
in favore dell�Agenzia, si sostanzia in studi per la preparazione di nuove missioni 
e in ricerche finalizzate alla realizzazione di nuovi strumenti scientifici da lanciare 
in orbita o da utilizzare per una pi� efficiente raccolta dati. L�INAF, per onorare 
al meglio gli impegni assunti nei confronti dell�ASI, provvede altres� a reclutare 
personale con comprovata ed elevatissima competenza tecnica e scientifica mentre, 
sinallagmaticamente, l�Agenzia Spaziale Italiana si obbliga ad erogare in suo 
favore una somma annua di almeno venti milioni di euro. 

Quanto agli accordi, centrale per l�intero svolgimento delle attivit� ASI 
� l�accordo stipulato con il Ministero vigilante (MIUR) e avente ad oggetto il 
Piano Triennale di Attivit� (PTA) in cui fissare i programmi, le attivit� e gli 
obbiettivi da perseguire. Sussistono, poi, numerosi altri accordi siglati dal-
l�Agenzia e aventi una pi� ridotta importanza. 

19. Gli accordi internazionali. 

L�ASI, nel rispetto della normativa internazionale e costituzionale vigente 
in materia, � legittimata a stipulare anche accordi internazionali (29). In proposito, 
va anzitutto menzionato il coacervo degli accordi stipulati fra l�Agenzia 
Spaziale Italiana e la NASA. Tra questi due apparati pubblici operanti nel settore 
spaziale ed aerospaziale, esiste una solida tradizione di rapporti bilaterale in forza 
dei quali sono stati avviati numerosi programmi di cooperazione. Attraverso uno 

(29) Gli accordi internazionali cui si allude non sono da identificarsi con i Trattati stricto sensu; 
quelli cio� assoggettati alle norme contenute nella Convenzione di Vienna del 1969 e che la pi� autorevole 
dottrina definisce come �l�unione o meglio l�incontro della volont� di due o pi� Stati, diretti a regolare 
una determinata sfera di rapporti riguardanti questi ultimi� cfr. CONFORTI B. (2006), Diritto 
internazionale, Editoriale Scientifica, Napoli - CAPOTORTI F. (1969), Il diritto dei trattati secondo la 
Convenzione di Vienna, in Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati, Cedam, Padova - MASTROJENI 
G. (2000), Il negoziato e la conclusione degli accordi internazionali, Cedam, Padova - FERRARI BRAVO 
L. (1964), Diritto internazionale e diritto interno nella stipulazione dei trattati, Edizioni Scientifiche 
Italiane, Napoli. 
Quelli di cui ci si occupa, invero, non devono essere stipulati, a pena d�invalidit�, nel rispetto delle 
rigide e stringenti norme (procedurali e sostanziali) previste per i Trattati ratificati dagli Stati dotati di 
personalit� giuridica internazionale, ma sono quegli accordi (correntemente denominati �accordi di cooperazione 
internazionale�) che gli Enti di Ricerca, le Universit� e le Accademie dello Stato italiano possono 
stipulare con analoghe Istituzioni di Paesi esteri allo scopo di promuovere, coordinare e diffondere 
la ricerca scientifica ai pi� alti livelli. 
Con specifico riguardo all�Agenzia Spaziale Italiana, la legittimazione a stipulare accordi di cooperazione 
internazionale con le Agenzia Spaziali e con altri Enti di Ricerca stranieri trova il suo fondamento 
giuridico, in primis, nell�art. 33, ultimo comma Cost. e, secondariamente, nell�art. 3, lett. b), della L. n. 
128/2003 in virt� del quale l�ASI �stipula accordi bilaterali o multilaterali con organismi di altri Paesi 
per la partecipazione dell�Italia a programmi od imprese aerospaziali�. 



specifico accordo bilaterale ASI-NASA, l�Agenzia italiana ha contribuito alla 
realizzazione di tre moduli logistici presurrizzati nonch� alla progettazione, alla 
costruzione e alla messa in funzione della Stazione Spaziale Internazionale. 

Con l�Agenzia Spaziale Russa (Roscomos), l�ASI coopera sulla base di 
un accordo inter-governativo per l�utilizzazione dello spazio con finalit� pacifiche. 
Le due Agenzie Spaziali hanno stipulato anche accordi bilaterali volti 
ad agevolare una collaborazione nel settore della ricerca scientifica e tecnologica 
spaziale e nel settore della medicina e bio-tecnologia aerospaziale. 

Accordi bilaterali sono stati stipulati anche con l�Agenzia Spaziale Canadese 
(CSA); si tratta di accordi sostanzialmente finalizzati a snellire le 
pastoie burocratiche relative allo scambio di dati ed informazioni che vengono 
raccolti dalle apparecchiature radar di cui dispongono l�Italia e il Canada. 
Nella gran parte dei casi sono dati ed informazioni utili per una 
migliore gestione delle risorse naturali e soprattutto per la prevenzione di 
disastri ambientali. 

Dopo la firma della Dichiarazione di Intenti sottoscritta a Tokio nel novembre 
del 2004 sono venute intensificandosi le relazioni - fondate su accordi 
bilaterali - fra l�ASI e l�Agenzia Spaziale Giapponese (JAXA). I settori su cui 
si registra una sempre maggiore presenza di accordi italo-nipponici sono quelli 
concernenti l�osservazione della Terra al fine di combattere le criticit� ambientali 
e climatiche. 

Ancora, si ricordino gli accordi stipulati fra Italia e Cina tra i quali quello 
concernente l�esplorazione e l�uso pacifico dello spazio extra-atmosferico, firmato 
nel 1991. Sono stati siglati accordi anche con l�Agenzia Spaziale Argentina. 
Le relazioni di cooperazione nell�utilizzazione dello spazio extra 
atmosferico fra Italia ed Argentina, traggono origine da un accordo inter-governativo 
firmato nel 1992. 

Pi� recente, invece, � la Dichiarazione di Intenti (firmata nel novembre 
del 2008) volta ad inaugurare una proficua ed intensa cooperazione in campo 
spaziale ed aerospaziale tra l�ASI e l�Agenzia Spaziale Brasiliana (BSA). 

Infine, non pu� non rammentarsi, l�accordo bilaterale tra Italia e Kenya 
del 1995 che costituisce il fondamento giuridico del Progetto S. Marco e della 
relativa base italiana a Malidi dedicata al controllo dei satelliti artificiali e alla 
ricezione dati. 

20. I Centri di ricerca. 

L�Agenzia Spaziale Italiana provvede ad istituire Centri di ricerca dotati 
di personale qualificato e forniti di avanguardistiche tecnologie relative al 
comparto spaziale ed aerospaziale (30). 

(30) Per via della plurima e variegata congerie di soggetti potenzialmente sussumibili nella nozione 
di �Centro di Ricerca�, � impresa affatto semplice quella di elaborarne una definizione unitaria. 


LEGISLAZIONE ED ATTUALIT�

Il Centro di Geodesia Spaziale, con sede legale a Matera, � stato inaugurato 
nel 1983 grazie ad un congiunto sforzo del Piano Spaziale Nazionale del 
CNR, della Regione Basilicata e della NASA. Con una struttura che occupa 
circa 100 persone e con un budget di circa 10 milioni di euro annui, � una delle 
principali strutture di ricerca scientifica spaziale del Mezzogiorno. Se inizialmente 
si trattava di un centro prevalentemente dedito alla geodesia spaziale 
(cio� lo studio scientifico della configurazione e delle misurazioni della Terra 
con connessa sua rappresentazione grafica), il Centro sta recentemente rivolgendosi 
ad altri campi tra cui la robotica spaziale. 

La Base di lancio palloni stratosferici ha sede a Trapani-Milo e rappresenta 
una delle poche strutture mondiali in grado di assicurare la progettazione, 
il lancio e la gestione del volo attraverso questa particolare tecnica. Istituita 
nel 1975, il poligono di lancio � ospitato presso una struttura aeroportuale 
ormai non funzionante che � collocata in una posizione ideale per lanci transmediterranei 
e trans-atlantici. Se nei primi anni, l�attivit� della base si � concentrata 
esclusivamente sul lancio di palloni, ora, invece, per il tramite delle 
avanzate tecnologie informatiche e di telecomunicazione di cui dispone, in 
essa si eseguono anche attivit� di supporto a piccole missioni spaziali oltre ad 
essere fornito supporto ai Paesi in via di sviluppo per l�acceso allo spazio cosmico. 
Le attivit� della base sono svolte in collaborazione con altre Agenzie, 
Istituti nazionali e Internazionali quali, il CNR, l�ESA e la NASA. 

Non esiste, per vero, testo legislativo all�interno del quale venga offerta una definizione universalmente 
valida, appunto, di Centro di Ricerca. � possibile, per�, rinvenirne una definizione (di taglio squisitamente 
micro-economica) nella Relazione dal titolo: �L�internazionalizzazione della ricerca a Milano. 
Un�indagine tra i centri di ricerca� a cura del Centro di Economia Regionale, dei Trasporti e del Turismo 
(CETeT) e della Camera di Commercio, Industria, Artigianato e Agricoltura di Milano. In essa si afferma 

-con formula forse troppo vaga - che il Centro di Ricerca Ǐ un luogo attrezzato ove si svolge, con continuit�, 
l�attivit� di capitale umano qualificato allo scopo di arricchire lo stato di conoscenze (attraverso 
le informazioni) e di benessere (attraverso le applicazioni produttive) della societ�� cfr. pag. 23. 
A questa, si affiancano definizioni giuridiche (di pressoch� identico tenore) contenute nelle discipline 
�particolari� dettate per ciascun Centro di Ricerca. Sono, infatti, molti gli Statuti e i regolamenti adottati 
da Enti Pubblici che istituiscono Centri di Ricerca nei quali, questi, vengono definiti come �organismi� 

o come �autonome articolazioni scientifiche� preordinati a svolgere, promuovere e divulgare l�attivit� 
di studio e di ricerca in determinati campi scientifici, anche con la collaborazione di enti esterni (cfr. 
Statuto dell�Universit� degli Studi di Milano - Bicocca; Statuto dell�Universit� degli Studi di Ferrara). 
L�impiego del lemma �organismo� ovvero di �autonoma articolazione scientifica� tradisce le enormi 
difficolt� in cui l�operatore giuridico si imbatte allorch� debba occuparsi di dettare e/o interpretare la 
disciplina dei Centri di ricerca. Non vՏ dubbio che impiegando termini semanticamente ampi e sfuggenti, 
quali �organismo�, �autonoma articolazione scientifica� et similia, si prende contezza di una dato: 
i Centri di Ricerca non costituiscono un modello organizzativo a s� stante. Di fatti, in disparte l�elemento 
funzionale che � comune ad ogni Centro di Ricerca (lo sviluppo e la promozione e della ricerca in un 
determinato campo scientifico), non si danno caratteristiche strutturali idonee a distinguere il Centro di 
Ricerca da qualunque altre modello organizzativo. 
Ne discende, allora, che dalla valutazione, da compiersi caso per caso, delle specifiche caratteristiche 
che presenta quel dato Centro di Ricerca, sar� possibile qualificare lo stesso, ora come fondazione; ora 
come societ� pubblica; ora come associazione; ora come organismo di diritto pubblico etc. 


Istituito nel 1966 con sede a Malindi (Kenya), il Centro Spaziale �Luigi 
Broglio� � gestito dall�Universit� di Roma �La Sapienza� mediante il Centro 
di Ricerche Progetto San Marco. Per la sua peculiare collocazione, il Centro 
si atteggia a sito ideale sia per il compimento di attivit� di lancio, sia per attivit� 
di controllo dei satelliti artificiali. Strutturalmente, il Centro spaziale in 
questione � costituito da un segmento marino che � rappresentato dalla piattaforma 
di lancio oceanico e da uno terrestre che si sostanzia nel Centro di ricezione 
dati ed � comprensivo di una serie di fabbricati in muratura e in legno 
adibiti sia ad alloggi che a servizi di vario genere, di un porticciolo funzionale 
a consentire l�attracco dei natanti di collegamento con la piattaforma e da tre 
stazioni di terra in cui sono appositamente fissati peculiari sistemi d�antenna. 
La presenza e il funzionamento del Centro spaziale �Luigi Broglio� � regolata 
da un accordo intergovernativo quindicennale, rinnovabile. 

Il centro ASI per la gestione e l�analisi dei dati scientifici (ASI Science 
Data Center) � stato invece istituito nel settembre 2000. Si tratta di un Centro 
dedito alla fornitura di prodotti e servizi necessari per le missioni spaziali di 
osservazione dell�Universo ed � proprio per il tramite dell�ASI Science Data 
Center che la comunit� scientifica, attraverso sofisticati e avanguardistici software, 
si dedica all�analisi dei dati prodotti dalla missione quando viene lanciato 
in orbita un satellite. 

21. I consorzi. 

Il fenomeno della cooperazione tra Pubbliche Amministrazioni nonch� 
tra queste e soggetti privati, pur presentandosi come ampio e diversificato � 
ispirato da una ratio unitaria che ne garantisce la ricorrenza di tre tratti comuni: 
una pluralit� di soggetti portatori di interessi affini, un vincolo associativo e 
un apparato organizzativo (C. Cost., n. 326/1998) (31). 

(31) CASSESE S. (2012), Istituzioni di diritto amministrativo, Giuffr�, Milano, pp. 107 ss. L�illustre 
autore, nel chiarire - come pochi fanno - la portata dei caratteri distintivi dei consorzi pubblici afferma 
che: �Quanto al primo elemento, va rilevato che tra i consorziati esistete una affinit� di interessi che 
preesiste alla costituzione del rapporto giuridico. Il consorzio, infatti, viene creato per l�assolvimento di 
compiti che sono propri di tutti i soggetti partecipanti, tantՏ vero che, in tali termini viene ad assumere 
una posizione di strumentalit� nei confronti di questi ultimi. Con riferimento al secondo, va sottolineato 
che la relazione associativa pu� derivare da un contratto, nel caso di consorzi volontari, ovvero da un 
provvedimento autoritativo, nel caso di quelli coattivi. In ambedue ipotesi, si determina l�obbligo per i 
consorziati di astenersi dall�esercitare determinati poteri e, nello stesso tempo, fornire le prestazioni indispensabili 
per la realizzazione delle attivit� di comune interesse. Infine, relativamente al terzo, si evidenzia 
la necessariet� della presenza di un apparato organizzativo, dotato di personalit� giuridica, che � 
strumentale al perseguimento dei fini consortili (e, dunque, indirettamente dei singoli consorziati)�. 
Ancora, una attenzione volta a sviscerare le concrete e pi� specifiche caratteristiche strutturali e organizzative 
dei consorzi pubblici � dedicata da CASETTA E. (2011), Manuale di diritto amministrativo, 
Giuffr�, Milano, pp. 94 ss. il quale, lucidamente, afferma che �I consorzi costituiscono una struttura 
stabile volta alla realizzazione di finalit� comuni a pi� soggetti. Essi agiscono nel rispetto di alcuni limiti 
derivanti dall�esercizio del potere direttivo e di controllo spettante ai consorziati. I consorzi spesso realizzano 
o gestiscono opere o servizi di interesse comune agli enti consorziati, i quali restano comunque 


LEGISLAZIONE ED ATTUALIT�

Orbene, pur non figurando tra i consorziati, l�Agenzia Spaziale Italiana 
coadiuva nelle determinazioni strategiche anche il Consorzio di Ricerca su Sistemi 
di Telesensori Avanzati (CO.RI.S.T.A) mediante lo stanziamento di significati 
finanziamenti; si tratta di un consorzio con pluriennale esperienza 
nello svolgimento di attivit� di telerilevamento e nella progettazione, nella 
realizzazione e nella validazione di avanzatissimi prototipi radar. 

Di recente, nel 2011, ha preso vita il consorzio GEOSAT Molise, costituito 
dall�ASI, dalla Regione Molise, dall�Universit� del Molise e dalla societ� 
e-Geos. Il GEOSAT Molise mira a realizzare una struttura scientifico-tecnologica 
di alto livello nel settore geo-spaziale con l�obbiettivo di produrre appositi 
dispositivi per controllare le condizioni territoriali e ambientali del 
pianeta da immettere sul mercato globale. 

22. Le fondazioni. 

Statisticamente, rispetto agli altri strumenti, quello meno frequentemente 
impiegato dall�ASI per lo svolgimento delle sue funzioni sono le fondazioni 
(32). Tra le poche, quella costituita pi� di recente � la �Fondazione Roma Ca


di regola titolari delle opere o dei servizi (in questo senso il consorzio ha carattere strumentale rispetto 
ai compiti dei consorziati). I tipi di consorzi ora ammissibili ai sensi del T.U. enti locali sono due: quelli 
istituiti per la gestione dei servizi pubblici locali e quelli istituiti per l�esercizio di funzioni (questi ultimi, 
per�, destinati a essere soppressi ai sensi della l. 191/2009). Inoltre, gli enti pubblici possono costituire 
consorzi di diritto privato anche con la partecipazione di soggetti privati. I consorzi pubblici possono 
essere classificati in entificanti e non entificanti, obbligatori e facoltativi; esistono poi consorzi formati 
soltanto da enti pubblici ovvero anche da privati. Alcuni consorzi, infine, sono formati anche o soltanto 
da soggetti privati, persone fisiche o giuridiche: in tali casi, vi possono essere pure soggetti pubblici in 
quanto titolari di diritti patrimoniali�. 
In conclusione, non pu� non essere segnalato che ancorch� datata, tra le opere pi� complete dedicate ai 
consorzi pubblici, senz�altro, si annovera STANCANELLI G. (1963), I consorzi nel diritto amministrativo, 
Giuffr�, Milano. 

(32) NAPOLITANO G. (2006), Le fondazioni di origine pubblica: tipi e regole, in Dir. Amm. (anche 
in Fondazioni e attivit� amministrativa, Atti del Convegno di Palermo 2005, a cura di Raimondi S. e 
Ursi R., Giappichelli, Torino) il quale precisa come: �Il ricorso alle fondazioni nell�ambito dei processi 
di privatizzazione degli enti pubblici e di esternalizzazione del loro compito � oggetto di valutazione 
oscillante da parte della scienza del diritto amministrativo. Dopo una prima fase di adesione alla scelta 
del legislatore � ormai dominante una revisione critica che ne disvela il carattere sostanzialmente mistificatorio. 
Nella maggior parte delle discipline speciali o singolari previste per ciascun tipo di fondazione, 
infatti, si rinviene almeno uno degli indici rivelatori della pubblicit�, cos� come ricavati dalla nozione 
comunitaria di organismo di diritto pubblico: la gestione � soggetta a controllo da parte dei pubblici poteri, 
l�attivit� � finanziata in modo maggioritario da questi ultimi, gli organi di amministrazione, direzione 
o vigilanza sono costituiti a maggioranza dei membri designati dallo Stato, dagli enti pubblici territoriali 
o da altri organismi di diritto pubblico. Spesso, dunque, la conclusione � che il singolo soggetto di volta 
in volta analizzato non � una fondazione di diritto privato, bens� un ente pubblico, qualunque sia il nomen 
usato dal legislatore�. Inoltre, nel rimarcare la fondamentale importanza che riveste l�attivit� prognostica 
che l�interprete � tenuto a compiere al fine di desumere quale sia la natura giuridica dell�ente che viene 
in esame e, nel precisare la perfetta coincidenza tra fondazioni di diritto privato e quelle di diritto pubblico, 
l�autore avverte che: �Quando si esaminano le fondazioni di origine pubblica, dunque, bisogna 
abbandonare qualsiasi rappresentazione dogmatica dell�istituto di diritto comune ed evitare di trarne, 
per opposizione, la radicale inconciliabilit� tra le prime e il secondo. Se non esiste alcun punto di rife



pitale� il cui atto costitutivo � stato firmato da ASI, ENEA, Poste Italiane e 
Universit� �la Sapienza� di Roma nel novembre 2011. 

La precipua finalit� della fondazione � quella di incentivare ed agevolare 
le ricerche scientifiche e tecnologiche nonch� avviare processi di trasformazione 
urbana e progettazione di infrastrutture operando a stretto contatto con 
l�Amministrazione comunale di Roma. 

23. L�impresa pubblica: le societ�. 

Non pu� essere n� sindacato n� refutato in dubbio che nel nostro ordinamento 
giuridico, prescindendo dalla natura pubblica o privata del soggetto imprenditore, 
la nozione di impresa � una soltanto (33). Convincimento la cui 
fondatezza � presto riprovata dalla circostanza che l�art. 2082 c.c. ai sensi del 
quale Ǐ imprenditore chi esercita professionalmente un�attivit� economica 
organizzata al fine della produzione o dello scambio di beni o servizi�, trova 
puntuale richiamo nell�art. 2093 c.c. riferito alle attivit� di impresa esercitata 
da soggetti pubblici. 

Dappoich� non � questa la sede pi� opportuna per condurre un analitico 
studio dei requisiti indefettibili che contraddistinguono l�attivit� imprenditoriale, 
costituisce tuttavia un irrinunciabile passaggio argomentativo e concettuale il 
corretto inquadramento giuridico della nozione di impresa pubblica attraverso 

rimento strutturale, quello funzionale, pure incerto e controverso, della destinazione di un patrimonio 
allo scopo, � almeno apparentemente presente in tutte le fondazioni di origine pubblica. In particolare, 
si tratta di verificare se il ruolo riservato ai poteri pubblici non sia tale da inficiare il vincolo di destinazione 
del patrimonio ad uno scopo�. 
Risolutamente, con riferimento agli indici rivelatori della natura di ente, quale fondazione di origine pubblica, 
in GAROFOLI R. (2014), Manuale di diritto amministrativo (VII edizione), Nel Diritto, pp. 114 ss. si 
afferma che: �La diversit� delle discipline cui le singole tipologie di fondazioni sono assoggettate non ha 
consentito l�elaborazione di una soluzione unitaria: cos�, se in alcuni casi � la stessa legge a riconoscere 
espressamente natura pubblica, in altri casi � stata la giurisprudenza a qualificare talune fondazioni in termini 
pubblicistici, non gi� tuttavia alla stregua delle regole proprie del diritto privato, bens� per effetto della ritenuta 
sussumibilit� delle stesse, nella nozione, di fonte comunitaria, di organismi di diritto pubblico�. 
Ad ogni modo, per una ampia panoramica del fenomeno delle fondazioni di origine pubblica si rinvia 

a: BARDUSCO A. (1991), Fondazioni di diritto pubblico, in Dig. Discipl. Pubbl. - BASILE M. [s.d.], Associazioni 
e fondazioni: novit� legislative e problemi aperti, in G. Ponzanelli (a cura di) Gli enti � non 
profit � in Italia - BERTI G. (1993), Pubblica amministrazione e modelli privatistici, Il Mulino, Bologna 
-BELLEZZAE.-FLORIAN F. (1998), Le fondazioni del terzo millennio. Pubblico e privato per il non profit, 
Passigli editore, Firenze - CERULLI IRELLI V. (2006), Pubblico e privato nell�organizzazione amministrativa, 
in Raimondi S. - Ursi R. (a cura di) Fondazioni e attivit� amministrativa - MALTONI A. (2006), 
Enti pubblici e privati in forma di fondazioni: regime giuridico e modalit� di intervento nel settore dei 
servizi alla persona, in Dir. amm. - DE G�TZEN S. (2011), Le �fondazioni legali� tra diritto amministrativo 
e diritto privato, Giuffr�, Milano. 

(33) CARABBA M., Imprese pubbliche, in Digesto pubblico, pp. 175 ss. L�autore puntualizza come 
�l�evoluzione pi� recente della legislazione - che ha i suoi termini di riferimento pi� rilevanti nella disciplina 
della concorrenza, interna e comunitaria, nelle legge sulle privatizzazioni e nella legge sulla ristrutturazione 
degli istituti di credito di diritto pubblico - riconduce ad una nozione di impresa come �attivit��, definita 
dall�art. 2082 c.c., qualificata dall�elemento teleologico di un orientamento complessivo verso il mercato 
e regolata dalle norme sulla concorrenza, secondo l�orientamento anticipatorio di Tullio Ascarelli�. 


LEGISLAZIONE ED ATTUALIT�

la precisazione degli indici rivelatori di essa. All�uopo, di estremo beneficio risulta 
la definizione di impresa pubblica che, elaborata dalla risalente disciplina 
comunitaria, � rimasta sostanzialmente invariata nei suoi assiomatici aspetti (34). 

L�attivit� di impresa, lungi dal configurarsi come prerogativa assoluta ed 
esclusiva del privato, pu� essere esercitata anche dallo Stato e da ogni altro 
ente pubblico. A seconda di quale sia la corrente di pensiero politico-economico 
cui aderiscano le forze rappresentative di un Paese, l�intervento del soggetto 
pubblico in economia pu� registrarsi attraverso due possibili forme: i) 
un intervento diretto realizzabile attraverso la creazione di enti pubblici il cui 
compito istituzionale, esclusivo o principale, � l�esercizio di attivit� di impresa 

(c.d. enti pubblici economici) ovvero mediate la costituzione di societ� per 
azioni o l�assunzione di partecipazioni in esse (c.d. societ� pubbliche o miste); 
ii) un intervento indiretto in cui il soggetto pubblico si limita (cos� per dire) 
ad istituire dei soggetti ad hoc (c.d. autorit� di regolazione) col compito di 
dettare una cornice di regolazione - quale complesso di norme, principi e parametri 
- finalizzata ad improntare i contegni degli operatori economici presenti 
su taluni comparti verso il rispetto del principio di concorrenza e di tutela 
dei consumatori e degli utenti finali (35). 

L�Agenzia Spaziale Italiana ricorre, qualora ragioni di strategica opportunit� 
lo richiedano, a costituire societ� ovvero ad assumere partecipazioni so


(34) Le direttive 80/723 e 85/723 rispettivamente in materia di trasparenza delle relazioni finanziarie 
fra Stati membri e imprese pubbliche e in materia di procedure di appalto di taluni enti pubblici 
definivano imprese pubbliche �le imprese su cui le autorit� pubbliche possono esercitare, direttamente, 
o indirettamente, un�influenza dominante perch� ne hanno la propriet�, o l�hanno in conseguenza delle 
norme che disciplinano le imprese in questione. L�influenza dominante � presunta quanto le autorit� 
pubbliche direttamente o indirettamente, riguardo a un�impresa: detengono la maggioranza del capitale 
sottoscritto dall�impresa; controllano la maggioranza dei voti cui danno diritto le azioni emesse dall�impresa; 
hanno il diritto di nominare pi� di met� dei membri del consiglio di amministrazione, del consiglio 
direttivo o del consiglio di vigilanza�. Inoltre, sibbene con l�impiego di formule solo esteticamente diverse 
ma in ogni caso coinvolte in un rapporto di irrefutabile e lampante sinonimia con quelle contenute 
nelle cennate direttive, una definizione di impresa pubblica la si ritrova anche nella direttiva 2004/17 in 
cui viene stabilito che per imprese pubbliche devono intendersi �le imprese su cui le amministrazioni 
aggiudicatrici possono esercitare, direttamente o indirettamente, un�influenza dominate perch� ne sono 
proprietarie, vi hanno una partecipazione finanziaria, o in virt� delle norme che disciplinano le imprese 
in questione� nonch� nella direttiva 2006/111 ove � dato leggere che per impresa pubblica deve intendersi 
�ogni impresa nei confronti della quale i poteri pubblici possono esercitare, direttamente o indirettamente, 
un�influenza dominate per ragioni di propriet�, di partecipazione finanziaria o della normativa 
che la disciplina�. Una definizione, quest�ultima, ripresa e riversata integralmente nell�art. 3, co. 28 del 
D.lgs. n. 163/2006 (c.d. Codice degli Appalti Pubblici). 
Per un approfondimento, rigoroso e puntuale, della tematica si rinvia, tra gli altri, a: OTTAVIANO V. (1970), 
Impresa pubblica, in Enc. dir. - GIANNINI M.S. (1958), Le imprese pubbliche, in RS - GIANNELLI G. 
(2000) Impresa pubblica e privata nella legge antitrust, Giuffr� - CAFFERATA R. (2008), L�impresa pubblica 
nell�Unione Europea, Aracne - ANTONIOLI M., (2008), Societ� a partecipazione pubblica e giurisdizione 
contabile, Giuffr� - DE NICTOLIS R.-LUIGI CAMERIERO (2008), Le societ� pubbliche in house 
e miste, Giuffr�, Milano. 
(35) CAMPOBASSO G. (2010), Manuale di diritto commerciale. Utet. - TRIMARCHI BANFI F. (2012), 
Lezioni di diritto pubblico dell�Economia, Giappichelli, Torino. 



cietarie. Prima di inventariare le principali societ� costituite e/o partecipate 
dall�Agenzia Spaziale Italiana deve essere fatta menzione della specifica condizione 
dettata dal legislatore per le ipotesi in cui l�ASI provveda a costituire 

o partecipare societ� con apporti di capitale superiori ad euro cinquecentomila 
ovvero con quota azionaria pari o superiore al cinquanta per cento. 

Per vero, in questi queste ipotesi, a norma dell�art. 16 del decreto di riordino 
ASI n. 128/2003 e dell�art. 4 dello Statuto, l�Agenzia � tenuta a richiedere 
il parere favorevole del Ministro dell�Istruzione, dell�Universit� e della Ricerca 
nonch� del Ministro dell�Economia e delle Finanze il quale, deve pronunciarsi 
entro i trenta giorni successivi alla ricezione dell�istanza altrimenti potendo 
prescindersi dalla determinazione dicasteriale. 

Tra le societ� costituite e partecipate dall�ASI, si ricordi innanzitutto l�ALTEC 
(Advanced Logistics Technology Engineering Center S.p.A.). In particolare, 
� nel 2001 che l�ASI, con Alenia Spazio e il consorzio Icarus hanno 
costituito ALTEC col dichiarato intento di assegnarle la gestione delle operazioni 
industriali del CMFS (Centro Multifunzionale Spaziale). Perfezionate 
le formalit� relative alla costituzione, l�Agenzia Spaziale Italiana ha affidato 
prima ad Alenia Spazio e poi direttamente alla neo-nata ALTEC la esecuzione 
di contratti per la fornitura di servizi di supporto ingegneristico e logistico alla 
NASA; oggetto del contratto � la somministrazione di pezzi di ricambio da 
utilizzare per i plurimi dispositivi tecnologici di cui la NASA dispone e dando, 
per tal modo, un significativo contributo alle sue attivit�. 

In altri � pi� significativi termini, la mission dell�ALTEC si sostanzia 
nelle seguenti attivit�: a) fornitura di servizi di supporti ingegneristico e logistico 
alle operazioni e alla utilizzazione della Stazione Spaziale Internazionale 
e alle infrastrutture orbitali in favore di ASI ed ESA (Agenzia Spaziale Europea), 
Comunit� scientifiche, industrie nazionali ed estere e ad altri soggetti 
privati; b) promozione e commercializzazione delle opportunit� di utilizzo 
della Stazione Spaziale Internazionale. 

Societ� interamente partecipata dell�ASI � la ASITEL che, costituita nel 
2011, ha come oggetto sociale lo svolgimento di attivit� di sviluppo, di produzione 
e di commercializzazione di servizi ed applicazioni nel settore delle telecomunicazioni 
satellitari. Nello specifico, l�ASITEL: produce, realizza e 
commercializza sistemi, applicazioni e servizi per le telecomunicazioni via satellite, 
gestisce impianti ed infrastrutture al suolo per le telecomunicazioni satellitari, 
gestisce impianti ed infrastrutture in orbita per le telecomunicazioni via 
satellite, fornisce consulenza manageriale, applicativa e tecnologica, progetta e 
sviluppa applicazioni pilota per le telecomunicazioni satellitari e svolge attivit� 
di ricerca e sviluppo tecnologico nel settore delle telecomunicazioni satellitari. 

VՏ poi il CIRA (Centro Italiano di Ricerche Aerospaziale) che � una societ� 
consortile la cui maggioranza � detenuta dall�Agenzia Spaziale Italiana 
e dal Consiglio Nazionale di Ricerca (CNR). Si tratta di una societ� deputata 


LEGISLAZIONE ED ATTUALIT�

a dare attuazione al PRORA (Programma Nazionale di Ricerche Aerospaziali) 
che comprende lo svolgimento di attivit� di ricerca scientifica e tecnologica, 
la sperimentazione del personale nei settori aeronautici e spaziali, la realizzazione 
e la gestione di opere, impianti e infrastrutture, di beni strumentali e di 
attrezzature funzionali alle attivit� sopraccitate, la realizzazione di laboratori 
e grandi mezzi di prova (Laboratorio di Acustica e Vibrazioni, Laboratorio di 
Materiale e Tecnologie Avanzate, Laboratorio per prove di impatto di strutture 
aerospaziali etc.) nonch� lo sviluppo di innovative iniziative nel settore aeronautico 
e spaziale. 

Anche la e-GEOS � una societ� che, partecipata maggioritariamente 
dall�ASI, � specializzata nell�espletamento di attivit� di sviluppo, produzione 
e commercializzazione di servizi, prodotti ed applicazioni nel settore dell�Osservazione 
della Terra. 

In conclusione, si ricorda anche l�European Launch Vehicle (ELV S.p.A.) 
quale societ� che, detenuta dal Gruppo Avio e in pi� ridotta percentuale dal-
l�ASI, � competente: nella gestione di attivit� di sviluppo del lanciatore Vega, 
nell�analizzare i pi� idonei sistemi per la effettuazione di lanci extra-atmosferici, 
nella supervisionatura dei progetti lanciatori, nella direzione di programmi 
di ricerca relativi allo sviluppo di piccoli lanciatori e nella erogazione di servizi 
di studio, ricerca e consulenza nell�ambito delle attivit� di lancio spaziale. 

24. Il Piano Aerospaziale Nazionale (PANS). 

La attivit� e i programmi dell�Agenzia Spaziale Italiana vengono pianificati 
e programmati attraverso l�allestimento e la predisposizione di specifici 
documenti: i c.d. piani di attivit�: il Piano Aerospaziale Nazionale (PANS) e 
il Piano triennale di attivit� (PTA). 

A partire dagli anni �70, il programma d�interventi pubblici nello spazio 
ha iniziato ad avere un�impostazione strategica e razionale mediante la predisposizione 
del Piano Spaziale Nazionale (PSN) che oggi � denominato Piano 
Aerospaziale Nazionale (PANS). In esso vengono consacrate le linee programmatiche 
e gli aspetti finanziari delle attivit� nazionali concernenti il settore 
della ricerca scientifica e tecnologica spaziale ed aerospaziale. La sua predisposizione, 
se inizialmente era affidato al Consiglio Nazionale della Ricerca 
(CNR), a seguito all�approvazione della legge n. 186 del 1988 rientra tra le 
prerogative dell�Agenzia Spaziale Italiana. 

Come intuibile, il Piano Aerospaziale Nazionale � un atto dal contenuto 
altamente tecnico e marcatamente complesso. Secondo un orientamento dottrinale 
(36), il PANS dovrebbe essere ricondotto alla categoria degli atti di indirizzo 
politico poich�, sotto il profilo dei soggetti legittimati all�adozione, il 

(36) DA VALLE L. (2002), op. cit. 


potere di predisposizione e approvazione spetta agli organi di vertice dell�amministrazione 
mentre, dal punto di vista sostanziale (rectius contenutistico), � 
un atto sostanzialmente libero nei fini (37). 

Tuttavia sembra pi� coerente con le categorie dogmatiche che ispirano il 
diritto amministrativo italiano assimilare il Piano Aerospaziale Nazionale alla 
categoria degli atti di alta amministrazione. In questa prospettiva, si ritiene perci� 
opportuno puntualizzare che con la predisposizione di un siffatto documento 
programmatico l�Agenzia non goda di �quell�amplissima e incondizionata libert�
� di poter fissare, di volta in volta, le finalit� che reputa necessarie e/o opportune 
(quale tipica peculiarit� degli atti politici), quanto piuttosto della 
�discrezionalit�� di scegliere tra due o pi� fini comunque predeterminati. 

Sebbene possano essere riscontrate delle fisiologiche diversit� nel contenuto 
dei Piani predisposti nel corso degli anni dall�Agenzia (differenze contenutistiche 
da cui trae origine la dottrina di Da Valle che, probabilmente, le 
concepisce come espressione di una dilatata libert� decisionale) non pu� essere 
sottaciuto che il PANS sia un atto volto a fissare, riaffermandole, delle finalit� 
gi� predeterminate. Ed � per tale considerazione che in esso � dato rinvenire, 
piuttosto, i tratti distintivi degli atti di alta amministrazione; primo fra tutti il 
conseguimento di finalit� che, seppur indicate discrezionalmente dall�Amministrazione 
procedente, sono in ogni caso predeterminatamente individuate. 

La predisposizione e la formale realizzazione del Piano Aerospaziale Nazionale 
� curata dal Presidente ASI che, previa deliberazione del Consiglio di 
amministrazione e sentito il parere del Consiglio tecnico-scientifico, lo sottopone, 
per l�approvazione, al Ministro dell�Istruzione, dell�Universit� e della 
Ricerca. Ai fini della predisposizione del Piano, il Presidente si avvale degli 
uffici a lui afferenti unitamente al Direttore Generale che � chiamato a fornire 
tutte le informazioni, le proposte tecniche e i supporti conoscitivi necessari (art. 
21 commi 4 e 5 del Regolamento di Organizzazione e Funzionamento ASI). 

Il PANS definisce, con orientamento di medio-lungo termine, le aree tematiche 
e i grandi programmi in campo spaziale ed aerospaziale affidati al-
l�ASI. Nello specifico, il PANS fissa: i) le linee di sviluppo pluriennale delle 
aree programmatiche del settore spaziale ed aerospaziale; ii) i nuovi programmi 
di particolare rilevanza; iii) le linee di sviluppo dei centri di eccellenza 
nazionali; iv) gli obbiettivi da perseguire in termini di positive ricadute socio


(37) E in effetti, se si assume la definizione di atto politico che viene data da quell�autorevole dottrina 
secondo cui debbono definirsi come tali gli �atti in cui si estrinseca l�attivit� di direzione suprema 
della cosa pubblica e l�attivit� di coordinamento e di controllo delle singole manifestazioni in cui la direzione 
stessa si estrinseca� (SANDULLI A.M. (1946), Atti politici ed eccesso di potere, Giur. compl. Cass. 
Civ.) sembrerebbe proprio che il Piano Aerospaziale Nazionale possa essere annoverato tra gli atti politici. 
Di l� dalla circostanza - non troppo indicativa - che la predisposizione spetta agli organi di vertice del-
l�Agenzia Spaziale, l�elemento idoneo che parrebbe disvelare la �vicinanza� del PANS alla categoria 
degli atti politici lo si rinverrebbe nella assoluta libert� di fini che con esso possono essere perseguiti. 


LEGISLAZIONE ED ATTUALIT�

economiche e strategiche; v) le linee di sviluppo delle collaborazioni con 
l�Agenzia Spaziale Europea e gli altri organismi internazionali; vi) le linee di 
sviluppo delle collaborazioni con le altre amministrazioni dello Stato. 

25. Il Piano Triennale di Attivit� (PTA). 

Una volta approvato il Piano Aerospaziale Nazionale dal Ministro del-
l�Istruzione, dell�Universit� e della Ricerca, l�Agenzia provvede a darne attuazione 
con il Piano Triennale di Attivit� (PTA), aggiornato annualmente. 

Il Piano triennale dell�ASI ha carattere scorrevole ed � formulato in conformit� 
alla previsioni finanziarie ed economiche dell�Agenzia. Il PTA, coerentemente 
con il Programma Nazionale per la Ricerca (PNR), con gli indirizzi del 
Parlamento e del Governo in materia spaziale, con il Piano Aerospaziale Nazionale 
(PANS) e con gli indirizzi programmatici dell�Agenzia Spaziale Europea 
(ESA), definisce: i) gli obbiettivi che l�agenzia deve perseguire nel corso del 
triennio; ii) i programmi di ricerca; iii) i risultati socio-economici attesi. Esso, 
inoltre, comprende la pianificazione triennale del fabbisogno di personale (art. 
14 del decreto di riordino n. 128 del 2003 e art. 5 del D.lgs. n. 213/2009). 

Come per il PANS, anche per il Piano Triennale di Attivit� � il Presidente 
ASI che ne cura la predisposizione sulla base delle linee guida espresse dal 
Consiglio di amministrazione. La imbastitura del Piano triennale, poi, previa 
deliberazione del Consiglio di amministrazione e sentito il parere del Consiglio 
tecnico-scientifico, � inviata per l�approvazione al Ministro dell�Istruzione, 
dell�Universit� e della Ricerca e, decorsi sessanta giorni dalla ricezione, senza 
che il Ministro vigilante renda osservazioni, il piano si intende approvato. 

Sul PTA e sui relativi aggiornamenti annuali sono anche richiesti i pareri 
del Ministro dell�Economia e delle Finanze, del Ministro della Funzione Pubblica 
e del Ministro della Difesa. Se entro il termine di trenta giorni dalla ricezione 
del Piano Triennale di Attivit� non venga emesso alcun parere, si 
prescinder� da esso. 

26. Il Documento di Visione Strategica decennale (DVS). 

Il Piano Aerospaziale Nazionale viene attuato dall�Agenzia Spaziale Italiana 
non soltanto per il tramite del Piano triennale di Attivit� (PTA) ma anche 
con il Documento di Visione Strategica decennale (DVS) che pu� definirsi 
come �il �libro bianco� delle attivit� spaziali nazionali, nel quale ai programmi 
che vogliono realizzare corrisponde una adeguata copertura economia e finanziaria, 
coerente alle scelte politiche, alla distribuzione delle spese tra i diversi 
settori disciplinari, alle scelte di politica estera in Europa e oltre l�Europa� (38). 

(38) ARRIGO G. - SAGGESE E. (2010), op. cit. in cui, con rigore ed esaustivit�, si afferma che: �Per 
diversi mesi l�ASI ha lavorato alla elaborazione e alla stesura del documento di visione strategica per 
gli anni 2010-2020, ai sensi dell�art. 5, comma 1 del decreto legge n. 213 del 2009, al fine di posizionare 


La disciplina del DVS pu� considerarsi la stessa del PTA - specie per quel 
che concerne la procedura di predisposizione ed approvazione - con l�unica 
eccezione relativa all�orizzonte temporale cui si riferisce (dieci anni in luogo 
di tre). Esso rappresenta il documento con cui l�ASI e il Ministro dell�Istruzione, 
dell�Universit� e della Ricerca ambiscono ad assicurare, nel contesto 
europeo ed internazionale, piena ed assoluta continuit� alle politiche spaziali 
ed aerospaziali. 

27. Il controllo della Corte dei Conti sull�ASI sotto il vigore del D.lgs. n. 
27/1999. 

In quanto agenzia dotata di personalit� giuridica di diritto pubblico e, 
come tale, destinataria di risorse dello Stato e correlatamente gestore di esse 
(39), anche sull�Agenzia Spaziale Italiana la Corte dei conti esercita i suoi poteri 
di controllo. L�analisi del controllo del giudice contabile sull�Agenzia Spaziale 
Italiana - per inserirsi nel solco della delicata e complessa tematica 
concernente i limiti alla cui osservanza sarebbe tenuta la Corte dei Conti nel-
l�esercizio dei propri poteri di controllo sugli enti pubblici di ricerca - impone 
una preliminare ricostruzione delle vicende normative e giurisprudenziali che 
attorno ad esso sono venute registrandosi nel periodo precedente all�adozione 
del D.lgs. n. 128/2003. 

Dalla data della sua istituzione, l�ASI � stata interessata da due ravvicinati 
interventi legislativi volti a ridefinire, rimodellandolo, l�originario assetto organizzativo 
e funzionale di essa; si allude al D.lgs. n. 27/1999 attuativo della 
delega contenuta nell�art. 11, comma 1, lett. d) della Legge n. 59/1997 e al pi� 
recente D.lgs. n. 128/2003 che ha invece dato attuazione alla delega contenuta 
nell�art. 1, comma 1 della Legge n. 137/2002. 

le attivit� spaziali sul mercato e nel quadro istituzionale nazionale e internazionale. � la prima volta che 
un simile documento contiene un riferimento temporale decennale, ritenuto pi� consono ai ritmi di evoluzione 
e realizzazione dei programmi spaziali, per lo pi� di durata pluriennale. Le strategie spaziali nazionali, 
infatti, si devono confrontare con le strategie e le visioni programmatiche di altri Paesi, a 
cominciare dagli Stati Uniti che ancora detengono il primato spaziale, con l�Europa che ormai gioca 
con due attori, l�Agenzia Spaziale Europea (ESA) e l�Unione Europea, con la Russia che ancora gode 
di un vasto patrimonio scientifico e con gli altri Paesi spaziali ad economia gi� sviluppata, emergenti o 
in via di sviluppo. Le risorse allocate per il nuovo piano spaziale nazionale decennale sono di circa 7,2 
miliardi di euro (�). A questi fondi, provenienti dal MIUR, si aggiungono altri fondi pubblici del Ministero 
della Difesa, che contribuisce alla realizzazione di sistemi spaziali di tipo duale (COSMO- Sky-
Med e Athena-FIDUS) e di altri Ministeri, per i fondi relativi al sistema di navigazione satellitare, 
GALILEO, oltre agli eventuali fondi provenienti dalla partecipazione dei privati e dalla commercializzazione 
dei prodotti spaziali, a cominciare dai dati satellitari�. 

(39) Non � di poco rilievo che la prescrizione normativa (art. 15 del D.lgs. n. 128/2003) in virt� 
del quale le entrate dell�Agenzia Spaziale Italiana sono prevalentemente costituite da contributi a carico 
del Fondo per il finanziamento degli enti pubblici di ricerca, dai contributi per i programmi di collaborazione 
con l�Esa etc. ha indotto molti (e continua a farlo) a dubitare della effettiva autonomia finanziaria 
dell�ente s� da ridurre il sintagma in parola ad una mera enunciazione formale tutt�altro che rispondente 
alla reale portata delle cose. 


LEGISLAZIONE ED ATTUALIT�

Allo scopo di rilanciare la competitivit� tecnologica e scientifica del 
Paese sul piano internazionale, attraverso la creazione di un apparato amministrativo 
vigorosamente improntato ai parametri di efficienza, flessibilit� gestionale, 
snellimento burocratico ed efficacia operativa, il patrio legislatore 
ha ritenuto di dovere attuare una profonda e complessiva riforma del sistema 
nazionale della ricerca (40). Dunque, � in un clima contrassegnato da una accentuata 
vocazione progressista e riformista dei settori della ricerca tecnologica 
e scientifica che si inserisce il disegno di riorganizzazione dell�ASI 
assieme a quello degli atri due pi� importanti enti pubblici di ricerca: il Centro 
Nazionale delle Ricerche (CNR) e l�Ente per le Nuove tecnologie, l�Energia 
e l�Ambiente (ENEA). 

Nel delegare il Governo a dare attuazione agli interventi diretti a promuovere 
e sostenere il settore della ricerca scientifica e tecnologica nonch� gli organismi 
operanti nel settore, l�art. 11, comma 1, lett. d) della Legge n. 59/1997 

(c.d. Legge Bassanini) ha dato il �via� a quel (noto) processo di ripensamento 
dell�intera Amministrazione italiana. La delega, quanto all�ASI, � stata attuata 
con il D.lgs. n. 27 del 30 gennaio 1999. 

Tralasciando i punti del riordino che qui non rilevano, l�attenzione deve 
invece concentrarsi sull�art. 9, comma 5 del D.lgs. n. 27 cit. Per essere ispirata 

-tra gli altri fissati dalla Legge delega - dal criterio di �semplificazione dei 
controlli�, l�Esecutivo ha ritenuto, in sede di riordino, di dover comprimere i 
poteri di controllo della Corte dei Conti sino a fargli assumere le fattezze di 
controllo successivo avente come unico referente documentale i conti consuntivi 
dell�ASI. In particolare, l�art. 9, comma 5 del D.lgs. n. 27/1999 disponeva 
che: �L�attivit� dell�A.S.I. � soggetta al controllo successivo della Corte dei 
conti, che � esercitato unicamente sui conti consuntivi ai soli fini della relazione 
al Parlamento, con l�esclusione del controllo amministrativo di regolarit� 
contabile e sui singoli atti di gestione�. A ben vedere, la Corte dei Conti veniva 
per tal modo drasticamente evirata del potere di controllo amministrativo e di 
regolarit� contabile sui singoli atti di gestione dell�Agenzia Spaziale Italiana. 

In un quadro normativo siffatto - capace di estendere agli enti pubblici di 
ricerca lo stesso regime di controllo contabile previsto per le Istituzioni universitarie 
- non v�era pi� alcuna ragione che potesse giustificare la partecipazione 
(prevista dall�art. 12 della L. n. 259/1958) di un magistrato contabile 
alle sedute degli organi deliberativi o di revisione al fine di esercitare il c.d. 
controllo concomitante sulla regolarit� amministrativa e contabile dei singoli 
atti di gestione. 

In conseguenza di ci�, come � stato giustamente scritto, il riordino del


(40) Per una puntuale ricostruzione dei pi� significativi aspetti della prima riorganizzazione del-
l�Agenzia Spaziale Italiana si veda: BASTONI M.B. (1999), Il Riordino dell�Agenzia Spaziale Italiana, 
in Giorn. dir. amm., n. 7. 


l�ASI avrebbe implicato una necessaria attivazione di processi di riforma organizzativa 
della �sezione controllo enti� della Corte dei Conti. 

28. Il giudizio di legittimit� costituzionale (conflitto di attribuzioni tra poteri 
dello Stato): la sentenza n. 457 del 23 dicembre 1999 (41). 

Il clima di incertezza ed oblio, pi� che di snellimento, che la disposizione 
contenuta nel citato art. 9, comma 5 del D.lgs. n. 27/1999 era idoneo ad occasionare 
ha indotto la Corte dei Conti a sollevare una questione di conflitto di 
attribuzione tra poteri dello Stato dinnanzi alla Corte costituzionale di modo 
da ottenere una declaratoria di illegittimit� della norma che erodeva oltremodo 
i poteri riconosciuti alla giurisdizione contabile dall�art. 100, comma secondo 
della Costituzione. 

Senza pretesa di esaustivit�, � utile tracciare gli aspetti pi� importanti della 
vicenda processuale, quali le motivazioni poste a fondamento del ricorso proposto 
dalla Corte dei Conti e le argomentazioni svolte dalla Corte Costituzionale. 

Nel proprio ricorso introduttivo, la Corte dei Conti ha denunciato la illegittimit� 
costituzionale (per quel che riguarda il riordino dell�Agenzia Spaziale 
Italiana) dell�art. 9, comma 5 del D.lgs. n. 27/1999 perch� - riducendo i poteri 
del giudice contabile ad un solo controllo successivo avente ad oggetto i conti 
consuntivi dell�ente - derogava alla disciplina generale dei controlli da eseguire 
sugli enti a cui lo Stato contribuisce in via ordinaria (Legge n. 259/1958) e, 
per l�effetto, determinava una palese violazione degli artt. 76 e 100, comma 
secondo Cost. 

Per aver riscontrato la ricorrenza dei presupposti soggettivi (la Corte dei 
Conti nell�esercizio delle sue funzioni di controllo sulla gestione finanziaria � 
concepita dalla giurisprudenza costituzionale come �potere costituzionale legittimato 
alla proposizione del conflitto di attribuzione�) e di quelli oggettivi 
(il conflitto di attribuzioni era stato effettivamente sollevato per invocare �la 
difesa di attribuzioni costituzionali�), la Consulta ha dichiarato la ammissibilit� 
del ricorso. Ci� malgrado, le censure della Corte dei Conti sono state reputate 
infondate nel merito (42). 

(41) Per un lungimirante commento alla sentenza della Corte costituzionale n. 457/1999 si rinvia 
a BALDUZZI A. (2000), Il controllo della Corte dei Conti sulla gestione degli enti di ricerca, in Giorn. 
dir. amm., n. 12. 
(42) In particolare, le motivazioni sviluppate dal Giudice delle leggi si articolano sostanzialmente 
in due parti rispettivamente riferite alla asserita violazione dell�art. 100, comma 2 Cost. e all�art. 76 Cost. 
Quanto alla prima doglianza (violazione dell�art. 100, comma 2 Cost.), la Corte costituzionale, facendo 
leva sull�elevato grado di astrattezza e genericit� sintattica e paradigmatica che segna il costrutto normativo 
contenuto nel comma secondo dell�art. 100, Cost. ai sensi del quale: �La Corte dei Conti (...) partecipa, 
nei casi e nelle forme stabilite dalla legge, al controllo sulla gestione finanziaria degli enti a cui lo Stato 
contribuisce in via ordinaria�, ha sostenuto che la riserva legale contemplata nel tessuto costituzionale vale 
a riconoscere al legislatore il pi� ampio e variegato spettro di scelte da assumere, al punto da doversi escludere 
una qualsiasi inflessibile tipizzazione delle forme attraverso cui la Corte dei Conti debba partecipare 



LEGISLAZIONE ED ATTUALIT�

29. Il controllo della Corte dei Conti a seguito del secondo riordino ASI attuato 
con il D.lgs. n. 128/2003. 

Il controllo della Corte, cos� come descritto, � venuto a mutare in intensit� 
ed estensione a seguito del secondo e, al momento, ultimo �vero� riordino 
dell�Agenzia Spaziale Italiana. Fra le diverse novit� apportate dal D.lgs. n. 
128/2003 non pu� non essere segnalata quella contenuta nell�art. 18, comma 
2 puntualmente riprodotto nell�art. 11 dello Statuto ASI. Dal combinato disposto 
si desume che: �La Corte dei conti esercita il controllo sull�Agenzia 
con le modalit� stabilite dall�articolo 3, comma 7, della legge 14 gennaio 1994, 

n. 20 e successive modifiche ed integrazioni, con le modalit� di cui all�art. 12 

della legge 21 marzo 1958, n. 259�. 
Stando al rinvio che l�art. 3, comma 7 della Legge n. 20/1994 fa alla legge 

n. 259/1958 � a quest�ultima (segnatamente all�art. 12 di essa) che occorre 
guardare. Con il nuovo decreto di riordino ha avuto luogo la �riesumazione� 
del pieno e tradizionale potere di controllo della Corte dei Conti in materia di 
regolarit� amministrativa contabile e sui singoli atti di gestione. 

Oggi, cos� come avveniva prima del D.lgs. n. 27/1999, la Corte dei Conti 
non � pi� limitata ad eseguire un controllo successivo sul conto consuntivo 
dell�ASI ma, al contrario, � chiamata a verificare la regolarit� amministrativa 
contabile e la legittimit� dei singoli atti di gestione secondo le modalit� previste 
dall�art. 12 della Legge n. 259/1958; cio� a dire, attraverso un magistrato 
contabile nominato dal Presidente della Corte stessa che assista alle sedute 
degli organi di amministrazione e di revisione (il c.d. controllo concomitante). 

30. Il patrocinio obbligatorio e autorizzato dell�Avvocatura dello Stato. 

Qualora l�Agenzia Spaziale Italiana, nell�esercizio delle sue attribuzioni, 
dovesse trovarsi coinvolta in una vicenda processuale potr� avvalersi del patrocinio 
dell�Avvocatura dello Stato. Se all�art. 13, comma 7 del D.lgs. n. 
123/2008 si stabilisce che l�ASI si avvale del patrocinio dell�Avvocatura Generale 
dello Stato, pi� dettagliatamente l�art. 11 dello Statuto ASI puntualizza 
che l�Agenzia si avvale del patrocinio dell�Avvocatura dello Stato, ai sensi 

al controllo degli enti destinatari di sovvenzioni statali in via ordinaria. Donde, la prescrizione normativa 
contenuta nell�art. 9 comma 5 del D.lgs. n. 27/1999 nel prevedere - quale forma di esercizio dei poteri del 
giudice contabile - il solo controllo successivo da eseguirsi sul conto consuntivo dell�Agenzia Spaziale 
Italiana si pone in perfetta simmetria con il tenore della norma costituzionale perch� comunque idonea a 
consentire alla Corte dei Conti il conseguimento della finalit� al cui raggiungimento il controllo stesso � 
preordinato: la trasmissione al Parlamento della relazione contenete gli esiti degli eseguiti riscontri. 
Quanto invece alla seconda doglianza (violazione dell�art. 76 Cost.), la Consulta ha ritenuto infondate le 
censure formulate dalla Corte dei Conti sul presupposto che la Legge delega n. 59 del 1997 � stata diretta a 
riformare, in profondit�, ogni aspetto organizzativo della Pubblica Amministrazione italiana, ivi compresi i 
casi e le forme di esercizio del potere di controllo della magistratura contabile. Pertanto, l�art. 9, comma 5 
del D.lgs. n. 27/1999 non pu� ritenersi adottato in violazione dei limiti di oggetto e dei principi e criteri direttivi 
che, a norma dell�art. 76 Cost., devono guidare l�esercizio del potere legislativo da parte del Governo. 


dell�articolo 43 del regio decreto 30 ottobre 1933, n. 1611; si tratta, cio�, del 

c.d. patrocinio erariale autorizzato o facoltativo. 

� quindi d�obbligo chiarire la natura e la portata del patrocinio dell�Avvocatura 
dello Stato nei confronti dell�Agenzia Spaziale Italiana non senza 
aver dapprima dedicato alcune brevi considerazioni allo ius postulandi del-
l�Avvocatura dello Stato. 

Le norme e i principi che sovraintendono, scandendola con particolareggiata 
puntualit�, alla rappresentanza e alla difesa processuale delle Amministrazioni 
Pubbliche sono contenute nel gi� menzionato regio decreto n. 1611 
del 1933 (meglio noto come Testo Unico delle leggi e delle norme giuridiche 
sulla rappresentanza e difesa in giudizio dello Stato e sull�ordinamento del-
l�Avvocatura dello Stato). 

A norma dell�art. 1 del R.d. n. 1611 cit. la rappresentanza, il patrocinio e 
l�assistenza in giudizio delle Amministrazioni dello Stato, quand�anche organizzate 
ad ordinamento autonomo, spettano all�Avvocatura dello Stato dinnanzi 
ad ogni giurisdizione (nazionale, comunitaria ed internazionale) e ai collegi arbitrali 
(43). � in questa norma che trova il proprio fondamento giuridico il patrocinio 
erariale obbligatorio, cos� definito perch� le Amministrazioni dello 
Stato coinvolte in una vicenda processuale - indipendentemente dalla natura di 
essa (civile, penale, amministrativa, costituzionale od internazionale), dal pi� 

o meno elevato grado di complessit� tecnico-argomentativo e dal valore economico 
delle pretese su cui radica la controversia - devono ricorrere alla Difesa 
Erariale pena la nullit� di qualsivoglia atto processuale compiuto dall�avvocato 
di libero foro incaricato, in ispregio alla normativa inderogabile e imperativa 
di cui al R.d. n. 1611/1933, della difesa processuale dell�amministrazione. 

Si soggiunga che, la legittimit� dello ius postulandi spettante all�Avvocatura 
dello Stato nei casi di patrocinio obbligatorio non abbisogna di un formale 
espresso consenso con cui l�Amministrazione interessata conferisce la 
propria difesa processuale ad Avvocati e Procuratori di Stato; cosicch� non 
occorre - come invece per il patrocinio del privato - una manifestazione di volont� 
in tal senso consacrata nell�atto di procura alle liti. A conferma di ci� 
depone il tenore del comma 2 dell�art. 1 del R.d. n. 1611/1933 a mente del 
quale: �Gli Avvocati dello Stato esercitano le loro funzioni innanzi a tutte le 
giurisdizioni ed in qualunque sede e non hanno bisogno di mandato, neppure 

(43) Per poter meglio comprendere le funzioni di cui � attributaria l�Avvocatura dello Stato si 
veda: SCAVONETTI G. (1937), Avvocatura dello Stato, in Nuovo Diges. Ita. - MANZARI F.M. (1987), L�Avvocatura 
dello Stato nell�ordinamento vigente, in Digesto discipline pubblicistiche - CARAMAZZA F. e 
DI MARTINO R. (1989), Avvocatura dello Stato e giustizia amministrativa, in Rass. Avv. St. - PAVONE P. 
(2002), Lo Stato in giudizio. Enti pubblici e Avvocatura dello Stato - FIENGO G. (2006), I caratteri originari 
della difesa dello Stato in giudizio, in Rass. Avv. St. - GIOVAGNOLI R. (2008), Il patrocinio dello 
Stato e delle altre pubbliche amministrazioni, in Manuale di giustizia amministrativa di Caringella F., 
De Nictolis R., Giovagnoli R., Poli V. 


LEGISLAZIONE ED ATTUALIT�

nei casi nei quali le norme ordinarie richiedono il mandato speciale, bastando 
che constino della loro qualit��. Come da taluni gi� osservato (44), il patrocinio 
dell�Avvocatura � organico (derivando direttamente dalla legge), obbligatorio 
(non ammettendo deroga alcuna) ed esclusivo (non potendo essere 
esercitato con patrocinatore diverso dalla difesa erariale). 

Accanto al patrocinio obbligatorio (art. 1, R.d. n. 1611/1933) � previsto e 
contemplato anche quello autorizzato (art. 43, R.d. n. 1611/1933). L�Avvocatura 
dello Stato perch� possa esercitare anche il patrocinio di cui all�art. 43, R.d. n. 
1611 cit. necessita - per come intuibile dalla sua stessa denominazione - di un 
provvedimento autorizzatorio (normativo o amministrativo) che comporti 
un�estensione dei compiti di difesa processuale e consulenza giuridica anche 
in favore di Amministrazioni Pubbliche diverse da quelle statali stricto sensu. 

La ragione giustificatrice dell�istituto in parola, che estende il patrocinio 
dell�Avvocatura dello Stato anche ad enti diversi rispetto a quelli cui si riferisce 
il patrocinio obbligatorio, � rinvenibile �nello stretto collegamento e nella interdipendenza 
tra i fini dello Stato e quelli degli enti a patrocinio autorizzato, 
nonch� in esigenze di contenimento della spesa pubblica, che l�assunzione 
della difesa da parte dell�Avvocatura dello Stato garantisce rispetto al patrocinio 
degli avvocati di libero foro� (45). Una volta intervenuto il provvedimento 
autorizzatorio, il patrocinio dell�Avvocatura dello Stato sar� soggetto 
all�applicazione delle stesse norme previste per il patrocinio obbligatorio. 

Recentemente si � posta una questione giurisprudenziale in ordine ai presupposti 
alla cui ricorrenza debba ritenersi subordinata la legittimit� del patrocinio 
autorizzato. Sono due le pronunce della giustizia amministrativa che 
assurgono ad emblema �plasticamente riassuntivo� dei due opposti orientamenti: 
la sentenza n. 190/2009 del TAR Calabria e la sentenza n. 4640/2009 
del TAR Lazio (46). 

(44) LUMETTI M.V. - MEZZOTERO A. (2009), Il patrocinio erariale autorizzato: � organico, esclusivo 
e non presuppone alcuna istanza dell�ente all�Avvocatura dello Stato. Il caso delle Autorit� portuali 
in alcune recenti contrastanti decisioni del giudice amministrativo (T.A.R. Calabria, sent. 25 marzo 
2009, n. 190, T.A.R. Lazio, sent. 6 maggio 2009, n. 4640), in Rass. Avv. St. 
(45) LUMETTI M.V. - MEZZOTERO A., op. cit. 


(46) Se il giudice calabrese nella sentenza n. 190/2009 ha precisato che: �Il mandato conferito al 
difensore del libero foro senza una previa, motiva rinuncia alla difesa assicurata, ope legis in via organica 
ed esclusiva, dall�Avvocatura dello Stato, ai sensi dell�art. 43 r.d. n. 1611del 1933 e della successiva norma 
autorizzatoria, � affetto da nullit�, che conseguentemente priva il difensore dello ius postulandi�, il giudice 
laziale, propugnando un orientamento profondamente differente, ha disposto che: �L�autorizzazione accordata 
ai sensi del comma 1 dell�art. 43 del R.d. 30 ottobre 1933 n. 1611, affinch� l�Avvocatura dello 
Stato possa assumere la rappresentanza e la difesa della autorit� portuali nei giudizi attivi e passivi avanti 
alle autorit� giudiziarie, i collegi arbitrali, le giurisdizioni amministrative e speciali, non opera �ex se� ma 
richiede necessariamente una previa istanza dell�Autorit� rivolta all�Avvocatura dello Stato perch� assuma 
la rappresentanza e la difesa in giudizio. In mancanza di tale istanza, che costituisce l�elemento che distingue 
il patrocinio autorizzato da quello obbligatorio, l�Avvocatura dello Stato non potr� difendere in 
giudizio l�Autorit� e ci� a maggior ragione, nel caso in cui, come nella specie l�Autorit� non solo non ha 
chiesto il patrocinio dell�Avvocatura ma ha ritenuto preferibile dare mandato agli avvocati di libero foro�. 



La giustizia amministrativa calabrese ha ritenuto di dover riconoscere al 
patrocinio autorizzato dell�Avvocatura dello Stato una sorta di operativit� automatica. 
Segnatamente, i giudici calabresi hanno affermato che il patrocinio di 
cui all�art. 43 del R.d. n. 1611/1933 non richieda alcuna formale deliberazione 
in tal senso da parte dell�Amministrazione coinvolta nel giudizio si che, salvo 
prova contraria (come arguibile dalle motivazione della sentenza n. 190/2009), 
la rituale costituzione in giudizio dell�Amministrazione per il tramite dell�Avvocatura 
dello Stato � gi� da sola sufficiente a riprovare la volont� dell�Amministrazione 
medesima di voler avvalersi della difesa erariale non occorrendo che 
gli Avvocati e i Procuratori di Stato producano in giudizio la documentazione 
attestante una volont� in tal senso imputabile all�Amministrazione per evitare 
la nullit� di ogni atto defensionale e la inestricabilmente correlata decadenza 
dello ius postulandi. Piuttosto, � nei soli casi (speciali e derogatori rispetto all�art. 
43 del R.d. n. 1611/2013) in cui l�Amministrazione intenda avvalersi del patrocinio 
di avvocati di libero foro che si profila come necessaria la adozione di una 
formale deliberazione nella quale siano esposte le motivazioni che abbiano fatto 
ritenere maggiormente conveniente la rinuncia alla difesa, organica, esclusiva e 
sostanzialmente gratuita, dell�Avvocatura dello Stato; deliberazione che dovr� 
essere sottoposta al controllo da parte dell�organo che eserciti la vigilanza sul-
l�Amministrazione deliberante. � in questi casi che l�avvocato di libero foro sar� 
tenuto ad attestare la legittimit� del suo patrocinio mediante la produzione in 
giudizio del titolo (deliberazione) su cui si fonda il proprio ius postulandi. 

In maniera totalmente discorde si � invece pronunciato il TAR Lazio che, 
con la sentenza n. 4640/2009, dopo aver escluso l�operativit� ex se del patrocinio 
autorizzato ha ritenuto affetti da nullit�, per mancanza di ius postulandi, 
gli scritti difensivi dell�Avvocatura dello Stato qualora non sia provato che 
l�Amministrazione patrocinata abbia previamente adottato una delibera volta 
a conferire alla Difesa Erariale il mandato ad litem. 

Scontato dire che tra i due ossimorici approdi quello reputato maggiormente 
conforme alla normativa vigente in materia risulta essere il primo (TAR 
Calabria, n. 190/2009). Si � giustamente scritto (47) che nelle ipotesi in cui 
l�Avvocatura dello Stato assuma la difesa processuale di Amministrazioni che 
possono avvalersi del suo patrocinio autorizzato, il consenso di queste, comunque 
si sia realizzato (in maniera tacita, informale o anche informale) opera 
ex se a prescindere dalla adozione di una apposita deliberazione che, quand�anche 
all�uopo adottata, si configura come atto meramente interno che non 
ha, n� pu� avere, incidenza alcuna sul processo. � invero pacifico che la legge 
non richieda l�esistenza di una formale procura alle liti per il patrocinio della 
difesa erariale. 

(47) LUMETTI M.V. - MEZZOTERO A., op. cit. 


LEGISLAZIONE ED ATTUALIT�

31. Il patrocinio dell�Avvocatura dello Stato in favore dell�Agenzia Spaziale 
Italiana. 

Come gi� anticipato, l�art. 11 dello Statuto ASI nel richiamare l�art. 43 
del R.d. n. 1611 del 1933 chiarisce, incontrovertibilmente, che l�Agenzia Spaziale 
Italiana rientra tra le Amministrazioni Pubbliche per le quali la legge prevede 
il patrocinio erariale autorizzato. Sicch� l�ASI gode di una discrezionalit� 
tale da poter decidere se affidare la propria difesa processuale all�Avvocatura 
dello Stato ovvero ad avvocati di libero foro. 

La trasposizione delle argomentazioni di cui al precedente paragrafo nello 
specifico caso dell�Agenzia Spaziale Italiana permette di affermare che, a seconda 
di quale dei due possibili itinerari si decider� di percorrere, verranno a 
mutare gli adempimenti burocratico-decisionali il cui compimento serve ad 
evitare che la difesa di parte avversa possa fondatamente eccepire la insussistenza 
dello ius postulandi e la correlata nullit� degli atti defensionali depositati 
dal legale dell�Agenzia. 

Per i giudizi in cui l�ASI si determina ad avvalersi del patrocinio autorizzato 
di cui all�art. 43 del R.d. n. 1611/1933 non si pongono particolari problemi 
operativi. Sulla scorta di quel pi� corretto insegnamento giurisprudenziale che 
esclude la necessit� della previa adozione di una delibera con cui venga chiesto 
il consenso dell�Avvocatura dello Stato, per avvalersi del patrocinio erariale 
baster� che gli organi di vertice dell�Agenzia Spaziale Italiana (Presidente e 
Consiglio di amministrazione) decidano di trasmettere il relativo carteggio generalmente 
corredato da una nota riassuntiva contenente una sintetica ricostruzione 
dei fatti e dei pi� rilevanti aspetti giuridici della vicenda - all�Avvocatura 
dello Stato; ci� baster� a far presumere la volont� dell�Agenzia di 
avvalersi del patrocinio autorizzato degli Avvocati e Procuratori dello Stato i 
quali, per dimostrare la legittimit� del loro patrocinio non saranno tenuti ad 
allegare al fascicolo di causa la nota trasmessa dall�Agenzia. 

Diversa cosa accade quando l�ASI decida di conferire il proprio patrocinio 
ad avvocati di libero foro. Atteso che permane in capo all�Agenzia la possibilit� 
di decidere se affidare ad avvocati di libero foro il patrocinio di un singolo 
giudizio ovvero quello di un�intera serie o categoria di affari contenziosi, la 
sussistenza dello ius postulandi di tali professionisti � subordinata al perfezionamento 
di una diversa procedura. L�Agenzia, ivi, dovr� adottare una formale 
deliberazione da cui risultino gli estremi anagrafici dell�Avvocato 
prescelto, le motivazioni professionali, economiche e di ogni altra natura poste 
a giustificazione della rinunzia alla difesa dell�Avvocatura dello Stato. Cos� 
assunta, la delibera dovr� essere trasmessa al Ministro dell�Istruzione, del-
l�Universit� e della Ricerca, quale organo di vigilanza dell�ASI, affinch� possa 
vagliare la opportunit� di ricorrere al patrocinio di un avvocato di libero foro. 
Solo una volta sopraggiunto il benestare del Ministro potr� dirsi correttamente 
perfezionato l�iter di affidamento del patrocinio processuale ad un libero pro



fessionista il quale - lo si ribadisce - diversamente dagli Avvocati e dai Procuratori 
dello Stato sar� tenuto a produrre in giudizio la delibera di nomina con 
tanto di approvazione ministeriale che finisce, cos�, col fungere da procura 
alle liti (48). 

32. I finanziamenti e le entrante dell�Agenzia Spaziale Italiana. 

Per poter espletare le proprie funzioni secondo parametri di efficienza ed 
efficacia, l�Agenzia Spaziale Italiana ha bisogno di risorse finanziarie. Stando 
all�art. 15 del D.lgs. n. 128/2003, le entrate di cui l�ASI pu� disporre sono costituite 
da: i) contributi ordinari a carico del Fondo per il finanziamento degli 
enti pubblici di ricerca (49); ii) contributi relativi ai programmi dell�Agenzia 
Spaziale Europea al cui sviluppo e alla cui realizzazione l�ASI partecipa; iii) 
risorse occorrenti per dare attuazione agli impegni che l�Agenzia assume in 
virt� di accordi intergovernativi, trattati internazionali o convenzioni internazionali; 
iv) risorse occorrenti per dare attuazione agli impegni consacrati nel 
Piano Triennale di Attivit� e dai relativi aggiornamenti di attivit�; v) contributi 
dell�Unione europea o da organismi internazionali; vi) proventi derivanti dalla 
valorizzazione economica di prototipi, prodotti industriali e beni immateriali 
di interesse aerospaziale; vii) cessione di licenze d�uso di brevetti e viii) ogni 
altra eventuale entrata connessa all�esercizio delle funzioni di cui � attributaria. 

(48) Con riferimento al patrocinio erariale dell�ASI merita inoltre di essere segnalata una curiosa 
differenza riscontrabile tra il D.lgs. n. 128/2003 e lo statuto dell�ente. Diversamente dal primo decreto di 
riordino dell�Agenzia Spaziale Italiana (D.lgs. n. 27/1999) che prevedeva che l�ASI si avvalesse del patrocinio 
dell�Avvocatura dello Stato, l�art. 13, comma 7 del D.lgs. n. 128/2003 (secondo riordino dell�ASI) 
non allude al patrocino dell�Avvocatura dello Stato tout court, bens� a quello dell�Avvocatura Generale 
dello Stato. Un dato, questo, che potrebbe occasionare non pochi inconvenienti quanto ai giudizi rientranti 
nella competenza delle Avvocature distrettuali che potrebbero essere esposti al fondato rilievo, sollevato 
dai difensori di controparte, del difetto di ius postulandi in forza del richiamo alla sopraccennata disposizione 
che limita il patrocinio dell�ASI alla sola Avvocatura Generale dello Stato. Pertanto sarebbe opportuno, 
secondo taluni, emanare norme correttive nel senso della previsione del patrocinio dell�ASI 
all�Avvocatura dello Stato senza ulteriori specificazioni. In quest�ottica, l�art. 11 dello statuto ASI (integrato 
con deliberazioni nn. 1, 3 e 5/INT/2010 e n. 1/INT/2011) sembra proprio aver voluto fornire un 
espediente alla problematica di cui sopra; la fonte statutaria, invero, si riferisce al patrocinio dell�Avvocatura 
dello Stato senza alcuna aggettivazione. (cfr. LUMETTI M.V. - MEZZOTERO A., op. cit.). 
(49) I finanziamenti derivanti dal Fondo ordinario per il finanziamento degli enti di ricerca hanno 
formato oggetto del D.lgs. n. 213/2009, il quale all�art. 4 ha disposto che la ripartizione di tali risorse avverr� 
sulla base della programmazione strategica preventiva e tenendo conto della valutazione dei risultati 
di ricerca conseguiti che viene effettuata dall�Agenzia nazionale di valutazione dell�universit� e della ricerca 
(ANVUR). A partire dal 2011 � stato riconosciuto agli enti di ricerca la possibilit� di poter beneficiare, 
unitamente alle risorse gi� erogate in base alla programmazione preventiva al parere ANVUR, di 
una quota non inferiore al 7% del Fondo a titolo di finanziamento premiale di taluni programmi o progetti. 
Nel 2012 la ripartizione dei contributi del Fondo ordinario tra i dodici enti di ricerca � stata attuata con 


D.M. del 9 agosto 2012 del Ministero dell�Istruzione Universit� e Ricerca per un importo complessivo 
pari ad euro 1.652.963.075. Tuttavia, nel quadro delle misure di contenimento della spesa delle amministrazioni 
statali e degli non territoriali adottate dal Governo Monti, l�art. 8, comma 4 bis del D.lg. n. 
95/2012 ha previsto una riduzione del Fondo per un importo pari a 51,2 mln a decorrere dal 2013. 


LEGISLAZIONE ED ATTUALIT�

Per di pi�, alle fonti di entrata sin qui menzionate, debbono aggiungersi 
le risorse finanziarie che l�ASI pu� conseguire esercitando la facolt� che, accordata 
dall�art. 16 del D.lgs. n. 213/2009 ad ogni ente di ricerca, si sostanzia 
nel potere di promozione, costituzione o partecipazione di fondi di investimento 
(50). 

33. L�autonomia negoziale dell�Agenzia Spaziale Italiana. 

L�ASI non fa eccezione alla ormai consolidata regola che riconosce alle 
Amministrazioni Pubbliche la facolt� di esercitare le attivit� dirette alla cura 
concreta di interessi generali anche con strumenti di natura squisitamente privatistica 
(come suole dirsi: agire non solo iure imperi ma anche iure privato-
rum); � sempre pi� ampio il ventaglio di istituti di diritto comune applicabili 
(per adattamento) alle organizzazioni pubbliche. Tra questi, assume un ruolo 
determinante il contratto che, anche in ambito pubblicistico, mantiene inalterata 
la sua essenza di �accordo di due o pi� parti per costituire, regolare o 
estinguere tra loro un rapporto giuridico patrimoniale� (art. 1321 c.c.). L�unico 
elemento discretivo rispetto alla visione rigorosamente romanistica del contratto 
(51) risiede nella circostanza (meramente formale) che una della parti 

(50) In particolare, l�art. 16 del D.lgs. n. 213/2009 dispone che: �Il Ministero, previa valutazione 
di legittimit� e di merito da parte dello stesso, gli stessi enti di ricerca, senza nuovi o maggiori oneri a 
carico della finanza pubblica e senza garanzie da parte loro, possono promuovere, concorre alla costituzione 
o partecipare a fondi di investimento con la partecipazione di investitori pubblici e privati, arti-
colati in un sistema integrato tra fondi di livello nazionale e rete di fondi locali, ai sensi dell�art. 4 del 
decreto legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133. 
Tali fondi sono destinati all�attuazione di programmi di trasferimento tecnologico e di investimento per 
la realizzazione di iniziative produttive con elevato contenuto di innovazione e di ricerca, con il coinvolgimento 
di apporti dei soggetti pubblici e privati operanti nel territorio di riferimento e la valorizzazione 
di risorse finanziarie destinate allo scopo, anche derivanti da cofinanziamenti europei ed 
internazionali. Gli enti di ricerca nell�articolazione dei rispettivi statuti e nell�enumerazione delle attivit� 
da svolgere tengono conto di quanto previsto agli articoli 4, 6 e 17 del decreto-legge 25 giugno 2008, 
n. 112, convertito, con modificazioni, dalle legge 6 agosto 2008, n. 133�. 
Sotto il vigore del D.lgs. n. 27/1999 venivano contemplati, quali fonti di entrate dell�Agenzia, solo i 
contributi a carico del Fondo istituito per gli enti finanziati direttamente dal Ministero dell�Istruzione, 
dell�Universit� e della Ricerca, i contributi UE e di altri Organismi internazionali, i proventi derivanti 
dall�applicazione, diffusione ed utilizzazione delle conoscenze derivanti dalla ricerca e ogni altra eventuale 
entrata. 
(51) Come emerge dalla bibliografia in materia si veda: DALLA D. - LAMBERTINI. R. (2006), Istituzioni 
di diritto romano, Torino, Giappichelli; FASCIONE L. (2013), Manuale di diritto pubblico romano, 
Torino, Giappichelli; TALAMANCA M. (1990), Istituzioni di diritto privato romano, Milano, Giuffr�; GUARINO 
A. (2001), Diritto privato romano, Napoli, Jovene: nel diritto romano, in virt� della celeberrima 
definizione di Ulpiano per il quale �pactum est duorum pluriumve in idem placitum et consensus� (patto 
� l�accordo consensuale di due o pi� persone su uno stesso oggetto contrattuale), il contratto era concepito 
come prerogativa esclusiva dei privati. I soggetti pubblici, quali lo Stato (populus Romanus) e il 
Fisco (Fiscus) erano considerati dotati esclusivamente di capacit� di diritto pubblico, cos� che i rapporti 
in cui essi intervenivano furono regolati esclusivamente dal ius publicum. In definitiva, fatta salva qualche 
eccezione, era marcata la distinzione tra ius publicum e ius privatum: il primo regolava i rapporti 
dello Stato, il secondo, invece, si applicava ai rapporti delle persone fisiche (cives). 



del contratto � una Pubblica Amministrazione. Per il resto, ferme le particolari 
procedure previste per la stipula di alcuni contratti pubblici, non vՏ alcun significativo 
cambiamento rispetto alla disciplina civilistica. 

Come si � visto, l�Agenzia gode di un�ampia autonomia negoziale che 
viene a tradursi nella stipulazione di accordi, convenzioni e contratti con soggetti 
pubblici e privati, nazionali ed internazionali, nella partecipazione ovvero 
costituzione di societ�, consorzi e fondazioni nonch� nella direzione e nella gestione 
di Centri di ricerca internazionali con le Agenzie Spaziali di altri Paesi. 

� allora innegabile che il legislatore sia sempre stato lucidamente convinto 
che per consentire all�ASI il miglior esercizio delle sue funzioni - peraltro 
in un settore in cui immobilismo e stagnazione operativo-decisionale sono 
penalizzanti pi� che in altri - sarebbe stato necessario riconoscere alla stessa 
il potere di ricorrere alle pi� diversificate maniere con cui pu� manifestarsi la 
sua autonomia negoziale (52). Attraverso l�introduzione di un meccanismo di 
silenzio-assenso, il secondo decreto di riordino ha esteso, ancora di pi�, la 
scioltezza di cui l�ASI gode nell�esercizio delle attivit� negoziali. 

Se l�art. 2, comma 2 del D.lgs. n. 27/1999 subordinava la costituzione o 
la partecipazione in societ� o consorzi con apporti finanziari pari o superiori 
ad un miliardo di lire o per una quota pari o superiore al 50 per cento del capitale 
sociale ad autorizzazione (necessariamente espressa) del Ministero del-
l�Istruzione, dell�Universit� e della Ricerca, l�art. 16 del D.lgs. n. 128/2003 
subordina la costituzione ovvero la partecipazione in societ�, consorzi e fondazioni 
con soggetti pubblici o privati, italiani o stranieri (prescindendo dal


(52) Per una pi� lucida presa di conoscenza del rilevante tema dell�autonomia contrattuale delle 

P.A. si rinvia alla ampia letteratura giuridica venuta formandosi nel tempo, alla luce delle profonde influenze 
promananti dall�ordinamento europeo: si v. CANDELA L. (1933), I contratti dello Stato. Le forme 
eccezionali di procedura nei contratti dello Stato in confronto di quelle di diritto comune, Roma AMORTH 
A. (1938), Osservazioni sui limiti dell�attivit� amministrativa di diritto privato, in Arch. dir. 
pubbl. - CAMMEO C. (1954), I contratti della pubblica amministrazione, Firenze - CALIMERI M. (1959), 
I contratti dello Stato, delle province, dei comuni, Milano - AMORELLI G. (1988), L�esecuzione dei contratti 
della Pubblica Amministrazione, in Nuova. Rass. - CONTUCCI M., L�attivit� di diritto privato nella 
pubblica amministrazione, Padova - MASUCCI A. (1988), Trasformazione dell�amministrazione e moduli 
convenzionali. I contratti di diritto pubblico, Napoli - BUSCEMA S. (1990), La legittimazione nell�attivit� 
contrattuale degli enti pubblici, in Scritti Falzea - ANNUNZIATA M. (1991), Formazione della volont� 
negoziale degli enti pubblici e poteri del giudice ordinario, in Riv. nuovo dir. - CARANTA R. (2004), I 
contratti pubblici, Giappichelli, Torino -FRANCHINI C. (2007), I contratti con la pubblica amministrazione 
tra di diritto pubblico e diritto privato, in I contratti con la pubblica amministrazione (a cura di 
Franchini C.) - CERULLI IRELLI V. (2008), Diritto privato dell�amministrazione pubblica, Giappichelli, 
Torino - FRACCHIA F. (2010), Ordinamento comunitario, mercato e contratti della pubblica amministrazione. 
Profili sostanziali e processuali, Editoriale Scientifico - CERULLI IRELLI V. (2011), Amministrazione 
Pubblica e diritto privato, Giappichelli, Torino - CARANTA R. (2012), I contratti pubblici, 
Giappichelli, Torino - BENACCHIO G.A. -COZZIO M. (2012), Gli appalti pubblici tra regole europee e 
nazionali, EGEA, Milano - SORACE D. (2013), Amministrazione pubblica dei contratti, Editoriale Scientifica 
- CARINGELLA F.-GIUSTINIANI M. (2013), Manuale di diritto amministrativo, Istituto Editoriale 
Universitario - MASTRAGOSTINO F. (2014), Diritto dei contratti pubblici. Assetto e dinamiche evolutive 
alla luce delle nuove Direttive europee e del D.l. 90 del 2014, Giappichelli, Torino. 


LEGISLAZIONE ED ATTUALIT�

l�entit� del contributo finanziario) all�autorizzazione del MIUR e, inoltre, la 
costituzione ovvero la partecipazione in societ� con apporto al capitale sociale 
superiore a cinquecentomila euro o per una quota pari o superiore al cinquanta 
per cento del capitale sociale all�autorizzazione tanto del MIUR quanto del 
Ministero dell�Economia e delle Finanze. 

Cos� poste, le novit� introdotte dal secondo decreto di riordino farebbero 
propendere per la tesi che vuole l�autonomia negoziale dell�ASI decisamente 
pi� ridotta per via dell�introduzione di una nuova autorizzazione (quella del 
MEF) che in passato, invece, non era prevista. Taluni hanno perci� sostenuto 
che proprio a causa di questo ulteriore aggravio burocratico-autorizzatorio 
l�autonomia negoziale dell�Agenzia si sarebbe per tal modo ristretta (53); in 
verit�, cos� non �. 

A sommesso avviso di chi scrive, diversamente dalla previgente normativa 
che - pur richiedendo la sola autorizzazione del Ministero dell�Istruzione, 
del�Universit� e della Ricerca - esigeva una inequivocabile ed espressa manifestazione 
positiva del Dicastero, pena la impossibilit� dell�ASI di costituire 
o partecipare societ�, fondazioni ovvero consorzi, la normativa 
contenuta nell�art. 16 del D.lgs. n. 128/2003 ha invece introdotto un meccanismo 
di silenzio-assenso tale per cui la autorizzazione richiesta al Ministero 
dell�Istruzione, dell�Universit� e della Ricerca per la costituzione ovvero la 
assunzione di partecipazioni azionarie (qualunque sia l�entit�) si intende acquisita 
qualora decorsi i prescritti sessanta giorni non vengano presentate 
particolari osservazioni. 

In analogo modo, anche l�autorizzazione congiuntamente richiesta tanto 
al Ministero dell�Istruzione, dell�Universit� e della Ricerca quanto al Ministero 
dell�Economia e della Finanza per la costituzione o la partecipazione di societ� 
con apporto superiore a cinquecentomila euro o per quota pari o superiore al 
cinquanta per cento del capitale sociale si intende acquisita decorsi inutilmente 
trenta giorni dall�istanza. 

� allora evidente che con l�introduzione del meccanismo del silenzio-assenso 
sia stato formalmente appesantito, ma sostanzialmente velocizzato, il 
sistema di autorizzazioni che sovraintende, condizionandola, all�attivit� negoziale 
dell�ASI. 

34. I rapporti contrattuali dell�ASI. 

I rapporti contrattuali di cui l�Agenzia � parte (eccezion fatta per la scelta 
del contraente, per la deliberazione a contrarre e per la formazione del prezzo) 
sono regolati da norme di diritto privato. La stipulazione dei contratti di diritto 
comune dell�ASI � curata dal Direttore generale o dal responsabile della specifica 
unit� organizzativa che sia dal primo all�uopo delegato. 

(53) In tal senso, si veda BASTIONI M.B., op. cit. 


Quanto alla forma, l�art. 54 (Reg. Amm. Cont. Fina.) richiede espressamente 
che i contratti dell�Agenzia siano redatti per iscritto a pena di nullit� 

(c.d. forma scritta ad substantiam) e inoltre, salvo la sussistenza di comprovate 
ragioni di necessit� e convenienza, l�Agenzia non pu� addivenire alla stipulazione 
di pi� contratti per la concreta realizzazione di un medesimo progetto. 

La volont� dell�ASI di indire le procedure di scelta del contraente o di 
provvedere a trattativa privata con un unico offerente deve essere espressa con 
apposito provvedimento del Consiglio di amministrazione, del Presidente o 
del Direttore generale (art. 55 Reg. Amm. Cont. Fina.). Il provvedimento in 
parola, denominato �determinazione a contrarre�, deve contenere la puntuale 
indicazione della finalit� che si pretenda di conseguire con la stipulazione del 
contratto, l�oggetto del contratto, la procedura e i criteri di scelta del contraente, 
l�individuazione del responsabile del procedimento, le clausole ritenute 
essenziali e l�eventuale capitolato speciale. 

I contratti di qualsiasi Amministrazione Pubblica (ivi compresa l�Agenzia 
Spaziale Italiana) sono per regola stipulati secondo �condizioni generali di 
contratto� (54) predisposte dal soggetto pubblico e tradizionalmente denominati 
capitolati d�oneri (55). 

I capitolati si distinguono in generali e speciali. I primi contengono le 
condizioni che possono applicarsi indistintamente ad un determinato genere 
di lavoro, appalto o contratto nonch� le forme da seguire per le gare; quelli 
speciali puntualizzano invece le condizioni riferite all�oggetto proprio di ciascun 
specifico contratto. Come le condizioni generali, anche i capitolati sono 
efficaci nei confronti dell�altro contraente solo se al momento della conclusione 
del contratto questi ne fosse a conoscenza o avrebbe potuto-dovuto conoscerle 
usando l�ordinaria diligenza. 

Fatte queste considerazioni, occorre ora comprendere le clausole contrattuali 
(rectius capitolati) solitamente rinvenibili nel testo dei contratti stipulati 
dall�Agenzia Spaziale Italiana. 

Nei contratti stipulati dall�ASI debbono essere consacrati capitolati che 
stabiliscano l�oggetto, i termini e la durata di esecuzione delle singole prestazioni 
(art. 58 Reg. Amm. Cont. Fina.) nonch� la indicazione dei prezzi invariabili, 
salvo che per i beni o le prestazioni il cui prezzo sia determinato per 
legge o per atto amministrativo (art. 59 Reg. Amm. Cont. Fina). A pena di nullit�, 
i contratti in parola prevedono clausole penali per il mancato o l�inesatto 
adempimento e per la ritardata esecuzione delle prestazioni dovute. Mentre 
l�applicazione della penale � di competenza della Commissione di collaudo, 

(54) Come noto, le condizioni generali di contratto (art. 1341 c.c.) sono le clausole contrattuali 
che un soggetto predispone al fine di regolare in maniera uniforme una serie infinita di rapporti di cui 
diverr� parte. 
(55) Tale curiosa terminologia intende semplicemente significare un testo ordinato per capitoli 
ove capitoli sta per articoli. 



LEGISLAZIONE ED ATTUALIT�

la eventuale disapplicazione rientra nell�esclusiva competenza del Presidente. 

Ancora, nei contratti di diritto comune stipulati dall�ASI � inclusa anche la 
clausola di risarcibilit� dell�ulteriore danno eventualmente cagionato dal mancato, 
tardivo o inesatto adempimento e, nei casi espressamente stabiliti dalla legge, � 
ammissibile la conclusione di contratti contenenti clausole di rinnovo tacito. 

35. Le procedure di scelta del contraente. 

L�Agenzia per giungere alla stipula di un contratto deve avviare specifici 
procedimenti amministrativi solo a conclusione dei quali il contratto potr� 
dirsi stipulato e perfezionato. I procedimenti amministrativi cui si allude sono 
quelli funzionalmente indirizzati alla scelta della parte contraente. 

Ai sensi dell�art. 61 (Reg. Amm. Cont. Fina) l�ASI �provvede alla scelta 
del contraente tramite appalto concorso, procedure negoziate, procedure ristrette 
e procedure aperte. Le procedure ristrette possono essere con o senza 
bando; le procedure negoziate possono svolgersi in forma concorrenziale con 
bando, concorrenziale senza bando e non concorrenziale�. 

36. Conclusioni. 

Lo studio dei profili organizzativi e funzionali dell�Agenzia Spaziale Italiana 
sin qui condotto, � reso ancora pi� attuale dall�adozione del Decreto del 
Presidente del Consiglio dei Ministri del 12 febbraio 2014 con il quale, fatta eccezione 
per il Collegio dei revisori dei conti, dopo essere stati sciolti gli organi 
dell�Agenzia si � provveduto a commissariare, per un periodo di tre mesi, l�ASI. 

Si soggiunga che l�attenzione dedicata, in queste brevi pagine, all�Agenzia 
Spaziale Italiana trova una ulteriore ragione giustificatrice nella dichiarata 
intenzione del �Governo-Renzi� di portare nuovamente sotto i riflettori del 
dibattito parlamentare il complesso problema del riordino degli enti di ricerca 
e, in particolare, dell�ASI. 

Giacch� gli interventi legislativi adottati negli ultimi anni al fine di innescare 
processi di semplificazione e ottimizzazione degli enti di ricerca non 
hanno raggiunto gli obbiettivi prefissati a causa della progressiva riduzione 
delle risorse erogate, ma soprattutto dalla mancanza di una strategia capace di 
coinvolgere tutti i potenziali attori, a livello nazionale e locale, sono state recentemente 
prese in considerazione diverse ipotesi volte a porre rimedio allo 
stato di inefficienza e inefficacia del sistema della ricerca italiana. Emblematici 
della particolare sensibilit� che la XVII Legislatura sta riservando al tema della 
politica spaziale ed aerospaziale sono i due disegni di legge C.1575 del 12 settembre 
2013 (56) e pi� di recente S.1544 del 25 giugno 2014 (57), entrambi 

(56) A firma dei Deputati Mosca, Laffranco, Colaninno, Marco Meloni, Bonomo. 

(57) A firma dei Senatori Tomaselli, Astorre, De Monte, Fabbri, Fissore, Giacobbe, Orr�, Borioli, 
Cantini, Collina, Cucca, Lai, Pagliari, Pezzopane, Scalia, Sonego, Esposito. 


recanti �Misure per il coordinamento della politica spaziale e aerospaziale, 
nonch� modifiche al decreto legislativo 4 giugno 2003, n. 128, concernente 
l�ordinamento dell�Agenzia Spaziale Italiana� (58). 

Peraltro, come � dato leggere nel resoconto sommario n. 104 del 1 luglio 
2014 della VII Commissione parlamentare, le soluzioni sin qui prospettate (al 
netto di quella sopramenzionata) sono essenzialmente tre: a) l�istituzione di 
un�Agenzia nazionale della ricerca che si interfacci direttamente con la Presidenza 
del Consiglio dei Ministri; b) l�istituzione di un Dipartimento per il coordinamento 
della ricerca pubblica presso la Presidenza del Consiglio; c) 
l�istituzione del Ministero della Ricerca. Tra queste - almeno sino alle dichiarazioni 
del Ministro Giannini - la intenzione maturata dalla compagine governativa 
� sembrata essere quella di accorpare i venti enti pubblici di ricerca 
(dodici dei quali soggetti al controllo del MIUR) sotto un�Agenzia unica arti-
colata, al suo interno, in dipartimenti suddivisi per ambiti di competenza (59). 

In attesa di vedere la effettiva portata del preannunciato riordino del-
l�Agenzia Spaziale Italiana, non � parso quindi inutile indagare in ordine a 
quello che � l�attuale ordinamento dell�ASI a seguito dei riordini attuati negli 
anni 2003 e 2009. 

(58) Sebbene in estrema sintesi, viene prospettata la opportunit� di istituire presso la Presidenza 
del Consiglio dei Ministri un Comitato interministeriale per le politiche relative allo spazio e alla ricerca 
aerospaziale. 
(59) Sul punto si rinvia all�articolo pubblicato sulla versione on line de �Il sole 24 ore� consultabile al 
link http://mobile.ilsole24ore.com/solemobile/main?fn=srchFd&id=SEARCH/NEWS24/ABACUiGB. 



contributi di dottrina
CONTRIBUTI DI DOTTRINA 
L�affidamento in concessione della gestione delle farmacie 
comunali alla luce delle ultime pronunce giurisprudenziali 

Annalisa Tricarico* 

SOMMARIO: 1. Premessa - 2. La disciplina delle modalit� di affidamento delle farmacie 
comunali dalla legge Crispi agli anni �90 - 3. L�evoluzione della disciplina delle modalit� di 
affidamento dei servizi pubblici locali a rilevanza economica e il controverso rinvio alla legge 
speciale del 1968 - 3.1 Il T.U.E.L. e i primi tentativi di liberalizzazione del settore - 3.2 L�art. 
23 bis del d.l. n. 112/08 e l�esclusione dall�ambito di applicazione del servizio farmaceutico 

- 3.3 Il dibattito odierno sulla natura del servizio farmaceutico - 3.4 Il dibattito sul carattere 
tassativo delle forme di gestione previste dall�art. 9 all�indomani del referendum, della sentenza 
n. 199/2012 della Corte costituzionale e dei successivi interventi normativi - 4. La posizione 
assunta dalla Corte dei conti: l�impossibilit� di scindere la titolarit� dalla gestione 


5. La posizione del Consiglio di Stato: la distinzione tra titolarit� e gestione e l�affidabilit� 
in concessione a terzi della gestione delle farmacie comunali - 6. Conclusioni. 

1. Premessa. 

Il tema delle modalit� di gestione delle farmacie comunali continua a suscitare 
l�attenzione degli studiosi del diritto amministrativo, anche in ragione 
delle divergenze tra le posizioni rispettivamente assunte dalla giurisdizione 
contabile, sia pure in sede consultiva, e dal Consiglio di Stato. 

Il regime delle farmacie comunali presenta indubbi elementi di specialit� 
rispetto a quello degli altri servizi pubblici (1), sia perch� attiene al fondamentale 
diritto alla salute (2), sia perch� l�erogazione del servizio � subordinata, 

(*) Dottoranda di ricerca in �Dottrine Generali del diritto� presso l�Universit� degli Studi di Foggia. 

(1) Per un�analisi completa sul punto cfr. S. COLOMBARI, La specialit� della disciplina amministrativa 
sulle farmacie comunali, in Dir. amm., 2011, p. 419 e ss. 

(2) Cfr. Corte cost., 10 marzo 2006, n. 87, in www.giurcost.org, a tenore della quale �La complessa 


oltrech� ad un�apposita autorizzazione all�apertura della farmacia, alla stipula 
di una convenzione con l�Azienda Sanitaria Locale, in qualit� di ente strumentale 
della Regione. 

Permangono dubbi sia in ordine alla natura del servizio erogato - servizio 
pubblico locale o servizio sanitario regionale -rectius alla titolarit� dello 
stesso, sia in merito all�applicabilit� alle farmacie comunali dei moduli gestori 
previsti in via generale per i servizi pubblici locali, in aggiunta alle modalit� 
individuate dalla disciplina speciale contenuta nella legge n. 475 del 1968. 

Negli ultimi anni, il dibattito si � arricchito per effetto dei numerosi interventi 
normativi in materia di servizi pubblici locali a rilevanza economica, del 
referendum abrogativo del giugno 2011 e della sentenza della Corte costituzionale 
(3) che ha bocciato il tentativo di liberalizzazione del d.l. n. 138 del 2011. 

Inoltre, in conseguenza del consolidarsi della giurisprudenza europea in 
materia di servizi di interesse economico generale, � emersa l�esigenza di interpretare 
le norme nazionali in conformit� ai principi affermati dalla Corte di 
Giustizia di Lussemburgo. 

Allo stato attuale, sebbene l�opinione prevalente sia nel senso di non considerare 
tassativo l�elenco delle modalit� gestionali di cui alla legge speciale 
del 1968, non vi � accordo in dottrina e in giurisprudenza in merito alla possibilit� 
che i Comuni scindano la titolarit� dalla gestione del servizio, affidando 
quest�ultima in concessione a terzi ai sensi dell�articolo 30 del d.lgs. n. 163 
del 2006. 

Sul punto, � recentemente intervenuta la terza sezione del Consiglio di 
Stato, con la sentenza 13 novembre 2014, n. 5587 (4), che, riformando integralmente 
una pronuncia del Tar Piemonte (5), ha adottato una posizione opposta 
a quella espressa, a pi� riprese negli ultimi anni, dalla Corte dei conti in 
sede consultiva. 

2. La disciplina delle modalit� di affidamento delle farmacie comunali dalla 
legge Crispi agli anni �90. 

Per comprendere appieno i termini della questione non si pu� prescindere 
da una sia pur breve analisi del frastagliato iter normativo e degli orientamenti 
dottrinali e giurisprudenziali che si sono, di volta in volta, sviluppati. 

Si premette che, negli anni immediatamente susseguenti l�Unit� d�Italia, 
nessun testo normativo regolamentava l�esercizio della farmacia; nel 1888, la 
legge cd. Crispi (6) dett� una prima disciplina della materia, promuovendo la 

regolamentazione pubblicistica dell�attivit� economica di rivendita dei farmaci � infatti preordinata al 
fine di assicurare e controllare l�accesso dei cittadini ai prodotti medicinali ed in tal senso a garantire 
la tutela del fondamentale diritto alla salute�. 

(3) Corte cost., 20 luglio 2012, n. 199, in www.cortecostituzionale.it; sul punto, cfr. amplius infra. 
(4) Il testo integrale della sentenza � pubblicato in www.giustizia-amministrativa.it. 
(5) T.A.R. Piemonte, sez. II, 14 giugno 2013, n. 767, in www.dirittodeiservizipubblici.it. 



DOTTRINA 297 

massima libert� nell�apertura e nell�esercizio delle farmacie, senza limiti a carico 
del proprietario, che poteva anche non aver conseguito la laurea (7). 

Tale scelta normativa provoc� una notevole concentrazione di farmacie 
nei nuclei densamente popolati e il parallelo abbandono dei centri rurali (8). 

Ciononostante - non senza lo stupore di qualche autorevole studioso (9) 

-la gestione delle farmacie non comparse nell�enumerazione dimostrativa dei 
servizi che, ai sensi della legge sulle municipalizzazioni del 1903, i Comuni 
avrebbero potuto esercitare direttamente (10). 

�I comuni possono assumere, nei modi stabiliti dalla presente legge, l�impianto 
e l�esercizio diretto dei pubblici servizi� recitava il primo articolo della 
legge cd. Giolitti, con la quale si intendeva evitare la concentrazione dei servizi 
comunali in mano ad imprenditori privati, per calmierarne i costi, al contempo, 
sottoponendo ad un rigoroso controllo centrale il nascente fenomeno delle municipalizzazioni 
(11). L�assunzione diretta del servizio da parte dei Comuni 
avrebbe consentito, a parere dei pi�, anche di ridistribuire i profitti, in parte 

(6) Legge 22 dicembre 1888, n. 5849, rubricata �Legge per la tutela dell�igiene e della sanit� pubblica�. 
(7) Il proprietario poteva essere titolare di pi� farmacie, dovendo semplicemente garantire la direzione 
responsabile di un farmacista. Peraltro, tali scelte non furono unanimemente condivise; cfr. in 
proposito la questione posta dal sen. Burgi, relatore della Commissione reale nominata con regio decreto 
17 settembre 1866 per elaborare un progetto di codice sanitario: �Deve essere, nell'interesse della pubblica 
igiene (l�unico titolo che giustifichi l�intervento dello Stato) proclamata la libert� assoluta nel-
l'esercizio farmaceutico, ed esser permesso di conseguenza ad ogni cittadino munito di diploma 
universitario di farmacista di esercitare, se lo voglia ed aprire dove lo creda una farmacia?�. 
(8) Per un�analisi pi� ampia degli effetti della legge Crispi in materia farmaceutica, a pochi anni 
dalla sua entrata in vigore, cfr. C. LESSONA, La questione delle farmacie (articoli 26 e 68 Leggi sanitarie), 
Torino, 1893. L�Autore analizza con singolare lucidit� le difficolt� connesse all�introduzione del principio 
del libero esercizio delle farmacie. Il testo completo dell�opera � consultabile al seguente link: 


https://archive.org/stream/laquestionedell00lessgoog/laquestionedell00lessgoog_djvu.txt. 

(9) G. MONTEMARTINI, Municipalizzazione dei pubblici servigi, in Giornale degli Economisti, 
Serie Seconda, vol. 24, 1902, p. 356: �Vogliamo oggi parlare di una forma di municipalizzazione, che 
con grande meraviglia non vediamo accennata nell�enumerazione dimostrativa dei diversi casi di esercizio 
diretto dei pubblici servigi, che si fa all�art. 1 del Progetto Giolitti. Non si capisce come la municipalizzazione 
delle farmacie non sia stata ritenuta (�) da ricordarsi segnatamente in un progetto di 
legge; quando si pensi alle questioni cui ha data luogo l�industria farmaceutica, ed ai tentativi che sono 
stati fatti in Italia e all�Estero, per l�esercizio diretto municipale di tale industria�. 
(10) Il percorso che ha condotto all�adozione della legge n. 103 del 29 marzo 1903 � stato studiato 
approfonditamente da R. FRANCO, Il dibattito sui servizi pubblici e le municipalizzazioni alla fine del 
XIX secolo, in Storia urbana, 1982; cfr. anche G. PISCHEL, La municipalizzazione in Italia, ieri, oggi e 
domani, Roma, 1965; G. BOZZI, voce Municipalizzazione dei servizi pubblici, in Enciclopedia del diritto, 
vol. XXVII, Milano, 1977. 
(11) Al dibattito parlamentare che ha preceduto la legge n. 103/1903 accenna anche G. PALLIGGIANO, 
L�evoluzione legislativa della gestione dei servizi pubblici locali dalla legge Giolitti al Testo 
unico degli enti locali,in Atti del Convegno la riforma dei servizi pubblici locali di rilevanza economica 


-Vallo della Lucania 26 giugno 2009, in www.giustizia-amministrativa.it. L�Autore, inter alia, ricorda 
che, mediante la municipalizzazione, si intendeva dare �una risposta efficace alla crescente intensificazione 
della vita urbana, legata non solo al progressivo ingrandimento della citt�, ma alla moltiplicazione 
dei bisogni collettivi a cui occorreva dare riscontro con mezzi sociali�. 


nella forma di tariffe minori e in parte come entrata aggiuntiva per le finanze 
comunali (12). 

Sebbene i singoli regimi di privativa fossero, nel merito, giustificati per 
lo pi� in base a ragioni di igiene e salute pubblica o di tutela della fede negli 
scambi (13), probabilmente anche in considerazione della ratio della vigente 
legge Crispi, si ritenne che il servizio farmaceutico non fosse annoverabile tra 
quelli municipalizzabili (14). 

A distanza di dieci anni, nel 1913, con la legge n. 468, voluta dallo stesso 
Giolitti, si afferm� il principio che l�assistenza farmaceutica alla popolazione, 
e quindi l�esercizio della farmacia, fosse un�attivit� primaria dello Stato, esercitata 
direttamente dallo stesso attraverso i Comuni, oppure delegata ai privati 
in regime di concessione governativa. Tale scelta fu dettata anche dalla ritenuta 
opportunit� di introdurre un elemento concorrenziale nel mercato per contenere 
i prezzi praticati dalle farmacie private (15); al contempo, attraverso la 
programmazione e l�introduzione della pianta organica, si punt� ad assicurare 
la distribuzione dei medicinali anche in zone scarsamente redditizie, non allettanti 
per i privati (16). 

In effetti, di l� a qualche anno, l��impianto ed esercizio di farmacie� fu inserito 
nell�articolo 1, n. 6, del r.d. n. 2578 del 15 ottobre 1925, contenente il Testo 
Unico sull�assunzione diretta dei pubblici servizi da parte dei Comuni e delle 
Province, che, per decenni, ha costituito il testo di riferimento della materia. 

(12) Tuttavia, la sottrazione ai privati dei servizi pubblici fu assai onerosa per le finanze dello 
Stato. Del resto, gi� nel corso del dibattito parlamentare erano state lucidamente enucleate le possibili 
derive negative delle municipalizzazioni. In particolare, nella Commissione della Camera dei deputati 
si prefigurava il seguente scenario: �nelle aziende municipalizzate far� difetto l�elemento tecnico, se 
non nella direzione, certamente negli uffici di controllo; abbonder�, invece, l�intrusione dei politicastri, 
degli arruffoni, dei cercatori di impieghi, che, famelici, si butteranno addosso ai nuovi istituti, cercando 
di trasfondere tutti i germi malefici onde � inquinato, cos� spesso, il torbido sottosuolo della vita locale. 
Si moltiplicheranno gli impiegati e i salariati, che saranno molesti, non solo per il loro grande numero, 
non necessario, ma, peggio, per l�indole loro: elettori tutti, e pretenziosi, e magnificanti la propria supposta 
qualit� di pubblici funzionari, aspireranno a continue promozioni, e premeranno sul municipio, 
col perso della loro organizzazione, volta a privato tornaconto e, per ci� stesso, a pubblico nocumento�. 
Prevalse, tuttavia, l�opinione di chi in Parlamento sostenne che �quando anche l�impresa non dovesse 
essere redditizia, e persino fosse passiva, vi sarebbe sufficiente compenso, nel maggiore e migliore servizio 
reso al pubblico�. I lavori preparatori della legge n. 103/1903 si trovano raccolti in ANIDEL, Municipalizzazione 
dei pubblici servizi, Roma, 1961. 
(13) Cfr. C. MEZZANOTTE, Municipalizzazione dei servizi pubblici, Milano, 1905. 


(14) Probabilmente, ci� avvenne anche perch� la gestione municipale era vista come l�unica soluzione 
praticabile nelle sole ipotesi in cui non fosse possibile creare la concorrenza tra privati e tale 
ipotesi non riguardava le farmacie, almeno nei centri con maggiore densit� di popolazione. 
(15) P. NOVELLI, L. VENTURINI, La responsabilit� amministrativa di fronte all�evoluzione delle 
pubbliche amministrazioni e al diritto della societ�, Milano, 2008. 
Sul tema della municipalizzazione del servizio farmaceutico, cfr. A. MARAZZA, Convegno di studi sulle 
farmacie comunali e sulle aziende farmaceutiche municipalizzate, Roma, 1954. 
(16) M. DELSIGNORE, Il contingentamento dell�iniziativa economica. Il caso non unico delle farmacie 
aperte al pubblico, Milano, 2011. 



DOTTRINA 299 

Peraltro, l�istituzione di nuove farmacie comunali non fu prevista dal 
Testo Unico delle Leggi Sanitarie del 1934 (17), che riconobbe comunque il 
diritto dei Comuni a continuare l�esercizio delle farmacie esistenti (18). 

L�istituzione di tali farmacie fu nuovamente ammessa dopo il secondo 
conflitto mondiale, con la legge n. 530 del 1947 (19). 

A distanza di un ventennio, la legge n. 475 del 1968, cd. legge Mariotti, 
riordin� la materia, prevedendo - tra l�altro - all�articolo 9, comma 1, la possibilit� 
per il Comune di assumere in gestione, secondo le norme stabilite dal 
citato r.d. del 1925, met� delle farmacie vacanti o di nuova istituzione risultanti 
dalla revisione della pianta organica. 

Successivamente, la legge n. 142 del 1990, contenente il nuovo ordinamento 
delle autonomie locali, all�articolo 64, comma 2, dispose l�abrogazione 
di tutte le disposizioni con essa incompatibili. Di conseguenza, al settore delle 
farmacie avrebbero dovuto applicarsi le forme di gestione previste dall�art. 
22, comma 3, della stessa legge n. 142, che sostitu� quelle indicate dal citato 

r.d. del 1925, disponendo, in particolare, che i Comuni e le Province potessero 
gestire i servizi pubblici nei seguenti modi: in economia, in concessione a 
terzi, a mezzo di azienda speciale (per la gestione di servizi di rilevanza economica 
ed imprenditoriale), a mezzo di istituzione (per l�esercizio di servizi 
sociali senza rilevanza imprenditoriale); a mezzo di societ� per azioni a prevalente 
capitale pubblico locale (20). 

Di l� a poco, l�articolo 10 della legge n. 362 del 1991, sostituendo il 
comma 1 dell�articolo 9 della citata legge Mariotti, nel confermare il diritto 
dei Comuni ad assumere la titolarit� della met� delle farmacie disponibili, ha 
precisato che �le farmacie di cui sono titolari i Comuni possono essere gestite, 
ai sensi della legge 8 giugno 1990, n. 142, nelle seguenti forme: 
a) in economia; 
b) a mezzo di azienda speciale; 
c) a mezzo di consorzi tra Comuni per la gestione delle farmacie di cui sono 
unici titolari; 

(17) Il Testo Unico fu approvato con r.d. 27 luglio 1934, n. 1265. 
In proposito � importante riflettere sulla circostanza che il coevo regio decreto 3 marzo del 1934, n. 383 
dequalific� i Comuni e le Province, definendoli �enti ausiliari� dello Stato ed attestando �il principio 
della subordinazione di ogni interesse dell�individuo e delle collettivit� minori al supremo interesse 
dello Stato�. Cfr. La Legislazione fascista 1929-1934 (VII-XII), Camera dei Deputati-Senato del Regno, 
Roma, 1934, p. 138. 
(18) In quegli anni, entr� in vigore anche il Regolamento per il servizio farmaceutico, approvato 
con il regio decreto 30 settembre 1938, n. 1706. 
(19) Sul punto cfr. P. PIRONDINI, V. PICCIRINI, Le farmacie comunali: profilo storico-giuridico, 
funzione sociale, poteri e facolt� di Comuni: schemi di deliberazione e di regolamenti per la istituzione 
e la gestione, Roma, 1958. 
(20) Sulla disciplina vigente negli anni �90 cfr. F. MASTRAGOSTINO, I servizi pubblici in concessione 
ed il servizio farmaceutico, in Sanit� pubblica, 1995, p. 424 e ss.; G. ACQUARONE, Le forme di gestione 
delle farmacie comunali, in Dir. Amm., 1998, p. 307 e ss. 



d) a mezzo di societ� di capitali costituite tra il Comune e i farmacisti che, al 
momento della costituzione della societ�, prestino servizio presso farmacie di 
cui il Comune abbia la titolarit��. 

Non era chiaro, peraltro, il significato della clausola di rinvio alla legge 
del 1990; sembrava, infatti, che il riferimento alla forma della societ� per azioni 
a prevalente capitale pubblico aperta alla partecipazione di soggetti pubblici o 
privati per la gestione dei servizi pubblici locali - art. 22, comma 3, lett. e), 
legge n. 142/1990 - fosse stato sostituito, nel testo della legge Mariotti, dalla 
previsione di societ� di capitali costituite tra i Comuni e i soli farmacisti in servizio 
presso le medesime farmacie all�atto della costituzione della societ�. 

Peraltro, con la legge n. 498 del 1992, il legislatore ha ampliato la platea dei 
soggetti abilitati a partecipare alle societ� di capitali di cui alla lettera d), consentendo 
espressamente agli Enti locali di costituire, per l�esercizio di servizi pubblici, 
apposite societ� per azioni, senza il vincolo della propriet� maggioritaria. 

Viceversa - va sin d�ora evidenziato -, la legge Mariotti, anche nel testo 
riformato negli anni �90, non contiene alcun esplicito e specifico riferimento 
alla possibilit� di affidare il servizio in concessione a terzi. 

3. L�evoluzione della disciplina delle modalit� di affidamento dei servizi pubblici 
locali a rilevanza economica e il controverso rinvio alla legge speciale 
del 1968. 

3.1 Il T.U.E.L. e i primi tentativi di liberalizzazione del settore. 

ComՏ noto, la disciplina delle modalit� di affidamento dei servizi pubblici 
locali contenuta nell�art. 22 della legge del 1990 ha conosciuto una profonda 
evoluzione: il suo disposto � stato trasfuso nell�art. 113 del d.lgs. n. 267 
del 2000, �Testo Unico delle leggi sull�ordinamento degli Enti locali�, e poi 
innovato dalla legge n. 448 del 2001 e dal d.l. n. 223 del 2006 (21). 

Tali modifiche normative hanno riproposto i vecchi dubbi, ingenerando, 
al contempo, nuovi interrogativi in ordine alla natura da attribuire al rinvio 
contenuto nell�articolo 9 della legge Mariotti all�art. 22 della legge del 1990. 

Secondo un�opinione (22), tale rinvio non avrebbe alcun valore dispositivo, 
dal momento che, se avesse inteso estendere anche alle farmacie pubbliche 
le forme gestionali previste dalla legge del 1990, il legislatore del 1991 
avrebbe dovuto riprendere il rimando alla legge quadro operato dal testo originario 
dell�art. 9 della legge Mariotti. 

A parere di altra parte della dottrina e della giurisprudenza dell�epoca, invece, 
sebbene il rinvio operato alla legge sugli Enti locali dal citato articolo 9 

(21) Convertito con modificazioni in l. 4 agosto 2006, n. 248. 

(22) C. BRAMBILLA, Riflessioni sulle forme di gestione delle farmacie comunali, in Azienditalia, 
2005, n. 5, p. 336; l�Autore sottolinea come il richiamo alla legge n. 142 del 1990 sia posto in un inciso 
(tra due virgole) di nessun valore dispositivo. 


DOTTRINA 301 

non sia tale da qualificare come �locale� il servizio pubblico farmaceutico 
svolto dai Comuni, avrebbe comunque l�effetto di richiamare la disciplina 
delle forme di gestione dei servizi pubblici locali cos� come contenuta nella 
legge del 1990 (23). 

Infine, secondo una diversa prospettiva, proprio il richiamo alla legge del 
1990, avrebbe dovuto indurre ad inquadrare il servizio erogato dalle farmacie 
comunali nell�alveo dei servizi pubblici locali (24), quei servizi cio� che hanno 
lo scopo di soddisfare i bisogni fondamentali delle collettivit� locali (25). 

(23) D. DE GRAZIA, E. MENICHETTI, Il �servizio farmaceutico� e le forme di gestione delle farmacie 
comunali tra riforma dei servizi pubblici locali e nuovo titolo V della costituzione, in Sanit� pubblica 
e privata, n. 7-8, 2003, p. 809. Il servizio erogato dalle farmacie comunali costituisce, a parere 
degli Autori, �un aspetto del complessivo servizio sanitario regionale�. 
(24) Per una ricostruzione del dibattito dell�epoca cfr. ex multis, D. DE GRAZIA, E. MENICHETTI, 
Il �servizio farmaceutico� e le forme di gestione delle farmacie comunali tra riforma dei servizi pubblici 
e nuovo Titolo V della Costituzione, cit., p. 793 e ss. 
Per quanto concerne, pi� in generale, la qualificazione del servizio farmaceutico come servizio pubblico, 
si consideri che l�art. 33 del d.lgs. n. 80 del 1998 assegn� alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo 
tutte le controversie in materia di servizi pubblici, ivi compreso il servizio farmaceutico. 
In dottrina, sul punto, cfr. L. IANNOTTA, L�assistenza farmaceutica come servizio pubblico, in Servizi 
pubblici e appalti, I, 2003, p. 49 e ss.; F. MASTRAGOSTINO, La disciplina delle farmacie comunali tra 
normativa generale sui servizi pubblici e normativa di settore, in D. DE PRETIS, La gestione delle farmacie 
comunali: modelli e problemi giuridici, Quaderni del Dipartimento di Scienze Giuridiche, Trento, 
2006, p. 5 e ss. 
In giurisprudenza, qualificano chiaramente il servizio farmaceutico come servizio pubblico: Cons. St., 
Ad. Plen., ordinanza 30 marzo 2000 n. 1, in www.diritto.it; T.A.R. Toscana, Firenze, 17 dicembre 2003, 
n. 6057, in Foro Amm.-Tar, 2004, p. 674; T.A.R. Campania, Salerno, 22 febbraio 2006, n. 198, in Foro 
Amm.-Tar, 2006, p. 710. 
Anche la Corte dei conti (cfr. sez. reg. di controllo per la Puglia, parere del 27 febbraio 2008, n. 3, in 
www.corteconti.it) ha chiarito che l�attivit� di gestione delle farmacie comunali ҏ esercizio di un pubblico 
servizio trattandosi, in particolare, di un�attivit� rivolta a fini sociali, secondo il disposto dell�articolo 112 
del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 che consente agli enti locali, nell�ambito delle rispettive competenze, 
di provvedere alla gestione dei servizi pubblici che abbiano ad oggetto la produzione di beni ed attivit� 
rivolte a realizzare fini sociali ed a promuovere lo sviluppo economico e civile delle comunit� locali�. 
(25) Cfr. ex multis G. DELLA CANANEA, voce Servizi pubblici, in M. CLARICH E G. FONDERICO (a 
cura di), Dizionario di diritto amministrativo, Lavis (Tn), 2007; E. SCOTTI, Servizi pubblici locali, in R. 
BIFULCO, A. CELOTTO E M. OLIVETTI (a cura di), Digesto delle discipline pubblicistiche, Torino, 2012. 
Peraltro, come noto, la dottrina giuspubblicistica italiana ha incontrato notevoli difficolt� ad individuare 
una nozione sufficientemente compiuta di servizio pubblico, soprattutto a causa dell�eterogeneit� degli 
stessi servizi. Non � questa la sede per ripercorrere il lungo dibattito sul tema; ci si limita a citare alcuni 
significativi contributi: F. MERUSI, voce Servizio pubblico, in Nss. D.I., vol. XVII, Torino, 1970; C. FRESA, 
voce Servizio pubblico, in G. GUARINO (a cura di), Dizionario amministrativo, vol. II, Milano, 1983; R.L. 
PERFETTI, Contributo ad una teoria dei pubblici servizi, Padova, 2001. Per alcuni, il servizio pubblico � 
un�attivit� caratterizzata dalla sua riconducibilit� ad un soggetto pubblico titolare, indipendentemente 
dalla natura del soggetto gestore (c.d. teoria soggettiva); per altri, invece, ha natura di servizio pubblico 
qualsiasi attivit� idonea a realizzare una pubblica utilit� (c.d. teoria oggettiva). Non sono mancate, inoltre, 
tesi alternative di chi, abbandonando la tradizionale impostazione dicotomica, ha cercato in altri elementi 
i caratteri qualificanti il servizio pubblico (cc.dd. teorie intermedie) (v., ex multis, le ricostruzioni di R. 
ALESSI, Le prestazioni rese ai privati, Milano, 1956, e di F. ZUELLI, Servizi pubblici ed attivit� imprenditoriale, 
Milano, 1973); cos� come si sono riscontrate opinioni molto pessimistiche sulla possibilit� di individuare 
una nozione definita (significativa al riguardo � l�opinione di F. BENVENUTI, Appunti di diritto 



Ci� premesso, va comunque considerato che tra coloro che ritenevano 
che la ratio del rinvio fosse quella di rimandare alla disciplina generale sui 
servizi pubblici locali non vi era accordo in ordine alla natura - statica o dinamica 
- da attribuire al rinvio medesimo. 

Secondo una tesi, il rinvio non avrebbe potuto essere inteso in senso statico 
(o meramente recettizio) alla disciplina vigente nel 1990 (26), anche perch�, 
diversamente, i Comuni sarebbero stati vincolati alle modalit� di 
affidamento della gestione - in gran parte superate - previste dall�articolo 22 
(27). Viceversa, proprio in ragione della ritenuta dinamicit� del rinvio, si reputava 
pienamente legittima la gestione di una farmacia comunale da parte di 
una societ� di capitali, che, ancorch� non aderente al modello indicato nell�articolo 
9 lett. d) della legge del 1968, avesse i requisiti previsti dalla lettera e) 
dell�art. 22 della legge n. 142/1990 e s.m.i. 

In tal senso si era pronunciata anche la giurisprudenza amministrativa 
(28). In pratica, si riteneva che l�ottica della riformulata legge Mariotti fosse 
quella di chiarire ed estendere il disposto della legge del 1990 (29). Del resto, 
anche facendo leva sulla circostanza che l�art. 9 utilizza il verbo �possono� e 
non �devono�, si sosteneva che il legislatore avesse ampliato il numero dei 
modelli di gestione astrattamente utilizzabili; in definitiva, i modelli elencati 
nell�art. 9 andavano ad aggiungersi, senza escluderli, a quelli previsti in generale 
per i servizi pubblici locali. 

Successivamente, considerato che, a seguito dell�entrata in vigore della 
legge n. 448/2001, il testo dell�articolo 113 T.U.E.L. individuava quale unica 
modalit� di affidamento dei servizi locali con rilevanza industriale l�affida


amministrativo, vol. I, ed. IV, Padova, 1959, p. 202, per il quale, la nozione di servizio pubblico era �una 
espressione priva di valore giuridico esatto e che � mutuata dalla scienza economica�; lo stesso M.S. 
GIANNINI, Profili giuridici della municipalizzazione con particolare riguardo alle aziende, in Riv. Amm., 
1953, p. 614, sottolineava la difficolt� di individuare una nozione condivisa di servizio pubblico, considerando 
che �il pubblico servizio forma oggetto di studio in tre distinte discipline: l�economia, la scienza 
dell�organizzazione, la scienza del diritto�; sul punto, si veda anche M. CLARICH, Manuale di diritto amministrativo, 
Bologna, 2013, p. 370, per il quale �non esiste in definitiva un criterio certo per delimitare, 
rispetto alla normale attivit� d�impresa, la nozione di servizio pubblico che varia storicamente e da contesto 
a contesto e che, in ultima analisi, pone la questione pi� generale dei limiti tra Stato e mercato�). 

(26) S. COLOMBARI, Nuova disciplina dei servizi pubblici locali e farmacie comunali: inderogabilit�, 
integrazione o specialit�?, in D. DE PRETIS (a cura di), La gestione delle farmacie comunali: modelli 
e problemi giuridici, cit. 
(27) A. DE MICHELE, Osservazioni sulle forme di gestione delle farmacie comunali, in Sanit� Pubblica 
e Privata, 2008, p. 102. Per l�Autrice, tale interpretazione risulterebbe inaccettabile anche perch� 
in violazione del principio del tempus regit actum, che impedisce che le norme abrogate siano applicate 
alle nuove fattispecie. 
(28) Cfr. D. DE GRAZIA, E. MENICHETTI, Il �servizio farmaceutico� e le forme di gestione delle 
farmacie comunali tra riforma dei servizi pubblici e nuovo Titolo V della Costituzione, cit. 
(29) Di�chiarificazione estensiva� ha parlato successivamente G. ARONICA, Le modalit� di gestione 
delle farmacie comunali. Prime considerazioni sulla normativa pre e post-referendum 2011, in 
Nuova Rassegna di legislazione, dottrina e giurisprudenza, 2011, n. 15, p. 1501 e ss. 



DOTTRINA 303 

mento a societ� di capitali individuate previo espletamento di procedure ad 
evidenza pubblica, molti sottolinearono l�inconciliabilit� di tale norma con il 
regime di cui all�art. 9 della legge del 1968. 

Parimenti incompatibile con il disposto della legge Mariotti venne, in seguito, 
considerata la versione dell�art. 113, comma 5, d.lgs. n. 267/2000, risultante 
dalla modifica operata dall�articolo 14, comma 1, lett. a), della legge 

n. 326/2003, che cos� recitava: �l�erogazione del servizio avviene secondo le 
discipline di settore e nel rispetto della normativa dell�Unione europea, con 
conferimento della titolarit� del servizio: a) a societ� di capitali individuate 
attraverso l�espletamento di gare con procedure ad evidenza pubblica; b) a 
societ� a capitale misto pubblico-privato nelle quali il socio privato venga 
scelto attraverso l�espletamento di gare con procedure ad evidenza pubblica 
(�); c) a societ� a capitale interamente pubblico a condizione che l�ente o 
gli enti pubblici titolari del capitale sociale esercitino sulla societ� un controllo 
analogo a quello esercitato sui propri servizi e che la societ� realizzi la 
parte pi� importante della propria attivit� con l�ente o gli enti pubblici che la 
controllano� (30). 

E la circostanza che il comma 1 dell�art. 113 definisse tali norme �inderogabili 
ed integrative delle discipline di settore� spinse una parte della giurisprudenza 
a sostenere che lo stesso articolo 113 avrebbe regolato l�intera 
materia delle forme giuridiche di erogazione dei servizi pubblici locali, determinando 
l�abrogazione delle leggi anteriori che disciplinavano modelli di gestione 
di singoli servizi, come l�articolo 9 della l. n. 475 del 1968 (31). 

3.2 L�art. 23 bis del d.l. n. 112/08 e l�esclusione dall�ambito di applicazione 
del servizio farmaceutico. 

Successivamente, la materia dei servizi pubblici locali di rilevanza economica 
� stata oggetto della significativa riforma operata dall�art. 23 bis del 
decreto legge n. 112/08, conv. in legge n. 133/08 e modificato dal d.l. n. 135/09 
(32), che, nell�ambito della manovra economica triennale per la stabilizzazione 
dei conti pubblici ed il rilancio dell�economia, ha abrogato l�art. 113 del T.U. 
Enti Locali, per la parte incompatibile con la nuova disciplina (comma 11) (33). 

Il citato art. 23 bis si applicava ai servizi pubblici locali �di rilevanza 

(30) In pratica, il modello generale di affidamento era quello della gara, da espletare in conformit� 
alle disposizioni comunitarie, ai criteri previsti dal comma 7 dell�articolo 113 d.lgs. n. 267/2000. 
(31) In tal senso, Cons. Stato, sez. V, 8 maggio 2007, n. 2110, in Foro Amm.-CdS, 2007, p. 1501 e ss. 
In generale, sugli orientamenti giurisprudenziali in materia cfr. sul punto B.R. NICOLOSO, La gestione 
societaria delle farmacie comunali nella giurisprudenza dopo il T.U. n. 267/00, in Ragiusan, 2007. 
(32) Convertito in legge n. 166 del 20 novembre 2009. Per un commento alle norme de quo, cfr. 
ex multis D. AGUS, I servizi pubblici e la concorrenza, in Giorn. dir. amm., 2010, n. 5, p. 464 e ss. 
(33) Sulla portata della riforma introdotta dall�art. 23 bis del d.l. n. 112/2008, cfr. ex multis G. DI 
GASPARE, Servizi pubblici locali in trasformazione, II ed., Milano, 2010. 



economica�, locuzione questa pi� ampia dell�aggettivo �industriale�, gi� utilizzato 
dall�art. 113 del d.lgs. n. 267/00 e poi �rimosso� in considerazione della 
necessit� di sottoporre a concorrenza tutti i servizi, anche non meramente industriali, 
suscettibili di valutazione economica. 

In proposito, non sembra superfluo soffermarsi ad evidenziare che l�individuazione 
del discrimen tra ci� che � di rilevanza economica e ci� che invece 
ne � privo � rimessa all�interprete, che di fatto riconduce alla prima 
categoria i servizi che richiedono una rilevante organizzazione di uomini e 
mezzi, l�impegno di capitali e un complesso processo di gestione (34). 

Anche l�Autorit� garante della concorrenza e del mercato (35) ha definito 
�servizi pubblici locali di rilevanza economica� tutti quelli aventi ad oggetto 
la produzione di beni ed attivit� rivolte a realizzare fini sociali e a promuovere 
lo sviluppo economico e civile delle comunit� locali, con esclusione dei servizi 
sociali privi di carattere imprenditoriale. 

Pertanto, in ragione del carattere imprenditoriale dell�attivit� e dell�organizzazione, 
della sussistenza di un rischio e della capacit� in astratto di produrre 
un reddito di impresa, il servizio farmaceutico, a parere di molti (36), 
rientra tra i servizi pubblici a rilevanza economica (37). In effetti, la giurisprudenza 
della Corte di Giustizia dell�Unione Europea e del Consiglio di Stato 
ha dimostrato che anche un servizio sociale o con connotati di tipo sociale come 
l�assistenza farmaceutica (38) - pu� essere inquadrato tra i servizi a rilevanza 
economica, con ci� che ne consegue sul piano dell�applicazione delle 

(34) Sul punto, cfr. Cons. Stato, sez. V, 6 maggio 2003, n. 2380, in Cons. Stato, 2003, p. 2380. 

(35) Comunicazione sull�applicazione dell�art. 23 bis, comma 3, del decreto legge n. 112/2008 
convertito in legge n. 133/2008 relativo all�affidamento in house dei servizi pubblici locali di rilevanza 
economica. 
(36) In senso difforme, cfr. C. BRAMBILLA, Riflessioni sulle forme di gestione delle farmacie comunali, 
cit., p. 341. 
(37) A. VIGNERI, La riforma di servizi pubblici locali, in A. VIGNERI, C. DE VINCENTI, I servizi 
pubblici locali tra riforma e referendum, Santarcangelo di Romagna, 2011, p. 74; A. DE VITA, Privatizzazione 
delle farmacie comunali e tutela del diritto alla salute, in Sanit� pubblica, 2006, n. 1, p. 21; F. 
MASTRAOGOSTINO, La disciplina delle farmacie comunali tra normativa generale sui servizi pubblici e 
normativa di settore, cit. 
Per la ricostruzione del dibattito in ordine alla rilevanza economica dei servizi pubblici e del servizio 
farmaceutico in particolare, cfr. J. BERCELLI, L�attivit� consultiva dell�AGCM sull�affidamento in house 
dei servizi pubblici locali di rilevanza economica: il caso delle farmacie comunali, in Sanit� Pubblica 
e Privata, 2009, n. 6. 
In giurisprudenza, cfr. T.A.R. Campania, Salerno, sez. I, 22 febbraio 2006, n. 198, cit. 
(38) Cfr. U. POTOTSCHING, I pubblici servizi, Padova, 1964. L�Autore, nel fare riferimento alle 
ipotesi in cui l�ordinamento giuridico sottrae al privato la disponibilit� dei �fini� della propria attivit� 
economica, accenna alla disciplina in vigore per l�apertura e l�esercizio delle farmacie, sottolineando 
che i fini perseguiti in tale caso sono �sociali� in quanto riguardano ugualmente tutti i soggetti dell�ordinamento: 
�il richiamo posto dalle norme in materia alle �esigenze� (art. 104, T.U. 27 luglio 1934, n. 
1265), ai �bisogni� (art. 116), alle �necessit�� (art. 109) dell�assistenza farmaceutica locale dice chiaramente 
come i fini che presiedono all�attivit� siano sottratti alla libera valutazione degli operatori che 
agiscono nel settore�, p. 226. 



DOTTRINA 305 

norme europee e nazionali in materia di tutela della concorrenza tra operatori 
economici (39)(40). 

Del resto, comՏ stato affermato da autorevole dottrina, nelle farmacie pubbliche 
e private - � rinvenibile una �doppia vocazione� dell�attivit� svolta, 
identificabile �nell�attivit� economica tout court e nell�attivit� di pubblico 
servizio� (41); tale circostanza ha indotto a ritenere che �gli esercizi farmaceutici 
sono retti da un ordinamento peculiare, nel quale coesistono tratti di 
libera impresa e tratti di servizio pubblico regolamentato� (42). 

Tutto ci� premesso, occorre considerare che il comma 2 del citato articolo 
23 bis disponeva che il conferimento della gestione dei servizi pubblici locali 
avvenisse, in via ordinaria, a favore di imprenditori o di societ� in qualunque 
forma costituite individuati mediante procedure competitive ad evidenza pubblica, 
�nel rispetto dei principi del Trattato che istituisce la Comunit� europea 
e dei principi generali relativi ai contratti pubblici�. 

Il successivo comma 3 introduceva una deroga alle modalit� di affidamento 
ordinario, in �situazioni che, a causa di peculiari caratteristiche economiche, 
sociali, ambientali e geomorfologiche del contesto territoriale di 
riferimento, non permettono un efficace e utile ricorso al mercato�: in tali 
ipotesi, si sarebbe potuto utilizzare lo strumento dell�in house, nel rispetto dei 
principi stabiliti dalla Corte di Lussemburgo. L�ente affidante era tenuto a dare 
adeguata pubblicit� alla scelta, motivandola in base ad un�analisi del mercato 
e trasmettendo contestualmente una relazione contenente gli esiti della predetta 
verifica all�Autorit� garante della concorrenza e del mercato, per l�acquisizione 
del relativo parere sui profili di competenza. 

Va, peraltro, considerato - ai fini della presente indagine - che, se � vero 
che il comma 1 dell�art. 23 bis stabiliva che le disposizioni contenute nella 
norma si applicassero ai servizi pubblici locali, prevalendo sulle discipline di 

(39) Sul punto, cfr. G.F. CARTEI, Servizi sociali e regole di concorrenza, in Riv. It. Dir. Pubbl. 
Com., 2007, 3-4, p. 627 ss.; F. MANISCALCO, Alcune considerazioni sull�affidamento dei servizi sociali 
a rilevanza economica, in Foro Amm. CdS, 2007, 3, p. 960 e ss. 
(40) Si consideri che, secondo una parte della dottrina, in linea di principio, sarebbero �servizi a 
rilevanza economica, quelli non riconducibili ai cd. servizi sociali, vale a dire a quei servizi che, per la 
loro peculiare natura ed inerenza ai bisogni primari dell�individuo, consentono una disciplina speciale 
e derogatoria rispetto alle regole della concorrenza. Si tratta, peraltro, di una distinzione legata all�elemento 
teleologico piuttosto che al tipo di attivit� e che non ne giustifica una assoluta identificazione 
con i servizi privi di rilevanza economica. Anche il servizio sociale, infatti potrebbe essere gestito in 
forma di impresa ma essere sottratto, in ragione delle esigenze che � chiamato a soddisfare, alle regole 
del mercato; d�altro canto, potrebbero esistere servizi privi di rilevanza economica ma che non appartengano 
al genus dei servizi sociali�. Cfr. F. FIGORILLI, I servizi pubblici, in F.G. SCOCA (a cura di), Diritto 
Amministrativo, Torino, 2014. 
(41) D. DE GRAZIA, E. MENICHETTI, Il �servizio farmaceutico� e le forme di gestione delle farmacie 
comunali tra riforma dei servizi pubblici locali e nuovo titolo V della costituzione, cit., p. 784. 
(42) T.A.R. Umbria, 16 febbraio 2000, n. 142, in Rass. giur. umbra, 2001, p. 574; la sentenza � richiamata 
da T.A.R. Campania, Napoli, sez. V, 1 giugno 2011, n. 2939, in www.amministrazioneincammino.luiss.it. 



settore incompatibili (43), al contempo, il testo dell�art. 23 bis, cos� come novellato 
nel 2009, precisava: �sono fatte salve (�) le disposizioni della l. n. 
475 del 1968, relativamente alla gestione delle farmacie comunali�. 

Il rimando apparentemente chiaro alla legge Mariotti imponeva una non 
semplice riflessione sulle modalit� di gestione delle farmacie comunali che 
avrebbero potuto essere concretamente utilizzate, a causa della stratificazione 
storica di norme positive (44). 

In particolare, da un lato, vi era chi sosteneva che la salvezza avesse inteso 
limitare la portata dell�art. 23 bis, che - viceversa - avrebbe dovuto applicarsi 
anche alle farmacie comunali, in quanto esercenti un servizio pubblico locale 
(45); dall�altro lato, vi era chi affermava che la clausola andasse letta nel senso 
dell�esclusione dall�alveo dei servizi pubblici locali del servizio farmaceutico. 
Quest�ultima prospettiva sembrava coerente con la circostanza che anche gli 
altri servizi esclusi dall�alveo di applicazione dell�art. 23 bis non hanno natura 
di servizi pubblici locali; si pensi, ad esempio, alla distribuzione dell�energia 
elettrica, che viene svolta sulla base di una concessione ministeriale, o al servizio 
di trasporto ferroviario regionale (46). 

Vi era, infine, chi sosteneva che la disciplina dell�art. 9 della l. n. 475/1968 
si ponesse in termini di complementariet� rispetto alla normativa sulla gestione 
dei servizi pubblici locali (47). Parte della dottrina sosteneva, infatti, che la 
clausola di salvezza della legge Mariotti non precludesse affatto agli Enti locali 
di scegliere soluzioni organizzative diverse da quelle �tradizionali�, come ad 
esempio la concessione a terzi, la societ� in house nonch� quella mista con 
soci differenti dai farmacisti gi� dipendenti comunali (48). 

3.3. Il dibattito odierno sulla natura del servizio farmaceutico. 

Il dibattito in ordine alla natura del servizio farmaceutico non si � tuttora 
sopito. 

(43) Sul piano sistematico, va osservato che una riforma di cos� ampia portata � stata introdotta 
con una norma �extravagante� non essendo stato modificato il T.U. Enti Locali, come era consigliabile. 
R. DE NICTOLIS, La riforma dei servizi pubblici locali, in Urbanistica e appalti, 10/2008, p. 1109. L�Autrice 
sottolinea, tra l�altro, come il rapporto di compatibilit�-incompatibilit� sia tutt�altro che chiaro. 
Cfr. anche L. ARNAUDO, I servizi pubblici, l�antitrust e l�articolo 23-bis. Bandoli di un imbroglio, in 
Mercato conc. reg., 2009, p. 355 e ss. 
(44) La stratificazione normativa interessa, in realt�, l�intero regime delle farmacie e non � fenomeno 
nuovo se si pensa che M.S. Giannini ebbe a sottolineare questa problematica gi� negli anni �60 del secolo 
scorso. Cfr. M.S. GIANNINI, Le farmacie (problemi generali), in Rass. Amm. della Sanit�, 1963. 
(45) T.A.R. Lombardia, Milano, sez. III, 23 aprile 2009, n. 3567, in Foro Amm.-Tar, 2009. 
(46) Tale interpretazione � stata ribadita anche da T.A.R. Puglia, Lecce, sez. II, 14 maggio 2010, 




n. 1134, in www.amministrativamente.com. 
(47) B.R. NICOLOSO, L. GIORDANI, I moduli di gestione delle farmacie comunali, Napoli, 2008. 


(48) S. COLOMBARI, La specialit� della disciplina amministrativa sulle farmacie comunali, cit. 
Contra, la F.O.F.I. (Federazione Ordini Farmacisti Italiani) nella circolare n. 7460 del 24 novembre 
2009, ha affermato il carattere esclusivo delle modalit� di gestione previste dall�art. 9. 



DOTTRINA 307 

Per comprendere i termini della questione, non meramente teorica, � bene 
chiarire che per �titolarit�� del servizio pubblico si intende la pertinenza istituzionale 
dello stesso ad una determinata Amministrazione Pubblica: essa discende 
dalla legge che lo istituisce e/o ne affida la cura ad una specifica 
Amministrazione (49). 

Nel caso del servizio farmaceutico, non � semplice definire a chi spetti 
tale titolarit�, in quanto la legge non si limita ad individuare i moduli gestori 
che l�ente interessato potrebbe utilizzare, ma subordina lo svolgimento del-
l�attivit� alla sottoscrizione di una convenzione con un soggetto pubblico ulteriore 
e ad un apposito provvedimento di autorizzazione all�apertura e 
all�esercizio della farmacia. 

Orbene, proprio in ragione dell�obbligo della autorizzazione non sarebbe 
corretto - ai fini dell�identificazione del soggetto titolare del servizio farmaceutico 
nel caso delle farmacie comunali - soffermarsi sulla sola circostanza 
che spetti al Comune, che abbia esercitato il diritto di prelazione, scegliere in 
concreto la forma di gestione (50). 

In effetti, secondo una parte della dottrina la titolarit� del servizio farmaceutico 
appartiene alla Regione per il tramite delle Aziende Sanitarie Locali, 
che ne costituiscono ente strumentale (51). Anche nel caso delle farmacie comunali, 
sebbene sia gestito tramite un�organizzazione di cui � titolare il Comune, 
il servizio farmaceutico, secondo tale visione, �dovrebbe essere 
annoverato alla stregua di un servizio pubblico in titolarit� generale, anzich� 
un servizio pubblico locale� (52). 

La responsabilit� del servizio sarebbe in capo alla Regione, avendo il Comune 
semplicemente la facolt� di esercitare il diritto di prelazione sulle farmacie 
che si rendano vacanti ovvero su quelle che vengano istituite a seguito della 
revisione della pianta organica; tantՏ vero che il Comune, nel rispetto dei modi 
previsti dall�art. 12 della legge n. 475 del 1968, potrebbe anche trasferire a terzi 
la titolarit� della farmacia comunale che abbia in precedenza assunto. 

Le farmacie comunali assumerebbero la natura di presidio sanitario di 
base (articolo 28, l. n. 833 del 1978), traendo il diritto di esercizio non dal-
l�Ente locale, ma da una concessione o autorizzazione rilasciata dal Servizio 
Sanitario Nazionale, tramite la Regione (53). 

(49) G. CAIA, I Servizi pubblici, in AA.VV., Diritto Amministrativo, Bologna, 2005. 
(50) S. COLOMBARI, La specialit� della disciplina amministrativa sulle farmacie comunali, cit., p. 425. 


(51) F. MASTRAGOSTINO, La disciplina delle farmacie comunali tra normativa generale sui servizi 
pubblici e normativa di settore, in D. DE PRETIS (a cura di), La gestione delle farmacie comunali: modelli 
e problemi giuridici, cit. 
(52) A. SANTUARI, Le forme di gestione delle farmacie comunali, in particolare sul divieto di concessione 
a terzi, in www.osservatorioappalti.unitn.it. 
(53) C. BRAMBILLA, Riflessioni sulle forme di gestione delle farmacie comunali, cit., p. 335; cfr. 
anche A. SANTUARI, Il servizio farmaceutico: dal contesto UE al recente �pacchetto liberalizzazioni�, 
in www.giustamm.it, 2012. 



In senso conforme, una parte della giurisprudenza, ha affermato che �la 
gestione delle farmacie comunali da parte degli Enti locali deve considerarsi 
realizzata �in nome e per conto� del Servizio Sanitario Nazionale, come tale 
non essendo riconducibile n� all�ambito dei servizi di interesse generale nella 
definizione comunitaria, n� alla disciplina sui servizi pubblici locali secondo 
l�ordinamento italiano; piuttosto deve ritenersi che l�attivit� di gestione delle 
farmacie comunali costituisca esercizio di un servizio pubblico, trattandosi di 
un�attivit� rivolta a fini sociali ai sensi dell�art. 112 del d.lgs. n. 267 del 2000 
il quale consente agli Enti locali, nell�ambito delle rispettive competenze, di 
provvedere alla gestione dei servizi pubblici che abbiano ad oggetto la produzione 
di beni ed attivit� rivolte a realizzare fini sociali ed a promuovere lo 
sviluppo economico e civile delle comunit� locali� (54). 

Peraltro, non vi � unanimit� di vedute (55). 

Basti considerare che il 7 dicembre 2010 � stata presentata un�interrogazione 
parlamentare dal sen. D�Ambrosio Lettieri, con la quale si � evidenziata la notevole 
diversit� di soluzioni gestionali adottate nei diversi contesti locali (56). 

Inoltre, parte della giurisprudenza amministrativa sostiene che il servizio 
farmaceutico sia annoverabile tra i servizi pubblici locali e che a nulla varrebbe 
obiettare che la titolarit� del diritto d�esercizio delle farmacie pianificate sul 
territorio sia in capo alle Regioni, che rilasciano ai Comuni, per il tramite delle 
Aziende Sanitarie Locali, il provvedimento d�accesso, subordinando lo svolgimento 
dell�attivit� alla stipula di un�apposita convenzione (57). 

Dal canto suo, la Corte dei Conti non ha esitato ad identificare il servizio 

(54) T.A.R. Piemonte, sez. II, 14 giugno 2013, n. 767, che rimanda a Corte dei conti, sez. reg. 
controllo Puglia, parere n. 3 del 2008, cit. e a T.A.R. Campania, Napoli, sez. V, n. 699 del 2012 e n. 
2939 del 2011, in www.dirittodeiservizipubblici.it.; Cons. Stato, sez. III, 8 febbraio 2013, n. 729, in 
www.giustizia-amministrativa.it. 
(55) Si rifletta sulla circostanza che inquadrare il servizio delle farmacie comunali nell�ambito del 
servizio sanitario regionale ne implica l�inclusione nell�alveo della competenza legislativa concorrente 
della �tutela della salute� (art. 117, comma 3); in proposito, non sembra superfluo rilevare che la Corte 
costituzionale ha affermato che la �materia� dell�organizzazione del servizio farmaceutico va ricondotta 
a tale titolo di competenza, in ragione del fatto che la complessa regolamentazione dell�attivit� economica 
di rivendita dei farmaci mira ad assicurare e controllare l�accesso dei cittadini ai prodotti medicinali ed 
in tal senso a garantire la tutela del fondamentale diritto alla salute (cfr. sentenza 14 dicembre 2007, n. 
430, in www.cortecostituzionale.it). Pertanto, considerare il servizio de quo alla stregua di un servizio 
pubblico locale potrebbe presentare profili di problematicit�, dal momento che la Corte costituzionale ha 
ricondotto alla materia di competenza esclusiva statale della tutela della concorrenza - lett. e) art. 117, 
comma 2 - l�individuazione delle modalit� di affidamento dei servizi pubblici locali a rilevanza economica 
(cfr. sul punto, tra le altre, Corte cost., 17 novembre 2010, n. 325, in www.cortecostituzionale.it). 
(56) Legislatura 16 Atto di Sindacato Ispettivo n. 4-04237, seduta n. 470, pubblicato il 7 dicembre 
2010. In proposito, sembra opportuno ricordare che l�autore dell�interrogazione � il firmatario (insieme 
al sen. Cursi) dell�emendamento al d.l. n. 135 2009 che ha escluso dall�ambito di applicazione dell�art. 
23 bis le farmacie comunali. 
(57) Cons. Stato, sez. V, 15 febbraio 2007, n. 637 e 8 maggio 2007, n. 2110, consultabile in 
www.giustizia-amministrativa.it; T.A.R. Lombardia, Milano, sez. III, 23 aprile 2009, n. 3567, consultabile 
in Foro Amm.-Tar, 2009, p. 971; T.A.R. Campania, Salerno, sez. I, 22 febbraio 2006, n. 198, cit. 



DOTTRINA 309 

farmaceutico quale �servizio pubblico essenziale, a carattere locale e a tendenziale 
rilevanza economica� (58). 

Inoltre, autorevole dottrina qualifica il servizio svolto dalle farmacie comunali 
�inequivocabilmente� come servizio pubblico locale, sostenendo che 
�una tale natura non pu� essere messa in discussione sulla erronea presupposizione 
che la titolarit� del diritto d�esercizio delle farmacie pianificate sul 
territorio sia ascritta alle Regioni� (59). 

3.4 Il dibattito sul carattere tassativo delle forme di gestione previste dall�art. 
9 all�indomani del referendum, della sentenza n. 199/2012 della Corte costituzionale 
e dei successivi interventi normativi. 

Va, peraltro, considerato che, anche facendo definitivamente chiarezza 
sulla vexata quaestio della natura del servizio offerto dalle farmacie comunali, 
rectius della sua titolarit�, si potrebbe non addivenire ad un accordo sulle modalit� 
di gestione concretamente adottabili dai Comuni. 

In effetti, da un lato, anche ove il servizio delle farmacie comunali fosse 
inquadrato nell�ambito del servizio sanitario di titolarit� regionale potrebbe 
ad esso applicarsi la disciplina delle forme di gestione dei servizi pubblici locali, 
per effetto del rinvio operato dalla legge del 1968. 

Dall�altro lato, anche coloro che qualificano il servizio offerto dalle farmacie 
comunali alla stregua di servizio pubblico locale sono chiamati a sciogliere 
un ulteriore dubbio interpretativo, non essendo chiaro se la disciplina di 
cui alla legge n. 475 del 1968 debba ritenersi applicabile alla gestione delle farmacie 
comunali in via esclusiva piuttosto che in aggiunta alla disciplina generale 
sui servizi pubblici locali o se debba, addirittura, considerarsi implicitamente 
abrogata, in ragione dei principi affermati a livello nazionale ed europeo. 

Nel giugno 2011, a seguito della consultazione referendaria, � stato abrogato 
l�art. 23 bis ed � venuta meno anche la clausola di salvezza della disciplina 
contenuta nella legge Mariotti. 

Pertanto, ove si fosse qualificato - come prima visto - il servizio erogato 
dalle farmacie comunali alla stregua di servizio pubblico di rilevanza economica 
e, dunque, di servizio di interesse economico generale ai sensi dell�art. 106 TFUE, 
allo stesso avrebbe dovuto applicarsi la disciplina europea (60). La Corte costi


(58) Corte dei conti, sezione regionale di controllo per la Regione Lombardia, 657/2011/PAR, in 
www.corteconti.it. In senso conforme, anche la medesima sezione regionale, cfr. deliberazioni n. 
489/2011/PAR, in www.anci.it, n. 195/2009/PAR e n. 196/2009/PA, in www.corteconti.it. 
(59) B.R. NICOLOSO, Da un�apodittica liberalizzazione ad un�acritica razionalizzazione del sistema 
farmacia pianificato sul territorio nelle leggi di stabilit� e di crescita del biennio 2011/2012, in Sanit� pubblica 
e privata, 2012, p. 15; cfr. anche B.R. NICOLOSO, M. TARABUSI, La gestione delle farmacie comunali nel coacervo 
delle leggi di stabilit� e delle leggi di crescita del biennio 2011-2012, in www.giustamm.it, 2012. 
(60) Per un inquadramento generale sui servizi di interesse economico generale, cfr. D. GALLO, I 
servizi di interesse economico generale, Milano, 2011. 



tuzionale (61), nel dichiarare l�ammissibilit� del referendum, aveva infatti chiarito 
che l�esito affermativo dello stesso non avrebbe creato un �vuoto� normativo. 
Pi� specificamente, l�abrogazione referendaria, si sarebbe tradotta: 

-nell�esclusione della reviviscenza delle norme vigenti prima dell�adozione 
del d.l. n. 112/2008 (62); 

-nella sopravvivenza della disciplina abrogata con riguardo ai rapporti 
sorti in precedenza, attesa l�efficacia ex nunc dell�abrogazione; 
-nella permanenza della possibilit� di avvalersi della gara pubblica per 
affidare il servizio in concessione a terzi; 


- nella opportunit� di ricorrere all�affidamento in house, che, pur non essendo 
pi� qualificabile come derogatorio, avrebbe comunque richiesto un�adeguata 
motivazione, attesi i limiti tratteggiati dalla giurisprudenza della Corte 
di giustizia europea (partecipazione pubblica totalitaria, controllo analogo ed 
attivit� prevalente) (63); 

-nell�eliminazione dell�obbligo di addurre la sussistenza di caratteristiche 
economiche, sociali, ambientali e geomorfologiche del contesto di riferimento 
tali da non consentire un efficace ed utile ricorso al mercato, sottoponendo la 
congruit� di tale valutazione al parere dell�Autorit� garante della concorrenza 
e del mercato. 

Peraltro, per i servizi pubblici locali diversi da quello idrico integrato, 
non cՏ stato il tempo per procedere nel senso astrattamente ipotizzato dal 
Giudice delle leggi, in quanto il legislatore italiano, con l�art. 4 d.l. n. 138/2011 
(64), ha sostanzialmente riproposto il regime giuridico contenuto nel prece


(61) Pronuncia del 26 gennaio 2011, n. 24, in www.cortecostituzionale.it. In proposito, si veda A. 
LUCARELLI, Commento alla sentenza n. 24 del 2011, in Giur. Cost., 2/2011 e C.M. AIELLO, La Consulta 
�salva� la riforma dei servizi pubblici locali dalle censure regionali (ma ammette il referendum abrogativo), 
in Corr. Giur., 6/2011, p. 781 e ss. 
(62) In effetti, la Corte costituzionale, nella citata sent. n. 24/2011 (punto 4.2.2. del considerato 
in diritto), ha precisato che all�abrogazione dell�art. 23 bis non sarebbe conseguita �alcuna reviviscenza 
delle norme abrogate da tale articolo (reviviscenza, del resto, costantemente esclusa in simili ipotesi 
dalla giurisprudenza di questa Corte - sentenze n. 31 del 2000 e n. 40 del 1997 -, sia da quella della 
Corte di Cassazione e del Consiglio di Stato)�. Conforme Corte Cost., sent. 26 gennaio 2011, n. 26, in 
www.federalismi.it. Sull�ammissibilit� della reviviscenza di norme abrogate per il tramite del referendum, 
si veda in generale F. PETRINI, La reviviscenza delle norme abrogate, in Nomos, 1/2012. 
(63) Cfr., in proposito, ANCI, Nota interpretativa del 14 giugno 2011, recante Prime osservazioni 
sull�affidamento dei servizi pubblici locali e sulla tariffa del servizio idrico integrato in esito al referendum 
abrogativo del 12 e 13 giugno 2011 ove si afferma: �All�esito del referendum, i Comuni sono pi� liberi di 
scegliere la formula organizzativa che ritengono pi� opportuna, ivi compresa la gara, e sempre in ossequio 
ai principi europei in materia di tutela della concorrenza. I Comuni sono investiti di una nuova �libert� 
responsabile� che responsabilmente utilizzeranno e del cui utilizzo saranno chiamati a rispondere�. 
(64) Convertito in legge n. 148 del 14 settembre 2011. Per un inquadramento generale sulla riforma 
del 2011, cfr. G. PIPERATA, La disciplina dei servizi pubblici locali negli ultimi interventi legislativi 
di stabilit� economica, in Giorn. dir. amm., 2012, n. 1, p. 23 e ss.; M. ALESIO, L�ennesima micro-riforma 
dei servizi pubblici locali: ambizioso tentativo di liberalizzazione o ritorno al passato? in Comuni d�Italia, 
2011, n. 5/6, p. 34 e ss; S. STAIANO, I servizi pubblici locali nel decreto legge n. 138/2011. Esigenze 
di stabile regolazione e conflitto ideologico immaginario, in www.federalismi.it; C. D�ARIES, A. NONINI, 



DOTTRINA 311 

dente quadro normativo. Lo stesso d.l. n. 138/2011 � stato, poi, pi� volte modificato, 
prima dalla legge n. 183/2011 (cd. legge di stabilit� 2012) (65), poi 
dal d.l. n. 1/2012 (cd. decreto liberalizzazioni) (66). 

Va, tuttavia, ricordato che il citato articolo 4 conteneva una clausola di 
salvezza, prevedendo che �sono esclusi dall�applicazione del presente articolo� 
la gestione delle farmacie comunali di cui alla legge 2 aprile 1968, n. 
475� (comma 34). Si riproponevano, quindi, gli interrogativi emersi nella vigenza 
dell�art. 23 bis. 

Peraltro, proprio mentre da pi� parti si auspicava che l�intero campo dei 
servizi pubblici locali di rilevanza economica trovasse la quiete necessaria a 
far sedimentare la nuova disciplina, � intervenuta la Corte costituzionale con 
la sentenza n. 199 del 2012 (67), dichiarando l�illegittimit� dello stesso art. 4 
del d.l. n. 138/2011 (68). In particolare, la norma in commento, emanata a distanza 
di soli 23 giorni dalla consultazione referendaria di giugno (69), operava 
una marginalizzazione del modello in house (70), riproducendo anche testualmente 
svariate disposizioni dell�abrogato art. 23 bis e del regolamento attuativo 
contenuto nel d.P.R. n. 168/2010 (71). 

La gestione concorrenziale dei servizi pubblici locali, in Dir. e pratica amm., 3/2012; E. FURNO, La 
never ending story dei servizi pubblici locali di rilevanza economica tra aspirazioni concorrenziali ed 
esigenze sociali: linee di tendenza e problematiche aperte alla luce del d.l. n.138/2011, convertito nella 

l. n.148/2011, in Rass. dir. pubbl. eur., 2012, n. 1. 
(65) Sulle modifiche apportate dalla legge n. 183/2011 in materia di servizi pubblici locali si veda 


F. GAVIOLI, La liberalizzazione dei servizi pubblici locali, in www.ipsoa.it; G. GUZZO, Brevi riflessioni 
su i nova dei SPL dopo la legge di stabilit� n. 183/2011, in www.giustamm.it, 2011. 


(66) Convertito con modificazioni dalla legge n. 27 del 24 marzo 2012. 

(67) Corte cost., sent. 20 luglio 2012, n. 199, cit. Per una disamina della sentenza, con particolare 
riferimento alle conseguenze della stessa sull�azione degli Enti locali, si veda A. ARGENTATI, La riforma 
dei servizi pubblici locali, il parere dell�AGCM sulle delibere-quadro e la sentenza n. 199/2012 della 
Corte costituzionale: tanto rumore per nulla?, in www.federalismi.it, 2012; E. FURNO, Le tortuose vie dei 
servizi pubblici locali di rilevanza economica tra legislatore, referendum e corte costituzionale: �palla 
al centro?� (Commento alla sentenza n. 199/2012 della Corte costituzionale), in www.giustamm.it, 2012. 
Sia consentito, inoltre, citare A. TRICARICO, La gestione integrata dei rifiuti. Dall�entrata in vigore del 
Codice dell�ambiente alla bocciatura della cd. seconda liberalizzazione (Osservazioni a Corte Costituzionale 
199 del 2012), in www.giustamm.it, 2012. 
(68) La pronuncia sancisce anche l�automatica decadenza delle procedure finalizzate ad attuarlo, 
mediante disposizioni di rango secondario come lo schema di regolamento previsto dall�articolo 4, 
comma 33 ter del d.l. n. 138/2011, recante i criteri per la verifica della realizzabilit� di una gestione 
concorrenziale dei servizi pubblici locali di rilevanza economica, nonch� per l�adozione della relativa 
delibera quadro da parte degli enti locali. 
(69) A parere della Consulta, un brevissimo lasso di tempo intercorso fra la pubblicazione del-
l�esito referendario e l�adozione della nuova normativa, nel quale peraltro non si � verificato alcun mutamento 
n� del quadro politico n� delle circostanze di fatto. 
(70) P. SABBIONI, Il ripristino della disciplina abrogata con referendum: il caso dei servizi pubblici 
locali di rilevanza economica, in www.forumcostituzionale.it. 
(71) In particolare, secondo i giudici di legittimit�, nessun effetto salvifico avrebbe potuto avere 
l�esclusione - dall�ambito di applicazione della nuova disciplina - del servizio idrico integrato, dato che 
il referendum aveva avuto ad oggetto l�intero settore dei servizi pubblici locali, ad eccezione di quelli 
espressamente esclusi e gi� oggetto di disciplina speciale. 



Secondo la Consulta, infatti, l�intervenuta abrogazione di un articolo di 
legge, a seguito di consultazione referendaria,�non potrebbe consentire al legislatore 
la scelta politica di far rivivere la normativa ivi contenuta, (�) in 
ragione della peculiare natura del referendum� (72), il cui �effetto utile� sarebbe, 
diversamente, vanificato. 

In particolare, considerando che l�art. 23 bis mirava a �favorire la gestione 
dei servizi pubblici locali di rilevanza economica da parte di soggetti 
scelti a seguito di gara ad evidenza pubblica� (73), limitando i casi di affidamento 
diretto della gestione, l�art. 4 del d.l. n. 138/2011 non aveva fatto altro 
che ripristinare la normativa abrogata, non avendo modificato �n� i principi 
ispiratori della complessiva disciplina normativa preesistente n� i contenuti 
normativi essenziali dei singoli precetti� (74). 

Successivamente, l�articolo 34, comma 21, del d.l. n. 179/2012 (75) - attualmente 
vigente - pur rimettendo la scelta delle modalit� di affidamento del 
servizio all�ente affidante, prescrive a quest�ultimo l�elaborazione di una relazione, 
da pubblicare sul proprio sito internet, che dia conto delle ragioni in 
termini di economicit� e della sussistenza dei requisiti previsti dall�ordinamento 
europeo per la forma di affidamento prescelta e che definisca i contenuti 
specifici degli obblighi di servizio pubblico e servizio universale, indicando 
le compensazioni economiche (se previste). 

Peraltro, da tale disciplina sono stati - ancora una volta - espressamente 
esclusi i servizi di distribuzione di gas naturale e di distribuzione di energia 
elettrica, nonch� quelli di gestione delle farmacie comunali. 

4. La posizione assunta dalla Corte dei conti: l�impossibilit� di scindere la titolarit� 
dalla gestione. 

Attualmente, la dottrina prevalente sostiene che l�esclusione di cui all�art. 
34 del d.l. n. 179/2012 si traduca in positivo perch� �dilata e non comprime i 
moduli di gestione delle farmacie comunali rispetto agli altri servizi pubblici 
locali� (76). 

(72) Corte cost., 22 ottobre 1990, n. 468, in www.cortecostituzionale.it. Negli stessi termini, Corte 
cost., 4 febbraio 1993, n. 32 e sent. dello stesso giorno, n. 33, secondo cui il legislatore �pur dopo l�accoglimento 
della proposta referendaria, conserva il potere d�intervenire nella materia oggetto di referendum 
senza limiti particolari che non siano quelli connessi al divieto di far rivivere la normativa 
abrogata�. L�orientamento dei giudici di legittimit� era condiviso anche dalla dottrina prevalente; cfr. 
C. MORTATI, Istituzioni di diritto pubblico, IX ed., Padova, 1976, II, p. 854; F. MODUGNO, L�ammissibilit� 
del referendum tra sovranit� popolare e autonomia regionale, in Scritti in onore di E. Tosato, Milano, 
1982, II, p. 894 e ss.; A. MANZELLA, Il Parlamento, II ed., Bologna, 1991, p. 77. 
(73) Corte Cost., 26 gennaio 2011, n. 24, cit. 
(74) Corte Cost., 17 maggio 1978, n. 68, in www.giurcost.org. 
(75) Convertito, con modificazioni, dalla l. 17 dicembre 2012, n. 221. 




(76) B.R. NICOLOSO, Da un�apodittica liberalizzazione ad un�acritica razionalizzazione del sistema 
farmacia pianificato sul territorio nelle leggi di stabilit� e di crescita del biennio 2011/2012, cit., p. 17. 



DOTTRINA 313 

Dal canto suo, la Corte dei conti ha riconosciuto che i modelli di gestione 
delle farmacie comunali, elencati dall�articolo 9 della legge n. 475 del 1968, 
non hanno carattere tassativo, salve le limitazioni discendenti dalla ratio generale 
della disciplina, tesa, in particolare, a valorizzare la funzione sociale 
dell�attivit� farmaceutica (77). 

In particolare, la Corte dei conti ha confermato la possibilit� di ricorrere 
all�azienda speciale quale modalit� di gestione della farmacia comunale (78) 
e ha precisato che la legge n. 475 del 1968, integrata con i principi comunitari, 
consente la gestione comunale anche mediante societ� a responsabilit� limitata, 
a partecipazione unipersonale e totalitaria (79)(80). 

In effetti, il ritenere utilizzabili sia gli strumenti di cui alla legge del 1968 
sia quelli previsti in generale per i servizi pubblici locali sembrerebbe pi� coerente 
in una prospettiva europea (81). 

Tuttavia, l�organo di controllo, sia pure in sede consultiva, continua ad 
escludere che i Comuni possano affidare in concessione a terzi la gestione 
delle farmacie di cui sono titolari, affermando che �la normativa settoriale 
applicabile al servizio farmaceutico comunale non consente una scissione sostanziale 
fra la titolarit� del medesimo ed il suo concreto esercizio, per esempio 
mediante lo strumento della concessione a terzi sia pur individuati con 
gara ad evidenza pubblica� (82). 

Per la Corte dei conti, �, infatti, �necessario che l�ente locale mantenga 
il controllo e la gestione diretta, in coerenza con la finalit� pubblica insita nel 

(77) In particolare, con la deliberazione 17 dicembre 2012, n. 532 (in www.corteconti.it), la sezione 
regionale di controllo per la Regione Lombardia, ha affermato che �la previsione di un nuovo schema 
societario, non rientrante nel novero delle modalit� di resa del servizio elencate nella legge �Mariotti�, 
pare ampliare gli strumenti giuridici selezionabili dalla pubblica amministrazione per perseguire i 
propri fini. I modelli di gestione delle farmacie comunali, previsti dall�art. 9 della legge n. 475/1968, 
non sembrano dunque avere carattere tassativo, salvo le limitazioni esposte in seguito (in coerenza alla 
ratio generale della normativa). Sul piano del diritto interno, si osserva che la gestione di un servizio 
pubblico (quale una farmacia comunale), mediante una societ� a totale partecipazione comunale, rappresenta 
una forma tipica di resa del servizio (cfr. l�abrogato art. 113 comma 5 del d.lgs. n. 267/2000) 
e la prassi negoziale ha seguito l�evolversi dell�ordinamento (plurimi sono i casi di societ� interamente 
partecipate gerenti il servizio farmaceutico, in via esclusiva o assieme ad altre attivit�)�. 
Cfr. anche i pareri della sezione di controllo per la Regione Lombardia n. 489/2011, n. 426/2010 e n. 
196/2009, in www.corteconti.it, nonch� sezione Puglia n. 3/2008, cit., su cui si veda F. GIOVAGNOLI, Titolarit� 
e gestione delle farmacie nella normativa comunitaria ed italiana, in Rass. Avvocatura dello 
Stato, 2009, n. 3, p. 81. 

(78) Corte dei conti, sez. di controllo per la Regione Lombardia, 426/2010/PAR, cit. 
(79) Corte dei conti, sez. di controllo per la Regione Lombardia, 489/2011/PAR, cit. 


(80) Si segnala la deliberazione n. 173 del 20 settembre 2012 della Corte dei conti, sez. regionale 
di controllo per la Basilicata, in www.corteconti.it, che afferma che l�affidamento della gestione dei servizi 
pubblici locali in house ed a societ� mista pu� avvenire in conformit� alle regole del diritto comunitario. 
(81) C. DE GIULI, Il sistema delle farmacie, in R. BALDUZZI, G. CARPANI (a cura di) Manuale di 
diritto sanitario, Bologna, 2013, p. 457. 


(82) Corte dei conti, sez. regionale di controllo per la Regione Lombardia, 70/2011/PAR, in 

www.corteconti.it. 


servizio farmaceutico (inerenza da ritenersi prevalente rispetto alla natura 
potenzialmente commerciale dell�attivit�)� (83)(84); non sarebbe, viceversa, 
giustificato il diritto di preferenza che lo Stato attribuisce ai Comuni rispetto 
ai privati, in quanto �il servizio di farmacia comunale si connota di tratti pubblicistici, 
di matrice assistenziale e sanitaria, la cui cura concreta richiede 
l�intervento della pubblica amministrazione nella gestione dell�attivit�� (85). 

Del resto, - si afferma - non esiste alcuna norma che preveda espressamente 
la possibilit� di separare la titolarit� dalla gestione delle farmacie comunali, 
risultando unicamente regolato il mantenimento della gestione in capo 
all�Ente locale. 

In proposito, non si pu� prescindere dal considerare che, anche secondo 
una parte dei giudici amministrativi, deve escludersi che l�elencazione di cui 
al citato articolo 9 �(pur ormai risalente) possa essere interpretata in modo 
�aperto� includendovi la possibilit� della concessione di servizi ex art. 30 d.lgs. 

n. 163 del 2006� (86). 

In pratica, si ritiene che lo strumento concessorio, anche se utilizzato a 
seguito di una procedura pubblica di selezione del concessionario, vulneri la 
titolarit� pubblica della farmacia e il ruolo comunale di tutela dell�interesse 
pubblico (87). In sintesi, �l�impraticabilit� del modello concessorio riposa 
sul fine pubblico in vista del quale � stata concepita la prelazione legale in 
favore dei Comuni� (88). 

5. La posizione del Consiglio di Stato: la distinzione tra titolarit� e gestione 
e l�affidabilit� in concessione a terzi della gestione delle farmacie comunali. 

A parere del Consiglio di Stato, la titolarit� non implica la necessit� della 
gestione diretta del servizio farmaceutico (89). In particolare, secondo tale impostazione, 
�alle farmacie pubbliche non � applicabile il criterio della �corrispondenza 
biunivoca� fra titolarit� e gestione, non potendosi configurare la 
circolazione giuridica del diritto all�esercizio della licenza, in quanto essa 

(83) Corte dei conti, sez. regionale di controllo per la Regione Lombardia, 26/2013/PAR, in 

www.corteconti.it. 

(84) Cfr. Corte dei conti, sez. regionale di controllo per la Regione Lombardia, deliberazioni n. 
70/2011/PAR, n. 657/2011/PAR, n. 49/2012/PAR e n. 446/2012/PAR, in www.corteconti.it. 
(85) Corte dei conti, sez. regionale di controllo per la Regione Lombardia, 657/2011/PAR e 
70/2011/PAR, cit. Ritiene che tali argomentazioni non siano prive di una certa logicit� S. MONZANI, 
L�evoluzione della disciplina amministrativa in tema di gestione delle farmacie comunali, cit. 
(86) T.A.R. Piemonte, sez. II, 14 giugno 2013, n. 767, che richiama T.A.R. Toscana, sez. II, 7 
luglio 2011, n. 1165, cit. 
(87) Non condivide tale impostazione tra gli altri M.E. BOSCHI, Le farmacie comunali: tra disciplina 
amministrativa e liberalizzazione, commento a T.A.R. Lombardia, Brescia, sez. II, 20 gennaio 
2012, n. 84, in Sanit� Pubbl. e Priv., 2012, n. 4. 
(88) Corte dei Conti, sez. regionale di controllo per la Regione Lombardia, 532/2012/PAR, cit. 


(89) M. DUGATO, I servizi pubblici locali, in S. CASSESE (a cura di), Trattato di diritto amministrativo. 
Diritto amministrativo speciale, III, Milano, 2003, p. 2591. 



DOTTRINA 315 

rappresenta un bene vincolato al programma societario, indipendentemente 
dal complesso aziendale preposto alla gestione� (90). 

In relazione alle farmacie comunali non opererebbe, quindi, il divieto di 
scissione tra titolarit� e gestione della farmacia, che � invece previsto per le 
farmacie private ai sensi dell�art. 7 della l. n. 362 del 1991 (91). 

L�assunto dei giudici di Palazzo Spada si fonda sulla convinzione che, 
anche nel caso del servizio farmaceutico comunale, trova applicazione la consueta 
ed acquisita distinzione tra titolarit� e gestione generalmente valida per 
tutti i servizi pubblici (92). 

Diversa dalla titolarit� �, infatti, la gestione delle farmacie. Pi� precisamente, 
secondo le ultime pronunce del giudice amministrativo, con particolare 
riferimento alle farmacie comunali sembra pi� corretto distinguere tra titolarit� 
della sede farmaceutica (il Comune), titolarit� del servizio (la Regione, che ne 
conserva la responsabilit� per il tramite delle Aziende Sanitarie Locali) e titolarit� 
della gestione (soggetto individuato dall�Amministrazione comunale) (93). 

Addirittura, la sezione terza del Consiglio di Stato si � recentemente spinta 
ad affermare che il Comune pu� costituire una societ� mista, senza alcun vincolo 
in ordine alla scelta del socio privato, dal momento che le disposizioni 
contenute nel Testo Unico degli Enti locali hanno carattere inderogabile e l�art. 
9 della legge n. 475 del 1968 deve considerarsi implicitamente abrogato (94). 

Nella medesima direzione, anche se con una linea pi� �morbida�, si � 
posta la sentenza n. 5587 del novembre 2014 (95), con la quale il Supremo 
organo giurisdizionale amministrativo, nel riformare integralmente la sentenza 
del Tar Piemonte n. 767 del 2013, ha ricordato che oggi - anche alla luce dei 
pi� recenti interventi normativi - non si dubita che la gestione di una farmacia 
comunale possa essere esercitata da un Comune mediante societ� di capitali a 

(90) Cfr. Cons. Stato, sez. V, 21 marzo 2011, n. 1724, in www.giustizia-amministrativa.it. 

(91) Cfr. T.A.R. Emilia Romagna, Parma, 19 ottobre 2005, n. 492 e T.A.R. Veneto, Venezia, 27 
dicembre 2006, n. 4263, richiamate da Cons. Stato, sez. V, 21 marzo 2011, n. 1724, cit. Nel senso del-
l�improponibilit� della corrispondenza biunivoca tra titolarit� del diritto d�esercizio della farmacia e suo 
concreto esercizio cfr. in dottrina B.R. NICOLOSO, Da un�apodittica liberalizzazione ad un�acritica razionalizzazione 
del sistema farmacia pianificato sul territorio nelle leggi di stabilit� e di crescita del 
biennio 2011/2012, cit., p. 17; G. ACQUARONE, Le forme di gestione delle farmacie comunali, cit., che 
espressamente afferma che �la scissione tra titolarit� e gestione del servizio � cosa scontata nell�ambito 
delle farmacie pubbliche�. 
Anche per questo, il sistema farmaceutico italiano pu� definirsi �dualistico�; l�espressione � utilizzata 
da A. ANSELMO, I servizi farmaceutici: sistemi comunitari di sanit� solidale e modelli liberistici a confronto, 
in Rass. dell�Avvocatura dello Stato, 2011, n. 1, p. 58. 

(92) T.A.R. Lombardia, Brescia, sez. II, 20 gennaio 2012, n. 84, in www.dirittodeiservizipubblici.it; 
sul punto cfr. in dottrina ex multis G. CAIA, I servizi pubblici, cit., p. 131 e ss. 
(93) T.A.R. Lombardia, Brescia, sez. II, 20 gennaio 2012, n. 84, cit.; ritiene che non si tratti di 
una precisazione di natura formalistica, ma di una puntualizzazione necessaria M.E. BOSCHI, Le farmacie 
comunali: tra disciplina amministrativa e liberalizzazione, cit. 
(94) Cons. Stato, sez. III, 31 ottobre 2014, n. 5389, in www.giustizia-amministraiva.it. 
(95) Cons. Stato, sez. III, 13 novembre 2014, n. 5587, cit. 







totale partecipazione pubblica (in house) e societ� miste pubblico/private, con 
il superamento del limite dettato dall�art. 9 della legge del 1968, ovvero da 
societ� che svolgono attivit� di distribuzione all�ingrosso di medicinali (96). 

Secondo i giudici del Consiglio di Stato, infatti, nel caso in cui non intenda 
avvalersi dei sistemi di gestione diretta disciplinati dall�art. 9 della legge 

n. 475 del 1968, un Comune pu� utilizzare modalit� diverse di gestione, anche 
non dirette, �purch� l�esercizio della farmacia avvenga nel rispetto delle regole 
e dei vincoli imposti all�esercente a tutela dell�interesse pubblico� (97). 

Con la medesima pronuncia, si � chiarito che, �pur non potendosi estendere 
alle farmacie comunali tutte le regole dettate per i servizi pubblici di rilevanza 
economica, non pu� oramai pi� ritenersi escluso l�affidamento in 
concessione a terzi della gestione delle farmacie comunali attraverso procedure 
di evidenza pubblica�, in quanto la scelta di tale modello non sarebbe di 
per s� ostativa al perseguimento degli obiettivi di rilevanza sociale che giustificano 
l�istituzione del servizio pubblico farmaceutico. 

N� varrebbe obiettare che l�art. 11, comma 10, del d.l. 24 gennaio 2012, 

n. 1 (98), dispone che, fino al 2022, non � possibile cedere la titolarit� o la gestione 
delle farmacie istituite ai sensi del comma 1, lettera b) dello stesso articolo, 
in relazione alle quali i Comuni abbiano esercitato il diritto di 
prelazione. In effetti, la norma si presta ad essere interpretata come speciale e 
derogatoria rispetto alla disciplina generale, in quanto si applica soltanto alle 
farmacie istituite nelle stazioni ferroviarie, negli aeroporti civili a traffico internazionale, 
nelle stazioni marittime e nelle aree di servizio autostradali ad 
alta intensit� di traffico, dotate di servizi alberghieri o di ristorazione, e a quelle 
istituite nei centri commerciali e nelle grandi strutture con superficie di vendita 
superiore a diecimila metri quadrati (99). 

In definitiva, a parere del Supremo Organo giurisdizionale amministrativo, 
quando l�attivit� assuma un prevalente rilievo economico, le disposizioni 
contenute nell�art. 9 della legge n. 475 del 1968, che prevedono - nel caso 

(96) Cfr. il comma 1 bis dell�articolo 100 del d.lgs. n. 219 del 24 aprile 2006 e s.m. 
(97) Cfr., in senso conforme, T.A.R. Veneto, sez. I, 20 marzo 2014, n. 358, in www.ilsole24ore.com; 


T.A.R. Lombardia, Brescia, sez. II, 13 novembre 2013, n. 951, in www.dirittodeiservizipubblici.it, a tenore 
della quale �il ragionamento sviluppato resta valido anche dopo l�entrata in vigore dell�art. 34, 
comma 25, del D.L. 18/10/2012 n. 179 conv. in L. 17/12/2012 n. 221, il quale racchiude una clausola 
che - seppur escludendo la diretta applicabilit� dei commi da 20 a 22 (che per l�affidamento dei servizi 
pubblici fanno unicamente rinvio ai canoni comunitari) alle farmacie - non per questo sancisce un divieto 
generale di operativit� dei consolidati principi del diritto europeo, dovendo essere vagliata la 
compatibilit� delle singole scelte con gli obiettivi di interesse pubblico perseguiti dall�ordinamento�; 
T.A.R. Sicilia, Catania, sezione IV, 28 giugno 2011, n. 1598, in www.dirittoderiservizipubblici.it. 


(98) Convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2012, n. 27. 

(99) Viceversa, il T.A.R. Piemonte, con la citata sentenza n. 767 del 2013, aveva evidenziato che 
ancorch� �limitata solo a specifiche categorie di farmacie neo-istituite�, la novella del 2012 fosse 
�espressione del principio generale di mantenimento della gestione in capo all�Ente locale titolare della 
farmacia, con conseguente implicita riconferma dell�impraticabilit� di diversi modelli�. 


DOTTRINA 317 

delle farmacie comunali -, in ragione dei fini sociali perseguiti, l�esercizio 
diretto del servizio pubblico (100), non possono essere richiamate per impedire 
l�applicazione dei principi dettati per i servizi pubblici di rilevanza economica 
(101). 

Conformemente, in dottrina, si � affermato che la normativa dell�art. 9 
dovrebbe essere disapplicata dai giudici italiani, dal momento che consentendo 
solo la scelta tra autoproduzione del servizio e societ� di capitali con i farmacisti 
dipendenti di quelle stesse farmacie, ҏ nettamente contraria ai principi 
del Trattato gi� CE, ora TFUE� (102). 

Si � anche osservato che, nell�ipotesi in cui il Comune titolare dell�autorizzazione 
alla conduzione dell�esercizio farmaceutico scelga di conferire ad 
una societ� l�azienda farmaceutica (nell�accezione dell�art. 2555 c.c.) e la titolarit� 
dell�impresa (ex art. 2082 c.c.), l�Ente locale non dismette il servizio 
pubblico: ad essere trasferita �, infatti, solamente la gestione del servizio pubblico 
e, quindi, la disponibilit� materiale e giuridica dei beni strumentali all�esercizio 
dell�impresa (103). 

Pertanto, come riconosciuto dal Consiglio di Stato in altra pronuncia, la procedura 
per l�individuazione dell�affidatario non riguarderebbe l�affidamento del 
servizio, la cui concessione/autorizzazione rimane in capo al Comune (104). 

Alle medesime conclusioni � giunta l�Autorit� di Vigilanza sui contratti 
pubblici, ora Autorit� Nazionale Anticorruzione, che, con la deliberazione n. 
15 del 23 aprile 2014 (105), ha affermato che �il carattere sanitario di un servizio 
pacificamente non esclude che esso possa essere oggetto di un confronto 
concorrenziale tra pi� operatori economici in possesso dei necessari requisiti� 

(100) Consiglio di Stato, sez. III, 8 febbraio 2013, n. 729, cit. 

(101) Consiglio di Stato, sez. III, 9 luglio 2013, n. 3647, in www.giustizia-amministrativa.it, conferma 
T.A.R. Marche, n. 104 del 2004. 

(102) A. VIGNERI, La riforma dei servizi pubblici locali, cit. p. 75. 

(103) R. NARDUCCI, Le farmacie comunali, in Guida Normativa per l�Amministrazione Locale, 
2013; contra, in un contributo del 2005, C. BRAMBILLA, Riflessioni sulle forme di gestione delle farmacie 
comunali, cit., p. 337: l�Autore afferma che la concessione del servizio farmaceutico � �contraddittoria 
con il provvedimento amministrativo di autorizzazione all�esercizio rilasciato dalla Regione, la cui natura 
� quella di una concessione. Trattasi di un titolo che non appartiene alla potest� originaria del comune, 
ma che esso riceve dall�Autorit� sanitaria. Ne deriva che la titolarit� dell�esercizio della farmacia 
non potr� mai passare dal comune a terzi, se non a fronte di una dismissione totale del servizio stesso�. 

(104) Consiglio di Stato, sez. III, 8 febbraio 2013, n. 729, cit.; conferma T.A.R. Campania Napoli, 
sez. V, 4 maggio 2012, n. 2063. 

(105) Rinvenibile sul sito www.anticorruzione.it. Bisogna, peraltro, avvertire che l�iter logico seguito 
dall�Autorit� � parzialmente diverso rispetto a quello del Consiglio di Stato, dal momento che 
nella delibera si legge �si ritiene che l�esercizio del servizio farmaceutico tramite la gestione delle farmacie 
comunali non possa essere ricondotto nell�alveo dei servizi pubblici locali� e che �una simile 
conclusione escluderebbe la possibilit� di applicare al servizio farmaceutico comunale i modelli gestori 
previsti dalla norma generale sui servizi pubblici locali ma lascerebbe invero impregiudicata la possibilit� 
per i Comuni di affidare la gestione delle farmacie comunali tramite l�istituto generale della concessione 
di servizi di cui all�art. 30 del Codice dei contratti pubblici�. 


e che, pertanto, �l�affidamento in concessione pu� essere ora una delle modalit� 
di gestione delle farmacie comunali�. 

In effetti, conformemente a quanto prospettato dai giudici amministrativi, 
gli obiettivi di rilevanza sociale che caratterizzano il servizio farmaceutico, a 
prescindere dalla specifica modalit� di affidamento concretamente utilizzata, 
potrebbero essere perseguiti inserendo apposite clausole nel contratto di servizio 
sottoscritto con il concessionario e prevedendo concrete modalit� di controllo 
della gestione, idonee sanzioni nel caso di inadempimento degli obblighi 
e una dettagliata carta dei servizi, in cui siano indicati i livelli qualitativi e 
quantitativi del servizio da erogare. L�adeguato utilizzo di tali strumenti potrebbe, 
in effetti, garantire che la farmacia comunale assicuri sia un utile economico 
al Comune (attraverso la percezione del canone concessorio e di una 
percentuale sugli incassi) sia l�efficace svolgimento della funzione sociale propria 
del servizio farmaceutico comunale. 

Del resto, qualsiasi farmacia - a prescindere anche dalla titolarit� (pubblica 
o privata) della propriet� - � sottoposta alle stringenti regole poste dalla 
normativa di settore; pertanto, non sembrerebbe ragionevole invocare insopprimibili 
esigenze di tutela della salute soltanto per i presidi appartenenti ad 
un ente pubblico (106). 

6. Conclusioni. 

L�impostazione del Consiglio di Stato appare condivisibile proprio perch� 

-come sostenuto anche dalla Corte dei conti - dovrebbe essere cura di ogni 
interprete procedere secondo un approccio comunitariamente orientato a fronte 
di una legislazione (quella di cui alla legge del 1968) �entrata in vigore ben 
prima della stabilizzazione del processo comunitario di formazione del diritto 
dei servizi pubblici� (107). 

In proposito, non sembra superfluo sottolineare che i giudici europei hanno 
ribadito l�autonomia organizzativa della Pubblica Amministrazione anche locale 
per quanto concerne l�esercizio dei compiti di sua pertinenza (108). 

In conclusione, la scelta di una modalit� di gestione rientrerebbe nelle 
esclusive e responsabili facolt� discrezionali dei Comuni, anche in conformit� 
al principio di sussidiariet� verticale di cui all�articolo 118 della Costituzione; 
l�Ente locale, seguendo un adeguato percorso procedimentale ed istruttorio, 
dovrebbe essere in grado di esercitare al meglio la discrezionalit� che l�ordinamento 
gli riconosce (109). 

(106) T.A.R. Lombardia, Brescia, sez. II, 13 novembre 2013, n. 951, in www.dirittodeiservizipubblici.it. 

(107) Corte dei conti, sez. regionale di controllo per la Regione Lombardia, n. 489/2011/PAR, cit. 

(108) Corte di giustizia dell�U.E., sez. III, 22 dicembre 2010, n. C-215/09, p.to 31, in Foro amm.-
CdS, 2010, p. 2589 e ss. 

(109) J. BERCELLI, L�attivit� consultiva dell�AGCM sull�affidamento in house dei servizi pubblici locali 
di rilevanza economica: il caso delle farmacie comunali, in Sanit� pubblica e privata, 2012, n. 8, p. 68. 


DOTTRINA 319 

Inoltre, l�affidamento in concessione a terzi non crea di per s� un vulnus 
di tutela per i cittadini/utenti del servizio, in quanto, se � vero che il gestore 
deve essere posto nella condizione di svolgere l�attivit� in modo imprenditoriale, 
avendo cio� l�opportunit� di conseguire un utile, lo stesso � tenuto ad 
ottemperare ad una serie di obblighi. 

In primo luogo, il servizio farmaceutico, alla stregua di qualsiasi altro 
servizio pubblico, � caratterizzato dal principio di doverosit�, dal momento 
che anche i concessionari hanno il compito di garantire l�erogazione del servizio 
secondo criteri quantitativi e qualitativi predeterminati. Il servizio deve, 
inoltre, essere caratterizzato dal principio della continuit�, non potendo essere 
interrotto arbitrariamente, e della parit� di trattamento, avendo tutti gli utenti 
pari diritto ad accedere al servizio. 

Va inoltre considerato che i Comuni di dimensioni non rilevanti difficilmente 
hanno in organico il personale abilitato alla gestione di una farmacia 
n� potrebbero assumerlo, viste le restrizioni normativamente imposte alle 
spese per il personale (110). 

Viceversa, la scelta di affidare il servizio ad imprese private in forma societaria 
ovvero a societ� miste favorirebbe il coinvolgimento delle professionalit� 
necessarie e potrebbe anche garantire, profitti ai Comuni, i quali 
potrebbero, dunque, fare affidamento sull�attivit� delle farmacie in termini di 
ritorno economico, in un momento storico particolarmente delicato dal punto 
di vista delle risorse (111). 

Pertanto, fermo restando che sarebbe auspicabile un intervento legislativo 
che ponga fine alla frammentazione normativa e alle numerose incertezze tuttora 
esistenti, si ritiene di poter ragionevolmente affermare che l�Ente locale, anche 
affidando a terzi mediante gara la gestione della farmacia comunale, sarebbe in 
grado di assicurare ai cittadini/utenti/assistiti un servizio di qualit� (112). 

Ci� naturalmente a condizione che il bando della procedura ad evidenza 
pubblica enuclei i criteri di valutazione dell�offerta tecnica dando peso sia alla 
proposta di gestione della farmacia sia alla sua funzionalit� secondo parametri 

(110) Medesimi problemi si pongono nell�ipotesi in cui il Comune intendesse optare per la costituzione 
di un�azienda speciale. 
Cfr. S. MONZANI, L�evoluzione della disciplina in tema di gestione delle farmacie comunali, in L�Amministrazione 
Italiana, 2011, n. 11, p. 1494. 

(111) D. VALERIO, La gestione societaria delle farmacie comunali tra crisi e opportunit�, 2012, 
in www.filodiritto.com. L�Autore riporta i dati di Federfarma (cfr. www.federfarma.it) e della Bancadati 
AIDA - Bureau Van Dijk (cfr. www.aida.bvdep.com) sulle societ� di capitali nel settore farmaceutico e 
invita, tra l�altro, a riflettere sulla circostanza che, da un lato, la forma societaria offrirebbe maggiori 
possibilit� di accesso al credito, pi� flessibilit� e maggiore capacit� di rispondere alle domande e al dinamismo 
del mercato, dall�altro lato, istituire una societ� comporterebbe pi� alti costi, anche in termini 
di regolazione, e maggiori rischi finanziari per l�Ente locale. 

(112) Cfr. Autorit� garante della concorrenza e del mercato, Adunanza del 15 luglio 2009 � AS 
563, in www.agcm.it. 


che mirano a premiare l�efficienza del servizio e la sua capacit� di tutelare la 
salute. Al contempo, bisognerebbe evitare di cadere nell�errore di �dare una 
patente di efficienza economica al meccanismo delle pubbliche gare� (113), 
in quanto la gara non offre di per s� la soluzione a tutti i mali. 

Come evidenziato anche dai giudici amministrativi, il Comune dovrebbe 
riservarsi la possibilit� di indirizzare e controllare le concrete modalit� di espletamento 
stipulando un adeguato contratto di servizio con il gestore, che preveda, 
tra l�altro, idonei meccanismi sanzionatori in caso di inadempimento (114). 

In proposito, va avvertito che l�individuazione delle sanzioni e la loro 
successiva applicazione deve essere improntata a prudenza, dal momento che, 
da un lato, penali troppo basse non riuscirebbero a svolgere un�efficace azione 
deterrente, dall�altro, penali troppo elevate risulterebbero poco credibili. Inoltre, 
la concreta esecuzione delle stesse potrebbe causare un sensibile peggioramento 
del clima di collaborazione tra concedente e concessionario. 

Nel caso poi in cui si valuti se inserire nel contratto di servizio la sanzione 
pi� grave della risoluzione per inadempimento, va tenuto in debito conto la 
circostanza che avviare una nuova procedura per selezionare un contraente alternativo 
pu� rivelarsi costoso e che, quanto pi� alto � il costo di transazione 
che il concedente dovrebbe sopportare, tanto meno credibile risulterebbe la 
minaccia della risoluzione per il concessionario (115). 

Si potrebbe allora puntare a collegare le possibilit� di partecipare ad una 
gara alla qualit� del servizio reso precedentemente. Si tratterebbe di non ammettere 
ad una procedura competitiva gestori che, in precedenza, nel periodo 
di erogazione del servizio, abbiano accumulato un numero di reclami superiore 
ad una certa soglia o non abbiano rispettato gli impegni contrattuali assunti 
con l�Amministrazione (116). 

Le previsioni appena illustrate, vincolando il gestore privato all�esecuzione 
di prestazioni utili alla collettivit� ivi comprese le fasce pi� deboli della 
popolazione, sarebbero, a parere di chi scrive, idonee a prevenire il rischio di 
vanificare la ratio �pubblicistica� sottesa all�esercizio della prelazione comu


(113) M. LIBERTINI, Le societ� di autoproduzione in mano pubblica, in F. GUERRERA (a cura di), 
Le societ� a partecipazione pubblica, Torino, 2010. 

(114) Sulla natura e le potenzialit� del contratto di servizio, cfr. ex multis M. SEBASTIANI, Il contratto 
di servizio, in www.sipotra.it. 

(115) � vero, peraltro, che l�Ente locale potrebbe rivolgersi all�impresa che sia risultata seconda 
nella procedura competitiva, risparmiando cos� il tempo e i costi necessari all�espletamento della nuova 
procedura selettiva. Peraltro, fermo restando che potrebbe non esserci un secondo classificato, si riscontrerebbero 
delle criticit� anche in tal caso, perch� si dovrebbe sospendere, sia pure per un breve periodo, 
il pubblico servizio. 

(116) Cfr, in proposito le riflessioni di G.L. ALBANO, A. HEIMLER, M. PONTI, Concorrenza, regolazione 
e gare nei servizi pubblici locali: il trasporto pubblico locale, in Mercato concorrenza regole, 
vol. 46, f. 1, 2014. 
� chiaro, per�, che, perch� questi meccanismi possano operare efficacemente, bisognerebbe prevedere 
modalit� corrette e condivise di misurazione della soddisfazione degli utenti/assistiti. 


DOTTRINA 321 

nale - ammesso che quest�ultimo sia effettivamente motivato da una valutazione 
della meritevolezza degli interessi in gioco (117) e dell�inadeguatezza 
del mercato nuova e diversa rispetto a quella che, come visto, determina ab 
origine la sottoposizione dell�attivit� farmaceutica al regime del servizio pubblico 
(118). 

Non pu�, infatti, sottacersi che il fatto che i farmacisti privati concorrano 
con gli Enti locali alla costituzione di un�organizzazione strumentale di cui il 
servizio sanitario si avvale per erogare il servizio pubblico farmaceutico (119), 
significa che il legislatore ha gi� valutato l�idoneit� dei privati, purch� in possesso 
dei necessari requisiti professionali, a svolgere efficacemente il servizio 
di distribuzione dei farmaci, senza pregiudizi per la tutela del fondamentale 
diritto alla salute (120). 

(117) Il Consiglio di Stato, nella citata sentenza n. 5587 del 2014, ha affermato che �le esigenze 
di carattere sociale che nel tempo hanno determinato l�istituzione di numerose farmacie comunali sono 
state oggi (in gran parte) in concreto superate in numerosi comuni, che ritengono ancora utile l�istituzione 
(o la sopravvivenza) di farmacie comunali solo per ragioni meramente economiche�. 
In proposito, si osserva anche che la Corte dei conti (sez. controllo Regione Lombardia, parere n. 
196/2009, in www.corteconti.it) ha chiarito che l�Ente locale deve comunque valutare l�assegnazione 
alla luce del necessario rispetto del patto di stabilit� e delle limitazioni in ordine alla spesa del personale, 
gravando sull�ente l�obbligo di attenta valutazione dell�opportunit� di tale scelta e dell�attuazione di 
modalit� gestionali che assicurino equilibrio e solidit� finanziaria anche in prospettiva. 

(118) Riconducono ad un quadro unitario l�attivit� svolta dai farmacisti privati e quella delle farmacie 
sulle quali i Comuni abbiano esercitato il diritto di prelazione, dubitando anche della conformit� 
alla normativa europea di tale ius prelationis D. DE GRAZIA, E MENICHETTI, Il �servizio farmaceutico� 
e le forme di gestione delle farmacie comunali, cit. 

(119) �La posizione delle farmacie comunali non � significativamente diversa dalle altre�: T.A.R. 
Umbria, 16 febbraio 2000, n. 142, cit; cfr. anche M. GOLA, Farmacia e farmacisti, voce in Dig. Disc. 
Pubbl., 1991, VI, p. 231 e ss. 

(120) Cfr. Autorit� di Vigilanza sui contratti pubblici, ora Autorit� Nazionale Anticorruzione, deliberazione 
n. 15 del 23 aprile 2014, cit. 


La primazia negli organi collegiali pubblici: 
un tema da approfondire 

Gabriele Pepe* 

SOMMARIO: 1. Il fenomeno collegiale nei suoi tratti distintivi - 2. La posizione di preminenza 
formale del presidente quale coordinatore dei lavori del collegio - 3. Ambito applicativo 
della primazia e suoi elementi caratterizzanti - 4. Le funzioni tipiche della primazia: Natura, 
tratti distintivi e vicende applicative - 4.1. Convocazione delle riunioni - 4.1.1. Omessa convocazione 
dell'adunanza a fronte della richiesta del prescritto numero di componenti - 4.2. 
Formulazione dell'ordine del giorno - 4.3. Direzione dei lavori - 4.4. Polizia delle sedute - 5. 
Gli episodi di preminenza sostanziale del presidente sugli altri componenti: Cause principali 

- 5.1. La contestuale posizione di organo monocratico del presidente - 5.2. Il possesso di specifici 
requisiti soggettivi per la preposizione all�ufficio presidenziale - 5.3. Le modalit� di 
scelta del presidente - 5.4. L'assenza di un potere di revoca del presidente da parte dei componenti 
del collegio - 5.5. I poteri presidenziali di sovraordinazione. 

1. Il fenomeno collegiale nei suoi tratti distintivi. 

Ciascun organo collegiale identifica un congegno a struttura pluripersonale 
attraverso il quale si realizza il ponderato esercizio di una pubblica funzione 
(1). Se � vero che ogni collegio si compone di pi� membri, non � 
altrettanto vero che ogni forma di plurisoggettivit� si identifichi necessariamente 
in un'istituzione collegiale; occorre in tal senso un quid pluris rinvenibile 
nella c.d. finalit� deliberativa; tale requisito � in grado, infatti, di 
differenziare gli organi collegiali dai corpi meramente eligenti (2). 

La ratio della collegialit� si identifica nella "presunzione che il bonum com


(*) Avvocato in Roma, Ricercatore di Diritto Amministrativo presso l�Universit� degli Studi Guglielmo 
Marconi. 

Studio tratto dal volume �La primazia negli organi collegiali pubblici� di GABRILE PEPE, Editoriale 
Scientifica, Napoli, 2014 (Ricerche giuridiche - Collana diretta da A. CELOTTO, F. LIGUORI, L. ZOPPOLI). 

(1) ARNDTS K.L., Lehrbuch der Pandekten, XIV ed., Stuttgart, 1850-1852, a cura della Pfoff, ed. 
Hofmann, trad. it. Serafini, IV ed., Bologna, 1887, p. 72. Con riferimento al numero minimo di componenti 
vige da sempre il principio del "tres faciunt collegium" che risale a Nerazio Prisco, (vedasi anche 
L. 16. 85 Dig., De verborum significatione, Marcello, 50,16) in base al quale ogni istituzione, per definirsi 
collegiale, deve essere formata, quantomeno al momento della sua costituzione, da un numero di 
componenti non inferiore a tre, preferibilmente in numero dispari. In giurisprudenza, ex multis, Cons. 
Stato, sez. VI, 14 marzo 1962, n. 257, in Foro amm. 1962. Cons. Stato, sez. IV, 2 agosto 2011, n. 4573, 
in www.giustamm.it, secondo il quale "duo non faciunt collegium". Contra Cass. civ., sez. I, 22 novembre 
2000, n. 15056, in www.cortedicassazione.it. 
(2) Tipico esempio di corpo meramente eligente � dato dal corpo elettorale. Sul punto gi� PALMA 
L., Corso di diritto costituzionale, vol. II, II ed., Firenze, 1881, pp. 140-157. BRAUNIAS K., Das Parlamentarische 
Wahlrecht, vol. II, Berlin-Leipzig, 1932, pp. 127-131. FURLANI S., voce Collegio elettorale, 
in Noviss. Dig. it., vol. III, Utet, 1959, p. 473. Ad ogni modo anche un organo collegiale pu� eccezionalmente 
svolgere un�attivit� eligente in occasione dell'elezione del proprio presidente. 



DOTTRINA 323 

mune, che in linea di principio la mano pubblica deve perseguire, sia meglio raggiunto 
dal confronto di pi� persone, che portando nelle determinazioni il frutto 
di esperienze e di visioni diverse, possono meglio interpretare il giusto" (3). 

� convincimento diffuso che la collegialit�, e pi� in generale la pluripersonalit�, 
affondi le proprie radici gi� nel diritto romano (4). Il fenomeno collegiale 
si � successivamente sviluppato negli studi sulle collettivit� intese come 
associazioni e come enti, trovando poi nell'esperienza canonistica una delle 
elaborazioni pi� compiute (5). In special modo il sistema amministrativo italiano 
del XX sec. registra una significativa espansione degli organi collegiali 

(6) sino alla fine degli anni Novanta (7). 

Il collegio, quale "unit� organica", va tenuto distinto dalle singole persone 
che lo compongono, sicch� la volont� collegiale, costituita dalla volont� della 
maggioranza, � autonoma dalle volont� dei singoli membri che ad essa concorrono 
(8). L'istituzione collegiale, infatti, � un'unit� a s�, donde "il collegio 
trascende e supera le persone che lo compongono, e vi si contrappone" (9). 
Trattasi, pertanto, di una "nuova entit� volitiva", di "un corpo permanente e 
sempre identico malgrado il cangiare dei suoi membri" (10). 

Ogni istituzione collegiale si fonda sul principio canonistico dell'unitas 
actus ossia sulla triplice unit� di tempo, luogo e azione di tutti i componenti 
(11), i quali possono correttamente operare solo ove simultaneamente riuniti 
per il perseguimento di una comune finalit� deliberativa (12). Tra i caratteri 

(3) CACCIAVILLANI I.-MANZI L., La collegialit� amministrativa, Istituto editoriale Regioni italiane, 
Roma, 2000, p. 21. In giurisprudenza, a titolo esemplificativo, Tar Lazio, sez. II, 14 febbraio 1995, n. 
172, in Foro amm. 1995, I, p. 1342. 
(4) GARGIULO U., I collegi amministrativi, op. cit. Secondo l'Autore una delle prime manifestazioni 
della collegialit� nel diritto romano si rinviene nell'istituto giuridico del condominio che, a sua volta, 
mutua la propria disciplina dal c.d. consortium (fra sui heredes). 
(5) Per un excursus storico del fenomeno collegiale dal diritto romano sino ai tempi moderni 
VITTA C., Gli atti collegiali: principi sul funzionamento dei consessi pubblici con riferimenti alle assemblee 
private, op. cit. GARGIULO U., I collegi amministrativi, op. cit. 
(6) MIELE G., voce Collegio amministrativo, in Noviss. Dig. it., Torino, 1959, p. 471: "Numerose 
e varie sono le apparizioni che il fenomeno della collegialit� fa nell'organizzazione amministrativa dello 
Stato e degli altri enti pubblici, correlativamente al verificarsi di quelle esigenze cui si ritiene rispondente 
in via assoluta o relativa la struttura collegiale di un organo". MARONGIU G., L'attivit� direttiva 
nella teoria giuridica dell'organizzazione, op. cit. 
(7) Il ridimensionamento degli organi collegiali in favore degli organi monocratici inizia con la l. 
15 marzo 1997, n. 59 e prosegue successivamente con la l. 6 agosto 2008, n. 133. 
(8) In dottrina, tra i primi, BRACCI M., La proposta in diritto amministrativo: contributo allo studio 
delle manifestazioni di volont� della pubblica amministrazione, Athenaeum, Roma, 1925. 
(9) GARGIULO U., I collegi amministrativi, op. cit. 
(10) GIERKE O., Die Genossenschaftstheorie und die deutsche Rechtsprechung, Berlin, 1887. 




(11) A riguardo VITTA C., Gli atti collegiali: principi sul funzionamento dei consessi pubblici con 
riferimenti alle assemblee private, op. cit. 
(12) Nell'odierno contesto storico il principio dell'unitas actus � realizzabile in diverse forme grazie 
all'utilizzo di nuove tecnologie che consentono la partecipazione a distanza dei componenti alle adunanze 
del collegio. 



generali della collegialit� � possibile annoverare, inoltre, la temporaneit� del-
l'investitura e la non delegabilit� della funzione (13). 

In ogni collegio legislativo, amministrativo o giurisdizionale un ruolo 
fondamentale � rivestito dal presidente quale figura necessaria; nella attivit� 
di coordinamento orizzontale egli opera come primus inter pares, rivestendo 
una posizione di primazia dal contenuto tipico e indefettibile; del resto, al presidente 
sono conferiti peculiari poteri strumentali al corretto andamento delle 
riunioni. Tali poteri si identificano nelle funzioni amministrative di convocazione 
delle adunanze, formulazione dell'ordine del giorno, direzione dei lavori, 
polizia delle sedute. 

Un'importante classificazione distingue i collegi perfetti o reali (14) dai 
collegi imperfetti o virtuali. Nei collegi perfetti o reali � richiesta la partecipazione 
di tutti i componenti assegnati, sono istituiti membri supplenti (15) 
e risultano vietate forme di astensione al momento del voto; inoltre sono, di 
regola, composti da un numero dispari di componenti per scongiurare situazioni 
di parit� nella votazione. A differenza dei collegi imperfetti o virtuali, 
non assolvono ad una funzione compositoria di interessi concorrenti ed antagonisti, 
essendo viceversa unico e predeterminato l'interesse da realizzare. 
Ad ogni modo, la distinzione tra collegi perfetti o reali e collegi imperfetti o 
virtuali non sembra avere particolari ricadute sulla figura organizzatoria della 
primazia (16). 

Uno dei tratti qualificanti il fenomeno della collegialit� si rinviene nel principio 
di reciproca equiordinazione di tutti componenti, cui l'ordinamento assegna 
eguali prerogative e funzioni sostanziali (17). In tale contesto ben si inquadra la 

(13) Ex plurimis, Cons. Stato, sez. VI, 14 maggio 1997, n. 719, in Cons. Stato 1997, I, p. 783. 

(14) In giurisprudenza, ex multis, Cons. Stato, sez. V, 25 febbraio 1961, n. 62, in Foro amm. 1961. 
Cons. Stato, sez. V, 6 maggio 1961, n. 181, in Foro amm. 1961. Cons. Stato, sez. VI, 6 aprile 1987, n. 
230, in Cons. Stato 1987. Cons. Stato, sez. VI, 10 febbraio 2006, n. 543, in www.giustizia-amministrativa.it. 
In dottrina, tra i tanti, VALENTINI S., La collegialit� nella teoria dell'organizzazione, op. cit., p. 88. VILLATA 
R., voce Collegi amministrativi, in Enc. giur. Treccani, op. cit. 
(15) GALATERIA L., Gli organi collegiali amministrativi, op. cit. GARGIULO U., I collegi amministrativi, 
op. cit. VALENTINI S., La collegialit� nella teoria dell'organizzazione, op. cit. In giurisprudenza, 
ex multis, Cons. Stato, sez. VI, 21 marzo 2005, n. 1112, in www.giustizia-amministrativa.it. Cons. Stato, 
sez. V, 31 gennaio 2007, n. 400, in www.giustamm.it. Cons. Stato, sez. VI, 6 giugno 2011, n. 3363, in 
www.giustizia-amministrativa.it. 
(16) Infatti, la summa divisio tra collegi perfetti o reali e collegi imperfetti o virtuali non � idonea 
ad incidere sulle funzioni tipiche della primazia n� sulla vexata quaestio della preminenza formale o 
anche sostanziale del presidente sugli altri componenti. 
(17) Sul principio di uguaglianza che ispira le relazioni infra-collegiali, tra i tanti, ZANOBINI G., 
Corso di diritto amministrativo, vol. III, L�organizzazione amministrativa, op. cit. MIELE G., Principii 
di diritto amministrativo, II ed., Cedam, Padova, 1953, ristampa Cedam, Padova, 1966. DAGTOGLOU P., 
Kollegialorgane und Kollegialakte der Verwaltung, op. cit. MORTATI C., Istituzioni di diritto pubblico, 
IX ed., op. cit., secondo cui nell'ambito di ciascun organo collegiale si rinverrebbero pi� persone "chiamate 
(...) ad agire come unit�, essendo la volont� dei singoli unificata nel collegio cui ogni membro 
partecipa in condizioni di parit� e di inseparabilit�". 



DOTTRINA 325 

primazia, quale posizione di preminenza meramente formale, che si articola in 
una serie di funzioni di impulso e coordinamento, strumentali al corretto funzionamento 
del collegio; funzioni, dunque, di carattere esclusivamente procedurale 
che qualificano il presidente in termini di primus inter pares (18). 

Quanto alla disciplina applicabile alle istituzioni collegiali, essa � in parte 
eteronoma, imposta cio� ab externo da norme legislative e in parte autonoma 
in quanto dettata dal collegio stesso nell'esercizio di una potest� regolamentare 
di tipo organizzatorio (19). Tuttavia, oltre ad una disciplina positivamente codificata, 
si rintracciano alcuni principi generalmente applicabili, anche nel silenzio 
del diritto positivo (20). In altre parole trattasi di principi inespressi 
ricavabili da un'interpretazione sistematico-deduttiva di discipline di settore e 
successivamente estesi attraverso un procedimento analogico a tutti gli organi 
collegiali (21). Questo fenomeno interessa, ad ogni modo, pochi principi api


(18) VERBARI G.B., voce Organi collegiali, in Enc. dir., op. cit. VILLATA R., voce Collegi amministrativi, 
in Enc. giur. Treccani, op. cit. CACCIAVILLANI I.-MANZI L., La collegialit� amministrativa, 
op. cit. CASSESE S., Le basi del diritto amministrativo, VI ed., op. cit. FRANCHINI C., L'organizzazione, 
in Trattato di diritto amministrativo, a cura di S. CASSESE, Diritto amministrativo generale, Tomo I, II 
ed., op. cit. D'ORSOGNA M., Le strutture organizzative, in Diritto amministrativo, a cura di F.G. SCOCA, 
II ed., op. cit., pp. 43-46: "Il Presidente, infatti, � titolare di (ulteriori) poteri (strumentali) finalizzati al 
funzionamento del collegio e non a determinare il contenuto delle deliberazioni". SCIULLO G., L'organizzazione 
amministrativa. Principi, op. cit., p. 91: "I componenti hanno piena parit� di diritti e doveri 
(...). Non costituisce eccezione il Presidente del collegio, in rapporto ai poteri strumentali (volti ad assicurare 
il funzionamento del collegio: convocazione, fissazione dell'ordine del giorno, direzione dei 
lavori) di cui � dotato, avendo egli, ai fini dell'assunzione delle delibere del collegio, la medesima posizione 
degli altri componenti". 
(19) GIANNINI M.S., Istituzioni di diritto amministrativo, I ed., Milano, 1981, II ed. agg. a cura di 


A. MIRABELLI CENTURIONE, op. cit., p. 56: "Non sempre le norme disciplinano in modo completo l'organizzazione 
dei collegi, ma � convincimento diffuso che, per principio, ogni collegio possa adottare 
regolamenti interni di organizzazione e di funzionamento". In giurisprudenza, a titolo esemplificativo, 
Cons. Stato, sez. VI, 28 dicembre 1993, n. 1043, in Cons. Stato 1993, I, p. 1699. 
(20) Per quanto concerne l'esistenza di principi apicali comuni a tutti gli organi collegiali GIANNINI 
M.S., Recensione a L. Galateria, Gli organi collegiali amministrativi, op. cit., p. 206. L'Autore 
ritiene che "le regole giuridiche concernenti la struttura e l'azione degli organi collegiali non siano 
unitarie se non ai vertici, e quindi disciplinino una parte circoscritta della materia relativa; e che 
proseguano poi invece differenziandosi a seconda dei vari tipi di organi collegiali che si dovrebbero 
reperire". 
(21) Ad esempio per la determinazione dei poteri presidenziali di direzione dei lavori o di polizia 
delle sedute possono trovare applicazione le disposizioni del Regolamento della Camera dei Deputati. 
Ci� non esclude ovviamente l'applicazione, concorrente o alternativa, di ulteriori e diverse discipline 
nei limiti di compatibilit� con le peculiari caratteristiche di ciascun collegio. Con riferimento alla tematica 
della analogia giuridica, senza pretese di completezza, BOBBIO N., L'analogia nella logica del 
diritto, Giappichelli, Torino, 1938. GIANNINI M.S., L'analogia giuridica, in Jus, 1941. BOSCARELLI 
M., L'analogia giuridica, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1954. CAIANI L., voce Analogia (teoria generale), 
in Enc. dir., vol. II, Milano, 1958. GIANFORMAGGIO L., L'analogia giuridica, in Studi senesi, 1985. 
CARCATERRA G., voce Analogia (teoria generale), in Enc. giur. Treccani, vol. I, Roma, 1988. ROMEO 
F., Analogia: per un concetto relazionale di verit� nel diritto, Cedam, Padova, 1990. MODUGNO F., 
Appunti per una teoria generale del diritto. La teoria del diritto oggettivo, Giappichelli, Torino, 2000. 
D'ALESSANDRO G., voce Analogia, in Diz. dir. pubbl., vol. I, diretto da S. CASSESE, Giuffr�, Milano, 
2006. 



cali, essendo per il resto carente una disciplina organica del variegato mondo 
della collegialit� pubblica (22). 

2. La posizione di preminenza formale del presidente quale coordinatore dei 
lavori del collegio. 

Nell'articolata famiglia delle figure organizzatorie la primazia � una figura 
di originale equiordinazione che si applica alle relazioni tra l'ufficio di 
presidente e l'ufficio di componente nell�ambito degli organi collegiali. A tali 
uffici interni sono preposte le persone fisiche del presidente e degli altri componenti. 
L�irrinunciabilit� dell�ufficio presidenziale � testimoniata dalla previsione 
di meccanismi di sostituzione del presidente in caso di assenza o 
impedimento (23). 

Il presidente �, altres�, membro semplice del consesso, venendo ad assumere, 
al contempo, la titolarit� di due uffici secondo le regole proprie di ciascun 
ordinamento collegiale. 

La iuris figura della primazia si esprime, in via ordinaria, in una posizione 
di preminenza meramente formale del presidente sugli altri componenti. Il 
ruolo di primus inter pares (24) si manifesta attraverso l�esercizio di alcune 
funzioni tipiche (convocazione delle riunioni, formulazione dell'ordine del 
giorno, direzione dei lavori, polizia delle sedute), teleologicamente orientate 
ad assicurare il funzionamento del collegio (25); funzioni che risultano, del 
resto, contrassegnate dalla strumentalit� rispetto al corretto andamento dei la


(22) CACCIAVILLANI I.-MANZI L., La collegialit� amministrativa, op. cit., p. 25. Secondo l'Autore 
"nell'ordinamento � sempre mancata una norma organica sulla collegialit�". (...) Le regole fondamentali 
pi� vicine ad una disciplina generale e sistematica erano quelle relative ai collegi degli organi di governo 
del Comune, il Consiglio Comunale e la Giunta contenuti nel T.U. della legge comunale del 1915. 
(...) Da tali disposizioni la giurisprudenza amministrativa aveva tratto le regole generali della collegialit�, 
facendo sempre salve le eventuali disposizioni proprie del singolo collegio". La normativa citata 
� stata sostituita dalla l. 142/1990 e successivamente dal D.lgs. 267/2000. "I principi contenuti nella legislazione 
comunale citata continuano a sopravvivere - oltre che come norma eventuale, in mancanza 
di specifica disciplina statutaria del funzionamento degli organi collegiali comunali (...) - come norma 
generale di riferimento per la collegialit�, ove non sia diversamente disposto per il singolo collegio, 
sia da fonte esterna allo stesso, sia da fonte regolamentare interna". 
(23) In proposito CIANFLONE A., La supplenza nelle funzioni amministrative, Giuffr�, Milano, 
1955, p. 52. 
(24) Concordano, da ultimi, sull'adozione di tale espressione VILLATA R., voce Collegi amministrativi, 
in Enc. giur. Treccani, op. cit. CACCIAVILLANI I.-MANZI L., La collegialit� amministrativa, op. 
cit., p. 76: "Il presidente ha ruolo di primus inter pares e funzione di indire le riunioni dell'organo, redigendone 
l'ordine del giorno con la scelta degli argomenti da portarne all'esame e alla discussione, 
oltre che di convocarne le sedute. (...) Il presidente ha di solito anche la polizia delle sedute, dando o 
togliendo la parola ai componenti e disciplinando l'andamento della discussione e delle votazioni". CAVALLO 
B., Teoria e prassi della pubblica organizzazione, op. cit., p. 185: "Ed ecco, da ultimo, la particolarissima 
figura del presidente: generalmente � un primus inter pares, eletto dai membri del collegio, 
con la specifica mansione di assicurare il regolare funzionamento dell'ufficio, operando al riguardo 
mediante la convocazione dello stesso, con la predisposizione delle sedute, ovvero delle sinonime adunanze, 
in cui deliberare una serie di pratiche, la cui articolazione � definita nell'ordine del giorno". 



DOTTRINA 327 

vori nonch� dalla natura formale-procedurale che le rende, normalmente, inidonee 
ad incidere sull'autonomia decisionale degli altri componenti. 

Il significato giuridico della primazia si discosta dal valore ad essa attribuito 
nel linguaggio comune ove le viene riconosciuto il diverso significato 
di "preminenza", "supremazia", "superiorit�", derivando dal latino medioevale 
"primatia" (m) da "primus-primatis" (primate) (26). 

Apparentemente il concetto di primo tra pari sembra essere contraddittorio 
(27). Se vi � un primo (il presidente) gli altri componenti vengono dopo di 
lui (secondo, terzo), ci� denotando una differenziazione inconciliabile, prima 
facie, con l'asserita posizione paritaria di tutti i membri del consesso. Tale diversit� 
� poi accentuata dall'attribuzione al presidente di poteri eterogenei 
(anche se strumentali) rispetto agli altri componenti, che ne contrassegnano 
ruolo ed attivit�. 

In realt�, la primazia, quale posizione di preminenza formale del presidente 
sugli altri membri, non pu� essere adeguatamente compresa senza una 
previa analisi delle relazioni infra-collegiali. 

Gli organi collegiali sono composti, di regola, da una pluralit� di persone 
fisiche, titolari dell'ufficio di componente semplice. A fronte dell'identit� del 
titolo di investitura, i membri del consesso vengono a collocarsi in una posizione 
di reciproca pariordinazione, donde il riconoscimento in capo a ciascuno 
di essi di eguali prerogative sostanziali (28). A prima vista una simile impostazione 
dei rapporti collegiali rischierebbe di pregiudicare il funzionamento 
del consesso, qualora non si attribuisse ad uno dei membri un'autonoma e distinta 
potest� di coordinamento dei lavori; a questo specifico ruolo � preposta 
la figura del presidente cui viene conferita, necessariamente, una posizione di 

(25) In argomento VERBARI G.B., voce Organi collegiali, in Enc. dir., op. cit. Secondo l'Autore 
"la posizione del presidente, essendo funzionalmente diversa rispetto a quella degli altri componenti il 
collegio, sostanzia delle potest�, che con formula organizzatoria possono anche essere definite come di 
primazia, finalizzate a permettere il funzionamento del collegio". (...) Inoltre "tale posizione comporta 
dei poteri che attengono al funzionamento e non alla determinazione della volont� del collegio". 
(26) Nell'odierno contesto storico la locuzione primazia al di fuori della collegialit� � utilizzata 
in tutt'altro significato per descrivere, generalmente, la prevalenza delle fonti giuridiche dell'ordinamento 
europeo sulle fonti giuridiche degli ordinamenti nazionali. 
(27) In proposito PETTITI D., Note sul presidente dell'Assemblea di societ� per azioni, in Studi in 
onore di Alberto Asquini, III, Cedam, Padova, 1965, p. 1487: "La formula primus inter pares � intimamente 
contraddittoria: pariteticit� e priorit� nella pariteticit� (o primazia, come � stata chiamata) appaiono 
infatti concetti contrapposti, seppure in grado minore di quanto avvenga nella relazione 
pariteticit�-subordinazione". 
(28) Contra PICCIONE A., Regole della collegialit�, in I fondamenti dell'organizzazione amministrativa, 
a cura di G. MORBIDELLI, Dike, Roma, 2010, pp. 227-228: "Non � vero sino in fondo che il collegio 
deve essere sempre composto da soggetti in posizione paritaria. Infatti, talvolta il presidente 
dispone di poteri propri che ineriscono non solo alla conduzione e al buon andamento dei lavori, ma 
anche all'assunzione della decisione finale, cio� alla trasformazione delle plurime volont� in un atto di 
paternit� dell'organo collegiale. Inoltre, non sono rari i casi di collegi in cui taluni membri mancano 
di alcuni diritti o facolt� e, tuttavia, devono considerarsi senz'altro componenti". 



primazia al fine di assicurare il corretto svolgimento dell�iter collegiale (29). 

� d�obbligo, a questo punto, domandarsi se tali poteri presidenziali rappresentino 
un quid pluris oppure, viceversa, un quid aliud rispetto ai poteri 
assegnati agli altri membri del consesso. Accedendo alla prima tesi sarebbe 
difficile non riconoscere al presidente una posizione di sovraordinazione, per 
la maggior ampiezza delle funzioni a lui conferite. 

Da preferirsi �, viceversa, l'orientamento che conferisce al presidente funzioni 
differenti, per tipologia e finalit�, dalle funzioni spettanti a ciascun componente. 
All'obiezione secondo la quale da tale differenziazione discenderebbe 
la rottura delle relazioni di equiordinazione, � possibile rispondere argomentando 
come siffatte funzioni rivestano natura formale, procedimentale, e strumentale 
al corretto ed efficace svolgimento dei lavori; esse non incidono in 
modo sostanziale sulla formazione della volont� collegiale e sulla autonomia 
degli altri componenti. Del resto, la posizione di primazia o di primus inter 
pares ricoperta dal presidente esprime una posizione di mera priorit� tra pari, 
necessaria per il soddisfacimento della finalit� deliberativa. Diversamente, ove 
in un collegio, pubblico (30) o privato (31), non si attribuissero al presidente 
tali peculiari funzioni, la pariordinazione di tutti i componenti condurrebbe, 
certamente, alla paralisi dei lavori (32). 

(29) FRANCHINI C., L'organizzazione, in Trattato di diritto amministrativo, a cura di S. CASSESE, 
Diritto amministrativo generale, Tomo I, II ed., op. cit. Ad avviso dell'Autore si ha primazia "quando 
tra pi� organi od uffici posti in una situazione paritaria ve ne � uno che, per taluni fini particolari, assume 
una posizione prevalente: � il caso, tra gli altri, del presidente di un collegio, il quale, oltre ad 
avere gli stessi poteri degli altri membri, ne ha anche altri, pi� specifici, quali quelli di convocazione, 
di ordine e di direzione dei lavori". VERBARI G.B., voce Organi collegiali, in Enc. dir., op. cit. 
(30) In dottrina, recentemente, PICCIONE A., Regole della collegialit�, in I fondamenti dell'organizzazione 
amministrativa, a cura di G. MORBIDELLI, op. cit., p. 247: "L'esistenza di un presidente in 
ogni collegio amministrativo � un fatto necessario. Di pi�: non esiste organo collegiale nel nostro ordinamento 
il cui statuto non preveda la figura presidenziale". In giurisprudenza trattasi di un principio 
da sempre pacifico; (ex plurimis Cons. Stato, sez. IV, 10 giugno 1975, n. 573, in Foro amm. 1975). 
(31) Pur nella consapevolezza delle differenze intercorrenti tra la collegialit� pubblica e la collegialit� 
privata, occorre ricordare l'esistenza di taluni principi apicali comuni a qualsivoglia collegio. Tra 
questi si annovera il principio di indefettibilit� dell'ufficio di presidente cui spettano funzioni strumentali 
all�ordinato svolgimento delle sedute. Con riferimento alla figura del presidente di Assemblea nelle societ� 
per azioni SALANITRO N., Il presidente dell'assemblea nelle societ� di capitali, in Riv. soc. 1961. 
SCOTTI CAMUZZI V., I poteri del presidente di assemblea di societ� per azioni, in Riv. int. sc. econ. e 
comm. 1963. PETTITI D., Note sul presidente dell'Assemblea di societ� per azioni, in Studi in onore di 
Alberto Asquini, op. cit., p. 1477. PACIOTTI V., Osservazioni intorno alla natura e funzioni del presidente 
dell'assemblea, in Temi, 1966. MALATESTA LAURINI A., Il presidente di assemblea di societ� per azioni, 
Napoli, 1988. MORANO A., Il presidente dell'assemblea di societ� per azioni, in Le societ� 2000. LAURINI 
G., Poteri e responsabilit� nella formazione delle delibere assembleari, Edizioni scientifiche, Napoli, 
2003. MASSA FELSANI F., Il ruolo del presidente nell'assemblea della s.p.a., Giuffr�, Milano, 2004. ALAGNA 
S., Il presidente dell'assemblea nella societ� per azioni, Giuffr�, Milano, 2005. 
(32) TREVES G., L'organizzazione amministrativa, op. cit., p. 46, secondo il quale "chi si distacca 
fondamentalmente dagli altri componenti, pure rimanendo sotto vari aspetti ad essi parificato, � il presidente. 
(...) Al presidente mette praticamente capo l'organizzazione del collegio, elemento indispensabile 
per il funzionamento di quest'ultimo". 



DOTTRINA 329 

Da tali considerazioni emerge chiaramente come la figura organizzatoria 
della primazia rappresenti un congegno giuridico idoneo ad assicurare impulso, 
regolarit� ed efficacia al procedimento collegiale, permettendo altres� 
di superare momenti di paralisi o di conflitto pregiudizievoli per l'attivit� deliberativa 
del consesso. 

3. Ambito applicativo della primazia e suoi elementi caratterizzanti. 

� d'obbligo, a questo punto, focalizzare l'attenzione sull'ambito applicativo 
della primazia nonch� sui suoi elementi caratterizzanti, evidenziandone i 
principali aspetti. 

L'ambito applicativo della primazia risulta circoscritto negli organi collegiali 
pubblici alle relazioni tra presidente e componenti; d'altronde la prima-
zia, quale figura di originale equiordinazione, ricomprende nel proprio nucleo 
le sole prerogative esercitate dal presidente quale coordinatore delle sedute; 
prerogative che, normalmente, non incidono, se non in via riflessa, sull'autonomia 
degli altri componenti e sul contenuto della decisione finale. 

La primazia si concilia, cos�, perfettamente con il principio della pariordinazione 
di tutti i componenti; una pariordinazione che, non traducendosi in 
una perfetta uguaglianza di poteri, tollera una differenziazione delle funzioni 
presidenziali per assicurare il corretto svolgimento dei lavori. 

Tali funzioni, a carattere amministrativo-discrezionale, si identificano generalmente 
nella convocazione delle riunioni, formulazione dell'ordine del 
giorno, direzione dei lavori, polizia delle sedute. Due elementi ne plasmano 
in profondit� struttura e obiettivi: Da un lato, la natura strettamente formale-
procedurale, dall�altro, il vincolo teleologico che ne orienta l�esercizio al fine 
di garantire il funzionamento delle adunanze (33). 

Il primo ed il secondo elemento evidenziano l�inidoneit� di tali funzioni 
ad incidere in modo sostanziale sulla formazione della volont� collegiale, con 
ricadute sull�autonomia degli altri componenti; del resto, anche ove lo svolgimento 
dei compiti di primus inter pares sfoci in provvedimenti a contenuto 

(33) Sulla strumentalit� dei poteri del presidente in seno agli organi collegiali GALATERIA L., Gli 
organi collegiali amministrativi, op. cit. GARGIULO U., I collegi amministrativi, op. cit. VALENTINI S., 
La collegialit� nella teoria dell'organizzazione, op. cit. VERBARI G.B., voce Organi collegiali, in Enc. 
dir., op. cit. ZUELLI F., Le collegialit� amministrative, op. cit. VILLATA R., voce Collegi amministrativi, 
in Enc. giur. Treccani, op. cit.: "Il presidente cumula una duplice funzione: come membro del collegio 
ha le attribuzioni di tutti gli altri componenti, come presidente risulta titolare dei poteri strumentali necessari 
per lo svolgimento dell'attivit� dell'ufficio collegiale". CACCIAVILLANI I.-MANZI L., La collegialit� 
amministrativa, op. cit. CASSESE S., Le basi del diritto amministrativo, op. cit.: "Il presidente di un 
collegio ha gli stessi poteri degli altri membri ma in pi� ne ha alcuni strumentali". D'ORSOGNA M., Le 
strutture organizzative, in Diritto amministrativo, a cura di F.G. SCOCA, II ed., op. cit., p. 46: "Il Presidente 
� titolare di (ulteriori) poteri (strumentali) finalizzati al funzionamento del collegio e non a determinare 
il contenuto delle deliberazioni". SCIULLO G., L'organizzazione amministrativa. Principi, op. 
cit., p. 91. 


decisorio, ci� accadr� con il solo obiettivo di risolvere situazioni di impasse o 
di conflitto pregiudizievoli per il soddisfacimento della finalit� deliberativa. 
La natura formale-procedurale e strumentale dunque, orienta e al contempo 
limita l�esercizio delle funzioni del presidente quale primus inter pares. 

Conseguentemente, le funzioni che connotano in senso tipico la iuris figura 
della primazia sono in grado di esprimere una posizione di preminenza 
formale del presidente nell'alveo di una relazione di equiordinazione con gli 
altri componenti del collegio. 

4. Le funzioni tipiche della primazia: Natura, tratti distintivi e vicende applicative. 

La figura organizzatoria della primazia esprime in ciascun organo collegiale 
pubblico una relazione di originale equiordinazione tra l'ufficio di presidente 
e gli uffici di componente. 

La peculiarit� di questa iuris figura risiede in ci�, che nonostante la reciproca 
pariordinazione tra tutti i membri sono attribuiti all'ufficio presidenziale 
specifici e distinti poteri che ne diversificano ruolo e funzioni (34); poteri di 
coordinamento orizzontale che incasellano, tuttavia, il presidente in una posizione 
di preminenza meramente formale rispetto agli altri componenti. 

Tale apparente disuguaglianza non altera, del resto, lo schema della primazia 
quale figura di originale equiordinazione, poich�, in via ordinaria e salvo 
eccezioni, le funzioni esercitate dal presidente risultano strumentali al corretto 
svolgimento dei lavori e non incidono, in modo sostanziale, sull'autonomia 
decisionale degli altri componenti. In altri termini il contenuto tipico della primazia 
si articola in una serie di funzioni che, di regola, non trascendono in 
poteri sostanziali di merito tali da condizionare la libera formazione della volont� 
collegiale. Esclusivamente all'interno di questi confini il presidente pu� 
considerarsi un primus inter pares, con compiti di mero impulso e coordinamento 
dei lavori. 

Come visto, non tutte le prerogative del presidente sono idonee ad inscriversi 
nella figura giuridica della primazia, ma solo un ristretto numero di esse 
(35); tali funzioni si identificano, pi� precisamente, nella convocazione delle 
riunioni, formulazione dell'ordine del giorno, direzione dei lavori, polizia delle 
sedute; le si analizzer� partitamente nel prosieguo. 

(34) GALATERIA L., Gli organi collegiali amministrativi, op. cit. GARGIULO U., I collegi amministrativi, 
op. cit. VALENTINI S., La collegialit� nella teoria dell'organizzazione, op. cit. VILLATA R., voce 
Collegi amministrativi, in Enc. giur. Treccani, op. cit. CROSETTI A., voce Organi, in Dig. disc. pubbl., 
vol. X, Utet, Torino, 1995, pp. 460 e ss., spec. p. 467: "La funzione di presidenza assicura l'osservanza 
delle leggi e garantisce l'ordine e la regolarit� dell'attivit� collegiale, con appositi atti posti in essere 
prima e dopo le riunioni del collegio (fissazione dell'ordine del giorno, convocazione, discussione, votazione, 
firma dei verbali, ecc..). Spesso i presidenti degli organi collegiali dispongono altres� di una 
posizione e competenza propria come organo individuale e autonoma rispetto agli altri organi (v. Presidente 
del Consiglio dei Ministri, Presidente della Giunta regionale ecc..)". 


DOTTRINA 331 

Occorre a questo punto interrogarsi sulla natura, discrezionale o vincolata, 
di tali funzioni, poich� dalla risposta fornita al quesito discende l'individuazione 
di differenti rimedi in caso di patologia. 

Preme innanzitutto evidenziare come nell'ambito di tutti i collegi pubblici 
le funzioni che connotano in senso tipico il contenuto della primazia presidenziale 
abbiano normalmente carattere discrezionale; e ci� a prescindere dalla 
natura legislativa, amministrativa o giurisdizionale dell'organo collegiale in 
rilievo. L'esercizio di tali funzioni �, conseguentemente, caratterizzato da margini 
pi� o meno ampi di scelta, necessari per assicurare il buon andamento dei 
lavori. Poich� una perfetta e simmetrica pariordinazione tra tutti i componenti 
rischierebbe di pregiudicare la piena funzionalit� del consesso, � necessario 
riconoscere al presidente particolari poteri di valutazione e decisione in vista 
del perseguimento della finalit� deliberativa. 

La discrezionalit� presidenziale si configura, pertanto, quale ordinario ed 
indispensabile modo d'essere delle funzioni tipiche della primazia; una discrezionalit� 
che risulta, comunque, presidiata da vincoli e cautele, diversi di collegio 
in collegio, che ne circoscrivono ambito ed intensit� applicativa, per 
scongiurare forme di incondizionata libert� ed assoluto arbitrio da parte del 
presidente (36). Ad ogni modo l'ubi consistam della discrezionalit� si identifica, 
pur sempre, in un ambito di scelta e di ponderazione (37), generalmente 
non sindacabile dal collegio, dai suoi componenti n� da altri organi, in assenza 
di espresse disposizioni di diritto positivo (38). 

(35) � possibile inferire per deduzione da alcuni ordinamenti collegiali taluni principi di carattere 
generale, applicabili analogicamente a tutti i consessi pubblici. Uno di essi � il principio della necessaria 
istituzione dell'ufficio presidenziale, quale ufficio deputato al coordinamento orizzontale delle attivit� 
del collegio; fa da corollario a tale principio il riconoscimento in capo al presidente di una posizione di 
primazia o di preminenza formale, che si esprime attraverso alcune funzioni amministrative tipicamente 
predeterminate. Tali funzioni sono esperibili da ogni presidente anche in assenza di una puntuale disposizione 
di diritto positivo. 
(36) In proposito VITTA C., Gli atti collegiali: principi sul funzionamento dei consessi pubblici 
con riferimenti alle assemblee private, op. cit. ALAGNA S., Il presidente dell'assemblea nella societ� per 
azioni, op. cit., p. 45, secondo cui la discrezionalit� nell'esercizio delle funzioni presidenziali non deve 
significare "mero arbitrio, ma, al contrario, possibilit� di scegliere - secondo raziocinio, prudenza ed 
efficienza - nell'ambito delle regole date". Pi� in generale sui limiti della funzione amministrativa PIRAINO 
S., La funzione amministrativa fra discrezionalit� e arbitrio, Giuffr�, Milano, 1990. 
(37) GARGIULO U., I collegi amministrativi, op. cit., p. 156, secondo cui il legislatore "talvolta interviene 
disponendo che l'iniziativa debba essere presa dal solo presidente, che pu� valutare l'opportunit� 
della riunione, e non dai singoli componenti che non sono ad essa legittimati (ad es. nei collegi di 
contitolari di competenze)". ALAGNA S., Il presidente dell'assemblea nella societ� per azioni, op. cit., 
pp. 45 e 49: "Non pu� certo dubitarsi che per l'assolvimento delle sue mansioni gli sia attribuita una 
certa sfera di discrezionalit�" (...). Il presidente, infatti, "attinge le proprie prerogative dall'ordinamento" 
e per tale motivo "pu� ribadirsi che autonomia e discrezionalit� costituiscono i caratteri portanti della 
sua funzione". 
(38) � evidente come l'esigenza di funzionalit� del consesso postuli il riconoscimento in capo al 
presidente di un margine di discrezionalit� nell'assolvimento dei compiti tipici della posizione di primazia. 
Ciascun ordinamento collegiale pu�, tuttavia, modulare la discrezionalit� presidenziale, restrin



Non � escluso, tuttavia, che i vari ordinamenti collegiali introducano prescrizioni 
cos� stringenti da vincolare l'esercizio di talune funzioni presidenziali, 
azzerando conseguentemente qualsivoglia margine di discrezionalit�. Si pensi, 
ad esempio, alle ipotesi di autoconvocazione in cui dalla richiesta vincolante 
di un tot numero di componenti (39) discenda in capo al presidente l'obbligo 
di convocazione dell'adunanza. In tali fattispecie, dunque, il presidente, non 
esercitando alcun potere discrezionale, sar� tenuto conseguentemente a convocare 
il consesso, in ragione della natura vincolata del relativo atto amministrativo 
(40). 

Con particolare riferimento alle attivit� amministrative vincolate si pone 
la vexata quaestio dei rimedi esperibili a fronte dell'illegittima inerzia del presidente. 
La tematica risulta di palpitante attualit� sia in ambito teorico sia in 
sede applicativa, data la frequente assenza di espliciti rimedi in diritto positivo 
(41). Infatti molti ordinamenti collegiali, pur prevedendo atti vincolati, non 

gendola od ampliandola, in ragione della natura dell'organo e delle finalit� perseguite. Pu� accadere, ad 
esempio, che siano previste forme di condivisione di una funzione tra presidente, collegio e componenti, 
con l'individuazione espressa di appositi strumenti tesi alla risoluzione di eventuali conflitti. (In proposito 
GALATERIA L., Gli organi collegiali amministrativi, vol. II, op. cit., p. 184. Le norme di ciascun ordinamento 
collegiale possono prevedere "eventuali rimedi allo strapotere del Presidente sia attribuendo ai 
componenti del collegio il potere di appellarsi contro alcune sue decisioni al collegio stesso e sia dividendo 
l'esercizio di alcuni poteri tra questi ultimi e il Presidente"). Viceversa, a fronte del silenzio della 
normativa vigente, l'ampia discrezionalit� delle funzioni che connotano la primazia non consente, se 
non in casi particolari, forme di sindacato o controllo sugli atti del presidente. 

(39) ORLANDO V.E., voce Consiglio comunale, in Dig. it., Torino, 1895-1898. VITTA C., Gli atti 
collegiali: principi sul funzionamento dei consessi pubblici con riferimenti alle assemblee private, op. 
cit. LA TORRE M., Il Comune in regime democratico: studi e questioni in materia d'amministrazione locale, 
Firenze, 1953. GALATERIA L., Gli organi collegiali amministrativi, vol. I, op. cit., p. 16: "Ora, se 
le richieste di convocazione non avessero effetto vincolante, il fine per cui sono state espressamente 
previste dal legislatore sarebbe pienamente frustrato in quanto l'organo cui esse sono dirette potrebbe 
a suo arbitrio continuare nel suo comportamento negativo diretto ad evitare o ritardare la convocazione 
del collegio". GARGIULO U., I collegi amministrativi, op. cit., pp. 157-158: L'efficacia vincolante della 
richiesta "si desume dalle disposizioni legislative che di volta in volta la prevedono. Queste infatti hanno 
lo scopo di porre un rimedio alla negligenza del presidente del collegio, al quale la richiesta � rivolta; 
e tale scopo non potrebbe essere raggiunto se non si riconoscessero gli effetti vincolanti. Perci� il presidente 
non � libero di accogliere o non accogliere la richiesta, ma deve provvedere in conformit�, con 
la possibilit� di impugnativa nel caso di provvedimento difforme". 
(40) GALATERIA L., Gli organi collegiali amministrativi, vol. II, op. cit., p. 194: "Le funzioni presidenziali 
si possono distinguere in vincolate o discrezionali ed in funzioni esercitabili su sua iniziativa 
o su richiesta". 
(41) Rappresentano un�eccezione i Consigli comunali e provinciali; in proposito l'art. 39 co. II 
del D.lgs. 267/2000 testualmente recita: "Il presidente del consiglio comunale o provinciale � tenuto a 
riunire il consiglio, in un termine non superiore ai venti giorni, quando lo richiedano un quinto dei consiglieri, 
o il sindaco o il presidente della provincia, inserendo all�ordine del giorno le questioni richieste". 
Aggiunge poi il co. V che "in caso di inosservanza degli obblighi di convocazione del consiglio, 
previa diffida, provvede il prefetto", quale organo preposto al controllo degli enti locali. Trattasi di una 
delle poche disposizioni sulla collegialit� che prevede un espresso rimedio contro l'omissione del presidente 
nell'ipotesi di richiesta (vincolante) di convocazione da parte del prescritto numero di componenti. 



DOTTRINA 333 

prescrivono, contestualmente, alcuno strumento idoneo a contrastare il silenzio 
presidenziale. � evidente, tuttavia, come in omaggio ai principi di par condicio 
e di preminenza solo formale del presidente, un rimedio debba pur desumersi 
dal sistema della collegialit� attraverso un'esegesi logico-sistematica dalle 
norme, scritte e non, che ne governano il funzionamento. Qualora, viceversa, 
non si ritenesse necessario individuare alcun rimedio in ipotesi di omissione, 
si dovrebbe coerentemente sostenere la sovraordinazione dell'ufficio presidenziale 
rispetto all'ufficio di membro semplice del collegio; una soluzione profondamente 
in contrasto con i principi che disciplinano il fenomeno collegiale. 
Si rinvia al prosieguo della trattazione una pi� approfondita disamina dei rimedi 
ammissibili. 

4.1. Convocazione delle riunioni. 

� convincimento diffuso che la convocazione, quale atto idoneo ad attivare 
l�iter collegiale, debba contenere l'invito a partecipare alle sedute per la 
discussione e votazione degli argomenti all'ordine del giorno (42). Del resto, 
tale atto di impulso consente l'introduzione degli interessi da ponderare e graduare 
ai fini della scelta deliberativa. 

In ciascun organo collegiale la convocazione delle adunanze rappresenta 
una delle funzioni generali (43), a contenuto discrezionale, attraverso 
cui si manifesta la posizione di primazia o preminenza formale del presidente. 
Tale funzione, per la sua natura formale e per la strumentalit� rispetto 
al buon andamento dei lavori, non � idonea ad incidere in modo sostanziale 
sulla formazione della volont� collegiale n� sull�autonomia decisionale 
degli altri componenti (44). 

Normalmente la convocazione � atto del presidente anche se "talora essa 
� operata dalla legge" mentre altre volte "spetta a terzi, o iure proprio o per 
surrogazione"; sono, d'altronde, queste ultime "le possibili variet� della c.d. 

(42) GALATERIA L., Gli organi collegiali amministrativi, vol. I, op. cit., p. 1. MIELE G., voce Adunanza, 
in Noviss. Dig. it., vol. I, Utet, Torino, 1957. GARGIULO U., I collegi amministrativi, op. cit., pp. 
155 e ss. VALENTINI S., La collegialit� nella teoria dell'organizzazione, op. cit., p. 245. VERBARI G.B., 
voce Organi collegiali, in Enc. dir., op. cit. ZUELLI F., Le collegialit� amministrative, op. cit. VILLATA 
R., voce Collegi amministrativi, in Enc. giur. Treccani, op. cit. 
(43) GARGIULO U., I collegi amministrativi, op. cit., p. 155: Secondo l�Autore il principio della 
convocazione � un principio consustanziale al fenomeno stesso della collegialit�; le regole particolari 
che disciplinano la convocazione "sono cos� insite e immanenti nella attivit� deliberante compiuta da 
una pluralit� di persone (collegio)" e "possono definirsi regole naturali della convocazione. Esistono 
infatti a prescindere da qualsivoglia riconoscimento legislativo, il quale, se ricorre, � rivolto soltanto a 
delimitarle e a disciplinarle in relazione alle varie categorie dei collegi o in rapporto a un particolare 
collegio". 
(44) A ben vedere, poi, tra le varie funzioni che connotano in senso tipico la figura organizzatoria 
della primazia la convocazione sembra essere tra le meno incisive, sia perch� antecedente alla riunione 
del collegio sia perch� spesso riconosciuta, in via concorrente, anche a soggetti diversi dal presidente 
(il legislatore, altre autorit�, un prescritto numero di componenti). 



eteroconvocazione" (45). La funzione di convocazione pu�, dunque, essere riconosciuta 
al presidente ora in modo esclusivo ora in concorso con altre figure 
soggettive (46). Mentre le forme di eteroconvocazione sono oggetto di previsione 
tassativa (47) in base al principio di autonomia degli organi collegiali, 
assumono viceversa carattere generale "le forme di intraconvocazione, nelle 
quali il potere di convocazione compete a membri facenti parte dell'organo" 

(48) e, segnatamente, al presidente che viene a trovarsi in una posizione di 
primazia formale rispetto agli altri componenti. Una speciale tipologia di intraconvocazione 
�, poi, la c.d. autoconvocazione (49) che si verifica nell'ipotesi 
in cui la seduta debba convocarsi su richiesta di un prescritto numero di componenti. 
In caso, poi, di omissione del presidente, nel silenzio del diritto po


(45) VALENTINI S., La collegialit� nella teoria dell'organizzazione, op. cit., p. 245. 

(46) GARGIULO U., I collegi amministrativi, op. cit., p. 156: Il legislatore "talvolta interviene disponendo 
che l'iniziativa vada esercitata previo accordo e non isolatamente, intendendo cos� limitare 
la valutazione dell'opportunit� della riunione, nel senso di non affidarla a un solo componente ma ad 
un gruppo di componenti, d'accordo tra di loro (cos� ad es. nei Consigli comunale e provinciale, i consiglieri 
possono richiedere la convocazione se raggiungono il numero di un terzo); talvolta interviene 
disponendo che l'iniziativa debba essere presa dal solo presidente, che pu� valutare l'opportunit� della 
riunione, e non dai singoli componenti che non sono ad essa legittimati". 
(47) GARGIULO U., I collegi amministrativi, op. cit., p. 156: "In determinati collegi, e per soddisfare 
particolari esigenze, la convocazione pu� essere sollecitata anche da soggetti estranei. Quando 
ci� ricorre, lo si desume dal diritto positivo o dai principi speciali di un determinato ordinamento: talvolta 
lo stesso legislatore stabilisce la data della riunione se si tratta di collegi che svolgono attivit� di 
particolare interesse per la vita, politica o amministrativa, della collettivit� (...); talvolta l'ente o l'organo 
che hanno provveduto alla costituzione del collegio, nominando i relativi membri, possono prendere 
l'iniziativa fino a quando il presidente viene designato (...); talvolta l'organo che esercita il controllo 
sul collegio si sostituisce al presidente nel convocare l'assemblea alla quale sottopone affari di particolare 
importanza". 
(48) GALATERIA L., Gli organi collegiali amministrativi, vol. I, op. cit., p. 6. 


(49) A riguardo VALENTINI S., La collegialit� nella teoria dell'organizzazione, op. cit., p. 246: 
"Meno chiara � la vicenda della autoconvocazione, che � l'unica ipotesi possibile - oltre quella normale 
della convocazione presidenziale - di intraconvocazione. L'autoconvocazione, si dice, avviene 
a richiesta di un certo numero di membri; l'atto del gruppo di componenti del collegio pu� per� configurarsi 
sia come richiesta in senso proprio, seguita da un atto vincolato del presidente (nel qual 
caso in carenza di tale atto non dovrebbe ritenersi possibile la regolare costituzione del collegio), 
sia come atto di convocazione autosufficiente a tale effetto (nel qual caso esso � mal definito richiesta), 
eventualmente seguito da un atto di accertamento o di comunicazione del presidente". Contra 
VITTA C., Gli atti collegiali: principi sul funzionamento dei consessi pubblici con riferimenti alle assemblee 
private, op. cit., p. 117: "Taluno parla in tal caso di un'autoconvocazione del collegio, ma 
sembra un'espressione inesatta, perch� occorre insomma sempre la convocazione formale ad opera 
della presidenza e soltanto questa pu� essere a ci� costretta dalla domanda di un certo numero di 
membri. Certo � che con questo sistema si d� il mezzo ai membri del collegio, quando raggiungono 
un certo numero, di porre in moto colla loro istanza l'attivit� del collegio, onde il collegio non �, per 
cos� dire, un corpo inerte che attenda ogni iniziativa dall'infuori di esso, ma ha un interno congegno 
che ne permette la convocazione allorch� il bisogno ne sia sentito dai suoi componenti". Del medesimo 
avviso MANNINO A., Indirizzo politico e fiducia nei rapporti tra Governo e Parlamento, Giuffr�, 
Milano, 1973, pp. 92-93. GALATERIA L.-STIPO M., Manuale di diritto amministrativo, III ed., op. cit. 
In giurisprudenza in senso conforme gi� Cons. Stato, sez. V, 4 marzo 1955, n. 319, in Cons. Stato 
1955. 



DOTTRINA 335 

sitivo, occorrer� individuare nel sistema uno o pi� rimedi surrogatori, attivabili 
su istanza degli interessati (50). Infatti, anche se in questa fattispecie l�atto di 
convocazione ha caratteri vincolati, l�intermediazione del presidente appare 
comunque necessaria, non potendo i componenti sostituirsi a lui direttamente, 
salvo disposizioni di segno contrario. 

L�atto di convocazione deve contenere l'indicazione di data, luogo e argomenti 
della riunione (51) al fine di consentire un'informata partecipazione 
a tutti i componenti del consesso. Salvi i casi di convocazione ex lege (52) o 
di richiesta vincolante di quota parte del collegio, la determinazione di ciascuno 
di tali elementi � rimessa necessariamente alla valutazione discrezionale, 
ancorch� congrua e ragionevole, del presidente. L'atto di convocazione va, infine, 
tenuto concettualmente distinto dall'avviso di convocazione (53). 

4.1.1. Omessa convocazione dell'adunanza a fronte della richiesta del prescritto 
numero di componenti. 

Come visto, le funzioni tipiche della primazia presidenziale hanno natura 
amministrativa e carattere discrezionale. Ciononostante ogni ordinamento collegiale 
pu�, con disposizione espressa ed al ricorrere di prescritte condizioni, 
renderne vincolato l'esercizio. Si pensi all'ipotesi in cui il presidente, a fronte 

(50) Non sempre risulta agevole, a causa del ricorrente silenzio della normativa vigente, individuare 
l'organo, esterno o interno, giurisdizionale o para-giurisdizionale, competente a sostituire il presidente 
nella convocazione dell�adunanza e nella fissazione del relativo ordine del giorno. La questione 
presenta profili problematici, in quanto l'intromissione di un organo esterno rischia di compromettere 
l'autonomia del collegio e, pi� in generale, dell'istituzione in cui esso � incardinato. 
(51) VITTA C., Gli atti collegiali: principi sul funzionamento dei consessi pubblici con riferimenti 
alle assemblee private, op. cit., p. 115: Secondo l�Autore �quanto al tempo di convocazione pei collegi 
pubblici vՏ il sistema delle sessioni�. 
(52) VITTA C., Gli atti collegiali: principi sul funzionamento dei consessi pubblici con riferimenti 
alle assemblee private, op. cit., p. 114: �Vi sono legislazioni le quali in taluni casi ammettono una convocazione 
ipso iure, cio� fissano il tempo, il luogo e l�oggetto della riunione del collegio, indipendentemente 
dalla necessit� di un apposito atto�. In queste ipotesi un eventuale atto di convocazione del 
presidente avr� valore meramente ricognitivo. Con precipuo riferimento alle Assemblee parlamentari, 
in caso di convocazione di diritto di una Camera (art. 62 co. I Cost.) oppure nell'ipotesi di convocazione 
straordinaria dell'altra Camera (art. 62 co. II e co. III Cost.) "spetta al presidente della assemblea (...) 
l'iniziativa della convocazione, per la quale tuttavia possono sussistere vincoli formali nell'an, nel tempus 
e negli argomenti da trattare" (CIAURRO G.F., voce Ordine del giorno, in Enc. dir., vol. XXX, Milano, 
1980, p. 1022). In argomento anche LONGI V., voce Convocazione della Camera, in Rass. parlam., I, 
1959. ARGONDIZZO D., Sull'autoconvocazione in senso stretto, in Forum quad. cost., 2006. DI CESARE 
R., Convocazione straordinaria e convocazione di diritto delle Camere, in Forum quad. cost., 2006. 
(53) GARGIULO U., I collegi amministrativi, op. cit., p. 159. Pi� in generale sulla comunicazione 
degli atti amministrativi DANIELE N., L'atto amministrativo recettizio, in Riv. trim. dir. pubbl., n. 4, 1953. 
OTTAVIANO V., La comunicazione degli atti amministrativi, Giuffr�, Milano, 1953. Secondo l'Autore "la 
comunicazione si pone quindi come atto autonomo rispetto a quello comunicato e che ha perci� una 
sua propria rilevanza giuridica da cui discendono effetti diversi da quelli prodotti dall'atto oggetto della 
comunicazione". GIAMPICCOLO G., La dichiarazione recettizia, Giuffr�, Milano, 1959. GARDINI G., La 
comunicazione degli atti amministrativi: uno studio alla luce della legge 7 agosto 1990, n. 241, Giuffr�, 
Milano, 1996. 



della richiesta di convocazione avanzata da un determinato numero di componenti, 
sia obbligato dalla normativa vigente a convocare il consesso (54), 
previo controllo formale di legittimit� della richiesta (55). Pu� accadere in 
concreto che il presidente, pur essendovi giuridicamente tenuto, ometta il compimento 
dell'atto (vincolato) di convocazione (56), dando vita ad una disfunzione 
amministrativa (57), idonea a paralizzare l'attivit� del collegio. 

Tale fattispecie si inquadra, a pieno titolo, nel pi� ampio fenomeno della 

c.d. autoconvocazione dell'organo collegiale. Una dottrina (minoritaria) opina 
nel senso che tale locuzione ricomprenderebbe non solo ipotesi di convocazione 
ad opera del presidente ma anche casi di convocazione diretta da parte di una 
frazione di componenti (58). Una soluzione che, ad un attento esame, si palesa 

(54) VILLATA R., voce Collegi amministrativi, in Enc. giur. Treccani, op. cit.: "Il potere di convocare 
il collegio spetta di regola al presidente, che � peraltro sovente tenuto ad effettuarla ove lo richieda 
un certo numero di membri". 
(55) Trattandosi di atto vincolato, il controllo del presidente deve circoscriversi ad una verifica di 
mera legittimit� formale riguardante: La sussistenza del quorum prescritto per la richiesta di convocazione; 
la competenza del collegio a discutere degli argomenti inseriti all'ordine del giorno. Ogni altra 
valutazione � preclusa, sicch� il presidente potr� legittimamente non convocare nelle sole ipotesi in cui 
la richiesta provenga da un numero di soggetti inferiore al numero minimo prescritto o vengano inseriti 
all'ordine del giorno argomenti ultronei rispetto alle attribuzioni del collegio. 
(56) La vincolatezza dell'atto presidenziale di convocazione, a fronte della richiesta del prescritto 
numero di componenti, trae conferma da locuzioni quali "il presidente deve", "il presidente � tenuto", 
"il presidente convoca". Sul punto gi� GARGIULO U., I collegi amministrativi, op. cit., pp. 157-158 secondo 
cui la natura vincolata della richiesta discende dallo scopo "di porre un rimedio alla negligenza 
del presidente del collegio, al quale la richiesta � rivolta; e tale scopo non potrebbe essere raggiunto 
se non si riconoscessero gli effetti vincolanti. Perci� il presidente non � libero di accogliere o non accogliere 
la richiesta, ma deve provvedere in conformit�, con la possibilit� di impugnativa nel caso di 
provvedimento difforme". Pi� in generale sulla richiesta con efficacia vincolante SANDULLI A.M., Il procedimento 
amministrativo, Giuffr�, Milano, 1940. 
(57) Sull'omesso o cattivo esercizio delle funzioni amministrative GASPARRI P., Corso di diritto 
amministrativo, vol. I, Zuffi, Bologna, 1956. 
(58) VALENTINI S., La collegialit� nella teoria dell'organizzazione, op. cit., p. 246: "Meno chiara 
� la vicenda della autoconvocazione, che � l'unica ipotesi possibile - oltre quella normale della convocazione 
presidenziale - di intraconvocazione. L'autoconvocazione, si dice, avviene a richiesta di un 
certo numero di membri; l'atto del gruppo di componenti del collegio pu� per� configurarsi sia come 
richiesta in senso proprio, seguita da un atto vincolato del presidente (nel qual caso in carenza di tale 
atto non dovrebbe ritenersi possibile la regolare costituzione del collegio), sia come atto di convocazione 
autosufficiente a tale effetto (nel qual caso esso � mal definito richiesta), eventualmente seguito da un 
atto di accertamento o di comunicazione del presidente". MAZZIOTTI DI CELSO M., voce Parlamento 
(principi generali e funzioni), in Enc. dir., vol. XXXI, Milano, 1981, p. 777: "In caso di inerzia del Presidente, 
la convocazione potrebbe avvenire per iniziativa - tale � la parola espressamente usata dalla 
Costituzione - dei soggetti cui essa attribuisce questo potere. Un argomento che viene confermato anche 
dal Regolamento della Camera che riproduce il testo dell'art. 62 Cost.: si risolverebbe il problema con 
una forma di autoconvocazione diretta da parte dei soggetti legittimati senza alcuna intermediazione 
di un atto formale del Presidente di Assemblea". Contra VITTA C., Gli atti collegiali: principi sul funzionamento 
dei consessi pubblici con riferimenti alle assemblee private, op. cit., p. 117, il quale ritiene 
sempre necessaria l'intermediazione del presidente attraverso un suo formale atto di convocazione. GALATERIA 
L.-STIPO M., Manuale di diritto amministrativo, III ed., op. cit. In giurisprudenza, ex plurimis, 
Corte Conti, 20 dicembre 1995, n. 31, in Riv. Corte Conti, fasc. 6, 1995, p. 17. 



DOTTRINA 337 

in contrasto con i principi generali in tema di organi collegiali. Infatti, in assenza 
di espresse disposizioni abilitanti, un intervento surrogatorio dei componenti, 
finalizzato alla convocazione dell'adunanza in luogo del presidente, colliderebbe 
con il principio di necessaria istituzione dell'ufficio presidenziale. 

Dall'obbligatoriet� della figura presidenziale per esigenze di funzionalit� 
del consesso discende il divieto di riconoscere, in via generale, ad altri membri 
un potere di convocazione diretta delle riunioni. Una simile ipotesi potrebbe, 
semmai, configurarsi eccezionalmente, ove una norma di diritto positivo la 
prevedesse expressis verbis configurando una fattispecie di convocazione ex 
lege (59). 

La ricorrenza negli ordinamenti collegiali delle locuzioni "su richiesta", 
"richiede" dimostra, viceversa, la necessit� di un atto di intermediazione del 
presidente, che pertanto sar� obbligato a provvedere alla convocazione in 
senso conforme alla richiesta (60). 

La stessa giurisprudenza, nelle rare ipotesi in cui si � occupata della vicenda, 
ha confermato tale soluzione (61); di conseguenza non � attualmente 
ammissibile, in via generale, una convocazione diretta dei componenti, in assenza 
di una disposizione ad hoc che la contempli espressamente. 

Inoltre, le normative vigenti, nei casi di richiesta di convocazione da parte 
del prescritto numero di componenti, non prevedono alcun rimedio dinanzi 
all'inerzia del presidente; infatti nell'ipotesi di inadempimento dell'obbligo di 
provvedere, vi � incertezza sullo strumento azionabile per ripristinare il regolare 
funzionamento del collegio. Del resto, anche se l'omissione risulta penalmente 
sanzionata dall'art. 328 co. II c.p. (62), � evidente come tale misura non 

(59) Nelle ipotesi di convocazione ex lege (o di diritto) � l'ordinamento giuridico a stabilire direttamente 
ed in via preventiva la data di convocazione, al precipuo fine di porre un rimedio a inerzie ed 
omissioni del presidente, idonee a paralizzare l'attivit� deliberativa del consesso. Tali ipotesi sono contemplate 
da espresse disposizioni statutarie o regolamentari in alcuni Consigli regionali. (A riguardo 
MACCABIANI Codeterminare senza controllare. La via futura delle assemblee elettive regionali, Giuffr�, 
Milano, 2010). 
(60) Una convocazione autosufficiente da parte del prescritto numero di componenti sarebbe ammissibile 
ove il singolo ordinamento collegiale utilizzasse, per esempio, le locuzioni "convoca", "convocano", 
"pu� convocare", "possono convocare", "possono provvedere direttamente alla convocazione"; 
noto � il brocardo latino "ubi lex voluit dixit ubi noluit tacuit". Attualmente l'unico caso di autoconvocazione 
in senso stretto, ammissibile in quanto disposta direttamente dalla legge, si rinviene nell'art. 66 
disp. attuaz. c.c. La norma prevede che in via straordinaria l'Assemblea del condominio possa essere 
convocata dall'amministratore "su richiesta di almeno due condomini che rappresentino un sesto del 
valore dell'edificio". Inoltre "decorsi inutilmente dieci giorni dalla richiesta, i detti condomini possono 
provvedere direttamente alla convocazione". 
(61) Si veda, a titolo esemplificativo, Cons. Stato, sez. V, 4 marzo 1955, n. 319, in Cons. Stato 1955, 
cit., che muovendo dall'esegesi dell'art. 235 l. 4 febbraio 1915, n. 148 in materia di enti locali ha considerato 
inefficace l'autoconvocazione del Consiglio provinciale non seguita da un esplicito atto del presidente. 
(62) Il presidente del collegio � un pubblico ufficiale in quanto esercita funzioni amministrative; 
conseguentemente trova applicazione il delitto di cui all'art. 328 c.p. rubricato "Rifiuto di atti d'ufficio. 
Omissione". La disposizione al co. II segnatamente recita: "Fuori dei casi previsti dal primo comma, il 



consenta di superare l'impasse provocato dal negligente od ostruzionistico 
comportamento del presidente. Le medesime esigenze che presiedono all'istituzione 
dell'ufficio presidenziale impongono di ricavare dal sistema della collegialit� 
uno o pi� efficaci rimedi; ci� sia per assicurare il costante 
funzionamento dell'organo sia per tutelare la situazione giuridica di interesse 
legittimo dei richiedenti. 

Una volta riconosciuta la necessit� di uno o pi� rimedi, occorre individuarne 
tipologia e caratteri, chiarendo successivamente presso quale organo 
siano esperibili, di volta in volta, anche in considerazione delle differenti caratteristiche 
dei collegi pubblici. Un primo rimedio potrebbe rinvenirsi nel-
l'applicazione analogica della disposizione di cui all'art. 2367 co. II c.c., in 
tema di S.p.a. (63), che prevede, su ricorso degli interessati, la convocazione 
dell'Assemblea da parte del presidente del Tribunale civile territorialmente 
competente (recte Tribunale nella formulazione novellata) in caso di rifiuto (e 
a fortiori omissione) del presidente del collegio (64). 

La disposizione conferisce, dunque, ai componenti che ne facciano richiesta 
il potere di ricorrere ad un organo giurisdizionale esterno, per ottenere 
ope iudicis la convocazione dell'adunanza con formulazione del relativo ordine 
del giorno. Un intervento, dunque, di natura sostitutiva ammesso dall'ordinamento 
a tutela delle legittime pretese dei richiedenti. 

In questo modo, a seguito della presentazione del ricorso, il Tribunale potrebbe 
convocare con decreto la seduta, surrogando il presidente nel compimento 
dell'atto vincolato; tale rimedio, espressamente previsto per i collegi 
privati � suscettibile di applicazione analogica in tutti i collegi pubblici che 
non contemplino in situazioni analoghe alcuno strumento giuridico. 

pubblico ufficiale o l'incaricato di un pubblico servizio, che entro trenta giorni dalla richiesta di chi vi 
abbia interesse non compie l'atto del suo ufficio e non risponde per esporre le ragioni del ritardo, � punito 
con la reclusione fino ad un anno o con la multa fino a milletrentadue euro. Tale richiesta deve essere 
redatta in forma scritta ed il termine di trenta giorni decorre dalla ricezione della richiesta stessa". 
Con riferimento alla previsione di un obbligo di convocazione penalmente sanzionato, in dottrina, GALATERIA 
L., Gli organi collegiali amministrativi, op. cit. PRINCIVALLE S., Gli organi elettivi del Comune 
e della Provincia, Noccioli, Firenze, 1980. In giurisprudenza si veda, a titolo esemplificativo, Pretura 
di Bassano del Grappa, 27 febbraio 1981, in G. mer. 1982. 

(63) L'art. 2367 co. II c.c. testualmente recita: "Se gli amministratori o il consiglio di gestione, oppure 
in loro vece i sindaci o il consiglio di sorveglianza o il comitato per il controllo sulla gestione, non 
provvedono, il tribunale, sentiti i componenti degli organi amministrativi e di controllo, ove il rifiuto di 
provvedere risulti ingiustificato, ordina con decreto la convocazione dell'assemblea, designando la persona 
che deve presiederla". Per approfondimenti si rinvia ai contributi di LAURINI G., Il presidente di assemblea 
di societ� per azioni, op. cit. ALAGNA S., Il presidente dell'assemblea nella societ� per azioni, 
op. cit. CENDON P. (a cura di), Commentario al codice civile, artt. 2484-2510, Giuffr�, Milano, 2010. 
(64) Con riferimento alla convocazione dell'Assemblea delle S.p.a. fa notare FICO D., La convocazione 
dell'assemblea su richiesta dei soci di minoranza, in Le societ�, fasc. 10, 2009, come sussista 
in capo al presidente l'obbligo di procedere alla convocazione dell'Assemblea a seguito della richiesta 
della minoranza dei soci; "obbligo che, tuttavia, incontra un limite nella legittimit� o nella estraneit� 
alle funzioni dell'assemblea degli argomenti proposti". 



DOTTRINA 339 

Un secondo (possibile) rimedio, di natura giurisdizionale, esperibile in 
via alternativa al ricorso al Tribunale civile, pu� individuarsi nell'azione avverso 
il silenzio ex artt. 31 e 117 c.p.a. (65). L'ammissibilit� di tale azione, 
proponibile dinanzi al TAR contro l'omissione presidenziale, sarebbe suffragata 
dall'esistenza delle prescritte condizioni di legge per la formazione del 
silenzio inadempimento, segnatamente, rinvenibili nell'esercizio di una funzione 
amministrativa, nell'inadempimento di un obbligo di provvedere e, da 
ultimo, nella presenza di un'attivit� vincolata. 

Dall'applicazione delle disposizioni del c.p.a. discende il riconoscimento 
di una potest� sostitutiva del giudice amministrativo che si esplica nell'adozione, 
diretta o tramite commissario ad acta, dell'atto di convocazione omesso. 

In altri termini su istanza degli interessati, il TAR potrebbe convocare, in 
luogo del presidente, la riunione collegiale, formulandone il relativo ordine 
del giorno. Si fa notare come il rimedio dinanzi al giudice amministrativo, 
forse pi� del ricorso al Tribunale civile, si adegui meglio alla natura ontologicamente 
amministrativa delle funzioni presidenziali. Dalla sua applicazione 
discende, coerentemente, la possibilit� di ripristinare il corretto funzionamento 
del procedimento collegiale, pur nel silenzio del diritto positivo, attraverso un 
rimedio a carattere generale, trasversalmente applicabile a qualsivoglia organo 
collegiale. 

(65) Ai sensi dell'art. 31 c.p.a. "decorsi i termini per la conclusione del procedimento amministrativo 
e negli altri casi previsti dalla legge, chi vi ha interesse pu� chiedere l�accertamento dell�obbligo 
dell�amministrazione di provvedere. L�azione pu� essere proposta fintanto che perdura l�inadempimento 
e, comunque, non oltre un anno dalla scadenza del termine di conclusione del procedimento". (...) Inoltre 
"Il giudice pu� pronunciare sulla fondatezza della pretesa dedotta in giudizio solo quando si tratta di 
attivit� vincolata o quando risulta che non residuano ulteriori margini di esercizio della discrezionalit� 
e non sono necessari adempimenti istruttori che debbano essere compiuti dall�amministrazione". L'art. 
117 c.p.a. prescrive, poi, che il "ricorso avverso il silenzio � proposto, anche senza previa diffida, con 
atto notificato all'amministrazione e ad almeno un controinteressato nel termine di cui all'articolo 31, 
comma 2. Il ricorso � deciso con sentenza in forma semplificata e in caso di totale o parziale accoglimento 
il giudice ordina all'amministrazione di provvedere entro un termine non superiore, di norma, a 
trenta giorni. Il giudice nomina, ove occorra, un commissario ad acta con la sentenza con cui definisce 
il giudizio o successivamente su istanza della parte interessata". In dottrina sul generale rimedio del-
l'azione avverso il silenzio della pubblica amministrazione si rinvia ai contributi di VIOLA L., Le azioni 
avverso il silenzio della p.a. nel nuovo codice del processo amministrativo: aspetti problematici, in 
www.giustamm.it. CENTOFANTI N., La nuova disciplina del silenzio della P.A.: comportamenti inadempienti, 
tutela amministrativa e giurisdizionale, Maggioli, Santarcangelo di Romagna, 2011. GUACCI C., 
La tutela avverso l'inerzia della pubblica amministrazione secondo il Codice del processo amministrativo, 
Giappichelli, Torino, 2012. MIGNONE C.-VIPIANA P.M., Manuale di giustizia amministrativa, 
Cedam, Padova, 2012. TRAVI A., Lezioni di giustizia amministrativa, X ed., Giappichelli, Torino, 2012. 
GALLO C.M., Manuale di giustizia amministrativa, VI ed., Giappichelli, Torino, 2012. JUSO R., Lineamenti 
di giustizia amministrativa, V ed., a cura di R. ROLLI, Giuffr�, Milano, 2012. ROLLI R., La voce 
del diritto attraverso i suoi silenzi: tempo, silenzio e processo amministrativo, Giuffr�, Milano, 2012. 
SASSANI B.-VILLA R., Il codice del processo amministrativo: dalla giustizia amministrativa al diritto 
processuale amministrativo, Giappichelli, Torino, 2012. MONETA G., Elementi di giustizia amministrativa, 
Giappichelli, Torino, 2013. CORRADINO M.-STICCHI DAMIANI S., Il processo amministrativo, Giappichelli, 
Torino, 2014. 


Potrebbe, tuttavia, obiettarsi come l'intervento esterno di un organo giurisdizionale 
sia idoneo a pregiudicare l'autonomia del collegio e dei suoi componenti; 
a questa obiezione � possibile rispondere, sottolineando come le 
inadempienze del presidente integrino un fenomeno patologico non tollerabile 
dall'ordinamento, in quanto lesivo sia della par condicio fra componenti sia 
della configurazione in senso vincolato della funzione amministrativa. Inoltre 
l'ammissibilit� di un rimedio sostitutivo sarebbe giustificata dalla primaria esigenza 
di ripristino della funzionalit� dell'organo, compromessa dalla negligente 
ed ostruzionistica inerzia del presidente. 

� chiaro, tuttavia, come la via del ricorso al Tribunale civile o al TAR 
non sia percorribile con riferimento a quelle istituzioni collegiali che, per 
espressa previsione o copertura costituzionale, godano di speciali forme di autonomia; 
si pensi alle Camere parlamentari ed alla Corte costituzionale. In tali 
istituzioni, ad esempio, l'omissione di un atto vincolato da parte del presidente 
di Assemblea, consente di esperire un rimedio sostitutivo esclusivamente 
presso un organo interno, nel rispetto delle guarentigie dell'autodichia (66) e 
degli interna corporis (67) costituzionalmente tutelate. 

4.2. Formulazione dell'ordine del giorno. 

All'atto di convocazione si ricollega direttamente la formulazione dell'or


(66) Sulla autodichia delle Camere parlamentari e della Corte costituzionale DI CIOLO V., voce 
Parlamento (organizzazione e procedure), in Enc. dir., vol. XXXI, Milano, 1981, p. 852: "Si sostiene 
comunemente che l'autodichia delle Camere trovi la propria giustificazione nell'indipendenza degli 
organi costituzionali, nella preminenza del Parlamento, nella divisione dei poteri. A ben vedere si 
tratta di un unico principio: quello, appunto, cos� detto della divisione dei poteri". OCCHIOCUPO N., 
voce Autodichia, in Enc. giur. Treccani, vol. IV, Roma, 1988. GRISOLIA M.C., L'autodichia della Corte 
costituzionale: una prerogativa di discutibile attualit�, in L'organizzazione e il funzionamento della 
Corte costituzionale, Atti Convegno 1995, a cura di P. COSTANZO, Giappichelli, Torino, 1996. CONFORTI 
S., Brevi considerazioni sul principio dell'autodichia, in Giur.. it., n. 10, 2005. SORRENTINO A.C., L'autodichia 
degli organi parlamentari, in Giur.. mer., n. 2, 2008. MODUGNO F., Prerogative (o privilegi?) 
costituzionali e principio di uguaglianza, in Giur. cost., n. 5, 2009. CICCONETTI S.M., Corte europea 
dei diritti dell'uomo e autodichia parlamentare, in Giur. it., 2010, p. 1271. MALINCONICO G., Attivit� 
e prassi degli organi giurisdizionali d'autodichia della Camera dei Deputati, in Riv. amm. Rep. it., n. 
5, 2011. SCOCA F.G., Autodichia e Stato di diritto, in Dir. proc. amm., n. 1, 2011. COZZOLI V., La rinnovata 
validit� dell'autodichia della Camera dei deputati come strumento di autonomia dell'istituzione 
parlamentare, in Le autonomie in cammino: scritti dedicati a Gian Candido De Martin, Cedam, Padova, 
2012. TESTA I.-GERARDI A., Parlamento zona franca. Le Camere e lo scudo dell'autodichia, 
Rubbettino, 2013. PELELLA G., La giurisdizione interna della Camera dei deputati tra principi costituzionali 
e principi sopranazionali: l'autodichia alla prova della Convenzione europea dei diritti del-
l'uomo, in Il Parlamento della Repubblica: organi, procedure, apparati, vol. I, Camera dei Deputati, 
Roma, 2013. 
(67) Sulla insindacabilit� degli interna corporis delle Camere parlamentari, tra i tanti, ESPOSITO 
C., La Costituzione italiana: saggi, Cedam, Padova, 1954. MORTATI C., Istituzioni di diritto pubblico, 
IX ed., op. cit. LAVAGNA C., Istituzioni di diritto pubblico, V ed., Utet, Torino, 1984. FLORIDIA G.G.SORRENTINO 
F., voce Interna corporis, in Enc. giur. Treccani, vol. XVII, Roma, 1989. Contra BARILE 
P., Scritti di diritto costituzionale, Cedam, Padova, 1967. 



DOTTRINA 341 

dine del giorno (68). In vista del corretto e spedito svolgimento dell'adunanza, 
nell'atto di convocazione devono essere indicate le materie oggetto di discussione 
e la loro sequenza di esame, in modo da consentire a tutti i membri una 
consapevole partecipazione ai lavori del consesso (69). 

Quanto a legittimazione, la potest� di redazione dell'ordine del giorno 
"spetta o alla legge - come quando essa convoca con oggetto prefissato gli 
organi collegiali di un ente - oppure spetta al soggetto che opera la convocazione, 
normalmente il presidente" (70). Nella maggior parte dei casi, dunque, 
l'ordine del giorno viene predisposto dal presidente ed inserito nell'atto di convocazione 
(71). 

Tale funzione discrezionale ha una latitudine variabile: Normalmente 
ampia negli organi collegiali politico-assembleari ed in quelli rappresentativi 
di interessi economico-professionali, minima e frequentemente vincolata nei 
collegi a composizione tecnica. 

La funzione presidenziale di formulazione dell'ordine del giorno, in alcuni 
casi espressamente previsti, risulta poi condivisa con il collegio (72) ed i suoi 

(68) In argomento, senza pretese di esaustivit�, GALEOTTI U., Principii regolatori delle assemblee, 
op. cit. SPOTO S., voce Ordine del giorno, in Dig. it., vol. XVII, Torino, 1907-1908, pp. 992-998. 
MANFREDI F., voce Ordine del giorno, in Enc. giur. it., vol. XII, parte II, Milano, 1915. VITTA C., Gli 
atti collegiali: principi sul funzionamento dei consessi pubblici con riferimenti alle assemblee private, 
op. cit. GALATERIA L., Gli organi collegiali amministrativi, op. cit. GARGIULO U., I collegi amministrativi, 
op. cit., pp. 161-162. FURLANI S., voce Ordine del giorno, in Noviss. Dig. it., vol. XII, Utet, 1965, 
pp. 112 e ss.. VALENTINI S., La collegialit� nella teoria dell'organizzazione, op. cit., p. 250. VERBARI 
G.B., voce Organi collegiali, in Enc. dir., op. cit. CIAURRO G.F., voce Ordine del giorno, in Enc. dir., 
op. cit., pp. 1019 e ss. ZUELLI F., Le collegialit� amministrative, op. cit. VILLATA R., voce Collegi amministrativi, 
in Enc. giur. Treccani, op. cit. LOLLI I., voce Ordine del giorno (Dir. pubbl.), in Enc. giur. 
Treccani, vol. XXI, Roma, 1990, p. 1. CAVALLO B., Teoria e prassi della pubblica organizzazione, op. 
cit. 
(69) In dottrina GARGIULO U., I collegi amministrativi, op. cit., pp. 161-162: "L'ordine del giorno 
consiste in una pronuncia diretta a predeterminare l'attivit� del collegio attraverso la indicazione delle 
proposte da discutersi e l'ordine della trattazione. (...) Il programma degli affari proposti all'esame 
del collegio � necessariamente richiesto affinch� i componenti siano posti in grado di conoscere che 
cosa devono discutere e decidere. Se talvolta non � richiesto, ci� si giustifica in base al rilievo che il 
collegio, in particolari casi, � istituito per esplicare una funzione deliberante solo su un determinato 
oggetto (per es. le commissioni di concorso). L'ordine del giorno non � allora necessario, non potendo 
i componenti deliberare su argomenti diversi". In giurisprudenza, ex plurimis, Cons. Stato, sez. VI, 5 
giugno 1979, n. 427, in Cons. Stato 1979. Adun. Plen. Cons. Stato, 28 ottobre 1980, n. 40, in Foro 
amm. 1980, I, p. 1636. Cons. Stato, sez. V, 30 marzo 1994, n. 194, in Giur. it. 1995, III, 1, p. 233. Cons. 
Stato, sez. VI, 27 agosto 1997, n. 1218, in Cons. Stato 1997, I, p. 1121. 
(70) VALENTINI S., La collegialit� nella teoria dell'organizzazione, op. cit., p. 251. 


(71) GALATERIA L., Gli organi collegiali amministrativi, vol. I, op. cit., p. 36: "L'ordine del 
giorno, di norma, � predisposto dal Presidente del collegio (...) per quella potest� direttiva che � connaturata 
alla sua posizione". Ci� non toglie che tale potere, insieme a quello di convocazione del collegio, 
sia affidato dalla legge a figure diverse dal presidente. 
(72) GALATERIA L., Gli organi collegiali amministrativi, vol. I, op. cit., p. 41. Secondo l'Autore 
� frequentemente assegnato al collegio il potere di "invertire l'ordine di trattazione degli argomenti 
iscritti, salvo alcune precedenze ex lege (...) purch� ricorrano giustificati motivi e l'inversione venga 
deliberata dall'assemblea". 



componenti (73), cui pu� essere assegnato il potere di richiedere con efficacia 
vincolante (74) l'inserimento di taluni argomenti; conseguentemente il presidente 
vi sar� tenuto, previo vaglio formale di ammissibilit� della richiesta (75); 
ove non vi provvedesse potranno essere azionati rimedi surrogatori ricavabili, 
nel silenzio del diritto positivo, dal sistema della collegialit�. 

Dalle considerazioni espresse emerge come la predeterminazione dell'ordine 
del giorno sia, funzione (esclusiva o concorrente) del presidente, ascrivibile 
alla di lui posizione di primazia o di primus inter pares. Tale funzione 
assume, certamente, una maggiore incisivit� rispetto alla mera convocazione 
delle sedute per l'ampia discrezionalit� che, di regola, ne connota la formulazione. 
Del resto, l'individuazione degli argomenti dell'adunanza tende a delimitare 
l'oggetto della discussione, orientando l'attivit� collegiale su talune 
questioni e non su altre. La discrezionalit� di tale funzione si manifesta, poi, 
nell'accoglimento delle istanze di inserimento di argomenti provenienti da altri 
componenti (76), salvo i casi in cui il presidente vi sia obbligato dalla richiesta 
vincolante di un prescritto numero di membri. 

Nonostante ci�, l'esercizio della funzione di predisposizione dell'ordine 
del giorno si inquadra perfettamente nella iuris figura della primazia e, segnatamente, 
nella posizione di preminenza formale del presidente sugli altri componenti. 
Tale considerazione riceve conferma, in primo luogo, dalla natura 
formale, procedurale e strumentale della funzione rispetto al corretto svolgimento 
dell'iter collegiale; in secondo luogo dalla possibilit�, frequentemente, 
riconosciuta, di un intervento a maggioranza del collegio in caso di dissenso 
del presidente alla inserzione di argomenti da parte di alcuni componenti. Pertanto 
nell'attivit� di coordinamento dei lavori il presidente, lungi dal comprime 
l'autonomia decisionale dei singoli, tende, viceversa, a favorirla attraverso 

(73) VILLATA R., voce Collegi amministrativi, in Enc. giur. Treccani, op. cit.: "Il potere di stabilire 
il contenuto dell'ordine del giorno spetta al titolare del potere di convocazione, e quindi al presidente; 
in certi casi la legge fissa direttamente gli oggetti dell'adunanza; a volte anche una parte dei componenti 
ha la potest� di ottenere l'inserzione di un dato argomento, ma si tratta (secondo Giannini M.S.) di 
norme speciali". 
(74) CAVALLO B., Teoria e prassi della pubblica organizzazione, op. cit.: "La convocazione delle 
sedute e la stesura dell'o.d.g. sono prerogative tipiche del presidente: ma non mancano ipotesi normative 
in cui si prevede che l'inserimento di taluni punti nell'ordine del giorno possa essere obbligatoriamente 
richiesto da un certo quorum di membri del collegio, che in tal modo potranno notevolmente limitare 
l'autorit� monocratica del presidente". 
(75) GALATERIA L., Gli organi collegiali amministrativi, vol. I, op. cit., pp. 37-39: "Le richieste 
d'inserzione nell'ordine del giorno, tranne che non si tratti di proposte provenienti, per esempio, da organi 
incompetenti o di materie assolutamente estranee alla competenza dell'organo collegiale (...) devono 
di consueto essere accolte. (...) Nel dubbio sulla legittimit� o non delle proposte, il Presidente, a 
nostro avviso, deve sempre iscriverle salvo a sottoporre al collegio la legittimit� dell'iscrizione stessa". 
(76) GARGIULO U., I collegi amministrativi, op. cit., p. 162: I componenti del collegio "possono 
formulare determinate proposte che il presidente pu� discrezionalmente valutare. All'uopo questi - a 
parte le ragioni di opportunit� - deve tener conto se la proposta rientri o no nella sfera di attribuzione 
del collegio, e deve respingerla nel caso negativo, accoglierla nel caso contrario". 



DOTTRINA 343 

l'esercizio di poteri che sollecitano la partecipazione e la discussione. D'altronde, 
qualsivoglia scelta arbitraria del presidente verrebbe disinnescata dal 
potere, sovente attribuito al collegio e ai suoi membri, di inserire nel corso 
della seduta, con l'assenso unanime di tutti i componenti in carica, nuovi argomenti 
(77) o di mutarne l'ordine di trattazione con l'approvazione della maggioranza 
dei presenti. 

4.3. Direzione dei lavori. 

Lo svolgimento delle adunanze degli organi collegiali viene normalmente 
diretto dal presidente, quale coordinatore degli atti del procedimento (78). 
Anche nel silenzio del diritto positivo sono attribuiti a tale figura poteri di impulso, 
direzione e vigilanza dei lavori, trattandosi di poteri consustanziali all�ufficio 
di presidente ed alla relativa posizione di primus inter pares (79). La 
figura organizzatoria della primazia inquadra, del resto, il presidente in una 
posizione di preminenza formale nell�ambito di una relazione di pariordinazione 
con gli altri componenti del consesso (80). 

Come � noto, l�iter collegiale si articola in una serie di fasi ed attivit� (co


(77) Ex multis Adun. Plen. Cons. Stato, 28 ottobre 1980, n. 40, cit. 

(78) In tema, tra i tanti, VITTA C., Gli atti collegiali: principi sul funzionamento dei consessi pubblici 
con riferimenti alle assemblee private, op. cit. GIANNINI M.S., Lezioni di diritto amministrativo, 
op. cit. GALATERIA L., Gli organi collegiali amministrativi, op. cit. GARGIULO U., I collegi amministrativi, 
op. cit., p. 306: "La presidenza deve essere ricoperta dalla persona di volta in volta designata. Se viene 
ricoperta da una persona diversa, l'atto collegiale � illegittimo. Talvolta si � sostenuto che la buona 
fede della persona, che erroneamente abbia assunto la presidenza, sia sufficiente a sanare l'illegittimit�. 
La tesi non pu� essere condivisa: la particolare importanza che la figura del presidente assume in seno 
al collegio per l'affidamento in lui riposto, � tale che egli non pu� essere sostituito se non dal componente 
all'uopo designato e nei casi tassativamente previsti". VALENTINI S., La collegialit� nella teoria dell'organizzazione, 
op. cit. TREVES G., L'organizzazione amministrativa, op. cit. VERBARI G.B., voce Organi 
collegiali, in Enc. dir., op. cit. VILLATA R., voce Collegi amministrativi, in Enc. giur. Treccani, op. cit. 
CACCIAVILLANI I.-MANZI L., La collegialit� amministrativa, op. cit. CAVALLO B., Teoria e prassi della 
pubblica organizzazione, op. cit. 
(79) VITTA C., Gli atti collegiali: principi sul funzionamento dei consessi pubblici con riferimenti 
alle assemblee private, op. cit., p. 69: �La potest� del presidente di dirigere la discussione e di temperarne 
gli eccessi non deriva dal regolamento, ma dalla stessa necessit� dell�ordinamento collegiale, 
dovendo l�esercizio delle facolt� di ciascuno dei membri venire necessariamente subordinato ad un potere 
direttivo se si vuol raggiungere lo scopo a cui esse sono dirette�. In tema anche ZUELLI F., Le collegialit� 
amministrative, op. cit., p. 61: "Certo la titolarit� della presidenza comporta il riconoscimento 
di un certo potere di iniziativa e di indirizzo (...): Forse mai come in questa circostanza acquista un effettivo 
significato la tradizionale formula del primus inter pares, consuetudinariamente usata con riferimento 
appunto ai presidenti degli organi collegiali. Non si pu� infatti trascurare il fatto che nei collegi 
amministrativi - in assenza di una espressa disciplina, assenza che costituisce la regola - sono pienamente 
affidate al presidente le prerogative connesse alla predisposizione dell'ordine del giorno, alla disciplina 
e regolamentazione dei lavori, alla convocazione del collegio". 
(80) Contra PRINCIVALLE S., Gli organi elettivi del Comune e della Provincia, op. cit. Secondo 
l'Autore "lo slogan primus inter pares, riferito al presidente del collegio, va inteso come parit� relativamente 
all'espressione delle proprie opinioni e del voto; ma nei riguardi dello svolgimento e dell'ordine 
delle adunanze non si pu� negare al presidente un certo potere di supremazia". 



stituzione dell�adunanza, discussione, deliberazione etc.) che postulano imprescindibilmente 
la presenza di un coordinatore - di qui l'obbligatoriet� di un 
ufficio presidenziale - che, attraverso poteri regolatori sappia far progredire i 
lavori sino all'esito deliberativo. Inoltre "l'ampiezza dei poteri di direzione e 
coordinamento (...) varia, naturalmente, col variare della natura dell'organo" 

(81), pur mantenendo nei vari ordinamenti tratti comuni. 

L'attivit� direttiva del presidente inizia, normalmente, con la verifica della 
regolare costituzione dell'adunanza. In proposito "occorre la presenza di un 
determinato numero di membri. Questo pu� essere o un numero minimo perch� 
il collegio possa ritenersi costituito, oppure un numero fisso, come avviene 
nei collegi giudicanti" (82); ci� dipende dalla natura virtuale o reale dell'organo. 
Il presidente risulta, inoltre, investito della potest� di "dare o togliere la 
parola, dirigere e moderare la discussione, porre le questioni, stabilire l'ordine 
delle votazioni" (83), verificare e proclamare i risultati, chiudere ed aggiornare 
le sedute. 

Con riferimento al potere di dare e togliere la parola (84), � d'obbligo 
puntualizzare come esso si ricolleghi ai compiti presidenziali di verifica circa 
il rispetto dei tempi, l'attinenza all'argomento e l'appropriatezza del linguaggio 
di ciascun oratore. In special modo l'esercizio di un potere di interdizione �, 
di regola, preceduto da richiami e avvertimenti (85); cautele procedurali volte 

(81) MARTINES T., Il Presidente della Corte costituzionale, in Giur. cost., n. 12, 1981, pp. 2057 e 
ss. Secondo l'Autore "in linea generale pu� affermarsi che essa � massima negli organi collegiali amministrativi 
e tende a restringersi in quelli politici nei quali possono essere previste, in misura pi� o 
meno estesa, forme di partecipazione dei membri del collegio all'esercizio dei poteri di cui si discute. 
Si pensi, a questo riguardo, ad alcuni poteri dei Presidenti delle due Camere il cui esercizio, con qualche 
accentuazione normativa a favore del Presidente del Senato, pu� essere sollecitato o condizionato dal-
l'assemblea o da alcune sue articolazioni interne". 
(82) VALENTINI S., La collegialit� nella teoria dell'organizzazione, op. cit., p. 255. 


(83) GALATERIA L., Gli organi collegiali amministrativi, vol. II, p. 184, op. cit., il quale richiama 
le considerazioni di VITTA C., Gli atti collegiali: principi sul funzionamento dei consessi pubblici con 
riferimenti alle assemblee private, op. cit., p. 188: "Circa le funzioni direttive del presidente occorre 
appena avvertire come esse siano assolutamente necessarie. Non bisogna infatti dimenticare che nel 
collegio si ha in sostanza una cooperazione di pi� individui diretta ad elaborare un atto in comune, e 
cooperazione in pratica non v'� e non d� buoni frutti se non v'� in pari tempo la subordinazione verso 
lo scopo prefisso: ogni forma di societ�, d'associazione o di collegio presuppone che ciascuno limiti 
parte della propria attivit� per render proficua quella degli altri. Ora questa subordinazione non si ottiene 
automaticamente, o per lo meno � assai imperfetta se � lasciata alla libera volont� dei consociati 
o dei colleghi: occorre quindi un'autorit� esterna che li guidi nei loro lavori ad ottenere il frutto desiderato. 
Questa autorit� � appunto nei collegi data al presidente". 
(84) VITTA C., Gli atti collegiali: principi sul funzionamento dei consessi pubblici con riferimenti 
alle assemblee private, op. cit., p. 208: �Chi vuole parlare deve chiederne facolt� al presidente: 
� questa una intuitiva necessit� d�ordine; il presidente d� poi la parola secondo le precedenze della 
domanda�. 
(85) VITTA C., Gli atti collegiali: principi sul funzionamento dei consessi pubblici con riferimenti 
alle assemblee private, op. cit., p. 210: "Se il richiamo non risulti efficace, si suole rinnovarlo; indi, 
continuando l'oratore nel suo atteggiamento non resta che togliergli la parola per tutto il rimanente 



DOTTRINA 345 

a scongiurare il pericolo che un suo disinvolto utilizzo possa incidere sulle 
prerogative degli altri componenti. Del resto, come sostenuto da autorevole 
dottrina, "il presidente non pu� ordinare di tenere la discussione in un certo 
modo o di manifestare il voto in un certo senso" (86). 

Particolarmente significativi sono, in special modo, taluni incisivi poteri 
assegnati al presidente nella fase della discussione (87), al precipuo fine di assicurare 
il funzionamento del consesso. Si pensi ai dirimenti poteri di interpretazione 
della normativa vigente (88) e di risoluzione di conflitti riconosciuti 
ai Presidenti delle Assemblee legislative dai rispettivi Regolamenti (89). 

� evidente in questi casi come la primazia possa eccezionalmente assumere 
i tratti di una preminenza anche sostanziale, idonea ad incidere sulla formazione 
della volont� collegiale; tuttavia tali occasionali episodi di preminenza 
sostanziale non risultano in grado di compromettere le caratteristiche generali 
della primazia e, segnatamente, la posizione di preminenza formale del presidente 
e la reciproca pariordinazione di tutti i componenti. 

4.4. Polizia delle sedute. 

La funzione di polizia delle sedute � riconosciuta a ciascun presidente di 
organo collegiale in vista dell'ordinato e regolare svolgimento delle adunanze 

della discussione. Il relativo provvedimento presidenziale riveste piuttosto carattere d'ordine che non 
strettamente disciplinare: anche i regolamenti parlamentari sogliono tenerlo distinto dai provvedimenti 
disciplinari veri e propri. (...) Se colui che si vede tolta per tal modo la parola dal presidente, non creda 
di accettarne la decisione, pu� sempre appellarsene al collegio, che di regola decide su ci� senza discussione 
per alzata e seduta: questi principi dei regolamenti parlamentari mi sembrano cos� essenziali 
al buon funzionamento collegiale da doverli applicare senz'altro in ogni consesso, anche se non richiamati 
espressamente". 

(86) GARGIULO U., I collegi amministrativi, op. cit., p. 152. 

(87) VALENTINI S., La collegialit� nella teoria dell'organizzazione, op. cit., p. 267: "La funzione 
della discussione in seno al procedimento collegiale � duplice: da un lato essa permette il processo 
di confronto delle individue opinioni, al fine di ottenere il massimo di globalit� nella considerazione 
dei singoli problemi; dall'altro essa consente - nei collegi virtuali - l'acquisizione al procedimento 
amministrativo degli interessi secondari che l'ordinamento abbia ritenuto preventivamente meritevoli 
di tutela". 
(88) MOHRHOFF F., Politicit� e discrezionalit� di taluni atti dei Presidenti di Assemblee legislative, 
Editore Colombo, Roma, 1962, pp. 32 e ss.: "� quindi evidente che, dato il carattere generico e lacunoso 
delle norme della Costituzione e dei Regolamenti parlamentari occorre riconoscere all'attivit� interpretativa 
del Presidente di Assemblea una natura integrativa tendenzialmente discrezionale (interpretazione 
ad finem) e alle sue deliberazioni un carattere non meramente logico o dichiarativo ma 
spiccatamente dispositivo". Infatti, "la interpretazione parlamentare attiene a categorie aperte e modificabili, 
connesse a situazioni contingenti e circostanziate" (p. 57), da cui discende il riconoscimento di 
un ampio potere discrezionale in capo al Presidente di Assemblea, sul cui esercizio incidono, altres�, 
valutazioni di ordine politico. 
(89) Si rinvia, senza pretese di esaustivit�, ad AIROLDI M., I regolamenti delle assemblee legislative, 
Giappichelli, Torino, 2012. GIANFRANCESCO E.-LUPO N.-RIVOSECCHI G. (a cura di), I presidenti di 
assemblea parlamentare: riflessioni su un ruolo in trasformazione, il Mulino, Bologna, 2014. Occorre 
segnalare, poi, come la disciplina prevista dal Regolamento della Camera dei Deputati rappresenti un 
paradigma generale suscettibile di analogica applicazione in altri organi collegiali. 



(90). Questa funzione rientra, coerentemente, nel contenuto tipico della iuris 
figura della primazia, quale elemento indefettibile dell�ufficio presidenziale 
e, pi� in generale, della collegialit�. 

Con tale locuzione si suole indicare una particolare funzione amministrativa, 
a carattere discrezionale, esplicantesi nell'adozione di atti idonei ad assicurare 
il corretto andamento dei lavori; di tali atti non esiste, comunque, un 
catalogo tassativo; tra i pi� ricorrenti si richiamano l'espulsione dei facinorosi, 
la sospensione e lo scioglimento dell'adunanza, che possono essere disposti 
dal presidente anche con l�ausilio della forza pubblica. 

La funzione di polizia delle sedute ha come destinatari sia i terzi che assistono 
alle riunioni sia i componenti del consesso (91). In proposito il Regolamento 
della Camera dei Deputati (Parte Prima, Capi XI e XII, artt. 59, 60, 
61, 62 e 64) (92) offre una dettagliata disciplina che rappresenta un modello 
generale applicabile, in via analogica, anche agli organi collegiali che nulla 
statuiscano in proposito. 

Con riferimento ai terzi, occorre rilevare come tale Regolamento prescriva 
per il pubblico che partecipa alle adunanze dalle tribune l'obbligo di rimanere 
in silenzio, a capo scoperto e di astenersi da qualsivoglia segno di 
approvazione o disapprovazione (93), a pena di espulsione. 

(90) Significativi in proposito i contributi di RACIOPPI F.-BRUNELLI I., Potere di polizia, in Commento 
allo Statuto del Regno, vol. III, tomo I, Utet, Torino, 1909, pp. 240-249. VITTA C., Gli atti collegiali: 
principi sul funzionamento dei consessi pubblici con riferimenti alle assemblee private, op. cit. 
VIRGA P., La potest� di polizia, Giuffr�, Milano, 1954, pp. 27-29. GALATERIA L., Gli organi collegiali 
amministrativi, op. cit. CIAURRO G.F., voce Prerogative costituzionali, in Enc. dir., vol. XXXV, Milano, 
1986. PETTITI D., Note sul presidente dell'Assemblea di societ� per azioni, in Studi in onore di Alberto 
Asquini, op. cit. TANDAA.P., voce Polizia delle Camere, in Dizionario parlamentare, II ed., Editore Colombo, 
Roma, 1998, p. 196. ALAGNA S., Il presidente dell'assemblea nella societ� per azioni, op. cit. 
(91) Contra parte della dottrina (GALATERIA L., Gli organi collegiali amministrativi, op. cit. e 
VITTA C., Gli atti collegiali: principi sul funzionamento dei consessi pubblici con riferimenti alle assemblee 
private, op. cit.) che distingue, sotto il profilo dei destinatari, il potere disciplinare quale potere 
esperibile verso i soli componenti del collegio dal potere di polizia, viceversa, esercitabile esclusivamente 
nei riguardi del pubblico che assiste alle sedute. 
(92) In argomento si rinvia a RACIOPPI F.-BRUNELLI I., Potere di polizia, in Commento allo Statuto 
del Regno, op. cit. VIRGA P., La potest� di polizia, op. cit., p. 76: "Nell'ordinamento italiano vige, infatti, 
il principio della inviolabilit� parlamentare, il quale, pur non essendo garantito dalla Costituzione, � 
consacrato da una consuetudine mai violata. In virt� di tale principio, � vietato agli ufficiali ed agli 
agenti della forza pubblica l'accesso nell'edificio delle Camere allo scopo di compiere atti del proprio 
ufficio. Il potere di polizia � esercitato nell'edificio della Camera dal rispettivo Presidente, coadiuvato 
dai questori, il quale ha alle sue dipendenze commessi e guardie di servizio". CIAURRO G.F., voce Prerogative 
costituzionali, in Enc. dir., op. cit. TANDA A.P., voce Polizia delle Camere, in Dizionario parlamentare, 
II ed., op. cit. 
(93) VITTA C., Gli atti collegiali: principi sul funzionamento dei consessi pubblici con riferimenti 
alle assemblee private, op. cit., p. 195: "Il pubblico ha in sostanza il dovere di non ingerirsi n� direttamente, 
n� indirettamente, nei lavori collegiali, e di tenere un comportamento rispettoso e corretto. Vi 
sono all'uopo tribune o recinti dove il pubblico � racchiuso, ed � sempre vietato entrare nel luogo dove 
seggono i membri del collegio: inoltre il pubblico deve stare a capo scoperto, in silenzio ed astenersi 
da ogni segno d'approvazione o di disapprovazione. Il relativo potere di polizia spetta al presidente". 



DOTTRINA 347 

In relazione ai componenti, la funzione di polizia viene esercitata dal presidente 
con l'allontanamento dei facinorosi per il resto della seduta (94) e, ove 
con atti individuali risulti impossibile ristabilire l'ordine e la sicurezza nel consesso, 
con la sospensione o lo scioglimento dell'adunanza (95). 

Da quanto detto emerge l�indefettibilit� di tale funzione presidenziale ai 
fini della conservazione o del ripristino dell'ordine delle adunanze; d�altronde 
"nel tumulto � materialmente impossibile deliberare" (96). 

L�ambito di esercizio di tale funzione � comunque circoscritto per evitare 
che essa si tramuti in una potest� arbitraria, ultronea rispetto alla posizione 
di mera preminenza formale del presidente. In tale prospettiva si giustificano 
la natura formale, procedurale e strumentale della funzione rispetto alle esigenze 
di funzionamento del consesso; ci� al fine di ridurre il pi� possibile 
abusi o patologie nello svolgimento di una funzione dagli effetti potenzialmente 
repressivi. Il presidente "non potrebbe ad esempio, usare dei suoi poteri 
di polizia delle adunanze fino ad alterare (...) la fattispecie soggettiva 
del collegio" (97). 

Da ultimo, si � deciso di non analizzare la funzione disciplinare (98), poich� 
essa non rientra nel contenuto tipico della iuris figura della primazia. In 
primo luogo perch� non riveste carattere generale, essendo contemplata nei 
collegi politico-assembleari, ma non viceversa nei collegi amministrativi o 

(94) Il titolare dell'ufficio presidenziale pu� nel corso dell'adunanza, previo avvertimento, espellere 
dalla seduta uno o pi� componenti che abbiano posto in essere azioni facinorose in grado di pregiudicare 
la regolarit� della discussione e della votazione. Anche in questo caso il presidente, ove lo ritenga opportuno, 
pu� ordinare l'intervento della forza pubblica per il ripristino della normale attivit� del consesso. 
(95) VITTA C., Gli atti collegiali: principi sul funzionamento dei consessi pubblici con riferimenti 
alle assemblee private, op. cit., p. 194: "Sciolta per qualsiasi motivo l'adunanza dal presidente, non 
possono i membri del collegio sotto verun pretesto continuare a funzionare, e le relative deliberazioni 
sono quindi, pi� che nulle, assolutamente inesistenti; v'� la semplice parvenza, non la sostanza dell'atto 
collegiale, se questo non passa nel mondo esterno attraverso l'autorit� di chi � investito delle funzioni 
presidenziali. N� pu� apparire investito di queste chi, anche se � vice-presidente o sostituto del presidente, 
sale al seggio nel momento in cui il presidente l'ha abbandonato dichiarando la seduta sciolta". 
In giurisprudenza, a titolo esemplificativo, Cons. Stato, sez. V, 4 giugno 1962, n. 485, in Giur. it., 1962, 
secondo cui il presidente di un organo collegiale pu�, come extrema ratio, sciogliere l'adunanza e rinviare 
la seduta esclusivamente in caso di gravi impedimenti che rendano impossibile la regolare prosecuzione 
delle attivit�. 
(96) VITTA C., Gli atti collegiali: principi sul funzionamento dei consessi pubblici con riferimenti 
alle assemblee private, op. cit. 
(97) VALENTINI S., La collegialit� nella teoria dell'organizzazione, op. cit., p. 118. 


(98) In primo luogo perch� trattasi di una funzione riconosciuta al presidente solo in alcuni, e non 
in tutti, i collegi pubblici. (VILLATA R., voce Collegi amministrativi, in Enc. giur. Treccani, op. cit.). In 
secondo luogo poich�, anche nei casi in cui � contemplata, tale prerogativa ha un rilievo non decisivo, 
esplicandosi in un mero potere di proposta e non gi� in un potere di irrogazione diretta della sanzione, 
la quale, �, normalmente, comminata o dal plenum del collegio o da altro organo minore (per esempio 
nelle Assemblee politiche dall'ufficio di presidenza). In special modo sulle differenze che intercorrono 
tra la potest� di polizia delle udienze e la potest� disciplinare si rinvia a VIRGA P., La potest� di polizia, 
op. cit. 



giurisdizionali per la tendenziale carenza di conflittualit� tra interessi eterogenei 
(99). In secondo luogo perch�, anche ove prevista, essa postula una partecipazione 
meramente incidentale del presidente al suo esercizio; del resto, i 
provvedimenti disciplinari sono adottati direttamente dal plenum del consesso 

o da un organo minore (ufficio di presidenza) su proposta del presidente. 

5. Gli episodi di preminenza sostanziale del presidente sugli altri componenti: 
Cause principali. 

La primazia, quale figura organizzatoria di originale equiordinazione, si 
articola in una pluralit� di funzioni amministrative (discrezionali) generalmente 
identificabili nella: Convocazione delle adunanze; formulazione del-
l'ordine del giorno; direzione dei lavori; polizia delle sedute. 

L�esercizio di tali funzioni disvela, infatti, il ruolo di primus inter pares 
ricoperto dal presidente, il quale viene a collocarsi in una posizione di preminenza 
formale rispetto agli altri componenti di intensit� variabile in ciascun 
collegio. Del resto, la natura procedurale e strumentale di tali funzioni le rende, 
normalmente, inidonee ad incidere in senso sostanziale sulla attivit� degli altri 
componenti, limitandosi il presidente a compiti di impulso, coordinamento e 
vigilanza dei lavori. 

Ciononostante, da un�analisi in concreto del fenomeno della collegialit�, 
� possibile rilevare durante lo svolgimento delle funzioni di primus inter pares 
taluni episodi di preminenza sostanziale del presidente sugli altri membri, in 
grado di condizionare il procedimento collegiale ed il relativo esito deliberativo; 
episodi di preminenza sostanziale che, prima facie, sembrano porre in 
discussione i caratteri generali della primazia e, segnatamente, l�ordinaria posizione 
di preminenza formale del presidente e la reciproca pariordinazione 
di tutti i componenti. 

Occorre, allora, interrogarsi sulle cause di un simile fenomeno per vagliarne, 
successivamente, la compatibilit� con il ruolo di primus inter pares 
rivestito dal presidente in seno al collegio. 

Le principali cause degli episodi di preminenza sostanziale vanno ricercate, 
oltre che in un patologico esercizio delle funzioni, in una serie di elementi 
e vicende che, connotano l�ufficio di presidente ed il rispettivo titolare; in special 
modo � possibile identificarle: Nella contestuale posizione di organo monocratico; 
nel possesso di specifici requisiti soggettivi; nelle modalit� di scelta; 
nella assenza di un potere di revoca da parte dei componenti; nel riconosci


(99) GALATERIA L., Gli organi collegiali amministrativi, vol. II, op. cit., p. 187: "Il motivo (...) � 
forse da ricercarsi nel fatto che il legislatore per i collegi amministrativi ha ritenuto superflua l'attribuzione 
di poteri disciplinari al presidente sulla considerazione che in tali collegi, per la loro stessa 
natura, lo svolgimento dei lavori non assume o quanto meno non dovrebbe assumere quella tensione 
che invece facilmente si riscontra nelle assemblee politiche". La medesima considerazione pu� essere 
estesa ai collegi con funzioni giurisdizionali. 


DOTTRINA 349 

mento di poteri di sovraordinazione. Tali elementi o vicende sono in grado, 
individualmente o congiuntamente, di accentuare l'intensit� di esercizio di una 

o pi� funzioni presidenziali, ben oltre i confini di una preminenza formale, 
con ricadute (eventuali) sulle attivit� del collegio. 

Tuttavia, i marginali episodi di preminenza sostanziale del presidente 
(100), per la loro occasionalit�, non sono in grado di alterarne il ruolo di primus 
inter pares, venendo assorbiti nei maggioritari episodi di preminenza formale, 
riconducibili alle funzioni tipiche della primazia in base alla teoria 
generale della prevalenza o dell�assorbimento (101). 

5.1 La contestuale posizione di organo monocratico del presidente. 

Il presidente di ciascun organo collegiale pu� ricoprire pi� posizioni, interne 
ed esterne al collegio di riferimento, da cui discendono, per l'effetto, 
eterogenee funzioni (102). In alcuni collegi pubblici, collocati in istituzioni 
pi� ampie, il presidente, oltre ad essere titolare dell'ufficio direttivo interno, 
pu� rivestire altres� la posizione di organo monocratico (con autonomi poteri 
decisionali), svolgendo funzioni (esterne), diverse dal coordinamento dei lavori 
(103). 

Una puntuale elencazione di tutti i poteri del presidente quale organo monocratico 
non risulta tuttavia possibile, in ragione delle specifiche peculiarit� 
che caratterizzano ciascun collegio. 

(100) I requisiti di occasionalit� ed eventualit� che caratterizzano gli episodi di preminenza sostanziale 
sugli altri componenti fanno s� che il presidente con un atteggiamento di self restraint possa in 
ogni caso ricondurre l'esercizio dei propri poteri nei confini di una preminenza esclusivamente formale, 
evitando azioni idonee a condizionare la libera formazione della volont� collegiale. 

(101) Pi� in generale sulla teoria della prevalenza o dell�assorbimento si rinvia ad ASQUINI A., Il 
contratto di trasporto terrestre di persone, Drucker, Padova, 1915, ristampa, Edizioni scientifiche, 1984, 
pp. 69 e ss. In base a tale teoria nell'ambito dei contratti misti le prestazioni secondarie ed accessorie risultano 
assorbite nelle prestazioni principali "agli effetti della determinazione della natura giuridica 
della forma di contratto" e agli effetti dell'individuazione della disciplina applicabile. La teoria della 
prevalenza o dell�assorbimento �, altres�, estensibile a qualsivoglia fattispecie giuridica che sia caratterizzata 
da un fenomeno di commistione tra elementi eterogenei. Pi� di recente a riguardo SICCHIERO G., 
I contratti misti, Cedam, Padova, 1995. DI PACE R., Partenariato pubblico privato e contratti atipici, 
Giuffr�, Milano, 2006, pp. 173 e ss. 

(102) Con riferimento all'ampia gamma dei poteri del presidente di organo collegiale gi� ORLANDO 
V.E., L'ufficio di Presidente nei collegi amministrativi: a proposito di un recente caso di giurisprudenza 
parlamentare, op. cit.: "Il presidente, oltre di avere le funzioni identiche dei membri, ha funzioni sue 
proprie e speciali. Queste variano da un minimo, qual'� quello di dirigere le discussioni e di avere la 
rappresentanza esterna e formale del collegio fino ad un massimo, quando cio� il presidente ha funzioni 
proprie, autonome, completamente indipendenti e per avventura anche assai pi� importanti del suo ufficio 
di presidenza". 

(103) Molte istituzioni del nostro tempo si articolano al proprio interno in una pluralit� di organi, 
monocratici e collegiali; all'interno di questi ultimi, poi, � possibile registrare la presenza di ulteriori organi 
collegiali minori. I poteri esercitati dal presidente, quale organo monocratico, vanno tenuti formalmente 
distinti dai diversi poteri dispiegati quale primus inter pares, nell�attivit� di impulso e coordinamento delle 
sedute; solo questi ultimi rientrano nel contenuto tipico della figura organizzatoria della primazia. 


Concentrando l�attenzione su alcune delle plurime funzioni esercitate dal 
presidente quale organo monocratico (104) sar� possibile esaminare tanto le 
relazioni giuridiche da esse scaturenti quanto le ricadute in termini di rafforzamento 
della posizione di primazia presidenziale in seno all'organo presieduto. 

Innanzitutto va evidenziato come dalla diversa ed esterna posizione di organo 
monocratico discendano relazioni di sovraordinazione tra il presidente, da 
un lato, il collegio ed i suoi componenti, dall'altro, riconducibili alla tradizionali 
figure organizzatorie della direzione e del coordinamento verticale (105). 

Pur non rientrando nel contenuto tipico della primazia, tali funzioni sembrano 
incidere, con efficacia accrescitiva, sul ruolo nonch� sui poteri del presidente 
quale coordinatore orizzontale delle sedute. Dall�accentuazione di 
molte funzioni del presidente, quale primus inter pares, possono derivare condizionamenti 
all'autonomia decisionale degli altri componenti. In tali ipotesi 
la posizione di primazia tende ad arricchirsi di elementi di preminenza sostanziale 
idonei a rafforzare, anche in modo significativo, l'incidenza della volont� 
presidenziale sulle attivit� del collegio (106). 

Si pensi, a titolo esemplificativo, alla figura del Presidente della Camera 
dei Deputati che riveste in seno all'istituzione diverse posizioni giuridiche (rappresentanza 
verso l'esterno; vertice della struttura amministrativa; coordinamento 
della Conferenza dei capigruppo; Presidente di Assemblea) (107). Da 

(104) TREVES G., L'organizzazione amministrativa, op. cit.: "Chi presiede un collegio pu� anche rivestire 
la qualit� di organo o di presidente dell'ente di cui quello fa parte: cos� il presidente della giunta 
(ma non del consiglio) regionale, dell'amministrazione provinciale, di vari consigli di amministrazione e 
lo stesso sindaco". SANDULLI A.M., Manuale di diritto amministrativo, XV ed., op. cit.: "Frequentemente 
i presidenti di organi collegiali dispongono a un tempo di una posizione e competenza autonoma di organo 
individuale che non va confusa" con la posizione del presidente quale primus inter pares. "Si pensi, a es. 
al Presidente del Consiglio dei Ministri, al Presidente della Giunta regionale, ai Presidenti di enti ecc... 
Inoltre quasi sempre essi sono a capo dell'apparato organizzatorio (ufficio o complesso di uffici) che opera 
ausiliariamente a latere rispetto al collegio che presiedono". VERBARI G.B., voce Organi collegiali, in 
Enc. dir., op. cit. L'Autore invita "a non confondere le funzioni proprie del presidente di collegio con quelle 
dell'organo monocratico, che talvolta si sostanziano nella stessa unit� organizzativa". 

(105) In argomento, da ultimo, SCIULLO G., L'organizzazione amministrativa. Principi, op. cit. 

(106) Un fenomeno che interessa, sia pure con differente intensit�, i Presidenti degli organi di autogoverno 
delle magistrature, i Presidenti delle Assemblee parlamentari, il Presidente del Consiglio dei 
Ministri ed il Presidente della Giunta regionale. 

(107) Con riferimento ai molteplici poteri attribuiti ai Presidenti delle Assemblee parlamentari si 
rinvia a FERRARA G., Il Presidente di Assemblea Parlamentare, Giuffr�, Milano, 1965. DI CIOLO V., 
voce Parlamento (organizzazione e procedure), in Enc. dir., vol. XXXI, op. cit., p. 820. CIAURRO G.F., 
voce Presidenti delle assemblee parlamentari, in Enc. giur. Treccani, vol. XXIV, 1990. TORRE A., Il 
magistrato dell'assemblea: saggio sui Presidenti parlamentari, Giappichelli, Torino, 2000. GIANNITI L., 
voce Presidente di Assemblea parlamentare, in Dizionario costituzionale, a cura di M. AINIS, Roma-
Bari, 2000, p. 354. SCIORTINO A., Il Presidente di Assemblea parlamentare, Giappichelli, Torino, 2002. 
CHIMENTI C., Principi e regole delle assemblee politiche, Giappichelli, Torino, 2004. LUPO N., voce 
Presidente di Assemblea, in Dig. disc. pubbl., vol. IV, Agg., Utet, Torino, 2010, pp. 444-480. AIROLDI 
M., I regolamenti delle assemblee legislative, op. cit. GIANFRANCESCO E.-LUPO N.-RIVOSECCHI G. (a 
cura di), I presidenti di assemblea parlamentare: riflessioni su un ruolo in trasformazione, op. cit. 


DOTTRINA 351 

queste diverse posizioni discendono, per l'effetto, eterogenee funzioni (108) e 
relazioni giuridiche con l'Aula (109) ed i suoi componenti (110); ove il presidente 
operi come semplice coordinatore dei lavori dell'Aula, � configurabile 
una relazione (interorganica) di equiordinazione, in seno al collegio, tra l'ufficio 
di presidente e gli uffici di componente; viceversa, qualora ricopra la differente 
posizione di organo monocratico, il presidente instaura veri e propri 
rapporti intersoggettivi tanto con l'organo collegiale quanto con i suoi membri 
(111). Nonostante l'estraneit� all'ambito della primazia, la posizione di organo 
monocratico tende a riverberare alcuni effetti sulle funzioni tipiche della primazia, 
conferendo maggior forza ed autorevolezza al ruolo ed ai poteri presidenziali 
in seno alla Assemblea. 

Altro significativo esempio di funzioni esterne esercitate dal presidente 
come organo monocratico � dato dalla figura del Presidente del Consiglio dei 
Ministri (112). � a tutti noto come il Governo si strutturi quale organo complesso, 
articolandosi al suo interno in organi monocratici (il Presidente del 
Consiglio e i singoli ministri individualmente intesi) e in un organo collegiale 
(il Consiglio dei Ministri) (113). Il presidente ricopre, a seconda delle circo


(108) In tema LUPO N., voce Presidente di Assemblea, in Dig. disc. pubbl., op. cit., p. 445: "Se � 
vero che ogni Assemblea, o meglio ogni organo collegiale, deve necessariamente avere un suo Presidente, 
� anche vero, per�, che i Presidenti di Camera e Senato non sono soltanto i Presidenti di quei 
collegi (titolari cio� delle funzioni che ogni presidente di organo collegiale assume pur con le opportune 
varianti), ma, in virt� di tale posizione, sono chiamati altres� a svolgere una serie di funzioni assai delicate 
anche al di fuori delle rispettive Assemblee". 

(109) Le locuzioni "Aula" ed "Assemblea" vengono utilizzate con significato equivalente. 

(110) Si pensi al ruolo del presidente quale vertice dell'amministrazione della Camera; nella veste 
di organo monocratico il presidente assume decisioni organizzative idonee a riverberarsi sulle attivit� 
della Assemblea e dei suoi componenti. Ulteriore esempio � rinvenibile nella posizione del presidente 
quale rappresentante della Camera dei Deputati nei rapporti verso i terzi. In questa fattispecie � eloquente 
come egli non rappresenti solo l'Aula ma l'intera istituzione, ponendosi in una posizione sovraordinata 
rispetto ai componenti del collegio. Nelle differenti posizioni poc'anzi indicate, il presidente, dunque, 
non pu� certo definirsi un primus inter pares; tutt'al pi� va considerato un primus super pares. 

(111) Tali rapporti di natura esterna sono riconducibili alle tradizionali figure organizzatorie della 
rappresentanza legale, della direzione e del coordinamento verticale. 

(112) Sulle funzioni svolte dal Presidente del Consiglio quale organo monocratico LAVAGNA C., 
Contributo alla determinazione dei rapporti giuridici tra Capo del Governo e Ministri, op. cit. Pi� in 
generale sulla figura e sulle attribuzioni del Presidente del Consiglio dei Ministri CORSINI V., La presidenza 
del Consiglio dei ministri, Giuffr�, Milano, 1935. PRETI L. Il governo nella Costituzione italiana, 
Milano, 1954. CUOCOLO F., Il governo nel vigente ordinamento italiano, Milano, 1959. CHELI E., Il coordinamento 
dell'attivit� di governo nell'attuale sistema italiano, in Studi parl. e di politica cost., n. 4, 
1969, p. 7. RIZZA G., Il Presidente del Consiglio dei Ministri, Jovene, Napoli, 1970. PALADIN L., voce 
Governo italiano, in Enc. dir., vol. XIX, Giuffr�, Milano, 1970, p. 691. MANNINO A., Indirizzo politico 
e fiducia nei rapporti tra Governo e Parlamento, op. cit. 

(113) SANDULLI A.M., Il problema della Presidenza del Consiglio dei Ministri, in Dir. e soc. 1980, 
fasc. 3, p. 617: "Diversamente dallo Statuto albertino, il quale non faceva menzione n� del CDM n� del 
PCM, ma solo dei ministri, la Costituzione vigente nomina espressamente il CDM e il PCM. Quest'ultimo 
� oggi una figura a s� rispetto ai Ministri - con ruolo sostanziale di primo ministro - mentre sotto il regime 
statutario era PCM uno dei ministri (primus inter pares). 


stanze, diverse posizioni giuridiche, da cui scaturiscono funzioni e relazioni 
di eterogenea natura (114): Egli in alcuni casi opera come coordinatore orizzontale 
delle riunioni del Consiglio, rivestendo una posizione di primazia ed 
instaurando conseguentemente con i Ministri, componenti del collegio, una 
relazione di equiordinazione; diversamente, in altre occasioni, il Presidente 
del Consiglio si presenta come organo monocratico, esercitando poteri che 
divergono grandemente dalle funzioni connaturate alla posizione di primus 
inter pares delle riunioni (115). Ai sensi dell'art. 95 Cost., del resto, il Presidente 
del Consiglio, in qualit� di organo monocratico, "dirige la politica generale 
del Governo e ne � responsabile. Mantiene l'unit� di indirizzo politico 
ed amministrativo, promuovendo e coordinando le attivit� dei Ministri". In 
questo ruolo il Presidente svolge un'attivit� significativa che tende ad incidere 
sull'azione dell'intero Governo e, specialmente, sugli organi individuali e collegiali 
che ne fanno parte (116). La posizione di organo monocratico, in particolare, 
� idonea a rafforzare la posizione di primazia formale del Presidente 
nelle riunioni del Consiglio dei Ministri; primazia che potr� arricchirsi di elementi 
di preminenza sostanziale tali da orientare i lavori del consesso verso 
esiti deliberativi graditi al Presidente. 

Le considerazioni poc'anzi svolte sono, altres�, estensibili alla figura del 
Presidente della Giunta regionale (o Presidente di Regione) con riferimento 

(114) Cons. Stato, sez. IV, 15 ottobre 1996, n. 1104, in Cons. Stato 1996, I, p. 1459: "L'attivit� 
del presidente del consiglio dei ministri nei confronti dei vari ministri si presenta, per un verso, come 
attivit� sovraordinata di direzione (con l'emanazione dei conseguenti atti di direttiva, di indirizzo, ecc.), 
per altro verso, come attivit� equiordinata di coordinamento, se e nella misura in cui si vuol riconoscere 
al Presidente una posizione giuridica pariordinata con quella dei ministri ed in omaggio alla tradizionale 
configurazione del primus inter pares". Le diverse concezioni relative alla figura del Presidente 
del Consiglio in epoca pre-repubblicana sono illustrate da DE MARCO E., Le funzioni amministrative del 
Presidente del Consiglio dei Ministri, Cedam, Padova, 1990, p. 8. L'Autore afferma come, all'epoca del 
Decreto Ricasoli (1867), il Presidente del Consiglio rivestisse una posizione di primazia intesa nel significato 
di supremazia rispetto ai Ministri. Diversamente SALEMI G., Corso di diritto amministrativo, 
Cedam, Padova, 1941, il quale, sia pure incidentalmente, definisce il Presidente del Consiglio un primus 
inter pares rispetto ai singoli Ministri, sottolineando come egli eserciti poteri di coordinamento orizzontale, 
collocandosi su un piano di equiordinazione con tutti i Ministri. In senso conforme in dottrina, 
tra i tanti, FAZIO G., La delega amministrativa e i rapporti di delegazione, Giuffr�, Milano, 1964, p. 

209. In giurisprudenza, recentemente, Corte cost. 19 ottobre 2009, n. 262, in www.altalex.com e Corte 
cost. 25 gennaio 2011, n. 23, in www.cortecostituzionale.it. 

(115) Sulle molteplici attribuzioni del Presidente del Consiglio dei Ministri si rinvia alle disposizioni 
della l. 23 agosto 1988, n. 400 e s.m.i. 

(116) La posizione del Presidente va coerentemente qualificata non gi� in termini di primazia ma 
di vera sovraordinazione, sia pure non gerarchica, tanto rispetto al Consiglio dei Ministri quanto nei confronti 
dei singoli Ministri. Da tale posizione, chiaramente scolpita dall'art. 95 Cost., scaturirebbe una relazione 
di sovra-sottordinazione, riconducibile alle tradizionali figure organizzatorie della direzione e/o 
del coordinamento verticale. In proposito SEPE O., voce Ministeri, in Enc. dir., vol. XXVI, Giuffr�, Milano, 
1976: "Il Presidente � qualcosa di pi� di un primus inter pares in quanto ha una sua precisa ed autonoma 
posizione costituzionale; non � per� un organo sovraordinato gerarchicamente ai ministri". Per una ricostruzione 
del dibattito in ordine alla posizione del Presidente del Consiglio in et� repubblicana CAPOTOSTI 
P.A., voce Presidente del Consiglio, in Enc. dir., vol. XXXV, Giuffr�, Milano, 1986. 


DOTTRINA 353 

al quale occorrono, tuttavia, alcune puntualizzazioni. Il Presidente � titolare 
di funzione esterne ed interne alla Giunta (117), ricoprendo differenti posizioni 
da cui discendono relazioni giuridiche di varia natura con il collegio ed i suoi 
membri (118). Tuttavia, la posizione di primazia sui membri della Giunta pare 
rafforzata in termini sostanziali tanto dalla posizione di organo monocratico 
quanto dalla circostanza che gli assessori sono nominati e revocati direttamente 
dal presidente (art. 122 ult. co. Cost.) (119). 

Il ruolo di presidente �, altres�, potenziato dall'elezione a suffragio universale 
e diretto che tende ad accrescerne autorevolezza e poteri nei confronti 
degli assessori (i quali, viceversa, potrebbero non avere alcuna legittimazione 

(117) VICECONTE N., La forma di governo nelle regioni ad autonomia ordinaria: il parlamentarismo 
iper-razionalizzato e l'autonomia statutaria, Jovene, Napoli, 2010, p. 110. Con riferimento alle 
funzioni esercitate dal presidente quale organo monocratico osserva correttamente: "Il presidente non 
pu� essere certamente considerato un mero primus inter pares, perch� gi� l'art. 121 Cost. ne fa il titolare 
di un potere di direzione assai incisivo, che lo colloca in una posizione sovraordinata rispetto alla 
giunta, attribuendogli la direzione della politica (non solo generale) della stessa, di cui assume la responsabilit�". 
Inoltre i poteri direttivi del presidente della giunta regionale sono ulteriormente rafforzati 
dalla potest� di nomina e revoca degli assessori. Un potere che, mutatis mutandis, non � riconosciuto in 
ambito statale al Presidente del Consiglio nei confronti dei Ministri. Sul rapporto di direzione che intercorre 
tra presidente della Giunta ed assessori in precedenza CHEVALLARD G., La posizione del presidente 
della giunta regionale, in Riv. trim. dir. pubbl. 1968, p. 920. L'Autore utilizza la locuzione primazia non 
gi� nell'accezione gianniniana di figura di originale equiordinazione, bens� nella diversa accezione di 
formula organizzatoria di sovraordinazione, sia pure non gerarchica (In tema gi� SPAGNA MUSSO E., Il 
presidente della Regione nel sistema degli ordinamenti regionali, Marano editore, Napoli, 1961, p. 48). 

(118) In relazione alle funzioni riconducibili alla presidenza dell'organo collegiale SPAGNA MUSSO 
E., Il presidente della Regione nel sistema degli ordinamenti regionali, op. cit., spec. pp. 35-36. L'Autore 
al riguardo ammonisce: "Non ha bisogno di particolare dimostrazione l'affermazione che il Presidente 
della Giunta in ogni ordinamento regionale � titolare dei poteri di convocazione della Giunta medesima, 
di direzione dei suoi lavori, di enunciazione delle sue deliberazioni: trattasi di poteri strutturalmente 
connessi alla qualit� di Presidente di organo collegiale e, pertanto, non si pu� avere possibilit� alcuna 
di loro contestazione". Infatti, il Presidente della Giunta "ha in ogni caso quelle attribuzioni per cui appunto 
gli � riconosciuta la qualit� di presidente, che gli conferiscono la veste di primus inter pares: 
non occorre, quindi, uno specifico conferimento da parte del legislatore per poterle imputare alla sua 
persona". In tema anche RAUTI A., voce Presidente della Regione, in Diz. dir. pubbl., diretto da S. CASSESE, 
vol. V, Giuffr�, Milano, 2006, pp. 4440-4447: "Il capo del governo regionale ha innanzitutto i poteri 
connessi alla presidenza di un organo collegiale, quali la convocazione e la determinazione 
dell'ordine del giorno della giunta, nonch� la moderazione e guida delle discussioni collegiali, fino alla 
capacit� di esprimere un voto talora decisivo nei casi in cui la giunta si sia divisa, in esito ad una votazione, 
in parti uguali" ove lo Statuto regionale lo contempli espressamente. In proposito si rinvia alle 
disposizioni degli Statuti dell'Umbria (art. 69), dell'Emilia Romagna (art. 45), della Puglia (art. 43) e 
del Piemonte (art. 55), che nel corso delle deliberazioni della Giunta assegnano prevalenza al voto presidenziale 
in caso di parit� dei suffragi. 

(119) CAMERLENGO Q., I rapporti tra il presidente della giunta e gli assessori: profili di diritto 
regionale comparato, in Le Regioni 2013, fasc. 3, pp. 529-574, secondo il quale il Presidente "sceglie 
a suo piacimento i suoi pi� diretti collaboratori e con altrettanta discrezionalit� ne fa a meno". L�Autore 
richiama in proposito le considerazioni di MANGIMELI S., Aspetti problematici della forma di governo e 
della legge elettorale regionale, in Le Regioni, 2000, p. 567. Pi� in generale per una disamina dei rapporti 
tra gli organi della Regione BARTHOLINI S., I rapporti fra supremi organi regionali, Cedam, Padova, 
1961. 


popolare in quanto tecnici non gi� eletti ma nominati). Si pensi, infine, alle 
disposizioni statutarie di alcune Regioni che nelle deliberazioni della Giunta 
attribuiscono prevalenza al voto del presidente a parit� di suffragi (120). 

La preminenza sostanziale del presidente sugli altri componenti �, da ultimo 
suggellata, dalla regola del simul stabunt simul cadent, in base alla quale 
le dimissioni del presidente, quale organo monocratico, comportano lo scioglimento 
del Consiglio e le dimissioni della Giunta. � chiaro, quindi, come 
nelle sedute dell�organo esecutivo, nonostante la vigenza formale di un principio 
di pariordinazione, gli assessori subiscano l'influenza dei poteri esterni 
esercitati dal presidente. In questa fattispecie, pi� che in altre, la posizione di 
primazia pu� assumere spiccati caratteri di preminenza sostanziale, senza tuttavia 
alterare, da un punto di vista formale, il ruolo di primus inter pares del 
presidente all�interno della Giunta (121). 

5.2. Il possesso di specifici requisiti soggettivi per la preposizione all�ufficio 
presidenziale. 

Secondo un principio di reciproca pariordinazione, i componenti che entrano 
a far parte di un organo collegiale in base ad un identico titolo di investitura, 
possiedono, sovente, i medesimi requisiti soggettivi, sicch� omogenea 
sar� la composizione del consesso. In questa fattispecie il preposto all�ufficio 
di presidente � alternativamente individuato: Ope legis secondo il criterio 
dell�anzianit�; attraverso un atto discrezionale di nomina di un�autorit� 
esterna; mediante elezione da parte del collegio stesso fra i suoi membri 
(122). Ciascun ordinamento, tuttavia, per esigenze di ponderazione diversificata 
degli interessi pubblici, pu� prescrivere il possesso di requisiti eterogenei 
od ulteriori per l�ufficio di presidente rispetto a quelli richiesti per 
l�ufficio di semplice componente. 

Tale previsione � idonea, pertanto, ad accentuare all�interno del collegio 
le differenze tra presidente e componenti (123) e, conseguentemente, a rafforzare 
le ricadute dell�esercizio delle funzioni di primus inter pares sull�esito 
deliberativo del procedimento. 

Un simile fenomeno ricorrere, ad esempio, negli organi collegiali tecnici, 
nei quali � prescritta una composizione differenziata per una migliore ponderazione 
dell�interesse pubblico in rilievo. Si pensi alle Commissioni di gara 

(120) A titolo esemplificativo, si vedano gli artt. 35 co. VII dello Statuto della Calabria, 50 co. VI 
dello Statuto della Campania e 69 co. II dello Statuto dell�Umbria. 

(121) In giurisprudenza Corte cost., 20 marzo 1985, n. 70, in www.iusexplorer.it. 

(122) Si tratta, ovviamente, di indicazioni di massima che non rispecchiano alcuna peculiare classificazione 
degli organi collegiali, essendo riconosciuta a ciascun ordinamento la potest� di individuare 
i criteri di composizione del consesso nonch� le modalit� di scelta del presidente. 

(123) Talvolta, infatti, la legge fissa i requisiti soggettivi necessari per ricoprire l'ufficio presidenziale, 
tra cui, ad esempio, l'appartenenza a determinate categorie professionali. 


DOTTRINA 355 

ove il presidente necessariamente ricopra la qualifica dirigenziale, a dispetto 
degli altri componenti per i quali � sufficiente la qualifica di mero funzionario; 
oppure a quei Collegi sindacali che, non accontentandosi del criterio dell�anzianit�, 
prescrivano per la carica di presidente il possesso di peculiari requisiti 
professionali. 

Una composizione diversificata del consesso si riscontra anche negli organi 
collegiali di autogoverno e, segnatamente, nel Consiglio superiore della 
magistratura, nel Consiglio di presidenza della giustizia amministrativa e nel 
Consiglio di presidenza della Corte dei Conti. La peculiarit� di tali istituzioni 
� rintracciabile nella circostanza che la legittimazione all�ufficio di presidente 
del plenum � riconosciuta, esclusivamente, a chi ricopra una determinata carica 

o ufficio esterni al collegio da presiedere (124). 

Negli esempi indicati si determina, cos�, una differenziazione tra presidente 
e componenti che, tuttavia, non confligge con l�equiordinazione delle 
relazioni infra-collegiali, fondata sulla identit� del titolo di investitura (125). 
Del resto, il possesso di specifici requisiti soggettivi �, pur sempre, strumentale 
ad una migliore esplicazione delle funzioni di impulso e coordinamento, irrinunciabili 
per il buon andamento dei lavori. Eppure non pu� escludersi che 
l�eterogenea composizione del collegio possa avere ricadute sulla figura organizzatoria 
della primazia, rafforzando, segnatamente, l�esercizio delle funzioni 
presidenziali di primus inter pares (convocazione delle riunioni, 
formulazione dell�ordine del giorno, direzione dei lavori, polizia delle sedute); 
tutto ci� in virt� di una maggiore autorevolezza e di peculiari (e forse superiori) 
capacit� professionali del presidente rispetto agli altri componenti. 

In tal senso l�ordinaria posizione di primazia formale potrebbe arricchirsi 
di episodi di preminenza sostanziale con ripercussioni sull�iter collegiale. 
Un fenomeno che verrebbe accentuato dal concorso di ulteriori 
elementi o vicende afferenti l�ufficio di presidente ed il rispettivo titolare 
quali, ad esempio, la contestuale posizione di organo monocratico, il riconoscimento 
di poteri di sovraordinazione, l�assenza di un potere di revoca 
da parte dei componenti. 

Ciononostante, gli occasionali ed eventuali episodi di preminenza sostanziale 
non sono in grado di alterare i caratteri generali della primazia e, segnatamente, 
la posizione di preminenza formale del presidente e la reciproca 
pariordinazione di tutti i membri del collegio. 

5.3 Le modalit� di scelta del presidente. 

Come detto, ciascun ordinamento collegiale pu� scegliere tra differenti mo


(124) In tale diversa ed esterna posizione si rinviene, pertanto, il titolo di legittimazione alla presidenza 
del collegio e all'esercizio delle funzioni di primus inter pares. 

(125) VALENTINI S., La collegialit� nella teoria dell'organizzazione, op. cit., pp. 130-131. 


dalit� di individuazione del presidente (126). Secondo autorevole dottrina, l'atto 
di investitura assumerebbe �due moduli strutturali tipici, tra loro notevolmente 
differenziati, che rispettivamente denominiamo nomina ed elezione� (127). 

La nomina rappresenta atto di esercizio di un potere discrezionale (128); 
essa pu� essere compiuta da un organo monocratico esterno (129) che indichi 
per la presidenza del collegio un soggetto componente o terzo; si pensi, ad 
esempio, alla nomina del presidente dell'Assemblea del C.N.E.L. da parte del 
Capo dello Stato. 

A differenza della nomina, l'elezione � una modalit� di individuazione 
del presidente interna al collegio, alla quale sono chiamati a partecipare con il 
loro voto tutti i componenti assegnati (130). Tale fenomeno ricorre, per esempio, 
nei Consigli regionali, nelle Assemblee e nelle Commissioni Parlamentari; 
del resto, il procedimento elettivo costituisce la forma pi� diffusa per l'investitura 
negli organi politico-assembleari (131). 

Oltre ai sistemi di nomina ed elezione, la scelta del presidente pu� essere 
compiuta direttamente dalla legge (132); ci� accade con riferimento alle presidenze 
degli organi collegiali di autogoverno (Consiglio superiore della magistratura, 
Consiglio di presidenza della giustizia amministrativa, Consiglio 

(126) VALENTINI S., La collegialit� nella teoria dell'organizzazione, op. cit., p. 116: "Il titolo di 
investitura del presidente non � lo stesso che lo rende componente del collegio ma si aggiunge a questo, 
anche se talora contestualmente. L'investitura pu� aver titolo nella legge (presidente di diritto), oppure 
in un atto collegiale, particolarmente nei collegi elettivi (sempre in quelli esponenziali) oppure ancora 
in atto di autorit� diversa da quella che investe i singoli membri dell'ufficio collegiale". 
In sintesi le modalit� di scelta del presidente di un organo collegiale si identificano in tre tipologie: 

-Ope legis. 

-Nomina. 

-Elezione. 

(127) CERULLI IRELLI V., Corso di diritto amministrativo, rist. agg., Giappichelli, Torino, 2002, p. 

94. Precedentemente GARGIULO U., I collegi amministrativi, op. cit. GALATERIA L., Gli organi collegiali 
amministrativi, op. cit. VALENTINI S., La collegialit� nella teoria dell'organizzazione, op. cit. VERBARI 
G.B., voce Organi collegiali, in Enc. dir., op. cit. VILLATA R., voce Collegi amministrativi, in Enc. giur. 
Treccani, op. cit. GALLI R., Corso di diritto amministrativo, op. cit. 

(128) CERULLI IRELLI V., Corso di diritto amministrativo, op. cit., p. 95. 

(129) Teoricamente l'atto di nomina del presidente potrebbe, altres�, promanare da un organo 
esterno di natura collegiale. 

(130) CAVALLO B., Teoria e prassi della pubblica organizzazione, op. cit., p. 185. Pi� in generale 
CAMMELLI M., L'amministrazione per collegi: organizzazione amministrativa e interessi pubblici, op. 
cit., sulla provenienza dei componenti degli organi collegiali, distingue tra �estrazione libera (affidata 
alla scelta discrezionale dell�autorit� o al meccanismo elettivo) e bloccata da automatismi formali (presenze 
d�ufficio) o sostanziali (nomina su designazione delle categorie interessate)�. 

(131) CERULLI IRELLI V., Corso di diritto amministrativo, op. cit., pp. 95-97. Evidenzia l'Autore 
come l'elezione, a differenza della nomina, non rappresenti, tecnicamente, atto di esercizio di un potere 
discrezionale. 

(132) GARGIULO U., I collegi amministrativi, op. cit., pp. 147-151. VALENTINI S., La collegialit� nella 
teoria dell'organizzazione, op. cit., p. 116. GALLI R., Corso di diritto amministrativo, op. cit.: "Alla presidenza 
dell'organo collegiale � preposto un soggetto che � di nomina amministrativa o � designato da una norma 
di legge in base a criteri obbiettivi e predeterminati, ovvero eletto dai membri dello stesso collegio". 


DOTTRINA 357 

di presidenza della Corte dei conti), che vengono, pertanto, denominate presidenze 
di diritto. 

Nelle ipotesi di indicazione ex lege, la figura presidenziale � individuata 
in ragione della titolarit� di altra carica o ufficio, esterni al consesso di riferimento, 
i quali costituiscono titolo di legittimazione alla presidenza e all�esercizio 
delle rispettive attribuzioni. 

Occorre domandarsi, a questo punto, se, ed in che misura, le modalit� di 
scelta del presidente abbiano ricadute sull�esercizio delle funzioni di impulso e 
coordinamento dei lavori in termini di accentuazione della di lui posizione di 
primazia sugli altri componenti. Al quesito occorre fornire risposta affermativa 
precisando, tuttavia, come tale influenza sul ruolo di primus inter pares non risulti 
sempre ricorrente ma tenda, viceversa, a manifestarsi, con intensit� variabile, 
in occasionali ed eventuali ipotesi; per esempio nei casi di investitura ope 
legis o di nomina da parte di un organo esterno, in cui il presidente, non avendo 
vincoli giuridici n� di riconoscenza morale verso il collegio, potr� esercitare in 
modo pi� spregiudicato e disinvolto le prerogative di coordinatore dei lavori. 

In generale, le modalit� di scelta del presidente tendono ad avere pi� 
ampie ricadute sulla iuris figura della primazia ove insieme ad esse concorrano 
la contestuale posizione di organo monocratico, il possesso di specifici requisiti 
soggettivi, la titolarit� di poteri di sovraordinazione, l�assenza di un potere 
di revoca da parte degli altri membri. In tali fattispecie dalla accentuazione 
delle funzioni di primus inter pares potranno discendere occasionali episodi 
di preminenza sostanziale, senza che ci� comprometta i caratteri generali della 
primazia e, segnatamente, la posizione di preminenza formale del presidente 
e la reciproca pariordinazione di tutti i componenti. 

5.4. L'assenza di un potere di revoca del presidente da parte dei componenti 
del collegio. 

La revoca rappresenta, in via generale, il contrarius actus della nomina 

o dell�elezione, per cui essa normalmente compete all'organo o ai soggetti alla 
prima legittimati. 

Con riferimento agli organi collegiali pubblici, la revoca del presidente 
viene ad assumere peculiari caratteri. Oltre ad acquisire ulteriori denominazioni, 
tra cui quella di mozione di sfiducia, la revoca costituisce, di regola, un 
atto disgiunto dalla nomina sia per quanto riguarda la legittimazione attiva sia 
in relazione ai presupposti applicativi dell�istituto. Del resto, considerando 
ammissibile l�atto di revoca, le potest� di nomina e revoca del presidente non 
necessariamente sono attribuite al medesimo organo o ai medesimi soggetti, 
potendo essere ripartite tra differenti figure soggettive. 

Viceversa, nell�ambito degli organi collegiali politico-assembleari, la potest� 
di revoca, se riconosciuta, spetta, di solito, al prescritto numero di componenti 
che ha in precedenza eletto il presidente. 


Va puntualizzato, poi, in relazione alle Assemblee parlamentari, come la 
revoca (o sfiducia) del presidente, quale coordinatore dei lavori del plenum, 
sia "difficilmente configurabile sul piano formale, non essendo chiaro con 
quale atto tale decisione possa essere assunta" (133); inoltre il principio di 
non revocabilit� del presidente trova conferma nella prassi delle Camere, soprattutto 
a seguito del noto caso Gianfranco Fini. 

Analoghe considerazioni valgono per le Commissioni parlamentari permanenti 
nell�ambito delle quali si � negato in modo espresso ai componenti 
un potere di sfiducia nei confronti del presidente (134). 

Inoltre, con particolare riferimento ai Consigli regionali, il presidente, 
una volta eletto, non pu� essere sfiduciato, salvo diversa previsione dello Statuto 
(135). Si sottolinea in tal senso l�eccezionalit� del potere di revoca, in ossequio 
al principio di non revocabilit� del presidente che caratterizza i collegi 
politico-assembleari. 

Venendo, poi, ad esaminare gli organi consiliari di Comuni e Province, 
occorre evidenziare come la dottrina e la giurisprudenza considerino ammissibile 
la revoca del Presidente del Consiglio comunale (136) solo nei casi di 
espressa menzione da parte dello Statuto (137), applicando in via estensiva 

(133) LUPO N., voce Presidente di Assemblea, in Dig. disc. pubbl., vol. IV, Agg., op. cit. In senso 
conforme FASONE C., Presidente di Assemblea e Presidenti delle Commissioni permanenti, in I Presidenti 
di Assemblea parlamentare: riflessioni su un ruolo in trasformazione, a cura di GIANFRANCESCO E.LUPO 
N.-RIVOSECCHI G., op. cit. Contra FERRARA G., Il Presidente di Assemblea Parlamentare, op. cit. 
e TRAVERSA S., Il Presidente della Camera dei Deputati, Il Parlamento nella Costituzione e nella prassi: 
studi, Giuffr�, Milano, 1989, i quali, diversamente, ritengono ammissibile la sfiducia dei Presidenti delle 
Camere parlamentari. 

(133) In dottrina, tra i tanti, CHIMENTI C., Principi e regole delle assemblee politiche, op. cit. 

(134) Sul punto FASONE C., Presidente di Assemblea e Presidenti delle Commissioni permanenti, 
in I Presidenti di Assemblea parlamentare: riflessioni su un ruolo in trasformazione, a cura di GIANFRANCESCO 
E.-LUPO N.-RIVOSECCHI G., op. cit., spec. p. 167. 

(135) Per esempio l'art. 32 dello Statuto del Trentino-Alto Adige espressamente recita: "Il Presidente 
ed i vice Presidenti del Consiglio regionale che non adempiano agli obblighi del loro ufficio sono revocati 
dal Consiglio stesso a maggioranza dei suoi componenti". Anche lo Statuto della Regione Campania all'art. 
35 co. IV in tal senso dispone: "Il Consiglio regionale pu� revocare il Presidente del Consiglio, i vice-presidenti, 
i segretari ed i questori, collegialmente o individualmente, a seguito dell�approvazione di una mozione 
di sfiducia secondo le modalit� previste dal Regolamento". Trattasi, in ogni caso, di disposizioni 
eccezionali che, in quanto tali, necessitano di puntuale previsione da parte di una norma di diritto positivo. 
Viceversa nel silenzio della normativa vigente trova applicazione il principio di non revocabilit� del titolare 
dell'ufficio presidenziale; il che si giustifica con la necessit� che i titolari di organi pubblici di garanzia 
istituzionale, proprio per la loro funzione super partes, siano sottratti ai giochi politici di maggioranza. 

(136) In proposito, senza pretese di esaustivit�, NOBILE R., La revoca del presidente del consiglio 
comunale, in www.lexitalia.it, 2006. CORSARO A., La revoca del presidente del consiglio comunale, Nota 
a Cons. Giust. amm., 3 dicembre 2007, n. 1175, in Foro amm. C.d.s. 2007, fasc. 12, p. 3533. PETRULLI 
M., La revoca del presidente del consiglio comunale nel caso di mancata previsione ad hoc nello statuto, 
in Nuova rass. legisl. 2009, fasc. 2, p. 249. AREZZO DI TRIFILETTI G., Due interessanti questioni: l'ammissibilit� 
della revoca del Presidente del Consiglio comunale e il ruolo del consigliere anziano, in 
www.giustamm.it. In giurisprudenza, ex plurimis, Tar Veneto, sez. I, 21 dicembre 2005, n. 4359, cit. Tar 
Puglia Lecce, sez. I, 20 febbraio 2014, n. 528, in www.giustamm.it. 


DOTTRINA 359 

tali considerazioni anche al Consiglio provinciale (138). Tuttavia, una parte 
della giurisprudenza tende a riconoscere, in via generale, l�ammissibilit� della 
revoca del presidente del Consiglio (comunale e provinciale), anche nel silenzio 
del diritto positivo (139). 

Occorre, a questo punto, domandarsi in che modo la previsione o l�assenza 
di una potest� di revoca possa incidere sulla iuris figura della primazia 
ed, in particolare, sulla ordinaria posizione di preminenza formale del presidente 
sugli altri componenti. 

Va in primo luogo sottolineato come la previsione di un meccanismo di 
revoca, sia pure in via riflessa, costituisca un incisivo strumento di coazione 
esercitabile dai componenti nei confronti del presidente il quale tender�, presumibilmente, 
ad esercitare le proprie attribuzioni di primus inter pares nei 
confini di una preminenza strettamente formale, pena il rischio di rimozione 
dalla carica. 

Tale assunto trova conferma, a contrario, nell'ipotesi in cui risulti carente 
qualsivoglia congegno di revoca-sfiducia. In tali fattispecie, infatti, emerge la 
maggiore propensione del presidente ad accentuare l'esercizio delle proprie 
funzioni, con relativi episodi di preminenza sostanziale sugli altri componenti. 
Trattasi, comunque, di un fenomeno eventuale nonch� ad intensit� variabile, 
in ragione del concorso o meno di altri elementi o vicende afferenti la figura 
del presidente, quali la contestuale posizione di organo monocratico oppure il 
riconoscimento di speciali poteri di sovraordinazione. 

Ciononostante, gli occasionali ed eccezionali episodi di preminenza sostanziale, 
riconducibili all�assenza di un potere di revoca, non sono idonei a 
compromettere il modello generale della primazia e, segnatamente, la posizione 
di preminenza formale del presidente e la reciproca pariordinazione di 
tutti i componenti. 

(137) Cons. giust. amm. Reg. sic., 31 dicembre 2007, n. 1175, in www.giustizia-amministrativa.it. 
Tar Veneto, 8 febbraio 2010, n. 334, in www.giustizia-amministrativa.it. In tali fattispecie la revoca del 
presidente si realizza attraverso un apposito atto denominato mozione di sfiducia che, ai fini della sua 
approvazione, deve essere discusso e votato dal prescritto numero di componenti. 

(138) NASUTI A., I poteri del presidente dell'adunanza del consiglio comunale e provinciale, op. 
cit. APRILE E., Il Consiglio provinciale, Libreria editrice forense e degli enti locali, Lecce, 1986. MAGGIORA 
E., L'ordinamento provinciale. Provincia, citt� metropolitana, organi, funzioni, personale, responsabilit�, 
Giuffr�, Milano, 2006. GIOFFR� G., Le prerogative del presidente del consiglio comunale 
e provinciale, in Nuova rass. legisl., fasc. 16, 2011. LAMANNA DI SALVO D., La portata del concetto di 
imparzialit� e neutralit� dell'azione dell'ente locale ex d.l. n. 201 del 2011, Nota a Tar Lombardia Milano, 
sez. I, 14 dicembre 2011, n. 3150, in Giur. merito, fasc. 3, 2012. 

(139) In particolare Tar Veneto, sez. I, 21 dicembre 2005, n. 4359, in www.giustizia-amministrativa.it. 
Tar Lazio Roma, sez. II, 13 ottobre 2008, n. 8881, in www.giustizia-amministrativa.it: Ci� "attesa la mancanza 
nell'ordinamento degli enti locali, a favore del presidente revocando, di principi sulla stabilit� del 
suo incarico, del tipo di quelli che la dottrina costituzionalista ha elaborato nei riguardi dei presidenti 
delle assemblee parlamentari". 


5.5. I poteri presidenziali di sovraordinazione. 

Con la locuzione poteri presidenziali di sovraordinazione il presente volume 
intende riferirsi a quei poteri del presidente di organo collegiale, accomunati 
dalla peculiare natura giuridica e dalla medesima difficolt� di inquadramento. 

Si tratta, a ben vedere, di poteri riconosciuti al presidente nel ruolo di coordinatore 
delle riunioni che, tuttavia, sono idonei ad esprimere occasionali 
episodi di sovraordinazione sugli altri componenti. Questi poteri, pur inserendosi 
nel quadro delle funzioni tipiche della primazia, presentano caratteri speciali 
di cui � necessario verificare la compatibilit� con la posizione di primus 
inter pares del presidente. In particolare l�analisi si soffermer� su due poteri 
di sovraordinazione e, segnatamente, su: 

-La prerogativa che assegna prevalenza al voto del presidente a parit� 
di suffragi (140). 

-I poteri istruttori del presidente nei collegi con funzioni giurisdizionali 
(141). 

Premesso un breve inquadramento teorico di tali poteri, occorre vagliarne 
poi il momento applicativo nonch� le ricadute di ordine generale sulla figura 
organizzatoria della primazia. In special modo � d�obbligo chiedersi se gli episodi 
di preminenza sostanziale del presidente sugli altri componenti, derivanti 

(140) Sulle soluzioni adottabili in caso di parit� dei suffragi CAMMEO F., La parit� dei voti nelle 
deliberazioni comunali, Utet, Torino, 1901. VITTA C., Gli atti collegiali: principi sul funzionamento dei 
consessi pubblici con riferimenti alle assemblee private, op. cit., p. 269. BORSI U., La parit� di voti nelle 
deliberazioni degli organi collegiali degli enti locali, in Rass. legisl. com., 1936, fasc. 19, p. 4. FORTI 
U., La parit� di voto nelle deliberazioni amministrative, in Studi di dir. pubbl., 1937, I, pp. 443 e ss. DE 
GENNARO G., La parit� di voti nelle deliberazioni amministrative, in Riv. trim. dir. pubbl., 1951, I, pp. 
650 e ss., ora anche in Scritti di diritto pubblico, vol. I, Milano, 1955, pp. 41 e ss. LA TORRE M., Parit� 
di voti e voto del presidente del collegio, in Amm. it., 1952. STRANGES A., Deliberazioni dei consigli comunali: 
effetti della parit� di voti, ripetizione della votazione, in Il servizio ispettivo, n. 5, 1954. GALATERIA 
L., Gli organi collegiali amministrativi, op. cit. DAGTOGLOU P., Kollegialorgane und Kollegialakte 
der Verwaltung, op. cit.. GARGIULO U., I collegi amministrativi, op. cit. TREVES G., L'organizzazione 
amministrativa, op. cit. SANDULLI A.M., Manuale di diritto amministrativo, XV ed., op. cit. 

(141) L'art. 506 co. I c.p.p. riconosce al presidente nel corso del dibattimento penetranti poteri 
istruttori in tema di prova. Pi� in generale sui poteri istruttori del giudice penale DE CARO A., Poteri 
probatori del giudice e diritto alla prova, Edizioni scientifiche italiane, 2003. BELLUTA H., Imparzialit� 
del giudice e dinamiche probatorie ex officio, Giappichelli, Torino, 2006. CARACENI L., Poteri d'ufficio 
in materia probatoria e imparzialit� del giudice penale, Giuffr�, Milano, 2007. VERGINE F., Sistema 
delle prove e interventi del giudice, Cacucci, 2008. LATTANZI G., Codice di procedura penale: annotato 
con la giurisprudenza, VIII ed., Giuffr�, Milano, 2013. CONSO G.-GREVI V.-ILLUMINATI G., Commentario 
breve al codice di procedura penale: complemento giurisprudenziale, a cura di LIVIA GIULIANI, 
VIII ed., Cedam, 2013. DE GIOIA V., Codice di procedura penale e leggi speciali annotato con la giurisprudenza, 
Neldiritto, 2013. Anche il Codice del processo amministrativo (D.lgs. n. 104/2010) tende a 
rafforzare i poteri istruttori del presidente del collegio. Infatti ai sensi degli artt. 65 co. I e 68 co. I il presidente 
o un magistrato da lui delegato, su istanza di parte, adotta i provvedimenti necessari per assicurare 
la completezza dell'istruttoria; inoltre nell'ammettere i mezzi istruttori egli fissa i termini da osservare 
e ne determina luogo e modalit� di assunzione. (Sul punto ROMEO A., Collegialit� e ruolo presidenziale 
nella sentenza amministrativa, Giuffr�, Milano, 2012). 


DOTTRINA 361 

dall�esercizio di tali poteri di sovraordinazione, siano in grado di mettere in 
discussione i tratti distintivi della primazia ed, in particolare, la posizione di 
preminenza formale del presidente e la reciproca pariordinazione di tutti i componenti. 
Ci� in ragione della circostanza che lo svolgimento di tali poteri � 
idoneo a condizionare il procedimento di formazione della volont� collegiale. 

Al quesito occorre dare risposta negativa, riallacciandosi ad un principio 
di ordine generale: Nel concreto operare dei fenomeni giuridici non esistono 
situazioni, posizioni o figure soggettive allo stato puro, ma ciascuna di esse 
tollera al suo interno la presenza di elementi spuri, eterogenei rispetto agli elementi 
tipici della situazione, posizione o figura dominante. Trattasi di un fenomeno 
generale di ampio respiro che ricorre nel diritto amministrativo ma � 
comune anche al diritto privato (142). 

La stessa figura organizzatoria della primazia registrerebbe al proprio interno 
una vicenda di commistione tra i maggioritari poteri di equiordinazione 
e i minoritari poteri di sovraordinazione. La coabitazione tra poteri diversi si 
giustifica attraverso l'applicazione della teoria generale dell'assorbimento o 
della prevalenza (143); in base a questa teoria natura e disciplina della primazia 
vengono individuate attraverso gli elementi maggioritari della fattispecie che 
prevalgono per assorbimento sugli elementi minoritari ed accessori (144). Ne 
discende come la primazia, quale figura di originale equiordinazione, possa 
sopportare al suo interno poteri di sovraordinazione, con i relativi episodi di 
preminenza sostanziale, senza veder alterate le proprie caratteristiche fondamentali 
tra cui la posizione di preminenza formale del presidente e la reciproca 
pariordinazione di tutti i componenti. 

(142) Secondo PUGLIATTI S., La propriet� nel nuovo diritto, Giuffr�, Milano, 1954 anche il diritto 
assoluto di propriet�, che � la pi� completa ed ampia tra le situazioni giuridiche soggettive attive e di 
vantaggio, tollera nel proprio nucleo interno una serie di elementi spuri che si identificano in oneri, obblighi 
e limiti. Ai sensi dell'art. 832 c.c., infatti, "il proprietario ha diritto di godere e disporre delle 
cose in modo pieno ed esclusivo, entro i limiti e con l'osservanza degli obblighi stabiliti dall'ordinamento 
giuridico". Tali oneri, obblighi e limiti conformano la struttura del diritto senza per� intaccare le caratteristiche 
generali della propriet�. Non esistono, pertanto, nel contesto storico contemporaneo situazioni 
giuridiche soggettive assolute (NICOL� R., Istituzioni di diritto privato. I. Dispense integrative ad uso 
degli studenti, Giuffr�, Milano, 1962. PUGLIATTI S., Il trasferimento delle situazioni soggettive, Giuffr�, 
Milano, 1964. BOBBIO N., L'et� dei diritti, Einaudi, Torino, 1990). 

(143) ASQUINI A., Il contratto di trasporto terrestre di persone, op. cit., pp. 69 e ss.. In base alla 
teoria dell'assorbimento (Absorptionstheorie) nell'ambito dei contratti misti le prestazioni secondarie 
ed accessorie risultano assorbite nelle prestazioni principali "agli effetti della determinazione della 
natura giuridica della forma di contratto" e agli effetti dell'individuazione della disciplina applicabile. 
Questa teoria �, altres�, estensibile a qualsivoglia fattispecie giuridica che sia caratterizzata da un fenomeno 
di commistione tra elementi eterogenei. Pi� di recente SICCHIERO G., I contratti misti, op. cit. DI 
PACE R., Partenariato pubblico privato e contratti atipici, op. cit. 

(144) I poteri di sovraordinazione sono, dunque, recessivi in quanto assorbiti nelle funzioni di 
impulso e coordinamento che connotano in senso prevalente il modello della primazia. Tali poteri ricoprono, 
conseguentemente, un ruolo marginale rispetto agli ordinari poteri presidenziali di primus inter 
pares, risultando ammissibili solo in presenza di un'espressa disposizione di diritto positivo. 


Finito di stampare nel mese di marzo 2015 
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